Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento attività produttive | ||||
Titolo: | Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell'economia della condivisione - A.C. 3564 - Schede di lettura | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 433 | ||||
Data: | 02/05/2016 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
IX-Trasporti, poste e telecomunicazioni
X-Attività produttive, commercio e turismo |
Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell'economia della condivisione
2 maggio 2016
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Il fenomeno della sharing economy in Italia.L'economia collaborativa in Italia inizia ad affacciarsi nel 2000, in ritardo rispetto al resto del mondo dove nascono piattaforme di condivisdione già alla fine degli anni ‘90. Il grande sviluppo avviene a partire dal 2009 spinto, da un lato, dalla crisi economica che fa emergere nuovi modelli di consumo e, dall'altro, dal diffondersi delle tecnologie digitali e dei social network che consentono di mettere in contatto persone per scambiarsi oggetti o servizi. Circa la metà (il 52%) delle piattaforme intervistate da "collaboriamo.org" (Sharing economy la mappatura delle piattaforme italiane 2015) è nata tra 2013 e 2014 ossia quando in Italia il fenomeno della sharing economy è diventato più noto al grande pubblico. Esso è fortemente localizzato nel Nord Italia (70% delle piattaforme contro il 64% del 2014).  Secondo lo studio pubblicato dal Mulino Web "Il fenomeno della sharing economy in Italia e nel mondo" il modello collaborativo si applica nel nostro Paese in diversi ambiti, tra i quali si segnala il crowdfunding, il settore più presente, con oltre 50 piattaforme, i servizi dedicati allo scambio o al noleggio di beni di consumo, i trasporti, che comprendono piattaforme di condivisione posti auto in città o su lunghe tratte. Anche il settore del turismo mostra un sistema variegato di servizi, comprendendo piattaforme che permettono ai privati di affittare o scambiare la propria abitazione per brevi periodi e servizi che facilitano l'incontro di persone del posto con viaggiatori, ai quali si propongono visite personalizzate e alternative dei luoghi turistici. Il settore del lavoro, invece, comprende per la maggior parte servizi alla persona che aiutano a trovare una babysitter referenziata o un dogsitter, marketplace in cui si scambiano prestazioni di lavoro di breve durata o banche del tempo digitali. Tra i tanti servizi, alcuni crescono raggiungendo numeri interessanti, si tratta, però, di esperienze ancora limitate e numeri non ancora sufficienti per far decollare i servizi. In generale, l'offerta rimane di gran lunga superiore alla domanda. Se si escludono car sharing e bike sharing, la maggior parte delle piattaforme italiane non supera i 10 mila utenti, nonostante l'interesse verso la sharing economy sia in continuo aumento.  Come evidenziato dal citato lavoro del Mulino web, i servizi di sharing economy possono trovare diversa collocazione rispetto a tre assi, che ne identificano i tratti caratterizzanti: 1. la sharing economy favorisce pratiche basate sul riuso invece che sull'acquisto e sull'accesso piuttosto che sulla proprietà , in forma sincrona (per esempio, si condivide la propria casa con un'altra persona) o differita (per esempio, si lascia la propria casa temporaneamente a un'altra persona). 2. La presenza di una piattaforma tecnologica che supporta relazioni digitali, dove la distanza sociale è più rilevante di quella geografica e la fiducia è veicolata attraverso forme di reputazione digitale. 3. La relazione peer-to-peer: la disintermediazione favorisce il rapporto diretto tra domanda e offerta, spesso al di fuori di logiche professionali, con una caduta dei confini tra finanziatore, produttore, consumatore e cittadino attivo. Spesso sotto l'etichetta sharing economy ricadono esperienze che presentano solo alcuni di questi elementi: è il caso, per fare un esempio, del car sharing che, pur soddisfacendo i primi due criteri, non rispetta il terzo.  Per quanto riguarda l'Italia, la maggior parte delle piattaforme collaborative (65%) intervistate nel 2015 contano due o tre soci fondatori, dato in crescita rispetto al 57% rilevato lo scorso anno. Per molti dei fondatori non si tratta della prima esperienza lavorativa, anzi, nel 67% dei casi hanno maturato competenze in altre posizioni lavorative che mantengono almeno nelle prime fasi di avvio della piattaforma. Il mantenere posizioni lavorative in altre aziende riduce i rischi insiti nell'avvio di una nuova attività ed è un "paracadute" in caso di fallimento per founder che giovanissimi non sono. Tuttavia, questa scelta costituisce un forte vincolo alla crescita del servizio collaborativo a cui viene destinata una porzione residuale di tempo ed energia. Dar vita ad un servizio collaborativo per alcuni è un business, tuttavia, per altri, tali piattaforme nascono dal desiderio di migliorare la qualità della vita. Le piattaforme collaborative nascono infatti tra amici (42%), tra compagni di scuola o università (27%), tra ex colleghi (19%).  Dal punto di vista della forma giuridica delle piattaforme collaborative la ricognizione effettuata da "collaboriamo.org", evidenzia che il 70% delle piattaforme che ha risposto al questionario è iscritta al registro delle imprese. Si tratta prevalentemente di SRL, che rappresentano il 56% del campione intervistato, a cui si aggiunge un 26% di start-up innovative (iscritte al registro). E' bassa la percentuale di imprese individuali (5%), così come la presenza di cooperative (3%). Si rileva anche l'assenza di associazioni o enti non profit. Nella mappatura si è rilevata anche la dimensione in termini di occupati dei servizi collaborativi. Le 55 piattaforme intervistate danno lavoro a 382 persone che significa una media di quasi 7 persone a piattaforma. Mediamente le imprese del campione intervistato hanno 2,4 dipendenti (tra questi si contano i spesso i fondatori), 1,9 collaboratori stabili e 2 collaboratori occasionali. Oltre a questo dato medio si rileva anche che la maggior parte dei servizi intervistati (51%) ha tra 0 e 5 occupati, una considerevole porzione (35%) non supera i 10 occupati, il 5% ha tra 10 e 15 occupati e solo il 3% ha più di 15 occupati. I servizi collaborativi sono dunque imprese piccole e questo non solo perché giovani, ma anche per la stessa natura del business la cui funzione è quella di abilitare gli scambi tra pari e non produrre o erogare manufatti o servizi. La quasi totalità delle piattaforme intervistate (50 su 57 corrispondenti all'88% del campione intervistato) ha individuato il proprio modello di business. Solo il 17% del campione intervistato fa riferimento ad un solo modello di business il restante 73% abbina modelli differenti per garantirsi sufficienti entrate. Il modello prevalentemente adottato (37%) dalle piattaforme italiane è quello tipico delle piattaforme collaborative: la percentuale sul transato (con un valore della transazione che varia a seconda del bene scambiato e può andare da 6 euro ad oltre 1000, in genere, tuttavia, la media si aggira tra i 5 e i 50 euro). Questo modello, pur essendo quello prevalente, risulta in calo rispetto al 44% rilevato nel 2014. Crescono le forme di abbonamento (dal 9% al 25%), l'advertising (dall'11% al 19%) e gli accordi con grandi marchi e sponsorship (dal 9% al 15%).  Nella ricognizione effettuata da "collaboriamo.org" sono inoltre evidenziate le differenti posizioni relative all'esigenza di normare il fenomeno. Si segnala inoltre che è in corso d'esame presso la Commissione Trasporti della Camera la proposta di legge DELL'ORCO ed altri: "Modifiche all'articolo 23 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, e altre disposizioni per la promozione dell'uso condiviso di veicoli privati" ("car pooling") (2436). Si rinvia al dossier predisposto dal Servizio studi.
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ContenutoFinalità della proposta di legge e definizioni (artt. 1 e 2). La proposta di legge A.C. 3564 avente ad oggetto "Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell'economia della condivisione" si compone di 12 articoli. L'articolo 1 indica le finalità della proposta di legge che è diretta a promuovere l'economia della condivisione e le forme di consumo consapevole. Tra gli obiettivi specifici coerenti con la finalità generale sopra indicata la proposta di legge individua:
Si prevede inoltre che, per il conseguimento degli obiettivi sopra indicati sia disciplinata l'attività delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi operanti su mercati a due versanti. I mercati a due versanti si connotano in quanto vi è un una piattaforma, gestita da un operatore terzo, che costituisce un collegamento fisico e virtuale fra due gruppi interdipendenti di soggetti (i due "versanti" del mercato) e grazie alla quale i soggetti interagiscono per conseguire reciproche utilità .
L'articolo 2 introduce le definizioni di economia della condivisione, intesa come "l'economia generata dall'allocazione ottimizzata e condivisa delle risorse di spazio, tempo, beni e servizi tramite piattaforme digitali", e dei soggetti che intervengono nei rapporti giuridico economici in tale specifico ambito (gestori ed utenti, a loro volta divisi in utenti operatori e utenti fruitori). Sia i gestori che gli utenti possono essere soggetti privati o anche soggetti pubblici. Il soggetto pubblico può dunque, ai sensi della proposta di legge, essere indifferentemente, gestore di piattaforma elettronica, ovvero utente operatore, cioè soggetto che attraverso la piattaforma digitale opera erogando un servizio o condividendo un proprio bene, e, dunque, le piattaforme digitali gestite dalla P.A. sembrerebbero poter operare non solo verso altri soggetti pubblici (ad es. scambio di beni tra Ministeri ai fini di un'efficienza e razionalizzazione della spesa), ma anche tra P.A. e soggetti privati.
Il trattamento giuridico delle attività di sharing economy compiute dal soggetto privato o pubblico nella proposta si presenta identico sia per i soggetti pubblici che per i soggetti privati. Andrebbe valutato se sussista la necessità di una differenziazione della disciplina in ragione del bene giuridico (bene privato o bene pubblico) oggetto dell'attività e dei soggetti che intervengono nel rapporto. La medesima disposizione individua anche alcune caratteristiche fondamentali dei rapporti intercorrenti tra i soggetti operanti nel sistema dell'economia condivisa, in particolare:
Sono escluse dall'applicazione della legge citata "le piattaforme che operano intermediazione in favore di operatori professionali iscritti al registro delle imprese" per le quali è pertanto impossibile individuare un utente, inteso come semplice operatore, non professionale, in relazione alla fornitura di un bene o di un servizio. Gli obblighi dei gestori delle piattaforme e i rapporti tra gestori e utenti (artt. 3, comma 2, 4, 9, 11).
La proposta di legge dispone una puntuale regolamentazione dell'attività delle piattaforme digitali dell'economia della condivisione. In primo luogo si istituisce infatti (art. 3, comma 2) presso l'Autorità garante della concorrenza e del mercato un registro elettronico nazionale delle piattaforme digitali dell'economia della condivisione. L'iscrizione al registro è presupposto per lo svolgimento dell'attività da parte dei gestori (art. 10) ed è a sua volta subordinato all'approvazione, da parte dell'Autorità , di un "documento di politica aziendale" predisposto dai gestori delle piattaforme. Oltre all'obbligo di iscriversi al registro elettronico nazionale e di predisporre il documento di politica aziendale la proposta di legge prevede anche precisi vincoli alle condizioni previste del documento e ne determina i contenuti obbligatori.
Il documento deve infatti includere le condizioni contrattuali tra la piattaforma digitale e gli utenti e deve essere esplicitamente sottoscritto dagli utenti (articolo 4, commi 1 e 8). Con riferimento ai contenuti delle clausole contrattuali i commi 2 e 3 dell'articolo 4 prevedono una serie di clausole vietate che sono nulle qualora apposte, ma non causano la nullità del documento (vitiantur sed non vitiant). In particolare il documento di politica aziendale non può contenere previsioni che impongano, anche indirettamente all'utente operatore:
e ad entrambi gli utenti (operatore e fruitore):
Il documento prevede anche che eventuali transazioni in denaro operate mediante le piattaforme digitali avvengano esclusivamente mediante sistemi di pagamento elettronici (art. 4, comma 5). Il gestore della piattaforma deve inoltre prevedere nel documento modalità di registrazione univoche per evitare la creazione di profili falsi o non riconducibili a uno specifico utente. Gli utenti, secondo una precisa disposizione del documento di politica aziendale, hanno l'obbligo di indicare le proprie generalità , in particolare i dati anagrafici la residenza e il codice fiscale. Infine il documento prevede l'obbligo di informare gli utenti della necessità di eventuali coperture assicurative richieste per lo svolgimento delle attività negoziate nell'ambito della piattaforma, di quelle già eventualmente sottoscritte dal gestore, e di quelle che gli operatori possono stipulare, a condizioni agevolate, sulla base di accordi tra gestore della piattaforma e impresa di assicurazione, ponendo in capo al gestore della piattaforma la verifica dell'avvenuta stipula della citata assicurazione (articolo 4, comma 6). Non è definita nel testo la natura del documento di politica aziendale. La figura civilistica più simile appare quella del contratto per adesione, ovvero del contratto destinato a regolare una serie indefinita di rapporti che sia stato predisposto unilateralmente da un contraente. In merito, l'art. 1341 c.c. afferma che: «Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell'altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza. In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità , facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria». Potrebbe essere, opportuno chiarire la natura del documento di politica aziendale. Un ulteriore obbligo in capo ai gestori delle piattaforme è previsto dall'articolo 9 che impone loro di trasmettere all'ISTAT i dati relativi al numero di utenti, alle attività svolte e ai relativi importi, nonché alla tipologia di beni e servizi utilizzati, aggregati su base comunale. L'ISTAT definisce, sentita l'Agenzia per l'Italia digitale lo standard di comunicazione dei dati medesimi ai fini dell'archiviazione telematica degli stessi. L'articolo 11 prevede infine che gli obblighi previsti dalla proposta di legge si applichino anche ai gestori di piattaforme già operanti obbligando tali operatori a conformarsi a tali disposizioni entro 120 dall'entrata in vigore della legge. In caso di mancato adeguamento si applicano le sanzioni di cui all'articolo 10 (vedi supra). Andrebbe chiarito se ai gestori già operanti ai sensi dell'art. 11 si applichi anche la diffida prevista dall'articolo 10 o se abbiano solo 120 gg. dall'entrata in vigore per adeguarsi alle disposizioni e, qualora ciò non avvenga, segua immediatamente la sospensione dell'attività . Tutela della privacy degli utenti (art. 7) L'articolo 7 detta disposizioni per la tutela della riservatezza fornendo anzitutto la definizione di dato utente ovvero il dato personale di cui sia stato acquisito il consenso ai sensi del Codice della privacy (D.Lgs. 196 del 2003) nonché il dato prodotto è ottenuto dalla integrazione digitale di oggetti. La normativa sulla privacy non richiede un consenso al dato personale bensì un consenso al trattamento del dato personale.
L'art. 23 del D.Lgs. 196/2003 prevede che il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è ammesso solo con il consenso espresso dell'interessato. Il consenso, che può riguardare l'intero trattamento ovvero una o più operazioni dello stesso - è validamente prestato solo se è espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, se è documentato per iscritto, e se è stata resa all'interessato l'informativa di cui all'articolo 13 (che in particolare indica le finalità e il trattamento dei dati, la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati, gli estremi del titolare del trattamento e i diritti dell'interessato).
Il comma 2 prevede l'ipotesi di possibile cessione a terzi da parte del gestore della piattaforma dei dati utenti di cui dispone prevedendo le modalità tecniche con cui l'utente, informato con anticipo dal gestore, può eliminare i dati che lo riguardino. Spetterà al Garante della privacy definire i contenuti minimi dell'informativa e le modalità del procedimento di eliminazione; ciò, fermo restando l'obbligo per le piattaforme digitali di garantire strumenti per il controllo, la modifica e la cancellazione da parte degli utenti (anche integrale, con una sola operazione) dei dati personali memorizzati sulla piattaforma (comma 3). Tali operazioni devono poter riguardare i singoli dati, categorie omogenee degli stessi ovvero l'insieme dei dati. Viene vietata l'analisi automatica, anche in remoto, dei contenuti presenti sulla piattaforma, escluse le operazioni esplicitamente e spontaneamente richieste dagli utenti, oggetto di apposito rapporto contrattuale (comma 4). Si intende, quindi, garantire all'utente una sorta di diritto all'oblio, attraverso la possibilità di cancellare tutti i propri dati dalla piattaforma; è demandata al Garante anche la competenza all'irrogazione delle sanzioni per le violazioni della citata disciplina a tutela della riservatezza (sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a 60.000 euro). Potrebbe essere utile inserire nel quadro definitorio del comma 1, oltre alla definizione di dato utente, anche la definizione di termini tecnici quali "integrazione digitale di oggetti" e "granularità singolare". In relazione al comma 4, andrebbe chiarito cosa si intenda per «operazioni esplicitamente e spontaneamente richieste dagli utenti, oggetto di separata approvazione contrattuale». Compiti e poteri dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (artt. 3, 4, comma 1, e 10). La proposta di legge conferisce nuovi compiti e potestà all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. In particolare l'articolo 3, comma 1, stabilisce che l'Autorità regola e vigila sull'attività delle piattaforme digitali dell'economia della condivisione. L'Autorità ha il potere di imporre ai gestori delle piattaforme di fornire o richiedere agli utenti operatori polizze assicurative per la copertura dei rischi tipici dell'economia della condivisione e spetta all'Autorità il compito di approvare il documento di politica aziendale (art. 4, comma 1) e di assicurare il rispetto della legge e del documento medesimo da parte degli operatori mediante i controlli e le sanzioni previste dall'articolo 10. In relazione a tali poteri di controllo e sanzionatori l'articolo 10 prevede che l'Autorità diffidi dal continuare la propria attività qualunque piattaforma digitale dell'economia della condivisione senza essere iscritta nel registro fissando al gestore un termine affinchè quest'ultimo perfezioni l'iscrizione. Qualora l'iscrizione non avvenga è prevista una sanzione pari al 25 per cento del fatturato realizzato nel periodo di mancata iscrizione e la sospensione dell'attività fino all'iscrizione del gestore. Con riferimento al mancato rispetto di quanto stabilito dalla legge con riferimento ai contenuti del documento di politica aziendale si prevede che l'autorità diffidi il gestore stabilendo un termine entro il quale lo stesso provveda a conformare il documento a quanto previsto dalla legge. In caso di mancato adempimento è prevista una sanzione dall'1 al 10 per cento del fatturato realizzato dalla piattaforma nell'ultimo esercizio chiuso antecedentemente alla notificazione della diffida e, anche in questo caso, si prevede la sospensione dell'attività fino all'adempimento di quanto richiesto dall'Autorità medesima. Si prevede che dell'attività di vigilanza l'Autorità dia conto nella relazione annuale sull'attività svolta nell'anno precedente comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri, relazione che, ai sensi dell'articolo 26 della legge n. 287 del 1990 viene poi trasmessa al Parlamento. L'articolo 10 prevede inoltre una forma di presunzione legale di abuso di dipendenza economica ai sensi dell'articolo 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192, in difetto di prova contraria, in tutti i casi in cui un utente operatore si obblighi verso il gestore a un patto in forza del quale l'utente operatore stesso si trovi a dover ingiustificatamente rifiutare ai propri clienti, potenziali o abituali, proposte di fornitura di beni o servizi a condizioni migliorative rispetto a quelle assicurate al gestore stesso.
Ai sensi del citato articolo 9 è vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Ai sensi del citato articolo 9 si considera dipendenza economica la situazione in cui un impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto. I patti rientranti in tale fattispecie sono nulli.
L'articolo 3 pertanto designa l'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato quale soggetto regolatore e vigilante sulle attività delle piattaforme digitali (tutte, sia private che pubbliche). La vigilanza sulle piattaforme pubbliche e la loro "abilitazione" appare, da un'analisi sistematica, coerente con l'attuale quadro normativo solo in alcune ipotesi, ossia quando il soggetto pubblico opera sul mercato come un privato. Si ricorda, infatti, che la legge n. 287/1990 (articolo 8) dispone che la disciplina alla tutela della concorrenza ivi contenuta (articolo 1-7) si applica sia alle imprese private che a quelle pubbliche o a prevalente partecipazione statale, ma non si applica alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati. In relazione ai maggiori oneri derivanti dai nuovi compiti attribuiti all'Autorità si prevede che essi siano coperti da un contributo pari al massimo allo 0,08 per mille del fatturato risultante dall'ultimo bilancio approvato dai gestori delle piattaforme digitali. L'importo complessivo annuale del contributo è stabilito dalla medesima Autorità . Con riferimento al contributo di cui sopra, si osserva che la Legge n. 287/1990, l'articolo 8 dispone attualmente che all'onere derivante dal funzionamento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato si provvede mediante un contributo di importo pari allo 0,08 per mille del fatturato risultante dall'ultimo bilancio approvato dalle società di capitale, con ricavi totali superiori a 50 milioni di euro. Le misure a sostegno dell'economia della condivisione (artt. 6 e 8) La proposta di legge contiene una serie di norme volte all'introduzione di misure annuali per la diffusione dell'economia della condivisione, alla rimozione degli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo e alla diffusione dell'economia della condivisione garantendo la leale concorrenza e la tutela dei consumatori. La sede per l'adozione delle misure viene individuata, ai sensi dell'articolo 6, nella legge (recte: il disegno di legge) annuale per il mercato e la concorrenza, di cui all'articolo 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99, tenendo conto anche della relazione annuale dell'AGCM e delle segnalazioni eventualmente trasmesse dalle altre amministrative indipendenti. La proposta di legge individua le seguenti tipologie di misure: a) norme di immediata applicazione, al fine, anche in relazione ai pareri, alle segnalazioni e alle relazioni annuali dell'AGCM e delle altre autorità amministrative indipendenti, di rimuovere gli ostacoli alla diffusione dell'economia della condivisione; b) una o più deleghe al Governo per l'emanazione di decreti legislativi; c) l'autorizzazione all'adozione di regolamenti, decreti ministeriali e altri atti; d) disposizioni recanti i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano le proprie competenze normative, quando vengano in rilievo profili attinenti alla diffusione dell'economia della condivisione; e) norme integrative o correttive di disposizioni contenute in precedenti leggi per la diffusione dell'economia della condivisione, con esplicita indicazione delle norme da modificare o abrogare. Si prevede inoltre che il Governo nella relazione di accompagnamento del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza evidenzi lo stato di attuazione degli interventi previsti nelle precedenti leggi per la diffusione dell'economia della condivisione, indicando gli effetti che ne sono derivati per i cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione e fornisca l'elenco delle segnalazioni contenute nella relazione annuale dell'AGCM e di quelle trasmesse da altre Autorità , indicando gli ambiti per i quali non si è ritenuto opportuno darvi seguito. Allo stesso modo è previsto che il Ministro dello Sviluppo economico, per promuovere lo sfruttamento di risorse solo parzialmente utilizzate, identifichi un apposito ufficio al quale gestori e utenti possano inviare suggerimenti o richieste di standardizzazione dei dati relativi alle medesime utenze. Ai sensi dell'articolo 8 inoltre sempre il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentite l'AGCM e l'Associazione nazionale dei comuni italiani emana linee guida, destinate agli enti locali, per valorizzare e diffondere le buone pratiche nell'ambito dell'economia della condivisione al fine di abilitare processi sperimentali di condivisione di beni e servizi nella pubblica amministrazione. Disposizioni fiscali e finanziarie (artt. 5 e 12) L'articolo 5 reca le disposizioni di natura fiscale. In particolare, il comma 1 individua una nuova forma di reddito imponibile. Infatti il reddito percepito dagli utenti operatori mediante la piattaforma digitale è definito "reddito da attività di economia della condivisione non professionale" e deve essere indicato in un'apposita sezione della dichiarazione dei redditi. Ai redditi fino a 10 mila euro si applica un'imposta fissa pari al 10 per cento (c.d. flat tax). I redditi superiori a 10mila euro sono cumulati con i redditi da lavoro dipendente o da lavoro autonomo: ad essi si applica l'aliquota corrispondente (comma 1). In alternativa alla individuazione di una nuova fattispecie di reddito imponibile, che andrebbe più opportunamente disciplinata all'interno del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, si potrebbe prevedere per i redditi individuati dal secondo periodo del comma 1 l'applicazione di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive nella misura del 10 per cento. Potrebbe essere opportuno demandare all'Agenzia delle entrate il compito di emanare i provvedimenti attuativi. I gestori operano in qualità di sostituti di imposta in relazione ai redditi percepiti dagli utenti operatori delle piattaforme digitali. I gestori che risiedono all'estero devono dotarsi di stabile organizzazione in Italia e devono comunicare i dati all'Agenzia delle entrate sulle transazioni economiche, anche laddove l'utente operatore non percepisca reddito dalle attività svolte (commi 2 e 3). L'articolo 12 destina le risorse derivanti dall'attuazione della legge in esame alla copertura finanziaria della deducibilità delle spese per formazione professionale sostenute dai gestori e dagli utenti operatori nel limite di 5.000 euro. Le ulteriori risorse eventualmente rimanenti sono destinate al finanziamento di politiche a favore dell'innovazione tecnologica e della digitalizzazione delle imprese. Dalla formulazione della norma non risulta chiaro se la deducibilità è riconosciuta nel limite delle risorse derivanti dall'applicazione della legge in esame. Sembrerebbe opportuno inoltre esplicitare la disciplina contabile delle maggiori somme eventualmente derivanti dal provvedimento in esame. Appare necessario altresì individuare con maggiore precisione i destinatari dell'agevolazione e le concrete modalità applicative della stessa, eventualmente demandando la relativa disciplina a norme secondarie di attuazione. |
Relazioni allegate o richiesteLa proposta di iniziativa parlamentare è accompagnata dalla necessaria relazione illustrativa. |
Necessità dell'intervento con leggeLa disposizione è volta in primo luogo a regolamentare le piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi. In particolare viene introdotto un regime autorizzatorio per lo svolgimento dell'attività suddetta (su cui vedi infra) subordinato alla predisposizione di un documento di politica aziendale volto a regolamentare i rapporti tra gestori della piattaforma ed utilizzatori. La proposta di legge contiene anche interventi di carattere fiscale, finanziario, l'integrazione del contenuto di una disposizione normativa primaria (art. 47 della legge n. 99 del 2009), e l'attribuzione di nuovi poteri e di nuove competenze all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. In relazione a ciascuno di questi ambiti è necessario intervenire con norme primarie. |
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteLa proposta di legge disciplina le modalità di esercizio dell'attività delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi nonché i rapporti tra gestore della piattaforma e utilizzatori. Tali ambiti possono essere ricondotti rispettivamente alle materie tutela della concorrenza (art. 117, comma 2, lett. e) e ordinamento civile (articolo 117, comma 2, lettera l) di competenza esclusiva dello Stato. |
Compatibilità comunitariala proposta di legge va valutata nel contesto normativo europeo già vigente e applicabile (Direttiva 2006/123/UE); sui servizi, Direttiva Europea 2000/31/Ce sull'e-commerce), legislazione europea a tutela dei consumatori per la quale si richiama la Direttiva n. 2011/83/UE, nonché le pertinenti disposizioni del TFUE (articolo 169). La Direttiva 31/2000/UE, cd. Direttiva e-commerce, stabilisce all'articolo 4 il principio dell'assenza dell'autorizzazione preventiva disponendo che gli Stati membri garantiscono che l'accesso all'attività di un prestatore di un servizio della società dell'informazione ed il suo esercizio non siano soggetti ad autorizzazione preventiva o ad altri requisiti di effetto equivalente. La Direttiva Servizi (Dir. 2006/123/UE recepita in Italia con il D.Lgs. n. 59/2010) dispone che gli Stati membri possono subordinare l'accesso ad un'attività di servizio e il suo esercizio ad un regime di autorizzazione soltanto alle condizioni seguenti: a) il regime di autorizzazione non è discriminatorio nei confronti del prestatore; b) la sua necessità è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale; c) l'obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia. Il D.Lgs. n. 59/2010 dispone infatti che i regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità . Il numero dei titoli autorizzatori per l'accesso e l'esercizio di un'attività di servizi può essere limitato solo se sussiste un motivo imperativo di interesse generale o per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili (articolo 14). Secondo la direttiva rientrano tra i «motivi imperativi d'interesse generale» i motivi riconosciuti come tali dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, tra i quali:
La medesima direttiva all'articolo 16, comma 2, specifica inoltre che gli Stati membri non possono restringere la libera circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolare, imponendo specifici requisiti tra i quali "l'obbligo per il prestatore di essere stabilito sul loro territorio" e "l'obbligo per il prestatore di ottenere un'autorizzazione dalle autorità competenti, compresa l'iscrizione in un registro o a un ordine professionale sul loro territorio, salvo i casi previsti dalla presente direttiva o da altri strumenti di diritto comunitario". In ragione di ciò sarebbe opportuno enunciare, all'articolo 1 tra le finalità della legge anche quelle di cui all'articolo 4, paragrafo 1, n. 8 della Direttiva servizi 2006/123/UE. Si tratta in particolare della tutela dei consumatori, dei destinatari dei servizi, e dell'equità delle transazioni commerciali che rappresentano "motivi di interesse generale" che giustificano l'introduzione di un regime autorizzatorio. Andrebbe altresì valutato l'obbligo previsto dall'articolo 5, comma 2, secondo periodo, che prevede che i gestori che risiedono all'estero debbano dotarsi di stabile organizzazione in Italia. |
Documenti all'esame delle istituzioni dell'Unione europeaE' in atto a livello europeo un'istruttoria circa l'opportunità di introdurre una legislazione armonizzata di principio sulla materia dell'eonomia condivisa (eventualmente operando integrazioni e modifiche alla disciplina sopra citata su servizi, e-commerce e tutela dei consumatori), legislazione europea armonizzata che dunque soggiace ai principi di cui all'articolo 114 TFUE .  Nella Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni "Migliorare il mercato unico: maggiori opportunità per i cittadini e per le imprese" di ottobre 2015, la Commissione UE dedica un apposito paragrafo alle misure future per consentire lo sviluppo equilibrato dell'economia collaborativa. In quella sede la Commissione UE definisce l'economia collaborativa, un complesso ecosistema di servizi a richiesta e di uso temporaneo di attività sulla base di scambi attraverso piattaforme online citando uno studio recente secondo il quale i cinque principali settori dell'economia collaborativa (finanza peer-to-peer, staffing online, condivisione e scambio alloggio, car sharing e streamingdi video e musica) sono potenzialmente in grado di accrescere gli introiti globali dagli attuali 13 miliardi di EUR circa a 300 miliardi di EUR per il 2025. L'emergere di nuovi modelli di business tuttavia ha spesso un'incidenza sui mercati esistenti, creando attriti con i fornitori di beni e servizi tradizionali. Entrambe le parti lamentano un'incertezza normativa in merito all'applicazione delle norme in materia di protezione dei consumatori, fiscalità , licenze, norme in tema di sicurezza e salute, sicurezza sociale e tutela dell'occupazione. La Commissione rileva che "una risposta normativa frettolosa o inadeguata a tali problemi rischia di creare disparità e una frammentazione del mercato". Secondo la Commissione, è indispensabile un contesto normativo chiaro ed equilibrato che consenta lo sviluppo di un'imprenditoria dell'economia collaborativa, che tuteli i lavoratori, i consumatori e gli altri interessi generali e che assicuri che non vengano frapposti inutili ostacoli normativi agli operatori del mercato, né nuovi né esistenti, a prescindere dal modello di business da essi utilizzato. La strategia per il mercato unico digitale ha già dato il via ai lavori per analizzare il ruolo delle piattaforme, anche nell'ambito dell'economia collaborativa. In particolare, nel settembre 2015 è stata avviata una consultazione pubblica sul contesto normativo per le piattaforme, gli intermediari online, la nuvola informatica e l'economia collaborativa. Sulla base dei primi risultati della consultazione - che si è chiusa a gennaio 2016 -, una larga maggioranza di soggetti (consumatori e imprenditori) concorda sul fatto che in Europa vi siano ostacoli normativi e non allo sviluppo dell'economia collaborativa, in particolare con riguardo alle incertezze sui diritti e gli obblighi degli utenti. Su questa base la Commissione redigerà orientamenti sul modo in cui il diritto dell'UE si applica ai modelli di business dell'economia collaborativa e alle pertinenti disposizioni del diritto nazionale. Tali orientamenti saranno fondati sulla Direttiva 2006/123/UE — Direttiva sui servizi, sulla direttiva europea 2000/31/UE sull'e-commerce, sulla legislazione europea dei consumatori per la quale si richiama la Direttiva n. 2011/83/UE, nonché le pertinenti disposizioni del TFUE. La Commissione valuterà altresì se e in che modo dovranno essere trattate eventuali lacune normative e svilupperà un quadro di monitoraggio che aiuterà a seguire lo sviluppo dell'economia collaborativa a livello locale, nazionale, aziendale e settoriale. A tal proposito si ricordano l'articolo 169 del TFUE relativamente alla protezione dei consumatori, e l'articolo 114 del TFUE, sugli interventi di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno e sulla necessità , una volta effettuati gli interventi di armonizzazione europei, delle norme nazionali compatibili o motivatamente derogatorie. Tra le azioni prospettate La Commissione svilupperà un'agenda europea per l'economia collaborativa, nonché orientamenti sulle modalità di applicazione del diritto UE vigente ai modelli di business dell'economia collaborativa. Il tema è stato oggetto anche della riunione informale del Consiglio Competitività , tenutasi a fine gennaio 2016, in cui gli Stati membri hanno concordato sulla necessità di condividere migliori pratiche ed esperienze e di lavorare con la Commissione per chiarire come valorizzare le potenzialità dell'economia collaborativa, perseguendo un approccio coordinato, coerente ed efficace. Infine, il Vice presidente Katainen, il 28 gennaio 2016, è intervenuto sull'economia collaborativa, richiamando le soluzioni già adottate a livello di paesi UE. In Estonia, le autorità stanno sviluppando una soluzione di tassazione digitale con UBER, in modo tale che essa possa essere raccolta come per tutti gli altri settori. Questo aspetto interessa molto alla Commissione UE. Nel Regno Unito è stata creata una piattaforma per gli imprenditori e questi stanno creando un marchio (trademark) per i modelli di economia responsabile condivisa. La Commissione UE sta quindi analizzando la situazione, che va valutata come una parte della strategia del mercato unico. Si sta pertanto valutando come si applica la legislazione vigente, in particolare la Direttiva servizi. Ad indicazione dell'attuale interesse europeo ad introdurre una legislazione in materia, si segnala il recente paper pubblicato a gennaio 2016 dal Parlamento europeo "The Cost of Non-Europe in the Sharing Economy". |
Incidenza sull'ordinamento giuridicoE' previsto dall'articolo 3 il conferimento di ulteriori compiti di vigilanza all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e, al comma 2 dell'articolo 3, si dispone un'integrazione dei contenuti della relazione di cui all'articolo 23 della legge n. 287/1990. L'articolo 6, commi 3, 4 e 5 sostanzialmente integra il contenuto della legge annuale per il mercato e la concorrenza, prevedendo che la stessa contenga anche misure in favore dell'economia della condivisione. E' prevista dal comma 2 dell'articolo 10 una presunzione di abuso di dipendenza economica disciplinato, quanto alle sanzioni, dall'articolo 9 della legge n.192/1998. |
Formulazione del testoAll'articolo3, comma 2, andrebbe soppresso l'inciso "alle Camere", in quanto la relazione di cui all'articolo 23 della legge n. 287 del 1990 è presentata al Presidente del Consiglio dei ministri e, successivamente, è trasmessa al Parlamento. Con riferimento a quanto previsto dall'articolo 6, commi 3, 4 e 5 occorre segnalare che le disposizioni sostanzialmente integrano il contenuto della legge annuale per il mercato e la concorrenza. Sarebbe pertanto preferibile, al fine di fare in modo che i contenuti della legge in questione siano definiti in un unica norma, o, quanto meno in un unico testo normativo, che tale articolo sia riformulato in termini di novella all'articolo 47 della legge n. 99 del 2009, o, comunque, alla legge n. 99 del 2009. All'articolo 7, comma 1, si propone di sostituire la frase "il dato personale di cui sia stato acquisito il consenso" con la dizione "il dato personale al trattamento del quale sia stato acquisito il consenso". All'articolo 11 sarebbe opportuno sostituire il secondo periodo con il seguente: "Al gestore che non si sia conformato entro il termine stabilito dal primo periodo del presente comma si applicano le sanzioni amministrative previste dall'articolo 10". |