Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento attività produttive | ||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento finanze | ||
Titolo: | Legge annuale per il mercato e la concorrenza - A.C. 3012 e abb.-A. Schede di lettura | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 298 Progressivo: 4 | ||
Data: | 18/09/2015 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
VI-Finanze
X-Attività produttive, commercio e turismo |
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Legge annuale per il mercato A.C. 3012 e abb.-A |
Schede di
lettura |
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n. 298/4 |
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18 settembre 2015 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Finanze ( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it - Servizio Studi – Dipartimento Attività produttive ( 066760-9574 – * st_attprod@camera.it - |
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File:
AP0029d.docx |
§ Articolo 2 (Obbligo a contrarre)
§ Articolo 3 (Trasparenza e risparmi in materia di
assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore)
§ Articolo 4 (Trasparenza delle variazioni del premio)
§ Articolo 5 (Misure relative all’assegnazione delle
classi di merito)
§ Articolo 6 (Identificazione
dei testimoni di sinistri con soli danni a cose)
§ Articolo 7 (Risarcimento
del danno non patrimoniale)
§ Articolo 8 (Valore
probatorio delle cosiddette «scatole nere» e di altri dispositivi elettronici)
§ Articolo 9 (Ulteriori
misure di contrasto delle frodi assicurative)
§ Articolo 10 (Trasparenza
delle procedure di risarcimento)
§ Articolo 13 (Interventi
di coordinamento in materia assicurativa)
§ Articolo 14 (Poteri
dell'IVASS per l'applicazione delle norme introdotte)
§ Articolo 15 (Portabilità dei fondi pensione)
§ Articolo 16-bis (Registro
dei soggetti che usano indirettamente risorse nazionali di numerazione)
§ Articolo 16-ter (Tutela
della concorrenza nel settore della distribuzione cinematografica)
§ Articolo 17 (Semplificazione delle procedure di
identificazione per la portabilità)
§ Articolo 17-bis (Misure
per favorire i pagamenti digitali)
§ Articolo 17-ter (Aggiornamento
del registro delle opposizioni)
§ Articolo 17-quater (Tariffazione delle chiamate verso numerazioni non geografiche)
§ Articolo 22 (Concorrenza nella distribuzione dei
carburanti per autotrazione)
§ Articolo 22-bis (Razionalizzazione
della rete di distribuzione dei carburanti)
§ Articolo 23 (Costo delle chiamate telefoniche ai servizi
di assistenza ai clienti)
§ Articolo 24 (Strumenti per favorire il confronto tra
servizi bancari)
§ Articolo 26 (Misure
per la concorrenza nella professione forense)
§ Articolo 27 (Misure
per favorire la concorrenza e la trasparenza nel notariato)
§ Articolo 28-bis (Semplificazioni nelle procedure ereditarie)
§ Articolo 29 (Modifiche alla disciplina della società a
responsabilità limitata semplificata)
§ Articolo 30 (Sottoscrizione
digitale di taluni atti)
§ Articolo 31 (Svolgimento
di attività professionali in forma associata)
§ Articolo 31-bis (Disposizioni sulle professioni regolamentate)
§ Articolo 32 (Misure per incrementare la concorrenza
nella distribuzione farmaceutica)
§ Articolo 32-bis (Orari e turni delle farmacie convenzionate
con il Servizio Sanitario Nazionale)
§ Articolo 32-ter (Misure di tutela degli utenti dei servizi di
trasporto di linea)
§ Articolo 32-quater (Noleggio con conducente di
velocipedi)
L’articolo 1
elenca le finalità del disegno di legge in esame individuandole nella rimozione degli ostacoli regolatori
all'apertura dei mercati, nella promozione della concorrenza e nella garanzia
della tutela dei consumatori, anche in applicazione dei princìpi del diritto
dell'Unione europea, nonché delle politiche europee in materia di concorrenza.
La stretta relazione tra crescita e politiche per
la concorrenza è riconosciuta dalle principali organizzazioni internazionali ed
europee.
Le liberalizzazioni, intese come razionalizzazione
della regolazione, costituiscono uno degli strumenti di promozione della
concorrenza capaci di produrre effetti virtuosi per il circuito economico. Come
affermato anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 200 del 2012) le
politiche di "ri-regolazione" possono essere in grado di aumentare il
livello di concorrenzialità dei mercati e permettere ad un maggior numero di operatori
economici di competere, valorizzando le proprie risorse e competenze.
Il
dibattito sulla capacità competitiva e di crescita dell’economia italiana ha
messo in luce l’importanza del fattore del grado
di apertura dei mercati, necessario al raggiungimento di livelli di
competitività adeguati alle sfide del nuovo contesto globale.
Una
misura della capacità di tale fattore di condizionare l’attività produttiva, e
più in generale la vita economica di un paese, è fornita da una serie di
indicatori elaborati dai principali organismi internazionali (soprattutto Ocse
e Banca Mondiale) che consentono di valutare il posizionamento relativo del
paese rispetto ai principali concorrenti europei.
Le
misure di liberalizzazione adottate dal 2011, in merito alla regolamentazione dei mercati sembrano
avere migliorato il contesto economico in cui operano le imprese italiane, in
direzione di un maggiore grado concorrenziale. Secondo gli indicatori elaborati
dall’Ocse (2013) l’Italia risulta infatti in media con gli altri paesi europei
appartenenti all’OCSE, occupando il sesto posto, per il grado di apertura dei
mercati.
L’indicatore
economico è infatti diminuito (gli indici dell’Ocse variano da 0 a 6 dove 0 =
legislazione meno restrittiva, 6= legislazione più restrittiva) nel corso degli
anni, e nel 2013 risulta 1, 26, inferiore a quello della media dei paesi Ocse
(1, 41) e dell’Ue (1,34), non distante da quello delle principali economie
europee. L’indice, in particolare, è inferiore a quelli di Francia (1, 43) e
Spagna (1, 46) e superiore a quelli di Germania (1, 21), e Regno Unito(1,09).
Secondo l`indice di apertura alla
concorrenza 2014, elaborato dell`Istituto Bruno Leoni, l’Italia occupa invece l’ottava posizione su quindici
nella classifica dei paesi europei più aperti alla concorrenza. Il paese più liberalizzato d'Europa è il Regno Unito, con un
punteggio del 94%, seguito da Paesi Bassi, Spagna e Svezia (79%). La classifica
è chiusa dalla Grecia (58%), preceduta da Francia, Danimarca e Italia (66%).
Per quel che riguarda l'Italia, dei dieci settori esaminati quello più
liberalizzato sono le telecomunicazioni (86%), seguito da mercato elettrico
(81%) e televisioni (75%), settore però dove il nostro paese occupa l'ultima
posizione in Europa. I settori meno liberalizzati sono invece il trasporto
ferroviario (48%), i carburanti (57%) e le poste (59%). I quindici paesi
analizzati sono: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania,
Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito,
Spagna, Svezia.
D’altro canto,
secondo gli indicatori internazionali dell'efficacia
delle politiche anti-monopolistiche nella promozione della concorrenza,
l'Italia si colloca a livello mondiale al centesimo posto (su 144 paesi) -
secondo i dati elaborati nel Global
Competitiveness Report 2014–2015 del World
Economic Forum[1] - sia pure con un trend da cui emerge un lento
miglioramento.
La Commissione europea indica che riforme strutturali
volte a ridurre i costi di accesso per le imprese e ad aprire i mercati alla
concorrenza avrebbero un’incidenza sul prodotto interno lordo italiano dello
0,3% in 5 anni e dello 0,7% in 10 anni.
Il Fondo monetario internazionale cita «la limitata
competizione nei servizi» tra le cause della «scarsa performance di crescita e
perdita di competitività»[2] e stima che le riforme volte ad aumentare la
concorrenza e la produttività nei mercati di beni e servizi, potrebbero
aumentare significativamente in termini reali il prodotto interno lordo
italiano.
Nel Rapporto “OCSE
Survey: Italia 2015” (febbraio 2015) l’OCSE sottolinea che le politiche di
regolazione dei mercati dei prodotti, se ben definite, possono contribuire a
promuovere la crescita e la creazione di posti di lavoro. Ciò riguarda in
particolare i mercati chiusi all’ingresso, che non consentono alle nuove
imprese di portare nuova concorrenza e accrescere l’attività economica. L’OCSE
calcola che riforme volte all’apertura dei mercati potrebbero valere fino a 2,6
punti di Pil nei prossimi cinque anni e raccomanda specificamente all’Italia di
adottare misure per favorire la concorrenza seguendo le raccomandazioni
dell’Autorità per la concorrenza e in particolare di implementare il processo di liberalizzazione dei mercati.
L'Unione europea
nelle Raccomandazioni del Consiglio di luglio 2014[3] sul Programma
nazionale di riforma 2014 dell'Italia ha ribadito l’urgenza di una
tempestiva attuazione delle riforme in atto, a partire dalle semplificazioni e
dalle liberalizzazioni.
In particolare l’UE
ha sottolineato l’importanza (Raccomandazione
n. 7) di promuovere l'apertura del mercato e rimuovere gli ostacoli rimanenti e
le restrizioni alla concorrenza. D’altra parte il processo di liberalizzazione
ha interessato il nostro ordinamento soprattutto per effetto delle direttive
europee volte all'instaurazione del mercato unico, e dunque nel solco di
un'evoluzione normativa diretta ad attuare il principio generale della
liberalizzazione delle attività economiche, il quale richiede che eventuali
restrizioni e limitazioni alla libera iniziativa economica debbano trovare
puntuale giustificazione in interessi di rango costituzionale.
Uno dei più importanti strumenti, presenti
nel nostro ordinamento, per dare impulso all’attuazione delle norme in materia
di liberalizzazione delle attività economiche, è quello della legge annuale sulla concorrenza, che
serve a porre in atto un’attività periodica di rimozione dei tanti ostacoli e
freni, normativi e non, che restano nei mercati dei prodotti e dei servizi.
Come ha riconosciuto la Commissione UE, nel Documento sugli squilibri
macroeconomici di marzo 2015 con specifico riferimento all’Italia, lo strumento
della legge annuale sulla concorrenza costituisce un significativo punto di
partenza per mettere in moto un meccanismo positivo nell’ambito del quale gli
ostacoli regolamentari alla concorrenza vengono periodicamente esaminati e
rimossi.
L'adozione di una
legge annuale per il mercato e la concorrenza è stata infatti prevista dall’articolo
47 della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni
per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di
energia) con le specifiche finalità di rimuovere gli ostacoli all’apertura
dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche con riferimento
alle funzioni pubbliche e ai costi regolatori condizionanti l’esercizio delle
attività economiche private, nonché di garantire la tutela dei consumatori.
La procedura
prevede che il Governo, entro 60 giorni dalla trasmissione della relazione
annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (a sua volta
presentata entro il 31 marzo), è tenuto a presentare alle Camere un disegno di
legge annuale che dovrà contenere, in distinte sezioni, norme di immediata applicazione
per l’attuazione dei pareri e delle segnalazioni dell’Autorità, ovvero per le
medesime finalità, una o più deleghe al Governo da adottare non oltre
centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge e
l’autorizzazione all’adozione di eventuali regolamenti, decreti ministeriali e
altri atti; disposizioni indicanti i principi che le regioni sono tenute a
rispettare per l’esercizio delle relative competenze in materia di concorrenza;
norme integrative o correttive di disposizioni in leggi precedenti.
Dall’entrata in vigore della legge 99/2009,
la legge annuale per la concorrenza non è mai stata adottata. Con il ddl A.C.
3012[4] il Governo per la prima volta adempie a tale obbligo.
In base a quanto
prescritto dal citato art. 47 della legge 99/2009, all’apposito disegno di
legge, il Governo è tenuto ad allegare una relazione
di accompagnamento che evidenzi:
§
lo stato di conformità dell’ordinamento
interno ai principi comunitari in materia di libera circolazione, concorrenza e
apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza.
Nella Relazione di accompagnamento
allegata ad disegno di legge in esame, il Governo compie un rapido excursus delle principali norme in
materia di concorrenza, a partire la legge n. 287 del 1990 - Norme per la
tutela della concorrenza e del mercato - che detta norme sul divieto d’intese
anticoncorrenziali, abuso di posizione dominante e operazioni di concentrazione
e istituisce l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato. Il governo
cita in particolare alcuni interventi che interessano settori specifici, quali
le telecomunicazioni, il mercato dell’energia, del gas naturale, degli appalti
pubblici, del trasposto ferroviario. Non sono invece citati i c.d. “pacchetti
Bersani” sulle liberalizzazioni (si tratta, come è noto, del decreto-legge 4 luglio 2006, n.223 e
del D.L. gennaio 2007, n. 7). Il
Governo si sofferma invece sugli interventi di liberalizzazione effettuati dal
Governo Monti nella XVI legislatura e sugli interventi settoriali effettuati
nella legislatura in corso;
§
lo
stato di attuazione degli interventi previsti nelle precedenti leggi per il
mercato e la concorrenza, indicando gli effetti che ne sono derivati per i
cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione.
A tale prescrizione non può
evidentemente essere dato seguito, in quanto come si è detto è la prima volta
che il Governo presenta il disegno di legge annuale sulla concorrenza;
§
l’elenco
delle segnalazioni e dei pareri dell’Autorità garante della concorrenza e
mercato indicando gli ambiti in cui non si è ritenuto opportuno darvi seguito.
Al riguardo il
Governo pur elencando le Segnalazioni dell’Autorità volte alla predisposizione
delle leggi annuali per la concorrenza a partire dal 2010, specifica di
prendere in considerazione solo la Segnalazione
(AS1137 - proposte di riforma
concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno
2014) del luglio 2014, che,
proprio ai fini della predisposizione del disegno di legge annuale per la
concorrenza, evidenzia gli ambiti di
mercato ove sono presenti tuttora barriere alla competizione, in cui la
trasparenza è insufficiente o la domanda è ingessata, anche alla luce delle
raccomandazioni della Commissione Europea e delle altre istituzioni
internazionali in tema di concorrenza e apertura dei mercati.
Raffronto tra le indicazioni dell’Autorità
garante per la concorrenza ed il mercato e il contenuto del disegno di legge
L’A.C. 3012
interviene in alcuni dei settori indicati dall’Autorità, contenendo
misure: per le assicurazioni, con
particolare riguardo al campo della RC Auto; i fondi pensione; le
comunicazioni; i servizi postali; l’energia, e la distribuzione in rete di
carburanti per autotrazione; le banche; le professioni; la distribuzione
farmaceutica.
Per completezza di analisi si ricorda che
nella Segnalazione AS1137 del luglio 2014, sono
stati sollecitati ulteriori interventi per favorire la concorrenza in diversi
settori, che sinteticamente si richiamano: energia con riferimento alle
infrastrutture energetiche, alle concessioni di grande derivazione
idroelettrica e alla distribuzione del gas naturale; distribuzione dei carburanti; editoria; compenso per la riproduzione privata; rifiuti;
servizi pubblici locali; società pubbliche partecipate dagli enti locali; trasporto pubblico locale; trasporto pubblico
non di linea; trasporto ferroviario, settore aeroportuale, settore portuale, settore farmaceutico, con riferimento alle
procedure di registrazione dei medicinali generici alla scadenza del brevetto
del medicinale originatore (“patent
linkage”) e al sistema di remunerazione della filiera distributiva del
farmaco; settore della sanità; alle professioni, con riguardo ad alcuni
specifici rilievi riguardanti la legge di riforma della professione forense e
la disciplina della legge professionale notarile.
Per un’analisi più
approfondita dei profili relativi alle indicazioni dell’Autorità garante della concorrenza
e del mercato, cui non è stato dato seguito nel disegno di legge A.C. 3012, si
rinvia all’apposito capitolo del presente Dossier: Le ulteriori indicazioni dell’Autorità garante della concorrenza e
del mercato
Articolo 2
(Obbligo a contrarre)
Il Capo II del disegno di legge reca norme in materia di assicurazioni e fondi pensioni, volte a migliorare gli assetti concorrenziali del settore.
In particolare gli articoli da 2 a 14 intervengono sul settore delle assicurazioni che è stato oggetto nel tempo di diversi interventi normativi aventi come obiettivo la liberalizzazione.
Si ricorda al
riguardo, in primo luogo, il "primo pacchetto liberalizzazioni"
(D.L. n. 233 del 2006), nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria
per la responsabilità civile auto,
che ha vietato alle compagnie di assicurazione e ai loro agenti di vendita di
stipulare nuove clausole contrattuali di distribuzione esclusiva e di
imposizione di prezzi minimi, ovvero di sconti massimi, praticabili nei
riguardi dei consumatori contraenti, a pena di nullità. Il "secondo
pacchetto di liberalizzazioni" (D.L. n. 7 del 2007) ha esteso a tutti
i rami danni il summenzionato divieto. In caso di mancato rinnovo del contratto
di assicurazione, è stato previsto che l'ultimo attestato di rischio
conseguito conserva validità per un periodo di cinque anni. Inoltre, in tutti i
casi di stipulazione di un nuovo contratto, l'impresa di assicurazione non può
assegnare al contraente una classe di merito più sfavorevole rispetto a
quella risultante dall'ultimo attestato di rischio conseguito. Sotto un diverso
versante, nell'ambito dei rapporti assicurativi e bancari, è stato posto il
divieto di addebitare al cliente le spese relative a una serie di
comunicazioni, tra cui quelle - a carico delle imprese di assicurazione - in
materia di variazioni peggiorative alla classe di merito. Inoltre è posto a
carico delle imprese di assicurazione l'obbligo di comunicare tempestivamente
al contraente le variazioni peggiorative apportate alla sua classe di merito, a
fini di maggior trasparenza e pubblicità.
Si ricorda che, in attuazione delle prescrizioni
contenute nel Codice delle assicurazioni private, nonché in considerazione
delle novità introdotte dai "pacchetti liberalizzazioni", l'ISVAP ha
emanato il regolamento di disciplina dell'attività di intermediazione
assicurativa e riassicurativa (Regolamento n. 5 del 16 ottobre 2006).
Successivamente, il decreto-legge n. 1 del 2012 ha previsto diverse disposizioni volte
a rendere più concorrenziale e trasparente il settore assicurativo, al fine di
ridurre il costo delle polizze anche attraverso il contrasto alle frodi. Ad
esempio sono previste la volontaria ispezione del veicolo e la "scatola
nera" che consentono una riduzione delle tariffe, nonché una restrizione
della risarcibilità per le lesioni di lieve entità alla persona. Il decreto-legge n. 179 del 2012 ha
vietato il rinnovo tacito del contratto RC Auto per il quale ha inoltre
previsto la definizione di un "contratto base" nel quale devono
essere contenute tutte le clausole necessarie ai fini dell'adempimento di
assicurazione obbligatoria.
Nella segnalazione al Parlamento
del 4 luglio 2014,
l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha rilevato la necessità di sostenere
il contrasto alle frodi, al fine di contenere la dinamica dei costi e delle
tariffe RC Auto, mediante il ricorso:
§ ai servizi
medico-sanitari convenzionati con la compagnia a fronte di sconti;
§ agli incentivi, in forma di sconti, all'installazione di meccanismi elettronici di
registrazione dell'attività degli autoveicoli e alla sottoposizione ad
ispezione del veicolo da assicurare;
§ agli interventi per un efficace contrasto al fenomeno
delle frodi assicurative.
Alla scarsa
mobilità della clientela concorre inoltre la mancata certezza circa la
correlazione del premio con la classe di
merito assegnata.
In materia di assicurazione dei rischi
professionali, si segnala la necessità di garantire alla domanda obbligata
a ricorrere alla copertura assicurativa la libertà di scegliere il prodotto
assicurativo ritenuto più adeguato in un contesto pienamente concorrenziale e
privo di ostacoli alla mobilità.
Già il 22 febbraio 2013 l’Antitrust aveva reso noti i
risultati dell’indagine conoscitiva svolta sul
mercato della RC Auto (il documento conclusivo è pubblicato sul Bollettino n. 7
del 25 febbraio 2013). L’indagine, avviata nel maggio 2010, aveva lo scopo di
indagare l’efficacia in termini concorrenziali dell’introduzione della nuova
disciplina di risarcimento diretto del sinistro e di indagare gli assetti
concorrenziali del settore. L’indagine evidenziava, tra l’altro, come il
confronto internazionale mostri che i premi in Italia sono in media più elevati
e crescono più velocemente rispetto a quelli dei principali paesi europei. Si
mettevano in luce numerosi ostacoli alla mobilità degli assicurati sia di
natura informativa che di natura non informativa. Per altro verso, si
sottolineava come le politiche di contenimento dei costi (per i risarcimenti)
dei sinistri adottate dalle compagnie non sembrassero garantire il
raggiungimento di livelli adeguati di efficienza produttiva. Le conclusioni e
le proposte dell’indagine sono sostanzialmente riprese nella segnalazione al
Parlamento.
Appare utile al riguardo mettere a confronto le indicazioni dell’Autorità con le proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2014.
Obiettivo
delineato dall’Antitrust |
Proposta
dell’Antitrust |
DDL
Concorrenza |
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Sostenere il contrasto alle frodi al fine di contenere la dinamica dei
costi e delle tariffe RC Auto, mediante il ricorso: |
Intervenire in via legislativa per prevedere l’offerta di contratti
diversi in funzione della presenza o meno di meccanismi elettronici che
registrano l’attività del veicolo, con la garanzia di sconti significativi; |
articolo 3 nuovo articolo 132-ter |
ai servizi medico-sanitari
convenzionati con la compagnia a
fronte di sconti |
Tale obiettivo non è stato concretizzato in una proposta
dell’Antitrust |
Non rientra nell’ambito del DDL Concorrenza: nella relazione
governativa si afferma che si è ritenuto di dovere maggiormente approfondire
l’argomento per le implicazioni di notevole rilievo che essa comporta
sull’attuale assetto organizzativo |
agli incentivi, in forma di sconti, all’installazione di meccanismi
elettronici di registrazione dell’attività degli autoveicoli e alla
sottoposizione ad ispezione del veicolo da assicurare; agli interventi per un efficace contrasto al fenomeno delle frodi assicurative. |
in deroga agli articoli contenuti nel libro IV, titolo I, capo V, del
codice civile, prevedere che, a fronte dell’ottenimento di sconti
significativi a favore dell’assicurato, il diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione
dei veicoli a motore e dei natanti non
sia cedibile a terzi senza il
consenso dell’assicuratore; |
Durante l’esame in sede referente è stata soppressa la norma prevista dal DDL iniziale (articolo 3, comma 1,
paragrafo articolo 132-ter del CAP, comma 1, lettera
d)) |
in merito alle modalità di accertamento del risarcimento dei danni da
lesioni di lieve entità (c.d. micropermanenti), eliminare all’articolo 32,
comma 3-quater, D.L. n. 1/2012 (convertito in l. n. 27/2012) il
riferimento al mero riscontro visivo
come forma di accertamento alternativa alla verifica strumentale; |
articolo 7, comma 3,
paragrafo articolo 139 del CAP, comma 2 Durante l’esame in sede referente è stato prevista l’ammissibilità del
accertamento visivo con riferimento alle lesioni quali le cicatrici,
oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni |
|
definire la tabella unica, a livello nazionale, per l’attribuzione del
valore alle menomazioni di non lieve entità di cui all’articolo 138 del
D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private); |
articolo 7 L’articolo 138 del CAP, anche nella nuova formulazione prevede
l’emanazione di un D.P.R.. Durante l’esame in sede referente è stato previsto che la tabella sia
adottata entro 120 giorni dall’entrata in vigore della disposizione. |
|
Alla scarsa mobilità della clientela concorre inoltre la mancata
certezza circa la correlazione del
premio con la classe di merito assegnata. |
all’articolo 134, comma 4-bis
del Codice delle assicurazioni private dopo le parole “…non può assegnare al
contratto una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante
dall’ultimo attestato di rischio conseguito”, aggiungere “sul veicolo già
assicurato e non può discriminare in funzione della durata del rapporto
garantendo, nell’ambito della classe di merito, le condizioni di premio
assegnate agli assicurati aventi le stesse caratteristiche di rischio del
soggetto che stipula il nuovo contratto”; |
articolo 5 Durante l’esame parlamentare è stata prevista l’esenzione dal bollo
per le certificazioni dello stato di famiglia rilasciate a tal fine. |
In materia di assicurazione dei rischi professionali, risulta infine necessario
garantire alla domanda obbligata a ricorrere alla copertura assicurativa, la
libertà di scegliere il prodotto assicurativo ritenuto più adeguato in un
contesto pienamente concorrenziale e privo di ostacoli alla mobilità. Tra
questi rileva l’assenza dal mercato nazionale di un’offerta di contratti che
permettano di avvalersi della prestazione assicurativa tipizzata
dall’articolo 1917 c.c., in base al quale il professionista è comunque
assicurato dai rischi di fatti illeciti realizzatisi nel periodo in cui era
vigente la polizza, indipendentemente dal momento in cui il sinistro viene
denunciato. |
modificare l’articolo 3, comma 5, lettera e) del
D.L. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, in l. n. 148/2011 prevedendo
espressamente, a fronte dell’obbligatorietà dell’assicurazione per la
responsabilità civile per attività professionali, l’obbligo di offrire
polizze, ovviamente differenziate nelle condizioni economiche, che
garantiscano la prestazione assicurativa prevista dall’articolo 1917 c.c.,
prive delle clausole che limitano la prestazione assicurativa soltanto ai
sinistri denunciati nel corso di validità del contratto (c.d. clausole claims
made) |
articolo 12 |
Per quanto riguarda il contenuto del disegno di legge il comma 1 dell’articolo 2 modifica l’articolo 132 del Codice delle assicurazioni private (CAP – D.Lgs. n. 209 del 2005) in materia di obbligo a contrarre da parte delle imprese di assicurazione relativamente all’assicurazione obbligatoria per ogni rischio derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti (RC Auto).
Analogamente a quanto previsto dalla norma vigente, i commi 1 e 1-bis prevedono che le imprese di assicurazione devono stabilire preventivamente le condizioni di polizza e le tariffe relative all’assicurazione obbligatoria, comprensive di ogni rischio derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. Le imprese di assicurazione sono tenute ad accettare le proposte che sono loro presentate secondo le condizioni e alle tariffe predeterminate, fatta salva la necessaria verifica della correttezza dei dati risultanti dall’attestato di rischio, nonché dell’identità del contraente e dell’intestatario del veicolo, se persona diversa.
Rispetto alla formulazione vigente, il nuovo comma 1-ter precisa che la suddetta verifica deve essere effettuata anche mediante consultazione delle banche dati di settore e dell’archivio antifrode istituito presso l’IVASS. Qualora dalla consultazione risulti che le informazioni fornite dal contraente non sono corrette o veritiere, le imprese di assicurazione non sono tenute ad accettare le proposte loro presentate.
Si ricorda che l’articolo 21 del D.L. n. 179 del 2012
ha previsto l’istituzione presso l’IVASS di un archivio informatico integrato connesso con una serie di banche
dati esistenti, con la finalità di favorire la prevenzione e il contrasto delle
frodi nel settore RC Auto, per migliorare l’efficacia dei sistemi di
liquidazione dei sinistri e per individuare i fenomeni fraudolenti. In
particolare si prevede che esso sia connesso
con:
§ la banca dati
degli attestati di rischio (prevista dall'articolo 134 del D.Lgs. n. 209
del 2005, Codice delle Assicurazioni Private);
§ la banca dati
sinistri e le banche dati anagrafe
testimoni e anagrafe danneggiati (istituite dall'articolo 135 del medesimo
CAP);
§ l'archivio
nazionale dei veicoli e l'anagrafe
nazionale degli abilitati alla guida (istituiti dall'articolo 226 del
codice della strada);
§ il Pubblico
Registro Automobilistico, istituito presso l’ACI;
§ i dati a
disposizione della CONSAP per la gestione del fondo di garanzia per le vittime della strada (di cui all'articolo
283 del CAP) e per la gestione della
liquidazione dei danni a cura dell'impresa designata (di cui all'articolo
286 del CAP)
§ i dati a
disposizione per i sinistri con veicoli immatricolati in Stati esteri gestiti
dall'Ufficio centrale italiano (di
cui all’articolo 126 del CAP);
§ ulteriori
archivi e banche dati pubbliche e private, individuate
con decreto interministeriale.
In attuazione di
quanto previsto dall'articolo 21, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 17, il decreto 11
giugno 2015, n. 108 del Ministero dello Sviluppo Economico di concerto
con il Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 162 del 15 luglio 2015) ha istituito l'archivio informatico
integrato di cui si avvale l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni
private e di interesse collettivo (IVASS) per l'individuazione e il contrasto
delle frodi assicurative nel settore dell'assicurazione della responsabilità
civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. Lo scopo
dell'archivio informatico integrato è quello di fornire alle imprese di
assicurazione (nonché all'autorità giudiziaria e alle forze di polizia)
indicazioni sul livello di anomalia di ogni sinistro comunicato alla banca dati
sinistri, utilizzando idonei indicatori, ottenuti dalle verifiche e dalle
integrazioni delle informazioni contenute negli altri archivi connessi, in modo
da consentire di porre in essere un'attività antifrode più mirata ed efficace.
Il regolamento
prevede la connessione dell'archivio integrato con le seguenti banche dati: a)
banca dati dei contrassegni assicurativi; b) archivio nazionale dei veicoli; c)
anagrafe nazionale degli abilitati alla guida; d) PRA: il pubblico registro
automobilistico; e) ruolo dei periti assicurativi. Con un successivo decreto
saranno disciplinate la tempistica e le modalità di connessione di ulteriori
banche dati.
Si evidenzia che
l’articolo 13, comma 5, del disegno
di legge in esame, (su cui vedi oltre), modificando l’articolo 21 del D.L. n.
179 del 2012, estende l’ambito di operatività dell’archivio informatico
integrato dell’IVASS, prevedendo che esso sia inoltre connesso con:
§
gli archivi del casellario giudiziale e dei carichi pendenti istituiti presso il
Ministero della giustizia;
§
l’Anagrafe Tributaria, limitatamente
alle informazioni di natura anagrafica, incluso il codice fiscale o la partita
IVA;
§
l’Anagrafe nazionale della
popolazione residente;
§
il Casellario Centrale Infortuni presso
l’INAIL.
Si segnala che, rispetto al vigente articolo 132 del CAP, sono state espunte le disposizioni che fanno riferimento alla riduzione delle tariffe in caso di ispezione del veicolo e in caso di installazione della scatola nera. Tali disposizioni, peraltro, sono state trasfuse nel nuovo articolo 132-ter del CAP previsto dal successivo articolo 3, insieme ad altri casi che danno luogo a sconti obbligatori.
Il comma 1-bis, aggiunto nel corso dell’esame in sede referente, modifica la procedura sanzionatoria in caso di inosservanza da parte delle imprese di assicurazione dell’obbligo a contrarre. In particolare, aggiunge il comma 3-bis all’articolo 132 del CAP, prevedendo che in caso di segnalazione di violazione o elusione dell'obbligo a contrarre, incluso il rinnovo, i termini regolamentari di gestione dei reclami da parte dell'IVASS sono dimezzati. Si ricorda che la procedura di presentazione dei reclami all'ISVAP è attualmente disciplinata dal Regolamento 19 maggio 2008, n. 24. Decorso inutilmente il termine, l'IVASS provvede a comminare le sanzioni previste dall'articolo 314 del CAP, in caso di rifiuto ed elusione dell'obbligo a contrarre e divieto di abbinamento.
Il comma 1-ter, aggiunto nel corso dell’esame in sede referente, eleva la sanzione prevista dal suddetto articolo 314, in caso di rifiuto o l'elusione dell'obbligo a contrarre di cui all'articolo 132, comma 1. In dettaglio la sanzione è elevata nel minimo e nel massimo edittale da «1.500 euro a 4.000 euro» a «2.500 euro a 15.000 euro».
Il comma 2 dell’articolo in esame apporta una modifica di coordinamento all’articolo 32 del D.L. n. 1 del 2012, i cui commi 1-bis e 1-ter prevedono l’emanazione rispettivamente di un regolamento dell’IVASS e di un decreto ministeriale per l’attuazione della norma che ha previsto la riduzione delle tariffe in caso di installazione della scatola nera (il comma 1 dello stesso articolo 32 del D.L. n. 1 del 2012, che ha modificato il vigente articolo 132 del CAP). Con la modifica in esame si fa riferimento al nuovo articolo 132-ter del CAP, introdotto dall’articolo 3 del disegno di legge in esame.
Si ricorda che
l’articolo 32, comma 1-bis, del D.L.
n. 1 del 2012 prevede che con regolamento
dell’IVASS di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Garante
per la protezione dei dati personali (da emanare entro 90 giorni dall’entrata
in vigore della legge di conversione del D.L. n. 1 del 2012) sono stabilite le
modalità di raccolta, gestione e utilizzo, in particolare ai fini tariffari e
della determinazione delle responsabilità in occasione dei sinistri, dei dati
raccolti dalle scatole nere, nonché le modalità per assicurare la loro
interoperabilità in caso di sottoscrizione da parte dell'assicurato di un
contratto di assicurazione con impresa diversa da quella che ha provveduto ad
installare tale meccanismo. Il 19 marzo 2013
è stato messo in consultazione il relativo schema di regolamento che non è stato ancora emanato.
Il comma 1-ter dell’articolo
32 del decreto-legge n. 1 del 2012 prevede l’emanazione, entro 90 giorni
dall’entrata in vigore della relativa legge di conversione (25 marzo 2012), di
un decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Garante per la
protezione dei dati personali al fine di definire lo standard tecnologico comune
hardware e software, per la raccolta, la gestione e l'utilizzo dei dati
raccolti dai meccanismi elettronici (scatole nere), al quale le imprese di
assicurazione dovranno adeguarsi entro due anni dalla sua emanazione. Il decreto non è stato ancora emanato. Il Ministero dello sviluppo
economico ha dichiarato di averne notificato uno schema alla Commissione UE nel
settembre 2012, ai sensi della Direttiva 98/34/CE.
Articolo 3
(Trasparenza e risparmi in materia di
assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore)
L’articolo 3 inserisce nel CAP i nuovi articoli 132-bis (Obblighi informativi degli intermediari) e 132-ter (Sconti obbligatori).
L’articolo 132-bis prescrive l’obbligo per gli intermediari, prima della sottoscrizione di un contratto RC Auto, di informare il consumatore in modo corretto, trasparente ed esaustivo sui premi offerti da tutte le imprese di cui sono mandatari relativamente al contratto di base. Il contratto stipulato in assenza della dichiarazione di avvenuta ricezione di tali informazioni è affetto da nullità rilevabile solo in favore dell’assicurato.
L’articolo 132-ter disciplina le diverse condizioni che, qualora accettate dall’assicurato, danno luogo ad uno sconto del prezzo della polizza determinato dall’impresa nei limiti stabiliti dall’IVASS: ispezione del veicolo; scatola nera; meccanismo che impedisce l’avvio del motore per elevato tasso alcolemico. Nel corso dell’esame in sede referente sono state soppresse le ipotesi relative alla rinuncia alla cessione del credito, al risarcimento in forma specifica presso carrozzerie convenzionate e al risarcimento per equivalente a condizioni predeterminate. Lo sconto è obbligatorio al ricorrere di almeno una delle condizioni. Le imprese devono evidenziare, per ciascuna condizione, l’ammontare dello sconto praticato in caso di accettazione da parte del contraente.
Nel corso dell’esame in sede referente è stato precisato che lo sconto non può essere inferiore a una percentuale determinata dall'IVASS entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge in esame, sulla base del prezzo della polizza altrimenti applicato. La percentuale di sconto è maggiorata per le regioni a maggiore tasso di sinistrosità. L'entità della riduzione dei premi in caso di accettazione delle condizioni limitative per il cliente deve essere pubblicata dall'impresa di assicurazione sul proprio sito internet. Qualora l’impresa non rispetti l'obbligo di riduzione del premio è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 40.000 euro e la riduzione automatica del premio.
In sede referente è stata aggiunta una ulteriore ipotesi di sconto significativo sul prezzo della polizza nel caso in cui l’assicurato contragga più polizze sottoscrivendo una clausola di guida esclusiva.
Rimane ferma la facoltà per l'assicurato di ottenere
l'integrale risarcimento per la riparazione a regola d'arte del veicolo
danneggiato avvalendosi di imprese di autoriparazione di propria fiducia. In
tal caso l'impresa di autoriparazione deve fornire la documentazione fiscale e
una idonea garanzia sulle riparazioni effettuate, con una validità non
inferiore a due anni per tutte le parti non soggette a usura ordinaria. È
prevista la definizione di linee guida finalizzate a determinare gli strumenti,
le procedure, le soluzioni realizzative e gli ulteriori parametri tecnici per
l'effettuazione delle riparazioni a regola d'arte.
Il nuovo articolo 132-bis prescrive l’obbligo in capo agli intermediari, prima della sottoscrizione di un contratto di assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore, di informare il consumatore in modo corretto, trasparente ed esaustivo sui premi offerti da tutte le imprese di cui sono mandatari relativamente al contratto di base (comma 1).
Si evidenzia che il regolamento ministeriale che avrebbe dovuto
definire le caratteristiche del contratto di base non è stato emanato.
L’articolo 22, comma 4, del D.L. n. 179 del 2012 ha previsto la definizione con decreto ministeriale (ancora non emanato) di uno schema di “contratto di base” di
assicurazione per la RC Auto, nel quale prevedere tutte le clausole
necessarie ai fini dell’adempimento dell’assicurazione obbligatoria. Ogni
compagnia assicurativa, nell’offrirlo obbligatoriamente al pubblico anche
attraverso internet, dovrà definirne il costo complessivo individuando
separatamente ogni eventuale costo per eventuali servizi aggiuntivi. Il 14
febbraio 2013 è stato presentato uno schema di
decreto che tuttavia non è stato emanato.
Il comma 5 dell’articolo 22 prevede che ciascuna
impresa di assicurazione determini liberamente il prezzo del «contratto base» e
delle ulteriori garanzie e clausole e formuli, obbligatoriamente, la relativa
offerta al consumatore anche tramite il proprio sito internet, eventualmente
mediante link ad altre società del
medesimo gruppo, ferma restando la libertà di offrire separatamente qualunque
tipologia di garanzia aggiuntiva o diverso servizio assicurativo.
L'offerta di cui al comma 5 deve utilizzare il modello
elettronico predisposto dal Ministero dello sviluppo economico, sentita
l'IVASS, in modo che ciascun consumatore possa ottenere - ferma restando la
separata evidenza delle singole voci di costo - un unico prezzo complessivo
annuo secondo le condizioni indicate e le ulteriori clausole di cui al comma 4
selezionate (comma 6).
Il comma 7 stabilisce che le disposizioni di cui ai
commi 5 e 6 trovano applicazione decorsi 180 giorni dalla data di entrata in
vigore del decreto-legge n. 179 del 18 ottobre 2012.
Si ricorda, inoltre, che lo stesso articolo 22 del
D.L. n. 179 del 2012, oltre a rafforzare i requisiti
professionali degli intermediari assicurativi favorendone la formazione per
via telematica, ha previsto che gli intermediari assicurativi possano collaborare tra loro, anche mediante
l’utilizzo dei rispettivi mandati, garantendo piena informativa e trasparenza
nei confronti dei consumatori. Ogni patto
contrario tra compagnia assicurativa e intermediario mandatario è nullo. All’IVASS è attribuita la
vigilanza in materia ed è data inoltre la possibilità di adottare le più
opportune direttive per la corretta applicazione della norma. L’intento
dichiarato della norma è quello di favorire il superamento dell'attuale segmentazione
del mercato assicurativo e di accrescere il grado di libertà dei diversi
operatori. Tale disciplina si pone in linea di continuità con quanto previsto
dai c.d. “decreti Bersani” (articolo 8
del D.L. n. 223 del 2006 e articolo 5, comma 1, del D.L. n. 7 del 2007), i
quali hanno disposto il divieto di
clausole di esclusiva tra agente assicurativo e compagnia, in funzione
dello sviluppo di reti di plurimandato. Il plurimandato
nel settore assicurativo è stato più
volte auspicato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Il comma 2 dell’articolo 132-bis prevede che gli intermediari forniscono l’indicazione dei premi offerti dalle imprese mediante collegamento internet al preventivatore consultabile sul sito internet dell’IVASS e del Ministero dello sviluppo economico, senza obbligo di rilascio di supporti cartacei.
Il preventivatore cui si riferisce la norma è il “TuOpreventivatOre”, disponibile al sito: http://isvap.sviluppoeconomico.gov.it/prevrca/prvportal/index.php.
Si tratta di uno strumento gratuito e anonimo per confrontare - in base alla loro convenienza economica - i preventivi RC Auto di tutte le imprese presenti sul mercato. Attraverso il sito, tuttavia, non è possibile acquistare la polizza. I preventivi elaborati dal sistema sono comunque vincolanti per le imprese per almeno 60 giorni dalla data del loro ricevimento e comunque non oltre la durata della tariffa in corso.
Il comma 3 demanda all’IVASS il compito di adottare le disposizioni attuative in modo da garantire accesso e risposta on-line, sia ai consumatori che agli intermediari, esclusivamente per i premi applicati dalle imprese per il contratto base relativo ad autovetture e motoveicoli.
Nel corso dell’esame in sede referente è stato previsto che, tramite le suddette disposizioni attuative dell’IVASS, siano definite le modalità attraverso le quali i preventivi ottenuti tramite il preventivatore gestito dall’IVASS e dal MISE possano consentire la conclusione del contratto contestualmente all'esito della comparazione, ovvero, attraverso un link di collegamento diretto al sito internet di ciascuna compagnia di assicurazione a condizioni non peggiorative rispetto a quelle contenute nel preventivo.
Il comma 4 dispone la nullità, rilevabile solo a favore del cliente, del contratto stipulato senza la dichiarazione del cliente di aver ricevuto, ove prescritte, da parte degli intermediari le informazioni sui premi offerti da tutte le imprese di cui sono mandatari relativamente al contratto di base.
Si evidenzia che l’articolo 13, comma 4, lett. c), del disegno di legge in esame abroga i commi 1 e 2 dell’articolo 34 del decreto-legge n. 1 del 2012, i quali prevedono, a pena di nullità rilevabile solo dall’assicurato, l’obbligo per gli intermediari che distribuiscono polizze RC Auto di informare il cliente, in modo corretto, trasparente ed esaustivo, sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre diverse compagnie assicurative non appartenenti a medesimi gruppi.
Il nuovo articolo 132-ter del CAP elenca le diverse condizioni che danno luogo ad uno sconto del prezzo della polizza altrimenti applicato da parte dell’impresa di assicurazione che non può essere inferiore a una percentuale determinata dall'IVASS entro 60 giorni dall’entrata in vigore della disposizione in esame. Lo sconto è obbligatorio al ricorrere di almeno una delle condizioni. Il comma 2 prevede che in sede di preventivo le imprese devono evidenziare, per ciascuna condizione, l’ammontare dello sconto praticato in caso di accettazione da parte del contraente.
Le diverse condizioni che danno luogo allo sconto sulla polizza sono le seguenti:
a) ispezione del veicolo prima della stipula del contratto; nel corso dell’esame in sede referente è stato precisato che tale condizione è proposta dall’impresa di assicurazione e che l’ispezione avviene a spese della stessa impresa.
Il vigente articolo 132 del CAP già prevede una riduzione del premio in caso di ispezione volontaria del veicolo;
Occorre
coordinare il comma 1 dell’articolo 132 con la norma introdotta dal comma 1-bis
dell’articolo 132-ter che prescrive una percentuale di sconto minimo
determinata dall’IVASS.
b) installazione della scatola nera; l’installazione può essere proposta dalla impresa di assicurazione o può essere già avvenuta in passato. In particolare la norma fa riferimento ai meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, denominati “scatola nera” o equivalenti, ovvero ulteriori dispositivi, individuati con decreto ministeriale per i soli requisiti funzionali minimi necessari a garantire l’utilizzo dei dati raccolti, in particolare, ai fini tariffari e della determinazione della responsabilità in occasione dei sinistri.
Il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, volto ad individuare le caratteristiche degli ulteriori dispositivi deve essere adottato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame.
Si
segnala che, in osservanza di quanto stabilito dal vigente articolo 132 del
CAP, è stato emanato il Decreto 25 gennaio 2013 che
individua i meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo.
Il vigente articolo 132 del CAP, come modificato dall’articolo 32, comma 1, del D.L. n. 1 del 2012, prevede una riduzione significativa del premio in caso di installazione della scatola nera. La norma vigente, inoltre, dispone che i costi di installazione, disinstallazione, sostituzione, funzionamento e portabilità sono a carico delle compagnie.
Anche per
tale fattispecie occorre coordinare il comma 1 dell’articolo 132 con la norma
introdotta dal comma 1-bis dell’articolo 132-ter che prescrive una percentuale
di sconto minimo determinata dall’IVASS.
c) installazione di meccanismi elettronici che impediscono l’avvio del motore a seguito del riscontro di un tasso alcolemico da parte del guidatore superiore ai limiti stabiliti dalla legge per la conduzione di veicoli a motore.
Nel corso dell’esame in sede referente sono state soppresse le ulteriori condizioni inizialmente previste dal disegno di legge che avrebbero dato luogo, qualora accettate dal cliente, ad uno sconto obbligatorio:
§ la
rinuncia alla cedibilità del diritto al
risarcimento;
§ il risarcimento in forma specifica di danni a cose, in assenza di responsabilità concorsuale,
§ in alternativa al risarcimento in forma specifica, il risarcimento per equivalente; in tal caso l’assicurato, in caso di sinistro, avrebbe dovuto indicare l’impresa di autoriparazione da lui individuata; l’impresa di assicurazione avrebbe avuto un termine massimo per verificare la stima del danno prima delle riparazioni.
In sede referente sono stati introdotti i commi 1-bis e 1-ter all’articolo 132-ter con i quali si prevede che lo sconto correlato all’accettazione da parte del cliente dell’ispezione del veicolo o dell’installazione della scatola nera o del meccanismo di rilevazione del tasso alcolemico non può essere inferiore a una percentuale determinata dall'IVASS entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge in esame (comma 1-bis dell’articolo 3), sulla base del prezzo della polizza altrimenti applicato. La percentuale di sconto è maggiorata per le regioni a maggiore tasso di sinistrosità. L'impresa di assicurazione deve pubblicare sul proprio sito internet l'entità della riduzione dei premi in caso di accettazione delle condizioni limitative per il cliente (comma 1-bis).
L’inosservanza dell’obbligo di riduzione del premio comporta l’applicazione da parte dell’IVASS all’impresa inadempiente di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 40.000 euro e la riduzione automatica del premio (comma 1-ter).
Si segnala che il comma 2 dell’articolo 6-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, ha previsto la definizione de parte dell’IVASS di una percentuale di sconto minima, in favore di contraenti che risiedono nelle regioni con costo medio del premio superiore alla media nazionale e che non abbiano effettuato sinistri con responsabilità esclusiva o concorrente per almeno cinque anni, a condizione che abbiano installato meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo (cd. “scatola nera”). La percentuale di sconto minima deve essere tale da commisurare la tariffa loro applicata a quella media dei soggetti, aventi le medesime caratteristiche, residenti in regioni con tassi di sinistrosità inferiori rispetto alla media nazionale
Il comma 2 dell’articolo 132-ter stabilisce che le imprese di assicurazione devono evidenziare nel preventivo l’ammontare dello sconto praticato in caso di accettazione da parte del contraente delle singole clausole sopra elencate.
Il comma 3 dell’articolo 132-ter, modificato in sede referente, prevede che i costi di installazione, disinstallazione, sostituzione e portabilità delle scatole nere sono a carico dell'impresa. La proprietà delle stesse, invece, spetta all'assicurato. La riduzione di premio prevista dal comma 1 si applica in caso di:
§ contratto stipulato con un nuovo assicurato;
§ scadenza di un contratto fra le stesse parti;
§ stipulazione di un nuovo contratto di assicurazione fra le stesse parti.
Resta fermo l'obbligo di rispettare i parametri stabiliti dal contratto di assicurazione.
Si ricorda che il vigente articolo 132 del CAP, come modificato dall’articolo 32, comma 1, del D.L. n. 1 del 2012, già dispone che i costi di installazione, disinstallazione, sostituzione, funzionamento e portabilità sono a carico delle compagnie.
La versione iniziale del disegno di legge stabiliva che in caso di installazione di scatole nere, la riduzione di premio avrebbe dovuto essere superiore ai costi di installazione, disinstallazione, sostituzione, funzionamento e portabilità, sostenuti direttamente dall’assicurato.
Il comma 4 dell’articolo 132-ter è stato soppresso in sede referente, conseguentemente alla soppressione della condizione precedentemente prevista dalla lettera e), la quale contemplava la facoltà di ricevere un risarcimento in forma specifica. Il comma 4 specificava che in caso di proposta della clausola del risarcimento in forma specifica nei propri contratti l’impresa di assicurazione avrebbe dovuto comunicare all’IVASS, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della nuova tariffa, l’entità della riduzione del premio prevista. Nella stressa comunicazione le imprese di assicurazione avrebbero dovuto identificare la tipologia di veicoli e gli ambiti territoriali, nonché l’adeguatezza della propria rete di riparatori convenzionati, sia in termini di copertura territoriale che di congruità operativa e assistenziale.
Il comma 1-bis dell’articolo 3, inserito nel corso dell’esame in sede referente, stabilisce che l’IVASS determina la percentuale di sconto obbligatorio connessa all’accettazione delle condizioni previste dall’articolo 132-ter entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame.
Il comma 1-ter
dell’articolo 3, inserito nel corso dell’esame in sede referente, afferma la
facoltà per l'assicurato di ottenere
l'integrale risarcimento per la riparazione a regola d'arte del veicolo
danneggiato avvalendosi di imprese di autoriparazione di propria fiducia.
L'impresa di autoriparazione a tal fine deve fornire la documentazione fiscale
e una idonea garanzia sulle riparazioni effettuate, con una validità non
inferiore a due anni per tutte le parti non soggette a usura ordinaria (nuovo
comma 11-bis dell’articolo 148 del CAP, relativo alla procedura di
risarcimento).
Il comma 1-quater
dell’articolo 3, inserito nel corso dell’esame in sede referente, prevede
che al fine di garantire le condizioni di sicurezza e funzionalità dei veicoli,
le associazioni nazionali maggiormente rappresentative del settore
dell'autoriparazione, l'ANIA e le associazioni dei consumatori, definiscono
d’intesa tra loro apposite linee guida finalizzate a determinare gli strumenti, le procedure, le
soluzioni realizzative e gli ulteriori parametri tecnici per l'effettuazione
delle riparazioni a regola d'arte, previste dal comma precedente. Le predette
linee guida sono comunicate al Ministero dello sviluppo economico che assicura
le necessarie forme di pubblicità.
Il comma 1-quinquies dell’articolo 3, inserito nel corso dell’esame in sede referente, introduce una ulteriore ipotesi di sconto significativo sul prezzo della polizza nel caso in cui l’assicurato contragga più polizze di veicoli in suo possesso sottoscrivendo per ogni singola polizza una clausola di guida esclusiva.
Si evidenzia che in tale ipotesi, contrariamente a quanto previsto per le altre condizioni che danno luogo a sconti obbligatori (scatole nere e ispezione del veicolo), non è previsto l’intervento dell’IVASS per la determinazione di una percentuale di sconto minimo.
Articolo 4
(Trasparenza delle variazioni del premio)
L’articolo 4, con una modifica all’articolo 133 del CAP, prevede che, nel caso di contratti con clausola bonus-malus, la variazione del premio, in aumento o in diminuzione, deve essere indicata, in valore assoluto e in percentuale, nel preventivo del nuovo contratto o del rinnovo.
L’articolo 133 disciplina le condizioni di polizza che
prevedono ad ogni scadenza annuale la variazione in aumento od in diminuzione
del premio applicato all'atto della stipulazione o del rinnovo, in relazione al
verificarsi o meno di sinistri nel corso di un certo periodo di tempo, oppure
in base a clausole di franchigia che prevedano un contributo dell'assicurato al
risarcimento del danno o in base a formule miste fra le due tipologie (sistema bonus-malus).
Con una modifica introdotta
dal decreto-legge n. 1 del 2012 (articolo 34-bis) è stato previsto che la variazione
in diminuzione del premio si applica automaticamente,
fatte salve le migliori condizioni, nella misura preventivamente quantificata
in rapporto alla classe di appartenenza attribuita alla polizza ed
esplicitamente indicata nel contratto. Il mancato rispetto di tale disposizione
comporta l’applicazione, da parte dell’ISVAP (ora IVASS), di una sanzione amministrativa da 1.000 euro a 50.000 euro.
Si ricorda che
l’ISVAP, con una lettera al mercato del
12 aprile 2012, ha ritenuto che la norma, peraltro assistita da una sanzione
specifica, garantisca al consumatore, oltre a condizioni di maggiore
trasparenza, benefici in termini di riduzioni di premio in assenza di sinistri
rispetto all’annualità precedente. In sostanza l’Autorità di vigilanza ha
interpretato la modifica dell’articolo 133 nel senso di garantire all’assicurato,
all’inizio di una nuova annualità, il pagamento di un premio inferiore a quello
pagato nell’annualità precedente.
Tale
interpretazione è stata contestata dalle imprese di assicurazione le quali
hanno impugnato la nota dell’ISVAP davanti al TAR del Lazio, il quale su tale
punto ha dichiarato che essa non rivestirebbe alcun valore provvedimentale in
quanto espressione di mere indicazioni interpretative, insuscettibili di recar
vincolo (e danno immediato) per le imprese e, ancor prima, di essere oggetto di
autonoma impugnazione.
La norma in esame interviene sul terzo periodo dell’articolo 133, aggiungendo che la predetta variazione si applica automaticamente sia in aumento che in diminuzione. Inoltre si prescrive l’obbligo di indicare l’ammontare della variazione in valore assoluto e in percentuale nel preventivo, sia del nuovo contratto sia in caso di rinnovo.
Articolo 5
(Misure relative all’assegnazione delle
classi di merito)
L’articolo 5, modificando l’articolo
134 del CAP, prevede la garanzia
della parità di trattamento a parità delle caratteristiche di rischio,
vietando la distinzione in funzione della durata del rapporto. Si prevede,
inoltre, che in caso di variazione peggiorativa della classe di merito, gli incrementi di premio debbano comunque
essere inferiori a quelli altrimenti applicabili, qualora l’assicurato
faccia installare la scatola nera.
Con una modifica inserita nel corso
dell’esame in sede referente è stato previsto che le certificazioni
dello stato di famiglia rilasciate per ottenere la stessa classe di merito
del familiare convivente sono esenti dall'imposta di bollo.
In particolare la norma in esame modifica
i commi 4-bis e 4-ter dell’articolo 134, introdotti
dal decreto-legge n. 7 del 2007 (c.d. “decreto Bersani”) e aggiunge un comma
4-ter.1.
Il vigente comma 4-bis stabilisce che
nel caso di un nuovo contratto di assicurazione obbligatoria relativo a un
veicolo acquistato da una persona fisica già titolare di polizza assicurativa o
da un componente stabilmente convivente del suo nucleo familiare, la compagnia
non può assegnare al contratto una classe di merito più sfavorevole rispetto a
quella risultante dall’ultimo attestato di rischio conseguito sul veicolo già
assicurato.
La norma in esame (lettera a)) aggiunge che in tale caso la
compagnia non può discriminare in funzione della durata del rapporto
garantendo, nell’ambito della classe di merito, le condizioni di premio
assegnate agli assicurati aventi le stesse caratteristiche di rischio del
soggetto che stipula il nuovo contratto. In tal modo si intende contrastare
il sistema delle sottoclassi applicate dalle compagnie.
Con il sistema
delle sottoclassi interne le compagnie sono in grado di
attenuare gli effetti del “decreto Bersani”. Si consideri l’esempio di un neopatentato
convivente con un familiare con la prima classe di merito universale (CU1,
ovvero da 13 anni senza sinistri). Le compagnie, in tal caso, sono obbligate ad
assegnare al neopatentato che ne faccia richiesta la CU1. Tuttavia esse, in
realtà, hanno assegnato il “padre” in una sottoclasse della CU1 a cui
corrisponde un premio ridotto. La norma vigente le obbliga ad assegnare la
stessa classe universale, ma non la stessa sottoclasse. In tal modo il premio
del neopatentato risulterà più alto di quello pagato dal “padre” inserito nella
sottoclasse.
Si evidenzia che la modifica in esame costituisce una puntuale attuazione di quanto auspicato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella segnalazione inviata il 4 luglio 2014 al Parlamento e al Governo per la predisposizione del disegno di legge in esame.
Il vigente comma 4-ter prevede che al verificarsi di un sinistro, le imprese di
assicurazione non possono applicare alcuna variazione di classe di merito prima
di aver accertato l'effettiva responsabilità del contraente, che è individuata
nel responsabile principale del sinistro, secondo la liquidazione effettuata in
relazione al danno e fatto salvo un diverso accertamento in sede giudiziale.
Ove non sia possibile accertare la responsabilità principale, ovvero, in via
provvisoria, salvo conguaglio, in caso di liquidazione parziale, la
responsabilità si computa pro quota in relazione al numero dei conducenti
coinvolti, ai fini della eventuale variazione di classe a seguito di più
sinistri.
La norma in esame (lettera b)) aggiunge che in ogni
caso, le variazione peggiorative apportate
alla classe di merito e i conseguenti incrementi del premio per gli assicurati
che hanno fatto installare la scatola nera (articolo 132-ter,
comma 1, lettera b)), devono essere inferiori a quelli altrimenti
applicati.
Con il nuovo comma 4-ter.1 (lettera c))
si prevede inoltre che, in caso di sinistro, qualora l’assicurato
accetti l’installazione di uno dei dispositivi di cui all’articolo 132-ter (ovvero, la scatola nera o il
meccanismo elettronico che impedisce l’avvio del motore a seguito del riscontro
di un tasso alcolemico), le variazioni
peggiorative apportate alla classe di merito e i conseguenti incrementi del
premio devono essere inferiori a quelli altrimenti applicati.
Il comma 2, inserito nel corso dell’esame in sede referente, contiene la copertura finanziaria della norma che esenta dall’imposta di bollo le certificazioni dello stato di famiglia rilasciate per ottenere i benefici del “decreto Bersani”.
Ai relativi oneri, quantificati in 500 mila euro a decorrere dall'anno 2015, si provvede mediante riduzione delle dotazioni finanziarie di parte corrente iscritte, nell'ambito delle spese rimodulabili di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b), della medesima legge n. 196 del 2009, nel programma «Programmazione economico-finanziaria e politiche di bilancio», nella missione «Politiche economico-finanziarie e di bilancio» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze.
Si evidenzia che nel parere approvato dalla Commissione Bilancio è contenuta una condizione formulata ai sensi dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, con la quale si chiede la soppressione della norma che contempla l’esenzione dall’imposta di bollo per le certificazioni dello stato di famiglia rilasciate per ottenere la stessa classe di merito del familiare convivente e della relativa copertura finanziaria.
Articolo 6
(Identificazione
dei testimoni di sinistri con soli danni a cose)
L’articolo 6 modifica la procedura di identificazione dei testimoni in caso di sinistri con soli danni a cose, al fine di contenere la prassi di far valere testimonianze prodotte in un momento successivo a quello della denuncia del sinistro (cd. testimoni di comodo).
Nel corso dell’esame in sede referente è stata soppressa l’originaria disposizione che
prevedeva che l’identificazione di eventuali testimoni sul luogo dell’incidente
dovesse essere comunicata entro il termine della denuncia di sinistro, dovendo
risultare dalla richiesta di risarcimento presentata all’impresa di
assicurazione.
In particolare il comma 1 introduce tre nuovi commi all’articolo 135 del CAP (Banca dati sinistri e banche dati anagrafe testimoni e anagrafe danneggiati). Il nuovo comma 3-bis dell’articolo 135, come modificato in sede referente, prescrive che, in caso di sinistri con soli danni alle cose, l’identificazione di eventuali testimoni sul luogo di accadimento dell’incidente deve risultare:
§ dalla richiesta di risarcimento presentata all'impresa di assicurazione ai sensi degli articoli 148 (procedura di risarcimento) e 149 (risarcimento diretto);
§
o
dall'invito alla stipula della negoziazione assistita;
Il decreto-legge n. 132 del 2014 ha introdotto
tale istituto deflattivo del contenzioso che obbliga chiunque intenda agire in
giudizio per chiedere il risarcimento dei danni cagionati da circolazione di
veicoli e natanti di invitare preventivamente la controparte a stipulare una
convenzione di negoziazione assistita da avvocati per tentare di dirimere la
controversia amichevolmente, in sede stragiudiziale, a pena di improcedibilità
della domanda giudiziale;
§ ovvero può essere richiesta da parte dell'assicurazione entro sessanta giorni dalla denuncia di sinistro, mediante raccomandata con avviso di ricevimento. In tale caso la parte che riceve la richiesta da parte dell'assicurazione effettua la comunicazione dei testimoni, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, da inviarsi nel termine di sessanta giorni. L'impresa di assicurazione deve procedere a sua volta all'individuazione ed alla comunicazione di eventuali ed ulteriori testimoni entro il termine di sessanta giorni.
Fatte salve le risultanze contenute in verbali delle autorità di polizia intervenute sul luogo dell’incidente, l’identificazione dei testimoni avvenuta in un momento successivo comporta l’inammissibilità della prova testimoniale addotta.
Il comma 3-ter dell’articolo 135 prevede l’inammissibilità in giudizio delle testimonianze che non risultino acquisite secondo le modalità indicate dal comma precedente, salva la possibilità per il giudice di disporre l’audizione di testimoni nei casi in cui sia comprovata l’impossibilità della loro tempestiva identificazione.
Il comma 3-quater dell’articolo 135 prevede, infine, che nei processi attivati per l’accertamento della responsabilità e la quantificazione dei danni, il giudice verifichi l’eventuale ricorrenza dei medesimi testimoni già chiamati in altre cause nel settore dell’infortunistica stradale e, ove riscontri, anche avvalendosi della banca dati integrata costituita presso l’IVASS, la ricorrenza degli stessi nominativi in più di tre cause negli ultimi cinque anni, trasmetta l’informativa alla Procura della Repubblica competente per gli ulteriori accertamenti. La disposizione non si applica alle testimonianze rese dagli ufficiali e dagli agenti delle autorità di polizia.
Articolo 6-bis
(Verifica
dell’IVASS sui dati relativi ai sinistri
e definizione del sistema degli sconti)
L’articolo 6-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, affida all’IVASS il compito di procedere ad una verifica trimestrale sui sinistri inseriti nell’apposita banca dati dalle imprese di assicurazione, per assicurare omogeneità e oggettiva definizione di criteri di trattamento dei medesimi dati. L’IVASS deve altresì redigere apposita relazione all’esito di tale verifica, le cui risultanze sono considerate anche per definire la significatività degli sconti sulle polizze (comma 1).
Si affida altresì all’IVASS il compito di definire una percentuale di sconto minima, in favore di contraenti che risiedono nelle regioni con costo medio del premio superiore alla media nazionale e che non abbiano effettuato sinistri con responsabilità esclusiva o concorrente per almeno cinque anni, a condizione che abbiano installato meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo (cd. “scatola nera”). La percentuale di sconto minima deve essere tale da commisurare la tariffa loro applicata a quella media dei soggetti, aventi le medesime caratteristiche, residenti in regioni con tassi di sinistrosità inferiori rispetto alla media nazionale (comma 2).
Si segnala che, in base agli
articoli 6, 29 e 39 della direttiva 92/49/CEE, ora confluiti nella direttiva
2009/138 Solvency II, la giurisprudenza europea ha enucleato il
principio della libertà tariffaria.
In tale ambito la sentenza
C-346/02 del 7 settembre 2004 della Corte di Giustizia afferma
che gli Stati non possono fissare in
maniera diretta le tariffe e le
imprese devono essere libere di fissare l'importo dei premi di base. La
Corte, inoltre, prevede che non può
escludersi qualsiasi provvedimento nazionale idoneo a produrre ripercussioni
sulle tariffe (punti 23 e 24 della sentenza).
La norma in commento - senza determinare
in maniera prescrittiva una specifica tariffa - demanda all'IVASS la
definizione di una percentuale di sconto minima tale da commisurare la tariffa
applicata a quella media applicabile a un assicurato, con le medesime
caratteristiche soggettive e collocato nella medesima classe di merito,
residente nelle regioni con un costo medio del premio inferiore alla media
nazionale, riferito allo stesso periodo.
In tal senso la norma sembra
indicare, subordinatamente ad alcune condizioni di particolare correttezza
dell'assicurato e di particolare svantaggio territoriale della regione di
residenza, una percentuale di sconto minima, non ponendosi in esplicito
contrasto con la citata giurisprudenza europea (si segnala, inoltre, la sentenza
C-577/11 del 7 marzo 2013).
Articolo 7
(Risarcimento
del danno non patrimoniale)
L’articolo 7 sostituisce, apportando alcune modifiche, gli articoli 138 e 139 del CAP in tema di risarcimento del danno non patrimoniale rispettivamente per lesioni di non lieve entità e per lesioni di lieve entità.
In sede referente sono state rese esplicite le finalità della emanazione della tabella per le macrolesioni: garantire il diritto delle vittime dei sinistri ad un pieno risarcimento del danno non patrimoniale effettivamente subito e razionalizzare i costi gravanti sul sistema assicurativo e sui consumatori. Il D.P.R. con il quale sarà essere approvata la tabella unica per il risarcimento delle macrolesioni dovrà essere adottato entro 120 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame tenendo conto dei criteri valutativi del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr. tabelle del Tribunale di Milano). La tabella unica per le macrolesioni predisposta ai sensi della normativa in esame si applicherà ai sinistri e agli eventi che si verificheranno successivamente alla data di entrata in vigore del D.P.R..
Riguardo alle lesioni di lieve entità, si prevede che con riferimento alle lesioni quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazione, è ammesso un esame visivo ai fini della loro risarcibilità.
Sia nel caso di macrolesioni, sia in quello di microlesioni, viene espressamente chiarito che l’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi dei due articoli è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche.
Il nuovo articolo 138 del CAP, come sostituito dal comma 1, demanda ad un D.P.R. (previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia) la predisposizione di una specifica tabella, unica su tutto il territorio della Repubblica, delle menomazioni alla integrità psico-fisica comprese tra dieci e cento punti e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensivo dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso.
In sede referente sono state rese esplicite le finalità della emanazione della tabella per le macrolesioni: garantire il diritto delle vittime dei sinistri ad un pieno risarcimento del danno non patrimoniale effettivamente subito e razionalizzare i costi gravanti sul sistema assicurativo e sui consumatori. È stato inoltre stabilito che il D.P.R. con il quale dovrà essere approvata la tabella unica per il risarcimento delle macrolesioni dovrà essere adottato entro 120 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame.
Al riguardo si ricorda
che l’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato, nella segnalazione
inviata il 4 luglio 2014 al Parlamento e al Governo per la predisposizione del
disegno di legge in esame, aveva ritenuto non più rinviabile l’adozione, della tabella unica, a livello
nazionale, per l’attribuzione del valore alle menomazione di non lieve entità
di cui all’articolo 138 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209
(Codice delle assicurazioni private).
Il comma 2 dell’articolo 138 contiene i principi e i criteri che devono essere seguiti nella redazione della tabella. In sede referente è stato precisato che nella redazione della tabella si dovrà tenere conto dei criteri valutativi del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità. Al riguardo si ricorda che la Corte di Cassazione, con sentenza del 7 giugno 2011 n. 12408, ha definito le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano come le più congrue, sia per il metodo di calcolo sia per quanto riguarda i valori risarcitori, individuando in esse il parametro di riferimento per il risarcimento alla persona da applicarsi uniformemente sull'intero territorio nazionale.
I principi e criteri per la redazione della tabella sono i seguenti:
§ per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito;
§ la tabella dei valori economici deve fondarsi su un sistema a punto variabile in funzione dell'età e del grado di invalidità;
§ il valore economico del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità e l'incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all'aumento percentuale assegnato ai postumi;
§ il valore economico del punto è funzione decrescente dell'età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall'ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all'interesse legale;
§ al fine di considerare la componente del danno morale da lesione dell’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione (criterio inserito in sede referente);
§ il danno biologico temporaneo inferiore al cento per cento è determinato in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno. In sede referente è stato soppresso il criterio per la quantificazione dell’importo dovuto per ogni giorno di inabilità temporanea assoluta che faceva riferimento al criterio previsto per le lesioni di lieve entità.
Considerando la valorizzazione del risarcimento del danno morale, la personalizzazione del risarcimento attribuita alla discrezionalità del giudice in sede referente è stata riportata dal quaranta al trenta per cento ed è limitata al solo danno biologico (comma 3 dell’articolo 138).
L’ammontare complessivo del risarcimento è esaustivo del risarcimento del danno conseguente alla lesioni fisiche (comma 3-bis dell’articolo 138).
Gli importi stabiliti nella tabella unica nazionale sono aggiornati annualmente con decreto del Ministro dello sviluppo economico, in misura corrispondente alla variazione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertata dall’ISTAT (comma 4 dell’articolo 138).
Il comma 2 dell’articolo 7, modificato in sede referente, prevede che la tabella unica per le macrolesioni predisposta ai sensi della normativa in esame si applica ai sinistri e agli eventi verificatisi successivamente alla data di entrata in vigore del D.P.R. che la approverà.
Il comma 3 dell’articolo 7 sostituisce l’articolo 139 del CAP prevedendo la predisposizione di una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra uno e nove punti di invalidità (microlesioni) derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione di veicoli a motore e di natanti.
Il comma 1 dell’articolo 139 stabilisce i criteri per la liquidazione del danno biologico permanente. Con la modifica in esame il valore del primo punto è fissato a 795,91 euro. Non è variato l’importo previsto a titolo di risarcimento del danno biologico temporaneo, liquidato per ogni giorno di inabilità assoluta con 39,37 euro.
Al riguardo si segnala che con il Decreto
del Ministro dello sviluppo economico del 25 giugno 2015 (pubblicato nella G.U.
n. 162 del 15 luglio 2015) sono stati aggiornati
gli importi per il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità
nelle seguenti misure: il primo punto di invalidità: 793,52 euro; l'importo
relativo ad ogni giorno di inabilità relativa: 46,29 euro.
Il comma 2 dell’articolo 139, oltre a definire il danno biologico, stabilisce che le lesioni di lieve entità, non suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente. Nel corso dell’esame in sede referente è stato precisato che con riferimento alle lesioni quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazione, è ammesso un esame visivo ai fini della loro risarcibilità per danno biologico permanente.
Il comma 3 dell’articolo 139 prevede la possibilità del giudice di aumentare l’ammontare del risarcimento “con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”. Tale previsione, parallelamente a quanto previsto con la modifica al comma 3 dell’articolo 138, è stata modificata dalla norma in esame al fine di comprendere espressamente in tale valutazione sia il danno esistenziale che il danno morale. Viene, infatti, chiarito che l’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi dell’articolo 139 è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche. In questo caso non è stato elevato il margine di discrezionalità per la personalizzazione del danno per ricomprendere la componente di sofferenza psico-fisica (20 per cento). La relazione illustrativa afferma al riguardo che il valore del 20 per cento già consente ampia considerazione di tale specifica eventualità rispetto a lesioni meno gravi.
Il resto dell’articolo, e in particolare i coefficienti moltiplicatori per ogni punto di invalidità indicati dal comma 6, non è modificato rispetto alla vigente formulazione.
Si segnala che, a differenza di quanto previsto per la tabella per le
macrolesioni, modificato sul punto dal provvedimento in esame, il D.P.R. che
provvede alla predisposizione della tabella per le microlesioni è proposto dal
Ministro della salute e non dal Ministro dello sviluppo economico (comma 4
dell’articolo 139).
Si ricorda che attualmente la giurisprudenza ha elaborato delle tabelle risarcitorie (c.d. tabelle del Tribunale di Milano) che contemplano una liquidazione unitaria (danno biologico standard e danno morale, con la garanzia di un livello minimo di personalizzazione) e che vengono applicate, da tempo e spontaneamente, su tutto il territorio nazionale, essendo considerate un efficace punto di riferimento per una equa valutazione monetaria del danno subito.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 7 giugno 2011 n. 12408, ha definito le tabelle elaborate dal tribunale di Milano come le più congrue, sia per il metodo di calcolo sia per quanto riguarda i valori risarcitori, individuando in esse il parametro di riferimento per il risarcimento alla persona da applicarsi uniformemente sull'intero territorio nazionale: “poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative (come l'art. 139 del codice delle assicurazioni private, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto”.
La Camera il 25 giugno 2013 ha approvato le mozioni Boccuzzi n. 1-00099, Gigli n. 1-00102 e Costa n. 1-00103 e la risoluzione Di Lello n. 6-00017, con le quali ha impegnato il Governo a sospendere l'iter di approvazione dello schema di decreto del Presidente della Repubblica avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle per il risarcimento del danno biologico (ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005) fino all'espletamento di un approfondito ma rapido confronto nelle Commissioni parlamentari competenti.
In attuazione delle mozioni approvate e al fine di orientare meglio l'attività regolamentare del Governo su queste complesse tematiche, il 12 settembre 2013 la Commissione Finanze ha avviato la discussione delle risoluzioni n. 7-00060 Gutgeld e altri e n. 7-00097 Pesco e altri, relative alle tematiche concernenti il meccanismo per il risarcimento dei danni biologici derivanti da sinistri nell'ambito dell'assicurazione RC Auto, nonché le misure in materia di prezzi delle polizze. In particolare con le risoluzioni si intende coniugare l'obiettivo di ridurre complessivamente i costi gravanti sul sistema assicurativo e sulla collettività, con l'esigenza imprescindibile di garantire il diritto delle vittime dei sinistri a vedersi pienamente riconosciuto un esaustivo risarcimento per il danno biologico subito. Un altro obiettivo è di prevedere che le nuove tabelle siano omogenee rispetto agli orientamenti in materia adottati negli altri Paesi europei più avanzati, anche al fine di ridurre l'anomala sproporzione tra l'ammontare dei costi sopportati in Italia per le lesioni da incidentalità e quelli che si registrano nel resto dell'Europa. Sull'argomento è stato avviato un ciclo di audizioni informali.
La Corte di giustizia europea con la sentenza del 23 gennaio 2014, nella causa C-371/12, ha confermato la validità degli attuali limiti previsti in Italia per le lesioni lievi (micropermanenti). Il principio di fondo stabilito dalla Corte è che le normative nazionali possono limitare in qualche modo i risarcimenti, materia regolata da direttive europee. Una limitazione che l'Italia prevede nel Codice delle assicurazioni per tutti i casi di danni a persona, ma finora ha attuato solo sul danno biologico dovuto a lesioni di lieve entità (fino a nove punti di invalidità permanente). La Corte ha rilevato che non risulta che la normativa italiana preveda importi non conformi al minimo stabilito dalla normativa dell'Unione. Da tale sentenza si ricava la massima secondo cui il diritto dell'Unione ammette una legislazione nazionale che, nell'ambito di un particolare sistema di risarcimento dei danni morali derivanti da lesioni di lieve entità causate da sinistri stradali, limiti il risarcimento di tali danni rispetto a quanto ammesso in caso di danni identici risultanti da altre cause.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata da alcuni giudici sull'articolo 139 del Codice delle assicurazioni private (D.Lgs. 209/2005), considerando legittime le soglie ridotte per i risarcimenti a chi subisce lesioni lievi in un incidente stradale. È quindi legittimo calcolare gli indennizzi in base ai valori indicati dall'articolo 139 del Codice delle assicurazioni, anziché applicando quelli - più generosi - elaborati dalla giurisprudenza.
Nelle censure sottoposte al vaglio della Corte si è sostenuto che la tabella per le microlesioni non fosse legittima perché prevede importi limitati e contenuti per compensare il danno biologico conseguente a sinistri stradali, mentre i magistrati possono liquidare diversamente e maggiormente la stessa lesione originata da altra vicenda. In particolare la Consulta afferma che il controllo di costituzionalità del meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico introdotto dal censurato articolo 139 del CAP – per il profilo del prospettato vulnus al diritto all'integralità del risarcimento del danno alla persona – va condotto non già assumendo quel diritto come valore assoluto e intangibile, bensì verificando la ragionevolezza del suo bilanciamento con altri valori, che sia eventualmente alla base della disciplina censurata. In un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi – la disciplina in esame, che si propone il contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio di ragionevolezza. Infatti, l'introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno − attinente al solo specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e coerentemente riferito alle conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi (nove) gradi della tabella – lascia, comunque, spazio al giudice per personalizzare l'importo risarcitorio, risultante dalla applicazione delle suddette predisposte tabelle, eventualmente maggiorandolo fino ad un quinto, in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato.
Si ricorda, infine, che la Commissione Giustizia della Camera il 12 settembre 2013 ha avviato l'esame della proposta di legge Bonafede ed altri (A.C. 1063) volta a introdurre modifiche al codice civile, alle disposizioni per la sua attuazione e al codice delle assicurazioni private (D.Lgs. n. 209 del 2005), concernenti la determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale. A tale proposta sono allegate delle tabelle per la determinazione del risarcimento.
La giurisprudenza della Cassazione in
tema
di risarcimento del danno non patrimoniale
Dopo avere da
tempo superato la concezione della risarcibilità del danno non patrimoniale ai
sensi dell'art. 2059 del codice civile solo quando derivante da fatto-reato,
l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale ha inteso garantire il ristoro dei
diritti alla salute, all'onore, alla reputazione, all'integrità familiare in
quanto diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti.
In particolare, operando una ricostruzione del sistema
di risarcibilità del danno non patrimoniale, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26972 dell'11 novembre 2008
(analoga ad altre tre sentenze gemelle emesse in pari
data), hanno sottolineato la necessità di "ristorare integralmente il
pregiudizio, ma non oltre".
Superando definitivamente la nozione del danno-evento
in favore del danno-conseguenza, le Sezioni Unite hanno individuato una triade attraverso cui si sostanzia
il danno non patrimoniale:
a) il danno biologico deve intendersi come
lesione del bene salute;
b) il danno morale si sostanzia nel
patema d'animo o nella sofferenza interiore subita dalla vittima dell'illecito,
ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima
espressione della dignità umana;
c) il danno esistenziale è costituito
dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato.
In particolare, le Sezioni Unite
hanno affermato (con ciò modificando il precedente orientamento) che la
sofferenza psichica ed il dolore intimo costituiscono, al pari del danno
esistenziale, solamente "voci" del danno biologico, con la
conseguenza che, pur essendo ammissibile la risarcibilità della sofferenza
morale e/o degli aspetti esistenziali violati, rimane comunque esclusa la possibilità
di riconoscere nel danno morale e nel danno esistenziale autonome categorie di
danno.
Pertanto, nell'applicare concretamente i principi
affermati dalle Sezioni Unite, è stata elaborata la nozione di
"personalizzazione" del danno, in modo tale da consentire una congrua
liquidazione (equitativa) del danno biologico con riferimento alle sue
componenti di danno morale e di danno esistenziale.
La
giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite, tuttavia, si è progressivamente
discostata da tale orientamento.
In particolare, con la recente sentenza n. 1361 del 23 gennaio
2014, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la possibilità di
trasmissione agli eredi del diritto al risarcimento del danno da perdita della
vita (o tanatologico), diritto fino ad allora costantemente negato dalla
giurisprudenza di legittimità.
Qui la Cassazione, dopo aver confermato che la
categoria del danno non patrimoniale presenta natura composita, articolandosi
nelle voci del danno biologico, del danno morale e del danno esistenziale - ha
precisato che tutte le voci di danno sono suscettibili di liquidazione purché
venga evitata una duplicazione, che si configura solo allorquando lo
stesso aspetto (ovvero, la stessa voce) venga computato due o più volte, sulla
base di diverse e meramente formali denominazioni.
Si legge nella sentenza che “la diversità ontologica dei suindicati aspetti (o voci) di cui si
compone la categoria generale del danno non patrimoniale impone che, in
ossequio al principio (delle Sezioni Unite del 2008 assunto ad assioma) della
integrità del risarcimento dei danni ………, in quanto sussistenti e provati,
vengano tutti risarciti e nessuno sia lasciato privo di ristoro”.
L’interpretazione secondo cui il danno non
patrimoniale non sia suddividibile in sottovoci viene definita “riduttiva” e non solo “evoca
perplessità” secondo la Corte ma è “in realtà smentita dalla giurisprudenza
della Cassazione e delle stesse Sezioni Unite”.
Ribadito che il
criterio di liquidazione dei danni non patrimoniali sia l’equità intesa come
valutazione congrua, ragionevole, proporzionale, ma anche rispettosa della
parità di trattamento (secondo le direttrici tracciate da Cass. n.12408/2011), la
Corte di Cassazione indica nelle tabelle (giudiziali o normative) uno
strumento idoneo all’attuazione della clausola generale della valutazione
equitativa del danno ex art. 1226 c.c. (a cui non è consentito derogare
attraverso criteri arbitrari). L’uso delle tabelle impone però al giudice di
procedere ad adeguata “personalizzazione” della liquidazione del danno non
patrimoniale.
In buona
sostanza, la tendenza della giurisprudenza di legittimità appare nuovamente nel
senso di ribadire l'autonomia del danno morale ed esistenziale rispetto al
danno biologico.
Pertanto, con ordinanza
n. 5056 del 4 marzo 2014, la Terza Sezione Civile della Corte di
Cassazione, avendo ravvisato nella citata sentenza n. 1361/2014 (emessa dalla
medesima Sezione) un contrasto di giurisprudenza, ha
rimesso gli atti del procedimento al Primo Presidente perché valuti l'esigenza
di investire della questione le Sezioni Unite al fine di definire e precisare,
per imprescindibili ragioni di certezza del diritto, il quadro della
risarcibilità del danno non patrimoniale delineato nel 2008.
Articolo 8
(Valore
probatorio delle cosiddette «scatole nere»
e di altri dispositivi elettronici)
L’articolo 8, mediante l’inserimento del nuovo articolo 145-bis nel CAP (Valore probatorio delle cosiddette “scatole nere” e di altri dispositivi elettronici), attribuisce piena prova nei procedimenti civili alle risultanze della scatola nera conforme alle caratteristiche tecniche e funzionali, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del dispositivo. In sede referente è stato precisato che le risultanze delle scatole nere devono essere rese fruibili alle parti. Deve inoltre essere garantita l’interoperabilità e la portabilità delle scatole nere nel caso di passaggio ad una diversa compagnia assicurativa. È prevista l’emanazione di regolamenti volti a garantire lo standard tecnologico per la gestione in sicurezza dei dati registrati dalle scatole nere e per assicurare la loro interoperabilità. In caso di violazione da parte delle compagnie delle norme sulla interoperabilità è stabilita una sanzione amministrativa di 3.000 euro per ogni giorno di ritardo.
Le imprese assicurative devono trattare i dati raccolti con le scatole nere nel rispetto della normativa sulla privacy e non li possono utilizzare per finalità diverse. In caso di manomissione della scatola nera, l’assicurato perde la riduzione del premio ed è sottoposto alle eventuali sanzioni penali.
In particolare il comma 1 dell’articolo 145-bis dispone che, in caso di incidente
stradale, se uno dei veicoli coinvolti
è dotato di scatola nera, le risultanze del dispositivo formano piena prova nei procedimenti civili dei
fatti cui esse si riferiscono, salvo che la parte contro la quale sono state
prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del predetto
dispositivo. In sede referente è stato inoltre previsto che le medesime risultanze sono rese fruibili alle parti.
La norma fa riferimento al dispositivo elettronico con le caratteristiche tecniche e funzionali stabilite dall’articolo 132-ter, comma 1, lettere b) (ovvero la scatola nera o altri dispositivi individuati con decreto ministeriale) e c) (meccanismi elettronici che impediscono l’avvio del motore per elevato tasso alcolemico del guidatore) e fatti salvi, in quanto equiparabili, i dispositivi elettronici già in uso.
Il comma 2 dispone che l’interoperabilità
(la capacità di comunicare tra loro) e la portabilità
delle scatole nere, anche nel caso
di nuovo contratto con una compagnia assicuratrice diversa da quella che ha
installato i meccanismi elettronici, devono essere garantite da operatori – provider
di telematica assicurativa – i cui dati identificativi sono comunicati
all’IVASS da parte delle imprese di assicurazione che ne utilizzano i servizi.
I dati
sull’attività del veicolo sono gestiti
in sicurezza dagli operatori del settore sulla base dello standard tecnologico comune che un decreto ministeriale dovrebbe definire
(ai sensi dell’articolo 32, comma 1-ter, del decreto-legge n. 1 del
2012), e successivamente inviati alle rispettive compagnie di assicurazione.
Si evidenzia che il comma 1-ter dell’articolo 32 del decreto-legge n. 1 del 2012 prevede l’emanazione, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della relativa legge di conversione (25 marzo 2012), di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Garante per la protezione dei dati personali al fine di definire lo standard tecnologico comune hardware e software, per la raccolta, la gestione e l'utilizzo dei dati raccolti dai meccanismi elettronici (scatole nere), al quale le imprese di assicurazione dovranno adeguarsi entro due anni dalla sua emanazione. Il decreto non è stato ancora emanato. Il Ministero dello sviluppo economico ha dichiarato di averne notificato uno schema alla Commissione UE nel settembre 2012, ai sensi della Direttiva 98/34/CE.
Il comma
3 dispone che le modalità per assicurare l’interoperabilità e la
portabilità delle scatole nere, delle apparecchiature connesse e dei relativi
sistemi di gestione dei dati, sono determinate dal regolamento previsto dal comma 1-bis dall’articolo 32 del decreto-legge n. 1 del
2012. Gli operatori (provider) sono responsabili del funzionamento ai
fini dell’interoperabilità.
Si evidenzia che il previsto regolamento non è stato ancora emanato. Ai sensi del comma
1-bis dall’articolo 32 del
decreto-legge n. 1 del 2012, l’IVASS di concerto con il Ministro dello sviluppo
economico e il Garante per la protezione dei dati personali avrebbe dovuto
stabilire, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione
del D.L. n. 1 del 2012, le modalità di
raccolta, gestione e utilizzo, in particolare ai fini tariffari e della
determinazione delle responsabilità in occasione dei sinistri, dei dati raccolti dalle scatole nere,
nonché le modalità per assicurare la loro interoperabilità in caso di
sottoscrizione da parte dell'assicurato di un contratto di assicurazione con
impresa diversa da quella che ha provveduto ad installare tale meccanismo. Il 19 marzo 2013 è stato messo in consultazione il
relativo schema di regolamento.
Il comma
4 stabilisce che il mancato adeguamento, da parte dell’impresa di
assicurazione o dell’operatore di telematica assicurativa, alle condizioni
stabilite dal regolamento (non ancora emanato) in tema di modalità per
assicurare l’interoperabilità e la portabilità delle scatole nere, delle
apparecchiature connesse e dei relativi sistemi di gestione dei dati, comporta
l’applicazione da parte dell’IVASS di una sanzione
amministrativa pecuniaria di euro 3.000 per ogni giorno di ritardo.
Il comma
5 riguarda il trattamento dei dati
ricavati dalle scatole nere che deve essere conforme a quanto previsto dal
codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n. 196 del 2003).
L’impresa di assicurazione è titolare del trattamento dei dati (articolo 28 del
citato codice). È fatto divieto
all’impresa di assicurazione, nonché ai soggetti ad essa collegate, di utilizzare le scatole nere e gli altri dispositivi elettronici al fine di raccogliere dati ulteriori
rispetto alla finalità di determinazione delle responsabilità in occasione dei
sinistri e ai fini tariffari, o di rilevare la posizione e le condizioni del
veicolo in maniera continuativa o comunque sproporzionata rispetto alla
medesima finalità. In sede referente
è stato fatto salvo il consenso espresso
dell’assicurato in relazione alla disponibilità di ulteriori servizi
connessi con la mobilità del veicolo.
Il comma
6 vieta all’assicurato di disinstallare, manomettere o comunque rendere non
funzionante il dispositivo installato. In
caso di violazione da parte dell’assicurato di tale divieto non è applicata la riduzione del premio
per la durata residua del contratto. Inoltre l’assicurato è tenuto alla restituzione di quanto ha indebitamente
risparmiato, fatte salve le eventuali sanzioni
penali.
Articolo 9
(Ulteriori
misure di contrasto delle frodi assicurative)
L’articolo 9, modificato nel corso dell’esame in sede referente, integra l’articolo 148 del CAP estendendo i casi nei quali, sussistendo elementi che siano sintomo di frode, si applica una specifica procedura che consente all’impresa di assicurazioni di non presentare offerta di risarcimento.
In particolare si prevede che gli elementi sintomi di frode si possano ricavare in primo luogo dall’archivio informatico integrato dell’IVASS (in luogo della banca dati sinistri, previsto dalla vigente formulazione).
Si ricorda che l’articolo 21 del D.L. n. 179 del 2012 ha previsto l’istituzione presso l’IVASS di un archivio informatico integrato connesso con una serie di banche dati esistenti, con la finalità di favorire la prevenzione e il contrasto delle frodi nel settore RC Auto, per migliorare l’efficacia dei sistemi di liquidazione dei sinistri e per individuare i fenomeni fraudolenti. Il decreto 11 giugno 2015, n. 108 del Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 162 del 15 luglio 2015) ha istituito l'archivio informatico integrato.
L’articolo 13, comma 5, del disegno di
legge in esame, modificando l’articolo 21 del D.L. n. 179 del 2012, estende
l’ambito di operatività dell’archivio informatico integrato dell’IVASS,
prevedendo che esso sia inoltre connesso con: il casellario giudiziale istituito presso il Ministero della
giustizia; l’archivio dei carichi
pendenti istituito presso il Ministero della Giustizia; l’Anagrafe Tributaria, limitatamente
alle informazioni di natura anagrafica, incluso il codice fiscale o la partita
IVA; l’Anagrafe nazionale della
popolazione residente; il Casellario
Centrale Infortuni presso l’INAIL.
Qualora dal risultato della predetta consultazione, avuto riguardo al codice fiscale dei soggetti coinvolti ovvero ai veicoli danneggiati, emergano (in luogo di almeno due parametri di significatività, previsti dalla vigente formulazione) indici di anomalia definiti dall'IVASS con apposito provvedimento, ovvero altri indicatori di frode siano segnalati dai dispositivi elettronici che registrano l'attività del veicolo o siano emersi in sede di perizia da cui risulti documentata l'incongruenza del danno dichiarato dal richiedente, l'impresa può decidere di non fare offerta di risarcimento, motivando tale decisione con la necessità di condurre ulteriori approfondimenti in relazione al sinistro.
Il vigente comma 2-bis dell’articolo 148 del CAP, introdotto dall’articolo 32 del decreto-legge n. 1 del 2012, prevede una specifica procedura volta a consentire all’impresa di assicurazioni di non presentare offerta di risarcimento ove dalla consultazione della banca dati sinistri si riscontrino almeno due “parametri di significatività”: in sostanza, ove emergano elementi che siano sintomo di frode, quali la ricorrente presenza della persona o della targa interessati in sinistri occorsi negli anni precedenti che hanno comportato risarcimenti di notevole entità. Per la definizione puntuale dei parametri di significatività si rinvia al provvedimento dell’ISVAP n. 2827 del 25 agosto 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 209 del 7 settembre 2010.
L'impresa può decidere, entro determinati termini, di non fare offerta di risarcimento, motivando tale decisione con la necessità di condurre ulteriori approfondimenti in relazione al sinistro. La relativa comunicazione è trasmessa dall'impresa al danneggiato e all'IVASS, al quale è anche trasmessa la documentazione relativa alle analisi condotte sul sinistro. Entro trenta giorni dalla comunicazione della predetta decisione, l'impresa deve comunicare al danneggiato le sue determinazioni conclusive in merito alla richiesta di risarcimento. All'esito degli approfondimenti, l'impresa può non formulare offerta di risarcimento, qualora presenti querela, nelle ipotesi in cui è prevista, informandone contestualmente l'assicurato; in tal caso i termini per il risarcimento sono sospesi e il termine per la presentazione della querela (articolo 124, primo comma, del codice penale) decorre dallo spirare del termine di trenta giorni entro il quale l'impresa comunica al danneggiato le sue determinazioni conclusive.
In sintesi, dunque, all'esito degli approfondimenti condotti, l'impresa può non formulare offerta di risarcimento qualora presenti querela, nelle ipotesi in cui è prevista, informandone contestualmente l'assicurato nella comunicazione concernente le determinazioni conclusive in merito alla richiesta di risarcimento.
Qualora l’impresa attivi la procedura prevista dall’articolo 148, comma 2-bis, rifiutandosi di formulare l’offerta di risarcimento, l’assicurato può proporre l’azione di risarcimento davanti al giudice solo dopo aver ricevuto le determinazioni conclusive dell’impresa o, in mancanza, allo spirare del termine di sessanta giorni di sospensione della procedura. Resta salvo il diritto del danneggiato di ottenere l’accesso agli atti nei termini previsti dall’articolo 146, salvo il caso di presentazione di querela o denuncia.
Il comma 1-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, integra l’articolo 201 del Codice della strada al fine di consentire l’accertamento della violazione dell'obbligo dell'assicurazione per la responsabilità civile verso terzi attraverso gli appositi dispositivi o apparecchiature di rilevamento, non essendo necessaria la contestazione immediata delle violazioni del codice della strada, mediante il confronto dei dati rilevati riguardanti il luogo, il tempo e l'identificazione dei veicoli con quelli risultanti dall'apposito elenco dei veicoli a motore non assicurati verso terzi (lettera a) che introduce la lettera g-ter) al comma 1-bis dell’articolo 201 del D.Lgs. n. 285 del 1992).
La norma in esame è correlata al processo di progressiva dematerializzazione dei contrassegni di assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi per danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada, attraverso la sostituzione degli stessi con sistemi elettronici o telematici. Tale processo è stato avviato dall’articolo 31 del decreto-legge n. 1 del 2012, il quale, al fine di contrastare la contraffazione dei contrassegni relativi alla R.C. auto, ha demandato ad un regolamento ministeriale il compito di definire la dematerializzazione dei contrassegni e la loro sostituzione con sistemi elettronici anche in collegamento con banche dati e prevedendo l'utilizzo, ai fini dei relativi controlli, dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo e rilevamento a distanza delle violazioni delle norme del Codice della strada.
In attuazione dell'articolo 31 del decreto-legge n. 1 del 2012, il decreto 9 agosto 2013, n. 110 del Ministro dello sviluppo economico ha previsto le norme per la progressiva dematerializzazione dei contrassegni di assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi per danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada, attraverso la sostituzione degli stessi con sistemi elettronici o telematici. Il provvedimento, entrato in vigore il 18 ottobre 2013, troverà completa attuazione entro due anni (18 ottobre 2015), con la conseguente eliminazione dell’obbligo di esporre sulle autovetture il contrassegno cartaceo. L'obiettivo è quello di ridurre le frodi, contrastando la contraffazione dei contrassegni cartacei e l’evasione dell’obbligo assicurativo, tramite la sostituzione dei contrassegni attuali con controlli incrociati telematici tra le banche dati delle targhe dei veicoli e quelle delle polizze assicurative.
Si ricorda, inoltre, che il comma 4-ter dell’articolo 193 del Codice della strada (introdotto dall’articolo 13, comma 5, della legge n. 183 del 2011) ha previsto che la mancanza di copertura assicurativa obbligatoria del veicolo può essere accertata anche mediante il raffronto tra i dati delle polizze emesse dalle imprese assicuratrici e le immagini provenienti dai dispositivi di controllo del traffico e delle infrazioni (ad esempio autovelox, tutor, varchi elettronici).
La lettera b) introduce il comma 1-quinquies all’articolo 201 del Codice della strada (D.Lgs. n. 285 del 1992), prevedendo che, ove sia rilevata la violazione dell'obbligo dell'assicurazione per la responsabilità civile verso terzi per mezzo di appositi dispositivi o apparecchiature di rilevamento (lettera g-ter)), non è necessaria la presenza degli organi di polizia stradale se l'accertamento avviene mediante dispositivi o apparecchiature che sono stati omologati ovvero approvati per il funzionamento in modo completamente automatico. Essi devono essere gestiti direttamente degli organi di polizia stradale e la documentazione fotografica prodotta costituisce atto di accertamento, ai sensi di legge, in ordine al fatto che al momento del rilevamento un determinato veicolo, munito di targa di immatricolazione, stava circolando sulla strada. Qualora, in base alle risultanze del raffronto dei dati di cui al comma 1-bis, lettera g-ter), risulti che al momento del rilevamento il veicolo fosse sprovvisto della copertura assicurativa obbligatoria, si applica la sanzione prevista dal codice della strada per la circolazione senza la copertura dell'assicurazione (articolo 193), che consiste nel pagamento di una somma da 848 a 3.393 euro (lettera b) che introduce il comma 1-quinquies all’articolo 201 del D.Lgs. n. 285 del 1992).
Articolo 10
(Trasparenza
delle procedure di risarcimento)
L’articolo 10, inserendo il nuovo articolo 149-bis nel CAP, disciplina le modalità del risarcimento nei casi di cessione del credito (comma 1).
In caso di cessione del credito, si prevede che la somma da corrispondere a titolo di rimborso sia versata solo a fronte di presentazione della fattura emessa dall’impresa di autoriparazione che ha eseguito le riparazioni.
Nel corso dell’esame in sede referente è stata soppresso il comma 2, il quale consentiva al danneggiato diverso dall’assicurato di scegliere un’impresa di autoriparazione di propria fiducia nel caso in cui l’assicurato avesse sottoscritto la clausola per il risarcimento in forma specifica, beneficiando di uno sconto significativo. Tale ipotesi è stata soppressa nel corso dell’esame parlamentare.
Articolo 11
(Allineamento
della durata delle assicurazioni a copertura
dei rischi accessori alla durata dell'assicurazione
a copertura del rischio principale)
L’articolo 11, inserendo il comma 1-bis all’articolo 170-bis del CAP, estende il principio della durata annuale del contratto RC Auto e del divieto di rinnovo tacito, a richiesta dell’assicurato, anche ai contratti stipulati per i rischi accessori (ad es. incendio e furto), nel caso in cui la polizza accessoria sia stata stipulata in abbinamento a quella della R.C. Auto (con lo stesso contratto o con un contratto stipulato contestualmente).
L’articolo 170-bis del CAP, inserito dall’articolo 22 del decreto-legge n. 179 del 2012, prevede che il contratto di assicurazione obbligatoria R.C. Auto (responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) abbia durata annuale o, su richiesta dell’assicurato, di anno più frazione; la norma, inoltre, vieta il rinnovo tacito, in deroga all'articolo 1899, primo e secondo comma, del codice civile (in tema di durata dell’assicurazione).
L'impresa di assicurazione è tenuta ad avvisare il contraente della scadenza del contratto con preavviso di almeno trenta giorni. Inoltre la garanzia prestata con il contratto scaduto deve essere mantenuta operante fino a non oltre il quindicesimo giorno successivo alla scadenza del contratto, fino all'effetto della nuova polizza.
Con la modifica in esame si dispone l’allineamento della durata delle assicurazioni per i rischi accessori alla polizza per l’assicurazione RC Auto principale, permettendo la risoluzione a richiesta dell’assicurato. Tale meccanismo non si applica nei casi in cui a fornire le polizze accessorie sia un soggetto diverso dalla società di assicurazione che emette la polizza per l’assicurazione RC Auto (ad es. polizze stipulate con le case costruttrici), ovvero nel caso in cui il contratto accessorio sia stipulato in un momento diverso da quello per la RC Auto e non sia ad esso collegato.
Si segnala che la formulazione originaria dell’articolo 22 del decreto-legge n. 179 del 2012 prevedeva una disposizione analoga a quella in esame, disposizione soppressa nel corso dell’esame parlamentare del ddl di conversione.
Articolo 12
(Ultrattività
della copertura per responsabilità civile
derivante da attività professionale)
L’articolo 12, modificando l’articolo 3, comma 5, del D.L. n. 138 del 2011, prevede che nelle condizioni generali delle polizze assicurative per la responsabilità civile professionale sia inserita l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura.
In altri termini, le polizze per assicurazione professionale, fatta salva la libertà contrattuale delle parti, devono prevedere l’offerta di condizioni che non contemplano clausole che limitano la prestazione assicurativa ai sinistri denunciati nel periodo di validità del contratto. Le compagnie devono pertanto offrire prodotti che prevedano una copertura assicurativa per richieste di risarcimento presentate entro i dieci anni dalla scadenza della polizza, riferite a “errori” del professionista accaduti nel periodo di vigenza della stessa.
Il riferimento è alle
cosiddette clausole “claims made” (“a richiesta fatta”),
sulla cui legittimità si è recentemente espressa la Corte di Cassazione. Tali
clausole, in deroga a quanto previsto dall’articolo 1917 c.c. (secondo il quale
l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in
conseguenza del fatto accaduto durante
il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della
responsabilità dedotta in contratto), considerano che il sinistro si è
verificato non nel momento in cui il
fatto illecito si è consumato (regime c.d. loss
occurrence), ma quando il danneggiato presenta richiesta di risarcimento.
In sostanza l’alea sottostante al contratto non riguarda il verificarsi del
fatto illecito (l’errore colpevole che da luogo alla responsabilità civile e
che può essersi verificato in un momento precedente al tempo
dell’assicurazione), bensì l’evento della richiesta del risarcimento.
Le polizze che contengono la clausola claims made, da un lato tutelano l’assicurato anche relativamente a fatti accaduti prima della stipula del contratto, ma denunciati durante la sua vigenza; dall’altro lato lasciano scoperto il periodo successivo alla scadenza della polizza, anche se i fatti che danno luogo alla responsabilità civile sono accaduti nel periodo di vigenza della stessa.
La Cassazione con la sentenza n. 3622 del 2014 ha affermato che la clausola claim made prevede il possibile sfasamento fra prestazione dell'assicuratore (obbligo di indennizzo in relazione all'alea del verificarsi di determinati eventi) e controprestazione dell'assicurato (pagamento del premio), nel senso che possono risultare coperti da assicurazione comportamenti dell'assicurato anteriori alla data della conclusione del contratto, qualora la domanda di risarcimento del danno sia per la prima volta proposta dopo tale data, come nel caso in esame; e possono risultare viceversa sforniti di garanzia comportamenti tenuti dall'assicurato nel corso della piena validità ed efficacia della polizza, qualora la domanda di risarcimento dei danni sia proposta successivamente alla cessazione degli effetti del contratto.
Con riferimento al caso di specie (copertura per comportamenti anteriori alla data di conclusione del contratto) la Corte di appello ha ritenuto inefficace la clausola sulla base del presupposto che l'alea è elemento essenziale del contratto di assicurazione, la cui mancanza determina la nullità del contratto medesimo. In realtà nel caso in esame un'alea non concerneva i comportamenti passati nella loro materialità, ma la consapevolezza da parte dell'assicurato del loro carattere colposo e della loro idoneità ad arrecare danno a terzi. In secondo luogo, non è detto che qualunque comportamento colposo induca il danneggiato a proporre domanda di risarcimento dei danni.
In relazione a fattispecie diverse da quella in oggetto (in cui la clausola claim made è stata invocata per escludere la copertura assicurativa, pur essendosi il sinistro realizzato nel pieno vigore del contratto di assicurazione, in quanto la domanda risarcitoria è stata per la prima volta proposta dopo lo scioglimento del contratto medesimo) la clausola potrebbe effettivamente porre problemi di validità, venendo a mancare, in danno dell'assicurato, il rapporto di corrispettività fra il pagamento del premio e il diritto all'indennizzo, per il solo fatto che la domanda risarcitoria viene proposta dopo lo scioglimento del contratto (come frequentemente avviene - ben più che nel caso opposto e qui considerato - in tema di responsabilità professionale).
Si ricorda che l’articolo 3, comma 5, lettera e), del decreto-legge n. 138 del 2011 ha prescritto l’obbligo per i professionisti di stipulare un’assicurazione per la responsabilità civile per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti.
Si evidenzia che la modifica in esame dà attuazione a quanto auspicato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella segnalazione inviata il 4 luglio 2014 al Parlamento e al Governo per la predisposizione del disegno di legge in esame.
L’Antitrust ha infatti evidenziato che a fronte dell’obbligatorietà della copertura assicurativa dal lato della domanda (legge 14 settembre 2011, n. 148), dal lato dell’offerta si assiste al diffuso ricorso, da parte delle compagnie assicurative, a contratti contenenti clausole che limitano la prestazione assicurativa soltanto a quei sinistri denunciati nel corso del periodo di validità contrattuale, le c.d. clausole claims made. In particolare, i contratti offerti dalle compagnie contengono soprattutto clausole claims made “spurie” (ovvero senza un periodo di retroattività) che fanno registrare un vuoto nel periodo di copertura assicurativa del professionista in caso di cambiamento della compagnia. L’effetto è che, al fine di colmare questa mancanza di copertura, al professionista rimangono due opzioni: i) restare assicurato sempre con la stessa compagnia, ii) sostenere costi aggiuntivi acquistando anche i servizi assicurativi per i c.d. periodi di retroattività e/o postuma. Peraltro, anche nel caso di polizze claims made “pure”, vale a dire con un periodo di retroattività illimitato, il professionista che vuole essere garantito, anche dopo la cessazione della propria attività, deve comunque avvalersi dei servizi aggiunti c.d. di postuma.
L’Antitrust ha sottolineato infine che risulta, attualmente, assente dal mercato nazionale l’offerta di polizze che garantiscano la prestazione assicurativa tipizzata dall’articolo 1917 c.c. in base alla quale il professionista è comunque assicurato dai rischi di fatti illeciti occorsi nel periodo in cui era vigente la polizza, indipendentemente dal momento in cui il sinistro viene denunciato.
Articolo 13
(Interventi
di coordinamento in materia assicurativa)
L’articolo 13 introduce una serie di interventi di coordinamento in materia assicurativa e ulteriori modifiche al CAP.
Il comma 1 abroga le norme (commi 3 e 4 dell’articolo 10-bis del D.L. n. 78 del 2010) che prevedono rispettivamente:
§ la trasmissione da parte di commissioni regionali al MISE e all’IVASS, ogni tre mesi, dei dati relativi ai falsi attestati di invalidità conseguenti ad incidenti stradali;
§ la relazione annuale da parte del MISE al Parlamento sull’attuazione da parte delle società assicuratrici della riduzione dei premi R.C. Auto a seguito dei risultati conseguiti con l’applicazione delle disposizioni di contrasto ai falsi attestati di invalidità conseguenti ad incidenti stradali.
Si ricorda, peraltro, che l’articolo 30 del decreto-legge n. 1 del 2012 ha introdotto l'obbligo per le imprese operanti nel ramo R.C. Auto di trasmettere all'IVASS una relazione annuale nella quale devono essere indicati: il numero dei sinistri a rischio di frodi; il numero delle denunce presentate all'autorità giudiziaria; l'esito dei conseguenti procedimenti penali; le misure organizzative interne adottate per contrastare i fenomeni fraudolenti.
Sulla base della relazione l'IVASS esercita i suoi poteri di vigilanza al fine di assicurare l'adeguatezza dell'organizzazione aziendale e dei sistemi di liquidazione dei sinistri rispetto all'obiettivo di contrastare le frodi nel settore. Il mancato invio della relazione è sanzionato dall'IVASS con un minimo di 10.000 ed un massimo di 50.000 euro. Le imprese sono inoltre tenute a indicare in bilancio e a pubblicare sui propri siti internet una stima circa la riduzione degli oneri per i sinistri conseguente alla attività di controllo e repressione delle frodi autonomamente svolta. Le imprese di assicurazione devono inoltre rendere pubblica una stima circa la riduzione degli oneri per i sinistri derivante dall'accertamento delle frodi, conseguente all'attività di controllo e repressione delle frodi autonomamente svolta.
Si evidenzia che l’articolo 14 del provvedimento in esame attribuisce all’IVASS i poteri di vigilanza e di controllo sull’osservanza delle disposizioni introdotte, con speciale riguardo a quelle relative alla riduzione dei premi dei contratti di assicurazione, all'evoluzione dei costi per il risarcimento dei sinistri e al rispetto degli obblighi di pubblicità e di comunicazione in fase di offerta contrattuale. L’IVASS deve dare conto dell’esito della propria attività di vigilanza e di controllo nell’ambito dell’annuale relazione al Parlamento e al Governo (prevista dall’articolo 13, comma 5, del decreto-legge n. 95 del 2012, che ha istituito l’IVASS).
Il comma 2, lettera a), introducendo una nuova lettera b-bis) al comma 1 dell’articolo 128 del CAP, eleva i massimali minimi di garanzia per i veicoli a motore adibiti al trasporto di persone aventi più di otto posti a sedere, oltre il conducente (tra cui autobus e filoveicoli), ampliando le coperture a garanzia dei danneggiati: in particolare, i contratti devono essere stipulati per importi non inferiori a 15 milioni di euro per sinistro per i danni alla persona (elevato da 10 a 15 milioni in sede referente), indipendentemente dal numero delle vittime, e a 1 milione di euro per sinistro per i danni alle cose, indipendentemente dal numero dei danneggiati.
La norma entra in vigore dal 1° gennaio 2016 e gli importi sono raddoppiati da 1° gennaio 2017 (comma 3).
La norma vigente non prevede un massimale specifico per i veicoli destinati al trasporto di persone con più di otto posti a sedere, per i quali si applica l’attuale valore, generalizzato per tutti i veicoli, di 5 milioni di euro per i danni a persona e di 1 milione di euro per i danni alle cose.
Il comma 2, lett. b), modificando il comma 2 dell’articolo 135 del CAP, estende a tutte le imprese operanti in Italia, comprese quelle in regime di stabilimento e quelle in regime di libera prestazione di servizi, l’obbligo di comunicare all’IVASS i dati riguardanti i sinistri dei propri assicurati al fine di implementare le banche dati “sinistri”, “anagrafe testimoni” e “anagrafe danneggiati”. Sono espressamente inclusi anche i sinistri gestiti in qualità di impresa designata, causati da veicoli non identificati, non coperti da assicurazione e negli altri casi previsti, liquidati attraverso il Fondo di garanzia per le vittime della strada (articolo 286 del CAP).
Nel corso dell’esame in sede referente è stato previsto che
le imprese di assicurazione devono comunicare all’IVASS anche i sinistri gestiti dall’Ufficio Centrale Italiano (vale a
dire, l’Ufficio Nazionale di Assicurazione per i veicoli a motore in
circolazione internazionale) in caso di veicoli a motore muniti di targa di
immatricolazione rilasciata da uno Stato terzo (ai sensi dell’articolo 125,
comma 5, del CAP) e in caso di liquidazione
dei danni a cura dell'Organismo di indennizzo italiano (articolo 296 del CAP).
L’articolo 135, comma 2, vigente prevede, invece, che i dati relativi alle imprese di assicurazione che operano nel territorio della Repubblica in regime di libera prestazione dei servizi o in regime di stabilimento sono richiesti dall'IVASS alle rispettive autorità di vigilanza degli Stati membri interessati.
Si ricorda che l’assicurazione RC Auto in Italia può essere rilasciata da imprese italiane autorizzate o da imprese estere aventi sede legale in uno dei Paesi membri della EU o dello Spazio Economico Europeo (comprendente l'Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia che non fanno parte della UE), ammesse ad operare in Italia ed abilitate ad emettere polizze di responsabilità civile obbligatoria auto o natanti.
Le imprese possono scegliere di operare sia in regime di stabilimento, con l'apertura di una rappresentanza in Italia, sia in regime di libera prestazione di servizi (articoli 23 e 24 del CAP).
Qualora l'impresa estera operi in regime di libera prestazione di servizi, non avendo una sede stabile in Italia, la normativa prevede che la stessa nomini un rappresentante, che deve risiedere in Italia, incaricato della gestione dei sinistri e della liquidazione dei relativi risarcimenti, con il potere di rappresentare l'impresa in giudizio per quanto riguarda le controversie che dovessero insorgere in materia di risarcimento dei danni (articolo 25 del CAP). Le imprese estere, a differenza delle imprese italiane, non hanno l'obbligo di aderire alla Convenzione tra assicuratori per il risarcimento diretto - CARD. (articolo 150 del CAP).
In sede referente sono state soppresse le norme (comma 2, lettere c) e d)) che modificavano l’articolo 285, comma 4, e l’articolo 287 del CAP, in quanto ricalcavano un precedente intervento legislativo (articolo 1, comma 209, del D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 74 – attuativo della direttiva Solvency II).
Il comma 4 dell’articolo 285 del CAP, prevede che la misura del contributo che le imprese devono versare annualmente alla CONSAP, per il Fondo di garanzia per le vittime della strada, sia fissato annualmente con le modalità determinate con il regolamento ministeriale previsto dal comma 2 dello stesso articolo. Con la modifica apportata si chiarisce che la misura del contributo non è fissata con il decreto ministeriale, ma con atto amministrativo sulla base delle modalità determinate dal decreto. Rimane invariato il limite massimo del contributo fissato nel quattro per cento del premio imponibile.
L’articolo 287 del CAP, prevede che in caso di liquidazione mediante il Fondo di garanzia per le vittime della strada, il danneggiato debba chiedere il risarcimento del danno, a mezzo raccomandata, all'impresa designata, inviando solo una copia contestuale alla CONSAP. La norma previgente prevedeva, invece che la richiesta dovesse essere inoltrata anche alla CONSAP.
Il comma 2, lettera e), modificando il comma 4 dell’articolo 303 del CAP, prevede che la misura del contributo che le imprese devono versare annualmente alla CONSAP, per il Fondo di garanzia per le vittime della caccia, sia fissato annualmente con le modalità determinate con il regolamento ministeriale previsto dal comma 2 dello stesso articolo. Si chiarisce in tal modo che la misura del contributo non è fissata con il decreto ministeriale, ma con atto amministrativo sulla base delle modalità determinate dal decreto. Il limite massimo del contributo è elevato dal cinque al quindici per cento del premio imponibile.
La relazione illustrativa afferma al riguardo che l’attuale percentuale massima di contribuzione non è sufficiente a coprire le esigenze finanziarie del Fondo, che si trova pertanto a operare in una situazione di squilibrio strutturale e che ha registrato, già in fase di chiusura dell’esercizio 2007, un disavanzo di 695.000 euro circa, che risulta confermato e incrementato negli esercizi successivi. La stessa Corte dei conti ha annualmente evidenziato, a partire dal 2005, in sede di relazione al Parlamento sui risultati del controllo sulla gestione finanziaria della CONSAP Spa, l’esigenza di un intervento normativo per garantire l’equilibrio strutturale del Fondo. L’aumento del contributo, che almeno per qualche anno dovrebbe essere portato fino alla misura del 15 per cento del premio imponibile, è stato già in passato valutato dal Comitato di gestione del Fondo come idoneo a riportare il Fondo stesso in situazione di equilibrio e determinerebbe comunque aumenti estremamente contenuti in valore assoluto dei premi assicurativi (che il predetto Comitato ha stimato in un aggravio di circa1 o 2 euro l’anno per ogni cacciatore assicurato).
Il comma 2, lett. f), sostituendo l’articolo 316 del CAP, prevede un’unica sanzione amministrativa (da 5.000 a 50.000 euro) in caso di violazione da parte delle imprese assicuratrici degli obblighi di comunicazione all’IVASS dei dati riguardanti i sinistri dei propri assicurati al fine di implementare le banche dati “sinistri”, “anagrafe testimoni” e “anagrafe danneggiati” (previsti dall’articolo 135, comma 2, del CAP).
A differenza della disposizione vigente che differenzia il comportamento dell’impresa che omette completamente di inviare i dati (per il quale è stabilita una sanzione da 1.000 a 10.000 euro), da quello dell’invio in forma incompleta o errata (in tal caso è stabilità una pena dimezzata), con le modifiche in esame si prevede una sanzione amministrativa pecuniaria unica e più elevata (da 5.000 a 50.000 euro) per tutti i casi di omissione, incompletezza, erroneità o tardività delle comunicazioni obbligatorie. Tale omissione è accertata semestralmente e contestata con unico atto da notificare entro il termine di centoventi giorni (centottanta per i soggetti residenti all'estero) decorrente dal sessantesimo giorno successivo alla scadenza del semestre di riferimento.
La nuova formulazione dell’articolo 316 non considera più punibile con la sanzione amministrativa in esame la violazione da parte delle imprese assicuratrici degli obblighi di comunicazione al Centro di informazione italiano previsti dall’articolo 154, commi 4 e 5.
La gestione del Centro di informazione italiano è stata trasferita dall’Isvap alla Consap a decorrere dal 1° gennaio 2013, data di subentro dell'IVASS delle funzioni precedentemente attribuite a Isvap (articolo 13, comma 36 del D.L. n. 95 del 2012).
Il Centro di informazione italiano ha il compito di fornire informazioni agli aventi diritto al risarcimento a seguito di un sinistro avvenuto in uno Stato membro diverso da quello di residenza causato dalla circolazione dei veicoli a motore immatricolati e assicurati in uno degli Stati dello Spazio Economico Europeo. In particolare il Centro di Informazione: detiene le informazioni relative alla copertura assicurativa dei veicoli stazionanti abitualmente in Italia; detiene altresì le informazioni relative ai mandatari per la gestione e la liquidazione dei sinistri RC Auto nominati dalle imprese Italiane negli altri Stati dello Spazio Economico Europeo; fornisce informazioni ai danneggiati sull'impresa di assicurazione del veicolo estero responsabile e del suo mandatario in Italia, nel caso di sinistri accaduti all'estero; fornisce informazioni ai danneggiati sulla copertura assicurativa de veicolo italiano che ha causato il sinistro.
In sede referente è stato aggiunto il comma 1-bis all’articolo 316 del CAP prevedendo un’unica sanzione amministrativa (da 10.000 a 100.000 euro) in caso di violazione da parte delle imprese assicuratrici degli obblighi di comunicazione all’IVASS dei dati relativi: ai numeri di targa dei veicoli assicurati, ai numeri di polizza, alla data di cessazione della copertura assicurativa, ai nominativi dei mandatari per la liquidazione dei sinistri nominati in ciascuno Stato membro e, a richiesta, tempestivamente i dati relativi al nome ed indirizzo del proprietario o dell'usufruttuario o dell'acquirente con patto di riservato dominio o del locatario in caso di locazione finanziaria (articolo 154, comma 4 del CAP).
La norma fa riferimento a tutti i casi di omissione, incompletezza, erroneità o tardività delle comunicazioni obbligatorie relativi all’articolo 154, commi 4 e 5 del CAP. Tale omissione è accertata semestralmente e contestata con unico atto da notificare entro il termine di centoventi giorni (centottanta per i soggetti residenti all'estero) decorrente dal sessantesimo giorno successivo alla scadenza del semestre di riferimento.
Il comma 3, come sopra riportato, stabilisce la decorrenza dal 1° gennaio 2016 dell’aumento dei massimali minimi di garanzia per i veicoli a motore adibiti al trasporto di persone aventi più di otto posti a sedere, oltre il conducente, stabiliti dall’articolo 128 del CAP, come modificato dal comma 1 dell’articolo in esame. Si prevede, inoltre, che gli importi indicati sono raddoppiati a decorrere dal 1° gennaio 2017.
Il comma 4 apporta modifiche al decreto-legge n. 1 del 2012.
In particolare la lettera a) del comma 4, modificando il comma 1-bis dell’articolo 29, incide sul sistema del risarcimento diretto. Si prevede che l’IVASS, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della disposizione in esame, proceda alla revisione del criterio in base al quale sono calcolati i valori dei costi e delle eventuali franchigie per la compensazione tra le compagnie, qualora tale criterio non abbia garantito un effettivo recupero di efficienza produttiva delle compagnie, attraverso la progressiva riduzione dei costi dei rimborsi e l’individuazione delle frodi.
Si ricorda che
l’articolo 29 del decreto-legge n. 1 del 2012 ha previsto
che nell'ambito del sistema di
risarcimento diretto, disciplinato dall'articolo 150 del CAP, i valori dei
costi e delle eventuali franchigie sulla base dei quali vengono definite le
compensazioni tra compagnie siano calcolati annualmente secondo un criterio che incentivi l'efficienza
produttiva delle compagnie ed in particolare il controllo dei costi dei
rimborsi e l'individuazione delle frodi. All’IVASS è attribuito il compito di
definire tale criterio e di stabilire
annualmente il limite alle compensazioni dovute (comma 1-bis). In tal modo, nella regolazione
contabile dei rapporti economici per la gestione del risarcimento diretto, sono
previste delle soglie ai rimborsi
ricevuti dalla compagnia del danneggiato modulati in funzione degli
obiettivi di efficienza che devono essere raggiunti dalle compagnie.
L’articolo 150 del D.Lgs. n. 209
del 2005 prevede che con D.P.R., su proposta del Ministro delle
attività produttive, sono stabiliti, tra l’altro, i principi per la
cooperazione tra le imprese di assicurazione, ivi compresi i benefici derivanti
agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto. In attuazione di ciò è
stato emanato il D.P.R. n. 254 del 2006,
il cui articolo 13 prevede che le imprese di assicurazione stipulano fra loro
una convenzione ai fini della
regolazione dei rapporti organizzativi ed economici per la gestione del
risarcimento diretto. A seguito dell’intervento legislativo
che ha introdotto il sistema del risarcimento diretto è stata sottoscritta la Convenzione tra Assicuratori per il
Risarcimento Diretto (CARD). Da
un’indagine conoscitiva dell’Antitrust emerge che il sistema CARD ha prodotto
importanti benefici in termini di qualità delle prestazioni delle imprese
associate, ad esempio, ai tempi di liquidazione dei sinistri. Risultano
tuttavia fenomeni opportunistici da parte delle compagnie che sembrano aver
adeguato il proprio portafoglio clienti e le aree di operatività nel tentativo
di “sfruttare” il meccanismo di compensazione sottostante il sistema CARD,
catturando il differenziale positivo tra forfait ricevuto e risarcimento effettivamente
corrisposto. Ciò va ad aggiungersi all’assenza di adeguati incentivi al
controllo dei costi e all’inadeguatezza delle procedure di contrasto dei
fenomeni fraudolenti adottate dalle compagnie, che spesso danno luogo ad
aumenti dei premi. Al fine di migliorare il sistema di funzionamento del
risarcimento diretto, è stato suggerito un intervento di affinamento del
funzionamento del sistema CARD finalizzato a introdurre adeguati incentivi al
controllo dei costi dei risarcimenti tramite recuperi di efficienza che si è
realizzato con le previsioni dell’articolo 29 del D.L. n. 1 del 2012.
Il comma 4, lett. b), abroga il comma 3-quater dell’articolo 32 del decreto-legge n. 1 del 2012, il quale prevede che il danno alla persona per lesioni di lieve entità può essere risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione.
Si ricorda che il comma 3-quater in esame è stato introdotto nel corso della conversione del decreto-legge n. 1 del 2012 contestualmente ad un’altra norma dal contenuto in parte identico. Infatti il comma 3-ter dello stesso articolo 32, modificando il comma 2 dell’articolo 139 del CAP (Danno non patrimoniale per lesioni di lieve entità), ha disposto che le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente.
Peraltro il comma 2 dell’articolo 139 del CAP è stato modificato dall’articolo 7 del provvedimento in esame, nel corso dell’esame in sede referente. Con tale modifica è stato precisato che con riferimento alle lesioni quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazione, è ammesso un esame visivo ai fini della loro risarcibilità per danno biologico permanente.
Il comma 4, lett. c), abroga i commi 1 e 2 dell’articolo 34 del decreto-legge n. 1 del 2012, i quali prevedono l’obbligo per gli intermediari che distribuiscono polizze R.C. Auto di informare il cliente, in modo corretto, trasparente ed esaustivo, sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre diverse compagnie assicurative non appartenenti a medesimi gruppi. Il contratto stipulato senza la dichiarazione del cliente di aver ricevuto tali informazioni è affetto da nullità rilevabile solo a favore dell'assicurato.
Si ricorda che l’articolo 3 del disegno di legge in esame ha introdotto nel CAP il nuovo articolo 132-bis il quale prescrive l’obbligo per gli intermediari, prima della sottoscrizione di un contratto R.C. Auto, di informare il consumatore in modo corretto, trasparente ed esaustivo sui premi offerti da tutte le imprese di cui sono mandatari relativamente al contratto di base (comma 1). Il comma 2 dell’articolo 132-bis prevede che gli intermediari forniscono i premi offerti dalle imprese mediante collegamento internet al preventivatore consultabile sul sito internet dell’IVASS e del Ministero dello sviluppo economico, senza obbligo di rilascio di supporti cartacei. Il comma 3 demanda all’IVASS il compito di adottare le disposizioni attuative in modo da garantire accesso e risposta on-line, sia ai consumatori che agli intermediari, esclusivamente per i premi applicati dalle imprese per il contratto base relativo ad autovetture e motoveicoli. Il comma 4 dispone la nullità rilevabile solo a favore dell’assicurato del contratto stipulato senza la dichiarazione del cliente di aver ricevuto le informazioni di cui al comma 1.
Si ricorda che la
disciplina dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile auto
è stata modificata con riguardo ai profili in commento dal decreto-legge, 4
luglio 2006, n. 223 (c.d. primo pacchetto liberalizzazioni). Nel dettaglio, è stato vietato (articolo 8, commi 1-2,
decreto-legge n. 223 del 2006) alle compagnie di assicurazione e ai loro agenti
di vendita operanti nel settore RC Auto di stipulare
nuove clausole contrattuali di distribuzione esclusiva e di imposizione di
prezzi minimi, ovvero di sconti massimi, praticabili nei riguardi dei consumatori
contraenti, a pena di nullità - per
contrarietà a norme imperative - delle clausole contrattuali stipulate in
contravvenzione a tale divieto. L'ambito di applicazione è stato esteso non
solo agli agenti assicurativi, ma anche ad ogni altro “distributore di servizi
assicurativi" relativi al ramo responsabilità civile auto.
Ai fini dell’applicazione della normativa antitrust, le norme (articolo 8, comma 3) hanno classificato come rientranti nella categoria delle intese restrittive della libertà di concorrenza (come disciplinata dall'articolo 2 della legge n. 287 del 1990) l’imposizione di un mandato di distribuzione esclusiva o del rispetto di prezzi minimi o di sconti massimi, nell’adempimento dei contratti di assicurazione RC Auto.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) ha segnalato, tra le proposte per favorire la concorrenza nel settore, la necessità di favorire la mobilità della clientela. Vista la complessità dei servizi assicurativi, è stato suggerito di sostenere lo sviluppo sia di broker, sia di agenti plurimandatari, vale a dire di figure professionali, sostanzialmente indipendenti dalle compagnie, la cui funzione - e il cui precipuo interesse - sarebbe proprio quella di consigliare gli utenti, i quali, secondo l’Autorità, non sarebbero in grado di selezionare da soli il prodotto per essi migliore. Al contrario, ad oggi si rileva una scarsa diffusione di agenti plurimandatari. Secondo alcune stime di operatori del settore, a fronte, del 7,8% di agenti plurimandatari nel 2007, si sarebbe passati al 13,4% nel 2008 e al 17,6% nel 2009. Inoltre, risulterebbe che il plurimandato non si sarebbe diffuso tra le compagnie di maggiori dimensioni, le quali hanno continuato ad operare con reti di agenti di fatto monomandatari, non concedendo mandati ad agenti plurimandatari.
Da ultimo con il provvedimento n. 24935/2014 l’Antitrust ha chiuso un’istruttoria avviata (I702) per verificare eventuali comportamenti anticoncorrenziali nel ramo danni, finalizzati a ostacolare l’esercizio del plurimandato da parte degli agenti assicurativi. In particolare, è stato deciso di accettare, rendendoli vincolanti, gli impegni presentati dalle principali compagnie assicurative, finalizzati proprio a rimuovere le clausole contrattuali che rendevano difficile per gli agenti la gestione di più mandati. In particolare tali clausole riguardavano: le disposizioni relative all’esclusiva nei contratti agenziali e all’informativa in caso di assunzione di altri mandati; le disposizioni relative all’operatività degli agenti; il sistema delle provvigioni.
Il comma 5, modificato in sede referente, estende l’ambito di operatività dell’archivio informatico integrato dell’IVASS, prevedendo che esso sia connesso anche con i seguenti archivi:
§ casellario giudiziale e casellario dei carichi pendenti istituito presso il Ministero della Giustizia;
§ l’anagrafe tributaria, limitatamente alle informazioni di natura anagrafica, incluso il codice fiscale o la partita IVA;
§ l’anagrafe nazionale della popolazione residente;
§ il Casellario centrale infortuni presso l’INAIL (lett. a)).
Si prevede, inoltre, che il decreto ministeriale attuativo della norma disciplini anche la possibilità di consultazione dell’archivio da parte delle imprese di assicurazione nella fase di assunzione del rischio, al fine di accertare la veridicità delle informazioni fornite dal contraente (lett. b)).
Si ricorda che l’articolo 132 del CAP, comma 1-ter, come modificato dall’articolo 2 del disegno di legge in esame, dispone che la verifica della correttezza dei dati risultanti dall’attestato di rischio, nonché dell’identità del contraente e dell’intestatario del veicolo, se persona diversa, deve essere effettuata anche mediante consultazione delle banche dati di settore e dell’archivio antifrode istituito presso l’IVASS. Qualora dalla consultazione risulti che le informazioni fornite dal contraente non sono corrette o veritiere, le imprese di assicurazione non sono tenute ad accettare le proposte loro presentate.
Si ricorda che l’articolo 21 del decreto-legge n. 179 del 2012 ha previsto l’istituzione presso l’IVASS di un archivio informatico integrato connesso con una serie di banche dati esistenti, con la finalità di favorire la prevenzione e il contrasto delle frodi nel settore RC Auto, per migliorare l’efficacia dei sistemi di liquidazione dei sinistri e per individuare i fenomeni fraudolenti. In particolare si prevede che esso sia connesso con:
§ la banca dati degli attestati di rischio (prevista dall'articolo 134 del D.Lgs. n. 209 del 2005, Codice delle Assicurazioni Private);
§ la banca dati sinistri e le banche dati anagrafe testimoni e anagrafe danneggiati (istituite dall'articolo 135 del medesimo CAP);
§ l'archivio nazionale dei veicoli e l'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida (istituiti dall'articolo 226 del codice della strada);
§ il Pubblico Registro Automobilistico, istituito presso l’ACI;
§ i dati a disposizione della CONSAP per la gestione del fondo di garanzia per le vittime della strada (di cui all'articolo 283 del CAP) e per la gestione della liquidazione dei danni a cura dell'impresa designata (di cui all'articolo 286 del CAP);
§ i dati a disposizione per i sinistri con veicoli immatricolati in Stati esteri gestiti dall'Ufficio centrale italiano (di cui all’articolo 126 del CAP);
§ ulteriori archivi e banche dati pubbliche e private, individuate con decreto interministeriale.
In attuazione di
quanto previsto dall'articolo 21, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 17, il decreto 11
giugno 2015, n. 108 del Ministero dello Sviluppo Economico di concerto
con il Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 162 del 15 luglio 2015) ha istituito l'archivio informatico
integrato di cui si avvale l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni
private e di interesse collettivo (IVASS) per l'individuazione e il contrasto
delle frodi assicurative nel settore dell'assicurazione della responsabilità
civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. Lo scopo dell'archivio
informatico integrato è quello di fornire alle imprese di assicurazione (nonché
all'autorità giudiziaria e alle forze di polizia) indicazioni sul livello di
anomalia di ogni sinistro comunicato alla banca dati sinistri, utilizzando
idonei indicatori, ottenuti dalle verifiche e dalle integrazioni delle
informazioni contenute negli altri archivi connessi, in modo da consentire di
porre in essere un'attività antifrode più mirata ed efficace.
Il regolamento
prevede la connessione dell'archivio integrato con le seguenti banche dati: a)
banca dati dei contrassegni assicurativi; b) archivio nazionale dei veicoli; c)
anagrafe nazionale degli abilitati alla guida; d) PRA: il pubblico registro
automobilistico; e) ruolo dei periti assicurativi. Con un successivo decreto
saranno disciplinate la tempistica e le modalità di connessione di ulteriori
banche dati.
Il comma 5-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, prevede che l’IVASS può richiedere alle imprese di assicurazione i dati relativi alle querele presentate all’Autorità giudiziaria per frode assicurativa o reati collegati ed utilizzare tali informazioni esclusivamente per attività di contrasto di tali frodi all’interno dell’archivio informatico integrato.
Articolo 14
(Poteri
dell'IVASS per l'applicazione delle norme introdotte)
L’articolo 14 attribuisce all’IVASS i poteri di vigilanza e di controllo sull’osservanza delle disposizioni introdotte dal provvedimento in esame, con speciale riguardo a quelle relative a:
§ la riduzione dei premi dei contratti di assicurazione,
§ l'evoluzione dei costi per il risarcimento dei sinistri (introdotto in sede referente);
§ il rispetto degli obblighi di pubblicità e di comunicazione in fase di offerta contrattuale.
L’IVASS deve dare conto dell’esito della propria attività di vigilanza e di controllo nell’ambito dell’annuale relazione al Parlamento e al Governo (prevista dall’articolo 13, comma 5, del decreto-legge n. 95 del 2012, che ha istituito l’IVASS).
Il comma 1-bis, introdotto in sede referente, prevede l’obbligo per le imprese di assicurazione di pubblicare sul proprio sito internet, entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello a cui i dati si riferiscono, l’entità della riduzione dei premi, con forme di pubblicità che ne rendano efficace e chiara l’applicazione. Gli stessi dati sono comunicati, entro i trenta giorni successivi, anche al MISE e all’IVASS, ai fini della pubblicazione sui rispettivi siti internet.
Il comma 1-ter, introdotto in sede referente, prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a 100.000 euro in caso di inosservanza di quanto previsto dal precedente comma.
Il comma 2 modifica l’articolo 328 del CAP
al fine di includere anche i proventi derivanti dalle le sanzioni previste dal
nuovo articolo 145-bis del CAP (introdotto
dall’articolo 8 del disegno di legge in esame) tra quelle destinate ad alimentare il Fondo di garanzia per le
vittime della strada, gestito dalla CONSAP. Il richiamato articolo 145-bis al comma 4 stabilisce che il
mancato adeguamento, da parte dell’impresa di assicurazione o dell’operatore di
telematica assicurativa, alle condizioni stabilite dal regolamento ministeriale
al fine di assicurare l’interoperabilità e la portabilità delle scatole nere e
dei meccanismi assimilati (previsto dell’articolo 32, comma 1-bis, del
decreto-legge n. 1 del 2012 e non ancora emanato) comporta l’applicazione da
parte dell’IVASS di una sanzione
amministrativa pecuniaria di euro 3.000 per ogni giorno di ritardo.
Il comma 3 prevede che l’IVASS, d’intesa con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, monitora le variazioni dei premi assicurativi offerti al consumatore e l’evoluzione dei costi per il risarcimento dei sinistri nei ventiquattro mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge in esame.
Il comma 4 contiene una clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che le amministrazioni competenti provvedono all’attuazione delle disposizioni previste dall’articolo 2 all’articolo 15 nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Articolo 15
(Portabilità dei fondi pensione)
L’articolo 15, modificato durante l’esame in sede referente, contiene disposizioni concernenti i fondi pensione.
Sono in particolare innovate le procedure che permettono di anticipare l’erogazione delle prestazioni pensionistiche nel caso di perdita del lavoro e conseguente inoccupazione: si chiarisce anzitutto che l’anticipo della prestazione, o di parti di esse, è consentito in caso di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 24 mesi - in luogo degli attuali 48 - fermo restando un anticipo di cinque anni rispetto ai requisiti per l'accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio di appartenenza.
A seguito delle modifiche apportate in dalle Commissioni riunite VI e X, nella predetta ipotesi le prestazioni pensionistiche o parti di esse possano essere erogate, su richiesta dell'aderente, in forma di rendita temporanea; si affida ai regolamenti delle forme pensionistiche complementari la possibilità di innalzare il menzionato anticipo fino a un massimo di dieci anni.
Per effetto delle modifiche apportate dalle Commissioni riunite, è stata soppressa la facoltà per le forme pensionistiche complementari di raccogliere sottoscrizioni anche tra i lavoratori appartenenti a categorie professionali diverse da quella di riferimento. E’ stata inoltre soppressa la norma che prevedeva che il diritto del lavoratore al versamento alla forma pensionistica da lui prescelta del T.F.R. maturando e dell'eventuale contributo a carico del datore di lavoro non fosse più sottoposto ai limiti e alle modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali.
In sede referente è
stata introdotta una norma che affida al Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la
convocazione di tavolo di consultazione
per ad avviare un processo di riforma
delle forme pensionistiche complementari.
La lettera a)
del comma 1 è stata soppressa
durante l’esame in sede referente.
Essa, aggiungendo il comma 3-bis all’articolo 3 del D.Lgs. 252/2005,
prevedeva la facoltà, per le fonti
istitutive sia delle forme pensionistiche complementari che risultassero già
istituite alla data del 15 novembre 1992 (di cui all’articolo 20 dello stesso
D.Lgs. 252/2005), sia di quelle istituite successivamente, con soggettività
giuridica e operanti secondo il principio della contribuzione definita, di
raccogliere sottoscrizioni anche tra
i lavoratori appartenenti a categorie professionali diverse da quella
di riferimento.
La lettera b) del comma 1, anch’essa modificata in sede referente, sostituisce interamente il comma 4 dell’articolo 11 del D.Lgs. 252/2005 ed interviene, in tal modo, sulla procedura che permette di anticipare l’erogazione delle prestazioni pensionistiche, su richiesta dell’aderente, nel caso in cui esso perda il lavoro e si ritrovi inoccupato per un determinato periodo di tempo.
Più specificamente, l’anticipo dell’erogazione delle prestazioni pensionistiche o – per effetto delle modifiche in sede referente – di parti di esse è consentito in caso di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 24 mesi (in luogo degli attuali 48) e con un anticipo massimo di cinque anni rispetto ai requisiti per l'accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio di appartenenza (comma 1, lettera b)).
A seguito delle modifiche apportate dalle Commissioni riunite VI e X, in tal caso le prestazioni pensionistiche possano essere erogate, su richiesta dell'aderente, in forma di rendita temporanea, fino al conseguimento dei requisiti di accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio.
Il testo del disegno di legge in origine prevedeva che il termine massimo per l’anticipo delle prestazioni pensionistiche, in caso di inoccupazione prolungata, fosse di dieci anni in luogo degli attuali cinque; tale previsione è stata modificata in sede referente, affidando ai regolamenti delle forme pensionistiche complementari la possibilità di innalzare detto anticipo fino a un massimo di dieci anni.
L’articolo 11 del D.Lgs. 252/2005 contiene disposizioni in merito alle prestazioni delle forme pensionistiche complementari. In particolare, oltre a precisare che spetta alle forme pensionistiche complementari definire i requisiti e le modalità di accesso alle prestazioni, la norma dispone che il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, “fermo restando il possesso di almeno 5 anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari”.
Più specificamente, le prestazioni pensionistiche in regime di prestazione definita e contribuzione definita possono essere erogate in capitale, al valore attuale, fino ad un massimo del 50% del montante finale accumulato, e in rendita. Nel computo dell’importo complessivo erogabile in capitale sono detratte le somme erogate a titolo di anticipazione per le quali non si sia provveduto al reintegro.
Inoltre, le norme vigenti prevedono (vigente comma 4) la possibilità, da parte delle forme pensionistiche complementari, di anticipare le prestazioni, su richiesta dell’aderente, per un periodo massimo di 5 anni rispetto ai normali requisiti per l’accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio di appartenenza. Tale agevolazione opera a condizione che l’attività lavorativa cessi comportando uno stato di inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi.
La norma poi contiene disposizioni volte a regolamentare alcuni fattispecie specifiche (morte del titolare, possibilità di richiedere anticipazioni in relazione alla posizione individuale maturata, sottoposizione delle prestazioni pensionistiche in capitale e rendita e delle anticipazioni agli stessi limiti di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità in vigore per le pensioni a carico degli istituti di previdenza obbligatoria).
Per quanto attiene, infine, al regime tributario delle prestazioni pensionistiche complementari, si prevede l’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta sulle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale o di rendita. La base imponibile è costituita dall’ammontare complessivo della prestazione, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta. Per le prestazioni periodiche, inoltre, sono esclusi dalla base imponibile anche i redditi di capitale derivanti dai rendimenti dell’ammontare della posizione individuale maturata, che dà origine alle prestazioni pensionistiche in corso di erogazione (di cui alla lettera g-quinquies) del comma 1 dell’articolo 44 del TUIR), se determinabili.
La lettera c) del comma 1 in primo luogo (n. 1) sostituisce il comma 5 dell’articolo 14 del D.Lgs. n. 252 del 2005, norma che regolamenta la permanenza nel fondo pensione e la cessazione dei requisiti di partecipazione.
Viene così modificato il regime fiscale applicabile alle somme percepite nel caso di perdita dei requisiti di partecipazione al fondo.
La tassazione delle somme percepite a titolo di riscatto è diversa secondo la causa che determina il riscatto: ai sensi dell’articolo 14, comma 4, nei casi di riscatto della posizione individuale per cessazione dell’attività lavorativa o in caso di invalidità permanente, o in favore degli eredi o dei beneficiari in caso di morte dell’iscritto, sulle somme percepite è operata una ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15 per cento, ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali, sul medesimo imponibile indicato (ossia sull’ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati a imposta e a quella derivante dai rendimenti, se determinabili). Se le cause del riscatto sono diverse dalle quelle in precedenza richiamate si applica una ritenuta a titolo d’imposta, nella misura del 23%, sul medesimo imponibile indicato (ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati a imposta e a quella derivante dai rendimenti, se determinabili).
Per effetto delle norme in esame si chiarisce che in caso di perdita dei requisiti di partecipazione al fondo per cause diverse da quelle di cui ai già illustrati commi 2 e 3, il riscatto della posizione sia possibile nelle forme collettive così come in quelle individuali, e che su tali somme si applica la ritenuta del 23 per cento.
Durante l’esame in sede referente è stato soppresso il n. 2 della lettera c) del comma 1: la norma soppressa stabiliva che il diritto del lavoratore al versamento alla forma pensionistica da lui prescelta del T.F.R. maturando e dell'eventuale contributo a carico del datore di lavoro non fosse più sottoposto ai limiti e alle modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali.
Il comma 1-bis, anch’esso introdotto in sede referente, chiarisce che per aumentare l'efficienza dei fondi pensione il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, convochi un tavolo di consultazione cui partecipano le organizzazioni sindacali e le rappresentanze datoriali maggiormente rappresentative in ambito nazionale, nonché esperti della materia previdenziale, finalizzato ad avviare un processo di riforma delle medesime forme pensionistiche. La consultazione deve svolgersi secondo le seguenti linee guida:
§ revisione dei requisiti per l'esercizio dell'attività dei fondi pensione, fondata su criteri ispirati alle migliori pratiche nazionali e internazionali, con particolare riferimento all'onorabilità e professionalità dei componenti degli organi di amministrazione e controllo e degli altri organi collegiali;
§ fissazione di soglie patrimoniali di rilevanza minima in funzione delle caratteristiche dimensionali dei patrimoni gestiti, dei settori di appartenenza, della natura delle imprese interessate, delle categorie dei lavoratori interessati, nonché dei regimi gestionali;
§ individuazione di procedure di aggregazione finalizzate ad aumentare il livello medio delle consistenze e ridurre i costi di gestione e i rischi.
Articolo 16
(Eliminazione di vincoli per il cambio di
fornitore di servizi di
telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche)
L’articolo 16 elimina una serie di vincoli che
sono oggi presenti nei contratti con
i fornitori di servizi di telefonia,
televisivi e di comunicazioni
elettroniche in generale. A tal fine, la disposizione modifica l’articolo 1 del
decreto-legge n. 7/2007, nella parte dedicata ai contratti con gli operatori di
questi settori: telefonia, reti televisive e comunicazione elettronica.
Le modifiche sono di tre ordini:
§ la lettera a), aggiungendo un periodo al comma 3 dell’art. 1 sopra citato, prevede che le spese e gli altri oneri comunque previsti in caso di recesso o trasferimento dell'utenza ad altro operatore debbano essere commisurati al valore del contratto e che vadano in ogni caso resi noti al consumatore al momento della pubblicizzazione dell’offerta e della sottoscrizione del contratto. Si prevede inoltre l’obbligo di comunicarli, in via generale, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, esplicitando analiticamente la composizione di ciascuna voce e la rispettiva giustificazione economica, in modo da permettere ad AGCOM un più efficace controllo preventivo delle spese richieste per il recesso.
Si ricorda che l’art. 1 del D.L. n. 7/2007 prevede attualmente, ai commi 2 e 3, che l'offerta commerciale dei prezzi dei differenti operatori della telefonia evidenzi tutte le voci che compongono l'offerta, al fine di consentire ai singoli consumatori un adeguato confronto e che i contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, debbano prevedere la facoltà di recesso del contraente o di trasferimento delle utenze ad un altro operatore senza vincoli temporali o ritardi e senza spese non giustificate da costi dell'operatore. E’ fatto divieto inoltre di imporre obblighi di preavviso superiori a trenta giorni. Le clausole difformi sono nulle.
§ la lettera
b) aggiunge al comma 3
dell’art. 1, i commi 3-bis, 3-ter
e 3-quater. Con tali nuove disposizioni si prevede innanzitutto che
le modalità di recesso dal contratto
stipulato con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione
elettronica, nonché il passaggio ad
altro gestore, siano semplici e di
immediata attuazione e, soprattutto, analoghe
alle forme utilizzate per l’attivazione
di un contratto, così da facilitare il recesso (nuovo comma 3-bis).
Il nuovo comma 3-ter prevede che qualora il contratto comprenda offerte promozionali esso non possa avere durata superiore a ventiquattro mesi e che nel caso di risoluzione anticipata si applichino i medesimi obblighi informativi e i medesimi limiti agli oneri per il consumatore introdotti dalla lettera a) al comma 3, terzo periodo (quindi commisurati al valore del contratto, resi noti al consumatore e comunicati in via generale all’AGCOM), e che comunque gli eventuali costi di uscita debbano essere equi e proporzionati al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta.
Il nuovo
comma 3-quater, dispone l’obbligo
per i gestori dei servizi di telefonia e di comunicazioni elettroniche, di
acquisire il previo consenso espresso
per l'eventuale addebito al cliente del costo di servizi in
abbonamento offerti da terzi.
§ la lettera
c) modifica il comma 4
dell’articolo 1 del D.L. n. 7, che prevede in generale il potere dell’AGCOM di vigilare sull’attuazione di
tutte le disposizioni dell’articolo 1, demandandole anche la competenza a
stabilire le disposizioni di attuazione
del nuovo comma 3-quater (che prevede l’obbligo del previo consenso
espresso per l’addebito di servizi da terzi). Si estende inoltre il potere
sanzionatorio dell’AGCOM anche
alle violazioni delle disposizioni dei nuovi commi 3-bis, 3-ter
e 3-quater.
Attualmente il comma 4 dell’art. 1 prevede che l'AGCOM stabilisca le modalità attuative delle disposizioni del solo comma 2 e che possa sanzionare la violazione delle disposizioni dei commi 1, 2 e 3, applicando l'articolo 98 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003).
L’art. 98 richiamato prevede sanzioni per tutta una serie di violazioni in cui possono incorrere gli operatori di rete di servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico, che vanno dall’istallazione e fornitura di reti senza autorizzazione generale, alla mancata ottemperanza ad ordini e diffide impartiti ai sensi del Codice dal Ministero o dall'Autorità,: per quest’ultimo caso è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 120.000 ad euro 2.500.000. Se l'inottemperanza riguarda provvedimenti adottati dall'Autorità in ordine alla violazione di disposizioni relative ad imprese aventi significativo potere di mercato, è prevista l’applicazione a ciascun soggetto interessato di una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra il 2 per cento ed il 5 per cento del fatturato realizzato nell'ultimo esercizio.
Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, modifica l’articolo 70, comma 3, lettera f), numero 3, del decreto legislativo n. 259 del 2003, Codice delle comunicazioni elettroniche, che disciplina i contenuti obbligatori del contratto, stabilendo che debbano essere indicate eventuali commissioni dovute in caso di recesso anticipato dal contratto.
Attualmente l’articolo 70, comma 3, lettera f), numero 3, indica, quale contenuto possibile del contratto, eventuali commissioni dovute alla scadenza del contratto. Si prevede quindi una limitazione alla possibilità di prevedere commissioni per i clienti che non siano connessi ad un recesso anticipato dal contratto ovvero ad “eventuali costi da recuperare in relazione all’apparecchiatura terminale”.
La norma in commento appare volta a recepire una delle proposte contenute nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato relativamente alle comunicazioni.
In particolare, l’Autorità richiede la possibilità di semplificare le procedure di identificazione dei clienti dei servizi di telefonia, ad esempio in caso di migrazione tra gli operatori.
La segnalazione contiene però ulteriori proposte in materia di comunicazioni che non risultano recepite nel provvedimento in esame. Si tratta in particolare di misure attinenti all’attuazione dell’agenda digitale e alla gestione dello spazio radioelettrico.
Per quanto concerne l’agenda digitale, l’Autorità propone un programma strategico nazionale per lo sviluppo delle reti di nuova generazione. Si propone anche, tra le altre cose:
§ la possibilità di ricorrere all’autocertificazione per le modifiche non sostanziali degli impianti radiomobili, in deroga all’articolo 87-bis del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003);
§ il riordino delle norme che prevedono l’istituzione di una pluralità di catasti delle infrastrutture di telecomunicazioni, introducendo una previsione che vincoli gli enti locali a mettere a disposizione, qualora esistente, il catasto delle infrastrutture utili per l’installazione di reti a banda ultralarga.
In proposito la relazione di accompagnamento chiarisce che le proposte dell’Autorità saranno considerate nell’ambito dell’attuazione dell’Agenda digitale nazionale. Merita in proposito richiamare la recente adozione da parte del Consiglio dei ministri della strategia nazionale per la banda ultralarga, nonché le seguenti ulteriori misure contenute nel decreto-legge n. 133/2014 (cd. “DL Sblocca Italia”): 1) l’inserimento delle opere infrastrutturali in fibra ottica per la banda ultralarga tra gli oneri di urbanizzazione primaria (art. 6); 2) l’istituzione di un sistema informativo federato delle infrastrutture di banda larga e ultralarga (art. 6-bis).
Per quanto concerne la gestione dello spettro radioelettrico, l’Autorità propone il periodico svolgimento di un’analisi del livello di utilizzo delle risorse frequenziali nonché l’attribuzione ad AGCOM di individuare le risorse frequenziali sottoutilizzate e le condizioni di accesso concorrenziale alle risorse frequenziali disponibili.
In proposito la relazione di accompagnamento precisa che tali proposte saranno “oggetto di un differente progetto normativo di trattazione omogenea del settore”. In materia, peraltro, la legge di stabilità 2015 (L. n. 190/2014), ai commi da 146 a 148 del suo articolo unico) ha individuato la procedura per l’assegnazione da parte di AGCOM ad operatori di rete locali delle frequenze attribuite a livello internazionale all’Italia e non utilizzate da operatori di rete nazionali, oltre a modificare la disciplina recata dal decreto-legge n. 145/2013 per il rilascio da parte degli attuali detentori delle frequenze oggetto di situazioni interferenziali con l’estero.
Articolo 16-bis
(Registro dei soggetti che usano
indirettamente
risorse nazionali di numerazione)
Con l’articolo 16-bis, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, è
istituito il Registro dei soggetti che
utilizzano indirettamente risorse nazionali di numerazione.
L’articolo 15 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, Codice delle comunicazioni elettroniche, disciplina il Piano di numerazione nel settore delle telecomunicazioni. Ai sensi della citata disposizione il Ministero provvede al rilascio dei diritti d'uso di tutte le risorse nazionali di numerazione e alla gestione dei piani nazionali di numerazione dei servizi di comunicazione elettronica. Spetta all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. stabilire i piani di numerazione nazionale dei servizi di comunicazione elettronica, incluse le connesse modalità di accesso e svolgimento dei servizi di comunicazione elettronica, e le procedure di assegnazione della numerazione nazionale, nel rispetto dei principi di obiettività, trasparenza e non discriminazione, in modo da assicurare parità di trattamento a tutti i fornitori dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico.
La disposizione prevede che il Ministero dello sviluppo economico individui e iscriva in tale registro i soggetti, diversi dagli operatori già presenti in altri registri, che, per erogare servizi voce e dati al pubblico, utilizzino indirettamente risorse nazionali di numerazione.
Sono pertanto esclusi i soggetti già iscritti, ai
sensi dell’articolo 1, comma 6, lettera a), n. 5 della legge n.
249 del 1997 al registro degli
operatori di comunicazione al quale si devono iscrivere:
a) i soggetti
titolari del diritto di installazione, esercizio e fornitura di una rete di
comunicazione elettronica su frequenze
terrestri in tecnica digitale, via
cavo o via satellite, e di impianti di messa in onda, multiplazione,
distribuzione e diffusione delle risorse frequenziali che consentono la
trasmissione di programmi agli utenti;
b) i fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici su frequenze terrestri
in tecnica digitale, nonché alla diffusione via cavo, via satellite o su altri
mezzi di comunicazione elettronica anche a richiesta;
c) i fornitori
di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato:
compresa la pay per view, ovvero che forniscono servizi della c.d. “società
dell’informazione” ai sensi dell’ articolo 2 del decreto legislativo 9
aprile 2003, n. 70, ovvero forniscono una guida elettronica ai programmi;
d) i soggetti esercenti l’attività di radiodiffusione: la società concessionaria del
servizio pubblico radiotelevisivo;
e) le imprese concessionarie di pubblicità;
f) le imprese di produzione o distribuzione
di programmi radiotelevisivi;
g) le agenzie
di stampa a carattere nazionale;
h) gli editori
di giornali quotidiani, periodici o riviste;
i) i soggetti esercenti l'editoria elettronica: ;
j) le
imprese fornitrici di servizi di comunicazione elettronica.
Sono altresì escluse le società che svolgono attività di fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica iscritte nell’elenco aggiornato dei fornitori di reti e di servizi di comunicazione elettronica di cui all’articolo 25, comma 4, del decreto legislativo n. 259 del 2003, Codice delle comunicazioni elettroniche.
Il citato registro sarà tenuto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai sensi delle medesime disposizioni che regolano il registro degli operatori di comunicazione.
La disposizione prevede infine che con decreto del Ministro dello sviluppo economico siano individuati i criteri in base ai quali i soggetti iscritti nel citato registro siano obbligati, in ragione della loro attività prevalente, a richiedere l’autorizzazione prevista per tale attività.
La funzione del registro è pertanto diretta ad
assoggettare operatori che ad oggi non
sono titolari di autorizzazione per lo svolgimento di attività che
prevedono l’utilizzo indiretto della numerazione nazionale.
Articolo 16-ter
(Tutela della concorrenza nel settore
della distribuzione cinematografica)
L’articolo 16-ter, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, reca disposizioni volte alla tutela della concorrenza nel settore della distribuzione cinematografica, che si aggiungono alla disciplina già vigente in materia.
A tal fine, inserisce due commi nell’art. 26 del D.Lgs. 28/2004.
In particolare, il nuovo comma 2-bis stabilisce che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato – su segnalazione di chi vi abbia interesse o, periodicamente, d’ufficio – adotta i provvedimenti necessari a eliminare o impedire fenomeni distorsivi della concorrenza derivanti dalla sussistenza di una posizione dominante nel mercato della distribuzione cinematografica in capo ad un unico soggetto, anche in una sola delle dodici città capozona della medesima distribuzione cinematografica (Roma, Milano, Torino, Genova, Padova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Catania, Cagliari e Ancona).
La fattispecie include il caso in cui il soggetto – che può essere anche una agenzia territoriale mono o plurimandataria – detenga indirettamente una posizione dominante nel settore.
Il comma, infine, specifica che il riferimento è, in particolare, ai soggetti che operano contestualmente anche in altri settori, specificatamente individuati in: produzione; programmazione; esercizio; edizione o distribuzione di servizi televisivi, on line o telefonici.
Il nuovo comma 2-ter stabilisce che l’AGCM redige una relazione annuale sullo stato della concorrenza nel settore della distribuzione cinematografica.
Tali disposizioni si aggiungono a quanto già
previsto dai commi 1 e 2 dell’art. 26 citato, che prevedono l’obbligo di comunicazione preventiva
all’AGCM per le operazioni di
concentrazione attraverso cui si venga a detenere o controllare,
direttamente o indirettamente, anche in una sola delle dodici città capozona,
una quota di mercato superiore al 25%
del fatturato della distribuzione cinematografica e, contemporaneamente,
del numero delle sale cinematografiche. L’AGCM opera secondo le modalità
previste dall’art. 16 della citata L. 287/1990, valutando nell’esercizio del
proprio potere discrezionale i casi in cui detta operazione sia da vietare.
Sull’argomento si ricorda che, già nel 1994, l’AGCM, all’esito delle risultanze
dell’indagine conoscitiva nel settore cinematografico, deliberata in data 25
novembre 1992, aveva evidenziato (Provvedimento n.
2335) che le
operazioni di concentrazione che avevano avuto luogo nel settore della
distribuzione del prodotto cinematografico
erano risultate in larga misura sottratte al controllo preventivo esercitato
dall’AGCM ai sensi del richiamato art. 16 della L. 287/1990, e che a tale
situazione aveva posto solo parziale rimedio il D.L. 26/1994 (L. 153/1994) (il
cui art. 13 era di contenuto analogo a quanto dispone attualmente l’art. 26 del
D.Lgs. 28/2004). Auspicava, dunque, un riesame della normativa in materia[5].
Articolo 17
(Semplificazione delle procedure di
identificazione per la portabilità)
L’articolo
17, modificato nel corso dell’esame in Commissione, intende semplificare le
procedure di migrazione dei clienti tra operatori di telefonia mobile e le
procedure per l’integrazione di SIM
aggiuntive o la sostituzione di SIM
richieste da utenti già clienti di un operatore attraverso l’utilizzo di misure
di identificazione indiretta del cliente (cioè senza bisogno di usare un
documento di identità), anche utilizzando
il sistema pubblico dell’identità digitale previsto dall’articolo 64 del
codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005).
La disposizione rimanda per l’attuazione ad
un decreto del Ministro dell’interno,
di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore della legge, con il quale si dovrà prevedere l’identificazione in via indiretta del cliente in modo da
consentire che la richiesta di migrazione, di integrazione di SIM e tutte le
operazioni connesse possano essere svolte per via telematica.
Si ricorda che con D.P.C.M. 24 ottobre 2014 sono state
definite le caratteristiche del Sistema Pubblico dell’Identità Digitale (SPID),
che è curato dall’Agenzia per l’Italia Digitale, nonché i tempi e le modalità
di adozione del sistema da parte delle pubbliche amministrazioni e delle
imprese. Con il nuovo sistema le pubbliche amministrazioni potranno consentire
l'accesso in rete ai propri servizi, oltre che con lo stesso SPID, solo
mediante la carta d'identità elettronica e la carta nazionale dei servizi.
L'avvio del sistema è subordinato all’emanazione di un regolamento che
definisca le modalità attuative del sistema, di cui risulta avviato l’iter di
approvazione.
La disposizione recepisce una proposta contenuta nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
L’Autorità propone però “l’ampliamento della possibilità di identificazione indiretta ai sensi dell’articolo 6, comma 2-bis, del decreto-legge n. 144/2005”. Tale disposizione[6] consente, agli utenti che attivano schede elettroniche (S.I.M.) abilitate al solo traffico telematico ovvero che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche o punti di accesso ad internet utilizzando tecnologia senza fili possono essere identificati e registrati anche in via indiretta, attraverso sistemi di riconoscimento via SMS e carte di pagamento nominative”.
In sostanza, rispetto alla disposizione in commento, l’Autorità non prevede il ricorso (che comunque nella disposizione non risulta obbligatorio) al sistema pubblico di identità digitale, bensì la sola estensione alla telefonia mobile di quanto già previsto per l’accesso ad Internet.
Per le ulteriori proposte in materia di comunicazioni non recepite nel disegno di legge si rinvia a quanto osservato nella scheda relativa all’articolo 16.
Articolo 17-bis
(Misure per favorire i pagamenti digitali)
L’articolo 17-bis introduce la possibilità di utilizzare la bigliettazione elettronica attraverso strumenti di pagamento in mobilità, anche con l'addebito diretto su credito telefonico, per l'acquisto di titoli d'accesso a luoghi di cultura, manifestazioni culturali e spettacoli, secondo quanto previsto dall’articolo 8, comma 3, del decreto-legge n.179 del 2012.
La norma ha l’obiettivo di promuovere la massima diffusione dei pagamenti digitali ed elettronici, ivi inclusi i micropagamenti con credito telefonico, per l'acquisto di biglietti per l'accesso a istituti e luoghi di cultura o per manifestazioni culturali, di spettacolo ed intrattenimento.
L’articolo 8, comma 3, del decreto-legge n. 179 del
2012 ha previsto l’introduzione delle modalità di pagamento sopra descritte nel
settore del trasporto pubblico locale.
La citata disposizione prevede anche la creazione di
sistemi di bigliettazione elettronica interoperabili a livello nazionale e di
biglietti elettronici integrati nelle città metropolitane.
La legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del
2013) aveva esteso la citata modalità di pagamento anche ai servizi di parcheggio,
di bike sharing, di accesso ad aree a traffico limitato e di analoghi
sistemi di mobilità e trasporto.
Articolo 17-ter
(Aggiornamento del registro delle
opposizioni)
L’articolo 17-ter stabilisce, che, sia modificato, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge in commento, il Regolamento recante istituzione e gestione del registro pubblico degli abbonati che si oppongono all'utilizzo del proprio numero telefonico per vendite o promozioni commerciali (D.P.R. n. 178 del 2010) al fine di dare attuazione all’articolo 130, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 196 del 2003, consentendo l’applicazione della disciplina in essere - che attualmente risulta riferirsi al solo uso della numerazione telefonica degli abbonati con finalità commerciali - anche alle ipotesi di impiego della posta cartacea alle medesime finalità.
L’articolo 130, comma 3-bis, del Codice in materia di protezione dei dati personali prevede
una deroga a quanto previsto in via
generale dall’articolo 129. Questa ultima disposizione stabilisce che il
Garante per la protezione dei dati personali individui con proprio
provvedimento le modalità di inserimento
e di successivo utilizzo dei dati
personali relativi ai contraenti di servizi di comunicazione negli elenchi cartacei
o elettronici a disposizione del pubblico, precisando anche le modalità secondo
le quali i contraenti possano acconsentire all’utilizzo dei dati personali per
l’invio di materiale pubblicitario o
per il compimento di attività di vendita diretta, di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale. Ai sensi
dell’articolo 130, comma 3-bis, è
consentito, in deroga alla disciplina appena citata, il trattamento dei dati personali, per le finalità sopra indicate,
nei confronti di chi non abbia
esercitato il diritto di opposizione mediante l’iscrizione della
numerazione della quale è intestatario e degli altri dati personali a
disposizione del pubblico, in un registro pubblico delle opposizioni.
Il testo dell’articolo
130, comma 3-bis, non si riferiva all’invio di posta
cartacea con finalità commerciali, ma soltanto alle attività promozionali sopra
delineate per mezzo di comunicazioni telefoniche. L’estensione della disciplina
alla fattispecie di invio di posta cartacea è dovuta all'articolo 6, comma 2,
lettera a), n. 6, del decreto-legge
13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011,
n. 106. Essendo tale disposizione successiva
all’emanazione del Regolamento recante istituzione e gestione del registro
pubblico degli abbonati che si oppongono all'utilizzo del proprio numero
telefonico per vendite o promozioni commerciali, decreto del Presidente della
Repubblica n. 178 del 2010, la norma in questione si prefigge l’obiettivo di un
celere adeguamento della disciplina regolamentare al fine di consentire il
concreto esercizio dei diritti di cui all’articolo 130, comma 2-bis.
Articolo 17-quater
(Tariffazione delle chiamate verso
numerazioni non geografiche)
L’articolo 17-quater stabilisce con riferimento
alla tariffazione delle chiamate verso
numerazioni non geografiche, ossia le numerazioni per cui è prevista una
tariffazione differenziata ed indipendente dalla collocazione geografica del
chiamante, che la tariffazione abbia inizio solo dalla risposta dell'operatore.
Le chiamate verso numerazioni non geografiche
raggruppano diverse tipologie di servizi che presentano varie tariffazioni,
talvolta onerose. Rientrano ad esempio in tale ambito:
a)
i servizi a sovrapprezzo (899, 892, 895, 894 e
89111), di cui agli articoli 20 e 21 della delibera n. 52/12/CIR del 3 maggio
2012;
b)
i servizi ad addebito ripartito (84*) previsti
dall’articolo 17 della citata delibera;
c)
i servizi di numero unico o personale (178, 199) previsti dall’articolo 18 della
delibera, per i quali il cliente deve essere preventivamente informato del
costo;
La disposizione è volta ad evitare che siano
posti in capo all’utente i costi della chiamata nel caso in cui vi sia un
intervallo di tempo tra l’inizio della
chiamata medesima e la risposta
dell’operatore.
Articolo 18
(Apertura al mercato della comunicazione
a mezzo posta delle notificazioni di atti giudiziari e di violazioni al Codice
della strada)
L’articolo 18 sopprime, a decorrere dal 10 giugno 2016, l’attribuzione in esclusiva alla società Poste italiane Spa (quale fornitore del Servizio universale postale) dei servizi inerenti le notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari (ai sensi della legge n. 890/1982[7]) nonché dei servizi inerenti le notificazioni delle violazioni del codice della strada (ai sensi dell’art. 201 del decreto legislativo n. 285/1992[8]).
Per quanto concerne le linee generali della regolazione del settore postale, il decreto legislativo n. 261/1999 ha previsto un unico fornitore del servizio universale, con una distinzione, non presente nell'ordinamento comunitario, tra fornitore del servizio e prestatori del medesimo servizio. Il primo fornisce il servizio integralmente su tutto il territorio nazionale; i secondi forniscono prestazioni singole e specifiche.
Fornitrice del servizio universale è riconosciuta ex lege la società Poste italiane Spa per un periodo di quindici anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 58/2011 (e quindi fino al 2026). I rapporti tra Stato e impresa fornitrice del servizio universale sono regolati da periodici contratti di programma. Il Contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste Italiane. I commi da 274 a 276 dell'articolo unico della legge di stabilità 2015 hanno stabilito che il nuovo contratto abbia durata quinquennale (2015-2019), prevedendone la sottoscrizione al termine di un'articolata procedura che contempla anche l'espressione del parere da parte delle competenti commissioni parlamentari. Le Commissioni parlamentari hanno espresso il parere sullo schema di contratto di programma 2015-2019, nella seduta del 5 agosto 2015.
Per gli altri operatori è necessaria:
§ una licenza individuale, rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico, per le imprese che intendono fornire al pubblico servizi postali non riservati che rientrano nel campo di applicazione del servizio universale;
§ un'autorizzazione generale rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico per gli altri operatori.
Il servizio universale comprende:
1) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg e dei pacchi postali fino a 20 kg;
2) i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati.
La soppressione della residua riserva in esclusiva è disposta dalla lettera b) del comma 1 dell’articolo in commento, mediante la soppressione, appunto a decorrere dal 10 giugno 2016, dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 261/1999. Conseguentemente a tale soppressione le rimanenti disposizioni dell’articolo prevedono le seguenti ulteriori modifiche al decreto legislativo n. 261/1999:
§ la soppressione, sempre a decorrere dal 10 giugno 2016, del riferimento ai proventi del fornitore del servizio universale per i servizi in esclusiva nell’articolo 2, comma 14, lettera b), che, nell’individuare le modalità di calcolo del contributo da parte degli operatori per il finanziamento dell’autorità di regolazione di settore (attualmente l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, AGCOM[9]), indica le tipologie di proventi del fornitore del servizio universale da non considerare a tal fine.
In particolare, la disposizione attualmente prevede un contributo di importo non superiore all’uno per mille dei ricavi dell’ultimo esercizio versato da tutti gli operatori e al netto, per il fornitore del servizio universale, dell’onere relativo al servizio universale stesso e dei proventi per i servizi in esclusiva;
§ l’integrazione del comma 2 dell’articolo 5, che disciplina le condizioni per il rilascio agli operatori del settore postale della licenza individuale per l’effettuazione di specifiche prestazioni rientranti nel servizio universale; la disposizione è integrata nel senso di prevedere che il rilascio della licenza individuale per le notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari e per le notificazioni delle violazioni del codice della strada debba essere subordinato a specifici obblighi di servizio con riguardo alla sicurezza, alla qualità, alla disponibilità e all’esecuzione dei servizi medesimi;
§ la soppressione, a decorrere dal 10 giugno 2016, del riferimento ai servizi affidati in esclusiva dal comma 1 dell’articolo 10 che attualmente prevede che il fondo di compensazione degli oneri del servizio universale sia alimentato nel caso in cui il fornitore del servizio universale non ricava dalla fornitura di tale servizio e dai servizi in esclusiva entrate sufficienti per l’adempimento degli obblighi gravanti sul fornitore;
§ la soppressione, sempre a decorrere dal 10 giugno 2016 del comma 3 dell’articolo 21 che prevede una sanzione da 5000 a 150.000 euro per chi espleti i servizi attribuiti in esclusiva al fornitore del servizio universale.
Infine, il comma 2 prevede che entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge l’AGCOM determini, sentiti il Ministro della giustizia, i requisiti e gli obblighi, nonché i requisiti di affidabilità, professionalità e onorabilità, per il rilascio delle licenze individuali relative alla notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari e alle notificazioni delle violazioni del codice della strada.
Come specificato dalla disposizione, l’articolo 5, comma 4, del decreto legislativo n. 261/1999 già prevede che i requisiti per le licenze individuali siano determinati con provvedimento dell’autorità di regolamentazione.
La norma in commento recepisce una delle proposte contenute nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato; relativamente al settore postale; la segnalazione contiene però ulteriori proposte che non risultano recepite nel provvedimento in esame e che non sono considerate nella relazione di accompagnamento. Si tratta in particolare delle seguenti proposte di intervento normativo:
§ modifica dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 261/1999 in modo da escludere dal perimetro del servizio universale i servizi rivolti ad una clientela commerciale che prevedono invii in grande quantità (posta massiva o posta raccomandata non retail) e da limitarlo esclusivamente ai servizi rivolti a persone fisiche;
§ modulazione in maniera flessibile del servizio universale, prevedendo un obbligo di valutazione di efficienza e qualità del servizio in sede regolatoria (cioè da parte dell’autorità di regolazione) anche con specifico riferimento alle aree geografiche disagiate;
In proposito, si segnala che sulle caratteristiche del servizio universale sono da ultimo intervenuti i commi da 277 a 284 dell'articolo unico della legge di stabilità 2015 (L. n. 190/2014). Tali disposizioni, tra le altre cose, consentono una rimodulazione della frequenza settimanale di raccolta e recapito sul territorio nazionale. Inoltre, come previsto dal comma 280 della medesima disposizione, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con delibera 396/15/CONS, ha definito, a seguito della proposta di Poste italiane, i nuovi obiettivi statistici di qualità e una nuova determinazione delle tariffe degli invii di posta prioritaria e degli altri servizi universali[10].
§ introduzione di maggiore trasparenza nei sistemi di finanziamento del servizio universale, in particolare attraverso la definizione preventiva dei parametri sulla base dei quali viene effettuata la compensazione degli oneri al fine di garantire che la stessa non conferisca un vantaggio economico per l’impresa beneficiaria;
La segnalazione esprime in particolare preoccupazione per le norme relative alle tariffe per la spedizione dei prodotti editoriali e delle stampe promozionali e propagandistiche (art. 2, co. 1-bis del decreto-legge n. 125/2010 e art. 5-bis del decreto-legge n. 63/2012) che “prevedendo la non applicazione delle disposizioni relative ai rimborsi alla società Poste italiane Spa e non chiarendo le eventuali forme di compensazione rendono oltremodo oscuro il meccanismo di finanziamento di tali spedizioni agevolate”[11].
Con la delibera n. 412/14/CONS del 29 luglio 2014 l’AGCOM ha quantificato l’onere del servizio postale universale per gli anni 2011 e 2012, rispettivamente, in 380,6 e 327,3 milioni di euro.
§ la modifica dell’articolo 10, co. 1, n. 16 del D.P.R. n. 633/1972, al fine di escludere dalla prevista esenzione IVA le prestazioni del servizio universale e le cessioni dei beni ad esse accessorie effettuate da Poste italiane Spa che siano state però negoziate individualmente.
La modifica proposta è stata recepita con l’art. 32-bis del decreto-legge n. 91/2014.
Sulla questione l’Autorità garante della concorrenza e del mercato era già intervenuta con il provvedimento del 27 marzo 2013 con il quale l’autorità aveva deciso la disapplicazione della norma del D.P.R. n. 633/1972 per contrasto con il diritto dell’Unione europea, ed in particolare con l’articolo 132, lettera a), della direttiva 2006/112/CE (disciplina IVA), come interpretato dalla sentenza del 23 aprile 2009 (causa C. 357/07) della Corte di giustizia dell’Unione europea nei confronti della Royal Mail britannica.
§ modifica della struttura societaria di Poste italiane Spa, prevedendo la costituzione di una società separata che abbia quale oggetto sociale lo svolgimento dell’attività bancaria di Bancoposta, secondo la normativa di settore contenute nel testo unico bancario (decreto legislativo n. 385/1993).
Si ricorda infine che il Consiglio dei ministri, nella riunione del 16 maggio 2014, ha approvato il D.P.C.M., che prevede la cessione di una quota fino al 40 per cento del capitale di Poste Italiane Spa. La cessione potrà avvenire attraverso offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Poste italiane Spa, e/o a investitori istituzionali italiani e internazionali. Sullo schema di D.P.C.M. (atto n. 77), è stato acquisito il parere della IX Commissione Trasporti, espresso nella seduta del 26 marzo 2014. Il provvedimento non risulta ancora pubblicato sulla "Gazzetta Ufficiale".
Articoli da 19
a 19-octies (articoli 20 e 21
soppressi)
(Cessazione del regime di “maggior
tutela”
per l’energia elettrica e il gas)
Gli articoli da 19 a 21, nel testo originario del ddl costituivano un gruppo di disposizioni volte ad eliminare, a partire dal 2018, il regime di “maggior tutela” che opera transitoriamente nei settori del gas e dell’energia elettrica. La finalità delle norme è quindi l’abrogazione della disciplina che prevede la definizione da parte dell’Autorità per l’energia delle tariffe del gas e dell’energia elettrica per i consumatori che non abbiano ancora scelto un fornitore sul mercato libero,
In particolare, nel testo originario del ddl
§
l’articolo 19 eliminava dal 2018 il regime
di “maggior tutela” nel settore del gas
naturale;
§
l’articolo 20 eliminava il regime di
“maggior tutela” nel settore dell’energia
elettrica a decorrere dal 2018;
§ l’articolo 21 rinviava ad un decreto del Ministro dello sviluppo
economico, sentita l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema
idrico, l’adozione delle disposizioni conseguenti alla cessazione della
disciplina transitoria del regime di “maggior tutela”.
Nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite, tale gruppo di disposizioni è stato modificato e integrato, soprattutto con l’inserimento di norme a tutela dei consumatori, mantenendo comunque intatta l’intenzione iniziale di liberalizzare, dal 2018, la vendita ai clienti finali di energia in Italia, con l’eliminazione dei prezzi regolamentati.
Il processo di liberalizzazione della vendita
di energia ai clienti finali in Italia si è sviluppato in modo diverso nei
settori dell’elettricità e del gas naturale.
Nel settore
dell’energia elettrica, dal 1° luglio 2007 (con il D.L. 73/2007) è stata
completata, con l’apertura del mercato libero anche ai clienti domestici, la
liberalizzazione del mercato retail, avviata, per tappe successive, dal
cd. “decreto Bersani” (decreto legislativo n. 79/99). Il medesimo D.L. 73/2007
ha inoltre introdotto il servizio di maggior tutela destinato ai clienti
domestici e alle piccole imprese. Il servizio di maggior tutela è prestato
dall’impresa distributrice territorialmente competente, anche attraverso
un’apposita società di vendita (esercente la maggior tutela) e la funzione di
approvvigionamento dell’energia elettrica destinata ai clienti del servizio è
svolta dall‘Acquirente unico.
L’Autorità
stabilisce e aggiorna, sulla base dei costi, le condizioni economiche applicate
dagli esercenti la maggior tutela ai clienti finali, facendo in modo che i
prezzi di maggior tutela non “spiazzino” le offerte (economicamente efficienti)
del mercato libero.
Il D.L. 73/2007
ha inoltre stabilito l’obbligo di separazione tra le attività di vendita e di
distribuzione dell’energia elettrica nel caso in cui alle reti di un’impresa
distributrice siano connessi più di 100.000 clienti finali.
Infine, per quanto riguarda i clienti finali che non hanno
diritto alla maggior tutela ma non hanno un venditore nel mercato libero (per
cause riferibili al venditore, che magari ha perso il diritto di accesso al
sistema, oppure per cause riferibili al cliente, come episodi di morosità
pregressa). Attualmente il servizio risulta caratterizzato da una consistente
presenza di clienti finali cosiddetti non disalimentabili, per i quali, in caso
di morosità, l’impresa distributrice non può comunque procedere alla
sospensione della fornitura.
Per il settore del gas naturale, la completa
liberalizzazione del mercato, avviata per tappe successive dal “decreto Letta”
(decreto legislativo n. 164/2000), è avvenuta già dal 1° gennaio 2003.
A differenza che per il settore elettrico la
separazione delle attività di vendita e di distribuzione è stata imposta a
tutte le imprese distributrici, a prescindere dal numero di punti di riconsegna
serviti.
Una ulteriore
differenza è poi legata alle forme di tutela previste per i clienti finali. In
primo luogo, i clienti domestici e i condomini uso domestico beneficiano di una
forma di tutela, nella forma di condizioni economiche definite dall’Autorità
che tutti i venditori hanno l’obbligo di offrire loro; non sono pertanto
individuati, come invece avviene nel settore elettrico, soggetti obbligati
all’erogazione del servizio di tutela.
In relazione al
perimetro dei clienti ammessi al servizio di tutela, esso comprendeva tutti i
clienti identificati dal legislatore come “vulnerabili”, vale a dire anche le
utenze relative ad attività di servizio pubblico e i clienti altri usi con
consumi fino a 50.000 Smc/anno; tuttavia con riferimento a queste tipologie di
clienti esso è stato rimosso dal “decreto del Fare” (D.L. 69/13).
Le condizioni
economiche del servizio di tutela sono determinate dall’Autorità secondo una
logica analoga a quella su cui è basata la determinazione dei prezzi del
servizio di maggior tutela nel settore elettrico, cioè in modo da riflettere le
condizioni di costo di un operatore efficiente del mercato.
L’impatto in
termini quantitativi del servizio di
“maggior tutela” nei mercati del gas e dell’energia elettrica può essere
analizzato tramite i dati diffusi dall’Autorità per l’energia nel Rapporto sul
monitoraggio retail presentato nel
febbraio 2015. Si riportano, nel seguito, alcuni grafici elaborati
dall’Autorità per l’energia.
Punti di
prelievo di energia elettrica serviti nel mercato libero, nel servizio di
maggior tutela e nel servizio di salvaguardia– Anni 2012 e 2013
Fonte: Autorità per l’energia –
Monitoraggio Retail (BT=bassa tensione; MT=media tensione)
Punti di
riconsegna di gas naturale serviti nel mercato libero e nel servizio di tutela
– Anni 2012 e 2013
Fonte: Autorità per l’energia –
Monitoraggio Retail
I dati
evidenziano che il servizio di tutela costituisce la modalità di gran lunga
prevalente di fornitura di gas naturale e di elettricità per i clienti finali
aventi diritto.
Sebbene in
aumento nel corso degli anni, i numero di clienti aventi i requisiti per la
maggior tutela che si riforniscono sul mercato libero sono ancora oggi una
minoranza. Inoltre, il ricorso al mercato libero avviene prevalentemente da
parte dei clienti con consumi più elevati.
Nel nuovo testo, l’articolo 19 elimina dal 2018 il regime di “maggior tutela” nel settore del gas naturale, ossia abroga da tale data la disciplina transitoria che prevede la definizione amministrativa delle tariffe del gas naturale nella vendita ai consumatori domestici che non abbiano ancora scelto un fornitore sul mercato libero.
A tal fine, l’articolo in esame interviene sul cd. “decreto Letta” (D.Lgs. 164/2000), che rappresenta il punto d’inizio della liberalizzazione nel settore del gas. In particolare, viene abrogata (dal 2018) la norma (articolo 22, comma 2, terzo periodo) che prevede, per i soli clienti domestici, la determinazione dei prezzi del gas da parte dell'Autorità per l'energia.
La determinazione dei prezzi da parte dell'Autorità per l'energia (meccanismo, cosiddetto di “maggior tutela”), è regolato dal D.L. 73/2007, articolo 1, comma 3, che tuttavia non viene modificato dalla norma in esame.
L’articolo 1, comma 3, del citato DL 73/2007, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2007, n. 125 stabilisce infatti che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas indica condizioni standard di erogazione del servizio e definisce transitoriamente, in base ai costi effettivi del servizio, prezzi di riferimento per le forniture di energia elettrica ai clienti finali domestici e per le forniture di gas naturale ai clienti domestici, che le imprese di distribuzione o di vendita, nell'ambito degli obblighi di servizio pubblico, comprendono tra le proprie offerte commerciali contemplando anche la possibilità di scelta tra piani tariffari e fasce orarie differenziati.
L’articolo 19-bis elimina il regime di “maggior tutela” nel settore dell’energia elettrica a decorrere dal 2018, ossia abroga da tale data la disciplina transitoria che prevede la definizione amministrativa delle tariffe dell’energia elettrica nella vendita ai consumatori domestici e ai piccoli consumatori industriali che non abbiano ancora scelto un fornitore sul mercato libero. L’AEEGSI disciplina le misure volte a garantire la fornitura del servizio universale.
A tal fine, l’articolo in esame interviene sul decreto di recepimento del cd. “terzo pacchetto energia” (D.Lgs. 93/2011), abrogando la norma (articolo 35) che prevede la determinazione dei prezzi dell’energia elettrica da parte dell'Autorità per l'energia per:
§ i clienti finali civili;
§ le imprese connesse in bassa tensione con meno di 50 dipendenti e un fatturato annuo non superiore ai 10 milioni di euro;
che non scelgano un fornitore sul mercato libero.
L’articolo 19-bis riprende ed integra
il contenuto dell’articolo 20 del testo originario, che viene soppresso.
Le norme attuative contenute nell’articolo
21 del testo originario del disegno di legge (soppresso) sono state sostituite, nel testo proposto dalle
Commissioni riunite, da numerose disposizioni che provvedono a:
§ garantire la comparabilità delle offerte (articolo 19-ter);
§ promuovere le offerte commerciali di energia
a favore di gruppi di acquisto (articolo 19-ter.1);
§ verificare la liberalizzazione dei mercati retail
(articoli 19-quater e 19-quinquies);
§ garantire l’informazione ai consumatori (articolo 19-sexies);
§ riformare il bonus elettrico e gas (articolo 19-septies);
§ garantire la trasparenza del mercato
dell’energia (articolo 19-octies).
In particolare, l’articolo 19-ter predispone una procedura finalizzata ad
ottenere offerte di fornitura di energia elettrica e gas, e garantirne la
confrontabilità. Anzitutto, il comma 1 richiede all’AEEGSI di realizzare (entro
il 30 giugno 2016) un portale informatico
per la raccolta e la pubblicazione delle offerte sul mercato retail.
L’indipendenza dei contenuti di tale portale è garantita da un Comitato tecnico costituito
appositamente presso l’AEEGSI, a cui partecipano un rappresentante di ciascuno
dei seguenti enti:
§ AEEGSI;
§ MiSE;
§ Antitrust;
§ organizzazioni dei consumatori non domestici
maggiormente rappresentative (un rappresentante designato d’intesa);
§ operatori di mercato (un rappresentante
designato d’intesa);
§ Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli
Utenti.
Dal 1° marzo 2016, il comma 2 pone l’obbligo
agli operatori che vendono energia elettrica o gas che abbiano più di 50 mila
clienti di inviare all’AEEGSI e pubblicare sul proprio sito:
§ almeno una proposta di offerta di fornitura
a prezzo variabile per le utenze
domestiche e non domestiche;
§ almeno una proposta di offerta di fornitura
a prezzo fisso per le utenze
domestiche e quelle non domestiche alimentate in bassa tensione.
Le modalità operative per realizzare tali
proposte di offerta di fornitura saranno definite dall’AEEGSI entro 90 giorni,
stabilendo le informazioni minime e i requisiti che gli operatori dovranno
rispettare nel presentare le offerte, per garantirne la possibilità di
confronto e l’omogeneità (comma 3). A tal fine, l’AEEGSI utilizza in via
prioritaria le risorse derivanti dai proventi delle sanzioni (comma 4).
L’articolo
19-ter.1 richiede all’AEEGSI di adottare, entro 90 giorni, linee
guida per la promozione delle offerte commerciali di energia elettrica e gas a
favore di gruppi di acquisto, con particolare riguardo alla confrontabilità,
trasparenza e pubblicità delle offerte.
L’articolo
19-quater prevede un monitoraggio relativamente al raggiungimento di
una serie di obiettivi ai fini della cessazione del regime di maggior tutela,
con la possibilità di prorogare le scadenze del 1° gennaio 2018 per il mercato
dell’energia elettrica e per quello del gas.
A tal fine, il comma 1 richiede all’AEEGSI
di trasmettere al MiSE entro il 30 aprile 2017 un Rapporto sul monitoraggio
dei mercati retail dell’energia elettrica e del gas, con particolare
riferimento ad una serie di indicatori
riguardanti:
a) l’operatività del portale per la
confrontabilità delle offerte;
b) il rispetto delle tempistiche di switching
(cambio di fornitore entro 3 settimane);
c) il rispetto delle tempistiche di fatturazione
e conguaglio (conguaglio definitivo a seguito di un eventuale cambiamento del
fornitore dopo non oltre sei settimane);
d) l’operatività del Sistema Informativo
Integrato, come gestore della banca dati dei punti di prelievo e dei dati
identificativi dei clienti finali;
e)
l’implementazione
della separazione del marchio tra le imprese di distribuzione e di vendita
verticalmente integrate (in particolare si fa riferimento al divieto per il
gestore del sistema di trasmissione di creare confusione circa l’identità
distinta dell’impresa verticalmente integrata o di una parte di essa, per
quanto riguarda l’identità dell’impresa, la politica di comunicazione e di
marchio nonché i locali).
Il MiSE (entro 60 giorni dalla trasmissione
del rapporto, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti), sulla
base dei dati in esso contenuti, sentita l’Antitrust, emana un decreto in cui
§ dà conto del raggiungimento degli obiettivi
ai fini della cessazione del regime di maggior tutela;
§ qualora almeno uno degli indicatori a)-e)
evidenzi che l’obiettivo non è stato raggiunto per uno dei due mercati, tale
decreto può prorogare di sei mesi la scadenza del 1° gennaio 2018 per ciascun
mercato di riferimento;
§ definisce le misure necessarie a garantire
che la cessazione del regime di maggior tutela avvenga secondo meccanismi che
favoriscono la concorrenza e la pluralità di fornitori e di offerte nel libero
mercato;
§ sulla base dell’eventuale aggiornamento
semestrale del Rapporto, dà atto del raggiungimento degli obiettivi fino al
definitivo superamento del regime di maggior tutela.
Secondo l’articolo 19-quinquies, qualora
uno o più degli obiettivi a)-e) fossero raggiunti prima del 30 giugno 2017,
l’AEEGSI ne dà tempestiva comunicazione al MiSE.
L’articolo
19-sexies pone l’AEEGSI a garanzia
§ della pubblicazione e diffusione delle
informazioni sulla piena apertura del mercato e sulle condizioni di svolgimento
dei servizi,
§ del trattamento efficace dei reclami e delle
procedure di conciliazione.
§ L’AEEGSI può anche avvalersi di Acquirente
Unico SpA.
L’articolo 19-septies demanda ad un decreto del MiSE, sentita l’AEEGSI, da adottarsi entro 180 giorni, la revisione della disciplina del bonus elettrico e del bonus gas[12] per i clienti economicamente svantaggiati e per quelli che versano in gravi condizioni di salute tali da richiedere l’utilizzo di apparecchiature alimentate ad energia elettrica, necessarie per il loro mantenimento in vita. Tale decreto disciplina le modalità di erogazione dei benefici economici individuali anche alternative rispetto alla compensazione della spesa, individuando una corresponsione congiunta delle misure di sostegno alla spesa per energia elettrica e gas, e rimodula l’entità degli stessi tenendo conto dell’ISEE.
Si ricorda che, attualmente, l'importo del bonus viene
scontato direttamente sulla bolletta, non in un'unica soluzione, ma suddiviso
nelle diverse bollette corrispondenti ai consumi dei 12 mesi successivi alla
presentazione della domanda.
Il comma 3 precisa la vigenza della disciplina vigente relativa ai bonus elettrico e gas fino alla data di entrata in vigore del decreto MiSE.
L’articolo 19-octies contiene misure per la trasparenza dei mercati dell’energia elettrica e del gas. Per quanto concerne la sola vendita di energia elettrica, i commi da 1 a 3 prevedono l’istituzione presso il MiSE, dal 1° gennaio 2016, di un Elenco dei soggetti abilitati alla vendita ai clienti finali. L’inclusione e la permanenza nell’elenco è condizione necessaria per lo svolgimento delle attività di vendita di energia elettrica ai clienti finali. I requisiti e le modalità per l’iscrizione all’Elenco sono stabiliti con decreto MiSE, da emanarsi entro 90 giorni, su proposta dell’AEEGSI. L’Elenco è pubblicato sul sito internet del MiSE e aggiornato mensilmente. Il comma 4 inserisce i soggetti autorizzati alla vendita a clienti finali di energia elettrica e gas naturale tra quelli che partecipano al sistema di prevenzione delle frodi, istituito presso il MEF dall’articolo 30-ter del D.Lgs. n. 141 del 2010.
Articolo 22
(Concorrenza nella distribuzione dei
carburanti per autotrazione)
L’articolo 22 è stato interamente sostituito nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite.
Il testo originario del disegno di legge eliminava una barriera all’entrata per l’installazione di nuovi impianti di distribuzione di carburanti, disponendo che non possa essere posto in nessun caso il vincolo della presenza contestuale di più tipologie di carburanti.
La normativa vigente, infatti, vieta di imporre l’obbligo dei pluricarburanti qualora esso comporti ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalità dell'obbligo.
Si ricorda infatti che, a tutela della concorrenza, è fatto divieto (articolo 83-bis, comma 17, del D.L. 112/2008) di imporre una serie di vincoli all’installazione e all’esercizio di un impianto di distribuzione di carburanti, che non possono essere subordinati:
§ alla chiusura di impianti esistenti;
§ a contingentamenti numerici;
§ al rispetto di distanze minime tra impianti e tra impianti ed esercizi o superfici minime commerciali;
§ a restrizioni circa la possibilità di offrire attività e servizi integrativi;
§ alla presenza obbligatoria di più tipologie di carburanti, ivi incluso il metano per autotrazione, se tale ultimo obbligo comporta ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalità dell'obbligo.
L’ultimo punto è stato introdotto dal cd. “decreto liberalizzazioni” del 2012 (D.L. 1/2012, articolo 17, comma 5), che all’articolo 17 contiene norme di liberalizzazione della distribuzione di carburanti. Con tale integrazione, il D.L. 1/2012 prevedeva una parziale liberalizzazione, in quanto vietava di imporre l’obbligo dei pluricarburanti, se troppo gravoso od oneroso.
Il testo originario del disegno di legge, eliminando la condizione dell’onerosità dell’obbligo, pone un divieto assoluto all’imposizione di tale vincolo. In tal modo, rispondeva ad una delle richieste dell’Autorità Antitrust in materia di distribuzione dei carburanti, che aveva proposto esplicitamente l’eliminazione dell’inciso “se tale ultimo obbligo comporta ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalità dell’obbligo”, ritenendo che questa valutazione di proporzionalità dell’obbligo non fosse sufficiente a rimuovere l’asimmetria tra oneri (e la conseguente barriera all’entrata) a carico dei soggetti che volessero fare il proprio ingresso nel settore.
Il nuovo articolo 22, come sostituito nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite, non elimina più il vincolo della presenza contestuale di più tipologie di carburanti, ma vieta di subordinare l’installazione e l’esercizio di un impianto di distribuzione di carburanti ad altri obblighi, salvo quelli stabiliti con decreto del MiSE, sentite l’Autorità Antitrust e la Conferenza Stato-Regioni.
Il decreto dovrà tenere conto delle esigenze di sviluppo del mercato dei combustibili alternativi ai sensi della direttiva 2014/94/UE.
La direttiva sui carburanti alternativi è stata
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea L 307 del 28 ottobre
2014 e riguarda i carburanti alternativi e le infrastrutture per il
rifornimento di elettricità, idrogeno, biocarburanti, gas naturale (compreso il
biometano) in forma gassosa e liquefatta (Gnl) e Gpl. Il provvedimento dispone
che gli Stati membri mettano a punto entro il 18 novembre 2016 un piano
strategico da inviare alla Commissione europea, per lo sviluppo del mercato dei
carburanti alternativi.
La direttiva stabilisce, fra l’altro, alcuni standard
tecnici comuni per la ricarica dei veicoli elettrici e dispone che siano
installati entro il 2020 punti di ricarica e rifornimento per elettricità e
metano per garantire almeno la possibilità di circolare nelle città e nelle
aree suburbane.
Articolo 22-bis
(Razionalizzazione della rete di
distribuzione dei carburanti)
L’articolo 22-bis, introdotto durante l’esame presso le Commissioni riunite, in tema di razionalizzazione della rete di distribuzione carburanti, che prevede numerose innovazioni riguardanti i seguenti aspetti:
§ l’introduzione di un’anagrafe degli impianti stradali di distribuzione di benzina, gasolio, GPL e metano della rete stradale e autostradale, ad ampliamento della banca dati esistente presso il MiSE, che opererà in modo integrato con il database dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. L’iscrizione all’anagrafe è obbligatoria per i titolari di autorizzazione o concessione, anche per gli impianti in sospensiva;
§ la riorganizzazione, tramite decreto MiSE, del Comitato tecnico per la ristrutturazione della rete di distribuzione dei carburanti;
§ la verifica della compatibilità degli impianti, per quanto concerne i soli aspetti attinenti la sicurezza della circolazione stradale. Contestualmente all’iscrizione all’anagrafe, infatti, i titolari degli impianti devono presentare una dichiarazione attestante che l’impianto ricade o non ricade in una delle fattispecie di incompatibilità (definite dalla normativa regionale e dalla norma in esame ai commi 12 e 13, che riguardano, rispettivamente, gli impianti ubicati all’interno e all’esterno dei centri abitati). Nel caso in cui l’impianto ricada nelle fattispecie di incompatibilità, il titolare può impegnarsi all’adeguamento, da completare entro un anno. Se invece non si impegna all’adeguamento, deve cessare l’attività di vendita entro 9 mesi e procedere allo smantellamento. La norma dettaglia inoltre le procedure e le sanzioni da porre in essere nei casi in cui l’impianto sia incompatibile ma il titolare non cessi l’attività di vendita, nei casi di mancato invio della dichiarazione e nei casi in cui sia accertata la non compatibilità di un impianto dichiarato compatibile;
§ l’autorizzazione
all’installazione di nuovi impianti.
Viene abrogato il comma 1-bis dell’articolo 2 del D.Lgs. 32/1998, che prevedeva
che la localizzazione degli impianti di carburanti costituisce un mero
adeguamento degli strumenti urbanistici in tutte le zone e sottozone del piano
regolatore generale non sottoposte a particolari vincoli paesaggistici,
ambientali ovvero monumentali e non comprese nelle zone territoriali omogenee A.
Il comma 16 della norma in esame
consente l’installazione all’interno delle zone comprese nelle fasce di
rispetto delle strade (art. 2 del nuovo Codice della strada) e nelle zone
definite nei PRG vigenti a destinazione commerciale, artigianale e industriale;
§ le procedure di dismissione degli impianti che chiuderanno entro tre anni. In tali casi, sono previste procedure semplificate di dismissione, che consistono nello smantellamento delle attrezzature fuori terra, nella rimozione dei fondami e degli eventuali prodotti residui presenti nei serbatoi, nella messa in sicurezza delle strutture interrate e, se necessario a causa di una contaminazione, nell’esecuzione di indagini ambientali (in caso di contaminazione si rinvia al regolamento del MATTM 12 febbraio 2015 con cui, in attuazione del Codice ambientale, sono stati dettati i criteri semplificati per la caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica dei punti vendita carburanti). La rimozione delle strutture interrate dovrà essere effettuata dai titolari degli impianti in caso di riutilizzo dell’area.
Si segnala che, in relazione all’articolo 22-bis, la Commissione
bilancio ha richiesto l’apposizione di una clausola di salvaguardia
finanziaria.
Più nel dettaglio, il comma 1 dispone l’ampliamento della banca dati esistente presso il Ministero dello sviluppo economico con l'introduzione di un'anagrafe degli impianti stradali di distribuzione di benzina, gasolio, GPL e metano della rete stradale e autostradale.
Attualmente, presso il MiSE è attivo l’Osservatorio dei prezzi dei carburanti, tramite un sito che permette di consultare in tempo reale i prezzi di vendita dei carburanti effettivamente praticati presso gli impianti di distribuzione situati nel territorio nazionale, così come comunicati dai gestori dei punti di vendita settimanalmente o nei casi di aumenti infrasettimanali.
Come previsto dalla legge 99/2009 (articolo 51) e dai relativi provvedimenti attuativi (D.M. 15 ottobre 2010 e D.M. 17 gennaio 2013), dopo un periodo iniziale di applicazione ai soli impianti della rete autostradale, a decorrere dal 16 settembre 2013 è obbligatorio per i gestori di tutti gli impianti di distribuzione di carburante dell'intera rete stradale comunicare al Ministero dello sviluppo economico i prezzi praticati per tutte le tipologie di carburanti e per tutte le forme di vendita.
Entro dicembre 2016 dovrà essere attuata l'interoperabilità tra le banche dati esistenti presso il Ministero dello sviluppo economico e presso l'Agenzia delle dogane e dei monopoli relativamente al settore della distribuzione dei carburanti, in attuazione dei principi di cui al Capo V del Codice dell'amministrazione digitale.
A tal fine, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli trasmette, entro il 30 giugno di ciascun anno, e in prima applicazione entro il 1° febbraio 2016, i dati in suo possesso relativi agli stessi impianti.
All'anagrafe possono accedere, per consultazione, le Regioni, l'Amministrazione competente al rilascio del titolo autorizzativo o concessorio, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli e la Cassa Conguaglio G.P.L.
Il Ministero dello sviluppo economico, con proprio decreto, provvede a riorganizzare il Comitato tecnico per la ristrutturazione della rete dei carburanti, riducendo il numero dei componenti e prevedendo la partecipazione di un rappresentante delle Regioni e di un rappresentante dell'ANCI.
Si ricorda che il provvedimento n. 18/1989 emanato dalla giunta del CIP in data 12 settembre 1989 ha delegato il presidente del CIP ad istituire, presso l’allora Direzione generale delle fonti di energia del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, ora Direzione generale per la sicurezza dell'approvvigionamento e le infrastrutture energetiche del Ministero dello sviluppo economico, un Comitato tecnico per la ristrutturazione della rete di distribuzione carburanti. Tale comitato è stato istituito dal il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, Presidente delegato del CIP, con il decreto ministeriale 17 gennaio 1990.
Il comma 2 pone l’obbligo, per i titolari dell'autorizzazione rilasciata dal comune o di concessione degli impianti di distribuzione dei carburanti, hanno l'obbligo di iscrizione all'anagrafe entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Anche gli impianti in regolare sospensiva dovranno iscriversi all’anagrafe, evidenziando la data di cessazione della sospensiva medesima.
Il comma 3 richiede ai i titolari degli impianti, contestualmente all'iscrizione nell'anagrafe, presentare una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà attestante la situazione dell'impianto di distribuzione carburanti in relazione ai soli aspetti attinenti la sicurezza della circolazione stradale, ovvero se l’impianto:
§ non ricade in una delle fattispecie di incompatibilità previste dalle disposizioni regionali e dai commi 12 e 13 dell’articolo norma in esame;
§ ricade in una delle suddette fattispecie di incompatibilità (si veda il comma 4);
§ ricade in una delle suddette fattispecie di incompatibilità, ma il titolare si impegna al relativo adeguamento, da completare entro 12 mesi. Entro 15 giorni dalla conclusione dei lavori di adeguamento il titolare dell'autorizzazione presenta una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà relativa alla compatibilità dell'impianto. Tale dichiarazione potrà essere corredata da deroga formale, disposta antecedentemente all'entrata in vigore della presente legge dall'Amministrazione competente sulla base della specifica disciplina regionale. In alternativa alla dichiarazione di cui al precedente periodo potrà essere resa perizia giurata di tecnico abilitato.
La dichiarazione deve essere indirizzata al Ministero dello sviluppo economico, alla Regione competente, all'Amministrazione competente al rilascio del titolo autorizzativo o concessorio ed all'Ufficio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Il comma 4 riguarda il caso in cui l'impianto di distribuzione dei carburanti ricada nelle fattispecie di incompatibilità e il titolare non si impegni a procedere al relativo completo adeguamento. In tale situazione, il titolare cessa l'attività di vendita di carburanti entro 9 mesi dall'entrata in vigore della presente legge e provvede allo smantellamento dell'impianto. Contestualmente, l'Amministrazione competente dichiara la decadenza del titolo autorizzativo o concessorio relativo allo stesso impianto, dandone comunicazione al Ministero dello sviluppo economico, ai fini dell'aggiornamento dell'anagrafe, alla Regione ed all'Agenzia delle dogane e dei monopoli. L'Ufficio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli competente per territorio dichiara la contestuale decadenza della licenza di esercizio. Sono risolti di diritto i relativi contratti per l'affidamento e l'approvvigionamento degli stessi impianti di distribuzione dei carburanti.
Il comma 5 demanda al Ministero dello sviluppo economico di effettuare il riscontro sull’iscrizione di tutti gli impianti di distribuzione carburanti nell'anagrafe, sulla base dei dati già in possesso della pubblica amministrazione, dei dati in possesso delle Regioni e delle comunicazioni periodicamente inoltrate dalle Amministrazioni locali e dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli.
I commi 6 e 7 riguardano le sanzioni per il mancato invio della dichiarazione sulla compatibilità degli impianti da parte del titolare. In tali casi, il Ministero dello sviluppo economico irroga al titolare dell'autorizzazione la sanzione pecuniaria amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.500 a euro 7.000 per ciascun mese di ritardo dal termine previsto per l'iscrizione all'anagrafe, per ciascuna mancata dichiarazione, e diffida il titolare dell'autorizzazione o concessione a provvedere entro il termine perentorio di trenta giorni, pena la decadenza dell'autorizzazione o concessione. I proventi della sanzione amministrativa di cui al presente comma spettano al Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti.
Decorso inutilmente il nuovo termine, il Ministero dello sviluppo economico dà comunicazione all'Ufficio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli competente per territorio, alla Regione ed all'Amministrazione competente per territorio al rilascio del titolo autorizzativo o concessorio, che procedono entro trenta giorni alla dichiarazione di decadenza del titolo autorizzativo o concessorio e alla decadenza della licenza di esercizio.
In merito al Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti si ricorda che il provvedimento n. 18/1989, emanato dalla giunta del Comitato interministeriale prezzi in data 12 settembre 1989, aveva istituito, presso la Cassa conguaglio G.P.L., un conto economico denominato "Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione carburanti".
Il decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, in materia di razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti, all'art. 6 ha previsto l’istituzione di un nuovo "Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti", in cui sono confluiti i fondi residui disponibili nel conto economico avente la medesima denominazione, istituito ai sensi del citato provvedimento CIP n. 18/1989.
Il comma 8 pone la verifica dell’iscrizione all’anagrafe e la compatibilità dell’impianto quali presupposti per il rilascio al gestore dell'impianto del registro annuale di carico e scarico da parte dell'Ufficio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli competente per territorio.
Il comma 9 riguarda le sanzioni per il titolare che abbia dichiarato incompatibile l'impianto oggetto ma non abbia provveduto alla cessazione dell'attività di vendita carburanti entro 9 mesi dall'entrata in vigore della presente legge. Il Ministero dello sviluppo economico irroga al titolare la sanzione pecuniaria amministrativa del pagamento di una somma da euro 5.000 a euro 15.000 per ciascun mese di ritardo rispetto alla data ultima prevista per la cessazione dell'attività di vendita, e dispone la chiusura immediata dell'esercizio dell'impianto stesso.
I proventi della sanzione amministrativa di cui al presente comma spettano al 30% al Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti per la quota del 30 per cento ed il resto al Comune competente per territorio.
La verifica dell'effettiva chiusura degli impianti per i quali è stata disposta la cessazione immediata verrà effettuata dalla Guardia di finanza o da altri organi di polizia giudiziaria, su richiesta del Ministero dello sviluppo economico.
Si segnala che la Commissione Bilancio ha richiesto la riformulazione
dei commi 6 e 9 nelle parti che prevedono il versamento dei proventi delle
sanzioni amministrative irrogate dal MiSE nei confronti dei titolari degli
impianti. La riformulazione dovrebbe prevedere che tali proventi affluiscano
per quota parte al citato Fondo fino alla scadenza del termine di cui al
decreto del Ministero dello sviluppo economico del 14 febbraio 2014 (che
proroga l’attività della Cassa conguaglio GPL fino al riordino della stessa e
al massimo al 31 dicembre 2016) e siano acquisiti all’entrata del bilancio
dello Stato successivamente a tale termine.
Secondo il comma 10, nel caso in cui sia accertata la non compatibilità di un impianto, dichiarato dal titolare compatibile, oppure sia inutilmente decorso il termine per la conclusione dei lavori di adeguamento, l'Amministrazione competente per territorio dichiara la decadenza del titolo autorizzativo o concessorio comunicandolo alla Regione, al Ministero dello sviluppo economico e all'ufficio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Contestualmente l'ufficio dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli dichiara la decadenza della licenza di esercizio afferente allo stesso impianto e sono risolti di diritto i relativi contratti per l'affidamento dell'impianto e l'approvvigionamento di carburante. In questi casi si applicano le medesime sanzioni previste dal comma 9 per il titolare che non abbia cessato l’attività di un impianto incompatibile.
Il comma 11 prevede che eventuali segnalazioni relative a impianti incompatibili operanti oltre i 9 mesi dalla dichiarazione siano inviate all'Amministrazione territorialmente competente per il rilascio del titolo autorizzativo o concessorio, alla Regione competente e al Ministero dello sviluppo economico.
I commi 12 e 13 riguardano le situazioni di incompatibilità in relazione agli aspetti di sicurezza della circolazione stradale, rispettivamente per gli impianti:
§ ubicati all'interno dei centri abitati (comma 12). In questo caso sono considerati incompatibili gli impianti privi di sede propria per i quali il rifornimento, tanto all'utenza quanto all'impianto stesso, avviene sulla carreggiata, e gli impianti situati all’interno di aree pedonali;
§ ubicati all'esterno dei centri abitati (comma 13). In questo caso sono considerati incompatibili gli impianti ricadenti in corrispondenza di biforcazioni di strade di uso pubblico (incroci ad Y) e ubicati sulla cuspide degli stessi, con accessi su più strade pubbliche; impianti ricadenti all'interno di curve aventi raggio minore o uguale a metri cento, salvo si tratti di unico impianto in comuni montani; gli impianti privi di sede propria per i quali il rifornimento, tanto all'utenza quanto all'impianto stesso, avviene sulla carreggiata.
Secondo il comma 14, le regioni e i comuni, anche attraverso lo strumento dell'anagrafe degli impianti di cui al comma 1, verificano che gli impianti di distribuzione carburanti in sospensione dell'attività rispettino le tempistiche e le modalità previste per il regime della sospensiva nelle relative norme regionali o provinciali.
I commi 15 e 16 pongono in essere nuove norme sull’installazione degli impianti.
Il comma 15 abroga l’articolo 2, comma 1-bis del D.Lgs. 32/1998 sulla localizzazione degli impianti.
Si ricorda che l'articolo 2, comma 1-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 1998 prevede che la localizzazione degli impianti di carburanti costituisce un mero adeguamento degli strumenti urbanistici in tutte le zone e sottozone del piano regolatore generale non sottoposte a particolari vincoli paesaggistici, ambientali ovvero monumentali e non comprese nelle zone territoriali omogenee A.
Sono fatte salve le autorizzazioni per l'installazione di impianti di carburanti già rilasciate, le istanze presentate per le quali il relativo procedimento sia ancora in corso al momento dell'entrata in vigore della presente legge e gli interventi relativi a modifiche o ristrutturazioni degli impianti. In relazione a queste ultime fattispecie gli impianti di distribuzione sono da ritenersi compatibili con qualsiasi destinazione di zona, salvo l'esistenza di particolari vincoli paesaggistici, ambientali ovvero monumentali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché di limitazioni derivanti dalla disciplina delle zone territoriali omogenee A.
Si ricorda che le zone territoriali omogenee di tipo A includono, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 1444/1968, “ le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.
Il comma 16 consente le installazioni degli impianti di carburanti all'interno delle zone
§ comprese nelle fasce di rispetto delle strade.
Si ricorda che
l'articolo 2 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (nuovo Codice della
strada) definisce “strade” le aree ad uso pubblico destinata alla circolazione
dei pedoni, dei veicoli e degli animali.
§ definite nei PRG vigenti a destinazione commerciale, artigianale e industriale. Sono fatte salve le norme in materia di prevenzione incendi, edilizie, ambientali, igienico-sanitarie e di sicurezza sul lavoro.
I commi da 17 a 20 riguardano la dismissione degli impianti, e prevedono procedure semplificate di dismissione applicabili agli impianti di distribuzione dei carburanti che chiuderanno definitivamente alle vendite entro tre anni, salvo i casi in cui per le stesse aree esistano o vengano sottoscritti specifici accordi o atti della pubblica Amministrazione in merito al loro ripristino.
Entro 30 giorni dalla data di cessazione definitiva dell'attività di vendita, i titolari di impianti di distribuzione carburanti comunicano al comune competente l'avvio delle procedure di dismissione eseguendole nei successivi 120 giorni e comunque entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente normativa. La conclusione dei lavori è attestata con una relazione, firmata da un tecnico abilitato, da produrre all'amministrazione comunale competente con formula di autocertificazione.
Le procedure semplificate di dismissione prevedono
§ lo smantellamento delle attrezzature fuori terra,
§ la rimozione dei fondami e degli eventuali prodotti residui presenti nei serbatoi,
§ la messa in sicurezza delle strutture interrate,
§ la rimozione delle strutture interrate in caso di riutilizzo dell'area.
§ ove si renda necessario a seguito dell' individuazione di una contaminazione, l'esecuzione di indagini ambientali di cui al regolamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare adottato con decreto 12 febbraio 2015, n. 31.
L’articolo 3 del citato regolamento - recante criteri semplificati per la
caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica dei punti vendita carburanti
- prevede che, in presenza di una situazione di inquinamento
possibile o in atto, devono essere individuate e attuate le misure di
prevenzione, e gli speciali interventi di prevenzione consistenti in misure di
messa in sicurezza d'emergenza, necessari per prevenire, impedire ed eliminare
la diffusione di sostanze inquinanti al suolo e alle acque sotterranee non
contaminati. Tali misure possono consistere nella rimozione di fonti inquinanti
primarie e secondarie.
Si segnala, inoltre, che il comma 2 dell’art. 5 del
medesimo regolamento dispone che “il regime speciale disciplinato dal presente
decreto si applica anche … alla dismissione di punti vendita di carburanti”.
In tali casi, i titolari di impianti di distribuzione carburanti, qualora individuassero delle contaminazioni, si avvalgono degli accordi di programma contemplati all'articolo 246 del Codice ambientale.
Si ricorda che l’articolo 246 del D.Lgs. 152/2006
riguarda i soggetti obbligati alla bonifica di siti contaminati. Essi hanno
diritto di definire modalità e tempi di esecuzione degli interventi mediante
appositi accordi di programma stipulati, entro sei mesi dall'approvazione del
documento di analisi di rischio, con le amministrazioni competenti (entro 12
mesi se riguardano il territorio di più regioni, ed entro 18 mesi se riguardano
tutto il territorio nazionale).
Andrebbe valutata l’opportunità di specificare la portata delle norme
in commento in relazione alle procedure vigenti in materia di messa in
sicurezza e bonifica e di un coordinamento con la relativa disciplina.
Andrebbe, altresì, valutata l’opportunità di esplicitare le fattispecie
in cui procedere alla rimozione delle strutture interrate, tenuto conto del
verificarsi di casi di riutilizzo dell’area anche a distanza di tempo.
Articolo 22-ter
(Maggiore tutela della concorrenza e
della garanzia della possibilità di reale accesso al mercato di gestione
autonoma degli imballaggi)
L’articolo 22-ter, inserito nel corso dell’esame in sede referente, modifica in più punti la disciplina, dettata dal comma 5 dell’art. 221 del cd. Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), relativa alle modalità da seguire, da parte dei produttori di imballaggi, per il riconoscimento del sistema autonomo alternativo all’adesione al CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) o a uno dei c.d. Consorzi di filiera (costituiti per ognuno dei materiali di imballaggio).
La vigente disciplina, contenuta nel D.Lgs. 152/2006, prevede che i produttori e gli utilizzatori partecipino al CONAI o aderiscano ad uno dei c.d. consorzi di filiera. In via alternativa, l’art. 221 del D.Lgs. 152/2006 consente l’organizzazione di un sistema autonomo, anche in forma collettiva, per la gestione dei propri rifiuti di imballaggio sull'intero territorio nazionale (lettera a) del comma 3) oppure l’attivazione di un sistema di restituzione dei propri imballaggi (lettera c) del comma 3). La possibilità di attuare tali forme di gestione alternative a quella consortile è sottoposta al previo riconoscimento da parte del Ministero dell'ambiente, secondo la procedura delineata dal comma 5 del citato art. 221, che prevede l’acquisizione dei “necessari elementi di valutazione forniti dal Consorzio nazionale imballaggi”.
Si segnala che il disegno di legge recante disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali (cd. collegato ambientale), in corso di esame al Senato (A.S. 1676), interviene in merito agli obblighi dei produttori e degli utilizzatori e all'attività dei Consorzi, coinvolti nella gestione dei rifiuti di imballaggio, nonché sui termini relativi agli obblighi di comunicazione in materia di imballaggi, sulla preparazione dei Programmi e dei Piani finalizzati alla prevenzione e gestione degli imballaggi, sulla redazione del bilancio d'esercizio.
Le lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo in esame modificano, in particolare, la parte del comma 5 dell’art. 221 del D.Lgs. 152/2006 che disciplina la sospensione dell’obbligo di corrispondere il c.d. contributo ambientale CONAI in virtù del riconoscimento del sistema alternativo attivato dai produttori.
La lettera h) del comma 3 dell’art. 224 affida al CONAI il compito di ripartire tra i produttori e gli utilizzatori il corrispettivo per i maggiori oneri della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico, nonché gli oneri per il riciclaggio e per il recupero dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio di raccolta differenziata, in proporzione alla quantità totale, al peso ed alla tipologia del materiale di imballaggio immessi sul mercato nazionale, al netto delle quantità di imballaggi usati riutilizzati nell'anno precedente per ciascuna tipologia di materiale. A tal fine il CONAI determina e pone a carico dei consorziati il contributo denominato contributo ambientale CONAI.
La modifica in commento mira infatti a garantire la sospensione dell’obbligo di corrispondere il c.d. contributo ambientale CONAI sin dal momento del riconoscimento del progetto di istituzione del sistema autonomo e fino al provvedimento definitivo che accerti il funzionamento o il mancato funzionamento del sistema, mentre il testo attualmente vigente prevede che l’obbligo continui a valere sino all’effettivo accertamento del funzionamento del “sistema autonomo”.
La finalità di tale disposizione sembrerebbe quella di sgravare le imprese impegnate nella realizzazione di un nuovo sistema autonomo dall’obbligo di continuare a versare il contributo ambientale CONAI già a partire dal riconoscimento del relativo progetto. Si segnala che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella segnalazione AS 1137, ha individuato tra gli obiettivi da perseguire quello di “garantire pari condizioni di accesso ed esercizio dell’attività ai sistemi di recupero e riciclo dei rifiuti da imballaggi che non sono organizzati in forma consortile (c.d. sistemi di raccolta autonomi)”.
Si osserva che la norma non disciplina la fase successiva al
provvedimento definitivo di accertamento del funzionamento o del mancato
funzionamento del sistema relativamente all’obbligo di corresponsione del
contributo CONAI.
Le disposizioni contenute nella lettera c) del comma 1 dell’articolo in esame escludono il CONAI dalla procedura di riconoscimento dei c.d. sistemi autonomi, e affidano le relative competenze all’ISPRA.
Il successivo comma 2, che a differenza delle disposizioni precedenti non si configura come novella al citato comma 5 dell’art. 221 del Codice ambientale, reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che l’ISPRA provvede all’attuazione delle disposizioni della lettera c) del comma 1 con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica .
La disposizione dettata dalla lettera c) del comma 1 dell'articolo in esame sembra rispondere a quanto rilevato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), nella segnalazione AS 1137. In tale documento, infatti, l’Autorità ha auspicato, tra l’altro, una modifica dell’art. 221, comma 5, del D.Lgs. n. 152/2006, al fine di affidare le procedure di autorizzazione dei sistemi autonomi a soggetti caratterizzati da terzietà (l’Autorità ha fatto proprio l’esempio dell’ISPRA) e, dunque, escludere il coinvolgimento del CONAI, considerato che, ad avviso dell’Autorità, appare di tutta evidenza che il CONAI si trovi a svolgere tale ruolo in una situazione di conflitto di interesse.
Riguardo a tale questione, nell’ambito dell’istruttoria avviata nel luglio 2014 dall’Autorità in merito al sistema consortile, il CONAI e il COREPLA hanno assunto l’impegno di attribuire ad un soggetto terzo il compito di formulare “i necessari elementi di valutazione” di cui all’art. 221, comma 5, del D.Lgs. 152/2006.
Il
seguente testo a fronte evidenzia le modifiche operate dagli articoli in esame
al testo del comma 5 dell’art. 221 del D.Lgs. 152/2006.
Art. 221, comma 5 - Testo vigente |
Art. 221, comma 5 - Nuovo testo |
5. I
produttori che non intendono aderire al Consorzio Nazionale Imballaggi e a un
Consorzio di cui all'articolo 223, devono presentare all'Osservatorio
nazionale sui rifiuti il progetto del sistema di cui al comma 3, lettere a) o
c) richiedendone il riconoscimento sulla base di idonea documentazione. Il
progetto va presentato entro novanta giorni dall'assunzione della qualifica
di produttore ai sensi dell'articolo 218, comma 1, lettera r) o prima del
recesso da uno dei suddetti Consorzi. Il recesso è, in ogni caso, efficace
solo dal momento in cui, intervenuto il riconoscimento, l'Osservatorio
accerti il funzionamento del sistema e ne dia comunicazione al Consorzio,
permanendo fino a tale momento l'obbligo di corrispondere il contributo
ambientale di cui all'articolo 224, comma 3, lettera h). Per ottenere
il riconoscimento i produttori devono dimostrare di aver organizzato il
sistema secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, che il
sistema sarà effettivamente ed autonomamente funzionante e che sarà in grado
di conseguire, nell'ambito delle attività svolte, gli obiettivi di recupero e
di riciclaggio di cui all'articolo 220. I produttori devono inoltre garantire
che gli utilizzatori e gli utenti finali degli imballaggi siano informati
sulle modalità del sistema adottato. L'Osservatorio,
acquisiti i necessari elementi di valutazione forniti dal Consorzio
nazionale imballaggi, si esprime
entro novanta giorni dalla richiesta. In caso di mancata risposta nel termine
sopra indicato, l'interessato chiede al Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare l'adozione dei relativi provvedimenti sostitutivi
da emanarsi nei successivi sessanta giorni. L'Osservatorio sarà tenuta a
presentare una relazione annuale di sintesi relativa a tutte le istruttorie
esperite. Sono fatti salvi i riconoscimenti già operati ai sensi della
previgente normativa. Alle domande disciplinate dal presente comma si
applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative alle attività
private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7
agosto 1990, n. 241. A condizione che siano rispettate le condizioni, le
norme tecniche e le prescrizioni specifiche adottate ai sensi del presente
articolo, le attività di cui al comma 3 lettere a) e c) possono essere
intraprese decorsi novanta giorni dallo scadere del termine per l'esercizio
dei poteri sostitutivi da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare come indicato nella presente norma. |
5. I
produttori che non intendono aderire al Consorzio Nazionale Imballaggi e a un
Consorzio di cui all'articolo 223, devono presentare all'Osservatorio
nazionale sui rifiuti il progetto del sistema di cui al comma 3, lettere a) o
c) richiedendone il riconoscimento sulla base di idonea documentazione. Il
progetto va presentato entro novanta giorni dall'assunzione della qualifica
di produttore ai sensi dell'articolo 218, comma 1, lettera r) o prima del
recesso da uno dei suddetti Consorzi. Il recesso è, in ogni caso, efficace
solo dal momento in cui, intervenuto il riconoscimento, l'Osservatorio
accerti il funzionamento del sistema e ne dia comunicazione al Consorzio, L'obbligo di corrispondere il contributo ambientale
di cui all'articolo 224, comma 3, lettera h), è sospeso a seguito
dell'intervenuto riconoscimento del progetto sulla base di idonea
documentazione e sino al provvedimento definitivo che accerti il funzionamento
o il mancato funzionamento del sistema e ne dia comunicazione al Consorzio. Per ottenere
il riconoscimento i produttori devono dimostrare di aver organizzato il
sistema secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, che il
sistema sarà effettivamente ed autonomamente funzionante e che sarà in grado
di conseguire, nell'ambito delle attività svolte, gli obiettivi di recupero e
di riciclaggio di cui all'articolo 220. I produttori devono inoltre garantire
che gli utilizzatori e gli utenti finali degli imballaggi siano informati
sulle modalità del sistema adottato. L'Osservatorio,
acquisiti i necessari elementi di valutazione forniti dall’ISPRA, si esprime
entro novanta giorni dalla richiesta. In caso di mancata risposta nel termine
sopra indicato, l'interessato chiede al Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio e del mare l'adozione dei relativi provvedimenti sostitutivi
da emanarsi nei successivi sessanta giorni. L'Osservatorio sarà tenuta a
presentare una relazione annuale di sintesi relativa a tutte le istruttorie
esperite. Sono fatti salvi i riconoscimenti già operati ai sensi della
previgente normativa. Alle domande disciplinate dal presente comma si
applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative alle attività private
sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990,
n. 241. A condizione che siano rispettate le condizioni, le norme tecniche e
le prescrizioni specifiche adottate ai sensi del presente articolo, le
attività di cui al comma 3 lettere a) e c) possono essere intraprese decorsi
novanta giorni dallo scadere del termine per l'esercizio dei poteri
sostitutivi da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare come indicato nella presente norma. |
Articolo 23
(Costo delle chiamate telefoniche ai
servizi
di assistenza ai clienti)
L’articolo 23, modificato nel corso dell’esame da parte delle Commissioni
riunite VI e X, reca disposizioni in materia di costi delle chiamate ai servizi di assistenza ai clienti bancari.
Esso pone a carico degli istituti bancari e delle società di carte di credito l’obbligo di assicurare che l’accesso ai propri servizi di assistenza ai clienti avvenga a costi telefonici non superiori rispetto alla tariffazione ordinaria urbana; per effetto delle modifiche apportate in sede referente, tale regola vale anche per le chiamate da mobile.
Si demanda inoltre all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di vigilare sulla corretta applicazione della norma in esame.
In sede referente sono state aggiunte misure sanzionatorie e di indennizzo per la violazione delle suddette norme di contenimento dei costi telefonici.
Più in dettaglio, le norme in esame pongono a carico degli istituti bancari e delle società di carte di credito l’obbligo di assicurare che l’accesso ai propri servizi di assistenza ai clienti avvenga a costi telefonici non superiori rispetto alla tariffazione ordinaria urbana; per effetto delle modifiche apportate in sede referente, tale regola vale anche per le chiamate da mobile (comma 1).
A tale proposito si rileva che il riferimento alla “tariffazione
ordinaria urbana” non appare di univoca interpretazione, poiché le tariffe
telefoniche urbane stabilite dai diversi operatori telefonici in regime di
mercato.
Le competenze dell’AGCOM, definite dall’art. 1 della legge n. 249 del 1997, in materia telefonica, prevedono infatti attualmente la possibilità per l’Autorità di supportare gli utenti nella comprensione delle diverse offerte presenti sul mercato tramite, ad esempio, la pubblicazione sul proprio sito dei link alle Carte di Servizio dei vari operatori e il collegamento alle pagine web degli operatori contenenti i prospetti informativi. E possibile anche usufruire di un motore di calcolo per la comparazione tariffaria tra le diverse offerte degli operatori, per agevolare gli utenti nella comprensione delle differenze tra le tariffe. L’AGCOM, oltre a vigilare sulla regolamentazione dei mercati delle comunicazioni elettroniche, tra cui il mercato dei servizi di terminazione delle chiamate su rete fissa e su rete mobile, può:
§ intervenire nelle controversie tra l'ente gestore del servizio di telecomunicazioni e gli utenti privati;
§ vigilare sulla conformità alle prescrizioni della legge dei servizi e dei prodotti che sono forniti da ciascun operatore destinatario di concessione ovvero di autorizzazione promuovendo l'integrazione delle tecnologie e dell'offerta di servizi di telecomunicazioni.
Nelle proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza per l’anno 2014, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato dedica un’ampia riflessione sul settore bancario, analizzato sotto diversi profili, afferenti sia allo svolgimento dell’attività contrattuale (trasparenza e mobilità), sia alla governance ed alla struttura di alcune tipologie di istituti bancari italiani (Fondazioni bancarie e banche popolari).
Il comma 1-bis, introdotto in sede referente, contiene misure di tipo sanzionatorio e di indennizzo per la violazione delle disposizioni di contenimento dei costi di cui al già menzionato comma 1: si prevede in tal caso l'applicazione di una sanzione amministrativa pari a 10.000 euro, inflitta dall'Autorità di vigilanza, ed un indennizzo non inferiore a 100 euro a favore dei clienti.
La delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni 410/14/CONS disciplina i procedimenti in tema di sanzioni amministrative, in particolare regola:
§ le modalità di presentazione delle segnalazioni all’Autorità;
§ l’attività preistruttoria;
§ il procedimento diretto all’accertamento delle violazioni;
§ l’irrogazione delle sanzioni amministrative.
La delibera, come modificata dalla delibera 529/14/CONS disciplina altresì il procedimento in materia di impegni, in forza del quale i soggetti nei confronti dei quali è effettuata una contestazione possono evitare l’irrogazione di una sanzione assumendo ed attuando un impegno operativo finalizzato a “rimuovere le condotte anticompetitive dell’illecito”.
La medesima disposizione rinvia, per quanto non espressamente disciplinato alla legge n. 689 del 1981, che contiene la disciplina generale in materia di sanzioni amministrative.
Le fattispecie generali che prevedono sanzioni amministrative in materia di comunicazioni elettroniche sono individuate dall’articolo 98 del Codice delle comunicazioni elettroniche.
La delibera 77/11/CONS contiene il Regolamento in materia di indennizzi applicabili nella definizione delle controversie tra utenti ed operatori in materia di comunicazioni elettroniche. Sono in esso indicate diverse fattispecie specifiche (ritardata attivazione del servizio; sospensione e cessazione del servizio; malfunzionamento; omessa o ritardata portabilità del numero, eccetera).
Articolo 24
(Strumenti per favorire il confronto tra
servizi bancari)
L’articolo 24, modificato in
sede referente, prevede - affidando in concreto tale compito a un
provvedimento di rango secondario - che siano individuati i prodotti
bancari maggiormente diffusi tra la clientela, al fine di assicurarne la possibilità di confrontare le spese
addebitate dai prestatori di servizi di pagamento attraverso un apposito sito internet.
Per effetto delle modifiche apportate in sede referente si chiarisce che oggetto di confronto sono le spese addebitate a chiunque da parte dei prestatori di servizi di pagamento.
La
segnalazione dell’AGCM ai fini della legge sulla concorrenza
La norma in esame intende completare il percorso di recepimento di quanto richiesto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) – nelle proposte di riforma concorrenziale al parlamento e al Governo, ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza per l’anno 2014, pubblicata nel luglio 2014.
L’Autorità segnalava infatti la necessità di aumentare il tasso di mobilità della clientela bancaria superando gli ostacoli che essa incontra in termini, tra l’altro, di mancata trasparenza e completezza informativa.
Si rende dunque necessario rendere più agevole la comparazione da parte dei consumatori dei costi, introducendo strumenti che favoriscano lo sviluppo di motori di ricerca indipendenti dalle banche (e in concorrenza tra loro) che agevolino il confronto tra i servizi bancari.
L’AGCM osserva infatti che, relativamente al grado di trasparenza delle informazioni a favore dei clienti bancari, nonostante l’introduzione di indicatori sintetici di costo, la scarsa mobilità registrata e la grande dispersione dei prezzi segnalano il permanere di ostacoli informativi per i consumatori e difficoltà alla mobilità. In questa prospettiva si reputa necessario fornire ai consumatori adeguati strumenti di comparazione tra il costo del proprio conto e quelli offerti dalle altre banche mediante lo sviluppo di motori di ricerca indipendenti dalle banche (e in concorrenza tra loro), nonché di strumenti che favoriscano lo sviluppo di motori di ricerca indipendenti dalle banche (e in concorrenza tra loro) che consentano un più agevole confronto tra i servizi bancari da parte dei consumatori.
Il comma 1 della disposizione in esame, modificato in sede referente, affida a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Banca d’Italia, da emanarsi entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il compito di individuare i prodotti bancari maggiormente diffusi tra la clientela; per essi viene assicurata la possibilità di confrontare le spese addebitate dai prestatori di servizi di pagamento, attraverso un apposito sito internet.
Per effetto delle modifiche apportate dalle Commissioni riunite VI e X, si chiarisce che il confronto riguarda le spese addebitate dai prestatori di servizi di pagamento a chiunque.
La relazione illustrativa che accompagna il DDL in esame specifica che detto sito internet sarà gestito dal Ministero dell’economia e delle finanze, sebbene tale precisazione non sia presente nel testo della norma; come si vedrà infra, le disposizioni europee consentono che il sito di comparazione sia gestito da soggetti pubblici e privati.
Le suddette norme sono emanate in conformità alla Direttiva 2014/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull’accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base.
Si rammenta che la Direttiva 2014/92/UE disciplina la comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, il trasferimento del conto di pagamento e l’accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base. Il Capo II della richiamata direttiva si occupa della comparabilità delle spese collegate al conto di pagamento. Si prevede che gli Stati redigano (articolo 3) un elenco dei servizi più rappresentativi collegati a un conto di pagamento e soggetti a spese a livello nazionale, tenendo conto dei servizi che sono più utilizzati dai consumatori in relazione ai propri conti di pagamento e generano il maggiore costo a carico dei consumatori, sia complessivamente che per singola unità.
In tempo utile (articolo 4) prima di stipulare il contratto, i prestatori di servizi di pagamento forniscono al consumatore un documento informativo sulle spese. I prestatori di servizi di pagamento devono fornire gratuitamente almeno una volta all’anno al consumatore un riepilogo di tutte le spese sostenute (articolo 5). La direttiva (articolo 6) reca specifiche prescrizioni anche relative alla modalità di comunicazione ai consumatori delle informazioni contrattuali, commerciali e di marketing.
In ordine al confronto tra le condizioni praticate dagli istituti (articolo 7 della direttiva), gli Stati membri devono assicurare che i consumatori abbiano accesso gratuitamente ad almeno un sito Internet per il confronto delle spese addebitate dai prestatori di servizi di pagamento almeno per i servizi compresi nel richiamato elenco dei servizi più rappresentativi. Tali siti Internet di confronto possono essere gestiti da un operatore privato o da una autorità pubblica. I siti Internet, tra l’altro, devono essere funzionalmente indipendenti, assicurando che i prestatori di servizi di pagamento ricevano pari trattamento nei risultati di ricerca; usano un linguaggio chiaro e privo di ambiguità e, se applicabili, termini standardizzati; forniscono informazioni corrette e aggiornate, e indicano la data dell’ultimo aggiornamento; forniscono una procedura efficace per segnalare le informazioni errate sulle spese pubblicate. Gli Stati membri garantiscono infine che siano rese disponibili online informazioni sulla disponibilità di siti Internet conformi alle norme in commento.
Si ricorda che il parziale recepimento della richiamata Direttiva n. 2014/92/UE è stato effettuato con gli articoli 2 e 2-bis del D.L. n. 3 del 2015, che recano rispettivamente disposizioni in materia di portabilità dei conti di pagamento e di apertura di un conto di pagamento transfrontaliero.
Per quanto riguarda in particolare la portabilità, si richiede che gli istituti bancari e i prestatori di servizi di pagamento, nel caso di trasferimento di un conto di pagamento su richiesta di un cliente, diano corso al trasferimento senza oneri o spese di portabilità a carico del cliente, entro i termini predefiniti dalla. Si è recepita nell’ordinamento la disciplina procedurale del trasferimento dei conti di pagamento contenuta dalla citata Direttiva 2014/92/UE, indicando dettagliatamente gli adempimenti che i prestatori di servizi di pagamento sono tenuti a svolgere. In caso di mancato rispetto dei termini, si prevede che il cliente sia indennizzato per il ritardo, in misura proporzionale al ritardo stesso e alla disponibilità esistente sul conto di pagamento al momento della richiesta di trasferimento. Sono inoltre introdotti ulteriori adempimenti di trasparenza informativa da fornire alla clientela.
Ai sensi del comma 2, le norme secondarie devono altresì individuare le modalità e i termini secondo i quali i prestatori dei servizi di pagamento provvedono a fornire i dati necessari alla comparazione, nonché definire le modalità per la pubblicazione sul sito internet e i relativi aggiornamenti periodici.
Il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria, precisando che all’attuazione delle norme in esame si provvede nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Articolo 25
(Potenziamento della trasparenza nella
vendita di polizze
assicurative accessorie a contratti di finanziamento e mutui)
L’articolo 25, modificato durante l’esame in sede referente, estende a tutte le polizze assicurative connesse e accessorie all’erogazione di mutui, ovvero di credito al consumo, l’obbligo, posto in capo all’intermediario finanziario o alla banca che erogano il credito, di presentare al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi, non riconducibili alle banche, agli istituti di credito e agli intermediari finanziari stessi, fatta salva la possibilità per il cliente di scegliere sul mercato la polizza più conveniente.
Si prevede l’irrogazione
da parte dell’IVASS di una sanzione amministrativa pecuniaria a carico delle
banche, degli istituti di credito e degli intermediari finanziari in caso mancata presentazione di almeno due
preventivi.
Inoltre gli erogatori dei finanziamenti sono tenuti ad informare il richiedente il finanziamento della possibilità di reperire sul mercato la polizza richiesta; sono previsti specifici obblighi informativi, nel caso di polizza emessa da società appartenente al medesimo gruppo, sulle eventuali provvigioni.
Con le modifiche in sede referente:
§ si chiarisce che i predetti obblighi di presentazione di più preventivi riguardano le polizze assicurative connesse o accessorie al finanziamento, e non solo quelle contestuali all’erogazione del finanziamento;
§ si precisa che le banche, gli istituti di credito e gli intermediari sono tenuti ad informare il richiedente se la concessione del finanziamento stesso è subordinata o meno alla stipula di una polizza;
§ si specifica che i soggetti eroganti il finanziamento sono sempre tenuti ad informare il richiedente – non più solo, dunque, nel caso di offerta di polizza emessa da società dello stesso gruppo - in ordine alla provvigione percepita e alla provvigione pagata dalla compagnia assicurativa all’intermediario; inoltre, si prevede che tale informazione sia resa in termini assoluti e percentuali sull’ammontare complessivo, anche fuori dai casi di polizza non abbinata a prodotto finanziario.
Più in dettaglio, la norma in esame integra in più punti l’articolo 28 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, norma che obbliga le banche, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari, qualora condizionino l’erogazione del mutuo immobiliare o del credito al consumo alla stipula di un contratto di assicurazione sulla vita, a sottoporre al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi non riconducibili a banche, istituti di credito e intermediari finanziari stessi. Il cliente è comunque libero di scegliere sul mercato la polizza sulla vita più conveniente, che la banca è obbligata ad accettare senza variare le condizioni offerte per l'erogazione del mutuo immobiliare o del credito al consumo.
L’articolo 28 del D.L. n. 1 del 2012 ha inteso
modificare la prassi bancaria consistente nell'abbinamento automatico tra
erogazione di mutuo e polizza vita, senza che al cliente fosse offerta la
possibilità di effettuare un confronto tra diversi preventivi. Al riguardo il D.L. n. 201 del 2011 aveva già
qualificato come pratica commerciale scorretta il comportamento di
banche, istituti di credito e intermediari finanziari i quali, ai fini della
stipula di un contratto di mutuo, obblighino i clienti a sottoscrivere una
polizza assicurativa erogata dal medesimo soggetto col quale il mutuo è
stipulato.
Il Provvedimento
2946 del 6 dicembre 2011 dell'ISVAP, recante una nuova disciplina delle
polizze legate ai mutui, ha stabilito che gli intermediari assicurativi, ivi
incluse le banche e altri intermediari finanziari, non possono ricoprire simultaneamente il ruolo di distributori di polizze
e di beneficiari delle stesse, in quanto in tale pratica si ravvisa un
non sanabile conflitto d'interesse penalizzante per i consumatori.
In attuazione del D.L n. 1 del 2012, il Regolamento
ISVAP n. 40 del 3 maggio 2012 ha fissato i contenuti minimi della
polizza vita e ha definito uno standard di preventivo per consentire al
consumatore di poter più facilmente confrontare i prodotti. Inoltre, dal 1°
settembre 2012 le imprese che commercializzano tali prodotti devono mettere a
disposizione sul proprio sito internet
un servizio on line gratuito di
preventivazione. Per una maggiore visibilità delle offerte disponibili e per
agevolare la ricerca della polizza più vantaggiosa è possibile consultare l'elenco delle
imprese di assicurazione con la denominazione della relativa polizza vita
commercializzata.
L’IVASS (ex ISVAP) ha pubblicato altresì una guida pratica per il pubblico
in materia di polizze connesse a contratti di finanziamento.
Si rammenta inoltre che con la lettera congiunta al mercato della Banca d’Italia e dell’IVASS
del 26 agosto 2015, gli istituti
di vigilanza hanno evidenziato alcune specifiche criticità connesse al sistema delle polizze legate ai finanziamenti.
Gli istituti hanno chiesto di innalzare il livello di tutela
della clientela nella vendita di polizze abbinate a mutui e prestiti (PPI - Payment Protection Insurance).
Tale intervento è stato discusso nel corso del confronto con il mercato organizzato dalle due Autorità il 5 giugno 2015 e tiene conto delle osservazioni successivamente giunte dagli operatori del mercato. In particolare, IVASS e Banca d'Italia, anche in linea con le indicazioni rivenienti dagli Organismi internazionali, chiedono di adottare iniziative per superare nel più breve tempo possibile le criticità rilevate nella produzione e nella distribuzione di questo genere di polizze. Nella lettera si forniscono indicazioni affinché imprese e intermediari assicurativi consentano alla clientela di conseguire i benefici ricercati con la sottoscrizione di tali prodotti. I due Istituti si attendono che le compagnie rivedano la struttura delle polizze e le loro modalità di collocamento, al fine di assicurare che le loro caratteristiche rispondano alle reali esigenze di copertura dei rischi della clientela e che la loro distribuzione sia improntata a canoni di correttezza sostanziale.
Con le norme in esame, come modificate in sede referente (comma 1, lettera a), nn. 1 e 2, che modificano l’articolo 28, comma 1, del D.L. n. 1 del 2012) i predetti obblighi di presentazione di più preventivi sono estesi a tutte le polizze assicurative connesse o accessorie all’erogazione del finanziamento (mutuo ovvero credito al consumo) e cioè a tutti i casi in cui l’offerta di un contratto di assicurazione sia connesso o accessorio all’erogazione del mutuo o del credito.
Nell’originario testo DDL, gli informativi erano estesi a tutte le polizze assicurative “contestuali” all’erogazione di finanziamento.
Viene poi introdotto
nell’articolo 28 (comma 1, lettera b)) il comma 1-bis, che prevede l’irrogazione da parte dell’IVASS di
una sanzione, a carico delle banche,
degli istituti di credito e degli intermediari finanziari, in misura pari a
quanto stabilito dall’articolo 324 del Codice delle assicurazioni private
(ovvero la sanzione amministrativa pecuniaria da mille a diecimila euro), in
caso mancata presentazione dei due preventivi.
Infine (comma 1, lettera c), anch’essa modificata in sede referente) con l’introduzione del comma 3-bis nell’articolo 28 si dispone che in ogni caso le banche, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari sono tenuti ad informare il richiedente il finanziamento della possibilità di reperire sul mercato la polizza richiesta.
Con le modifiche apportate in dalle Commissioni riunite VI e X è stato chiarito che le banche, gli istituti di credito e gli intermediari che erogano un finanziamento sono tenuti ad informare il richiedente in ordine alla circostanza per cui la concessione del finanziamento stesso è subordinata o meno alla stipula di una polizza.
Nella stessa sede è stato precisato che i soggetti eroganti il finanziamento sono sempre tenuti ad informare il richiedente – non più solo, dunque, nel caso di offerta di polizza emessa da società dello stesso gruppo, come previsto dal testo originario del DDL - in ordine alla provvigione percepita e alla provvigione pagata dalla compagnia assicurativa all’intermediario; inoltre, si prevede che tale informazione sia resa in termini assoluti e percentuali sull’ammontare complessivo, anche fuori dai casi di polizza non abbinata a prodotto finanziario.
Articolo 26
(Misure
per la concorrenza nella professione forense)
Nell’ottica di assicurare una maggiore concorrenza nel comparto dell’avvocatura, l'articolo 26 del disegno di legge modifica la legge-quadro sulla professione forense (legge 31 dicembre 2012, n. 247) in relazione all’esercizio sia in forma associata che societaria. Una specifica disposizione interviene, infine, in materia di compenso professionale.
Per quanto riguarda l’associazione tra avvocati – in accoglimento dei rilievi contenuti nella segnalazione dell’AGCOM - è modificato l’articolo 4 della legge 247/2012. Si prevede (comma 1, lett. a):
§ che l’avvocato possa partecipare a più di un’associazione (soppressione comma 3, quarto periodo);
§ che il domicilio professionale dell’avvocato non debba necessariamente coincidere con quello dell’associazione (abrogazione comma 4); per coordinamento viene eliminata la corrispondente sanzione disciplinare (modifica del comma 6).
Una delle due
disposizioni speciali concernenti gli avvocati contenute nel D.P.R. 137/2012 (il regolamento di
delegificazione di riforma degli ordinamenti professionali) riguarda proprio il
domicilio professionale (art. 9). Tale disposizione prevede che l'avvocato
debba avere un domicilio professionale nell'ambito del circondario di
competenza territoriale dell'ordine presso cui è iscritto, salva la facoltà di
avere ulteriori sedi di attività in altri luoghi del territorio nazionale.
Entrambe le
possibilità sono attualmente escluse dalla disciplina dell’art. 4 della
legge 247 (Associazioni tra avvocati e
multidisciplinari) i cui ulteriori, principali elementi sono (comma 4):
§
la personalità
del conferimento dell’incarico professionale;
§
la possibilità di
società multidisciplinari con altri liberi professionisti appartenenti alle
categorie individuate con regolamento del Ministro della giustizia;
§
l’obbligo
dell’iscrizione all’albo per i soci dell’associazione tra avvocati;
§
l’iscrizione
delle associazioni in un elenco tenuto presso il consiglio dell'ordine nel cui
circondario hanno sede;
§
la possibilità
per le associazioni tra professionisti di indicare l'esercizio di attività
proprie della professione forense fra quelle previste nel proprio oggetto
sociale, oltre che in qualsiasi comunicazione a terzi, solo se tra gli
associati vi è almeno un avvocato iscritto all'albo.
Il comma 10 esclude, infine, che le associazioni che
hanno ad oggetto esclusivamente lo svolgimento di attività professionale
possano essere assoggettate alle procedure fallimentari e concorsuali.
L’art. 26 introduce direttamente nella legge-professionale forense (L. 247 del 2012) una specifica disciplina delle società tra avvocati, attualmente regolata dagli artt. 16 e ss. del D.Lgs. 96 del 2001 (comma 1, lett. b).
Il D.Lgs. 96/2001 (Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio
permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello
in cui è stata acquisita la qualifica professionale) prevede i seguenti principali elementi caratterizzanti la
società tra avvocati (artt. 16 e ss.):
§
il modello
societario adottato, ove non diversamente disposto, è quello della società in
nome collettivo;
§
la ragione
sociale deve contenere l'indicazione di società tra avvocati, in forma
abbreviata “s.t.a”;
§
la società tra
avvocati è iscritta in una sezione speciale dell'albo del Consiglio dell'ordine
nella cui circoscrizione è posta la sede legale; analoga iscrizione va fatta ad
una sezione speciale del registro delle imprese;
§
i soci devono
essere avvocati iscritti all’albo (sono quindi esclusi i soci di solo
capitale);
§
la partecipazione
ad una società tra avvocati è incompatibile con la partecipazione ad altra
società tra avvocati;
§
l'incarico
professionale conferito alla società può essere eseguito solo da uno o più soci
in possesso dei requisiti per l'esercizio dell'attività professionale
richiesta;
§
il socio o i soci
incaricati della prestazione sono personalmente e illimitatamente responsabili
per l'attività professionale svolta in esecuzione dell'incarico; la società
risponde con il suo patrimonio;
§
la società non è
soggetta a fallimento.
La
nuova disciplina - inserita nella legge 247 con un nuovo articolo 4-bis (Esercizio
della professione forense in forma societaria) - attua direttamente alcuni
dei principi e criteri direttivi contenuti nella delega per la costituzione di società tra avvocati prevista dall’art. 5 della citata legge
professionale, che viene abrogato,
per coordinamento, dalla successiva lett.
c) del comma 1 dell’articolo in esame.
La delega di cui
all’art. 5 della L. 247/2012, peraltro
già scaduta (doveva essere esercitata entro sei mesi dalla entrata in vigore
della legge, quindi entro il 2 agosto 2013) stabiliva i seguenti principi e criteri direttivi:
a)
prevedere che
l'esercizio della professione forense in forma societaria sia consentito
esclusivamente a società di persone, società di capitali o società cooperative,
i cui soci siano avvocati iscritti all'albo;
b)
prevedere che
ciascun avvocato possa far parte di una sola società di cui alla lettera a);
c)
prevedere che la
denominazione o ragione sociale contenga l'indicazione: «società tra avvocati»;
d)
disciplinare
l'organo di gestione della società tra avvocati prevedendo che i suoi
componenti non possano essere estranei alla compagine sociale;
e)
stabilire che
l'incarico professionale, conferito alla società ed eseguito secondo il
principio della personalità della prestazione professionale, possa essere
svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per
lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente;
f)
prevedere che la
responsabilità della società e quella dei soci non escluda la responsabilità
del professionista che ha eseguito la prestazione;
g)
prevedere che la
società tra avvocati sia iscritta in una apposita sezione speciale dell'albo tenuto
dall'ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società;
h)
regolare la
responsabilità disciplinare della società tra avvocati, stabilendo che essa sia
tenuta al rispetto del codice deontologico forense e soggetta alla competenza
disciplinare dell'ordine di appartenenza;
i)
stabilire che la
sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall'albo nel quale è
iscritto costituisca causa di esclusione dalla società;
j) qualificare i redditi prodotti dalla società tra avvocati quali redditi di lavoro autonomo anche ai fini previdenziali, ai sensi del capo V del titolo I del testo unico delle imposte sui redditi (D.P.R. 917/1986);
k) stabilire che l'esercizio della professione forense in forma societaria non costituisca attività d'impresa e che, conseguentemente, la società tra avvocati non sia soggetta al fallimento e alle procedure concorsuali diverse da quelle di composizione delle crisi da sovraindebitamento (L. 3/2012);
l) prevedere che alla società tra avvocati si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni sull'esercizio della professione di avvocato in forma societaria di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96.
L'art. 5 – sebbene precisi che la delega debba tenere conto delle previsioni dell'art. 10 della legge 183/2011 (legge di
stabilità 2012) che, nell’ambito di un percorso di riforma dei servizi
professionali (poi attuato col D.P.R. 137/2012), per primo aveva dettato
disposizioni sulle società tra professionisti - sottrae le società tra
avvocati all'applicazione della normativa generale sulle società tra
professionisti dettata dal citato art. 10. Detta norma (come novellata
dall'articolo
9-bis del decreto-legge n. 1 del
2012, cosiddetto "decreto liberalizzazioni")
prevede la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali
regolamentate, secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro
V del codice civile, così consentendo alle società tra professionisti di
assumere anche la forma di società di
capitali e di società cooperative (per queste ultime, con un minimo 3
soci).
Per quanto riguarda la definizione dei principi e
criteri direttivi di delega di cui al medesimo articolo 5 della legge 247, il
rinvio all'articolo 10 della legge n. 183/2011 pare essere residuale,
considerato che alcuni dei predetti principi e criteri direttivi sono
incompatibili con i contenuti del medesimo articolo 10. Ciò vale in particolare
per la disciplina della compagine sociale (v. la possibilità di soci di solo capitale,
sia pure in misura minoritaria, prevista dall’art. 10 ed esclusa dai principi
di delega dell’art. 5 della L. 247/2012.
L’art. 10 della legge
183/2011 - che prevede anche la possibile costituzione di società multiprofessionali - stabilisce che gli statuti delle società
tra professionisti devono prevedere:
a) l'esercizio
in via esclusiva dell'attività professionale da parte dei soci;
b) l'ammissione
in qualità di soci dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi,
anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri
dell'Unione europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante, ovvero
di soci di solo capitale . In ogni caso il numero dei soci
professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve
essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle
deliberazioni o decisioni dei soci; il venir meno di tale condizione
costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell'ordine o
collegio professionale presso il quale è iscritta la società procede alla
cancellazione della stessa dall'albo, salvo che la società non abbia provveduto
a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di
sei mesi;
c) che
l'incarico professionale conferito alla società deve essere eseguito solo dai
soci in possesso dei requisiti per l'esercizio della prestazione richiesta; la
designazione del socio professionista spetta all'utente e, in mancanza di tale
designazione, il nominativo deve essere previamente comunicato per iscritto
all'utente;
c-bis) l’obbligo di stipula di una polizza di
assicurazione per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile
per i danni causati ai clienti dai singoli soci professionisti nell'esercizio
dell'attività professionale;
d) le modalità
di esclusione dalla società del socio che sia stato cancellato dal rispettivo
albo con provvedimento definitivo.
La denominazione sociale, in
qualunque modo formata, deve inoltre contenere l'indicazione di società tra professionisti.
L’art. 10 stabilisce,
infine, che la partecipazione ad una società sia incompatibile con la
partecipazione ad altra società tra professionisti nonché l’obbligo da parte
dei professionisti-soci di osservanza del codice deontologico del proprio
ordine, così come la società è soggetta al regime disciplinare dell'ordine al
quale risulti iscritta. Il socio professionista può opporre agli altri soci il
segreto concernente le attività professionali a lui affidate.
Il nuovo art. 4-bis della legge 247/2012 stabilisce:
§ che l'esercizio della professione forense in forma societaria sia consentito esclusivamente a società di persone, società di capitali o società cooperative; l’art. 4-bis, non prevedendo che i soci debbano essere esclusivamente avvocati, consente, quindi, la possibilità di soci di capitale (totale o parziale). ). Il testo iniziale del disegno di legge presentato dal Governo recepiva, quindi, per tale profilo, il contenuto della segnalazione al Parlamento dell’Autorità Garante.
Tale possibilità
risulta invece esclusa sia dall’art. 5 della legge 247 che dall’art. 21 del
D.Lgs. 96/2001, che prevedono che i soci debbano essere esclusivamente
avvocati. L’art. 10 della L. 183/2011 ammette invece soci di solo capitali,
anche se in misura minoritaria.
Un emendamento approvato nel corso dell’esame delle Commissioni limita il ruolo dei soci di solo capitale, richiedendo che per l’iscrizione all’albo i soci professionisti (siano essi avvocati o professionisti iscritti ad altri albi) rappresentino almeno due terzi del capitale sociale, e dei diritti di voto. Il venir meno di tale requisito, non ripristinato entro sei mesi, determina la cancellazione della società dalla apposta sezione dell’albo degli avvocati (si riprende, quindi, il limite dei due terzi già previsto dall’art. 10 della legge di stabilità 2012).
Ulteriori modifiche introdotte stabiliscono:
§ che in tale sezione dell’albo deve essere resa disponibile la documentazione storica sulla composizione della società stessa;
§ che l’amministrazione della società può essere affidata solo ai soci;
§ che il socio che esercita la prestazione professionale ne risponde, dovendo assicurare, per tutta la durata dell’incarico la propria indipendenza e imparzialità, dichiarando eventuali conflitti di interesse o incompatibilità;
§ che la sospensione o radiazione dall’albo del professionista costituisce causa di esclusione dalla società. La disposizione, per come formulata, esclude dunque che l’avvocato sospeso dall’albo possa restare all’interno della compagine sociale in qualità di socio di capitale.
L’art. 4-bis stabilisce inoltre:
§ che le società tra avvocati siano iscritte in apposita sezione dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società;
Analoga
previsione è contenuta nell’art. 5 della legge 247 e nell’art. 16 del D.Lgs.
96/2001. L’art. 10 della L. 183/2011 non prevede, invece, tale iscrizione.
§ che debba essere conservata la personalità della prestazione professionale, pur se conferita alla società;
Tale principio,
previsto dall’art. 5 della legge 247/2012, non è espressamente stabilito né dal
D.Lgs. 96/2001 né dall’art. 10 della legge 183/2011.
§ che
la responsabilità della società e quella dei soci non esclude la responsabilità
del professionista che ha eseguito la prestazione;
L’art. 5 della
legge 247 contiene identica previsione. L’art. 26 del D.Lgs. 96/2001 stabilisce
che il socio o i soci incaricati sono personalmente e illimitatamente
responsabili per l'attività professionale svolta in esecuzione dell'incarico.
La società risponde con il suo patrimonio. L’art. 10 della L. 183/2010 non
dispone specificamente sul punto.
§ che le società tra avvocati siano tenute a rispettare il codice deontologico forense e ad assoggettarsi alla competenza disciplinare dell'ordine di appartenenza.
L’art. 5 della
legge 247 e l’art. 10 della legge della L. 183/2011 contengono identica
previsione. L’art. 16 del D.Lgs. 96/2001 stabilisce, in generale, che alla
società tra avvocati si applicano, in quanto compatibili, le norme,
legislative, professionali e deontologiche che disciplinano la professione di
avvocato. In particolare, il successivo art. 30 stabilisce che la società tra
avvocati risponde delle violazioni delle norme professionali e deontologiche
applicabili all'esercizio in forma individuale della professione di avvocato.
Se la violazione commessa dal socio è ricollegabile a direttive impartite dalla
società, la responsabilità disciplinare del socio concorre con quella della
società. In tale ultimo caso, il Consiglio dell'ordine presso il quale è iscritta
la società è competente anche per il procedimento disciplinare nei confronti
del socio, benché iscritto presso altro Consiglio dell'ordine, salvo che
l'illecito disciplinare contestato al professionista riguardi un'attività non
svolta nell'interesse della società.
Oltre ad aver rimosso il divieto di ingresso nella società tra avvocati ai soci di solo capitale, la disciplina dell’art. 4-bis non riprende invece i principi di delega contenuti nell’art. 5, comma 2, lettere b), c), d), i), l) m) e n) della legge professionale forense
Si tratta delle seguenti disposizioni: obbligo, per ciascun avvocato, di fare parte di una sola società (limite, invece, rimosso per le associazioni tra avvocati, v. ante); obbligo di fare riferimento nella denominazione o ragione sociale alla «società tra avvocati»; impossibilità per i membri dell’organo di gestione della società tra avvocati di essere estranei alla compagine sociale; previsione in base a cui la sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall'albo nel quale è iscritto costituisca causa di esclusione dalla società; previsione in base a cui i redditi prodotti dalla società tra avvocati costituiscono redditi di lavoro autonomo anche ai fini previdenziali; previsione che l'esercizio della professione forense in forma societaria non costituisca attività d'impresa e che, conseguentemente, la società tra avvocati non sia soggetta al fallimento e alle procedure concorsuali diverse da quelle di composizione delle crisi da sovraindebitamento (L. 3/2012); applicabilità, in quanto compatibili, alle società tra avvocati delle disposizioni sull'esercizio della professione forense in forma societaria di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96.
Si valuti l’introduzione di una disposizione di coordinamento con la
disciplina vigente in materia di società tra avvocati, contenuta nel D.Lgs. n.
96 del 2001.
Una specifica disposizione riguarda il preventivo della prestazione professionale. Attualmente, l’art. 13, comma 5, della legge 247/2012 stabilisce che l’avvocato, a richiesta del cliente, debba comunicargli in forma scritta la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale.
Accogliendo il rilievo espresso dall’AGCOM nella segnalazione al Parlamento, il comma 1, lettera d) dell’art. 26 impone, in ogni caso, all’avvocato di comunicare tale previsione dei costi, in forma scritta e articolata per voci di spesa, sopprimendo il riferimento alla (eventuale) richiesta del cliente.
Si ricorda che
l’art. 13 della legge 247 stabilisce, inoltre:
§
che il compenso dell’avvocato è libero (si
forma quindi sulla base del libero accordo tra cliente e professionista);
§
che il compenso
dell’avvocato è, di regola, pattuito per iscritto all'atto del conferimento
dell'incarico;
§
che il compenso
dell’avvocato può essere a tempo, a
forfait, per convenzione, riguardare uno o più affari o essere basato
sull’assolvimento e sui tempi di erogazione della prestazione; erogato per singole
fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore
dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene (non soltanto a livello
strettamente patrimoniale) il destinatario della prestazione;
§
che è esclusa la
liceità dei cd. patti di quota-lite (con i quali l'avvocato percepisce come
compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o
della ragione litigiosa).
L’autorità Garante auspicava la rimozione di una serie di limiti ai principi della concorrenza, contenuti nella legge di riforma della professione forense (Legge 247 del 2012).
In particolare si
segnalano le seguenti proposte, che non sono state recepite nel disegno di
legge in esame:
§ l’eliminazione della riserva di competenza degli avvocati per l’attività di consulenza legale e stragiudiziale prevista dall’art. 2, comma 6, della legge 247/2012; fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l'attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all'attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati;
§ l’abrogazione dei parametri per i compensi professionali (da ultimo stabiliti con D.M. 55/2014) in caso di mancato accordo tra le parti (per la generalità delle professioni, i parametri si applicano solo in caso di loro liquidazione da parte del giudice) nonché l’eliminazione del ruolo dei Consigli dell’Ordine circondariale nelle controversie sul compenso tra cliente e avvocato (l’art. 13, comma 9, della legge 247 prevede che il Consiglio competente possa esperire un tentativo di conciliazione e - in caso di mancato accordo - su richiesta dell'avvocato, rilasciare un parere sulla congruità della pretesa del legale in relazione all'opera prestata);
§ la rimozione del divieto del patto di quota lite (divieto stabilito dall’art. 13, comma 4, della legge 247/2012);
§ la rimozione del regime delle incompatibilità di cui all’art. 18 della legge 247 (ritenendo, invece, opportuno un intervento sugli obblighi di astensione in caso di conflitto);
§ la possibilità di costituire società multidisciplinari. Tale possibilità è peraltro prevista, in generale, per le società tra professionisti dall’art. 10 della legge 183 del 2011 (legge di stabilità 2012);
§ la pubblicità dei compensi delle prestazioni professionali dell’avvocato.
Articolo 27
(Misure
per favorire la concorrenza e
la trasparenza nel notariato)
La disposizione in esame, profondamente modificata nel corso dell’esame parlamentare, interviene su alcuni articoli della legge di stabilità 2014 e sulla legge professionale notarile (L. 89 del 1913) per favorire la concorrenza nel settore.
Anzitutto, la rubrica dell’articolo viene modificata in “Misure per favorire la concorrenza e la trasparenza nel notariato”.
Un emendamento approvato dalle Commissioni ha introdotto i commi 01 e 02, il primo dei quali, in particolare, interviene in più punti sulla citata legge di stabilità 2014 (L. 147 del 2013) in tema di obblighi di notai e pubblici ufficiali.
L’art. 1, comma 63 della legge di stabilità 2014 stabilisce che il notaio o altro pubblico ufficiale è tenuto a versare su apposito conto corrente dedicato:
a) tutte le somme dovute a titolo di onorari, diritti, accessori, rimborsi spese e contributi, nonché a titolo di tributi per i quali il medesimo sia sostituto o responsabile d'imposta, in relazione agli atti dallo stesso ricevuti o autenticati e soggetti a pubblicità immobiliare, ovvero in relazione ad attività e prestazioni per le quali lo stesso sia delegato dall'autorità giudiziaria;
b) ogni altra somma affidatagli e soggetta ad obbligo di annotazione nel registro delle somme e dei valori di cui alla legge 64/1934, comprese le somme dovute a titolo di imposta in relazione a dichiarazioni di successione;
c) l'intero prezzo o corrispettivo, ovvero il saldo degli stessi, se determinato in denaro, oltre alle somme destinate ad estinzione delle spese condominiali non pagate o di altri oneri dovuti in occasione del ricevimento o dell'autenticazione, di contratti di trasferimento della proprietà o di trasferimento, costituzione od estinzione di altro diritto reale su immobili o aziende.
Il comma 01:
§ sostituendo
il comma 63 della predetta legge 147, modifica
le tipologie di somme che devono essere depositate obbligatoriamente dal
notaio o da altro pubblico ufficiale su
apposito conto corrente dedicato. Rimangono soggette a tale obbligo le somme
dovute, a titolo di tributi, per cui il predetto sia sostituto o responsabile
d'imposta, e comunque le spese fiscali anticipate in relazione agli atti a
repertorio ricevuti o autenticati e soggetti a pubblicità immobiliare o
commerciale (lett. a), e non più le somme ricevute a titolo di onorari,
diritti, accessori, rimborsi spese e contributi; ogni altra somma affidata e
soggetta ad annotazione nel registro delle somme e dei valori, e non più le
somme dovute a titolo di imposta in relazione a dichiarazioni di successione
(lett. b). Si chiarisce che vengono versati in tale conto solo su richiesta di
almeno una delle parti, conformemente all’incarico conferito, l'intero prezzo o
corrispettivo, oltre alle somme destinate ad estinzione di gravami o spese non pagate
o di altri oneri dovuti in occasione del ricevimento o dell'autenticazione di
atti di trasferimento della proprietà o di trasferimento, costituzione od
estinzione di altro diritto reale su immobili o aziende (lett. c); viene
precisato che nei citati casi di cui alla lett. c), il notaio – fatta salva
l’ipotesi di ammessi al gratuito patrocinio - ha l’obbligo di ricusazione del suo ministero se le parti non depositano
prima o contestualmente alla sottoscrizione dell’atto, l’importo dei tributi,
degli onorari e delle spese dell’atto (tale previsione era inizialmente
contenuta nel comma 1, lett. c-bis) dell’articolo in esame ora relativo ad
altro oggetto, v. ultra);
§ abroga il comma 64, che definisce le modalità applicative del precedente comma 63;
§ riformula il comma 65, sulla previsione di impignorabilità delle somme depositate sul conto corrente dedicato (è soppresso il riferimento alla “assoluta” impignorabilità di dette somme); è confermato che dette somme costituiscono patrimonio separato, escluso dalla successione del notaio e dal regime patrimoniale della famiglia;
§ sostituisce il comma 66 consentendo al notaio, in momenti diversi secondo le ipotesi previste al comma 63, di disporre delle somme depositate ma solo i per i relativi, specifici impieghi, mantenendo idonea documentazione. Resta ferma la vigente disciplina sullo svincolo delle somme, limitatamente ai casi previsti dalla lettera c) del comma 63, ovvero il prezzo o il corrispettivo o il saldo per gli atti di trasferimento della proprietà o di trasferimento, costituzione od estinzione di altro diritto reale su immobili o aziende;
§ aggiunge il comma 66-bis, che consente al notaio o ad altro pubblico ufficiale di recuperare dal conto dedicato le somme depositate obbligatoriamente (ai sensi del predetto comma 63) che abbia eventualmente anticipato con fondi propri, nonché le somme diverse in esso versate;
§ sostituisce il comma 67, prevedendo una specifica disciplina degli interessi maturati su tutte le somme depositate: essi rimangono finalizzati a rifinanziare i fondi di credito agevolato, specificando che destinatari di tali fondi sono le piccole e medie imprese. Si affida al Consiglio nazionale del notariato il compito di elaborare i relativi principi di deontologia applicabili.
Si introduce, inoltre, nell’art. 27 il comma 02, che prevede la presentazione periodica (ogni tre anni) da parte del medesimo Consiglio del notariato di una relazione sull’applicazione della predetta disciplina.
Nella legge notarile
(L. 89 del 2013) viene modificato dal comma
1 dell’articolo 27 l’articolo 4, relativo ai criteri che determinano il
numero e la distribuzione dei notai sul
territorio nazionale. Anche tale disposizione è stata modificata nel corso dell’esame presso le Commissioni.
Il comma 1, lett.
a), modificando l’articolo 4, comma 1, della legge sul notariato,
prevede diversi parametri da considerare per garantire che la distribuzione
delle sedi dei notai sia orientata al corretto soddisfacimento della domanda: per
ciascun distretto notarile si dovrà tenere conto della popolazione, della
estensione del territorio e dei mezzi di comunicazione. Sono soppressi,
non solo il riferimento al reddito minimo garantito, ma anche quello alla
quantità degli affari. Come regola generale da assumere, si prevede che ad ogni
posto notarile deve corrispondere una popolazione di almeno 5.000 abitanti
(in luogo dei vigenti 7.000).
Il comma 1, lett.
b), modificando l’articolo 26, comma 2, della legge n. 89 del 1913, estende l’ambito territoriale nel quale il notaio può esercitare le proprie funzioni. Ad
oggi, è previsto l’esercizio delle funzioni notarili nel solo distretto di
corte d’appello in cui si trova la sede assegnata. A seguito della citata
modifica, dette funzioni potranno essere svolte in tutto il territorio della regione in cui si trova la
sede notarile nonché nel territorio del distretto di corte d’appello ove questo
comprenda più regioni (es: il notaio con sede nel distretto di corte d’appello
di Brescia potrà esercitare anche a Milano, capoluogo di un diverso distretto
di corte d’appello; il notaio con sede a Torino potrà continuare a svolgere le
funzioni anche ad Aosta, in quanto la Val d’Aosta è compresa nel territorio del
distretto di corte d’appello di Torino).
Rimane inalterata la disciplina sulla sede secondaria dell’ufficio che può essere aperto solo nell’ambito del distretto notarile di appartenenza. Il notaio può, altresì, recarsi nelle sedi delle rappresentanze diplomatiche e consolari della Repubblica italiana»;
La modifica all’art. 27 della stessa legge notarile (comma 1, lett. c) ha natura di coordinamento con quella dell’articolo 26 e riguarda l’ambito territoriale in cui il notaio può esercitare la sua prestazione professionale; il riferimento è ora al territorio di cui all’art. 26, secondo comma (anziché al territorio della Corte d'Appello nel cui distretto è ubicata la sua sede).
La lett. c-bis), anch’essa introdotta dalle Commissioni, aggiunge un comma all'articolo 93-bis della legge sul notariato, disponendo ispezioni a campione sui notai, in ordine alla regolare tenuta e dell'impiego dei fondi e dei valori consegnati ad ogni titolo al notaio in ragione del suo ufficio; sono previsti specifici adempimenti da parte del notaio sottoposto ad ispezione e sono individuati i soggetti preposti a tale compito, nonché le modalità di svolgimento delle ispezioni stesse
Un’ultima modifica all’art. 27, introdotta nel corso dell’esame, riguarda la pubblicità professionale dei notai e allinea la relativa disciplina a quella prevista per tutte le professioni dal regolamento di riforma degli ordinamenti professionali (D.P.R. 137 del 2012).
Il comma 1, lett. c),
dell’art. 147 della legge notarile sanziona attualmente con la censura o con la
sospensione fino ad un anno o, nei casi più gravi, con la destituzione, il
notaio che “fa illecita concorrenza ad
altro notaio, con riduzioni di onorari, diritti o compensi, ovvero servendosi
dell'opera di procacciatori di clienti, di richiami o di pubblicità non
consentiti dalle norme deontologiche, o di qualunque altro mezzo non confacente
al decoro ed al prestigio della classe notarile”.
In base alla nuova formulazione della citata lett. c), tali sanzioni sono invece previste (comma 1, lett. d) ove il notaio si serva dell’opera di procacciatori di clienti o di pubblicità non conforme ai principi stabiliti dall’art. 4 (Libera concorrenza e pubblicità informativa) del citato regolamento del 2012.
Tale ultima disposizione ammette con ogni mezzo la pubblicità informativa sull'attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni. La citata pubblicità informativa deve essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo del segreto professionale e non dev'essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
La disciplina della legge professionale notarile contiene, secondo la segnalazione dell’AGCOM, significative restrizioni alla libera concorrenza.
Il disegno di legge, in relazione ai criteri che determinano il numero e la distribuzione dei notai sul territorio nazionale, non ha previsto come regola generale che “ad ogni posto notarile corrisponda una popolazione al massimo di 7.000 abitanti” (l’art. 4, legge 89, prevede tali limite come numero minimo di abitanti; il d.d.l. lo ha abbassato a 5.000).
Articolo 28 - Soppresso
(Semplificazione
del passaggio di proprietà di
beni immobili adibiti ad uso non abitativo)
L’articolo 28 - soppresso nel corso dell’esame - introduceva una disciplina speciale in tema di compravendite immobiliari di beni immobili destinati ad uso non abitativo (cantine, box, locali commerciali).
La nuova disciplina - che riguarda anche gli atti di donazione nonché la costituzione o la modificazione di diritti su tali beni immobili – prevedeva la possibilità per gli avvocati di autenticare le sottoscrizioni dei relativi atti di trasferimento nel limite di valore catastale massimo di 100.000 euro.
Attualmente, anche la sottoscrizione di tali atti è riservata ai notai.
A fini di tutela dell’acquirente, gli avvocati erano, secondo il testo iniziale, tenuti agli stessi obblighi dei notai essendo obbligati a munirsi di polizza assicurativa “pari almeno al valore del bene dichiarato nell’atto”.
Le scritture private di compravendita di detti immobili, autenticate dagli avvocati, costituivano titolo ai fini della trascrizione di cui all’art. 2657 del codice civile Gli avvocati erano quindi tenuti a “richiedere la registrazione” dell’atto alla conservatoria dei registri immobiliari, “presentare le note di trascrizione e di iscrizione e le domande di annotazione e di voltura catastale”, tutte operazioni destinate a garantire la correttezza dell’acquisizione della proprietà; spettava agli stessi avvocati, inoltre, liquidare le relative imposte con modalità telematiche.
Erano posti a carico dell’acquirente l’immobile le visure e le comunicazioni dell’avvenuta sottoscrizione degli atti agli uffici competenti.
L’imposta di bollo applicata sulle compravendite era la stessa attualmente prevista per gli atti rogitati, ricevuti e autenticati dai notai o da altri pubblici ufficiali.
Era, infine, previsto che i termini e le modalità di esecuzione telematica dei citati adempimenti fiscali fossero definiti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.
Articolo 28-bis
(Semplificazioni
nelle procedure ereditarie)
L’articolo 28-bis, introdotto nel corso dell’esame presso le Commissioni, riscrive gli articoli 52 e 53 delle disposizioni di attuazione del codice civile in materia di procedure ereditarie.
In particolare, l’articolo 52 affida la tenuta e la conservazione del registro delle successioni (ora presso la cancelleria di ciascun tribunale) al Consiglio Nazionale del Notariato, sotto la vigilanza del Ministro della giustizia.
Nel registro sono inseriti gli estremi degli atti e delle dichiarazioni indicati dalla legge, nonché le copie autentiche degli atti di cui la legge prescrive il deposito. Vi sono inoltre inseriti e conservati i certificati successori europei emessi in Italia ai sensi del Regolamento UE n. 650/2012, nonché le domande dirette al loro rilascio. L'inserzione è fatta d'ufficio dal notaio, se si tratta di dichiarazioni da lui ricevute o certificati da lui rilasciati; su delega dell'ufficio giudiziario o su istanza di parte, a cura di un notaio, se si tratta di dichiarazioni ricevute dal cancelliere o provvedimenti del tribunale. Con uno o più decreti non aventi natura regolamentare del Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio nazionale del notariato, il Garante per la protezione dei dati personali e l'Agenzia per l'Italia digitale, sono determinate le modalità e le regole tecniche per la tenuta del registro, per l'inserzione delle copie autentiche, per la ricerca degli atti e delle dichiarazioni e per il rilascio degli estratti e delle certificazioni, nonché le modalità per l'accesso al registro da parte delle pubbliche amministrazioni e dell'autorità giudiziaria.
Con decreto non avente natura regolamentare del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Consiglio nazionale del notariato, sono determinati i diritti dovuti per l'inserzione di copie su istanza di parte, per la consultazione e la ricerca degli atti e delle dichiarazioni, per il rilascio delle copie e delle certificazioni e per ogni altra attività. I diritti sono determinati in funzione del sostenimento delle spese per il funzionamento della struttura, escluso ogni onere per lo Stato.
Ai sensi dell’articolo 53, il registro può essere esaminato da chiunque ne faccia domanda, in modalità telematica, tramite un notaio. il quale procede al rilascio degli estratti e dei certificati.
Per coordinamento, viene quindi abrogato l'articolo 55 delle disposizioni di attuazione del codice civile, attualmente relativo sia alla trasmissione alle cancellerie dei tribunali, a fini di raccolta, delle copie dei verbali e dei testamenti, sia alla possibilità che le copie possono essere esaminate da chiunque ne faccia richiesta.
Articolo 29
(Modifiche alla disciplina della società
a responsabilità limitata semplificata)
L’articolo 29, modificato in sede referente, intende modificare la disciplina della società a responsabilità limitata (s.r.l.) semplificata, al fine di consentirne la costituzione anche mediante scrittura privata, fermo restando l'obbligo di iscrizione presso il registro delle imprese.
In assenza di ulteriori precisazioni, le norme non fanno riferimento ad una scrittura privata autenticata: di conseguenza, per effetto delle norme in esame, ove si scegliesse la forma della scrittura privata, le parti potrebbero procedere alla costituzione della società senza avvalersi della prestazione di un notaio.
Durante l’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite VI e X è stato precisato che sono affidati al conservatore del registro delle imprese territorialmente competente gli obblighi prescritti dalla normativa antiriciclaggio riguardanti gli atti di iscrizione al registro delle imprese delle SRL semplificata redatti per scrittura privata (di cui al titolo II del D.Lgs. n. 231 del 2007).
A tal fine si interviene sull’articolo 2463-bis del codice civile, che disciplina tale tipologia societaria e che attualmente prevede che la s.r.l. semplificata sia costituita per atto pubblico. In particolare, con le modifiche di cui al comma 1, lettera a) si consente di costituire una s.r.l. semplificata anche mediante una scrittura privata.
La s.r.l. semplificata è stata introdotta nell’ordinamento dal c.d. decreto liberalizzazioni (D.L. n. 1 del 2012) che, segnatamente, aveva previsto una nuova modalità di costituzione di s.r.l. - denominata società semplificata a responsabilità limitata - con lo scopo di garantire la responsabilità limitata e consentire, allo stesso tempo, il risparmio di alcuni costi (oneri notarili, diritti di segreteria e bollo) nei confronti dei costituenti.
In origine, l’agevolazione avrebbe trovato applicazione per le persone fisiche che non avessero compiuto i trentacinque anni di età alla data di costituzione della compagine sociale, consentendo loro di costituire una società a responsabilità limitata attraverso la stipulazione di un contratto o di un atto unilaterale (con possibilità di SRL semplificate unipersonali). Il requisito anagrafico dei 35 anni di età è stato eliminato dall’articolo 9, comma 13 del D.L. 28 giugno 2013, n. 76 .
L’attuale formulazione dell’articolo 2463-bis, su cui incide la disposizione in esame, stabilisce che l’atto costitutivo sia redatto per atto pubblico, in conformità al modello standard tipizzato con apposito decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico. Il modello standard è stato previsto dal regolamento di cui al Decreto del Ministero della Giustizia del 23 giugno 2012 n. 138.
L’atto costitutivo ha un contenuto minimo stabilito dalla legge: in particolare, è tra l’altro indicato l'ammontare del capitale sociale, che dovrà essere pari almeno ad un euro e comunque inferiore a 10.000 euro, sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione (nella società a responsabilità limitata il capitale sociale non può essere inferiore all'importo di 10.000 euro, ai sensi dell’articolo 2463, comma 2, n. 4 del codice civile).
A seguito delle modifiche operate con il citato D.L. n. 76 del 2013, le clausole del modello standard sono inderogabili.
Inoltre la denominazione di società a responsabilità limitata semplificata, l'ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l'ufficio del registro delle imprese presso cui questa è iscritta devono essere indicati negli atti, nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato con la rete telematica ad accesso pubblico.
Si rammenta inoltre che il c.d. “decreto sviluppo” (articolo 44 del D.L. n. 83 del 2012) aveva individuato una nuova modalità di costituzione delle s.r.l., che faceva riferimento all'articolo 2463-bis, senza peraltro intervenire sulle norme del codice civile. Si trattava della società a responsabilità limitata a capitale ridotto (s.r.l.c.r.), con le caratteristiche della s.r.l. semplificata, senza il requisito anagrafico dei 35 anni e senza alcuni, ulteriori limiti originariamente disposti per la s.r.l. semplificata (relativi in particolare alla designazione degli amministratori). Successivamente, il già citato D.L. n. 76 del 2013 ha soppresso le s.r.l. a capitale ridotto e quelle già costituite ed iscritte nel registro delle imprese alla data del 28 giugno 2013 sono ora qualificate come s.r.l. semplificate. Nell'ambito delle s.r.l. semplificate, oggi, rimane quindi un'unica variante in cui i soci non sono soggetti a vincoli di età ed ove gli amministratori possono essere scelti anche tra non soci.
La lettera b)
del comma 1 aggiunge un sesto comma al richiamato articolo 2463-bis, ai sensi del quale, ove l’atto
costitutivo sia redatto per
scrittura privata, gli amministratori devono depositarlo entro venti giorni per l’iscrizione al registro delle
imprese (in particolare, all’ufficio nella cui circoscrizione è stabilita
la sede sociale), allegando i documenti che comprovino la sussistenza delle
autorizzazioni e delle altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la
costituzione della società, in relazione al suo particolare oggetto (ai sensi dell’articolo 2329, primo comma,
numero 3 del codice civile).
Durante l’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite VI e X è stato introdotto il comma 1-bis, che affida al conservatore del registro delle imprese territorialmente competente gli obblighi in tema di normativa antiriciclaggio riguardanti gli atti di iscrizione al registro delle imprese delle SRL semplificata redatti per scrittura privata (di cui al titolo II del D.Lgs. n. 231 del 2007: si tratta degli obblighi di adeguata verifica, di registrazione e di eventuale segnalazione alle Autorità competenti di operazioni sospette).
Articolo 30
(Sottoscrizione
digitale di taluni atti)
L'articolo 30 individua alcune tipologie di atti per i quali è consentita la sottoscrizione, oltre che con atto pubblico o scrittura privata, anche con modalità digitali, attraverso modelli standard. L'assistenza alla stipulazione degli atti digitali può essere fornita da una serie di soggetti, che devono a tal fine accreditarsi presso le Camere di commercio.
La sottoscrizione digitale di atti relativi
alle s.r.l. (commi 1 e 7)
Il comma 1 riguarda le società a responsabilità limitata e consente l’utilizzo di modalità digitali per redigere i seguenti atti:
§ trasferimento di quote sociali;
§ costituzione di diritti parziali su quote sociali. Si tratta della possibilità, prevista dall’art. 2471-bis c.c., di sottoporre la partecipazione societaria a pegno, usufrutto e sequestro.
Alle attuali forme di pubblicità di tali atti – atto pubblico o scrittura privata autenticata (art. 2470 c.c.) – la riforma aggiunge:
1) la sottoscrizione con firma digitale, con conseguente deposito dell’atto entro 30 giorni presso l’ufficio del registro delle imprese (in base all’art. 36, comma 1-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008[13]).
L’art. 36, co. 1-bis del D.L. 112/2008 (conv. L. 133/2008) già prevede che l’atto di trasferimento delle
partecipazioni di una società a responsabilità limitata (art. 2470, co. 2,
c.c.) possa essere sottoscritto con
firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare,
concernente la sottoscrizione dei documenti informatici.
Si ricorda che
la firma digitale consiste in una
procedura informatica di autenticazione volta a riconoscere al documento
informatico gli stessi requisiti di certezza propri di un documento cartaceo
autografo. In particolare, ai sensi del Codice dell’amministrazione digitale
adottato con D.Lgs. n. 82/2005 e successive modificazioni, è un particolare
tipo di firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato e su un
sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra
loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario
tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di
verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un
insieme di documenti informatici (art. 1, co. 1, lett. s)). L'apposizione di
firma digitale integra e sostituisce l'apposizione di sigilli, punzoni, timbri,
contrassegni e marchi di qualsiasi genere ad ogni fine previsto dalla normativa
vigente (art. 24, co. 2).
2) la sottoscrizione con firma elettronica autenticata, ai sensi dell'articolo 25 del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, anche in deroga alla disciplina prevista dal registro delle imprese (D.P.R. n. 581 del 1995[14]).
L’articolo 25 del codice dell’amministrazione
digitale stabilisce che la firma
digitale o la firma elettronica qualificata può essere autenticata dal notaio o
altro pubblico ufficiale, secondo modalità analoghe a quelle previste
dall’art. 2703 del codice civile. Infatti l’autenticazione della firma consiste
nell'attestazione, da parte del pubblico ufficiale, che la firma è stata
apposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento della sua identità
personale, della validità dell'eventuale certificato elettronico utilizzato e
del fatto che il documento sottoscritto non è in contrasto con l'ordinamento
giuridico.
Si ricorda,
inoltre, che l’art. 11, comma 4, del regolamento di attuazione del registro
delle imprese (D.P.R. n. 581 del 1995) stabilisce che l'atto da iscrivere nel
registro deve essere depositato in originale, con sottoscrizione autenticata,
se redatto con scrittura privata non depositata presso un notaio. Negli altri
casi deve essere depositato in copia autentica; l’estratto deve essere
depositato in forma autentica ai sensi dell'art. 2718 c.c..
Qualsiasi sia la forma prescelta, gli atti dovranno poi essere trasmessi ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso un modello standard definito con D.M. giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico.
In base al comma 7, quando gli atti di trasferimento delle quote sociali o di costituzione di diritti parziali su quote sociali sono sottoscritti con firma digitale, le parti provvedono telematicamente alla liquidazione delle imposte e al loro pagamento (in base al D.P.R. 131 del 1986). Spetterà ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate stabilire termini e modalità per l’esecuzione telematica di questi adempimenti.
La disposizione precisa che per quanto riguarda l’imposta di bollo, si applicano le disposizioni previste per i corrispondenti atti redatti o autenticati dai notai.
Il comma 2 attiene alle società semplici e, più in generale, a tutti gli atti per i quali il legislatore non prevede l’obbligo dell’atto pubblico né della scrittura privata autentica.
In relazione a tali atti la riforma consente – derogando tanto alla legge di semplificazione 1999[15], quanto alla disciplina del registro delle imprese[16] - la sottoscrizione con firma elettronica, ai sensi e con gli effetti di cui all'articolo 21 del codice dell’amministrazione digitale.
L’articolo 21 del codice dell’amministrazione
digitale (D.Lgs. n. 82/2005) disciplina il valore probatorio del documento
informatico cui è apposta una firma elettronica, stabilendo che questo sul
piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue
caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità.
Il comma 2 specifica
che il documento informatico sottoscritto con firma digitale o
con firma elettronica qualificata o avanzata, se formato nel rispetto delle
relative regole tecniche, soddisfa comunque il requisito della forma scritta.
In particolare, ha l’efficacia prevista dall’art. 2702 del codice civile, la
medesima cioè della scrittura privata, che “fa piena prova, fino a querela di
falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui
contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero
se questa è legalmente considerata come riconosciuta”. Inoltre chiarisce che
l’utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare del
dispositivo, su cui grava l’onere dell’eventuale prova contraria.
Si ricorda che l’articolo 31, comma 2, della legge n.
340 del 2000 stabilisce che a partire dal 2003 le domande, le denunce e gli
atti che le accompagnano presentate all'ufficio del registro delle imprese, ad
esclusione di quelle presentate dagli imprenditori individuali, siano inviate
per via telematica ovvero presentate su supporto informatico.
I commi da 3 a 5 disciplinano le modalità attraverso le quali i soggetti che devono sottoscrivere digitalmente gli atti possono avvalersi dell’assistenza di un intermediario. In particolare, le disposizioni prevedono:
§ che il soggetto obbligato possa investire l’intermediario del potere di rappresentarlo nel compimento dell’atto, utilizzando a tal fine un modello standard definito con decreto del Ministro dello sviluppo economico. Il modello dovrà essere sottoscritto digitalmente dal rappresentato e poi dovrà essere allegato alla domanda;
§ che il ruolo di intermediario possa essere svolto da professionisti, associazioni datoriali o sindacali, agenzie di affari e di disbrigo di pratiche, comunque denominati, purché accreditati presso la camera di commercio presso cui effettuano l'adempimento, tramite il modello di accreditamento che dovrà essere, anch’esso, approvato con D.M. Sviluppo economico;
§ che l’accreditamento possa essere concesso solo in presenza di alcuni requisiti di onorabilità (assenza di provvedimenti di interdizione, inabilitazione o condanna) del singolo intermediario o degli amministratori della società di intermediazione. Sono automaticamente accreditate le agenzie per le imprese (di cui all’art. 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008); queste ultime devono ricevere e conservare l’atto di rappresentanza redatto in forma olografa (cioè in formato cartaceo).
Si ricorda che
le agenzie per le imprese (di cui all’art. 38, comma 3, del decreto-legge n.
112 del 2008) sono soggetti privati che affiancare la P.A. nella gestione dei
procedimenti amministrativi connessi la realizzazione, trasformazione e
cessazione dell’attività di impresa. Svolgono funzioni di natura istruttoria e
di asseverazione nei procedimenti amministrativi concernenti l'accertamento dei
requisiti e dei presupposti di legge per la realizzazione, la trasformazione,
il trasferimento e la cessazione delle attività di produzione di beni e servizi
da esercitare in forma di impresa. Per l'esercizio delle attività, le Agenzie
devono ottenere l'accreditamento del Ministero dello Sviluppo Economico,
secondo le modalità previste per Regolamento (D.P.R. 9 luglio 2010 n.159).
Il comma 6 disciplina l’ipotesi in cui l’atto debba essere sottoscritto da tutti i componenti di un organo collegiale, consentendo che all’adempimento provveda uno solo dei componenti, delegato dagli altri. Anche in questo caso, l’atto di conferimento del potere di rappresentanza deve essere firmato digitalmente e trasmesso in formato ottico inalterabile.
Infine, il comma 8 stabilisce che dall’attuazione dell’articolo 30 non dovranno derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica: le amministrazioni interessate dovranno infatti provvedere impiegando le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili.
Articolo 31
(Svolgimento
di attività professionali in forma associata)
L’articolo 31, modificato durante l’esame presso le Commissioni riunite VI e X, è una disposizione di interpretazione autentica attraverso la quale il legislatore estende alle società di ingegneria costituite in forma di società di capitali o cooperative la disciplina della legge n. 266 del 1997, che per prima ha consentito l’esercizio della professione in forma societaria. L’intervento normativo consente così di affermare la validità dei contratti conclusi, a decorrere dall’11 agosto 1997, tra le suddette società di ingegneria ed i privati, superando interpretazioni opposte date dalla giurisprudenza.
Per effetto delle modifiche approvate in sede referente, la validità dei suddetti contratti è subordinata al possesso, da parte delle società di ingegneria, dei requisiti prescritti dalla legge di stabilità 2012 (legge n. 183 del 2011) e dal regolamento attuativo (D.M. 8 febbraio 2013, n. 34) per le società tra professionisti (in particolare, requisiti del socio che svolge la prestazione professionale, copertura assicurativa, rispetto del codice deontologico). Le società di ingegneria hanno sei mesi di tempo, dall’entrata in vigore della legge annuale per il mercato e la concorrenza, per soddisfare tali requisiti.
Si ricorda che,
in origine, la legge n. 1815 del 1939[17] ha vietato a tutti i professionisti di esercitare la professione attraverso il ricorso alla forma societaria (art. 2),
consentendo esclusivamente la costituzione di associazioni professionali (art.
1).
Il generale divieto di ricorso alla forma societaria è
stato abrogato dall'art. 24 della legge
n. 266 del 1997[18] (c.d. Legge Bersani), entrata in vigore l’11 agosto
1997. Tale disposizione, peraltro, rinviava ad un regolamento di esecuzione la
determinazione dei requisiti per l’esercizio delle attività in forma
societaria; il regolamento non è stato
mai emanato.
È poi intervenuto l’art. 2, comma 1, lett. c), del D.L. n. 223 del 2006 (c.d. decreto Bersani[19]) che ha
abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano il divieto
di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte
di società di persone o associazioni tra
professionisti (c.d. società
multidisciplinari), fermo restando che l'oggetto sociale relativo
all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista
non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve
essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la
propria personale responsabilità.
Su questo quadro normativo si è inserita la legge di stabilità 2012[20] che, all’art.
10, ha disciplinato la costituzione di
società tra professionisti, consentendo ai professionisti iscritti a ordini
professionali di esercitare la professione in forma societaria o cooperativa (Titoli V e VI del Libro
quinto del codice civile) e dunque anche di assumere la forma di società di capitali. Qualsiasi forma
sia prescelta, la denominazione sociale sarà “società tra professionisti”, STP,
che potrà svolgere anche diverse attività professionali (c.d. società
multidisciplinare)[21]. La disciplina
relativa all’esecuzione dell’incarico conferito alla società da parte di soci
in possesso dei requisiti, alla scelta del professionista da parte dell’utente,
all’incompatibilità e al rispetto del regime disciplinare dell’ordine è dettata,
in attuazione della legge, dal D.M. 8 febbraio 2013, n. 34[22].
Infine, la legge di stabilità 2012, pur abrogando la legge n. 1815 del 1939
sulle associazioni professionali, fa salvi
i diversi modelli societari e associativi previgenti.
Per quanto riguarda, nello specifico, l’esercizio della professione di ingegnere,
sulla scia di quanto in origine previsto tanto dalla c.d. Legge Merloni[23] quanto dalla
c.d. Merloni-ter[24], il Codice degli appalti (D.Lgs. n. 163 del
2006, art. 90, comma 2, lettera b)) consente la costituzione di società di capitali e cooperative, ma
limitatamente allo svolgimento della professione in relazione agli appalti pubblici, e dunque non nei
rapporti con i privati.
Sulla base di questo quadro normativo, dunque, parte
della giurisprudenza ha ritenuto che
le società di ingegneria possano validamente operare nei rapporti con i privati
solo a partire dal 1° gennaio 2013, ovvero dall’entrata in vigore della legge
di stabilità 2012, dichiarando la nullità di tutti i contratti stipulati anteriormente,
in quanto conclusi in violazione di legge[25].
Per risolvere il problema degli appalti privatistici conclusi dalle società di ingegneria prima del 2013, l’articolo 31 riconduce all’entrata in vigore della legge n. 266 del 1997 la possibilità per gli ingegneri di svolgere la professione attraverso la costituzione di società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata) e società cooperative, facendo conseguentemente salvi i rapporti contrattuali già intercorsi (comma 1).
Per effetto delle modifiche approvate in sede referente, la validità dei suddetti contratti è subordinata al possesso, da parte delle società di ingegneria, dei requisiti prescritti dalla legge di stabilità 2012 (legge n. 183 del 2011) e dal regolamento attuativo (DM 8 febbraio 2013, n. 34) per le società tra professionisti (in particolare, requisiti del socio che svolge la prestazione professionale, copertura assicurativa, rispetto del codice deontologico).
Le società di ingegneria hanno sei mesi di tempo, dall’entrata in vigore della legge annuale per il mercato e la concorrenza, per soddisfare tali requisiti.
La disposizione abroga dunque il comma 2 dell’art. 24 della legge n. 266 del 1997, relativo alla necessità di un regolamento di esecuzione per la determinazione dei requisiti per l’esercizio delle attività in forma societaria (comma 2).
Si ricorda che,
sempre in questa legislatura, una disposizione
analoga a quella in commento è stata inserita dal Senato in sede di
conversione del decreto-legge n. 91 del 2014 (A.C. 3012, art. 33-bis). L’articolo aggiuntivo, che riconduceva
alle società tra professionisti e alla liberalizzazione del 2006 le società di
ingegneria costituite in forma di società di capitali, e che faceva salvi i
contratti stipulati a partire dal 1997, è stato soppresso nel successivo
passaggio del disegno di legge alla Camera dei deputati.
Articolo 31-bis
(Disposizioni
sulle professioni regolamentate)
L’articolo in esame, introdotto dalle Commissioni, modifica l’art. 9 del decreto-legge n. 1 del 2012, in tema di compenso per le prestazioni professionali.
La disposizione impone ai professionisti che la comunicazione obbligatoria ai clienti circa il grado di complessità dell’incarico, gli oneri ipotizzabili dal conferimento dello stesso alla sua conclusione, gli estremi della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale, sia resa per iscritto o in forma digitale.
La stessa forma scritta (o digitale) dovrà avere anche il preventivo di massima del compenso della prestazione professionale.
Articolo 32
(Misure per incrementare la concorrenza
nella distribuzione farmaceutica)
L’articolo 32 consente l’ingresso di società di capitale nella
titolarità dell’esercizio della farmacia privata e rimuove il limite delle 4 licenze, attualmente previsto, in capo ad
una identica società.
Esso consente inoltre, nei comuni fino a
6.600 abitanti, alle farmacie che
risultino essere soprannumerarie per decremento della popolazione, la
possibilità di trasferimento in ambito
regionale previo pagamento di una tassa di concessione governativa.
Nella segnalazione
A.S 1137, il superamento dei
vincoli alla multititolarità è richiesto in
associazione al superamento dell’attuale sistema di contingentamento del numero
di farmacie presenti sul territorio nazionale. L’Antitrust riconosce i progressi
ottenuti con l’art. 11 del decreto-legge n. 1/2012[26] nell’allargamento della pianta organica delle farmacie, ma sottolinea
che si è ancora lontani da una corretta distribuzione territoriale delle
farmacie in rapporto alla domanda dei consumatori/pazienti, tanto che l’attuale
numero massimo di farmacie potrebbe essere trasformato in numero minimo. Con
riguardo all’abolizione di vincoli alla multititolarità,
l’Antitrust sottolinea che tale misura potrebbe garantire lo sviluppo di
adeguate economie di scala e di rete e la nascita di nuovi modelli di business,
che potranno riverberarsi in una riduzione dei costi della distribuzione a
beneficio dell’utenza, analoghi a quelli sperimentati in altri Paesi europei.
Secondo l’Antitrust, nel medio periodo, la maggior efficienza della
distribuzione (e la possibilità di comprimere i margini di intermediazione,
oggi ancora particolarmente elevati) finirà per riflettersi positivamente anche
sulla spesa farmaceutica a carico del SSN.
La Commissione
europea nel documento sugli squilibri macroeconomici, riferendosi
all’articolo in esame sottolinea che “Per quanto riguarda la distribuzione dei
prodotti farmaceutici, il disegno di legge rimuove il divieto di possedere più
di quattro farmacie e consente anche alle società di essere titolari di
farmacie. Tuttavia non sopprime il regime di quote, non apre il mercato dei
farmaci con ricetta obbligatoria ma non rimborsati dal sistema sanitario e non pone
rimedio alle strozzature alla diffusione di farmaci generici indicate
dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato”. Nello stesso documento
viene evidenziato come la concorrenza nel settore sanitario sia rimasta esclusa
dal ddl in esame.
La relazione di accompagnamento al provvedimento specifica invece che
restano da avviare ulteriori approfondimenti circa le proposte di eliminare i
vincoli regolamentari che ritardano l’ingresso sul mercato dei farmaci
equivalenti, con riferimento
evidente alle procedure di registrazione dei medicinali e al patent linkage nonché
alla necessità di modificare il sistema di remunerazione della filiera
distributiva del farmaco.
La disposizione è di carattere puramente
ordinamentale e, di conseguenza, non
comporta oneri per la finanza pubblica.
L’intervento legislativo è attuato modificando l’articolo 7 della Legge n. 362/1991 di riordino del servizio farmaceutico. Le modifiche introdotte sono le seguenti (comma 1):
§ all’elenco dei soggetti che possono essere titolari dell’esercizio di farmacia privata vengono aggiungete le società di capitali (lettera a), che sostituisce il comma 1 dell’articolo 7);
A legislazione
vigente, la legge n. 362/1991, all’art. 7, co. 1, stabilisce che la titolarità
delle farmacie private può essere assegnata a:
§ singoli farmacisti iscritti
all’albo con i requisiti di idoneità. L'idoneità alla titolarità si può ottenere in
seguito al superamento (non obbligatoriamente la vincita) di un concorso per
l'assegnazione di sedi farmaceutiche, oppure dopo un periodo di pratica
professionale della durata di due anni svolto in una farmacia aperta al
pubblico e certificato dall'Ufficio farmaceutico della ASL di competenza. La
titolarità in capo a una persona fisica presuppone che il titolare sia
responsabile della gestione patrimoniale e della conduzione
tecnico-professionale della farmacia. Titolarità della farmacia e proprietà
dell'azienda sono inseparabili e seguono lo stesso destino amministrativo. Il
trasferimento della titolarità comporta infatti la cessione della proprietà;
§ società di persone (società
in nome collettivo e società in accomandita semplice) costituite tra farmacisti
iscritti all’albo con i requisiti di idoneità;
§ società cooperative a
responsabilità limitata costituite tra farmacisti iscritti all’albo con i
requisiti di idoneità.
Il successivo art. 8 della legge n. 362/1991
specifica che la partecipazione alle società di cui all'articolo 7, è
incompatibile:
a)
con qualsiasi
altra attività esplicata nel settore della produzione, intermediazione e
informazione scientifica del farmaco;
b)
con la posizione
di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia;
c)
con qualsiasi
rapporto di lavoro pubblico e privato.
Per quanto riguarda il singolo farmacista
titolare, l’art. 13 della legge n. 475/1968[27] specifica che il titolare di una farmacia ed il direttore
responsabile, non possono ricoprire posti di ruolo nell'amministrazione dello
Stato, compresi quelli di assistente e titolare di cattedra universitaria, e di
enti locali o comunque pubblici, né esercitare la professione di propagandista
di prodotti medicinali. Il dipendente dello Stato o di un ente pubblico,
qualora a seguito di pubblico concorso accetti la farmacia assegnatagli, dovrà
dimettersi dal precedente impiego e l'autorizzazione alla farmacia sarà
rilasciata dopo che sia intervenuto il provvedimento di accettazione delle
dimissioni.
Per quanto riguarda le società di capitali e
la titolarità di farmacie, si ricorda che la normativa vigente sulla gestione
delle farmacie comunali - legge n. 475/1968, all’art. 9, prevede che le
farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite:
a)
in economia;
b)
a mezzo di azienda speciale;
c)
a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione
delle farmacie di cui sono unici titolari; d) a mezzo di società di capitali
costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione
della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la
titolarità.
Le fattispecie
sopra elencate tuttavia non sono tassative poiché trovano integrazione con i
principi in materia di servizi pubblici locali. Sul punto, la giurisprudenza in
materia ha recentemente affermato, con la sentenza n. 5389/2014 del Consiglio
di Stato, che la normativa di cui all'art. 9 della legge n. 475/1968 può
applicarsi solo nei limiti in cui è compatibile con la disciplina generale
prevista in materia dal TUEL e ha concluso coerentemente che la mancanza di
farmacisti che prestino servizio presso farmacie comunali non è ostativa alla
costituzione della società a capitale pubblico-privato per la gestione del
servizio stesso.
D'altra parte,
l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), nella deliberazione
del 23 aprile 2014 ricorda che l'art. 28 della legge n. 833/1978
qualifica le farmacie come uno strumento di cui il SSN si avvale per
l'esercizio di un servizio pubblico assegnatogli direttamente dal legislatore.
Alla luce di quanto sopra, l'ANAC ritiene che l'esercizio del servizio
farmaceutico tramite la gestione delle farmacie comunali non possa essere
ricondotto nell'alveo dei servizi pubblici locali - sono tali quelli in
titolarità di comuni, province, città metropolitane, comunità montane e isolane
e Unioni di comuni (art. 2 del D.Lgs. n. 267/2000) - ma che possa qualificarsi
come servizio pubblico in titolarità generale facente parte del complesso dei
servizi sanitari facenti capo al SSN e finalizzati a garantire il fondamentale
diritto alla salute. A sostegno di questa tesi, l'ANAC rinvia alla
giurisprudenza amministrativa laddove afferma che "la gestione delle
farmacie comunali da parte degli enti locali è collocata come modalità gestoria "in nome e per conto" del SSN, come tale
non riconducibile né all'ambito dei servizi di interesse generale nella
definizione comunitaria, né alla disciplina sui servizi pubblici locali secondo
l'ordinamento italiano" (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 8 febbraio
2013, n. 729).
§ viene soppresso l’obbligo che le società siano formate esclusivamente da farmacisti iscritti all’albo e in possesso dell’idoneità. In forza di una modifica approvata nel corso dell’esame referente viene tuttavia sancita l’incompatibilità della partecipazione alle società di cui al comma 1 del citato articolo 7 della legge n. 362/1991 (società di persone, società di capitali e società cooperative a responsabilità limitata) con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica, Resta invece confermato il vincolo per cui le società devono avere come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia (lettera b, che modifica il comma 2 dell’articolo 7);
§ per le modifiche sopra descritte, si stabilisce che la direzione della farmacia gestita da una società sia affidata ad un farmacista in possesso del requisito dell'idoneità (lettera c che modifica il comma 3 dell’articolo 7). Precedentemente invece la direzione della farmacia gestita in forma societaria doveva essere affidata ad uno dei soci/e che ne era responsabile;
Secondo le
modifiche introdotte dall’articolo in esame al co. 2 dell’art. 7 della legge
362/1991, poiché non esiste più l’obbligo che le società titolari di farmacie
siano formate da farmacisti, l’affidamento ad un farmacista in possesso del
requisito dell’idoneità resta l’unico vincolo per la direzione delle farmacia,
con la conseguenza che la direzione potrà essere affidata anche a un semplice dipendente
della società titolare della farmacia.
§ viene
soppresso il comma 4-bis dell’articolo 7, che poneva, per le
società, il limite della titolarità di
quattro farmacie ubicate nella provincia corrispondente alla sede legale
della società di riferimento (lettera d).
Per quanto
riguarda il titolare individuale, si ricorda che l’art. 112 del R.D. 27 luglio
1934, n. 1265, Approvazione del testo
unico delle leggi sanitarie vieta il cumulo di due o più autorizzazioni in
una sola persona.
A
legislazione vigente, la titolarità della farmacia può essere acquisita anche
per trasferimento (art. 12 della legge n. 475/1968).
Il
trasferimento della titolarità della farmacia privata è consentito
decorsi 3 anni dal conseguimento della titolarità e può aver luogo solo a
favore di un farmacista, iscritto all'albo, che abbia conseguito la titolarità
o che sia risultato idoneo in un precedente concorso.
Inoltre, l'articolo 12 individua altri criteri e
condizioni:
§ al
farmacista, che abbia trasferito la propria farmacia, per una volta soltanto
nella vita ed entro due anni dal trasferimento, è consentito di acquistare
un'altra farmacia senza dover superare il concorso per l'assegnazione;
§ il
farmacista che abbia trasferito la propria farmacia, senza averne acquistato
un'altra entro due anni, può acquistare una nuova farmacia purché abbia svolto
sei mesi di attività professionale certificata dalla ASL competente durante l'anno
precedente l'acquisto ovvero abbia conseguito l'idoneità in un concorso
effettuato nei due anni anteriori (comma 7, secondo periodo);
§ il
trasferimento della farmacia può aver luogo a favore di un farmacista iscritto
all'albo, che abbia conseguito l'idoneità ovvero che abbia almeno due anni di
pratica professionale, certificata dall'autorità sanitaria (comma 8);
§ gli
eredi di un titolare di farmacia deceduto possono trasferire la titolarità
della farmacia nei confronti di un farmacista iscritto all'albo che abbia
conseguito la titolarità ovvero sia risultato idoneo in un precedente concorso
(comma 12).
Il comma 4-quater
del decreto-legge n. 192/2014 di proroga di termini ha disposto la
sospensione, fino al 31 dicembre 2016, delle disposizioni che disciplinano i
requisiti per il trasferimento della titolarità di farmacia di cui all'art. 12
della legge n. 475/1968. La norma consente di poter trasferire la titolarità a
un farmacista iscritto all’albo anche se questi non è in possesso dell’idoneità
o della pratica professionale biennale. Restano ferme le altre condizioni e
criteri necessari per il trasferimento della titolarità. Dall'applicazione
della norma sono state escluse le sedi oggetto del concorso straordinario di
cui all'art. 11 del decreto-legge n. 1/2012.
Tali
restrizioni non si applicano al trasferimento di quote societarie (Ministero
della Salute e delle Politiche sociali, con propria nota prot.
n.11361-P-23/03/2009 DGFDM).
Il comma 1-bis, approvato nel corso dell’esame referente, introduce, in primo luogo, una modifica di coordinamento. Esso infatti, sostituendo la lettera a) del comma 1) dell’articolo 8 della legge n. 362/1991, concernente le incompatibilità, dispone, in primo luogo, che la partecipazione alle società di cui all’articolo 7, è incompatibile con quanto previsto all’articolo 7, comma 2, secondo periodo della legge n. 362/1991 (cfr. supra, lettera b).
Il vigente articolo 8, oltre a sancire
l’incompatibilità della partecipazione societaria con qualsiasi attività svolta
- oltre che nel settore della produzione e informazione scientifica - anche nel settore dell’intermediazione, la
prevede anche con la posizione di titolare, gestore provvisorio direttore o
collaboratore di altre farmacie nonché con qualsiasi rapporto di lavoro
pubblico o privato.
Il medesimo comma sostituisce poi il comma 2 del citato articolo 8, prevedendo che lo statuto delle società di cui all’articolo 7 e ogni successiva variazione, ivi incluse quelle relative alla compagine sociale, sono comunicate, entro sessanta giorni, alla federazione degli ordini dei farmacisti italiani, nonché all’assessore alla sanità della competente regione e provincia autonoma, all’ordine provinciale dei farmacisti e all’unità sanitaria locale competente per territorio. Rispetto al vigente comma 2 del citato articolo 8, viene prevista la comunicazione anche delle variazioni relative alla compagine sociale.
Infine, con
un’ulteriore modifica approvata nel corso dell’esame referente, il comma
1-ter aggiunge un nuovo comma
2-bis all’articolo 2 della legge n. 475/1968 (Norme concernenti il servizio
farmaceutico).
Il citato articolo 2 prevede che ogni comune deve
avere un numero di farmacie in rapporto a quanto disposto dall'articolo 1. Al
fine di assicurare una maggiore accessibilità al servizio farmaceutico, il
comune, sentiti l'azienda sanitaria e l'Ordine provinciale dei farmacisti
competente per territorio, identifica le zone nelle quali collocare le nuove
farmacie, al fine di assicurare un'equa distribuzione sul territorio, tenendo
altresì conto dell'esigenza di garantire l'accessibilità del servizio
farmaceutico anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate(comma
1).
Il numero di farmacie spettanti a ciascun comune è
sottoposto a revisione entro il mese di dicembre di ogni anno pari, in base
alle rilevazioni della popolazione residente nel comune, pubblicate
dall'Istituto nazionale di statistica (comma 2).
La nuova disposizione introdotta è diretta a
consentire, nei comuni fino a 6.600 abitanti, alle farmacie che risultino
essere soprannumerarie per decremento della popolazione, la possibilità di
trasferimento in ambito regionale, previo pagamento di una tassa di concessione
governativa una tantum pari a 5.000
Euro.
In proposito va ricordato che
la XII Commissione, nell’esprimere il parere di competenza in sede consultiva,
ha sollevato perplessità sul comma in esame, circa l’opportunità di attribuire la facoltà sopra descritta alla
farmacia interessata. La norma in esame, infatti, andrebbe coordinata con il
disposto dell’articolo 2 della citata legge n. 475/1968 - come recentemente
modificato dalla legge n. 27 del 2012, di conversione del decreto-legge
n. 1 del 2012 - che affida al Comune il compito di
individuare le zone nelle quali collocare le farmacie al fine di assicurare una
equa distribuzione sul territorio ed al fine di garantire l'accessibilità del
servizio farmaceutico anche ai cittadini residenti in aree scarsamente abitate,
fatte salve le graduatorie regionali.
Articolo 32-bis
(Orari
e turni delle farmacie convenzionate
con il Servizio Sanitario Nazionale)
L’articolo 32-bis introdotto nel corso dell’esame referente, dispone in tema di orari e turni delle farmacie convenzionate con il Servizio sanitario Nazionale[28], prevedendo che gli orari e turni di apertura e chiusura delle farmacie medesime stabiliti dalle autorità competenti rappresentano il livello minimo di servizio da assicurare. Viene tuttavia consentito a chi ha la titolarità o la gestione della farmacia di prestare servizio in orari e periodi aggiuntivi rispetto a quelli obbligatori, salva preventiva comunicazione all’autorità competente e informazione alla clientela mediante cartelli affissi all’esterno dell’esercizio.
Articolo 32-ter
(Misure
di tutela degli utenti dei servizi di trasporto di linea)
L’articolo 32-ter prevede l'obbligo per i concessionari ed i gestori di servizi di linea di trasporto passeggeri su gomma o rotaia e di trasporto marittimo di informare i fruitori del servizio, entro la conclusione del medesimo, delle modalità per accedere alla carta dei servizi e delle ipotesi che danno titolo a fruire di rimborsi e indennizzi indicandone l’entità.
Si introduce inoltre l'obbligo per i citati soggetti di prevedere che la richiesta di rimborso possa essere formulata dal fruitore del servizio nel corso o immediatamente dopo la conclusione del viaggio e mediante la semplice esibizione del titolo di viaggio e si prescrive infine ai concessionari e ai gestori sopra indicati di adeguare le proprie carte di servizi e la propria organizzazione a quanto sopra previsto.
La “Carta dei Servizi” è il mezzo attraverso il quale i
soggetti concessionari o gestori di servizi pubblici individuano gli standard
della propria prestazione, dichiarando i propri obiettivi e riconoscendo
specifici diritti in capo al cittadino-utente-consumatore.
La prima disciplina delle “carte dei servizi” è
contenuta nella direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27
gennaio 1994, principi sull'erogazione dei servizi pubblici.
Successivamente sono intervenute diverse disposizioni
normative, che hanno disciplinato i diritti degli utenti dei servizi pubblici
sia a livello nazionale (decreto legislativo n. 286 del 1999) che europeo. La
normativa di riferimento pertinente alla disciplina in commento può essere
attualmente riscontrata nell’articolo 8 del decreto-legge n. 1 del 2012 che
prevede che “Le carte di servizio, nel definire gli obblighi cui sono tenuti i gestori dei servizi pubblici, anche
locali, o di un'infrastruttura necessaria per l'esercizio di attività di
impresa o per l'esercizio di un diritto della persona costituzionalmente
garantito, indicano in modo specifico i
diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei
confronti dei gestori del servizio e dell'infrastruttura”. Spetta alle
Autorità indipendenti di regolazione e ad ogni
altro ente pubblico, anche territoriale, dotato di competenze di
regolazione sui servizi pubblici, anche locali, definire gli specifici diritti in capo agli utenti, salve eventuali ulteriori
garanzie che le imprese che gestiscono il servizio o l'infrastruttura definiscano
autonomamente.
Con riferimento al trasporto ferroviario merita di essere ricordato il regolamento
(CE) N.1371 del 23/10/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, che
disciplina i diritti e gli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario.
L’articolo 17 della citata disposizione rimette alle decisioni delle imprese
ferroviarie, a fronte di ritardi o altre fattispecie che comportano il
riconoscimento di un indennizzo, le modalità di definizione delle stesse. Tali
modalità enunciano i criteri per la determinazione dei ritardi e il calcolo
dell'indennizzo ma non esistono
disposizioni specifiche sulle modalità di formulazione della domanda di
indennizzo, disciplinata in dettaglio dal presente articolo.
Articolo 32-quater
(Noleggio
con conducente di velocipedi)
L’articolo 32-quater, integra le disposizioni in materia di autoservizi pubblici non di linea prevedendo che il servizio di noleggio con conducente, oltre che con autovetture, motocarrozzette, natanti e veicoli a trazione animale possa essere svolto anche a mezzo di velocipedi.
Ai sensi dell’articolo 1, comma1 della legge n. 21 del
1992 sono autoservizi pubblici non di linea quelli che provvedono al trasporto collettivo od individuale di
persone, con funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti
pubblici di linea ferroviari, automobilistici, marittimi, lacuali ed aerei, e
che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su
itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta.
Al riguardo occorre segnalare l’opportunità di un coordinamento normativo
che tenga conto della peculiarità del servizio di noleggio con conducente a
mezzo di velocipede. Si fa riferimento in particolare alle modalità di
autorizzazione al servizio di noleggio con conducente, e, nella specie, al
requisito dell’iscrizione al ruolo dei conducenti di veicoli o natanti adibiti
ad autoservizi pubblici non di linea quale presupposto per l’esercizio
dell’attività. Tale iscrizione prescrive, ai sensi dell’articolo 6, comma 2,
della legge n. 21 del 1992, quale requisito giuridico fondamentale per
l’iscrizione, una specifica abilitazione professionale, non prevista, tuttavia,
allo stato per la guida di velocipedi.
[1] Foro economico mondiale, The Global Competitiveness Report
2014-2015:
http://reports.weforum.org/global-competitiveness-report-20142015/rankings/#indicatorId=GCI.B.06
[2] Fondo
monetario internazionale, “Italy. 2012 Article IV Consultation”, Imf, Country
Report, n. 12/167, 2012. http://bit.ly/NfVacp
[3] La
Commissione Europea ha approvato il 2 giugno 2014 le raccomandazioni di
politica economica e di bilancio per ciascun Paese dell’UE, che il successivo 8
luglio sono poi state approvate dal Consiglio ECOFIN, anche sulla base degli
orientamenti espressi dal Consiglio Europeo del 26-27 giugno. Per l’Italia è
intervenuta, sulla base della Raccomandazione della Commissione COM (2014) 413 final, la Raccomandazione 2014/C 247/11
da parte del Consiglio ECOFIN.
[4] A
seguito dell’approvazione, in data 23 aprile 2015, della risoluzione n.
6-00136, con la quale è stato approvato il DEF 2015, il disegno di legge
risulta collegato alla manovra di finanza pubblica.
[5] Anche
in seguito – si veda, in particolare, audizione del Presidente dell’AGCM presso la 7^
Commissione del Senato del 15 maggio 2007, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul cinema e lo spettacolo dal
vivo – è stato ribadito che “l’instaurarsi delle condizioni concorrenziali è
ancor più necessario se le imprese che gestiscono la programmazione delle sale
sono attive anche nella produzione e nella distribuzione cinematografica e
della televisione: i distributori non integrati possono, infatti, incontrare
difficoltà per lo sbocco dei propri prodotti cinematografici. L’elevato grado
di integrazione verticale posseduto da alcune imprese, attive a più livelli,
nella maggior parte dei casi nella produzione e nella distribuzione,
spingendosi a volte sino all’esercizio cinematografico o anche rispetto
all’attività televisiva, è uno degli aspetti più rilevanti”.
Nel corso dell’audizione, infatti, è stato evidenziato, tra l’altro, che
la
distribuzione cinematografica presentava un grado di concentrazione
relativamente elevato, con i primi 5 operatori che nel 2006 avevano inciso per
circa il 60% e i primi 8 per circa l’85% degli incassi in sala. Tra questi, tre
erano italiani, di cui due collegati ai maggiori gruppi televisivi nazionali,
mentre gli altri cinque facevano capo a major statunitensi. Il mercato della
distribuzione cinematografica, inoltre, presentava rilevanti fenomeni di
integrazione verticale a valle, con alcune società che possedevano o
esercitavano direttamente sale cinematografiche (ad esempio, Warner Bros che possedeva i multisala
denominati Warner Village).
[6] Inserita
nel decreto-legge n. 144/2005 dal decreto-legge n. 179/2012.
[7] Legge
20 novembre 1982, n. 980, recante appunto notificazioni di atti a mezzo posta e
di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti
giudiziari.
[8] Che
appunto disciplina la notificazione delle violazioni del codice della strada.
[9] Il
testo dell’articolo 2, come da ultimo sostituito dal decreto legislativo n.
68/2011, fa ancora riferimento alla previsione della costituzione di
un’apposita Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale; la
previsione della costituzione dell’Agenzia è stata però soppressa dall’articolo
21 del decreto-legge n. 201/2011 e le sue competenze trasferite all’AGCOM.
[10] Con riferimento
a tali profili si rinvia al dossier concernente lo schema del nuovo
contratto di programma 2015-2019.
[11] Su
questi aspetti si rinvia al focus le
agevolazioni postali per l’editoria, sul sito della Camera, nella sezione dedicata ai temi dell’attività
parlamentare.
[12] Si tratta, in pratica, di uno sconto sulla
bolletta, per assicurare un risparmio sulla spesa per l'energia alle famiglie
in condizione di disagio economico e fisico e alle famiglie numerose.
[13] D.L.
25/06/2008, n. 112, Disposizioni urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.
[14] D.P.R.
7 dicembre 1995, n. 581, Regolamento di
attuazione dell' art. 8 della L. 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di
istituzione del registro delle imprese di cui all'art. 2188 del codice civile.
[15] Legge
24 novembre 2000, n. 340, Disposizioni
per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti
amministrativi - Legge di semplificazione 1999.
[16] D.P.R.
7 dicembre 1995, n. 581, Regolamento di
attuazione dell' art. 8 della L. 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di
istituzione del registro delle imprese di cui all'art. 2188 del codice civile.
[17] "Disciplina giuridica degli studi di
assistenza e di consulenza".
[18] "Interventi urgenti per
l'economia".
[19] D.L. 4
luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti
per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione
della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto
all'evasione fiscale, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
[20] L. 12
novembre 2011, n. 183, Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di
stabilità 2012).
[21] Per
poter utilizzare la denominazione “società tra professionisti”, la società deve
prevedere nell’atto costitutivo i seguenti requisiti: a) esercizio in via
esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci; b) possono assumere la
qualifica di socio soltanto i professionisti iscritti ad ordini, albi o
collegi, nonché i cittadini di Stati membri dell’UE in possesso del titolo di
studio abilitante all’esercizio della professione; sono peraltro ammessi soci
non professionisti per lo svolgimento di prestazioni tecniche ovvero per
finalità di investimento; c) definizione di modalità tali da garantire che la
singola prestazione professionale sarà eseguita dai soci in possesso dei
requisiti e che l’utente possa scegliere all’interno della società il
professionista che dovrà seguirlo o, in mancanza di scelta, riceva preventiva
comunicazione scritta del nominativo del professionista; d) definizione di
modalità che garantiscano che il socio radiato dal proprio ordine professionale
sia anche escluso dalla società.
[22] D.M. 8
febbraio 2013, n. 34, Regolamento in
materia di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel
sistema ordinistico, ai sensi dell'articolo 10, comma 10, della legge 12
novembre 2011, n. 183.
[23] Legge
11 febbraio 1994, n. 109, Legge quadro in
materia di lavori pubblici.
[24] Legge
18 novembre 1998, n. 415, Modifiche alla
L. 11 febbraio 1994, n. 109, e ulteriori disposizioni in materia di lavori
pubblici.
[25] In
particolare, si ricorda la sentenza 17 dicembre 2013 del Tribunale di Torino
(R.G. 16411 del 2011), nella controversia Edilrivoli 2006 v. Me Studio rea
s.r.l.
[26] D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo
sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito in legge, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
L. 24 marzo 2012, n. 27.
[27] L. 2
aprile 1968, n. 475, Norme concernenti il
servizio farmaceutico.
[28] I rapporti
tra le farmacie e il Servizio sanitario nazionale sono regolati da una
Convenzione Nazionale stipulata tra Federfarma e le
Regioni. Il testo della Convenzione, è stato reso esecutivo con il D.P.R. 8
luglio 1998, n. 371 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 251 del 27 ottobre
1998. La Convenzione è scaduta nel 2001 ed è in regime di prorogatio.