Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento attività produttive
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento finanze , Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Legge annuale per il mercato e la concorrenza - A.C. 3012 e abb.
Riferimenti:
AC N. 3012/XVII   AC N. 2437/XVII
AC N. 2469/XVII   AC N. 2684/XVII
AC N. 2733/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 298
Data: 04/05/2015
Organi della Camera: VI-Finanze
X-Attività produttive, commercio e turismo

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Legge annuale per il mercato

e la concorrenza

 

A.C. 3012 e abb.

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 298

 

 

 

4 maggio 2015

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Finanze

( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it -  CD_finanze

 

Servizio Studi – Dipartimento Attività produttive

( 066760-9574 – * st_attprod@camera.it -  CD_attProd

 

Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Ufficio:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

Servizio Biblioteca – Ufficio Legislazione straniera

( 066760-2278 -3242– * ls_segreteria@camera.it

 

 

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File: AP0029.docx

 


INDICE

Schede di lettura

§  Articolo 1 (Finalità) 3

§  Articolo 2 (Obbligo a contrarre) 8

§  Articolo 3 (Trasparenza e risparmi in materia di assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore) 15

§  Articolo 4 (Trasparenza delle variazioni del premio) 25

§  Articolo 5 (Misure relative all’assegnazione delle classi di merito) 26

§  Articolo 6 (Identificazione dei testimoni di sinistri con soli danni a cose) 28

§  Articolo 7 (Risarcimento del danno non patrimoniale) 30

§  Articolo 8 (Valore probatorio delle cosiddette “scatole nere” e di altri dispositivi elettronici) 37

§  Articolo 9 (Ulteriori misure di contrasto delle frodi assicurative) 40

§  Articolo 10 (Trasparenza delle procedure di risarcimento) 43

§  Articolo 11 (Allineamento della durata delle assicurazioni a copertura dei rischi accessori alla durata dell’assicurazione a copertura del rischio principale) 45

§  Articolo 12 (Ultrattività della copertura per la responsabilità civile derivante da attività professionale) 46

§  Articolo 13 (Interventi di coordinamento in materia assicurativa) 49

§  Articolo 14 (Poteri dell’I.V.ASS. per l’applicazione delle norme introdotte) 58

§  Articolo 15 (Portabilità dei fondi pensione) 60

§  Articolo 16 (Eliminazione di vincoli per il cambio di fornitore di servizi di telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche) 64

§  Articolo 17 (Semplificazione delle procedure di identificazione per la portabilità) 67

§  Articolo 18 (Apertura al mercato della comunicazione a mezzo posta delle notificazioni di atti giudiziari e di violazioni al Codice della strada) 68

§  Articoli 19-21 (Cessazione del regime di “maggior tutela” per l’energia elettrica e il gas) 72

§  Articolo 22 (Concorrenza nella distribuzione dei carburanti per autotrazione) 78

§  Articolo 23 (Costo delle chiamate telefoniche ai servizi di assistenza ai clienti) 80

§  Articolo 24 (Strumenti per favorire il confronto tra servizi bancari) 85

§  Articolo 25 (Potenziamento della trasparenza nella vendita di polizze assicurative accessorie a contratti di finanziamento e mutui) 88

§  Articolo 26 (Misure per la concorrenza nella professione forense) 90

§  Articolo 27 (Misure per la concorrenza nel notariato) 97

§  Articolo 28 (Semplificazione del passaggio di proprietà di beni immobili adibiti ad uso non abitativo) 99

§  Articolo 29 (Modifiche alla disciplina della società a responsabilità limitata semplificata) 100

§  Articolo 30 (Sottoscrizione digitale di taluni atti) 102

§  Articolo 31 (Svolgimento di attività professionali in forma associata) 106

§  Articolo 32 (Misure per incrementare la concorrenza nella distribuzione farmaceutica) 108

Le ulteriori indicazioni dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato

§  Premessa. 115

§  Assicurazioni e settore bancario. 116

§  Comunicazioni 116

§  Settore energetico. 117

§  Distribuzione dei carburanti 118

§  Settore farmaceutico. 119

§  Sanità. 120

§  Infrastrutture e servizi aeroportuali 123

§  Infrastrutture e servizi portuali 124

§  Trasporto ferroviario. 125

§  Razionalizzazione delle Società pubbliche. 125

§  Servizi pubblici locali 128

§  Trasporto pubblico locale. 129

§  Rifiuti 131

Il progetto di legge “Macron” sulle liberalizzazioni in Francia

§  Il progetto di legge per la crescita, l’attività e l’uguaglianza delle opportunità economiche (il cosiddetto Projet de loi “Macron”) 137


Schede di lettura


 

Articolo 1
(Finalità)

 

 

L’articolo 1 elenca le finalità del disegno di legge in esame individuandole nella rimozione degli ostacoli regolatori all'apertura dei mercati, nella promozione della concorrenza e nella garanzia della tutela dei consumatori, anche in applicazione dei princìpi del diritto dell'Unione europea, nonché delle politiche europee in materia di concorrenza.

 

La stretta relazione tra crescita e politiche per la concorrenza è riconosciuta dalle principali organizzazioni internazionali ed europee.

Le liberalizzazioni, intese come razionalizzazione della regolazione, costituiscono uno degli strumenti di promozione della concorrenza capaci di produrre effetti virtuosi per il circuito economico. Come affermato anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 200 del 2012) le politiche di "ri-regolazione" possono essere in grado di aumentare il livello di concorrenzialità dei mercati e permettere ad un maggior numero di operatori economici di competere, valorizzando le proprie risorse e competenze.

Il dibattito sulla capacità competitiva e di crescita dell’economia italiana ha messo in luce l’importanza del fattore del grado di apertura dei mercati, necessario al raggiungimento di livelli di competitività adeguati alle sfide del nuovo contesto globale.

Una misura della capacità di tale fattore di condizionare l’attività produttiva, e più in generale la vita economica di un paese, è fornita da una serie di indicatori elaborati dai principali organismi internazionali (soprattutto Ocse e Banca Mondiale) che consentono di valutare il posizionamento relativo del paese rispetto ai principali concorrenti europei.

Le misure di liberalizzazione adottate dal 2011, in merito alla regolamentazione dei mercati sembrano avere migliorato il contesto economico in cui operano le imprese italiane, in direzione di un maggiore grado concorrenziale. Secondo gli indicatori elaborati dall’Ocse (2013) l’Italia risulta infatti in media con gli altri paesi europei appartenenti all’OCSE, occupando il sesto posto, per il grado di apertura dei mercati.

L’indicatore economico è infatti diminuito (gli indici dell’Ocse variano da 0 a 6 dove 0 = legislazione meno restrittiva, 6= legislazione più restrittiva) nel corso degli anni, e nel 2013 risulta 1, 26, inferiore a quello della media dei paesi Ocse (1, 41) e dell’Ue (1,34), non distante da quello delle principali economie europee. L’indice, in particolare, è inferiore a quelli di Francia (1, 43) e Spagna (1, 46) e superiore a quelli di Germania (1, 21), e Regno Unito(1,09).

Secondo l`indice di apertura alla concorrenza 2014, elaborato dell`Istituto Bruno Leoni, l’Italia occupa invece l’ottava posizione su quindici nella classifica dei paesi europei più aperti alla concorrenza. Il paese più liberalizzato d'Europa è il Regno Unito, con un punteggio del 94%, seguito da Paesi Bassi, Spagna e Svezia (79%). La classifica è chiusa dalla Grecia (58%), preceduta da Francia, Danimarca e Italia (66%). Per quel che riguarda l'Italia, dei dieci settori esaminati quello più liberalizzato sono le telecomunicazioni (86%), seguito da mercato elettrico (81%) e televisioni (75%), settore però dove il nostro paese occupa l'ultima posizione in Europa. I settori meno liberalizzati sono invece il trasporto ferroviario (48%), i carburanti (57%) e le poste (59%). I quindici paesi analizzati sono: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia.

D’altro canto, secondo gli indicatori internazionali dell'efficacia delle politiche anti-monopolistiche nella promozione della concorrenza, l'Italia si colloca a livello mondiale al centesimo posto (su 144 paesi) - secondo i dati elaborati nel Global Competitiveness Report 2014–2015 del World Economic Forum[1] - sia pure con un trend da cui emerge un lento miglioramento.

La Commissione europea indica che riforme strutturali volte a ridurre i costi di accesso per le imprese e ad aprire i mercati alla concorrenza avrebbero un’incidenza sul prodotto interno lordo italiano dello 0,3% in 5 anni e dello 0,7% in 10 anni.

Il Fondo monetario internazionale cita «la limitata competizione nei servizi» tra le cause della «scarsa performance di crescita e perdita di competitività»[2] e stima che le riforme volte ad aumentare la concorrenza e la produttività nei mercati di beni e servizi, potrebbero aumentare significativamente in termini reali il prodotto interno lordo italiano.

Nel Rapporto “OCSE Survey: Italia 2015” (febbraio 2015) l’OCSE sottolinea che le politiche di regolazione dei mercati dei prodotti, se ben definite, possono contribuire a promuovere la crescita e la creazione di posti di lavoro. Ciò riguarda in particolare i mercati chiusi all’ingresso, che non consentono alle nuove imprese di portare nuova concorrenza e accrescere l’attività economica. L’OCSE calcola che riforme volte all’apertura dei mercati potrebbero valere fino a 2,6 punti di Pil nei prossimi cinque anni e raccomanda specificamente all’Italia di adottare misure per favorire la concorrenza seguendo le raccomandazioni dell’Autorità per la concorrenza e in particolare di implementare il processo di liberalizzazione dei mercati.

L'Unione europea nelle Raccomandazioni del Consiglio di luglio 2014[3] sul Programma nazionale di riforma 2014 dell'Italia ha ribadito l’urgenza di una tempestiva attuazione delle riforme in atto, a partire dalle semplificazioni e dalle liberalizzazioni.

In particolare l’UE ha sottolineato l’importanza (Raccomandazione n. 7) di promuovere l'apertura del mercato e rimuovere gli ostacoli rimanenti e le restrizioni alla concorrenza. D’altra parte il processo di liberalizzazione ha interessato il nostro ordinamento soprattutto per effetto delle direttive europee volte all'instaurazione del mercato unico, e dunque nel solco di un'evoluzione normativa diretta ad attuare il principio generale della liberalizzazione delle attività economiche, il quale richiede che eventuali restrizioni e limitazioni alla libera iniziativa economica debbano trovare puntuale giustificazione in interessi di rango costituzionale.

 

Uno dei più importanti strumenti, presenti nel nostro ordinamento, per dare impulso all’attuazione delle norme in materia di liberalizzazione delle attività economiche, è quello della legge annuale sulla concorrenza, che serve a porre in atto un’attività periodica di rimozione dei tanti ostacoli e freni, normativi e non, che restano nei mercati dei prodotti e dei servizi. Come ha riconosciuto la Commissione UE, nel Documento sugli squilibri macroeconomici di marzo 2015 con specifico riferimento all’Italia, lo strumento della legge annuale sulla concorrenza costituisce un significativo punto di partenza per mettere in moto un meccanismo positivo nell’ambito del quale gli ostacoli regolamentari alla concorrenza vengono periodicamente esaminati e rimossi.

L'adozione di una legge annuale per il mercato e la concorrenza è stata infatti prevista dall’articolo 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia) con le specifiche finalità di rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche con riferimento alle funzioni pubbliche e ai costi regolatori condizionanti l’esercizio delle attività economiche private, nonché di garantire la tutela dei consumatori.

La procedura prevede che il Governo, entro 60 giorni dalla trasmissione della relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (a sua volta presentata entro il 31 marzo), è tenuto a presentare alle Camere un disegno di legge annuale che dovrà contenere, in distinte sezioni, norme di immediata applicazione per l’attuazione dei pareri e delle segnalazioni dell’Autorità, ovvero per le medesime finalità, una o più deleghe al Governo da adottare non oltre centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge e l’autorizzazione all’adozione di eventuali regolamenti, decreti ministeriali e altri atti; disposizioni indicanti i principi che le regioni sono tenute a rispettare per l’esercizio delle relative competenze in materia di concorrenza; norme integrative o correttive di disposizioni in leggi precedenti.

Dall’entrata in vigore della legge 99/2009, la legge annuale per la concorrenza non è mai stata adottata. Con il ddl A.C. 3012[4] il Governo per la prima volta adempie a tale obbligo.

In base a quanto prescritto dal citato art. 47 della legge 99/2009, all’apposito disegno di legge, il Governo è tenuto ad allegare una relazione di accompagnamento che evidenzi:

§  lo stato di conformità dell’ordinamento interno ai principi comunitari in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza.

Nella Relazione di accompagnamento allegata ad disegno di legge in esame, il Governo compie un rapido excursus delle principali norme in materia di concorrenza, a partire la legge n. 287 del 1990 - Norme per la tutela della concorrenza e del mercato - che detta norme sul divieto d’intese anticoncorrenziali, abuso di posizione dominante e operazioni di concentrazione e istituisce l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato. Il governo cita in particolare alcuni interventi che interessano settori specifici, quali le telecomunicazioni, il mercato dell’energia, del gas naturale, degli appalti pubblici, del trasposto ferroviario. Non sono invece citati i c.d. “pacchetti Bersani” sulle liberalizzazioni (si tratta, come è noto, del decreto-legge 4 luglio 2006, n.223 e del D.L. gennaio 2007, n. 7). Il Governo si sofferma invece sugli interventi di liberalizzazione effettuati dal Governo Monti nella XVI legislatura e sugli interventi settoriali effettuati nella legislatura in corso;

§  lo stato di attuazione degli interventi previsti nelle precedenti leggi per il mercato e la concorrenza, indicando gli effetti che ne sono derivati per i cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione.

A tale prescrizione non può evidentemente essere dato seguito, in quanto come si è detto è la prima volta che il Governo presenta il disegno di legge annuale sulla concorrenza;

§  l’elenco delle segnalazioni e dei pareri dell’Autorità garante della concorrenza e mercato indicando gli ambiti in cui non si è ritenuto opportuno darvi seguito.

 

Al riguardo il Governo pur elencando le Segnalazioni dell’Autorità volte alla predisposizione delle leggi annuali per la concorrenza a partire dal 2010, specifica di prendere in considerazione solo la Segnalazione (AS1137 - proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2014) del luglio 2014, che, proprio ai fini della predisposizione del disegno di legge annuale per la concorrenza, evidenzia gli ambiti di mercato ove sono presenti tuttora barriere alla competizione, in cui la trasparenza è insufficiente o la domanda è ingessata, anche alla luce delle raccomandazioni della Commissione Europea e delle altre istituzioni internazionali in tema di concorrenza e apertura dei mercati.

Raffronto tra le indicazioni dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato e il contenuto del disegno di legge

L’A.C. 3012 interviene in alcuni dei settori indicati dall’Autorità, contenendo misure: per le assicurazioni, con particolare riguardo al campo della RC Auto; i fondi pensione; le comunicazioni; i servizi postali; l’energia, e la distribuzione in rete di carburanti per autotrazione; le banche; le professioni; la distribuzione farmaceutica.

Per completezza di analisi si ricorda che nella Segnalazione AS1137 del luglio 2014, sono stati sollecitati ulteriori interventi per favorire la concorrenza in diversi settori, che sinteticamente si richiamano: energia con riferimento alle infrastrutture energetiche, alle concessioni di grande derivazione idroelettrica e alla distribuzione del gas naturale; distribuzione dei carburanti; editoria; compenso per la riproduzione privata; rifiuti; servizi pubblici locali; società pubbliche partecipate dagli enti locali; trasporto pubblico locale; trasporto pubblico non di linea; trasporto ferroviario, settore aeroportuale, settore portuale, settore farmaceutico, con riferimento alle procedure di registrazione dei medicinali generici alla scadenza del brevetto del medicinale originatore (“patent linkage”) e al sistema di remunerazione della filiera distributiva del farmaco; settore della sanità; alle professioni, con riguardo ad alcuni specifici rilievi riguardanti la legge di riforma della professione forense e la disciplina della legge professionale notarile.

Per un’analisi più approfondita dei profili relativi alle indicazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, cui non è stato dato seguito nel disegno di legge A.C. 3012, si rinvia all’apposito capitolo del presente Dossier: Le ulteriori indicazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato


 

 

Articolo 2
(Obbligo a contrarre)

 

 

Il Capo II del disegno di legge reca norme in materia di assicurazioni e fondi pensioni, volte a migliorare gli assetti concorrenziali del settore.

 

In tale Capo si dà conto anche delle disposizioni contenute nelle proposte di legge in materia di assicurazione abbinate al disegno di legge del Governo (A.C. 2437 Causi, A.C. 2469 Marco Di Stefano, nonché A.C. 2684 Moretto e A.C. 2733 Vignali, di contenuto sostanzialmente identico).

 

In particolare gli articoli da 2 a 14 intervengono sul settore delle assicurazioni che è stato oggetto nel tempo di diversi interventi normativi aventi come obiettivo la liberalizzazione.

Si ricorda al riguardo, in primo luogo, il "primo pacchetto liberalizzazioni" (D.L. n. 233 del 2006), nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile auto, che ha vietato alle compagnie di assicurazione e ai loro agenti di vendita di stipulare nuove clausole contrattuali di distribuzione esclusiva e di imposizione di prezzi minimi, ovvero di sconti massimi, praticabili nei riguardi dei consumatori contraenti, a pena di nullità. Il "secondo pacchetto di liberalizzazioni" (D.L. n. 7 del 2007) ha esteso a tutti i rami danni il summenzionato divieto. In caso di mancato rinnovo del contratto di assicurazione, è stato previsto che l'ultimo attestato di rischio conseguito conserva validità per un periodo di cinque anni. Inoltre, in tutti i casi di stipulazione di un nuovo contratto, l'impresa di assicurazione non può assegnare al contraente una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante dall'ultimo attestato di rischio conseguito. Sotto un diverso versante, nell'ambito dei rapporti assicurativi e bancari, è stato posto il divieto di addebitare al cliente le spese relative a una serie di comunicazioni, tra cui quelle - a carico delle imprese di assicurazione - in materia di variazioni peggiorative alla classe di merito. Inoltre è posto a carico delle imprese di assicurazione l'obbligo di comunicare tempestivamente al contraente le variazioni peggiorative apportate alla sua classe di merito, a fini di maggior trasparenza e pubblicità.

Si ricorda che, in attuazione delle prescrizioni contenute nel Codice delle assicurazioni private, nonché in considerazione delle novità introdotte dai "pacchetti liberalizzazioni", l'ISVAP ha emanato il regolamento di disciplina dell'attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa (Regolamento n. 5 del 16 ottobre 2006).

Successivamente, il decreto-legge n. 1 del 2012 ha previsto diverse disposizioni volte a rendere più concorrenziale e trasparente il settore assicurativo, al fine di ridurre il costo delle polizze anche attraverso il contrasto alle frodi. Ad esempio sono previste la volontaria ispezione del veicolo e la "scatola nera" che consentono una riduzione delle tariffe, nonché una restrizione della risarcibilità per le lesioni di lieve entità alla persona. Il decreto-legge n. 179 del 2012 ha vietato il rinnovo tacito del contratto RC Auto per il quale ha inoltre previsto la definizione di un "contratto base" nel quale devono essere contenute tutte le clausole necessarie ai fini dell'adempimento di assicurazione obbligatoria.

 

Nella segnalazione al Parlamento del 4 luglio 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha rilevato la necessità di sostenere il contrasto alle frodi, al fine di contenere la dinamica dei costi e delle tariffe RC Auto, mediante il ricorso:

§  ai servizi medico-sanitari convenzionati con la compagnia a fronte di sconti;

§  agli incentivi, in forma di sconti, all'installazione di meccanismi elettronici di registrazione dell'attività degli autoveicoli e alla sottoposizione ad ispezione del veicolo da assicurare;

§  agli interventi per un efficace contrasto al fenomeno delle frodi assicurative.

Alla scarsa mobilità della clientela concorre inoltre la mancata certezza circa la correlazione del premio con la classe di merito assegnata.

In materia di assicurazione dei rischi professionali, si segnala la necessità di garantire alla domanda obbligata a ricorrere alla copertura assicurativa la libertà di scegliere il prodotto assicurativo ritenuto più adeguato in un contesto pienamente concorrenziale e privo di ostacoli alla mobilità.

 

Già il 22 febbraio 2013 l’Antitrust aveva reso noti i risultati dell’indagine conoscitiva svolta sul mercato della RC Auto (il documento conclusivo è pubblicato sul Bollettino n. 7 del 25 febbraio 2013). L’indagine, avviata nel maggio 2010, aveva lo scopo di indagare l’efficacia in termini concorrenziali dell’introduzione della nuova disciplina di risarcimento diretto del sinistro e di indagare gli assetti concorrenziali del settore. L’indagine evidenziava, tra l’altro, come il confronto internazionale mostri che i premi in Italia sono in media più elevati e crescono più velocemente rispetto a quelli dei principali paesi europei. Si mettevano in luce numerosi ostacoli alla mobilità degli assicurati sia di natura informativa che di natura non informativa. Per altro verso, si sottolineava come le politiche di contenimento dei costi (per i risarcimenti) dei sinistri adottate dalle compagnie non sembrassero garantire il raggiungimento di livelli adeguati di efficienza produttiva. Le conclusioni e le proposte dell’indagine sono sostanzialmente riprese nella segnalazione al Parlamento.

 

Appare utile al riguardo mettere a confronto le indicazioni dell’Autorità con le proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2014.

 

 

Obiettivo delineato dall’Antitrust

Proposta dell’Antitrust

DDL Concorrenza

 

 

 

Sostenere il contrasto alle frodi al fine di contenere la dinamica dei costi e delle tariffe RC Auto, mediante il ricorso:

Intervenire in via legislativa per prevedere l’offerta di contratti diversi in funzione della presenza o meno di meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, con la garanzia di sconti significativi;

articolo 3

nuovo articolo 132-ter
del CAP, comma 1,
lettere b) e c)

ai servizi medico-sanitari convenzionati con la compagnia a fronte di sconti[5];

agli incentivi, in forma di sconti, all’installazione di meccanismi elettronici di registrazione dell’attività degli autoveicoli e alla sottoposizione ad ispezione del veicolo da assicurare;

agli interventi per un efficace contrasto al fenomeno delle frodi assicurative.

in deroga agli articoli contenuti nel libro IV, titolo I, capo V, del codice civile, prevedere che, a fronte dell’ottenimento di sconti significativi a favore dell’assicurato, il diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti non sia cedibile a terzi senza il consenso dell’assicuratore;

articolo 3

nuovo articolo 132-ter
del CAP, comma 1,
lettera d)

in merito alle modalità di accertamento del risarcimento dei danni da lesioni di lieve entità (c.d. micropermanenti), eliminare all’articolo 32, comma 3-quater, D.L. n. 1/2012 (convertito in l. n. 27/2012) il riferimento al mero riscontro visivo come forma di accertamento alternativa alla verifica strumentale;

articolo 13,
comma 4, lettera b)

definire la tabella unica, a livello nazionale, per l’attribuzione del valore alle menomazioni di non lieve entità di cui all’articolo 138 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private);

articolo 7

L’articolo 138 del CAP, anche nella nuova formulazione prevede l’emanazione di un D.P.R..

Il comma 2 consente di adottare la tabella delle macrolesioni secondo la disciplina vigente, purché il D.P.R. sia emanato entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge in esame.

Alla scarsa mobilità della clientela concorre inoltre la mancata certezza circa la correlazione del premio con la classe di merito assegnata.

all’articolo 134, comma 4-bis del Codice delle assicurazioni private dopo le parole “…non può assegnare al contratto una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante dall’ultimo attestato di rischio conseguito”, aggiungere “sul veicolo già assicurato e non può discriminare in funzione della durata del rapporto garantendo, nell’ambito della classe di merito, le condizioni di premio assegnate agli assicurati aventi le stesse caratteristiche di rischio del soggetto che stipula il nuovo contratto”;

articolo 5

In materia di assicurazione dei rischi professionali, risulta infine necessario garantire alla domanda obbligata a ricorrere alla copertura assicurativa, la libertà di scegliere il prodotto assicurativo ritenuto più adeguato in un contesto pienamente concorrenziale e privo di ostacoli alla mobilità. Tra questi rileva l’assenza dal mercato nazionale di un’offerta di contratti che permettano di avvalersi della prestazione assicurativa tipizzata dall’articolo 1917 c.c., in base al quale il professionista è comunque assicurato dai rischi di fatti illeciti realizzatisi nel periodo in cui era vigente la polizza, indipendentemente dal momento in cui il sinistro viene denunciato.

modificare l’articolo 3, comma 5, lettera e) del D.L. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, in l. n. 148/2011 prevedendo espressamente, a fronte dell’obbligatorietà dell’assicurazione per la responsabilità civile per attività professionali, l’obbligo di offrire polizze, ovviamente differenziate nelle condizioni economiche, che garantiscano la prestazione assicurativa prevista dall’articolo 1917 c.c., prive delle clausole che limitano la prestazione assicurativa soltanto ai sinistri denunciati nel corso di validità del contratto (c.d. clausole claims made)

articolo 12

 

 

Per quanto riguarda il contenuto del disegno di legge l’articolo 2 modifica l’articolo 132 del Codice delle assicurazioni private (CAP – D.Lgs. n. 209 del 2005) in materia di obbligo a contrarre da parte delle imprese di assicurazione relativamente all’assicurazione obbligatoria per ogni rischio derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti (RC Auto).

Analogamente a quanto previsto dalla norma vigente, i commi 1 e 1-bis prevedono che le imprese di assicurazione devono stabilire preventivamente le condizioni di polizza e le tariffe relative all’assicurazione obbligatoria, comprensive di ogni rischio derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. Le imprese di assicurazione sono tenute ad accettare le proposte che sono loro presentate secondo le condizioni e alle tariffe predeterminate, fatta salva la necessaria verifica della correttezza dei dati risultanti dall’attestato di rischio, nonché dell’identità del contraente e dell’intestatario del veicolo, se persona diversa.

Rispetto alla formulazione vigente, il nuovo comma 1-ter precisa che la suddetta verifica deve essere effettuata anche mediante consultazione delle banche dati di settore e dell’archivio antifrode istituito presso l’IVASS. Qualora dalla consultazione risulti che le informazioni fornite dal contraente non sono corrette o veritiere, le imprese di assicurazione non sono tenute ad accettare le proposte loro presentate.

Si ricorda che l’articolo 21 del D.L. n. 179 del 2012 ha previsto l’istituzione presso l’IVASS di un archivio informatico integrato connesso con una serie di banche dati esistenti, con la finalità di favorire la prevenzione e il contrasto delle frodi nel settore RC Auto, per migliorare l’efficacia dei sistemi di liquidazione dei sinistri e per individuare i fenomeni fraudolenti. In particolare si prevede che esso sia connesso con:

§  la banca dati degli attestati di rischio (prevista dall'articolo 134 del D.Lgs. n. 209 del 2005, Codice delle Assicurazioni Private);

§  la banca dati sinistri e le banche dati anagrafe testimoni e anagrafe danneggiati (istituite dall'articolo 135 del medesimo CAP);

§  l'archivio nazionale dei veicoli e l'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida (istituiti dall'articolo 226 del codice della strada);

§  il Pubblico Registro Automobilistico, istituito presso l’ACI;

§  i dati a disposizione della CONSAP per la gestione del fondo di garanzia per le vittime della strada (di cui all'articolo 283 del CAP) e per la gestione della liquidazione dei danni a cura dell'impresa designata (di cui all'articolo 286 del CAP)

§  i dati a disposizione per i sinistri con veicoli immatricolati in Stati esteri gestiti dall'Ufficio centrale italiano (di cui all’articolo 126 del CAP);

§  ulteriori archivi e banche dati pubbliche e private, individuate con decreto interministeriale.

Con decreto (ancora non emanato) del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti i Ministeri competenti, l'IVASS e il Garante per la protezione dei dati personali, devono essere stabilite le modalità di connessione delle banche dati descritte, i termini, le modalità e le condizioni per la gestione e conservazione dell'archivio e per l'accesso al medesimo da parte delle pubbliche amministrazioni, dell'autorità giudiziaria, delle forze di polizia, delle imprese di assicurazione e di soggetti terzi, nonché gli obblighi di consultazione dell'archivio da parte delle imprese di assicurazione in fase di liquidazione dei sinistri. Il Garante per la protezione dei dati personali il 24 luglio 2014 ha espresso parere favorevole sullo schema di decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti recante il regolamento per l'istituzione e il funzionamento dell'archivio informatico integrato contro le frodi assicurative.

L’articolo 13, comma 5, del disegno di legge in esame, (su cui vedi oltre), modificando l’articolo 21 del D.L. n. 179 del 2012, prevede che il decreto ministeriale attuativo della norma disciplini la possibilità di consultazione dell’archivio da parte delle imprese di assicurazione nella fase di assunzione del rischio, al fine di accertare la veridicità delle informazioni fornite dal contraente (lett. b)).

 

Si segnala che, rispetto al vigente articolo 132 del CAP, sono state espunte le disposizioni che fanno riferimento alla riduzione delle tariffe in caso di ispezione del veicolo e in caso di installazione della scatola nera. Tali disposizioni, peraltro, sono state trasfuse nel nuovo articolo 132-ter del CAP previsto dal successivo articolo 3, insieme ad altri casi che danno luogo a sconti obbligatori.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame apporta una modifica di coordinamento all’articolo 32 del D.L. n. 1 del 2012, i cui commi 1-bis e 1-ter prevedono l’emanazione rispettivamente di un regolamento dell’IVASS e di un decreto ministeriale per l’attuazione della norma che ha previsto la riduzione delle tariffe in caso di installazione della scatola nera, ovvero il comma 1 dello stesso articolo 32 del D.L. n. 1 del 2012, il quale ha modificato il vigente articolo 132 del CAP. Con la modifica in esame si fa riferimento al nuovo articolo 132-ter del CAP.

Si ricorda che l’articolo 32, comma 1-bis, del D.L. n. 1 del 2012 prevede che con regolamento dell’IVASS di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Garante per la protezione dei dati personali (da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 1 del 2012) sono stabilite le modalità di raccolta, gestione e utilizzo, in particolare ai fini tariffari e della determinazione delle responsabilità in occasione dei sinistri, dei dati raccolti dalle scatole nere, nonché le modalità per assicurare la loro interoperabilità in caso di sottoscrizione da parte dell'assicurato di un contratto di assicurazione con impresa diversa da quella che ha provveduto ad installare tale meccanismo. Il 19 marzo 2013 è stato messo in consultazione il relativo schema di regolamento che non è stato ancora emanato.

Il comma 1-ter dell’articolo 32 del decreto-legge n. 1 del 2012 prevede l’emanazione, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della relativa legge di conversione (25 marzo 2012), di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Garante per la protezione dei dati personali al fine di definire lo standard tecnologico comune hardware e software, per la raccolta, la gestione e l'utilizzo dei dati raccolti dai meccanismi elettronici (scatole nere), al quale le imprese di assicurazione dovranno adeguarsi entro due anni dalla sua emanazione. Il decreto non è stato ancora emanato. Il Ministero dello sviluppo economico ha dichiarato di averne notificato uno schema alla Commissione UE nel settembre 2012, ai sensi della Direttiva 98/34/CE.

 

Analoghe disposizioni sono contenute all’articolo 1 della pdl 2437.

 

In materia di obbligo a contrarre, la pdl 2469 prevede, all’articolo 1, per le nuove imprese di assicurazione autorizzate all'attività assicurativa per RC Auto, l’esenzione per tre anni dall'applicazione dell'obbligo a contrarre qualora offrano prodotti assicurativi rivolti a segmenti omogenei di mercato definiti su base geografica o per tipologia di veicolo. L'articolo 2 interviene sulla disciplina del contratto base al fine di consentire agli assicurati la stipula di contratti per l'assicurazione privi di clausole che limitino in qualsiasi modo il diritto all'integrale risarcimento.


 

Articolo 3
(Trasparenza e risparmi in materia di
assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore)

 

 

L’articolo 3 inserisce nel CAP i nuovi articoli 132-bis (Obblighi informativi degli intermediari) e 132-ter (Sconti obbligatori).

L’articolo 132-bis prescrive l’obbligo per gli intermediari, prima della sottoscrizione di un contratto RC Auto, di informare il consumatore in modo corretto, trasparente ed esaustivo sui premi offerti da tutte le imprese di cui sono mandatari relativamente al contratto di base. Il contratto stipulato in assenza della dichiarazione di avvenuta ricezione di tali informazioni è affetto da nullità rilevabile solo in favore dell’assicurato.

L’articolo 132-ter disciplina le diverse condizioni che, qualora accettate dall’assicurato, danno luogo ad uno sconto significativo del prezzo della polizza: ispezione del veicolo; scatola nera; meccanismo che impedisce l’avvio del motore per elevato tasso alcolemico; rinuncia alla cessione del credito; risarcimento in forma specifica presso carrozzerie convenzionate; risarcimento per equivalente a condizioni predeterminate. Lo sconto è obbligatorio al ricorrere di almeno una delle condizioni. Le imprese devono evidenziare, per ciascuna condizione, l’ammontare dello sconto praticato in caso di accettazione da parte del contraente.

 

Il nuovo articolo 132-bis prescrive l’obbligo in capo agli intermediari, prima della sottoscrizione di un contratto di assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore, di informare il consumatore in modo corretto, trasparente ed esaustivo sui premi offerti da tutte le imprese di cui sono mandatari relativamente al contratto di base (comma 1).

Si evidenzia che il regolamento ministeriale che avrebbe dovuto definire le caratteristiche del contratto di base non è stato emanato.

L’articolo 22, comma 4, del D.L. n. 179 del 2012 ha previsto la definizione con decreto ministeriale (ancora non emanato) di uno schema di “contratto di base” di assicurazione per la RC Auto, nel quale prevedere tutte le clausole necessarie ai fini dell’adempimento dell’assicurazione obbligatoria. Ogni compagnia assicurativa, nell’offrirlo obbligatoriamente al pubblico anche attraverso internet, dovrà definirne il costo complessivo individuando separatamente ogni eventuale costo per eventuali servizi aggiuntivi. Il 14 febbraio 2013 è stato presentato uno schema di decreto che tuttavia non è stato emanato.

Il comma 5 dell’articolo 22 prevede che ciascuna impresa di assicurazione determini liberamente il prezzo del «contratto base» e delle ulteriori garanzie e clausole e formuli, obbligatoriamente, la relativa offerta al consumatore anche tramite il proprio sito internet, eventualmente mediante link ad altre società del medesimo gruppo, ferma restando la libertà di offrire separatamente qualunque tipologia di garanzia aggiuntiva o diverso servizio assicurativo.

L'offerta di cui al comma 5 deve utilizzare il modello elettronico predisposto dal Ministero dello sviluppo economico, sentita l'IVASS, in modo che ciascun consumatore possa ottenere - ferma restando la separata evidenza delle singole voci di costo - un unico prezzo complessivo annuo secondo le condizioni indicate e le ulteriori clausole di cui al comma 4 selezionate (comma 6).

Il comma 7 stabilisce che le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione decorsi 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 179 del 18 ottobre 2012.

 

Si ricorda, inoltre, che lo stesso articolo 22 del D.L. n. 179 del 2012, oltre a rafforzare i requisiti professionali degli intermediari assicurativi favorendone la formazione per via telematica, ha previsto che gli intermediari assicurativi possano collaborare tra loro, anche mediante l’utilizzo dei rispettivi mandati, garantendo piena informativa e trasparenza nei confronti dei consumatori. Ogni patto contrario tra compagnia assicurativa e intermediario mandatario è nullo. All’IVASS è attribuita la vigilanza in materia ed è data inoltre la possibilità di adottare le più opportune direttive per la corretta applicazione della norma. L’intento dichiarato della norma è quello di favorire il superamento dell'attuale segmentazione del mercato assicurativo e di accrescere il grado di libertà dei diversi operatori. Tale disciplina si pone in linea di continuità con quanto previsto dai c.d. “decreti Bersani” (articolo 8 del D.L. n. 223 del 2006 e articolo 5, comma 1, del D.L. n. 7 del 2007), i quali hanno disposto il divieto di clausole di esclusiva tra agente assicurativo e compagnia, in funzione dello sviluppo di reti di plurimandato. Il plurimandato nel settore assicurativo è stato più volte auspicato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

 

Il comma 2 dell’articolo 132-bis prevede che gli intermediari forniscono l’indicazione dei premi offerti dalle imprese mediante collegamento internet al preventivatore consultabile sul sito internet dell’IVASS e del Ministero dello sviluppo economico, senza obbligo di rilascio di supporti cartacei.

Il preventivatore cui si riferisce la norma è il “TuOpreventivatOre”, disponibile al sito: http://isvap.sviluppoeconomico.gov.it/prevrca/prvportal/index.php.

Si tratta di uno strumento gratuito e anonimo per confrontare - in base alla loro convenienza economica - i preventivi RC Auto di tutte le imprese presenti sul mercato. Attraverso il sito, tuttavia, non è possibile acquistare la polizza. I preventivi elaborati dal sistema sono comunque vincolanti per le imprese per almeno 60 giorni dalla data del loro ricevimento e comunque non oltre la durata della tariffa in corso.

Il comma 3 demanda all’IVASS il compito di adottare le disposizioni attuative in modo da garantire accesso e risposta on-line, sia ai consumatori che agli intermediari, esclusivamente per i premi applicati dalle imprese per il contratto base relativo ad autovetture e motoveicoli.

Il comma 4 dispone la nullità rilevabile solo a favore dell’assicurato del contratto stipulato senza la dichiarazione del cliente di aver ricevuto le informazioni di cui al comma 1.

Si evidenzia che l’articolo 13, comma 4, lett. c), del disegno di legge in esame abroga i commi 1 e 2 dell’articolo 34 del decreto-legge n. 1 del 2012, i quali prevedono, a pena di nullità rilevabile solo dall’assicurato, l’obbligo per gli intermediari che distribuiscono polizze RC Auto di informare il cliente, in modo corretto, trasparente ed esaustivo, sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre diverse compagnie assicurative non appartenenti a medesimi gruppi.

 

Il nuovo articolo 132-ter elenca le diverse condizioni che danno luogo ad uno sconto significativo del prezzo della polizza altrimenti applicato da parte dell’impresa di assicurazione. Lo sconto è obbligatorio al ricorrere di almeno una delle condizioni. Il comma 2 prevede che in sede di preventivo le imprese devono evidenziare, per ciascuna condizione, l’ammontare dello sconto praticato in caso di accettazione da parte del contraente.

Si ricorda che l’articolo 8 del decreto-legge n. 145 del 2013 (norma soppressa in sede di conversione del decreto) quantificava l’entità di riduzione del premio per ogni meccanismo antifrode accettato dal contraente all’atto della stipula del contratto. Le norme contenute nell’articolo 8 sono state riproposte in un disegno di legge del Governo, approvato il 6 febbraio 2014 dal Consiglio dei Ministri, e presentato alla Camera il 21 febbraio 2014 (A.C. 2126).

 

Le diverse condizioni che danno luogo allo sconto sulla polizza sono le seguenti:

a)   ispezione del veicolo prima della stipula del contratto;

il vigente articolo 132 del CAP già prevede una riduzione del premio in caso di ispezione volontaria del veicolo; la norma in esame, pertanto, non innova sul punto.

L’articolo 8 del decreto-legge n. 145 del 2013 prevedeva l’obbligo da parte delle imprese di chiedere l’ispezione volontaria del veicolo. Nel caso in cui il contraente avesse accettato avrebbe goduto di una riduzione della tariffa, non prestabilita dalla norma nel suo ammontare;

b)   installazione della scatola nera; l’installazione può essere proposta dalla impresa di assicurazione o può essere già avvenuta in passato. In particolare la norma fa riferimento ai meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, denominati “scatola nera” o equivalenti, ovvero ulteriori dispositivi, individuati con decreto ministeriale per i soli requisiti funzionali minimi necessari a garantire l’utilizzo dei dati raccolti, in particolare, ai fini tariffari e della determinazione della responsabilità in occasione dei sinistri.

Il citato decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, volto ad individuare le caratteristiche degli ulteriori dispositivi deve essere adottato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame.

Si segnala che, in osservanza di quanto stabilito dal vigente articolo 132 del CAP, è stato emanato il Decreto 25 gennaio 2013 che individua i meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo.

Occorrerebbe valutare l’opportunità di coordinare le disposizioni del decreto da emanare ai sensi della disposizione in commento con quelle già emanate.

Il vigente articolo 132 del CAP, come modificato dall’articolo 32, comma 1, del D.L. n. 1 del 2012, già prevede una riduzione del premio in caso di installazione della scatola nera. La norma vigente, inoltre, dispone che i costi di installazione, disinstallazione, sostituzione, funzionamento e portabilità sono a carico delle compagnie.

La norma in esame, invece, prevede che, in caso di installazione della scatola nera, la riduzione del premio deve essere superiore agli eventuali costi di installazione, disinstallazione, sostituzione, funzionamento e portabilità sostenuti direttamente dall’assicurato (comma 3).

L’articolo 8 del decreto-legge n. 145 del 2013 prevedeva, in caso di installazione della scatola nera, una riduzione del premio del sette per cento del premio applicato all’assicurato nell’anno precedente, in caso di contratto stipulato tra le stesse parti. In caso di contratto stipulato con un nuovo assicurato, era prevista la riduzione del sette per cento dell’importo risultante dalla somma dei premi RC Auto incassati nella regione dalla medesima compagnia nell’anno precedente divisa per il numero degli assicurati nella stessa regione. Il mancato rispetto da parte dell’impresa assicuratrice dell’obbligo di riduzione del premio comportava l’applicazione alla medesima impresa, da parte dell’IVASS, di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 40.000 euro e la riduzione automatica del premio di assicurazione relativo al contratto in essere.

Si evidenzia che tale disposizione dà seguito a quanto auspicato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella segnalazione inviata il 4 luglio 2014 al Parlamento e al Governo per la predisposizione del disegno di legge in esame. L’Autorità ha infatti ritenuto che occorresse prevedere l’introduzione di modelli contrattuali che garantiscano all’assicurato significative riduzioni del premio in caso di installazione di strumenti elettronici che registrano l’attività del veicolo, ciò tuttavia in assenza di meccanismi fidelizzanti nel tempo;

c)   installazione di meccanismi elettronici che impediscono l’avvio del motore a seguito del riscontro di un tasso alcolemico da parte del guidatore superiore ai limiti stabiliti dalla legge per la conduzione di veicoli a motore.

Anche in questo caso la riduzione del premio deve essere superiore agli eventuali costi di installazione, disinstallazione, sostituzione, funzionamento e portabilità sostenuti direttamente dall’assicurato (comma 3);

d)   rinuncia alla cedibilità del diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti senza il consenso dell’assicuratore tenuto al risarcimento, in deroga agli articoli del codice civile che disciplinano la cessione del credito (1260-1267).

Al riguardo si evidenzia che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella segnalazione inviata il 4 luglio 2014 al Parlamento e al Governo per la predisposizione del disegno di legge in esame, ha ritenuto auspicabile un intervento volto a prevedere che, a fronte dell’ottenimento di sconti di livello significativo a favore dell’assicurato, il diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti non sia cedibile a terzi senza il consenso dell’assicuratore.

L’articolo 8 del decreto-legge n. 145 del 2013 prevedeva in caso di limitazione al diritto di cessione del credito una significativa riduzione del premio a beneficio dell’assicurato, in misura non inferiore al quattro per cento del premio base applicato su base regionale nell’anno precedente. Il mancato rispetto da parte dell’impresa assicuratrice dell’obbligo di riduzione del premio comportava l’applicazione alla medesima impresa, da parte dell’IVASS, di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 40.000 euro e la riduzione automatica del premio di assicurazione relativo al contratto in essere.

Nel corso delle audizione svolte in occasione della conversione del decreto-legge n. 145 del 2013, l’ANIA aveva sottolineato che la cessione del diritto al risarcimento dei danni costituisce una pratica diffusa che determina un’alterazione dei rapporti tra creditore della prestazione risarcitoria e debitore responsabile dell’evento dannoso nonché del suo assicuratore. La prassi consiste nell’acquisto da parte di intermediari di tali diritti di credito, senza che vi sia stata alcuna valutazione dei danni in contradditorio con il responsabile, e la successiva ripresentazione della pretesa risarcitoria nei confronti dell’impresa di assicurazione con tentativo di lucrare, aumentandole, sulle somme destinate al ristoro del danno. Ciò determina sia il rischio che il danneggiato si veda anticipare somme non congrue rispetto al danno subito sia una speculazione che conduce ad un incremento del danno oltre la misura che sarebbe necessaria, a esclusivo vantaggio dell’intermediario dei sinistri.

Da un opposto punto di vista l’Organismo unitario dell’avvocatura italiana ha rilevato che la cessione del credito ha assunto nel settore della RC Auto un ruolo rilevante per le imprese di autoriparazione, oltre che di indubbio beneficio per i consumatori – danneggiati. Nella pratica infatti si verifica che il danneggiato da sinistro stradale non è più costretto ad anticipare le spese di riparazione del proprio veicolo al riparatore mentre è in attesa di risolvere la pratica assicurativa. Infatti con la cessione di credito sottoscritta dal danneggiato a favore del carrozziere di fiducia, si consente da un lato al soggetto danneggiato di provvedere alla riparazione del veicolo evitando di anticiparne i costi e dall’altro si consente al riparatore, dopo che questo ha anticipato i costi di riparazione (rappresentati per oltre il 70% da ricambi e materiale di consumo) di assumere ogni incombenza burocratica attinente alla liquidazione del danno nei confronti della impresa di assicurazione che provvederà poi a corrispondere il risarcimento in forza della intervenuta cessione di credito direttamente al carrozziere. Lo strumento della cessione di credito rappresenterebbe dunque un ostacolo al tentativo delle imprese di assicurazione di autodeterminare il livello dei risarcimenti a scapito della libertà nel mercato delle autoriparazioni.

e)   risarcimento in forma specifica di danni a cose, in assenza di responsabilità concorsuale, presumibilmente tramite autoriparatori convenzionati con idonea garanzia sulle riparazioni effettuate di validità non inferiore a due anni per tutte le parti non soggette a usura ordinaria. La garanzia è prestata in ogni caso per i contratti di assicurazione di veicoli o natanti nuovi alla prima immatricolazione.

La sottoscrizione della clausola riguardante il risarcimento in forma specifica sembrerebbe poter operare solo nel caso in cui il risarcimento viene liquidato in forma diretta all’assicurato. In caso contrario, infatti, l’accordo coinvolgerebbe i diritti di terzi.

Sotto il profilo della formulazione del testo si segnala che andrebbe chiarito che la garanzia sulle riparazioni effettuate debba essere fornita agli assicurati che accettano il risarcimento in forma specifica dalle imprese di assicurazione ovvero dalle imprese di riparazione convenzionate.

Il comma 4 specifica che qualora l’impresa assicuratrice proponga tale clausola nei propri contratti essa debba comunicare all’IVASS, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della nuova tariffa, l’entità della riduzione del premio prevista. Nella stessa comunicazione le imprese di assicurazione identificano la tipologia di veicoli e gli ambiti territoriali nei quali offrono tale facoltà a tutti i contraenti, nonché l’adeguatezza della propria rete di riparatori convenzionati, sia in termini di copertura territoriale che di congruità operativa e assistenziale.

L’articolo 10 del disegno di legge in esame, (su cui vedi oltre), introducendo l’articolo 149-bis nel CAP, prevede che nel caso in cui l’assicurato abbia sottoscritto la clausola per il risarcimento in forma specifica, egli mantiene comunque il diritto al risarcimento per equivalente nel caso in cui il costo della riparazione sia pari o superiore al valore di mercato del bene. In tali casi, la somma da corrispondere a titolo di risarcimento non può superare il valore di mercato, incrementato delle eventuali spese di demolizione e di immatricolazione di un altro veicolo.

Il danneggiato diverso dall’assicurato può comunque scegliere un’impresa di autoriparazione di propria fiducia. In questo caso il risarcimento avviene mediante versamento diretto dei rimborsi all’impresa di autoriparazione, previa presentazione di fattura. Se il danneggiato diverso dall’assicurato non vuole far riparare il veicolo, il risarcimento è versato a lui direttamente, nei limiti di quanto preventivato dall’impresa convenzionata.

L’articolo 8 del decreto-legge n. 145 del 2013 prevedeva in caso di accettazione della clausola di risarcimento in forma specifica una riduzione del premio di almeno il cinque per cento rispetto alla media dei premi incassati su base regionale. Un decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentito l’IVASS, avrebbe dovuto individuare le zone territoriali in cui la riduzione sarebbe stata di almeno il dieci per cento del premio medio applicato dalla compagnia l’anno precedente su base regionale, sulla base di specifici criteri e determinate variabili temporali (numero dei sinistri denunciati, entità dei rimborsi, numero dei casi fraudolenti riscontrati dall’autorità giudiziaria). Il mancato rispetto da parte dell’impresa assicuratrice dell’obbligo di riduzione del premio avrebbe comportato l’applicazione, da parte dell’IVASS, di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 40.000 euro e la riduzione automatica del premio di assicurazione.

f)     in alternativa al risarcimento in forma specifica, può essere previsto il risarcimento per equivalente nei limiti di quanto previsto nella comunicazione di cui al comma 4; in tal caso l’assicurato, in caso di sinistro, deve indicare il soggetto che procederà alla riparazione; l’impresa di assicurazione avrà un termine massimo per verificare la stima del danno prima che le riparazioni siano effettuate.

Al riguardo, occorrerebbe chiarire se la comunicazione prevista da comma 4 deve contenere l’indicazione specifica dell’importo da liquidare per ogni tipo di danno e, conseguentemente, per ciascuna riparazione.

L’articolo 8 del decreto-legge n. 145 del 2013 prevedeva la possibilità di rifiutare il risarcimento in forma specifica, per rivolgersi ad una carrozzeria di propria fiducia. In tal caso il risarcimento non avrebbe potuto comunque superare il costo che l’impresa di assicurazione avrebbe sostenuto provvedendo alla riparazione mediante impresa convenzionata. Restava comunque fermo il diritto del danneggiato al risarcimento per equivalente nell’ipotesi in cui il costo della riparazione sia pari o superiore al valore di mercato del bene e, in tali casi, la somma corrisposta a titolo di risarcimento non può comunque superare il medesimo valore di mercato.

Nel corso delle citate audizioni presso la Commissione Finanze della Camera i rappresentanti dei carrozzieri indipendenti hanno criticato le misure che prevedevano, in alternativa al risarcimento in forma specifica presso un riparatore convenzionato, un risarcimento per equivalente in misura ridotta rispetto al danno patito. In tal modo l’assicuratore avrebbe avuto la facoltà e il potere di decidere le condizioni di mercato dell’autoriparazione, riducendo i già residui margini di impresa, con la conseguenza di un abbassamento degli standard qualitativi e di sicurezza delle riparazioni. In particolare, Federcarrozzieri ha sostenuto che la creazione di un percorso obbligato, o comunque privilegiato, verso le imprese fiduciarie avrebbe spinto le imprese indipendenti fuori dal mercato, togliendo capacità contrattuale al sistema. In sostanza l’artigiano carrozziere sarebbe stato trasformato in terzista, sotto il diretto controllo del sistema assicurativo, con il conseguente impoverimento di tutto il settore della riparazione.

Al contrario l’Antitrust ha auspicato la rapida diffusione di forme di risarcimento dei danni in forma specifica, evidenziando che la disciplina attuale presenta scarsi incentivi per gli assicurati a sottoscrivere contratti con la clausola appena citata. La scontistica offerta dalle compagnie per stimolare la sottoscrizione di tali contratti non ha superato il 5% del premio; ciò ha comportato che il numero di contratti di questa tipologia non sia stato più del 6% del totale.


 

L’articolo 1, comma 1, lettera b) della pdl 2437 prevede norme in materia di obbligo a contrarre, ispezione del veicolo, installazione della scatola nera, con costi a carico dell’impresa e una riduzione non inferiore al 7 per cento della media dei contratti peri profili di rischio corrispondente. Si attribuisce il valore di piena prova alla scatola nera, per la quale è altresì prevista l’interoperabilità e la portabilità.

L’articolo 1, comma 1, lettera g) della pdl 2437 prevede uno sconto non inferiore al 4 per cento in caso di rinuncia alla cessione del diritto al risarcimento, nonché l’obbligo di presentazione della fattura ai fini del rimborso delle spese di riparazione in caso di cessione del credito.

 

L’articolo 142-septies introdotto nel CAP dall’articolo 1 delle pdl 2684 e 2733 prevede che le clausole dirette a escludere, limitare o condizionare la facoltà di cessione del credito da parte dell'assicurato si presumono vessatorie e sono nulle in quanto dirette a imporre ingiustificate restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi.

 

L’articolo 1 delle pdl 2684 e 2733, introducendo un nuovo articolo 142-quater nel CAP stabilisce che i contratti di assicurazione prevedano espressamente la facoltà dell'assicurato di avvalersi di imprese di autoriparazione di propria fiducia abilitate. Le clausole dirette a escludere, limitare o condizionare la libertà di scelta dell'assicurato si presumono vessatorie e sono nulle ai sensi degli articoli 33 e 36 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, in quanto dirette a determinare un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Si ricorda che l’articolo 33 del Codice al consumo prevede che nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto. Non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che siano riproduttive di disposizioni o attuative di principi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell'Unione europea o l'Unione europea. Il successivo articolo 36 considera nulle le clausole vessatorie, mentre il contratto rimane valido per il resto.

Al fine di garantire la sicurezza stradale e la tutela dell’ambiente, l'articolo 142-quinquies obbliga il danneggiato a effettuare la riparazione del veicolo nei casi in cui lo stesso abbia riportato danni ad elementi strutturali e a sistemi meccanici, elettrici ed elettronici.

L'articolo 142-sexies prevede la riparazione sia eseguita in conformità alle prescrizioni tecniche fornite dai costruttori, fermo restando l’obbligo di prestare le garanzie relative agli interventi effettuati.

 

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella segnalazione inviata il 4 luglio 2014 al Parlamento e al Governo per la predisposizione del disegno di legge in esame, ha ritenuto necessari interventi normativi relativi al ricorso ai servizi medico sanitari convenzionati con la compagnia a fronte di sconti.

Per quanto concerne la proposta di sconti nel caso di ricorso ai servizi medico sanitari convenzionati con la compagnia, la relazione governativa al disegno di legge in esame afferma che si è ritenuto di dovere maggiormente approfondire l’argomento per le implicazioni di notevole rilievo che essa comporta sull’attuale assetto organizzativo.

Si ricorda che l’articolo 8 del decreto-legge n. 145 del 2013 prevedeva l’obbligo per le imprese assicurative di proporre clausole contrattuali, facoltative per l’assicurato, che prevedessero prestazioni di servizi medico-sanitari resi da professionisti convenzionati con le medesime imprese. L’accettazione di tali clausole avrebbe comportato una significativa riduzione del premio a beneficio dell’assicurato, in misura comunque non inferiore al sette per cento della media dei premi applicati su base regionale nell’anno precedente. Il mancato rispetto da parte dell’impresa assicuratrice dell’obbligo di riduzione del premio avrebbe comportato l’applicazione, da parte dell’IVASS, di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 40.000 euro e la riduzione automatica del premio.

 

Il comma 2 stabilisce che le imprese di assicurazione devono evidenziare nel preventivo l’ammontare dello sconto praticato in caso di accettazione da parte del contraente delle singole clausole sopra elencate.

 

Il comma 3, come sopra anticipato, prevede che nel caso in cui siano installati la scatola nera o il meccanismo che impedisce l’avvio del motore per elevato tasso alcolemico, la riduzione di premio deve essere superiore ai costi di installazione, disinstallazione, sostituzione, funzionamento e portabilità, sostenuti direttamente dall’assicurato. Tale riduzione del premio si applica altresì in caso di contratto stipulato con un nuovo assicurato e in caso di scadenza di un contratto o di stipula di un nuovo contratto di assicurazione fra le stesse parti. Resta fermo l’obbligo di rispettare i parametri stabiliti dal contratto di assicurazione.

 

Il comma 4, come detto, specifica che qualora l’impresa assicuratrice proponga la clausola del risarcimento in forma specifica nei propri contratti essa debba comunicare all’IVASS, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della nuova tariffa, l’entità della riduzione del premio prevista. Nella stressa comunicazione le imprese di assicurazione devono identificare la tipologia di veicoli e gli ambiti territoriali nei quali offrono tale facoltà a tutti i contraenti, nonché l’adeguatezza della propria rete di riparatori convenzionati, sia in termini di copertura territoriale che di congruità operativa e assistenziale.

 

Al riguardo, sembrerebbe opportuno definire in dettaglio i contenuti della comunicazione anche al fine di chiarire se essa debba prevedere, ad esempio, l’importo del risarcimento per singolo danno.

 

 

L’articolo 3 della pdl 2469 prevede una tariffa premio ai contraenti o agli assicurati che non abbiano denunciato sinistri negli ultimi cinque anni. La tariffa premio è riconosciuta con l'applicazione del premio più basso previsto nell'intero territorio nazionale, da ciascuna impresa, per la corrispondente classe universale di assegnazione del singolo contraente o assicurato, come risultante dall'attestato di rischio.


 

Articolo 4
(Trasparenza delle variazioni del premio)

 

 

L’articolo 4, con una modifica all’articolo 133 del CAP, prevede che, nel caso di contratti con clausola bonus-malus, la variazione del premio, in aumento o in diminuzione, deve essere indicata, in valore assoluto e in percentuale, nel preventivo del nuovo contratto o del rinnovo.

 

L’articolo 133 disciplina le condizioni di polizza che prevedono ad ogni scadenza annuale la variazione in aumento od in diminuzione del premio applicato all'atto della stipulazione o del rinnovo, in relazione al verificarsi o meno di sinistri nel corso di un certo periodo di tempo, oppure in base a clausole di franchigia che prevedano un contributo dell'assicurato al risarcimento del danno o in base a formule miste fra le due tipologie (sistema bonus-malus).

Con una modifica introdotta dal decreto-legge n. 1 del 2012 (articolo 34-bis) è stato previsto che la variazione in diminuzione del premio si applica automaticamente, fatte salve le migliori condizioni, nella misura preventivamente quantificata in rapporto alla classe di appartenenza attribuita alla polizza ed esplicitamente indicata nel contratto. Il mancato rispetto di tale disposizione comporta l’applicazione, da parte dell’ISVAP (ora IVASS), di una sanzione amministrativa da 1.000 euro a 50.000 euro.

Si ricorda che l’ISVAP, con una lettera al mercato del 12 aprile 2012, ha ritenuto che la norma, peraltro assistita da una sanzione specifica, garantisca al consumatore, oltre a condizioni di maggiore trasparenza, benefici in termini di riduzioni di premio in assenza di sinistri rispetto all’annualità precedente. In sostanza l’Autorità di vigilanza ha interpretato la modifica dell’articolo 133 nel senso di garantire all’assicurato, all’inizio di una nuova annualità, il pagamento di un premio inferiore a quello pagato nell’annualità precedente.

Tale interpretazione è stata contestata dalle imprese di assicurazione le quali hanno impugnato la nota dell’ISVAP davanti al TAR del Lazio, il quale su tale punto ha dichiarato che essa non rivestirebbe alcun valore provvedimentale in quanto espressione di mere indicazioni interpretative, insuscettibili di recar vincolo (e danno immediato) per le imprese e, ancor prima, di essere oggetto di autonoma impugnazione.

La norma in esame interviene sul terzo periodo dell’articolo 133, aggiungendo che la predetta variazione si applica automaticamente sia in aumento che in diminuzione. Inoltre si prescrive l’obbligo di indicare l’ammontare della variazione in valore assoluto e in percentuale, nel preventivo sia del nuovo contratto sia in caso di rinnovo.


 

Articolo 5
(Misure relative all’assegnazione delle classi di merito)

 

 

L’articolo 5, modificando l’articolo 134 del CAP, prevede la garanzia della parità di trattamento a parità delle caratteristiche di rischio, vietando la distinzione in funzione della durata del rapporto. Si prevede, inoltre, che in caso di variazione peggiorativa della classe di merito, gli incrementi di premio debbano comunque essere inferiori a quelli altrimenti applicabili, qualora l’assicurato faccia installare la scatola nera.

 

In particolare la norma in esame modifica i commi 4-bis e 4-ter dell’articolo 134, introdotti dal decreto-legge n. 7 del 2007 (c.d. “decreto Bersani”) e aggiunge un comma 4-ter.1.

Il vigente comma 4-bis stabilisce che nel caso di un nuovo contratto di assicurazione obbligatoria relativo a un veicolo acquistato da una persona fisica già titolare di polizza assicurativa o da un componente stabilmente convivente del suo nucleo familiare, la compagnia non può assegnare al contratto una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante dall’ultimo attestato di rischio conseguito sul veicolo già assicurato.

La norma in esame aggiunge che in tale caso la compagnia non può discriminare in funzione della durata del rapporto garantendo, nell’ambito della classe di merito, le condizioni di premio assegnate agli assicurati aventi le stesse caratteristiche di rischio del soggetto che stipula il nuovo contratto. In tal modo si intende contrastare il sistema delle sottoclassi applicate dalle compagnie.

Con il sistema delle sottoclassi interne le compagnie sono in grado di attenuare gli effetti del “decreto Bersani”. Si consideri l’esempio di un neopatentato convivente con un familiare con la prima classe di merito universale (CU 1, ovvero da 13 anni senza sinistri). Le compagnie, in tal caso, sono obbligate ad assegnare al neopatentato la CU1. Tuttavia esse, in realtà, hanno assegnato il “padre” in una sottoclasse della CU1 a cui corrisponde un premio ridotto. La norma vigente le obbliga ad assegnare la stessa classe universale, ma non la stessa sottoclasse. In tal modo il premio del neopatentato risulterà più alto di quello pagato dal “padre” considerato nella sottoclasse.

Si evidenzia che la modifica in esame costituisce una puntuale attuazione di quanto auspicato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella segnalazione inviata il 4 luglio 2014 al Parlamento e al Governo per la predisposizione del disegno di legge in esame.

 

Il vigente comma 4-ter prevede che al verificarsi di un sinistro, le imprese di assicurazione non possono applicare alcuna variazione di classe di merito prima di aver accertato l'effettiva responsabilità del contraente, che è individuata nel responsabile principale del sinistro, secondo la liquidazione effettuata in relazione al danno e fatto salvo un diverso accertamento in sede giudiziale. Ove non sia possibile accertare la responsabilità principale, ovvero, in via provvisoria, salvo conguaglio, in caso di liquidazione parziale, la responsabilità si computa pro quota in relazione al numero dei conducenti coinvolti, ai fini della eventuale variazione di classe a seguito di più sinistri.

La norma in esame aggiunge che in ogni caso, le variazione peggiorative apportate alla classe di merito e i conseguenti incrementi del premio per gli assicurati che hanno fatto installare la scatola nera (articolo 132-ter, comma 1, lettera b)), devono essere inferiori a quelli altrimenti applicati.

 

Con il nuovo comma 4-ter.1 si prevede inoltre che, in caso di sinistro, qualora l’assicurato accetti l’installazione di uno dei dispositivi di cui all’articolo 132-ter (ovvero, la scatola nera o il meccanismo elettronico che impedisce l’avvio del motore a seguito del riscontro di un tasso alcolemico), le variazioni peggiorative apportate alla classe di merito e i conseguenti incrementi del premio devono essere inferiori a quelli altrimenti applicati.


 

Articolo 6
(Identificazione dei testimoni di sinistri con soli danni a cose)

 

 

L’articolo 6, al fine di evitare la prassi di far valere testimonianze prodotte in un momento successivo a quello della denuncia del sinistro (cd. testimoni di comodo), prescrive l’identificazione immediata del testimone sul luogo dell’incidente.

In particolare il nuovo comma 3-bis dell’articolo 135 prescrive che, in caso di sinistri con soli danni alle cose, l’identificazione di eventuali testimoni sul luogo di accadimento dell’incidente deve risultare dalla denuncia di sinistro prevista dall’articolo 143 del CAP, nonché dalla richiesta di risarcimento presentata all’impresa di assicurazione ai sensi degli articoli 148 (procedura di risarcimento) e 149 (risarcimento diretto). Fatte salve le risultanze contenute in verbali delle autorità di polizia intervenute sul luogo dell’incidente, l’identificazione dei testimoni avvenuta in un momento successivo comporta l’inammissibilità della prova testimoniale addotta.

Il nuovo comma 3-ter dell’articolo 135 prevede l’inammissibilità in giudizio delle testimonianze che non risultino acquisite secondo le modalità indicate dal comma precedente, salva la possibilità per il giudice di disporre l’audizione di testimoni nei casi in cui sia comprovata l’impossibilità della loro tempestiva identificazione.

Il nuovo comma 3-quater dell’articolo 135 prevede, infine, che nei processi attivati per l’accertamento della responsabilità e la quantificazione dei danni, il giudice verifichi l’eventuale ricorrenza dei medesimi testimoni già chiamati in altre cause nel settore dell’infortunistica stradale e, ove riscontri, anche avvalendosi della banca dati integrata costituita presso l’IVASS, la ricorrenza degli stessi nominativi in più di tre cause negli ultimi cinque anni, trasmetta l’informativa alla Procura della Repubblica competente per gli ulteriori accertamenti. La disposizione non si applica alle testimonianze rese dagli ufficiali e dagli agenti delle autorità di polizia.

 

Si segnala che l’articolo riproduce quanto precedentemente previsto dall’articolo 8, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 145 del 2013, soppresso in sede di conversione.


 

Disposizioni analoghe sono previste dall’articolo 1, comma 1, lettera c) della pdl 2437. Il comma 7 del medesimo articolo prevede la decadenza del diritto del danneggiato al risarcimento del danno qualora non venga presentata la richiesta entro sei mesi dal verificarsi del fatto dannoso.

 

L'articolo 7 della pdl 2469 stabilisce che la richiesta danni debba essere formulata a pena di decadenza dalla procedura del risarcimento diretto nel termine di novanta giorni, sanzionando le denunce tardive con la perdita del beneficio della speciale procedura del risarcimento diretto.

L'articolo 10 rende il risarcimento diretto facoltativo, in coerenza con la sentenza della Corte costituzionale n. 180 del 2009 che ha interpretato la predetta disposizione nel senso di fornire all’assicurato un ulteriore rimedio non sostitutivo di quello già vigente (cioè la tradizionale azione di responsabilità civile).


 

Articolo 7
(Risarcimento del danno non patrimoniale)

 

 

L’articolo 7 sostituisce, apportando limitate modifiche, gli articoli 138 e 139 del CAP in tema di risarcimento del danno non patrimoniale rispettivamente per lesioni di non lieve entità e per lesioni di lieve entità.

Le modifiche più rilevanti riguardano l’unificazione nel danno non patrimoniale delle varie voci di danno (biologico, morale ed esistenziale) risarcibili. Tale unificazione segue l’orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 26972 – 26975 dell'11 novembre 2008 con le quali è stato affermato il carattere unitario del danno non patrimoniale in caso di lesioni della salute, individuandolo nella categoria onnicomprensiva del danno biologico. Alla luce di tale ricostruzione, nel concetto di danno biologico rientrano tutte le conseguenze della menomazione subita, incluse le possibili forme di sofferenza fisica o psichica vissute dalla vittima (danno morale) e gli aspetti esistenziali (danno esistenziale).

La norma in esame, inoltre, nell’ambito del risarcimento del danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità, prevede un innalzamento del valore percentuale (dal 30 al 40 per cento) attribuito alla discrezionalità del giudice per aumentare l’importo del danno, rispetto ai valori base delle tabella, per risarcire la lesioni agli “aspetti dinamico-relazionali personali, documentati e obiettivamente accertati” (c.d. danno esistenziale) ovvero la “sofferenza psicofisica di particolare intensità” (c.d. danno morale). Nel caso di lesioni di lieve entità, tali circostanze valutate dal giudice con equo e motivato apprezzamento, possono condurre ad un aumento fino al 20 per cento, analogamente a quanto attualmente previsto. Per entrambi i casi viene espressamente chiarito che l’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi dei due articoli è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche.

Il comma 2 consente di adottare la tabella delle macrolesioni secondo la disciplina attualmente vigente, purché il relativo D.P.R. sia emanato entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame.

 

Il vigente articolo 138 del CAP demanda ad un D.P.R. (previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro delle attività produttive, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia) la predisposizione di una specifica tabella, unica su tutto il territorio della Repubblica, delle menomazioni alla integrità psico-fisica comprese tra dieci e cento punti e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso.

Il comma 2 contiene i principi e criteri che devono essere seguiti nella redazione della tabella:

§  definizione di danno biologico (lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito);

§  sistema a punto variabile in funzione dell'età e del grado di invalidità sui cui deve fondarsi la tabella dei valori economici; il valore economico del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità e l'incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all'aumento percentuale assegnato ai postumi; il valore economico del punto è funzione decrescente dell'età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall'ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all'interesse legale;

§  il danno biologico (ora non patrimoniale) temporaneo inferiore al cento per cento è determinato in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.

 

Le modifiche previste dalla norma in esame (comma 1) riguardano:

§  la rubrica dell’articolo: si parla di “danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità”, in luogo di “danno biologico per lesioni di non lieve entità”;

§  la proposta di D.P.R. è assegnata al Ministro dello sviluppo economico, in luogo del Ministro della salute del quale è ora necessario il concerto (art. 138, alinea);

§  per la quantificazione dell’importo dovuto per ogni giorno di inabilità temporanea assoluta si fa riferimento al criterio previsto per le lesioni di lieve entità (art. 138, comma 1, lett. e));

§  è aumentato dal 30 al 40 per cento il valore percentuale attribuito alla discrezionalità del giudice, con equo e motivato apprezzamento, per aumentare l’importo del danno, rispetto ai valori base delle tabella, per risarcire la lesioni agli aspetti dinamico-relazionali personali, documentati e obiettivamente accertati” (c.d. danno esistenziale) ovvero la “sofferenza psicofisica di particolare intensità” (c.d. danno morale). È chiarito che l’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche (art. 138, comma 3).

 

Il comma 2 dell’articolo 7 in esame consente di adottare la tabella delle macrolesioni prevista dal comma 1 dell’articolo 138, secondo la disciplina attualmente vigente, purché il relativo D.P.R. sia emanato entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame.

Al riguardo si evidenzia che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella segnalazione inviata il 4 luglio 2014 al Parlamento e al Governo per la predisposizione del disegno di legge in esame, ha ritenuto non più rinviabile l’adozione, della tabella unica, a livello nazionale, per l’attribuzione del valore alle menomazione di non lieve entità di cui all’articolo 138 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private).

 

Il vigente articolo 139 del CAP prevede la predisposizione, con la medesima procedura prevista dall’articolo 138, di una specifica tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra uno e nove punti di invalidità (microlesioni).

Il comma 1 stabilisce i criteri per la liquidazione del danno biologico permanente. Con la modifica in esame il valore del primo punto è aumentato da 674,68 a 795,91 euro. Non è variato l’importo previsto a titolo di risarcimento del danno biologico temporaneo, liquidato per ogni giorno di inabilità assoluta con 39,37 euro.

Il comma 2, oltre a definire il danno biologico, stabilisce che le lesioni di lieve entità, non suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente. Tale previsione, inserita dal decreto-legge n. 1 del 2012, non è modificata dalla disposizione in esame.

Il comma 3 prevede la possibilità del giudice di aumentare l’ammontare del risarcimento “con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”. Tale previsione, parallelamente a quanto previsto con la modifica al comma 3 dell’articolo 138, è stata modificata dalla norma in esame al fine di comprendere espressamente in tale valutazione sia il danno esistenziale che il danno morale. Viene, infatti, chiarito che l’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi dell’articolo 139 è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche. In questo caso non è stato elevato il margine di discrezionalità per la personalizzazione del danno per ricomprendere la componente di sofferenza psico-fisica (20 per cento). La relazione illustrativa afferma al riguardo che il valore del 20 per cento già consente ampia considerazione di tale specifica eventualità rispetto a lesioni meno gravi.

Il resto dell’articolo, e in particolare i coefficienti moltiplicatori per ogni punto di invalidità indicati dal comma 6, non è modificato.

Si ricorda che attualmente la giurisprudenza ha elaborato delle tabelle risarcitorie (c.d. tabelle del Tribunale di Milano) che contemplano una liquidazione unitaria (danno biologico standard e danno morale, con la garanzia di un livello minimo di personalizzazione) e che vengono applicate, da tempo e spontaneamente, su tutto il territorio nazionale, essendo considerate un efficace punto di riferimento per una equa valutazione monetaria del danno subito.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 7 giugno 2011 n. 12408, ha definito le tabelle elaborate dal tribunale di Milano come le più congrue, sia per il metodo di calcolo sia per quanto riguarda i valori risarcitori, individuando in esse il parametro di riferimento per il risarcimento alla persona da applicarsi uniformemente sull'intero territorio nazionale: “poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative (come l'art. 139 del codice delle assicurazioni private, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla sola circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto”.

 

La Camera il 25 giugno 2013 ha approvato le mozioni Boccuzzi n. 1-00099, Gigli n. 1-00102 e Costa n. 1-00103 e la risoluzione Di Lello n. 6-00017, con le quali ha impegnato il Governo a sospendere l'iter di approvazione dello schema di decreto del Presidente della Repubblica avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle per il risarcimento del danno biologico (ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005) fino all'espletamento di un approfondito ma rapido confronto nelle Commissioni parlamentari competenti.

In attuazione delle mozioni approvate e al fine di orientare meglio l'attività regolamentare del Governo su queste complesse tematiche, il 12 settembre 2013 la Commissione Finanze ha avviato la discussione delle risoluzioni n. 7-00060 Gutgeld e altri e n. 7-00097 Pesco e altri, relative alle tematiche concernenti il meccanismo per il risarcimento dei danni biologici derivanti da sinistri nell'ambito dell'assicurazione RC Auto, nonché le misure in materia di prezzi delle polizze. In particolare con le risoluzioni si intende coniugare l'obiettivo di ridurre complessivamente i costi gravanti sul sistema assicurativo e sulla collettività, con l'esigenza imprescindibile di garantire il diritto delle vittime dei sinistri a vedersi pienamente riconosciuto un esaustivo risarcimento per il danno biologico subito. Un altro obiettivo è di prevedere che le nuove tabelle siano omogenee rispetto agli orientamenti in materia adottati negli altri Paesi europei più avanzati, anche al fine di ridurre l'anomala sproporzione tra l'ammontare dei costi sopportati in Italia per le lesioni da incidentalità e quelli che si registrano nel resto dell'Europa. Sull'argomento è stato avviato un ciclo di audizioni informali.

La Corte di giustizia europea con la sentenza del 23 gennaio 2014, nella causa C-371/12, ha confermato la validità degli attuali limiti previsti in Italia per le lesioni lievi (micropermanenti). Il principio di fondo stabilito dalla Corte è che le normative nazionali possono limitare in qualche modo i risarcimenti, materia regolata da direttive europee. Una limitazione che l'Italia prevede nel Codice delle assicurazioni per tutti i casi di danni a persona, ma finora ha attuato solo sul danno biologico dovuto a lesioni di lieve entità (fino a nove punti di invalidità permanente). La Corte ha rilevato che non risulta che la normativa italiana preveda importi non conformi al minimo stabilito dalla normativa dell'Unione. Da tale sentenza si ricava la massima secondo cui il diritto dell'Unione ammette una legislazione nazionale che, nell'ambito di un particolare sistema di risarcimento dei danni morali derivanti da lesioni di lieve entità causate da sinistri stradali, limiti il risarcimento di tali danni rispetto a quanto ammesso in caso di danni identici risultanti da altre cause.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata da alcuni giudici sull'articolo 139 del Codice delle assicurazioni private (D.lgs. 209/2005), considerando legittime le soglie ridotte per i risarcimenti a chi subisce lesioni lievi in un incidente stradale. È quindi legittimo calcolare gli indennizzi in base ai valori indicati dall'articolo 139 del Codice delle assicurazioni, anziché applicando quelli - più generosi - elaborati dalla giurisprudenza.

Nelle censure sottoposte al vaglio della Corte si è sostenuto che la tabella per le microlesioni non fosse legittima perché prevede importi limitati e contenuti per compensare il danno biologico conseguente a sinistri stradali, mentre i magistrati possono liquidare diversamente e maggiormente la stessa lesione originata da altra vicenda. In particolare la Consulta afferma che il controllo di costituzionalità del meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico introdotto dal censurato articolo 139 del CAP – per il profilo del prospettato vulnus al diritto all'integralità del risarcimento del danno alla persona – va condotto non già assumendo quel diritto come valore assoluto e intangibile, bensì verificando la ragionevolezza del suo bilanciamento con altri valori, che sia eventualmente alla base della disciplina censurata. In un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi – la disciplina in esame, che si propone il contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio di ragionevolezza. Infatti, l'introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno − attinente al solo specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e coerentemente riferito alle conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi (nove) gradi della tabella – lascia, comunque, spazio al giudice per personalizzare l'importo risarcitorio, risultante dalla applicazione delle suddette predisposte tabelle, eventualmente maggiorandolo fino ad un quinto, in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato.

Si ricorda, infine, che la Commissione Giustizia della Camera il 12 settembre 2013 ha avviato l'esame della proposta di legge Bonafede ed altri (A.C. 1063) volta a introdurre modifiche al codice civile, alle disposizioni per la sua attuazione e al codice delle assicurazioni private (D.Lgs. n. 209 del 2005), concernenti la determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale. A tale proposta sono allegate delle tabelle per la determinazione del risarcimento.

 

La giurisprudenza della Cassazione in tema
di risarcimento del danno non patrimoniale

Dopo avere da tempo superato la concezione della risarcibilità del danno non patrimoniale ai sensi dell'art. 2059 del codice civile solo quando derivante da fatto-reato, l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale ha inteso garantire il ristoro dei diritti alla salute, all'onore, alla reputazione, all'integrità familiare in quanto diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti.

In particolare, operando una ricostruzione del sistema di risarcibilità del danno non patrimoniale, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26972 dell'11 novembre 2008 (analoga ad altre tre sentenze gemelle emesse in pari data), hanno sottolineato la necessità di "ristorare integralmente il pregiudizio, ma non oltre".

Superando definitivamente la nozione del danno-evento in favore del danno-conseguenza, le Sezioni Unite hanno individuato una triade attraverso cui si sostanzia il danno non patrimoniale:

a)  il danno biologico deve intendersi come lesione del bene salute;

b)  il danno morale si sostanzia nel patema d'animo o nella sofferenza interiore subita dalla vittima dell'illecito, ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana;

c)  il danno esistenziale è costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato.

In particolare, le Sezioni Unite hanno affermato (con ciò modificando il precedente orientamento) che la sofferenza psichica ed il dolore intimo costituiscono, al pari del danno esistenziale, solamente "voci" del danno biologico, con la conseguenza che, pur essendo ammissibile la risarcibilità della sofferenza morale e/o degli aspetti esistenziali violati, rimane comunque esclusa la possibilità di riconoscere nel danno morale e nel danno esistenziale autonome categorie di danno.

Pertanto, nell'applicare concretamente i principi affermati dalle Sezioni Unite, è stata elaborata la nozione di "personalizzazione" del danno, in modo tale da consentire una congrua liquidazione (equitativa) del danno biologico con riferimento alle sue componenti di danno morale e di danno esistenziale.

 

La giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite, tuttavia, si è progressivamente discostata da tale orientamento.

In particolare, con la recente sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la possibilità di trasmissione agli eredi del diritto al risarcimento del danno da perdita della vita (o tanatologico), diritto fino ad allora costantemente negato dalla giurisprudenza di legittimità.

Qui la Cassazione, dopo aver confermato che la categoria del danno non patrimoniale presenta natura composita, articolandosi nelle voci del danno biologico, del danno morale e del danno esistenziale - ha precisato che tutte le voci di danno sono suscettibili di liquidazione purché venga evitata una duplicazione, che si configura solo allorquando lo stesso aspetto (ovvero, la stessa voce) venga computato due o più volte, sulla base di diverse e meramente formali denominazioni.

Si legge nella sentenza che “la diversità ontologica dei suindicati aspetti (o voci) di cui si compone la categoria generale del danno non patrimoniale impone che, in ossequio al principio (delle Sezioni Unite del 2008 assunto ad assioma) della integrità del risarcimento dei danni ………, in quanto sussistenti e provati, vengano tutti risarciti e nessuno sia lasciato privo di ristoro”.

L’interpretazione secondo cui il danno non patrimoniale non sia suddividibile in sottovoci viene definita “riduttiva” e non solo “evoca perplessità” secondo la Corte ma è “in realtà smentita dalla giurisprudenza della Cassazione e delle stesse Sezioni Unite”.

 

Ribadito che il criterio di liquidazione dei danni non patrimoniali sia l’equità intesa come valutazione congrua, ragionevole, proporzionale, ma anche rispettosa della parità di trattamento (secondo le direttrici tracciate da Cass. n.12408/2011), la Corte di Cassazione indica nelle tabelle (giudiziali o normative) uno strumento idoneo all’attuazione della clausola generale della valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. (a cui non è consentito derogare attraverso criteri arbitrari). L’uso delle tabelle impone però al giudice di procedere ad adeguata “personalizzazione” della liquidazione del danno non patrimoniale.

In buona sostanza, la tendenza della giurisprudenza di legittimità appare nuovamente nel senso di ribadire l'autonomia del danno morale ed esistenziale rispetto al danno biologico.

 

Pertanto, con ordinanza n. 5056 del 4 marzo 2014, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, avendo ravvisato nella citata sentenza n. 1361/2014 (emessa dalla medesima Sezione) un contrasto di giurisprudenza, ha rimesso gli atti del procedimento al Primo Presidente perché valuti l'esigenza di investire della questione le Sezioni Unite al fine di definire e precisare, per imprescindibili ragioni di certezza del diritto, il quadro della risarcibilità del danno non patrimoniale delineato nel 2008.

 

L'articolo 12 della pdl 2469 prevede disposizioni per la predisposizione e l'approvazione da parte del Governo di tabelle indicative nazionali per la liquidazione del danno non patrimoniale.

 


 

Articolo 8
(Valore probatorio delle cosiddette “scatole nere”
e di altri dispositivi elettronici)

 

 

L’articolo 8, mediante l’inserimento del nuovo articolo 145-bis nel CAP, attribuisce piena prova nei procedimenti civili alle risultanze della scatola nera conforme alle caratteristiche tecniche e funzionali, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del dispositivo. Deve inoltre essere garantita l’interoperabilità e la portabilità delle scatole nere nel caso di passaggio ad una diversa compagnia assicurativa. È prevista l’emanazione di due regolamenti volti a garantire lo standard tecnologico per la gestione in sicurezza dei dati registrati dalle scatole nere e per assicurare la loro interoperabilità. In caso di violazione da parte delle compagnie delle norme sulla interoperabilità è stabilita una sanzione amministrativa di 3.000 euro per ogni giorno di ritardo.

Le imprese assicurative devono trattare i dati raccolti con le scatole nere nel rispetto della normativa sulla privacy e non li possono utilizzare per finalità diverse. In caso di manomissione della scatola nera, l’assicurato perde la riduzione del premio ed è sottoposto alle eventuali sanzioni penali.

 

In particolare il comma 1 dell’articolo 145-bis dispone che, in caso di incidente stradale, se uno dei veicoli coinvolti è dotato di scatola nera, le risultanze del dispositivo formano piena prova nei procedimenti civili dei fatti cui esse si riferiscono, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del predetto dispositivo.

La norma fa riferimento al dispositivo elettronico con le caratteristiche tecniche e funzionali stabilite dall’articolo 132-ter, comma 1, lettere b) (ovvero la scatola nera o altri dispositivi individuati con decreto ministeriale) e c) (meccanismi elettronici che impediscono l’avvio del motore per elevato tasso alcolemico del guidatore) e fatti salvi, in quanto equiparabili, i dispositivi elettronici già in uso.

 

Il comma 2 dispone che linteroperabilità (la capacità di comunicare tra loro) e la portabilità delle scatole nere, anche nel caso di nuovo contratto con una compagnia assicuratrice diversa da quella che ha installato i meccanismi elettronici, devono essere garantite da operatori – provider di telematica assicurativa – i cui dati identificativi sono comunicati all’IVASS da parte delle imprese di assicurazione che ne utilizzano i servizi.

I dati sull’attività del veicolo sono gestiti in sicurezza dagli operatori del settore sulla base dello standard tecnologico comune che un decreto ministeriale dovrebbe definire (ai sensi dell’articolo 32, comma 1-ter, del decreto-legge n. 1 del 2012), e successivamente inviati alle rispettive compagnie di assicurazione.

Si evidenzia che il comma 1-ter dell’articolo 32 del decreto-legge n. 1 del 2012 prevede l’emanazione, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della relativa legge di conversione (25 marzo 2012), di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Garante per la protezione dei dati personali al fine di definire lo standard tecnologico comune hardware e software, per la raccolta, la gestione e l'utilizzo dei dati raccolti dai meccanismi elettronici (scatole nere), al quale le imprese di assicurazione dovranno adeguarsi entro due anni dalla sua emanazione. Il decreto non è stato ancora emanato. Il Ministero dello sviluppo economico ha dichiarato di averne notificato uno schema alla Commissione UE nel settembre 2012, ai sensi della Direttiva 98/34/CE.

 

Il comma 3 dispone che le modalità per assicurare l’interoperabilità e la portabilità delle scatole nere, delle apparecchiature connesse e dei relativi sistemi di gestione dei dati, sono determinate dal regolamento previsto dall’articolo 32, comma 1-bis, del decreto-legge n. 1 del 2012. Gli operatori (provider) sono responsabili del funzionamento ai fini dell’interoperabilità.

Si evidenzia che non è stato ancora emanato il regolamento dell’IVASS di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Garante per la protezione dei dati personali, che entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 1 del 2012 avrebbe dovuto stabilire le modalità di raccolta, gestione e utilizzo, in particolare ai fini tariffari e della determinazione delle responsabilità in occasione dei sinistri, dei dati raccolti dalle scatole nere, nonché le modalità per assicurare la loro interoperabilità in caso di sottoscrizione da parte dell'assicurato di un contratto di assicurazione con impresa diversa da quella che ha provveduto ad installare tale meccanismo, ai sensi dell’articolo 32, comma 1-bis, del D.L. n. 1 del 2012. Il 19 marzo 2013 è stato messo in consultazione il relativo schema di regolamento.

 

Il comma 4 stabilisce che il mancato adeguamento, da parte dell’impresa di assicurazione o dell’operatore di telematica assicurativa, alle condizioni stabilite dal regolamento (non ancora emanato) in tema di modalità per assicurare l’interoperabilità e la portabilità delle scatole nere, delle apparecchiature connesse e dei relativi sistemi di gestione dei dati, comporta l’applicazione da parte dell’IVASS di una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 3.000 per ogni giorno di ritardo.

 

Il comma 5 riguarda il trattamento dei dati ricavati dalle scatole nere che deve essere conforme a quanto previsto dal codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. n. 196 del 2003). L’impresa di assicurazione è titolare del trattamento dei dati (articolo 28 del citato codice). È fatto divieto all’impresa di assicurazione, nonché ai soggetti ad essa collegate, di utilizzare le scatole e nere e gli altri dispositivi elettronici al fine di raccogliere dati ulteriori rispetto alla finalità di determinazione delle responsabilità in occasione dei sinistri e ai fini tariffari, o di rilevare la posizione e le condizioni del veicolo in maniera continuativa o comunque sproporzionata rispetto alla medesima finalità.

 

Il comma 6 vieta all’assicurato di disinstallare, manomettere o comunque rendere non funzionante il dispositivo installato. In caso di violazione da parte dell’assicurato di tale divieto non è applicata la riduzione del premio per la durata residua del contratto. Inoltre l’assicurato è tenuto alla restituzione di quanto ha indebitamente risparmiato, fatte salve le eventuali sanzioni penali.

 

Si segnala che il contenuto del nuovo articolo 145-bis del CAP riprende sostanzialmente quanto era già stato previsto nell’articolo 8 del decreto-legge n. 145 del 2013, soppresso nel corso dell’esame parlamentare.

 

Analoghe disposizioni sono contenute all’articolo 1, comma 1, lettera b) della pdl 2437 e, limitatamente al riconoscimento del valore di piena prova alla scatola nera, all’articolo 11 della pdl 2469.

 

L’articolo 1, comma 15, della pdl 2437 prevede la possibilità di utilizzare i dispositivi di rilevamento omologati (autovelox o tutor) anche per l'accertamento della violazione dell'obbligo dell'assicurazione RC e senza l'obbligo della presenza degli organi di polizia stradale.


 

Articolo 9
(Ulteriori misure di contrasto delle frodi assicurative)

 

 

L’articolo 9, integrando l’articolo 148 del CAP, estende i casi nei quali, sussistendo elementi che siano sintomo di frode, si applica una specifica procedura che consente all’impresa di assicurazioni di non presentare offerta di risarcimento. Tali elementi si possono ricavare:

§  dall’archivio informatico integrato dell’IVASS;

§  dalle scatole nere (e meccanismi equivalenti);

§  dalla perizia, qualora risulti documentata l’incongruenza del danno dichiarato dal richiedente.

 

Il vigente comma 2-bis dell’articolo 148 del CAP è stato introdotto dall’articolo 32 del decreto-legge n. 1 del 2012, il quale ha tra l’altro previsto una specifica procedura volta a consentire all’impresa di assicurazioni di non presentare offerta di risarcimento ove dalla consultazione della banca dati sinistri si riscontrino almeno due “parametri di significatività”: in sostanza, ove emergano elementi che siano sintomo di frode, quali la ricorrente presenza della persona o della targa interessati in sinistri occorsi negli anni precedenti che hanno comportato risarcimenti di notevole entità.

In particolare, l'impresa può decidere, entro determinati termini, di non fare offerta di risarcimento, motivando tale decisione con la necessità di condurre ulteriori approfondimenti in relazione al sinistro. La relativa comunicazione è trasmessa dall'impresa al danneggiato e all'IVASS, al quale è anche trasmessa la documentazione relativa alle analisi condotte sul sinistro. Entro trenta giorni dalla comunicazione della predetta decisione, l'impresa deve comunicare al danneggiato le sue determinazioni conclusive in merito alla richiesta di risarcimento. All'esito degli approfondimenti, l'impresa può non formulare offerta di risarcimento, qualora presenti querela, nelle ipotesi in cui è prevista, informandone contestualmente l'assicurato; in tal caso i termini per il risarcimento sono sospesi e il termine per la presentazione della querela (articolo 124, primo comma, del codice penale) decorre dallo spirare del termine di trenta giorni entro il quale l'impresa comunica al danneggiato le sue determinazioni conclusive. Per la definizione puntuale dei parametri di significatività si rinvia al provvedimento dell’ISVAP n. 2827 del 25 agosto 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 209 del 7 settembre 2010.

In sintesi, dunque, all'esito degli approfondimenti condotti, l'impresa può non formulare offerta di risarcimento qualora presenti querela, nelle ipotesi in cui è prevista, informandone contestualmente l'assicurato nella comunicazione concernente le determinazioni conclusive in merito alla richiesta di risarcimento.

 

Con le modifiche in esame, l’impresa può utilizzare tale procedura, e non formulare l’offerta di risarcimento, anche qualora ritenga sussistenti indicatori di frode desunti:

1.   dall’archivio integrato informatico; si demanda ad un regolamento dell’IVASS la definizione degli indicatori di frode desumibili dall’archivio;

Si ricorda che l’articolo 21 del decreto-legge n. 179 del 2012 prevede che un decreto ministeriale (non ancora emanato) debba stabilire le modalità di connessione delle relative banche dati, i termini, le modalità e le condizioni per la gestione e conservazione dell'archivio e per l'accesso al medesimo da parte delle pubbliche amministrazioni, dell'autorità giudiziaria, delle forze di polizia, delle imprese di assicurazione e di soggetti terzi, nonché gli obblighi di consultazione dell'archivio da parte delle imprese di assicurazione in fase di liquidazione dei sinistri;

2.   dalle scatole nere (e meccanismi equivalenti);

3.   dalla perizia, qualora risulti documentata l’incongruenza del danno dichiarato dal richiedente.

 

Qualora l’impresa attivi la procedura prevista dall’articolo 148, comma 2-bis, rifiutandosi di formulare l’offerta di risarcimento, l’assicurato può proporre l’azione di risarcimento davanti al giudice solo dopo aver ricevuto le determinazioni conclusive dell’impresa o, in mancanza, allo spirare del termine di sessanta giorni di sospensione della procedura. Resta salvo il diritto del danneggiato di ottenere l’accesso agli atti nei termini previsti dall’articolo 146, salvo il caso di presentazione di querela o denuncia.

 

Si segnala che le modifiche all’articolo 148 del CAP in esame erano già state previste dall’articolo 8 del decreto-legge n 145 del 2013, soppresso nel corso dell’esame parlamentare del ddl di conversione.

 

Analoga procedura è contenuta all’articolo 1, comma 1, lettera e) della pdl 2437.

 

L'articolo 8 della pdl 2469 e l’articolo 3 delle pdl 2684 e 2733 intervengono sulla procedura di accesso agli atti prevista dall’articolo 146 del CAP, al fine di consentire anche al riparatore direttamente interessato di accedere agli atti a conclusione dei procedimenti di valutazione, constatazione e liquidazione dei danni che lo riguardano.

L'articolo 9 della pdl 2469 - intervenendo sull’articolo 156 del CAP - elimina la possibilità per le imprese di assicurazione di effettuare direttamente l'accertamento e la stima dei danni, prevedendo che tale attività sia effettuata esclusivamente da periti iscritti nell’apposito ruolo. Analoga disposizione è previsa all’articolo 5 delle pdl 2684 e 2733. Quest’ultimo prevede inoltre l’obbligo per i periti di comportarsi con terzietà e autonomia, in modo che il loro giudizio non sia condizionato da conflitti di interesse, compresi quelli di natura economica o personale e garantisce la facoltà da parte del danneggiato di designare un perito di propria fiducia iscritto nel ruolo.

La sola pdl 2684 reca poi le modalità di esecuzione della perizia, che deve mantenere il suo carattere contraddittorio in tutte le operazioni necessarie alla riparazione dei veicoli. A tal fine, ciascuna perizia è costituita dalla valutazione dettagliata dell'intervento e del tempo richiesto per ciascuna operazione di riparazione, firmata dal perito automobilistico e dall'autoriparatore. Nell'ipotesi in cui la perizia sia effettuata in presenza del solo proprietario del veicolo, la firma del verbale peritale non pregiudica il diritto dell'autoriparatore ad avere la perizia in contraddittorio. In tale caso il perito presenta la relazione peritale scritta all'autoriparatore designato dal proprietario del veicolo per avviare la discussione in contraddittorio.

 

L'articolo 4 delle pdl 2684 e 2733 modifica la procedura di risarcimento prevista dall’articolo 148 del CAP, in primo luogo eliminando il diritto dell'assicurato al risarcimento anche qualora ritenga di non procedere alla riparazione. Viene resa obbligatoria la facoltà dell’impresa di assicurazione di richiedere le informazioni relative all'incidente, disponendo che gli organi di polizia trasmettano tempestivamente le informazioni acquisite al fine di consentire il rispetto dei termini prescritti. L'impresa di assicurazione è inoltre obbligata a richiedere al danneggiato di integrare la richiesta, nel caso in cui questa sia priva degli elementi indispensabili per formulare un'offerta. Infine, si estende l'attività di ispezione anche nei confronti del veicolo del responsabile civile al fine di poter accertare la relazione causale e la compatibilità rispetto ai danni per i quali è stata presentata richiesta di risarcimento.

 


 

Articolo 10
(Trasparenza delle procedure di risarcimento)

 

 

L’articolo 10, inserendo il nuovo articolo 149-bis nel CAP, disciplina le modalità del risarcimento nei casi di cessione del credito (comma 1) e di sottoscrizione della clausola di risarcimento in forma specifica (comma 2).

In caso di cessione del credito, si prevede che la somma da corrispondere a titolo di rimborso sia versata solo a fronte di presentazione della fattura, direttamente all’impresa di autoriparazione.

Nel caso in cui l’assicurato abbia sottoscritto la clausola per il risarcimento in forma specifica, il danneggiato diverso dall’assicurato può comunque scegliere un’impresa di autoriparazione di propria fiducia. Anche in questo caso il risarcimento avviene mediante versamento diretto dei rimborsi all’impresa di autoriparazione, previa presentazione di fattura. Se il danneggiato diverso dall’assicurato non vuole far riparare il veicolo, il risarcimento è versato a lui direttamente, nei limiti di quanto preventivato dall’impresa convenzionata.

 

La sottoscrizione della clausola riguardante il risarcimento in forma specifica (nuovo articolo 132-ter), nel caso in cui il terzo danneggiato opti per il risarcimento in denaro, sembra limitare l'entità di quest'ultimo a quanto previsto dalle convenzioni con gli autoriparatori.

Occorrerebbe valutare la compatibilità di tale norma con il principio generale di responsabilità extracontrattuale vigente nell’ordinamento giuridico (articolo 2043 del codice civile).

 

L’articolo 142-septies introdotto dalle pdl 2684 e 2733 prevede che la documentazione fiscale rilasciata dall’autoriparatore riporti in modo analitico il contenuto degli interventi effettuati dall'impresa di autoriparazione.

 

Nel caso in cui abbia sottoscritto la clausola per il risarcimento in forma specifica, l’assicurato mantiene comunque il diritto al risarcimento per equivalente in tutti i casi in cui i costi di riparazione siano superiori al valore di mercato del bene: in tali casi, la somma da corrispondere deve essere equivalente al valore di mercato, incrementato delle eventuali spese di demolizione e di immatricolazione di un altro veicolo (comma 2).

Si segnala che il contenuto del nuovo articolo 149-bis del CAP riprende sostanzialmente quanto era già stato previsto nell’articolo 8 del decreto-legge n 145 del 2013, soppresso nel corso dell’esame parlamentare del ddl di conversione.

Peraltro, nella riformulazione del citato articolo 8 da parte dell’emendamento presentato dai relatori nel corso dell’esame parlamentare alla Camera del D.L. n. 145 del 2013, si prevedeva che nel caso in cui il terzo danneggiato diverso dall’assicurato avesse rifiutato il risarcimento presso l’impresa convenzionata, il risarcimento non avrebbe potuto superare i costi standard per lavori a regola d’arte, come determinati per tipologia di intervento dall'IVASS entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, previa consultazione delle associazioni rappresentative delle imprese di assicurazione e delle imprese di autoriparazione. Tali costi standard per lavori a regola d'arte sarebbero stati rivisti con cadenza biennale.

 

L'articolo 142-septies, introdotto dall’articolo 1 delle pdl 2684 e 2733, prevede il diritto del danneggiato di conseguire il risarcimento in forma specifica da parte dell'impresa di assicurazione la quale provvede al risarcimento mediante pagamento dell'indennità dovuta, necessaria per la riparazione del veicolo danneggiato.

L’articolo 142-octies stabilisce che le clausole contrattuali che prevedono la facoltà da parte dell'impresa di assicurazione di provvedere al risarcimento in forma specifica mediante apposite convenzioni con imprese di autoriparazione, a fronte di una riduzione del premio relativo alla garanzia di responsabilità civile, non si considerano vessatorie a condizione che siano state oggetto di trattativa individuale. Resta ferma la facoltà dell'assicurato di avvalersi di imprese di autoriparazione non convenzionate di propria fiducia.

In ogni caso le clausole previste nelle convenzioni fra imprese di assicurazione e imprese di autoriparazione non possono prevedere condizioni restrittive che risultino difformi rispetto alle disposizioni della contrattazione collettiva e della regolamentazione contrattuale di settore, né stabilire tempi di lavorazione tali da rendere ingiustificatamente onerosa la conformità delle riparazioni alle prescrizioni tecniche fornite dai fabbricanti. Risultano precluse limitazioni che possano aggravare le condizioni a carico delle imprese di autoriparazione in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela dell'ambiente, nonché le ulteriori condizioni che non risultino compatibili con gli elementi e con i parametri definiti dagli studi di settore.

L’articolo 142-novies garantisce il diritto del danneggiato all'integrale risarcimento dei danni subiti a seguito di incidente, compresi gli oneri e i costi conseguenti relativi al soccorso stradale, al fermo tecnico del veicolo, al noleggio di veicoli sostitutivi, all'assistenza tecnica, peritale e legale in sede stragiudiziale, nonché all'eventuale demolizione e reimmatricolazione del veicolo. Conseguentemente, l’articolo 2 delle pdl 2684 e 2733 abroga le disposizioni vigenti che regolano la procedura di risarcimento diretto (articoli 145, comma 2, 149 e 150), aggiornando i riferimenti interni al Codice delle assicurazioni. La sola pdl 2684 modifica anche l’articolo 242 del CAP.

 


 

Articolo 11
(Allineamento della durata delle assicurazioni a copertura
dei rischi accessori alla durata dell’assicurazione
a copertura del rischio principale)

 

 

L’articolo 11, inserendo il comma 1-bis all’articolo 170-bis del CAP, estende il principio della durata annuale del contratto RC Auto e del divieto di rinnovo tacito, a richiesta dell’assicurato, anche ai contratti stipulati per i rischi accessori (ad es. incendio e furto), nel caso in cui la polizza accessoria sia stata stipulata in abbinamento a quella della RC Auto (con lo stesso contratto o con un contratto stipulato contestualmente).

L’articolo 170-bis del CAP, inserito dall’articolo 22 del decreto-legge n. 179 del 2012, prevede che il contratto di assicurazione obbligatoria RC Auto (responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) abbia durata annuale o, su richiesta dell’assicurato, di anno più frazione; la norma, inoltre, vieta il rinnovo tacito, in deroga all'articolo 1899, primo e secondo comma, del codice civile (in tema di durata dell’assicurazione).

L'impresa di assicurazione è tenuta ad avvisare il contraente della scadenza del contratto con preavviso di almeno trenta giorni. Inoltre la garanzia prestata con il contratto scaduto deve essere mantenuta operante fino a non oltre il quindicesimo giorno successivo alla scadenza del contratto, fino all'effetto della nuova polizza.

 

Con la modifica in esame si dispone l’allineamento della durata delle assicurazioni per i rischi accessori alla polizza per l’assicurazione RC Auto principale, permettendo la risoluzione a richiesta dell’assicurato. Tale meccanismo non si applica nei casi in cui a fornire le polizze accessorie sia un soggetto diverso dalla società di assicurazione che emette la polizza per l’assicurazione RC Auto (ad es. polizze stipulate con le case costruttrici), ovvero nel caso in cui il contratto accessorio sia stipulato in un momento diverso da quello per la RC Auto e non sia ad esso collegato.

 

Si segnala che la formulazione originaria dell’articolo 22 del decreto-legge n. 179 del 2012 prevedeva una disposizione analoga a quella in esame, disposizione soppressa nel corso dell’esame parlamentare del ddl di conversione.

 

Analoga disposizione è contenuta all’articolo 1, comma 1, lettera h) della pdl 2437.

 


 

Articolo 12
(Ultrattività della copertura per la responsabilità civile
derivante da attività professionale)

 

 

L’articolo 12, modificando l’articolo 3, comma 5, del D.L. n. 138 del 2011, prevede che nelle condizioni generali delle polizze assicurative per la responsabilità civile professionale sia inserita l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura.

In altri termini, tra le polizze per assicurazione professionale, fatta salva la libertà contrattuale delle parti, devono esserci anche quelle che non contemplano clausole che limitano la prestazione assicurativa ai sinistri denunciati nel periodo di validità del contratto. Le compagnie devono, invece, offrire prodotti che prevedano una copertura assicurativa per richieste di risarcimento presentate entro i dieci anni dalla scadenza della polizza, riferite a “errori” del professionista accaduti nel periodo di vigenza della stessa.

 

Il riferimento è alle cosiddette clausole “claims made(“a richiesta fatta”), sulla cui legittimità si è recentemente espressa la Corte di Cassazione. Tali clausole, in deroga a quanto previsto dall’articolo 1917 c.c. (secondo il quale l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta in contratto), considerano che il sinistro si è verificato non nel momento in cui il fatto illecito si è consumato (regime c.d. loss occurrence), ma quando il danneggiato presenta richiesta di risarcimento. In sostanza l’alea sottostante al contratto non riguarda il verificarsi del fatto illecito (l’errore colpevole che da luogo alla responsabilità civile e che può essersi verificato in un momento precedente al tempo dell’assicurazione), bensì l’evento della richiesta del risarcimento.

Le polizze che contengono la clausola claims made, da un lato tutelano l’assicurato anche relativamente a fatti accaduti prima della stipula del contratto, ma denunciati durante la sua vigenza; dall’altro lato lasciano scoperto il periodo successivo alla scadenza della polizza, anche se i fatti che danno luogo alla responsabilità civile sono accaduti nel periodo di vigenza della stessa.

La Cassazione con la sentenza n. 3622 del 2014 ha affermato che la clausola claim made prevede il possibile sfasamento fra prestazione dell'assicuratore (obbligo di indennizzo in relazione all'alea del verificarsi di determinati eventi) e controprestazione dell'assicurato (pagamento del premio), nel senso che possono risultare coperti da assicurazione comportamenti dell'assicurato anteriori alla data della conclusione del contratto, qualora la domanda di risarcimento del danno sia per la prima volta proposta dopo tale data, come nel caso in esame; e possono risultare viceversa sforniti di garanzia comportamenti tenuti dall'assicurato nel corso della piena validità ed efficacia della polizza, qualora la domanda di risarcimento dei danni sia proposta successivamente alla cessazione degli effetti del contratto.

Con riferimento al caso di specie (copertura per comportamenti anteriori alla data di conclusione del contratto) la Corte di appello ha ritenuto inefficace la clausola sulla base del presupposto che l'alea è elemento essenziale del contratto di assicurazione, la cui mancanza determina la nullità del contratto medesimo. In realtà nel caso in esame un'alea non concerneva i comportamenti passati nella loro materialità, ma la consapevolezza da parte dell'assicurato del loro carattere colposo e della loro idoneità ad arrecare danno a terzi. In secondo luogo, non è detto che qualunque comportamento colposo induca il danneggiato a proporre domanda di risarcimento dei danni.

In relazione a fattispecie diverse da quella in oggetto (in cui la clausola claim made è stata invocata per escludere la copertura assicurativa, pur essendosi il sinistro realizzato nel pieno vigore del contratto di assicurazione, in quanto la domanda risarcitoria è stata per la prima volta proposta dopo lo scioglimento del contratto medesimo) la clausola potrebbe effettivamente porre problemi di validità, venendo a mancare, in danno dell'assicurato, il rapporto di corrispettività fra il pagamento del premio e il diritto all'indennizzo, per il solo fatto che la domanda risarcitoria viene proposta dopo lo scioglimento del contratto (come frequentemente avviene - ben più che nel caso opposto e qui considerato - in tema di responsabilità professionale).

Si ricorda che l’articolo 3, comma 5, lettera e), del decreto-legge n. 138 del 2011 ha prescritto l’obbligo per i professionisti di stipulare un’assicurazione per la responsabilità civile per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti.

 

Si evidenzia che la modifica in esame dà attuazione a quanto auspicato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella segnalazione inviata il 4 luglio 2014 al Parlamento e al Governo per la predisposizione del disegno di legge in esame.

L’Antitrust ha infatti evidenziato che a fronte dell’obbligatorietà della copertura assicurativa dal lato della domanda (legge 14 settembre 2011, n. 148), dal lato dell’offerta si assiste al diffuso ricorso, da parte delle compagnie assicurative, a contratti contenenti clausole che limitano la prestazione assicurativa soltanto a quei sinistri denunciati nel corso del periodo di validità contrattuale, le c.d. clausole claims made. In particolare, i contratti offerti dalle compagnie contengono soprattutto clausole claims made “spurie” (ovvero senza un periodo di retroattività) che fanno registrare un vuoto nel periodo di copertura assicurativa del professionista in caso di cambiamento della compagnia. L’effetto è che, al fine di colmare questa mancanza di copertura, al professionista rimangono due opzioni: i) restare assicurato sempre con la stessa compagnia, ii) sostenere costi aggiuntivi acquistando anche i servizi assicurativi per i c.d. periodi di retroattività e/o postuma. Peraltro, anche nel caso di polizze claims made “pure”, vale a dire con un periodo di retroattività illimitato, il professionista che vuole essere garantito, anche dopo la cessazione della propria attività, deve comunque avvalersi dei servizi aggiunti c.d. di postuma.

L’Antitrust ha sottolineato infine che risulta, attualmente, assente dal mercato nazionale l’offerta di polizze che garantiscano la prestazione assicurativa tipizzata dall’articolo 1917 c.c. in base alla quale il professionista è comunque assicurato dai rischi di fatti illeciti occorsi nel periodo in cui era vigente la polizza, indipendentemente dal momento in cui il sinistro viene denunciato.


 

Articolo 13
(Interventi di coordinamento in materia assicurativa)

 

 

L’articolo 13 introduce una serie di interventi di coordinamento in materia assicurativa e ulteriori modifiche al CAP.

 

Il comma 1 abroga le norme (commi 3 e 4 dell’articolo 10-bis del D.L. n. 78 del 2010) che prevedono rispettivamente:

§  la trasmissione da parte di commissioni regionali al MISE e all’IVASS, ogni tre mesi, dei dati relativi ai falsi attestati di invalidità conseguenti ad incidenti stradali;

§  la relazione annuale da parte del MISE al Parlamento sull’attuazione da parte delle società assicuratrici della riduzione dei premi RC Auto a seguito dei risultati conseguiti con l’applicazione delle disposizioni di contrasto ai falsi attestati di invalidità conseguenti ad incidenti stradali.

Si ricorda, peraltro, che l’articolo 30 del decreto-legge n. 1 del 2012 ha introdotto l'obbligo per le imprese operanti nel ramo RC Auto di trasmettere all'IVASS una relazione annuale nella quale devono essere indicati: il numero dei sinistri a rischio di frodi; il numero delle denunce presentate all'autorità giudiziaria; l'esito dei conseguenti procedimenti penali; le misure organizzative interne adottate per contrastare i fenomeni fraudolenti.

Sulla base della relazione l'IVASS esercita i suoi poteri di vigilanza al fine di assicurare l'adeguatezza dell'organizzazione aziendale e dei sistemi di liquidazione dei sinistri rispetto all'obiettivo di contrastare le frodi nel settore. Il mancato invio della relazione è sanzionato dall'IVASS con un minimo di 10.000 ed un massimo di 50.000 euro. Le imprese sono inoltre tenute a indicare in bilancio e a pubblicare sui propri siti internet una stima circa la riduzione degli oneri per i sinistri conseguente alla attività di controllo e repressione delle frodi autonomamente svolta. Le imprese di assicurazione devono inoltre rendere pubblica una stima circa la riduzione degli oneri per i sinistri derivante dall'accertamento delle frodi, conseguente all'attività di controllo e repressione delle frodi autonomamente svolta.

Si ricorda, inoltre, che nella riformulazione dell’articolo 8 da parte dell’emendamento presentato dai relatori nel corso dell’esame parlamentare alla Camera del D.L. n. 145 del 2013 (articolo soppresso dalla legge di conversione) si prevedeva quanto segue: l'IVASS effettua un monitoraggio dell'evoluzione dei costi per il risarcimento dei sinistri e dei premi delle polizze RC Auto distinti per tipologie omogenee di assicurati in relazione ai principali profili di rischio e per aree territoriali. Alla formazione della banca dati per tale monitoraggio collaborano l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, il Ministero dello sviluppo economico e l'ISTAT. I risultati del monitoraggio sono raccolti in un rapporto contenente, oltre alla descrizione dei dati, una valutazione in merito alla effettiva riduzione dei premi assicurativi derivante dall'applicazione delle tabelle. Il rapporto è trasmesso semestralmente alle Camere. L'Antitrust qualora accerti, anche a seguito del predetto monitoraggio o su segnalazione dell'IVASS, il mancato adeguamento delle tariffe alle riduzioni di costo consentite dall'applicazione del presente articolo e delle ulteriori misure da esso previste, applica alle società assicuratrici interessate ed alle loro società controllanti una sanzione pecuniaria fino al 10% del loro fatturato per l'anno precedente relativo al ramo RC Auto secondo l'entità percentuale degli scostamenti rilevati. I relativi importi sono devoluti per la metà al fondo di garanzia vittime della strada e per la metà a misure di informazione e prevenzione per la sicurezza stradale con particolare riguardo ai comportamenti alla guida e all'uso delle cinture di sicurezza e degli altri dispositivi di protezione, secondo le modalità fissate con decreto ministeriale.

 

Il comma 2, lett. a), introducendo una nuova lettera b-bis) al comma 1 dell’articolo 128 del CAP, eleva i massimali minimi di garanzia per i veicoli a motore adibiti al trasporto di persone aventi più di otto posti a sedere, oltre il conducente (tra cui autobus e filoveicoli), ampliando le coperture a garanzia dei danneggiati: in particolare, i contratti devono essere stipulati per importi non inferiori a 10 milioni di euro per sinistro per i danni alla persona, indipendentemente dal numero delle vittime, e a 1 milione di euro per sinistro per i danni alle cose, indipendentemente dal numero dei danneggiati.

La norma entra in vigore dal 1° gennaio 2016 e gli importi sono raddoppiati da 1° gennaio 2017 (comma 3).

La norma vigente non prevede un massimale specifico per i veicoli destinati al trasporto di persone con più di otto posti a sedere, per i quali si applica l’attuale valore, generalizzato per tutti i veicoli, di 5 milioni di euro per i danni a persona e di 1 milione di euro per i danni alle cose.

L’articolo 8 del decreto-legge n. 145 del 2013 prevedeva una norma analoga, soppressa nel corso dell’esame parlamentare del ddl di conversione.

 

Analoga disposizione è contenuta all’articolo 1 della pdl 2437, che prevede inoltre il raddoppio degli importi a decorrere dall’anno successivo a quello dell’entrata in vigore della disposizione.

 

Il comma 2, lett. b), modificando il comma 2 dell’articolo 135 del CAP, estende a tutte le imprese operanti in Italia, comprese quelle in regime di stabilimento e quelle in regime di libera prestazione di servizi, l’obbligo di comunicare all’IVASS i dati riguardanti i sinistri dei propri assicurati al fine di implementare le banche dati “sinistri”, “anagrafe testimoni” e “anagrafe danneggiati”. Sono espressamente inclusi anche i sinistri gestiti in qualità di impresa designata, causati da veicoli non identificati, non coperti da assicurazione e negli altri casi previsti, liquidati attraverso il Fondo di garanzia per le vittime della strada (articolo 286 del CAP).

L’articolo 135, comma 2, vigente prevede, invece, che i dati relativi alle imprese di assicurazione che operano nel territorio della Repubblica in regime di libera prestazione dei servizi o in regime di stabilimento sono richiesti dall'IVASS alle rispettive autorità di vigilanza degli Stati membri interessati.

Si ricorda che l’assicurazione RC Auto in Italia può essere rilasciata da imprese italiane autorizzate o da imprese estere aventi sede legale in uno dei Paesi membri della EU o dello Spazio Economico Europeo (comprendente l'Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia che non fanno parte della UE), ammesse ad operare in Italia ed abilitate ad emettere polizze di responsabilità civile obbligatoria auto o natanti.

Le imprese possono scegliere di operare sia in regime di stabilimento, con l'apertura di una rappresentanza in Italia, sia in regime di libera prestazione di servizi (articoli 23 e 24 del CAP).

Qualora l'impresa estera operi in regime di libera prestazione di servizi, non avendo una sede stabile in Italia, la normativa prevede che la stessa nomini un rappresentante, che deve risiedere in Italia, incaricato della gestione dei sinistri e della liquidazione dei relativi risarcimenti, con il potere di rappresentare l'impresa in giudizio per quanto riguarda le controversie che dovessero insorgere in materia di risarcimento dei danni (articolo 25 del CAP). Le imprese estere, a differenza delle imprese italiane, non hanno l'obbligo di aderire alla Convenzione tra assicuratori per il risarcimento diretto - CARD. (articolo 150 del CAP).

 

Il comma 2, lett. c), modificando il comma 4 dell’articolo 285 del CAP, prevede che la misura del contributo che le imprese devono versare annualmente alla CONSAP, per il Fondo di garanzia per le vittime della strada, sia fissato annualmente con le modalità determinate con il regolamento ministeriale previsto dal comma 2 dello stesso articolo. Si chiarisce in tal modo che la misura del contributo non è fissata con il decreto ministeriale, ma con atto amministrativo sulla base delle modalità determinate dal decreto. Rimane invariato il limite massimo del contributo fissato nel quattro per cento del premio imponibile.

 

Il comma 2, lett. d), modificando l’articolo 287 del CAP, prevede che in caso di liquidazione mediante il Fondo di garanzia per le vittime della strada, il danneggiato debba chiedere il risarcimento del danno, a mezzo raccomandata, all'impresa designata, inviando solo una copia contestuale alla CONSAP. La norma vigente prevede, invece che la richiesta debba essere inoltrata anche alla CONSAP.

 

Il comma 2, lett. e), modificando il comma 4 dell’articolo 303 del CAP, prevede che la misura del contributo che le imprese devono versare annualmente alla CONSAP, per il Fondo di garanzia per le vittime della caccia, sia fissato annualmente con le modalità determinate con il regolamento ministeriale previsto dal comma 2 dello stesso articolo. Si chiarisce in tal modo che la misura del contributo non è fissata con il decreto ministeriale, ma con atto amministrativo sulla base delle modalità determinate dal decreto. Il limite massimo del contributo è elevato dal cinque al quindici per cento del premio imponibile.

La relazione illustrativa afferma al riguardo che l’attuale percentuale massima di contribuzione non è sufficiente a coprire le esigenze finanziarie del Fondo, che si trova pertanto a operare in una situazione di squilibrio strutturale e che ha registrato, già in fase di chiusura dell’esercizio 2007, un disavanzo di 695.000 euro circa, che risulta confermato e incrementato negli esercizi successivi. La stessa Corte dei conti ha annualmente evidenziato, a partire dal 2005, in sede di relazione al Parlamento sui risultati del controllo sulla gestione finanziaria della CONSAP Spa, l’esigenza di un intervento normativo per garantire l’equilibrio strutturale del Fondo. L’aumento del contributo, che almeno per qualche anno dovrebbe essere portato fino alla misura del 15 per cento del premio imponibile, è stato già in passato valutato dal Comitato di gestione del Fondo come idoneo a riportare il Fondo stesso in situazione di equilibrio e determinerebbe comunque aumenti estremamente contenuti in valore assoluto dei premi assicurativi (che il predetto Comitato ha stimato in un aggravio di circa1 o 2 euro l’anno per ogni cacciatore assicurato).

 

Il comma 2, lett. f), sostituendo l’articolo 316 del CAP, prevede un’unica sanzione amministrativa (da 5.000 a 50.000 euro) in caso di violazione da parte delle imprese assicuratrici degli obblighi di comunicazione all’IVASS dei dati riguardanti i sinistri dei propri assicurati al fine di implementare le banche dati “sinistri”, “anagrafe testimoni” e “anagrafe danneggiati” (previsti dall’articolo 135, comma 2, del CAP).

A differenza della disposizione vigente che differenzia il comportamento dell’impresa che omette completamente di inviare i dati (per il quale è stabilita una sanzione da 1.000 a 10.000 euro), da quello dell’invio in forma incompleta o errata (in tal caso è stabilità una pena dimezzata), con le modifiche in esame si prevede una sanzione amministrativa pecuniaria unica e più elevata (da 5.000 a 50.000 euro) per tutti i casi di omissione, incompletezza, erroneità o tardività delle comunicazioni obbligatorie. Tale omissione è accertata semestralmente e contestata con unico atto da notificare entro il termine di centoventi giorni (centottanta per i soggetti residenti all'estero) decorrente dal sessantesimo giorno successivo alla scadenza del semestre di riferimento.

La nuova formulazione dell’articolo 316 non considera più punibile con la sanzione amministrativa in esame la violazione da parte delle imprese assicuratrici degli obblighi di comunicazione al Centro di informazione italiano previsti dall’articolo 154, commi 4 e 5.

La gestione del Centro di informazione italiano è stata trasferita dall’Isvap alla Consap a decorrere dal 1° gennaio 2013, data di subentro dell'IVASS delle funzioni precedentemente attribuite a Isvap (articolo 13, comma 36 del D.L. n. 95 del 2012).

Il Centro di informazione italiano ha il compito di fornire informazioni agli aventi diritto al risarcimento a seguito di un sinistro avvenuto in uno Stato membro diverso da quello di residenza causato dalla circolazione dei veicoli a motore immatricolati e assicurati in uno degli Stati dello Spazio Economico Europeo. In particolare il Centro di Informazione: detiene le informazioni relative alla copertura assicurativa dei veicoli stazionanti abitualmente in Italia; detiene altresì le informazioni relative ai mandatari per la gestione e la liquidazione dei sinistri RC Auto nominati dalle imprese Italiane negli altri Stati dello Spazio Economico Europeo; fornisce informazioni ai danneggiati sull'impresa di assicurazione del veicolo estero responsabile e del suo mandatario in Italia, nel caso di sinistri accaduti all'estero; fornisce informazioni ai danneggiati sulla copertura assicurativa de veicolo italiano che ha causato il sinistro.

 

Il comma 3, come sopra riportato, stabilisce la decorrenza dal 1° gennaio 2016 dell’aumento dei massimali minimi di garanzia per i veicoli a motore adibiti al trasporto di persone aventi più di otto posti a sedere, oltre il conducente, stabiliti dall’articolo 128 del CAP, come modificato dal comma 1 dell’articolo in esame. Si prevede, inoltre, che gli importi indicati sono raddoppiati a decorrere dal 1° gennaio 2017.

 

Il comma 4 apporta modifiche al decreto-legge n. 1 del 2012.

In particolare la lettera a) del comma 4, modificando il comma 1-bis dell’articolo 29, incide sul sistema del risarcimento diretto. Si prevede che l’IVASS, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della disposizione in esame, proceda alla revisione del criterio in base al quale sono calcolati i valori dei costi e delle eventuali franchigie per la compensazione tra le compagnie, qualora tale criterio non abbia garantito un effettivo recupero di efficienza produttiva delle compagnie, attraverso la progressiva riduzione dei costi dei rimborsi e l’individuazione delle frodi.

Si ricorda che l’articolo 29 del decreto-legge n. 1 del 2012 ha previsto che nell'ambito del sistema di risarcimento diretto, disciplinato dall'articolo 150 del CAP, i valori dei costi e delle eventuali franchigie sulla base dei quali vengono definite le compensazioni tra compagnie siano calcolati annualmente secondo un criterio che incentivi l'efficienza produttiva delle compagnie ed in particolare il controllo dei costi dei rimborsi e l'individuazione delle frodi. All’IVASS è attribuito il compito di definire tale criterio e di stabilire annualmente il limite alle compensazioni dovute (comma 1-bis). In tal modo, nella regolazione contabile dei rapporti economici per la gestione del risarcimento diretto, sono previste delle soglie ai rimborsi ricevuti dalla compagnia del danneggiato modulati in funzione degli obiettivi di efficienza che devono essere raggiunti dalle compagnie.

L’articolo 150 del D.Lgs. n. 209 del 2005 prevede che con D.P.R., su proposta del Ministro delle attività produttive, sono stabiliti, tra l’altro, i principi per la cooperazione tra le imprese di assicurazione, ivi compresi i benefici derivanti agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto. In attuazione di ciò è stato emanato il D.P.R. n. 254 del 2006, il cui articolo 13 prevede che le imprese di assicurazione stipulano fra loro una convenzione ai fini della regolazione dei rapporti organizzativi ed economici per la gestione del risarcimento diretto. A seguito dell’intervento legislativo che ha introdotto il sistema del risarcimento diretto è stata sottoscritta la Convenzione tra Assicuratori per il Risarcimento Diretto (CARD). Da un’indagine conoscitiva dell’Antitrust emerge che il sistema CARD ha prodotto importanti benefici in termini di qualità delle prestazioni delle imprese associate, ad esempio, ai tempi di liquidazione dei sinistri. Risultano tuttavia fenomeni opportunistici da parte delle compagnie che sembrano aver adeguato il proprio portafoglio clienti e le aree di operatività nel tentativo di “sfruttare” il meccanismo di compensazione sottostante il sistema CARD, catturando il differenziale positivo tra forfait ricevuto e risarcimento effettivamente corrisposto. Ciò va ad aggiungersi all’assenza di adeguati incentivi al controllo dei costi e all’inadeguatezza delle procedure di contrasto dei fenomeni fraudolenti adottate dalle compagnie, che spesso danno luogo ad aumenti dei premi. Al fine di migliorare il sistema di funzionamento del risarcimento diretto, è stato suggerito un intervento di affinamento del funzionamento del sistema CARD finalizzato a introdurre adeguati incentivi al controllo dei costi dei risarcimenti tramite recuperi di efficienza che si è realizzato con le previsioni dell’articolo 29 del D.L. n. 1 del 2012.

 

Il comma 4, lett. b), abroga il comma 3-quater dell’articolo 32 del decreto-legge n. 1 del 2012, il quale prevede che il danno alla persona per lesioni di lieve entità può essere risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione.

Si ricorda che il comma 3-quater in esame è stato introdotto nel corso della conversione del decreto-legge n. 1 del 2012 contestualmente ad un’altra norma dal contenuto in parte identico. Infatti il comma 3-ter dello stesso articolo 32, modificando l’articolo 139 del CAP, ha disposto che le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente.

Con l’abrogazione del comma 3-quater si chiarisce, pertanto, che il danno alla persona per lesioni di lieve entità può essere risarcito solo a seguito di accertamento clinico strumentale obiettivo, rimanendo escluse le diagnosi di tipo visivo.

Al riguardo si evidenzia che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella segnalazione inviata il 4 luglio 2014 al Parlamento e al Governo per la predisposizione del disegno di legge in esame, ha ritenuto auspicabile eliminare i residui elementi di incertezza in merito alle modalità di accertamento del risarcimento dei danni da lesioni di lieve entità (c.d. micropermanenti), sopprimendo (all’articolo 32, comma 3-quater) il riferimento al mero riscontro visivo come forma di accertamento alternativa alla verifica strumentale.

 

L’articolo 1, commi 2 e 3 della pdl 2437, al fine di ridurre i costi di gestione in esito ai sinistri con lesioni, prevede che le imprese possono includere clausole contrattuali facoltative per l'assicurato, a fronte di significativi sconti, che prevedono prestazioni di servizi medico-sanitari resi da professionisti individuati e remunerati dalle imprese stesse. Ai sensi del comma 4, il risarcimento del danno alla persona per lesioni di lieve entità è accordato a seguito di riscontro medico legale da cui risulti solo strumentalmente accertata l'esistenza della lesione.

 

Sul punto, l’articolo 6 della pdl 2469 stabilisce invece che il riscontro possa essere effettuato esclusivamente ad opera di uno specialista, che accerti clinicamente l’esistenza della lesione. Si prevede inoltre l’incompatibilità del medico curante con lo svolgimento di funzioni medico legali.

 

Il comma 4, lett. c), abroga i commi 1 e 2 dell’articolo 34 del decreto-legge n. 1 del 2012, i quali prevedono l’obbligo per gli intermediari che distribuiscono polizze RC Auto di informare il cliente, in modo corretto, trasparente ed esaustivo, sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre diverse compagnie assicurative non appartenenti a medesimi gruppi. Il contratto stipulato senza la dichiarazione del cliente di aver ricevuto tali informazioni è affetto da nullità rilevabile solo a favore dell'assicurato.

Si ricorda che l’articolo 3 del disegno di legge in esame ha introdotto nel CAP il nuovo articolo 132-bis il quale prescrive l’obbligo per gli intermediari, prima della sottoscrizione di un contratto RC Auto, di informare il consumatore in modo corretto, trasparente ed esaustivo sui premi offerti da tutte le imprese di cui sono mandatari relativamente al contratto di base (comma 1). Il comma 2 dell’articolo 132-bis prevede che gli intermediari forniscono i premi offerti dalle imprese mediante collegamento internet al preventivatore consultabile sul sito internet dell’IVASS e del Ministero dello sviluppo economico, senza obbligo di rilascio di supporti cartacei. Il comma 3 demanda all’IVASS il compito di adottare le disposizioni attuative in modo da garantire accesso e risposta on-line, sia ai consumatori che agli intermediari, esclusivamente per i premi applicati dalle imprese per il contratto base relativo ad autovetture e motoveicoli. Il comma 4 dispone la nullità rilevabile solo a favore dell’assicurato del contratto stipulato senza la dichiarazione del cliente di aver ricevuto le informazioni di cui al comma 1.

Si ricorda che la disciplina dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile auto è stata modificata con riguardo ai profili in commento dal decreto-legge, 4 luglio 2006, n. 223 (c.d. primo pacchetto liberalizzazioni). Nel dettaglio, è stato vietato (articolo 8, commi 1-2, decreto-legge n. 223 del 2006) alle compagnie di assicurazione e ai loro agenti di vendita operanti nel settore RC Auto di stipulare nuove clausole contrattuali di distribuzione esclusiva e di imposizione di prezzi minimi, ovvero di sconti massimi, praticabili nei riguardi dei consumatori contraenti, a pena di nullità - per contrarietà a norme imperative - delle clausole contrattuali stipulate in contravvenzione a tale divieto. L'ambito di applicazione è stato esteso non solo agli agenti assicurativi, ma anche ad ogni altro “distributore di servizi assicurativi" relativi al ramo responsabilità civile auto.

Ai fini dell’applicazione della normativa antitrust, le norme (articolo 8, comma 3) hanno classificato come rientranti nella categoria delle intese restrittive della libertà di concorrenza (come disciplinata dall'articolo 2 della legge n. 287 del 1990) l’imposizione di un mandato di distribuzione esclusiva o del rispetto di prezzi minimi o di sconti massimi, nell’adempimento dei contratti di assicurazione RC Auto.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) ha segnalato, tra le proposte per favorire la concorrenza nel settore, la necessità di favorire la mobilità della clientela. Vista la complessità dei servizi assicurativi, è stato suggerito di sostenere lo sviluppo sia di broker, sia di agenti plurimandatari, vale a dire di figure professionali, sostanzialmente indipendenti dalle compagnie, la cui funzione - e il cui precipuo interesse - sarebbe proprio quella di consigliare gli utenti, i quali, secondo l’Autorità, non sarebbero in grado di selezionare da soli il prodotto per essi migliore. Al contrario, ad oggi si rileva una scarsa diffusione di agenti plurimandatari. Secondo alcune stime di operatori del settore, a fronte, del 7,8% di agenti plurimandatari nel 2007, si sarebbe passati al 13,4% nel 2008 e al 17,6% nel 2009. Inoltre, risulterebbe che il plurimandato non si sarebbe diffuso tra le compagnie di maggiori dimensioni, le quali hanno continuato ad operare con reti di agenti di fatto monomandatari, non concedendo mandati ad agenti plurimandatari.

Da ultimo con il provvedimento n. 24935/2014 l’Antitrust ha chiuso un’istruttoria avviata (I702) per verificare eventuali comportamenti anticoncorrenziali nel ramo danni, finalizzati a ostacolare l’esercizio del plurimandato da parte degli agenti assicurativi. In particolare, è stato deciso di accettare, rendendoli vincolanti, gli impegni presentati dalle principali compagnie assicurative, finalizzati proprio a rimuovere le clausole contrattuali che rendevano difficile per gli agenti la gestione di più mandati. In particolare tali clausole riguardavano: le disposizioni relative all’esclusiva nei contratti agenziali e all’informativa in caso di assunzione di altri mandati; le disposizioni relative all’operatività degli agenti; il sistema delle provvigioni.

 

Il comma 5, modificando l’articolo 21 del decreto-legge n. 179 del 2012, estende l’ambito di operatività dell’archivio informatico integrato dell’IVASS, prevedendo che esso sia connesso anche con il casellario giudiziale istituito presso il Ministero della giustizia (lett. a)).

Si prevede, inoltre, che il decreto ministeriale attuativo della norma disciplini anche la possibilità di consultazione dell’archivio da parte delle imprese di assicurazione nella fase di assunzione del rischio, al fine di accertare la veridicità delle informazioni fornite dal contraente (lett. b)).

L’articolo 132 del CAP, comma 1-ter, come modificato dall’articolo 2 del disegno di legge in esame, dispone che la verifica della correttezza dei dati risultanti dall’attestato di rischio, nonché dell’identità del contraente e dell’intestatario del veicolo, se persona diversa, deve essere effettuata anche mediante consultazione delle banche dati di settore e dell’archivio antifrode istituito presso l’IVASS. Qualora dalla consultazione risulti che le informazioni fornite dal contraente non sono corrette o veritiere, le imprese di assicurazione non sono tenute ad accettare le proposte loro presentate.

 

Si ricorda che l’articolo 21 del decreto-legge n. 179 del 2012 ha previsto l’istituzione presso l’IVASS di un archivio informatico integrato connesso con una serie di banche dati esistenti, con la finalità di favorire la prevenzione e il contrasto delle frodi nel settore RC Auto, per migliorare l’efficacia dei sistemi di liquidazione dei sinistri e per individuare i fenomeni fraudolenti. In particolare si prevede che esso sia connesso con:

§  la banca dati degli attestati di rischio (prevista dall'articolo 134 del D.L.gs. n. 209 del 2005, Codice delle Assicurazioni Private);

§  la banca dati sinistri e le banche dati anagrafe testimoni e anagrafe danneggiati (istituite dall'articolo 135 del medesimo CAP);

§  l'archivio nazionale dei veicoli e l'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida (istituiti dall'articolo 226 del codice della strada);

§  il Pubblico Registro Automobilistico, istituito presso l’ACI;

§  i dati a disposizione della CONSAP per la gestione del fondo di garanzia per le vittime della strada (di cui all'articolo 283 del CAP) e per la gestione della liquidazione dei danni a cura dell'impresa designata (di cui all'articolo 286 del CAP);

§  i dati a disposizione per i sinistri con veicoli immatricolati in Stati esteri gestiti dall'Ufficio centrale italiano (di cui all’articolo 126 del CAP);

§  ulteriori archivi e banche dati pubbliche e private, individuate con decreto interministeriale.

Con decreto (ancora non emanato) del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti i Ministeri competenti, l'IVASS e il Garante per la protezione dei dati personali, devono essere stabilite le modalità di connessione delle banche dati descritte, i termini, le modalità e le condizioni per la gestione e conservazione dell'archivio e per l'accesso al medesimo da parte delle pubbliche amministrazioni, dell'autorità giudiziaria, delle forze di polizia, delle imprese di assicurazione e di soggetti terzi, nonché gli obblighi di consultazione dell'archivio da parte delle imprese di assicurazione in fase di liquidazione dei sinistri. Il Garante per la protezione dei dati personali il 24 luglio 2014 ha espresso parere favorevole sullo schema di decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti recante il regolamento per l'istituzione e il funzionamento dell'archivio informatico integrato contro le frodi assicurative.

 

L’articolo 1, comma 8 della pdl 2437 attribuisce all’IVASS poteri di vigilanza e controllo, mentre i commi 9-11 introducono obblighi di pubblicazione per le imprese di assicurazione e le relative sanzioni in caso di inadempimento. Ai sensi del comma 12 i relativi introiti alimentano il Fondo di garanzia per le vittime della strada. I commi 13 e 14 modificano la disciplina del risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 2006.

 


 

Articolo 14
(Poteri dell’I.V.ASS. per l’applicazione delle norme introdotte)

 

 

L’articolo 14 attribuisce all’IVASS i poteri di vigilanza e di controllo sull’osservanza delle disposizioni introdotte dagli articoli da 1 a 13 del disegno di legge in esame, con speciale riguardo a quelle relative alla riduzione dei premi dei contratti di assicurazione e al rispetto degli obblighi di pubblicità e di comunicazione in fase di offerta contrattuale, previste dall’articolo 3.

L’IVASS deve dare conto dell’esito della propria attività di vigilanza e di controllo nell’ambito dell’annuale relazione al Parlamento e al Governo (prevista dall’articolo 13, comma 5, del decreto-legge n. 95 del 2012, che ha istituito l’IVASS).

 

Il comma 2 modifica l’articolo 328 del CAP al fine di includere anche le sanzioni previste dal nuovo articolo 145-bis del CAP (introdotto dall’articolo 8 del disegno di legge in esame) tra quelle destinate ad alimentare il Fondo di garanzia per le vittime della strada, gestito dalla CONSAP.

Si ricorda che il richiamato articolo 145-bis al comma 4 stabilisce che il mancato adeguamento, da parte dell’impresa di assicurazione o dell’operatore di telematica assicurativa, alle condizioni stabilite dal regolamento ministeriale al fine di assicurare l’interoperabilità e la portabilità delle scatole nere e dei meccanismi assimilati (previsto dell’articolo 32, comma 1-bis, del decreto-legge n. 1 del 2012 e non ancora emanato) comporta l’applicazione da parte dell’IVASS di una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 3.000 per ogni giorno di ritardo.

 

Il comma 3 prevede che l’IVASS, d’intesa con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, monitori le variazioni dei premi assicurativi offerti al consumatore nei ventiquattro mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge in esame.

 

Il comma 4 contiene una clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che le amministrazioni competenti provvedono all’attuazione delle disposizioni previste dall’articolo 2 all’articolo 15 nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

Analoga disposizione è contenuta all’articolo 1, comma 8, della pdl 2437, mentre l’articolo 2 attribuisce all’IVASS compiti di monitoraggio sull’evoluzione dei costi per il risarcimento dei sinistri e dei premi RC Auto. L'Autorità garante della concorrenza e del mercato qualora accerti il mancato adeguamento delle tariffe alle riduzioni di costo, applica alle imprese di assicurazione una sanzione pecuniaria fino al 10 per cento del loro fatturato. Le sanzioni sono devolute per la metà al Fondo di garanzia per le vittime della strada e per la metà a misure di informazione e di prevenzione in materia di sicurezza stradale.

 


 

Articolo 15
(Portabilità dei fondi pensione)

 

 

L’articolo 15 contiene disposizioni concernenti la portabilità dei fondi pensione.

In particolare, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa e nella relazione tecnica allegate, la norma, modificando alcune disposizioni del D.Lgs. 252/2005, ha lo scopo di chiarire che la mobilità delle posizioni individuali venga assicurata solo dalla legge, non potendosi prevedere restrizioni o condizionamenti “in sede di contrattazione collettiva, con particolare riferimento alla portabilità dei contributi pensionistici anche per la quota a carico del datore di lavoro e per la possibilità dei fondi negoziali di raccogliere sottoscrizioni anche tra i lavoratori appartenenti a categorie professionali diverse da quella di riferimento”.

 

In particolare:

§  aggiungendo il comma 3-bis all’articolo 3 del D.Lgs. 252/2005 si prevede la facoltà, per le fonti istitutive sia delle forme pensionistiche complementari che risultavano già istituite alla data del 15 novembre 1992 (di cui all’articolo 20 dello stesso D.Lgs. 252/2005) sia di quelle istituite successivamente, aventi soggettività giuridica e operanti secondo il principio della contribuzione definita, di raccogliere sottoscrizioni anche tra i lavoratori appartenenti a categorie professionali diverse da quella di riferimento, ai sensi dell'articolo 2, comma 1 dello stesso D.Lgs. 252/2005 (comma 1, lettera a));

L’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 252/2005 ha disposto che possono aderire alle forme pensionistiche complementari, in modo individuale o collettivo, i lavoratori dipendenti, sia privati sia pubblici; i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, anche organizzati per aree professionali e per territorio; i soci lavoratori di cooperative, anche unitamente ai lavoratori dipendenti dalle cooperative interessate; i soggetti destinatari del fondo per la mutualità delle “casalinghe”, di cui al D.Lgs. 565/1996, anche se non iscritti al fondo ivi previsto. Il successivo comma 2 ha stabilito che per i lavoratori subordinati, i soci lavoratori di cooperative e i destinatari del fondo mutualità “casalinghe” possono essere istituite esclusivamente forme pensionistiche complementari in regime di contribuzione definita, mentre per i lavoratori autonomi ed i professionisti possono essere istituite anche forme pensionistiche complementari in regime di prestazioni definite, volte ad assicurare una prestazione determinata con riferimento al livello del reddito ovvero a quello del trattamento pensionistico obbligatorio.

Il successivo articolo 3 individua le fonti istitutive in relazione alla tipologia dei soggetti destinatari delle forme di previdenza complementare.

In particolare, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite con contratti e accordi collettivi, anche aziendali (limitatamente, per questi ultimi, anche ai soli soggetti o lavoratori firmatari degli stessi) ovvero, in mancanza, accordi fra lavoratori, promossi da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro; accordi, anche interaziendali per gli appartenenti alla categoria dei quadri, promossi dalle organizzazioni sindacali nazionali rappresentative della categoria, membri del C.N.E.L.; con accordi fra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, promossi da loro sindacati o da associazioni di rilievo almeno regionale; con regolamenti aziendali o di enti (i cui rapporti di lavoro non siano disciplinati da contratti o accordi collettivi, anche aziendali); dalle regioni con legge regionale (nel rispetto della normativa nazionale specifica); con accordi tra soci lavoratori di cooperative e tra soggetti destinatari del fondo per la mutualità delle “casalinghe”; dagli enti previdenziali privatizzati; dalle società assicurative, società di gestione del risparmio (limitatamente ai fondi aperti) e dalle imprese assicurative, con riferimento alle forme pensionistiche complementari individuali. Inoltre, si precisa che per il personale “contrattualizzato” dipendente dalle pubbliche amministrazioni le forme pensionistiche complementari possano essere istituite mediante la contrattazione collettiva, mentre per il personale in regime di diritto pubblico i fondi pensione possano essere istituiti secondo i rispettivi ordinamenti ovvero, in via subordinata, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi dalle rispettive associazioni. Infine, si prevede che l’adesione alla previdenza complementare sia improntato ad un principio di libera scelta individuale.

§  sostituendo interamente il comma 4 dell’articolo 11 del D.Lgs. 252/2005 si interviene sulla procedura che permette di anticipare l’erogazione delle prestazioni pensionistiche, su richiesta dell’aderente, nel caso in cui esso perda il lavoro e si ritrovi inoccupato per un determinato periodo di tempo. Più specificamente, l’anticipo dell’erogazione delle prestazioni pensionistiche è consentito in caso di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 24 mesi (in luogo degli attuali 48) e con un anticipo massimo di 10 anni (in luogo degli attuali 5) rispetto ai requisiti per l'accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio di appartenenza (comma 1, lettera b));

L’articolo 11 del D.Lgs. 252/2005 contiene disposizioni in merito alle prestazioni delle forme pensionistiche complementari. In particolare, oltre a precisare che spetta alle forme pensionistiche complementari definire i requisiti e le modalità di accesso alle prestazioni, la norma dispone che il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, “fermo restando il possesso di almeno 5 anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari”.

Più specificamente, le prestazioni pensionistiche in regime di prestazione definita e contribuzione definita possono essere erogate in capitale, al valore attuale, fino ad un massimo del 50% del montante finale accumulato, e in rendita. Nel computo dell’importo complessivo erogabile in capitale sono detratte le somme erogate a titolo di anticipazione per le quali non si sia provveduto al reintegro.

Inoltre, le norme vigenti prevedono (vigente comma 4) la possibilità, da parte delle forme pensionistiche complementari, di anticipare le prestazioni, su richiesta dell’aderente, per un periodo massimo di 5 anni rispetto ai normali requisiti per l’accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio di appartenenza. Tale agevolazione opera a condizione che l’attività lavorativa cessi comportando uno stato di inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi.

La norma poi contiene disposizioni volte a regolamentare alcuni fattispecie specifiche (morte del titolare, possibilità di richiedere anticipazioni in relazione alla posizione individuale maturata, sottoposizione delle prestazioni pensionistiche in capitale e rendita e delle anticipazioni agli stessi limiti di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità in vigore per le pensioni a carico degli istituti di previdenza obbligatoria).

Per quanto attiene, infine, al regime tributario delle prestazioni pensionistiche complementari, si prevede l’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta sulle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di capitale o di rendita. La base imponibile è costituita dall’ammontare complessivo della prestazione, al netto dei redditi già assoggettati ad imposta. Per le prestazioni periodiche, inoltre, sono esclusi dalla base imponibile anche i redditi di capitale derivanti dai rendimenti dell’ammontare della posizione individuale maturata, che dà origine alle prestazioni pensionistiche in corso di erogazione (di cui alla lettera g-quinquies) del comma 1 dell’articolo 44 del TUIR), se determinabili.

§  sostituendo il comma 5 alcune disposizioni dell’articolo 14 - che regolamenta la permanenza nel fondo pensione e la cessazione dei requisiti di partecipazione - (comma 1, lettera c), n. 1) viene modificato il regime fiscale applicabile alle somme percepite nel caso di perdita dei requisiti di partecipazione al fondo.

La tassazione delle somme percepite a titolo di riscatto è diversa secondo la causa che determina il riscatto: ai sensi dell’articolo 14, comma 4, nei casi di riscatto della posizione individuale per cessazione dell’attività lavorativa o in caso di invalidità permanente, o in favore degli eredi o dei beneficiari in caso di morte dell’iscritto, sulle somme percepite è operata una ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15 per cento, ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali, sul medesimo imponibile indicato (ossia sull’ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati a imposta e a quella derivante dai rendimenti, se determinabili). Se le cause del riscatto sono diverse dalle quelle in precedenza richiamate si applica una ritenuta a titolo d’imposta, nella misura del 23%, sul medesimo imponibile indicato (ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati a imposta e a quella derivante dai rendimenti, se determinabili).

Per effetto delle norme in esame si chiarisce che in caso di perdita dei requisiti di partecipazione al fondo per cause diverse da quelle di cui ai già illustrati commi 2 e 3, il riscatto della posizione sia possibile nelle forme collettive così come in quelle individuali, e che su tali somme si applica la ritenuta del 23 per cento.

§  si stabilisce che il diritto del lavoratore al versamento alla forma pensionistica da lui prescelta del T.F.R. maturando e dell'eventuale contributo a carico del datore di lavoro non è più sottoposto ai limiti e alle modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali (comma 1, lettera c), numero 2).

L'articolo 14 del D.Lgs. 252/2005 regolamenta la permanenza nel fondo pensione e la cessazione dei requisiti di partecipazione, rinviando agli statuti ed ai regolamenti dei fondi per le regole di dettaglio relative alle modalità di esercizio inerenti la partecipazione, la portabilità delle posizioni individuali e le eventualità di riscatto delle medesime. Al tempo stesso, si individuano gli obblighi a cui sono tenuti i fondi pensione (mediante l’inserimento di specifiche disposizioni nel proprio statuto e regolamento) nel caso in cui vengano meno i requisiti di partecipazione al fondo pensione, nonché le procedure da seguire nel caso in cui il soggetto aderente deceda prima della maturazione del diritto alla prestazione previdenziale.

Il comma 6 riconosce il diritto di trasferimento della posizione individuale maturata presso un’altra forma pensionistica, con l’unico limite costituito dall’esclusione della possibilità di effettuare il trasferimento prima di 2 anni dalla data di partecipazione ad un fondo. Viene pertanto disposto che gli statuti e i regolamenti prevedano espressamente tale diritto, senza alcuna clausola limitativa, anche di fatto, comprese eventuali previsioni di voci di costo volte a ostacolare la portabilità.

Per le operazioni di trasferimento delle posizioni pensionistiche, il comma 7 prevede l’esenzione da ogni onere fiscale, a condizione che esse avvengano in favore di altre forme pensionistiche. Sono altresì esenti da ogni onere fiscale i trasferimenti delle risorse o delle riserve matematiche da un fondo pensione o da una forma pensionistica individuale ad altro fondo pensione o ad altra forma pensionistica individuale.


 

Articolo 16
(Eliminazione di vincoli per il cambio di fornitore di servizi di
telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche)

 

 

L’articolo 16 elimina una serie di vincoli che sono oggi presenti nei contratti con i fornitori di servizi di telefonia, televisivi e di comunicazioni elettroniche in generale. A tal fine, la disposizione modifica l’articolo 1 del decreto-legge n. 7/2007, nella parte dedicata ai contratti con gli operatori di questi settori: telefonia, reti televisive e comunicazione elettronica.

 

Le modifiche sono di tre ordini:

§  la lettera a), aggiungendo un periodo al comma 3 dell’art. 1 sopra citato, prevede che le spese e gli altri oneri comunque previsti in caso di recesso o trasferimento dell'utenza ad altro operatore debbano essere commisurati al valore del contratto e che vadano in ogni caso resi noti al consumatore al momento della sottoscrizione del contratto. Si prevede inoltre l’obbligo di comunicarli, in via generale, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, esplicitando analiticamente la composizione di ciascuna voce e la rispettiva giustificazione economica, in modo da permettere ad AGCOM un più efficace controllo preventivo delle spese richieste per il recesso.

Si ricorda che l’art. 1 del D.L. n. 7/2007 prevede attualmente, ai commi 2 e 3, che l'offerta commerciale dei prezzi dei differenti operatori della telefonia evidenzi tutte le voci che compongono l'offerta, al fine di consentire ai singoli consumatori un adeguato confronto e che i contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, debbano prevedere la facoltà di recesso del contraente o di trasferimento delle utenze ad un altro operatore senza vincoli temporali o ritardi e senza spese non giustificate da costi dell'operatore. E’ fatto divieto inoltre di imporre obblighi di preavviso superiori a trenta giorni. Le clausole difformi sono nulle.

§  la lettera b) aggiunge al comma 3 dell’art. 1, i commi 3-bis, 3-ter e 3-quater. Con tali nuove disposizioni si prevede innanzitutto che le modalità di recesso dal contratto stipulato con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, nonché il passaggio ad altro gestore, siano semplici e di immediata attuazione e, soprattutto, analoghe alle forme utilizzate per l’attivazione di un contratto, così da facilitare il recesso (nuovo comma 3-bis).

Il nuovo comma 3-ter prevede che qualora il contratto comprenda offerte promozionali esso non possa avere durata superiore a ventiquattro mesi e che nel caso di risoluzione anticipata si applichino i medesimi obblighi informativi e i medesimi limiti agli oneri per il consumatore introdotti dalla lettera a) al comma 3, terzo periodo (quindi commisurati al valore del contratto, resi noti al consumatore e comunicati in via generale all’AGCOM), e che comunque l'eventuale penale debba essere equa e proporzionata al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta.

Il nuovo comma 3-quater, dispone l’obbligo per i gestori dei servizi di telefonia e di comunicazioni elettroniche, di acquisire il previo consenso espresso per l'eventuale addebito al cliente del costo di servizi in abbonamento offerti da terzi.

§  la lettera c) modifica il comma 4 dell’articolo 1 del D.L. n. 7, che prevede in generale il potere dell’AGCOM di vigilare sull’attuazione di tutte le disposizioni dell’articolo 1, demandandole anche la competenza a stabilire le disposizioni di attuazione del nuovo comma 3-quater (che prevede l’obbligo del previo consenso espresso per l’addebito di servizi da terzi). Si estende inoltre il potere sanzionatorio dell’AGCOM anche alle violazioni delle disposizioni dei nuovi commi 3-bis, 3-ter e 3-quater.

Attualmente il comma 4 dell’art. 1 prevede che l'AGCOM stabilisca le modalità attuative delle disposizioni del solo comma 2 e che possa sanzionare la violazione delle disposizioni dei commi 1, 2 e 3, applicando l'articolo 98 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003).

L’art. 98 richiamato prevede sanzioni per tutta una serie di violazioni in cui possono incorrere gli operatori di rete di servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico, che vanno dall’istallazione e fornitura di reti senza autorizzazione generale, alla mancata ottemperanza ad ordini e diffide impartiti ai sensi del Codice dal Ministero o dall'Autorità,: per quest’ultimo caso è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 120.000 ad euro 2.500.000. Se l'inottemperanza riguarda provvedimenti adottati dall'Autorità in ordine alla violazione di disposizioni relative ad imprese aventi significativo potere di mercato, è prevista l’applicazione a ciascun soggetto interessato di una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra il 2 per cento ed il 5 per cento del fatturato realizzato nell'ultimo esercizio.

 

La norma in commento appare volta a recepire una delle proposte contenute nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato relativamente alle comunicazioni.

 

In particolare, l’Autorità richiede la possibilità di semplificare le procedure di identificazione dei clienti dei servizi di telefonia, ad esempio in caso di migrazione tra gli operatori.

 

La segnalazione contiene però ulteriori proposte in materia di comunicazioni che non risultano recepite nel provvedimento in esame. Si tratta in particolare di misure attinenti all’attuazione dell’agenda digitale e alla gestione dello spazio radioelettrico.

Per quanto concerne l’agenda digitale, l’Autorità propone un programma strategico nazionale per lo sviluppo delle reti di nuova generazione. Si propone anche, tra le altre cose:

§  la possibilità di ricorrere all’autocertificazione per le modifiche non sostanziali degli impianti radiomobili, in deroga all’articolo 87-bis del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003);

§  il riordino delle norme che prevedono l’istituzione di una pluralità di catasti delle infrastrutture di telecomunicazioni, introducendo una previsione che vincoli gli enti locali a mettere a disposizione, qualora esistente, il catasto delle infrastrutture utili per l’installazione di reti a banda ultralarga.

 

In proposito la relazione di accompagnamento chiarisce che le proposte dell’Autorità saranno considerate nell’ambito dell’attuazione dell’Agenda digitale nazionale. Merita in proposito richiamare la recente adozione da parte del Consiglio dei ministri della strategia nazionale per la banda ultralarga, nonché le seguenti ulteriori misure contenute nel decreto-legge n. 133/2014 (cd. “DL Sblocca Italia”): 1) l’inserimento delle opere infrastrutturali in fibra ottica per la banda ultralarga tra gli oneri di urbanizzazione primaria (art. 6); 2) l’istituzione di un sistema informativo federato delle infrastrutture di banda larga e ultralarga (art. 6-bis).

 

Per quanto concerne la gestione dello spettro radioelettrico, l’Autorità propone il periodico svolgimento di un’analisi del livello di utilizzo delle risorse frequenziali nonché l’attribuzione ad AGCOM di individuare le risorse frequenziali sottoutilizzate e le condizioni di accesso concorrenziale alle risorse frequenziali disponibili.

 

In proposito la relazione di accompagnamento precisa che tali proposte saranno “oggetto di un differente progetto normativo di trattazione omogenea del settore”. In materia, peraltro, la legge di stabilità 2015 (L. n. 190/2014), ai commi da 146 a 148 del suo articolo unico) ha individuato la procedura per l’assegnazione da parte di AGCOM ad operatori di rete locali delle frequenze attribuite a livello internazionale all’Italia e non utilizzate da operatori di rete nazionali, oltre a modificare la disciplina recata dal decreto-legge n. 145/2013 per il rilascio da parte degli attuali detentori delle frequenze oggetto di situazioni interferenziali con l’estero.


 

Articolo 17
(Semplificazione delle procedure di
identificazione per la portabilità)

 

 

L’articolo 17 intende semplificare le procedure di migrazione dei clienti tra operatori di telefonia mobile attraverso l’utilizzo di misure di identificazione indiretta del cliente (cioè senza bisogno di usare un documento di identità), anche utilizzando il sistema pubblico dell’identità digitale previsto dall’articolo 64 del codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005).

La disposizione rimanda per l’attuazione ad un decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, con il quale si dovrà prevedere l’identificazione in via indiretta del cliente in modo da consentire che la richiesta di migrazione e tutte le operazioni ad essa connesse possano essere svolte per via telematica.

 

Si ricorda che con D.P.C.M. 24 ottobre 2014 sono state definite le caratteristiche del Sistema Pubblico dell’Identità Digitale (SPID), che è curato dall’Agenzia per l’Italia Digitale, nonché i tempi e le modalità di adozione del sistema da parte delle pubbliche amministrazioni e delle imprese. Con il nuovo sistema le pubbliche amministrazioni potranno consentire l'accesso in rete ai propri servizi, oltre che con lo stesso SPID, solo mediante la carta d'identità elettronica e la carta nazionale dei servizi. L'avvio del sistema è subordinato all’emanazione di un regolamento che definisca le modalità attuative del sistema, di cui risulta avviato l’iter di approvazione.

 

La disposizione recepisce una proposta contenuta nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

L’Autorità propone però “l’ampliamento della possibilità di identificazione indiretta ai sensi dell’articolo 6, comma 2-bis, del decreto-legge n. 144/2005”. Tale disposizione[6] consente, agli utenti che attivano schede elettroniche (S.I.M.) abilitate al solo traffico telematico ovvero che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche o punti di accesso ad internet utilizzando tecnologia senza fili possono essere identificati e registrati anche in via indiretta, attraverso sistemi di riconoscimento via SMS e carte di pagamento nominative”.

In sostanza, rispetto alla disposizione in commento, l’Autorità non prevede il ricorso (che comunque nella disposizione non risulta obbligatorio) al sistema pubblico di identità digitale, bensì la sola estensione alla telefonia mobile di quanto già previsto per l’accesso ad Internet.

 

Per le ulteriori proposte in materia di comunicazioni non recepite nel disegno di legge si rinvia a quanto osservato nella scheda relativa all’articolo 16.

Articolo 18
(Apertura al mercato della comunicazione a mezzo posta delle notificazioni di atti giudiziari e di violazioni al Codice della strada)

 

 

L’articolo 18 sopprime, a decorrere dal 10 giugno 2016, l’attribuzione in esclusiva alla società Poste italiane Spa (quale fornitore del Servizio universale postale) dei servizi inerenti le notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari (ai sensi della legge n. 890/1982[7]) nonché dei servizi inerenti le notificazioni delle violazioni del codice della strada (ai sensi dell’art. 201 del decreto legislativo n. 285/1992[8]).

Per quanto concerne le linee generali della regolazione del settore postale, il decreto legislativo n. 261/1999 ha previsto un unico fornitore del servizio universale, con una distinzione, non presente nell'ordinamento comunitario, tra fornitore del servizio e prestatori del medesimo servizio. Il primo fornisce il servizio integralmente su tutto il territorio nazionale; i secondi forniscono prestazioni singole e specifiche.

Fornitrice del servizio universale è riconosciuta ex lege la società Poste italiane Spa per un periodo di quindici anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 58/2011 (e quindi fino al 2026). I rapporti tra Stato e impresa fornitrice del servizio universale sono regolati da periodici contratti di programma. Il Contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste Italiane per il triennio 2009-2011 è stato approvato con legge n. 183/2011 (legge di stabilità 2012). I commi da 274 a 276 dell'articolo unico della legge di stabilità 2015 (L. n. 190/2014) prevedono la proroga dell'efficacia del contratto di programma 2009-2011; viene inoltre stabilito che il nuovo contratto abbia durata quinquennale (2015-2019), prevedendone la sottoscrizione al termine di un'articolata procedura che contempla anche l'espressione del parere da parte delle competenti commissioni parlamentari.

Per gli altri operatori è necessaria:

§  una licenza individuale, rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico, per le imprese che intendono fornire al pubblico servizi postali non riservati che rientrano nel campo di applicazione del servizio universale;

§  un'autorizzazione generale rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico per gli altri operatori.

 

Il servizio universale comprende:

1)  la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg e dei pacchi postali fino a 20 kg;

2)  i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati.

 

La soppressione della residua riserva in esclusiva è disposta dalla lettera b) del comma 1 dell’articolo in commento, mediante la soppressione, appunto a decorrere dal 10 giugno 2016, dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 261/1999. Conseguentemente a tale soppressione le rimanenti disposizioni dell’articolo prevedono le seguenti ulteriori modifiche al decreto legislativo n. 261/1999:

§  la soppressione, sempre a decorrere dal 10 giugno 2016, del riferimento ai proventi del fornitore del servizio universale per i servizi in esclusiva nell’articolo 2, comma 14, lettera b), che, nell’individuare le modalità di calcolo del contributo da parte degli operatori per il finanziamento dell’autorità di regolazione di settore (attualmente l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, AGCOM[9]), indica le tipologie di proventi del fornitore del servizio universale da non considerare a tal fine.

In particolare, la disposizione attualmente prevede un contributo di importo non superiore all’uno per mille dei ricavi dell’ultimo esercizio versato da tutti gli operatori e al netto, per il fornitore del servizio universale, dell’onere relativo al servizio universale stesso e dei proventi per i servizi in esclusiva;

§  l’integrazione del comma 2 dell’articolo 5, che disciplina le condizioni per il rilascio agli operatori del settore postale della licenza individuale per l’effettuazione di specifiche prestazioni rientranti nel servizio universale; la disposizione è integrata nel senso di prevedere che il rilascio della licenza individuale per le notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari e per le notificazioni delle violazioni del codice della strada debba essere subordinato a specifici obblighi di servizio con riguardo alla sicurezza, alla qualità, alla disponibilità e all’esecuzione dei servizi medesimi;

§  la soppressione, a decorrere dal 10 giugno 2016, del riferimento ai servizi affidati in esclusiva dal comma 1 dell’articolo 10 che attualmente prevede che il fondo di compensazione degli oneri del servizio universale sia alimentato nel caso in cui il fornitore del servizio universale non ricava dalla fornitura di tale servizio e dai servizi in esclusiva entrate sufficienti per l’adempimento degli obblighi gravanti sul fornitore;

§  la soppressione, sempre a decorrere dal 10 giugno 2016 del comma 3 dell’articolo 21 che prevede una sanzione da 5000 a 150.000 euro per chi espleti i servizi attribuiti in esclusiva al fornitore del servizio universale.

 

Infine, il comma 2 prevede che entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge l’AGCOM determini, sentiti il Ministro della giustizia, i requisiti e gli obblighi, nonché i requisiti di affidabilità, professionalità e onorabilità, per il rilascio delle licenze individuali relative alla notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari e alle notificazioni delle violazioni del codice della strada.

 

Come specificato dalla disposizione, l’articolo 5, comma 4, del decreto legislativo n. 261/1999 già prevede che i requisiti per le licenze individuali siano determinati con provvedimento dell’autorità di regolamentazione.

 

La norma in commento recepisce una delle proposte contenute nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato; relativamente al settore postale; la segnalazione contiene però ulteriori proposte che non risultano recepite nel provvedimento in esame e che non sono considerate nella relazione di accompagnamento. Si tratta in particolare delle seguenti proposte di intervento normativo:

§  modifica dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 261/1999 in modo da escludere dal perimetro del servizio universale i servizi rivolti ad una clientela commerciale che prevedono invii in grande quantità (posta massiva o posta raccomandata non retail) e da limitarlo esclusivamente ai servizi rivolti a persone fisiche;

§  modulazione in maniera flessibile del servizio universale, prevedendo un obbligo di valutazione di efficienza e qualità del servizio in sede regolatoria (cioè da parte dell’autorità di regolazione) anche con specifico riferimento alle aree geografiche disagiate;

In proposito, si segnala che sulle caratteristiche del servizio universale sono da ultimo intervenuti i commi da 277 a 284 dell'articolo unico della legge di stabilità 2015 (L. n. 190/2014). Tali disposizioni, tra le altre cose, consentono una rimodulazione della frequenza settimanale di raccolta e recapito sul territorio nazionale. Il comma 280 prevede anche che l'AGCOM individui, entro 60 giorni dalla proposta di Poste italiane Spa nuovi obiettivi statistici di qualità e una nuova determinazione delle tariffe degli invii di posta prioritaria e degli altri servizi universali, anche tenendo conto delle risorse pubbliche disponibili.

§  introduzione di maggiore trasparenza nei sistemi di finanziamento del servizio universale, in particolare attraverso la definizione preventiva dei parametri sulla base dei quali viene effettuata la compensazione degli oneri al fine di garantire che la stessa non conferisca un vantaggio economico per l’impresa beneficiaria;

La segnalazione esprime in particolare preoccupazione per le norme relative alle tariffe per la spedizione dei prodotti editoriali e delle stampe promozionali e propagandistiche (art. 2, co. 1-bis del decreto-legge n. 125/2010 e art. 5-bis del decreto-legge n. 63/2012) che “prevedendo la non applicazione delle disposizioni relative ai rimborsi alla società Poste italiane Spa e non chiarendo le eventuali forme di compensazione rendono oltremodo oscuro il meccanismo di finanziamento di tali spedizioni agevolate”[10].

Con la delibera n. 412/14/CONS del 29 luglio 2014 l’AGCOM ha quantificato l’onere del servizio postale universale per gli anni 2011 e 2012, rispettivamente, in 380,6 e 327,3 milioni di euro.

§  la modifica dell’articolo 10, co. 1, n. 16 del D.P.R. n. 633/1972, al fine di escludere dalla prevista esenzione IVA le prestazioni del servizio universale e le cessioni dei beni ad esse accessorie effettuate da Poste italiane Spa che siano state però negoziate individualmente.

La modifica proposta è stata recepita con l’art. 32-bis del decreto-legge n. 91/2014.

Sulla questione l’Autorità garante della concorrenza e del mercato era già intervenuta con il provvedimento del 27 marzo 2013 con il quale l’autorità aveva deciso la disapplicazione della norma del D.P.R. n. 633/1972 per contrasto con il diritto dell’Unione europea, ed in particolare con l’articolo 132, lettera a), della direttiva 2006/112/CE (disciplina IVA), come interpretato dalla sentenza del 23 aprile 2009 (causa C. 357/07) della Corte di giustizia dell’Unione europea nei confronti della Royal Mail britannica.

§  modifica della struttura societaria di Poste italiane Spa, prevedendo la costituzione di una società separata che abbia quale oggetto sociale lo svolgimento dell’attività bancaria di Bancoposta, secondo la normativa di settore contenute nel testo unico bancario (decreto legislativo n. 385/1993).

Si ricorda infine che il Consiglio dei ministri, nella riunione del 16 maggio 2014, ha approvato il D.P.C.M., che prevede la cessione di una quota fino al 40 per cento del capitale di Poste Italiane Spa. La cessione potrà avvenire attraverso offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Poste italiane Spa, e/o a investitori istituzionali italiani e internazionali. Sullo schema di D.P.C.M. (atto n. 77), è stato acquisito il parere della IX Commissione Trasporti, espresso nella seduta del 26 marzo 2014. Il provvedimento non risulta ancora pubblicato sulla "Gazzetta Ufficiale".


 

Articoli 19-21
(Cessazione del regime di “maggior tutela”
per l’energia elettrica e il gas)

 

 

Gli articoli da 19 a 21 eliminano, a partire dal 2018, il regime di “maggior tutela” che opera transitoriamente nei settori del gas e dell’energia elettrica. In pratica, viene abrogata la disciplina che prevede la definizione da parte dell’Autorità per l’energia delle tariffe del gas e dell’energia elettrica per i consumatori che non abbiano ancora scelto un fornitore sul mercato libero.

 

Per il gas, l’applicazione del regime di maggior tutela è limitata ai consumatori domestici, mentre per l’energia elettrica opera anche per i piccoli consumatori industriali.

Dal 2018, quindi, la vendita ai clienti finali di energia in Italia sarà completamente liberalizzata, con l’eliminazione definitiva dei prezzi regolamentati.

 

Il processo di liberalizzazione della vendita di energia ai clienti finali in Italia si è sviluppato in modo diverso nei settori dell’elettricità e del gas naturale.

 

Nel settore dell’energia elettrica, dal 1° luglio 2007 (con il D.L. 73/2007) è stata completata, con l’apertura del mercato libero anche ai clienti domestici, la liberalizzazione del mercato retail, avviata, per tappe successive, dal cd. “decreto Bersani” (decreto legislativo n. 79/99). Il medesimo D.L. 73/2007 ha inoltre introdotto il servizio di maggior tutela destinato ai clienti domestici e alle piccole imprese. Il servizio di maggior tutela è prestato dall’impresa distributrice territorialmente competente, anche attraverso un’apposita società di vendita (esercente la maggior tutela) e la funzione di approvvigionamento dell’energia elettrica destinata ai clienti del servizio è svolta dall‘Acquirente unico.

L’Autorità stabilisce e aggiorna, sulla base dei costi, le condizioni economiche applicate dagli esercenti la maggior tutela ai clienti finali, facendo in modo che i prezzi di maggior tutela non “spiazzino” le offerte (economicamente efficienti) del mercato libero.

Il D.L. 73/2007 ha inoltre stabilito l’obbligo di separazione tra le attività di vendita e di distribuzione dell’energia elettrica nel caso in cui alle reti di un’impresa distributrice siano connessi più di 100.000 clienti finali.

Infine, per quanto riguarda i clienti finali che non hanno diritto alla maggior tutela ma non hanno un venditore nel mercato libero (per cause riferibili al venditore, che magari ha perso il diritto di accesso al sistema, oppure per cause riferibili al cliente, come episodi di morosità pregressa). Attualmente il servizio risulta caratterizzato da una consistente presenza di clienti finali cosiddetti non disalimentabili, per i quali, in caso di morosità, l’impresa distributrice non può comunque procedere alla sospensione della fornitura.

 

Per il settore del gas naturale, la completa liberalizzazione del mercato, avviata per tappe successive dal “decreto Letta” (decreto legislativo n. 164/2000), è avvenuta già dal 1° gennaio 2003.

A differenza che per il settore elettrico la separazione delle attività di vendita e di distribuzione è stata imposta a tutte le imprese distributrici, a prescindere dal numero di punti di riconsegna serviti.

Una ulteriore differenza è poi legata alle forme di tutela previste per i clienti finali. In primo luogo, i clienti domestici e i condomini uso domestico beneficiano di una forma di tutela, nella forma di condizioni economiche definite dall’Autorità che tutti i venditori hanno l’obbligo di offrire loro; non sono pertanto individuati, come invece avviene nel settore elettrico, soggetti obbligati all’erogazione del servizio di tutela.

In relazione al perimetro dei clienti ammessi al servizio di tutela, esso comprendeva tutti i clienti identificati dal legislatore come “vulnerabili”, vale a dire anche le utenze relative ad attività di servizio pubblico e i clienti altri usi con consumi fino a 50.000 Smc/anno; tuttavia con riferimento a queste tipologie di clienti esso è stato rimosso dal “decreto del Fare” (D.L. 69/13).

Le condizioni economiche del servizio di tutela sono determinate dall’Autorità secondo una logica analoga a quella su cui è basata la determinazione dei prezzi del servizio di maggior tutela nel settore elettrico, cioè in modo da riflettere le condizioni di costo di un operatore efficiente del mercato.

 

In particolare, l’articolo 19 elimina dal 2018 il regime di “maggior tutela” nel settore del gas naturale, ossia abroga da tale data la disciplina transitoria che prevede la definizione amministrativa delle tariffe del gas naturale nella vendita ai consumatori domestici che non abbiano ancora scelto un fornitore sul mercato libero.

 

A tal fine, l’articolo in esame interviene sul cd. “decreto Letta” (D.Lgs. 164/2000), che rappresenta il punto d’inizio della liberalizzazione nel settore del gas. In particolare, viene abrogata (dal 2018) la norma (articolo 22, comma 2, terzo periodo) che prevede, per i soli clienti domestici, la determinazione dei prezzi del gas da parte dell'Autorità per l'energia.

La determinazione dei prezzi da parte dell'Autorità per l'energia (meccanismo, cosiddetto di “maggior tutela”), è regolato dal D.L. 73/2007, articolo 1, comma 3, che tuttavia non viene modificato dalla norma in esame.

L’articolo 1, comma 3, del citato DL 73/2007, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2007, n. 125 stabilisce infatti che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas indica condizioni standard di erogazione del servizio e definisce transitoriamente, in base ai costi effettivi del servizio, prezzi di riferimento per le forniture di energia elettrica ai clienti finali domestici e per le forniture di gas naturale ai clienti domestici, che le imprese di distribuzione o di vendita, nell'ambito degli obblighi di servizio pubblico, comprendono tra le proprie offerte commerciali contemplando anche la possibilità di scelta tra piani tariffari e fasce orarie differenziati.

 

L’articolo 20 elimina il regime di “maggior tutela” nel settore dell’energia elettrica a decorrere dal 2018, ossia abroga da tale data la disciplina transitoria che prevede la definizione amministrativa delle tariffe dell’energia elettrica nella vendita ai consumatori domestici e ai piccoli consumatori industriali che non abbiano ancora scelto un fornitore sul mercato libero.

 

A tal fine, l’articolo in esame interviene sul decreto di recepimento del cd. “terzo pacchetto energia” (D.Lgs. 93/2011), abrogando la norma (articolo 35) che prevede la determinazione dei prezzi dell’energia elettrica da parte dell'Autorità per l'energia per:

§  i clienti finali civili;

§  le imprese connesse in bassa tensione con meno di 50 dipendenti e un fatturato annuo non superiore ai 10 milioni di euro;

che non scelgano un fornitore sul mercato libero.

 

Si segnala, sia in relazione all’articolo 19 che all’articolo 20, la necessità di un coordinamento con quanto previsto dall’articolo 1, comma 3, del D.L. 73/2007 (che prevede in via transitoria l’applicazione del regime di maggior tutela per l’energia elettrica e il gas) la cui vigenza andrebbe limitata alla fine del 2017.

 

L’Autorità Antitrust, nella propria segnalazione, richiedeva un progressivo abbandono dei regimi di definizione amministrativa della tariffe per la vendita finale di energia elettrica e gas naturale e il loro confinamento alle utenze effettivamente vulnerabili (attraverso l’instaurazione di un meccanismo di fornitura di ultima istanza). La fine del regime di tutela potrebbe determinare, in prima istanza, per alcune categorie di utenti, un temporaneo aumento dei costi per l’energia elettrica ed il gas. Successivamente il meccanismo competitivo dovrebbe determinare, nel medio periodo, la prevalenza dei venditori più efficienti ed un successivo, e più incisivo, abbassamento dei prezzi. Sul punto l’Antitrust sottolinea pertanto che il passaggio dei consumatori domestici da una situazione tutelata ad una di mercato non dovrebbe comunque avvenire all’improvviso ma essere progressivo e rigidamente scadenzato. Fenomeni di asimmetria informativa e di scarsa elasticità della domanda a piccole variazioni in aumento del prezzo potrebbero infatti determinare pregiudizievoli situazioni di sfruttamento di potere di mercato da parte degli ex fornitori in regime di tutela.

La normativa dovrebbe inoltre regolare le modalità di fornitura del c.d. servizio “di ultima istanza” (specificatamente per le utenze che non riescono a trovare una fornitura sul libero mercato).

 


 

L’articolo 21 rinvia ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentita l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, l’adozione delle disposizioni conseguenti alla cessazione della disciplina transitoria del regime di “maggior tutela”, con particolare riferimento:

§  al monitoraggio dei prezzi nella fase precedente e successiva alla cessazione della disciplina transitoria dei prezzi;

§  alla garanzia di piena informazione del consumatore in merito alla piena apertura del mercato;

§  alle misure di contrasto alla morosità;

§  alla separazione delle politiche di comunicazione del marchio tra imprese verticalmente integrate;

§  alle ulteriori misure volte a facilitare la mobilità dei clienti e garantire l’efficacia, efficienza, trasparenza e puntualità delle operazioni di switching e fatturazione.

 

La Commissione europea, nella comunicazione 80/2015 (cd. “Pacchetto Unione dell’energia”) richiede agli Stati membri, nel processo di eliminazione progressiva dei prezzi regolamentati, di predisporre un meccanismo di tutela dei consumatori vulnerabili che dovrebbe essere attuato preferibilmente dal sistema generale di previdenza sociale. Se invece tale tutela dovesse essere garantita dal mercato dell'energia, potrebbe assumere la forma di meccanismi quali una "tariffa solidale" o uno sconto sulle bollette energetiche. Inevitabilmente il costo di questi regimi ricade collettivamente sui consumatori che non ne beneficiano. Perciò è importante che si tratti di un sistema accuratamente mirato per mantenere bassi i costi complessivi e limitare le distorsioni derivanti dai prezzi regolamentati.

Si ricorda che in Italia esistono i bonus gas ed elettrico, per assicurare un risparmio sulla spesa per l'energia alle famiglie in condizione di disagio economico e fisico (malattie che costringano all'utilizzo di apparecchiature mediche alimentate con l'energia elettrica indispensabili per il mantenimento in vita) e alle famiglie numerose.

L’impatto in termini quantitativi del servizio di “maggior tutela” nei mercati del gas e dell’energia elettrica, Monitoraggio Retail dell’Autorità per l’energia può essere analizzato tramite i dati diffusi dall’Autorità per l’energia nel Rapporto sul monitoraggio retail presentato nel febbraio 2015. Si riportano, nel seguito, alcuni grafici elaborati dall’Autorità per l’energia.

 


 

Punti di prelievo di energia elettrica serviti nel mercato libero, nel servizio di maggior tutela e nel servizio di salvaguardia– Anni 2012 e 2013

 

Fonte: Autorità per l’energia – Monitoraggio Retail

(BT=bassa tensione; MT=media tensione)

 

Punti di riconsegna di gas naturale serviti nel mercato libero e nel servizio di tutela – Anni 2012 e 2013

Fonte: Autorità per l’energia – Monitoraggio Retail

 

 

I dati evidenziano che il servizio di tutela costituisce la modalità di gran lunga prevalente di fornitura di gas naturale e di elettricità per i clienti finali aventi diritto.

Sebbene in aumento nel corso degli anni, i numero di clienti aventi i requisiti per la maggior tutela che si riforniscono sul mercato libero sono ancora oggi una minoranza. Inoltre, il ricorso al mercato libero avviene prevalentemente da parte dei clienti con consumi più elevati.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Con riferimento agli articoli 19 e 20 del disegno di legge, si segnala che il superamento graduale degli attuali regimi di sostegno e di formazione dei prezzi nei mercati nazionali dell’energia costituisce un presupposto per il raggiungimento della piena integrazione del mercato europeo dell’energia, uno degli obiettivi posti dalla Strategia dell’Unione dell’energia (COM(2015)80), presentata dalla Commissione europea lo scorso 25 febbraio e attualmente all’esame delle istituzioni europee. La Strategia fa parte di un insieme articolato di proposte[11] che ha lo scopo di integrare la politica energetica e la politica ambientale dell’Unione per il raggiungimento di obiettivi successivi al 2020.

In particolare, con riferimento al tema della formazione dei prezzi dell’energia, la Commissione rileva che gli orientamenti e le norme introdotti nel tempo per limitare gli effetti dannosi di interventi pubblici, frammentari e scoordinati tra loro, non si sono dimostrati sufficienti al superamento delle distorsioni di mercato e al completamento dell’integrazione del mercato medesimo. Pertanto, secondo la Commissione:

§  è necessario il graduale superamento delle tariffe regolamentate che, limitando lo sviluppo di una concorrenza effettiva e scoraggiando gli investimenti e l'emergere di operatori di mercato nuovi, finiscono per nuocere alle classi più deboli di consumatori per i quali erano state introdotte;

§  al posto dei prezzi regolamentati, gli Stati membri dovrebbero introdurre un meccanismo di tutela dei consumatori vulnerabili per mantenere bassi i costi complessivi e limitare le distorsioni derivanti dai prezzi regolamentati;

§  occorre assicurare una maggiore trasparenza nella composizione dei costi e dei prezzi dell'energia, predisponendo un monitoraggio e una rendicontazione periodici e dettagliati, anche per quanto riguarda gli impatti dei costi e dei prezzi dell'energia sulla competitività.

 


 

Articolo 22
(Concorrenza nella distribuzione dei carburanti per autotrazione)

 

 

L’articolo 22 elimina una barriera all’entrata per l’installazione di nuovi impianti di distribuzione di carburanti, disponendo che non possa essere posto in nessun caso il vincolo della presenza contestuale di più tipologie di carburanti.

Attualmente è fatto divieto di imporre l’obbligo dei pluricarburanti qualora esso comporti ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalità dell'obbligo.

Si ricorda infatti che, a tutela della concorrenza, è fatto divieto (articolo 83-bis, comma 17, del D.L. 112/2008) di imporre una serie di vincoli all’installazione e all’esercizio di un impianto di distribuzione di carburanti, che non possono essere subordinati:

§  alla chiusura di impianti esistenti;

§  a contingentamenti numerici;

§  al rispetto di distanze minime tra impianti e tra impianti ed esercizi o superfici minime commerciali;

§  a restrizioni circa la possibilità di offrire attività e servizi integrativi;

§  alla presenza obbligatoria di più tipologie di carburanti, ivi incluso il metano per autotrazione, se tale ultimo obbligo comporta ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalità dell'obbligo.

L’ultimo punto è stato introdotto dal cd. “decreto liberalizzazioni” del 2012 (D.L. 1/2012, articolo 17, comma 5), che all’articolo 17 contiene norme di liberalizzazione della distribuzione di carburanti. Con tale integrazione, il D.L. 1/2012 prevedeva una parziale liberalizzazione, in quanto vietava di imporre l’obbligo dei pluricarburanti, se troppo gravoso od oneroso.

Il decreto in esame, eliminando la condizione dell’onerosità dell’obbligo, pone un divieto assoluto all’imposizione di tale vincolo.

La previsione dell’articolo 22 in esame risponde ad una delle richieste dell’Autorità Antitrust in materia di distribuzione dei carburanti, che aveva proposto esplicitamente l’eliminazione dell’inciso “se tale ultimo obbligo comporta ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalità dell’obbligo”, ritenendo che questa valutazione di proporzionalità dell’obbligo non fosse sufficiente a rimuovere l’asimmetria tra oneri (e la conseguente barriera all’entrata) a carico dei soggetti che volessero fare il proprio ingresso nel settore.

 

L’Antitrust richiede inoltre l’eliminazione di ogni restrizione alla vendita di tabacchi presso i distributori di carburanti.

Il Governo, nella relazione di accompagnamento, ha osservato che le ulteriori proposte antitrust in materia di distribuzione dei carburanti, di eliminazione degli ostacoli ad una piena libertà di entrata e di uscita dal settore, di abbattimento dei costi connessi all’inefficienza della rete di distribuzione, di eliminazione dei residui vincoli agli impianti self-service e alla vendita di prodotti non oil presso gli impianti di distribuzione, potranno far parte di un autonomo provvedimento.

Si segnala che l’Antitrust, oltre a richiedere l’eliminazione dei vincoli residui all’apertura di nuovi impianti e allo sviluppo del non oil, auspica anche la liberalizzazione delle forme contrattuali tra titolare di autorizzazione e gestore nell’ambito della distribuzione dei carburanti.


 

Articolo 23
(Costo delle chiamate telefoniche ai servizi di assistenza ai clienti)

 

 

L’articolo 23, in materia di costi delle chiamate ai servizi di assistenza ai clienti bancari, pone a carico degli istituti bancari e delle società di carte di credito l’obbligo di assicurare che l’accesso ai propri servizi di assistenza ai clienti avvenga a costi telefonici non superiori rispetto alla tariffazione ordinaria urbana. Si demanda inoltre all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di vigilare sulla corretta applicazione della norma in esame.

 

A tale proposito si rileva che il riferimento alla “tariffazione ordinaria urbana” non appare di univoca interpretazione, poiché le tariffe telefoniche urbane stabilite dai diversi operatori telefonici in regime di mercato.

Le competenze dell’AGCOM, definite dall’art. 1 della legge n. 249 del 1997, in materia telefonica, prevedono infatti attualmente la possibilità per l’Autorità di supportare gli utenti nella comprensione delle diverse offerte presenti sul mercato tramite, ad esempio, la pubblicazione sul proprio sito dei link alle Carte di Servizio dei vari operatori e il collegamento alle pagine web degli operatori contenenti i prospetti informativi. E possibile anche usufruire di un motore di calcolo per la comparazione tariffaria tra le diverse offerte degli operatori, per agevolare gli utenti nella comprensione delle differenze tra le tariffe. L’AGCOM, oltre a vigilare sulla regolamentazione dei mercati delle comunicazioni elettroniche, tra cui il mercato dei servizi di terminazione delle chiamate su rete fissa e su rete mobile, può:

§  intervenire nelle controversie tra l'ente gestore del servizio di telecomunicazioni e gli utenti privati;

§  vigilare sulla conformità alle prescrizioni della legge dei servizi e dei prodotti che sono forniti da ciascun operatore destinatario di concessione ovvero di autorizzazione promuovendo l'integrazione delle tecnologie e dell'offerta di servizi di telecomunicazioni.

 

Nelle proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza per l’anno 2014, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato dedica un’ampia riflessione sul settore bancario, analizzato sotto diversi profili, afferenti sia allo svolgimento dell’attività contrattuale (trasparenza e mobilità), sia alla governance ed alla struttura di alcune tipologie di istituti bancari italiani (Fondazioni bancarie e banche popolari).


 

 

Gli interventi di liberalizzazione nel settore bancario

Il decreto-legge n. 3 del 2015 ha introdotto disposizioni in materia di portabilità dei conti di pagamento, fissando termini specifici per il loro trasferimento e un indennizzo per l’eventuale ritardo. Dette norme hanno abrogato le disposizioni, contenute nella legge di stabilità 2014 (L. 147/2013, commi 584 e 585) concernenti il trasferimento dei servizi di pagamento connessi ad un conto di pagamento.

 

Sotto un diverso profilo, l'articolo 56-quater del D.L. n. 69 del 2013 ha esteso la disciplina del diritto di ripensamento per l'offerta fuori sede a determinati servizi di investimento, tra i quali la negoziazione in proprio (titoli di proprietà della banca venduti attraverso promotori) per i contratti sottoscritti dal 1° settembre 2013. Tale norma interviene a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, sezioni Unite Civili, n. 13905/13, con la quale è stato stabilito che il diritto di recesso e la previsione di nullità dei contratti su strumenti finanziari in cui quel diritto non sia contemplato, si applicano anche fuori dall'ambito di un servizio di collocamento prestato dall'intermediario in favore dell'emittente o dell'offerente di tali strumenti.

 

Dall’altro lato, Parlamento e il Governo sono più volte intervenuti per ridurre i costi delle commissioni bancarie, in particolare predeterminando ex lege sia la misura, sia la remunerazione spettante alle banche per il servizio di messa a disposizione di somme al cliente oltre l'effettiva disponibilità (cd. affidamenti e sconfinamenti). Tale disciplina è confluita nell'articolo 6-bis del D.L. 201 del 2011, il quale ha introdotto l'articolo 117-bis nel D.Lgs. n. 385 del 1993 (Testo Unico Bancario), successivamente modificato e integrato.

Il D.Lgs. n. 141 del 2010 ha recepito nell'ordinamento italiano la direttiva 2008/48/CE in materia di contratti di credito ai consumatori. Accanto a tale intervento, il provvedimento ha revisionato la disciplina degli operatori finanziari, degli agenti in attività finanziaria e della mediazione creditizia. In materia di credito al consumo, il D.Lgs. 141/2010 (successivamente modificato e integrato nel tempo) ha poi ricondotto nell'alveo del Testo Unico Bancario la disciplina del diritto di recesso e delle spese addebitabili al cliente.

Il richiamato provvedimento ha ricondotto nel TUF anche le norme in tema di "portabilità" dei mutui bancari: con tale espressione si intende l’insieme di disposizioni, introdotte dal decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, con le quali si consentire al debitore di sostituire più facilmente l'istituto erogante con uno nuovo, eventualmente a condizioni più favorevoli, allo scopo di accrescere il grado di concorrenza nel mercato dei mutui.

 

L'articolo 28 del D.L. n. 1 del 2012 ha obbligato le banche, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari che condizionano l'erogazione di un mutuo alla stipula di un contratto di assicurazione sulla vita a sottoporre al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi non riconducibili al proprio gruppo. Il cliente può, in ogni caso, scegliere sul mercato una polizza più conveniente. Al riguardo il D.L. n. 201 del 2011 (c.d. "Salva Italia") ha qualificato come pratica commerciale scorretta il comportamento di banche, istituti di credito e intermediari finanziari i quali, ai fini della stipula di un contratto di mutuo, obblighino i clienti a sottoscrivere una polizza assicurativa erogata dal medesimo soggetto col quale il mutuo è stipulato. Il Provvedimento 2946 del 6 dicembre 2011 dell'ISVAP, recante una nuova disciplina delle polizze legate ai mutui, ha stabilito che gli intermediari assicurativi, ivi incluse le banche e altri intermediari finanziari, non possono ricoprire simultaneamente il ruolo di distributori di polizze e di beneficiari delle stesse, in quanto in tale pratica si ravvisa un non sanabile conflitto d'interesse penalizzante per i consumatori.

Si segnala, inoltre, il Regolamento n. 40 del 3 maggio 2012 con il quale l'ISVAP ha definito i contenuti minimi del contratto di assicurazione sulla vita connesso a mutuo, con l'obiettivo di agevolare il consumatore nel confronto tra le offerte e nella ricerca della polizza più conveniente. Tra l'altro si prevede che il cliente ha 10 giorni lavorativi dalla consegna del preventivo per cercare contratti che abbiano condizioni migliori. Le imprese di assicurazione che commercializzano i prodotti vita forniscono sul proprio sito internet il servizio gratuito di rilascio del preventivo personalizzato.

 

La segnalazione dell’AGCM in materia di trasparenza e mobilità nel settore bancario

In primo luogo, l’AGCM raccomanda l’adozione di misure volte ad aumentare il tasso di mobilità della clientela bancaria, superando i notevoli ostacoli che essa incontra in termini di mancata trasparenza e completezza informativa, di vincoli non necessari tra servizi bancari e di tempistiche spesso troppo lunghe in caso di trasferimento di alcuni servizi. Si reputa necessario rendere più agevole la comparazione da parte dei consumatori dei costi dei conti correnti offerti dalle banche. A tal fine l’Autorità suggerisce di integrare la normativa sulla trasparenza, rendendo obbligatorio il termine entro cui il processo di trasferimento di un conto corrente deve essere concluso, indicato in un termine non superiore ai 15 giorni. L’Autorità reputa necessario introdurre, in caso di mancato rispetto da parte della banca del termine legale per il trasferimento di un conto corrente, l’obbligo di risarcire il cliente in misura proporzionata al ritardo e alla disponibilità sul conto corrente; inoltre il trasferimento del conto corrente deve garantire il trasferimento dei servizi e strumenti di incasso/pagamento ad esso associati, senza oneri per il correntista.

Tali indicazioni sono state recepite con gli articoli 2 e 2-bis del D.L. n. 3 del 2015 (come modificato dalla legge di conversione) che disciplinano la trasferibilità dei servizi di pagamento connessi al conto di pagamento detenuto da un consumatore presso un prestatore di servizi di pagamento verso un altro prestatore di servizi di pagamento, secondo quanto previsto al capo III della direttiva 2014/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, anche con riferimento al trasferimento transfrontaliero dei conti correnti.

Si prevede infatti che (articolo 2, comma 5) il prestatore di servizi di pagamento che riceve la richiesta di trasferimento debba eseguire il servizio entro il termine di dodici giorni lavorativi dalla ricezione dell'autorizzazione del consumatore.

Il comma 16 del richiamato articolo 2 prevede che, in caso di mancato rispetto delle modalità e dei termini per il trasferimento dei servizi di pagamento, il prestatore di servizi di pagamento inadempiente è tenuto a indennizzare il cliente in misura proporzionale al ritardo e alla disponibilità esistente sul conto di pagamento al momento della richiesta di trasferimento.

In merito, si rammenta che nel testo originario del decreto-legge si prevedeva un obbligo di risarcimento per l’intempestiva effettuazione del servizio.

Viene chiarito che il prestatore di servizi di pagamento trasferente e il prestatore di servizi di pagamento ricevente non addebitano spese al consumatore per il servizio di trasferimento (articolo 2, comma 13 del D.L. n. 3 del 2015); il consumatore può chiedere al prestatore di servizi di pagamento ricevente di effettuare il trasferimento di tutti o di alcuni bonifici in entrata, ordini permanenti di bonifico o ordini di addebito diretto; in tal caso, il prestatore di servizi di pagamento trasferente fornisce al prestatore di servizi di pagamento ricevente tutte le informazioni necessarie per riattivare i pagamenti sul conto di pagamento di destinazione (articolo 2, comma 8).

 

La riforma delle fondazioni bancarie

La segnalazione dell’AGCM si occupa diffusamente anche della necessaria riforma delle fondazioni bancarie. In particolare, si reputa necessario introdurre un efficace meccanismo di enforcement delle disposizioni normative introdotte dall’articolo 27-quater del D.L. n. 1 del 2012 e riguardanti il rispetto dei principi di onorabilità e professionalità per le nomine degli organi di governance delle fondazioni, nonché l’incompatibilità di assunzione o esercizio di cariche in società concorrenti della società bancaria conferitaria. Si evidenzia in merito che la normativa attuale non stabilisce i termini entro cui le fondazioni devono conformarsi a tali obblighi, non individua il soggetto incaricato di vigilare sul loro rispetto e soggetto incaricato di vigilare sul loro rispetto e non prevede sanzioni in caso di inottemperanza. A tal fine, l’Autorità reputa necessario prevedere la tempistica entro la quale le fondazioni devono aggiornare i propri statuti, individuare l’organismo preposto alla verifica del rispetto della norma e stabilire le sanzioni in caso di violazione della stessa.

Inoltre, nell’ottica di rafforzare la separazione tra fondazione e banca conferitaria, si reputa necessario estendere il divieto, per le fondazioni, di detenere il controllo di una banca anche nei casi in cui il controllo è esercitato di fatto, anche congiuntamente con altri azionisti, modificando a tal fine l’articolo 6 del D.lgs. 17 maggio 1999, n. 153.

 

Sul punto, il Ministero dell’economia e delle finanze ha istituito un tavolo di lavoro per mettere a punto le regole che presiedono all’operatività delle fondazioni bancarie. L’esito del tavolo di lavoro è stata l’elaborazione, nel marzo 2015, di un Protocollo d’intesa discusso con l’associazione rappresentativa delle fondazioni bancarie (ACRI).

 

Le fondazioni bancarie si sono impegnate ad adottare alcune norme di comportamento relative alla gestione del proprio patrimonio, in particolare con lo scopo di ridurre i rischi, evitare forme di indebitamento non giustificate da esigenze di liquidità e non ricorrere, salvo che per finalità di copertura o in operazioni in cui non siano presenti rischi di perdite patrimoniali, a contratti e strumenti finanziari derivati. Per quanto attiene alla governance, le fondazioni si impegnano, tra l’altro, ad applicare criteri stringenti per la definizione dei corrispettivi economici dei componenti i propri organi, coerenti con la natura di enti senza scopo di lucro e comunque commisurati all’entità del patrimonio e delle erogazioni. Sono definiti limiti alla permanenza in carica dei membri degli organi, assicurando il periodico ricambio degli stessi; l’impegno riguarda anche l’osservazione di regole di incompatibilità, al fine di assicurare il libero ed indipendente svolgimento delle funzioni degli organi, e di trasparenza, sotto forma di regole puntuali che assicurino adeguata diffusione delle principali decisioni alla collettività di riferimento. Il Protocollo d’intesa è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dell’ACRI; una volta perfezionato il processo di adozione del documento, le Fondazioni si impegnano a modificare i loro statuti secondo i contenuti del medesimo.

Non sono state attuate modifiche all’impianto normativo delle fondazioni bancarie.

 

 

La riforma delle banche popolari

L’AGCM segnala la necessità, in un contesto nel quale le banche popolari – specie se quotate in Borsa - non svolgono più un’attività di natura strettamente cooperativa, di rimuovere le regole derogatorie rispetto a quelle generali. Si reputa necessario favorire la contendibilità degli assetti proprietari e il conseguente possibile ricambio della compagine sociale e, per l’effetto, della governance della società. Si reputa necessario rimuovere i vincoli eccessivi alla circolazione delle azioni e superare gli ostacoli alla partecipazione alla vita societaria, al fine di favorire assetti societari contendibili ed ottenere guadagni di efficienza associati ad un mercato del controllo aperto.

L’Autorità invita dunque a modificare la disciplina delle banche popolari attraverso l’eliminazione del voto capitario, dei limiti alla partecipazione azionaria, del numero minimo di soci e della clausola di gradimento, contenuti all’articolo 30 del d.lgs. n. 385/1993, rispettivamente, commi 1, 2, 4 e 5. Invita altresì ad eliminare l’eccezione, rispetto alle disposizioni generali, applicata alle banche popolari in materia di deleghe di voto, contenuta al comma 4, dell’articolo 137 del d.lgs. n. 58/1998.

 

Tali indicazioni sono state recepite con l’articolo 1 del D.L. n. 3 del 2015, sopra richiamato, che ha recato un intervento di riforma delle banche popolari, prevedendo, tra l'altro:

§  l’introduzione di limiti dimensionali per l'adozione della forma di banca popolare, con l’obbligo di trasformazione in società per azioni delle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro;

§  la disciplina delle vicende straordinarie societarie (trasformazioni e fusioni) che si applica alle banche popolari, con lo scopo di introdurre una disciplina uniforme per tutte le banche popolari, sottraendo agli statuti la determinazione delle maggioranze previste per tali vicende societarie;

§  l’introduzione della possibilità, per tali istituti, di emettere strumenti finanziari con specifici diritti patrimoniali e di voto;

§  l’allentamento dei vincoli sulla nomina degli organi di governo societario, con l’attribuzione di maggiori poteri agli organi assembleari;

§  l’introduzione di limiti al voto capitario, che tuttavia viene mantenuto, consentendo agli atti costitutivi di attribuire ai soci persone giuridiche più di un voto;

§  l’introduzione della possibilità, per gli statuti delle società per azioni risultanti dalla trasformazione delle Banche popolari, di prevedere, non oltre 24 mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento menzionato (dunque entro il 26 marzo 2017), limiti all'esercizio del diritto di voto, per un quantitativo di azioni superiore al cinque per cento del capitale sociale avente diritto al voto, salva la facoltà di disporre limiti più elevati.

 


 

Articolo 24
(Strumenti per favorire il confronto tra servizi bancari)

 

 

L’articolo 24 prevede, affidando in concreto tale compito a un provvedimento di rango secondario, che siano individuati i prodotti bancari maggiormente diffusi tra la clientela, al fine di assicurarne la possibilità di confrontare le spese addebitate dai prestatori di servizi di pagamento attraverso un apposito sito internet.

La segnalazione dell’AGCM ai fini della legge sulla concorrenza

La norma in esame intende completare il percorso di recepimento di quanto richiesto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) – nelle proposte di riforma concorrenziale al parlamento e al Governo, ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza per l’anno 2014, pubblicata nel luglio 2014.

L’Autorità segnalava infatti la necessità di aumentare il tasso di mobilità della clientela bancaria superando gli ostacoli che essa incontra in termini, tra l’altro, di mancata trasparenza e completezza informativa.

Si rende dunque necessario rendere più agevole la comparazione da parte dei consumatori dei costi, introducendo strumenti che favoriscano lo sviluppo di motori di ricerca indipendenti dalle banche (e in concorrenza tra loro) che agevolino il confronto tra i servizi bancari.

L’AGCM osserva infatti che, relativamente al grado di trasparenza delle informazioni a favore dei clienti bancari, nonostante l’introduzione di indicatori sintetici di costo, la scarsa mobilità registrata e la grande dispersione dei prezzi segnalano il permanere di ostacoli informativi per i consumatori e difficoltà alla mobilità. In questa prospettiva si reputa necessario fornire ai consumatori adeguati strumenti di comparazione tra il costo del proprio conto e quelli offerti dalle altre banche mediante lo sviluppo di motori di ricerca indipendenti dalle banche (e in concorrenza tra loro), nonché di strumenti che favoriscano lo sviluppo di motori di ricerca indipendenti dalle banche (e in concorrenza tra loro) che consentano un più agevole confronto tra i servizi bancari da parte dei consumatori.

Le disposizioni in esame

Il comma 1 della disposizione in esame affida a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Banca d’Italia, da emanarsi entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il compito di individuare i prodotti bancari maggiormente diffusi tra la clientela; per essi viene assicurata la possibilità di confrontare le spese addebitate dai prestatori di servizi di pagamento, attraverso un apposito sito internet.

La relazione illustrativa che accompagna il DDL in esame specifica che detto sito internet sarà gestito dal Ministero dell’economia e delle finanze, sebbene tale precisazione non sia presente nel testo della norma; come si vedrà infra, le disposizioni europee consentono che il sito di comparazione sia gestito da soggetti pubblici e privati.

 

Le suddette norme sono emanate in conformità alla Direttiva 2014/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull’accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base.

Si rammenta che la Direttiva 2014/92/UE disciplina la comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, il trasferimento del conto di pagamento e l’accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base. Il Capo II della richiamata direttiva si occupa della comparabilità delle spese collegate al conto di pagamento. Si prevede che gli Stati redigano (articolo 3) un elenco dei servizi più rappresentativi collegati a un conto di pagamento e soggetti a spese a livello nazionale, tenendo conto dei servizi che sono più utilizzati dai consumatori in relazione ai propri conti di pagamento e generano il maggiore costo a carico dei consumatori, sia complessivamente che per singola unità.

In tempo utile (articolo 4) prima di stipulare il contratto, i prestatori di servizi di pagamento forniscono al consumatore un documento informativo sulle spese. I prestatori di servizi di pagamento devono fornire gratuitamente almeno una volta all’anno al consumatore un riepilogo di tutte le spese sostenute (articolo 5). La direttiva (articolo 6) reca specifiche prescrizioni anche relative alla modalità di comunicazione ai consumatori delle informazioni contrattuali, commerciali e di marketing.

In ordine al confronto tra le condizioni praticate dagli istituti (articolo 7 della direttiva), gli Stati membri devono assicurare che i consumatori abbiano accesso gratuitamente ad almeno un sito Internet per il confronto delle spese addebitate dai prestatori di servizi di pagamento almeno per i servizi compresi nel richiamato elenco dei servizi più rappresentativi. Tali siti Internet di confronto possono essere gestiti da un operatore privato o da una autorità pubblica. I siti Internet, tra l’altro, devono essere funzionalmente indipendenti, assicurando che i prestatori di servizi di pagamento ricevano pari trattamento nei risultati di ricerca; usano un linguaggio chiaro e privo di ambiguità e, se applicabili, termini standardizzati; forniscono informazioni corrette e aggiornate, e indicano la data dell’ultimo aggiornamento; forniscono una procedura efficace per segnalare le informazioni errate sulle spese pubblicate. Gli Stati membri garantiscono infine che siano rese disponibili online informazioni sulla disponibilità di siti Internet conformi alle norme in commento.

 

Si ricorda che il parziale recepimento della richiamata Direttiva n. 2014/92/UE è stato effettuato con gli articoli 2 e 2-bis del D.L. n. 3 del 2015, che recano rispettivamente disposizioni in materia di portabilità dei conti di pagamento e di apertura di un conto di pagamento transfrontaliero.

Per quanto riguarda in particolare la portabilità, si richiede che gli istituti bancari e i prestatori di servizi di pagamento, nel caso di trasferimento di un conto di pagamento su richiesta di un cliente, diano corso al trasferimento senza oneri o spese di portabilità a carico del cliente, entro i termini predefiniti dalla. Si è recepita nell’ordinamento la disciplina procedurale del trasferimento dei conti di pagamento contenuta dalla citata Direttiva 2014/92/UE, indicando dettagliatamente gli adempimenti che i prestatori di servizi di pagamento sono tenuti a svolgere. In caso di mancato rispetto dei termini, si prevede che il cliente sia indennizzato per il ritardo, in misura proporzionale al ritardo stesso e alla disponibilità esistente sul conto di pagamento al momento della richiesta di trasferimento. Sono inoltre introdotti ulteriori adempimenti di trasparenza informativa da fornire alla clientela.

 

Ai sensi del comma 2, le norme secondarie devono altresì individuare le modalità e i termini secondo i quali i prestatori dei servizi di pagamento provvedono a fornire i dati necessari alla comparazione, nonché definire le modalità per la pubblicazione sul sito internet e i relativi aggiornamenti periodici.

 

Il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria, precisando che all’attuazione delle norme in esame si provvede nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 25
(Potenziamento della trasparenza nella vendita di polizze
assicurative accessorie a contratti di finanziamento e mutui)

 

 

L’articolo 25 estende a tutte le polizze assicurative connesse e contestuali all’erogazione di mutui, ovvero di credito al consumo, l’obbligo, posto in capo all’intermediario finanziario o alla banca che erogano il credito, di presentare al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi, non riconducibili alle banche, agli istituti di credito e agli intermediari finanziari stessi, fatta salva la possibilità per il cliente di scegliere sul mercato la polizza più conveniente.

Si prevede l’irrogazione da parte dell’IVASS di una sanzione amministrativa pecuniaria a carico delle banche, degli istituti di credito e degli intermediari finanziari in caso mancata presentazione di almeno due preventivi.

Inoltre gli erogatori dei finanziamenti sono tenuti ad informare il richiedente il finanziamento della possibilità di reperire sul mercato la polizza richiesta; sono previsti specifici obblighi informativi, nel caso di polizza emessa da società appartenente al medesimo gruppo, sulle eventuali provvigioni.

 

Più in dettaglio, la norma in esame integra in più punti l’articolo 28 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, norma che obbliga le banche, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari, qualora condizionino l’erogazione del mutuo immobiliare o del credito al consumo alla stipula di un contratto di assicurazione sulla vita, a sottoporre al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi non riconducibili a banche, istituti di credito e intermediari finanziari stessi. Il cliente è comunque libero di scegliere sul mercato la polizza sulla vita più conveniente, che la banca è obbligata ad accettare senza variare le condizioni offerte per l'erogazione del mutuo immobiliare o del credito al consumo.

L’articolo 28 del D.L. n. 1 del 2012 ha inteso modificare la prassi bancaria consistente nell'abbinamento automatico tra erogazione di mutuo e polizza vita, senza che al cliente fosse offerta la possibilità di effettuare un confronto tra diversi preventivi. Al riguardo il D.L. n. 201 del 2011 aveva già qualificato come pratica commerciale scorretta il comportamento di banche, istituti di credito e intermediari finanziari i quali, ai fini della stipula di un contratto di mutuo, obblighino i clienti a sottoscrivere una polizza assicurativa erogata dal medesimo soggetto col quale il mutuo è stipulato.

Il Provvedimento 2946 del 6 dicembre 2011 dell'ISVAP, recante una nuova disciplina delle polizze legate ai mutui, ha stabilito che gli intermediari assicurativi, ivi incluse le banche e altri intermediari finanziari, non possono ricoprire simultaneamente il ruolo di distributori di polizze e di beneficiari delle stesse, in quanto in tale pratica si ravvisa un non sanabile conflitto d'interesse penalizzante per i consumatori.

In attuazione del D.L n. 1 del 2012, il Regolamento ISVAP n. 40 del 3 maggio 2012 ha fissato i contenuti minimi della polizza vita e ha definito uno standard di preventivo per consentire al consumatore di poter più facilmente confrontare i prodotti. Inoltre, dal 1° settembre 2012 le imprese che commercializzano tali prodotti devono mettere a disposizione sul proprio sito internet un servizio on line gratuito di preventivazione. Per una maggiore visibilità delle offerte disponibili e per agevolare la ricerca della polizza più vantaggiosa è possibile consultare l'elenco delle imprese di assicurazione con la denominazione della relativa polizza vita commercializzata.

L’IVASS ha pubblicato altresì una guida pratica per il pubblico in materia di polizze connesse a contratti di finanziamento.

 

Con le norme in esame (comma 1, lettera a), nn. 1 e 2, che modificano l’articolo 28, comma 1, del D.L. n. 1 del 2012) i predetti obblighi di presentazione di più preventivi verrebbero estesi a tutte le polizze assicurative connesse e contestuali all’erogazione di mutui ovvero di credito al consumo, e cioè a tutti i casi in cui l’offerta di un contratto di assicurazione sia contestuale all’erogazione del mutuo o del credito.

 

Viene poi introdotto nell’articolo 28 (comma 1, lettera b)) il comma 1-bis, che prevede l’irrogazione da parte dell’IVASS di una sanzione, a carico delle banche, degli istituti di credito e degli intermediari finanziari, in misura pari a quanto stabilito dall’articolo 324 del Codice delle assicurazioni private (ovvero la sanzione amministrativa pecuniaria da mille a diecimila euro), in caso mancata presentazione dei due preventivi.

 

Infine (comma 1, lettera c)) con l’introduzione del comma 3-bis nell’articolo 28 si dispone che in ogni caso le banche, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari sono tenuti ad informare il richiedente il finanziamento della possibilità di reperire sul mercato la polizza richiesta.

Se l’offerta di polizza assicurativa è emessa da società appartenente al medesimo gruppo, le banche, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari sono tenuti ad informare il richiedente il finanziamento della provvigione percepita e dell’ammontare della provvigione pagata dalla compagnia assicurativa all’intermediario, sia in termini assoluti che percentuali sull’ammontare complessivo, in caso di polizza non abbinata a prodotto finanziario.


 

Articolo 26
(Misure per la concorrenza nella professione forense)

 

 

Nell’ottica di assicurare una maggiore concorrenza nel comparto dell’avvocatura, l'articolo 26 del disegno di legge modifica la legge-quadro sulla professione forense (legge 31 dicembre 2012, n. 247) in relazione al suo esercizio sia in forma associata che societaria. Una specifica disposizione interviene, infine, in materia di compenso professionale.

Associazione tra avvocati

Per quanto riguarda l’associazione tra avvocati – accogliendo i rilievi contenuti nella segnalazione dell’AGCOM - è modificato l’articolo 4 della legge 247/2012 prevedendo (comma 1, lett. a):

§  che l’avvocato possa partecipare a più di un’associazione (soppressione comma 3, quarto periodo);

§  che il domicilio professionale dell’avvocato non debba necessariamente coincidere con quello dell’associazione (abrogazione comma 4); per coordinamento viene eliminata la corrispondente sanzione disciplinare (modifica del comma 6).

Una delle due disposizioni speciali concernenti gli avvocati contenute nel D.P.R. 137/2012 (il regolamento di delegificazione di riforma degli ordinamenti professionali) riguarda proprio il domicilio professionale (art. 9). Tale disposizione prevede che l'avvocato debba avere un domicilio professionale nell'ambito del circondario di competenza territoriale dell'ordine presso cui è iscritto, salva la facoltà di avere ulteriori sedi di attività in altri luoghi del territorio nazionale.

 

Entrambe le possibilità sono attualmente escluse dalla disciplina dell’art. 4 della legge 247 (Associazioni tra avvocati e multidisciplinari) i cui ulteriori, principali elementi sono (comma 4):

§  la personalità del conferimento dell’incarico professionale;

§  la possibilità di società multidisciplinari con altri liberi professionisti appartenenti alle categorie individuate con regolamento del Ministro della giustizia;

§  l’obbligo dell’iscrizione all’albo per i soci dell’associazione tra avvocati;

§  l’iscrizione delle associazioni in un elenco tenuto presso il consiglio dell'ordine nel cui circondario hanno sede;

§  la possibilità per le associazioni tra professionisti di indicare l'esercizio di attività proprie della professione forense fra quelle previste nel proprio oggetto sociale, oltre che in qualsiasi comunicazione a terzi, solo se tra gli associati vi è almeno un avvocato iscritto all'albo.

Il comma 10 esclude, infine, che le associazioni che hanno ad oggetto esclusivamente lo svolgimento di attività professionale possano essere assoggettate alle procedure fallimentari e concorsuali.

Società tra avvocati

L’art. 26 introduce direttamente nella legge-professionale forense (L. 247 del 2012) una specifica disciplina delle società tra avvocati, attualmente regolata dagli artt. 16 e ss. del D.Lgs. 96 del 2001 (comma 1, lett. b).

Il D.Lgs. 96/2001 (Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale) prevede i seguenti principali elementi caratterizzanti la società tra avvocati (artt. 16 e ss.):

§  il modello societario adottato, ove non diversamente disposto, è quello della società in nome collettivo;

§  la ragione sociale deve contenere l'indicazione di società tra avvocati, in forma abbreviata “s.t.a”;

§  la società tra avvocati è iscritta in una sezione speciale dell'albo del Consiglio dell'ordine nella cui circoscrizione è posta la sede legale; analoga iscrizione va fatta ad una sezione speciale del registro delle imprese;

§  i soci devono essere avvocati iscritti all’albo (sono quindi esclusi i soci di solo capitale);

§  la partecipazione ad una società tra avvocati è incompatibile con la partecipazione ad altra società tra avvocati;

§  l'incarico professionale conferito alla società può essere eseguito solo da uno o più soci in possesso dei requisiti per l'esercizio dell'attività professionale richiesta;

§  il socio o i soci incaricati della prestazione sono personalmente e illimitatamente responsabili per l'attività professionale svolta in esecuzione dell'incarico; la società risponde con il suo patrimonio;

§  la società non è soggetta a fallimento.

La nuova disciplina - inserita nella legge 247 con un nuovo articolo 4-bis (Esercizio della professione forense in forma societaria) - attua direttamente alcuni dei principi e criteri direttivi contenuti nella delega per la costituzione di società tra avvocati prevista dall’art. 5 della citata legge professionale, che viene abrogato, per coordinamento, dalla successiva lett. c) del comma 1 dell’articolo in esame.

La delega di cui all’art. 5 della L. 247/2012, peraltro già scaduta (doveva essere esercitata entro sei mesi dalla entrata in vigore della legge, quindi entro il 2 agosto 2013) stabiliva i seguenti principi e criteri direttivi:

a)   prevedere che l'esercizio della professione forense in forma societaria sia consentito esclusivamente a società di persone, società di capitali o società cooperative, i cui soci siano avvocati iscritti all'albo;

b)   prevedere che ciascun avvocato possa far parte di una sola società di cui alla lettera a);

c)   prevedere che la denominazione o ragione sociale contenga l'indicazione: «società tra avvocati»;

d)   disciplinare l'organo di gestione della società tra avvocati prevedendo che i suoi componenti non possano essere estranei alla compagine sociale;

e)   stabilire che l'incarico professionale, conferito alla società ed eseguito secondo il principio della personalità della prestazione professionale, possa essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente;

f)     prevedere che la responsabilità della società e quella dei soci non escluda la responsabilità del professionista che ha eseguito la prestazione;

g)   prevedere che la società tra avvocati sia iscritta in una apposita sezione speciale dell'albo tenuto dall'ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società;

h)   regolare la responsabilità disciplinare della società tra avvocati, stabilendo che essa sia tenuta al rispetto del codice deontologico forense e soggetta alla competenza disciplinare dell'ordine di appartenenza;

i)     stabilire che la sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall'albo nel quale è iscritto costituisca causa di esclusione dalla società;

j)     l) qualificare i redditi prodotti dalla società tra avvocati quali redditi di lavoro autonomo anche ai fini previdenziali, ai sensi del capo V del titolo I del testo unico delle imposte sui redditi (D.P.R. 917/1986); m) stabilire che l'esercizio della professione forense in forma societaria non costituisca attività d'impresa e che, conseguentemente, la società tra avvocati non sia soggetta al fallimento e alle procedure concorsuali diverse da quelle di composizione delle crisi da sovraindebitamento (L. 3/2012); n) prevedere che alla società tra avvocati si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni sull'esercizio della professione di avvocato in forma societaria di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96.

 

L'art. 5 – sebbene precisi che la delega debba tenere conto delle previsioni dell'art. 10 della legge 183/2011 (legge di stabilità 2012) che, nell’ambito di un percorso di riforma dei servizi professionali (poi attuato col D.P.R. 137/2012), per primo aveva dettato disposizioni sulle società tra professionisti - sottrae le società tra avvocati all'applicazione della normativa generale sulle società tra professionisti dettata dal citato art. 10. Detta norma (come novellata dall'articolo 9-bis del decreto-legge n. 1 del 2012, cosiddetto "decreto liberalizzazioni") prevede la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate, secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile, così consentendo alle società tra professionisti di assumere anche la forma di società di capitali e di società cooperative (per queste ultime, con un minimo 3 soci).

Per quanto riguarda la definizione dei principi e criteri direttivi di delega di cui al medesimo articolo 5 della legge 247, il rinvio all'articolo 10 della legge n. 183/2011 pare essere residuale, considerato che alcuni dei predetti principi e criteri direttivi sono incompatibili con i contenuti del medesimo articolo 10. Ciò vale in particolare per la disciplina della compagine sociale (v. la possibilità di soci di solo capitale, sia pure in misura minoritaria, prevista dall’art. 10 ed esclusa dai principi di delega dell’art. 5 della L. 247/2012.

L’art. 10 della legge 183/2011 - che prevede anche la possibile costituzione di società multiprofessionali - stabilisce che gli statuti delle società tra professionisti devono prevedere:

a)  l'esercizio in via esclusiva dell'attività professionale da parte dei soci;

b)  l'ammissione in qualità di soci dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante, ovvero di soci di solo capitale . In ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci; il venir meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell'ordine o collegio professionale presso il quale è iscritta la società procede alla cancellazione della stessa dall'albo, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi;

c)  che l'incarico professionale conferito alla società deve essere eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per l'esercizio della prestazione richiesta; la designazione del socio professionista spetta all'utente e, in mancanza di tale designazione, il nominativo deve essere previamente comunicato per iscritto all'utente;

c-bis) l’obbligo di stipula di una polizza di assicurazione per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni causati ai clienti dai singoli soci professionisti nell'esercizio dell'attività professionale;

d)  le modalità di esclusione dalla società del socio che sia stato cancellato dal rispettivo albo con provvedimento definitivo.

La denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve inoltre contenere l'indicazione di società tra professionisti.

L’art. 10 stabilisce, infine, che la partecipazione ad una società sia incompatibile con la partecipazione ad altra società tra professionisti nonché l’obbligo da parte dei professionisti-soci di osservanza del codice deontologico del proprio ordine, così come la società è soggetta al regime disciplinare dell'ordine al quale risulti iscritta. Il socio professionista può opporre agli altri soci il segreto concernente le attività professionali a lui affidate.

Il nuovo art. 4-bis della legge 247/2012 stabilisce:

§  che l'esercizio della professione forense in forma societaria sia consentito esclusivamente a società di persone, società di capitali o società cooperative; l’art. 4-bis, non prevedendo che i soci debbano essere esclusivamente avvocati, consente, quindi, la possibilità di soci di capitale (totale o parziale). Risulta quindi recepito, per tale profilo, il contenuto della segnalazione al Parlamento dell’Autorità Garante.

Tale possibilità risulta invece esclusa sia dall’art. 5 della legge 247 che dall’art. 21 del D.Lgs. 96/2001, che prevedono che i soci debbano essere esclusivamente avvocati. L’art. 10 della L. 183/2011 ammette invece soci di solo capitali, anche se in misura minoritaria.

§  che le società tra avvocati siano iscritte in apposita sezione dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società;

Analoga previsione è contenuta nell’art. 5 della legge 247 e nell’art. 16 del D.Lgs. 96/2001. L’art. 10 della L. 183/2011 non prevede, invece, tale iscrizione.

§  che debba essere conservata la personalità della prestazione professionale, pur se conferita alla società;

Tale principio, previsto dall’art. 5 della legge 247/2012, non è espressamente stabilito né dal D.Lgs. 96/2001 né dall’art. 10 della legge 183/2011.

§  che la responsabilità della società e quella dei soci non esclude la responsabilità del professionista che ha eseguito la prestazione;

L’art. 5 della legge 247 contiene identica previsione. L’art. 26 del D.Lgs. 96/2001 stabilisce che il socio o i soci incaricati sono personalmente e illimitatamente responsabili per l'attività professionale svolta in esecuzione dell'incarico. La società risponde con il suo patrimonio. L’art. 10 della L. 183/2010 non dispone specificamente sul punto.

§  che le società tra avvocati siano tenute a rispettare il codice deontologico forense e ad assoggettarsi alla competenza disciplinare dell'ordine di appartenenza.

L’art. 5 della legge 247 e l’art. 10 della legge della L. 183/2011 contengono identica previsione. L’art. 16 del D.Lgs. 96/2001 stabilisce, in generale, che alla società tra avvocati si applicano, in quanto compatibili, le norme, legislative, professionali e deontologiche che disciplinano la professione di avvocato. In particolare, il successivo art. 30 stabilisce che la società tra avvocati risponde delle violazioni delle norme professionali e deontologiche applicabili all'esercizio in forma individuale della professione di avvocato. Se la violazione commessa dal socio è ricollegabile a direttive impartite dalla società, la responsabilità disciplinare del socio concorre con quella della società. In tale ultimo caso, il Consiglio dell'ordine presso il quale è iscritta la società è competente anche per il procedimento disciplinare nei confronti del socio, benché iscritto presso altro Consiglio dell'ordine, salvo che l'illecito disciplinare contestato al professionista riguardi un'attività non svolta nell'interesse della società.

 

Oltre ad aver rimosso il divieto di ingresso nella società tra avvocati ai soci di solo capitale, la disciplina dell’art. 4-bis non riprende invece i principi di delega contenuti nell’art. 5 comma 2, lettere b), c), d), i), l) m) e n) della legge professionale forense

Si tratta delle seguenti disposizioni: obbligo, per ciascun avvocato, di fare parte di una sola società (limite, invece, rimosso per le associazioni tra avvocati, v. ante); obbligo di fare riferimento nella denominazione o ragione sociale alla «società tra avvocati»; impossibilità per i membri dell’organo di gestione della società tra avvocati di essere estranei alla compagine sociale; previsione in base a cui la sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall'albo nel quale è iscritto costituisca causa di esclusione dalla società; previsione in base a cui i redditi prodotti dalla società tra avvocati costituiscono redditi di lavoro autonomo anche ai fini previdenziali; previsione che l'esercizio della professione forense in forma societaria non costituisca attività d'impresa e che, conseguentemente, la società tra avvocati non sia soggetta al fallimento e alle procedure concorsuali diverse da quelle di composizione delle crisi da sovraindebitamento (L. 3/2012); applicabilità, in quanto compatibili, alle società tra avvocati delle disposizioni sull'esercizio della professione forense in forma societaria di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96.

Si valuti l’introduzione di una disposizione di coordinamento con la disciplina vigente in materia di società tra avvocati, contenuta nel D.Lgs. n. 96 del 2001.

Costi della prestazione professionale

Una specifica disposizione riguarda il preventivo della prestazione professionale. Attualmente, l’art. 13, comma 5, della legge 247/2012 stabilisce che l’avvocato, a richiesta del cliente, debba comunicargli in forma scritta la prevedibile misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale.

Accogliendo il rilievo espresso dall’AGCOM nella segnalazione al Parlamento, il comma 1, lettera d) dell’art. 26 impone, in ogni caso, all’avvocato di comunicare tale previsione dei costi, in forma scritta e articolata per voci di spesa, sopprimendo il riferimento alla (eventuale) richiesta del cliente.

Si ricorda che l’art. 13 della legge 247 stabilisce, inoltre:

§  che il compenso dell’avvocato è libero (si forma quindi sulla base del libero accordo tra cliente e professionista);

§  che il compenso dell’avvocato è, di regola, pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico;

§  che il compenso dell’avvocato può essere a tempo, a forfait, per convenzione, riguardare uno o più affari o essere basato sull’assolvimento e sui tempi di erogazione della prestazione; erogato per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene (non soltanto a livello strettamente patrimoniale) il destinatario della prestazione;

§  che è esclusa la liceità dei cd. patti di quota-lite (con i quali l'avvocato percepisce come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa).

 

L’autorità Garante auspicava la rimozione di una serie di limiti ai principi della concorrenza contenuti nella legge di riforma della professione forense (Legge 247 del 2012).

In particolare si segnalano le seguenti proposte, che non sono state recepite nel disegno di legge in esame:

§  l’eliminazione della riserva di competenza degli avvocati per l’attività di consulenza legale e stragiudiziale prevista dall’art. 2, comma 6, della legge 247/2012, fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l'attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all'attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati;

§  l’abrogazione dei parametri per i compensi professionali (da ultimo stabiliti con D.M. 55/2014) in caso di mancato accordo tra le parti (per la generalità delle professioni, i parametri si applicano solo in caso di loro liquidazione da parte del giudice) nonché l’eliminazione del ruolo dei Consigli dell’Ordine circondariale nelle controversie sul compenso tra cliente e avvocato (l’art. 13, comma 9, della legge 247 prevede che il Consiglio competente possa esperire un tentativo di conciliazione e - in caso di mancato accordo - su richiesta dell'avvocato, rilasciare un parere sulla congruità della pretesa del legale in relazione all'opera prestata);

§  la rimozione del divieto del patto di quota lite (divieto stabilito dall’art. 13, comma 4, della legge 247/2012);

§  la rimozione del regime delle incompatibilità di cui all’art. 18 della legge 247 (ritenendo, invece, opportuno un intervento sugli obblighi di astensione in caso di conflitto);

§  la possibilità di costituire società multidisciplinari. Tale possibilità è peraltro prevista, in generale, per le società tra professionisti dall’art. 10 della legge 183 del 2011 (legge di stabilità 2012);

§  la pubblicità dei compensi delle prestazioni professionali dell’avvocato.


 

Articolo 27
(Misure per la concorrenza nel notariato)

 

 

La disposizione in esame modifica alcuni articoli della legge professionale notarile (L. 89 del 1913) per favorire la concorrenza nel settore.

La prima modifica riguarda l’articolo 4, relativo ai criteri che determinano il numero e la distribuzione dei notai sul territorio nazionale.

Oltre a una prima modifica di natura formale, al comma 1 è soppresso il riferimento alla garanzia di “un reddito annuo, determinato sulla media degli ultimi tre anni, di almeno 50.000 euro di onorari professionali repertoriali” (comma 1, lett. a). Viene, quindi, accolto il rilievo sul punto contenuto nella segnalazione dell’Autorità Garante.

 

Per garantire che la distribuzione delle sedi dei notai sia orientata al corretto soddisfacimento della domanda, per ciascun distretto notarile si dovrà, quindi, tenere conto:

§  della popolazione;

§  della quantità degli affari;

§  della estensione del territorio e dei mezzi di comunicazione.

Soppresso il riferimento al reddito minimo garantito, come regola generale da assumere rimane quella secondo cui ad ogni posto notarile deve corrispondere una popolazione di almeno 7.000 abitanti.

 

Diversamente da quanto riportato nella relazione al disegno di legge non è stato soppresso all’art. 4, comma 5, della legge 89/1913 il riferimento alla “quantità degli affari”.

 

Ulteriori misure per l'aumento della concorrenza nel notariato sono previste dalle lettere b) e c) del comma 1 dell'articolo 27.

 

Con un primo intervento (comma 1, lett. b), di modifica dell’art. 26, comma 2, della legge notarile, si consente al notaio di ampliare il proprio bacino di utenza. Gli si consente infatti di aprire una sede secondaria in tutto il territorio della regione dove esercita, nonché in tutto il distretto di corte d’appello, nel caso tale ufficio giudiziario comprenda più regioni (è il caso del distretto della Corte di Appello di Torino che comprende due regioni: il Piemonte e la Valle d’Aosta).

Attualmente, invece, il notaio può aprire nuove sedi dell’ufficio soltanto nell’ambito territoriale del distretto notarile dove si trova la sede principale e quindi in un ambito territoriale minore.

Si valuti se sia opportuno che all’art. 26, comma 2, si faccia riferimento anche al caso in cui il distretto di corte d’appello non solo comprenda più regioni ma anche parte di altra regione (è il caso del distretto di corte d’appello di Genova che comprende anche il circondario di Massa, nella regione Toscana).

 

La modifica all’art. 27 della stessa legge notarile (comma 1, lett. c) ha natura di coordinamento con quella dell’articolo 26 e riguarda l’ambito territoriale in cui il notaio può esercitare la sua prestazione professionale; il riferimento è ora al territorio di cui all’art. 26, secondo comma (anziché al territorio della Corte d'Appello nel cui distretto è ubicata la sua sede).

 

Un’ultima modifica riguarda la pubblicità professionale dei notai e allinea la relativa disciplina a quella prevista per tutte le professioni dal regolamento di riforma degli ordinamenti professionali (D.P.R. 137 del 2012).

Il comma 1, lett. c) dell’art. 147 della legge notarile sanziona attualmente con la censura o con la sospensione fino ad un anno o, nei casi più gravi, con la destituzione, il notaio che “fa illecita concorrenza ad altro notaio, con riduzioni di onorari, diritti o compensi, ovvero servendosi dell'opera di procacciatori di clienti, di richiami o di pubblicità non consentiti dalle norme deontologiche, o di qualunque altro mezzo non confacente al decoro ed al prestigio della classe notarile”.

 

In base alla nuova formulazione della citata lett. c), tali sanzioni sono invece previste (comma 1, lett. d) ove il notaio si serva dell’opera di procacciatori di clienti o di pubblicità non conforme ai principi stabiliti dall’art. 4 (Libera concorrenza e pubblicità informativa) del citato regolamento del 2012.

Tale ultima disposizione ammette con ogni mezzo la pubblicità informativa sull'attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni. La citata pubblicità informativa deve essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo del segreto professionale e non dev'essere equivoca, ingannevole o denigratoria.

 

La disciplina della legge professionale notarile contiene, secondo la segnalazione dell’AGCOM, significative restrizioni alla libera concorrenza.

Il disegno di legge non è, tuttavia, intervenuto sulle seguenti previsioni oggetto di critica e di proposte di eliminazione-sostituzione da parte dell’Autorità:

§  in relazione ai criteri che determinano il numero e la distribuzione dei notai sul territorio nazionale, non è stato soppresso il riferimento alla “quantità degli affari”.(art. 4, legge 89);

§  in relazione agli stessi criteri, non è stato previsto come regola generale che “ad ogni posto notarile corrisponda una popolazione al massimo di 7.000 abitanti” (l’art. 4, legge 89, prevede tali limite come numero minimo di abitanti).


 

Articolo 28
(Semplificazione del passaggio di proprietà di
beni immobili adibiti ad uso non abitativo)

 

 

L’articolo 28 introduce una disciplina speciale in tema di compravendite immobiliari di beni immobili destinati ad uso non abitativo (cantine, box, locali commerciali).

La nuova disciplina - che riguarda anche gli atti di donazione nonché la costituzione o la modificazione di diritti su tali beni immobili - permette agli avvocati di autenticare le sottoscrizioni dei relativi atti di trasferimento nel limite di valore catastale massimo di 100.000 euro.

Attualmente, anche la sottoscrizione di tali atti è riservata ai notai.

A fini di tutela dell’acquirente, gli avvocati saranno tenuti agli stessi obblighi dei notai essendo obbligati a munirsi di polizza assicurativa “pari almeno al valore del bene dichiarato nell’atto”.

Le scritture private di compravendita di detti immobili, autenticate dagli avvocati, costituiscono titolo ai fini della trascrizione di cui all’art. 2657 del codice civile Gli avvocati saranno quindi tenuti a “richiedere la registrazione” dell’atto alla conservatoria dei registri immobiliari, “presentare le note di trascrizione e di iscrizione e le domande di annotazione e di voltura catastale”, tutte operazioni destinate a garantire la correttezza dell’acquisizione della proprietà; spetterà agli stessi avvocati, inoltre, liquidare le relative imposte con modalità telematiche.

Sono posti a carico dell’acquirente l’immobile le visure e le comunicazioni dell’avvenuta sottoscrizione degli atti agli uffici competenti.

L’imposta di bollo applicata sulle compravendite sarà la stessa attualmente prevista per gli atti rogitati, ricevuti e autenticati dai notai o da altri pubblici ufficiali.

E’, infine, previsto che i termini e le modalità di esecuzione telematica dei citati adempimenti fiscali saranno definiti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

Si osserva che non è previsto alcun termine per l’adozione del provvedimento.


 

Articolo 29
(Modifiche alla disciplina della società
a responsabilità limitata semplificata)

 

 

L’articolo 29 intende modificare la disciplina della società a responsabilità limitata (srl) semplificata, al fine di consentirne la costituzione anche mediante scrittura privata, fermo restando l'obbligo di iscrizione presso il registro delle imprese.

In assenza di ulteriori precisazioni, le norme non fanno riferimento ad una scrittura privata autenticata: di conseguenza, per effetto delle norme in esame, ove si scegliesse la forma della scrittura privata, le parti potrebbero procedere alla costituzione della società senza avvalersi della prestazione di un notaio.

 

A tal fine si interviene sull’articolo 2463-bis del codice civile, che disciplina tale tipologia societaria e che attualmente prevede che la srl semplificata sia costituita per atto pubblico. In particolare, con le modifiche di cui al comma 1, lettera a) si consente di costituire una srl semplificata anche mediante una scrittura privata.

La srl semplificata è stata introdotta nell’ordinamento dal c.d. decreto liberalizzazioni (D.L. n. 1 del 2012) che, segnatamente, aveva previsto una nuova modalità di costituzione di srl - denominata società semplificata a responsabilità limitata - con lo scopo di garantire la responsabilità limitata e consentire, allo stesso tempo, il risparmio di alcuni costi (oneri notarili, diritti di segreteria e bollo) nei confronti dei costituenti.

In origine, l’agevolazione avrebbe trovato applicazione per le persone fisiche che non avessero compiuto i trentacinque anni di età alla data di costituzione della compagine sociale, consentendo loro di costituire una società a responsabilità limitata attraverso la stipulazione di un contratto o di un atto unilaterale (con possibilità di SRL semplificate unipersonali). Il requisito anagrafico dei 35 anni di età è stato eliminato dall’articolo 9, comma 13 del D.L. 28 giugno 2013, n. 76 .

L’attuale formulazione dell’articolo 2463-bis, su cui incide la disposizione in esame, stabilisce che l’atto costitutivo sia redatto per atto pubblico, in conformità al modello standard tipizzato con apposito decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico. Il modello standard è stato previsto dal regolamento di cui al Decreto del Ministero della Giustizia del 23 giugno 2012 n. 138.

L’atto costitutivo ha un contenuto minimo stabilito dalla legge: in particolare, è tra l’altro indicato l'ammontare del capitale sociale, che dovrà essere pari almeno ad un euro e comunque inferiore a 10.000 euro, sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione (nella società a responsabilità limitata il capitale sociale non può essere inferiore all'importo di 10.000 euro, ai sensi dell’articolo 2463, comma 2, n. 4 del codice civile).

A seguito delle modifiche operate con il citato D.L. n. 76 del 2013, le clausole del modello standard sono inderogabili.

Inoltre la denominazione di società a responsabilità limitata semplificata, l'ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l'ufficio del registro delle imprese presso cui questa è iscritta devono essere indicati negli atti, nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato con la rete telematica ad accesso pubblico.

 

Si rammenta inoltre che il c.d. “decreto sviluppo” (articolo 44 del D.L. n. 83 del 2012) aveva individuato una nuova modalità di costituzione delle srl, che faceva riferimento all'articolo 2463-bis, senza peraltro intervenire sulle norme del codice civile. Si trattava della società a responsabilità limitata a capitale ridotto (s.r.l.c.r.), con le caratteristiche della srl semplificata, senza il requisito anagrafico dei 35 anni e senza alcuni, ulteriori limiti originariamente disposti per la srl semplificata (relativi in particolare alla designazione degli amministratori). Successivamente, il già citato D.L. n. 76 del 2013 ha soppresso le srl a capitale ridotto e quelle già costituite ed iscritte nel registro delle imprese alla data del 28 giugno 2013 sono ora qualificate come srl semplificate. Nell'ambito delle srl semplificate, oggi, rimane quindi un'unica variante in cui i soci non sono soggetti a vincoli di età ed ove gli amministratori possono essere scelti anche tra non soci.

 

La lettera b) del comma 1 aggiunge un sesto comma al richiamato articolo 2463-bis, ai sensi del quale, ove l’atto costitutivo sia redatto per scrittura privata, gli amministratori devono depositarlo entro venti giorni per l’iscrizione al registro delle imprese (in particolare, all’ufficio nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale), allegando i documenti che comprovino la sussistenza delle autorizzazioni e delle altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la costituzione della società, in relazione al suo particolare oggetto (ai sensi dell’articolo 2329, primo comma, numero 3 del codice civile).


 

Articolo 30
(Sottoscrizione digitale di taluni atti)

 

 

L'articolo 30 individua alcune tipologie di atti per i quali è consentita la sottoscrizione, oltre che con atto pubblico o scrittura privata, anche con modalità digitali, attraverso modelli standard. L'assistenza alla stipulazione degli atti digitali può essere fornita da una serie di soggetti, che devono a tal fine accreditarsi presso le Camere di commercio.

La sottoscrizione digitale di atti relativi alle s.r.l. (commi 1 e 7)

Il comma 1 riguarda le società a responsabilità limitata e consente l’utilizzo di modalità digitali per redigere i seguenti atti:

§  trasferimento di quote sociali;

§  costituzione di diritti parziali su quote sociali. Si tratta della possibilità, prevista dall’art. 2471-bis c.c., di sottoporre la partecipazione societaria a pegno, usufrutto e sequestro.

 

Alle attuali forme di pubblicità di tali atti – atto pubblico o scrittura privata autenticata (art. 2470 c.c.) – la riforma aggiunge:

1)   la sottoscrizione con firma digitale, con conseguente deposito dell’atto entro 30 giorni presso l’ufficio del registro delle imprese (in base all’art. 36, comma 1-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008[12]);

L’art. 36, co. 1-bis del D.L. 112/2008 (conv. L. 133/2008) già prevede che l’atto di trasferimento delle partecipazioni di una società a responsabilità limitata (art. 2470, co. 2, c.c.) possa essere sottoscritto con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione dei documenti informatici.

Si ricorda che la firma digitale consiste in una procedura informatica di autenticazione volta a riconoscere al documento informatico gli stessi requisiti di certezza propri di un documento cartaceo autografo. In particolare, ai sensi del Codice dell’amministrazione digitale adottato con D.Lgs. n. 82/2005 e successive modificazioni, è un particolare tipo di firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato e su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici (art. 1, co. 1, lett. s)). L'apposizione di firma digitale integra e sostituisce l'apposizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere ad ogni fine previsto dalla normativa vigente (art. 24, co. 2).

2)   la sottoscrizione con firma elettronica autenticata, ai sensi dell'articolo 25 del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, anche in deroga alla disciplina prevista dal registro delle imprese (D.P.R. n. 581 del 1995[13]).

L’articolo 25 del codice dell’amministrazione digitale stabilisce che la firma digitale o la firma elettronica qualificata può essere autenticata dal notaio o altro pubblico ufficiale, secondo modalità analoghe a quelle previste dall’art. 2703 del codice civile. Infatti l’autenticazione della firma consiste nell'attestazione, da parte del pubblico ufficiale, che la firma è stata apposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento della sua identità personale, della validità dell'eventuale certificato elettronico utilizzato e del fatto che il documento sottoscritto non è in contrasto con l'ordinamento giuridico.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 11, comma 4, del regolamento di attuazione del registro delle imprese (D.P.R. n. 581 del 1995) stabilisce che l'atto da iscrivere nel registro deve essere depositato in originale, con sottoscrizione autenticata, se redatto con scrittura privata non depositata presso un notaio. Negli altri casi deve essere depositato in copia autentica; l’estratto deve essere depositato in forma autentica ai sensi dell'art. 2718 c.c..

 

Qualsiasi sia la forma prescelta, gli atti dovranno poi essere trasmessi ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso un modello standard definito con D.M. giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico.

 

In base al comma 7, quando gli atti di trasferimento delle quote sociali o di costituzione di diritti parziali su quote sociali sono sottoscritti con firma digitale, le parti provvedono telematicamente alla liquidazione delle imposte e al loro pagamento (in base al D.P.R. 131 del 1986). Spetterà ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate stabilire termini e modalità per l’esecuzione telematica di questi adempimenti.

La disposizione precisa che per quanto riguarda l’imposta di bollo, si applicano le disposizioni previste per i corrispondenti atti redatti o autenticati dai notai.

La sottoscrizione digitale degli atti per i quali non sono richieste né la forma pubblica, né la scrittura privata autenticata (comma 2)

Il comma 2 attiene alle società semplici e, più in generale, a tutti gli atti per i quali il legislatore non prevede l’obbligo dell’atto pubblico né della scrittura privata autentica.

In relazione a tali atti la riforma consente – derogando tanto alla legge di semplificazione 1999[14], quanto alla disciplina del registro delle imprese[15] - la sottoscrizione con firma elettronica, ai sensi e con gli effetti di cui all'articolo 21 del codice dell’amministrazione digitale.

L’articolo 21 del codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005) disciplina il valore probatorio del documento informatico cui è apposta una firma elettronica, stabilendo che questo sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità.

Il comma 2 specifica che il documento informatico sottoscritto con firma digitale o con firma elettronica qualificata o avanzata, se formato nel rispetto delle relative regole tecniche, soddisfa comunque il requisito della forma scritta. In particolare, ha l’efficacia prevista dall’art. 2702 del codice civile, la medesima cioè della scrittura privata, che “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”. Inoltre chiarisce che l’utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare del dispositivo, su cui grava l’onere dell’eventuale prova contraria.

Si ricorda che l’articolo 31, comma 2, della legge n. 340 del 2000 stabilisce che a partire dal 2003 le domande, le denunce e gli atti che le accompagnano presentate all'ufficio del registro delle imprese, ad esclusione di quelle presentate dagli imprenditori individuali, siano inviate per via telematica ovvero presentate su supporto informatico.

Gli intermediari per la sottoscrizione digitale (commi 3-5)

I commi da 3 a 5 disciplinano le modalità attraverso le quali i soggetti che devono sottoscrivere digitalmente gli atti possono avvalersi dell’assistenza di un intermediario. In particolare, le disposizioni prevedono:

§  che il soggetto obbligato possa investire l’intermediario del potere di rappresentarlo nel compimento dell’atto, utilizzando a tal fine un modello standard definito con decreto del Ministro dello sviluppo economico. Il modello dovrà essere sottoscritto digitalmente dal rappresentato e poi dovrà essere allegato alla domanda;

§  che il ruolo di intermediario possa essere svolto da professionisti, associazioni datoriali o sindacali, agenzie di affari e di disbrigo di pratiche, comunque denominati, purché accreditati presso la camera di commercio presso cui effettuano l'adempimento, tramite il modello di accreditamento che dovrà essere, anch’esso, approvato con D.M. Sviluppo economico;

§  che l’accreditamento possa essere concesso solo in presenza di alcuni requisiti di onorabilità (assenza di provvedimenti di interdizione, inabilitazione o condanna) del singolo intermediario o degli amministratori della società di intermediazione. Sono automaticamente accreditate le agenzie per le imprese (di cui all’art. 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008); queste ultime devono ricevere e conservare l’atto di rappresentanza redatto in forma olografa (cioè in formato cartaceo).

Si ricorda che le agenzie per le imprese (di cui all’art. 38, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008) sono soggetti privati che affiancare la P.A. nella gestione dei procedimenti amministrativi connessi la realizzazione, trasformazione e cessazione dell’attività di impresa. Svolgono funzioni di natura istruttoria e di asseverazione nei procedimenti amministrativi concernenti l'accertamento dei requisiti e dei presupposti di legge per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione delle attività di produzione di beni e servizi da esercitare in forma di impresa. Per l'esercizio delle attività, le Agenzie devono ottenere l'accreditamento del Ministero dello Sviluppo Economico, secondo le modalità previste per Regolamento (D.P.R. 9 luglio 2010 n.159).

La sottoscrizione digitale degli atti di organi collegiali (comma 6)

Il comma 6 disciplina l’ipotesi in cui l’atto debba essere sottoscritto da tutti i componenti di un organo collegiale, consentendo che all’adempimento provveda uno solo dei componenti, delegato dagli altri. Anche in questo caso, l’atto di conferimento del potere di rappresentanza deve essere firmato digitalmente e trasmesso in formato ottico inalterabile.

L’invarianza della spesa (comma 8)

Infine, il comma 8 stabilisce che dall’attuazione dell’articolo 30 non dovranno derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica: le amministrazioni interessate dovranno infatti provvedere impiegando le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili.


 

Articolo 31
(Svolgimento di attività professionali in forma associata)

 

 

L’articolo 31 è una disposizione di interpretazione autentica attraverso la quale il legislatore estende alle società di ingegneria costituite in forma di società di capitali o cooperative la disciplina della legge n. 266 del 1997, che per prima ha consentito l’esercizio della professione in forma societaria. L’intervento normativo consente così di affermare la validità dei contratti conclusi, a decorrere dall’11 agosto 1997, tra le suddette società di ingegneria ed i privati, superando interpretazioni opposte date dalla giurisprudenza.

Si ricorda che, in origine, la legge n. 1815 del 1939[16] ha vietato a tutti i professionisti di esercitare la professione attraverso il ricorso alla forma societaria (art. 2), consentendo esclusivamente la costituzione di associazioni professionali (art. 1).

Il generale divieto di ricorso alla forma societaria è stato abrogato dall'art. 24 della legge n. 266 del 1997[17] (c.d. Legge Bersani), entrata in vigore l’11 agosto 1997. Tale disposizione, peraltro, rinviava ad un regolamento di esecuzione la determinazione dei requisiti per l’esercizio delle attività in forma societaria; il regolamento non è stato mai emanato.

È poi intervenuto l’art. 2, comma 1, lett. c), del D.L. n. 223 del 2006 (c.d. decreto Bersani[18]) che ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti (c.d. società multidisciplinari), fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità.

Su questo quadro normativo si è inserita la legge di stabilità 2012[19] che, all’art. 10, ha disciplinato la costituzione di società tra professionisti, consentendo ai professionisti iscritti a ordini professionali di esercitare la professione in forma societaria o cooperativa (Titoli V e VI del Libro quinto del codice civile) e dunque anche di assumere la forma di società di capitali. Qualsiasi forma sia prescelta, la denominazione sociale sarà “società tra professionisti”, STP, che potrà svolgere anche diverse attività professionali (c.d. società multidisciplinare)[20]. La disciplina relativa all’esecuzione dell’incarico conferito alla società da parte di soci in possesso dei requisiti, alla scelta del professionista da parte dell’utente, all’incompatibilità e al rispetto del regime disciplinare dell’ordine è dettata, in attuazione della legge, dal D.M. 8 febbraio 2013, n. 34[21].

 

Infine, la legge di stabilità 2012, pur abrogando la legge n. 1815 del 1939 sulle associazioni professionali, fa salvi i diversi modelli societari e associativi previgenti.

 

Per quanto riguarda, nello specifico, l’esercizio della professione di ingegnere, sulla scia di quanto in origine previsto tanto dalla c.d. Legge Merloni[22] quanto dalla c.d. Merloni-ter[23], il Codice degli appalti (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 90, comma 2, lettera b)) consente la costituzione di società di capitali e cooperative, ma limitatamente allo svolgimento della professione in relazione agli appalti pubblici, e dunque non nei rapporti con i privati.

Sulla base di questo quadro normativo, dunque, parte della giurisprudenza ha ritenuto che le società di ingegneria possano validamente operare nei rapporti con i privati solo a partire dal 1° gennaio 2013, ovvero dall’entrata in vigore della legge di stabilità 2012, dichiarando la nullità di tutti i contratti stipulati anteriormente, in quanto conclusi in violazione di legge[24].

 

Per risolvere il problema degli appalti privatistici conclusi dalle società di ingegneria prima del 2013, l’articolo 31 del disegno di legge riconduce all’entrata in vigore della legge n. 266 del 1997 la possibilità per gli ingegneri di svolgere la professione attraverso la costituzione di società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata) e società cooperative, facendo conseguentemente salvi i rapporti contrattuali già intercorsi (comma 1).

La disposizione abroga dunque il comma 2 dell’art. 24 della legge n. 266 del 1997, relativo alla necessità di un regolamento di esecuzione per la determinazione dei requisiti per l’esercizio delle attività in forma societaria (comma 2).

Si ricorda che, sempre in questa legislatura, una disposizione analoga a quella in commento è stata inserita dal Senato in sede di conversione del decreto-legge n. 91 del 2014 (A.C. 3012, art. 33-bis). L’articolo aggiuntivo, che riconduceva alle società tra professionisti e alla liberalizzazione del 2006 le società di ingegneria costituite in forma di società di capitali, e che faceva salvi i contratti stipulati a partire dal 1997, è stato soppresso nel successivo passaggio del disegno di legge alla Camera dei deputati.


 

Articolo 32
(Misure per incrementare la concorrenza
nella distribuzione farmaceutica)

 

 

L’articolo 32 consente l’ingresso di società di capitale nella titolarità dell’esercizio della farmacia privata e rimuove il limite delle 4 licenze, attualmente previsto, in capo ad una identica società.

 

Nella segnalazione A.S 1137, il superamento dei vincoli alla multititolarità è richiesto in associazione al superamento dell’attuale sistema di contingentamento del numero di farmacie presenti sul territorio nazionale. L’Antitrust riconosce i progressi ottenuti con l’art. 11 del decreto legge 1/2012[25] nell’allargamento della pianta organica delle farmacie, ma sottolinea che si è ancora lontani da una corretta distribuzione territoriale delle farmacie in rapporto alla domanda dei consumatori/pazienti, tanto che l’attuale numero massimo di farmacie potrebbe essere trasformato in numero minimo. Con riguardo all’abolizione di vincoli alla multititolarità, l’Antitrust sottolinea che tale misura potrebbe garantire lo sviluppo di adeguate economie di scala e di rete e la nascita di nuovi modelli di business, che potranno riverberarsi in una riduzione dei costi della distribuzione a beneficio dell’utenza, analoghi a quelli sperimentati in altri Paesi europei. Secondo l’Antitrust, nel medio periodo, la maggior efficienza della distribuzione (e la possibilità di comprimere i margini di intermediazione, oggi ancora particolarmente elevati) finirà per riflettersi positivamente anche sulla spesa farmaceutica a carico del SSN.

La Commissione europea nel documento sugli squilibri macroeconomici, riferendosi all’articolo in esame sottolinea che “Per quanto riguarda la distribuzione dei prodotti farmaceutici, il disegno di legge rimuove il divieto di possedere più di quattro farmacie e consente anche alle società di essere titolari di farmacie. Tuttavia non sopprime il regime di quote, non apre il mercato dei farmaci con ricetta obbligatoria ma non rimborsati dal sistema sanitario e non pone rimedio alle strozzature alla diffusione di farmaci generici indicate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato”. Nello stesso documento viene evidenziato come la concorrenza nel settore sanitario sia rimasta esclusa dal ddl in esame.

 

La relazione di accompagnamento al provvedimento specifica invece che restano da avviare ulteriori approfondimenti circa le proposte di eliminare i vincoli regolamentari che ritardano l’ingresso sul mercato dei farmaci equivalenti, con riferimento evidente alle procedure di registrazione dei medicinali e al patent linkage nonché alla necessità di modificare il sistema di remunerazione della filiera distributiva del farmaco.

 

La disposizione è di carattere puramente ordinamentale e, di conseguenza, non comporta oneri per la finanza pubblica.

 

L’intervento legislativo è attuato modificando l’articolo 7 della Legge 362/1991 di riordino del servizio farmaceutico. Le modifiche introdotte sono le seguenti:

§  all’elenco dei soggetti che possono essere titolari dell’esercizio di farmacia privata vengono aggiungete le società di capitali (comma 1);

A legislazione vigente, la legge 362/1991, all’art. 7, co. 1, stabilisce che la titolarità delle farmacie private può essere assegnata a:

-      singoli farmacisti iscritti all’albo con i requisiti di idoneità. L'idoneità alla titolarità si può ottenere in seguito al superamento (non obbligatoriamente la vincita) di un concorso per l'assegnazione di sedi farmaceutiche, oppure dopo un periodo di pratica professionale della durata di due anni svolto in una farmacia aperta al pubblico e certificato dall'Ufficio farmaceutico della ASL di competenza. La titolarità in capo a una persona fisica presuppone che il titolare sia responsabile della gestione patrimoniale e della conduzione tecnico-professionale della farmacia. Titolarità della farmacia e proprietà dell'azienda sono inseparabili e seguono lo stesso destino amministrativo. Il trasferimento della titolarità comporta infatti la cessione della proprietà;

-      società di persone (società in nome collettivo e società in accomandita semplice) costituite tra farmacisti iscritti all’albo con i requisiti di idoneità;

-      società cooperative a responsabilità limitata costituite tra farmacisti iscritti all’albo con i requisiti di idoneità.

Il successivo art. 8 della legge 362/1991 specifica che la partecipazione alle società di cui all'articolo 7, è incompatibile:

a)   con qualsiasi altra attività esplicata nel settore della produzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco;

b)   con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia;

c)   con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato.

Per quanto riguarda il singolo farmacista titolare, l’art. 13 della legge 475/1968[26] specifica che il titolare di una farmacia ed il direttore responsabile, non possono ricoprire posti di ruolo nell'amministrazione dello Stato, compresi quelli di assistente e titolare di cattedra universitaria, e di enti locali o comunque pubblici, né esercitare la professione di propagandista di prodotti medicinali. Il dipendente dello Stato o di un ente pubblico, qualora a seguito di pubblico concorso accetti la farmacia assegnatagli, dovrà dimettersi dal precedente impiego e l'autorizzazione alla farmacia sarà rilasciata dopo che sia intervenuto il provvedimento di accettazione delle dimissioni.

Per quanto riguarda le società di capitali e la titolarità di farmacie, si ricorda che la normativa vigente sulla gestione delle farmacie comunali - legge 475/1968, all’art. 9, prevede che le farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite:

a)   in economia;

b)   a mezzo di azienda speciale;

c)   a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari; d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità.

Le fattispecie sopra elencate tuttavia non sono tassative poiché trovano integrazione con i principi in materia di servizi pubblici locali. Sul punto, la giurisprudenza in materia ha recentemente affermato, con la sentenza 5389/2014 del Consiglio di Stato, che la normativa di cui all'art. 9 della legge n. 475/1968 può applicarsi solo nei limiti in cui è compatibile con la disciplina generale prevista in materia dal TUEL e ha concluso coerentemente che la mancanza di farmacisti che prestino servizio presso farmacie comunali non è ostativa alla costituzione della società a capitale pubblico-privato per la gestione del servizio stesso.

D'altra parte, l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), nella deliberazione del 23 aprile 2014 ricorda che l'art. 28 della legge 833/1978 qualifica le farmacie come uno strumento di cui il SSN si avvale per l'esercizio di un servizio pubblico assegnatogli direttamente dal legislatore. Alla luce di quanto sopra, l'ANAC ritiene che l'esercizio del servizio farmaceutico tramite la gestione delle farmacie comunali non possa essere ricondotto nell'alveo dei servizi pubblici locali - ­sono tali quelli in titolarità di comuni, province, città metropolitane, comunità montane e isolane e Unioni di comuni (art. 2 del D.Lgs. n. 267/2000) - ma che possa qualificarsi come servizio pubblico in titolarità generale facente parte del complesso dei servizi sanitari facenti capo al SSN e finalizzati a garantire il fondamentale diritto alla salute. A sostegno di questa tesi, l'ANAC rinvia alla giurisprudenza amministrativa laddove afferma che "la gestione delle farmacie comunali da parte degli enti locali è collocata come modalità gestoria "in nome e per conto" del SSN, come tale non riconducibile né all'ambito dei servizi di interesse generale nella definizione comunitaria, né alla disciplina sui servizi pubblici locali secondo l'ordinamento italiano" (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 8 febbraio 2013, n. 729).

§  viene soppresso l’obbligo che le società siano formate esclusivamente da farmacisti iscritti all’albo e in possesso dell’idoneità. Resta invece confermato il vincolo per cui le società devono avere come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia (comma 2);

§  per le modifiche sopra descritte, si stabilisce che la direzione della farmacia gestita da una società sia affidata ad un farmacista in possesso del requisito dell'idoneità (comma 3). Precedentemente invece la direzione della farmacia gestita in forma societaria doveva essere affidata ad uno dei soci/e che ne era responsabile;

Secondo le modifiche introdotte dall’articolo in esame al co. 2 dell’art. 7 della legge 362/1991, poiché non esiste più l’obbligo che le società titolari di farmacie siano formate da farmacisti, l’affidamento ad un farmacista in possesso del requisito dell’idoneità resta l’unico vincolo per la direzione delle farmacia, con la conseguenza che la direzione potrà essere affidata anche a un semplice dipendente della società titolare della farmacia.

§  viene soppresso il comma 4-bis, che poneva, per le società, il limite della titolarità di quattro farmacie ubicate nella provincia corrispondente alla sede legale della società di riferimento.

Per quanto riguarda il titolare individuale, si ricorda che l’art. 112 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie vieta il cumulo di due o più autorizzazioni in una sola persona.

 

A legislazione vigente, la titolarità della farmacia può essere acquisita anche per trasferimento (art. 12 della legge 475/1968).

Il trasferimento della titolarità della farmacia privata è consentito decorsi 3 anni dal conseguimento della titolarità e può aver luogo solo a favore di un farmacista, iscritto all'albo, che abbia conseguito la titolarità o che sia risultato idoneo in un precedente concorso.

 

Inoltre, l'articolo 12 individua altri criteri e condizioni:

§  al farmacista, che abbia trasferito la propria farmacia, per una volta soltanto nella vita ed entro due anni dal trasferimento, è consentito di acquistare un'altra farmacia senza dover superare il concorso per l'assegnazione;

§  il farmacista che abbia trasferito la propria farmacia, senza averne acquistato un'altra entro due anni, può acquistare una nuova farmacia purché abbia svolto sei mesi di attività professionale certificata dalla ASL competente durante l'anno precedente l'acquisto ovvero abbia conseguito l'idoneità in un concorso effettuato nei due anni anteriori (comma 7, secondo periodo);

§  il trasferimento della farmacia può aver luogo a favore di un farmacista iscritto all'albo, che abbia conseguito l'idoneità ovvero che abbia almeno due anni di pratica professionale, certificata dall'autorità sanitaria (comma 8);

§  gli eredi di un titolare di farmacia deceduto possono trasferire la titolarità della farmacia nei confronti di un farmacista iscritto all'albo che abbia conseguito la titolarità ovvero sia risultato idoneo in un precedente concorso (comma 12).

 

Il comma 4-quater del decreto legge 192/2014 di proroga di termini ha disposto la sospensione, fino al 31 dicembre 2016, delle disposizioni che disciplinano i requisiti per il trasferimento della titolarità di farmacia di cui all'art. 12 della legge 475/1968. La norma consente di poter trasferire la titolarità a un farmacista iscritto all’albo anche se questi non è in possesso dell’idoneità o della pratica professionale biennale. Restano ferme le altre condizioni e criteri necessari per il trasferimento della titolarità. Dall'applicazione della norma sono state escluse le sedi oggetto del concorso straordinario di cui all'art. 11 del decreto legge 1/2012.

 

Tali restrizioni non si applicano al trasferimento di quote societarie (Ministero della Salute e delle Politiche sociali, con propria nota prot. n.11361-P-23/03/2009 DGFDM).


Le ulteriori indicazioni dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato


Premessa

Secondo quanto previsto dall’articolo 47 della legge n. 99 del 2009, all’apposito disegno di legge annuale per la concorrenza, il Governo è tenuto ad allegare una relazione di accompagnamento che evidenzi l’elenco delle segnalazioni e dei pareri dell’Autorità garante della concorrenza e mercato indicando gli ambiti in cui non si è ritenuto opportuno darvi seguito.

Al riguardo il Governo pur elencando le Segnalazioni dell’Autorità volte alla predisposizione delle leggi annuali per la concorrenza a partire dal 2010, specifica di prendere in considerazione solo la Segnalazione (AS1137 - proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2014) del luglio 2014.

Come si è detto (si veda la scheda del presente Dossier relativa all’articolo 1), l’AC 3012 interviene in alcuni dei settori indicati dall’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato nella Segnalazione del luglio 2014. La relazione di accompagnamento al disegno di legge dà conto, solo in determinati casi, delle motivazioni per le quali il Governo non ha ritenuto di dare seguito alle indicazioni dell’Autorità.

Sono di seguito analizzate le indicazioni dell’Autorità relative ai settori in cui il Governo non è intervenuto con il disegno di legge AC 3012.


 

Assicurazioni e settore bancario

Con riguardo alla proposta dell’Antitrust di introdurre sconti a fronte del ricorso ai servizi medico-sanitari convenzionati con la compagnia assicurativa, nella relazione governativa si afferma che si è ritenuto di dovere maggiormente approfondire l’argomento per le implicazioni di notevole rilievo che essa comporta sull’attuale assetto organizzativo. Si segnala che la norma era contenuta nell’articolo 8 del decreto-legge n. 145 del 2013, soppresso nel corso dell’esame parlamentare del ddl di conversione.

 

Con riguardo ai servizi bancari, rispetto alla segnalazione dell’Antitrust, il Governo era già intervenuto con alcuni provvedimenti:

§  attività contrattuale (trasparenza e mobilità);

Al riguardo, si ricorda che il decreto-legge n. 3 del 2015 ha introdotto disposizioni in materia di portabilità dei conti di pagamento, fissando termini specifici per il loro trasferimento e un indennizzo per l’eventuale ritardo (si rinvia al riguardo alla scheda del presente Dossier relativa all’articolo 23);

§  governance e struttura di alcune tipologie di istituti bancari italiani (fondazioni bancarie e banche popolari).

Comunicazioni

Copia privata

In materia di compenso per la riproduzione privata ad uso personale di fonogrammi e videogrammi (cd. “copia privata”), l’Antitrust, al fine di assicurare trasparenza nei confronti del consumatore, ha proposto di modificare la L. 663/1941, prevedendo che l'ammontare del compenso sia specificato nel prezzo di apparecchi di registrazione e di supporti vergini.

Nella relazione di accompagnamento non è indicato il motivo per il quale la questione non è stata trattata nell’ambito del disegno di legge in esame.

Al riguardo, si ricorda che gli artt. da 71-sexies a 71-octies della L. 633/1941 (recante norme in materia di protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), introdotti dal D.Lgs. 68/2003, attuativo della Direttiva 2001/29/CE, riconoscono il diritto alla “copia privata” di fonogrammi e videogrammi protetti dal diritto d’autore come eccezione al diritto esclusivo di riproduzione spettante ad autori, artisti e produttori, a condizione che la stessa riproduzione sia effettuata da persone fisiche per uso esclusivamente personale, senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali.

A fronte del beneficio che il consumatore trae dalla facoltà di “copia privata” è previsto un compenso a favore di autori, artisti e produttori, costituito da una quota del prezzo di apparecchi e supporti di registrazione acquistati. Il compenso è corrisposto alla SIAE (qui la pagina dedicata), la quale provvede a ripartirlo ad autori e produttori, eventualmente anche tramite le loro associazioni di categoria.

La misura del compenso è stata da ultimo determinata con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo 20 giugno 2014.

Rivendita di quotidiani e periodici

Nel campo dell’editoria, l’Autorità Antitrust rileva la necessità di superare le restrizioni non giustificate tutt’ora previste a livello locale all’apertura dei punti vendita di giornali e periodici.

Il sistema della distribuzione della stampa quotidiana e periodica continua ad essere disciplinato dal D.Lgs. 170/2001, che prevede un regime autorizzatorio per l’inizio dell’attività, e, per i punti vendita esclusivi, la predisposizione di piani comunali di localizzazione elaborati secondo criteri che prescindono dalle dinamiche di mercato. Tale normativa andrebbe modificata, abrogando le disposizioni che subordinano l’apertura di nuovi punti vendita al rilascio di autorizzazione.

Settore energetico

Riguardo alle infrastrutture energetiche, l’Autorità ha manifestato la necessità dell’individuazione delle infrastrutture energetiche ritenute prioritarie, la cui realizzazione deve essere agevolata tramite:

§  meccanismi di incentivazione economica alla realizzazione;

§  riduzione della durata complessiva dei procedimenti autorizzatori;

§  procedure di consultazione pubblica delle popolazioni locali, volte a prevenire il contenzioso.

Il Governo, nella relazione di accompagnamento, ha ritenuto di voler approfondire maggiormente la questione della riduzione dei procedimenti autorizzatori necessari per la realizzazione di infrastrutture energetiche, in ragione delle implicazioni, anche di carattere strategico, che la stessa comporta.

Si segnala che anche la Commissione europea, nel documento sugli squilibri macroeconomici, ha richiesto all’Italia l’elencazione delle infrastrutture strategiche nel settore energetico.

 

L’Autorità ha poi fornito alcune indicazioni per disciplinare le future gare per l’attribuzione delle concessioni di grande derivazione idroelettrica (già oggetto della procedura d’infrazione n. 2011/2026 avviata dalla Commissione europea), al fine di evitare un ingiustificato vantaggio competitivo in capo al gestore uscente. Tali proposte, tuttavia, non sono state recepite nel disegno di legge in esame.

Si segnala che anche la Commissione europea, nel documento sugli squilibri macroeconomici, ha evidenziato che la concorrenza nel settore idroelettrico è rimasta esclusa dal ddl sulla concorrenza, nonostante sia gravemente ostacolata da un regime di concessioni in cui i fornitori di servizi hanno il diritto di utilizzare l'infrastruttura pubblica per lunghi periodi senza essersi assoggettati ad alcuna procedura di concorrenza. È provato che l'assegnazione di concessioni idroelettriche tramite procedure trasparenti e concorrenziali ridurrebbe i costi per i consumatori e aumenterebbe i canoni dovuti dai concessionari allo Stato.

 

Riguardo all’istituzione di un sistema di remunerazione dei “servizi di flessibilità” (cd. capacity payment) offerti dalla capacità produttiva delle fonti di energia convenzionali (previsto dal comma 153, articolo 1, della legge di stabilità per il 2014), l’Autorità auspica che tale nuovo strumento, anche al fine di non qualificarsi come un aiuto di Stato, si conformi ai requisiti previsti dalle recenti Linee Guida europee. Esse richiedono che per ogni misura assimilabile ad un capacity payment sia chiaramente specificato l’obiettivo, che sia esplicitamente considerata la possibilità di raggiungere lo stesso obiettivo con modalità alternative e, nel caso dei meccanismi di remunerazione della capacità, che il meccanismo sia costruito in modo tale che il prezzo della capacità si riduca (fino a zero) via via che la sua necessità si riduce.

 

Infine, l’Antitrust ha rilevato i ritardi nell’avvio delle gare per la distribuzione del gas naturale, nonostante che la maggior parte delle norme rilevanti sia stata approvata[27] e che le gare fossero previste già nel “decreto Letta” del 2000. L’auspicio dell’Autorità è la cessazione del ricorso alle proroghe, in modo da ristabilire la certezza in merito alla data di effettuazione delle procedure di gara.

Distribuzione dei carburanti

Nel settore della distribuzione dei carburanti, l’Antitrust ha fatto alcune richieste a cui il Governo non ha ritenuto di dare seguito nel presente disegno di legge, per farle rientrare in un provvedimento ad hoc.

Anzitutto, l’Antitrust ha proposto di procedere ad una liberalizzazione delle forme contrattuali tra titolare di autorizzazione e gestore, che attualmente sono solo quelle tipizzate e definite tramite accordi conclusi tra le associazioni rappresentative delle due categorie dei proprietari degli impianti e dei gestori, attribuendo al Ministero dello sviluppo economico il compito di individuare le tipologie contrattuali non ammesse.

Per quanto concerne lo sviluppo del non oil presso gli impianti di distribuzione, L’Autorità ha richiesto di liberalizzare la vendita di tabacchi presso i distributori di carburante, eliminando vincoli quantitativi.

 

Si segnala, infine, che la rimozione del vincolo alla localizzazione fuori dai centri abitati degli impianti completamente automatizzati (richiesta sia dall’Antitrust che dalla Commissione europea), è stata recepita dall’articolo 23 della legge europea 2013-bis (legge 161/2014).

Settore farmaceutico

Per quanto riguarda il settore farmaceutico nella segnalazione A.S 1137, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato torna ad insistere su:

§  il divieto di vincoli alle procedure di registrazione dei medicinali generici alla scadenza del brevetto del medicinale originatore (“patent linkage”)[28]. L’Autorità, come fa ormai dal 2012[29], lamenta che l’ordinamento italiano continua a distinguersi in ambito comunitario per la persistenza di disposizioni normative che, nel vincolare la rimborsabilità da parte del SSN di un farmaco generico all’accertamento della scadenza della copertura brevettuale del medicinale di riferimento (c.d. originatore), configurano una chiara ipotesi di patent linkage. L’Autorità sottolinea che tale “collegamento brevettuale”, secondo quanto riconosciuto sia in dottrina che da parte di istituzioni internazionali, comporta preclusioni concorrenziali molto significative con conseguenti effetti di mancato risparmio ai danni del SSN. Sul punto, l’Autorità argomenta che disposizioni del genere sono suscettibili di favorire strategie ostruzionistiche su base brevettuale da parte delle imprese titolari dei farmaci “originatori”, inducendo così a condotte di abuso di posizione dominante. Coerentemente, l’Antitrust propone di abrogare l’ultimo periodo del co.1 dell’art. 11 del decreto legge 158/2012[30] nella parte in cui subordina l’inserimento dei medicinali generici nel Prontuario farmaceutico nazionale alla data di scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare del farmaco originatore di riferimento;

§  la sostituzione dell'attuale sistema di remunerazione della filiera distributiva del farmaco. L’Antitrust, come già auspicato in numerosissime occasioni, propone di promuovere lo sviluppo della vendita di farmaci di minor prezzo, in particolare dei farmaci generici, modificando l’attuale sistema di remunerazione della filiera distributiva del farmaco attraverso l’introduzione di un sistema di remunerazione ‘a forfait’ per il servizio di vendita di qualsiasi medicinale, indipendentemente dal valore del prodotto venduto. Tale sistema, secondo l’Autorità, introdurrebbe un elemento di forte regressività del margine di guadagno rispetto al prezzo del prodotto, incentivando in tal senso la vendita dei farmaci a minor prezzo. Dal punto di vista normativo, il problema è stato affrontato dal decreto legge 95/2012[31], che all'art. 15, co. 2, ne ha affidato la prima definizione ad un accordo, tra l'AIFA e le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, da stipulare sulla base di criteri indicati già due anni prima dal decreto legge 78/2010[32]: quota fissa e ridotta percentuale sul prezzo di riferimento del farmaco. L’accordo doveva poi essere registrato con decreto del Ministro della salute, di concerto con il MEF, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni. Per la difficoltà di giungere ad un accordo, il termine per l’emanazione del decreto, originariamente fissato al 1° gennaio 2013, è stato in ultimo prorogato al 1° gennaio 2016 dal decreto legge 192/2014 di proroga termini.

Sanità

Per quanto riguarda la sanità, l’Antitrust ricorda il carattere peculiare dell’assetto istituzionale ed organizzativo del SSN, contraddistinto dalla coincidenza, in capo al medesimo soggetto (Azienda sanitaria), delle funzioni di regolamentazione e controllo da una parte, e di erogatore delle prestazioni sanitarie dall’altra.

Al di là di questa considerazione di sistema, che rappresenta, secondo l’Autorità, un vero e proprio conflitto di interessi, viene richiesta l’attuazione di alcuni interventi:

§  trasparenza ed accessibilità dei dati sulle performance delle strutture ospedaliere pubbliche e private per favorire la scelta da parte degli assistiti (open data). A tal fine, viene proposta la modifica e il potenziamento del Programma nazionale valutazione esiti (PNE): un progetto sviluppato dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Age.Na.S.) per conto del Ministero della Salute. Il PNE fornisce a livello nazionale valutazioni comparative di efficacia, sicurezza, efficienza e qualità delle cure prodotte nell’ambito del servizio sanitario. Come richiesto dall’art. 12 del Patto per la salute 2014 - 2016, il PNE è stato già rafforzato come strumento di monitoraggio, analisi e controllo. L’edizione 2014 di PNE analizza 131 indicatori che consentono di individuare tempestivamente scostamenti dei valori per le singole aziende rispetto al valore medio nazionale, al benchmark nazionale e agli anni precedenti (2008-2013);

§  libertà di accesso per gli operatori privati. L'Antitrust, con nota del 18 luglio 2011, aveva già posto in rilievo come una politica di contenimento dell'offerta sanitaria può tradursi in una posizione di privilegio degli operatori del settore già presenti nel mercato, che possono incrementare la loro offerta a discapito dei nuovi entranti, assorbendo la potenzialità della domanda. Per questo, l’Autorità stigmatizza il contenuto dell’art. 8-ter del D.Lgs. 502/1992[33], in base al quale l’autorizzazione per le imprese private che operano nella fornitura di servizi sanitari non a carico dell’erario pubblico è subordinata alla verifica di compatibilità col “fabbisogno complessivo e alla localizzazione delle strutture presenti in ambito regionale” (in tal senso anche le sentenze del Consiglio di Stato 550/2013, 4574/2013 e 4588/2013). L’Antitrust inoltre evidenzia come la norma risulti in palese contrasto con i principi dell’ordinamento comunitario e nazionale. Un tentativo di abrogare il comma 8-ter è stato fatto dall'art. 27, co. 2, del decreto legge 90/2014[34]; la modifica non è stata poi confermata dalla legge di conversione (legge 114/2014);

§  sistema di accreditamento delle strutture private. L’Autorità propone di incentivare lo sviluppo di strutture sanitarie efficienti e di consentire l’accesso al mercato anche a nuovi operatori, prevedendo criteri oggettivi e non discriminatori per l’accreditamento al SSN di strutture private. Gli interventi proposti riguardano modifiche agli articoli 8-quater e 8-quinquies del D.Lgs. 502/92, al fine di eliminare il regime di accreditamento provvisorio e prevedere selezioni periodiche regionali, basate su verifiche sistematiche degli operatori convenzionati, volte alla razionalizzazione della rete in convenzionamento;

§  criteri di ripartizione del budget del SSN fra le strutture private accreditate. L’Autorità ribadisce che l’utilizzo del criterio della spesa storica è idoneo a cristallizzare le posizioni degli operatori già presenti sul mercato, non consentendo un adeguato sviluppo delle strutture maggiormente efficienti ed ostacolando, altresì, l’accesso di nuovi soggetti imprenditoriali. L’obiettivo da raggiungere è dunque il confronto concorrenziale nella fornitura di beni e servizi alle ASL in funzione di criteri ispirati al principio di non discriminazione, alla valorizzazione del livello di efficienza della singola struttura, nonché all’effettivo soddisfacimento delle esigenze della domanda. In questo senso, l’Autorità propone la modifica dell’art. 17, co. 1, lettera a) del decreto legge 98/2011[35] sulla determinazione di prezzi di riferimento per tipo di servizio e fornitura. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si riferisce ad un meccanismo messo in moto dal decreto legge 98/2011 che ha attribuito all’Osservatorio dei contratti pubblici, presso l’Autorità nazionale Anticorruzione (ANAC), il compito di pubblicare, a partire dal luglio 2012, le elaborazioni dei prezzi di riferimento di beni e servizi sanitari (il sito dell’ANAC dedica una sezione a Prezzi di riferimento in ambito sanitario - Rilevazione 2014). Il decreto legge 95/2012 ha perfezionato la norma e, attribuendo un carattere stringente all’adozione dei prezzi di riferimento, ha inserito l’obbligo, per le ASL, di rinegoziare con i fornitori i contratti (con possibilità di recesso dagli stessi), qualora i prezzi unitari dei beni e servizi in essi previsti risultino superiori al 20 per cento rispetto ai prezzi di riferimento individuati dall’Osservatorio. Il meccanismo dei prezzi di riferimento è comunque collegato alla riorganizzazione della domanda, ovvero alla centralizzazione degli acquisti e alla gestione professionale ed accentrata delle gare di appalto. In questo quadro, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato propone di estendere la previsione che obbliga le ASL alla rinegoziazione dei contratti che eccedono il 20% del prezzo di riferimento a tutti i contratti che eccedono detto prezzo di riferimento, ancorché in misura minore del 20%;

§  valutazione di equivalenza terapeutica dei dispositivi medici. Considerando che il mercato dei dispositivi medici raggruppa una gamma amplissima di prodotti ed è caratterizzato da un forte dinamismo industriale, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato propone che, per l’approvvigionamento dei dispositivi medici, si faccia maggiore ricorso alla gara introducendo una definizione ufficiale di classi di omogeneità dei prodotti che consenta di stabilirne la sostituibilità d’uso ai fini dello svolgimento di gare. A tal fine, l’Antitrust propone di introdurre una disposizione legislativa che preveda l’istituzione di apposite commissioni con il compito di individuare classi di prodotti con destinazioni d’uso omogenee, utilizzabili dagli enti competenti come riferimento per la definizione di lotti unici in sede di procedure di gara a evidenza pubblica. Sulla materia, è intervenuta la legge di stabilità 2015 (art. 1, co. 587, legge 190/2014), che ha normato l’art. 26 del Patto per la salute 2014 - 2016, affidando al Ministero della salute il compito di regolamentare, con decreto, l’uso appropriato di dispositivi costo-efficaci. In particolare al Ministero della Salute è stato affidato il compito di: garantire un’azione coordinata dei livelli nazionale, regionali e delle aziende accreditate per il governo dei consumi dei dispositivi medici mediante l’istituzione di una “Cabina di regia” con il coinvolgimento di Agenas, Aifa e Regioni; fornire elementi utili per le indicazioni dei capitolati di gara; fornire elementi per la classificazione dei dispositivi medici in categorie omogenee e per individuare prezzi di riferimento; promuovere la creazione del Programma Nazionale HTA dei dispositivi medici.

Infrastrutture e servizi aeroportuali

Nel settore aeroportuale la segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato propone le seguenti iniziative:

§  previsione dell’affidamento da parte del concessionario (cioè le società di gestione aeroportuale) mediante procedure di gara delle aree aeroportuali destinate ad attività non aviation;

§  previsione dell’obbligo per il concessionario di evitare l’affidamento in esclusiva delle attività commerciali interne all’aeroporto in modo da assicurare, per quanto possibile, in tale settore la “concorrenza nel mercato”;

§  garanzia dell’assoluta parità di trattamento tra soggetti terzi e società controllate dal gestore aeroportuale nell’accesso ai mercati dei servizi commerciali in aeroporto.

In proposito, si ricorda che In Italia, la gestione degli aeroporti è affidata a società di gestione i cui rapporti con lo Stato sono regolati attraverso contratti di programma stipulati con l'ENAC, nell'ambito di concessioni la cui durata massima è stabilita dall'articolo 704 del codice della navigazione in quaranta anni. Al gestore spetta il compito (art. 705 del codice) di amministrare e gestire secondo criteri di trasparenza e non discriminazione le infrastrutture aeroportuali nonché di coordinare e controllare le attività dei vari operatori privati presenti nell’aeroporto sotto il controllo e la vigilanza di ENAC. Il gestore aeroportuale può conseguentemente affidare a soggetti terzi, in regime di subconcessione sia servizi aviation (cioè direttamente connessi all’attività aeroportuale, come i servizi di handling[36]) sia servizi non aviation (cioè non direttamente connessi all’attività aeroportuale, come i servizi commerciali presenti in aeroporto).

Per quanto concerne i servizi di handling il decreto legislativo n. 19/1999, di recepimento della direttiva 1996/67/CE, ha disposto la liberalizzazione di tali servizi. Deroghe al principio della liberalizzazione possono essere disposte dal gestore aeroportuale previa autorizzazione dell’ENAC solo per determinate categorie di servizi e per motivate ragioni inerenti alla sicurezza, alla capacità e allo spazio disponibile nell’aeroporto (e in tal caso lo svolgimento del servizio deve essere affidato a soggetti scelti attraverso procedure competitive)

Per quanto concerne le attività commerciali svolte in aeroporto, l’ENAC, con la nota inviata alla direzioni aeroportuali il 16 luglio 2014, in coerenza con precedenti pronunce dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ha ricordato che l’affidamento da parte del gestore dello svolgimento di specifiche attività commerciali all’interno dell’aeroporto deve avvenire attraverso procedure ad evidenza pubblica.

Su questi aspetti si veda anche la segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del 3 dicembre 2014 relativa all’Aeroporto di Venezia (AS 1158).

 


 

Infrastrutture e servizi portuali

Nel settore portuale la segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato propone le seguenti iniziative:

§  maggiore separazione tra le funzioni di regolazione svolte dalle autorità portuali e le attività svolte nell’area portuale anche attraverso l’imposizione dell’effettiva dismissione delle partecipazioni di maggioranza nelle imprese portuali;

§  modifica della disciplina delle concessioni delle aree demaniali portuali in modo che la loro durata sia proporzionata ai servizi oggetto della concessione e agli investimenti effettuati, che cessino le concessioni affidate senza gara e che sia impedita la proroga delle concessioni in essere;

§  modifica della disciplina dei servizi tecnico-nautici in modo da assicurare:

1.   ove non diversamente giustificato da esigenze di sicurezza, la “concorrenza nel mercato” evitando l’affidamento di servizi in esclusiva;

2.   ove necessario la “concorrenza per il mercato”, affidando cioè mediante gara lo svolgimento dei servizi in esclusiva;

3.   l’applicazione del meccanismo del price cap per la determinazione delle tariffe;

§  concessione dei servizi di rimorchio ad una pluralità di operatori mediante gara.

L’attuale regolazione del settore portuale, disciplina dalla legge n. 84/1994 si fonda sulla separazione tra le funzioni di programmazione e controllo del territorio e delle infrastrutture portuali, affidate alle autorità portuali, e le funzioni di gestione del traffico e dei terminali, affidate ai privati, salva la proprietà pubblica dei suoli e delle infrastrutture. Con riferimento agli aspetti presi in considerazione dalla segnalazione, si ricorda che, in base all’articolo 16 della legge n. 84/1994 l’esercizio delle operazioni portuali, cioè quelle di carico, scarico, trasbordo, deposito e movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, è svolto da imprese private soggette ad autorizzazione dell'autorità portuale. L’art. 6, co. 6, della legge impedisce alle Autorità portuali la partecipazione a società che svolgano operazioni portuali, mentre consente la partecipazione a società esercenti attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati alle autorità medesime, anche ai fini della promozione e dello sviluppo dell'intermodalità, della logistica e delle reti trasportistiche

Inoltre, l’articolo 18 della legge n. 84/1994 rimette a un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che però non è stato mai emanato, la definizione della durata e del rinnovo delle concessioni.

La Commissioni Lavori pubblici e comunicazioni del Senato sta esaminando la proposta di legge S. 370 di riforma della legge n. 84/1994 che, tra le altre cose, prevede che la selezione per l'assegnazione delle concessioni di aree o banchine portuali alle imprese debba essere effettuata mediante procedura di evidenza pubblica; si prevede inoltre che la concessione possa essere prolungata di un terzo in ragione del programma di investimenti da effettuare.

Da ultimo, l'articolo 29 del decreto-legge n. 133/2014 (cd. "Sblocca Italia") prevede l'adozione con D.P.C.M., entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto, di un piano strategico nazionale della portualità e della logistica, che contempli anche la razionalizzazione, il riassetto e l'accorpamento delle autorità portuali esistenti

Trasporto ferroviario

Nel settore del trasporto ferroviario contenute l’Autorità garante della concorrenza e del mercato propone di modificare l’articolo 59 della legge n. 99/2009 nel senso di sopprimere:

§  la possibilità di imporre all’impresa concorrente dell’impresa titolare del contratto di servizio pubblico il pagamento di ulteriori compensazioni nel caso di “ulteriori compromissioni” dell’equilibrio economico del contratto di servizio pubblico;

§  la presunzione che non si dia luogo ad una compromissione dell’equilibrio economico quando le tariffe dell’impresa concorrente risultano del 20 per cento superiori di quelle dell’impresa titolare del contratto di servizio pubblico (presunzione che si traduce, osserva, l’Autorità, nell’impossibilità, per le imprese nuove entranti, di fare concorrenza sui prezzi).

L’assetto del sistema ferroviario italiano si fonda su una situazione di separazione tra gestione dell'infrastruttura ferroviaria e svolgimento del servizio, alla quale si è accompagnata la separazione societaria, all'interno dell'Holding Ferrovie dello Stato Spa, tra RFI, società titolare della concessione sessantennale (ai sensi del decreto ministeriale n. 138/T del 2000) della rete, e Trenitalia, società affidataria dei contratti di servizio pubblico nazionale ferroviario passeggeri e merci.

L’articolo 59 della legge n. 99/2009 prevede che il diritto per le imprese concorrenti dell’impresa titolare del contratto di servizio pubblico di far salire e scendere passeggeri nel trasporto ferroviario nazionale e internazionale possa essere sottoposto a limitazioni nei casi in cui il suo esercizio possa compromettere l'equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico. In alternativa alle limitazioni può essere richiesto il pagamento, da parte delle imprese, di diritti di compensazione (una volta pagati i diritti nuove limitazioni possono essere imposte solo nel caso si verifichino nuove ulteriori compromissioni dei contratti di servizio pubblico); non si dà comunque luogo a limitazioni o al pagamento di diritti di compensazione nel caso in cui le fermate intermedie siano poste a più di 100 km di distanza e le tariffe siano superiori di almeno il 20 per cento a quelle erogate dall'impresa titolare del contratto di servizio pubblico.

Razionalizzazione delle Società pubbliche

La revisione del settore dei servizi pubblici locali e, più in generale, la razionalizzazione delle società pubbliche partecipate dagli enti locali, sono ritenute dall’Autorità una delle priorità fondamentali per assicurare adeguati livelli di efficienza e di qualità dei servizi medesimi e per il rilancio dell’economia, in considerazione delle ricadute positive sulla competitività e sullo sviluppo dei sistemi economici locali.

La necessità rilevata dall’Autorità di una razionalizzazione delle imprese pubbliche locali è suffragata dai dati forniti, di recente, dal Ministero dell’economia e finanze e dalla Corte dei conti nelle specifiche analisi condotte sulle partecipate pubbliche[37], sulla base dei quali, l’Autorità sottolinea come, di regola - nel 94% dei casi – gli enti locali detengono partecipazioni in imprese attive prevalentemente nel settore terziario che, in oltre il 30% dei casi, hanno chiuso il bilancio di esercizio 2011 in perdita. Si stima, peraltro, che gli enti locali sopportino oneri per oltre 15 miliardi di euro per le società partecipate[38].

 

Nel settore delle società pubbliche partecipate dagli enti locali, l’Antitrust ha fatto alcune proposte che non risultano comprese nel presente disegno di legge.

Si tratta di proposte volte ad integrare o apportare correttivi alle disposizioni già vigenti in materia, introdotte in questi ultimi anni, finalizzate alla razionalizzazione del settore delle partecipate locali, sia per aumentarne la trasparenza che per ridurne il numero, anche allo scopo di un contenimento della relativa spesa.

Rispetto a luglio 2014 (data di pubblicazione delle segnalazioni dell’Antitrust), va peraltro rilevato che il Governo è ulteriormente intervenuto in materia con la legge di stabilità per il 2015 (art. 1, commi 611-614, legge n. 190/2014), definendo un nuovo processo di razionalizzazione delle società partecipate locali e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, da parte di regioni, province autonome, enti locali, camere di commercio, università, istituti di istruzione universitarie e autorità portuali con finalità di contenimento della spesa e di maggior efficienza dell’azione amministrativa. L’obiettivo del processo è ridurre il numero delle società entro il 31 dicembre 2015, sulla base di alcuni specifici criteri. Per raggiungere tale obiettivo si prevede la definizione e approvazione da parte degli organi di vertice delle amministrazioni interessate di un piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazione entro il 31 marzo 2015, che deve essere trasmesso alla Corte dei Conti, cui successivamente gli stessi organi di vertice trasmetteranno entro il 31 marzo 2016 una relazione con i risultati conseguiti. Con riferimento alle difficoltà di natura occupazionale che possono determinarsi a seguito del processo di riordino delle società pubbliche, si rinvia all’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 1, commi da 563 a 568-ter, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014), che disciplinano le procedure di mobilità di personale tra società partecipate dalle pubbliche amministrazioni ed il reimpiego del personale in esubero.

Le disposizioni contenute nella legge di stabilità 2015 fanno seguito all’adozione del piano di razionalizzazione delle società pubbliche locali previsto dall’articolo 23 del D.L. n. 66 del 2014 da parte del Commissario straordinario per la Spending review ad agosto 2014 (cosiddetto Rapporto Cottarelli[39]).

Fra le proposte, l’Antitrust sottolinea, con riferimento alle numerose disposizioni legislative che si sono succedute nel corso di questi ultimi anni, la necessità di un intervento di semplificazione normativa, finalizzato alla redazione di un unico testo normativo (l’Autorità parla della costituzione di uno “statuto unitario”), sia per esigenze di certezza del diritto decisive per l’operatività delle imprese interessate – le quali costituiscono un elemento spesso imprescindibile nella crescita e nello sviluppo economico del Paese, operando in settori strategici, quali energia, trasporti, infrastrutture – sia per eliminare restrizioni alla concorrenza.

Riguardo all’esigenza di razionalizzazione delle società pubbliche che gestiscono servizi pubblici locali e di incremento dell'efficienza della gestione, l’Autorità suggerisce di estendere anche alle società pubbliche che gestiscono servizi pubblici locali l’obbligo di procedere alla loro dismissione, qualora registrino perdite di bilancio, prevedendo altresì una riduzione del numero degli esercizi in perdita attualmente previsto nell’articolo 1, comma 555, della legge n. 147 del 2013. La possibilità di procedere al ripianamento delle perdite dovrebbe essere, inoltre, ammessa solo ove la decisione dell’autorità pubblica risponda ai criteri che avrebbe adottato un normale operatore di mercato nelle stesse circostanze.

L’Autorità ritiene, infine, necessario - per superare la diffusa inefficienza che caratterizza la gestione di molte società pubbliche - prevedere, in ogni caso, il divieto di rinnovare gli affidamenti in essere, con particolare riferimento a quelli in house, alle società pubbliche che registrano perdite di bilancio per un numero di esercizi analogo a quello previsto per l’obbligo di dismissione, o che forniscono beni e servizi a prezzi superiori a quelli di mercato.

Servizi pubblici locali

Nell’ambito della disciplina generale dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, l’Autorità ha segnalato la necessità di introdurre strumenti per agevolare la verifica del rispetto delle previsioni che impongono agli enti affidanti di adeguare le gestioni dei servizi non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea entro il 31 dicembre 2014.

A tale riguardo, in particolare, ha suggerito modifiche alla disciplina vigente sulla relazione che gli enti affidanti sono tenuti a predisporre per motivare le scelte in merito alla modalità di affidamento prescelta (art. 34, commi 20 e 21, D.L. 179/2012), in modo che contenga, oltre a quanto già previsto: un’analisi dettagliata delle ragioni che giustificano il modello prescelto; l’evidenziazione dei benefici per la collettività in termini di efficienza della gestione del servizio; le caratteristiche e la struttura dei mercati interessati e degli operatori presenti (con eventuale benchmark di costo per la fornitura dei servizi).

Il disegno di legge in esame non introduce norme al riguardo, né la relazione di accompagnamento dà conto della mancata risposta a questa indicazione. Sulla materia, tuttavia, sono intervenute le novità introdotte dalla legge di stabilità 2015 (art. 1, co. 609, L. n. 190/2014), che ha chiarito la portata e il ruolo della citata relazione, stabilendo che essa, oltre a dare conto della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta, deve recare le ragioni dell’affidamento con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché ricomprendere un piano economico finanziario che, fatte salve le disposizioni di settore, contenga anche la proiezione, per il periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, con la specificazione, nell’ipotesi di affidamento in house, dell’assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell’ammontare dell’indebitamento da aggiornare ogni triennio. Con il medesimo intervento di riforma, inoltre, è stato chiarito che la redazione della relazione è compito degli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali o omogenei in cui devono essere organizzati i SPL, ai quali gli enti locali sono tenuti obbligatoriamente a partecipare.

Trasporto pubblico locale

Nel settore del trasporto pubblico locale le proposte contenute nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato attengono a due ambiti di intervento. Il primo volto a favorire la “concorrenza nel mercato”, il secondo la “concorrenza per il mercato”.

Con riferimento al primo ambito, viene in particolare proposto che imprese diverse da quella concessionaria del servizio pubblico possano fornire servizi di trasporto locale passeggeri anche in sovrapposizione alle linee gestite in esclusiva (con particolare riferimento a servizi di carattere commerciale come i trasporti turistici e i collegamenti da/per le infrastrutture portuali, aeroportuali e ferroviarie), con eventuale pagamento di diritti all’ente pubblico concedente nel caso l’apertura alla concorrenza possa compromettere l’equilibrio economico dell’impresa concessionaria del servizio con conseguente aumento dei corrispettivi per gli oneri del servizio pubblico (in analogia a quanto previsto per il trasporto ferroviario dall’articolo 59 della legge n. 99/2009).

 

 

 

 

Con riferimento alla promozione della “concorrenza per il mercato”, l’Autorità propone:

§  l’abrogazione dell’articolo 61 della legge n. 99/2009 che ha ampliato, attraverso il richiamo ad alcune fattispecie previste dal regolamento (CE) n. 1370/2007, la possibilità di affidamenti diretti nel settore;

§  la modifica dei criteri di ripartizione del Fondo nazionale per il finanziamento del trasporto pubblico locale (art. 16-bis del DL n. 95/2012) in modo premiare le regioni che abbiano effettuato gare nel loro territorio e ridurre le risorse destinate alle regioni che non abbiano proceduto all’affidamento mediante gara;

§  la modifica dell’articolo 3-bis del DL n. 138/2011 in modo da escludere che una definizione troppo ampia degli ambiti territoriali ottimali per lo svolgimento dei servizi di TPL possa pregiudicare la più ampia partecipazione dei soggetti economici;

§  soppressione dell’articolo 1, comma 556, della legge di stabilità 2014 (L. n. 147/2013) che interdice la partecipazione alle gare per gli affidamenti del trasporto pubblico locale alle imprese già titolari di affidamenti non conformi al regolamento (CE) n. 1370/2007 la cui durata ecceda il 3 dicembre 2019;

§  l’introduzione nell’art. 18 del decreto legislativo n. 422/1997 dell’obbligo di cessione al nuovo gestore di un servizio di trasporto pubblico locale del materiale necessario per l’espletamento del servizio, dei beni strumentali e delle relative pertinenze proprietarie, a fronte di una corresponsione economica da parte del subentrante pari al valore contabile non ancora ammortizzato al netto di eventuali contribuzioni pubbliche, noto prima dell’espletamento della gara.

Si ricorda che l'articolo 61 della legge n. 99/2009 ha attenuato, per il trasporto pubblico locale, il principio dell'obbligo di affidamento dei servizi con procedure concorsuali, stabilito originariamente dall'articolo 18 del decreto legislativo n. 422/1997, attraverso la facoltà, concessa alle autorità competenti, di aggiudicare direttamente i contratti di servizio, anche in deroga alla disciplina di settore, in attuazione di specifiche previsioni del regolamento (CE) n. 1370/2007. In materia merita poi ricordare che:

§  l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138/2011 ha rimesso alle regioni e alle province autonome la definizione, entro il 30 giugno 2012, del perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da massimizzare l'efficienza dei servizi pubblici locali (l'articolo 13 del decreto-legge n. 150/2013 ha prorogato il termine al 31 dicembre 2014).

§  l'articolo 34 del medesimo decreto-legge n. 179/2012 ha previsto l'obbligo per gli affidamenti in essere di adeguarsi ai requisiti previsti dalla normativa europea entro il termine del 31 dicembre 2013 (l'articolo 13 del decreto-legge n. 150/2013 ha prorogato il termine al 31 dicembre 2014).

 

Il DEF 2015 annuncia la predisposizione di un disegno di legge di riforma del trasporto pubblico locale volto a razionalizzare l’erogazione dei sussidi nel settore ed a garantire che gli affidamenti avvengano con procedure competitive (mentre gli affidamenti in house dovrebbero rappresentare una categoria residuale). In materia la IX Commissione della Camera ha avviato l’esame delle proposte di legge CC. 2313, 2443 e 2594.

Trasporto passeggeri non di linea

Nel settore del trasporto pubblico non di linea le proposte contenute nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato intendono rimuovere gli elementi di discriminazione competitiva tra servizio taxi e servizio di noleggio con conducente (NCC), anche in considerazione dell’evoluzione tecnologica che ha consentito l’affermazione di nuove piattaforme on line per agevolare la comunicazione tra offerta e domanda. A tal fine l’Autorità propone:

§  l’abrogazione dell’obbligo (articoli 3 e 11 della legge n. 21/1992) dell’obbligo di ricezione presso la rimessa della prenotazione di trasporto per il servizio NCC;

§  l’abrogazione dell’obbligo, per il conducente NCC, di disporre di una sede di una rimessa o di un pontile di attracco situati nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione (art. 8 della legge n. 21/1992).

Gli obblighi richiamati sono stati in realtà introdotti nella legge n. 21/1992 dall’art. 29, comma 1-quater, del decreto-legge n. 207/2008 e non hanno trovato di fatto applicazione in assenza del regolamento attuativo. Il termine per l'emanazione di tale regolamento attuativo, che in forza della previsione contenuta nell'articolo 2 del decreto-legge n. 40/2010 dovrà contenere anche una generale revisione dei principi fondamentali in materia di autotrasporto pubblico non di linea (taxi), è stato più volte prorogato e da ultimo fissato al 31 dicembre 2015.

Il DEF 2015 prevede che l’annunciato disegno di legge di riforma del trasporto pubblico locale affronti anche “con spirito di apertura al mercato” il tema del trasporto pubblico non di linea e dei servizi legati alla mobilità innovativa e alla sharing economy (la IX Commissione della Camera ha avviato l’esame della proposta di legge C. 2436 in materia di car sharing).

Rifiuti

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella segnalazione AS 1137, sottolinea la necessità di intervenire sulla definizione dei criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti solidi urbani e sulla procedura di autorizzazione dei sistemi autonomi alternativi al sistema consortile.

L’Autorità ribadisce altresì la necessità di regolarizzare le modalità di affidamento dei servizi, al fine di minimizzare i costi nonché massimizzare i ricavi ottenibili dalla valorizzazione del materiale raccolto, rinviando in proposito alle proposte di carattere generale formulate con riferimento alla materia dei servizi pubblici locali.

Con riferimento agli aspetti considerati, che non sono trattati dal disegno di legge C. 3012, l’autorità osserva quanto segue:

§  in merito alla definizione dei criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti solidi urbani, la segnalazione dell’Autorità evidenzia che la gestione in esclusiva di rifiuti solidi urbani (RSU) consente di raccogliere anche i rifiuti speciali, sottraendo quote di fatturato alla libera iniziativa economica.

La disciplina vigente del cd. Codice dell’ambiente (art. 198, comma 2, lettera g), del D.Lgs. 152/2006) affida ai comuni il compito di regolamentare l'assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri definiti con apposito decreto del Ministro dell'ambiente, d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico (art. 195, comma 2, lettera e), del d.lgs. 152/2006). Nelle more dell’emanazione di tale decreto ministeriale, a tutt’oggi non emanato dal Ministero dell’ambiente (nonostante tale Ministero sia già stato sollecitato a farlo dalla stessa Autorità con la segnalazione A.S. 922 del 29 marzo 2012), si applicano le disposizioni della deliberazione interministeriale del 27 luglio 1984.

Il D.L. 6 marzo 2014, n. 16, inoltre, con l’articolo 2, comma 1, lettera e), ha modificato il comma 649 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013) stabilendo tra l’atro che ogni Comune, con proprio regolamento, individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive ai quali si estende il divieto di assimilazione.

Secondo la segnalazione A.S. 1137 dell’Autorità, la disposizione contenuta nel citato comma 649 attribuisce ai Comuni un’ampia discrezionalità nell’individuare i rifiuti cui si applica il divieto di assimilazione rendendo ancor più gravi le conseguenze del ritardo dell’amministrazione centrale dello Stato nella elaborazione dei criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali ai RSU.

Per questi motivi l’Autorità, nella segnalazione AS 1137, ritiene necessario che il Ministero dell’ambiente provveda ad emanare il decreto per l’individuazione dei criteri per l’assimilazione e che, inoltre, venga modificato il comma 649 dell’art. 1 della legge 147/2013, al fine di eliminare la disposizione che attribuisce ampia discrezionalità ai Comuni nell’individuare i rifiuti cui si applica il divieto di assimilazione.

§  in merito alla procedura di autorizzazione di sistemi autonomi alternativi al sistema dei consorzi nazionali per la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, l’Autorità ritiene necessario garantire pari condizioni di accesso ed esercizio dell’attività ai sistemi di recupero e riciclo non organizzati in forma consortile (c.d. sistemi di raccolta autonomi).

La vigente disciplina, contenuta nel d.lgs. 152/2006) prevede che i produttori e gli utilizzatori partecipino al Consorzio nazionale imballaggi (CONAI) o aderiscano ad uno dei consorzi per ciascun materiale di imballaggio (c.d. consorzi di filiera). In via alternativa l’art. 221 del D.Lgs. 152/2006 consente l’organizzazione di un sistema autonomo, anche in forma collettiva, per la gestione dei propri rifiuti di imballaggio sull'intero territorio nazionale (lettera a) del comma 3) oppure l’attivazione di un sistema di restituzione dei propri imballaggi (lettera c) del comma 3). La possibilità di attuare tali forme di gestione alternative a quella consortile è sottoposta al previo riconoscimento da parte del Ministero dell'ambiente, secondo la procedura delineata dal comma 5 del citato art. 221, che prevede l’acquisizione dei “necessari elementi di valutazione forniti dal Consorzio nazionale imballaggi”.

Nel dettaglio, l’Autorità auspica una modifica dell’art. 221, commi 3, lettera a) e 5, del D.Lgs. n. 152/2006, al fine di:

§  affidare le procedure di autorizzazione dei sistemi autonomi a soggetti caratterizzati da terzietà (l’Autorità fa l’esempio dell’ISPRA) e, dunque, escludere il coinvolgimento del CONAI, considerato che, ad avviso dell’Autorità, appare di tutta evidenza che il CONAI si trovi a svolgere tale ruolo in una situazione di conflitto di interesse;

In merito a tale questione, nell’ambito dell’istruttoria avviata nel luglio 2014 dall’Autorità in merito al sistema consortile, il CONAI e il COREPLA hanno assunto l’impegno di attribuire ad un soggetto terzo il compito di formulare “i necessari elementi di valutazione” di cui all’art. 221, comma 5 del d.lgs. 152/2006.

§  rendere meno rigidi i vincoli imposti a tali sistemi autonomi, consentendo agli stessi di soddisfare gli obiettivi minimi di riciclo anche attraverso la gestione di rifiuti di produttori non aderenti a quel sistema, nonché evitando di imporre ai sistemi autonomi l’obbligo di copertura nazionale. Tale obbligo, infatti, secondo l’Autorità, richiede la disponibilità di capillari reti di raccolta potenzialmente sovradimensionate rispetto alle effettive esigenze, traducendosi in costi di ingresso nel mercato non giustificati da obiettivi di tutela ambientale. Le aree la cui copertura può risultare non economicamente vantaggiosa potrebbero essere raggiunte, secondo l’Autorità, da CONAI o da altro soggetto incaricato di svolgere tale servizio pubblico.


 

Il progetto di legge “Macron”
sulle liberalizzazioni in Francia


Il progetto di legge per la crescita, l’attività e l’uguaglianza delle opportunità economiche (il cosiddetto Projet de loi “Macron”)

 

 

In Francia l’11 dicembre 2014 è stato presentato dal Governo all’Assemblea nazionale (AN), il projet de loi pour la croissance et l’activité (projet n. 2447), elaborato su iniziativa del Ministro dell’economia, Emmanuel Macron. Il Governo ha richiesto di adottare la “procedura accelerata” per l’esame del testo (cfr. art. 45, c. 2, Cost.), che è stata accolta. In particolare, in base a tale procedura, il Governo può convocare una “commissione mista paritetica” (composta da 7 deputati e 7 senatori) che elabori un testo comune di compromesso, dopo una sola lettura del testo da parte di ciascuna camera. Il testo è poi sottoposto alle camere per l’approvazione finale, e qualora esse non accettino le soluzioni di compromesso proposte, il Governo può richiedere all’Assemblea nazionale di decidere in via definitiva.

Il projet de loi pour la croissance et l’activité è stato assegnato per l’esame in sede referente ad una commissione speciale dell’Assemblea nazionale, composta da deputati di diverse commissioni permanenti ed è stato adottato dall’Assemblea il 19 febbraio 2015, dopo che il Governo ha posto la questione di fiducia sull’approvazione del testo secondo la specifica procedura posta dall’art. 49, comma 3, della Costituzione. L’articolo 49, comma 3, della Costituzione prevede che il Primo ministro possa impegnare la responsabilità del Governo dinnanzi all’AN sulla votazione di un testo. In tal caso il progetto si considera adottato salvo che una mozione di sfiducia (motion de censure), presentata entro 24 ore e votata nei termini stabiliti dall’art. 49, c.2, Cost., non venga approvata. Nel caso specifico 111 deputati hanno presentato la motion de censure il 17 febbraio 2015 che è stata votata e respinta il 19 febbraio 2015.

Il progetto di legge è stato quindi trasmesso al Senato ed assegnato anche in questo ramo del Parlamento, ad una commissione speciale che ha concluso l’esame del progetto (projet n. 300) il 25 marzo 2015. L’esame in Aula del progetto è iniziato il 7 aprile 2015 ed è proseguito fino al 17 aprile, con l’approvazione di alcuni articoli - cfr. Petite Loi (articles déjà examinés)-. L’esame in Aula del testo proseguirà nelle sedute del 4, 5, 6, 7 e 12 maggio 2015 (Cfr. iter del progetto di legge sul sito del Senato: dossier législatif).

 

Il projet de loi è suddiviso in quattro titoli: Il Titolo I (Libérer l’activité) reca misure di liberalizzazione in alcuni settori (da art.1 a art. 25); il Titolo II (Invéstir) concerne alcune misure di semplificazione per favorire gli investimenti nell’ambito dell’edilizia e in altri ambiti, nonché misure per promuovere forme di partecipazione azionaria dei dipendenti di un’impresa (da art. 26 a art. 70); il Titolo III (Travailler) reca alcune modifiche al Codice del lavoro e ridefinisce in particolare le regole sul “riposo domenicale”, prevedendo che i sindaci possano concedere dodici “domeniche eccezionali di apertura” all’anno ai titolari di esercizi commerciali (da art. 71 a art.104); il Titolo IV riguarda le disposizioni finali (da art. 105 a art.106).

 

Con riferimento al tema delle liberalizzazioni, gli articoli del testo legislativo approvato fino ad oggi al Senato (Petite Loi (articles déjà examinés), contenuti nel Titolo I, stabiliscono in primo luogo alcune misure nel settore dei trasporti (artt. 1-8). In particolare, in tale ambito, è prevista la costituzione di una nuova autorità amministrativa indipendente: l’Autorité de régulation des activités des services et infrastructures de transport terrestre, che sostituisce l’attuale Autorité de régulation des activités ferroviaires. La nuova Autorità, le cui missioni sono disciplinate dal Codice dei trasporti (Code des transports), dovrebbe avere competenze di regolazione non solo nell’ambito del trasporto ferroviario, come aveva la precedente autorità, ma anche nel settore del trasporto stradale interurbano e del trasporto in autostrada. (Cfr. le proposte di modifica dell’ art. L2131-1 e ss. del Codice dei trasporti, ai sensi dell’ art. 1 del progetto di legge). Il testo legislativo prevede inoltre che le imprese del trasporto pubblico stradale possano organizzare servizi di trasporto interurbano nella regione Île-de-France, in cui si trova la capitale Parigi. A tal fine il provvedimento prevede di iscrivere nel Codice dei trasporti la nuova sezione “Servizi liberamente organizzati” in cui è specificata la nuova facoltà riconosciuta alle imprese di trasporto pubblico locale di assicurare in tale regione, previo parere conforme dell’Autorità indipendente sopra richiamata, alcuni servizi interurbani (cfr. le proposte di introduzione dei nuovi articoli L3111-17 e ss. del Codice dei trasporti ai sensi dell’art. 2 del progetto). Il testo stabilisce anche che il Governo è autorizzato a disporre, mediante ordinanze, ai sensi dell’art. 38 Cost., nuove misure in materia di istituzione e gestione delle “stazioni degli autobus dei viaggiatori” (gares routières de voyageurs), sul modello delle stazioni ferroviarie e altre misure per favorire lo sviluppo di poli urbani, regionali, nazionali e internazionali di trasporti (art. 4 del progetto).

Con il provvedimento all’esame sono inoltre proposte alcune modifiche al Codice della strada (Code de la voie routière). In particolare il progetto propone di introdurre quattro nuove sezioni nel Capitolo II (dedicato alle autostrade), del Titolo II (Strade nazionali) del Codice della strada –parte legislativa- (art. 5 del progetto). Le nuove sezioni proposte sono: la sezione 3, dedicata alla “regolazione delle tariffe di pedaggio”, in cui sono in particolare chiariti i compiti in materia della nuova Autorità indipendente sopra richiamata (nuovo art. L122-7 e ss. del Codice della strada); la sezione 4, riguardante la “regolazione delle gare di appalto per lavori, forniture e servizi organizzate da un concessionario di una rete autostradale” (nuovo art. L122-10 e ss. del Codice della strada); la sezione 4 bis, dedicata alla “regolazione dei contratti che regolano le strutture ausiliarie” a carattere commerciale presenti in una rete autostradale, stipulati dal concessionario di una di tali reti con un’impresa terza (nuovo art. L122-17-1 e ss. del Codice della strada); la sezione 5, concernente le disposizioni relative ai poteri di controllo dell’Autorità indipendente sopra richiamata sulla gestione delle reti autostradali (nuovo art. L122-19 e ss. del Codice della strada).

 

In secondo luogo, in materia di liberalizzazioni, il progetto di legge pone alcune nuove competenze in capo all’Autorità per la concorrenza (Autorité de la concurrence- ADLC-), recando modifiche al Codice del commercio (Code de commerce). In particolare, il testo legislativo stabilisce che l’ADLC possa esprimere alcune “preoccupazioni di concorrenza” nei confronti di operatori commerciali (imprese o gruppi di imprese), che gestiscono uno o più negozi per la vendita al dettaglio, che si trovano in posizione dominante, ossia detengono una parte del mercato superiore al 50 % in un determinato settore e impongono dei prezzi alle merci in vendita “anormalmente elevati” rispetto ai prezzi posti su merci simili da altri operatori. L’impresa o il gruppo di imprese che ricevono le indicazioni sulle “preoccupazioni di concorrenza” dell’Autorità possono presentare entro un termine stabilito le proprie osservazioni in merito per giustificare i prezzi stabiliti sulle merci. Qualora l’Autorità ritenga tali giustificazioni insufficienti può richiedere, mediante decisione motivata, che l’impresa o il gruppo di imprese provvedano a modificare gli atti che hanno determinato i prezzi anormalmente elevati delle loro merci nel settore di mercato interessato. L’Autorità può inoltre stabilire che l’impresa o il gruppo di imprese sia tenuta a cedere alcune sue attività e può disporre sanzioni nei confronti delle imprese qualora non rispettino gli obblighi imposti. (Cfr. nuovo art. L752-26 del Codice del commercio, come risulterebbe modificato dall’art. 11 del progetto).

 

In terzo luogo, sempre in materia di liberalizzazioni, il testo reca alcune misure relative all’esercizio delle professioni legali e dei periti contabili (artt. 12-21).

In particolare, il progetto prevede la creazione di un nuovo “codice dell’accesso al diritto e dell’esercizio del diritto”, che dovrebbe riunire le disposizioni legislative e regolamentari relative, da una parte, all’assistenza legale e all’accesso al diritto e, dall’altra, all’esercizio del diritto da parte delle diverse professioni legali (art.12 del progetto ).

Inoltre, il progetto dispone nuovi principi per la fissazione e la revisione delle tariffe per le prestazioni di alcune figure professionali regolamentate: quelle degli ufficiali ministeriali addetti alle aste giudiziarie di beni mobili(commissaires-priseurs judiciaires); dei cancellieri dei tribunali di commercio (greffiers de tribunal de commerce); degli ufficiali giudiziari (huissiers de justice); degli amministratori giudiziari (administrateurs judiciaires); dei commissari giudiziali (mandataires judiciaires); dei notai (art. 12 del progetto ).

Il testo legislativo, recando modifiche alla legge n. 71-1130 del 31 dicembre 1971, propone poi che gli avvocati possano difendere (postuler) una causa presso tutti i tribunali ordinari (Tribunaux de grande instance) della giurisdizione della Corte d’appello in cui hanno stabilito la propria sede legale (résidence professionnelle) e presso la stessa Corte di appello. Il progetto prevede inoltre che, salvo in caso di urgenza o forza maggiore, gli avvocati siano tenuti a concludere con i propri clienti specifici “accordi di pagamento” (convention d’honoraires) per iscritto. Tali accordi dovranno specificare l’importo e le modalità di pagamento degli onorari e di altri rimborsi dovuti all’avvocato per le prestazioni di assistenza legale (art. 13 del progetto).

Il provvedimento stabilisce anche le condizioni di libero esercizio della professione da parte di notai, ufficiali giudiziari, ufficiali ministeriali addetti alle aste giudiziarie di beni mobili in alcune zone in cui appare utile rafforzare l’offerta di servizi. Tali zone sono determinate dal Ministero della giustizia, previo parere dell’Autorità della concorrenza (art.13 bis del progetto).

Il testo legislativo propone anche alcuni cambiamenti all’organizzazione del notariato, recando modifiche alla loi 25 ventôse an XI che disciplina la materia. In particolare, il progetto propone che la nomina di un notaio, la creazione, il trasferimento o la soppressione di un ufficio notarile siano disposti mediante decreto del Ministro di giustizia. Il progetto prevede inoltre che i notai cessino le loro funzioni all’età di 72 anni. Su autorizzazione del Ministro di giustizia possono continuare ad esercitare la professione fino al giorno di insediamento del loro successore (art.14 del progetto).

Con il progetto si intende poi autorizzare il Governo a disciplinare, mediante ordinanza, la nuova figura del “commissario di giustizia” che dovrebbe riunire le figure dell’ufficiale giudiziario e dell’ufficiale ministeriale addetto alle aste giudiziarie di beni mobili (art. 20 del progetto).

Il provvedimento propone anche che il Governo sia autorizzato a disporre, mediante ordinanza, nuove condizioni di esercizio della professione di perito contabile, in linea con le disposizioni in materia presenti nella direttiva 2013/55/UE del 20 novembre 2013, che si intende recepire (art.21 del progetto).

Il progetto stabilisce inoltre che il Governo sia autorizzato ad emanare, mediante ordinanza, misure per favorire la creazione di “società inter-professionali” che associno diversi operatori del diritto: avvocati; notai, ufficiali ministeriali addetti alle aste giudiziarie di beni mobili (commissaires-priseurs judiciaires); ufficiali giudiziari (huissiers de justice), (art. 21 del progetto).



[1]     Foro economico mondiale, The Global Competitiveness Report 2014-2015:

http://reports.weforum.org/global-competitiveness-report-20142015/rankings/#indicatorId=GCI.B.06

[2]     Fondo monetario internazionale, “Italy. 2012 Article IV Consultation”, Imf, Country Report, n. 12/167, 2012. http://bit.ly/NfVacp

[3]     La Commissione Europea ha approvato il 2 giugno 2014 le raccomandazioni di politica economica e di bilancio per ciascun Paese dell’UE, che il successivo 8 luglio sono poi state approvate dal Consiglio ECOFIN, anche sulla base degli orientamenti espressi dal Consiglio Europeo del 26-27 giugno. Per l’Italia è intervenuta, sulla base della Raccomandazione della Commissione COM (2014) 413 final, la Raccomandazione 2014/C 247/11 da parte del Consiglio ECOFIN.

[4]     A seguito dell’approvazione, in data 23 aprile 2015, della risoluzione n. 6-00136, con la quale è stato approvato il DEF 2015, il disegno di legge risulta collegato alla manovra di finanza pubblica.

[5]     Tale obiettivo non è stato concretizzato in una proposta dell’Antitrust e non rientra nell’ambito del DDL Concorrenza: nella relazione governativa si afferma che si è ritenuto di dovere maggiormente approfondire l’argomento per le implicazioni di notevole rilievo che essa comporta sull’attuale assetto organizzativo. Si segnala al riguardo che la norma era contenuta nell’articolo 8 del decreto-legge n. 145 del 2013, soppresso nel corso dell’esame parlamentare del ddl di conversione.

[6]     Inserita nel decreto-legge n. 144/2005 dal decreto-legge n. 179/2012.

[7]     Legge 20 novembre 1982, n. 980, recante appunto notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari.

[8]     Che appunto disciplina la notificazione delle violazioni del codice della strada.

[9]     Il testo dell’articolo 2, come da ultimo sostituito dal decreto legislativo n. 68/2011, fa ancora riferimento alla previsione della costituzione di un’apposita Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale; la previsione della costituzione dell’Agenzia è stata però soppressa dall’articolo 21 del decreto-legge n. 201/2011 e le sue competenze trasferite all’AGCOM.

[10]   Su questi aspetti si rinvia al focus le agevolazioni postali per l’editoria, sul sito della Camera, nella sezione dedicata ai temi dell’attività parlamentare.

[11]   Oltre alla Strategia, il pacchetto si compone, di una comunicazione riguardante il raggiungimento dell'obiettivo del 10% di interconnessione elettrica entro il 2020 (COM(2015)82) e di un’ulteriore comunicazione "Il Protocollo di Parigi” (COM(2015)81) preparatoria della Conferenza di Parigi del dicembre 2015, in materia di lotta ai cambiamenti climatici.

[12]   D.L. 25/06/2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

[13]   D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581, Regolamento di attuazione dell' art. 8 della L. 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di istituzione del registro delle imprese di cui all'art. 2188 del codice civile.

[14]   Legge 24 novembre 2000, n. 340, Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999.

[15]   D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581, Regolamento di attuazione dell' art. 8 della L. 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di istituzione del registro delle imprese di cui all'art. 2188 del codice civile.

[16]   "Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza".

[17]   "Interventi urgenti per l'economia".

[18]   D.L. 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

[19]   L. 12 novembre 2011, n. 183, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012).

[20]   Per poter utilizzare la denominazione “società tra professionisti”, la società deve prevedere nell’atto costitutivo i seguenti requisiti: a) esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci; b) possono assumere la qualifica di socio soltanto i professionisti iscritti ad ordini, albi o collegi, nonché i cittadini di Stati membri dell’UE in possesso del titolo di studio abilitante all’esercizio della professione; sono peraltro ammessi soci non professionisti per lo svolgimento di prestazioni tecniche ovvero per finalità di investimento; c) definizione di modalità tali da garantire che la singola prestazione professionale sarà eseguita dai soci in possesso dei requisiti e che l’utente possa scegliere all’interno della società il professionista che dovrà seguirlo o, in mancanza di scelta, riceva preventiva comunicazione scritta del nominativo del professionista; d) definizione di modalità che garantiscano che il socio radiato dal proprio ordine professionale sia anche escluso dalla società.

[21]   D.M. 8 febbraio 2013, n. 34, Regolamento in materia di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, ai sensi dell'articolo 10, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183.

[22]   Legge 11 febbraio 1994, n. 109, Legge quadro in materia di lavori pubblici.

[23]   Legge 18 novembre 1998, n. 415, Modifiche alla L. 11 febbraio 1994, n. 109, e ulteriori disposizioni in materia di lavori pubblici.

[24]   In particolare, si ricorda la sentenza 17 dicembre 2013 del Tribunale di Torino (R.G. 16411 del 2011), nella controversia Edilrivoli 2006 v. Me Studio rea s.r.l.

[25]   D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 24 marzo 2012, n. 27.

[26]   L. 2 aprile 1968, n. 475, Norme concernenti il servizio farmaceutico.

[27]   Per approfondimenti si rinvia al Tema dell’attività parlamentare sulla distribuzione del gas e le gare d’ambito, curato dal Servizio Studi.

[28]   Sul punto, Arnaudo, Luca, Il patent linkage nel settore farmaceutico e nell’ordinamento italiano, 2015 e Indagine conoscitiva sulle gare per la fornitura di farmaci, Direzione Generale Vigilanza Servizi e Forniture dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, Aprile 2011.

[29]   AGCM, segnalazione AS988 del 2 ottobre 2012.

[30]   D.L. 13 settembre 2012, n. 158, Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute, convertito in legge 8 novembre 2012, n. 189.

[31]   D.L. 6 luglio 2012, n. 95, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.

[32]   D.L. 31 maggio 2010, n. 78, Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

[33]   D.Lgs. 30/12/1992, n. 502, Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.

[34]   D.L. 24 giugno 2014, n. 90, Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114.

[35]   D.L. 6 luglio 2011, n. 98, Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111.

[36]   Vale a dire i servizi finalizzati a fornire assistenza a terra a terzi , vettori, utenti di aeroporto.

[37]   La Corte dei conti ha presentato nel giugno 2014 la Relazione sugli Organismi partecipati dagli enti territoriali, ai sensi dell'art. 7, co. 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131; l’indagine muove dagli organismi censiti nella banca dati SIQUEL della Corte dei conti, di cui sono stati esaminati i dati di bilancio anche al fine di ricostruire i flussi finanziari con i soggetti pubblici partecipanti/controllanti. Nel sistema SIQUEL, al 18 aprile 2014, risultano censiti n. 7.472 organismi, di cui 6.386 in attività (la restante parte è costituita da enti cessati o in liquidazione).

Il Dipartimento del Tesoro ha pubblicato nel luglio 2014 un Rapporto sulle partecipazioni detenute dalle Amministrazioni Pubbliche al 31 dicembre 2012. Il Rapporto fornisce una articolata mappatura del numero e delle caratteristiche delle società, facendo seguito al precedente rapporto relativo all'anno 2011, nel quale si dava anche conto dello stato di "salubrità" degli asset pubblici in quanto, si affermava, essi possono giocare un ruolo importante per il contenimento del deficit, per la riduzione del debito pubblico e contribuire alla crescita economica del Paese. Il numero di società partecipate dalle pubbliche amministrazioni ammonta nel 2012 a 8.146, con un aumento di circa 800 unità rispetto all'anno precedente; di tale numero, la gran parte concerne le partecipate dalle amministrazioni locali, pari a poco più di 7.700 unità, cui seguono circa 420 società cui partecipano le amministrazioni centrali, mentre le restanti unità fanno riferimento agli enti di previdenza e ad altre particolari tipologie di amministrazioni. Quanto al numero e natura delle partecipazioni, quelle dirette sono circa 29 mila, e quelle indirette circa 8.800.

[38]   Quanto alla redditività delle partecipazioni delle amministrazioni locali, l'analisi condotta dal MEF nel Rapporto relativo al 2011 è relativa a 6.151 società: il 47% di esse ha chiuso il bilancio di esercizio 2011 in utile, il 20% in pareggio, il 33% in perdita, ma, viene rilevato nel Rapporto i risultati negativi sono mediamente più rilevanti di quelli positivi. In termini di valore, le perdite complessive delle società partecipate dalle amministrazioni locali (calcolate pro quota, vale a dire quale risultato attribuibile alle amministrazioni per quota di partecipazione dichiarata), ammontano a 2,2 miliardi di euro circa, a fronte di utili complessivi di 1,4 miliardi.

[39]   Il cosiddetto Rapporto Cottarelli recante: “Programma di razionalizzazione delle partecipate locali”, è stato presentato il 7 agosto 2014. Il Rapporto ha evidenziato, da un lato, che il fenomeno delle società partecipate dalle amministrazioni locali ha raggiunto numeri molto elevati, con circa 7.700 società di dimensioni talvolta assai ridotte e operanti spesso in perdita, con effetti negativi sia per il bilancio delle amministrazioni proprietarie che per la collettività che usufruisce di servizi inefficienti; dall’altro, ha messo in luce, con particolare riferimento al settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che attualmente vi sono circa 1.800 società che operano nei comparti energetico, idrico, dei rifiuti e del trasporto pubblico locale, il cui assetto proprietario, in larga prevalenza costituito da aziende partecipate da enti pubblici territoriali, risulta essere troppo frammentato e di conseguenza non permette la realizzazione dei programmi di investimento adeguati, i quali esigono ingenti capitali cui solo attraverso grandi dimensioni d’impresa è possibile far fronte.

Il Commissario ha utilizzato i dati forniti dal Tesoro per analizzare le 7.726 società partecipate dalle amministrazioni locali. Secondo le sue rilevazioni, i servizi pubblici di rilevanza economica a rete (in particolare, elettricità, acqua, gas, rifiuti, trasporto) rappresentano il 23% del numero totale delle società e il 60% del valore della produzione. Ammonta invece al 42% il numero delle società che svolgono servizi pubblici privi di rilevanza economica, mentre il 13% svolge servizi strumentali per l'ente pubblico di riferimento. Il 22% svolge attività di vendita di beni e servizi in mercati concorrenziali.

Nel 2012 le perdite lorde delle partecipate censite sono state di circa 1.200 mln. Si rilevano perdite in quasi tutti i settori anche se risultano particolarmente elevate, in valore assoluto, per il trasporto pubblico (con perdite eccedenti i 300 mln, di cui la metà sono relative all’ATAC di Roma). Altri settori con perdite elevate (superiori al 20 percento) rispetto al capitale investito sono l’informatica, i servizi amministrativi, le società di trasformazione urbana (STU), le multiutility e il turismo.

Secondo il Commissario, vi sono poi perdite non palesi finanziate da contratti di servizio e trasferimenti in conto corrente e conto capitale. I contratti di servizio e gli altri trasferimenti – che, sulla base di dati SIOPE, ammontavano nel 2012 a circa 16.500 mln per l’intero settore – compensano le partecipate per un servizio reso e quindi sarebbe errato, come alcuni fanno, assumere che un risparmio corrispondente potrebbe emergere dalla soppressione delle partecipate. Tuttavia, una parte di queste risorse, di incerto ammontare, va a compensare inefficienze di gestione.

Il Programma del Commissario volge l'attenzione al sottodimensionamento di molte partecipate: circa 3.000 società hanno un numero di dipendenti minore o uguale a 5 e altre 500 circa hanno un massimo di 10 dipendenti. Inoltre, tra i servizi pubblici economici a rete, nei quali vi è un'elevata incidenza delle economie di scala (energia, gas, acqua, rifiuti), il 62 per cento delle partecipate è rappresentato da piccole imprese con un valore della produzione inferiore a 10 mln che nell'insieme coprono soltanto il 7 per cento della produzione e che si presentano concentrate prevalentemente al Sud. Al polo opposto si trova un numero esiguo di imprese di medie e grandi dimensioni che rappresenta numericamente solo il 4 percento dell’insieme delle partecipate, ma copre più della metà del valore della produzione del comparto.