Norme in materia di domini collettivi 16 ottobre 2017 |
Indice |
Contenuto|Discussione e attività istruttoria in Commissione in sede referente|I pareri espressi in sede consultiva|Inquadramento sistematico dei beni collettivi e usi civici| |
ContenutoL'articolo 1, comma 1, riconosce Domini collettivi: naturai domini collettivi come ordinamento giuridico primario delle comunità originarie.
Si ricorda in proposito che l'
articolo 118, quarto comma, della Costituzione ha riconosciuto il cosiddetto principio di
sussidarietà orizzontale laddove ha previsto che Stato, regioni, Città metropolitane, province e comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. Da qui si fa discendere la capacità di autonormazione e di amministrazione delle collettività organizzate di cittadini nello svolgere un'attività di interesse generale, quale quella della valorizzazione dei propri beni a fini ambientali. La disciplina della gestione dei beni civici trova la propria fonte naturale nello statuto dell'associazione dei titolari dei beni civici. Secondo quanto riportato da autorevole dottrina (Germanò e Basile, Terre civiche e proprietà collettive, in Rivista di diritto agrario n.1, 2006) "le associazioni dei titolari dei beni civici rappresentano il rispettivo territorio e le regole che esprimono non sono dirette a realizzare interessi loro particolari, ma interessi del territorio. Sicché il territorio impone "regole" attraverso la voce e l'opera dei beni."
Sembra, quindi, che i domini collettivi possano configurarsi come enti collettivi che trascendono la base associativa degli aventi diritto.
Le caratteristiche connotative sono esplicitate nelle lettere a), b), c) e d). I domini collettivi sono soggetti alla Costituzione (lett. a) e trovano il loro fondamento negli articoli 2 (che riconosce le formazioni sociali dove l'individuo svolge la sua personalità), 9 (il quale assegna alla Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione), 42, secondo comma (il quale riconosce la funzione sociale della proprietà privata), e 43 della Costituzione (secondo il quale possono essere riservate originariamente o trasferite allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori ed utenti determinate imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale). Essi sono dotati di capacità di produrre norme vincolanti valevoli sia per l'amministrazione soggettiva e oggettiva, sia per l'amministrazione vincolata e discrezionale (lett. b). Hanno la gestione del patrimonio naturale, economico e culturale che coincide con la base territoriale della proprietà collettiva (lett. c). Si caratterizzano per l'esistenza di una collettività che è proprietaria collettivamente dei beni e che esercita, individualmente o congiuntamente, i diritti di godimento sui terreni sui quali insistono tali diritti. Il Comune svolge di norma funzioni di amministrazione di tali terreni salvo che la comunità non abbia la proprietà pubblica o collettiva degli stessi (lett. d). Il comma 2 prevede che gli enti esponenziali delle collettività titolari del diritto d'uso civico e della proprietà collettiva hanno personalità giuridica di diritto privato ed autonomia statutaria.
Il dominio collettivo partecipa della natura sia del bene privato in quanto il proprietario gode del bene in esclusività sia del bene pubblico in quanto il bene non può essere utilizzato in modo da sottrarre il godimento ai singoli membri della comunità. Si distingue da entrambe per la assoluta indisponibilità. Allo stato attuale ci si riferisce ai domini collettivi sia per individuare le proprietà già dotate di personalità giuridica derivanti da situazioni antecedenti all'unità dello Stato, come disciplinate dalla legge n.397 el 1894, sia per individuare le proprietà non dotate di personalità giuridica riconosciute dalla
legge n. 1766 del 1927 e che oggi appartengono al patrimonio indisponibile dei comuni. Il riconoscimento dei domini collettivi come ordinamenti giuridici primari delle comunità originarie sembra attribuire a tutte e due le categorie una soggettività di diritto privato e a questa sembra riferirsi sia l'autonomia statutaria sia la capacità di autoamministrazione. Tale soggettività dovrebbe permettere di gestire con maggiore autonomia decisionale ed amministrativa tali beni permettendo un'utilizzazione che produca reddito.
L'articolo 2 riconosce come compito della Repubblica quello di valorizzare i Beni collettivi di godimentobeni collettivi di godimento in quanto:
Il comma 2 prevede che la Repubblica riconosca e tuteli i diritti di uso e di gestione collettivi preesistenti allo costituzione dello Stato italiano. Sono, altresì, riconosciute le comunioni familiari esistenti nei territori montani le quali mantengono il diritto a godere e a gestire i beni in esame conformemente a quanto previsto negli statuti e nelle consuetudini loro riguardanti. Il comma 3 prevede che sussiste un diritto sulle terre di collettivo godimento quando:
L'articolo 3 del provvedimento in esame definisce i beni collettivi (comma 1) che costituiscono il patrimonio civico (comma 2) e afferma la loro inalienabilità, indivisibilità, inusucapibilità e perpetua destinazione agro-silvo-pastorale (comma 3). Su tali beni è inoltre imposto il vincolo paesaggistico (comma 6). In particolare, ilBeni collettivi: elenco comma 1 qualifica i seguenti beni come beni collettivi:
In base al Patrimonio (o demanio) civicocomma 2, tutti tali beni, con la sola eccezione delle terre di proprietà pubblica o privata sui quali gli usi civici non siano stati ancora liquidati (lett. d), costituiscono il patrimonio antico dell'ente collettivo, detto anche patrimonio civico o demanio civico. L'utilizzazione di tale patrimonio dovrà essere effettuata in conformità alla destinazione dei beni e secondo le regole d'uso stabilite dal dominio collettivo (comma 5) I Regime giuridico dei beni collettivicommi 3 e 6 definiscono il regime giuridico dei beni collettivi prevedendo la loro:
Vincoli alla libera contrattazione di proprietà collettive montaneIl comma 4 stabilisce che, in relazione alle proprietà collettive di organizzazioni montane, anche unite in comunanze, comunque denominate, ivi comprese le comunioni familiari montane e le regole cadorine, sono fatte salve le previsioni dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 1102/1971.
Il primo comma di tale disposizione stabilisce l'inalienabilità, indivisibilità e vincolatività delle attività agro-silvo-pastorali come patrimonio antico delle comunioni, trascritto o intavolato nei libri fondiari. Il riferimento alla salvezza delle previsioni del terzo comma dell'art. 11 è alla possibilità di
libera contrattazione dei soli beni acquistati dalle comunioni montane dopo il 1952; per tutti gli altri beni la legge regionale determinerà limiti, condizioni, controlli intesi a consentire la concessione temporanea di usi diversi dai forestali, che dovranno comunque essere autorizzati anche dall'autorità forestale della regione.
Regolamentazione regionale delle proprietà collettive montaneIl comma 7 prevede che, entro un anno dall'entrata in vigore della legge in esame - nell'ambito del riordino della disciplina delle comunità montane di cui al comma 4 - le regioni debbano, nel rispetto degli statuti di tali organizzazioni, esercitare le competenze loro attribuite dalla legge 97 del 1994 (art. 3, comma 1, lett. b), nn. da 1 a 4) cioè disciplinare con legge i profili relativi ai seguenti punti: 1) le condizioni per poter autorizzare una destinazione, caso per caso, di beni comuni ad attività diverse da quelle agro-silvo-pastorali, assicurando comunque al patrimonio antico la primitiva consistenza agro-silvo-pastorale compreso l'eventuale maggior valore che ne derivasse dalla diversa destinazione dei beni; 2) le garanzie di partecipazione alla gestione comune dei rappresentanti liberamente scelti dalle famiglie originarie stabilmente stanziate sul territorio sede dell'organizzazione, in carenza di norme di autocontrollo fissate dalle organizzazioni, anche associate; 3) forme specifiche di pubblicità dei patrimoni collettivi vincolati, con annotazioni nel registro dei beni immobili, nonché degli elenchi e delle deliberazioni concernenti i nuclei familiari e gli utenti aventi diritto, ferme restando le forme di controllo e di garanzie interne a tali organizzazioni, singole o associate; 4) le modalità e i limiti del coordinamento tra organizzazioni, comuni e comunità montane, garantendo appropriate forme sostitutive di gestione, preferibilmente consortile, dei beni in proprietà collettiva in caso di inerzia o impossibilità di funzionamento delle organizzazioni stesse, nonché garanzie del loro coinvolgimento nelle scelte urbanistiche e di sviluppo locale e nei procedimenti avviati per la gestione forestale e ambientale e per la promozione della cultura locale. Decorso il citato termine annuale, ai citati adempimenti provvedono con atti amministrativi - poi resi esecutivi con deliberazione della Giunta regionale - gli enti esponenziali delle collettività titolari sul territorio dei ben collettivi. Il comma 7 stabilisce, infine, l'abrogazione della norma transitoria di cui al comma 2 dell'art. 3 della citata legge del 1994 che prevede che, fino alla data di entrata in vigore delle norme regionali indicate al comma 1,continuano ad applicarsi le norme vigenti alla data di entrata in vigore della stessa legge 97/1994, in quanto con essa compatibili. Priorità ai giovani agricoltoriIl comma 8 stabilisce che nell'assegnazione di terre-beni collettivi ai sensi della legge in esame, gli enti esponenziali delle collettività debbano dare priorità ai giovani agricoltori, come definiti a sensi della normativa UE. Il Reg (CE) 17 dicembre 2013, n. 1305/2013 definisce un giovane agricoltore come "una persona di età non superiore a quaranta anni al momento della presentazione della domanda, che possiede adeguate qualifiche e competenze professionali e che si insedia per la prima volta in un'azienda agricola in qualità di capo dell'azienda (art. 2). |
Discussione e attività istruttoria in Commissione in sede referenteIl provvedimento è stato esaminato dalla XIII Commissione Agricoltura dopo essere stato approvato dal Senato in prima lettura. Nel corso dell'esame in sede referente è stata svolta l'audizione dei rappresentanti della Consulta nazionale della proprietà collettiva, della Comunanza agraria dell'Appennino gualdese e dell'Associazione per la tutela delle proprietà collettive e dei diritti di uso civico (APRODUC), nonché del Prof. Pietro Nervi. Nella seduta del 18 luglio 2017 sono state esaminate le proposte emendative presentate. Nessuna modifica al testo è stata approvata. Nella seduta del 12 ottobre 2017 è stato votato il mandato al relatore a riferire favorevolmente in Aula. |
I pareri espressi in sede consultivaIl Comitato pareri della I Commissione ha espresso parere favorevole chiedendo alla Commissione di merito con un'osservazione di valutare l'opportunità di quanto contenuto nell'articolo 3, comma 7, rispetto a quanto previsto ell'articolo 120 della Costituzione. La stessa osservazione è stata espressa dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Il comma 7 dell'art. 3 riconosce agli enti esponenziali delle collettività un potere sostitutivo in caso di mancato esercizio di competenze regionali che, secondo quanto rilevato nei pareri espressi, interesserebbe profili pubblicistici quali l'autorizzazione alla destinazione di beni, le forme di iscrizione in pubblici registri, la pianificazione urbanistica e i procedimenti amministrativi. Viene, inoltre, previsto l'obbligo per le regioni di adeguarsi ai provvedimenti di tali enti rendendoli esecutivi con delibere delle Giunte regionali.
La II Commissione Giustizia, la VI Commissione Finanze, la VIII Commissione Ambiente e la XIV Commissione politiche dell'unione europea hanno espresso parere favorevole.
La Commissione parlamentare per le questioni regionali ha espresso un'ulteriore osservazione chiedendo alla Commissione di merito di valutare l'opportunità di riformulare l'ultimo periodo del comma 6 dell'articolo 3 per esplicitare che il principio del mantenimento del vincolo sulle terre in caso di liquidazione degli usi civici vale solo per il futuro e non riguarda quindi i terreni che sono già stati oggetto di liquidazione, legittimazione o affrancamento.
L'ultimo periodo del comma 6 dell'articolo 3 prevede che il vincolo paesaggistico imposto sulle zone gravate da usi civici sia mantenuto anche in caso di liquidazione degli stessi usi civici.
La V Commissione Bilancio si è riservata di esprimere il prescritto parere nel corso dell'esame in Assemblea.
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Inquadramento sistematico dei beni collettivi e usi civiciIl fondamento dei domini collettiviNon esiste una definizione normativa dei "domini collettivi" ma con tale termine si intende, generalmente, indicare una situazione giuridica in cui una determinata estensione di terreno (di proprietà sia pubblica che privata) è oggetto di godimento da parte di una collettività determinata, abitualmente per uso agrosilvopastorale. Le difficoltà di inquadramento sistematico dei domini collettivi, appartenenti originariamente ad una comunità, derivano anche dall'irriducibilità dell'istituto all'attuale concezione privatistica, di derivazione romanistica, basata sulla proprietà privata. Si consideri, a tal proposito, anche il contenuto dell'art. 42, primo comma, Cost. secondo il quale "La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati". I domini collettivi costituiscono, in particolare, i beni oggetto del diritto di uso civico. Gli usi civici integrano un residuo di antiche figure di diritti sui generis a contenuto reale, spettanti ad una collettività organizzata ed insediata su di un territorio e a ogni suo membro che può quindi esercitarlo uti singulus, Il contenuto consiste nel trarre utilità da terre di appartenenza pubblica o privata per il perseguimento di finalità di interesse generale; tali utilità consistono, generalmente, in raccolta di legna, di erba, di funghi, uso di acque, semina, pascolo, caccia, ecc. In relazione alla natura del diritto, va segnalato come, ove questo sia esercitato su terre di proprietà di un privato, si potrà avvicinarsi al modello conosciuto del diritto reale di godimento su cosa altrui; al contrario, ove il bene gravato sia di proprietà pubblica, l'uso civico potrebbe avere la qualificazione giuridica di "comunione senza quote". La ricostruzione della CassazioneLa disamina dell'istituto può trarsi dalla sentenza n. 19792 del 28 settembre 2011 con cui la Cassazione civile ha ritenuto non assoggettabile a espropriazione forzata un bene soggetto a uso civico. Il principale riferimento normativo è dato dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, di riordinamento degli usi civici (e dal relativo regolamento di attuazione di cui al R.D. 26 febbraio 1928, n. 332). Tale corpo normativo è stato poi integrato da numerose leggi regionali, a seguito del decentramento amministrativo del 1977 (D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 66, commi 1 e 4). Storicamente - come ricorda la Cassazione - la funzione dell'istituto era quella di fornire un sostentamento vitale alle popolazioni, in un momento storico nel quale la terra rappresentava l'unico elemento dal quale quelle potevano ricavare i prodotti necessari per la sopravvivenza; e si ricollegava, per ragioni storiche, sostanzialmente alla difficoltà, in larghe parti del territorio italiano, di ricostruire una personalità dell'ente collettivo che fosse distinta da quella dei suoi appartenenti, tanto che costoro potevano mantenere una sorta di diritto, sia pure limitato in quanto destinato a particolari esigenze, sui beni collettivi o comuni, talvolta ricondotto a figure prossime alla comunione. I beni gravati da uso civico sono stati sovente - soprattutto nelle impostazioni più risalenti - ricostruiti come terre in dominio collettivo, la cui negoziazione e circolazione presupponeva l'assenso di tutti i cives, talvolta perfino fondata sul malagevole criterio dell'unanimità, nel senso cioè che nessun membro della collettività civica nel momento negoziale poteva mancare, né essere di contrario avviso, affinché la popolazione non si privasse dei suoi secolari diritti senza un'apprezzabile contropartita (Cass. 11 febbraio 1974, n. 387): non veniva riconosciuta al Comune o all'associazione agraria una rappresentanza negoziale della collettività, ma soltanto la qualificazione di centro d'imputazione per il godimento collettivo delle terre e per l'inizio di determinate procedure tutte intese alla conservazione degli usi civici. L'originaria destinazione sembra ampiamente modificata, una volta che gli usi civici sono stati compresi nella specifica tutela paesistico-ambientale (secondo la previsione del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1, convertito in L. 8 agosto 1985, n. 431, con cui è stato tra l'altro imposto - integrandosi il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 82 - il vincolo paesaggistico; si veda da ultimo il Codice dei beni culturali di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (art. 142, comma 1, lett. h). E' stato, inoltre, prevista la sussistenza dell'uso civico come vincolo ostativo alla sanatoria degli abusivismi edilizi. La legge di riordino degli usi civiciNel sistema della legge del 1927, il riordino degli usi civici è modellato su una procedura, governata dai commissari per la liquidazione degli usi civici, che ha previsto sostanzialmente un accertamento di carattere amministrativo volto a verificare l'esistenza degli usi civici (la cui prova può essere fornita con ogni mezzo), finalizzato alla liquidazione del bene (o all'estinzione del diritto) attraverso le seguenti fasi:
In caso di liquidazione (o sclassificazione) dell'uso civico, all'ente esponenziale viene attribuita una quota in natura del bene (compenso), generalmente tramite scorporo di una quota parte della terra (variabile a seconda della tipologia dei diritti esercitati); tale quota rimane in godimento all'ente collettivo, in rappresentanza della popolazione locale, mentre l'altra parte passerà in piena proprietà al privato, libera dagli usi. Al proprietario che abbia apportato migliorie permanenti e sostanziali al fondo, nonchè per i piccoli appezzamenti non divisibili, in alternativa allo scorporo può essere imposto l'obbligo di versare al comune un canone annuo di natura enfiteutica. Di tale fondo è, poi, possibile l'affrancazione, che si ha quando l'interessato versi una determinata somma (determinata da legge regionale) in unica soluzione (una particolare procedura vige nelle terre del Lazio ed ex pontificie, cd. affrancazione invertita, secondo cui l'intero fondo è assegnato alla popolazione per l'uso civico ed è il proprietario privato a ricevere un canone). Se nessuno rivendica l'uso civico del fondo entro il termine previsto dalla legge, il commissario dichiara l'estinzione dell'uso civico. La legge del 1927 prevede che i terreni assegnati ai Comuni o alle frazioni, in esecuzione di leggi precedenti relative alla liquidazione dei diritti di uso civico, nonché gli altri terreni posseduti da Comuni o frazioni di Comuni, università, ed altre associazioni agrarie comunque denominate, sui quali si esercitano usi civici, sono distinti in due categorie: a) terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente; b) terreni convenientemente utilizzabili per la coltura agraria. Le caratteristiche dei domini collettiviIn giurisprudenza è corrente l'assimilazione del bene gravato da uso civico a quello demaniale, talvolta con semplice avvicinamento del relativo regime (Cass., 12 ottobre 1948, n. 1739; Cass. 12 dicembre 1953, n. 3690), più spesso con una equiparazione tendenzialmente piena tra i due regimi (Cass. 8 novembre 1983, n. 6589; Cass. 28 settembre 1977, n. 4120; Cass. 15 giugno 1974, n. 1750). Nello stesso senso, più recentemente, TAR Sardegna, sentenza n. 546 del 17 luglio 2013, ha ritenuto principio consolidato che "l'espressa previsione dell'inalienabilità, ....prima del completamento dei procedimenti di liquidazione o c.d. sclassificazione, connota il regime giuridico dei beni di uso civico dei caratteri propri della demanialità". I beni assoggettati a uso civico possono "perdere tale loro qualità soltanto mediante i procedimenti di liquidazione o liberazione dagli usi civici disciplinati dalla legge 1766/1927 e dalle altre leggi regionali: pertanto, non è immaginabile l'applicazione della c.d. sdemanializzazione di fatto o tacita". Come ribadito dalla citata sentenza della Cassazione del 2011 (v. sopra), il regime di circolazione di tali beni prevede rigorose limitazioni: è principio consolidato che l'espressa previsione dell'inalienabilità, per entrambe le categorie di terreni e prima del completamento dei procedimenti di liquidazione o c.d. sclassificazione, connota dei caratteri propri della demanialità il regime giuridico dei beni di uso civico, sicché detti beni sono da reputarsi inalienabili ed incommerciabili, nonché insuscettibili di usucapione. Soltanto una volta completate le procedure volte a far perdere all'immobile la sua destinazione all'uso civico sorge in favore del possessore (quand'anche abusivo) un diritto soggettivo di natura privatistica: i beni perdono la natura di beni assoggettati a proprietà collettiva ed il diritto di uso civico degrada, secondo l'interpretazione della giurisprudenza, al rango di diritto affievolito (Cass. 8 novembre 1983, n. 6589). Sempre nella citata sentenza della Suprema Corte del 2011 si legge come tale complessivo regime comporta che i beni gravati da uso civico non sono suscettibili di espropriazione forzata: l'incommerciabilità derivante dalle suddette norme della legge nazionale comporta come inevitabile conseguenza che, al di fuori dei più o meno rigorosi procedimenti di liquidazione dell'uso civico e prima del loro formale completamento, la preminenza di quel pubblico interesse che ha impresso al bene immobile il vincolo dell'uso civico stesso ne vieti qualunque circolazione, compresa quella derivante dal processo esecutivo, quest'ultimo essendo posto a tutela (se non altro prevalente) dell'interesse del singolo creditore e dovendo quest'ultimo recedere dinanzi al carattere superindividuale e lato sensu pubblicistico dell'interesse legittimante l'imposizione dell'uso civico; e tale divieto comporta la non assoggettabilità del bene gravato da uso civico ad alcuno degli atti del processo esecutivo, a partire dal pignoramento, che ne è quello iniziale. Dimensione del fenomenoDati statistici sull'estensione delle proprietà collettive in Italia sono ricavabili dal censimento del 2010 dell'ISTAT - nell'ambito del Censimento dell'Agricoltura - con la collaborazione della Consulta Nazionale della Proprietà Collettiva. Da tali dati risulta che dei quasi 17 milioni di ettari di superficie agricola totale in Italia, ben 1,668 milioni di ettari (il 9,77%) risulta appartenere a "Comunanze, Università Agrarie, Regole o Comune che gestisce le Proprietà Collettive". |