Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
| |||||
---|---|---|---|---|---|
Autore: | Servizio Bilancio dello Stato | ||||
Altri Autori: | Servizio Commissioni , Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera | ||||
Titolo: | Dossier inizio XVII legislatura | ||||
Serie: | Dossier di finanza pubblica Numero: 1 | ||||
Data: | 21/03/2013 | ||||
Descrittori: |
| ||||
Organi della Camera: | V-Bilancio, Tesoro e programmazione |
Camera dei deputati
XVII LEGISLATURA
SERVIZIO BILANCIO DELLO STATO |
|
|
|
DOCUMENTAZIONE DI INIZIO
LEGISLATURA |
Analisi degli effetti finanziari delle norme e dei
principali andamenti di finanza pubblica |
|
Marzo 2013
|
Servizio responsabile: |
Servizio Bilancio dello Stato Andamenti di finanza
pubblica - dossier n.
1 ( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti uffici: Servizio Commissioni – Segreteria della Commissione bilancio ( 066760-3545 – * com_bilancio@camera.it Servizio Biblioteca – Coordinamento dell’osservatorio della
legislazione straniera ( 066760-2283 – * ls_segreteria@camera.it |
Il
presente dossier ha lo scopo di fornire, all’avvio della legislatura, una
documentazione in materia di finanza pubblica, con particolare riguardo alle
questioni di maggiore rilievo emerse nel corso della precedente legislatura.
Il dossier è articolato in due parti,
corrispondenti agli ambiti in cui si esplica l’attività del Servizio Bilancio
dello Stato.
La prima parte contiene un’analisi della
recente evoluzione dei principali indicatori di finanza pubblica (indebitamento
netto, saldo primario, fabbisogno e debito) nonché delle componenti che hanno
contribuito a determinarli. Sono altresì evidenziate le tendenze di carattere
settoriale riscontrate nei più significativi comparti di entrata e di spesa,
allo scopo di fornire ai parlamentari una prima informazione sull’andamento dei
corrispondenti flussi finanziari.
La seconda parte è
incentrata sul procedimento di quantificazione degli effetti finanziari recati
dai progetti legislativi. È illustrata - in particolare - la procedura di
quantificazione degli effetti finanziari delle norme. Sono quindi approfondite le
principali questioni metodologiche emerse nel corso dell’attività svolta dalla Commissione
Bilancio nella scorsa legislatura: in particolare, sono illustrati i casi
concreti da cui sono emerse le questioni analizzate nonché le soluzioni
individuate o quelle prospettabili.
INDICE
ANALISI DEI
PRINCIPALI ANDAMENTI DI FINANZA PUBBLICA
1. La nuova governance europea e il principio costituzionale del pareggio
di bilancio
1.1 Il
Patto di stabilità e crescita e le nuove regole europee
2. I Saldi del conto economico delle Pubbliche amministrazioni
2.3 Le
previsioni per il triennio 2013-2015
3. Dal consolidamento fiscale alle misure per sostenere la crescita
3.1 Le
manovre di finanza pubblica
3.2 La
ripartizione delle manovre per livelli di governo
3.3 La
ripartizione delle manovre per sottosettore
3.4
Consolidamento fiscale e crescita
4.1 Le
entrate nel conto consolidato della P.A. -
2008-2011
4.3 Le
previsioni per il triennio 2013 - 2015
5. Le uscite delle pubbliche amministrazioni
5.1
L’andamento della spesa nel periodo 2008-2012
5.2 Le
previsioni per il triennio 2013-2015
5.3 La
spesa primaria: confronto tra l’evoluzione attesa nel 2008 e le stime attuali
2. La spesa
per l’istruzione delle Pubbliche amministrazioni
4. Le
prestazioni sociali in denaro
5. La spesa
in conto capitale delle Pubbliche amministrazioni
6. Interessi, fabbisogno e debito
6.3 Il
debito delle amministrazioni pubbliche
ANALISI
DEGLI EFFETTI FINANZIARI DELLE NORME
1.1 Il
procedimento di quantificazione degli oneri e delle coperture finanziarie
1.2 La
verifica parlamentare delle quantificazioni
1.3
L’attività del Servizio Bilancio dello Stato
2. La copertura finanziaria riferita ai diversi saldi di finanza pubblica
2.1 Regola
di copertura e principio del pareggio di bilancio
3. Autorizzazioni e previsioni di spesa
3.1 Le
clausole di salvaguardia
4. Le modalità di copertura dei nuovi oneri
4.1 La
copertura sulle maggiori entrate
4.1.1
Utilizzo delle entrate da accertamento e lotta all’evasione
4.1.2
Utilizzo delle entrate da giochi e scommesse
4.2 La
copertura mediante riduzioni di spesa
4.2.1
Utilizzo di Fondi indistinti
4.2.3
Utilizzo dei risparmi della spending review
5. La quantificazione degli oneri e la copertura finanziaria delle deleghe
legislative
5.1 Il caso
della delega fiscale
6. L’attribuzione
di un unico effetto finanziario ad una pluralità di provvedimenti
6.1 I
risparmi attesi dalla riduzione dei dirigenti statali
7.1
Garanzie pubbliche ed operazioni di carattere finanziario suscettibili di
incidere sul debito
7.2
Rapporti tra entrate statali e locali: profili metodologici
7.3 Il caso
delle riduzioni della “spesa fiscale”
7.4
Problematiche connesse al finanziamento della spesa sociale
1.
1.1 Il Patto di stabilità e crescita e le nuove regole europee
Gli obiettivi di
finanza pubblica, indicati nei documenti presentati in corso d’anno dal Governo
e alla cui realizzazione sono finalizzate le manovre correttive annuali o
infra-annuali, si inquadrano nel contesto delineato dal Patto di stabilità e
crescita e dall’insieme di regole che costituiscono la governance europea.
Approvato dal Consiglio europeo di Amsterdam del 16 e 17 giugno 1997, il Patto[1] tendeva a rendere più cogente, la disciplina di bilancio ed, in particolare, il rispetto da parte degli Stati membri delle soglie del 3 e del 60 per cento del PIL, rispettivamente per l’indebitamento netto (in termini nominali) e il debito delle Pubbliche amministrazioni, fissate dal Protocollo sui disavanzi eccessivi annesso al Trattato di Maastricht.
Con le modifiche apportate nel 2005, fermi restando i due parametri quantitativi del Protocollo, sono stati ridefiniti gli obiettivi di finanza pubblica a medio termine, prevedendo la possibilità di percorsi di avvicinamento differenziati per i singoli Stati membri, al fine di tener conto delle diversità delle posizioni di bilancio, degli sviluppi sul piano economico e della sostenibilità finanziaria.
Gli Stati membri, nell’ambito dell’aggiornamento dei rispettivi programmi di stabilità, presentano quindi un obiettivo di medio termine (MTO), concordato in sede europea e definito sulla base del potenziale di crescita dell’economia e del rapporto debito/PIL. Esso consiste in un livello di indebitamento netto strutturale (corretto, cioè, per il ciclo e al netto delle misure temporanee e una tantum) che può divergere dal requisito di un saldo prossimo al pareggio o in attivo, ma che deve essere tale da garantire, in presenza di normali fluttuazioni cicliche, un adeguato margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento ed un ritmo di avvicinamento certo ad una situazione di sostenibilità delle finanze pubbliche.
Le modifiche
arrecate ai regolamenti del Consiglio nel novembre 2011 (c.d. six pack[2])
ed il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria (c.d. fiscal compact) del marzo 2012
confermano l’impianto generale del Patto quale strumento fondamentale per la
disciplina fiscale, rafforzando e implementando le regole poste a presidio del
principio del pareggio di bilancio e della sostenibilità del debito.
In base alle nuove regole[3],
gli obiettivi di saldo devono essere compresi in una forcella stabilita tra un deficit (in termini strutturali) dello 0,5
per cento del PIL (-1 per cento per i paesi nei quali il rapporto debito/PIL
sia significativamente inferiore al 60 per cento e i rischi di sostenibilità
siano bassi) e il pareggio o l’attivo (regole specifiche sono, inoltre,
previste per la riduzione del rapporto debito/PIL verso il parametro del 60 per
cento indicato dal Protocollo, per la cui trattazione si rinvia al capitolo 6,
dedicato a Spesa per interessi,
fabbisogno e debito).
Il percorso di avvicinamento
all’obiettivo di medio termine (OMT) si fonda su una regola di correzione
strutturale annuale di 0,5 punti (superiore a 0,5 per cento per i paesi più
indebitati e ad alto rischio); la regola può tuttavia variare in relazione
all’andamento del ciclo economico (good or bad times), richiedendosi
uno sforzo più limitato in presenza di una congiuntura sfavorevole.
Deviazioni temporanee dalla misura dello 0,5 per cento possono essere accettate, oltre che in presenza di eventi eccezionali, anche nel caso in cui un paese abbia effettuato riforme strutturali rilevanti (con particolare riferimento a quelle pensionistiche), con un effetto quantificabile sulla sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche, a condizione che sia comunque mantenuto un margine adeguato rispetto alla soglia del 3 per cento e che il deficit ritorni all’obiettivo di medio termine entro il periodo coperto dal programma.
Nell’ambito della procedura di sorveglianza, l’eventuale deviazione nel processo di avvicinamento all’OMT viene valutata globalmente, facendo riferimento sia al saldo strutturale che all’andamento della spesa al netto delle misure discrezionali in materia di entrate (v. riquadro).
La valutazione tende ad accertare a) se la deviazione del saldo corrisponde almeno allo 0,5 % del PIL in un singolo anno o allo 0,25% del PIL in media annua per due anni consecutivi; b) se la spesa al netto delle misure discrezionali sul lato delle entrate ha un impatto sul saldo pari ad almeno lo 0,5% del PIL in un anno o cumulativamente in due anni consecutivi.
Una deviazione può non essere considerata eccessiva qualora sia determinata da un evento inconsueto, non soggetto al controllo dello Stato membro interessato, che abbia rilevanti ripercussioni sulla sua situazione finanziaria o in caso di grave recessione della zone euro o dell’intera Unione.
Qualora si
constatino deviazioni significative dall’OMT o dal percorso di avvicinamento a
tale obiettivo, sono attivati automaticamente i meccanismi di correzione
previsti dalle legislazioni nazionali secondo quanto richiesto dal fiscal compact. Tali meccanismi si
ispirano a principi comuni proposti dalla Commissione[4]
riguardanti la natura, la portata e il quadro temporale dell’azione correttiva
da intraprendere.
La regola sulla spesa
Il six pack [5]introduce nell'ambito del braccio preventivo del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) un vincolo alla crescita della spesa (expenditure benchmark), diretto a rafforzare il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine.
Il
Codice di condotta[6]
stabilisce inoltre che, nel valutare i progressi ottenuti dagli Stati membri
verso il raggiungimento dell'OMT, il Consiglio UE e
Questo è calcolato come media delle stime dei precedenti 5 esercizi, della stima per l'esercizio corrente e delle proiezioni per i 4 esercizi successivi.
L'aggregato di spesa pubblica sottoposto a valutazione è individuato nel totale della spesa delle Amministrazioni Pubbliche[7] diminuito della spesa per interessi, della spesa nei programmi europei per la quota coperta da fondi comunitari e della variazione delle spese non discrezionali per indennità di disoccupazione. Il Codice di Condotta stabilisce, inoltre, che l'aggregato deve essere depurato dalla volatilità intrinseca della spesa per investimenti, prevedendo che il valore iscritto in ciascun esercizio sia sostituito da un valore medio calcolato sulla base della spesa per l'esercizio in corso e quella relativa ai tre esercizi precedenti. Poiché il PIL potenziale è stimato in termini reali, la spesa così determinata è deflazionata con il deflatore del PIL quale risulta dalle previsioni della Commissione[8].
Il limite massimo per la variazione della spesa è diverso a seconda della posizione di ciascuno Stato rispetto all'OMT, in quanto è diretto a garantire la coerenza con il percorso di convergenza concordato. Per gli Stati membri che hanno già raggiunto l'OMT, la crescita della spesa pubblica non deve essere più elevata del parametro medio relativo al PIL potenziale. Eventuali dinamiche di crescita superiori possono essere consentite soltanto se compensate da misure discrezionali dal lato delle entrate di pari ammontare. Per gli Stati che non hanno ancora raggiunto l'OMT il tasso di crescita della spesa deve essere inferiore a quello del PIL potenziale e coerente con un miglioramento del saldo strutturale di almeno 0,5 punti in termini di PIL. La regola sulla spesa precisa che l'evoluzione deve essere tale da garantire questo aggiustamento, a meno che non siano messe in atto misure discrezionali dal lato delle entrate, escludendo le entrate temporanee e le one-off.
Secondo
Il rispetto del benchmark viene valutato ex post nell’ambito del giudizio sull’avvicinamento o raggiungimento dell’OMT. Uno scostamento nella dinamica della spesa dal valore di riferimento non ha conseguenze se il Paese ha già raggiunto l’OMT e questo non sia pregiudicato.
Per un Paese che non abbia raggiunto l’OMT e che presenti una deviazione del saldo di bilancio rispetto al percorso di avvicinamento pari o superiore allo 0,5 per cento del PIL in un anno (o cumulativamente in due anni), lo scostamento viene considerato significativo se la spesa al netto delle misure discrezionali sulle entrate ha un impatto sul saldo pari ad almeno allo 0,5 per cento del PIL in un anno (o cumulativamente in due anni).
In base al Fiscal compact, gli Stati membri della Unione economica e monetaria si impegnano a recepire nelle legislazioni nazionali, preferibilmente di rango costituzionale, il principio del pareggio di bilancio e l’insieme di regole su menzionate. Per quanto riguarda l’Italia, il nuovo articolo 81 della Costituzione[10] e la relativa legge di attuazione n. 243 del 2012, ribaditi i suddetti principi a livello di pubbliche amministrazioni, ne declinano i conseguenti obiettivi di saldo ed i relativi vincoli per livelli di governo.
Rinviando ai temi web per quanto riguarda l’attuazione in Italia del principio del pareggio di bilancio[11], si dà conto di seguito delle modifiche introdotte nelle legislazioni di alcuni paesi europei.
In Francia la revisione costituzionale del
Tuttavia, la ratifica del Trattato firmato a livello europeo sul “fiscal compact”[14], che prevede l’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella legislazione nazionale degli Stati membri, ha imposto a ogni Stato di considerare l’eventualità di dover adottare ulteriori misure legislative[15]. Il testo del Trattato prescrive infatti che la «regola d’oro» dell’equilibrio dei conti pubblici debba essere introdotta entro un anno dall’entrata in vigore del Trattato e avere la forma di “disposizioni vincolanti e permanenti, di preferenza costituzionali” o delle quali, in ogni caso, “il pieno rispetto” sia “garantito”, a pena di sanzioni finanziarie da parte della Corte di giustizia europea.
Di fronte al dilemma sulla necessità o meno di una vera e
propria revisione della Costituzione, ai fini dell’autorizzazione della
ratifica del Trattato, nel luglio 2012 il neo-eletto Presidente della
Repubblica, François Hollande[16],
ha richiesto sulla questione la pronuncia del Conseil Constitutionnel, il quale si è espresso con
A settembre 2012 il Governo ha così presentato al
Parlamento, insieme al progetto di legge per l’autorizzazione alla ratifica del
Trattato[18],
anche un progetto di legge organica relativo alla programmazione e alla governance dei conti pubblici,
richiedendo la procedura d’urgenza (procédure
accélérée). Il testo legislativo è stato approvato dai due rami del
Parlamento a novembre 2012 e la nuova
legge organica è stata promulgata il
· la determinazione di un obiettivo a medio termine dei conti di tutte le amministrazioni pubbliche che il legislatore fisserà nella legge di programmazione economica insieme alla definizione conseguente di una traiettoria strategica pluriennale di saldi strutturali ed effettivi annuali dei conti di tutte le amministrazioni pubbliche, finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo a medio termine per il periodo coperto dalla programmazione; il rispetto di tale traiettoria strategica sarà verificato ogni anno al momento dell’esame delle leggi finanziarie (lois de finances e lois de financement de la sécurité sociale), attraverso una tavola di sintesi relativa ai conti di tutte le amministrazioni pubbliche contenuta in un articolo preliminare ai due atti finanziari annuali;
· l’istituzione di un organismo indipendente, l’Haut Conseil des finances publiques, presieduto dal Primo presidente della Corte dei Conti, che si pronuncerà, con un parere, sulle previsioni di crescita del Paese, mettendo in guardia il Governo e il Parlamento sull’eventuale debolezza delle previsioni macroeconomiche prese in considerazione ai fini dell’elaborazione della legge di programmazione economica e delle due leggi finanziarie annuali; l’Haut Conseil si pronuncerà anche sulla coerenza di tali progetti di legge annuali con la traiettoria pluriennale fissata dalla legge di programmazione economica;
· la previsione di un meccanismo di “correzione” da attivare in caso di “scarto” rilevante dei conti pubblici rispetto alla traiettoria strategica indicata dalla legge di programmazione: l’Haut Conseil des finances publiques, tenendo conto delle circostanze eccezionali che giustificano gli “scarti consistenti” rilevati, avrà il compito di allertare pubblicamente il Parlamento e il Governo con un parere sulla eventuale necessità di mettere in moto il meccanismo correttivo. Di fronte all’allarme dell’Haut Conseil il Governo avrà l’obbligo di esporre le ragioni di tali “differenze” dagli orientamenti pluriennali di saldo strutturale definiti dalla legge di programmazione e, se necessario, proporre tempestivamente al Parlamento le opportune misure correttive idonee a riportare i conti nel tracciato programmato. Tali misure dovranno essere attuate nell’ambito dei progetti annuali (o correttivi) di loi de finances o di loi de financement de la sécurité sociale immediatamente successivi ed essere esposte in dettaglio in un allegato a tali progetti di legge.
La stessa Legge organica stabilisce che le nuove disposizioni si applichino a partire dal 1° marzo 2013, ma, in ogni caso, ne subordina l’entrata in vigore a quella del Trattato europeo sul “fiscal compact”, precisamente ad un mese dopo l’entrata in vigore di quest’ultimo, se successiva al 1° marzo 2013.
Prima delle due riforme costituzionali federaliste del 2006 e del 2009, il principio del pareggio di bilancio era menzionato nell’art. 110, comma 1, della Legge fondamentale, in cui, semplicemente, si stabiliva che nel bilancio preventivo le entrate e le spese dovessero essere pareggiate. L’effettiva costituzionalizzazione di tale principio è avvenuta con la novella dell’art. 109 (già modificato nella prima fase della riforma), l’introduzione del nuovo art. 109a e la modifica dell’art. 115.
Con la prima riforma
del federalismo (Föderalismusreform
I), del
Tra le successive modifiche dell’art. 109 introdotte con la seconda riforma del federalismo (Föderalismusreform
II), del
In applicazione dei principi enunciati dalla nuova
formulazione dell’art. 109, è stato modificato anche l’art. 115 [Ricorso al
credito]. Il nuovo comma 2 ribadisce, con riferimento al solo bilancio
federale[24],
che le entrate e le uscite, di norma, debbano essere portate in pareggio senza
ricorrere al prestito e che tale principio venga salvaguardato se le entrate da
prestiti non superino la soglia dello 0,35% del PIL (c.d. freno
all’indebitamento). La nuova formulazione è poi particolarmente dettagliata: in presenza di andamenti congiunturali che
deviano dalle condizioni di normalità, le nuove disposizioni impongono che si
tenga conto in modo simmetrico degli effetti sul bilancio, sia nelle fasi di
ripresa che nelle fasi di declino. In particolare, nelle circostanze in
cui il bilancio federale richieda il ricorso ad un indebitamento pubblico
superiore ai parametri stabiliti, gli
scostamenti del ricorso effettivo al credito dalla soglia massima consentita
vengono registrati su un apposito conto di controllo; gli addebiti che
superano la soglia dell’1,5% rispetto al prodotto interno lordo nominale devono
essere quindi ridimensionati, tenuto conto dell'evoluzione del ciclo
congiunturale. Nelle situazioni derivanti da disastri naturali o
emergenze straordinarie, la deroga dovrà essere autorizzata con una decisione adottata dal Bundestag a maggioranza assoluta. Tale deliberazione deve inoltre essere collegata a un piano di
ammortamento e il rimborso dei prestiti accesi deve avvenire entro un lasso di
tempo adeguato.
I limiti previsti nelle nuove disposizioni contenute negli articoli 109 e 115 sono accompagnati da un sistema volto a prevenire gli indebitamenti eccessivi, ovvero un meccanismo di early warning cooperativo. È stato, pertanto, introdotto un nuovo art. 109a [Emergenze di bilancio], ai sensi del quale, al fine di evitare un’emergenza di bilancio, possono essere emanate con legge federale bicamerale (c.d. Zustimmungsgesetz, legge che richiede necessariamente anche il consenso da parte del Bundesrat) disposizioni che riguardano: il controllo continuo della gestione di bilancio della Federazione e dei Länder da parte di un organismo comune (Consiglio di stabilità - Stabilitätsrat); le condizioni e le procedure per l’accertamento di un’imminente emergenza di bilancio; i principi regolanti l’elaborazione e l’attuazione di programmi di risanamento intesi a prevenire emergenze di bilancio.
In attuazione dell’art. 109, il
Per quanto riguarda, infine, l’entrata in vigore della nuova
disciplina costituzionale di bilancio, il già citato art. 143d, comma 1, stabilisce
che il freno all’indebitamento sia applicato a partire dal bilancio per il
2011, ma prevede due periodi transitori di avvicinamento progressivo agli
obiettivi, che termineranno nel 2016 per
L’obbligo del pareggio di bilancio è stato introdotto per la
prima volta nell’ordinamento spagnolo con la riforma dell’art. 135 della Costituzione, pubblicata ed entrata in
vigore il
Tale riforma prevede che tutte le amministrazioni pubbliche
si adeguino al principio della stabilità di bilancio (estabilidad presupuestaria) (art. 135, comma 1) e che lo Stato e le
Comunità autonome non possano incorrere in un deficit strutturale che superi i margini stabiliti dall’Unione
europea (comma 2). Una legge organica fisserà il limite massimo del deficit
strutturale dello Stato e delle Comunità autonome secondo il rispettivo
prodotto interno lordo. Anche gli enti locali dovranno mantenere un equilibrio
di bilancio (comma 2). Inoltre lo Stato e le Comunità autonome dovranno essere
autorizzati per legge all’emissione di debito pubblico (comma 3). Una legge
organica darà attuazione ai principi contenuti nell’art. 135 (comma 5). Ai
sensi della disposizione aggiuntiva unica della riforma costituzionale, la
legge organica prevista dall’art. 135 della Costituzione dovrebbe essere
approvata entro il
A dare attuazione ai nuovi precetti costituzionali è stata
Il capitolo I stabilisce i principi guida vincolanti per tutti i pubblici poteri e le procedure per l’effettiva applicazione dei principi di stabilità di bilancio e di sostenibilità finanziaria e fissa altresì i limiti del deficit e del debito, le eccezioni, i meccanismi di correzione delle deviazioni e gli strumenti per far valere la responsabilità di ogni amministrazione pubblica in caso di inadempimento. Per quanto concerne l’ambito di applicazione, si considera settore pubblico quello costituito dalle delle amministrazioni pubbliche, comprendente a sua volta l’amministrazione centrale (Stato e organi dell’amministrazione centrale), le Comunità autonome, gli enti locali, le amministrazioni della sicurezza sociale, nonché enti pubblici imprenditoriali, società commerciali e altri enti di diritto pubblico dipendenti dalle amministrazioni pubbliche.
Il capitolo II definisce i principi generali della legge: stabilità di bilancio, pluriannualità, trasparenza, efficienza nella distribuzione delle risorse pubbliche, sostenibilità finanziaria, responsabilità delle amministrazioni pubbliche che violano o causano una violazione degli impegni assunti dalla Spagna, lealtà istituzionale tra le diverse amministrazioni.
Il capitolo III, relativo alla stabilità di bilancio e alla sostenibilità finanziaria, costituisce il fulcro del provvedimento. Tutte le amministrazioni pubbliche devono presentare un bilancio in pareggio o in attivo, senza incorrere in deficit strutturali; tuttavia lo Stato e le Comunità autonome (ma non gli enti locali) possono avere - previa approvazione da parte della maggioranza assoluta del Congresso dei deputati - un deficit strutturale in situazioni eccezionali: catastrofi naturali, recessione economica grave o situazioni di emergenza straordinaria che sfuggono al controllo delle amministrazioni e pregiudicano considerevolmente la loro situazione finanziaria o la sostenibilità economica o sociale. Inoltre la spesa pubblica non può aumentare al di sopra del tasso di crescita di riferimento del PIL a medio termine dell’economia spagnola. È fissato il limite del debito delle amministrazioni pubbliche, che non può superare il 60% del PIL nazionale espresso in termini nominali (o stabilito dalla normativa europea), ripartito nel modo seguente: 44% per l’amministrazione centrale, 13% per l’insieme delle Comunità autonome, 3% per l’insieme degli enti locali. L’amministrazione pubblica che superi il tetto stabilito non potrà effettuare operazioni di indebitamento finanziario netto. Lo Stato e le Comunità autonome devono essere autorizzati dalla legge per emettere debito pubblico od ottenere credito.
Il capitolo IV contiene le misure preventive, correttive e coercitive. Tra le misure
preventive vengono stabiliti un meccanismo
automatico per garantire che non si incorra nel deficit alla fine di ogni
esercizio e una soglia di debito del 95% sul massimo per evitare il superamento
dei limiti prefissati, consentendo quindi solo operazioni di tesoreria; nel
medesimo ambito, la legge introduce poi un meccanismo
di allerta, consistente nell’invio di una comunicazione da parte del
Governo all’amministrazione inadempiente che, entro un mese, è tenuta ad
adottare le misure necessarie. La legge prevede anche misure automatiche di correzione: il conseguimento degli obiettivi
di stabilità è preso in considerazione per autorizzare le emissioni di debito e
per la concessione di sovvenzioni o sottoscrizione di accordi. Il fallimento
dell’obiettivo di stabilità di bilancio, dell’obiettivo del debito pubblico o
della spesa pubblica comporta la presentazione di un piano
economico-finanziario che ne permetta la correzione entro un anno. In caso di
deficit per circostanze eccezionali, si dovrà presentare un piano di
riequilibrio, con indicazione delle misure appropriate per affrontare le
implicazioni di bilancio derivanti da tali circostanze. Tra le misure
coercitive, in caso di mancata presentazione del piano, l’amministrazione responsabile
deve approvare entro 15 giorni la non disponibilità di crediti per garantire il
raggiungimento dell’obiettivo previsto, nonché costituire un deposito
fruttifero presso il Banco di Spagna pari allo 0,2% del PIL nominale (per gli
enti locali il 2,8% delle entrate non finanziarie), che sarà cancellato quando
si applichino le misure volte a garantire il rispetto degli obiettivi. Il
Governo può inviare una commissione di esperti per valutare la situazione
economica e di bilancio dell’amministrazione interessata. Se una Comunità
autonoma non adotta l’accordo di non disponibilità di crediti, non costituisce
il deposito obbligatorio o non attua le misure proposte dal comitato di
esperti, il Governo, a norma dell’art. 155 della Costituzione, richiede al Presidente
della Comunità di adempiere all’obbligo, altrimenti, con l’approvazione a
maggioranza assoluta del Senato, adotta le misure necessarie per obbligare
Il capitolo V sviluppa il principio di trasparenza: ogni amministrazione pubblica deve stabilire l’equivalenza tra il bilancio e la contabilità nazionale, informazione che è inviata all’Unione europea per verificare la conformità con gli impegni assunti. Le amministrazioni pubbliche devono fornire informazioni sulle principali linee del bilancio, prima dell’approvazione.
Il capitolo VI si occupa di gestione del bilancio. Si rafforza la pianificazione del bilancio attraverso la definizione di un quadro di bilancio a medio termine, di almeno tre anni, all’interno del quale saranno elaborati i bilanci annuali.
Il Governo può sottoporre al vaglio del Tribunale costituzionale le disposizioni normative e le risoluzioni adottate dagli organi delle Comunità autonome, nonché i bilanci di ciascuna Comunità, che violino i principi dell’art. 135 della Costituzione (terza disposizione aggiuntiva).
La legge prevede, infine, un periodo transitorio di applicazione fino al 2020: durante questo periodo viene determinato un percorso di riduzione degli squilibri di bilancio entro i limiti previsti dalla legge (prima disposizione transitoria).
2. I Saldi
del conto economico delle Pubbliche amministrazioni
I parametri presi in
considerazione dai regolamenti europei nell’ambito delle procedure di
sorveglianza ai fini della verifica di sostenibilità delle finanze pubbliche
sono riferiti al conto economico
consolidato delle Pubbliche amministrazioni. Le informazioni principali di tale
aggregato sono sintetizzate da alcuni indicatori (indebitamento netto, saldo
primario, incidenza sul prodotto interno lordo delle entrate e delle spese, al
lordo e al netto degli interessi), la cui analisi consente una rappresentazione
dei conti pubblici, della loro recente evoluzione e dei valori previsti per
l’anno in corso ed il successivo triennio.
Il conto della P.A.
In base alla definizione del Sec95 (Regolamento UE 2223/96), il settore delle pubbliche amministrazioni comprende tutte le unità istituzionali che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è finanziata in prevalenza da versamenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori e/o tutte le unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del paese.
La
lista delle unità istituzionali che fanno parte del settore delle
amministrazioni pubbliche è predisposta e aggiornata annualmente dall’Istat, ai
sensi dell’articolo 1, comma 5, della legge n. 311/2004 (legge finanziaria
2005). Esse si suddividono in amministrazioni centrali, locali ed enti di
previdenza ed assistenza[28].
I sottosettori della P.A. elaborati dalla contabilità nazionale trovano sostanziale corrispondenza negli analoghi aggregati di enti pubblici utilizzati nella contabilità pubblica (settore statale e settore pubblico). Il diverso criterio di classificazione[29] porta ad alcune, peraltro limitate, differenze con riferimento ad alcuni enti minori delle amministrazioni locali.
Le informazioni relative ai sottosettori vengono rielaborate dall’Istat e consolidate nel conto della P.A. secondo principi e regole contabili conformi al Sistema europeo dei conti nazionali[30]. Quest’ultimo[31] detta, infatti, una serie di regole necessarie per l’armonizzazione dei dati riferiti alla contabilità nazionale degli Stati membri, che assicurano la comparabilità delle informazioni relative alla contabilità nazionale e regionale.
Tali regole implicano la registrazione dei flussi secondo il principio della competenza economica (cosiddetto principio accrual[32]), in base al quale un’operazione è considerata dal punto di vista contabile nel momento in cui si realizza il fatto economico e gestionale sottostante. In alcuni casi, come ad esempio per alcune voci della spesa in conto capitale, come dato più prossimo al criterio della competenza economica si utilizza la cassa.
Si tratta quindi di regole sostanzialmente diverse da quelle che presiedono, nel nostro Paese, alla registrazione dei flussi nel bilancio dello Stato e della maggior parte degli enti pubblici, che adottano invece una contabilità di carattere finanziario, basata sulla rappresentazione dei dati di entrata e di spesa in termini di competenza giuridica e di cassa[33].
Entro il 31 marzo ed il 30 settembre di ogni anno, l’Istat notifica alla Commissione UE[34] - ai fini del monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica e del rispetto degli obiettivi del Patto di stabilità e di crescita - le stime aggiornate del prodotto interno lordo, dell’indebitamento netto e del debito delle P.A. per l’esercizio già concluso, nonché le revisioni apportate ai dati riferiti agli esercizi precedenti. Sono inoltre trasmesse le previsioni (elaborate dal Ministero dell’Economia e finanze) per l’esercizio in corso. Lo stock del debito (calcolato dalla Banca d’Italia) rappresenta il valore nominale di tutte le passività lorde[35], al netto delle attività detenute dal settore nei confronti di soggetti esterni, in essere in un determinato momento[36].
Nelle pagine che
seguono si dà conto dell’evoluzione dei saldi nel periodo 2008-2012, rinviando
per un’analisi più approfondita delle principali componenti di entrata e di
spesa agli Approfondimenti settoriali.
Gli andamenti dei
saldi nominali sono messi a confronto con i corrispondenti valori strutturali,
rispetto ai quali il Patto di stabilità e crescita impone specifici requisiti.
Si dà infine conto
delle previsioni per l’esercizio in corso e per il biennio 2014-2015, ponendo a
confronto le ultime stime presentate dal Governo (settembre 2012) con quelle di
altri previsori ufficiali.
In tali analisi, per gli anni di consuntivo (2008-2012),
sono utilizzati (salvo diversa indicazione) i dati Istat, elaborati secondo i
criteri Sec95, del 1° marzo 2013; per il successivo biennio 2014-2015 si fa,
invece, riferimento ai dati di previsione contenuti dalla Nota di aggiornamento
del Documento di economia e finanza 2012 e nella Nota tecnico illustrativa
della legge di stabilità 2013 presentate
nel settembre scorso.
L’indebitamento netto misura la differenza
tra le entrate e le uscite complessive del conto consolidato delle
amministrazioni pubbliche e rappresenta uno dei parametri di riferimento del
Patto di stabilità e crescita.
L’evoluzione dell’indebitamento netto,
misurato in percentuale del PIL è riportata nella tavola e nella figura
seguenti. Nel grafico gli istogrammi rappresentano il saldo complessivo, mentre
le due linee rappresentano le due componenti, rispettivamente il saldo primario
(che misura la differenza tra le entrate complessive e le uscite totali al
netto della spesa per interessi) e gli interessi passivi.
Grafico
2.1
Indebitamento netto nominale
(%PIL)
Tavola
2.1
Indebitamento netto nominale
(% PIL)
Sull’evoluzione dei saldi nel quinquennio in esame ha inciso fortemente la crisi economica del 2008 - 2009, che ha determinato in tali anni una caduta del prodotto interno lordo in termini reali rispettivamente dell’1,2 e del 5,5 per cento. La lieve ripresa nel 2010 (+1,8 per cento) è stata seguita da una decelerazione nel 2011 (+0,4 per cento) e da una nuova contrazione nel 2012 (-2,4 per cento). In termini di finanza pubblica, tali andamenti si sono riflessi in una dinamica delle entrate inferiore alle attese ed in un aumento delle spese per sussidi di disoccupazione ed integrazione del reddito.
Ne è derivato un peggioramento del saldo primario, passato
da un avanzo del 2,5 per cento del PIL nel
Nel biennio 2010-
La crisi dei mercati finanziari e del debito sovrano che ha
coinvolto l’Italia a partire dal
Secondo i dati di consuntivo rilasciati dall’Istat il 1° marzo scorso (scenario a), la dinamica sfavorevole delle entrate (-0,8 punti rispetto alle stime oggetto della Nota illustrativa della legge di stabilità presentata dal Governo nel settembre scorso) solo parzialmente compensata da una minore spesa primaria (-0,4 pp) ha comportato una riduzione dell’avanzo primario di 0,4, punti rispetto alle previsioni: ciò si è riflesso in un aumento del deficit al 3 per cento del PIL, in misura pari alla soglia prevista dal Protocollo annesso al Trattato di Maastricht.
La procedura per deficit eccessivo
Il
superamento della soglia del 3 per cento del rapporto indebitamento netto/PIL
nel
Nel
giugno 2012 il Consiglio Europeo ha approvato le raccomandazioni sul Programma
nazionale di riforma 2012 dell'Italia ed il parere sul Programma di stabilità
per gli anni 2012-2015[38]. Con riferimento a
quest’ultimo, il Consiglio raccomandava di attuare la strategia di bilancio prevista
dai documenti di finanza pubblica presentati dal Governo italiano e di
garantire che il disavanzo eccessivo fosse corretto nel 2012. Il Consiglio
rilevava che il programma di stabilità conferma l’obiettivo di medio termine
(OMT) relativo ad una posizione di bilancio di sostanziale equilibrio in
termini strutturali da raggiungere nel
I dati ufficiali più recenti (Istat, 1° marzo 2013), con riferimento all’esercizio appena trascorso, indicano un indebitamento netto più elevato rispetto a quello stimato nel PdS - DEF 2012 (-1,7 per cento) e nella successiva Nota di aggiornamento (-2,6 per cento), e pari al 3 per cento: tale valore coincide con la soglia di riferimento prevista dal Trattato. Con riferimento al debito, il dato Banca d’Italia evidenzia un’incidenza sul PIL pari al 127 per cento (126,4 per cento nella Nota).
Dati i parametri di bilancio e le procedure di valutazione degli impegni assunti dai singoli Stati membri con il Patto di Stabilità e Crescita ed il Fiscal compact, assume una particolare rilevanza, tra le variabili alla base della programmazione di medio periodo della finanza pubblica e delle decisioni di politica fiscale, l’indebitamento netto strutturale.
Il saldo così definito è pari all’indebitamento netto corretto per gli effetti del ciclo economico sulle componenti di bilancio e per gli effetti delle misure una tantum, che influiscono solo temporaneamente sull’andamento del disavanzo.
La fissazione degli obiettivi in termini di saldo strutturale riflettono, infatti, l’impegno del paese per il raggiungimento dell'obiettivo di medio termine (OMT) concordato in sede europea, che risulta coerente con la riduzione programmatica del debito pubblico nel lungo periodo.
Dati gli obiettivi strutturali e considerata la posizione dell'economia rispetto al ciclo, ne deriva l’obiettivo di indebitamento netto della PA, cioè quel valore di saldo nominale che consente di realizzare il percorso di consolidamento desiderato.
L’obiettivo programmatico viene poi confrontato con l'andamento tendenziale per definire l'aggiustamento necessario.
Il saldo corretto per il
ciclo e l’output gap
Il saldo corretto per il ciclo misura il saldo del settore delle
pubbliche amministrazioni al netto dell'impatto delle fluttuazioni economiche.
Esso consente di distinguere le variazioni automatiche di entrata e di spesa
rispetto alla componente discrezionale di politica fiscale, e di valutare il
carattere espansivo o restrittivo di questa a fronte dell’andamento
macroeconomico (fiscal stance).
Le variabili utilizzate per l’analisi della finanza pubblica corretta
per il ciclo:
alcuni elementi definitori
Il PIL potenziale rappresenta il livello teorico massimo di produzione che un paese può raggiungere senza causare tensioni inflazionistiche. Esso esprime, pertanto, i fondamentali dell’economia e la componente strutturale della crescita, cui si confronta l’andamento registrato in un determinato momento del ciclo economico. Il PIL potenziale non è direttamente osservabile ma risulta, secondo la metodologia approvata dall’Ecofin e utilizzata dagli Stati membri per il calcolo degli indicatori strutturali richiesti dal Programmi di stabilità, dalla stima statistica prodotta utilizzando sia i valori effettivamente registrati a consuntivo negli anni precedenti, sia il valore del PIL atteso nel periodo di previsione.
La deviazione del PIL effettivo rispetto al valore potenziale è rappresentato dall’output gap (pari alla differenza in livello tra PIL effettivo e PIL potenziale, rapportata al PIL potenziale).
Il prodotto tra l’output gap e la stima della sensibilità al ciclo delle entrate e delle spese correnti costituisce la componente ciclica del saldo di bilancio. La sensibilità del saldo di bilancio all’andamento del PIL è un parametro, il cui valore, individuato sulla base degli andamenti registrati nell’arco di un decennio, viene periodicamente aggiornato in sede europea; esso è attualmente pari per l’Italia a 0,5, quale somma delle elasticità delle entrate e delle spese.
Per ottenere il saldo strutturale (l’indebitamento netto o il saldo primario), occorre in primo luogo depurare il saldo nominale dalla sua componente ciclica: se negativa, tale componente migliora il saldo in termini strutturali; viceversa in caso di componente ciclica positiva.
Il saldo corretto per il ciclo va poi depurato delle misure una tantum (cfr infra), sottraendo sia le entrate che le spese identificate come straordinarie: in caso di prevalenza delle prime sulle seconde il saldo strutturale risulterà peggiore del saldo corretto per il solo ciclo, viceversa in caso di prevalenza delle spese sulle entrate.
Come evidenziato dalle variabili sopra descritte, sulla determinazione dei saldi strutturali risulta determinante sia il segno che l’ampiezza dell’output gap, ossia la distanza dell’economia dal suo potenziale di crescita[40].
Poiché tuttavia tale grandezza non è direttamente osservabile ma è il risultato di stime, ne derivano due conseguenze: i) difficilmente il calcolo del PIL potenziale è in grado di cogliere appieno i punti di inversione del ciclo e gli effetti di cambiamenti strutturali; ii) la variazione del valore atteso del PIL per il periodo di previsione o le modifiche riguardanti i dati di consuntivo (conseguenti anche a revisioni contabili) determinano una revisione del PIL potenziale, e quindi dell’output gap, anche negli anni in cui non si è verificata alcuna variazione nella crescita effettiva (o attesa).
A parità di parametro
relativo alla sensibilità del bilancio al ciclo e di valore nominale
dell’indebitamento netto o del saldo primario effettivo (o atteso), si verifica
pertanto una variazione nei saldi strutturali.
Le misure una tantum
L’introduzione delle misure una tantum e temporanee nella correzione del saldo strutturale ha lo scopo di incentivare il perseguimento di politiche di riduzione del deficit pubblico con misure strutturali, aventi effetti di natura permanente sulla correzione dei disavanzi.
L’individuazione delle misure una tantum
La normativa comunitaria non individua precisi criteri di definizione in base ai quali catalogare con certezza le diverse misure di spesa o di entrata. Il Codice di condotta, si limita a definire come una tantum e temporanee quelle misure che hanno un impatto transitorio sui saldi di bilancio e che non apportano variazioni significative all’evoluzione di lungo periodo della finanza pubblica. A fini esemplificativi il Codice di condotta include tra le una tantum la vendita di beni patrimoniali non finanziari, gli incassi derivanti da aste di vendita di licenze di proprietà pubblica, i condoni fiscali, gli incassi derivanti dal trasferimento di obblighi pensionistici e le spese di emergenza di breve periodo connesse a disastri naturali.
Un’analisi di maggior dettaglio è fornita da altre pubblicazioni della Commissione europea[41] che, oltre a sottolineare l’esigenza che le misure in questione abbiano carattere non ricorrente, integrano la lista aperta del Codice di condotta con altre voci, aventi parimenti carattere meramente indicativo.
Tali voci includono, tra l’altro, le modifiche legislative di carattere temporaneo aventi effetti sulla tempistica degli incassi e dei pagamenti con effetti positivi sul bilancio, le modifiche di aliquote fiscali chiaramente annunciate come temporanee, gli effetti conseguenti a sentenze della Corte di giustizia europea, o a decisioni di altre istituzioni, sia nel caso che queste comportino incassi (come i rimborsi al governo di sussidi, a seguito di decisioni della Commissione), sia nel caso che ne derivino pagamenti (come i rimborsi di imposte dichiarate illegittime); le operazioni di cartolarizzazione con effetti positivi sul bilancio, le spese di breve periodo a carattere emergenziale connesse con grandi eventi eccezionali (come le azioni militari).
Viene infine sottolineata la necessità di una particolare cautela nell’includere tra le misure una tantum quelle aventi effetti peggiorativi sul deficit, al fine di evitare qualsiasi incentivo per gli Stati membri ad adottare, nell’ambito della legislazione di spesa, misure di carattere temporanee escluse nel calcolo dei saldi strutturali.
In attesa della pubblicazione della tavola delle una tantum aggiornata, che verrà riportata nel Documento di
economia e finanza per il 2013, di prossima pubblicazione, si riportano di
seguito, per memoria, i dati contenuti nella Nota di aggiornamento al DEF 2012,
utilizzati nelle elaborazioni relative ai saldi strutturali. Si segnala che,
con riferimento agli esercizi di previsione (incluso il 2012), si tratta di
valori in corso di revisione, sia in relazione alla disponibilità dei dati di
preconsuntivo per il 2012, sia in conseguenza delle modifiche normative
intervenute con la legge di stabilità per il 2013, suscettibili di incidere
sugli importi di alcune poste una tantum.
Si ricordano, in particolare, le disposizioni riguardanti la riapertura dei termini dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni e le misure riguardanti i territori colpiti da eventi calamitosi.
Tavola 2.2
Misure
una tantum
(milioni di euro)
Rinviando al documento di analisi del DEF 2013 per un esame delle misure una tantum relative agli esercizi di previsione (incluso il 2012), si richiamano di seguito brevemente le principali misure che hanno inciso nel corso della legislatura.
Sul lato delle entrate, rileva in primo luogo il gettito delle imposte
sostitutive[42],
tra cui in particolare:
- l’imposta sostitutiva delle imposte ipotecaria e catastale sui contratti di leasing immobiliare in essere al 1° gennaio 2011, introdotta dalla legge finanziaria per il 2011[43];
- l’imposta sostitutiva relativa al riallineamento dei valori di bilancio ai principi IAS, introdotta nel 2008, la cui base di applicazione è stata ampliata nella manovra dell’estate 2011[44].
Il gettito di entrambe le imposte si è rivelato, a consuntivo, più cospicuo di quanto stimato inizialmente.
Sotto il profilo metodologico si segnala che, in corrispondenza della revisione al rialzo delle previsioni di gettito delle imposte sostitutive, rilevanti ai fini delle una tantum, si rende necessaria una rettifica al ribasso del gettito ordinario delle imposte dirette, al fine di tenere conto del minor gettito IRES e IRAP, per maggiori ammortamenti e minori plusvalenze tassabili, conseguente ai maggiori valori oggetto di riallineamento rispetto a quanto precedentemente previsto
Rileva inoltre il gettito del cosiddetto “scudo fiscale”,
pari nel
Rileva infine sul lato delle entrate il contributo dell’Unione Europea erogato con finalità di sostegno per far fronte alla situazione di emergenza conseguente al terremoto verificatosi in Abruzzo nell’aprile 2009.
L’inclusione del contributo in questione fra le misure una tantum sembra apparentemente ispirata a ragioni di simmetria rispetto all’analoga considerazione delle spese sostenute dalle amministrazioni pubbliche italiane per la medesima finalità.
Sul lato della spesa risultano significative le spese inerenti gli interventi per calamità naturali, che per gli esercizi di consuntivo (fino al 2011) riguardano in particolare:
a) gli interventi per il terremoto in Abruzzo, per i quali, i documenti di finanza pubblica succedutisi nel corso della legislatura hanno operato una significativa revisione al ribasso delle stime di spesa rispetto a quanto originariamente previsto[47].
Con riferimento agli interventi per i territori dell’Emilia colpiti dal sisma del 2012, le previsioni di spesa incidono sugli esercizi 2013-2015 per circa 6 miliardi nel triennio, rispetto alle quali si rinvia agli imminenti aggiornamenti di stima del DEF 2013;
b) il
bonus straordinario per famiglie, lavoratori, pensionati e non
autosufficienti[48],
che incide unicamente sull’esercizio 2009 per un importo pari a 1.522 milioni,
a fronte dell’originaria previsione di spesa di 2,4 miliardi;
c) il riacquisto, intervenuto nel
2009, degli immobili invenduti dell’operazione di cartolarizzazione SCIP2.
L’inclusione fra le una tantum dell’operazione di riacquisto degli immobili in questione, normalmente qualificabile come spesa ordinaria in conto capitale, è motivata da ragioni di simmetria rispetto all’effetto ascritto alle dismissioni realizzate con la cartolarizzazione Scip2, di cui l’operazione in questione costituisce la conclusione. A fronte di un esborso effettivamente erogato nel 2009 dalle casse previdenziali per l’acquisto degli immobili, pari a 1.732 milioni, l’ammontare imputato all’indebitamento netto del 2009 è stato pari a 938 milioni. La parte restante, pari a 794 milioni, è redistribuita, retrospettivamente, sull’arco temporale di vigenza dell’operazione SCIP2 (2004-2008), in proporzione delle cessioni immobiliari effettuate;
d) i rimborsi di
imposte pregresse giudicate illegittime da sentenze della Corte di
giustizia europea, fra cui:
a. la deducibilità dell’IVA sulle auto aziendali,
per la quale sono stati spesi importi inferiori alle previsioni originarie;
b. il rimborso dell’imposta assolta sui dividendi
distribuiti da società estere, per i quali è stata operata una diluizione nel
tempo rispetto alle originarie previsioni di spesa.
Tra le poste riduttive della spesa, in quanto considerate disinvestimenti, si segnalano:
- gli incassi per l’assegnazione di diritti d’uso di frequenze radioelettriche, contabilizzati interamente nell’esercizio 2011 anche se una quota di essi (per circa 1 miliardo) verrà effettivamente incassata a rate negli esercizi successivi;
A tale proposito si segnala che nel corso del 2012 è stata approvata una disposizione[49] riguardante la valorizzazione economica dello spettro radio e la revoca del c.d. “beauty contest”, suscettibile, qualora attuata, di generare entrate di carattere una tantum. In relazione a tale disposizione non sono state formulate previsioni di gettito nei documenti di finanza pubblica.
- le dismissioni immobiliari, che hanno avuto un andamento costante e contenuto nel corso della legislatura e che potrebbero subire un incremento nella prossima qualora sia data attuazione al piano pluriennale di valorizzazione del patrimonio pubblico, al quale sono attribuiti, negli andamenti programmatici, rilevanti effetti di riduzione del debito.
L’indebitamento netto
strutturale nel periodo 2008-2012
La tavola seguente, tratta dalla Nota di aggiornamento del DEF 2012 presentata nel settembre scorso, evidenzia l’evoluzione dell’indebitamento netto strutturale e delle variabili rilevanti ai fini della sua determinazione, relativamente al periodo 2008-2012. Con riferimento al 2012, viene indicato anche il risultato a consuntivo registrato dall’Istat, relativamente alla crescita dell’economia, all’indebitamento netto e all’avanzo primario nominali.
Tavola 2.3
Indicatori strutturali
Fonte: Nota di aggiornamento DEF 2012, settembre 2012; per il 2012(*) sono
indicati anche i dati di consuntivo
rilasciati dall'Istat il 1° marzo 2013
E’ da rilevare che i dati di consuntivo circa l’andamento dell’economia nel 2012 nonché i nuovi valori attesi per il periodo 2013-2015 comporteranno, come si è detto, una modifica delle variabili macroeconomiche rilevanti ai fini della presente analisi (PIL potenziale, output gap e componente ciclica) anche per i precedenti esercizi, determinando (a parità di saldi nominali) un valore dei saldi strutturali nel quinquennio in esame diverso da quello indicato dalla Nota. Ulteriori modifiche discendono naturalmente per il 2012 da valori dei saldi nominali diversi da quelli attesi al momento della presentazione della Nota, oltre che dalle (limitate) revisioni operate dall’Istat relativamente al 2011[50]. Un aggiornamento del quadro degli indicatori sarà reso disponibile in occasione del Documento di economie e finanza 2013.
I dati contenuti nella
Nota offrono comunque elementi
interessanti, che vale evidenziare sia pure con le necessarie cautele.
Nel 2008, nonostante una contrazione dell’economia, il PIL effettivo resta al di sopra del potenziale, determinando un output gap positivo. A fronte di un indebitamento netto nominale del 2,7 per cento del PIL, una componente ciclica pari a +0,7 insieme a misure una tantum pari a +0,2 determinano un deficit strutturale più elevato e pari -3,6 per cento.
Nel periodo 2009-2012, invece, in presenza di un output gap e di una componente ciclica negativi, l’indebitamento netto strutturale risulta più contenuto rispetto al saldo nominale, nonostante un valore positivo delle una tantum.
Grafico
2.2
Indebitamento netto nominale e strutturale
Fonte: Nota
di aggiornamento DEF 2012, settembre 2012.
In termini di variazioni, dopo il peggioramento tra il 2008
e il 2009 (da
Sull’evoluzione del saldo di bilancio incidono gli effetti
delle manovre correttive adottate nel periodo in esame, che concorrono ad una variazione dell’avanzo
primario strutturale pari a +0,5 punti di PIL nel
Il percorso di consolidamento fiscale si è determinato in
anni contraddistinti da valori negativi dell’output gap, che tuttavia tende a chiudersi nel biennio 2010-2011
per poi aumentare nuovamente nel
Sul quadro delineato
nella Nota del settembre scorso sono destinati ad incidere, come si è detto,
sia le variabili relative all’andamento (anche in prospettiva) dell’economa,
che i risultati (in termini nominali) del saldo di bilancio e dell’avanzo
primario registrati dall’Istat a consuntivo
2.3 Le previsioni per il triennio 2013-2015
Per quanto riguarda l’esercizio in corso ed il successivo biennio, i valori dei saldi obiettivo[52] indicati dal Governo nella Nota di aggiornamento confermavano l’impegno assunto in sede europea di raggiungere il pareggio di bilancio in termini strutturali nel 2013. Nel successivo biennio era previsto un deficit pari a -0,2 e -0,4 per cento del PIL.
In presenza di un output gap e di una componente ciclica che si mantengono in territorio negativo, a tale evoluzione corrispondeva un valore dell’indebitamento netto nominale in riduzione e pari a -1,8 per cento del PIL nel 2013, -1,5 per cento nel 2014 e -1,3 per cento nel 2015.
I valori dei saldi
riflettono l’evoluzione prevista, nel settembre scorso, sia delle grandezze di
finanza pubblica che delle variabili economiche. Un quadro ufficiale
aggiornato, anche alla luce dei risultati conseguiti nel 2012, sarà disponibile
con il prossimo Documento di economia e finanza.
Tavola
2.4
Saldi nominali e strutturali – Previsioni 2013-2015
Gli arrotondamenti alla prima cifra decimale possono
determinare incongruenze tra i valori della tabella
Fonte: Nota di aggiornamento DEF 2012, settembre 2012
Le previsioni del Governo risultavano già allora più
ottimistiche rispetto a quelle formulate nello stesso periodo da altri
previsori ufficiali (v. Grafico XX). Nell’Autumn
forecast del novembre 2012
Grafico 2.3
Indebitamento
netto: confronto previsioni
(%PIL)
Previsioni più recenti della Commissione europea (Winter forecast, febbraio 2013) confermavano le stime dell’indebitamento nominale (-2,9 per cento per il 2012 e -2,1 per il successivo biennio), ma alla luce di un diverso profilo del PIL potenziale e dell’output gap rivedevano il saldo di bilancio strutturale: -1,4 per cento nel 21012, -0,1 per cento nel 2013 e -0,5 per cento nel 2014.
I dati di consuntivo relativi al 2012 presentati dal l’Istat evidenziano, come si è detto, un peggioramento di 0,4 punti percentuali nell’avanzo primario e nell’indebitamento netto nominale rispetto alle stime del Governo presentate nel mese di settembre: rispettivamente +2,5 e -3 per cento a consuntivo a fronte del +2,9 e -2,6 per cento della Nota di aggiornamento. Si conferma, invece, una contrazione del PIL pari al 2,4 per cento.
Tali risultati, insieme alla revisione delle stime di crescita, non potranno non riflettersi sull’esercizio in corso. Un ulteriore peggioramento dei saldi potrebbe inoltre derivare ove fosse confermata anche per il 2013 e seguenti una minore efficacia di alcune misure correttive dal lato delle entrate e/o una maggiore elasticità del gettito a variazioni del PIL come quella sperimentata nell’esercizio passato (cfr. capitolo 4).
3. Dal consolidamento fiscale alle misure per
sostenere la crescita
3.1 Le manovre di finanza pubblica
Nelle pagine che seguono si ricordano brevemente le principali manovre di finanza pubblica adottate nel periodo 2008-2012, evidenziandone gli effetti attesi sul saldo del conto economico delle pubbliche amministrazioni e la composizione in termini di entrate e spese (v. Tavola 3.1).
La tavola si basa sui dati contenuti nei prospetti riepilogativi degli effetti finanziari (Allegato 3), relativi ai testi dei provvedimenti come modificati durante l’iter parlamentare: gli effetti sono pertanto quelli quantificati dal Governo al momento della presentazione (o dell’esame) dei disegni di legge ed esprimono una valutazione ex ante.
Occorre, inoltre, rilevare che di norma gli allegati prendono in considerazione un periodo triennale, pur se numerose misure hanno un effetto a regime a decorrere dal terzo anno. Per determinare la portata complessiva della correzione in un anno, occorre quindi sommare agli effetti indicati espressamente per tale anno negli allegati riferiti alle “nuove” manovre quelli a regime derivanti dalle misure in precedenza adottate (ad es. sul 2012 ed esercizi successivi incidono anche quella parte delle misure oggetto del D.L. 112/2008 che hanno un effetto permanente, così come sul 2013 e ss. incidono le misure del D.L. 78/2010). Tuttavia, in assenza di proiezioni ufficiali circa gli effetti delle manovre oltre il triennio, la tavola 3.1 si limita a riportare gli effetti di impatto espressamente quantificati.
Tavola
3.1
Manovre 2008-2012: effetti sull'indebitamento netto
della P.A. - composizione spese/entrate
(milioni di euro - %)
Fonte: elaborazione su allegati 3 dei disegni di
legge, testo finale.
(segue Tavola 3.1)
La manovra 2009-2011
adottata nell’estate 2008
Nei mesi precedenti lo scoppio della crisi
economico-finanziaria del
Il “pacchetto” di misure approvate nel mese di agosto[54], pari a circa 31 miliardi a decorrere dal 2011, era atteso determinare un effetto di contenimento dell’indebitamento netto pari allo 0,6 per cento del PIL nel 2009, all’1 per cento nel 2010 e all’1,8 per cento nel 2011[55]. Tali decisioni furono adottate in un contesto macroeconomico in cui le previsioni di crescita del PIL, sebbene non particolarmente favorevoli, erano ancora positive.
Tavola 3.2
Le previsioni del Governo del giugno 2008 - Scenario programmatico
(% PIL)
Fonte:
DPEF 2009, giugno 2008
Le misure anti-crisi
Quando la crisi esplose nell’autunno 2008 e per tutto l’esercizio successivo, la linea di politica fiscale adottata dal Governo fu “prudente”: data la posizione di bilancio iniziale e l’elevato rapporto debito/PIL, fermo restando il libero operare dei c.d. stabilizzatori automatici, le misure discrezionali di sostegno alla crescita furono intese essere neutrali sui saldi.
Pertanto, i pacchetti di stimolo introdotti tra Novembre 2008 e Dicembre 2009[56] (che includevano trasferimenti alle famiglie a basso reddito, misure di sostegno alle imprese e incentivi all’acquisto di autoveicoli) furono finanziati con aumenti di entrate (tra cui le imposte sostitutive sulla rivalutazione degli assets aziendali, il c.d. “scudo fiscale” e il recupero di margini di elusione ed evasione) e, in misura minore, attraverso tagli di spesa[57]. Solo la legge di assestamento del bilancio 2009, consentendo un’accelerazione dei pagamenti a fronte di crediti esigibili verso i Ministeri per somministrazioni, forniture e appalti, determinava un impatto espansivo del deficit[58].
Il percorso di
consolidamento fiscale
Per effetto delle misure ricordate, degli effetti negativi del ciclo e di una caduta delle entrate/aumento delle spese a legislazione corrente superiore alle previsioni iniziali, il 2009 si chiude con un indebitamento netto del 5,4 per cento, a fronte del -2,7 per cento nel 2008 (sostanzialmente in linea con le previsioni precedenti lo scoppio della crisi, -2,5 per cento). Ciò determinava, come si è detto, l’apertura della procedura per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia.
A metà 2010, il quadro tendenziale della PA[59] evidenziava un deficit del 5 per cento per l’esercizio in corso e superiore al 4 per cento nel successivo biennio (-4,7 per cento nel 2011 e -4,3 per cento nel 2012). Il debito era previsto in crescita dal 115 per cento nel 2009 (106 per cento nel 2008) al 119 per cento a fine periodo: è da rilevare che tale incremento era dovuto non solo al persistere di un elevato deficit, ma anche ad una contrazione del PIL in termini nominali, ritornato ai livelli pre-crisi solo nel 2011[60].
In tale contesto, nell’estate del 2010, ai primi accenni di ripresa, veniva adottata una manovra triennale[61], con l’obiettivo di riportare il deficit al sotto della soglia del 3 per cento entro il 2012, così come richiesto nell’ambito delle procedure di sorveglianza previste dal Patto di stabilità e crescita. La correzione del deficit ammontava a oltre 12 miliardi nel 2011 (0,8 per cento del PIL) e a oltre 25 miliardi annui nel successivo biennio (1,5 per cento[62]). Solo una correzione marginale era invece prevista per il 2010 data la performance ancora debole dell’economia.
Nell’estate del
Complessivamente, le misure adottate prevedevano una correzione dell’indebitamento netto di circa 48,8 miliardi nel 2012 (3 per cento del PIL), di 75,7 miliardi nel 2013 (4,7 per cento) e di 81,3 miliardi nel 2014 (4,9 per cento)[65].
Se si confrontano le stime sull’indebitamento netto contenute nel DEF 2012 con quelle dell’aprile 2011, prima cioè che venissero adottati gli interventi correttivi, si può vedere tuttavia come una parte degli effetti delle misure adottate nel 2011 è andato “perduto”: come evidenziato dal Governo[66], questo è in larga parte ascrivibile al peggioramento della situazione economica, che ha determinato una dinamica meno favorevole delle entrate, vanificando parte dello sforzo fiscale (cfr infra).
Grafico 3.1
Le
misure di consolidamento fiscale 2011
(%PIL)
Gli interventi del 2011 consentivano, secondo le stime contenute nel DEF dell’aprile 2012 e confermate dalla successiva Nota di aggiornamento del mese di settembre (v. Tavola 3.3), di raggiungere gli obiettivi in precedenza annunciati - un saldo nominale al di sotto del 3 per cento nel 2012 e il pareggio di bilancio in termini strutturali nel 2013 - e di rispettare quindi gli impegni assunti in sede europea.
I provvedimenti
adottati nel corso del 2012, ed in particolare
Tavola 3.3
I
risultati 2008-2011 e le previsioni del Governo per il 2012-2015
(% PIL)
Secondo i dati di consuntivo Istat del 1° marzo scorso, il 2012 si è chiuso con un indebitamento netto nominale pari al 3 per cento del PIL, più elevato di 0,4 punti rispetto alle stime contenute nella Nota. Il peggioramento è ascrivibile ad una caduta delle entrate, a fronte di una sostanziale tenuta della spesa.
In un contesto caratterizzato da una perdurante debolezza dell’economia, il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per il 2013 ed il successivi biennio potrebbe risultare più difficile del previsto. L’aggiornamento del quadro tendenziale sarà disponibile, come si è detto, ad aprile con la presentazione del DEF.
3.2 La ripartizione delle manovre per livelli di governo
Al fine di valutare il contributo dei diversi livelli di governo all’azione di risanamento della finanza pubblica attuata nel corso della XVI legislatura, si sono analizzati i dati relativi alle manovre distinti per comparti della pubblica amministrazione, riportati nelle Note brevi pubblicate dalla Ragioneria generale dello Stato.
Rispetto ai dati utilizzati nelle analisi che precedono (paragrafo 3.1), tratti direttamente dai prospetti riepilogativi allegati ai singoli provvedimenti, i dati delle Note brevi, presi in considerazione nel presente paragrafo, presentano alcune marginali discrasie: questi ultimi non considerano infatti alcuni provvedimenti di portata finanziaria minore (che sono invece stati inclusi nell’analisi sin qui condotta[67]) e presentano altresì, in alcuni casi, differenze sui criteri adottati nell’aggregazione contabile delle voci, a parità di saldi complessivi[68]. Le differenze riscontrate hanno comunque portata marginale e non compromettono la coerenza complessiva delle analisi.
Le manovre adottate nel corso dell’intera legislatura sono di seguito analizzate (Tavola 3.4) separando due fasi: quella antecedente e quella successiva all’acuirsi della crisi finanziaria dell’estate 2011. Il primo periodo comprende le manovre attuate nel triennio 2008-2010, di cui si considerano gli effetti finanziari per il triennio 2009-2011; il secondo periodo comprende le manovre attuate nel biennio 2011-2012, di cui si analizzano gli effetti con riferimento al triennio 2012-2014.
La scelta di tale criterio descrittivo risulta condizionata dal fatto che i dati delle Note brevi della RGS hanno una proiezione temporale limitata ad un triennio e pertanto, con riferimento ai provvedimenti intrapresi nei primi esercizi della legislatura, non si dispone di dati relativi agli effetti prodotti per l’intero arco temporale considerato: i loro effetti sono, comunque, in larga parte di carattere permanente[69]. Gli interventi della seconda fase della legislatura hanno, pertanto, carattere addizionale rispetto a quelli della fase precedente e i relativi effetti sono pertanto da intendersi, in larga misura, come aggiuntivi.
Manovre
disposte nel triennio 2008-2010 |
|
Manovre disposte nel
biennio 2011-2012 |
||||||||
|
|
2009(*) |
2010 |
2011 |
|
|
|
2012 |
2013 |
2014 |
DL
112/2008 |
Entrate |
5.843 |
5.701 |
5.729 |
|
DL
98/2011 |
Entrate |
6.609 |
13.285 |
28.295 |
Amm.
Centrali |
5.000 |
4.784 |
5.203 |
|
Amm.
Centrali |
5.523 |
12.653 |
28.026 |
||
Amm.
Locali |
5 |
383 |
279 |
|
Amm.
Locali |
1.083 |
653 |
557 |
||
Enti di
previdenza |
838 |
534 |
247 |
|
Enti di
previdenza |
3 |
-21 |
-288 |
||
Spese |
-4.052 |
-11.436 |
-25.197 |
|
Spese |
1.031 |
-11.121 |
-19.677 |
||
Amm.
Centrali |
-6.128 |
-6.583 |
-15.207 |
|
Amm.
Centrali |
1.042 |
-4.458 |
-6.643 |
||
Amm.
Locali |
1.213 |
-5.215 |
-10.349 |
|
Amm.
Locali |
600 |
-5.300 |
-11.128 |
||
Enti di
previdenza |
863 |
362 |
359 |
|
Enti di
previdenza |
-611 |
-1.363 |
-1.906 |
||
Totale |
9.895 |
17.137 |
30.926 |
|
Totale |
5.578 |
24.406 |
47.973 |
||
DL
78/2010(*) |
Entrate |
|
830 |
3.899 |
|
DL
138/2011 |
Entrate |
14.068 |
22.121 |
10.521 |
Amm.
Centrali |
|
1.110 |
4.262 |
|
Amm.
Centrali |
14.070 |
22.123 |
10.523 |
||
Amm.
Locali |
|
0 |
200 |
|
Amm.
Locali |
-2 |
-2 |
-2 |
||
Enti di
previdenza |
|
-280 |
-563 |
|
Enti di
previdenza |
0 |
0 |
0 |
||
Spese |
|
794 |
-8.231 |
|
Spese |
-8.630 |
-7.738 |
-1.301 |
||
Amm.
Centrali |
|
441 |
-665 |
|
Amm. Centrali |
-4.000 |
-2.500 |
0 |
||
Amm.
Locali |
|
251 |
-6.737 |
|
Amm.
Locali |
-4.200 |
-3.150 |
150 |
||
Enti di
previdenza |
|
102 |
-829 |
|
Enti di
previdenza |
-430 |
-2.088 |
-1.451 |
||
Totale |
|
36 |
12.130 |
|
Totale |
22.698 |
29.859 |
11.822 |
||
Legge
di stabilità 2011 |
Entrate |
|
-76 |
-18 |
|
Legge
di stabilità 2012 |
Entrate |
206 |
-228 |
-47 |
Amm.
Centrali |
|
10 |
424 |
|
Amm.
Centrali |
-179 |
-427 |
-110 |
||
Amm.
Locali |
|
0 |
52 |
|
Amm.
Locali |
16 |
-8 |
-8 |
||
Enti di
previdenza |
|
-86 |
-494 |
|
Enti di
previdenza |
369 |
207 |
71 |
||
Spese |
|
-76 |
-19 |
|
Spese |
-186 |
-390 |
-149 |
||
Amm.
Centrali |
|
-76 |
-2.318 |
|
Amm.
Centrali |
-1.715 |
-129 |
106 |
||
Amm.
Locali |
|
0 |
1.699 |
|
Amm.
Locali |
940 |
-227 |
-211 |
||
Enti di
previdenza |
|
0 |
600 |
|
Enti di
previdenza |
589 |
-34 |
-44 |
||
Totale |
|
0 |
1 |
|
Totale |
392 |
162 |
102 |
||
|
Totale
interventi |
9.895 |
17.173 |
43.057 |
|
DL
201/2011 |
Entrate |
19.366 |
16.962 |
14.890 |
|
|
|
|
|
|
Amm.
Centrali |
14.569 |
12.264 |
9.070 |
|
|
|
|
|
|
|
Amm.
Locali |
3.619 |
3.111 |
3.817 |
|
|
|
|
|
|
|
Enti di
previdenza |
1.178 |
1.587 |
2.003 |
|
|
|
|
|
|
|
Spese |
-880 |
-4.357 |
-6.539 |
|
|
|
|
|
|
|
Amm.
Centrali |
2.932 |
2.283 |
2.317 |
|
|
|
|
|
|
|
Amm.
Locali |
-1.790 |
-1.887 |
-1.887 |
|
|
|
|
|
|
|
Enti di
previdenza |
-2.022 |
-4.753 |
-6.969 |
|
|
|
|
|
|
|
Totale |
20.246 |
21.319 |
21.429 |
|
|
|
|
|
|
|
DL
95/2012 |
Entrate |
-3.392 |
-6.766 |
-10.237 |
|
|
|
|
|
|
Amm.
Centrali |
-3.304 |
-6.617 |
-9.978 |
|
|
|
|
|
|
|
Amm.
Locali |
-10 |
-19 |
-33 |
|
|
|
|
|
|
|
Enti di
previdenza |
-78 |
-130 |
-226 |
|
|
|
|
|
|
|
Spese |
-3.994 |
-6.781 |
-10.264 |
|
|
|
|
|
|
|
Amm.
Centrali |
-1.314 |
-382 |
-2.719 |
|
|
|
|
|
|
|
Amm.
Locali |
-2.680 |
-6.607 |
-7.597 |
|
|
|
|
|
|
|
Enti di
previdenza |
0 |
208 |
52 |
|
|
|
|
|
|
|
Totale |
602 |
16 |
27 |
|
|
|
|
|
|
|
Legge
di stabilità 2013 |
Entrate |
|
-1.892 |
-876 |
|
|
|
|
|
|
Amm.
Centrali |
|
-2.107 |
-42 |
|
|
|
|
|
|
|
Amm.
Locali |
|
40 |
-910 |
|
|
|
|
|
|
|
Enti di
previdenza |
|
175 |
76 |
|
|
|
|
|
|
|
Spese |
|
427 |
-1.014 |
|
|
|
|
|
|
|
Amm.
Centrali |
|
1.090 |
2.016 |
|
|
|
|
|
|
|
Amm.
Locali |
|
-629 |
-2.728 |
|
|
|
|
|
|
|
Enti di
previdenza |
|
-35 |
-302 |
|
|
|
|
|
|
|
Totale |
|
-2.319 |
137 |
|
|
|
|
|
|
|
|
Totale
interventi |
49.516 |
73.443 |
81.490 |
Fonte:
Elaborazione su dati delle Note brevi della Ragioneria generale dello Stato[70].
(*) Gli effetti del D.L. 78/2010 per il 2012 ed esercizi successivi ammontano a
circa 25 miliardi annui (cfr. supra).
Grafico 3.2
Riparto del carico delle manovre tra i comparti
delle Amministrazioni pubbliche
Fonte: elaborazioni del servizio bilancio su dati del Governo (cfr. le
Note brevi sulle manovre di finanza pubblica)
Prima fase della legislatura
Seconda fase della legislatura
Analizzando il carico delle manovre e il loro riparto tra Amministrazioni centrali, delle Amministrazioni locali e degli Enti di previdenza (grafico a istogrammi) si rileva che le manovre assunte nella seconda fase sono di dimensioni largamente superiori a quelle assunte nella fase precedente. In merito al riparto del carico delle manovre tra i diversi comparti amministrativi, sopra riportato in dettaglio per ciascuna manovra e di seguito riepilogato, si rileva che quello delle Amministrazioni locali si mantiene costante, in media, sia nel primo che nel secondo periodo, pur con una marcata variabilità in alcuni esercizi, mentre quello delle Amministrazioni centrali risulta più elevato nel primo periodo (a fronte di un contributo nullo o negativo del comparto previdenziale) e si riduce nel secondo periodo (a fronte di un contributo positivo del comparto previdenziale), rimanendo comunque maggioritario.
Tavola 3.5
(dati in mln di euro e in % sul totale della manovra)
Totale manovra prima
fase |
|
Totale manovre seconda
fase |
||||||||
|
2009 |
2010 |
2011 |
media |
|
|
2012 |
2013 |
2014 |
media |
Amm. Centrali |
11.128 |
12.122 |
28.079 |
17.110 |
|
Amm. Centrali |
33.735 |
41.984 |
42.412 |
39.377 |
|
112% |
71% |
65% |
73% |
|
|
68% |
57% |
52% |
58% |
Amm. Locali |
-1.208 |
5.347 |
15.918 |
6.686 |
|
Amm. Locali |
11.835 |
21.575 |
26.822 |
20.078 |
|
-12% |
31% |
37% |
29% |
|
|
24% |
29% |
33% |
29% |
Enti di previd. |
-25 |
-296 |
-940 |
-420 |
|
Enti di previd. |
3.945 |
9.883 |
12.256 |
8.695 |
|
0% |
-2% |
-2% |
-2% |
|
|
8% |
13% |
15% |
13% |
Totale |
9.895 |
17.173 |
43.057 |
23.375 |
|
Totale |
49.516 |
73.443 |
81.490 |
68.150 |
Fonte: Elaborazione su dati delle Note
brevi della Ragioneria generale dello Stato.
Esaminando la composizione delle manovre tra entrate e spese e il relativo riparto tra comparti amministrativi (grafici a torte), si evidenzia in primo luogo che nel primo periodo gli interventi correttivi, aventi portata complessivamente inferiore, incidono prevalentemente sul lato della spesa, mentre, con l’acuirsi della crisi finanziaria, la correzione, divenuta più marcata, opera prevalentemente sul lato dell’entrata.
Il peso preponderante della correzione operata sul lato dell’entrata operata nel corso del 2011 risultava decisamente più marcato prima delle rimodulazioni operate nel corso del 2012 (DL n. 95/2012 e legge di stabilità per il 2013). Queste ultime, infatti, senza accentuare la portata della manovra (netta) complessiva approvata nel corso del 2011, hanno operato una sua riallocazione, aumentando il peso della misure di riduzione della spesa e riducendo quello di incremento dell’entrata che resta tuttavia prevalente. Si ricorda inoltre che una parte della manovra (ovvero le misure inerenti il Patto di stabilità interno per gli enti locali) risulta convenzionalmente registrata interamente sul lato della spesa, mentre essa incide effettivamente, almeno in parte, anche sul lato dell’entrata: infatti, la composizione effettiva dell’intervento è rimessa all’autonoma decisione degli enti locali che possono liberamente deliberare aumenti di entrate o riduzioni di spese.
Si rileva inoltre:
§ che la manovra sulle spese è ripartita in modo pressoché paritario tra Amministrazioni locali e centrali nel primo periodo (fatta eccezione per la manovra riferita al 2009 che tuttavia ha un peso relativamente modesto), mentre nel secondo periodo il concorso delle Amministrazioni centrali si riduce notevolmente e la riduzione della spesa è affidata pressoché integralmente ai due comparti delle Amministrazioni locali e degli Enti previdenziali;
§ la manovra sulle entrate è sempre attribuita in modo largamente prevalente alle Amministrazioni centrali, sia nel primo che nel secondo periodo.
Lo sforzo fiscale richiesto alle Amministrazioni locali, misurato nelle tabelle sopra riportate, risulta pertanto particolarmente significativo alla luce della composizione della manovra tra entrate e spese: tale comparto è infatti fortemente coinvolto nella manovra di riduzione delle spese, mentre beneficia in modo limitato della manovra di incremento delle entrate.
Nell’accezione qui utilizzata, il concetto di sforzo fiscale individua il comparto amministrativo al quale la manovra impone di ridurre le spese o ad aumentare le entrate nei rapporti con i soggetti esterni alla Pubblica amministrazione. E’ questo il criterio sulla base del quale le Note brevi della RGS ripartiscono il carico della manovre tra i diversi comparti. Diverso è invece il criterio del beneficio fiscale, che individua i comparti amministrativi che, grazie alla manovra, registrano un miglioramento dei saldi di finanza pubblica. I due criteri di riparto della manovra possono non coincidere nel caso di variazioni, automatiche o discrezionali, nei rapporti finanziari interni tra i diversi comparti della P.A.: ne sono un esempio la riduzione compensativa dei trasferimenti agli enti previdenziali a fronte di misure di contenimento delle prestazioni pensionistiche, ovvero i tagli discrezionali dei trasferimenti spettanti agli enti locali. In questo ultimo caso, il comparto amministrativo che registra il miglioramento del saldo corrispondente al risparmio di spesa è quello delle Amministrazioni centrali, mentre lo sforzo fiscale nei rapporti con i soggetti esterni alla P.A. è sostenuto dalle Amministrazioni locali le quali, per non peggiorare il proprio saldo a seguito del venir meno dei trasferimenti, sono tenute a reperire risorse alternative ai trasferimenti soppressi o a ridurre le spese. Nel caso delle manovre esaminate, il beneficio fiscale, in termini di miglioramento del saldo primario, risulta allocato prevalentemente sul comparto delle Amministrazioni centrali, cui compete la quota largamente maggioritaria della correzione del predetto saldo[71], coerentemente con la necessità di concentrare il miglioramento dell’avanzo primario nel comparto centrale della P.A., il quale sostiene la quota largamente maggioritaria della spesa per interessi che l’avanzo primario è chiamato a finanziare.
Il grafico 3.3 opera un raffronto tra l’entità dello sforzo fiscale richiesto a ciascun comparto nella seconda fase della legislatura e il rispettivo contributo alla formazione del saldo primario corrente.
Grafico 3.3
|
|
Fonte: elaborazione sui dati delle Note brevi della RGS (composizione
della manovra) e dei Conti ed aggregati economici delle Amministrazioni
pubbliche – ISTAT 21 dicembre 2012 (composizione del saldo primario corrente).
Dal raffronto, avente carattere indicativo[72], emerge che la correzione richiesta al comparto delle Amministrazioni locali sul fonte del contenimento della spesa risulta proporzionalmente maggiore rispetto all’incidenza della spesa corrente primaria del medesimo comparto sul totale della P.A.. Viceversa, la quota di incremento delle entrate disposta dalla manovra in favore delle Amministrazioni centrali risulta proporzionalmente superiore alla corrispondente quota di entrate correnti del comparto rispetto al totale della P.A.
3.3 La ripartizione delle manovre per sottosettore
Nel paragrafo 3.2 si è operata un’analisi del riparto delle manovre tra comparti della Pubblica Amministrazione, confrontando sia il peso relativo della manovra che la sua composizione tra entrate e spese.
In questa sezione si effettua un’analisi del peso e della composizione delle manovre all’interno del settore delle Amministrazioni Locali finalizzata a tre obiettivi:
· dare conto della dimensione quantitativa delle manovre attuate a carico dei singoli sottosettori, con un quadro dettagliato delle misure poste in essere dai principali interventi legislativi adottati nella legislatura;
· analizzare l’incidenza quantitativa su ciascun sottosettore della composizione delle manovre, con riferimento ai due principali strumenti utilizzati (taglio dei trasferimenti e inasprimento degli obiettivi del patto di stabilità interno), valutandone i relativi effetti;
· operare un confronto tra il contributo fornito dai sottosettori e il peso relativo della spesa corrente erogata dagli stessi.
La tabella seguente e la relativa rappresentazione grafica presentano la sintesi degli effetti delle manovre attuate sul comparto della amministrazioni locali nella XVI legislatura.
Tabella 3.6- Riepilogo delle manovre della
XVI legislatura sulle Amministrazioni Locali (mln di euro)
|
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
2014 |
2015 |
Totale manovre sulle Amm. Locali |
3.150 |
5.200 |
15.500 |
25.570 |
33.115 |
33.665 |
33.940 |
Riduzione netta di risorse |
0 |
0 |
5.800 |
9.550 |
15.015 |
15.565 |
15.840 |
Inasprimento obiettivo PSI |
3.150 |
5.200 |
9.700 |
16.020 |
18.100 |
18.100 |
18.100 |
Grafico 3.4 – XVI
Legislatura: evoluzione e composizione delle manovre sulle Amministrazioni
Locali
I dati relativi alle manovre di finanza pubblica attuate nel corso della XVI legislatura, utilizzati in tutte le elaborazioni del presente paragrafo, sono tratti da prospetti riepilogativi degli effetti finanziari delle manovre, allegate a ciascuno dei provvedimenti di seguito elencati (cfr. infra la tabella che riporta il dettaglio di ciascuna manovra). Si tratta di dati previsionali: non sono infatti disponibili dati puntuali di consuntivo relativi all’effetto di finanza pubblica effettivamente raggiunto, per ciascun comparto amministrativo, mediante le manovre adottate. Dalle analisi effettuate dalla Corte dei conti in materia di finanza locale[73], risulta comunque un generale rispetto, da parte di tutti i comparti amministrativi, dei vincoli disposti dalle manovre.
Con riferimento alla dimensione della manovra, risulta evidente l’inasprimento operato nel triennio 2011-2013, rispetto ai valori riferiti agli esercizi precedenti, apparentemente contenuti. In merito a questi ultimi, si consideri comunque che la manovra per il 2009 e il 2010 (prevista dal D.L. 112/2008) ha carattere aggiuntivo rispetto agli effetti, di carattere permanente, delle manovre disposte nelle legislature precedenti, non oggetto della presente analisi.
Analogamente, la notevole crescita dell’entità delle manovre negli anni 2011-2013 riflette l’effetto dovuto al succedersi di manovre con cadenza annuale, ciascuna delle quali ha effetti cumulativi rispetto a quelli degli interventi precedenti, resi permanenti.
In particolare, come si vedrà in maggiore dettaglio nella
tabella successiva, le misure che determinano il notevole incremento della manovra
negli esercizi 2011, 2012 e 2013 sono, rispettivamente, il DL 78 del 2010, i
D.L. 98 e 201 del 2011 e
In merito alla composizione complessiva delle manovre, i dati e il relativo grafico sopra esposti mostrano l’utilizzo, a decorrere dal 2011, dello strumento del taglio dei trasferimenti, in relazione al quale non erano imputati rilevanti effetti di manovra prima di tale esercizio[74].
Il peso relativo dello strumento del taglio dei trasferimenti arriva, nell’arco di tre anni, a coprire quasi la metà dell’intervento complessivo a carico delle amministrazioni locali (37% nel 2011, 45% nel 2013 e 47% dal 2015).
In merito alle ragioni di tale evoluzione, merita evidenziare in primo luogo la difficoltà di perseguire gli obiettivi di finanza pubblica a carico del comparto delle amministrazioni locali avvalendosi del solo patto di stabilità interno. Quest’ultimo strumento - configurato tradizionalmente come definizione di obiettivi di miglioramento del saldo (per gli enti locali) o di riduzione delle spese (per le regioni) di carattere incrementale rispetto agli obiettivi fissati da precedenti edizioni del patto stesso – si è tradotto, con il succedersi delle manovre, nell’obbligo, per molte amministrazioni, di perseguire obiettivi di avanzo di bilancio, con evidenti profili di inefficiente allocazione delle risorse immobilizzate.
Conseguentemente, al fianco del tradizionale strumento del patto di stabilità interno, è stato inserito, nel corso della legislatura, lo strumento del taglio delle risorse trasferite, che ha carattere ben più radicale. Infatti, mentre il primo impone il mero accantonamento di risorse, in vista dell’obiettivo di miglioramento del saldo o di riduzione della spesa, ma ne lascia inalterata la titolarità in capo alle amministrazioni locali di appartenenza le quali possono sperare in successivi smobilizzi, il taglio dei trasferimenti opera una definitiva sottrazione di risorse.
Un altro vantaggio derivante dallo strumento del taglio dei trasferimenti è che esso consente di computare risparmi anche sul saldo netto da finanziare e non solo sui saldi complessivi di finanza pubblica[75].
Entrambi i predetti strumenti di manovra presentano elementi di criticità in merito ai profili di compatibilità con i principi contabili disposti dalla legge n. 243/2012, relativa al pareggio di bilancio, e dalla legge n. 42/2009, relativa al federalismo fiscale. In merito a tali profili si rinvia al paragrafo 7 contenuto nella II sezione.[76]
La tavola 3.7 riporta l’elenco delle principali manovre adottate nella XVI legislatura i cui effetti complessivi a carico delle amministrazioni locali sono stati riportati all’inizio del paragrafo. Le misure adottate sono raggruppate in modo da evidenziare l’effetto finanziario prodotto sui singoli comparti amministrativi, distinguendo, per ciascuno di essi, l’incidenza dei due strumenti di manovra sopra descritti.
Tabella 3.7- Effetti delle manovre
della XVI leg. sui sottosettori delle Amministrazioni Locali (mln di euro)
|
Strumento utilizzato |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
2014 |
2015 |
|
REGIONI A STATUTO ORDINARIO |
|||||||||
D.L. 112/2008, art. 77 |
Obiettivo
PSI |
900 |
1.380 |
2.440 |
2.440 |
2.440 |
2.440 |
2.440 |
|
D.L. 78/2010, art. 14, co. 1 |
Taglio
risorse |
|
|
4.000 |
4.500 |
4.500 |
4.500 |
4.500 |
|
DL
98/2011, art. 20, co. 5, e DL 138/2011 |
Obiettivo
PSI |
|
|
|
1.600 |
1.600 |
1.600 |
1.600 |
|
L. 183/2011, art. 30, co. 1
(Riduzione manovra a valere sulla cd. "Robin tax") |
Reintegro
risorse |
|
|
|
-760 |
|
|
|
|
L. 183/2011, art. 30, co. 2
(Premialità per enti virtuosi) |
Alleggerimento
obiettivo PSI |
|
|
|
-95 |
|
|
|
|
D.L. 95/2012, art. 16, co. 2 |
Taglio
risorse |
|
|
|
700 |
1.000 |
1.000 |
1.050 |
|
L. 228/2012, art. 1, co. 117-118 |
Obiettivo
PSI |
|
|
|
|
1.000 |
1.000 |
1.000 |
|
Totale
manovre Regioni a Statuto Ordinario |
900 |
1.380 |
6.440 |
8.385 |
10.540 |
10.540 |
10.590 |
||
di
cui: Riduzione netta di risorse |
0 |
0 |
4.000 |
4.440 |
5.500 |
5.500 |
5.550 |
||
Inasprimento
obiettivo PSI |
900 |
1.380 |
2.440 |
3.945 |
5.040 |
5.040 |
5.040 |
||
REGIONI A STATUTO SPECIALE E RELATIVI ENTI LOCALI
(esclusi enti locali di Sicilia e Sardegna) |
|||||||||
D.L. 112/2008, art. 77 |
Obiettivo
PSI |
600 |
920 |
1.620 |
1.620 |
1.620 |
1.620 |
1.620 |
|
D.L. 78/2010, art. 14, co. 1 |
Obiettivo
PSI |
|
|
500 |
1.000 |
1.000 |
1.000 |
1.000 |
|
DL
98/2011, art. 20, co. 5, e DL 138/2011 |
Obiettivo
PSI |
|
|
|
2.000 |
2.000 |
2.000 |
2.000 |
|
L. 183/2011, art. 30, co. 1 (Riduzione
manovra a valere sulla cd. "Robin tax") |
Reintegro
risorse |
|
|
|
-370 |
|
|
|
|
D.L. 95/2012, art. 16, co. 2 |
Taglio
risorse |
|
|
|
600 |
1.200 |
1.500 |
1.575 |
|
L. 228/2012, art. 1, co. 117-118 |
Obiettivo
PSI |
|
|
|
|
500 |
500 |
500 |
|
Totale
manovre Territori a Statuto Speciale |
600 |
920 |
2.120 |
4.850 |
6.320 |
6.620 |
6.695 |
||
di
cui: Riduzione netta di risorse |
0 |
0 |
0 |
230 |
1.200 |
1.500 |
1.575 |
||
Inasprimento
obiettivo PSI |
600 |
920 |
2.120 |
4.620 |
5.120 |
5.120 |
5.120 |
||
COMUNI (RSO + Sicilia e Sardegna) |
|||||||||
D.L. 112/2008, art. 77 |
Obiettivo
PSI |
1.340 |
2.350 |
4.160 |
4.160 |
4.160 |
4.160 |
4.160 |
|
D.L. 78/2010, art. 14, co. 1 |
Taglio
risorse |
|
|
1.500 |
2.500 |
2.500 |
2.500 |
2.500 |
|
DL
98/2011, art. 20, co. 5, e DL 138/2011 |
Obiettivo
PSI |
|
|
|
1.700 |
2.000 |
2.000 |
2.000 |
|
L. 183/2011, art. 30, co. 1
(Riduzione manovra a valere sulla cd. "Robin tax") |
Reintegro
risorse |
|
|
|
-520 |
|
|
|
|
L. 183/2011, art. 30, co. 2
(Premialità per enti virtuosi) |
Alleggerimento
obiettivo PSI |
|
|
|
-65 |
|
|
|
|
D.L. 201/2011, art. 28, co. 7 |
Taglio
risorse |
|
|
|
1.450 |
1.450 |
1.450 |
1.450 |
|
D.L. 95/2012, art. 16, co. 6 |
Taglio
risorse |
|
|
|
500 |
2.000 |
2.000 |
2.100 |
|
L. 228/2012, art. 1, co. 119 |
Taglio
risorse |
|
|
|
100 |
250 |
500 |
500 |
|
Totale
manovre Comuni |
1.340 |
2.350 |
5.660 |
9.825 |
12.360 |
12.610 |
12.710 |
||
di
cui: Riduzione netta di risorse |
0 |
0 |
1.500 |
4.030 |
6.200 |
6.450 |
6.550 |
||
Inasprimento
obiettivo PSI |
1.340 |
2.350 |
4.160 |
5.795 |
6.160 |
6.160 |
6.160 |
||
PROVINCE (RSO + Sicilia e Sardegna) |
|||||||||
D.L. 112/2008, art. 77 |
Obiettivo
PSI |
310 |
550 |
980 |
980 |
980 |
980 |
980 |
|
D.L. 78/2010, art. 14, co. 1 |
Taglio
risorse |
|
|
300 |
500 |
500 |
500 |
500 |
|
DL
98/2011, art. 20, co. 5, e DL 138/2011 |
Obiettivo
PSI |
|
|
|
700 |
800 |
800 |
800 |
|
L. 183/2011, art. 30, co. 1
(Riduzione manovra a valere sulla cd. "Robin tax") |
Reintegro
risorse |
|
|
|
-150 |
|
|
|
|
L. 183/2011, art. 30, co. 2
(Premialità per enti virtuosi) |
Alleggerimento
obiettivo PSI |
|
|
|
-20 |
|
|
|
|
D.L. 201/2011, art. 28, co. 8 |
Taglio
risorse |
|
|
|
|
415 |
415 |
415 |
|
D.L. 95/2012, art. 16, co. 7 |
Taglio
risorse |
|
|
|
500 |
1.000 |
1.000 |
1.050 |
|
L. 228/2012, art. 1, co. 121 |
Taglio
risorse |
|
|
|
|
200 |
200 |
200 |
|
Totale
manovre Province |
310 |
550 |
1.280 |
2.510 |
3.895 |
3.895 |
3.945 |
||
di
cui: Riduzione netta di risorse |
0 |
0 |
300 |
850 |
2.115 |
2.115 |
2.165 |
||
Inasprimento
obiettivo PSI |
310 |
550 |
980 |
1.660 |
1.780 |
1.780 |
1.780 |
I dati sopra esposti possono essere analizzati sotto vari
profili. In primo luogo essi mostrano che l’incidenza sui singoli comparti dei due strumenti di manovra sopra
menzionati - taglio dei trasferimenti e patto di stabilità interno - hanno una
incidenza pressoché omogenea in tutti i comparti, fatta eccezione per le
regioni a statuto speciale. In particolare, i grafici seguenti mostrano la
composizione della manovra prevista per il
Grafico 3.5 -
Composizione della manovra 2013 nei sottosettori delle Amministrazioni Locali
Allargando l’analisi al contributo complessivo dei singoli comparti all’azione di risanamento della finanza pubblica, si ricava la seguente rappresentazione grafica. Il Grafico 3.6 è riferito all’esercizio 2013, ma la medesima analisi riferita agli esercizi successivi fornisce risultati pressoché identici.
Grafico 3.6 – Riparto delle manovre
sulle Amministrazioni Locali - 2013
Al fine di verificare se tale incidenza corrisponda a un criterio di proporzionalità rispetto ad un parametro significativo per la finanza pubblica, quale il peso relativo della spesa corrente dei singoli comparti amministrativi, occorrerebbe disporre dei dati confrontabili, relativi alla spesa corrente ripartita per i singoli sottosettori sopra considerati. Ciò pone alcuni problemi di carattere statistico in quanto i dati disponibili, diffusi dall’Istat, non sono immediatamente utilizzabili. L’analisi è pertanto basata su una rielaborazione statistica dei dati disponibili, al fine di effettuare delle correzioni che tengano conto di alcuni profili critici di seguito menzionati. I risultati presentano pertanto un maggior grado di approssimazione.
Occorre infatti considerare, in particolare, i seguenti aspetti critici:
· in primo luogo, con riferimento alla spesa corrente non si dispone di dati omogenei rispetto a quelli relativi alle manovre di finanza pubblica. Infatti, mentre i dati relativi alle manovre hanno carattere previsionale, non risultano disponibili dati di previsione relativi alla spesa corrente dei sottosettori della Amministrazioni locali che presentino un sufficiente grado di disaggregazione e quelli di consuntivo disponibili presentano un ritardo di due esercizi[77]. Pertanto il confronto può essere operato solo con riferimento ad annualità non omogenee. Inoltre, i dati di consuntivo aventi un sufficiente grado di disaggregazione sono contabilizzati secondo un diverso criterio di classificazione rispetto a quello utilizzato per le manovre (competenza finanziaria, in luogo della competenza economica);
· in secondo luogo occorre escludere dalla spesa corrente regionale quella relativa al comparto sanitario, soggetta ad una regolamentazione autonoma e non oggetto delle manovre prese in considerazione in questa sezione[78];
· in terzo luogo occorre ricordare che gli enti locali di tre regioni a statuto speciale, ovvero di Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli - Venezia Giulia, sono regolati autonomamente dalle regioni o province speciali di appartenenza, quindi il peso della manovra relativa ai predetti enti locali è incluso in quello delle regioni o province autonome di appartenenza. Analogo criterio non vale per gli enti locali della Sicilia e della Sardegna, che sono invece assoggettati ai medesimi strumenti di manovra previsti per gli enti locali delle regioni a statuto ordinario. Conseguentemente, per effettuare un confronto dell’incidenza della manovra rispetto all’incidenza della spesa corrente di ciascun sottosettore, quest’ultima deve essere corretta al fine di includere nel comparto della spesa corrente delle RSS quella erogata dagli enti locali delle tre regioni a statuto speciale sopra menzionate[79].
I risultati dell’analisi consentono di formulare il seguente raffronto tra il riparto della manovra e l’incidenza della spesa corrente, con riferimento ai diversi sottosettori, rispetto all’insieme delle amministrazioni locali.
Nel grafico 3.7, i dati relativi al riparto del complesso delle manovre attuate sono riferiti all’esercizio 2013, sul quale incidono gli effetti di tutte le manovre attuate nella legislatura, inclusi quelli derivanti dall’ultima legge di stabilità (L. 228/2012). Tali dati sono confrontati con quelli relativi al riparto della spesa corrente - “corretta” secondo i criteri sopra descritti - con riferimento all’ultimo esercizio per cui risultano disponibili dati con sufficiente livello di disaggregazione (2010).
Grafico 3.7
I risultati mostrano che la ripartizione del carico delle manovre attuate nel corso della legislatura[80] presenta alcuni scostamenti rispetto alla distribuzione della spesa corrente registrata nel 2010, “corretta” secondo la metodologia sopra descritta. I principali scostamenti riguardano:
- le province, che sostengono una quota (12%) della manovra complessiva sulle amministrazioni locali pari a una volta e mezza l’incidenza complessiva (8%) della spesa corrente “corretta” del comparto provinciale sul totale delle Amministrazioni Locali;
- le regioni a statuto ordinario, su cui grava un peso relativo della manovra (32%) leggermente superiore rispetto alla corrispondente quota di spesa corrente “corretta” del comparto (29%);
- i comuni, che sostengono un peso della manovra (37%) inferiore rispetto alla corrispondente quota di spesa corrente “corretta” erogata dal comparto (44%).
La penalizzazione delle province sembra in parte anticipare, sotto il profilo finanziario, le linee di riforma espresse in numerosi provvedimenti nel corso della legislatura – che non hanno finora trovato attuazione - riguardanti il riordino dell’assetto amministrativo locale, con la soppressione, o la drastica riduzione, delle province e l’assorbimento delle relative funzioni da altri livelli di governo. La ridotta penalizzazione del comparto comunale risulterebbe coerente con tale assetto ove tale comparto, piuttosto che quello regionale, fosse destinato ad assorbire una quota maggioritaria delle funzioni attualmente svolte dalle province. Si ricorda infatti che, ove venisse effettivamente implementata la riforma amministrativa sopra menzionata, larga parte dei risparmi attesi dalle manovre poste a carico del comparto provinciale dovrebbe essere riallocata a carico dei sottosettori subentranti alle funzioni attualmente assolte dalle province.
Le regioni a statuto speciale (inclusi i rispettivi enti locali) registrano un carico complessivo della manovra posta a loro carico proporzionale alla quota di spesa corrente “corretta” da loro erogata. L’agevolazione di cui gode tale comparto appare quindi limitata alla composizione della manovra, che vede una minore incidenza dei tagli di risorse rispetto agli altri comparti.
3.4 Consolidamento fiscale e crescita
Le misure correttive del periodo in esame sono state adottate in un contesto caratterizzato da tassi di crescita molto contenuti (o in alcuni anni negativi) dell’economia, causando a loro volta un rallentamento.
Dopo una contrazione del PIL del 2,4 per cento nel 2012, per
il 2013 è attesa un’ulteriore riduzione (-1 per cento secondo il Winter Forecast della Commissione
europea del mese di febbraio). Solo nel 2014 dovrebbe manifestarsi una lieve
ripresa (+0,8 per cento, secondo
Secondo le stime del Governo dell’aprile 2012, l’insieme dei provvedimenti del 2011 avrebbero comportato una contrazione della crescita pari a 2,6 punti (in termini cumulati)[81]. Valutazioni in parte diverse sono state presentate in occasione delle audizioni presso le Commissioni Bilancio o sono state oggetto di rapporti di Centri di ricerca.
Come dimostrato da numerosi studi vi è, infatti, una grande incertezza circa la portata degli effetti sul PIL di uno shock fiscale, dovuta alla difficoltà di stimare i moltiplicatori: difficoltà accentuate, come evidenziato dalla Commissione europea, in una situazione di incertezza e di crisi economico-finanziaria come quella conosciuta in questi ultimi anni[82]. Pur essendo tendenzialmente più elevati per variazioni della spesa (ed in particolare per acquisti diretti di beni e servizi e per investimenti delle PA) rispetto a variazioni delle entrate o dei trasferimenti, il loro valore dipende dalle caratteristiche del Paese (quali il grado di apertura e di flessibilità dell’economia, le dimensioni del settore pubblico[83]), dalle condizioni di liquidità e di accesso al credito degli operatori economici, dalla reattività dei tassi di interesse a variazioni della politica fiscale (il valore dei moltiplicatori è più elevato quando i tassi di interesse sono già molto bassi e vicini allo zero lower bound), dal carattere permanente o temporaneo delle misure adottate e dall’impostazione degli stessi modelli alla base delle stime (keynesiani o non-keynesiani).
Gioca in particolare un ruolo importante l’inclusione nei modelli di ipotesi circa la presenza o meno di operatori che scontano nel comportamento corrente gli effetti di una futura decisione del Governo, a sua volta conseguente alla variazione del deficit e del debito derivante dalla maggiore/minore spesa (o tassazione). Modelli che incorporano aspettative razionali e agenti forward-looking portano a un valore dei moltiplicatori significativamente più bassi rispetto a modelli che non includano tali ipotesi[84].
Nel lungo periodo, invece, gli effetti del consolidamento fiscale sulla crescita dipendono dalla scelta degli strumenti che vengono utilizzati. In particolare, come sottolineato nell'Analisi annuale sulla Crescita della Commissione Europea, la riduzione del deficit pubblico, se accompagnato da growth-friendly measures (tra le quali il miglioramento dell'efficienza della spesa, la promozione di settori come la ricerca e l'istruzione, l’alleggerimento della tassazione sulle imprese e sul fattore lavoro in favore di un’imposizione indiretta o sui beni immobili), insieme all’adozione di riforme strutturali può portare sia ad un miglioramento dello stato di salute delle finanze pubbliche, che ad una sostenuta crescita di lungo periodo.
Le riforme strutturali
In tale contesto, si rende sempre più urgente liberare risorse dal settore pubblico per consentire un alleggerimento fiscale in favore dei fattori produttivi (capitale e lavoro) e sostenere una politica dal lato dell’offerta in grado di stimolare l’efficienza e la competitività del sistema produttivo[85].
In tale direzione si sono mosse le misure di liberalizzazione dei servizi e di semplificazione delle procedure amministrative adottate dal Governo nel corso del 2012[86]. Esse sono dirette non solo ad aprire alla concorrenza i settori protetti, ma anche a rimuovere gli ostacoli e le incertezze che influenzano negativamente le scelte di investimento dei privati, l’efficacia della spesa pubblica e la realizzazione di infrastrutture considerate strategiche. A tali misure si aggiunge la riforma del mercato del lavoro[87] , con cui si è inteso aumentare la flessibilità in entrata e in uscita, rafforzare le tutele dei lavoratori con particolate riferimento ai giovani e ai soggetti svantaggiati, riordinare il sistema degli ammortizzatori sociali.
Rispetto a tale scenario, si pongono due interrogativi riguardanti la quantificazione dell’impatto sulla crescita delle misure di liberalizzazione e il tempo necessario affinché gli effetti positivi si trasmettano all’economia: mentre gli effetti di politiche fiscali restrittive si trasmettono pienamente nel breve periodo, quelli delle politiche di liberalizzazione si manifestano, infatti, solo nel medio-lungo periodo.
Come rilevato in diversi studi dell'OCSE[88], dall'apertura concorrenziale di alcuni settori strategici dell'economia possono derivare significativi benefici sulla crescita. Gli studi richiamati prendono come benchmark i settori maggiormente concorrenziali dei Paesi dell’area e mostrano come un allineamento delle restanti economie alle regolamentazioni di tali Paesi potrebbe comportare un aumento della produttività e del Pil potenziale. Per quanto riguarda l’Italia, si stima che un pacchetto di misure per accrescere la concorrenza e liberalizzare i mercati potrebbe aumentare la produttività di circa l’8 per cento nei dieci anni successivi all’introduzione delle misure. Prendendo in considerazione anche le misure relative al mercato del lavoro (dirette ad eliminare le rigidità del mercato, nonché le distorsioni connesse ai benefici così come alla tassazione) , viene stimato, su un orizzonte temporale di 10 anni, un aumento del PIL pro-capite poco al di sotto del 15 per cento[89].
Rispetto agli effetti stimati di tali pacchetti “teorici” di interventi, le misure prima ricordate[90] determinerebbero, secondo il Governo, una maggiore crescita (rispetto allo scenario base) pari a 2,4 punti nell’arco di 8 anni. E’ da notare che gli effetti, sia pur limitati, si manifesterebbero sin dal 2012. Molto più limitato l’effetto sull’occupazione (+0,1 punti entro il 2020), cui sono dirette le misure della legge n.92 del 2012, entrata in vigore successivamente.
Come si vede dalla Tavola 3.8, i principali benefici alla produttività e alla crescita deriverebbero dalla riduzione del mark-up[91] che, come rilevato dall’OCSE e dalla BCE, è particolarmente elevato nel settore dei servizi, mentre rimane comunque al di sopra (sia pure lievemente) della media dell’area Euro per il settore manifatturiero.
Tavola 3.8
Effetti
macroeconomici delle riforme strutturali (D.L. 1/2012 e D.L. 5/2012)
(scostamenti percentuali rispetto allo scenario base)
|
|
|
|
|
|
||
Misure
volte a favorire la concorrenza e l'apertura dei mercati |
Riduzione
del mark-up |
PIL |
0,0 |
0,1 |
0,3 |
0,4 |
1,2 |
Consumi |
-0,6 |
-1,0 |
-1,0 |
-0,9 |
-0,5 |
||
Investimenti |
0,7 |
1,5 |
2,1 |
2,6 |
4,2 |
||
Occupazione |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
0,1 |
0,3 |
||
Riduzione
delle limitazioni all'attività imprenditoriale, miglioramento dell'ambiente
imprenditoriale, semplificazione amministrativa |
Riduzione
delle barriere all'entrata |
PIL |
0,1 |
0,2 |
0,2 |
0,3 |
0,7 |
Consumi |
0,4 |
0,7 |
0,7 |
0,8 |
1,0 |
||
Investimenti |
-0,2 |
-0,4 |
-0,5 |
-0,6 |
-0,5 |
||
Occupazione |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
0,0 |
-0,1 |
||
Riduzione
degli oneri amministrativi, semplificazione amministrativa |
Riduzione
del tempo speso con la burocrazia |
PIL |
0,1 |
0,1 |
0,2 |
0,2 |
0,5 |
Consumi |
0,3 |
0,4 |
0,4 |
0,5 |
0,6 |
||
Investimenti |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
0,2 |
||
Occupazione |
0,1 |
0,1 |
0,1 |
0,0 |
-0,1 |
||
|
|
|
|
|
|
|
|
Gli effetti positivi sulla crescita di una maggiore concorrenza sono analizzati con riferimento all’Italia in un recente studio pubblicato dal FMI[92], che prende in considerazione le riforme strutturali adottate nel corso del 2012, ivi incluse quelle riguardanti il mercato del lavoro.
Lo studio conferma le stime contenute nel DEF (una maggiore crescita dell’1,2 per cento a fine periodo a fronte di una riduzione del mark-up di 2 pp nel mercato dei prodotti). Ipotizzando, tuttavia, un piano più ampio di riforme che ricevano piena attuazione nel quinquennio 2013-2018 e che comportino una riduzione più accentuata del mark-up[93], tale da accorciare del 50 per cento la distanza con i paesi meglio performanti dell’area euro/OCSE, si determinerebbe un effetto positivo sul PIL di 5,7 pp dopo 5 anni e di 10,5 pp nel lungo periodo.
Come negli studi OCSE, gli effetti sulla crescita sarebbero più accentuati in conseguenza delle misure di liberalizzazione del mercato dei prodotti (data la presenza di ampi settori non esposti alla concorrenza, soprattutto nei servizi) rispetto alle misure del mercato del lavoro, dove già l’Italia è relativamente vicina alle best practices. Queste ultime contribuirebbero, tuttavia, in modo significativo, ad una riduzione del costo del lavoro e ad un aumento della competitività.
Lo studio evidenzia poi i guadagni ulteriori in termini di crescita e competitività che potrebbero derivare, rispettivamente, da una riduzione della tassazione sul lavoro e sul reddito di impresa (nella misura complessiva di 2 punti di PIL) a fronte di un ampliamento della base IVA, e da un aumento della spesa pubblica (1 per cento del PIL) per investimenti in infrastrutture strategiche (che consentirebbero un abbattimento dei costi ed un miglioramento della produttività in tutti i settori produttivi), da finanziare attraverso una riduzione della spesa per trasferimenti.
Lo studio del FMI conclude, pertanto, sottolineando come le misure adottate dal Governo vanno nella direzione di aumentare la competitività e la flessibilità dell’economia: da qui, l’importanza di una loro piena e rapida attuazione. Rileva, tuttavia, l’opportunità di procedere oltre con le liberalizzazioni, in particolare nei servizi professionali, nelle industrie di rete e nei servizi pubblici locali, aumentando parallelamente gli investimenti in infrastrutture strategiche per rimuovere le attuali strozzature dal lato dell’offerta. Con riferimento al mercato del lavoro, viene infine sottolineata l’esigenza di aumentarne la flessibilità, creando un legame più stretto tra salari e produttività e al tempo stesso riducendo il divario tra lavoratori permanenti e temporanei; misure che favoriscono una maggiore partecipazione, insieme ad una riduzione del cuneo fiscale, dovrebbero essere prese in considerazione.
4.1 Le entrate nel
conto consolidato della P.A. -
2008-2011
Le entrate complessive delle Amministrazioni Pubbliche evidenziano, nella fase iniziale del periodo considerato, un andamento crescente cui segue una inversione di tendenza dovuta al deterioramento del ciclo economico e alla conseguente riduzione della base imponibile (Tavola 4.1).
Infatti, dopo aver registrato una tendenza alla crescita fino al 2008, le entrate si riducono nel 2009 di 16 miliardi (2,2 punti percentuali) recuperando, sul piano complessivo, nei due anni successivi. Tale andamento non si rispecchia nel rapporto entrate/PIL che registra nel 2009 ancora un incremento rispetto all’anno precedente: la circostanza è giustificata dalla contestuale più accentuata contrazione del prodotto interno lordo (-3,5% in termini nominali). Inoltre, nello stesso anno si registra, in controtendenza rispetto alle altre entrate, un incremento delle imposte in conto capitale per misure una tantum (+11,7 miliardi): si tratta del gettito relativo allo scudo fiscale - ossia all’istituzione di una imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero rimpatriate o regolarizzate in Italia – e all’imposta sostitutiva dovuta sul riallineamento agevolato dei valori di bilancio ai principi IAS.
Il 2011 è caratterizzato dal progressivo peggioramento del quadro congiunturale dell’economia italiana conseguente all’aggravarsi della crisi del debito sovrano. A partire dalla seconda metà dell’anno, il ritmo sostenuto di crescita delle entrate tributarie registrato nei primi sei mesi si attenua, anche se in parte compensato dagli effetti delle misure delle manovre correttive di finanza pubblica varate a partire dall’estate. Tenuto conto anche dell’aumento del gettito delle imposte sostitutive, l’esercizio si chiude con un aumento delle entrate dell’1,7%, in linea con l’incremento del prodotto.
La pressione fiscale complessiva si attesta, a fine periodo,
al 42,6 per cento del PIL, stesso valore registrato nel
Le entrate nel conto consolidato della P.A.
|
2005 |
2006 |
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
|
valori in milioni di euro |
||||||
Imposte dirette |
189.815 |
213.867 |
233.170 |
239.644 |
222.846 |
226.170 |
226.142 |
Imposte indirette |
202.736 |
220.313 |
227.098 |
215.842 |
206.403 |
217.883 |
222.080 |
Contributi sociali |
181.225 |
188.144 |
203.678 |
215.809 |
212.555 |
213.401 |
216.963 |
Altre entrate correnti |
50.041 |
53.034 |
54.660 |
56.629 |
58.246 |
59.122 |
59.761 |
Entrate correnti |
623.817 |
675.358 |
718.606 |
727.924 |
700.050 |
716.576 |
724.946 |
Imposte in c/capitale |
1.871 |
225 |
301 |
488 |
12.256 |
3.497 |
6.981 |
Totale entrate in c/capitale |
6.285 |
4.396 |
4.516 |
3.972 |
15.634 |
7.135 |
11.334 |
Totale entrate |
630.102 |
679.754 |
723.122 |
731.896 |
715.684 |
723.711 |
736.280 |
PIL |
1.429.479 |
1.485.377 |
1.546.177 |
1.575.144 |
1.519.695 |
1.551.886 |
1.578.497 |
|
variazioni percentuali rispetto all’anno precedente |
||||||
Imposte dirette |
2,4 |
12,7 |
9,0 |
2,8 |
-7,0 |
1,5 |
0,0 |
Imposte indirette |
3,7 |
8,7 |
3,1 |
-5,0 |
-4,3 |
5,6 |
1,9 |
Contributi sociali |
3,2 |
3,8 |
9,1 |
5,2 |
-1,6 |
0,4 |
1,7 |
Altre entrate correnti |
-1,2 |
6,0 |
2,4 |
3,8 |
3,3 |
1,5 |
1,1 |
Entrate correnti |
2,8 |
8,3 |
6,6 |
1,1 |
-3,8 |
2,4 |
1,2 |
Imposte in c/capitale |
-77,7 |
-88,0 |
33,8 |
62,1 |
2411,5 |
-71,5 |
99,6 |
Totale entrate in c/capitale |
-48,4 |
-30,1 |
3,1 |
-12,4 |
293,8 |
-54,4 |
58,9 |
Totale entrate |
1,8 |
7,9 |
6,6 |
1,0 |
-2,2 |
1,1 |
1,7 |
PIL |
2,7 |
3,9 |
4,1 |
1,9 |
-3,5 |
2,1 |
1,7 |
|
in percentuale del PIL |
||||||
Imposte dirette |
13,3 |
14,4 |
15,1 |
15,2 |
14,7 |
14,6 |
14,3 |
Imposte indirette |
14,2 |
14,8 |
14,7 |
13,7 |
13,6 |
14,0 |
14,1 |
Contributi sociali |
12,7 |
12,7 |
13,2 |
13,7 |
14,0 |
13,8 |
13,7 |
Altre entrate correnti |
3,5 |
3,6 |
3,5 |
3,6 |
3,8 |
3,8 |
3,8 |
Entrate correnti |
43,6 |
45,5 |
46,5 |
46,2 |
46,1 |
46,2 |
45,9 |
Imposte in c/capitale |
0,1 |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
0,8 |
0,2 |
0,4 |
Totale entrate in c/capitale |
0,4 |
0,3 |
0,3 |
0,3 |
1,0 |
0,5 |
0,7 |
Totale entrate |
44,1 |
45,8 |
46,8 |
46,5 |
47,1 |
46,6 |
46,6 |
|
|
||||||
Pressione tributaria |
27,6 |
29,2 |
29,8 |
28,9 |
29,1 |
28,8 |
28,9 |
Pressione contributiva |
12,7 |
12,7 |
13,2 |
13,7 |
14,0 |
13,7 |
13,7 |
Pressione fiscale |
40,3 |
41,9 |
43,0 |
42,6 |
43,0 |
42,6 |
42,6 |
(*) Fonte: Istat
Guardando alla composizione
entrate, quelle di parte corrente rappresentano,
nel periodo considerato, circa il 99 per cento dell’aggregato. La riduzione,
nel solo esercizio 2009, di oltre un punto percentuale del peso delle entrate
correnti sulle entrate complessive è da collegare al corrispondente incremento
delle entrate in conto capitale
dovuto prevalentemente, come sopra indicato, allo scudo fiscale e alla
rivalutazione dei valori nei bilanci societari.
Ferma restando una riduzione dell’incidenza rispetto al PIL
delle imposte dirette e di quelle indirette (rispettivamente, -0,8 punti
percentuali e -0,6 punti percentuali) si rileva, nel periodo 2007-2011, un
andamento delle stesse non omogeneo:
fino al 2006 il peso delle imposte dirette assume un valore lievemente
inferiore rispetto alle indirette (rispettivamente, 14,4 e 14,8 per cento del
PIL) mentre, a decorrere dal 2007, la situazione si inverte. La differenza fra
le due tipologie di imposte raggiunge il valore massimo nel 2008 (1,5 punti
percentuali) per poi iniziare a ridursi ed attestarsi a 0,2 punti percentuali
nel 2011 (rispetto al PIL, 14,3 per cento le imposte dirette e 14,1 per cento
le indirette).
Tale andamento rispecchia le recenti scelte
politiche dirette a spostare il peso tributario sulla imposizione indiretta a
favore di un alleggerimento del carico fiscale relativo alle imposte dirette.
Agli andamenti descritti contribuisce il gettito recuperato dall’attività di contrasto all’evasione fiscale e di potenziamento dell’attività di riscossione. Come risulta dalle Relazioni riguardanti i risultati della lotta all’evasione, presentate annualmente dal Ministro dell’economia e delle finanze al Parlamento, le entrate realizzate dall’attività di accertamento e riscossione evidenziano un andamento crescente.
Riscossioni complessive riferita a tutti i tributi erariali e non
erariali(*)
(miliardi di euro) |
|
||||
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
|
importi |
6,8 |
9,1 |
10,6 |
12,7 |
|
(*) Fonte: Relazioni annuali concernenti i risultati derivanti dalla lotta all’evasione fiscale.
Le stesse Relazioni chiariscono, tuttavia, che una valutazione complessiva dei risultati dell’attività di accertamento deve tener conto, oltre che delle misure di contrasto all’evasione e, di potenziamento dell’accertamento e della riscossione degli effetti della c.d. tax compliance, ossia dalla modifica dei comportamenti dei contribuenti, indotti dalle predette misure, che aumentano il grado di adempimento spontaneo degli obblighi fiscali. Tale circostanza, determinando un incremento dei redditi dichiarati e delle imposte autoliquidate dai contribuenti, comporta un maggior gettito delle entrate ordinarie e non consente, pertanto, un’agevole valutazione sia in sede previsionale che in sede di rendicontazione degli effetti specificamente ascrivibili alle attività di accertamento e riscossione. Sul punto si rinvia alla scheda contenuta nella II parte del dossier, relativa all’utilizzo, a fini di copertura, delle entrate da accertamento e lotta all’evasione.
Le entrate del Bilancio
dello Stato: analisi degli incassi tributari
Si espongono, di seguito, alcuni dati riguardanti gli incassi tributari contabilizzati nel bilancio dello Stato e la loro composizione[94].
I dati non consentono un confronto del tutto omogeneo tra i vari esercizi: occorre, infatti, precisare che l’analisi condotta sugli incassi del Bilancio dello Stato ha una finalità meramente indicativa in quanto, trattandosi di dati di cassa, le variazioni rilevate da un esercizio all’altro possono risultare ampiamente influenzate da fattori di natura meramente contabile, che possono aver agito sulle modalità e sui tempi di acquisizione delle somme.
Nella Tavola 4.2 vengono forniti i dati disaggregati in ragione delle diverse tipologie d’imposta, riferiti agli incassi tributari per ciascun anno considerato e alle relative variazioni percentuali annue.
Tavola 4.2
Bilancio dello Stato – Entrate
erariali - Analisi per tipo di imposta (voci principali)
(milioni di euro – %)
|
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Imposte dirette |
222.813 |
231.618 |
224.240 |
218.014 |
218.424 |
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
|
IRE/IRPEF |
153.154 |
163.245 |
157.840 |
164.608 |
164.128 |
|
68,7 |
70,5 |
70,4 |
75,5 |
75,1 |
IRES |
50.707 |
47.718 |
37.179 |
37.000 |
35.937 |
|
22,8 |
20,6 |
16,6 |
17,0 |
16,5 |
Sostitutiva |
12.995 |
13.595 |
12.976 |
7.219 |
6.787 |
|
5,8 |
5,9 |
5,8 |
3,3 |
3,1 |
Imp. sostitutiva tributi diretti |
|
|
|
2.117 |
5.114 |
|
|
|
|
1,0 |
2,3 |
Rivalutazione partecipazioni e
terreni |
|
|
|
1.262 |
334 |
|
|
|
|
0,6 |
0,2 |
Cedolare secca |
|
|
|
|
675 |
|
|
|
|
|
0,3 |
Altre |
5.957 |
7.060 |
16.245 |
5.808 |
5.449 |
|
2,7 |
3,0 |
7,2 |
2,7 |
2,5 |
Imposte indirette |
194.894 |
191.394 |
184.989 |
188.953 |
193.366 |
|
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
IVA |
120.703 |
119.472 |
111.237 |
115.506 |
117.459 |
|
62,0 |
62,4 |
60,1 |
61,1 |
60,8 |
Registro e bollo |
11.346 |
10.790 |
10.461 |
10.495 |
10.098 |
|
5,9 |
5,6 |
5,7 |
5,6 |
5,2 |
Imp.fabbricazione oli minerali |
21.079 |
20.676 |
20.171 |
20.232 |
20.703 |
|
10,8 |
10,8 |
10,9 |
10,7 |
10,7 |
Imp.consumo gas metano e oli
lubrificanti |
4.586 |
2.944 |
4.749 |
4.614 |
5.104 |
|
2,4 |
1,5 |
2,6 |
2,4 |
2,6 |
Imp.energia elettrica |
1.456 |
1.402 |
1.402 |
1.328 |
1.297 |
|
0,8 |
0,7 |
0,8 |
0,7 |
0,7 |
Imp. consumo tabacchi |
10.339 |
10.380 |
10.496 |
10.647 |
10.934 |
|
5,3 |
5,4 |
5,7 |
5,6 |
5,7 |
Lotto e giochi(*) |
9.406 |
9.178 |
9.709 |
11.366 |
12.651 |
|
4,9 |
4,8 |
5,3 |
6,0 |
6,5 |
Altre indirette |
15.979 |
16.552 |
16.764 |
14.765 |
15.120 |
|
8,2 |
8,7 |
9,1 |
7,8 |
7,8 |
TOTALE ENTRATE TRIBUTARIE |
417.707 |
423.012 |
409.229 |
406.967 |
411.790 |
(*) A decorrere dal 2010 include anche
la voce “Lotterie istantanee”.
Fonte: Dipartimento delle finanze,
Bollettini delle entrate tributarie.
L’andamento delle entrate tributarie riflette il quadro congiunturale che ha interessato il periodo considerato. Infatti, dopo un andamento crescente fino al 2008, si assiste ad una sensibile riduzione del gettito nel 2009 e ad una successiva lieve inversione di tendenza nel 2011 anche per effetto delle varie manovre di consolidamento fiscale, adottate nel corso dell’esercizio.
Nell’ambito delle imposte
dirette, il calo registrato nel 2009 rispetto all’anno precedente è anche
attribuibile ad un maggior gettito registrato nel
Il valore relativo al 2011 sconta un andamento infrannuale discontinuo. Infatti, a fronte di un andamento crescente, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, fino al mese di maggio, le imposte dirette[96] registrano un primo segno negativo nel mese di giugno in relazione alle imposte autoliquidate dai contribuenti nelle dichiarazioni dei redditi (saldo 2010 e primo acconto 2011 delle imposte sui redditi) e, successivamente, a decorrere dal mese di settembre in relazione alle ritenute mensili a carico dei lavoratori dipendenti, che risentono del rallentamento congiunturale e del calo dell’occupazione registrato[97].
Sull’andamento del gettito dell’IRES incide anche il minor gettito dovuto agli effetti dell’imposta sostitutiva dovuta per il riallineamento di attività immateriali iscritte in bilancio a seguito di operazioni straordinarie[98], per le società che adottano i principi contabili internazionali (IAS) e delle imposte sostitutive sui redditi per rideterminazione dei valori di acquisto di partecipazione e dei terreni.
La cedolare secca,
introdotta con decorrenza 2011[99],
registra un gettito (675 milioni nel 2011) notevolmente inferiore a quello
atteso al momento della sua adozione. Secondo le quantificazioni contenute
nella relazione tecnica allegata al provvedimento introduttivo le maggiori entrate stimate nel 2011
risultavano pari a 3.194 milioni di euro.
L’introduzione di tale imposta sostitutiva era finalizzata a favorire l’emersione di base imponibile in relazione ai redditi di locazione di immobili non dichiarati. A tale scopo, oltre ad intervenire sulle sanzioni in caso di mancata registrazione del contratto di locazione, le norme prevedono disposizioni in favore sia del locatore (imposta sostitutiva ad aliquota ridotta rispetto al regime di tassazione ordinaria) sia in favore del locatario (garanzia del mancato aumento del canone di locazione da parte del proprietario).
Sulla base degli effetti finanziari realizzati è presumibile ritenere che il minor gettito realizzato, rispetto a quello stimato, sia attribuibile ad una mancata emersione di base imponibile[100]; peraltro, l’esercizio dell’opzione è risultata invece conveniente per i soggetti che già dichiaravano i redditi da locazione e che, applicando il regime della cedolare secca, ottengono un risparmio d’imposta in termini di IRPEF e addizionali.
In proposito, occorre anche considerare che la disciplina IMU[101], applicata dal 2012, prevede l’esenzione dall’IRPEF e relative addizionali dei redditi relativi agli immobili non locati. Tale previsione, anche se entrata in vigore nell’anno successivo, potrebbe aver contribuito alla mancata emersione di base imponibile relativa ai redditi da locazione.
Anche il comparto delle imposte indirette registra, nel suo complesso, una rilevante riduzione nel 2009 attribuibile, in via prevalente, al deterioramento del ciclo economico che ha depresso il gettito IVA già a decorrere dagli ultimi mesi del 2008.
Con specifico riferimento all’imposta sul valore aggiunto, il gettito registrato nel 2011 evidenzia, nonostante l’andamento crescente degli anni 2009-2011, un valore inferiore a quello del 2007 (-3,2 mld) e nel 2008 (-2 mld). L’ammontare del 2011, peraltro, include gli effetti dell’aumento dell’aliquota ordinaria IVA (dal 20 al 21) introdotta con decorrenza 16 settembre 2011[102]; a tale misura la relazione tecnica aveva attribuito effetti finanziari positivi pari a 700 milioni nel 2011.
Le altre voci, il cui gettito non è direttamente legato alla
congiuntura, presentano variazioni più attenuate o, come nel caso delle entrate
legate ai giochi, un incremento nel periodo considerato (passando a 9.406
milioni nel
Entrate degli enti territoriali:
incassi tributari
Per quanto riguarda le entrate tributarie degli enti territoriali si riportano, nella Tavola 4.3, i dati relativi agli incassi dell’IRAP e delle addizionali all’IRE comunale e regionale.
Tavola 4.3
Entrate tributarie
degli enti territoriali
(milioni di euro)
|
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Addizionale regionale IRPEF di cui: |
7.387 |
8.229 |
8.085 |
8.168 |
8.401 |
- privati |
4.450 |
4.981 |
4.783 |
4.710 |
4.774 |
-amministrazioni pubbliche |
2.937 |
3.248 |
3.302 |
3.458 |
3.627 |
Addizionale comunale IRPEF di cui: |
2.230 |
2.725 |
2.874 |
2.854 |
2.913 |
- privati |
1.291 |
1.756 |
1.795 |
1.733 |
1.764 |
-amministrazioni pubbliche |
939 |
969 |
1.079 |
1.121 |
1.149 |
IRAP di cui: |
40.966 |
38.151 |
33.503 |
33.583 |
34.136 |
- privati |
30.583 |
27.659 |
23.469 |
23.347 |
23.962 |
- amministrazioni pubbliche |
10.383 |
10.492 |
10.034 |
10.236 |
10.174 |
Fonte: Dipartimento delle finanze, bollettino delle entrate tributarie - incassi
Il gettito delle entrate tributarie degli enti locali evidenzia un andamento che non rispecchia quello delle imposte erariali sui redditi (IRPEF e IRES).
In proposito, per quanto concerne le addizionali IRPEF, si segnala:
- le addizionali si applicano all’imponibile IRPEF mentre le imposte erariali includono anche il gettito IRES (caratterizzato da una forte riduzione dal 2007 al 2011 pari al 30 per cento, come si evince dai dati riportati nella tavola 4.2);
- gli enti territoriali interessati non hanno potuto incrementare le aliquote delle imposte in quanto, con norma transitoria più volte prorogata, la normativa statale ha fissato il “blocco” delle aliquote deliberate. Il blocco, tuttavia, non si applica alle regioni soggette ai piani di rientro dal disavanzo nel settore sanitario.
In altre parole, la crescita più elevata del gettito delle addizionali IRPEF rispetto a quello delle imposte dirette appare imputabile, in via prevalente, sia all’assenza degli effetti negativi relativi alle società di capitale (soggetti passivi IRES) sia all’incremento delle aliquote (nella misura massima) adottate dalle regioni che hanno dovuto attuare un piano di risanamento finanziario nel settore sanitario.
In materia di IRAP
il gettito registra un andamento non omogeneo con una contrazione negli anni
2008 e 2009 ed una ripresa a decorrere dal
- nonostante i soggetti passivi IRAP siano soggetti passivi IRPEF (che dichiarano reddito d’impresa o di lavoro autonomo) e IRES, occorre considerare che la base imponibile IRAP è determinata con criteri diversi da quelli fissati per la determinazione della base imponibile IRPEF/IRES;
- le regioni hanno la facoltà di variare l’aliquota di base nella misura massima di un punto percentuale in più o in meno. L’incremento dell’aliquota è stata adottata da tutte le regioni che presentano un disavanzo nel settore sanitario e/o intendano assicurare al settore un volume di risorse superiore a quello garantito dal finanziamento statale;
-
la disciplina IRAP è stata oggetto di importanti
modifiche, introdotte a decorrere dal 2008 e finalizzate a ridurre il cuneo
fiscale[103],
che hanno interessato la determinazione della base imponibile, la misura
dell’aliquota e delle detrazioni forfetarie. In termini di cassa, gli effetti
riferiti al primo anno di applicazione della riforma si rilevano negli anni
2008 e
Si ricorda che le modifiche alla disciplina IRAP riguardano le modalità di determinazione della base imponibile distinta in funzione della natura del contribuente e del settore di attività, la riduzione dell’aliquota ordinaria (dal 4,25 al 3,9) e la rideterminazione delle misura delle deduzioni forfetarie spettanti per ciascun lavoratore dipendente e di quelle fissate in base agli scaglioni di valore di produzione.
Si segnala infine che, a decorrere dal 2013, la disciplina IRAP è stata oggetto di ulteriori modifiche, introdotte dalla legge di stabilità per il 2013, finalizzate a ridurre ulteriormente il cuneo fiscale e ad agevolare i lavoratori autonomi e le piccole imprese.
L’anno 2012 è stato caratterizzato da una importante revisione delle stime delle entrate che hanno risentito, da un lato, degli effetti finanziari positivi stimati in relazione agli interventi introdotti con le manovre e, dall’altro lato, di quelli negativi legati all’andamento congiunturale del Paese.
L’andamento del gettito risente anche dei provvedimenti approvati in attuazione della legge delega sul federalismo fiscale[104] che incidono sulla composizione tra entrate erariali ed entrate degli enti territoriali.
In particolare si ricorda che, con l’entrata in vigore dal 2012 dell’imposta municipale sugli immobili (IMU)[105], sono stati esclusi, a decorrere dal medesimo anno, dall’imposizione IRPEF e relative addizionali i redditi degli immobili non locati. Sotto il profilo del gettito si fa presente che mentre l’IMU viene interamente pagata dai contribuenti nell’anno di competenza, l’IRPEF e le addizionali IRPEF sugli immobili sono liquidate in dichiarazione dei redditi e pertanto risentono del meccanismo del saldo e acconto delle imposte.
Nella Tavola 4.4 si riportano le previsioni contenute nei documenti di finanza pubblica presentati a partire dall’aprile 2011 ed il preconsuntivo pubblicato dall’ISTAT il 1° marzo scorso.
Tavola 4.4
Entrate – Revisione delle stime per
il 2012
(milioni di euro)
|
2012 |
2011 |
||||
|
DEF 2011 |
Nota agg. DEF 2011 |
DEF 2012 |
Nota agg. DEF 2012 |
ISTAT |
ISTAT |
|
(aprile 2011) |
(settembre 2011) |
(aprile 2012) |
(settembre 2012) |
(1° marzo 2013) |
(1° marzo 2013) |
Totale entrate tributarie |
476.544 |
488.496 |
496.332 |
481.367 |
472.857 |
455.203 |
imposte dirette |
242.320 |
245.258 |
246.686 |
243.196 |
237.928 |
226.142 |
imposte indirette |
233.645 |
242.664 |
247.879 |
236.986 |
233.554 |
222.080 |
imposte in c/capitale |
579 |
574 |
1.767 |
1.185 |
1.375 |
6.981 |
Contributi sociali |
225.447 |
222.430 |
219.895 |
218.217 |
216.669 |
216.963 |
contributi effettivi |
221.267 |
218.250 |
215.592 |
213.914 |
212.422 |
212.701 |
contributi figurativi |
4.180 |
4.180 |
4.303 |
4.303 |
4.247 |
4.262 |
Altre entrate correnti |
60.513 |
60.666 |
61.048 |
60.834 |
59.155 |
59.761 |
Totale entrate correnti |
761.925 |
771.018 |
775.508 |
759.233 |
747.306 |
724.946 |
Entrate in conto capitale |
5.678 |
5.578 |
4.580 |
4.080 |
4.967 |
4.353 |
Totale entrate finali |
768.182 |
777.170 |
781.855 |
764.498 |
753.648 |
736.280 |
Pressione fiscale |
42,7 |
43,8 |
45,1 |
44,7 |
44,0 |
42,6 |
PIL (in mld) |
1.642 |
1.622 |
1.589 |
1.564 |
1.564 |
1.578 |
Come risulta dalla Tavola 4.4, a fronte di una graduale e continua revisione al ribasso delle previsioni relative al PIL, le stime relative al gettito tributario sono state riviste in aumento fino ad aprile 2012. Ciò appare prevalentemente imputabile agli interventi in materia fiscale introdotti dalle manovre attuate a decorrere da luglio del 2011, quali l’incremento dell’addizionale IRES per il settore energetico (c.d. Robin tax), la revisione del regime tributario delle rendite finanziarie, l’anticipo e l’estensione dell’ambito applicativo dell’imposta municipale sugli immobili (v. approfondimento n. 1) l’incremento dell’aliquota ordinaria IVA[106] e delle accise sui carburanti[107], l’imposta di bollo sui conti correnti e altri prodotti finanziari.
Fino al DEF 2012, gli effetti finanziari di maggiori entrate tributarie conseguenti alle misure adottate apparivano, quindi, proporzionalmente superiori agli effetti negativi legati alla (mancata) crescita del paese. Rispetto alle stime del DEF 2011, le entrate tributarie indicavano un incremento del 4,2 per cento (passando da 476.544 milioni a 496.332 milioni) nonostante il PIL fosse atteso ridursi del 3,2 per cento (passando da 1.642 miliardi a 1.589 miliardi).
Nel mese di settembre 2012 la stima delle entrate tributarie subiva un forte ridimensionamento, proporzionalmente maggiore rispetto a quello atteso per il PIL: rispetto alle previsioni di aprile 2012, il gettito atteso veniva ridotto di 3,02 punti percentuali a fronte di una revisione al ribasso della stima del PIL pari a 1,6.
Rispetto al 2011 le entrate tributarie 2012 registrano, in ogni caso, un andamento positivo ascrivibile, come ricordato, agli effetti delle principali misure correttive adottate a decorrere dalla seconda metà del 2011. Al netto del gettito acquisito per effetto di tali misure, il risultato del 2012 sarebbe stato inferiore a quello del 2011 di circa il 2,5 per cento[108].
La revisione al ribasso della stima dei contributi sociali, più graduale ed omogenea ma anche più contenuta rispetto a quella tributaria, era anch’essa riconducibile ad una congiuntura e ad un andamento dell’occupazione più sfavorevole del previsto.
Le imposte in conto capitale registravano, rispetto al valore stimato 2011, una contrazione determinata dal venir meno dei versamenti dell’imposta sostituiva sul leasing immobiliare[109].
La progressiva revisione al ribasso, nell’arco dell’ultimo
anno, delle entrate tributarie (-4,7 per cento nel preconsuntivo Istat rispetto
alla stima del DEF 2012), più accentuata della contestuale contrazione della
stima del PIL (pari a -1,4 per cento, da 1.589 miliardi nel DEF
Tale riduzione, ascrivibile principalmente, come si è detto, alla caduta della base imponibile fiscale conseguente alla crisi economica, si manifesta nonostante nel periodo in esame siano state adottate misure dal lato delle entrate da cui erano attesi effetti finanziari positivi netti pari a circa 36,9 miliardi di euro nel solo 2012[110]. Confrontando le previsioni del DEF dell’aprile 2011 (precedente quindi alle misure suddette) con il preconsuntivo ISTAT si rileva, invece, una caduta delle entrate complessive pari a 14,5 miliardi.
Gli effetti sulle entrate recati dai mutamenti congiunturali possono essere osservati analizzando le variazioni su base mensile del gettito negli anni 2011 e 2012.
A tal fine,
Tavola 4.5
Imposta sul reddito delle persone
fisiche (IRPEF) e Imposta sul valore aggiunto (IVA) - Gettito mensile
|
IRPEF |
IVA |
||||||||
|
milioni di euro |
variazione % |
milioni di euro |
Variazione % |
||||||
|
2010 |
2011 |
2012 |
2011/2010 |
2012/2011 |
2010 |
2011 |
2012 |
2011/2010 |
2012/2011 |
gennaio |
20.011 |
20.671 |
20.739 |
3,3 |
0,3 |
4.907 |
5.084 |
5.392 |
3,6 |
6,1 |
febbraio |
10.536 |
11.114 |
11.234 |
5,5 |
1,1 |
7.365 |
8.029 |
7.857 |
9,0 |
-2,1 |
marzo |
11.070 |
11.588 |
11.359 |
4,7 |
-2,0 |
8.582 |
8.936 |
8.775 |
4,1 |
-1,9 |
aprile |
11.171 |
11.666 |
11.403 |
4,4 |
-2,6 |
8.094 |
8.508 |
8.236 |
5,1 |
-3,2 |
maggio |
11.397 |
11.955 |
11.856 |
5,0 |
-0,8 |
11.946 |
12.213 |
12.043 |
2,2 |
-1,4 |
giugno |
14.258 |
12.227 |
12.227 |
-14,2 |
0,0 |
8.247 |
8.073 |
7.835 |
-2,1 |
-3,0 |
luglio |
16.336 |
17.200 |
17.335 |
5,3 |
0,8 |
8.799 |
8.546 |
8.371 |
-2,9 |
-2,1 |
agosto |
13.350 |
14.160 |
13.900 |
6,1 |
-1,9 |
13.476 |
13.487 |
13.454 |
0,9 |
-0,2 |
settembre |
9.250 |
8.641 |
8.857 |
-6,6 |
2,6 |
6.602 |
6.998 |
6.813 |
6,0 |
-2,6 |
ottobre |
11.741 |
11.624 |
12.527 |
-1,0 |
7,8 |
8.709 |
9.097 |
8.414 |
4,5 |
-7,5 |
novembre |
21.384 |
19.301 |
20.194 |
-9,8 |
4,7 |
12.442 |
12.143 |
12.106 |
-2,4 |
-0,3 |
dicembre |
14.104 |
13.721 |
14.102 |
-2,7 |
2,8 |
16.337 |
16.346 |
15932 |
0,1 |
-2,5 |
Totale |
164.608 |
163.868 |
165.733 |
-0,5 |
1,1 |
115.506 |
117.460 |
115.228 |
1,7 |
-1,9 |
(*) Fonte Dipartimento delle finanze, Bollettino delle entrate tributarie
Ai fini di un’analisi del gettito IRPEF occorre considerare che esso comprende sia le ritenute operate sul reddito da lavoro dipendente, sia le imposte versate in base alla liquidazione effettuata dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi.
In linea generale, le prime presentano un andamento omogeneo in corso di esercizio essendo riferite al costo per lavoro dipendente[111], mentre le imposte versate a seguito di autoliquidazione in dichiarazione dei redditi sono prevalentemente versate nei mesi di giugno (saldo dell’anno precedente e primo acconto dell’anno di riferimento) e novembre (secondo acconto dell’anno di riferimento)[112]. I versamenti delle autoliquidazioni registrano, nel 2011, una notevole riduzione rispetto al 2010, confermando la contrazione della base imponibile riferibile in via prevalente ai redditi di impresa e di lavoro autonomo; nel 2012, pur in lieve recupero rispetto al 2011, si situano, in ogni caso, valori più bassi rispetto al 2010.
E’ necessario tenere presente, tuttavia, che il saldo IRPEF
2009, incluso nei versamenti di giugno 2010, include gli effetti positivi
conseguenti alla riduzione della misura dell’acconto IRPEF 2009: infatti, la
componente relativa al versamento del saldo IRPEF registra un incremento nel
2010 rispetto al 2009 passando da 5,8 mld a 6,7 mld per poi attestarsi a 5,7
mld nel 2011. Analogamente, anche in relazione al 2011, il versamento
dell’acconto di novembre sconta gli effetti della riduzione della misura
dell’acconto IRPEF che, tuttavia, dovrebbe emergere come versamento a saldo
(giugno 2012): infatti, i versamenti dell’acconto di novembre registrano una
riduzione nel 2011 (passando da 10,4 mld nel
Il gettito infrannuale dell’IVA presenta un andamento negativo a decorrere dal secondo semestre
del
La variazione mensile risulta infatti positiva nei mesi di settembre e ottobre 2011, nonché nel mese di gennaio 2012 nel quale sono liquidate le imposte dell’ultimo trimestre del 2011.
4.3 Le previsioni per il triennio 2013 - 2015
Con riferimento al triennio 2013-2015, nella Tavola 4.6 si riportano le stime contenute nella Nota di aggiornamento al DEF del settembre scorso.
Le stime sopra indicate non includono gli effetti finanziari recati dalla legge di stabilità 2013. Ciò in quanto le disposizioni fiscali contenute nel testo del provvedimento approvato differiscono considerevolmente rispetto al testo del disegno di legge presentato in Parlamento, modificando la composizione fra imposte dirette ed indirette. Infatti, il testo del ddl prevedeva una riduzione delle aliquote IRPEF applicate ai primi due scaglioni di reddito imponibile, una riduzione delle detrazioni e deduzioni IRPEF per oneri, l’imponibilità delle pensioni di guerra dirette. Tali disposizioni sono state sostituite da altre misure quali la riduzione del cuneo fiscale (IRAP) e l’aumento delle detrazioni IRPEF per i figli a carico. E’ stato inoltre escluso l’incremento dell’aliquota IVA ridotta.
Sul piano finanziario, agli interventi contenuti nella legge di stabilità 2013 sono attribuiti effetti complessivi di maggiore entrata pari a 4.464 milioni nel 2013, 5.366 milioni nel 2014 e 4.895 milioni nel 2015 ed effetti complessivi di minore entrata pari a 6.397 milioni nel 2013, 6.301 milioni nel 2014 e 5.238 milioni nel 2015 con un effetto netto sulle entrate pari a -1.933 milioni nel 2013, - 936 milioni nel 2014 e -342 milioni nel 2015[113].
Tavola 4.6
Previsioni per il 2013-2015
|
2013 |
2014 |
2015 |
2013 |
2014 |
2015 |
|
milioni
di euro |
variazione
% su anno precedente |
||||
Totale entrate tributarie |
494.955 |
503.323 |
515.616 |
4,7 |
1,7 |
2,4 |
imposte
dirette |
241.234 |
246.743 |
252.541 |
1,4 |
2,9 |
2,4 |
imposte
indirette |
253.146 |
256.000 |
262.489 |
8,4 |
1,1 |
2,4 |
imposte
in c/capitale |
575 |
580 |
586 |
-58,2 |
0,9 |
1,0 |
Contributi sociali |
221.298 |
226.666 |
233.506 |
2,1 |
2,4 |
3,0 |
contributi
effettivi |
216.924 |
222.227 |
229.002 |
2,1 |
2,4 |
3,1 |
contributi figurativi |
4.374 |
4.439 |
4.504 |
3,0 |
1,5 |
1,5 |
Altre entrate correnti |
62.750 |
64.218 |
65.917 |
6,1 |
2,3 |
2,7 |
Totale entrate correnti |
778.428 |
793.627 |
814.453 |
4,7 |
2,0 |
2,6 |
Entrate in conto capitale |
5.123 |
5.406 |
6.038 |
3,1 |
5,6 |
11,7 |
Totale entrate finali |
784.126 |
799.613 |
821.077 |
4,0 |
2,0 |
2,7 |
Pressione fiscale |
45,3 |
44,8 |
44,6 |
|
|
|
(*)
Fonte Nota di aggiornamento al DEF 2012, quadro
tendenziale, settembre 2012. Le variazione percentuali annue 2013/2012 sono
valutate rispetto al dato di preconsuntivo ISTAT del 1° marzo 2013.
Nel biennio successivo, si stimava un andamento decrescente del suddetto valore che, in ogni caso, rimaneva nel 2015 più elevato rispetto alle stime per l’anno 2012.
Su tale evoluzione non
potrà non incidere, tuttavia, sia il risultato non positivo conseguito nel 2012
che la minore crescita prevista per l’esercizio in corso. Ciò in quanto, alla
luce dei dati di preconsuntivo relativi al 2012 forniti dall’ISTAT ed in
particolare alla revisione al ribasso delle entrate tributarie e contributive
(cfr Tavola 4.4), dovrà essere aggiornata anche la stima delle entrate per il
triennio 2013-2015.
L’approvazione, nel corso della XVI legislatura, della legge delega sul federalismo fiscale e dei relativi provvedimenti di adozione ha determinato importanti modifiche al regime tributario degli enti locali attraverso l’introduzione, in particolare, dell’imposta municipale sugli immobili (IMU) e del Tributo comunale sui rifiuti e servizi (TARES).
Imposta municipale sugli immobili: brevi cenni
normativi
L’imposta municipale sugli immobili (IMU) è stata istituita dal decreto legislativo n. 23 del 2011 con decorrenza originariamente fissata all’anno 2014.
La nuova imposta è introdotta in sostituzione sia dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) sia dell’IRPEF e relative addizionali regionali e comunali dovute sui redditi degli immobili non locati.
La disciplina dettata dal d.lgs. n. 23/2011 stabiliva, tra l’altro che:
- non erano inclusi nell’ambito di applicazione dell’imposta gli immobili adibiti ad abitazione principale e sue pertinenze;
- la base imponibile era determinata applicando i medesimi criteri utilizzati ai fini ICI (rendita catastale rivalutata moltiplicata per un coefficiente che varia in funzione della categoria catastale);
- l’aliquota ordinaria era pari al 7,6 per mille ed era ridotta alla metà nel caso di immobili locati. I comuni avevano la facoltà di variare l’aliquota di base, in aumento o in diminuzione, di 0,3 punti percentuali ovvero di 0,2 punti percentuali nel caso di immobile locato.
La disciplina IMU è stata oggetto di una importante modifica operata con il decreto legge n. 201/2011 (art. 13). Tra le novità introdotte si segnalano:
- la decorrenza dell’IMU è stata anticipata, in via sperimentale, all’anno 2012. L’applicazione sperimentale della disciplina interessa le annualità fino al 2014;
- l’ambito di applicazione dell’imposta è stato esteso alle abitazioni principali e relative pertinenze;
- oltre all’aliquota ordinaria (confermata in misura standard del 7,6 per mille), sono state introdotte due aliquote ridotte (4 per mille e 2 per mille) da applicare, rispettivamente, alle abitazioni principali e relative pertinenze e ai fabbricati rurali ad uso strumentale;
- ai comuni è concessa la facoltà di variare, in più o in meno, le predette aliquote entro i limiti, rispettivamente, di 0,3 punti percentuali, di 0,2 punti percentuali e di 0,1 punti percentuali. In altre parole, i valori minimi e massimi delle aliquote sono 4,6-10,6 per mille per l’aliquota ordinaria, 2-6 per mille per le abitazioni principali e sue pertinenze, 1-3 per mille per i fabbricati rurali ad uso strumentale;
-
in attesa della revisione del catasto, sono
modificati i criteri per la determinazione della base imponibile al fine di
attribuire un maggior valore agli immobili oggetto dell’imposta. A tal fine,
sono stati rideterminati, in aumento, i coefficienti da applicare per la
determinazione della base imponibile (ad es. il coefficiente per le abitazioni
viene incrementato del 60% passando da
- è introdotta una detrazione d’imposta in misura fissa (200 euro annui per immobile) per la determinazione dell’IMU relativa all’abitazione principale; tale detrazione è incrementata in funzione del numero dei figli conviventi minori di 26 anni;
- il gettito non viene interamente attribuito ai comuni. E’ riservata all’Erario una quota pari al 50% del gettito IMU relativo agli immobili diversi dalle abitazioni principali e sue pertinenze e diversi dai fabbricati rurali ad uso strumentale, calcolata applicando le aliquote di base fissate dalla norma statale; eventuali variazioni di aliquote deliberate dagli enti locali determinano una variazione del gettito attribuito al comune interessato.
Ulteriori modifiche alla disciplina
IMU, introdotte dal decreto legge n. 16 del 2012, sono state finalizzate
ad introdurre, in linea generale, norme di favore in relazione a specifici
settori o soggetti. Tra le disposizioni introdotte, si segnala la riduzione al
50% dell’imposta dovuta sugli immobili storici e sugli immobili inagibili,
agevolazioni in favore dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli
professionali (IAP), assimilazione all’abitazione principale della casa
assegnata al coniuge a seguito di separazione, rinuncia dello Stato alla quota
ad esso spettante in relazione alle abitazioni degli ex IACP e gli immobili di
proprietà dei comuni.
Per gli anni 2013 e
2014 la legge di stabilità per il
Il periodo sperimentale previsto dal decreto legge n. 201 del 2011 termina nel 2014 per cui, a decorrere dal 2015 si applica quanto disposto dal decreto legislativo n. 23 del 2011.
Profili finanziari
Le stime relative al gettito IMU sono state oggetto di revisioni nel corso della legislatura in virtù delle modifiche introdotte alla sua disciplina.
Prima di procedere ad una illustrazione delle stime
effettuate si riportano i dati provvisori comunicati dal Dipartimento delle
finanze[114]
in relazione al gettito realizzato
fino al 25 gennaio 2013 ossia oltre un mese dopo il termine per il versamento a
saldo dell’imposta dovuta per l’anno 2012.
La stima delle imposte sostituite dall’introduzione
dell’IMU
L’introduzione dell’IMU ha sostituito l’imposta comunale sugli immobili (ICI) e l’IRPEF e relative addizionali dovute sui redditi degli immobili non locati.
Gli effetti finanziari relativi al minor gettito delle imposte
sostituite è contenuta sia nel decreto legislativo n. 23 del 2011 sia nel
decreto legge n. 201 del 2011. La relazione tecnica allegata a quest’ultimo
provvedimento, sulla base del valore indicato dall’ISTAT nei Conti ed aggregati
economici delle amministrazioni pubbliche per l’anno
Stima del gettito annuo dei tributi
sostituiti
miliardi di euro
Descrizione |
D.Lgs. n. 23/2011 |
D.L. n. 201/2011 |
-
IRPEF sui redditi fondiari relativi ad immobili non locati |
1,54 |
|
-
Addizionale regionale IRPEF relativa ad immobili non locati |
0,08 |
|
-
Addizionale comunale IRPEF relativa ad immobili non locati |
0,03 |
|
Totale IRPEF e addizionale su
redditi fondiari immobili non locati |
1,65 |
1,6 |
-
Imposta comunale sugli immobili (ICI) |
9,92 |
9,2 |
TOTALE (minor gettito) |
11,57 |
10,8 |
Fonte: stime contenute nelle relazioni tecniche
riferite ai provvedimenti indicati.
Le stime del gettito IMU
Prima di procedere ad una illustrazione delle stime IMU contenute nelle relazioni tecniche, appare opportuno evidenziare che le quantificazioni effettuate nelle varie RT sono effettuate applicando sempre l’aliquota standard fissata dalla legge e prescindono dalle eventuali manovre attuabili dai singoli comuni.
Le prime stime sul gettito IMU annuo sono contenute nella relazione tecnica allegata allo schema di decreto legislativo (poi divenuto d.lgs. n. 23/2011[115]) recante “Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale” ed è pertanto riferita ad una disciplina che, in base alla normativa vigente, non trova applicazione fino al 2015.
Ai fini della quantificazione, la relazione tecnica aveva stimato un ammontare della base imponibile pari a 1.669 miliardi di euro. Su tale valore, era stato operato un abbattimento per tenere conto sia di alcune esenzioni, non stimabili in modo puntuale, sia della ripartizione della stessa base imponibile tra quella soggetta ad aliquota ordinaria e quella soggetta ad aliquota ridotta.
Complessivamente, in
base al dettato normativo del provvedimento,
il gettito IMU era stimato in misura pari a 11,57 miliardi annui, sulla
base di un’aliquota di equilibrio indicata nella misura del 7,6 per mille. Tale
valore di gettito coincideva con la contestuale perdita di gettito dovuta al
venir meno dei tributi sostituiti, assicurando il rispetto del criterio di
neutralità finanziaria stabilito dal citato D.Lgs. n. 23/2011.
Le stime sopra
indicate sono state riviste in conseguenza delle importanti modifiche alla disciplina
IMU introdotte dal decreto legge n. 201 del 2011 (tra cui, l’anticipo
della decorrenza al 2012, l’inclusione nell’ambito applicativo dell’abitazione
principale e la revisione dei coefficienti per la determinazione della base
imponibile).
La relazione tecnica, riferita al testo iniziale del decreto legge, stimava il gettito IMU in misura pari a 21,805 miliardi, di cui circa 18 miliardi di euro riferibili agli immobili diversi dall’abitazione principale e relative pertinenze.
Tale valore era determinato considerando una base
imponibile complessiva pari a 4.260 miliardi di euro che includeva sia gli
immobili esenti, non stimabili in modo puntuale, sia gli immobili soggetti ad
aliquota ridotta.
In merito all’attribuzione del gettito, la relazione tecnica effettuava la seguente ripartizione:
miliardi di euro
Descrizione |
D.L. n. 201/2011 |
Gettito
complessivo stimato IMU sperimentale |
+ 21,8 |
Perdita
gettito ICI |
-
9,2 |
Perdita
gettito IRPEF e addizionali immobili non locati |
-
1,6 |
Maggior gettito IMU rispetto alle
imposte sostituite |
+ 11,0 |
di cui: |
|
- quota Erario(18 mld x 50%) |
- 9,0 |
- quota Comuni |
- 2,0 |
Nel corso dell’esame parlamentare per la conversione in legge sono state introdotte modifiche alla disciplina IMU che hanno comportato una rettifica della stima iniziale, come risulta dalla seguente tabella (21,4 mld rispetto a 21,8 della RT iniziale per quanto concerne il 2012).
miliardi di euro
Descrizione |
2012 |
2013 |
2014 |
A) Abitazione principale e fattispecie non soggette a riserva
erariale ai sensi del D.L. n. 201/2011 |
|
|
|
Stima
indicata nella RT iniziale allegata al D.L. n. 201/2011 |
3.805 |
3.805 |
3.805 |
Detrazione
d’imposta in caso di figli conviventi |
-400 |
-400 |
|
TOTALE A) |
3.405 |
3.405 |
3.805 |
B) Altri immobili |
|
|
|
Stima
indicata nella RT iniziale allegata al D.L. n. 201/2011 |
18.000 |
18.000 |
18.000 |
Incremento
coefficiente da |
54,8 |
54,8 |
54,8 |
Incremento
coefficiente da |
|
270 |
270 |
TOTALE B) |
18.055 |
18.325 |
18.325 |
TOTALE EFFETTI (LEGGE DI
CONVERSIONE DEL D.L. n. 201/2011) (*) |
21.460 |
21.730 |
22.130 |
(*) Il totale include la quota di gettito IMU riferito agli immobili di proprietà dei comuni stessi e che risulta stimato in circa 606 milioni di euro annui.
Ulteriori modifiche alla disciplina IMU sono state introdotte successivamente alla conversione in legge del decreto legge n. 201/2011.
Stime più aggiornate relative al triennio 2012-2015 sono ottenute, partendo dai valori del D.L. n. 201 del 2011, effettuando una ricognizione degli effetti finanziari ascritti alle ulteriori norme che hanno modificato la disciplina IMU.
miliardi di euro
Descrizione |
2012 |
2013 |
2014 |
A) Abitazione principale e fattispecie non soggette a riserva
erariale ai sensi del D.L. n. 201/2011 |
|
|
|
Stima
D.L. n. 201/2011 (convertito in legge) |
3.405 |
3.405 |
3.805 |
Esenzione
fabbricati rurali strumentali montani |
-14 |
-14 |
-14 |
TOTALE A) |
3.391 |
3.391 |
3.791 |
B) Altri immobili |
|
|
|
Stima
D.L. n. 201/2011 (convertito in legge) |
18.055 |
18.325 |
18.325 |
Riduzione
50% immobili interesse storico artistico |
-7,5 |
-7,5 |
-7,5 |
Riduzione
50% per fabbricati inagibili |
-39 |
-39 |
-39 |
Aumento
da |
10 |
10 |
10 |
Agevolazioni
per coltivatori diretti e IAP |
-18,6 |
-18,6 |
-18,6 |
Assimilazione
abitazione principale per lungodegenti |
-11,5 |
-11,5 |
-11,5 |
Assimilazione
abitazione principale per immobili ex IACP |
-63 |
-63 |
-63 |
Rinuncia
quota erariale su immobili dei Comuni |
-303,9 |
-303,9 |
-303,9 |
Immobili
colpiti dal sisma in Abruzzo |
-2 |
-2 |
-2 |
Immobili
colpiti dal sisma in Emilia Romagna (D.L. n. 74/2012) |
-26,1 |
-26,1 |
-26,1 |
TOTALE B) |
17.593 |
17.863 |
17.863 |
TOTALE EFFETTI |
20.984 |
21.254 |
21.654 |
I dati indicati nella precedente tabella, ottenuti sulla base di una ricognizione degli effetti indicati nelle relazioni tecniche, evidenziano una stima del gettito IMU complessivo per l’anno 2012 pari a circa 21 miliardi, di cui 3,4 relativi all’abitazione principale e ai fabbricati rurali ad uso strumentale[116].
In merito all’attribuzione del gettito, in base ai valori indicati nella tabella, la quota riservata all’Erario ammonterebbe a 8,8 miliardi (50 per cento di 17.593 milioni), mentre la quota spettante ai Comuni, che include anche il gettito “prima casa”, risulterebbe pari a 12,2 miliardi.
Le stime indicate
nelle relazioni tecniche sono fornite come risultato di elaborazioni, rispetto
alle quali non viene illustrata nel dettaglio la quantificazione operata. In
ogni caso, la procedura di stima è basata sull’utilizzo delle aliquote standard
e prescinde dagli effetti delle possibili manovre degli enti locali. Per tali
ragioni non risulta possibile effettuare un confronto con i valori tendenziali
riportati nella Nota, i quali
incorporano la stima del possibile effetto della manovra comunale senza,
peraltro, indicarne il relativo valore.
Anno 2012: confronto tra stime e dati di gettito
I dati disponibili consentono un raffronto tra valori di stima e valori di gettito. Infatti,
In particolare, l’insieme delle informazioni rende possibile i seguenti confronti tra dati di previsione e quelli di gettito:
- al lordo delle manovre operate dai Comuni: a tal
fine il dato di gettito viene confrontato con il valore che
- al netto delle manovre operate dai Comuni: a tal fine il confronto è possibile tra i dati di gettito e le stime contenute nelle relazioni tecniche.
Come già ricordato,
I dati
illustrati indicano che, al lordo degli effetti delle manovre operate dai
Comuni, il gettito realizzato è superiore ai valori iscritti nei
tendenziali. Ciò è presumibilmente imputabile ad una stima prudenziale del
valore delle manovre comunali incorporate nei tendenziali.
Un diverso
risultato si ottiene, invece, se si confrontano i dati calcolati al netto
degli effetti delle manovre comunali rilevabili dalle relazioni
tecniche e dal dato sul gettito. Il suddetto confronto, infatti, evidenzia che
il gettito realizzato ad aliquote standard risulta inferiore alle stime
contenute nelle relazioni tecniche. Tale differenza potrebbe essere, in tutto o
in parte, spiegata dalla presenza di fattori che hanno determinato rettifiche
delle previsioni non rilevabili nelle relazioni tecniche. In proposito, facendo
riferimento a quanto indicato nella Nota del Dipartimento delle finanze del 5
luglio 2012 relativa a “I versamenti IMU e il confronto con le stime ex ante”[118],
tra tali fattori rientrerebbe:
-
il gettito
IMU riferito agli immobili di proprietà dei Comuni. Il valore originariamente
stimato ammontava, calcolato ad aliquota standard, a 606 milioni annui; il decreto legge n. 16 del
-
il gettito
IMU riferito agli immobili situati nelle zone colpite dal sisma in Emilia
Romagna nel maggio
I dati indicati nella Nota del Dipartimento delle finanze consentono una ulteriore analisi riferita specificatamente alla riserva erariale del gettito IMU. Tale valore corrisponde alla metà del gettito dell’imposta riferito agli immobili diversi dall’abitazione principale, sue pertinenze e dai fabbricati rurali ad uso strumentale, calcolato applicando l’aliquota standard.
A tal fine, considerando che – al netto degli effetti delle manovre comunali - il gettito complessivo ammonta a 19,9 miliardi e il gettito sull’abitazione principale ammonta a 3,4 miliardi, il valore su cui calcolare la riserva erariale risulta pari a 16,5 miliardi di euro. Pertanto, la quota del gettito IMU attribuita allo Stato dovrebbe risultare pari a 8,25 miliardi di euro a fronte degli 8,8 miliardi stimati nelle relazioni tecniche.
Secondo quanto indicato nel Rapporto sulle entrate tributarie del periodo gennaio-dicembre 2012, la quota di spettanza erariale, affluita al bilancio dello Stato con le rate di acconto e di saldo IMU ammonta complessivamente a 8.007 milioni di euro.
Per finalità conoscitive si riporta, infine, la distribuzione del gettito realizzato in funzione della tipologia di immobile effettuata dalla Nota.
in miliardi di euro
Descrizione |
Gettito 2012 |
Abitazione principale e relative pertinenze |
4 |
- di cui effetto manovra
Comuni |
0,6 |
Altri immobili |
19,592 |
- di cui effetto manovra
Comuni |
3,2 |
Fabbricati
diversi dall’abitazione principale (esclusi terreni, aree fabbricabili e
fabbricati rurali) |
17,9 |
Terreni |
0,628 (*) |
Aree fabbricabili |
1,0 |
Fabbricati rurali |
0,064 |
TOTALE |
23,592 |
(*)
La ripartizione
indicata determina un totale lievemente inferiore al gettito complessivo
indicato dalla medesima Nota (23,7 miliardi). La differenza potrebbe essere
imputabile, oltre che ad arrotondamenti d’importo, anche alla mancata
classificazione di alcuni versamenti rispetto alla tipologia di immobile.
Le stime per gli anni 2013 e 2014
La disciplina IMU da applicare negli anni 2013 e 2014 è stata rivista dalla legge di stabilità per il 2013. Le disposizioni introdotte, tuttavia, non interessano il calcolo dell’imposta, ma riguardano i criteri di attribuzione del gettito, in quanto viene rideterminata la quota di spettanza dell’Erario.
Pertanto, in merito al gettito atteso, i dati al momento disponibili sono:
- i valori di previsione che, secondo quanto indicato nella Nota del Dipartimento delle finanze, sono iscritti nei tendenziali delle pubbliche amministrazioni (23 miliardi nel 2013 e 23,3 miliardi nel 2014);
- le stime indicate nelle relazioni tecniche che, in base alla ricognizione effettuata, ammontano a 21,3 mld nel 2013 e 21,7 mld nel 2014.
Analogamente al 2012,
è presumibile ritenere che la differenza tra i valori tendenziali e le stime
delle relazioni tecniche possa essere attribuita alle previsioni degli effetti
finanziari delle manovre dei Comuni.
Tributo comunale sui
rifiuti e sui servizi (TARES)
Il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES) è
stato istituito dall’articolo 14 del decreto legge n. 201 del 2011 con
decorrenza 1° gennaio
Il nuovo tributo è finalizzato a disciplinare il riordino della tassazione comunale sui rifiuti e ad assicurare una maggiore copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili a fronte della quale sono state contestualmente ridotte le risorse erariali assegnate ai Comuni.
Il maggior gettito, derivante dall’incremento del tributo in misura pari a 0,30 euro a metro quadrato, è stato stimato in circa 1 miliardo di euro annui. Ai Comuni è data facoltà di aumentare la maggiorazione del tributo fino a 0,40 euro a metro quadrato.
Il versamento del nuovo tributo deve essere effettuato in quattro rate annuali con scadenza nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre. Ai Comuni è concessa la facoltà di modificare il numero delle rate e le date di scadenza.
Per l’anno 2013, essendo il primo anno di applicazione, è stata disposta una proroga da gennaio a luglio del termine per il versamento della prima rata.
L’eventuale
spostamento della scadenza delle rate applicabile dai Comuni non può comunque comportare,
al fine di assicurare l’invarianza finanziaria sui saldi di finanza pubblica,
un termine successivo alla fine dell’anno di riferimento.
Per l’anno 2013, lo slittamento della scadenza
della prima rata da gennaio a luglio è stato disposto con normativa statale (da
ultimo, decreto legge n. 1 del 2013). In proposito, gli enti locali e le
società concessionarie della riscossione hanno rilevato che le risorse del
tributo sono destinate alla fornitura di servizi comunali e, pertanto,
l’assenza di gettito – seppure di qualche mese – potrebbe riflettersi
negativamente sull’offerta dei servizi.
5. Le uscite delle pubbliche amministrazioni
5.1 L’andamento della spesa nel periodo 2008-2012
Tra il 2008 e il 2012 si assiste ad una aumento delle uscite complessive delle Pubbliche amministrazioni, che porta l’incidenza sul PIL dal 49,2 di inizio periodo al 51,2 per cento dello scorso esercizio (Tavola 5.1). Su tale evoluzione pesa, in misura significativa, la contrazione anche in termini nominali del prodotto, che si verifica a seguito della crisi economico-finanziaria nel 2009 e nuovamente nel 2012.
Tavola 5.1
Le
uscite delle pubbliche amministrazioni – 2008-2012
(milioni di euro)
(variazioni %)
Fonte: Istat, 1° marzo 2013. N.B. Le una tantum comprendono i proventi da
dismissioni immobiliari e, relativamente al 2011,
le entrate straordinarie riconducibili
all’asta delle frequenze.
La variazione positiva della spesa, inoltre, è concentrata nel primo biennio (+3,3 per cento in media), a fronte di una dinamica molto più contenuta nel periodo successivo (+0,1 per cento in media annua).
Sulla tale andamento incidono, infatti, le misure di sostegno alle famiglie e alle imprese varate dal Governo nel 2009 per fronteggiare la crisi, l’operare degli stabilizzatori automatici che in tale esercizio determinano un aumento della spesa per sussidi di disoccupazione e integrazione al reddito, e l’accelerazione dei pagamenti (di parte corrente e di parte capitale) da parte delle pubbliche amministrazioni a fronte di debiti verso il settore privato.
Nel successivo triennio, invece, si esplicano pienamente le misure di contenimento, adottate fin dall’estate del 2008 e successivamente rafforzate (v. capitolo 3).
Ciò si riflette nella spesa primaria, ed in particolare in quella di parte corrente che, nella seconda parte del periodo in esame, mostra un tasso di variazione inferiore all’1 per cento.
Quanto alle spese in conto capitale - da considerare al netto delle entrate straordinarie e delle operazioni di dismissione immobiliare contabilizzate in riduzione della spesa[120] – esse evidenziano, dopo l’aumento del 2009, una costante riduzione anche in valore assoluto, che porta la loro incidenza sul PIL da un valore prossimo al 4 per cento di inizio periodo a poco più del 3 per cento nel 2012.
La spesa per interessi mostra un andamento altalenante, riducendosi tra il 2008 e il 2009 nel pieno della recessione economica[121], per poi ricominciare a crescere nel 2011 e nel 2012, registrando variazioni superiori al 10 per cento a fronte dell’ampliarsi degli spreads.
Con riferimento all’esercizio appena trascorso, occorre infine rilevare come i dati rilasciati dall’Istat il 1° marzo scorso evidenzino valori più contenuti della spesa primaria, rispetto a quelli indicati nella Nota tecnico illustrativa della legge di stabilità per il 2013. La riduzione interessa tutte le componenti della spesa corrente (-6,2 miliardi complessivamente), mentre nell’ambito di quella in conto capitale risultano in riduzione gli investimenti fissi e gli altri trasferimenti, a fronte di un aumento dei contributi (+1,7 miliardi). In aumento, rispetto alle precedenti stime, anche la spesa per interessi (+600 milioni).
Se poi si prende in considerazione un più ampio periodo di previsione, confrontando il risultato Istat relativo alle uscite al netto degli interessi con le stime per il 2012 contenute nel Documento di economia e finanza presentato nell’aprile 2011, si rileva come la differenza tra i due dati evidenzia una contrazione della spesa pari a 14,6 miliardi, superiore di oltre 2 miliardi agli effetti attesi dalle manovre intervenute in tale arco di tempo (circa 12,5 miliardi)[122]. Ciò evidenzia quindi una sostanziale tenuta della manovra sulle uscite del complesso della PA, pur in presenza di una crisi economica che ha comportato nell’esercizio maggiori esborsi riconducibili all’operare degli stabilizzatori automatici.
5.2 Le previsioni per il triennio 2013-2015
L’andamento riflessivo della spesa primaria è previsto mantenersi anche nell’esercizio in corso e nel successivo biennio 2014-2015 (Tavola 5.2), per effetto delle misure di contenimento della spesa oggetto delle manovre adottate nel periodo precedente e dell’attività di spending review avviata nello scorso esercizio.
Una dinamica sensibilmente inferiore a quella attesa per il PIL nominale dovrebbe consentire di ridurre l’incidenza sul prodotto della spesa primaria di 1,6 punti (dal 45,6 per cento del 2012 e 2013 al 44 per cento nel 2015) a fronte di un aumento degli interessi (dal 5,6 al 6,3 per cento)[123].
Occorre,
tuttavia, sottolineare come un risultato relativo al 2012 diverso da quello
prefigurato al momento della presentazione delle previsioni oggetto della Nota potrebbe
portare ad una rideterminazione delle stime delle grandezze di finanza
pubblica, a legislazione vigente, anche per il periodo in esame. Su di esse
potrà inoltre influire, ove confermata, la minore crescita dell’economia che si
prefigura per il 2013 ed esercizi successivi.
Un quadro aggiornato sarà
disponibile in occasione del prossimo Documento di economia e finanza. Il DEF
dovrebbe inoltre fornire gli elementi necessari per verificare il rispetto
della regola sulla spesa prevista nell’ambito della governance europea (v.
capitolo I).
Tavola 5.2
Le
uscite delle pubbliche amministrazioni – Previsioni 2013-2015
(milioni di euro)
(% PIL)
(variazioni %)
5.3 La spesa primaria: confronto tra l’evoluzione attesa nel 2008 e le
stime attuali
Le tavole precedenti evidenziano il rallentamento in atto
nella spesa primaria verificatosi nel quinquennio 2008-2012 e atteso per
l’esercizio in corso ed il successivo biennio. Rinviando agli Approfondimenti
settoriali per un’analisi delle varie componenti di spesa, ci si limita in
questa sede ad un sintetico raffronto tra le stime attuali[124] e
le previsioni formulate nel giugno
Il Grafico 5.1 riporta i dati relativi alla spesa primaria in valore assoluto e non in percentuale del PIL: la caduta del prodotto in termini nominali nel 2009 e nel 2012 non consente, infatti, di cogliere pienamente la correzione intervenuta.
Grafico 5.1
Uscite
al netto degli interessi delle PA: confronto stime
(milioni di euro)
Rispetto alle previsioni del giugno 2008, i dati ex post evidenziano come solo nel 2009 la spesa primaria sia risultata più elevata. Nel periodo successivo, grazie alle misure di consolidamento adottate, la spesa si mantiene al di sotto della soglia indicata nel quadro programmatico, indicando una riduzione (in valore assoluto) tra il 2010 e il 2012 e una moderata ripresa nel periodo successivo[125].
Guardando alla composizione dell’aggregato (v. Grafico 5.2), si rileva come la spesa pensionistica evidenzi un moderato incremento nel quinquennio 2008-2012 (+3 per cento in media annua), che tende a ridursi nel triennio successivo (+2,6 per cento) anche per effetto della riforma recentemente approvata.
Il raffreddamento
della dinamica della spesa è particolarmente evidente per i redditi da lavoro
dipendente: a seguito del blocco della contrattazione salariale e delle misure limitative del turn over, dopo un aumento tra il 2008 e
il 2010, l’aggregato si riduce in valore assoluto dal
Sull’evoluzione dei consumi intermedi, anch’essi attesi ridursi a decorrere dal 2012, incidono i risparmi previsti a livello delle Amministrazioni Centrali, e la riduzione dei trasferimenti e i tetti di spesa per le Autonomie Locali. Risparmi significativi sono attesi a livello regionale per quanto concerne la spesa sanitaria.
Dati i ripetuti tagli di spesa a livello delle Amministrazioni Centrali e Locali, la spesa in conto capitale si stabilizza intorno al 2,8 per cento del Pil rispetto al 3,8 per cento della situazione pre-crisi.
Grafico 5.2
Composizione spesa primaria: confronto stime
(milioni di euro)
Le considerazione svolte nel presente paragrafo si basano sui dati del Conto annuale raccolti ed elaborati dalla Ragioneria generale dello Stato[126] e sulla documentazione predisposta a commento di tali dati. Gli ultimi dati di consuntivo disponibili sono quelli relativi all’anno 2011, i dati del 2012 saranno resi pubblici intorno alla fine dell’anno in corso. Per quanto concerne la spesa per redditi da lavoro dipendente, i dati di consuntivo sono elaborati dall’Istat, mentre per il periodo di previsione, che include ancora il 2012, si fa riferimento a quelli contenuti nella Nota tecnico illustrativa della legge di stabilità 2013.
L'occupazione nel settore
pubblico nel periodo 2008-2011
Il Conto annuale
suddivide il personale impiegato in due grandi categorie:
·
il
personale che lavora nelle pubbliche amministrazioni eccettuati i lavoratori
con contratti flessibili a sua volta suddiviso in Personale stabile ed in Altro
personale.
Per Personale Stabile si intende
quel personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato comprensivo dei
Dirigenti a tempo determinato in quanto ricoprono posti di funzione non
propriamente riconducibili ad esigenze temporanee dell’amministrazione.
Nell’Altro Personale sono considerate alcune particolari figure professionali
che hanno rapporti di lavoro non a tempo indeterminato (come i supplenti della
Scuola e degli Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale), ovvero che non rientrano nelle categorie
contrattuali del pubblico impiego, ricomprendendo in questa definizione anche
il personale disciplinato da norme di diritto pubblico (ad esempio: direttori
generali, contrattisti, volontari e allievi delle Forze Armate e dei Corpi di
Polizia);
·
il
personale con contratti flessibili a suo volta suddiviso in Personale a tempo
determinato, Lavoratori socialmente utili, Contratti in formazione e lavoro e
Lavoratori interinali.
Si rammenta che i lavoratori interinali e quelli socialmente utili rimangono estranei alla Pubblica amministrazione in quanto il loro utilizzo non dà luogo alla costituzione di un rapporto di impiego.
Per quanto concerne i
contratti di collaborazione coordinata e continuativa, utilizzati per il
reperimento di specifiche professionalità non presenti nella Pubblica
amministrazione, si rammenta che l’aspetto rilevante è costituito dalla
tipologia della prestazione richiesta e che, pertanto, la durata della
prestazione non è l’elemento centrale del rapporto; ne consegue che i dati a
essi relativi non sono raffrontabili né aggregabili con i dati relativi al
personale con rapporto di lavoro flessibile[127].
Si rileva che il ricorso a forme contrattuali flessibili si è notevolmente
ridotto nel corso della legislatura.
Sono di seguito fornite alcune avvertenze per una corretta lettura dei dati, dal momento che le rilevazioni della Ragioneria generale dello Stato fanno riferimento ad un universo complesso ed in continua evoluzione.
In primo luogo si evidenzia che i dati sono raccolti per comparto di contrattazione[128] di riferimento sebbene la rilevazione includa alcuni comparti di comodo (quali ad esempio quelli dell’autorità indipendenti) che raggruppano enti contrattualmente eterogenei tra loro per i quali, però, non è significativo procedere ad una rilevazione autonoma. In secondo luogo si evidenzia, come già sopra rilevato, che il Personale stabile include i dirigenti a tempo determinato in quanto ricoprono posti di funzione non propriamente riconducibili ad esigenze temporanee dell’amministrazione.
Nel leggere i dati contenuti nelle tabelle si deve, inoltre, tenere conto che le aggregazioni che concernono i singoli anni e comparti possono talvolta riferirsi ad un diverso insieme di enti. Tale eventualità si concretizza in virtù della acquisizione di nuovi enti nel novero delle pubbliche amministrazioni o anche per il passaggio di enti da un comparto all’altro. La numerosità dei dipendenti appartenenti alle singole amministrazioni è anche condizionata dai passaggi del personale fra i diversi enti coinvolti in processi di riorganizzazione.
Le modifiche di maggiori rilievo verificatesi nel corso delle legislatura e segnalate dalla Ragioneria generale dello stato sono le seguenti:
nel corso del 2011 per la prima volta sono stati acquisiti i dati relativi alla regione Siciliana e dell’Ente foreste Sardegna di alcune ex Ipab e di alcuni consorzi della provincia autonoma di Trento. Sono state, in tal modo, censite 22.000 unità di personale non presenti nelle precedenti rilevazioni;
spostamenti significativi di enti e di personale hanno riguardato l'Enea, che è passato dagli enti ex art. 70 del d.lgs n. 165 del 2001 al comparto degli Enti di ricerca, mentre in esito alla riorganizzazione della struttura territoriale del Ministero dell'economia e delle finanze un contingente significativo di personale ha optato per il trasferimento ai Monopoli di Stato, uscendo quindi dal comparto Ministeri per entrare in quello delle Agenzie fiscali;
nel corso del 2008 l’Azienda autonoma dei monopoli di Stato entra a far parte del comparto delle Agenzie fiscali, mentre l’Agenzia del Demanio ne esce per entrare nel comparto degli enti ex art. 60 d-lgs n. 165 del 2001.
Nelle tabelle che
seguono sono riepilogati i dati relativi al personale utilizzato dalle Pubbliche
amministrazioni, raggruppati per comparto e per tipologia contrattuale.
Tavola 1
Unità di personale che lavora nelle
P.A. eccettuati i lavoratori con contratti flessibili[129]
Fonte:
Ragioneria generale dello Stato, Conto
annuale 2007-2011
La contrazione del
personale alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche che si registra
nell’ultimo anno è in realtà più ampia rispetto all’1 per cento segnalato nella
tabella. Nell’anno 2011 sono state censite per la prima volta circa 22.000
unità di personale non oggetto di precedente rilevazioni: a parità di enti,
dunque, la riduzione per il 2011 sarebbe pari all’1,6 per cento. Tale riduzione
fa seguito a quelle di misura analoga registrate negli anni 2009 e 2010 che
determinano, nel loro complesso, una contrazione del numero dei pubblici
dipendenti pari a circa il 5 per cento dei lavoratori censiti al termine
dell’anno 2007.
La riduzione del
personale ha riguardato tutti i comparti più rilevanti, con la eccezione dei
Vigili del Fuoco i quali hanno esercitato nel 2011 (a causa del ritardo con cui
sono stati emanati i provvedimenti di autorizzazione) le loro facoltà
assunzionali relative agli anni 2009 e 2010.
Tale comparto
insieme ai Corpi di Polizia non é stato interessato, fino al 2011, dall’applicazione
più rigorosa delle misure limitative del turn over essendo consentito il pieno
reintegro del personale cessato.
L’incremento del
numero degli addetti di alcuni comparti è dovuto alla migrazione fra enti,
nonché all’ingresso nelle rilevazioni di enti non censiti in precedenza.
I comparti dei Corpi
di polizia e delle Forze armate risultano essere i meno colpiti, tra quelli di
maggior rilievo, dagli interventi volti
alla riduzione delle unità di personale in servizio.
Tavola 2
Unità di Personale stabile
utilizzato dalle amministrazioni pubbliche
Fonte:
Ragioneria generale dello Stato, Conto
annuale 2007-2011
Tavola 3
Unità di Altro personale
|
Valori assoluti |
Variazione percentuale |
|||||||
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
08/07 |
09/08 |
10/09 |
11/10 |
11/07 |
221.810 |
195.147 |
180.908 |
133.556 |
-5,2 |
-12,0 |
-7,3 |
-26,2 |
-42,9 |
|
AFAM |
1.181 |
1.248 |
1.573 |
1.724 |
52,4 |
5,7 |
26,0 |
9,6 |
122,5 |
Ministeri |
2.268 |
2.389 |
2.393 |
2.441 |
0,1 |
5,3 |
0,2 |
2,0 |
7,7 |
Agenzie fiscali |
4 |
4 |
4 |
4 |
33,3 |
0,0 |
0,0 |
0,0 |
33,3 |
Corpi di polizia |
5.152 |
3.410 |
4.040 |
5.233 |
174,3 |
-33,8 |
18,5 |
29,5 |
178,6 |
Forze armate |
45.547 |
51.127 |
47.726 |
46.753 |
-10,4 |
12,3 |
-6,7 |
-2,0 |
-8,0 |
Enti pubbl. non econ. |
1.372 |
463 |
447 |
434 |
0,8 |
-66,3 |
-3,5 |
-2,9 |
-68,1 |
Enti di ricerca |
88 |
115 |
132 |
131 |
-64,4 |
30,7 |
14,8 |
-0,8 |
-47,0 |
Università |
1.599 |
1.567 |
1.533 |
1.559 |
7,2 |
-2,0 |
-2,2 |
1,7 |
4,5 |
Servizio sanitario naz. |
1.554 |
1.497 |
1.372 |
1.357 |
-2,1 |
-3,7 |
-8,4 |
-1,1 |
-14,5 |
Regioni ed autonomie |
7.699 |
7.534 |
7.326 |
7.109 |
3,7 |
-2,1 |
-2,8 |
-3,0 |
-4,3 |
Regioni a statuto spec. |
2.571 |
2.581 |
2.792 |
2.601 |
7,7 |
0,4 |
8,2 |
-6,8 |
8,9 |
Enti ex art.70, 165/2001 |
- |
- |
- |
1 |
|
|
|
|
|
Enti ex art.60, 165/2001 |
14 |
14 |
14 |
15 |
-6,7 |
0,0 |
0,0 |
7,1 |
0,0 |
Totale |
290.859 |
267.096 |
250.260 |
202.918 |
-4,4
|
-8,2
|
-6,3
|
-18,9
|
-33,3
|
Fonte:
Ragioneria generale dello Stato, Conto
annuale
I dati relativi al
personale pubblico consentono alcune considerazioni:
-
tenuto
conto che la riduzione del numero dei pubblici dipendenti è conseguenza,
soprattutto, delle ridimensionamento del comparto Scuola, si rileva che il blocco
delle assunzioni, che non riguarda tale comparto, ha contribuito per lo più,
come negli anni passati, ad evitare l’ampliamento del perimetro del pubblico
impiego più che a determinare una riduzione sostanziale del numero dei pubblici
dipendenti;
-
i comparti,
con esclusione di alcuni minori, in cui il blocco delle assunzioni ha esplicato
in pieno la sua effettività sembrano essere i Ministeri e gli Enti pubblici non economici;
-
i
comparti che hanno maggiormente contribuito, in termini di valori assoluti e
nell’ultimo quinquennio, alla riduzione complessiva del numero dei dipendenti
pubblici sono Scuola e Ministeri. Per quanto concerne
-
la
riduzione del numero degli addetti del comparto Scuola è avvenuta soprattutto a
valere sulle unità di personale impiegate con contratto a tempo determinato ed
attraverso un incremento del rapporto docenti/alunni, l’eliminazione delle
compresenze, un ridimensionamento delle ore curricolari negli istituti
superiori e la limitazione del ricorso alle supplenze.
Le tabelle che
seguono riepilogano i dati relativi al personale impiegato con forme
contrattuali flessibili.
Tavola 4
Unità di personale con contratto a tempo determinato e formazione
lavoro
|
Valori assoluti |
Variazione percentuale |
|||||||
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
08/07 |
09/08 |
10/09 |
11/10 |
11/07 |
Scuola |
484 |
487 |
406 |
376 |
-22,4 |
0,6 |
-16,6 |
-7,4 |
-39,7 |
AFAM |
247 |
345 |
170 |
263 |
8,8 |
39,7 |
-50,7 |
54,7 |
15,9 |
Ministeri |
1.890 |
1.494 |
1.619 |
1.560 |
-63,7 |
-21,0 |
8,4 |
-3,6 |
-70,0 |
Presidenza del
consiglio |
14 |
27 |
17 |
62 |
-26,3 |
92,9 |
-37,0 |
264,7 |
226,3 |
Agenzie fiscali |
1.398 |
1.153 |
153 |
88 |
-25,0 |
-17,5 |
-86,7 |
-42,5 |
-95,3 |
Vigili del fuoco |
3.605 |
3.656 |
3.605 |
3.606 |
0,4 |
1,4 |
-1,4 |
0,0 |
0,5 |
Enti pubbl. non econ. |
2.731 |
2.288 |
2.004 |
1.706 |
-20,0 |
-16,2 |
-12,4 |
-14,9 |
-50,0 |
Enti di ricerca |
4.778 |
3.570 |
2.514 |
3.095 |
15,9 |
-25,3 |
-29,6 |
23,1 |
-24,9 |
Università |
4.468 |
2.749 |
3.846 |
2.713 |
-12,8 |
-38,5 |
39,9 |
-29,5 |
-47,1 |
Servizio sanitario
naz. |
36.809 |
33.510 |
33.291 |
29.583 |
2,5 |
-9,0 |
-0,7 |
-11,1 |
-17,6 |
Regioni ed autonomie |
40.870 |
34.853 |
32.975 |
30.370 |
-10,4 |
-14,7 |
-5,4 |
-7,9 |
-33,4 |
Regioni a statuto
spec. |
11.055 |
10.508 |
10.791 |
11.646 |
-1,2 |
-4,9 |
2,7 |
7,9 |
4,0 |
Autorità indipendenti |
94 |
123 |
105 |
106 |
-7,8 |
30,9 |
-14,6 |
1,0 |
3,9 |
Enti ex art.70,
165/2001 |
270 |
154 |
128 |
52 |
-31,8 |
-43,0 |
-16,9 |
-59,4 |
-86,9 |
Enti ex art.60,
165/2001 |
371 |
343 |
365 |
1.240 |
1,1 |
-7,5 |
6,4 |
239,7 |
237,9 |
Totale |
109.083 |
95.260 |
91.988 |
86.467 |
-7,4 |
-12,7 |
-3,4 |
-6,0 |
-26,6 |
Fonte:
Ragioneria generale dello Stato, Conto
annuale
Tavola 5
Unità di personale con contratto di lavoro interinale e lavoratori
socialmente utili
|
Lavoratori interinali |
Lavoratori socialmente utili |
||||||
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
|
AFAM |
3 |
0 |
0 |
17 |
0 |
0 |
0 |
0 |
Ministeri |
65 |
21 |
23 |
22 |
0 |
0 |
0 |
0 |
Presidenza del
consiglio |
2 |
6 |
5 |
8 |
0 |
0 |
0 |
0 |
Enti pubbl. non econ. |
544 |
584 |
1096 |
339 |
331 |
215 |
117 |
105 |
Enti di ricerca |
16 |
9 |
6 |
10 |
0 |
0 |
1 |
1 |
Università |
204 |
106 |
144 |
101 |
22 |
31 |
42 |
35 |
Servizio sanitario
naz. |
5.122 |
6.221 |
6.151 |
4.984 |
581 |
690 |
674 |
627 |
Regioni ed autonomie |
4.616 |
4.044 |
3.570 |
3.270 |
20.987 |
19.245 |
17.016 |
16.442 |
Regioni a statuto
spec. |
339 |
344 |
325 |
326 |
109 |
150 |
723 |
788 |
Autorità indipendenti |
18 |
23 |
32 |
31 |
0 |
0 |
0 |
0 |
Enti ex art.70,
165/2001 |
15 |
11 |
12 |
17 |
0 |
0 |
0 |
0 |
Enti ex art.60,
165/2001 |
79 |
58 |
135 |
221 |
0 |
0 |
0 |
0 |
Totale |
11.022 |
11.429 |
11.680 |
9.346 |
22.030 |
20.331 |
18.573 |
17.998 |
|
Lavoratori interinali |
Lavoratori socialmente utili |
||||||||
|
08/07 |
09/08 |
10/09 |
11/10 |
11/07 |
08/07 |
09/08 |
10/09 |
11/10 |
11/07 |
Enti pubbl. non econ. |
1,3 |
7,4 |
87,7 |
-69,1 |
-36,9 |
-3,8 |
-35,0 |
-45,6 |
-10,3 |
-69,5 |
Enti di ricerca |
220,0 |
-43,8 |
-33,3 |
66,7 |
100,0 |
- |
- |
- |
- |
- |
Università |
-16,7 |
-48,0 |
35,8 |
-29,9 |
-58,8 |
-54,2 |
40,9 |
35,5 |
-16,7 |
-27,1 |
Servizio sanitario
naz. |
21,1 |
21,5 |
-1,1 |
-19,0 |
17,9 |
-8,2 |
18,8 |
-2,3 |
-7,0 |
-0,9 |
Regioni ed autonomie |
-14,6 |
-12,4 |
-11,7 |
-8,4 |
-39,5 |
-12,0 |
-8,3 |
-11,6 |
-3,4 |
-31,1 |
Regioni a statuto
spec. |
21,1 |
1,5 |
-5,5 |
0,3 |
16,4 |
45,3 |
37,6 |
382,0 |
9,0 |
950,7 |
Totale |
-4,7 |
3,7 |
2,2 |
-20,0 |
-19,2 |
-11,7 |
-7,7 |
-8,6 |
-3,1 |
-27,9 |
Fonte:
Ragioneria generale dello Stato, Conto
annuale 2007-2011
Come evidenziato anche dalla Ragioneria generale dello
Stato, non tutti i rapporti di lavoro flessibile sono caratterizzati
dall’instaurarsi di un rapporto di dipendenza con la pubblica amministrazione.
Con i contratti a tempo determinato e quello di formazione e lavoro si instaura
un rapporto di lavoro fra la pubblica amministrazione e la persona titolare.
Con il lavoro interinale e con i Lavori socialmente utili viene a mancare
questa caratteristica, nel primo caso perché il rapporto di lavoro è fra la
persona e l’agenzia interinale, nel secondo perché strutturalmente il rapporto
non può essere definito di lavoro ma è assoggettato ad una specifica
disciplina. Nel considerare queste tipologie di lavoro occorre tener presente,
inoltre, che l’unità di misura è diversa da quella utilizzata nel valutare
l’occupazione a tempo indeterminato. In quel caso il riferimento sono le
presenze al 31/12 (dato di stock), mentre in questo caso viene richiesto agli
enti di comunicare il numero di unità annue[130] utilizzate
nell’anno di riferimento.
Per quanto concerne
i contratti di formazione lavoro, l’anno 2011 segna la sostanziale
estinzione di tale tipologia contrattuale che è ancora presente con poco più di
due centinaia di unità annue impiegate nel comparto nazionale delle Regioni e
autonomie locali e con meno di cento nelle Agenzie fiscali. Per quanto concerne i contratti a tempo
determinato e di formazione lavoro,
Per quanto riguarda i lavoratori interinali
e quelli socialmente utili si rileva che la loro presenza è in progressivo calo
e risulta significativa nei soli comparti
degli enti locali e della sanità. Tale riduzione delle consistenze evidenzia come
non vi sia stata alcuna sostituzione del lavoro a tempo indeterminato con
quello a tempo determinato o con lavoro interinale.
Si rammenta, infine, che la documentazione prodotta a commento dei dati del Conto annuale evidenzia che le supplenze brevi del comparto scuola vengono rilevate ai fini della spesa ma non contribuiscono alla determinazione dell’occupazione; tali supplenze vengono stimate, ai fini della quantificazione degli oneri contrattuali, nella misura di 25.000 anni persona. Nel Conto annuale vengono rilevati anche i dati relativi ad incarichi e collaborazioni e la relativa spesa utilizzando il concetto di “contratti attivi” nell’anno.
Tavola 6
Unità di Personale occupato nelle
pubbliche amministrazioni
|
Valori assoluti |
Variazione percentuale |
|||||||
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
08/07 |
09/08 |
10/09 |
11/10 |
11/07 |
3.145.955 |
3.109.115 |
3.064.978 |
3.080.081 |
0,7 |
-1,2 |
-1,4 |
0,5 |
-1,4 |
|
Altro personale |
290.859 |
267.096 |
250.260 |
202.918 |
-4,4 |
-8,2 |
-6,3 |
-18,9 |
-33,3 |
Tempi
determinati e formazione lavoro |
109.083 |
95.260 |
91.988 |
86.467 |
-7,4 |
-12,7 |
-3,4 |
-6,0 |
-26,6 |
Lavoratori
interinali |
11.022 |
11.429 |
11.680 |
9.346 |
-4,7 |
3,7 |
2,2 |
-20,0 |
-19,2 |
Lavoratori
socialmente utili |
22.030 |
20.331 |
18.573 |
17.998 |
-11,7 |
-7,7 |
-8,6 |
-3,1 |
-27,9 |
Totale |
3.578.949 |
3.503.231 |
3.437.479 |
3.396.810 |
-0,1 |
-2,1 |
-1,9 |
-1,2 |
-5,2 |
Fonte: Ragioneria generale dello Stato, Conto annuale 2007-2011
L’andamento dell’occupazione per il 2012, prime stime
L’anticipazione
dei dati sull’occupazione proposta dalla Ragioneria riguarda i primi due
quadrimestri del 2012 e, quindi, le variazioni intervenute fra la fine del 2011
ed il mese di agosto del 2012.
Come precisato dalla Ragioneria generale dello Stato, il grado di affidabilità dell’analisi è misurato dal livello di copertura dei valori relativi al dicembre 2011 delle due fonti (monitoraggio e flussi stipendiali) rispetto agli aggregati riferiti alle stesse tipologie di enti provenienti dal conto annuale 2011. Quasi tutti i comparti esposti sono ben rappresentati ad eccezione degli Enti di ricerca; i dati presentati sono relativi a quelli su cui SPT opera e dunque la copertura sul totale del comparto è assai parziale; i dati del monitoraggio trimestrale degli Enti di ricerca non sono ancora qualitativamente idonei a fornire indicazioni affidabili così come non lo sono anche per gli Enti pubblici non economici. In termini complessivi la rappresentazione interessa oltre l’80 dei dipendenti dei comparti presentati.
Il blocco delle assunzioni e le misure limitative del turn over
Al
fine di ridurre il numero dei dipendenti pubblici è stato disposto,
inizialmente per l’anno 2002, il divieto di assunzione per le pubbliche
amministrazioni. Il divieto è stato reiterato con le successivi leggi
finanziarie ed ha cessato di essere operativo il
Tali strumenti, pur risultando utili al fine di contenere la crescita del numero dei pubblici dipendenti, non si sono rivelati, in concreto, idonei a determinare una sensibile riduzione del loro numero; ciò in quanto l’ambito applicativo delle misure è stato progressivamente ridotto con il passare degli anni.
A tal proposito, si rammenta che, sin dall’origine, il divieto di assunzioni non è stato applicato al comparto della Scuola, in quanto il servizio pubblico di istruzione deve essere istituzionalmente assicurato. In seguito, il medesimo divieto non ha trovato diretta applicazione per i comparti delle Regioni e delle autonomie locali, della Sanità, dell’Università.
Per quanto concerne le Regioni, si è definito un obiettivo generale di contenimento delle spese nel loro complesso (Patto di stabilità interno) e non è stato fissato uno specifico l’obbligo di riduzione del personale, demandando a tali enti la scelta concreta dei mezzi per conseguirlo. Per le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’obiettivo è stato espresso in termini di riduzione della spesa di personale, da perseguire anche con strumenti diversi dalla riduzione delle assunzioni. Le Università, inoltre, sono unicamente sottoposte alla programmazione triennale dei fabbisogni ed al vincolo posto dalle risorse presenti nei loro bilanci. Infine, nel corso dei vari anni, sono stati approvati provvedimenti che prevedevano l’assunzione di personale in deroga al blocco.
Le misure limitative del turn over, applicate a partire dal 2008, sono state caratterizzate da un ambito applicativo più ampio, sebbene siano state definite in modo più restrittivo per la maggioranza dei comparti a cui appartiene il personale delle amministrazioni statali ed in maniera meno stringente per i comparti Sicurezza, Università e Ricerca.
In conclusione le misure limitative delle assunzioni hanno dispiegato i loro maggiori effetti con riferimento ai comparti Ministeri, Agenzie fiscali ed Enti pubblici non economici.
Le
misure limitative delle assunzioni sono caratterizzate, inoltre, da un ulteriore
limite. La reiterata proroga di dette misure, anche per un solo anno, non ha
consentito lo sviluppo di una visione strategica delle politiche del personale
proprie dei singoli comparti con la conseguenza che i piani di reclutamento
sembrano aver perso la prospettiva di lungo periodo. Il reiterarsi di tali
misure ha, inoltre, determinato il progressivo avanzamento dell’età media dei
pubblici dipendenti: dai dati del Conto annuale si evince che in molti
comparti l’età media è prossima o eccede
i cinquanta anni.
La spesa per redditi da
lavoro dipendente nella P.A.
Le tavole che seguono evidenziano la spesa sostenuta per il
pagamento dei redditi da lavoro dipendente nel periodo 2008-2011 e le
previsioni formulate per il quadriennio 2012-2015[134], come
risultanti dal Conto economico della Pubblica amministrazione.
I dati sulla spesa contenuti nel Conto annuale sono leggermente diversi da quelli recati nel Conto economico delle P.A. considerati, fra l’altro, i seguenti diversi criteri che presiedono alla valutazione dei dati:
· il Conto annuale considera i dati di cassa e non quelli relativi alla competenza economica[135] ad esclusione dei dati forniti dalle aziende del Servizio sanitario nazionale;
· ai fini della rilevazioni non sono considerate alcune amministrazioni pubbliche (quali gli organi costituzionali) ed alcuni enti (quali gli enti pensionistici privatizzati) considerati, invece, nell’ambito del Conto economico della P.A.;
· è contabilizzata la spesa sostenuta per i lavoratori interinali e per le collaborazioni (considerata consumo intermedio nel Conto economico) nonché quella relativa ai lavoratori socialmente utili (che rientra, per lo più, tra i trasferimenti alle famiglie);
· il Conto annuale non considera, come spesa, la somma dovuta per la contribuzione aggiuntiva che non ha natura contrattuale.
Tavola 7a
Redditi da lavoro dipendente nella
P.A. – anni 2008-2012
(milioni di euro - % )
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012a |
2012b |
Redditi |
169.666 |
171.050 |
172.002 |
169.209 |
165.336 |
167.080 |
Variazione %annua |
3,4 |
0,8 |
0,6 |
-1,6 |
-2,3 |
-1,3 |
% spesa complessiva |
21,9 |
21,4 |
21,7 |
21,3 |
20,5 |
20,7 |
Incidenza % PIL |
10,8 |
11,3 |
11,1 |
10,7 |
10.6 |
10,7 |
PIL nominale |
1.575.144 |
1.519.695 |
1.551.886 |
1.578.497 |
1.564.378 |
1.565.916 |
Fonte: il dato riferito all’anno
2008 è tratto dai Conti delle
amministrazioni pubbliche - Periodo di riferimento 1990- 2011, pubblicati
dall’ISTAT il 27 novembre 2012;i dati del triennio 2009-2012 sono tratti dal
Comunicato dell’ISTAT PIL e indebitamento
delle amministrazioni pubbliche del 1° marzo 2013. Per il 2012, accanto al
preconsuntivo Istat (a) è indicato Il il dato di previsione (b) tratto dalla
Nota tecnico-illustrativa al disegno di legge di stabilità 2013
Tavola 7b
Redditi da lavoro dipendente nella
P.A. - previsioni
(milioni di euro - %)
|
2013 |
2014 |
2015 |
|
Redditi |
166.523 |
165.485 |
166.148 |
|
Variazione % annua |
-0,3 |
-0,6 |
0,4 |
|
% spesa complessiva |
20,6 |
20,1 |
19,7 |
|
Incidenza % PIL |
10,5 |
10,2 |
9,9 |
|
PIL nominale |
1.582.375 |
1.629.056 |
1.680.441 |
|
Fonte: Nota
tecnico-illustrativa al disegno di legge di stabilità 2013
Nel corso degli anni
2008-2010 la spesa complessiva per redditi da lavoro dipendente ha, in termini
di valori assoluti, progressivamente rallentato la sua crescita. A partire
dall’anno 2011 l’ammontare complessivo della spesa ha iniziato a mostrare un
andamento decrescente, che risulta confermato dai dati di preconsuntivo 2012 e
previsionali 2013 e 2014. Dal 2015 la
spesa per redditi da lavoro dipendente dovrebbe tornare a crescere in valore
assoluto per il venir meno degli effetti limitativi previsti dagli articoli 9
del decreto legge n. 78/2010 e dal successivo articolo 16 del decreto legge
98/2011.
Tali norme
hanno, rispettivamente, bloccato la crescita delle retribuzioni pubbliche per
il triennio
Si deve, comunque,
segnalare che secondo i dati ISTAT del 1° marzo[136]
2013 il dato di preconsuntivo 2012 pari a 165.336 milioni di euro, di molto inferiore
a quello indicato nella Nota tecnico-illustrativa al disegno di legge di
stabilità 2013 invece pari a 167.080. Tale differenza potrebbe essere
conseguente alla rilevazione da parte dell’ISTAT degli effetti di minor spesa
conseguenti all’applicazione di norme recate dal decreto legge 78/2010: in
occasione dell’esame del disegno di legge di conversione del citato decreto
legge,
Si tratta ad esempio degli effetti derivanti
dall’applicazione dell’articolo 9, comma 1 del decreto legge n. 78/2010 che ha
previsto che per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico
complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi
compreso il trattamento accessorio, non può superare, in ogni caso, il
trattamento ordinariamente spettante
per l’anno 2010, al netto degli
effetti derivanti da eventi straordinari della dinamica retributiva. Dalla
norma si supponeva dovessero derivare effetti di risparmio quantificabili però,
secondo
Si rammenta, tuttavia, che molte di tali norme cesseranno di produrre effetti a partire dal 1° gennaio 2014, ovvero dal 1° gennaio 2015 qualora sia emanato il DPR previsto dal citato articolo 16 del decreto legge n. 98/2011. Ne consegue che, qualora questa lettura dei dati fosse corretta, parte dei risparmi oggi conseguiti dovrebbero cessare a partire dal 2014 o, eventualmente, dal 2015 non avendo natura permanente.
In rapporto al PIL,
dopo l’aumento dal 10,8 del 2008
all’11,3 per cento del 2009 (in larga parte attribuibile della riduzione del
prodotto), la spesa evidenzia a
decorrere dal 2010 un andamento
decrescente, che è confermato nelle previsioni programmatiche fino al 2015 anno
in cui il rapporto medesimo scenderà sotto il 10 per cento.
Si rileva, infine
che tra il 2008 ed il 2012 il PIL nominale é diminuito dello 0,7 per cento,
mentre la spesa per redditi da lavoro dipendente si è ridotta dell’1,5 per
cento. Nel periodo di previsione 2013-2015 il PIL è previsto crescere del 7,4
per cento rispetto all’anno 2012 mentre la spesa per redditi da lavoro
dipendente crescerà dello 0,6 per cento in termini assoluti.
Pur non essendo disponibili dati che consentano di calcolare con precisione la misura della riduzione del numero dei dipendenti pubblici nel periodo previsionale 2013-2015, sembra possibile affermare, sulla base dei dati disponibili, che ai lavoratori pubblici non sarà pienamente riconosciuta la conservazione del potere d’acquisto dei loro salari in combinazione all’incremento della produttività riscontrata a livello nazionale.
I rinnovi contrattuali
2010-2012 e 2013-2015
Nel corso della legislatura sono state adottati numerosi provvedimenti volti a contenere la spesa sostenuta per la retribuzione dei pubblici dipendenti. L’intervento di più ampio respiro è stato recato dall’articolo 9 del decreto legge n. 78/2010, finalizzato a far sì che per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti non può superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010. Nell’ambito delle numerose disposizioni recate dal citato articolo 9, è stato, pertanto, disposto il blocco della contrattazione nel pubblico impiego per il triennio 2010-2012. Il blocco prevede, senza possibilità di recupero, la sospensione delle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012, fatta salva la sola erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale. Parallelamente, per il personale in regime di diritto pubblico, si esclude l’applicazione, per gli anni 2011, 2012 e 2013, dei meccanismi di adeguamento annuale delle retribuzioni[137] e si escludono successivi recuperi[138].
Successivamente l’articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98/2011 ha previsto,
sempre al fine di ridurre la spesa, che con DPR possano essere prorogate al
Peraltro l’articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98/2011, prevede, alla lettera c), che siano fissate con DPR le modalità di calcolo relative all'erogazione dell'indennità di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017.
Tale formulazione sembra suggerire che in relazione al blocco degli incrementi retributivi per gli anni 2013 e 2014, sarà disposto uno slittamento del triennio contrattuale per farlo coincidere con l’arco temporale 2015-2017.
2. La spesa per l’istruzione delle Pubbliche amministrazioni
L’analisi degli andamenti della spesa per l’istruzione che segue è effettuata sulla base dei dati pubblicati dall’Istat il 17 gennaio 2013 relativi alla spesa delle Amministrazioni pubbliche per funzione.
La spesa è riferita a tutti i livelli di istruzione e comprende quella relativa all’istruzione pre-scolastica, all’istruzione primaria, secondaria, post-secondaria non superiore (istruzione e formazione tecnica), istruzione superiore (università, politecnici e AFAM) istruzione di diverso tipo (l’istruzione per adulti).
Tavola 1
Spese delle Amministrazioni
pubbliche per l’istruzione - Anni 2007-2011
(milioni di euro - %)
|
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Valori
assoluti |
69.774 |
68.215 |
69.435 |
68.281 |
65.956 |
Tasso
di variazione % |
n.d. |
-2,2 |
1,8 |
-1,7 |
-3,4 |
%
spesa complessiva P.A. |
9,3 |
8,8 |
8,7 |
8,6 |
8,3 |
%
sul PIL |
4,5 |
4,3 |
4,6 |
4,4 |
4,2 |
Come evidenziato nella Tavola 1, tra il 2007 e il 2011 si
registra una riduzione di circa il 5,5 % della spesa delle amministrazioni
pubbliche per l’istruzione, pari ad un punto percentuale in termini di
incidenza sulla spesa complessiva della P.A. Rispetto a tale tendenza fa
eccezione il
Su tale riduzione incidono i provvedimenti legislativi che nel quinquennio di interesse hanno avuto ad oggetto il contenimento della spesa pubblica e, in particolare, le disposizioni in materia di organizzazione scolastica (v. paragrafo 5.1). Tra questi si segnala il D.L. 112/2008 che, all’art. 64, prevede il conseguimento per il bilancio dello Stato di economie di spesa in materia di istruzione non inferiori a 456 milioni di euro per l’anno 2009, 1.650 milioni per l’anno 2010, 2.538 milioni per l’anno 2011 e 3.188 milioni a decorrere dall’anno 2012.
Tavola 2
La
spesa pubblica per l’istruzione secondo la classificazione funzionale COFOG, II
livello
(milioni di euro)
|
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
|||||
|
AC(*) |
AL(**) |
AC |
AL |
AC |
AL |
AC |
AL |
AC |
AL |
istruzione pre-scolastica e
primaria |
22.065 |
4.231 |
20.233 |
4.241 |
21.567 |
4.329 |
21.145 |
4.320 |
20.574 |
4.237 |
AC + AL |
26.296 |
24.474 |
25.896 |
25.465 |
24.811 |
|||||
istruzione secondaria |
28.576 |
3.065 |
28.624 |
3.079 |
28.605 |
3.196 |
27.984 |
3.154 |
26.864 |
3.102 |
AC + AL |
31.641 |
31.703 |
31.801 |
31.138 |
29.3966 |
|||||
istruz. post-secondaria non
superiore |
248 |
1.152 |
239 |
1.084 |
233 |
1.052 |
302 |
1.040 |
257 |
1.033 |
AC + AL |
1.400 |
1.323 |
1.285 |
1.342 |
1.290 |
|||||
istruzione superiore |
380 |
5.066 |
346 |
4.935 |
339 |
4.972 |
409 |
4.754 |
325 |
4.555 |
AC + AL |
5.446 |
5.281 |
5.311 |
5.163 |
4.880 |
|||||
istruzione di diverso tipo |
0 |
840 |
4 |
951 |
0 |
911 |
0 |
865 |
0 |
837 |
AC + AL |
840 |
955 |
911 |
865 |
837 |
|||||
servizi ausiliari dell'istruzione |
0 |
2.949 |
0 |
3.137 |
0 |
3.078 |
0 |
3.234 |
0 |
3.170 |
AC + AL |
2.949 |
3.137 |
3.078 |
3.234 |
3.170 |
|||||
R&S per l'istruzione |
83 |
8 |
84 |
9 |
81 |
4 |
89 |
5 |
73 |
5 |
AC + AL |
91 |
93 |
85 |
94 |
78 |
|||||
istruzione n.a.c.(***) |
592 |
519 |
628 |
621 |
571 |
497 |
536 |
444 |
506 |
418 |
AC +
AL |
1.111 |
1.249 |
1.068 |
980 |
924 |
|||||
Totale |
51.944 |
17.830 |
50.158 |
18.057 |
51.396 |
18.039 |
50.465 |
17.816 |
48.599 |
17.357 |
TOTALE AC+AL |
69.774 |
68.215 |
69.435 |
68.281 |
65.956 |
(*)
AC= amministrazione centrale
(**)
AL= amministrazioni locali
(***)
= non altrimenti classificata
Da essa emerge il rilievo della spesa per la fascia della scuola dell’obbligo (inclusa la fascia pre-scolastica), che assorbe circa l’80 per cento del totale.
La spesa per l’istruzione universitaria, classificata come
“istruzione superiore”, si attesta sul 13% della spesa nei primi due anni del
quinquennio considerato, per scendere all’11% nel
In base alla legge 59/1997[140] e dei relativi provvedimenti attuativi[141], lo Stato determina gli obblighi formativi e detta le norme di principio che attribuiscono diritti e doveri (obbligo di istruzione, gratuità dell’istruzione nella scuola primaria e secondaria inferiore, diritto al sostegno per gli alunni diversamente abili, dimensione massima delle classi). Le regioni deliberano in merito alla rete scolastica, ovvero alla distribuzione delle scuole sul territorio. I comuni e le province provvedono agli immobili in cui sono collocate le scuole, e alla copertura dei relativi costi di gestione. La competenza dei comuni è limitata alla scuola primaria e alla scuola dell’infanzia; la competenza provinciale riguarda invece la scuola secondaria. Le scuole, infine, in base ai principi dell’autonomia didattica ed amministrativa previsti dalla legge n. 59/1997, decidono in merito all’organizzazione della didattica, con riflessi sugli organici di fatto e dunque sui costi.
Come evidenziato
dalla Tavola 3 che riporta la
suddivisione della spesa per istruzione nelle principali voci di uscita del
conto della P.A. - la spesa si concentra nella fase di produzione e di offerta
del servizio, ossia nella spesa per i consumi finali, che rappresenta un valore
prossimo al 90 per cento del totale; al suo interno, l’incidenza sul totale dei
redditi da lavoro si è mantenuta in media, nel periodo considerato, prossima al
77-78 per cento.
La spesa per
trasferimenti correnti alle famiglie (borse di studio) rappresenta in media il
3 per cento della spesa complessiva per l’istruzione.
All’interno delle
spese di conto capitale, la spesa per investimenti fissi lordi e acquisizione
di attività non finanziarie rappresenta la voce più significativa (sia pure in
riduzione nel periodo in esame) e pari a circa il 3,5 per cento.
Tavola 3a
Composizione
della spesa per l’istruzione – anni 2007-2011
(milioni di euro)
|
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Spesa per consumi finali |
62.216 |
60.661 |
62.310 |
61.669 |
59.766 |
Redditi da lavoro |
53.496 |
52.399 |
54.000 |
53.177 |
51.249 |
Consumi intermedi |
6.699 |
6.292 |
6.329 |
6.356 |
6.585 |
Contributi alla produzione |
1.589 |
1.525 |
1.399 |
1.233 |
999 |
Interessi passivi |
231 |
194 |
180 |
170 |
184 |
Imposte dirette |
22 |
4 |
5 |
6 |
6 |
Trasferimenti correnti |
2.539 |
3.068 |
2.721 |
2.786 |
2.591 |
TOTALE USCITE CORRENTI |
66.597 |
65.452 |
66.615 |
65.884 |
63.546 |
Investimenti
fissi lordi + acquisizioni nette di
attività non finanziarie |
2.862 |
2.588 |
2.714 |
2.315 |
2.319 |
Trasferimenti in conto capitale |
475 |
327 |
206 |
158 |
147 |
TOTALE USCITE CONTO CAPITALE |
3.177 |
2.763 |
2.820 |
2.397 |
2.410 |
TOTALE USCITE COMPLESSIVE |
69.774 |
68.215 |
69.435 |
68.281 |
65.956 |
Tavola 3b
Composizione
della spesa per l’istruzione – anni 2007-2011
(composizione percentuale)
|
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Spesa per consumi finali |
89,17 |
88,93 |
89,74 |
90,35 |
90,61 |
Redditi da lavoro |
76,67 |
76,81 |
77,77 |
77,88 |
77,70 |
Consumi intermedi |
9,60 |
9,22 |
9,11 |
9,31 |
9,98 |
Contributi alla produzione |
2,28 |
2,24 |
2,01 |
1,81 |
1,51 |
Interessi passivi |
0,33 |
0,28 |
0,26 |
0,25 |
0,28 |
Imposte dirette |
0,03 |
0,01 |
0,01 |
0,01 |
0,01 |
Trasferimenti correnti |
3,64 |
4,50 |
3,92 |
4,08 |
3,93 |
TOTALE USCITE CORRENTI |
95,45 |
95,95 |
95,94 |
96,49 |
96,35 |
Investimenti
fissi lordi + acquisizioni nette di
attività non finanziarie |
3,87 |
3,57 |
3,76 |
3,28 |
3,43 |
Trasferimenti in conto capitale |
0,68 |
0,48 |
0,30 |
0,23 |
0,22 |
TOTALE USCITE CONTO CAPITALE |
4,55 |
4,05 |
4,06 |
3,51 |
3,65 |
TOTALE USCITE COMPLESSIVE |
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
La spesa per l’istruzione
scolastica: confronti internazionali
Elementi informativi circa l’ammontare e le caratteristiche della spesa italiana per l’istruzione scolastica, in rapporto ai dati che emergono dal contesto internazionale, possono essere tratti dal rapporto annuale dell’OCSE, Educational at a glance 2012.
I dati della Tavola
4 evidenziano come, in termini di PIL, la spesa per l’istruzione in Italia,
pari al 4,9 per cento, sia inferiore alla media OCSE (6,3 per cento) e della
maggioranza dei paesi considerati, sia per la componente pubblica (4,5% del PIL
rispetto alla media del 5,4%), sia per la componente privata (0,4 rispetto alla
media dello 0,9%).
La componente di
spesa pubblica totale dedicata alla scuola (9%) è, inoltre, decisamente inferiore a quella media OCSE (13%).
La spesa italiana
per studente (Tavola 5), invece, non risulta lontana dal livello medio OCSE
(9.055 $ pro-capite rispetto ai 9.252$), ma è diversamente distribuita tra i
vari gradi di istruzione. E’ sopra la media per la scuola dell’infanzia e la
primaria, mentre scende sotto la media per la scuola secondaria e, soprattutto,
per l’istruzione universitaria.
Tavola 4
Spesa per l’istruzione scolastica: confronto
internazionale - anno 2009
Paesi |
% PIL |
% spesa pubblica totale |
||
Pubblica |
Privata |
Totale |
Pubblica |
|
Italia |
4,5 |
0,4 |
4,9 |
9,0 |
Francia |
5,8 |
0,5 |
6,3 |
10,4 |
Germania |
4,5 |
0,8 |
5,3 |
10,5 |
Gran
Bretagna |
5,3 |
0,7 |
6,0 |
11,3 |
Spagna |
4,9 |
0,7 |
5,6 |
10,8 |
Svezia |
6,6 |
0,2 |
6,7 |
13,2 |
Finlandia |
6,3 |
0,1 |
6,4 |
12,2 |
Canada |
4,8 |
1,3 |
6,1 |
12,3 |
Stati
Uniti |
5,3 |
2,1 |
7,3 |
13,1 |
Giappone |
3,6 |
1,7 |
5,2 |
8,9 |
Media Ocse |
5,4 |
0,9 |
6,3 |
13,0 |
Fonte: Elaborazione su dati OCSE,
Education at a Glance (2012)
Tavola 5
Spesa pubblica per
studente: confronto internazionale - anno 2009
(dollari
USA)
Paesi |
Istruzione prescolastica |
Istruzione primaria |
Istruzione secondaria |
Istruzione superiore |
Tutti i livelli di istruzione |
Italia |
7.948 |
8.669 |
9.112 |
9.562 |
9.055 |
Francia |
6.185 |
6.373 |
10.696 |
14.642 |
9.913 |
Germania |
7.862 |
6.619 |
9.285 |
15.711 |
9.779 |
Gran
Bretagna |
6.493 |
9.088 |
10.013 |
16.338 |
10.587 |
Spagna |
6.946 |
7.446 |
10.111 |
13.614 |
9.800 |
Svezia |
6.549 |
9.382 |
10.050 |
19.961 |
11.400 |
Finlandia |
5.553 |
7.368 |
8.947 |
16.569 |
9.910 |
Stati
Uniti |
8.396 |
11.109 |
12.550 |
29.201 |
15.812 |
Giappone |
5.103 |
7.729 |
9.256 |
15.957 |
10.035 |
Media Ocse |
6.670 |
7.719 |
9.312 |
13.728 |
9.252 |
La spesa è espressa in dollari USA. La conversione in
dollari è stata effettuata utilizzando l’indice della parità dei poteri
d’acquisto (PPA) relativa al PIL.
Fonte: Elaborazione su dati OCSE,
Education at a Glance (2012)
Nell’ambito della contabilità nazionale, non é previsto uno specifico aggregato relativo alla spesa sanitaria pubblica. Questa, infatti, è la somma delle diverse tipologie di spesa riconducibili al settore sanitario e principalmente, ai costi del personale (facenti parte dell’aggregato redditi da lavoro dipendente) e alle spese per l’acquisto di beni e servizi (contabilizzati nei consumi intermedi).
Il consolidamento dei conti del settore sanitario, effettuato a consuntivo dall’Istat sulla base dei dati NSIS[142] del Ministero della Salute, fa riferimento ai soggetti operatori: le prestazioni sono infatti erogate agli utenti direttamente attraverso le strutture del Servizio sanitario nazionale, o indirettamente attraverso strutture accreditate o professionisti convenzionati, costituendo queste ultime la parte preponderante delle prestazioni sociali in natura[143]. Sotto tale profilo, pertanto, la spesa sanitaria si divide in quella riconducibile ai produttori di beni e servizi non market (per le prestazioni erogate direttamente dalle strutture del SSN) e nella spesa riconducibile a prestazioni erogate da produttori market (erogate, quindi, per conto del SSN e da questo remunerate).
Previsioni sull’andamento della spesa sanitaria nell’anno in corso e nel successivo triennio, a legislazione vigente e programmatiche, sempre in termini di contabilità nazionale e a livello aggregato, sono rese disponibili in corso d’anno nel Documento di economia e finanza e nella Nota di aggiornamento.
Informazioni dettagliate sui costi e ricavi del SSN sono inoltre fornite annualmente dalla Relazione generale sulla situazione economica del Paese, che basa anch’essa la sua analisi sui dati NSIS, ma con aggregazioni in parte diverse da quelle utilizzate dall’Istat.
Il conto della P.A. espone il seguente andamento della spesa sanitaria:
Tavola 1
La spesa sanitaria nel conto della
PA
(milioni di euro - %)
Fonte:
Spesa sanitaria: Istat, conti nazionali, anni 2008-2011; Nota di aggiornamento
DEF 2012, scenario inclusivo degli effetti della legge di stabilità 2013, anni
2012-2015. Spesa complessiva e PIL: Istat, conti nazionali, 1° marzo 2013, per
anni 2008-2012; Nota agg. per gli anni 2013-2015
Guardando ai dati di consuntivo degli anni 2008-2011, si osserva come la spesa sanitaria assorbe una quota significativa della spesa complessiva (circa il 14 per cento). Nonostante il rallentamento rispetto al precedente quinquennio (+2,4 per cento in media annua rispetto al +5,2 per cento del 2003-2007), la caduta del PIL anche in termini nominali verificatasi nel 2008-2009, ne determina un’incidenza sul prodotto costante e superiore al 7 per cento. Tale dinamica, sulla base dei dati di pre-consuntivo contenuti nella Nota di aggiornamento presentata nel settembre scorso, risulta confermata nell’esercizio 2012.
Per quanto riguarda il periodo 2013-2015, la spesa sanitaria è attesa crescere ad un ritmo medio annuo dello 0,5 per cento: l’aumento, tuttavia, anche in conseguenza dei rinnovi contrattuali attesi per tale anno, è concentrato nel 2015 (+2,6 per cento), a fronte di una variazione negativa nell’esercizio in corso (-1,1 per cento) ed un valore stazionario nel 2014 (+0,1 per cento). La sanità riduce l’incidenza sulle uscite complessive e sul PIL, posizionandosi a fine periodo, rispettivamente, al 13,7 per cento e al 6,9 per cento.
Gli andamenti descritti riflettono, da un lato, le misure di contenimento della spesa sanitaria adottate nel periodo in esame, e la corrispondente riduzione del livello di finanziamento del SSN cui concorre lo Stato; dall’altro, le misure di razionalizzazione e di efficientamento della spesa previste per le regioni in disavanzo strutturale nei rispettivi Piani di rientro.
La composizione della
spesa sanitaria
La dinamica osservata nella spesa sanitaria è effetto di andamenti differenziati nei vari comparti. La seguente tavola analizza l’andamento della spesa nel periodo 2008-2011 con riferimento alla classificazione per operatori, prendendo quindi in considerazione le prestazioni offerte dalle strutture del SSN (c.d. produttori non market) e quelle erogate attraverso strutture accreditate o professionisti convenzionati (c.d. produttori market). A queste si aggiungono le altre uscite correnti quali le contribuzioni diverse o le spese relative ai servizi amministrativi che contribuiscono, insieme alle prestazioni, alla determinazione della spesa sanitaria complessiva.
Tavola 2a
Composizione
della spesa sanitaria
(milioni di euro)
Fonte:
Istat, Conti nazionali, luglio 2012
Tavola 2b
Composizione
della spesa sanitaria
(var
% annua)
Fonte:
Istat, Conti nazionali, luglio 2012
La tavola evidenzia, dopo una accentuata variazione in aumento nel 2008, un rallentamento del tasso di crescita annuale delle prestazioni non market nel periodo successivo, che ha riguardato entrambe le componenti, assistenza ospedaliera e altri servizi sanitari.
Sottostante tale evoluzione, vi è una dinamica dei redditi da lavoro dipendente che nel 2008 viene influenzata dallo slittamento dei rinnovi contrattuali del biennio 2006-2007, per poi rallentare negli anni successivi per effetto del blocco del turn over nelle regioni in piano di rientro e dalle politiche di contenimento delle assunzioni per le regioni non in piano.
Su tale evoluzione incidono, inoltre, favorevolmente gli effetti di contenimento della spesa conseguenti all’obbligo per le regioni di garantire con appositi accantonamenti la copertura integrale degli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali. Ciò ha comportato una maggiore congruità nella valutazione dei relativi costi e una riduzione delle sopravvenienze passive di rilevante entità negli esercizi finanziari successivi a quello della sottoscrizione del contratto.
Nel periodo in esame aumentano a ritmo più sostenuto i consumi intermedi (+3,6 per cento nel 2011), segnalando una difficoltà di mantenere sotto controllo questa voce di spesa: é proprio sugli acquisti di beni e servizi sanitari e non sanitari e di dispositivi medici, oltre che sulla riduzione dei posti letto, che vanno a incidere, infatti, le misure adottate nel 2011-2012 nell’ambito delle manovre correttive e della spending review[144], determinandone un rallentamento nel successivo triennio.
Su tale voce incide, peraltro, la scelta di molte regioni di ricorrere alla distribuzione diretta dei farmaci al fine di contenere la spesa farmaceutica erogata attraverso le farmacie convenzionate, contribuendo per questa via al contenimento complessivo della spesa sanitaria. Nei consumi intermedi è infine contabilizzata la farmaceutica ospedaliera, che ha evidenziato negli anni un costante superamento dei previsti tetti di spesa (circa il 5 per cento nel 2011 rispetto al tetto del 2,4 per cento del livello di finanziamento del SSN cui contribuisce lo Stato[145]). Su entrambe le componenti, poi, è destinato a incidere (dal settembre 2011) il rincaro dei prezzi conseguente all’aumento dell’aliquota IVA.
Per quanto concerne le prestazioni da produttori market, al risultato complessivo (un aumento dell’1,1 per cento in media annua nel periodo 2008-2011), contribuisce la riduzione della spesa farmaceutica convenzionata (-8,3% nel 2011), sulla quale influiscono le misure di contenimento varate negli anni precedenti e l’aumento della compartecipazione a carico dei cittadini[146].
Più altalenante, invece, è risultato l’andamento della spesa
relativa alle altre prestazioni, che in prospettiva è attesa ridursi per
effetto sia di una migliore regolazione
dell’accreditamento degli operatori privati con l’assegnazione di tetti di
spesa e l’attribuzione di budget, sia della tendenza a trasferire gli oneri di
carattere socio-sanitario al di fuori della sanità. Per quanto riguarda la
specialistica, un effetto di contenimento della spesa dovrebbe derivare dalla
reintroduzione dei ticket dalla seconda metà del 2011[147].
La spesa farmaceutica convenzionata
La riduzione della spesa farmaceutica convenzionata osservata nel periodo in esame è riconducibile ad una pluralità di fattori, tra i quali: a) gli interventi sui prezzi dei farmaci dei medicinali varati dall’Agenzia Italiana del Farmaco: taglio selettivo dei prezzi dei farmaci a maggior impatto sulla spesa, in vigore dal luglio 2006, un ulteriore taglio generalizzato del 5 per cento dei prezzi di tutti i medicinali, in vigore dall’ottobre dello stesso anno, introduzione di un prezzo di riferimento per i medicinali equivalenti; b) l’implementazione dell’attività di monitoraggio del livello di appropriatezza delle prescrizioni terapeutiche e la limitazione dei farmaci prescrivibili per ricetta; c) l’aumento della compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini attraverso la reintroduzione e/o l’innalzamento dei ticket e la previsione di una quota a carico del cittadino data dalla differenza tra il prezzo al pubblico del farmaco a brevetto scaduto di marca e il prezzo di riferimento a carico del SSN dato dal generico; d) il potenziamento della distribuzione diretta da parte delle strutture sanitarie pubbliche.
L’insieme
di questi fattori rafforza il meccanismo di regolazione della spesa introdotto
dall’articolo 5 del D.L. 159/2007 che ha
disposto che, con decorrenza
La riforma ha introdotto un nuovo sistema di regolazione della spesa dei farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale, con l’attribuzione alle aziende autorizzate all’immissione in commercio di medicinali di uno specifico budget annuale. Il ripiano di eventuali sforamenti della spesa farmaceutica territoriale (a livello nazionale) è ripartito tra aziende farmaceutiche, grossisti e farmacisti, in misura proporzionale alle relative quote di spettanza sui prezzi dei medicinali e tenendo conto dell’incidenza della distribuzione diretta sulla spesa[151]. Entro il 1° dicembre di ogni anno, l’AIFA elabora la stima della spesa farmaceutica territoriale relativa all’anno successivo, distintamente per ciascuna regione. Le regioni che, secondo tali stime, superano il limite sono tenute ad adottare misure di contenimento della spesa per un ammontare pari almeno al 30 per cento dell'eccedenza stimata.
Il finanziamento della spesa sanitaria
Sulla base di intese in Conferenza Stato-Regioni, è definito annualmente, tenuto conto degli obiettivi di finanza pubblica, il livello di finanziamento del SSN cui contribuisce in via ordinaria lo Stato. L’ammontare di risorse così definito è diretto a garantire l’integrale copertura delle prestazioni che ricadono nei livelli essenziali di assistenza (LEA).
Come evidenziato, infatti, nelle manovre correttive adottate nel periodo 2008-2012, riduzioni del livello di finanziamento rispetto a quello previamente concordato sono state “giustificate” da riduzioni della spesa sanitaria conseguenti a misure di razionalizzazione e di contenimento della sanità pubblica contestualmente approvate.
Eventuali spese superiori al finanziamento concordato, conseguenti alle scelte di alcune regioni di erogare livelli di prestazioni superiori ai LEA (e quindi “programmate” in sede di predisposizione dei bilanci regionali) o a una dinamica dei costi non congruente con quella sottesa alla quantificazione del fabbisogno, sono coperti a carico delle singole regioni.
Ciò in base al principio della responsabilità finanziaria delle regioni nella gestione della sanità, sancito a partire dagli Accordi del 2001 e del 2005 e ribadito dai successivi Patti della Salute del dicembre 2006 (valido per il triennio 2007-2009) e del dicembre 2009 (relativo al periodo 2010-2012), il cui contenuto è stato recepito dalle leggi finanziarie[152].
Oltre alla previsione di azioni volte alla razionalizzazione e al contenimento della spesa sanitaria, i due Patti della Salute del 2006 e del 2009 hanno previsto:
· un incremento delle risorse messe disposizione dallo Stato centrale coerente con un’evoluzione della spesa sanitaria sostanzialmente agganciata al PIL;
· l’istituzione di un Fondo transitorio, con la dotazione di 1 miliardo relativamente al triennio 2007-2009, per sostenere il risanamento delle regioni non in linea con i livelli di spesa concordati;
· un’anticipazione straordinaria di 9,1 miliardi per l’estinzione del debito di alcune regioni (Molise, Campania, Lazio e Sicilia) autorizzata dalla legge finanziaria per il 2008[153] e un ulteriore prestito straordinario di 1 miliardo alla regione Calabria autorizzato dalla legge finanziaria per il 2010[154];
· la conferma dei meccanismi di piena responsabilizzazione finanziaria per le regioni che non raggiungono gli obiettivi di spesa concordati, come gli "automatismi fiscali" (aumento delle aliquote regionali dell'addizionale Irpef e dell'Irap nella misura massima prevista dalla legislazione vigente), il blocco del turn over e il divieto di effettuare spese non obbligatorie;
· la presentazione di un Piano di rientro e le relative misure di affiancamento per le regioni che presentino un disavanzo pari o superiore al 5 per cento (ancorché coperto) rispetto al finanziamento ordinario e alle maggiori entrate proprie sanitarie;
· le sanzioni in caso di inadempienza.
La copertura del livello di finanziamento definito in sede di Intesa è assicurata dalle entrate proprie delle ASL e delle aziende ospedaliere, dal gettito IRAP e dell’addizionale regionale IRPEF e, a copertura integrale del fabbisogno riconosciuto, dall’erogazione di cassa da parte dello Stato delle compartecipazioni all’IVA e all’accisa sulla benzina. In aggiunta a tali risorse, vanno considerati i tributi delle regioni a statuto speciale destinati alla sanità, e la quota del FSN a destinazione vincolata.
Più in dettaglio, le principali fonti di finanziamento del SSN sono le seguenti:
- i ricavi e le entrate proprie delle aziende sanitarie. Essi sono rappresentati dai ricavi derivanti dalla vendita di prestazioni sanitarie e non sanitarie a soggetti pubblici e privati, della Regione e al di fuori della Regione di appartenenza, e da altri ricavi quali interessi attivi e altri proventi finanziari, rimborsi, etc. In tale voce sono ricompresi i ticket introitati direttamente e le compartecipazioni per l’attività libero professionale svolta all’interno delle aziende sanitarie. E’ da notare che, in sede di riparto, tali entrate sono computate a livello convenzionale, in misura dunque inferiore a quella effettivamente registrata a consuntivo;
- le risorse derivanti dall’IRAP e dall’addizionale regionale IRPEF. Tali entrate sono imputate a copertura del fabbisogno in base alle stime disponibili al momento del riparto: in sede di conguaglio, l’eventuale minor gettito é compensato a valere della compartecipazione IVA, mentre eventuali eccedenze rispetto alle previsioni sono riversate all’entrata del bilancio dello Stato[155]. Le stime del gettito IRAP e dell’addizionale regionale IRPEF sono calcolate ad “aliquota standard”: esse non tengono quindi conto delle maggiori entrate derivanti dalle manovre fiscali disposte dalle regioni in disavanzo e/o da quelle che intendono assicurare un livello di prestazioni sanitarie integrativo rispetto ai LEA;
- il Fondo per il fabbisogno sanitario di cui al decreto legislativo n. 56/2000 (Fondo perequativo nazionale). Le risorse del Fondo, alimentato dall’IVA, insieme all’accisa sulla benzina, vengono assegnate alle sole Regioni a statuto ordinario (RSO);
- gli ulteriori trasferimenti dal settore pubblico e da quello privato, che comprendono le quote di partecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome[156];
Alle suddette risorse computate ai fini della copertura del c.d. fabbisogno indistinto, si aggiunge il Fondo sanitario nazionale, assegnato come quota parte a carico dello Stato:
- alla Sicilia per il finanziamento dei LEA e a tutte le Regioni a statuto ordinario per quanto riguarda i fondi vincolati da norme speciali al finanziamento di spese sanitarie inerenti l’esecuzione di particolari attività e il raggiungimento di specifici obiettivi;
- ad alcuni Enti del SSN[157].
Risorse pubbliche aggiuntive vengono infine destinate, sulla base di apposite disposizioni legislative, al finanziamento degli investimenti e della ricerca in campo sanitario, e alla sanità penitenziaria.
Tavola 3
Livello
di finanziamento cui concorre lo Stato
(milioni di euro)
Una volta definito il livello di risorse del SSN, esso è ripartito con indicazione separata delle quote vincolate a destinazioni specifiche (riguardanti, rispettivamente, le regioni e gli altri enti del SSN) e del fabbisogno indistinto destinate al finanziamento dei LEA. Quest’ultimo è ripartito secondo il principio della quota capitaria ponderata (per età e per consumi sanitari della popolazione), in base a criteri concordati in sede di Conferenza Stato-Regioni. A decorrere dal 2013, la ripartizione avverrà sulla base del principio dei costi e fabbisogni standard previsto dalle norme di attuazione del federalismo regionale[158]
Come si è detto, tali
risorse costituiscono solo una parte, sia pure preponderante, del finanziamento
complessivo della sanità, in cui confluiscono le ulteriori risorse attivate
dalle regioni a fronte di livelli di spesa superiori a quanto stabilito in sede
di intesa.
Nella tavola che segue è indicata la composizione delle risorse finanziarie del SSN che per l’anno 2011, considerando i ricavi della gestione straordinaria[159] e quelli per l’intramoenia, ammontano complessivamente a 112,9 miliardi. Di questi, 112.271 milioni costituiscono le entrate regionali, mentre 641 milioni costituiscono il finanziamento con quote vincolate a carico dello Stato di altri enti del SSN.
Tavola 4
Fonti
di finanziamento del Servizio sanitario nazionale: anno 2011
(milioni di euro)
Fonte:
RGSEP, 2011, Tavola SA 5 –Ministero della Salute – NSIS
Il risultato di esercizio
2011 e gli esiti del monitoraggio
Essi evidenziano (colonna 7) un disavanzo pari a 1.779 milioni (di cui 1,9 miliardi solo perdite), in riduzione rispetto al 2010 (-2,2 miliardi, di cui 2,3 solo perdite).
Il miglioramento è più evidente se si depurano i dati del 2011 dagli ammortamenti (-1.494,5 milioni, colonna 5) e dai costi capitalizzati (+1.067 milioni, colonna 6), contabilizzati a partire da tale esercizio rispettivamente tra i costi e tra i ricavi: il deficit si riduce pertanto di 429 milioni, risultando pari a 1.352 milioni (colonna 4).
Le regioni in piano di rientro migliorano il proprio risultato, passando da un disavanzo di circa 2 miliardi nel 2010 ad uno di 1,2 miliardi nel 2011 (non considerando per omogeneità gli ammortamenti e i costi capitalizzati).
Tavola
5
Risultato di esercizio 2011
(milioni di euro)
Fonte: Corte dei conti, Rapporto sul coordinamento
della finanza pubblica 2012 – Elaborazione su dati Mini. Salute - NSIS
Come si è detto, le regioni sono tenute a coprire con ulteriori risorse il disavanzo registrato, attivando la leva fiscale, aumentando la compartecipazione a carico degli utenti del SSN o utilizzando risorse del bilancio non sanitario.
E’ da notare che in base alla procedura seguita dai Tavoli di verifica la determinazione del risultato economico (Tavola 6), per quanto sempre basata sui dati NSIS, è diversa da quella esposta nella Tavola 5. Oltre alla diversa metodologia utilizzata per il calcolo della mobilità, differenze rilevanti riguardano la determinazione dei ricavi, dai quali sono escluse le somme connesse all’individuazione in via preventiva delle risorse da destinare a copertura della maggiore spesa rispetto al livello di finanziamento garantito dallo Stato. I risultati dell’esercizio sono poi rettificati per far emergere eventuali rischi rilevati dai Tavoli (costi che potrebbero rivelarsi superiori a quelli quantificati dalle regioni o entrate la cui acquisizione e/o importo è incerto), nonché avanzi o disavanzi non coperti relativi a precedenti esercizi. A fronte dei risultati così rideterminati, sono quindi conteggiate le coperture programmate in precedenza espunte, il gettito fiscale derivante dalla maggiorazione delle aliquote IRAP e da aumenti delle addizionali IRPEF e le ulteriori risorse portate a copertura.
Tavola 6
I
risultati del monitoraggio 2011
(milioni di euro)
Fonte: Corte dei conti, Rapporto sul coordinamento
della finanza pubblica 2012
Sulla base di tale metodologia emerge, pertanto, una perdita superiore (circa 2.666, colonna 1 della Tavola 6) a quella evidenziata nella Tavola 5 (1.779 milioni), che si riduce a 1.448 milioni (colonna 4) dopo le coperture programmate (trasferimenti da RSS e coperture contabilizzate nei CE, rispettivamente, colonne 2 e 3).
E’ da notare che prima di tali coperture, pari complessivamente a 1.218 milioni, solo Lombardia, Veneto, Umbria, Marche e Abruzzo presentano risultati positivi (Lombardia e Umbria presentavano un risultato positivo anche nel 2010).
Ad essa viene fatto fronte, sulla base di quanto concordato in sede di verifica annuale[161], con le maggiori entrate relative all’esercizio successivo (1.931 milioni, colonna 5) derivanti dallo sforzo fiscale delle regioni in piano di rientro (oltre alla regione Liguria che ha mantenuto l’innalzamento dell’addizionale IRPEF e la maggiorazione IRAP successivamente alla chiusura del piano), con il gettito derivanti dalla rideterminazione delle stime relative agli anni pregressi (colonna 6) e con le ulteriori risorse a carico delle regioni (colonna 7). Tenuto conto degli ammortamenti, si determina un avanzo complessivo di 233 milioni (colonna 10), cui tuttavia concorrono le perdite di alcune regioni che, al momento della verifica 2011 (aprile 2012) risultavano ancora non coperte.
4. Le prestazioni sociali in denaro
A tale aggregato di spesa sono riconducibili la spesa per pensioni e quella per altre prestazioni sociali in denaro. La prima componente è rappresentata dalla spesa pensionistica, costituita dal complessivo sistema pensionistico obbligatorio cui si aggiunge la spesa per pensioni sociali o assegni sociali per i cittadini con età pari o superiore a 65 anni; la spesa per altre prestazioni sociali in denaro ingloba: le rendite infortunistiche, le liquidazioni per fine rapporto a carico di istituzioni pubbliche, le prestazioni di maternità, malattia ed infortuni, le prestazioni di integrazione salariale (cassa integrazione ordinaria, straordinaria, in deroga), le prestazioni di sussidio al reddito nei casi di disoccupazione (indennità di disoccupazione, indennità di mobilità, ecc.), i trattamenti di famiglia, le pensioni di guerra, le prestazioni per invalidi civili, ciechi e sordomuti e, in via residuale, gli altri assegni a carattere previdenziale ed assistenziale.
Come appare dalle componenti illustrate, tale spesa risulta strettamente legata, da un lato, all’invecchiamento della popolazione (pensioni) e, dall’altro, alla congiuntura economica (in particolare, i trattamenti di sostegno del reddito).
Nel corso del periodo 2008-2012, il peso dell’aggregato sul PIL ha avuto un andamento inizialmente crescente, anche per effetto della caduta del PIL in termini nominali, per poi stabilizzarsi intorno al valore del 19 per cento (l’aumentata incidenza nel 2012 è nuovamente ascrivibile alla contrazione del prodotto registrata in tale anno[162]).
Tavola
1
Prestazioni sociali in denaro (2008-2012)
(milioni
di euro - %)
|
|
|
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
Valore assoluto |
|
277.183 |
291.495 |
298.418 |
304.262 |
311.413 |
||
tasso di variazione % |
|
|
4,8 |
5,2 |
2,4 |
2,0 |
2,4 |
|
% spesa complessiva |
|
|
35,8 |
36,5 |
37,6 |
38,2 |
38,9 |
|
% PIL |
|
|
|
17,6 |
19,2 |
19,2 |
19,3 |
19,9 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
PIL |
|
|
|
1.575,1 |
1.519,7 |
1.551,9 |
1.578,5 |
1.565,9 |
I dati utilizzati per le elaborazioni presentate nel presente paragrafo sono tratti, per il periodo 2008-2011, dalle pubblicazioni ISTAT di contabilità nazionale[163] e, per il 2012 e gli anni seguenti, dalla Nota di aggiornamento al DEF 2012, costituendo, pertanto, delle previsioni. Tuttavia, unicamente per la tavola 1 che precede, il dato relativo al 2012 è quello riportato dal comunicato dell’ISTAT del 1° marzo 2013. Esso, infatti, riporta la spesa relativa all’aggregato delle prestazioni sociali in denaro, ma non anche delle componenti a questo riconducibili (spesa pensioni e spesa per altre prestazioni sociali in denaro non pensionistiche): per queste ultime si riporta, dunque, il dato di previsione indicato nella Nota.
Sul settore delle prestazioni sociali in denaro si sono registrati, nel corso della XVI legislatura, molti interventi di segno opposto. In particolare, nel settore della spesa pensionistica, gli interventi sono stati volti al contenimento della spesa attraverso un progressivo inasprimento dei requisiti, anagrafici e di anzianità contributiva, per l’accesso al trattamento pensionistico nonché attraverso l’estensione pro rata del sistema di calcolo contributivo, che garantisce importi di pensione strettamente correlati alla contribuzione effettivamente versata.
Viceversa, nel settore delle altre prestazioni, hanno avuto molto peso la sfavorevole congiuntura economica e le conseguenti difficoltà nel mercato del lavoro che hanno indotto il legislatore ad intervenire per aumentare l’ambito soggettivo ed oggettivo degli interventi di sostegno del reddito.
Le previsioni dell’andamento dell’aggregato nel periodo 2013-2015 risultano dalla Tavola 2, che evidenzia il perseguimento di un processo di stabilizzazione della spesa rispetto al PIL:
Tavola 2
Prestazioni sociali in denaro – Previsioni 2013-2015
(milioni di euro - %)
|
|
|
|
2013 |
2014 |
2015 |
Valore assoluto |
319.664 |
329.811 |
338.685 |
|||
tasso di variazione % |
|
|
2,6 |
3,2 |
2,7 |
|
% spesa complessiva |
|
|
39,5 |
40,0 |
40,1 |
|
% PIL |
|
|
|
20,2 |
20,2 |
20,2 |
La spesa per pensioni
Come già sottolineato, gli interventi adottati nel settore nel corso della XVI legislatura si sono caratterizzati per l’identica finalità di mantenere la spesa pensionistica in rapporto al PIL sotto controllo, essendo questa strettamente legata all’invecchiamento della popolazione. Tale dato demografico risulta estremamente sfavorevole per l’Italia, che non può contare su un aumento della popolazione attiva tale da bilanciare gli effetti del progressivo accesso al pensionamento delle generazioni del baby boom.
L’andamento della spesa in valori assoluti e in percentuale del PIL nel periodo 2008-2012 risulta dalla tavola 3:
Tavola
3
Spesa pensionistica - 2008-2012
(milioni di euro - %)
|
|
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012* |
Valore assoluto |
|
224.204 |
232.977 |
238.557 |
245.369 |
249.930 |
|
tasso di variazione % |
|
3,9% |
3,9% |
2,4% |
2,9% |
1,9% |
|
% PIL |
|
|
14,2% |
15,3% |
15,4% |
15,5% |
16,0% |
(*) Previsioni – Nota di
aggiornamento DEF 2012
Nel corso della XVI legislatura, si è provveduto ad un progressivo innalzamento dei requisiti di accesso al trattamento pensionistico ed al loro aggancio alla variazione della speranza di vita.
Allo scopo di salvaguardare coloro che, con l’inasprimento repentino dei requisiti per l’accesso al pensionamento, per le loro particolari situazioni (per esempio, di mobilità, di cassa integrazione, di accordo aziendale per l’accompagnamento alla pensione o, infine, di contribuzione volontaria), si sarebbero trovati senza reddito, perché senza lavoro o ammortizzatore sociale, e senza pensione, per mancanza dei nuovi requisiti richiesti dalle modifiche legislative, sono state approvate disposizioni di tutela che prevedono l’applicazione a tali soggetti della normativa pensionistica previgente[164]. Il totale dei soggetti salvaguardati da tali interventi è pari a 130.130 lavoratori[165], per una spesa quantificata in 309 milioni per l'anno 2013, 959 milioni nel 2014, 1.765 milioni nel 2015, 2.377 milioni nel 2016 e 2.256 milioni di euro nel 2017, che si riducono negli anni successivi, via via che tali soggetti avrebbero comunque maturato il diritto alla pensione (1.480 milioni nel 2018, 583 milioni nel 2019 e 45 milioni nel 2020[166]).
Si è poi esteso pro rata il sistema di calcolo contributivo che, legando strettamente l’età e l’anzianità contributiva del pensionamento, all’importo del trattamento liquidato, costituisce un ulteriore incentivo alla permanenza al lavoro ed all’accesso in età più avanzate al pensionamento[167].
Tali modifiche, anche se maggiormente incidenti nel lungo periodo, manifestano i loro effetti anche nel breve termine, contribuendo a stabilizzare la spesa nel triennio 2013-2015 al 16 per cento del PIL.
Tavola 4
Spesa pensionistica - Previsioni 2013-2015
(milioni di euro - %)
|
|
|
|
2013 |
2014 |
2015 |
Valore assoluto |
|
|
255.070 |
262.536 |
269.605 |
|
tasso di variazione % |
|
|
2,1% |
2,9% |
2,7% |
|
% PIL |
|
|
|
16,1% |
16,1% |
16,0% |
Si segnala che,
rispetto ai dati di previsione contenuti nella Nota di aggiornamento, il conto
economico aggiornato dovrà tenere conto della maggiore spesa pensionistica per
le modifiche sugli esodati cui si fa
riferimento nella scheda in esame, introdotte nel corso dell’iter parlamentare
della legge di stabilità 2013, successivamente quindi alla pubblicazione della
Nota.
Le previsioni a lungo
termine
Per quanto riguardale previsioni a lungo termine,
Per quanto riguarda il quadro demografico, le previsioni recepiscono le ipotesi di fecondità, mortalità e flusso migratorio netto sottostanti lo scenario centrale elaborato dall’ISTAT con base 2011[168], e scontano il quadro macroeconomico aggiornato, per il periodo 2012-2015, con le ipotesi di crescita coerenti con quelle delineate dalla Nota di aggiornamento. Per il periodo successivo, il tasso di crescita del PIL è stimato intorno all’1,5 per cento medio annuo, mentre il tasso di occupazione aumenta di 9-10 punti percentuali nella fascia di età 15-64 anni, rispetto al valore del 2010. Per quanto riguarda la cornice normativa, le previsioni incorporano gli effetti delle misure recate dagli interventi di riforma adottati nel corso del 2011, nonché l’adeguamento su base triennale (biennale dal 2021) dei coefficienti di trasformazione e dei requisiti di accesso al pensionamento in base alla speranza di vita.
Sulla base di tali premesse, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL, cresciuto nel triennio 2008-2010 anche a causa della recessione, continua a risentire negativamente della bassa crescita economica (in particolare, della contrazione attesa per il 2012), parzialmente compensata, negli anni 2013-2014, anche dagli effetti di contenimento conseguenti all’elevazione dei requisiti di accesso al pensionamento.
A partire dal 2015 e per circa quindici anni, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL decresce in modo significativo, attestandosi intorno al 14,6 per cento intorno al 2030, per l’effetto di contenimento dovuto all’innalzamento dei requisiti di accesso al pensionamento e all’introduzione del sistema di calcolo contributivo, in presenza di un andamento di crescita dell’economia più favorevole. Tali effetti compensano significativamente quelli negativi indotti dalla transizione demografica.
Nel periodo successivo, tali ultimi effetti della transizione demografica uniti a quelli, altrettanto negativi, dei maggiori importi di pensione conseguenti al posticipo del pensionamento comportano la crescita del rapporto fra spesa pensionistica e PIL che si protrae fino al triennio 2045-2047, quando raggiunge il picco massimo del 15,6 per cento.
Nella parte finale del periodo di previsione, il rapporto decresce significativamente, fino ad attestarsi al 13,9 per cento nel 2060. Tale andamento è da ascriversi essenzialmente al completamento del passaggio dal sistema di calcolo misto a quello interamente contributivo, che determina un’attenuazione della dinamica degli importi di pensione di nuova liquidazione (anche per effetto della revisione dei coefficienti di trasformazione), ed alla progressiva eliminazione dei pensionati nati negli anni del baby boom.
In sintesi, a seguito delle modifiche normative introdotte nel sistema a partire dal 2004, l’Italia presenta una variazione della spesa pensionistica in rapporto al PIL migliore rispetto alla media dei paesi UE, nonostante una dinamica demografica meno favorevole.
In particolare, mentre per l’insieme dei paesi dell’area UE la spesa pensionistica in rapporto al PIL cresce in media di 1,6 punti percentuali nel periodo 2010-2016, nel caso dell’Italia, il rapporto scende di 0,9 punti percentuali[169].
La spesa per altre
prestazioni non pensionistiche
L’andamento dell’aggregato in esame, nel periodo 2008-
Tavola
5
Spesa per altre prestazioni -2008-2012
(milioni di euro - %)
|
|
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012* |
Valore assoluto |
|
52.979 |
58.518 |
59.863 |
59.764 |
61.790 |
|
tasso di variazione % |
|
9,2 |
10,5 |
2,3 |
-0,2 |
3,4 |
|
% PIL |
|
|
3,4 |
3,9 |
3,9 |
3,8 |
3,9 |
(*) Previsioni – Nota di
aggiornamento DEF 2012
Come si già detto, a tale aggregato di spesa sono riconducibili numerose componenti, alcune delle quali presentano un andamento fortemente influenzato dalla congiuntura economica, altre invece che si presentano mediamente stabili o, al più, influenzate da interventi legislativi intervenuti nella disciplina dei singoli istituti.
Continuando a fare riferimento alla pubblicazione
dell’ISTAT, Conti e aggregati economici delle Pubbliche amministrazioni,
1990-2011[170],
dalla tavola
Tavola
6
Spesa per disoccupazione e integrazione
salariale (2008-2011)
(milioni di euro - %)
|
|
|
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Indennità di disoccupazione |
5.563 |
7.815 |
8.264 |
8.488 |
|||
tasso di variazione % |
|
|
18,6 |
40,5 |
5,7 |
2,7 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Assegno di integrazione salariale |
820 |
2.630 |
3.125 |
2.996 |
|||
tasso di variazione % |
|
|
11,7 |
220,7 |
18,8 |
-4,1 |
Altre voci, invece, presentano andamenti meno dinamici, come, per esempio, gli assegni familiari e le indennità di malattia, infortuni e maternità:
Tavola
7
Spesa per ANF, malattia e maternità (2008-2011)
(milioni di euro - %)
|
|
|
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Assegni familiari |
|
6.676 |
6.573 |
6.314 |
6.428 |
||
tasso di variazione % |
|
|
5,7 |
-1,5 |
-3,9 |
1,8 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Malattia, infortuni e maternità |
5.871 |
5.983 |
5.985 |
6.215 |
|||
tasso di variazione % |
|
|
25,2 |
1,9 |
0,0 |
3,8 |
Per quanto riguarda le previsioni nel breve periodo (2013-2015), i dati disponibili riguardano l’intero settore, senza possibilità di disaggregare le singole voci di spesa per seguirne l’andamento[171]:
Tavola
8
Spesa per altre
prestazioni - previsioni 2013-2015
(milioni di euro - %)
|
|
|
|
2013 |
2014 |
2015 |
Valori assoluti |
64.594 |
62.275 |
69.080 |
|||
tasso di variazione % |
|
|
4,5 |
-3,6 |
10,9 |
|
% PIL |
|
|
|
4,1 |
4,1 |
4,1 |
Come evidenziato dal confronto con la tabella riguardante i dati 2008-2012, l’aggregato rispetto al PIL, sia pure in lieve crescita, dovrebbe stabilizzarsi intorno al 4 per cento[172].
La riforma del mercato del
lavoro (legge n. 92/2012)
La legge di riforma del mercato del lavoro si muove lungo quattro direttrici principali, riflesse, grosso modo, anche nella sua suddivisione in quattro articoli (flessibilità, ammortizzatori sociali, estensione tutele esistenti, protezione dei lavoratori svantaggiati). Dal punto di vista dell’impatto sui saldi di finanza pubblica, si ricorda che dal complesso delle disposizioni recata dalla legge conseguono effetti di maggiore onerosità, rispetto all’ordinamento previgente, in parte compensati dal ridisegno del sistema di finanziamento degli ammortizzatori sociali e dell’assetto contributivo relativo a diverse tipologie contrattuali e, per la quota residua, mediante l’individuazione di apposite risorse finalizzate alla copertura del provvedimento.
Gli effetti complessivi in termini di indebitamento netto risultano dalla tavola che segue:
Tavola 9
(milioni di euro) |
|||||||||
|
2013 |
2014 |
2015 |
2016 |
2017 |
2018 |
2019 |
2020 |
2021 |
maggiori
spese |
1.138,0 |
2.014,0 |
1.716,0 |
1.716,0 |
1.716,0 |
1.716,0 |
1.716,0 |
1.716,0 |
1.716,0 |
risorse
a copertura |
1.138,1 |
2.014,5 |
1.716,6 |
1.716,6 |
1.716,6 |
1.716,6 |
1.716,6 |
1.716,6 |
1.716,6 |
saldo |
0,1 |
0,5 |
0,6 |
0,6 |
0,6 |
0,6 |
0,6 |
0,6 |
0,6 |
Fonte: Relazione tecnica al disegno di legge (AC 5256/XVI legislatura)
Come si legge nella relazione tecnica al provvedimento, trattandosi dell’estensione di assicurazioni previdenziali, le disposizioni sono dirette ad aumentare la spesa pubblica corrente (del complessivo comparto della PA) e, in particolare, per prestazioni sociali in denaro. Tale maggiore spesa trova compensazione in termini di saldi di finanza pubblica nel relativo finanziamento attraverso l’aumento della pressione contributiva. Tuttavia, dal momento che le disposizioni forniscono una cornice giuridica che richiede la relativa attuazione, attraverso accordi bilaterali e decreti interministeriali, non è stato possibile, in sede di redazione della relazione tecnica medesima, la valutazione quantitativa dell’impatto finanziario sulle singole diverse voci del Conto economico delle PA.
L’articolo 1 reca il quadro generale della riforma, modifiche
alla disciplina di alcune tipologie contrattuali, con l’obiettivo di
regolamentare in forma più flessibile, rispetto al vigente quadro normativo,
l’entrata e l’uscita dal mondo del lavoro, venendo incontro sia alle esigenze
delle imprese, sia alle esigenze di tutela dei lavoratori a fronte di una
maggiore flessibilità.
Dopo avere riaffermato il valore del contratto di lavoro a tempo indeterminato, quale forma comune di rapporto di lavoro, l’articolo in esame introduce una serie di modifiche alla disciplina del contratto a tempo determinato, alla disciplina dell’apprendistato, alla disciplina di alcune tipologie contrattuali atipiche, recata dal decreto legislativo n. 276/2003[173], con l’intento principale di impedirne l’uso distorto allo scopo di mascherare forme di dipendenza, a cui non corrispondono i relativi obblighi contributivi ed assicurativi. L’articolo interviene anche sulla materia del licenziamento individuale con l’intento di contemperare le esigenze datoriali di una procedura più snella e dai tempi certi con quelle dei lavoratori di essere tutelati da abusi[174].
L’articolo 2 interviene nella disciplina degli strumenti esistenti per gestire le crisi occupazionali, transitorie e non, allargando lo spettro dei settori e, quindi, dei lavoratori interessati, ed introducendo novità in termini di durata e di importo del trattamento di sostegno del reddito.
L’articolo interviene nel settore degli ammortizzatori sociali, riordinando gli strumenti esistenti[175] e potenziando le tutele in caso di perdita involontaria del posto di lavoro. Le modifiche si articolano in tre pilastri:
a) revisione del sistema di tutele in caso di perdita del lavoro, con l’introduzione dell’assicurazione sociale per l’impiego (ASPI) che, gradualmente, sostituisce l’indennità di mobilità e l’indennità di disoccupazione;
b) strumenti di gestione degli esuberi strutturali;
c) potenziamento e messa a regime degli strumenti di sostegno del reddito per i collaboratori a progetto.
In particolare:
a) introduzione dell’ASPI
Come si legge al comma 1 dell’articolo
La nuova disciplina si caratterizza a regime, rispetto al sistema previgente di assicurazione contro la disoccupazione involontaria del settore non agricolo, per un incremento sia dell’ambito soggettivo di copertura sia degli importi e delle durate, assorbendo, a regime, anche l’indennità di mobilità.
Più in particolare, l’ASPI si applica a tutti i
lavoratori dipendenti del settore privato non agricoli e ai lavoratori con
contratto di lavoro dipendente non a tempo indeterminato delle pubbliche
amministrazioni. La norma non innova in merito ai requisiti di anzianità
richiesti per l’accesso al trattamento (2 anni di anzianità assicurativa ed
almeno 52 settimane nell’ultimo biennio[177]. Quanto alla durata
massima, la legge prevede una fase transitoria che termina con gli eventi
di disoccupazione che si verifichino fino al 31 dicembre 2015, e una fase a
regime, per gli eventi a decorrere dal 1° gennaio
La norma prevede anche l’istituto della MINIASPI, che sostituisce la indennità di disoccupazione con requisiti ridotti.
L’ampliamento della platea degli assicurati comporta l’estensione anche dell’obbligo contributivo, la cui entità ordinaria rimane invariata (1,31 per cento). E’ introdotta una addizionale (pari all’1,4 per cento) per i lavoratori non a tempo indeterminato, anche allo scopo di scoraggiare il ricorso a forme atipiche di contratto con lo scopo di eludere l’obbligo contributivo. Sempre a tale scopo, unito a quello di rendere maggiormente conveniente l’assunzione a tempo indeterminato, è prevista la restituzione di tale addizionale, fino a sei mensilità, in caso di trasformazione del contratto in contratto a tempo indeterminato. La legge, inoltre, prevede il contributo di licenziamento da versare all’INPS all’atto del licenziamento[178].
Parallelamente alla graduale entrata in vigore dell’ASPI, è prevista il graduale superamento dell’istituto della mobilità.
b) gestione degli esuberi strutturali
L’introduzione dell’ASPI e il graduale riassorbimento nel nuovo sistema di ammortizzatori sociali dell’istituto della mobilità hanno portato anche alla revisione degli strumenti esistenti per la gestione delle crisi aziendali. In particolare, mentre è rimasto invariato il regime relativo alla gestione di situazioni transitorie di crisi attraverso il ricorso alla Cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO), la legge n. 92/2012 in esame ha disposto la razionalizzazione della Cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS), eliminando la possibilità di ricorrere a tale strumento in caso di procedura concorsuale per cessazione di attività. In tali casi (che pure, sulla base della relazione tecnica, assorbono una quota del 15 per cento del totale della spesa per CIGS), infatti, la cassa integrazione non è utilizzata per esigenze strettamente connesse alla conservazione del rapporto di lavoro, ma con la finalità di sostegno del reddito prima del ricorso alla indennità di mobilità.
c) potenziamento e messa a regime dell’indennità in favore dei lavoratori iscritti alla gestione separata INPS di cui all’articolo 2, comma 26, della legge n. 95/1995
La legge in esame provvede ad aumentare in via strutturale i fondi previsti dalla legislazione previgente per la finalità di sostegno del reddito dei collaboratori a progetto e, parallelamente, ad incrementare l’ammontare dell’indennità già corrisposta.
L’articolo 3 interviene sulle tutele dei lavoratori in costanza di rapporto di lavoro, con la finalità di modificare ed estendere le tutele esistenti, provvedendo a mettere a regime la cassa integrazione straordinaria in alcuni settori, non considerati dalla normativa ordinaria, per i quali, in considerazione delle crisi ricorrenti, il legislatore aveva disposto, con provvedimenti ad hoc adottati volta per volta, alla concessione di strumenti di sostegno al reddito e alle loro, eventuali, successive proroghe[179]. Per tutti gli altri settori, la legge ha promosso un ampio processo di riforma dei fondi bilaterali esistenti e l’istituzione di nuovi nei settori che ne risultano ancora privi, allo scopo di porre a carico della bilateralità anche strumenti di integrazione e sostegno al reddito, finanziati a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro, sulla base di accordi pattizi.
L’articolo 4 introduce ulteriori disposizioni in materia di mercato del lavoro, tra cui si segnalano le misure per il sostegno della genitorialità e misure di protezione dei lavoratori anziani. In particolare, nel quadro del progressivo inasprimento dei requisiti, anagrafici e contributivi, per l’accesso al trattamento pensionistico, disposto nel corso della XVI legislatura (che comporta l’aumento graduale dell’età del pensionamento), e della contestuale riforma del mercato del lavoro (che incentiva la mobilità lavorativa e l’accesso dei giovani nel mondo del lavoro), il legislatore ha voluto, da un lato, fornire una cornice giuridica per gli esodi dei lavoratori anziani con costi a carico dei datori di lavoro e, dall’altro, intervenire in materia di apprendistato, con riferimento ai giovani, e di assunzione con contratti incentivati, con riferimento ai lavoratori ultracinquantenni ed alle donne lavoratrici.
Infine, la norma introduce, in via sperimentale, misure di sostegno della genitorialità, con riferimento sia al padre, mediante la previsione dell’astensione obbligatoria dal lavoro di tre giorni entro i primi cinque mesi di vita del bambino, che alla madre lavoratrice, per incentivarne il ritorno al lavoro, mediante la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting o per il pagamento dell’asilo nido.
5. La spesa in conto capitale delle Pubbliche amministrazioni
L’andamento della spesa
nel periodo 2008-2013
Nella tavola 1 sono esposti i dati, tratti dal conto consolidato della pubblica amministrazione, riguardanti l’evoluzione della spesa in conto capitale[180] nel periodo 2008-2012 e le stime per l’esercizio 2013.
La tavola riporta, con riferimento agli esercizi 2008-2012, i dati contenuti nel conto economico consolidato delle P.A. pubblicato dall’Istat[181], mentre con riferimento all’esercizio in corso sono riportate le previsioni della Nota di aggiornamento del DEF 2012.
L’ammontare complessivo della spesa in conto capitale è indicato sia al netto che al lordo degli incassi derivanti da dismissioni immobiliari che, in base alle regole di contabilità nazionale, sono portate in riduzione della spesa per investimenti.
Tavola 1
Spesa in conto
capitale delle amministrazioni pubbliche – 2008-2013
(milioni di euro
- % Pil)
|
|
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
Investimenti fissi lordi al netto
delle dismissioni |
36.706 |
39.665 |
33.705 |
32.326 |
30.629 |
30.052 |
||
2,33% |
2,61% |
2,17% |
2,05% |
1,96% |
1,90% |
|||
Dismissioni immobiliari |
-1.390 |
-1.261 |
-1.196 |
-1.151 |
-1.430 |
-1.450 |
||
|
0,09% |
0,08% |
0,08% |
0,07% |
0,09% |
0,09% |
||
Investimenti fissi al
lordo delle dismissioni immobiliari |
35.316 |
38.404 |
32.509 |
31.175 |
29.199 |
28.602 |
||
2,24% |
2,53% |
2,09% |
1,97% |
1,86% |
1,81% |
|||
Contributi agli investimenti |
22.338 |
24.310 |
17.850 |
18.507 |
17.477 |
16.685 |
||
1,42% |
1,60% |
1,15% |
1,17% |
1,12% |
1,05% |
|||
Altre uscite in c/capitale |
1.555 |
4.220 |
1.424 |
-1.566 |
1.093 |
1.890 |
||
0,10% |
0,28% |
0,09% |
-0,10% |
0,07% |
0,12% |
|||
Totale uscite in conto capitale al netto delle dismissioni |
60.599 |
68.195 |
52.979 |
49.267 |
49.199 |
48.627 |
||
3,85% |
4,49% |
3,41% |
3,12% |
3,14% |
3,07% |
|||
Totale uscite conto capitale al lordo delle dismissioni |
59.209 |
66.934 |
51.783 |
48.116 |
47.769 |
47.177 |
||
3,76% |
4,40% |
3,34% |
3,05% |
3,05% |
2,98% |
|||
PIL |
1.575.144 |
1.519.695 |
1.551.886 |
1.578.497 |
1.565.916 |
1.582.375 |
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT 2012 e 2013. Con
riferimento alle dismissioni immobiliari, dati relativi alla Nota di
aggiornamento del Documento di Economia e finanza 2012. Con riferimento alle
previsioni per l’anno 2013, dati riferiti alla Nota illustrativa del quadro comprensivo degli effetti del
disegno di legge di stabilità 2013 (settembre 2012).
La spesa presenta un andamento decrescente nel periodo in esame, con l’eccezione dell’anno 2009, caratterizzato da un generale aumento delle voci che compongono il complesso delle uscite in conto capitale: l’esercizio risente, infatti, di alcuni oneri straordinari quali gli interventi finalizzati alle attività di emergenza e ricostruzione a seguito del sisma in Abruzzo del marzo 2009, le operazioni di riacquisto immobili e danno SCIP2 e altre misure quali rimborsi di imposta incidenti sulle “Altre spese” di parte capitale (cfr infra). Su tale evoluzione ha inciso, inoltre, l’accelerazione dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni autorizzati in chiave anticongiunturale dalle norme contenute nel D.L. 78/2009 e nella legge di assestamento del bilancio dello Stato (cfr capitolo 3).
Nonostante la cattiva performance dell’economia nel periodo in esame, che vede una nuova caduta del PIL nominale nel 2012, la contrazione in valore assoluto della spesa in conto capitale ne determina un’incidenza sul prodotto interno lordo in riduzione: dal 3,8 per cento di inizio periodo a circa il 3 per cento previsto per il 2013.
L’andamento descritto è evidente guardando alla Tavola 2: prendendo come base (pari a 100) il dato relativo al 2008, si rileva come nel quinquennio che si chiude nel 2012, si assiste ad una riduzione della spesa di oltre il 20 punti; essa riguarda tutte le componenti di spesa, ed in particolare gli investimenti diretti delle PA e l’erogazione di contributi alle imprese.
Tavola
2
Spesa in conto capitale delle amministrazioni pubbliche
(base 2008 pari a
100)
|
|
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
Investimenti fissi lordi
al netto delle dismissioni immobiliari |
100 |
108,74 |
92,05 |
88,27 |
82,68 |
81,87 |
||
Dismissioni immobiliari |
100 |
90,72 |
86,04 |
82,81 |
102,88 |
104,32 |
||
Investimenti fissi lordi al lordo delle dismissioni |
100 |
108,06 |
91,82 |
88,07 |
83,44 |
80,99 |
||
Contributi agli
investimenti |
100 |
108,83 |
79,91 |
82,85 |
78,24 |
74,69 |
||
Altre uscite in c/capitale
|
100 |
271,38 |
91,58 |
-100,71 |
70,29 |
121,54 |
||
Totale uscite conto
capitale al lordo delle dismissioni |
100 |
113,05 |
87,46 |
81,26 |
80,68 |
79,68 |
||
Totale uscite conto
capitale al netto delle dismissioni |
100 |
112,53 |
87,43 |
81,30 |
81,19 |
80,24 |
Per quanto concerne la componente degli investimenti fissi lordi, l’andamento ripropone quello del
complesso delle uscite sopra indicate, evidenziando un marcato decremento nel
periodo in esame, fatta eccezione come si è detto per il 2009.
Su tale andamento influiscono una pluralità di cause, alcune delle quali riconducibili a tendenze di lungo periodo comuni ad altri paesi industrializzati[182], altre invece di carattere congiunturale riconducibili alle misure di consolidamento fiscale adottate negli ultimi anni. L’andamento degli investimenti è poi condizionato nel nostro Paese da gravi lacune nella programmazione, valutazione e selezione degli interventi, nonché dalla scarsa capacità di spesa delle amministrazioni (cfr infra).
In quanto alla disaggregazione per livelli di governo degli investimenti fissi lordi al lordo delle dismissioni, la tabella seguente riporta i dati – dal 2008 al 2011 – forniti nella Relazione generale della situazione economica del Paese 2011, al netto degli enti di previdenza.
Tavola 3
La
spesa per investimenti delle Amministrazioni centrali e locali
(milioni di euro – var %)
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2009 |
2010 |
2011 |
|
milioni di euro |
var % |
|||||
Amm.
Centrali |
7.962 |
9.147 |
8.034 |
8.800 |
14,9 |
-12,2 |
9,5 |
Stato |
5.147 |
6.439 |
5.241 |
5.883 |
25,1 |
-18,6 |
12,2 |
ANAS |
2.440 |
2.324 |
2.341 |
2.472 |
-4,8 |
0,7 |
5,6 |
Antri enti |
375 |
384 |
452 |
445 |
2,4 |
17,7 |
-1,5 |
Amm.
Locali |
27.039 |
28.080 |
23.986 |
22.901 |
3,8 |
-14,6 |
-4,5 |
Regioni |
4.537 |
4.787 |
3.950 |
3.688 |
5,5 |
-17,5 |
-6,6 |
Province e comuni |
17.275 |
17.628 |
14.902 |
14.144 |
2,0 |
-15,5 |
-5,1 |
ASL e aziende ospedaliere |
2.748 |
3.238 |
2.912 |
2.725 |
17,8 |
-10,1 |
-6,4 |
Antri enti |
2.479 |
2.427 |
2.222 |
2.344 |
-2,1 |
-8,4 |
5,5 |
Amm.
Centrali % |
22,75 |
24,57 |
25,09 |
27,76 |
|
|
|
Amm.
Locali % |
77,25 |
75,43 |
74,91 |
72,24 |
|
|
|
Totale PA |
35.001 |
37.227 |
32.020 |
31.701 |
8,7 |
-15,8 |
-0,8 |
Fonte: Elaborazione
su dati tratti dalla Relazione generale sulla situazione economica del Paese
2011 e 2010.
Nel periodo in esame, le Amministrazioni locali – che nel 2008 hanno effettuato oltre il 77 per cento degli investimenti – hanno visto ridursi detta percentuale costantemente. Il calo è risultato generalizzato, avendo interessato gli enti locali a qualsiasi livello. Esso è l’effetto, tra l’altro, delle manovre di risanamento della finanza pubblica che, per gli enti territoriali, sono state incentrate sui vincoli alla facoltà di spesa imposti dal Patto di stabilità interno.
Come evidenziato dalla Corte dei conti in un’indagine campionaria sulla spesa in conto capitale degli enti locali[183], la riduzione dei trasferimenti statali ha comportato un sostanziale stallo nella programmazione infrastrutturale riconducibile a diversi fattori, quali la necessità di utilizzare le disponibilità liquide per pagare gli impegni pregressi da contemperare con i pagamenti di spesa corrente obbligatoria e la stessa incertezza sulla misura dei vincoli posti da future politiche di contenimento.
Nello stesso periodo, le Amministrazioni centrali hanno aumentato la loro quota sul totale degli investimenti con un effetto compensativo peraltro solo parziale, in valore assoluto, rispetto alla flessione fatta registrare dalle Amministrazioni locali. All’interno delle A.C., con riferimento alle spese per investimenti sostenute dall’ANAS, si rileva che le lievi fluttuazioni annuali si traducono in percentuali sul PIL pressoché immutate nel quadriennio di riferimento.
In sostanziale decrescita, a partire dal 2010, i contributi agli investimenti, che dal picco raggiunto nel 2009 è diminuito in percentuale di circa 38 punti nelle stime per il 2013.
Nell’ambito dei contributi agli investimenti verso le
società di servizi pubblici, una quota rilevante (oltre il 50%) viene erogata alle Ferrovie dello Stato. Si
tratta di un andamento irregolare, il cui picco negativo – toccato nel 2010 – è
dipeso dalla mancata sottoscrizione dei contratti di programma allora previsti.
(milioni di euro)
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Contributi alle Ferrovie dello Stato |
3.170 |
4.288 |
2.047 |
3.556 |
Fonte: Elaborazione su dati tratti dal Documento di economia e finanza,
anni 2011 e 2012.
Altalenante risulta, infine, l’andamento della voce “Altre uscite in conto capitale”, per effetto della contabilizzazione, nell’anno 2009, di alcuni oneri straordinari, quali il rimborso riconosciuto alle imprese a fronte dei maggiori versamenti di IRPEF e IRES da esse effettuati, per effetto della mancata deduzione del 10% dell’IRAP, nei periodi di imposta precedenti(oltre 2,6 miliardi) e il rimborso delle maggiori imposte sui dividendi in uscita per effetto di procedure di infrazione comunitaria (circa 405 milioni). Sui risultati 2011 incidono, poi, gli introiti derivanti dall’asta delle frequenze digitali (circa 3.827 milioni) che, in base alle regole di registrazione di contabilità nazionale, vengono portati in riduzione della suddetta voce.
Le previsioni per il
2013-2014
Con riferimento all’esercizio in corso e al successivo
biennio 2014-2015,
Tavola 4
Spesa in conto capitale delle amministrazioni pubbliche
–2013 -2015
(milioni di euro - % PIL)
|
|
|
2013 |
2014 |
2015 |
Investimenti fissi lordi al netto
delle dismissioni |
30.052 |
29.915 |
30.559 |
||
1,90% |
1,84% |
1,82% |
|||
Dismissioni immobiliari |
-1.450 |
-1.300 |
-1.300 |
||
|
0,09% |
0,08% |
0,08% |
||
Investimenti fissi al lordo delle dismissioni immobiliari |
28.602 |
28.615 |
29.259 |
||
1,81% |
1,76% |
1,74% |
|||
Contributi agli
investimenti |
16.685 |
15.253,00 |
15.482,00 |
||
1,05% |
0,94% |
0,92% |
|||
Altre uscite in
c/capitale |
1.890 |
1.964,00 |
1.760,00 |
||
0,12% |
0,12% |
0,10% |
|||
Totale uscite in conto
capitale al netto delle dismissioni |
48.627 |
47.132 |
47.801 |
||
3,07% |
2,89 |
2,84 |
|||
Totale uscite conto
capitale al lordo delle dismissioni |
47.177 |
45.832 |
46.501 |
||
2,98% |
2,81 |
2,77 |
|||
PIL |
1.582.375 |
1.629.056 |
1.680.441 |
Fonte: Nota tecnico illustrativa,
sett. 2012, comprensiva effetti del ddl Legge stabilità
Rispetto a tale andamento, occorre rilevare che il DEF dell’aprile 2012[184], dopo aver rilevato le cause del ritardo infrastrutturale dell’Italia[185], ricorda le esigenze finanziarie del Programma Infrastrutture Strategiche (c.d. legge obiettivo) per il triennio 2013-2015.
In particolare, il DEF quantifica in:
-
5,4 miliardi nel triennio le priorità relative
ai contratti di programma e ai grandi interventi internazionali, quali
- 1,9 miliardi nel triennio le priorità a livello comunitario relativamente alle reti TEN-T;
- 15 miliardi, di cui 3 miliardi a carico della finanza pubblica, per la realizzazione di 5 opere autostradali con il coinvolgimento del capitale privato.
La concentrazione dei finanziamenti in alcuni interventi selezionati, considerati di interesse prioritario ai fini dello sviluppo di una politica dal lato dell’offerta, dovrebbe consentire il superamento di alcune delle attuali strozzature presenti nel sistema produttivo e consentire una riduzione dei costi per le imprese.
Come rilevato nell’Analisi su alcuni settori della spesa pubblica[186], presentato nel marzo 2013 dal Ministro per in Rapporti con il Parlamento delegato per il programma di Governo, Professor Giarda, la spesa per investimenti pubblici in rapporto al PIL in Italia è sostanzialmente allineata a quella degli altri Paesi europei. L’ammontare degli investimenti necessario a portare l’attuale stock di capitale pubblico ad un livello tale da massimizzare la crescita (2,3 per cento del PIL) non sarebbe lontano da quello registrato negli anni recenti.
Tali stime offrono tuttavia una informazione solo parziale, che non spiega il divario infrastrutturale tra l’Italia e i Paesi partner. Il confronto tra i volumi di spesa e le dotazioni fisiche suggerisce che il gap non debba essere ricondotto tanto ad una inadeguatezza delle risorse finanziarie, quanto ad una inefficacia della spesa.
Margini significativi di miglioramento potrebbero ottenersi, secondo lo studio, oltre che nella “trasformazione delle risorse finanziarie in dotazione fisica”, da un recupero di efficienza delle procedure di selezione dei progetti, di affidamento dei lavori e di monitoraggio della loro esecuzione.
6. Interessi, fabbisogno e debito
La spesa per interessi, tra il 2008 e il 2012, presenta un andamento altalenante, posizionandosi a fine periodo al 5,5 per cento del PIL. In particolare, è possibile osservare una forte riduzione della spesa nel 2009 (pari a 70.863 milioni), con un decremento rispetto al 2008 di oltre 10.400 milioni. In termini di PIL, l’incidenza della spesa per interessi scende, in tale anno, dal 5,2 al 4,7 per cento, nonostante la contrazione del prodotto.
In base a quanto affermato dalla Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica per il 2010 (RUEF 2010), la componente dei costi di intermediazione finanziaria nel 2009 aumentò sensibilmente per effetto della crisi finanziaria. Poiché tale componente non viene contabilizzata come spesa per interessi in termini di competenza economica, bensì come consumi intermedi, una parte della riduzione della spesa per interessi delle Amministrazioni pubbliche, sia centrale che locali, nel 2009 appare dovuto a tale fenomeno.
Nel 2010 si registra , invece, un leggero aumento della spesa per interessi, che diventa più evidente nel 2011 e nelle preconsuntivo 2012.
Tavola 6.1
Spesa per
interessi – anni 2008 - 2012
(milioni di euro - %)
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
Valore assoluto |
81.312 |
70.863 |
71.153 |
78.351 |
86.717 |
Var % annua |
5,0 |
-12,9 |
0,4 |
10,1 |
10,7 |
% del PIL |
5,2 |
4,7 |
4,6 |
5,0 |
5,5 |
PIL |
1.575.144 |
1.519.695 |
1.551.886 |
1.578.497 |
1.565.916 |
Fonte: ISTAT
L’ incremento della spesa, che passa, in valore assoluto,
dai 70.863 milioni nel
Per quanto riguarda l’esercizio appena trascorso, il riaccendersi di tali tensioni a partire dal mese di aprile e le relative ripercussioni sulla struttura dei tassi di interesse dei titoli del debito pubblico hanno portato ad una continua revisione al rialzo delle stime della spesa: le previsioni contenute nella Nota di aggiornamento del DEF 2012 (settembre 2012) collocavano tale valore su livelli superiori rispetto alle previsioni di aprile (86.119 milioni rispetto agli 84.217 milioni indicati nel DEF 2012). Tali valori sono risultati comunque inferiori a quelli registrati a consuntivo (86.717 milioni). L’aumento della spesa in valore assoluto rispetto all’anno precedente, insieme alla caduta del PIL anche in termini nominali, hanno determinato un incremento di mezzo punto della sua incidenza sul prodotto.
Fin dai primi mesi del 2010 si sono manifestate tensioni sui
mercati dei titoli di Stato dei paesi dell’area dell’euro. Tali tensioni hanno
assunto rilevanza crescente fino al maggio
Nel primo semestre del 2011 il mercato del debito pubblico italiano ha risentito solo in misura piuttosto limitata del clima di estrema volatilità e di crescente sfiducia propagatosi nei mercati, mentre nel mese di luglio la situazione si è progressivamente deteriorata. Si è assistito ad un allargamento dei differenziali di rendimento tra i titoli di Stato italiani e i titoli tedeschi che ha investito in particolare il segmento a medio-lungo termine.
La fase più acuta della crisi del debito italiano si è manifestata nel mese di novembre 2011, quando i rendimenti sui titoli di Stato, dopo una fase di ascesa progressiva che aveva portato il titolo decennale dal 5 al 6 per cento da inizio settembre a fine ottobre, hanno subito un’ulteriore impennata, che in pochi giorni ha portato il rendimento al 7 per cento. Parallelamente, il differenziale rispetto ai tassi tedeschi ha raggiunto quota 500 punti base sulla scadenza a 10 anni.
Differenziale di rendimento BTP-BUND 10 anni:
dalla nascita dell’Euro al febbraio 2012.
Fonte: PdS – DEF 2012
L’allargamento dei differenziali ha interessato anche i titoli più a breve termine, che in alcuni giorni di novembre è arrivato addirittura in area 650 punti base sulla scadenza 5 anni e ha sfiorato i 700 punti base sul segmento a 2 anni.
In tale situazione
Nei primi mesi del 2012 il differenziale di rendimento dei BTP a dieci anni rispetto al BUND ha avuto un andamento decrescente, passando da 531 punti base il 9 gennaio a 278 il 19 marzo. Lo spread ha poi ricominciato a crescere fino a raggiungere i 404 punti base il 10 aprile 2012. Da allora ha mostrato un andamento oscillante tra i 362 e 388 punti base, non superando mai (fino al 18 aprile 2012) la soglia dei 400 punti.
Nel periodo giugno-settembre si è poi evidenziata una complessiva tendenza alla riduzione dello spread tra BPT decennali e Bund tedeschi, nonostante significative variazioni al ribasso e al rialzo del valore dello stesso, che ne evidenziano la sensibilità agli eventi internazionali e all’incertezza in termini di stabilità finanziaria dell’area euro.
Tra le altre, una importante riduzione è stata registrata nei primi giorni di luglio 2012 quando, dopo il vertice a Bruxelles del 28 e 29 giugno, l’Eurogruppo ha annunciato di essere favorevole ad un possibile intervento della BCE sui mercati finanziari. Il prolungarsi dei tempi, e l’intervenuto declassamento del debito sovrano italiano operato dalla Moody’s ha determinato una inversione dell’andamento dello spread che, il 23 luglio, ha raggiunto il valore massimo del periodo considerato pari a 537 punti base.
Particolarmente rilevante è risultata la dichiarazione del Presidente Draghi del 6 settembre 2012 circa la disponibilità da parte della BCE ad effettuare acquisti illimitati di titoli di Stato con scadenza fino a 3 anni senza alcun tetto ai rendimenti (in data 6 settembre lo spread BTP-Bund era pari a 372 punti base).
Lo spread ha confermato, nel periodo successivo, una generale tendenza alla riduzione con alcune oscillazioni (in data 21 marzo 2013 risultava pari a 324 punti base).
Si segnala infine che, con decorrenza dall’11 luglio 2012, il Consiglio direttivo della BCE ha deliberato una riduzione di 25 punti base del tasso minimo sulle operazioni di rifinanziamento principali, portandolo allo 0,75 per cento [190].
Per quanto riguarda l’anno 2013 e il successivo biennio, i valori indicati dal Governo nella Nota di aggiornamento al DEF, confermano un andamento crescente della spesa per interessi, sia in valore assoluto che in percentuale del PIL.
I valori indicati nella Tavola 6.2 sono tratti dal quadro tendenziale della Nota di aggiornamento. Essi, pertanto non tengono conto della riduzione della spesa per interessi conseguente all’abbattimento dello stock del debito pubblico derivante dal programma di dismissioni immobiliari annunciato dal Governo.
Tavola 6.2
Spesa per
interessi – previsioni 2013-2015
(milioni di euro - %)
|
2013 |
2014 |
2015 |
Valore assoluto |
89.243 |
96.971 |
105.394 |
Var % annua |
2,9 |
8,7 |
8,7 |
% del PIL |
5,6 |
6,0 |
6,3 |
PIL |
1.582.375 |
1.629.056 |
1.680.441 |
Fonte: Nota di aggiornamento DEF 2012, settembre
2012, quadro tendenziale.
N.B.
La variazione percentuale del 2013 è calcolata rispetto al dato di
preconsuntivo Istat 2012.
Il fabbisogno complessivo delle Amministrazioni pubbliche costituisce un aggregato consolidato, formato dal fabbisogno delle Amministrazioni centrali e dai fabbisogni aggiuntivi delle Amministrazioni locali e degli enti di previdenza.
Il fabbisogno complessivo delle Amministrazioni centrali si compone del saldo tra gli incassi ed i pagamenti del bilancio dello Stato ed il saldo delle altre operazioni delle Amministrazioni centrali, che riflette principalmente il saldo tra i versamenti in Tesoreria effettuati dal bilancio dello Stato e da altri soggetti ed i pagamenti dalla Tesoreria a soggetti diversi dallo Stato. I fabbisogni aggiuntivi delle Amministrazioni locali e degli Enti di previdenza riflettono le necessità di finanziamento di tali enti non soddisfatte attraverso entrate proprie o trasferimenti da altri enti pubblici.
Sul fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche incidono, inoltre, i proventi delle dismissioni di partecipazioni in imprese pubbliche, al netto dei versamenti per eventuali acquisizioni, effettuate dalle Amministrazioni centrali ed altri proventi di natura straordinaria, quali i dividendi connessi ad operazioni di liquidazione di imprese e gli incassi delle cessioni delle frequenze, nonché gli esborsi per la regolazione di posizioni debitorie pregresse, effettuati sempre dalle Amministrazioni centrali.
Il fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche, oltre ad essere determinato sotto il profilo della sua formazione come sopra illustrato, è calcolato anche dal lato della copertura, considerando la variazione degli strumenti finanziari utilizzati per il suo finanziamento.
Tavola 6.3
Fabbisogno delle Pubbliche amministrazioni - 2008-2012
(milioni di euro - % PIL)
ANNO |
FABBISOGNO
COMPLESSIVO |
PROVENTI
DI DISMISSIONI DI BENI MOBILIARI E ALTRE ENTRATE STRAORDINARIE |
REGOLAZIONI
DI DEBITI PREGRESSI |
FABBISOGNO
AL NETTO DI REGOLAZIONI DI DEBITI PREGRESSI E DISMISSIONI |
||
|
Valore |
% PIL |
Valore |
Valore |
Valore |
% PIL |
2008 |
49.049 |
3,11 |
19 |
1.653 |
47.415 |
3,01 |
2009 |
85.919 |
5,65 |
798 |
1.519 |
85.198 |
5,61 |
2010 |
69.844 |
4,50 |
8 |
187 |
69.665 |
4,49 |
2011 |
63.638 |
4,03 |
1.560 |
47 |
65.151 |
4,13 |
2012 |
65.713 |
4,20 |
7.874 |
304 |
73.283 |
4,68 |
Fonte: Banca d’Italia e
ISTAT (per i valori di PIL)
Il fabbisogno delle
Amministrazioni pubbliche evidenzia un andamento non omogeneo nel periodo
considerato. Infatti, dopo un picco registrato nel 2009 (5,65 per cento del
PIL), evidenzia una riduzione fino al 2011 collocandosi al 4,03 per cento del
PIL per poi mostrare una lieve ripresa nell’ultimo anno (4,20 per cento del
PIL).
Il rilevante
incremento del fabbisogno registrato nel 2009 è in buona parte riferibile agli
effetti congiunturali e alla conseguente riduzione degli incassi che hanno
registrato, rispetto al 2008, un decremento del 2,6%[191].
Il saldo delle operazioni di parte corrente, infatti, passa da un valore
positivo di oltre 11 miliardi ad un dato negativo di oltre 17 miliardi.
Alla riduzione del
fabbisogno nel 2011 hanno contribuito i parziali incassi delle assegnazioni di
diritti d’uso delle frequenze radioelettriche (2.855 milioni) [192]
nonché il rimborso di una quota dei c.d. Tremonti
bonds[193]
effettuato dal Banco Popolare che, nel marzo
Sull’incremento
registrato nel 2012 incide il sostegno finanziario ai paesi dell’euro ha
comportato uscite pari a circa 29,5 miliardi; i proventi delle dismissioni
mobiliari includono la cessione alla Cassa Depositi e Prestiti delle
partecipazioni del Tesoro in SACE, Simest e Fintecna (circa 8 miliardi).
Tavola 6.4
Divario tra fabbisogno (al netto dismissioni ed entrate straordinarie ) ed indebitamento netto - 2008-2012
(Valori in milioni di euro e
in rapporto al PIL)
ANNO |
FABBISOGNO
P.A. AL NETTO DELLE DISMISSIONI MOBILIARI E DELLE ENTRATE STRAORDINARIE |
INDEBITAMENTO
NETTO P.A. |
DIFFERENZA |
DIFFERENZA/PIL |
|
|
Valore |
%PIL |
Valore |
Valore |
% PIL |
2008 |
49.068 |
3,17 |
42.700 |
6.368 |
0,40 |
2009 |
86.717 |
5,51 |
82.752 |
3.965 |
0,26 |
2010 |
69.852 |
4,60 |
69.173 |
679 |
0,04 |
2011 |
65.198 |
4,20 |
59.800 |
5.398 |
0,34 |
2012 |
73.587 |
4,66 |
47.446 |
26.141 |
1,67 |
Guardando al divario tra il fabbisogno al netto delle dismissioni
mobiliari e delle entrate straordinarie delle Amministrazioni pubbliche e
l’indebitamento netto, esso registra un valore particolarmente elevato
nell’ultimo esercizio.
Nel 2012, come già ricordato, alla formazione del fabbisogno
complessivo delle P.A. (65.713 milioni) hanno concorso, da un lato, gli effetti
positivi delle dismissione mobiliari (circa 8 miliardi) e, dall’alto lato, gli
effetti del sostegno finanziario ai paesi dell’euro (29,5 miliardi). Al netto
delle suddette operazioni, il fabbisogno sarebbe pari a circa 44 miliardi
risultando, pertanto, inferiore al valore dell’indebitamento netto registrato
nello stesso anno.
Il divario fra i due saldi è imputabile alle diverse modalità di calcolo utilizzate per la costruzione dei due indicatori.
In linea generale:
· il saldo delle partite finanziarie incide sul fabbisogno, ma non sull’indebitamento netto;
·
il fabbisogno è computato in base ad un criterio
di cassa, mentre l’indebitamento netto è computato in base ad un criterio di
competenza economica, per cui le operazioni nei due aggregati sono registrate in
riferimento a momenti diversi. Ad esempio, gli introiti derivanti dalle
cessioni delle frequenze televisive sono computate per 3,8 miliardi nel
· nel passaggio dall’uno all’altro dei due aggregati occorre considerare le poste di riclassificazione dovute alle differenze di registrazione delle operazioni ai fini dei due saldi. Ad esempio tra le voci incluse nel fabbisogno, ,ma non i nell’indebitamento figurano gli aiuti ai paesi dell’area euro.
Un’analisi delle singole poste che spiegano il divario tra fabbisogno e
indebitamento netto è stata recentemente resa disponibile dall’Istat per gli
anni dal 2008 al 2011, nell’ambito dei dati notificati alla Commissione europea
in applicazione del Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi (PDE),
annessa al Trattato di Maastricht[194]. L’individuazione delle poste di raccordo tra i due
aggregati di finanza pubblica è oggetto di attento monitoraggio da parte delle
autorità europee ed i relativi dati costituiscono parte integrante della
Notifica. Tale analisi consente, infatti, di valutare, in sede europea, la
coerenza ed affidabilità delle stime di finanza pubblica dei Paesi membri.
L’analisi, riportata nella Tavola 6.5, fornisce, in particolare le
poste del quadro di raccordo tra il fabbisogno complessivo del settore
pubblico e l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche.
Il fabbisogno del settore pubblico è calcolato dal Ministero dell’economia e delle finanze dal lato della formazione e si riferisce ad un insieme di enti che non coincide perfettamente con quello delle Amministrazioni pubbliche, in riferimento al quale è calcolato l’indebitamento netto.
Per alcuni enti minori centrali, locali e previdenziali non vi è, infatti, completa corrispondenza con quelli considerati dall’Istat per definire l’aggregato delle Amministrazioni pubbliche, il cui elenco è periodicamente aggiornato e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Il fabbisogno calcolato dal MEF esclude sia la variazione
dei depositi attivi del Tesoro presso
Il quadro di raccordo ricostruito dall’Istat analizza le singole poste che differenziano i due aggregati.
Le variazioni nette di partite finanziarie attive comprendono i prestiti erogati a soggetti esterni alle Amministrazioni pubbliche, l’acquisizione di partecipazioni in imprese pubbliche ed altre partite, la cui componente più importante è costituita dai depositi bancari. Nell’ambito di tali variazioni, la componente relativa alla concessioni di prestiti registra un notevole incremento.
La posta relativa alla
differenza tra valutazioni per competenza e per cassa, connessa alla diversa
imputazione temporale delle operazioni utilizzata nel calcolo dei due saldi,
mostra un andamento crescente. Tale fenomeno, che interessa solo marginalmente
la componente delle entrate, si registra in maniera più evidente a decorrere
dal
Tavola 6.5 Raccordo tra fabbisogno del settore pubblico e indebitamento netto delle PA. Anni 2008 - 2012[195] (milioni di euro) |
||||
|
|
|
|
|
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Fabbisogno del settore pubblico |
-51.341 |
-88.727 |
-68.033 |
-61.550 |
|
|
|
|
|
Partite finanziarie attive
comprese nel Fabbisogno (variazioni) |
4.485 |
9.777 |
5.840 |
8.956 |
Concessione di prestiti (+) |
4.882 |
4.277 |
7.137 |
8.370 |
Riscossione di prestiti (-) |
-2.549 |
-2.948 |
-3.534 |
-2.355 |
Acquisizione di partecipazioni azionarie (+) |
1.038 |
5.009 |
751 |
803 |
Vendite di azioni (-) |
-99 |
-133 |
-139 |
-278 |
Aumenti/Riduzioni di altre attività finanziarie (+/-) |
1213 |
3.572 |
1.625 |
2.416 |
|
|
|
|
|
Differenza tra valutazioni per
competenza e per cassa |
5.292 |
-2.968 |
-7.959 |
-8.278 |
Entrate (+) |
1800 |
942 |
-360 |
612 |
Uscite al netto degli interessi passivi (-) |
3.329 |
-3.109 |
-5.366 |
-6.349 |
Interessi passivi (EDP) (-) |
163 |
-801 |
-2.233 |
-2.541 |
|
|
|
|
|
Riclassificazioni di operazioni |
-605 |
-832 |
-559 |
-1234 |
Cancellazioni di debiti dei Paesi in via di sviluppo |
-59 |
-178 |
-175 |
-567 |
Riclassificazioni di altre partite finanziarie (crediti e
partecipazioni) |
-283 |
-236 |
-268 |
-216 |
Riclassificazioni dei superdividendi (da incassi di capitali a vendita
di partecipazioni) |
0 |
0 |
-55 |
-50 |
Riclassificazioni degli introiti derivanti dalle somme confiscate |
-21 |
-12 |
-23 |
-30 |
Riclassificazioni degli introiti derivanti dai conti dormienti |
-674 |
-598 |
-159 |
-175 |
Riclassificazioni per investimenti realizzati mediante contratti di partenariato pubblico privato (ppp) |
-291 |
-362 |
-319 |
-461 |
Riclassificazioni degli introiti derivanti da operazioni di
cartolarizzazioni di crediti contributivi INPS a seguito
delle decisioni Eurostat |
723 |
554 |
440 |
265 |
|
|
|
|
|
Discrepanza statistica |
-531 |
4 |
-746 |
-257 |
|
|
|
|
|
Indebitamento netto |
-42.700 |
-82.746 |
-71.457 |
-62.363 |
6.3 Il debito
delle amministrazioni pubbliche
Il debito delle Amministrazioni pubbliche si compone dell’insieme delle passività finanziarie del settore, valutate al valore facciale di emissione.
In linea con la definizione adottata ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi della UE, si tratta di un aggregato consolidato, dal quale sono escluse le passività che costituiscono nel contempo stesso attività di enti appartenenti al medesimo comparto delle Amministrazioni pubbliche.
Le variazioni annue del debito non coincidono con l’ammontare del fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche a causa dei diversi criteri contabili utilizzati per il computo dei due aggregati.
In particolare:
· le variazioni delle attività nei confronti della Banca d’Italia sono considerate una forma di copertura del fabbisogno, mentre le corrispondenti consistenze non sono portate a riduzione del debito;
· nel fabbisogno, ad eccezione dei BOT, le emissioni dei titoli sono valutate al “netto ricavo”, mentre nel debito sono considerate al valore nominale;
· nel fabbisogno, le passività denominate in valuta diversa dall’euro sono convertite al tasso di cambio vigente al momento della regolazione dell’operazione, mentre nel debito la conversione è effettuata al tasso di cambio vigente alla fine del periodo di riferimento.
Nel periodo 2008-2012 il debito delle amministrazioni
pubbliche ha avuto una dinamica crescente. Tale evoluzione riflette soprattutto
la crescita del fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche e l’incremento delle
attività detenute dal Tesoro presso
Tavola 6.6
Debito delle amministrazioni pubbliche – anni 2008 - 2012
(milioni di euro - %) |
|||||
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
Debito delle Amministrazioni
pubbliche |
1.671.001 |
1.769.226 |
1.851.217 |
1.907.392 |
1.988.658 |
PIL |
1.575.144 |
1.519.695 |
1.551.886 |
1.578.497 |
1.565.916 |
Rapporto debito/PIL (%PIL) |
106,1 |
116,4 |
119,3 |
120,8 |
127,0 |
Fonte:
ISTAT – Banca d’Italia
La variazione annua del rapporto tra il debito ed il PIL può essere scomposta in tre componenti principali: il saldo primario, lo snow ball effect e l’aggiustamento stock- flussi.
In particolare:
· il saldo primario corrisponde alla differenza fra le uscite complessive delle Amministrazioni pubbliche, al netto degli interessi passivi, e le entrate complessive. Esso concorre, se positivo, alla riduzione del rapporto[196];
· lo snowball effect, che rappresenta l’impatto combinato della spesa per interessi e del tasso di crescita del Pil, se assume valore positivo, opera in senso accrescitivo del rapporto debito/PIL. Ciò in quanto la crescita del prodotto, che aumenta il denominatore del rapporto, non è sufficiente a neutralizzare l’effetto sul numeratore determinato dall’onere del debito;
·
l’aggiustamento stock- flussi, è pari alla differenza tra la variazione del
debito e l’indebitamento netto. Su tale componente influiscono diversi fattori,
quali i diversi criteri contabili adottati per il calcolo dell’indebitamento
netto e del fabbisogno delle amministrazioni pubbliche, le acquisizioni nette
di attività finanziarie, le regolazioni di debiti pregressi, la variazione dei
depositi attivi presso
Tavola 6.7
Determinanti della variazione del rapporto debito - PIL - anni 2008-2012
|
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
||
Rapporto
debito/PIL |
106,1 |
116,4 |
119,3 |
120,8 |
127,0 |
||
Variazione
rapporto debito/PIL |
3,0 |
10,3 |
2,9 |
1,6 |
6,2 |
||
Di cui: |
|
|
|
|
|
|
|
|
Saldo primario (segno
"-" indica l'avanzo) |
-2,5 |
0,8 |
-0,1 |
-1,2 |
-2,5 |
|
|
Snow ball effect (*) |
3,8 |
8,5 |
2,2 |
3,0 |
6,5 |
|
|
|
di cui: |
|
|
|
|
|
|
|
Onere
medio del debito |
5,1 |
4,2 |
4,0 |
4,2 |
4,5 |
|
|
Tasso
di crescita del PIL nominale |
1,4 |
-3,5 |
2,1 |
1,7 |
-0,8 |
|
Stock
flow adjustment |
1,7 |
1,0 |
0,8 |
-0,2 |
2,2 |
Fonte: elaborazioni su dati Istat (Pil e indebitamento delle amministrazioni pubbliche del primo marzo 2013) e Banca d’Italia (Bollettino statistico Finanza pubblica, fabbisogno e debito del 15 marzo 2013)
(*) Lo snow ball effect è calcolato moltiplicando il rapporto debito/PIL dell'anno precedente per il fattore (r-g)/(1+g), dove r è il costo medio del debito e g è il tasso di crescita nominale del PIL
Nel periodo considerato il saldo
primario permane positivo (avanzo primario), tranne un’inversione di segno
nell’anno
Dalla tavola 6.7 si evidenzia, inoltre, che il maggior contributo alla crescita del rapporto debito/Pil è dato dallo snowball effect, il quale permane positivo in tutto il periodo considerato. In particolare, tale componente ha un’incidenza molto elevata negli anni 2009 e 2012 (pari rispettivamente all’8,5% e al 6,5%), anni nei quali si registra una flessione del prodotto interno lordo.
L’onere medio del debito, dopo una fase discendente, torna a crescere nel 2011.
In tale anno, infatti, la spesa per interessi ha subito un significativo aumento, dovuto in gran parte all’intensificarsi delle tensioni sui mercati del debito sovrano prodottesi a partire dal 2010 e particolarmente accentuate, per l’Italia, nella seconda metà del 2011 .
Anche l’aggiustamento stock-flow opera nel periodo in senso accrescitivo del rapporto, ad eccezione dell’anno 2011. Questa componente riflette molte misure attuate dai governi per contrastare la crisi finanziaria, tra i quali l’acquisizione di attività finanziarie del sistema bancario, ma anche interventi di natura precauzionale, come l’aumento delle riserve di liquidità.
Su tale componente ha influito, inoltre, la decisione Eurostat del 31 luglio 2012, che ha stabilito la riclassificazione come debiti finanziari di tutti i debiti commerciali ceduti a titolo definitivo a intermediari finanziari.
Nel 2012 il debito delle Amministrazioni pubbliche è previsto attestarsi a 1.988,7 miliardi di euro, corrispondenti al 127 per cento del PIL. Le previsioni contenute nella Nota di aggiornamento del DEF 2012 (settembre 2012) collocavano tale valore su livelli superiori rispetto alle previsioni di aprile (126,4% del PIL rispetto al 123,4% indicato nel DEF 2012). Tale valore è risultato comunque inferiore a quello registrato a consuntivo. A ciò ha contribuito sia l’aumento in valore assoluto del debito sia la caduta del PIL anche in termini nominali.
Si ricorda, inoltre, che rispetto alle stime del DEF,
Secondo
1) le revisioni dei consuntivi 2010 e 2011 operate dalla Banca d’Italia. Tale revisione determina un peggioramento complessivamente pari a 0,6 punti percentuali di PIL per ciascun anno. Tale valore è imputabile ad ordinari accertamenti statistici (0,1 punti) e alle riclassificazioni effettuate per tenere conto della decisione Eurostat del 31 luglio 2012 con la quale si è stabilito che i debiti commerciali della PA ceduti con clausole pro-soluto ad istituzioni diverse dalle banche devono essere inclusi nel debito degli Stati membri (0,5 punti di PIL);
2) gli
effetti recati dall’andamento del quadro macroeconomico, meno favorevole
rispetto al DEF. Il rallentamento del ciclo economico rispetto a quello di 6
mesi fa determina una rettifica del rapporto debito/PIL stimato in 2 punti
percentuali nel
3) gli effetti (cumulati) del ciclo economico sul fabbisogno delle Pubbliche Amministrazioni. Tale aspetto determina un rialzo della stima del debito pari a circa 1,2 punti percentuali di PIL negli anni 2012 e 2013, un incremento di 1,5 punti percentuali di PIL nel 2014 e un incremento di 1,7 punti nel 2015;
4) l’operazione
di privatizzazione delle società SACE, FINTECNA e SIMEST che determinano un
miglioramento del rapporto debito/PIL stimato, per l’anno
Tavola 6.8
Debito delle P.A. Analisi per strumenti - Anni 2006-2011 – Composizione percentuale.
STRUMENTI |
2006 |
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Monete e depositi |
9,91 |
8,93 |
8,84 |
8,84 |
8,46 |
8,00 |
di cui raccolta postale |
4,14 |
2,32 |
1,89 |
1,70 |
1,37 |
1,16 |
Titoli a breve termine |
7,72 |
7,98 |
8,85 |
7,94 |
7,05 |
6,91 |
Titoli a medio lungo |
73,46 |
74,28 |
74,23 |
75,45 |
77,01 |
77,67 |
Totale titoli |
81,19 |
82,26 |
83,08 |
83,39 |
84,06 |
84,59 |
Prestiti IFM |
8,35 |
8,15 |
7,71 |
7,45 |
7,19 |
6,97 |
Altre passività |
0,55 |
0,66 |
0,37 |
0,33 |
0,29 |
0,44 |
Debito AP |
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
Fonte:
elaborazioni su dati Banca d’Italia – Relazione annuale 2011
La tavola 6.8 esamina l’evoluzione della struttura del debito delle Amministrazioni pubbliche in base alla composizione per strumenti di finanziamento, nel periodo 2006-2011.
L’aggregato debito delle Amministrazioni pubbliche include i seguenti strumenti finanziari:
·
le monete ed i depositi: comprendono le monete
in circolazione, i depositi presso
· titoli diversi dalle azioni (esclusi gli strumenti finanziari derivati) emessi dallo Stato e dalle amministrazioni pubbliche;
·
prestiti delle istituzioni finanziarie monetarie
(IFM): comprende i prestiti erogati in favore di enti delle A.P. o il cui onere
di rimborso sia a carico dei medesimi. L’aggregato delle istituzioni
finanziarie monetarie non include
·
altre passività: la voce comprende le passività
verso
Nel 2011 il 77,7 per cento del debito delle Amministrazioni pubbliche è a medio e lungo termine, a fronte del 73,5 per cento nel 2006. I titoli rappresentano 84,5 per cento del valore del debito a fronte dell’81,1 per cento nel 2007. Del loro ammontare complessivo, circa il 91,8 per cento è rappresentato nel 2011 da titoli a medio e lungo termine, con un lieve incremento rispetto al peso assunto nel 2006 (90,5 per cento).
La vita residua media ponderata dei titoli di Stato prosegue il suo trend di crescita, passando dai circa 7,2 anni nell’anno 2006 ai circa 7,6 anni dell’anno 2011[197].
La quota delle monete e depositi si riduce nel periodo, a seguito della flessione dal 2006 della raccolta postale, causata dalle revisioni contabili derivanti dalla trasformazione della CDP. Dal 2006, invece, a seguito dell’inserimento della CDP tra le Istituzioni finanziarie monetarie, i prestiti erogati dalla Cassa alle Amministrazioni pubbliche concorrono a determinare il maggior peso relativo (rispetto agli anni precedenti) di tale tipologia di strumento.
Per quanto riguardo il 2012, i dati Banca d’Italia[198], ancora non definitivi, confermano la struttura del debito sopra evidenziata, con un valore dei titoli pari a circa l’83 per cento del valore del debito. La quota delle monete e depositi si attesta in tale anno in misura pari a circa l’8 per cento, i prestiti a IFM assumono un valore pari a circa il 6,7 per cento del debito complessivo.
Tavola 6.9
Debito delle P.A. Analisi per sottosettori e strumenti. Anni 2006-2011 – Composizione percentuale.
SOTTOSETTORI/STRUMENTI |
2006 |
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
Amministrazioni
centrali |
93,33 |
93,08 |
93,59 |
93,75 |
94,03 |
94,16 |
Titoli |
84,88 |
86,32 |
86,83 |
87,23 |
87,82 |
88,38 |
Prestiti
di banche e fondi monetari |
4,47 |
4,07 |
3,71 |
3,33 |
3,17 |
2,94 |
Amministrazioni
locali |
6,67 |
6,89 |
6,40 |
6,25 |
5,97 |
5,84 |
Titoli |
29,50 |
27,83 |
28,39 |
25,83 |
24,81 |
23,44 |
Prestiti
di banche e fondi monetari |
62,63 |
62,85 |
66,15 |
69,18 |
70,46 |
71,86 |
Enti di
previdenza |
0,00 |
0,04 |
0,01 |
0,00 |
0,00 |
0,00 |
Debito delle Amministrazioni pubbliche |
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
100 |
Fonte:
elaborazioni su dati Banca d’Italia – Relazione annuale 2011
In merito alla ripartizione per sottosettori della P.A., nel 2011 il debito delle Amministrazioni centrali rappresenta circa il 94 per cento del debito complessivo, quello a carico delle Amministrazioni locali raggiunge il 5,8 per cento, mentre risulta nullo il debito contratto dagli Enti di previdenza. Nel 2006 tali quote erano pari, rispettivamente, al 93,3 per cento, al 6,7 per cento ed allo 0 per cento circa.
Mentre i titoli rappresentano per le Amministrazioni centrali il principale strumento di indebitamento - con un’incidenza sul debito delle stesse che passa dall’85 per cento circa nel 2006 all’88 per cento nel 2011 - il debito delle Amministrazioni locali è in misura preponderante costituito da prestiti delle istituzioni monetarie e finanziarie, residenti e non residenti, e della Cassa depositi e prestiti.
La nuova regola sul debito prevista dalla
Commissione Europea[199]
Il nuovo quadro di riforma della governance economica dell'UE, adottato nel novembre 2011(six pack) e richiamato nel fiscal compact (v. capitolo 1), rafforza il controllo della disciplina di bilancio attraverso l'introduzione di una regola numerica che specifica il ritmo di avvicinamento del debito al valore soglia del 60 per cento del PIL[200]. In particolare, il nuovo articolo 2 del regolamento 1467/97 stabilisce che per la quota del rapporto debito/PIL in eccesso rispetto al valore del 60% il tasso di riduzione debba essere pari ad 1/20 all'anno nella media dei tre precedenti esercizi[201].
Nel caso in cui il valore
del rapporto debito/PIL nell’esercizio di riferimento sia superiore al benchmark,
Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre considerare che una regola sul debito che non tenga in considerazione gli andamenti ciclici potrebbe portare a risultati incoerenti con la fissazione di obiettivi di saldo in termini strutturali, depurato cioè dagli effetti degli stabilizzatori automatici. Essa, inoltre, rischierebbe di essere fortemente pro-ciclica, penalizzando un deterioramento delle finanze pubbliche non imputabile a fattori strutturali. Per tale ragione la regola di benchmark del debito é affiancata da un'altra formula che misura il debito aggiustato per l'andamento ciclico[203]. In fasi negative del ciclo, il rapporto debito/PIL aggiustato risulterà inferiore rispetto a quello effettivo, in quanto il debito verrà depurato per l'effetto degli stabilizzatori automatici e il PIL nei tre anni precedenti viene fatto variare al tasso di crescita del PIL potenziale. E' da notare che tale formula non viene utilizzata dalla Commissione nelle fasi positive del ciclo, nelle quali il debito aggiustato risulterebbe superiore rispetto a quello effettivo (una componente ciclica positiva farebbe aumentare il numeratore e quindi il valore del rapporto). In altre parole, ai paesi non é chiesto, in relazione al debito, uno sforzo aggiuntivo nei "tempi buoni".
In conclusione, la prima formula fornisce il livello di debito in percentuale sul PIL da perseguire che, qualora raggiunto, esime il paese da ulteriori sforzi; la seconda formula serve, invece,a valutare - qualora l'applicazione del primo algoritmo evidenziasse un mancato rispetto del benchmark - se la regola possa essere considerata comunque effettivamente rispettata, tenuto conto della possibilità di scontare gli andamenti ciclici.
Qualora il rapporto
debito/PIL fosse più alto del benchmark anche dopo l’aggiustamento per
il ciclo e rimanesse più elevato anche in prospettiva (nei due anni successivi
all’anno di riferimento),
- le operazioni di aggiustamento stock-flow del debito;
- le riserve accantonate e le altre voci dell’attivo del bilancio pubblico;
- le garanzie, specie quelle legate al settore finanziario;le passività, sia esplicite che implicite, connesse all’invecchiamento della popolazione;
- il livello del debito privato, nella misura in cui rappresenti una passività implicita potenziale per il settore pubblico.
Particolare
attenzione meritano, infine, gli interventi di sostegno tra Stati membri o nei
confronti dell’EFSF/MES nel contesto della salvaguardia della stabilità
finanziaria: qualora la regola non fosse rispettata,
1. Il vincolo di
copertura finanziaria delle leggi ed il procedimento di quantificazione degli effetti finanziari delle norme
L’articolo 81 della
Costituzione, nella nuova versione emersa dalla recente riforma costituzionale[204] pone,
al terzo comma, un vincolo di copertura finanziaria delle nuove leggi di spesa,
con formulazione sostanzialmente analoga a quella contenuta al quarto comma
della precedente versione dell’art. 81.
E’ previsto infatti
che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri debba provvedere ai mezzi
per farvi fronte.
Finalità della
regola di copertura è quella di assicurare che l’attività legislativa svolta
nel corso dell’esercizio finanziario sia sostanzialmente neutrale rispetto al
bilancio approvato e non alteri quindi gli equilibri ed il quadro di
compatibilità finanziarie da questo fissate. Pertanto ogni norma che comporti
una maggiore spesa o una riduzione di entrate deve essere corredata di una clausola
finanziaria che identifichi i mezzi per compensare tali effetti onerosi,
attraverso riduzioni di altri programmi
di spesa o incrementi discrezionali delle entrate.
In attuazione dell’art.81 Cost., l’art. 17 della legge n. 196/2009
identifica in modo tassativo le modalità di copertura degli oneri recati dalle
norme legislative. Tali mezzi di copertura devono consistere in:
a) utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali il
cui importo è indicato dalla legge di stabilità, destinati alla copertura
finanziaria di provvedimenti legislativi che si prevede siano approvati nel
corso degli esercizi finanziari compresi nel bilancio pluriennale;
b) riduzioni di precedenti autorizzazioni legislative di spesa;
c) modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori
entrate; resta in ogni caso esclusa la copertura di nuovi o maggiori oneri di
parte corrente attraverso l'utilizzo dei proventi derivanti da entrate in conto
capitale.
E’ altresì escluso l’utilizzo con finalità di copertura finanziaria
delle maggiori entrate, rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione,
che dovessero verificarsi per variazioni degli andamenti delle grandezze di
finanza pubblica sulla base della legislazione già in vigore. Queste risorse sono
infatti finalizzate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.
Il rispetto del vincolo
costituzionale implica che l’onere derivante dalle norme introdotte
nell’ordinamento – inteso sia come incremento di spesa sia come riduzione di
entrate – sia correttamente quantificato affinché possano essere
individuati i mezzi finanziari idonei a compensare gli effetti che le norme
medesime sono suscettibili di determinare sui bilanci pubblici.
Tale coerenza va
accertata, oltre che sul piano quantitativo, sotto il profilo temporale, per la necessaria
sincronia richiesta tra il determinarsi degli effetti onerosi e l’acquisizione
delle risorse con le quali farvi fronte.
Si richiama in proposito la giurisprudenza della Corte costituzionale, costante nel ritenere che la copertura di nuove spese «deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri» (cfr, tra le altre, le sentenze n. 106/2011, n. 100/2011 e n. 213 del 2008). L'obbligo di copertura deve essere quindi osservato con puntualità rigorosa nei confronti delle spese che incidono su un esercizio in corso e deve valutarsi il tendenziale equilibrio tra entrate ed uscite nel lungo periodo, valutando gli oneri già gravanti sugli esercizi futuri (sentenza n. 384 del 1991).
Più specificamente, sulla base
della più recente prassi applicativa della regola costituzionale, gli oneri ed
i relativi mezzi di copertura devono essere oggetto di contestuale
considerazione nel momento della elaborazione ed approvazione delle nuove
norme. La corrispondenza tra i medesimi deve essere quindi verificata:
· in termini quantitativi, dovendo l’ammontare degli oneri
essere equivalente a quello dei mezzi di copertura;
· in termini qualitativi, essendo posto un divieto
generale di compensare maggiori oneri di parte corrente con risorse di conto
capitale;
· in termini temporali, in quanto l’equivalenza tra
oneri e relativi mezzi di copertura deve sussistere con riferimento a ciascun
esercizio finanziario e, in linea di principio, per un periodo corrispondente
alla durata dell’onere medesimo. Di fatto, in sede di valutazione ex ante del rispetto del vincolo di
copertura, il periodo preso in considerazione nel quadro del procedimento di
quantificazione varia a seconda della tipologia di onere oggetto di
quantificazione.
L’art. 17 della legge n. 196/2009 ha disposto infatti che le relazioni tecniche presentate a corredo dei disegni di legge governativi debbano specificare, per la spesa corrente e per le minori entrate, gli oneri annuali fino alla completa attuazione delle norme e, per le spese in conto capitale, la modulazione relativa agli anni compresi nel bilancio pluriennale e l'onere complessivo in relazione agli obiettivi fisici previsti. Per le disposizioni legislative in materia pensionistica e di pubblico impiego, la relazione deve recare un quadro analitico di proiezioni finanziarie, almeno decennali, riferite all'andamento delle variabili collegate ai soggetti beneficiari e al comparto di riferimento.
La regola di
copertura trova applicazione nella fase dell’approvazione di nuove leggi di
spesa o di norme in grado di incidere sulle entrate pubbliche: i suoi effetti
si esauriscono quindi nel perseguimento del cosiddetto “pareggio a margine”,
ossia nella neutralizzazione dell’impatto sui conti pubblici delle disposizioni
via via introdotte nell’ordinamento, essendo quindi inefficace rispetto ad
effetti di maggiore spesa o di riduzione di entrate che dovessero prodursi
sulla base della legislazione già in vigore.
Per la neutralizzazione di eventuali effetti di maggior spesa che dovessero determinarsi, rispetto alle previsioni iniziali, nel processo di attuazione di norme onerose, l’articolo 17, commi 12 e 13, della citata legge n. 196/2009 ha previsto meccanismi di monitoraggio e salvaguardia. Tali commi prevedono infatti che, per le disposizioni corredate di “clausola di salvaguardia” [205], qualora in sede applicativa si determinino oneri eccedenti le originarie previsioni (oggetto di copertura finanziaria), il Ministro dell’economia e delle finanze, sulla base di apposito monitoraggio, adotta misure indicate nella clausola di salvaguardia e riferisce alle Camere con apposita relazione. La relazione espone le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini della revisione dei dati e dei metodi utilizzati per la quantificazione degli oneri autorizzati dalle predette leggi.
Inoltre, anche a prescindere dall’esistenza di una clausola di salvaguardia, Il Ministro dell'economia, allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, assume tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione. La medesima procedura è applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri.
1.1 Il
procedimento di quantificazione degli oneri e delle coperture finanziarie
In attuazione del
disposto costituzionale dell’art. 81 Cost., la legge n. 196 del 2009 disciplina
gli strumenti e le modalità preordinati alla corretta determinazione degli
oneri e dei relativi mezzi di copertura: quantificazione e copertura dell’onere
sono affidati ad analisi da svolgere all’interno di uno specifico procedimento
i cui esiti sono suscettibili di verifica tecnica in sede parlamentare.
Il procedimento di quantificazione è essenzialmente incentrato sulla relazione tecnica, ossia su un
documento, predisposto dal Governo e sottoposto a verifica da parte dei
competenti organi parlamentari, con il quale si dà conto degli oneri e delle
coperture e, più in generale, dell’impatto sulla finanza pubblica delle nuove
normative oggetto di esame parlamentare.
La relazione tecnica
non può tuttavia limitarsi ad indicare i risultati dell’attività di
quantificazione svolta in sede governativa, ma deve fornire anche i dati ed i metodi
utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni altro elemento utile
per consentire una verifica tecnica delle quantificazioni, da svolgere in sede
parlamentare.
L’obbligo di presentazione di una relazione tecnica a corredo dei disegni di legge del Governo, degli schemi di decreto legislativo e degli emendamenti di iniziativa governativa che comportino "conseguenze finanziarie", è stato introdotto dalla legge n. 362/1988 di modifica della normativa in materia di contabilità e finanza pubblica (art. 11-ter, della legge n. 468/1978). La stessa legge ha previsto la facoltà per le Commissioni parlamentari di richiedere al Governo la relazione tecnica anche sulle proposte di legge di iniziativa parlamentare.
L’articolo 17 della legge n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) ha innovato la disciplina in materia definendo in modo puntuale i presupposti, le modalità ed i termini per la predisposizione delle relazioni tecniche nonché il contenuto delle stesse. Le principali innovazioni consistono:
·
nell’individuazione
di precisi termini e modalità di trasmissione delle relazioni tecniche al
Parlamento e nell’obbligo per il Governo di indicare le ragioni di eventuali
ritardi. I regolamenti parlamentari potranno individuare ulteriori ipotesi di
obbligatorietà della trasmissione della relazione tecnica (comma 5);
· nell’obbligo di trasmissione dei dati in formato telematico (comma 5);
· nell’obbligo di aggiornamento della relazione al momento del passaggio di un progetto di legge da un ramo all’altro del Parlamento (comma 8);
· nell’obbligo di allegare alla relazione un prospetto riepilogativo degli effetti di ciascuna disposizione sui diversi saldi di finanza pubblica (comma 3).
Le normativa in materia di contabilità pubblica ha individuato un contenuto necessario delle relazioni tecniche, disponendo che le stesse debbano
indicare i dati e i metodi utilizzati
per la quantificazione, le loro fonti e
ogni altro elemento utile per la
verifica tecnica in sede parlamentare: ciò con l’intento di rendere
possibile, nell’ambito del procedimento legislativo, la ricostruzione esaustiva
del procedimento di quantificazione e la sottoposizione ad un vaglio di
coerenza e di attendibilità dei dati e delle ipotesi sui quali esso si fonda.
Il legislatore ha tuttavia optato per un modello flessibile, che
presuppone, accanto ad una comune struttura di base, contenuti differenziati
in ragione della natura e delle finalità delle norme oggetto di esame.
La legge n. 362/1988 e, successivamente, la legge n. 196/2009 hanno infatti individuato i contenuti indefettibili delle relazioni tecniche, in parte differenziati a seconda della materia trattata.
Oltre alla diversa proiezione temporale delle quantificazioni richiesta[206], la normativa individua contenuti specifici che le relazioni tecniche devono presentare a seconda della tipologia di onere oggetto di stima. In particolare, per le disposizioni legislative in materia di pubblico impiego, la relazione deve riportare i dati sul numero dei destinatari, sul costo unitario, sugli automatismi diretti e indiretti che ne conseguono fino alla loro completa attuazione, nonché sulle loro correlazioni con lo stato giuridico ed economico di categorie o fasce di dipendenti pubblici omologabili. Per il comparto scuola sono indicati anche le ipotesi demografiche e di flussi migratori assunte per l'elaborazione delle previsioni della popolazione scolastica, nonché ogni altro elemento utile per la verifica delle quantificazioni. Per le disposizioni corredate di clausole di neutralità finanziaria, la relazione tecnica dovrà riportare i dati e gli elementi idonei a suffragare l'ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica, anche attraverso l'indicazione dell'entità delle risorse già esistenti e delle somme già stanziate in bilancio, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime. Nel caso in cui una disposizione sia corredata di una clausola di salvaguardia, la relazione tecnica deve fornire i dati e gli elementi idonei a consentire la verifica della congruità della stessa.
1.2 La verifica parlamentare delle
quantificazioni
La relazione tecnica,
fin dalla sua introduzione nell’ordinamento, è stata configurata come lo
strumento mediante il quale il Governo:
· individua gli effetti finanziari delle
normative proposte e fornisce una stima, il più possibile attendibile, degli
oneri da esse derivanti e dei mezzi di copertura previsti;
· rende espliciti - e, pertanto, verificabili
nell’ambito del procedimento di approvazione delle leggi - tutti gli
elementi, le valutazioni nonché la sequenza dei passaggi di tipo
logico-matematico, attraverso i quali si è pervenuti alla definizione delle
medesime stime.
Come già
evidenziato, partecipano al procedimento di quantificazione i vari portatori
dell’interesse finanziario ossia, principalmente: le Amministrazioni di settore,
che predispongono le relazioni tecniche, ed il Ministero dell’economia e delle
finanze, che effettua una prima verifica delle stesse, che precede la
presentazione alle Camere (fase governativa); le Commissioni di merito e
La verifica delle
quantificazioni in sede parlamentare assume una specifica evidenza nel quadro
dell’attività consultiva svolta dalle Commissioni Bilancio di Camera e
Senato nell’ambito del procedimento legislativo: essa è infatti
propedeutica alla formulazione dei pareri che le due Commissioni sono
chiamate ad esprimere in merito agli effetti finanziari delle iniziative
legislative oggetto di esame presso i due rami del Parlamento. In questa sede,
le quantificazioni operate dalla relazione tecnica sono sottoposte a verifica
al fine di valutarne la coerenza sul piano del procedimento logico-matematico,
dell’attendibilità delle ipotesi e della validità dei metodi adottati,
dell’affidabilità dei dati utilizzati, della rispondenza delle stime al
contenuto delle norme. Per tali attività gli organi parlamentari si avvalgono
del supporto e dell’istruttoria tecnica dei competenti uffici della Camera e
del Senato.
Gli esiti delle
analisi tecniche svolte da tali strutture sono posti a disposizione degli
organi parlamentari e possono diventare il presupposto per la richiesta ai rappresentanti
del Governo di dati ed elementi ulteriori, di un’integrazione della relazione
tecnica ovvero di approfondimenti o maggiori chiarimenti su singoli profili.
Gli elementi
richiesti sono generalmente forniti, nel corso delle sedute delle Commissioni
competenti, dal rappresentante del Governo che, a sua volta, si avvale
dell’attività svolta dai competenti uffici governativi (uffici
dell’amministrazione avente competenza nella specifica materia trattata
dall’iniziativa legislativa, Dipartimento della Ragioneria generale dello
Stato, Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze,
ecc.).
Sulla base dell’istruttoria
tecnica svolta e degli ulteriori elementi raccolti,
Il parere
costituisce quindi l’oggetto di una pronuncia, assunta al termine di una
discussione parlamentare condotta sulla base di un’istruttoria tecnica e di un
confronto con i rappresentanti del Governo.
Il parere può essere favorevole e, quindi, confermare le quantificazioni operate dalla relazione tecnica, oppure può essere contrario in quanto considera non fondate le stime riportate oppure non adeguate o non disponibili le risorse utilizzate a copertura.
I casi più frequenti sono tuttavia quelli in cui
Le condizioni poste con il parere approvato dalla Commissione possono anche indicare la necessità di una rideterminazione delle stime originarie riportate nella relazione tecnica, alla luce di eventuali errori o di una inidoneità dei dati e delle ipotesi utilizzati ai fini della stima, individuati nel corso della verifica tecnica svolta in sede parlamentare. In tali casi il parere opera una revisione delle quantificazioni e, quindi, una riformulazione delle clausole di copertura finanziaria contenute nei progetti di legge.
Per le proposte
di legge di iniziativa parlamentare sprovviste di relazione tecnica,
Va precisato che la verifica delle quantificazioni si esplica, secondo un procedimento che ricalca sostanzialmente lo schema illustrato, anche sugli schemi di atti normativi del Governo trasmessi alle Camere per il parere parlamentare, che, qualora implichino entrate o spese, sono sottoposti all’esame della Commissione Bilancio, chiamata ad esprimersi sulle conseguenze finanziarie di tali provvedimenti.
Procedimento di verifica della
quantificazione degli oneri
e delle coperture finanziarie
In sintesi, il procedimento di verifica delle quantificazioni può
essere così rappresentato:
• predisposizione
da parte dei competenti Ministeri di una relazione tecnica a corredo di
un’iniziativa legislativa o di un emendamento governativi o, su richiesta delle
Commissioni parlamentari competenti, a corredo di una proposta legislativa di
iniziativa parlamentare;
• prima
verifica di coerenza delle quantificazioni e di conformità della relazione
tecnica alla normativa contabile da parte Ministero dell’economia e delle
finanze (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato), che appone un
visto, con il quale si attesta che la relazione tecnica è stata verificata
positivamente ovvero negativamente: la verifica negativa può riguardare i
profili di copertura e/o di quantificazione degli effetti finanziari del
provvedimento, cui la relazione tecnica si riferisce;
• trasmissione
della relazione tecnica al Parlamento, in allegato all’iniziativa legislativa o
all’emendamento del Governo ovvero in risposta alla richiesta formulata da una
Commissione parlamentare con riferimento ad iniziative legislative parlamentari.
La relazione è aggiornata nel passaggio ad un ramo all’altro del Parlamento o
su richiesta degli organi parlamentari;
• esame
della relazione tecnica e del testo normativo cui la stessa si riferisce da
parte della Commissione competente nella specifica materia su cui verte
l’iniziativa;
• elaborazione
di un testo e trasmissione dello stesso alla V Commissione (Bilancio) per
l’espressione del parere prescritto dal regolamento;
• esame
del testo e della relazione tecnica da parte della Commissione Bilancio, previa
istruttoria tecnica degli uffici competenti;
• eventuale
richiesta da parte della medesima Commissione, sulla base delle risultanze
dell’istruttoria, di un’integrazione della relazione tecnica ovvero di
ulteriori elementi e chiarimenti;
• espressione
del parere da parte della Commissione Bilancio;
• esame
ed eventuale recepimento del parere da parte della Commissione destinataria o
dell’Assemblea, secondo le modalità e con gli effetti previsti dai regolamenti
parlamentari.
1.3 L’attività del Servizio
Bilancio dello Stato
La verifica delle quantificazioni effettuata in sede parlamentare viene
espressamente qualificata dall’art. 17 della legge n. 196/2009 come di natura tecnica: essa si avvale pertanto, come
già segnalato, di un’istruttoria svolta dalle strutture amministrative
competenti della Camera e del Senato.
A tal fine sono state
costituite, presso i due rami del Parlamento, apposite strutture (Servizi
Bilancio) che hanno iniziato ad operare a partire dal
Tali strutture svolgono
una disamina dei testi legislativi e delle relative relazioni tecniche all’esame
della Commissione Bilancio, sottoponendo a verifica il procedimento di
quantificazione seguito dal Governo per la stima degli oneri derivanti dai
testi normativi nonché dei mezzi di copertura, qualora anche questi ultimi
siano oggetto di stima, come nel caso dell’utilizzo, a fini di copertura, di
maggiori entrate derivanti da nuove norme proposte.
La verifica tecnica
svolta dal Servizio Bilancio dello Stato ha per oggetto, in primo luogo, la rispondenza
della relazione tecnica alle norme proposte ossia ad accertare che tutti
gli effetti onerosi che il testo normativo è suscettibile di produrre siano
correttamente individuati e sottoposti a quantificazione. Sono quindi soggetti
a verifica i dati utilizzati dalla relazione tecnica, allo scopo di
riscontrane l’attendibilità ed il grado di aggiornamento: a tal fine sono
effettuate ricerche volte ad accertare che i dati utilizzati per la
quantificazione siano in linea con quelli forniti da altre fonti ufficiali e
che siano state utilizzate le più aggiornate basi di dati disponibili.
Cruciale si rivela a tal fine l’eventuale disponibilità di dati che scaturiscano da un’attività di monitoraggio dell’applicazione di normative analoghe già introdotte nell’ordinamento.
La valutazione ex ante dei profili finanziari delle norme, svolta nell’ambito del procedimento di produzione normativa, può infatti giovarsi dei risultati, laddove disponibili, della valutazione ex post degli effetti di norme già in vigore riguardanti fattispecie analoghe o assimilabili.
Sono diversi infatti i casi in cui viene prescritta tale attività di monitoraggio, soprattutto al fine di verificare il persistere, nel tempo, di condizioni di complessivo equilibrio finanziario nell’erogazione di prestazioni che costituiscano il contenuto di diritti riconosciuti in favore di specifiche categorie di soggetti.
Sono altresì oggetto
di verifica da parte del Servizio Bilancio: i metodi di quantificazione,
che devono consentire l’individuazione di tutti i possibili effetti, diretti ed
indiretti, derivanti dalle nuove normative proposte; il procedimento di
calcolo utilizzato, le ipotesi e le metodologie di stima - che
devono fondarsi su adeguati supporti statistici - ed ogni altro elemento su cui
si fonda la quantificazione.
All’analisi svolta
dal Servizio Bilancio dello Stato si affianca quella della Segreteria della Commissione Bilancio, che effettua un esame volto
a controllare la correttezza e la conformità alla normativa contabile delle
clausole di copertura finanziaria utilizzate e a verificare inoltre,
mediante apposite banche dati, la disponibilità effettiva dei mezzi di
copertura rinvenuti a valere su fondi speciali o derivanti da riduzioni di
autorizzazioni legislative preesistenti.
I contributi del Servizio Bilancio dello Stato e della Segreteria
della Commissione Bilancio confluiscono in un’unica nota di verifica delle quantificazioni, riferita a ciascun
provvedimento corredato di relazione tecnica, sottoposto all’esame della
Commissione Bilancio.
Come già accennato,
In ogni caso, la verifica tecnica compiuta dagli uffici competenti non
ha un proprio rilievo procedimentale, ma dà luogo ad una documentazione nella
piena disponibilità degli organi parlamentari e, in particolare, della
Commissione Bilancio, cui compete la valutazione finale della relazione tecnica
e degli effetti finanziari dei provvedimenti. L’attività del Servizio Bilancio
dello Stato, unitamente a quella della Segreteria della Commissione Bilancio, si
delinea quindi come uno specifico supporto tecnico nell’ambito del complessivo
procedimento di valutazione degli oneri e degli altri effetti finanziari, con
funzione meramente istruttoria rispetto alle determinazioni della Commissione Bilancio.
2. La copertura finanziaria riferita ai diversi saldi
di finanza pubblica
Tradizionalmente
la prassi parlamentare si è orientata
nel senso di verificare il rispetto dell’obbligo di copertura relativamente agli
effetti prodotti dalle nuove norme sul bilancio dello Stato e sul relativo
saldo (saldo netto da finanziare).
Sulla base di tale
impostazione, le relazioni tecniche allegate ai progetti normativi hanno per lo
più provveduto alla ricostruzione di tali effetti e alla valutazione
dell’idoneità dei mezzi di copertura, quantificando gli uni e gli altri secondo
i criteri ed i parametri che presiedono alla definizione delle grandezze del
bilancio dello Stato, espresse in termini di competenza finanziaria (competenza
giuridica e cassa).
Tale prassi ha
subito eccezioni in occasione dell’esame parlamentare delle leggi finanziarie
(più recentemente denominate leggi di stabilità) e, più in generale, delle manovre
di finanza pubblica, che, dovendo asseverare il perseguimento di obiettivi
fissati in sede europea, ormai da diversi anni sono accompagnate da relazioni
tecniche che espongono anche l’impatto delle singole disposizioni sui saldi
rilevanti ai fini del rispetto dei vincoli europei (l’indebitamento netto
della p.a. e, per i riflessi sul debito pubblico, il fabbisogno di cassa
del settore statale).
Tali parametri fanno riferimento ad aggregati contabili
più ampi del bilancio dello Stato, che riguardano l’intero comparto della
pubblica amministrazione[207].
Inoltre, le operazioni che ne influenzano l’andamento
sono per lo più contabilizzate secondo criteri diversi da quelli che
presiedono alla registrazione delle operazioni nel bilancio dello Stato. Per
quanto riguarda l’indebitamento/accreditamento netto, si fa infatti riferimento
alle convenzioni contabili del sistema “SEC
Per quanto attiene al fabbisogno il criterio contabile
cui fare riferimento è invece quello della registrazione
per cassa, ma con riguardo ad aggregati più ampi del bilancio dello Stato
(settore pubblico; settore delle pubbliche amministrazioni).
Tali saldi, rilevanti per il rispetto dei vincoli europei,
costituiscono informazioni finali di sintesi sullo stato complessivo della
finanza pubblica di ciascun Paese, elaborate ai fini della comparabilità dei
dati in ambito europeo e della verifica del rispetto dei parametri di stabilità
e di convergenza. La definizione preventiva dell’impatto delle normative
proposte su tali saldi e la disponibilità delle relative informazioni fin dalla
fase dell’iter parlamentare delle
norme ha assunto nel tempo un rilievo sempre meno eludibile, in particolare
alla luce delle prescrizioni contenute nel Patto di stabilità e crescita e, più
in generale, nella disciplina europea di bilancio.
Pertanto, recenti
indirizzi emersi nell’ambito dell’attività istituzionale di quantificazione hanno
evidenziato la necessità di estendere la valutazione dell’impatto delle
norme in termini di fabbisogno e di indebitamento anche ai provvedimenti
non direttamente inquadrabili nell’ambito di manovre economico-finanziarie. Ciò
al fine di rendere possibile, tendenzialmente per tutte le iniziative
legislative, un controllo non limitato alla verifica della neutralità
dell’impatto delle nuove normative sul
bilancio dello Stato (“copertura finanziaria” nell’accezione tradizionale) in
senso stretto, ma che si estenda anche alla valutazione dell’equilibrio
finanziario (“compensazione”) rispetto agli effetti prodotti sui saldi di
fabbisogno e di indebitamento netto.
Tali indirizzi sono stati codificati dalla legge n.
196/2009, di riforma della normativa in materia di contabilità e finanza
pubblica, che, all’art. 17, commi 3 e
Il procedimento di verifica della copertura finanziaria delle iniziative legislative si è quindi arricchito di elementi che attengono sostanzialmente alla necessità di verificare che l’introduzione delle nuove normative oggetto di esame parlamentare non alteri gli equilibri finanziari ed il complessivo quadro di compatibilità finanziarie fissato con la decisione di bilancio, di cui costituisce parte essenziale la coerenza con i parametri definiti nell’ambito del Patto di stabilità e crescita e il rispetto degli obiettivi conseguentemente definiti in sede europea.
Le analisi svolte e le stime effettuate nell’ambito del procedimento di verifica degli oneri e delle relative coperture sono andate quindi assumendo caratteri di maggiore ampiezza e complessità in quanto dirette a verificare la neutralità delle discipline proposte rispetto ai complessivi equilibri fissati con la decisione di bilancio.
Affinché tale processo non vada a detrimento della possibilità di una effettiva verifica tecnica in sede parlamentare – prescritta dalla legge n. 196/2009 - è tuttavia necessario che le relazioni tecniche non si limitino ad indicare gli effetti di ciascuna disposizione rispetto ai predetti saldi, ma siano corredate di elementi esaustivi sui dati ed i metodi utilizzati per effettuare le relative stime.
La citata legge n.196 ha quindi prescritto che, ai fini della definizione della copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi, la relazione tecnica debba sempre indicare il raccordo con le previsioni tendenziali riferite ai tre diversi quadri contabili di riferimento della finanza pubblica, riportando altresì i criteri per la quantificazione e la compensazione dei relativi effetti nell'ambito della stessa copertura finanziaria.
Le previsioni della legge n. 196 hanno trasfuso sul piano legislativo indicazioni già introdotte con direttive del Presidente del Consiglio dei ministri del 2004 e del 2006 che, nel formulare indirizzi per le amministrazioni competenti, avevano prescritto che le relazioni tecniche allegate alle iniziative legislative del Governo dovessero riportare gli effetti delle stesse rispetto ai tre diversi saldi e, in caso di differenze tra gli effetti stimati rispetto ai diversi aggregati, esplicitare le relative motivazioni.
In particolare, la direttiva del 2006 aveva anche precisato che le coperture finanziarie dei nuovi provvedimenti dovevano essere idonee a garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, nonché degli obiettivi contenuti nel Patto di stabilità, in relazione agli impatti sui saldi di finanza pubblica. A tale scopo nella relazione tecnica doveva essere dimostrato l’equilibrio di copertura con riguardo al saldo netto da finanziare del bilancio statale, al fabbisogno e all’indebitamento.
Infine, il D.L. 112/2008, all’art. 60, comma 7, aveva stabilito che, ai fini del rispetto dei parametri imposti in sede internazionale e del Patto di stabilità e crescita, nel definire la copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi, qualora fossero prevedibili specifici e rilevanti effetti sugli andamenti tendenziali del fabbisogno del settore pubblico e sull’indebitamento netto della P.A., il Ministero dell’economia e delle finanze dovesse fornire i relativi elementi di valutazione nella relazione tecnica.
Va peraltro osservato che, nonostante la vigente disciplina contabile contenga puntuali prescrizioni in tal senso, nella prassi non sempre le relazioni tecniche presentate a corredo delle iniziative legislative hanno pienamente risposto ai requisiti prescritti dalla normativa illustrata.
2.1 Regola di copertura e principio
del pareggio di bilancio
Come già ricordato, la valutazione relativa alla copertura finanziaria, effettuata ex ante, nella fase della formazione delle leggi – anche se sottoposta a riscontri successivi sia nel quadro dei controlli di legittimità sia nell’ambito delle procedure di monitoraggio ex post – riguarda il controllo dell’equilibrio “a margine” tra variazioni finanziarie di segno opposto prodotte dalle nuove norme.
L’entità di tali variazioni è valutata rispetto agli andamenti tendenziali sanciti dagli strumenti di programmazione e dalle relative deliberazioni parlamentari. Tali modalità di svolgimento del controllo preventivo di copertura tendono a limitare i possibili margini di discrezionalità nella valutazione degli equilibri finanziari insiti in ogni nuova decisione di spesa e a garantire la pari legittimazione dei titolari del potere di iniziativa legislativa a promuovere modifiche dell’ordinamento, salvaguardando l’equilibrio tra Parlamento e Governo nella valutazione dei profili di sostenibilità finanziaria delle innovazioni legislative via via introdotte.
Una specifica
considerazione riguarda il rapporto tra la regola di copertura finanziaria
e il principio del pareggio, enunciato dalla recente riforma
costituzionale, che entrerà in vigore dall’esercizio finanziario 2014.
Nell’esperienza applicativa della precedente versione dell’art. 81 Cost., era prevalso l’orientamento secondo il quale l’obbligo di copertura finanziaria non implicasse necessariamente un vincolo di pareggio di bilancio. Il requisito della copertura finanziaria rispondeva infatti all’esigenza di accertare la complessiva neutralità rispetto al saldo di bilancio delle norme in via di formazione, ferma restando la discrezionalità nell’impostazione della politica complessiva di bilancio, mediante gli strumenti programmatici e legislativi a ciò deputati.
La recente riforma dell’art. 81 Cost. - e la relativa disciplina
applicativa di cui alla legge n. 1 del 2012 e alla legge n.243 del 2012 - dopo
aver introdotto espressamente un obbligo complessivo di “equilibrio dei bilanci”,
ha ribadito la necessità del rispetto del vincolo di copertura, da verificare
con riferimento a ciascuna legge di spesa.
La regola della copertura finanziaria ex ante continua quindi a
costituire un presidio a tutela dei saldi e a garanzia della coerenza delle
leggi approvate in corso di esercizio con gli strumenti che definiscono
l’orizzonte programmatico pluriennale. Non sembra quindi alterato lo schema
concettuale di riferimento finora seguito per la valutazione dei nuovi oneri e
per la verifica della congruità dei mezzi finanziari predisposti per farvi
fronte.
Dalla riforma emergono tuttavia ulteriori profili che, in una prospettiva evolutiva, dovranno essere oggetto di considerazione nell’ambito del procedimento di quantificazione degli effetti delle leggi e di verifica degli equilibri finanziari insiti nelle nuove decisioni di spesa. Si rileva in primo luogo che il principio di equilibrio di bilancio è riferito dalla riforma al saldo strutturale, ossia al saldo del conto delle pubbliche amministrazioni (indebitamento/accreditamento netto), depurato della componente imputabile al ciclo economico e delle misure di carattere temporaneo (una tantum). Mentre la componente ciclica del saldo è in larga parte legata ad andamenti dei flussi di entrata e di spesa che prescindono dalla decisione legislativa, la valutazione del carattere temporaneo o meno delle entrate e delle spese imputate alla decisione medesima dovrebbe, alla luce della riforma dell’art. 81, essere oggetto di valutazione nell’ambito del procedimento di quantificazione degli oneri e delle coperture delle iniziative legislative, al fine di accertare che gli effetti derivanti dalle nuove norme non determinino peggioramenti del saldo strutturale. Tale esito si verifica ad esempio allorquando spese non rientranti tra quelle espressamente classificate come una tantum sulla base dei criteri enunciati in sede europea trovino copertura a valere su entrate o riduzioni di spese che presentino invece tali caratteri (per una più esaustiva definizione del saldo strutturale e dei criteri di individuazione delle misure una tantum si rinvia alla prima parte del presente dossier).
Ulteriori aspetti di
significativa evoluzione del procedimento di quantificazione e copertura
emergono dalla nuova configurazione della legge di bilancio, che troverà
applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2016. Nella legge di bilancio saranno infatti
contenute sia le nuove disposizioni in materia di entrata e di spesa, con
effetti finanziari aventi decorrenza nel triennio considerato dal bilancio
(prima sezione) – attualmente riportate nella legge di stabilità - sia le previsioni di entrata e di spesa, espresse
in termini di competenza e di cassa, formate sulla base della legislazione
vigente - che costituiscono il contenuto tipico dell’attuale legge di bilancio -
nonché le relative proposte di rimodulazioni da introdurre alle condizioni e nei limiti
previsti dalla legge dello Stato (seconda
sezione).
In base all’art. 15, comma 7, della legge n. 243/2012, le modifiche normative contenute nella prima sezione del disegno di legge di bilancio e le proposte di rimodulazione contenute nella seconda sezione relative a ciascuno stato di previsione sono corredate di una relazione tecnica sulla quantificazione degli effetti recati da ciascuna disposizione, nonché sulle relative coperture. Alla relazione tecnica è allegato un prospetto riepilogativo degli effetti finanziari di ciascuna disposizione ai fini del saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato, del saldo di cassa delle amministrazioni pubbliche e dell'indebitamento netto del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche. Le relazioni tecniche dovrebbero quindi dar conto anche dell’impatto sui diversi saldi delle rimodulazioni apportate alle previsioni di bilancio derivanti dalla legislazione già in vigore. Non è chiaro se in tale categoria debbano rientrare quelle variazioni che attualmente sono demandate ai cosiddetti strumenti di “flessibilità” del bilancio: in tal caso le valutazioni riportate nelle relazioni tecniche andrebbe a “coprire” anche un’area di variazioni delle grandezze di bilancio rispetto alle quali non si dispone attualmente di tale il corredo informativo.
Infine, ulteriori
profili evolutivi dell’attività di quantificazione degli oneri e delle
coperture potrebbero scaturire dall’esigenza di accertare, nell’ambito del
procedimento di produzione legislativa, non soltanto la neutralità delle nuove
decisioni di spesa (o di riduzione del gettito) rispetto al saldo di bilancio –
definito secondo i criteri di equilibrio prescritti dalla riforma
costituzionale – ma anche il persistere del sistema di compatibilità fissato
con la decisione di bilancio in ottemperanza ad altre regole fiscali di recente
introdotte, anche in recepimento di impegni internazionali e sopranazionali
(con particolare riferimento al cosiddetto Six
Pack e al Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione economica e
monetaria - Fiscal Compact).
Il procedimento di
definizione e di verifica parlamentare delle quantificazioni potrebbe quindi
farsi carico di accertare che le nuove norme oggetto di esame parlamentare non
compromettano il rispetto di ulteriori vincoli posti alla politica di bilancio, quali la regola
sulla spesa e quella sulla sostenibilità del debito, descritte sempre nella
prima parte del presente dossier.
Tali ulteriori
vincoli non sembrano configurarsi quali parametri alla stregua dei quali
accertare la sussistenza o meno della copertura finanziaria in senso stretto
delle norme, che dovrebbe continuare ad essere riferita ai possibili impatti
delle disposizioni rispetto ai saldi dei bilanci pubblici. Tuttavia la
valutazione della coerenza dell’intervento legislativo rispetto ai predetti
vincoli dovrebbe costituire uno degli elementi necessari a verificare il
persistere del complessivo quadro di compatibilità finanziarie iscritto nella
decisione di finanza pubblica.
3. Autorizzazioni e previsioni di spesa
Il D.L. n. 194/2002 (legge n. 246/2002) e, successivamente, la legge n. 196/2009, hanno posto, in attuazione dell’art. 81 Cost., uno specifico obbligo di indicare in ciascuna legge l’onere che dalla stessa discende con riferimento a ciascun esercizio finanziario e in relazione a ciascun intervento previsto.
E’ stata inoltre sancita la suddivisione delle fattispecie di spesa in due categorie: le autorizzazioni di spesa, qualificate come limiti massimi di spesa, e le previsioni di spesa, in relazione alle quali l’onere non può, in linea di principio, essere ricondotto ad un “tetto di spesa”.
Per entrambe le tipologie il legislatore ha individuato meccanismi volti a conservare nel tempo la coerenza tra onere e copertura finanziaria, contrastando o facendo fronte ad andamenti non previsti della spesa.
Più in particolare, per le norme configurate come autorizzazioni di spesa è previsto (art. 17, comma 10, legge n. 196/2009) che le stesse esplichino i propri effetti entro i limiti della spesa autorizzata e che perdano efficacia in caso di accertato superamento delle risorse autorizzate. Sono quindi stabilite procedure che, con notevole grado di automaticità, consentono, nella predetta ipotesi, la disapplicazione in via amministrativa delle norme medesime.
In altri casi, allorquando la norma sia suscettibile di configurare, in capo ai beneficiari, veri e propri diritti soggettivi e, quindi, il meccanismo della mera cessazione dell’efficacia delle norme non possa trovare applicazione, la norma finanziaria va formulata come previsione di spesa e deve essere corredata di un’apposita clausola di salvaguardia, per la compensazione di eventuali effetti che eccedano le previsioni stesse (art. 17, commi 1 e 12, legge n. 196/2009).
Per un’illustrazione della tematica delle clausole di salvaguardia si rinvia alla specifica scheda, di seguito riportata[209].
Per quanto attiene ai profili considerati nel quadro dell’attività di verifica delle quantificazioni, si osserva che, in presenza di autorizzazioni e, quindi, di limiti di spesa, che, in quanto tali, non possono determinare rischi di un onere eccedente la copertura predisposta, occorre comunque verificare se il limite massimo – annuo e complessivo – della spesa autorizzata a carico dei bilanci pubblici sia definito sulla base di una corretta identificazione dei costi connessi alla realizzazione dei singoli interventi. Ciò al fine di evitare che la norma di spesa approvata determini i presupposti di successive integrazioni e rifinanziamenti necessari per il completamento degli interventi.
Va inoltre accertato che l’onere configurato come limite di spesa riguardi effettivamente prestazioni non riconducibili a diritti o a posizioni tutelate con carattere di assolutezza dall’ordinamento, rispetto alle quali i meccanismi automatici di caducazione degli effetti della norma in presenza di un superamento della copertura inizialmente prevista potrebbero non costituire un efficace presidio per evitare scostamenti, con conseguenti effetti sul deficit.
Anche per quanto attiene alle previsioni di spesa, resta impregiudicata l’esigenza di un’accurata quantificazione dell’onere e della congruità dei mezzi di copertura apprestati tenuto conto che l’apposizione della relativa clausola di salvaguardia – volta a compensare eventuali effetti che eccedano la spesa prevista - non può in alcun caso ritenersi alternativa rispetto al corretto assolvimento in via preventiva dell’obbligo di copertura finanziaria. Nel corso del procedimento di quantificazione vanno altresì valutati i contenuti della clausola di salvaguardia per verificarne la rispondenza ai requisiti previsti dalla legge n. 196/2009, sotto il profilo dell’effettività, dell’automaticità, ma anche della sostenibilità e dell’efficacia dei meccanismi predisposti rispetto alla finalità del ripristino degli equilibri finanziari inerenti all’attuazione di ciascun intervento previsto dalla norma.
3.1 Le clausole di salvaguardia
La distinzione tra autorizzazioni, intese come limiti massimi di spesa, e previsioni di spesa, corredate di specifiche clausole di salvaguardia finanziaria - ora statuita dall’art. 17 della legge n. 196/2009 in attuazione dell’art. 81 Cost. - era già stata introdotta nell’ordinamento dal decreto-legge n. 194 del 2002[210].
Le disposizioni del decreto n. 194 – modificative della legge n. 468/1978 (art. 11-ter) - non hanno indicato un contenuto tipico della clausola di salvaguardia. La prassi applicativa di tali disposizioni ha consentito peraltro di elaborare un modello alquanto standardizzato di clausola di salvaguardia, che, in linea di massima, è riconducibile al seguente schema: a) monitoraggio degli oneri da parte del Ministero dell’economia; b) rinvio alla procedura prevista per l’adozione dei necessari provvedimenti correttivi, consistente nella presentazione di una relazione e di un’apposita iniziativa legislativa e/o nel rinvio alla legge finanziaria per l’adozione di misure correttive; c) in considerazione della specifica tipologia di intervento (diritti soggettivi), possibilità che il Ministro dell’economia attinga al Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d’ordine, in attesa dell’adozione dei necessari provvedimenti correttivi, con trasmissione alle Camere dei decreti di prelievo, corredati da apposite relazioni.
Nella maggior parte delle ipotesi il meccanismo di salvaguardia prefigurato dalle clausole si presentava quindi come un intervento correttivo di carattere provvisorio, in vista della successiva attivazione delle procedure generali di salvaguardia previste - in caso di andamenti finanziari non in linea con le previsioni o di eccedenze dei fabbisogni di spesa collegati a specifiche norme legislative - dall’ articolo 11-ter, comma 7 (relazione al Parlamento e assunzione da parte del Ministro dell'economia e delle finanze delle “conseguenti iniziative legislative”), e dall’articolo 11, comma 3, lettera i-quater, della stessa legge n. 468/1978 (inserimento nelle leggi finanziarie di misure correttive delle c.d. “eccedenze di spesa”).
La legge n. 196 del 2009 (art. 17, commi 1 e 12), confermando l’alternativa tra limite massimo e previsione di spesa e la necessità di apporre, in quest’ ultimo caso, una specifica clausola di salvaguardia, ha tuttavia definito i requisiti di tali clausole, qualificandole espressamente come effettive ed automatiche. Infatti, la clausola deve assicurare la corrispondenza, anche dal punto di vista temporale, tra l’onere e la relativa copertura finanziaria e deve essere suscettibile di diretta attivazione, sulla base di meccanismi prefigurati nelle clausole stesse. In questa ottica, le clausole devono indicare le misure di riduzione delle spese o di aumento delle entrate, da porre in essere nel caso in cui si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto agli oneri previsti, restando in ogni caso escluso il ricorso ai fondi di riserva. Sulla base di apposito monitoraggio, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro competente in relazione alla materia trattata, adotta le misure indicate dalla clausola e riferisce alle Camere con apposita relazione, che espone le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini della revisione dei dati e dei metodi utilizzati per la quantificazione degli oneri.
La relazione dovrebbe quindi costituire lo strumento per individuare aspetti del procedimento di quantificazione all’origine degli scostamenti determinatisi. In tal modo l’attività di monitoraggio, oltre ad impedire che si determinino effetti negativi sui saldi dovuti al disallineamento tra oneri e coperture, consentirebbe di affinare i metodi ed i criteri di quantificazione utilizzabili per la determinazione dell’impatto finanziario di norme afferenti a fattispecie analoghe.
Pertanto in occasione dell’esame di disposizioni corredate di clausole di salvaguardia, nell’ambito della verifica degli effetti finanziari particolare attenzione va prestata alla tipologia degli oneri che scaturiscono dalle norme medesime: ciò al fine di verificare se queste ultime prevedano effettivamente benefici o prestazioni riferibili a veri e propri diritti soggettivi o comunque erogazioni collegate ad impegni non derogabili o ad attività non comprimibili in considerazione della sopravvenuta insufficienza delle risorse stanziate. Per tali fattispecie si pone infatti l’esigenza di prefigurare, attraverso la clausola di salvaguardia, meccanismi idonei a ripristinare gli equilibri finanziari che presiedono alle procedure di spesa[211].
Una particolare novità, registrata nel corso degli ultimi anni, è stata l’esplicita previsione di clausole di salvaguardia anche con riferimento alle spese di missione previste dai disegni di legge di ratifica di trattati o accordi internazionali, in precedenza considerate, invece, contenibili all’interno di tetti massimi di spesa. In tal modo si è tenuto conto dell’osservazione, più volte formulata dalla Corte dei conti, secondo la quale “l’assunzione dell’obbligo di effettuare in via permanente determinati adempimenti – cui corrisponde una pretesa tutela dal diritto internazionale – non può consentire eventuali limitazioni agli adempimenti stessi per insufficienza delle risorse stanziate”[212].
Un andamento, invece, non costante nel corso del periodo in esame si è registrato con riguardo all’utilizzo di clausole di salvaguardia in presenza di minori entrate.
Si veda ad esempio l’articolo 3, comma 2, della legge n. 42
del 2011, che prevede una esplicita clausola di salvaguardia in presenza di oneri
dovuti a minori entrate, e l’articolo 3, comma 2, della legge n. 87 del 2011. Non
sono provviste della suddetta clausola provvedimenti di analogo tenore quali la
legge n. 8 del 2011 e la legge n. 241 del 2012.
Si ricorda in proposito che
Nella prassi applicativa dell’art. 17, comma 2, della legge
n.
Un primo aspetto riguarda la tipologia di intervento correttivo previsto dalla clausola. In linea di principio è emerso un indirizzo favorevole ad ammettere sia misure volte a produrre, in caso di scostamento, un incremento dei mezzi di copertura, sia meccanismi automatici volti a rideterminare in senso riduttivo la misura delle prestazioni dovute o dei diritti riconosciuti (riduzione dell’onere).
Quest’ultima tipologia di clausola ha peraltro trovato, anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 196, un’applicazione piuttosto limitata[214] probabilmente anche in considerazione della natura delle norme corredate di clausola, in massima parte attributive in capo ai destinatari di posizioni giuridiche difficilmente comprimibili in modo automatico.
In definitiva, le clausole di salvaguardia inserite nei provvedimenti legislativi dopo la legge n. 196/2009, di rado hanno previsto il ricorso ai meccanismi automatici di rideterminazione dell’onere.
Nella maggioranza dei casi esse sono state formulate in modo da prevedere, esplicitamente, mezzi aggiuntivi di copertura ai quali ricorrere in caso di scostamenti[215]. Il meccanismo di reperimento di tali risorse è stato nella maggior parte dei casi individuato nella riduzione (tagli lineari) delle dotazioni finanziarie iscritte nell’ambito delle spese rimodulabili di cui all’articolo 21, comma 5, lettera b), della legge n. 196 del 2009. I programmi e le missioni di bilancio interessati dalle riduzioni sono stati in genere individuati in analogia con la natura degli interventi da finanziare. In un numero più ridotto di casi[216] le clausole hanno invece indicato uno specifico fondo dal quale prelevare le risorse necessarie alla copertura degli eventuali scostamenti.
Va comunque evidenziato che, come più volte emerso nel corso dell’esame parlamentare, la previsione di meccanismi di reperimento di risorse ulteriori, da attivare in caso di oneri non in linea con le previsioni, non può essere considerata uno strumento alternativo al rispetto del vincolo di copertura ex ante, né può giustificare un procedimento di quantificazione degli oneri e dei relativi mezzi di finanziamento non ispirato ai consueti criteri di accuratezza, completezza e prudenzialità. Per tali ragioni è necessario che le relazioni tecniche riguardanti norme corredate di tali clausole di salvaguardia riportino comunque tutte le indicazioni volte a dar conto del procedimento seguito per la stima delle grandezze finanziarie coinvolte dall’intervento legislativo, nonché le informazioni necessarie alla verifica parlamentare di tali stime. In aggiunta, occorrerà dar conto dell’effettiva disponibilità e dell’idoneità delle risorse aggiuntive indicate dalla clausola di salvaguardia, da reperire nell’eventualità di scostamenti rispetto alle previsioni [217].
La legge n.
4. Le modalità di copertura dei nuovi oneri
L’obbligo di
copertura degli oneri derivanti da provvedimenti legislativi, prescritto
dall’articolo 81, quarto comma, della Costituzione (e confermato nel nuovo
testo dell’articolo 81, introdotto con la legge 1/2012)[218],
viene più specificamente disciplinato dall’articolo 17 della legge 196/2009, in
base al quale ciascuna norma di legge che comporti nuovi o maggiori oneri deve
indicare la spesa derivante dalla sua attuazione, per ciascun anno e per ogni
intervento da essa previsto, e deve altresì disporre una copertura
finanziaria idonea a garantire la
corrispondenza sia quantitativa sia temporale rispetto all'onere determinato
dalla norma. Come già accennato, l’articolo 17 specifica che sono consentite le
seguenti modalità di copertura finanziaria:
a)
utilizzo
degli accantonamenti iscritti con la legge di stabilità annuale nei fondi
speciali;
b)
riduzione
di precedenti autorizzazioni legislative di spesa;
c)
modificazioni
legislative che comportino nuove o maggiori entrate. Non è tuttavia consentita
la copertura di nuovi o maggiori oneri di parte corrente attraverso l'utilizzo
dei proventi derivanti da entrate in conto capitale (per es. dismissioni
immobiliari, cartolarizzazioni, alienazioni patrimoniali, assegnazione di
concessioni, sanatorie ed altre entrate straordinarie).
Le coperture a
valere sulle maggiori entrate (lett. c)
e quelle ottenute mediante riduzioni di precedenti autorizzazioni di spesa (lett. b) sono oggetto di specifiche
analisi nei capitoli che seguono, ai quali si rinvia.
Per quanto attiene
alla prima modalità di copertura sopra indicata (lett. a), si precisa che nei fondi speciali vengono iscritte
le risorse, determinate di anno in anno dalla legge di stabilità, destinate
alla copertura finanziaria di provvedimenti legislativi che si prevede siano
approvati nel corso degli esercizi finanziari compresi nel bilancio
pluriennale. La disciplina di contabilità fa riferimento, in particolare, ai
provvedimenti legislativi correlati al perseguimento degli obiettivi indicati
nel DEF, anche se fino ad oggi tale collegamento - introdotto con la legge
196/2009 - non ha trovato puntuale applicazione.
Le somme destinate alla copertura delle predette norme di legge vengono esposte, ripartite per Ministeri, in apposite tabelle allegate alla legge di stabilità: la tabella A riporta gli accantonamenti di parte corrente, la tabella B quelli di conto capitale. Ai sensi della disciplina di contabilità non sono consentiti né l'utilizzo di accantonamenti di conto capitale per iniziative di parte corrente né l'utilizzo di accantonamenti per regolazioni contabili e debitorie e per provvedimenti in adempimento di obblighi internazionali per iniziative recanti finalità difformi rispetto a tali regolazioni o impegni.
Nel corso della XVI
legislatura si è fatto inoltre ricorso ad alcune forme di compensazione degli
oneri che solo in parte sono assimilabili alle tipologie indicate espressamente
dalla disciplina di contabilità.
Si fa riferimento,
in primo luogo, all’utilizzo di risorse appostate in grandi fondi-capitolo caratterizzati
da finalità molteplici o non espressamente definite.
Si tratta, principalmente, del Fondo per interventi strutturali di politica economica, del Fondo per esigenze urgenti e indifferibili, Fondo strategico per il paese a sostegno dell’economia reale e del Fondo per le aree sottoutilizzate (ora denominato “Fondo per lo sviluppo e la coesione”, ai sensi dell’articolo 4 del D. Lgs. 88/2011).
Anche se l’utilizzo
di tali fondi è effettuata in genere con la tecnica della riduzione delle
autorizzazioni legislative ad essi sottostanti, questi strumenti sono
sostanzialmente trattati alla stregua di accantonamenti di importo alquanto
elevato, prelevati per una pluralità di interventi, di natura per lo più
eterogenea; tali utilizzi si collocano quindi al di fuori di un’espressa
programmazione annuale delle finalità di spesa, con conseguenti riflessi sotto
il profilo della trasparenza nelle allocazioni di bilancio. Il tema è trattato
nel capitolo relativo all’utilizzo di
fondi indistinti, al quale si rinvia.
Analogamente sono
state spesso utilizzate nel corso della legislatura le riduzioni lineari di
stanziamenti iscritti in bilancio, che non sono espressamente indicate
dalla normativa contabile tra le modalità tipiche di copertura e solo in parte
appaiono assimilabili alla categoria delle riduzioni di precedenti
autorizzazioni di spesa. Anche a tale proposito si rinvia alla specifica scheda
sui tagli lineari, riportata nel
presente dossier.
Infine, un ulteriore strumento al quale si è fatto frequentemente ricorso nelle ultime legislature per finanziare specifiche spese - anche se non risulta incluso fra le modalità tipiche di copertura ricordate in precedenza (fondi speciali, riduzione di autorizzazioni di spesa, aumenti di entrate) - è rappresentato dall’utilizzo, oltre i termini ordinariamente previsti dall’ordinamento contabile, dei c.d. “residui passivi”.
Sono definiti residui passivi le spese già impegnate e non ancora ordinate ovvero ordinate, ma non ancora pagate (residui propri). Nella categoria dei residui rientrano anche i cosiddetti residui impropri vale a dire quelle somme che non corrispondono a debiti giuridicamente sorti nei confronti dei terzi, in quanto corrispondono a spese previste per legge, ma di fatto non ancora impegnate o per le quali non è stata ancora delineata la figura del debitore. I residui vengono riportati nella relativa contabilità degli esercizi successivi fino a quando non siano pagati oppure oggetto di perenzione: infatti, in base all’ordinamento contabile, i residui passivi non pagati entro un determinato lasso di tempo a partire dall' esercizio a cui si riferiscono vengono eliminati dalle scritture dello Stato.
Più precisamente, la normativa contabile (si vedano le
modifiche apportate all’articolo 36 del regio decreto n. 2440 del 1923
dall’articolo 10, comma 8 del decreto-legge
Come già accennato, talune disposizioni legislative prevedono deroghe ai predetti limiti di utilizzo dei residui per consentire il mantenimento in bilancio e l’ utilizzo negli esercizi finanziari successivi di somme altrimenti destinate a costituire economie al termine dell’esercizio di riferimento.
Tali interventi possono essere diretti a consentire il finanziamento delle stesse finalità di spesa cui le risorse in questione risultavano in origine destinate oppure di nuove finalità, attraverso il meccanismo del riversamento delle somme all’entrata del bilancio per la successiva riassegnazione a capitoli di spesa riferiti ad interventi diversi da quelli originariamente previsti.
Tale fenomeno, collegato essenzialmente ai tempi di impegno
e di erogazione delle risorse iscritte in bilancio, presenta una serie di
profili problematici che sono stati evidenziati sia nel corso dell’esame di
specifiche norme presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato, sia dalla
Corte dei conti, nell’ambito delle sue relazioni al Parlamento sulle tipologie
di copertura. In particolare
Si osserva in proposito che, in linea di massima, l’utilizzo di somme in esercizi successivi a quello di riferimento può risultare neutrale con riferimento al saldo netto da finanziare. Ciò si verifica:
-
nel caso di mero mantenimento di residui in
bilancio, in quanto i relativi effetti vanno ad incidere essenzialmente sul
conto residui;
-
nel caso di riversamento all’entrata e successiva
riassegnazione alla spesa, in quanto si determina una compensazione tra un
effetto di entrata (riversamento dall’anno precedente) ed un identico effetto
di spesa (nuovo utilizzo).
Tale neutralità può, invece, non verificarsi con riferimento ai saldi relativi al più ampio perimetro della pubblica amministrazione (fabbisogno e indebitamento). Infatti, per i criteri contabili che presiedono alla costruzione di tali saldi, le somme trasportate non costituiscono un’entrata aggiuntiva per il comparto della p.a., mentre la spesa che ne deriva è suscettibile di incrementare gli esborsi complessivi effettuati nel nuovo esercizio verso altri settori[220].
Fra i casi che sono stati oggetto di rilievi da parte dei
Servizi Bilancio e della Corte dei conti, si segnala l’articolo 20, comma 1,
del DL 216/2011 (Proroga di termini 2012). La norma ha disposto la
conservazione nel bilancio (in conto competenza e in conto residui) delle somme
iscritte, nell’anno 2011, nel Fondo per il 5 per mille dell’IRPEF qualora non
impegnate entro il 2011. È stato disposto, pertanto, che tali somme fossero
utilizzate nel 2012. La relazione tecnica non ha ascritto alla norma effetti
sui saldi di finanza pubblica, affermando che le risorse non utilizzate nel
2011 erano già state scontate nei tendenziali di spesa a legislazione vigente
per l’esercizio successivo. Il Servizio Bilancio ha chiesto chiarimenti in
ordine alle ipotesi e ai criteri, anche quantitativi, utilizzati ai fini
dell’inclusione della spesa in questione nelle previsioni tendenziali.
Si osserva infine che l’adozione di regole sulla spesa in ottemperanza agli impegni assunti dall’Italia a livello internazionale[222] richiede un utilizzo particolarmente prudente di tali modalità di finanziamento degli interventi legislativi, considerato che le somme riportate all’esercizio successivo – non essendo presumibilmente incluse nei tendenziali per quell’anno – vanno ad aggiungersi ai livelli di spesa stabiliti in sede di programmazione[223] e sottoposti ai vincoli europei (percentuali massime di crescita della spesa rispetto all’evoluzione del prodotto interno lordo).
Tali aspetti appaiono significativi anche alla luce dell’entità
dei residui passivi potenzialmente interessati. Infatti, come sottolineato
dalla Ragioneria generale dello Stato[224], al
Si ricorda peraltro che, anche al fine di contrastare il
fenomeno della formazione dei residui passivi e in vista del potenziamento
dello strumento del bilancio di cassa previsto dall’articolo 42 della legge n.
196 del 2009, l’articolo 6, commi da
4.1 La copertura sulle maggiori
entrate
L’articolo 17 della legge n. 196 del 2009 enumera, tra le modalità di
copertura finanziaria delle leggi, le modificazioni legislative che
comportino nuove o maggiori entrate.
L’utilizzo di tale strumento di copertura presuppone l’adozione di un
intervento legislativo che, mediante l’introduzione di nuovi meccanismi impositivi,
ovvero l’inasprimento di quelli esistenti, garantisca la realizzazione di
entrate ulteriori rispetto a quelle previste in base alla normativa vigente.
Non possono invece essere
utilizzate a copertura le maggiori entrate risultanti dalla normativa già in
vigore ed imputabili a variazioni non previste del quadro macroeconomico e di
finanza pubblica: il comma 1-bis del
medesimo articolo 17 dispone infatti che le maggiori entrate, rispetto a quelle
iscritte nel bilancio di previsione, derivanti da variazioni degli andamenti a
legislazione vigente non possono essere utilizzate per la copertura finanziaria
di nuove o maggiori spese o riduzioni di entrate e devono essere finalizzate al
miglioramento dei saldi di finanza pubblica.
La copertura delle leggi mediante l’utilizzo di nuove o maggiori
entrate presenta, sotto il profilo della quantificazione, maggiori elementi di complessità
rispetto alle altre modalità enumerate dall’articolo 17 della legge di
contabilità, che fanno riferimento a risorse già individuate con esattezza nel
loro ammontare. Infatti, in caso di copertura mediante norme produttive di
maggior gettito, l’entità di tali risorse aggiuntive non può essere
predeterminata con certezza, ma è oggetto di una stima alla luce di ipotesi e
parametri da specificare nelle relative relazioni tecniche.
Nell’attività di verifica di tali coperture sono emersi elementi
problematici che attengono sia alla quantificazione degli effetti di maggiore
entrata sia all’imputazione contabile degli stessi.
· Meccanismi di
saldo/acconto
In merito al primo aspetto, occorre tener conto della distinzione tra effetti
di competenza giuridica ed effetti di cassa. Tale differenza diventa
particolarmente evidente nel caso delle norme relative alle imposte dirette che
vengono autoliquidate dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi.
Infatti, contestualmente al versamento a saldo delle imposte relative ai
redditi dell’anno precedente, i contribuenti versano le somme in acconto
dovute per l’esercizio successivo. L’acconto viene generalmente calcolato
secondo un criterio storico e, pertanto, sulla base dei redditi percepiti
nell’anno precedente e non tenendo conto delle modifiche normative introdotte.
Ciò comporta che, in termini di cassa, a tali innovazioni non sono
generalmente ascritti effetti nel primo anno di applicazione, ma a decorrere
dal secondo esercizio finanziario. In termini di competenza giuridica,
invece, l’effetto di maggior gettito è di importo costante a decorrere dal
primo esercizio di applicazione.
Secondo la prassi ormai consolidata relativa alle quantificazioni degli
effetti finanziari delle norme in materia di imposte dirette soggette ad
autoliquidazione, il criterio generalmente utilizzato per la stima di tali
effetti è quello di cassa, che applica il meccanismo saldo/acconto sopra
indicato. Gli effetti così stimati, utilizzabili anche per la copertura di
nuove norme onerose, sono contabilizzati ai fini dei tre saldi di finanza
pubblica (saldo netto da finanziare, indebitamento netto e fabbisogno).
In particolare, in caso di norme produttive di maggior
gettito, nel primo esercizio l’effetto di cassa è nullo; nel secondo è pari
all’effetto di competenza (saldo) incrementato dell’acconto (secondo una
percentuale che dipende dalla tipologia di imposta) per l’anno successivo; nel
terzo anno l’effetto di cassa va a
coincidere con quello di competenza.
Si osserva infine che le modalità di quantificazione descritte hanno fatto emergere profili critici in sede di copertura di nuovi oneri mediante previsioni normative produttive di maggior gettito, per la mancata contabilizzazione di effetti finanziari positivi da utilizzare nel primo esercizio di applicazione delle norme. Per ovviare a tale situazione è stata talvolta inserita nelle nuove normative produttive di maggior gettito una disposizione che prevede che la determinazione dell’acconto tenga conto in via obbligatoria delle modifiche normative introdotte. In questi casi, fermo restando il disallineamento temporale tra competenza giuridica e cassa, dovuto all’operare del meccanismo di saldo/acconto, gli effetti di gettito si producono anche nel primo anno di applicazione delle nuove disposizioni, in misura che comunque non può eccedere la percentuale dell’acconto dovuto (tale percentuale, ai fini delle stime di maggior gettito, viene generalmente identificata nel 75% per l’IRE/IRES e nell’85% nell’IRAP).
· Utilizzo di
modelli di micro-simulazione
Un elemento problematico per la verifica delle stime di maggior gettito riportate nelle relazioni tecniche, attiene all’effettiva disponibilità dei dati e delle informazioni sottostanti le predette quantificazioni. In molti casi, soprattutto con riferimento a norme di carattere fiscale, le relazioni tecniche si limitano essenzialmente a fornire il risultato finale delle quantificazioni, spesso ottenuto attraverso l’applicazione di modelli di micro-simulazione, di cui dispone l’Amministrazione finanziaria. Non assumono quindi un’esplicita evidenza, nella documentazione che dà conto dell’attività di quantificazione, parametri e valori di carattere intermedio, in quanto impliciti ovvero non considerati nel modello di simulazione utilizzato.
La mancanza di tali indicazioni non consente peraltro di procedere ad un’esaustiva ricostruzione dell’intero procedimento e, quindi, di disporre di elementi idonei a convalidare i risultati finali esposti nelle relazioni tecniche.
Il Servizio Bilancio dello Stato ha sottolineato, in diverse occasioni, come la carenza di informazioni di carattere intermedio a corredo dei risultati tratti dal modello faccia sì che la verifica delle stime, in ambito parlamentare, non possa basarsi che su ricostruzioni induttive, a partire da informazioni parziali o da considerazioni di carattere metodologico.
E’ stato altresì evidenziato che la conoscenza dei dati e dei parametri sottostanti le stime – quali ad esempio, per le norme di carattere fiscale, le basi imponibili, le aliquote e il numero di soggetti interessati dalle singole imposte oggetto di intervento, nonché ulteriori informazioni riferibili alle diverse quantificazioni (detrazioni, deduzioni, ipotesi adottate, ecc.) – assicurerebbe anche la comparabilità, nel tempo, degli elementi addotti a corredo di quantificazioni riferite a fattispecie analoghe.
Con particolare riferimento al disegno di legge di stabilità ed ai provvedimenti ad esso collegati, si rileva come la carenza di dette informazioni renda problematica anche una corretta analisi degli effetti finanziari delle proposte emendative presentate nel corso dell’esame parlamentare e, quindi, una verifica della compensatività delle stesse, necessaria ai fini del vaglio di ammissibilità delle proposte medesime.
· I criteri di
contabilizzazione dei crediti di imposta
Alla categoria dei crediti d’imposta è riconducibile una pluralità di fattispecie, che prevedono il riconoscimento in capo ai contribuenti di posizioni creditorie nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
Dal punto di vista contabile occorre distinguere i casi in cui tali posizioni creditorie derivino dalla costituzione, con specifiche norme, di un nuovo beneficio o regime di favore in capo al contribuente, dalle ipotesi in cui i meccanismi di compensazione mediante crediti di imposta rappresentino essenzialmente modalità di regolamentazione di rapporti tributari pregressi o aventi il proprio fondamento in altre fattispecie produttive di crediti per i contribuenti.
In linea generale, in base alla casistica più ricorrente, nella prima ipotesi (es. credito d’imposta agli autotrasportatori legato all’incremento delle accise sui carburanti[226] oppure credito d’imposta riconosciuto alle banche per l’importo corrispondente agli interessi sui finanziamenti agevolati erogati ai soggetti colpiti dal sisma in Emilia Romagna[227]) si iscrive una maggiore spesa (corrente o in conto capitale) a valere sui tre saldi di finanza pubblica.
In particolare, l’importo del credito di imposta che viene registrato sui saldi di indebitamento netto e di fabbisogno è quello che si prevede che venga effettivamente fruito dal contribuente attraverso la detrazione dalle imposte dovute nell’anno e quindi quello corrispondente al mancato versamento delle imposte. Nel bilancio dello Stato (e quindi ai fini del saldo netto da finanziare) viene quindi iscritto un apposito stanziamento che ha lo scopo di registrare la quota corrispondente al mancato versamento connesso al credito[228].
Qualora si versi invece nella seconda ipotesi, riguardante interventi sulle modalità di recupero di crediti fiscali vantati dal contribuente (es. l’ anticipo dell’utilizzo in compensazione dei crediti per imposte anticipate – DTA – risultanti nei bilanci delle banche[229] oppure la possibilità di cedere i crediti d’imposta vantati dalle imprese cinematografiche – tax credit - alle banche le quali, a loro volta, possono utilizzare in compensazione il credito[230]) si iscrive una minore entrata.
Negli ultimi anni, si è affermata la prassi della concessione dei crediti d’imposta entro un limite massimo di spesa. Tali norme hanno dato luogo generalmente all’imputazione di una maggiore spesa, pari al tetto massimo annuo individuato, contabilizzato in identica misura sui tre saldi di finanza pubblica.
In tali casi è necessario tuttavia prevedere una procedura di monitoraggio e/o meccanismi autorizzativi ai fini della fruizione del credito che garantiscano l’effettivo rispetto del limite prefissato. In particolare, in caso di utilizzo del credito mediante compensazione, la definizione di una simile procedura costituisce un indispensabile presidio a tutela dei saldi di finanza pubblica, dal momento che la fruizione dei crediti è caratterizzata da notevoli margini di automatismo che potrebbero determinare il superamento del tetto.
4.1.1 Utilizzo delle entrate da accertamento e lotta all’evasione
Le entrate tributarie da accertamento e da lotta all’evasione, a differenza delle entrate tributarie ordinarie, sono voci la cui stima presenta margini di incertezza in quanto riferite a crediti dell’Amministrazione non dichiarati dal contribuente. Il profilo aleatorio riguarda sia l’esito della procedura di accertamento sia, in caso di esito positivo, il quantum ossia la quota dei crediti accertati che viene realmente riscossa.
Pertanto, l’utilizzo di tali effetti di gettito ai fini della copertura finanziaria di norme onerose necessita di una particolare prudenza nella stima.
Va inoltre considerato che le relazioni tecniche relative a norme di potenziamento dell’attività di accertamento e riscossione spesso non indicano i criteri, le ipotesi e le metodologie adottate nella quantificazione degli effetti finanziari, limitandosi a fornire un obiettivo complessivo di maggior gettito. Nel corso dell’esame parlamentare di tali tipologie di interventi[231], è stata più volte evidenziata la necessità che fossero indicati gli elementi e i parametri oggettivi volti a suffragare l’effettiva realizzabilità di tali previsioni di maggior gettito, riportate nelle relazioni tecniche[232].
In linea generale, gli effetti finanziari positivi valutati in relazione a norme finalizzate al contrasto dell’evasione fiscale dipendono dal tipo di attività svolta (accertamento o riscossione) e non rilevano nella stessa misura sui saldi di finanza pubblica.
In particolare, con l’attività di accertamento viene determinato l’ammontare complessivo del credito vantato dall’Amministrazione. Ai fini del saldo netto da finanziare (competenza giuridica), la stima degli effetti di gettito è commisurata all’importo complessivo del credito che l’amministrazione finanziaria prevede di accertare. Per quanto concerne, invece, gli effetti sul fabbisogno e sull’indebitamento netto, occorre stimare i reali incassi che si prevede di realizzare. La misura in cui è prefigurato l’effetto su tali saldi dipende dalla tipologia di intervento adottato e dalle potenzialità di effettivo incasso ad esso ascritto, anche se i dati storici evidenziano una percentuale media di incasso intorno al 10% del valore complessivo accertato, fatte salve le differenze riferibili alla specificità dei singoli interventi.
Qualora, invece, la disposizione sia riferita ad un potenziamento dell’attività di riscossione, trattandosi di entrate già considerate ai fini del SNF, i relativi importi non sono imputati sul saldo del bilancio dello Stato (SNF), ma esclusivamente ai fini del fabbisogno e dell’indebitamento netto, applicando i criteri sopra indicati.
Nel corso della XVI legislatura sono state introdotte
numerose misure finalizzate al contrasto all’evasione fiscale. A titolo
esemplificativo, si segnala l’art. 83 del DL n. 112/2008, con il quale è stato
disciplinato un piano di ottimizzazione dell’impiego di risorse da destinare
all’attività di prevenzione e repressione dell’evasione fiscale (comma 3). Gli
effetti finanziari (maggiori entrate) sono stati valutati, per l’anno
Lo stesso articolo ha introdotto una semplificazione della gestione dei rapporti tra l’amministrazione fiscale e il contribuente (comma 18). I relativi effetti sono stimati, su base annua, in 830 mln ai fini del SNF e in 83 mln annui ai fini del fabbisogno e indebitamento.
In materia di riscossione, un esempio è l’art. 27, commi da
Un ulteriore aspetto che rileva ai fini della determinazione degli effetti finanziari è il profilo temporale, ossia la durata degli effetti previsti, che possono avere natura transitoria o natura permanente. Infatti, un potenziamento dell’attività di contrasto all’evasione o dell’attività di riscossione determina, in via transitoria, effetti di maggior gettito rispetto allo stock esistente al momento dell’ entrata in vigore della norma. Tuttavia, in relazione ad alcune misure, può essere stimato anche un maggior gettito di natura permanente dovuto ad effetti dissuasivi che la norma è suscettibile di determinare rispetto al comportamento dei contribuenti.
A titolo esemplificativo si ricorda l’art. 83, commi da
Nel corso della XVI legislatura sono state adottate diverse misure finalizzate al contrasto all’evasione fiscale, i cui effetti positivi (valori stimati) sono stati anche utilizzati per la copertura finanziaria di norme di carattere oneroso.
L’utilizzo di entrate, caratterizzate da una elevata aleatorietà, per la copertura di oneri “certi” necessita di criteri di particolare prudenzialità nella stima iniziale e andrebbe comunque accompagnato da una verifica a consuntivo diretta a confrontare le stime ex ante con gli effetti di maggior gettito realmente realizzati.
Per esaudire tale esigenza, la legge finanziaria
A decorrere dal 2013[234], la verifica sull’andamento dell’attività di accertamento dovrà essere contenuta nel Documento di Economia e Finanza (DEF), dal quale dovranno risultare le maggiori entrate strutturali effettivamente incassate derivanti dall'attività di contrasto all'evasione. Tali maggiori risorse - al netto delle entrate necessarie al mantenimento dell’equilibrio di bilancio e alla riduzione del rapporto tra debito e PIL, delle entrate derivanti a legislazione vigenti e dall’attività di recupero fiscale svolta dalle regioni, dalle province e dai comuni e delle risorse derivanti dalla riduzione delle spese fiscali – confluiranno nel fondo per la riduzione della pressione fiscale[235].
Successivamente, in allegato alla Nota di aggiornamento del DEF, sarà presentato un rapporto relativo ai risultati conseguiti nella lotta all’evasione. Il rapporto, tra l’altro, confronterà i risultati ottenuti con gli obiettivi prefissati, evidenziando – ove possibile – il recupero del gettito fiscale e contributivo attribuibile alla maggiore propensione all’adempimento da parte dei contribuenti.
Va peraltro considerato che elementi di incertezza riguardo all’entità delle entrate in esame riguardano - in misura diversa a seconda della tipologia di intervento introdotto - oltre che, come già visto, la fase di stima ex ante, anche quella della rendicontazione finalizzata alla verifica degli effetti realmente conseguiti dalle misure di potenziamento delle attività di accertamento e riscossione (si pensi, ad esempio, alla difficoltà di verificare l’effettivo verificarsi dei c.d. effetti dissuasivi).
Le relazioni annuali riferite agli esercizi dal 2008 al 2011 presentate dal MEF nel corso della legislatura riportano, da un lato, le principali norme approvate ed i relativi effetti finanziari ad esse imputati in sede di approvazione del provvedimento e, dall’altro lato, i risultati complessivi conseguiti in ciascun anno in termini di attività di accertamento. Non risulta quindi possibile, in via generale, effettuare una comparazione diretta tra singole norme e risultati effettivi di gettito ad esse riferibili. Ciò in quanto, come chiarito anche dalle relazioni, l’azione di contrasto all’evasione è protesa ad un obiettivo complessivo di continuo miglioramento della compliance, con un aumento del grado di adempimento spontaneo degli obblighi fiscali.
A titolo esemplificativo della complessità di un simile
raffronto, si consideri la relazione annuale[236] relativa
al
Come si evince dalla tabella che segue, l’incremento del risultato di gettito dell’attività di accertamento e riscossione realizzato nel 2011 rispetto al 2010 è stato pari a circa 2 miliardi di euro. Tale effetto, tuttavia, non potrebbe in linea teorica essere attribuito integralmente alle norme citate, tenuto conto che occorrerebbe considerare anche gli effetti di trascinamento di misure di potenziamento adottate, con effetto prolungato nel tempo, negli esercizi precedenti. Sotto il profilo degli effetti complessivi di gettito, inoltre, dovrebbe essere considerato – anche se non strettamente riconducibile alle operazioni di riscossione – l’effetto positivo di gettito dovuto a comportamenti più rispettosi degli obblighi fiscali indotti indirettamente dall’attività di accertamento. Questi, infatti, riflettendosi nelle dichiarazioni spontanee rese dai contribuenti, non sono inclusi nei risultati dell’attività di accertamento indicati nella tabella.
La seguente tabella illustra i risultati annui dell’attività di accertamento e riscossione , indicati nelle relazioni annuali, relativi alle riscossioni realizzate per tutti i tributi erariali e non erariali.
Riscossioni complessive riferite a tutti i
tributi erariali e non erariali(*)
(miliardi di euro) |
|
||||
anni |
2008 |
2009 |
2010 |
2011 |
|
importi |
6,8 |
9,1 |
10,6 |
12,7 |
|
(*) Fonte: Relazioni annuali concernenti i risultati derivanti dalla lotta all’evasione fiscale.
Per i motivi sopra illustrati, non sono evidenziati gli elementi di raccordo tra dati previsionali e dati di consuntivo. Tuttavia, la verifica ex post offre comunque elementi rilevanti per l’analisi e la valutazione delle stime di maggior gettito assegnate a misure successive di contenuto analogo, sottoposte all’esame parlamentare.
In particolare, l’analisi dei risultati offre elementi utili anche per valutare la possibile incidenza di effetti di natura permanente attribuibili al possibile incremento del grado di adempimento spontaneo dei contribuenti (cosiddetta tax compliance).
Nell’ultima relazione annuale concernente i risultati
derivanti dalla lotta all’evasione fiscale (aggiornata al 31 dicembre 2011) è
presente anche uno studio sperimentale finalizzato a determinare il valore
della c.d. tax compliance.
La relazione presentata il 28 settembre 2012 (aggiornata al 31 dicembre 2011) presenta in appendice uno studio concernente gli effetti in termini di compliance dell’attività di controllo e accertamento.
L’analisi, diretta a verificare se e in quale misura i contribuenti modifichino il loro comportamento dopo aver ricevuto degli accertamenti fiscali, è condotta assumendo le seguenti ipotesi:
- le verifiche possono produrre effetti immediati sul comportamento dei contribuenti (ad es., se effettuato nei primi mesi dell’anno, potrà influenzare la dichiarazione dei redditi relativa all’anno precedente non ancora presentata);
- non sono valutati gli effetti di deterrenza sui soggetti non controllati.
Lo
studio “ha carattere assolutamente sperimentale” anche in considerazione del
fatto che la stima di tali effetti non può prescindere da una metodologia volta
ad isolare gli effetti del ciclo economico e quelli dei singoli provvedimenti
legislativi. La relazione ricorda infatti che sul tema non esistono attualmente
metodologie standardizzate e consolidate di analisi, ma solo linee di ricerca
sperimentali tali da consentire di ottenere indicazioni sul fenomeno.
Al fine di analizzare i primi risultati in termini di tax compliance è stato definito un
indice denominato effetto del controllo. Tale indicatore viene calcolato
rapportando la percentuale dei contribuenti “migliorati” tra i controllati (per
singolo profilo) rispetto a quella dei migliorati che non hanno subito un
controllo nel periodo di tempo precedente la presentazione della dichiarazione
(ad es. per il confronto tra gli anni d’imposta 2004-2005 sono stati
considerati i controlli effettuati fino a giugno
In altre parole, si è proceduto in una prima fase a distinguere i soggetti controllati da quelli non controllati. Per ciascuno dei due gruppi è stata calcolata la quota percentuale di contribuenti che ha manifestato un cambiamento positivo. L’indice “effetto di controllo” rapporta l’effetto positivo verificatosi in assenza di controlli con quello verificatosi in presenza dei controlli.
Un valore dell’indice superiore a 1 indica che l’attività di controllo contribuisce positivamente nello spingere i contribuenti verso una maggiore tax compliance (rispetto a quelli non accertati).
Nella tabella che segue sono riportati dati, tratti dalla citata relazione del settembre 2012, riferiti all’indice “effetto di controllo” per tipologia di dichiarazione.
Media dei bienni 2004-05, 2005-06, 2006-07 – indice effetto del
controllo per profilo di dichiarazione
Tipo contribuente (1) |
Percentuale Positivi (2) |
Effetto del controllo (B)/(A) |
|
Non controllati (A) |
Controllati (B) |
||
|
|
|
|
UNICO |
0,57 |
1,06 |
1,86 |
730 |
0,00 |
- |
- |
770 |
- |
- |
- |
IVA |
11,15 |
14,82 |
1,33 |
UNICO+IVA |
12,59 |
20,73 |
1,65 |
730+IVA |
8,13 |
11,54 |
1,42 |
770+IVA |
6,12 |
5,61 |
0,92 |
No
Dichiarazione |
- |
- |
- |
Cambio
Profilo |
35,56 |
41,47 |
1,17 |
Esclusi
dall’analisi |
- |
- |
- |
|
|
|
|
Totale contribuenti |
9,66 |
18,93 |
1,96 |
Fonte:
Relazione concernente i risultati derivanti dalla lotta all’evasione fiscale aggiornata
al 31 dicembre 2011
(1) Individuati in base al tipo di dichiarazione presentata
(2) Percentuale contribuenti per i quali si delineano
maggiori incrementi fiscali
4.1.2 Utilizzo delle entrate da giochi e scommesse
Fra le misure finalizzate al reperimento di maggiori entrate da utilizzare per finalità di copertura, o comunque nell’ambito di manovre di riequilibrio dei saldi, si segnalano per frequenza e per rilevanza quelle riguardanti il settore dei giochi e delle scommesse. Anche nella legislatura appena conclusa il Parlamento, proseguendo una tendenza in atto nelle precedenti legislature, è ripetutamente intervenuto nella regolamentazione di tale comparto di entrata. In particolare, con riferimento agli interventi volti a promuovere una crescita della raccolta, sono state introdotte nuove modalità di partecipazione al gioco e sono state previste misure volte a contrastare le pratiche illegali e a indirizzare conseguentemente la domanda verso le attività regolate dallo Stato. A tali interventi sono stati ascritti significativi effetti di gettito[237], in relazione ai quali il Servizio Bilancio ha evidenziato la necessità di adottare quantificazioni ispirate a prudenzialità, in ragione della natura delle entrate da giochi, caratterizzate da un’elevata variabilità connessa alle condizioni che possono influenzare la domanda di mercato (propensione alla spesa, attrattiva esercitata dai prodotti offerti, gradimento del pubblico, condizioni dell’offerta).
Assumono quindi rilevanza gli andamenti del settore registrati nel corso degli anni considerati, nonché i possibili effetti di sostituzione che le nuove offerte possono determinare rispetto alle attività di gioco precedentemente praticate dagli stessi soggetti.
Infatti, mentre l’ampliamento della platea dei giocatori o l’intensificazione delle attività di gioco sono destinati a determinare – a parità di altre condizioni – un aumento della raccolta (e quindi, potenzialmente[238], una crescita del gettito erariale), lo spostamento di somme giocate da un segmento all’altro del mercato produce effetti di compensazione senza alcun vantaggio per l’erario.
Sotto un profilo metodologico tali problematiche richiedono - come detto - che nell’utilizzo delle entrate da giochi ci si attenga ad un principio di cautela, per il quale le previsioni di gettito e le ipotesi poste alla base delle relative stime (comportamenti dei destinatari della normativa, evoluzione del mercato) dovrebbero risultare il più possibile prudenziali, specialmente allorché tali introiti siano destinati a dare copertura a spese di carattere permanente.
Anche
Un ulteriore profilo problematico attiene alla considerazione che una significativa parte della disciplina in materia di giochi ha subito negli ultimi anni successive revisioni. È presumibile quindi che gli effetti di maggior gettito indicati dalle relazioni tecniche con riferimento a taluni interventi legislativi non siano da considerare come interamente aggiuntivi rispetto agli introiti erariali registrati sulla base della normativa previgente. È il caso delle norme in materia di apparecchi da intrattenimento contenute in distinti provvedimenti succedutisi nel corso della legislatura appena conclusa.
Inoltre, mentre l’affidabilità delle previsioni di gettito è limitata - come detto - per la presenza di una pluralità di fattori (interni ed esterni al comparto dei giochi) che possono incidere sulla maggiore o minore propensione del pubblico ad aderire alle offerte di gioco, la stessa verificabilità di tali previsioni è ridotta a causa della mancanza di una corrispondenza univoca fra le singole norme e i relativi effetti finanziari. Per esempio, nell’ambito dello stesso disegno complessivo finalizzato ad espandere la raccolta dei giochi, può verificarsi la compresenza di norme recanti effetti parziali di segno opposto per il bilancio dello Stato (aumento della tassazione sulle vincite/incremento dei compensi agli intermediari).
Si segnala infine - per completare il quadro di carattere generale relativo al comparto dei giochi - che nella XVI legislatura sono state approvate dal Parlamento per la prima volta, accanto alle predette misure volte ad assicurare maggiori proventi per l’erario, anche norme suscettibili di determinare un impatto di spesa: si tratta delle norme finalizzate ad affrontare le implicazioni sociali e sanitarie della dipendenza dal gioco d'azzardo[239].
·
Variabili che concorrono alla determinazione del
gettito e valutazione degli effetti finanziari
In linea generale, le principali variabili che concorrono a determinare gli effetti finanziari degli interventi nel settore dei giochi riguardano l’entità delle basi imponibili, la ripartizione delle somme di gioco e le modalità organizzative delle attività regolate.
Il primo fattore (basi imponibili) è a sua volta influenzato sia dalle scelte di diffusione commerciale dei prodotti di gioco sia dalle politiche di contrasto del gioco illegale. Di conseguenza, vengono generalmente ascritti effetti di incremento del gettito sia alla maggior parte delle misure finalizzate alla promozione commerciale dei giochi (perfezionamento delle formule di gioco esistenti o introduzione di nuovi prodotti di gioco) sia alle misure volte ad assicurare una maggiore osservanza delle regole fiscali (coordinamento degli organismi preposti alla vigilanza, attribuzione di nuovi poteri di controllo, previsione di programmi straordinari di accertamento).
In ordine alle stime di maggior gettito associate alle misure finalizzate all’ampliamento o all’emersione delle basi imponibili, si conferma che tali previsioni andrebbero improntate alla necessaria cautela, considerando che l’effettivo riscontro commerciale delle nuove formule di gioco e l’efficacia delle misure di controllo fiscale possono essere verificati soltanto a consuntivo. In proposito il Servizio Bilancio ha segnalato l’esigenza che siano comunque esplicitati i dati e gli elementi posti alla base delle stime, con particolare riferimento alle basi imponibili e ai livelli di gettito assunti come dato di partenza (ossia a normativa vigente), al fine di proiettare su di essi gli effetti, per singoli settori di intervento, delle misure legislative proposte. In tal modo dovrebbe essere possibile valutare anche il carattere di strutturalità e di continuità nel tempo delle nuove o maggiori entrate previste.
Il secondo fattore (ripartizione delle somme di gioco) è collegato alle opzioni che vengono esercitate dal regolatore sui principali meccanismi di organizzazione e di svolgimento dei giochi: aliquote di tassazione, vincite distribuite ai giocatori, modalità e livelli di remunerazione degli operatori della filiera.
Tendenzialmente, ai fini dell’ampliamento della raccolta (e
quindi delle basi imponibili), vengono considerati preferibili livelli
contenuti di tassazione e livelli più elevati di vincite e di remunerazione dei
gestori. Tali condizioni, infatti, aumentano l’attrattiva dei giochi,
incentivano gli investimenti nel settore (potenziando, quindi, la rete di
raccolta) e incrementano il livello di concorrenzialità dei giochi legali. Ciò
premesso, va tuttavia considerato che, a parità di altre condizioni, le
aliquote decrescenti possono determinare una riduzione del gettito erariale. Da
qui la necessità di valutare, di volta in volta, quali possano essere le
aliquote di equilibrio in grado di garantire - in concorrenza con gli altri
fattori sopra ricordati - il mantenimento o la crescita del gettito (senza
pregiudicare, quindi, il mantenimento o la crescita delle basi imponibili). Si
pone conseguentemente il problema - in sede di esame parlamentare delle
relative norme – di acquisire le ipotesi e gli elementi di dettaglio posti alla
base delle previsioni di gettito formulate. Tali aspetti sono stati
sistematicamente sottolineati dal Servizio Bilancio.
Peraltro il fenomeno del rendimento erariale decrescente
dei prodotti di gioco, a parità di volumi di raccolta lorda, è stato
rilevato anche dalla Corte dei conti nelle sue relazioni al Parlamento sulla
tipologia delle coperture. In particolare
Un esempio della complessità delle valutazioni circa gli effetti finanziari derivanti dalle innovazioni normative in materia di tassazione dei giochi è dato dai diversi provvedimenti di modifica delle aliquote che si sono succeduti nel settore degli apparecchi da intrattenimento (prelievo erariale unico e tassazione delle vincite). A tali provvedimenti sono stati ascritti effetti di maggior gettito, pur trattandosi in molti casi di misure di segno opposto (ossia, alternativamente, incrementi o riduzioni di aliquote)[241]. Da ciò sembra potersi desumere che – come detto - nel settore dei giochi i possibili effetti delle variazioni nella misura della tassazione vanno valutati anche in relazione agli altri aspetti sopra richiamati.
Nell’ambito delle predette valutazioni rientrano, inoltre, i
dati desumibili dal monitoraggio in corso d’anno dell’andamento della raccolta e del relativo gettito erariale. Nella passata legislatura tali dati[242]
hanno mostrato una crescita costante della raccolta, cui sono
corrisposti volumi crescenti del gettito erariale fino al 2011 e, nell’anno
2012, una flessione di tale gettito (circa 12,2 miliardi di euro, contro
i 12,6 miliardi nel 2011)[243].
Un ulteriore elemento che concorre alla determinazione degli effetti di gettito riguarda le modalità organizzative adottate per l’avvio o il rafforzamento delle iniziative di gioco. Si fa riferimento, per esempio, ai vari aspetti che caratterizzano i rapporti fra lo Stato, i concessionari e i gestori dei punti di vendita (per es. condizioni e termini di assegnazione di concessioni per l’esercizio di giochi e lotterie, termini di versamento del prelievo sulla raccolta, regime delle sanzioni per le condotte irregolari), nonché ai diversi strumenti e condizioni di accesso e di partecipazione ai giochi (per es. i cosiddetti conti di gioco introdotti dalla legge n. 88 del 2009 per i giochi on line).
Con riferimento alle norme volte a disciplinare gli aspetti qui richiamati, occorre innanzitutto considerare il già ricordato effetto di sostituzione, per il quale non tutta la raccolta legata ad un nuovo gioco può essere considerata di carattere aggiuntivo. In secondo luogo, va evidenziato che talune iniziative di gioco richiedono l’approntamento di basi tecnico-logistiche i cui effetti (di spesa) potrebbero in parte controbilanciare le previsioni di incremento del gettito. In terzo luogo va osservato che la maggior parte degli aspetti organizzativi sopra richiamati può incidere sulla tempistica di acquisizione delle nuove o maggiori entrate: di conseguenza le relative iniziative vanno valutate anche sotto il profilo della possibilità di produrre i previsti effetti di gettito nei tempi indicati (piena o graduale attivazione di tutti i meccanismi dell’offerta fin dall’avvio; piena o graduale partecipazione dei giocatori fin dall’avvio; allineamento degli effetti di cassa in presenza di modifiche nei termini di versamento delle imposte). Oltre a tali considerazioni, infine, il Servizio Bilancio ha osservato che non appare ispirata a un principio di cautela l’attribuzione di effetti di maggior gettito alle norme volte ad incrementare le sanzioni pecuniarie per condotte irregolari nel settore dei giochi: le ammende, infatti, sono finalizzate a minimizzare i comportamenti non corretti e quindi dovrebbero tendenzialmente influire in riduzione su questi ultimi, piuttosto che riflettersi in aumento sugli incassi da sanzioni.
Viceversa, possono essere ascritti effetti di maggior gettito - purché suffragati dai necessari elementi di analisi - alle sanzioni pecuniarie da accertamento e controllo, ossia a quelle applicate in presenza di irregolarità riferite a esercizi finanziari conclusi. Tali effetti, tuttavia, non potranno avere carattere strutturale, in quanto saranno limitati alla regolazione di rapporti fiscali pregressi[244].
4.2 La copertura mediante riduzioni
di spesa
Come in precedenza
illustrato, l’utilizzo dei fondi speciali e le riduzioni di autorizzazioni di
spesa rientrano tra le modalità espressamente individuate dalla disciplina di
contabilità, in attuazione dell’articolo 81 della Costituzione, per la copertura
finanziaria dei maggiori oneri derivanti dalle iniziative legislative.
Nell’ambito di tali mezzi di copertura, nella XVI legislatura si è registrato
un ricorso progressivamente più frequente alle riduzioni di autorizzazioni di
spesa. Si è osservato, invece, un utilizzo soltanto marginale dei fondi
speciali[245].
·
Profili metodologici
L’utilizzo, come
mezzo di copertura, della riduzione di autorizzazioni di spesa richiede il
rispetto di alcuni criteri prescritti dalla vigente disciplina contabile:
•
equivalenza
quantitativa e allineamento temporale fra la precedente spesa che si intende
definanziare e la nuova spesa che si intende coprire.
Come già rilevato, la capienza dell’autorizzazione di spesa da ridurre e la valenza della riduzione in termini di sviluppo temporale vanno verificate, oltre che con riferimento agli effetti sul bilancio dello Stato (che normalmente corrispondono all’importo autorizzato dalla norma), anche con riferimento ai saldi di fabbisogno e di indebitamento netto[246]. I medesimi principi sono richiamati nella circolare RGS 32/2010 sulla corretta applicazione della legge n. 196/2009 ai fini della predisposizione delle relazioni tecniche[247];
• finanziamento degli oneri di parte corrente con risorse di parte corrente. Infatti la disciplina di contabilità[248] non consente la dequalificazione della spesa, ossia l’utilizzo di risorse in conto capitale per finanziare oneri correnti, in quanto ciò determina un peggioramento del saldo corrente;
•
l’autorizzazione
di spesa che si intende definanziare non deve riguardare risorse preordinate ad
adempimenti di carattere obbligatorio (per esempio, impegni internazionali o
regolazioni debitorie) o comunque finalizzate ad interventi per i quali siano
già sorte le relative obbligazioni di spesa.
Diversamente, si costituirebbero i presupposti per un
successivo rifinanziamento della medesima autorizzazione e si vanificherebbe,
quindi, la copertura finanziaria apprestata a valere sulle risorse destinate ai
predetti adempimenti. In particolare, tale problematica appare rilevante nel
caso in cui si utilizzino stanziamenti iscritti in bilancio tra i capitoli
aventi natura obbligatoria per i quali, in caso di necessità, è possibile
prevedere, in via amministrativa, il reintegro del relativo stanziamento
mediante prelievo dal Fondo di riserva per le spese obbligatorie e di ordine di
cui all’articolo 26 della legge n. 196 del
A tale proposito si ricorda la riduzione dell’autorizzazione di spesa
di cui all’articolo 3, comma 1, della legge n. 170 del 1997, recante la copertura finanziaria del provvedimento di
ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta contro la
desertificazione. Le risorse relative a tale autorizzazione di spesa sono
iscritte nel capitolo 2302 dello stato di previsione del Ministero degli affari
esteri e sono state utilizzate da numerose leggi[249].
Tuttavia, alla luce dei rilievi critici formulati dalle Commissioni bilancio
della Camera e del Senato in occasione dell’esame parlamentare dei
provvedimenti che prevedevano l’utilizzo delle suddette risorse, il Governo, a
decorrere dalla legge di bilancio relativa al triennio 2011-
Poiché, inoltre, la
riduzione di autorizzazioni di spesa consiste nello spostamento di risorse da
una finalità, per la quale erano state inizialmente stanziate le somme, ad una
nuova, il suo impiego richiederebbe l’evidenziazione – nella relazione tecnica
– dei seguenti elementi:
•
effettiva
disponibilità delle somme nell’ambito degli stanziamenti dai quali si attinge;
•
assenza
di programmi di spesa che possano determinare la necessità di destinare
ulteriori risorse all’autorizzazione di
spesa su cui si incide;
•
ragioni
del mancato utilizzo delle risorse per le finalità cui erano originariamente destinate.
In
particolare, le relazioni tecniche dovrebbero precisare se la disponibilità
delle somme sia dovuta ad imprecisioni nella iniziale quantificazione (da cui è
derivata una stima per eccesso degli oneri), ovvero ad una modifica
sopravvenuta nella realizzazione degli obiettivi perseguiti dal precedente
stanziamento.
Sulla necessità di
corredare di idonei elementi informativi la modalità di copertura in esame si è
espressa anche
Nel corso della XVI legislatura le riduzioni di autorizzazioni di spesa per la copertura di nuovi oneri sono state utilizzate, ad esempio:
· con l’articolo 3-ter del DL 211/2011 (Contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri). La norma ha previsto la realizzazione di strutture sanitarie da destinare all’assistenza psichiatrica. Per far fronte ai relativi oneri (di costruzione e ristrutturazione, nonché di personale) è stata disposta la riduzione di alcune autorizzazioni di spesa, fra cui quelle di cui all'articolo 20 della legge 67/1988[[250]] e all’articolo 2, comma 361, della legge 244/2007[[251]];
· con l’articolo 5 del DL 138/2011 (Stabilizzazione finanziaria e sviluppo). La norma ha autorizzato, per l'anno 2011, la spesa di 7 milioni di euro per il ripristino e la messa in sicurezza delle infrastrutture della Basilicata colpite nel febbraio-marzo 2011 da eventi calamitosi. La copertura è stata disposta mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa relativa al potenziamento e al funzionamento del sistema informativo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti[252];
· con l’articolo 31-bis del DL 5/2012 (Semplificazione e sviluppo). La norma ha istituito una Scuola di dottorato internazionale in Abruzzo, operante in via sperimentale[253] per un triennio. A tal fine è stata autorizzata la spesa di 12 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015. La copertura è stata effettuata a valere sui fondi per la ricostruzione dell'Abruzzo e sulle risorse destinate all'Abruzzo nell'ambito del Fondo per lo sviluppo e la coesione (ex FAS).
Nel corso dell’esame delle
predette norme presso
Come in precedenza rilevato, nel corso della legislatura appena conclusa si sono progressivamente affermate tipologie di copertura, parzialmente assimilabili alle riduzioni di autorizzazioni legislative di spesa, consistenti nell’utilizzo di risorse appostate in grandi fondi-capitolo (fondi indistinti) finalizzati ad interventi di natura spesso eterogenea[255] e nelle riduzioni lineari di stanziamenti iscritti in bilancio. Per un’analisi più dettagliata di queste forme di finanziamento si rinvia agli specifici paragrafi dedicati a tali argomenti, riportati nel presente dossier. Ci si limita qui a rilevare che, in generale, in occasione dell’utilizzo di tali strumenti per finalità di copertura finanziaria di nuovi oneri, non sempre risulta agevole disporre, con riferimento a ciascuna posta di spesa interessata, di tutti gli elementi di valutazione sopra indicati e, in particolare, di quelli necessari a verificare l’equivalenza – sia in termini quantitativi che temporali – tra gli effetti finanziari imputabili alle precedenti decisioni di spesa e quelli ascrivibili ai nuovi interventi da finanziare.
·
Riduzioni di autorizzazioni di spesa versus utilizzo
fondi speciali
Il grafico di seguito riportato dà conto della frequenza del ricorso ai fondi speciali ovvero a riduzioni di precedenti autorizzazioni di spesa in occasione dell’approvazione di nuove leggi – con esclusione delle leggi di stabilità - intervenute nel periodo 2008-2012.
Come si può osservare, le riduzioni di precedenti autorizzazioni di spesa sono sempre risultate prevalenti rispetto all’utilizzo dei fondi speciali: su tale andamento ha sicuramente inciso la progressiva riduzione degli stanziamenti iniziali dei fondi speciali, ma anche la specifica configurazione assunta dalle coperture mediante riduzioni di autorizzazioni di spesa, che sono andate polarizzandosi intorno ad un numero ridotto di autorizzazioni, tra cui quelle relative ad alcuni fondi-capitolo (fondi indistinti) [256], dotati di ingenti disponibilità di bilancio, descritti in un successivo paragrafo al quale si rinvia (cfr. infra).
Per una corretta interpretazione dei dati riportati nel grafico, va comunque precisato che:
· non tutte le riduzioni di autorizzazioni di spesa imputate a tali fondi sono state finalizzate alla copertura di nuovi oneri legislativi, in quanto ingenti risorse dei fondi sono state anche finalizzate anche al conseguimento di obiettivi di riduzione del deficit nel quadro di manovre di finanza pubblica;
· il ricorso a decurtazioni dei predetti fondi ha talvolta costituito la modalità contabile di utilizzo di risorse ottenute mediante altre tipologie di interventi, ivi comprese misure discrezionali sul lato delle entrate. Infatti, i predetti fondi sono stati in diversi casi utilizzati come “serbatoi” nei quali appostare risorse provenienti da interventi di incremento del gettito o da risparmi di spesa, in vista di un loro successivo utilizzo per realizzare gli obiettivi programmatici di deficit ascritti alle manovre di finanza pubblica.
·
Riduzioni di spesa e regole fiscali europee
Si osserva infine
che, alcuni impegni attinenti alla politica fiscale, di recente assunti
dall’Italia a livello internazionale – tra cui quelli riferiti all’evoluzione
della spesa -, hanno trovato attuazione normativa nella legge 243/2012
(Attuazione del principio del pareggio di bilancio).
Per una disamina
della “regola sulla spesa” in rapporto all'obiettivo di saldo strutturale di
bilancio, si rinvia alla prima parte del presente Dossier. Ci si limita qui a
ricordare che la legge 243/2012 ha
recepito il principio prevedendo - all’articolo 5 - che il tasso annuo
programmato di crescita della spesa delle amministrazioni pubbliche, al netto
delle poste indicate dalla normativa dell'Unione europea, non possa essere
superiore al tasso di riferimento calcolato in coerenza con la medesima
normativa.
Tenuto conto che il predetto
vincolo sulla spesa è volto a rafforzare il raggiungimento dell’obiettivo di
medio termine (ancorché in concorso con eventuali misure discrezionali dal lato
delle entrate), la compatibilità con il medesimo è stata presa in
considerazione in occasione della valutazione delle conseguenze finanziarie di
talune norme adottate nell’ultima parte della XVI legislatura.
Si fa riferimento, a titolo esemplificativo, al provvedimento
recante deroghe in materia di accesso al trattamento pensionistico (C. 5103-A),
nell’ambito del quale la copertura finanziaria è stata disposta a valere su
misure di incremento delle entrate[257]. Rispetto a tale
modalità di copertura,
4.2.1 Utilizzo di Fondi indistinti
Come detto, tra le modalità di copertura espressamente previste dall’articolo 17 della legge n. 196 del 2009, nel corso della XVI legislatura si è registrato un utilizzo sempre meno consistente all’impiego degli stanziamenti iscritti nei fondi speciali ed un ricorso sempre maggiore alla riduzione di precedenti autorizzazioni di spesa. Il perimetro di tale ultima tipologia di copertura si è progressivamente ampliato anche in ragione dell’utilizzo di alcuni capitoli-fondo, istituiti sulla base di norme di legge, quali il Fondo per interventi strutturali di politica economica, il Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili e il Fondo per le aree sottoutilizzate (ora denominato Fondo per lo sviluppo e la coesione)[260].
I primi due fondi
sono stati iscritti nello stato di previsione del Ministero dell’economia e
delle finanze e hanno entrambi natura di parte corrente, mentre l’ultimo è
iscritto nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico e ha
natura di conto capitale.
Un’autonoma
considerazione merita, inoltre, il “Fondo per la compensazione degli effetti
finanziari non previsti a legislazione vigente conseguente all’attualizzazione
dei contributi pluriennali”, istituito dall’articolo 6, comma 2, del DL
154/2008 con la specifica finalità di compensare effetti peggiorativi sul
fabbisogno e sull'indebitamento netto connessi all’attuazione di disposizioni
legislative che autorizzano contributi pluriennali[261]. Il
Fondo, iscritto in bilancio solo in termini di cassa, è stato
inizialmente dotato di risorse per soli due anni (2010 e 2011), ma è stato
successivamente più volte rifinanziato[262], da
ultimo con l’articolo 1, comma 291, della legge 228/2012. Anche tale fondo è
stato peraltro oggetto di taluni utilizzi non pienamente riconducibili alla sua
funzione originaria, come di seguito illustrato.
I predetti Fondi presentano caratteristiche eterogenee, ma sono accumunati dal fatto di essere stati utilizzati per la copertura, nel corso degli ultimi esercizi finanziari, di oneri assai diversi tra loro, non sempre strettamente riconducibili alle finalità per le quali i fondi medesimi sono stati istituiti. In alcuni casi il ricorso a tali strumenti per la copertura di interventi svariati di spesa è stato favorito dalla denominazione e dalle ampie finalità dei medesimi fondi, non sempre specificamente definite dalle norme istitutive.
In particolare, il Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili è stato istituito, ai sensi dell’articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge n. 5 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 33 del 2009, al fine di assicurare il finanziamento di interventi con particolare riguardo ai settori dell’istruzione e agli interventi organizzativi connessi ad eventi celebrativi. Sulla base del dettato normativo, il Fondo è utilizzato mediante decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Con i medesimi decreti sono individuati gli interventi da finanziare e i relativi importi nonché, ove necessario, le modalità di utilizzo delle risorse.
Il Fondo, tuttavia, non è stato utilizzato solo in via amministrativa, ma anche con successive disposizioni legislative per finanziare finalità di spesa non sempre strettamente riconducibili alla natura propria di tale strumento finanziario, nonostante la denominazione del Fondo sia molto ampia e non sia mai stato precisamente delineato il perimetro delle misure finanziabili con le risorse ad esso assegnate.
Nel Fondo per lo sviluppo e la coesione (già Fondo
per le aree sottoutilizzate – FAS), istituito ai sensi dell’articolo 60, comma
1, della legge n. 289 del 2002, sono invece iscritte tutte le risorse
finanziarie aggiuntive nazionali, destinate a finalità di riequilibrio
economico e sociale, nonché a incentivi e investimenti pubblici, nel quadro
della programmazione dei fondi europei destinati alle politiche di coesione. La
dotazione del Fondo è ripartita dal CIPE con proprie deliberazioni. Tuttavia,
questo Fondo, come il precedente, è stato utilizzato anche per il finanziamento
di interventi legislativi non riconducibili alle sue originarie finalità. Tale
utilizzo ha presentato specifici profili problematici connessi in primo luogo
alla necessità di verificare che il prelievo di risorse per il finanziamento di
nuovi interventi non compromettesse programmi di spesa già previsti a valere
sulle medesime risorse. Inoltre, in alcuni casi è stato necessario procedere ad
una riduzione delle risorse del Fondo in misura anche considerevolmente
superiore agli oneri da finanziare: ciò in ragione del fatto che le risorse in
questione hanno in gran parte natura di conto capitale e presentano un
coefficiente di spendibilità annua piuttosto basso a causa delle complesse
procedure previste per il loro utilizzo. Da ciò consegue che l’impatto sui
saldi di cassa delle spese normalmente effettuate a carico del Fondo è
piuttosto diluito nel tempo. Pertanto un utilizzo di tali risorse per la
copertura di spese di parte corrente o comunque di interventi che presentano
tempi più rapidi di erogazione, comporta la necessità di operare riduzioni del
Fondo (in termini di competenza giuridica) più che proporzionali rispetto
all’onere da coprire, al fine di non determinare impatti negativi sui saldi di
cassa. Per una più esaustiva illustrazione di tale criterio di copertura si
rinvia all’approfondimento, contenuto nel presente dossier, dedicato al finanziamento della spesa in conto capitale
ed alla copertura di interventi con risorse di parte capitale [263].
L’esempio più rilevante dell’ampliamento del riscorso a
riduzioni di autorizzazioni di spesa riferite a capitoli-fondo è rappresentato
dall’utilizzo del Fondo per interventi strutturali di politica economica,
istituito ai sensi dell’articolo 10, comma 5, del decreto-legge
Si ricorda che, in origine, attraverso tale Fondo sono state iscritte in bilancio le somme derivanti dal versamento della seconda e della terza rata dell’oblazione relativa al condono edilizio. Esso è stato inoltre istituito con l’espressa finalità di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale, senza, tuttavia, che siano state esplicitamente previste le modalità - anche amministrative - del suo utilizzo. Negli ultimi anni il Fondo è stato più volte rifinanziato, ma solo in un numero limitato di casi è stata precisata la finalità del rifinanziamento.
Si tratta, in
particolare, dell’articolo 63, comma 10, del decreto-legge n. 112 del 2008, che
ha integrato il Fondo assegnando la quota incrementale delle risorse ad esso
attribuite ai rinnovi contrattuali e agli adeguamenti retributivi del personale
delle amministrazioni statali nonché all'attuazione di interventi per Roma
capitale. L’articolo 55, comma 6, del decreto-legge n. 78 del 2010, e
l’articolo 40, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011 hanno disposto
ulteriori integrazioni finalizzando le relative risorse, rispettivamente, all’attuazione
della manovra di bilancio relativa all’anno 2011 e all’anno 2012.
Inoltre, la dotazione del Fondo è stata utilizzata per il finanziamento di interventi eterogenei con riferimento sia alle finalità sia all’entità delle riduzioni previste.
In occasione dell’esame presso
In considerazione delle limitate informazioni relative ai fondi sopra indicati, rinvenibili nelle relazioni tecniche allegate ai provvedimenti o acquisite durante l’esame dei provvedimenti legislativi che ne prevedevano l’utilizzo, e al fine di poter valutare l’effettiva disponibilità delle somme da utilizzare senza pregiudicare interventi già programmati a valere sulle medesime risorse, è emersa l’esigenza di disporre di maggiori informazioni sulla dotazione di tali rilevanti capitoli di bilancio, ad integrazione del corredo informativo allegato al disegno di legge di bilancio.
A tal fine, nel quadro della riforma della legge di contabilità e finanza pubblica, è stato previsto che il disegno di legge di bilancio debba essere corredato di una scheda illustrativa dei capitoli recanti i fondi settoriali correlati alle principali politiche pubbliche di rilevanza nazionale. Le schede devono indicare: gli stanziamenti previsti dal bilancio triennale; il riepilogo analitico dei provvedimenti legislativi e amministrativi che hanno determinato i suddetti stanziamenti e le relative variazioni; gli interventi previsti a legislazione vigente a valere su detti fondi, con separata indicazione delle spese correnti e di quelle di conto capitale. Le schede vanno aggiornate semestralmente in modo da tenere conto delle modifiche apportate agli stanziamenti previsti dalla legge di bilancio con le variazioni adottate in corso d'anno[265].
Questa documentazione è stata regolarmente inviata al Parlamento, ma non sempre nel termine dei trenta giorni dalla conclusione del semestre di riferimento, come previsto dalla normativa; inoltre, il carattere assai sintetico delle informazioni non sempre ha consentito una valutazione approfondita dei programmi e degli interventi già finanziati e di quelli da finanziare con le relative risorse.
In conclusione, l’utilizzo
di fondi indistinti per il finanziamento di nuovi interventi di spesa richiede
informazioni puntuali circa l’entità, la disponibilità effettiva e
l’incidenza sui diversi saldi di finanza pubblica delle risorse iscritte nei
fondi medesimi. Ciò al fine di assicurare la corrispondenza fra tali mezzi
di copertura ed i nuovi oneri da finanziare, con particolare riguardo agli
effetti che si producono rispetto ai saldi di fabbisogno e di indebitamento
netto.
Un caso particolare, attinente a tale problematica, riguarda
il già menzionato “Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non
previsti a legislazione vigente conseguente all’attualizzazione dei contributi
pluriennali”, istituito dall’articolo 6, comma 2, del DL 154/2008 e finalizzato
a evitare effetti peggiorativi sul fabbisogno e sull'indebitamento netto
connessi all’attuazione di disposizioni legislative che autorizzano contributi
pluriennali. Come già segnalato, il Fondo, in origine previsto per soli due
anni al fine di evitare effetti peggiorativi sul fabbisogno e
sull'indebitamento netto connessi all’attuazione di disposizioni legislative
che autorizzano contributi pluriennali, è stato oggetto di successivi
rifinanziamenti.
In occasione dell’esame parlamentare di una di tali norme di rifinanziamento (articolo 1, comma 291, della legge 228/2012[266]), è stato richiesto al Governo di chiarire se, ed in quale misura, le risorse del Fondo fossero vincolate rispetto a determinate esigenze di compensazione, già autorizzate o in corso di autorizzazione. Ciò al fine di verificare se le risorse appostate nel Fondo dovessero considerarsi indisponibili per eventuali finalità di copertura di altri interventi.
Con
Si osserva che tale impostazione richiede quindi che, in occasione dell’esame di proposte normative che prevedano l’utilizzo delle risorse del Fondo, gli organi parlamentari debbano disporre di puntuali informazioni circa l’entità e la durata delle risorse del Fondo ed il loro grado di disponibilità/indisponibilità in considerazione delle operazioni già effettuate a carico delle medesime risorse.
Riguardo all’utilizzo del Fondo anche per interventi non
riconducibili alle sue specifiche finalità, si richiama quanto rilevato dalla
Corte dei conti[267]
con riferimento all’articolo 8, comma 24, del DL 16/2012, con il quale le disponibilità
del Fondo sono state utilizzate per contabilizzare (solo per cassa) la detrazione, dalle maggiori spese di
personale, delle maggiori entrate tributarie e contributive. In tale occasione,
In sintesi, i predetti capitoli-fondo presentano disponibilità spesso rilevanti a fronte delle quali non sempre – se si fa eccezione per il Fondo per lo sviluppo e la coesione - si dispone di precise indicazioni in merito alle specifiche finalità cui sono preordinate la dotazione iniziale di bilancio ed i rifinanziamenti via via disposti.
Il frequente ricorso a tali fondi indistinti ha conferito agli stessi, al di là della loro classificazione nel bilancio dello Stato, la natura di risorse cui attingere per la nuova legislazione di spesa[269], alla stregua dei fondi speciali individuati nella legge di stabilità. Ciò ha consentito un utilizzo più flessibile degli stanziamenti di bilancio destinati a norme onerose, ma ha comportato nel contempo una minore trasparenza delle finalità allocative insite nella legge di bilancio e nella programmazione della spesa pubblica.
Come rilevato nel paragrafo relativo alla forme di copertura mediante riduzioni di spesa, il ricorso alle riduzione di preesistenti autorizzazioni di spesa è sempre risultato prevalente rispetto all’utilizzo dei fondi speciali: su tale andamento ha sicuramente inciso il frequente ricorso ai fondi descritti nel paragrafo in esame, dotati di ingenti disponibilità di bilancio, il cui utilizzo viene effettuato riducendo l’autorizzazione di spesa sottostante ciascun fondo. Come già osservato, per una corretta interpretazione di tale fenomeno, va comunque considerato che la riduzione dei predetti fondi ha talvolta costituito la modalità contabile di utilizzo di risorse ottenute mediante altre tipologie di intervento, tra cui anche le misure sul lato delle entrate. Infatti, alcuni dei predetti fondi sono stati talvolta utilizzati come “contenitori” nei quali appostare risorse provenienti da misure di incremento del gettito o da risparmi di spesa, anche in vista di un loro successivo utilizzo per la realizzazione di obiettivi programmatici di finanza pubblica.
E’ quanto disposto dai già citati articolo 55, comma 6, del decreto-legge n. 78 del 2010, e articolo
40, comma 1, del decreto-legge n. 98 del
Nel corso della XVI legislatura, le coperture finanziarie di nuovi oneri ovvero la realizzazione di specifici obiettivi di contenimento della spesa pubblica, previamente quantificati, sono state spesso ottenute attraverso riduzioni complessive di spesa, distribuite in misura proporzionale (“orizzontale”) tra una pluralità di stanziamenti iscritti in bilancio (c.d. “tagli lineari”). E’ stata in tal modo confermata una prassi, già riscontrata nella precedente legislatura, di utilizzo di un meccanismo di reperimento di risorse non incluso tra quelli espressamente indicati dalla vigente disciplina contabile. Non sempre infatti i tagli in questione appaiono concettualmente ascrivibili alla categoria delle “riduzioni di precedenti autorizzazioni di spesa” in senso stretto (incluse tra le modalità tassativamente indicate dall’art. 17 della legge n. 196/2009 - legge di contabilità e finanza pubblica).
In realtà, l’espressione “tagli lineari” non presenta un significato univoco e nella pratica possono distinguersi diverse tipologie di riduzioni lineari.
A tale espressione sono infatti riconducibili:
a) i tagli delle autorizzazioni di spesa previste dalla tabella C, che viene allegata annualmente alla legge di stabilità al fine di individuare gli stanziamenti da destinare a specifiche finalità di spesa (la cui quantificazione è appunto rinviata alla legge di stabilità);
b) le riduzioni lineari di stanziamenti relativi ad una pluralità di missioni e/o programmi di spesa che afferiscono ad intere categorie economiche, quali l’acquisto di beni e servizi o i consumi intermedi;
c) le riduzioni delle dotazioni finanziarie di specifiche missioni e/o programmi di spesa espressamente individuati dalla disposizione che prevede il taglio.
Come detto, le riduzioni lineari di spesa sono state generalmente utilizzate per ottenere un unico effetto finanziario, espressamente quantificato dalla norma, di mero contenimento della spesa pubblica o di compensazione di maggiori spese[270].
In un numero decisamente più limitato di ipotesi, il taglio delle dotazioni finanziarie relative alle missioni di spesa del bilancio dello Stato è stato utilizzato come una delle possibili modalità di copertura degli oneri individuati dalla norma, in concorso o in alternativa rispetto ad altre modalità di copertura.
E’ questo il caso delle disposizioni contenute in provvedimenti recanti misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese bancarie[271], che hanno previsto il taglio lineare delle dotazioni di bilancio come una delle possibili modalità di copertura degli oneri recati dalle predette misure. Non risulta tuttavia che finora tali tagli abbiano avuto effettiva applicazione.
Infine, un’ulteriore ipotesi di utilizzo delle riduzioni lineari è quella prevista come strumento per garantire l’effettività e l’automaticità delle clausole di salvaguardia da applicare in caso di scostamenti tra gli oneri previsti dalla norma e quelli effettivamente determinatisi, ai sensi dell’articolo 17, comma 12, della legge n. 196 del 2009 (cfr. la specifica sezione del dossier dedicata alle clausole di salvaguardia).
Quest’ultima ipotesi di utilizzo si è contraddistinta per il fatto che, nella quasi totalità dei casi, sono stati specificamente indicati i programmi e le missioni da ridurre, che generalmente presentavano finalità analoghe alla spesa originariamente incisa dalla norma. Si evidenzia, tuttavia che, analogamente a quanto accaduto per la precedente ipotesi, non sembrano finora realizzati tagli in attuazione di clausole di salvaguardia, non essendo pervenute al Parlamento le prescritte relazioni al riguardo[272].
Per evitare che le riduzioni lineari potessero toccare tipologie di spese ritenute difficilmente comprimibili, o di particolare rilevanza, alcune disposizioni, adottate prevalentemente prima dell’entrata in vigore della legge n. 196 del 2009, hanno espressamente escluso dal taglio determinate categorie di spesa.
In particolare, sono state escluse le seguenti categorie: spese per stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse; spese per interessi; poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili con le Regioni; trasferimenti a favore degli enti territoriali aventi natura obbligatoria; il fondo ordinario delle università; risorse destinate alla ricerca; risorse destinate al finanziamento del 5 per mille delle imposte sui redditi delle persone fisiche; il fondo unico per lo spettacolo; risorse destinate alla manutenzione e alla conservazione dei beni culturali; spese dipendenti da parametri stabiliti dalla legge o derivanti da accordi internazionali.
In seguito all’approvazione, nel corso della legislatura, della nuova legge di contabilità, che ha previsto la classificazione degli stanziamenti iscritti in bilancio nelle due categorie delle “spese rimodulabili” e di quelle “non rimodulabili”, le disposizioni che hanno previsto tagli lineari hanno espressamente limitato la loro applicazione alle c.d. spese rimodulabili, vale a dire a quelle riconducibili a specifiche autorizzazioni di spesa o a spese di fabbisogno, restando quindi escluse dal taglio le spese per oneri inderogabili (spese non rimodulabili).
Il ricorso ai tagli lineari per finalità di copertura presenta alcuni profili problematici: in particolare, dal punto di vista formale, quando i tagli non sono riferiti a specifiche autorizzazioni legislative di spesa, ma anche a stanziamenti iscritti in bilancio come spese di fabbisogno, potrebbe configurarsi una copertura a valere sulle disponibilità di bilancio non più prevista dalla legislazione contabile vigente.
Quanto ai profili sostanziali, in presenza di tale modalità di copertura è stata sempre richiesta al Governo una conferma che le riduzioni previste non determinassero un pregiudizio alla funzionalità delle pubbliche amministrazioni e al perseguimento degli obiettivi previsti originariamente dai singoli programmi di spesa. Tali profili problematici presentano un rilievo maggiore nel caso in cui i tagli lineari abbiano un carattere pluriennale o permanente, dal momento che potrebbero incidere sulla programmazione delle grandezze di bilancio[273].
Proprio per evitare i rischi connessi alla riduzione della funzionalità delle pubbliche amministrazioni, alcune disposizioni recanti tagli lineari[274], in particolare quelli effettuati ai fini del contenimento della spesa pubblica, hanno previsto forme più o meno ampie di flessibilità, consentendo alle amministrazioni di prevedere variazioni compensative dei tagli proposti, anche tra programmi diversi, purché fosse garantita l’invarianza complessiva degli effetti sui saldi di finanza pubblica.
L’avvio della cosiddetta spending review, previsto al fine di superare la spesa storica come criterio di formazione del bilancio dello Stato, segna anche un’inversione di tendenza rispetto alla tecnica dei tagli lineari, con l’intento di orientare il contenimento della spesa pubblica a principi di selettività e sostenibilità. In proposito si rinvia alla successiva sezione.
4.2.3 Utilizzo dei risparmi della spending review
·
Spending review, flessibilità di bilancio,
riduzioni di spesa
Nelle ultime
legislature il percorso di consolidamento dei conti pubblici necessario per il
rispetto degli obiettivi di riduzione del deficit e del debito concordati in
sede europea ha portato, fra l’altro, alla stabilizzazione dei processi di analisi
e valutazione della spesa (spending
review) introdotti negli anni 2006 e 2007[[275]].
La disciplina di tali processi è volta essenzialmente a consentire il
superamento del criterio della spesa storica nella formazione del bilancio[276]
e della prassi delle riduzioni di spesa effettuate attraverso meri “tagli
lineari” delle dotazioni di bilancio[277].
Si ricorda che, nella legislatura appena conclusa, nell’ambito delle azioni volte al contenimento della spesa delle amministrazioni centrali, hanno trovato applicazione, oltre alla disciplina sulla spending review, i meccanismi di flessibilità del bilancio e gli interventi di riduzione della spesa dei Ministeri previsti nell’ambito delle manovre finanziarie del 2011 e del 2012. Tali strumenti appaiono accomunati da un obiettivo principale (il contenimento della spesa, appunto) e da una significativa peculiarità procedurale, consistente nel fatto che le opzioni di riduzione della spesa vengono elaborate selettivamente a livello ministeriale[278] e sono sottoposte al Parlamento soltanto nella fase conclusiva del processo.
Poiché le richiamate modalità procedurali appaiono caratterizzate da condizioni di asimmetria informativa fra Governo e Parlamento (anche in considerazione dei tempi limitati a disposizione di quest’ultimo per l’esame delle predette opzioni di riduzione e/o riallocazione della spesa), si pone il problema di acquisire i dati e gli elementi necessari per consentire al Parlamento una valutazione sistematica delle scelte di modulazione della spesa effettuate dal Governo e delle relative implicazioni finanziarie.
·
Normativa
vigente
Di seguito si richiamano sinteticamente le principali norme vigenti in materia di spending review, di flessibilità del bilancio e di riduzione della spesa delle amministrazioni centrali.
Analisi e valutazione della
spesa (Spending review)
L’articolo 39 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 196/2009) ha previsto un procedimento di verifica dei risultati raggiunti dalle gestioni di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato rispetto agli obiettivi programmatici di finanza pubblica. A tal fine è stata disposta la costituzione di apposite strutture specializzate (i nuclei di analisi e valutazione della spesa) per la formulazione di proposte di rimodulazione delle risorse finanziarie tra i diversi programmi di spesa nell’ambito del disegno di legge di bilancio[279].
L’articolo
9 del decreto legge 98/2011
(Stabilizzazione finanziaria) ha previsto, a decorrere dall'anno 2012,
l’inizio di un ciclo di spending review
mirato sia alla definizione dei fabbisogni standard propri dei programmi di
spesa delle amministrazioni centrali dello Stato sia all’individuazione delle
possibili strategie di miglioramento dei risultati ottenibili con le risorse
stanziate. Le amministrazioni centrali, in collaborazione con
L’articolo 01 del decreto legge 138/2011 (Stabilizzazione finanziaria e sviluppo) ha collegato le predette procedure di spending review ad un più ampio programma per la riorganizzazione della spesa pubblica[280], volto fra l’altro a consentire (ai sensi del successivo articolo 1, comma 01) una progressiva riduzione della spesa corrente primaria. A tal fine è stato previsto che, negli anni 2012 e 2013, i risparmi conseguiti in base al predetto programma siano consolidati attraverso una riduzione delle spese di funzionamento, nonché delle spese relative agli interventi e agli oneri comuni di parte corrente e di conto capitale.
Flessibilità
del bilancio
Gli strumenti di flessibilità del bilancio, che consentono ai Ministeri la rimodulazione degli importi di spesa iscritti in bilancio[281], sono disciplinati dall’articolo 23 della legge 196/2009 e sono stati estesi in misura significativa con il DL 138/2011 in precedenza richiamato. In particolare, quest’ultimo decreto legge[282] - in deroga ai limiti posti dalla legge 196/2009[[283]] - consente alle amministrazioni centrali di apportare variazioni[284] alle dotazioni finanziarie anche non rimodulabili[285] ed estende questa possibilità fino a comprendervi le variazioni compensative tra missioni del medesimo stato di previsione. Tali facoltà possono essere esercitate limitatamente al quinquennio 2012-2016 e subordinatamente al rispetto dell'invarianza dei saldi di finanza pubblica.
Riduzione della spesa delle
amministrazioni centrali
Con il DL 138/2011, le procedure di spending review e di flessibilità del bilancio sono state collegate esplicitamente al conseguimento di obiettivi di riduzione della spesa[286]. Le manovre finanziarie effettuate negli anni 2011 e 2012 (DL 98/2011, DL 138/2011, legge di stabilità 183/2011, DL 95/2012, legge di stabilità 228/2012) hanno quindi provveduto a tale riduzione e, nell’ambito di esse, gli strumenti sopra descritti (ricognizione della spesa, flessibilità di bilancio, riduzioni di spesa) hanno trovato un’applicazione congiunta. Si fa riferimento, in particolare, alle seguenti norme:
- articolo 10, commi 1-5, del DL 98/2011,
come integrato dall’articolo 1, comma 1, del DL 138/2011 e dal DPCM 28
settembre 2011: fissazione, per le amministrazioni centrali dello Stato, di
obiettivi di riduzione della spesa complessivamente pari (in termini di saldo
netto da finanziare) a 10,7 miliardi nel
- articoli 3 e 4 della legge 183/2011 (legge di stabilità 2012): riduzione degli stanziamenti di competenza e di cassa relativi alle spese rimodulabili e non rimodulabili dei programmi dei Ministeri, secondo gli importi indicati dai provvedimenti sopra richiamati (DL 98/2011, DL 138/2011, DPCM 28 settembre 2011);
- DL 95/2012 e legge 228/2012 (legge di stabilità 2013): ulteriori riduzioni di spesa, in termini di SNF, pari a circa 1,8 miliardi nel 2013, 1,6 miliardi nel 2014 e 1,7 miliardi a decorrere dal 2015 (1,5-1,6-1,7 miliardi di euro in termini di fabbisogno e di indebitamento netto). È stato così riproposto il medesimo meccanismo già utilizzato con il DL 98/2011, il DL 138/2011 e con la legge di stabilità per il 2012: tale dispositivo viene esposto più compiutamente nel paragrafo successivo.
·
Le riduzioni di spesa delle amministrazioni
centrali nelle manovre finanziarie del 2011 e del 2012
Come già accennato, nelle manovre di riduzione della spesa delle amministrazioni centrali effettuate negli anni 2011 e 2012 hanno trovato applicazione congiunta gli strumenti di contenimento della spesa in precedenza descritti (analisi e valutazione delle spese, flessibilità di bilancio, riduzioni di dotazioni finanziarie). In particolare, per la quantificazione degli obiettivi di risparmio e per l’individuazione delle voci da tagliare si è fatto ricorso al seguente meccanismo, delineato con il decreto legge 98/2011 e, successivamente, riproposto con il decreto legge 95/2012:
a) preliminarmente sono stati fissati – nei decreti legge di manovra sopra richiamati – gli obiettivi di risparmio complessivi (per tutte le amministrazioni centrali), che sono stati ripartiti fra i singoli Ministeri e quantificati sia in termini di saldo netto da finanziare sia in termini di indebitamento netto;
b) in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità annuale, i Ministri di settore hanno proposto al Ministero dell’economia gli interventi correttivi necessari per la realizzazione degli obiettivi di riduzione della spesa fissati per ciascuna amministrazione, consistenti nella riduzione selettiva di dotazioni di spesa rimodulabili e non rimodulabili[287];
c) nelle more della definizione dei predetti interventi correttivi, è stato accantonato e reso indisponibile, nell'ambito delle spese rimodulabili, un ammontare di spesa pari agli obiettivi di risparmio di cui alla precedente lettera a);
d) il Ministro dell’economia ha quindi verificato gli effetti finanziari sui saldi di finanza pubblica derivanti dagli interventi proposti;
e) nei casi in cui tali effetti siano risultati non adeguati al conseguimento dei predetti obiettivi di risparmio, il Ministro dell'economia ha proceduto ad integrare gli interventi correttivi proposti dai Ministri utilizzando le risorse di cui alla lettera c) (ossia le risorse accantonate nell'ambito delle spese rimodulabili di ciascun Ministero);
f) i tagli così quantificati sono stati inseriti nel disegno di legge di stabilità e sono stati approvati dal Parlamento;
g) gli effetti finanziari derivanti dai predetti tagli sono stati scontati nei decreti legge di manovra e non nelle leggi di stabilità, pur essendo le misure di riduzione concretamente contenute in queste ultime leggi.
Nello specifico, gli effetti sono stati scontati nei tendenziali a legislazione vigente dopo l’approvazione definitiva dei relativi decreti legge. Ai fini del saldo netto da finanziare, gli effetti - pur essendo stati ascritti ai precedenti decreti legge - sono stati incorporati nel bilancio dello Stato con le note di variazioni approvate dal Parlamento nell’ambito delle sessioni di bilancio e, quindi, a seguito dell’approvazione delle leggi di stabilità[288]. Si osserva inoltre che, mentre nella prima manovra i tagli individuati con il DL 138/2011 sono stati ripartiti tra i Ministeri e contabilizzati ai fini del saldo netto da finanziare con un apposito decreto del Presidente del Consiglio (DPCM 28 settembre 2011)[289], tale procedura non è stata riproposta nella seconda manovra: infatti in quest’ultima occasione la quantificazione dei tagli è stata effettuata direttamente con la legge di stabilità per il 2013 ( sulla base degli obiettivi fissati dal DL 95/2012).
·
Riduzioni di spesa delle amministrazioni
centrali: criteri di quantificazione e di verifica degli effetti finanziari
Come si può osservare da quanto in precedenza esposto, le modalità procedurali adottate con le manovre del 2011 e del 2012 per ridurre le spese delle amministrazioni centrali sono state analoghe: a) preliminare indicazione, con decreto legge, degli obiettivi quantitativi di risparmio; b) c) d) specificazione, nell’ambito della legge di stabilità annuale, degli interventi correttivi necessari per la realizzazione dei predetti obiettivi.
Si pone quindi il problema di verificare se, nell’ambito di tali procedure, il Parlamento disponga dei dati e degli elementi informativi necessari alla valutazione degli effetti finanziari degli interventi, tenuto conto che gran parte delle procedure stesse si esaurisce a livello ministeriale e che soltanto l’esito conclusivo del processo viene sottoposto al Parlamento (conversione in legge dei DL; approvazione delle leggi di stabilità).
In proposito, si osserva preliminarmente che, ai fini della verifica delle quantificazioni, i tagli delle spese non rimodulabili sono del tutto assimilabili alle riduzioni di autorizzazioni di spesa, in quanto possono essere determinati solo attraverso modifiche normative che incidano sull’entità della spesa. Sul punto, pertanto, non si hanno osservazioni aggiuntive rispetto ai profili problematici che possono essere riscontrati nell’ambito dell’ordinaria attività legislativa (v. le precedenti sezioni relative alla quantificazione degli oneri e alle modalità di copertura).
Profili di maggiore problematicità si presentano, invece, con riferimento ai criteri di quantificazione dei risparmi derivanti dalle riduzioni delle spese rimodulabili, che costituiscono la quota di gran lunga prevalente delle spese in esame.
Si ricorda che nella legge di stabilità 183/2011 i tagli delle dotazioni di spesa rimodulabili (nell’ambito della manovra di riduzione della spesa delle amministrazioni centrali) hanno costituito mediamente il 90 per cento delle riduzioni complessive; nella successiva legge di stabilità 228/2012 la quota di spese rimodulabili oggetto di riduzioni è ammontata a circa il 75 per cento del totale. Tale prevalenza dei tagli di spese rimodulabili va presumibilmente collegata, fra l’altro, al meccanismo procedurale adottato con i decreti legge precedentemente richiamati, in base al quale sia gli accantonamenti preventivi delle risorse da tagliare sia le integrazioni successive dei tagli proposti dai Ministeri [v. sopra lett. e)] vengono effettuati dal Ministro dell’economia sulla base delle disponibilità iscritte in bilancio fra le spese rimodulabili.
Per tali riduzioni di spesa, le relazioni tecniche hanno fornito il dettaglio delle missioni e dei programmi di spesa interessati, ma non hanno chiarito in quale misura i tagli derivassero da una verifica dell’efficacia delle gestioni o da una ridefinizione dei fabbisogni in relazione agli esistenti programmi e finalità di spesa. Inoltre non sono stati forniti elementi in ordine all’effettiva sostenibilità delle riduzioni in termini di funzionalità amministrativa (e, quindi, in ordine all’idoneità delle risorse residue a garantire lo svolgimento delle funzioni previste a normativa vigente).
La relazione tecnica al DL 98/2011, per esempio, si limitava ad affermare che gli obiettivi di riduzione della spesa, in termini di saldo netto da finanziare, erano stati individuati per ciascuna amministrazione in rapporto alla distribuzione delle spese primarie rimodulabili in ciascuno degli anni 2012-2014.
Dal punto di vista della
completezza delle informazioni fornite al Parlamento si presentano, quindi,
problemi analoghi a quelli che si verificano in occasione dell’utilizzo dei
tagli lineari (pur trattandosi invece - nel caso in esame - di riduzioni
selettive di spesa): in entrambi i casi si determina infatti una scarsità degli
elementi a supporto delle decisioni di riallocazione e/o riduzione della spesa.
Ciò determina difficoltà, nell’ambito della verifica parlamentare degli effetti
finanziari, nel valutare l’impatto e la
concreta sostenibilità amministrativa delle riduzioni nonché il carattere
strutturale o meno dei tagli, elemento questo necessario per escludere la possibilità che le riduzioni
operate diano luogo in realtà a rinvii della spesa agli esercizi successivi (ossia
ad incrementi della spesa per tali esercizi).
Inoltre, al fine di sottoporre
a verifica le stime fornite, riguardo agli effetti sui saldi delle riduzioni
operate, occorrerebbe disporre di indicazioni circa la distribuzione dei tagli
fra le diverse categorie di spesa[290] e
fra le spese di parte corrente e quelle di conto capitale.
Si ricorda che inizialmente, nel
DL 98/2011 e nel DL 138/2011, alle previsioni in materia di revisione della
spesa erano stati attribuiti identici effetti sui tre saldi. Successivamente
tali effetti sono stati rettificati con il DPCM 28 settembre 2011, al fine di adeguare
gli importi di risparmio ai tassi di realizzazione delle spese oggetto di
riduzione. Ulteriori rettifiche sono poi intervenute nel corso dell’esame
parlamentare della legge di stabilità 183/2011: come affermato dalla RT
allegata alla medesima legge, le nuove valutazioni riflettevano “un esame più
approfondito degli effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento netto
(…) che ha portato, in alcuni casi, ad una diversa quantificazione degli
stessi, senza tuttavia incidere sul raggiungimento dell’obiettivo complessivo”.
Le relazioni tecniche,
peraltro, non hanno fornito tali dati, limitandosi a esporre criteri
metodologici di carattere generale.
Per chiarire i criteri posti alla base delle quantificazioni sui saldi di finanza pubblica, la relazione tecnica al DL 98/2011 si limitava ad affermare che ai fini dell’indebitamento netto si era tenuto conto dei coefficienti medi di realizzazione della spesa, nel triennio 2008-2010, specifici di ogni Ministero e di ciascuna categoria di spesa, nonché del profilo temporale di realizzazione della spesa prevista nei tendenziali a partire dal 2012. Per il calcolo di tali coefficienti erano state utilizzate la percentuale degli impegni sui corrispondenti stanziamenti per la categoria dei consumi intermedi e la percentuale dei pagamenti sui corrispondenti stanziamenti per le altre categorie di spesa. Successivamente, la relazione tecnica al DL 138/2011 (nel quale gli effetti ai fini del SNF erano stati considerati equivalenti a quelli in termini di indebitamento) ha affermato che, in sede di individuazione degli obiettivi da parte dei Ministeri, si sarebbe tenuto necessariamente conto della corrispondente spendibilità delle risorse in base ai coefficienti di realizzazione degli stanziamenti di competenza, che determinano un rapporto complessivo fra SNF e indebitamento mediamente pari a circa 1,3-1,4. Come detto, tali valori sono stati infatti rettificati con il DPCM 28 settembre 2011, che ha incrementato il livello dei tagli sul SNF per tenere conto dei coefficienti di realizzazione della spesa.
Si ricorda, infine, che con riferimento al disegno di legge
di stabilità per il 2013
Si osserva infine che, nella più recente delle manovre di riduzione selettiva delle spese delle amministrazioni centrali (DL 95/2012 e legge di stabilità 2013), il ricorso al metodo dei tagli lineari, sebbene residuale, è stato comunque necessario per garantire il conseguimento degli obiettivi di risparmio.
È stato fatto ricorso ai tagli lineari nella misura del 19,9
per cento dell’obiettivo di risparmio fissato per il primo anno. Tale misura è
stata aumentata fino al 22,5 per cento nel secondo anno per ridursi al 12,1 per
cento con riferimento al totale dei risparmi previsti per il 2015.
5. La quantificazione degli oneri e
Il comma 2 dell’art. 17 della legge n. 196/2009 ha introdotto disposizioni che sanciscono alcuni principi in materia di quantificazione e copertura degli oneri recati da deleghe legislative:
· viene stabilito, in via generale, che le leggi di delega comportanti oneri devono recare i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi;
· si dispone tuttavia che qualora in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti;
· qualora si versi nella seconda delle ipotesi indicate, i decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie;
· agli schemi di decreto legislativo è allegata la relazione tecnica, che dà conto della neutralità finanziaria dei medesimi decreti ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.
I principi di carattere generale enunciati dalla legge n. 196/2009 corrispondono in buona parte ad indirizzi già elaborati dalla giurisprudenza costituzionale (v. sentenza n. 226/1976) e da tempo trasfusi nella prassi legislativa.
In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che, per il dettato dell'art. 81 Cost., spetta al legislatore delegante disporre in ordine alla copertura della spesa derivante dall’esercizio della delega. La stessa Corte ha tuttavia evidenziato che, “qualora eccezionalmente non fosse possibile, in sede di conferimento della delega, predeterminare rigorosamente in anticipo i mezzi per finanziare le spese che l'attuazione della stessa comporta” è sufficiente che il Governo venga a ciò espressamente delegato, con determinazione di principi e criteri direttivi.
Pertanto, nei casi in cui non è risultato possibile determinare con esattezza l’impatto della normativa delegata già in occasione del conferimento della delega, il legislatore delegante si è limitato a stabilire, attraverso specifici criteri direttivi, l’equilibrio finanziario inerente ai provvedimenti da adottare nell’esercizio della delega, individuato spesso attraverso la prescrizione di una neutralità finanziaria complessiva dell’intervento di delega. In altri casi l’individuazione dell’impatto finanziario dell’intervento è stato rinviato al momento dell’adozione dei provvedimenti delegati, prevedendo che l’adozione di questi ultimi dovesse comunque seguire l’individuazione dei mezzi finanziari necessari alla loro copertura, spesso individuata nel quadro delle manovre annuali di finanza pubblica.
Talvolta è stata anche prevista la possibilità di graduare nel tempo l’esercizio della delega, in ragione dell’ammontare delle risorse via via stanziate e rese disponibili. In tali casi, tuttavia, il legislatore delegante ha comunque subordinato l’emanazione dei decreti legislativi alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse finanziarie (si veda la legge n. 53 del 2003 sull’istruzione, la legge n. 80 del 2003 sul sistema fiscale e la legge n. 243 del 2004 sul sistema previdenziale).
Le norme contenute nell’art. 17, comma 2, della legge n. 196/2009 hanno quindi recepito sul piano legislativo i criteri che, in attuazione degli indirizzi della giurisprudenza costituzionale, sono stati elaborati in via di prassi, in occasione della verifica degli oneri e delle coperture delle leggi di delega.
Nel quadro di tali prassi, sul piano metodologico, sono emersi profili problematici legati sostanzialmente:
· alla necessità di salvaguardare il criterio che presiede al processo di quantificazione e copertura finanziaria - quello della contestualità tra l’approvazione di misure onerose e la predisposizione dei relativi mezzi di finanziamento – pur in presenza di un processo di produzione normativa, quale quello della delega legislativa, sostanzialmente articolato in due fasi;
· alla difficoltà di conciliare l’esigenza, espressa negli indirizzi della giurisprudenza costituzionale, di farsi carico delle questioni inerenti la copertura finanziaria già in occasione dell’approvazione della legge delega con la necessità di disporre (soprattutto con riferimento alle deleghe di maggiore complessità) della completa definizione e conoscenza degli aspetti attuativi dell’intervento legislativo, ai fini della puntuale individuazione dell’impatto finanziario del medesimo e, quindi, del corretto assolvimento del vincolo di copertura finanziaria.
Tali aspetti di criticità comportano che il procedimento di verifica della relazione tecnica debba essere effettuato - con diverso grado di completezza in ragione degli elementi normativi disponibili – in più fasi: in sede di approvazione delle norme di delega e nella fase dell’emanazione di ciascun decreto legislativo.
Tale criterio appare sotteso anche alla disciplina dettata dal citato art. 17 della legge n. 196, che configura il mero rinvio del procedimento di quantificazione e copertura al momento della definizione della normativa delegata come un’ipotesi di carattere eccezionale, in quanto collegata all’oggettiva complessità della materia trattata che renda non possibile in sede di conferimento della delega una compiuta analisi degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi.
L’ipotesi ordinaria è quindi quella della determinazione e copertura dell’onere recato dalle deleghe legislative già in sede di esame della legge di delega, talvolta anche mediante la predisposizione di stanziamenti, configurati come “tetti di spesa”, all’interno dei quali devono essere contenuti gli oneri che si determinano per effetto dell’emanazione dei successivi decreti legislativi. Le verifiche da compiere nelle due fasi sono quindi diverse: in quella iniziale è necessario infatti accertare la congruità complessiva delle risorse stanziate e la sufficienza dei mezzi di copertura apprestati, mentre in quella successiva occorrerà verificare l’effettiva riconducibilità alle risorse stanziate dalla legge di delega degli oneri derivanti dai provvedimenti adottati nell’esercizio della stessa.
Tuttavia nella più recente prassi riscontrata nell’ambito dei procedimenti legislativi si è assistito al ricorso al frequente differimento delle operazioni di quantificazione e verifica degli effetti finanziari giustificata, in diversi casi, non tanto dall’intrinseca complessità della materia da disciplinare quanto dai caratteri di generalità delle deleghe conferite e dall’introduzione tra i criteri direttivi del vincolo complessivo ad attuare l’intervento di delega con invarianza della spesa o del gettito.
In tali casi, le Note di verifica predisposte dal Servizio Bilancio, riferite ai disegni di legge di delega, hanno evidenziato l’opportunità che le relazioni tecniche fornissero indicazioni più dettagliate riguardo all’effettiva sostenibilità dell’intervento di delega a risorse invariate, ritenendo non sufficiente un mero rinvio alle quantificazioni da operare in occasione dell’adozione degli schemi di decreti legislativi. E’ stato altresì sottolineato che i provvedimenti delegati per i quali fosse prescritto un vincolo complessivo di neutralità finanziaria dovessero essere oggetto di una contestuale valutazione, per i profili finanziari, in sede parlamentare affinché fosse accertata la rispondenza effettiva al predetto vincolo.
Nei casi invece in cui la oggettiva complessità dell’intervento di delega renda effettivamente problematica la valutazione dell’impatto finanziario complessivo al momento del conferimento della delega e si imponga quindi il rinvio ad analisi da effettuare alla luce della normativa delegata, le relazioni tecniche allegate ai disegni di legge delega potranno presentare caratteri ricognitivi e contenere valutazioni anche di carattere ipotetico, collegate ad esempio a scenari alternativi, mentre il procedimento di quantificazione e verifica degli oneri e delle coperture dovrà necessariamente svolgersi in maniera esaustiva in occasione della presentazione alle Camere degli schemi di provvedimenti adottati nell’esercizio della delega.
Tuttavia già in occasione del conferimento delle delega, per suffragare la credibilità e la fattibilità complessiva dell’intervento sul piano finanziario e definirne anche in via approssimativa l’impatto, potranno essere richiesti dati ed elementi di valutazione attinenti, tra l’altro, alle grandezze finanziarie presumibilmente coinvolte, alla variabilità di tali effetti in ragione delle diverse ipotesi interpretative ed applicative dei principi di delega enunciati, ad eventuali effetti indiretti anche derivanti dal coordinamento con altre fattispecie normative che incidono in modo significativo sugli equilibri di finanza pubblica.
5.1 Il caso della delega fiscale
Nel corso della XVI legislatura è stato avviato l’esame parlamentare di due disegni di legge recanti una delega legislativa per l’introduzione della riforma fiscale.
Si tratta, in particolare, del disegno di legge recante "Delega al Governo per la riforma fiscale e
assistenziale" (A.C. 4566), presentato il 29 luglio 2011, e del
disegno di legge “"Delega al Governo recante
disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla
crescita" (A.C. 5291) presentato il 15 giugno 2012 ed approvato, con
modificazioni, dalla Camera dei deputati il 12 ottobre 2012 (A.S. 3519).
L’esame di entrambi i provvedimenti non
si è concluso nel corso della legislatura.
Il primo dei due disegni di legge
stabiliva che entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge delega
si sarebbe dovuta attuare una riforma fiscale (artt. 2- 8) ed una riforma
in materia assistenziale (art. 10). Per l’attuazione della riforma fiscale
la legge delega individuava criteri e principi direttivi in materia di IRPEF,
IVA, imposta sui servizi[293],
accise, IRAP e agevolazioni per gli investimenti (ACE). In merito al profilo
finanziario, l’art. 11 del ddl stabiliva l’ammontare dei risparmi attesi
dalla complessiva attuazione della delega. Il provvedimento non ha concluso
il suo iter parlamentare anche perché alcune misure in
esso previste sono state introdotte in altri provvedimenti di finanza pubblica
approvati in data successiva a quella di presentazione del ddl[294].
Il secondo dei due disegni di legge
stabiliva che entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge di
delega si sarebbe dovuta attuare una riforma fiscale, rispetto alla
quale venivano indicati i criteri ed i principi direttivi. In particolare, il
testo iniziale del ddl prevedeva una riforma del catasto, dell’attività di
contrasto all’evasione fiscale, delle norme in materia di riscossione e
giustizia tributaria, di semplificazione, di regime tributario del reddito
d’impresa da chiunque realizzato, dell’IRAP, dell’IVA, della fiscalità
ambientale e della disciplina sui giochi. In merito al profilo finanziario,
l’art. 17 introduceva una clausola di invarianza finanziaria riferita al
complesso dei provvedimenti da adottare in attuazione della delega fiscale.
I disegni di legge di delega erano corredati di relazioni tecniche, nelle quali veniva evidenziata l’impossibilità di fornire la quantificazione degli effetti delle disposizioni contenute nelle deleghe, la cui stima puntuale veniva quindi rinviata alla fase dell’emanazione dei decreti legislativi con i quali sarebbero stati adottati gli interventi di riforma. Rimaneva in ogni caso fermo l’obiettivo finanziario complessivo indicato da ciascuna delle due leggi delega, così definito:
- l’art. 11 dell’A.C. 4566 stabiliva che dall’attuazione della legge di delega dovevano derivare effetti positivi, ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4.000 milioni di euro per l’anno 2013 e a 20.000 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014;
- l’art. 17 dell’A.C. 5291[295] stabiliva una clausola di neutralità finanziaria, disponendo che dai decreti di attuazione non dovevano derivare maggiori oneri o minori entrate a carico della finanza pubblica.
In proposito, si evidenzia che il rinvio della quantificazione al momento dell’adozione dei singoli decreti legislativi appare in linea con i principi indicati nella legge di contabilità n. 196 del 2009, sopra illustrati, in quanto i disegni di legge presentano, sul piano finanziario, profili di complessità legati all’ampiezza della materia trattata e alla rilevanza degli effetti sulla finanza pubblica.
La difficoltà di procedere ad una stima già in sede di conferimento della delega di tali effetti è da collegare anche al grado di astrazione e, quindi, di parziale indeterminatezza che connotavano alcuni dei criteri e principi di delega indicati nei disegni di legge richiamati.
A titolo esemplificativo, l’art. 2 del ddl C.4566 prevedeva l’introduzione di tre aliquote IRPEF (20%, 30% e 40%) ma non venivano fornite indicazioni circa gli scaglioni di imponibile cui applicare le predette aliquote.
Sempre in materia di imposte sui redditi, l’art. 11 del ddl C.5291 prevedeva l’unificazione del trattamento dei redditi d’impresa senza operare distinzioni o fornire indicazioni riferite alla natura del soggetto che realizza tali redditi.
Le relazioni tecniche allegate ai disegni di legge, non potendo riportare una stima degli effetti finanziari, hanno tuttavia fornito indicazioni circa la tipologia di effetti finanziari (positivi o negativi) attesi dalle singole misure, fermo restando l’obiettivo complessivo imputato all’intera delega.
Particolare attenzione va dedicata all’aspetto dei tempi di attuazione della delega. Profili di criticità potrebbero infatti sorgere nella valutazione del complesso dei decreti adottati, soprattutto in presenza di un ampio termine previsto per l’adozione dei decreti delegati (a titolo esemplificativo, l’A.C. 4566 stabiliva un termine di tre anni per l’attuazione della riforma fiscale). Infatti, in caso di attuazione della delega in fasi successive lungo un periodo piuttosto ampio, potrebbero verificarsi, tra una fase e l’altra, radicali modifiche di contesto economico e normativo, suscettibili di riflettersi sui risultati finanziari complessivamente attesi dalla delega. Tale diluizione dei tempi di approvazione dei singoli decreti attuativi della delega potrebbe quindi dare luogo a difficoltà nella verifica in sede parlamentare dell’idoneità dell’insieme di tali provvedimenti a conseguire il complessivo effetto finanziario ascritto alla delega.
In proposito potrebbe pertanto risultare utile corredare ogni schema di decreto attuativo non solamente degli effetti finanziari recati dalle singole disposizioni introdotte dal medesimo provvedimento, ma anche di una valutazione relativa al complesso delle misure già introdotte fino a quel momento in attuazione della legge di delega. Ciò in quanto gli effetti finanziari attribuibili al combinato disposto di più interventi normativi potrebbe non coincidere con la semplice somma algebrica dei singoli effetti finanziari imputati ai provvedimenti dalle relative RT. A titolo esemplificativo, si segnala l’eventualità che, tra un provvedimento adottato e l’altro, la disciplina generale subisca modificazioni oppure che muti il quadro macroeconomico di riferimento e, pertanto, gli effetti ascritti al primo provvedimento necessitino di un aggiornamento. Oppure, sempre a titolo esemplificativo, andrebbe considerata la possibilità dei diversi comportamenti che i soggetti destinatari possano assumere comportamenti diversi nelle ipotesi in cui sia presente solo il primo provvedimento ovvero se entri in vigore anche il successivo.
Una valutazione complessiva, pertanto, includerebbe anche
un eventuale aggiornamento, alla luce di eventuali nuovi dati ed informazioni
precedentemente non disponibili, delle stime iniziali riferite a decreti
attuativi della delega eventualmente già introdotti.
6. L’attribuzione di un unico effetto
finanziario ad una pluralità di provvedimenti
Nel corso della XVI legislatura si sono verificati nuovi casi di applicazione della prassi, iniziata nelle precedenti legislature, volta ad ascrivere un unico effetto finanziario – talvolta scontato in via preventiva nel quadro tendenziale di finanza pubblica - ad una pluralità di provvedimenti da adottare in tempi successivi.
Nei casi più frequenti è una norma di rango legislativo che indica l’effetto finanziario complessivo del processo normativo prefigurato e detta una normativa di principio, rinviando ad una serie di provvedimenti di rango sub-primario la definizione della disciplina di dettaglio, suscettibile di produrre gli esiti finanziari attesi. In questi casi la norma primaria prevede di regola che gli atti di natura regolamentare da adottare siano comunque sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari e siano corredati di relazioni tecniche.
Più rari sono i casi in cui, al di fuori di una delega legislativa, una norma legislativa definisca un obiettivo finanziario complessivo, affidandone il conseguimento ad uno o più provvedimenti di rango legislativo (tra loro successivi o alternativi), da adottare entro un determinato lasso di tempo. Un esempio di tale procedimento è il caso delle “riduzioni della spesa fiscale” illustrato di seguito nel presente dossier, nella sezione relativa alle analisi speciali.
Gli effetti finanziari prefigurati rappresentano quindi il risultato dell’emanazione non di un unico, ma di una pluralità di atti normativi. La verifica ex ante, in sede parlamentare, dell’idoneità dei provvedimenti medesimi a produrre gli effetti complessivamente attesi richiederebbe quindi la valutazione contestuale dei diversi atti e delle reciproche interazioni.
Tuttavia tali processi normativi sono di regola articolati in fasi successive ed i provvedimenti che li compongono sono sottoposti all’esame parlamentare in tempi diversi. Pertanto, il conseguimento del risultato finanziario ipotizzato può giovarsi di elementi di riscontro oggettivo ed esaustivo soltanto nella fase finale dell’intero processo normativo prefigurato dalla norma originaria.
Si ritiene peraltro necessario che le relazioni tecniche allegate ai diversi provvedimenti normativi, via via adottati e sottoposti agli organi parlamentari, rechino un quadro completo di dati ed elementi di valutazione volti a dar conto del progressivo aggiornamento del percorso verso il conseguimento dei risultati attesi e volti a suffragare l’idoneità delle nuove norme proposte a consentirne l’effettivo completamento del percorso medesimo.
6.1 I risparmi attesi dalla riduzione
dei dirigenti statali
L’articolo 74 del decreto legge n. 112/2008 ha stabilito, per alcune amministrazioni statali e varie categorie di enti pubblici nazionali, la riduzione del numero degli uffici dirigenziali di livello generale nella misura del 20 per cento e di quelli di livello non generale nella misura del 15 per cento.
La medesima norma ha anche disposto che venissero rideterminate le dotazioni organiche del personale non dirigenziale apportando una riduzione non inferiore al 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale.
Alla norma sono stati
ascritti effetti netti di risparmio, in termini di indebitamento netto,
pari a 6 milioni di euro per il
Come espressamente previsto dall’articolo
Il taglio delle posizioni doveva essere disposto con regolamenti da emanare, entro il
Gli schemi di regolamento avrebbero dovuto essere corredati di una relazione tecnica, che specificasse per ciascuna modifica organizzativa le riduzioni di spesa previste nel triennio, e da un analitico piano operativo asseverato dai competenti uffici centrali del bilancio, con indicazione puntuale degli obiettivi da raggiungere, delle azioni da porre in essere e dei relativi tempi e termini.
A partire da ottobre 2008 sono stati emanati i relativi schemi di regolamento che, in alcuni casi, hanno dato conto della contemporanea attuazione tanto delle norme recate dalla legge n. 296/2006 quanto di quelle recate dal decreto legge n. 112/2008.
Si segnala che l’arco temporale durante il quale è stato
disposto il riordino è risultato in realtà molto più ampio di quello previsto
dall’articolo 74 del decreto legge n. 112/2008: ad esempio il DPR contenente il
regolamento di riorganizzazione del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali reca la data del
Come già accennato, non risultava possibile, nell’ambito della valutazione parlamentare degli effetti finanziari dei singoli regolamenti, verificare il rispetto dell’obiettivo indicato dalla norma legislativa originaria, tenuto conto che questo risultava riferito al complessivo procedimento di riordino.
In più occasioni sono stati comunque richiesti chiarimenti circa le modalità di computo dei risparmi conseguibili dai singoli provvedimenti e l’idoneità dei medesimi a concorrere al conseguimento dell’obiettivo imputato al complessivo riordino.
Si cita, a titolo esemplificativo, le indicazioni fornite
dal Ministero della salute in occasione dell’esame presso
Dal caso esaminato emerge come l’imputazione di un unico effetto finanziario ad una pluralità di atti normativi secondari si concili con la logica della verifica preventiva di tali effetti soltanto qualora il controllo possa esplicarsi contestualmente sul complesso dei provvedimenti di rango secondario da adottare in attuazione della legge medesima. In mancanza di tale presupposto, la verifica dei profili di carattere finanziario può giovarsi soltanto di elementi forniti dal Governo nell’ambito delle relazioni tecniche che suffraghino l’idoneità dei singoli atti a concorrere alla realizzazione del complessivo risultato imputato al processo normativo, riscontrabile oggettivamente solo a consuntivo.
7.1 Garanzie pubbliche ed operazioni di carattere finanziario
suscettibili di incidere sul debito
Alcune disposizioni pur non presentando una diretta ed immediata incidenza sui principali saldi di finanza pubblica (saldo netto da finanziare e indebitamento), possono, al verificarsi di determinate condizioni, produrre effetti finanziari in grado di incidere sui predetti saldi e/o, in misura particolarmente rilevante, sul fabbisogno e sul debito pubblico. Si analizzano in particolare le ipotesi di concessione della garanzia pubblica su operazioni di carattere finanziario e quelle relative alla sottoscrizione da parte dello Stato di strumenti finanziari emessi da istituti di credito.
Con riferimento alle garanzie pubbliche, si rileva, in via preliminare, che, in base all’art. 31 della legge n. 196 del 2009, le garanzie principali e sussidiarie prestate dallo Stato a favore di enti o altri soggetti sono contenute in un elenco allegato allo stato di previsione del MEF, cap. 7407 (oneri derivanti dalle garanzie assunte dallo Stato in dipendenza di varie disposizioni legislative) [298]. Poiché tali oneri hanno natura obbligatoria, qualora se ne presenti l’esigenza è consentito il prelevamento di ulteriori risorse dal Fondo di riserva per le spese obbligatorie, di cui all’articolo 26 della legge n. 196 del 2009[299].
Generalmente in presenza di norme che prevedono la concessione di garanzie statali, in passato è prevalso in via di prassi il criterio di non indicare una specifica copertura, trattandosi di oneri di carattere eventuale, ma di prevedere il mero inserimento della nuova garanzia concessa nel predetto elenco ed il ricorso, in caso di necessità, al Fondo di riserva.
Il Servizio Bilancio dello Stato ha peraltro più volte sottolineato l’esigenza che le relazioni tecniche allegate alle norme che introducono garanzie pubbliche contengano valutazioni, anche di carattere probabilistico, sulla entità dell’esborso in caso di escussione, anche al fine di verificare la capienza del predetto Fondo e, in caso di insufficienza, di integrare opportunamente le risorse poste a fronte della concessione delle garanzie. Infatti, trattandosi di interventi potenzialmente suscettibili di determinare effetti negativi sui conti pubblici, la quantificazione, sia pure di larga massima, dei relativi oneri, per un ammontare rapportato al rischio di effettiva escussione, e l’indicazione di mezzi idonei a fare fronte a tale rischio assumono un rilievo cruciale ai fini del rispetto del vincolo di copertura finanziaria.
Tale valutazione è stata ripetutamente espressa anche dalla Corte dei conti[300], la quale ha sottolineato, con riferimento ai provvedimenti che prevedevano la concessione di garanzie statali, la necessità della predisposizione di una relazione tecnica che fornisse elementi sul grado di probabilità di una eventuale escussione della garanzia, sulla durata della garanzia stessa e sulla congruità delle risorse stanziate sia nella specifica unità previsionale sia nel Fondo per le spese obbligatorie.
Tali indicazioni sono state in
parte recepite dalla più recente prassi legislativa, che ha talvolta previsto apposite
autorizzazioni di spesa cui attingere in caso di attivazione della garanzia,
fatto salvo in ogni caso, per eventuali oneri eccedenti la spesa
autorizzata, il ricorso al Fondo per le
spese obbligatorie.
Si richiama l’art. 8 del D.L. n. 201/2011, che ha previsto la garanzia dello Stato su talune passività delle banche italiane. La concessione della garanzia è effettuata sulla base della valutazione da parte della Banca d'Italia dell'adeguatezza della patrimonializzazione della banca richiedente e della sua capacità di fare fronte alle obbligazioni assunte. Per tale finalità è stata autorizzata la spesa di 200 milioni di euro annui per il periodo 2012-2016. I predetti importi sono annualmente versati su apposita contabilità speciale, per essere destinati alla copertura dell'eventuale escussione delle suddette garanzie. Ad eventuali ulteriori oneri si provvede ai sensi dell’art. 26 della legge n. 196/2009 a valere sul Fondo per le spese obbligatorie.
Come già evidenziato, dal punto di vista contabile, fatte salve le specifiche autorizzazioni di spesa previste, le garanzie al momento della concessione rappresentano passività potenziali (contingent liabilities) che non determinano di per sé un’incidenza diretta sui saldi di finanza pubblica.
Tuttavia, in caso di escussione, l’importo erogato assume una diretta rilevanza sia sull’indebitamento che sul fabbisogno e, quindi, sul debito pubblico. In particolare, ai fini del sistema di contabilità europea, l’escussione determina la registrazione di un trasferimento in conto capitale con effetti peggiorativi sul disavanzo.
Pertanto, per quanto attiene all’effettiva imputazione temporale degli oneri derivanti dalla garanzia, si rileva che la relativa spesa, di ammontare commisurato alla somma oggetto di escussione, andrebbe ad incidere negli esercizi nel corso dei quali dovesse essere effettivamente attivata la garanzia.
Effetti sui conti pubblici e sul debito potrebbero tuttavia prodursi anche indipendentemente dall’effettiva escussione nel caso in cui, alla luce di una valutazione caso per caso delle condizioni complessive dell’operazione, dovessero emergere elementi tali da indurre a considerare certo o molto elevato il rischio per lo Stato di dover onorare la posizione debitoria oggetto di garanzia. Infatti, secondo gli indirizzi espressi da Eurostat, qualora tali rischi appaiano molto elevati, anche in base alla frequenza delle ipotesi di effettiva attivazione della garanzia, ciò potrebbe determinare una riclassificazione delle garanzie medesime come debito pubblico.
Si segnala anche la direttiva europea 2011/85/UE del Consiglio, dell’8 novembre 2011, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri, (inclusa nel c.d. “six pack”) che, all’art. 14, dispone che, per tutti i sottosettori dell’amministrazione pubblica, gli Stati membri pubblichino informazioni pertinenti sulle passività potenziali che possono avere effetti consistenti sui bilanci pubblici, comprese le garanzie pubbliche, i crediti deteriorati e le passività derivanti dalla gestione delle imprese pubbliche, indicandone l’entità. Gli Stati membri pubblicano altresì informazioni sulle partecipazioni dell’amministrazione pubblica al capitale di imprese private e pubbliche per importi economicamente significativi.
Gli indirizzi sopra illustrati hanno assunto un peculiare
rilievo negli ultimi anni, nel corso dei quali in molti Paesi europei la concessione
delle garanzie pubbliche è stato uno strumento utilizzato anche a sostegno del
sistema bancario. Si ricorda in proposito che la BCE[301] ha evidenziato che l’entità del debito
pubblico può risentire delle passività sia potenziali che implicite e, fra le
passività potenziali, assumono rilievo le garanzie governative fornite alle
istituzione finanziarie.
Ad esempio, per l’Italia, oltre al già citato art.8 del D.L. n. 201/2011, si richiama il DL n. 155/2008 che ha disposto temporaneamente (fino al 31 dicembre 2009) la concessione della garanzia statale a condizioni di mercato sulle passività delle banche italiane, con scadenza fino a cinque anni e la cui data di emissione sia successiva a quella di entrata in vigore del provvedimento medesimo.
Ulteriori misure utilizzate a sostegno del settore bancario nel corso della legislatura hanno previsto la sottoscrizione da parte dello Stato di strumenti finanziari emessi da istituti di credito: in particolare, le norme legislative hanno essenzialmente definito un impianto di tipo procedurale, delineando lo schema autorizzatorio delle operazioni di sottoscrizione di titoli obbligazionari ed individuando le tipologie di fonti di finanziamento delle operazioni stesse. La definizione in concreto dell’ammontare delle risorse necessarie e l’individuazione della relativa copertura finanziaria sono state invece rimesse a strumenti di carattere non legislativo (decreti del Presidente del Consiglio dei ministri).
La scelta di tale schema operativo implicava, tuttavia, l’impossibilità di procedere, al momento dell’esame delle norme legislative che definivano tale procedura, ad una indicazione puntuale delle risorse finanziarie interessate alle operazioni in esame.
Tale procedura è stata utilizzata, anche se in modo differenziato con riferimento ai parametri tecnici inerenti alla sottoscrizione, in due diverse occasioni: l’articolo 12 del DL 185 del 2012, che prevedeva la sottoscrizione da parte del MEF di obbligazioni bancarie fino al 31 dicembre 2009, e gli articoli da 23-sexies a 23-duodecies del DL n. 95 del 2012, che prevedevano la sottoscrizione di strumenti finanziari da parte del MEF emessi da Banca Monte dei Paschi di Siena. Occorre ricordare che la medesima procedura, poi non attuata, era stata prefigurata anche dal DL n. 155/2008, che autorizzava il Ministero dell’economia a sottoscrivere o garantire aumenti di capitale deliberati da banche italiane che presentassero una situazione di inadeguatezza patrimoniale accertata dalla Banca d’Italia.
Le norme legislative richiamate, che hanno previsto tali operazioni, hanno disposto che la copertura venisse individuata mediante una o più delle seguenti modalità:
· riduzione lineare delle dotazioni finanziarie, previste a legislazione vigente, delle missioni di spesa di ciascun Ministero;
· riduzione di singole autorizzazioni legislative di spesa;
· utilizzo temporaneo, mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato, delle disponibilità giacenti sulle contabilità speciali e sui conti di tesoreria;
· emissione di titoli del debito pubblico.
Con riguardo all’attuazione della prima delle normative citate (DL n.185/2008)[302], si è dato seguito alla sottoscrizione da parte del MEF di strumenti finanziari emessi da istituti di credito con risorse reperite mediante l’emissione di titoli di debito pubblico. Anche per quanto attiene alla seconda normativa (DL 95/2012), il relativo schema di decreto del Presidente del Consiglio, presentato alle Camere per il parere (Atto del Governo n. 525) e a tutt’oggi non ancora definitivamente pubblicato, ha indicato la stessa modalità di finanziamento.
In conclusione tali operazioni, configurandosi come operazioni carattere finanziario, non determinano effetti diretti sul saldo di indebitamento netto (fatta salva la spesa per interessi), ma, in relazione alle modalità prescelte di reperimento delle necessarie risorse, determinano effetti sul fabbisogno e sullo stock di debito lordo.
Un’incidenza sul saldo di indebitamento si determina, come accennato, limitatamente alla spesa per interessi. In particolare, con riferimento a tale aggregato, il Servizio Bilancio dello Stato[303] ha sottolineato come l’economicità dell’operazione sia condizionata dal differenziale tra il costo del ricorso al mercato da parte dello Stato e la remunerazione degli strumenti finanziari da sottoscrivere.
Si segnala, inoltre, che anche
7.2 Rapporti tra entrate statali e locali: profili metodologici
I rapporti finanziari tra lo Stato centrale e le amministrazioni locali sono stati oggetto di una incisiva riforma nel corso della XVI legislatura in materia di federalismo fiscale, ai sensi della legge delega n. 42/2009 e dei relativi provvedimenti di attuazione.
Rinviando alla sezione Finanza regionale e locale dei Temi dell’attività parlamentare[305] accessibile dall’home page della Camera dei deputati, per una dettagliata descrizione dei contenuti della riforma e dell’assetto delle fonti di finanziamento delle amministrazioni locali da essa scaturito, si intende in questa sede evidenziare le implicazioni metodologiche sotto il profilo dell’analisi degli effetti finanziari delle variabili di politica fiscale, nel nuovo contesto di relazioni finanziarie delineato dalla riforma. A tal fine si richiamano di seguito le linee essenziali della riforma, per poi focalizzare l’attenzione sugli aspetti problematici da essa scaturiti e sui primi interventi correttivi già in corso di adozione.
Le linee essenziali della legge delega n. 42/2009 prevedono il principio della soppressione dei trasferimenti, sia statali che regionali, salvo quelli aventi finalità perequativa o quelli destinati a specifiche finalità di sviluppo, e la sostituzione degli stessi con cespiti di natura tributaria. Questi ultimi possono essere tributi propri o derivati, ovvero compartecipazioni al gettito di tributi di altri livelli di governo. E’ previsto inoltre che i fondi con finalità perequativa abbiano carattere verticale (ovvero trasferimenti da un livello di governo superiore a uno inferiore) e siano a loro volta alimentati da fonti di gettito tributarie. E’ inoltre previsto il principio della garanzia dell’integrale finanziamento delle funzioni fondamentali, o soggette a livelli essenziali delle prestazioni, di ciascun comparto, secondo un fabbisogno finanziario calcolato applicando la metodologia dei costi standard.
I provvedimenti attuativi[306] della riforma hanno previsto termini di decorrenza diversi per ciascun comparto, con una fase transitoria di attuazione a decorrere dal 2012 per gli enti locali e dal 2013 per le regioni. A ciascun comparto, a fronte della soppressione dei trasferimenti fiscalizzabili, sono state attribuite nuove tipologie di cespiti tributari, o incrementate quelle già in loro possesso. Si ricordano, tra le altre, le compartecipazioni a tributi erariali (IVA per i comuni e regioni e IRPEF per le province), la previsione di tributi propri, attivabili a discrezione dei singoli enti (imposta di scopo, imposta di soggiorno o sbarco), e di tributi derivati, regolamentati nelle loro linee fondamentali da leggi statali, ma affidati alla regolazione dei singoli enti (addizionale IRPEF, IMU, TARES). Per i tributi derivati, inclusi quelli già in precedenza attribuiti alle amministrazioni locali, è stato inoltre ripristinato, a decorrere dal 2012, il potere di regioni ed enti locali di variare le aliquote (nonché le tariffe), precedentemente sospeso “fino all'attuazione del federalismo fiscale”[307], ed è stata altresì ampliata la “forchetta” delle aliquote e la facoltà di modificare le basi imponibili. In merito ai fondi perequativi, sono state individuate alcune fonti tributarie di finanziamento degli stessi, costituite, nel caso dei comuni, da compartecipazioni al gettito erariale della fiscalità immobiliare.
Con la manovra di finanza pubblica dell’autunno 2011,
è stata estesa la base imponibile e aumentata la misura di alcuni tributi
locali (in particolare l’IMU, estesa alla prima abitazione, e
Alcuni profili problematici inerenti le relazioni finanziarie tra i diversi livelli di governo, come definite dall’assetto sopra descritto, sono di seguito sintetizzati.
Il sistema delineato di compartecipazioni incrociate, in cui gli enti locali compartecipano al gettito di tributi erariali e viceversa, rende meno diretto il rapporto tra soggetto impositivo e contribuenti: questi ultimi non hanno infatti una immediata contezza di quale livello di governo eserciti la responsabilità impositiva e benefici del gettito dei tributi assolti.
Si determinano inoltre riflessi in termini di riduzione della flessibilità nell’utilizzo della leva fiscale da parte del governo centrale: ogni sua decisione relativa a un tributo compartecipato produrrà infatti riflessi su livelli di governo diversi, con conseguente necessità di prevedere forme di compensazione degli effetti negativi, o positivi, delle decisioni assunte sui saldi di bilancio delle amministrazioni locali compartecipanti[308].
Inoltre, il coinvolgimento di un ampio numero di soggetti nell’utilizzo della leva fiscale locale, sottrae di fatto, almeno in parte, le decisioni in materia di pressione fiscale alla strategia di politica economica del governo centrale, facendone oggetto di una decisione diffusa, da condividere tra una pluralità di soggetti locali[309].
Ulteriori difficoltà si determinano riguardo alle modalità con le quali effettuare i predetti interventi compensativi a seguito della soppressione dei trasferimenti, fatte salve alcune tipologie destinate a specifica finalità. Tale soppressione fa infatti venir meno un canale, manovrabile discrezionalmente, a valere sul quale effettuare, da un lato, la regolazione compensativa delle relazioni finanziarie tra Stato e Amministrazioni locali, dall’altro, i tagli discrezionali disposti in sede di manovra di finanza pubblica. Ne consegue che l’esigenza di effettuare i predetti interventi, compensativi e riduttivi, comporta l’utilizzo a tali fini dei trasferimenti di natura perequativa, la cui funzione in linea di principio andrebbe strettamente correlata al livello di sperequazione territoriale dei gettiti tributari attribuiti dalla riforma. La progressiva riduzione delle risorse disponibili per la perequazione, in presenza di un aumento delle risorse tributarie direttamente attribuite alle amministrazioni locali sulla base del principio della territorialità (potenzialmente sperequate), presenta profili di rischio in termini di una possibile perdita di coerenza dell’intero sistema delineato dalla riforma.
Alcuni degli aspetti problematici sopra evidenziati sono stati oggetto di parziali interventi correttivi da parte della legge di stabilità per il 2013[310], che ha significativamente ridotto la misura delle compartecipazioni incrociate tra lo Stato e gli enti locali e ha destinato una quota maggiore di risorse ai fondi di natura perequativa - che erano stati nel frattempo erosi da successivi tagli, disposti in sede di manovre di finanza pubblica – riducendo in misura corrispondente le risorse tributarie attribuite agli stessi enti in base al principio della territorialità.
Più in dettaglio, la citata legge di stabilità:
- ha eliminato la compartecipazione erariale IMU al 50% sugli immobili diversi dalla prima casa e dai fabbricati rurali, prevedendo invece che il gettito relativo ad una sola categoria di immobili (quelli strumentali, classificati nella categoria catastale D), calcolato ad aliquota base, spetti interamente all’erario;
- ha sospeso la norma che prevedeva che il fondo perequativo fosse alimentato da una compartecipazione al gettito erariale della fiscalità immobiliare, disponendo invece che esso (ora denominato Fondo di solidarietà) sia alimentato dal gettito dell’IMU (in parte direttamente dai comuni, mediante destinazione di una quota del gettito[311], in parte dallo Stato, mediante destinazione di risorse derivanti anch’esse dalla compartecipazione erariale al gettito IMU[312]);
- ha aumentato la dotazione del predetto fondo di solidarietà, rispetto al soppresso fondo sperimentale di riequilibrio, decurtato da successivi tagli disposti in sede di manovra di finanza pubblica, con corrispondente riduzione del gettito IMU attribuito ai comuni di provenienza.
Gli interventi sopra descritti hanno quindi operato alcune correzioni, sebbene parziali (o temporanee), volte ad attenuare i profili di criticità sopra evidenziati, correlati all’assetto delle relazioni finanziarie tra lo Stato e le amministrazioni locali delineato dalle recenti riforme.
7.3 Il caso delle riduzioni della “spesa fiscale”
Una specifica questione emersa nel corso della legislatura appena conclusa attiene all’utilizzo della riduzione lineare dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale (c.d. tax expenditures) per assicurare maggiori entrate nell’ambito di manovre di finanza pubblica.
Le Tax expenditures sono definite dall’OCSE come forme di trasferimento di risorse pubbliche (“spesa fiscale”) attraverso la riduzione degli obblighi fiscali. In particolare, si tratta di abbattimenti del debito di imposta in favore di specifiche categorie di contribuenti (attraverso deduzioni, detrazioni, esclusioni, esenzioni, aliquote ridotte, regimi speciali) che apportano una riduzione del gettito per l’erario. Esse producono quindi sul bilancio pubblico effetti peggiorativi analoghi a quelli dovuti ad incrementi della spesa. Tuttavia, a differenza di quanto accade per questi ultimi, gli ammontari “spesi” possono essere determinati soltanto sulla base di stime ed ipotesi riferite al comportamento dei contribuenti[313].
Secondo il Fondo Monetario Internazionale in caso di eccessivo utilizzo delle tax expenditures, per assicurare il rispetto della trasparenza (fiscal transparency) [314], i documenti di bilancio andrebbero integrati con un riepilogo delle misure previste, indicando la finalità di ogni disposizione, la sua durata, i soggetti beneficiari e una stima del relativo impatto finanziario.
Tale indicazione è stata recepita dall’articolo 21 della legge di contabilità (legge n. 196 del 2009) il quale, nel disciplinare il contenuto della nota integrativa allegata al bilancio di previsione, ha stabilito che, in relazione alle entrate, occorre indicare, tra l’altro, gli effetti connessi alle disposizioni vigenti recanti esenzioni o riduzioni del prelievo obbligatorio, con separata indicazione di quelle introdotte nell’esercizio nonché con l’indicazione della natura delle agevolazioni, dei soggetti e delle categorie dei beneficiari e degli obiettivi perseguiti.
Come già segnalato nel paragrafo relativo alle deleghe in materia fiscale[315], l’articolo 40 del decreto legge n. 98 del 6 luglio 2011[316] ha previsto, originariamente, l’adozione di provvedimenti legislativi di riordino della spesa sociale e assistenziale tali da determinare una riduzione dell’indebitamento netto in misura non inferiore a 4 miliardi nel 2013 e a 20 miliardi annui a decorrere dal 2014. Tale disposizione non ha individuato con specificità gli interventi che avrebbero consentito di conseguire il predetto risparmio (contabilizzato nel quadro finanziario della manovra), ma ha rinviato tale compito ai successivi provvedimenti che avrebbero dovuto disciplinare in concreto i singoli interventi incidenti sulla spesa sociale ed assistenziale.
In considerazione di tale indeterminatezza dei contenuti del riordino, veniva contestualmente introdotta anche una “norma di salvaguardia” in base alla quale, qualora non fossero stati adottati entro il 30 settembre 2013 i provvedimenti necessari, si sarebbe dovuta applicare una riduzione lineare dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale in misura pari al 5% per il 2013 e al 20% dal 2014.
Per suffragare l’idoneità di tale riduzione a produrre l’effetto finanziario atteso, si rinviava ad un apposito allegato al decreto legge n. 98 (allegato C-bis) nel quale veniva riportata – per ciascun regime di esenzione, esclusione e favore fiscale vigente – l’indicazione dell’onere annuo in termini di competenza giuridica[317].
Sul piano quantitativo, secondo quanto riportato nella relazione tecnica, il totale dei “costi fiscali” risultante dal predetto allegato era tale da assicurare, applicando le percentuali di riduzione indicate dalla norma di salvaguardia, un ammontare di risorse di importo non inferiore a quello scontato ai fini della manovra (4 mld nel 2013 e 20 mld a decorrere dal 2014). Pertanto, nell’eventualità dell’applicazione del meccanismo di salvaguardia sarebbe stato necessario individuare le voci, tra quelle elencate nell’Allegato C-bis, oggetto del “taglio lineare” necessario ad assicurare in ogni caso gli effetti già scontati ai fini della manovra.
Per quanto attiene strettamente ai profili di quantificazione, nel corso dell’esame delle norme sono emersi[318] i seguenti profili di criticità:
- sul piano quantitativo occorreva considerare anche l’effetto dei fenomeni di incapienza, riferibili ai soggetti che, a normativa vigente, non fruiscono pienamente del beneficio introdotto. Tale incidenza può variare, infatti, in misura non proporzionale rispetto alla percentuale di riduzione lineare applicata, potendo dar luogo quindi ad effetti di maggior gettito anche inferiori rispetto al valore teorico ottenuto mediante la mera applicazione della prescritta percentuale di riduzione all’onere complessivo annuo;
- ai fini dell’imputazione degli effetti della norma sui saldi di finanza pubblica, i valori indicati nell’allegato erano espressi in termini di competenza giuridica e, pertanto, richiedevano anche una valutazione in termini di cassa, tenuto conto che questo è il criterio generalmente utilizzato per valutare l’impatto delle misure in questione sui saldi di finanza pubblica.
In particolare, al fine di assicurare effetti positivi già dal primo anno di applicazione, la riduzione avrebbe dovuto interessare, in via prevalente, le imposte indirette mentre le imposte dirette (in particolare nelle ipotesi in cui trova applicazione il meccanismo di saldo e acconto[319]) non sarebbero risultate utili in quanto, pur intervenendo per competenza nel 2013, avrebbero determinato effetti di cassa nell’anno successivo.
Ulteriori profili di complessità riguardavano i criteri da utilizzare per il trattamento contabile delle riduzioni della “spesa fiscale”. Tali criteri possono infatti variare in ragione delle tipologie di misure di favore fiscale di volta in volta incise.
In linea generale:
· disposizioni che intervengano sulla struttura del prelievo e, pertanto, comportino modifiche alle entrate tributarie seguono gli ordinari criteri di contabilizzazione previsti per la specifica imposta interessata (ad es. le detrazioni IRPEF che recano variazioni di entrate sui tre saldi di finanza pubblica);
· in caso di norme statali che intervengano anche sul gettito delle imposte locali (ad es. modifiche alla base imponibile IRPEF che rilevano anche ai fini delle addizionali regionali e comunali), per quanto attiene alla quota di gettito imputabile alle addizionali, ai fini dei saldi di fabbisogno e indebitamento netto occorre iscrivere la maggiore (o minore) entrata tributaria, mentre, ai fini del saldo netto da finanziare, va iscritto il minore (o maggiore) trasferimento dallo Stato agli enti territoriali finalizzato a garantire la complessiva invarianza delle risorse finanziarie attribuite agli stessi enti;
· in caso di disposizioni concernenti la riduzione di agevolazioni fruibili mediante il meccanismo della compensazione del credito d’imposta, la contabilizzazione di tali riduzioni varia in funzione del tipo di beneficio sul quale si incide e degli effetti ascritti alla norma che lo ha introdotto.
Come già segnalato in una precedente scheda[320], i criteri di contabilizzazione degli effetti finanziari riferiti ai crediti di imposta dipendono dalla specifica tipologia di intervento: in linea generale, qualora si tratti di misure introduttive di un nuovo beneficio (es. credito d’imposta agli autotrasportatori legato all’incremento delle accise sui carburanti[321] oppure credito d’imposta riconosciuto alle banche per l’importo corrispondente agli interessi sui finanziamenti agevolati erogati ai soggetti colpiti dal sisma in Emilia Romagna[322]) si iscrive in genere una maggiore spesa (corrente o in conto capitale) a valere sui tre saldi.
Qualora si tratti, invece, di un intervento sulle modalità di utilizzo di crediti fiscali vantati dal contribuente in relazione a pregresse posizioni tributarie (es. anticipo dell’utilizzo in compensazione dei crediti per imposte anticipate – DTA – risultanti nei bilanci delle banche[323] oppure possibilità di cedere i crediti d’imposta vantati dalle imprese cinematografiche – tax credit - alle banche (le quali, a loro volta, possono utilizzare in compensazione il credito[324]) occorre iscrivere sui saldi effetti di minore entrata.
Va infine evidenziato, su un piano più generale, che l’individuazione dei benefici oggetto di riduzione presenta comunque un problema di interferenza con politiche legislative anche diverse da quelle strettamente fiscali. A titolo esemplificativo, si segnala che la detrazione IRPEF per familiari a carico[325] la quale, anche se rappresenta una voce di natura fiscale perché riduce il gettito IRPEF, potrebbe essere inclusa tra le misure di sostegno alle famiglie.
Per quanto riguarda i successivi sviluppi del processo normativo intrapreso, si ricorda che nella manovra finanziaria successiva (decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011) il meccanismo di salvaguardia previsto dal citato articolo 40 del DL 98 veniva anticipato al 2012. Infatti, la nuova formulazione rimodulava gli effetti finanziari attesi (4 mld nel 2012, 16 mld nel 2013 e 20 mld dal 2014), che dovevano essere realizzati anche attraverso una rideterminazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l’accisa.
La successiva manovra attuata con decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011 (decreto salva-Italia) modificava ulteriormente la norma, prevedendo, in luogo del taglio lineare dei benefici fiscali, un incremento delle aliquote IVA modulato nel tempo in modo da realizzare gli obiettivi finanziari prefissati. Per l’anno 2012, il gettito di 4 mld già ascritto ed utilizzato nelle precedenti manovre veniva assicurato in massima parte con un primo incremento delle aliquote IVA.
In particolare, a decorrere dal 1° ottobre 2012, le aliquote del 10% e del 21% sarebbero dovute aumentare, rispettivamente, al 12% e al 23%. Poiché i relativi effetti sono stati stimati, per l’anno 2012, in 3,28 mld di euro, le risorse mancanti (720 mln) sono state reperite nell’ambito della medesima manovra.
Gli ulteriori incrementi di aliquote IVA previsti si sarebbero applicati solo se, entro il 30 settembre 2012, non si fosse provveduto ad un riordino della spesa sociale e assistenziale nonché ad una riduzione delle tax expenditures. Tale ultima riduzione non veniva configurata come un taglio lineare, ma doveva rispondere al criterio di eliminare le agevolazioni che non apparivano più giustificate o che costituivano una duplicazione di prestazioni assistenziali. Complessivamente, il predetto riordino avrebbe dovuto determinare effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, rideterminati in misura non inferiore a 13.119 milioni di euro per l'anno 2013 ed a 16.400 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014[326].
Il nuovo ammontare degli obiettivi finanziari indicati corrisponde alla stima del maggior gettito IVA recato dagli incrementi decorrenti dal 1° ottobre 2012. Infatti, il perdurare dell’incremento nel 2013 (aliquote 12% e 23%) e l’ulteriore aumento delle aliquote dal 2014 (12,5% e 23,5%) assicurava risorse pari a 13,119 mld nel 2013 e 16,4 mld dal 2014. Le risorse mancanti rispetto a quelle precedentemente scontate nel 138/2011 (rispettivamente, 16 mld e 20 mld) sono state reperite nell’ambito della manovra operata dal DL 201.
Le modifiche introdotte hanno quindi definitivamente escluso la previsione di una riduzione lineare delle tax expenditures, prefigurando un intervento normativo di riforma del settore conforme a specifici criteri, che assicurasse comunque l’effetto finanziario desiderato, nel contempo rimodulato.
Contemporaneamente, anche in ragione della situazione di emergenza finanziaria, venivano individuate misure di carattere fiscale (manovra IVA) in grado di produrre con immediatezza il predetto effetto di gettito. In tal modo, ribaltando la logica iniziale, il meccanismo di salvaguardia veniva reso immediatamente operativo pur condizionandone in parte l’applicazione all’ipotesi di mancata realizzazione del più ampio intervento di riforma.
Il decreto legge n. 95 del 6 luglio 2012 (spending review) ha ulteriormente rimodulato gli incrementi delle aliquote dell’imposta[327].
In conseguenza della ulteriore compensazione dei parziali effetti finanziari nell’ambito del DL n. 95, le risorse da reperire mediante riordino della spesa in materia sociale e fiscale ammontano a 6,56 mld annui a decorrere dal 2013[328] .
Per completezza dell’esposizione si ricorda che la legge di stabilità per il 2013 è ulteriormente intervenuta sulle aliquote IVA (le nuove aliquote, con decorrenza 1° luglio 2013, sono state fissate in 10% e 22%). Gli effetti finanziari relativi alla minore aliquota ridotta sono stati compensati nell’ambito del provvedimento.
La complessità della vicenda normativa illustrata è indicativa delle difficoltà sul piano metodologico e sul piano applicativo che possono scaturire sia dall’imputazione in via preventiva di un unico effetto finanziario ad una pluralità di misure (anche alternative tra di loro) da adottare in tempi successivi sia dall’applicazione della logica dei tagli c.d. “lineari” [329] nel caso in cui si intervenga su materie, quali quella del riordino di regimi agevolativi fiscali, caratterizzate da un notevole grado di complessità.
In tali casi infatti “meccanismi di salvaguardia” - posti a
presidio del conseguimento dell’obiettivo finanziario prefissato - basati su
riduzioni uniformi dei diversi regimi agevolativi potrebbero risultare di
scarsa praticabilità e di difficile quantificazione, tenuto conto dell’estrema
eterogeneità degli interventi interessati dal taglio e dell’esigenza di
incidere in questi settori con interventi di carattere selettivo, i cui effetti
andrebbero puntualmente identificati in considerazione delle specificità degli
interventi medesimi.
7.4 Problematiche connesse al finanziamento della spesa sociale
Nell’aggregato di spesa relativo alla funzione della protezione sociale rientrano, essenzialmente, le prestazioni sociali in denaro, pensionistiche e non pensionistiche, e la spesa sanitaria erogata dal Servizio sanitario nazionale (SSN). Di tali componenti, solo la spesa per prestazioni sociali in denaro presenta un’autonoma evidenza nel conto economico della P.A., mentre la spesa sanitaria risulta dall’aggregazione di tipologie di spesa rientranti in diversi aggregati del conto economico (ad esempio, spesa per il personale, spesa per acquisto di beni e servizi) [330] .
Con riferimento alle modalità di finanziamento, si rileva che le prestazioni sociali in denaro sono costituite da prestazioni finanziate con contributi obbligatori a carico dei soggetti interessati (per esempio, le pensioni o l’indennità di disoccupazione) e da prestazioni finanziate a carico della fiscalità generale (per esempio, le prestazioni per gli invalidi civili). Le prestazioni sanitarie erogate nell’ambito del SSN hanno un sistema di finanziamento complesso in cui intervengono diverse componenti (contributo dello Stato, entrate proprie delle regioni, compartecipazione dei cittadini alla spesa).
·
Le prestazioni sociali in denaro
A tale aggregato di spesa sono riconducibili la spesa per pensioni e quella per altre prestazioni sociali in denaro che ingloba: le rendite infortunistiche, le liquidazioni per fine rapporto a carico di istituzioni pubbliche, le prestazioni di maternità, malattia ed infortuni, le prestazioni di integrazione salariale (cassa integrazione ordinaria, straordinaria, in deroga), le prestazioni di sussidio al reddito nei casi di disoccupazione (indennità di disoccupazione, indennità di mobilità, ecc.), i trattamenti di famiglia, le pensioni di guerra, le prestazioni per invalidi civili, ciechi e sordomuti e, in via residuale, gli altri assegni a carattere previdenziale ed assistenziale.
·
La spesa pensionistica
Nel corso della XVI legislatura sono stati numerosi gli interventi che hanno inciso, spesso in modo significativo, sull’ordinamento pensionistico. In linea generale, tali interventi sono stati caratterizzati dal comune obiettivo di ridurre la spesa per pensioni, attraverso un progressivo inasprimento dei requisiti, anagrafici e di anzianità contributiva, per l’accesso al trattamento nonché attraverso la riduzione dell’ammontare dei trattamenti da liquidare, mediante l’estensione pro rata del sistema di calcolo contributivo.
Viceversa, sono stati limitati, quanto a portata finanziaria, gli interventi suscettibili di incrementare la spesa pensionistica: si tratta di misure dirette per lo più ad allentare i nuovi vincoli per determinate categorie di lavoratori considerate meritevoli di una particolare tutela, per le quali è stato previsto l’accesso al trattamento pensionistico con requisiti ridotti, rispetto a quelli prescritti in via generale.
Preliminarmente, è opportuno ricordare che l’articolo 17, comma 7, della legge n. 196/2009 dispone che, per le norme in materia previdenziale, la relazione tecnica debba contenere un quadro analitico di proiezioni finanziarie, almeno decennali, riferite all'andamento delle variabili collegate ai soggetti beneficiari e al comparto di riferimento. Ciò comporta la necessità che anche la verifica della copertura finanziaria delle disposizioni in materia pensionistica non possa essere limitata al triennio di riferimento, ma debba tenere conto dell’allineamento tra oneri e mezzi di copertura con riferimento ad un più ampio orizzonte temporale.
Nel corso della XVI legislatura gli interventi espansivi in materia pensionistica hanno trovato copertura per lo più attraverso interventi rientranti nell’ambito delle ordinarie modalità di finanziamento delle prestazioni pensionistiche, rimanendo residuali le compensazioni c.d. “esogene” al sistema. La compensazione della maggiore spesa pensionistica è infatti avvenuta preferibilmente attraverso un corrispondente incremento delle aliquote contributive pensionistiche, al fine di ottenere un aumento del gettito delle entrate contributive in favore dell’ente previdenziale interessato.
Simili misure si riflettono sui tre diversi saldi di finanza pubblica: in particolare, sui saldi di fabbisogno e di indebitamento netto trovano imputazione la maggiore spesa per trattamenti pensionistici da parte dell’ente previdenziale e le maggiori entrate contributive previste a fini di compensazione dei predetti oneri. Tali entrate sono registrate ai fini dei saldi nel loro ammontare lordo, dal quale vanno scorporati gli effetti di riduzione del gettito fiscale derivanti dalla deducibilità dei contributi obbligatori, che costituiscono una voce negativa da computare sui tre saldi di finanza pubblica. Nel caso in cui – viceversa – un incremento delle aliquote contributive non fosse finalizzato ad assicurare la copertura di interventi espansivi sul lato delle prestazioni, sul saldo netto da finanziare dovrebbe essere iscritto l’effetto di riduzione di spesa dovuto alla riduzione dei trasferimenti a carico dello Stato verso l’ente previdenziale per un importo pari all’ammontare delle maggiori entrate lorde derivanti dall’incremento contributivo.
Sempre nell’ambito del sistema pensionistico, nella XVI legislatura si sono registrati diversi casi di copertura a carico dei trattamenti pensionistici di importo più elevato, mediante l’introduzione di un contributo di solidarietà ovvero mediante il blocco (o la riduzione) del meccanismo della perequazione automatica.
Il contributo di solidarietà consiste nel prelievo di una quota percentuale sui trattamenti pensionistici di importo eccedente i limiti individuati dal legislatore (ad esempio, il DL 98/2011 prevedeva il prelievo del 5 per cento sugli importi di pensione eccedenti 90.000 euro lordi annui e del 10 per cento sugli importi superiori a 150.000 euro). Anche in questo caso, nella quantificazione degli effetti sui saldi, si è tenuto conto della riduzione del gettito tributario derivante dal restringimento della base imponibile.
Il blocco (o la modifica) del meccanismo di perequazione automatica agisce anch’esso sui trattamenti pensionistici più elevati, individuati in proporzione al trattamento minimo INPS. Tale modalità di copertura, a differenza del caso precedente, garantisce un effetto permanente di riduzione delle spese per il fatto che, dopo la fine del blocco (o della riduzione) della perequazione automatica, il meccanismo di indicizzazione delle pensioni tornerà ad applicarsi su importi più bassi di quelli che si sarebbero verificati se non ci fosse stato il blocco medesimo.
Anche nel caso di modifica del sistema dell’indicizzazione delle pensioni, è necessario peraltro tenere conto degli effetti fiscali indotti, derivanti dalla riduzione della base imponibile, costituita dai redditi dei soggetti interessati.
Infine, nel corso della XVI legislatura, si sono registrate anche modalità di copertura di una spesa pensionistica mediante compensazione esterna al sistema pensionistico, (ad esempio l’aumento del prezzo dei tabacchi: IVA + accisa)[331].
·
Le prestazioni sociali in denaro non pensionistiche
Anche con riferimento alle modifiche legislative in materia di prestazioni in denaro non pensionistiche, la tendenza che si è registrata nel corso della scorsa legislatura è stata quella di mantenere sia gli oneri sia la relativa copertura all’interno del medesimo comparto finanziario.
Ad esempio, in caso di estensione ad ulteriori platee di lavoratrici dell’indennità di maternità, è stata disposta la contestuale estensione all’intera categoria interessata del corrispettivo obbligo contributivo[332]. Anche in questo caso, per una corretta imputazione degli effetti delle misure sui saldi di finanza pubblica, è stato necessario tener conto che l’estensione dell’obbligo contributivo comporta una riduzione del gettito fiscale per la deducibilità del contributo medesimo.
Nell’ambito delle prestazioni in esame, il settore degli ammortizzatori sociali è stato molto inciso nel corso della legislatura, stante il periodo di particolare crisi economica. Gli interventi sono stati molteplici e sono stati volti, da un lato, ad estendere la platea dei soggetti beneficiari di trattamenti di sostegno del reddito, non previsti dall’ordinamento vigente, dall’altro, a rimodulare o rimodellare gli istituti esistenti per adattarli alla crisi in atto ed offrire ai lavoratori un ventaglio di soluzioni diverse.
A parte i settori per i quali l’ordinamento già prevede l’intervento degli ordinari istituti della disoccupazione, della mobilità e della cassa integrazione guadagni, ordinaria e straordinaria, al cui finanziamento si provvede mediante contributi obbligatori posti a carico di lavoratori e datori di lavoro, nella legislatura è stato particolarmente intenso l’intervento sul mercato del lavoro con gli ammortizzatori sociali in deroga. In particolare, gli interventi in deroga sono stati diretti ad ampliare gli ambiti di applicazione degli istituti di sostegno del reddito esistenti al fine di includervi ulteriori platee ovvero ad introdurre ulteriori strumenti, assimilabili agli ammortizzatori sociali esistenti.
Gli interventi in esame sono stati in genere finanziati a valere sulle risorse del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione[333]. Va evidenziato che alcuni degli interventi in esame sono effettivamente riconducibili ai fini istituzionali del Fondo, sia quanto a tipologia sia quanto a soggetti beneficiari, e trovano quindi capienza nelle risorse del Fondo preordinate allo scopo: in tali casi la verifica da effettuare in sede di valutazione della copertura finanziaria riguarda essenzialmente l’accertamento della sussistenza nel Fondo delle necessarie disponibilità per le finalità in questione. Solo in caso di accertata carenza di tali disponibilità occorre procedere ad una corrispondente integrazione delle risorse.
Viceversa, per gli interventi che, pur rientrando nell’alveo delle misure di sostegno del reddito, presentano rilevanti caratteristiche di novità, occorre provvedere alla quantificazione delle risorse che si intende impegnare ed al conseguente reintegro delle disponibilità del Fondo. Si segnala, a tale proposito, che le risorse del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, pur finanziando spese di natura corrente, sono classificate come risorse di conto capitale. Tale criterio contabile si è reso nel tempo necessario per evitare che, in relazione ad interventi che possono iniziare nel corso dell’anno e concludersi nell’esercizio successivo, si determinasse l’impossibilità di utilizzo delle risorse autorizzate, tenuto conto del divieto di conservare in bilancio, come residui passivi, risorse di parte corrente non impegnate nell’esercizio di competenza. Tuttavia, in considerazione della natura della spesa da finanziare, alla reintegrazione delle risorse del Fondo si provvede generalmente con somme di parte corrente.
La possibilità di finanziare interventi per ammortizzatori sociali attraverso le risorse di un fondo, con disponibilità predeterminate, è giustificata dalla natura della prestazione, tradizionalmente non configurata come diritto soggettivo, ma come beneficio concesso all’interno di un limite di spesa. Pertanto, anche nella XVI legislatura, è stato significativo il ricorso a provvedimenti di concessione di tali benefici a carico del Fondo e nell’ambito di limiti di spesa predeterminati[334].
Va ancora evidenziato che i trattamenti di sostegno del reddito, sia quelli ordinari sia quelli in deroga, constano dell’indennità vera e propria, corrisposta al lavoratore, e, normalmente, della copertura figurativa. Ciò al fine di rendere utile a fini pensionistici il periodo di mancanza o riduzione del lavoro. Dal punto di vista della copertura, le risorse da stanziare devono essere quindi calcolate comprendendo entrambe le componenti.
Quanto alle modalità di contabilizzazione degli effetti dei provvedimenti sui saldi di finanza pubblica, si rileva che le risorse stanziate si riflettono interamente ed immediatamente sul saldo netto da finanziare, in quanto si tratta di somme da corrispondere a carico del bilancio dello Stato agli enti previdenziali con riferimento agli esercizi finanziari interessati.
Diversamente, sui saldi di fabbisogno ed indebitamento netto si riflette immediatamente la spesa per trattamenti liquidati ai lavoratori, pari a circa il 60 per cento dell’ammontare complessivo, mentre, la restante spesa per copertura figurativa (pari al 40 per cento del totale) sarà iscritta nei saldi di fabbisogno ed indebitamento netto al momento della liquidazione delle prestazioni pensionistiche, essendo quello il momento in cui la relativa spesa verrà effettivamente erogata[335].
Nella XVI legislatura, allo scopo di reperire risorse ulteriori da destinare gli ammortizzatori sociali in deroga, si è fatto ricorso anche alla riprogrammazione di quelle destinate al finanziamento dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013 oggetto del Piano di azione e coesione[336]. Tale utilizzo è stato reso possibile dal particolare coefficiente di spendibilità di tali risorse, che determina effetti sui saldi di fabbisogno e di indebitamento omogenei rispetto a quelli ascrivibili alla concessione degli ammortizzatori sociali. Inoltre, essendo tali risorse già stanziate in bilancio, la riprogrammazione delle stesse per le finalità in esame non ha comportato la necessità di prevedere specifiche coperture.
Nonostante la sottolineata tendenza al finanziamento delle norme in esame all’interno dell’aggregato delle prestazioni sociali in denaro, anche nella XVI legislatura si sono registrati casi di coperture “esogene”. Si fa riferimento, per esempio, alla riforma del mercato del lavoro (legge n. 92/2012), la quale ha, tra l’altro, ridisegnato il sistema di ammortizzatori sociali finanziando le maggiori spese in parte attraverso una riforma del sistema contributivo delle prestazioni in esame e, per la parte restante, attraverso modalità diverse, con effetti su tutti e tre i saldi di finanza pubblica.
In particolare, si è disposto, tra l’altro, l’aumento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco, le cui entrate sono riversate all’INPS, la modifica dei limiti di deduzione delle spese relative a taluni mezzi di trasporto utilizzati nell’esercizio di impresa, la riduzione della percentuale di abbattimento della deduzione dei canoni di locazione e la modifica dei limiti di deducibilità dei contributi sanitari obbligatori per l’assistenza erogata nell’ambito del SSN sui premi di assicurazione RC per i veicoli. Infine, la copertura è realizzata utilizzando anche una riduzione delle spese di funzionamento dell’INPS, dell’INAIL e dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato.
Con riferimento ad altre tipologie di prestazioni sociali, diverse dagli ammortizzatori, le norme sono costruite, in linea generale, in maniera tale da finanziare la prestazione a domanda, con risorse a carico di un fondo, le cui disponibilità costituiscono un limite massimo di risorse, oltre il quale la spesa non può più essere finanziata. Tali prestazioni, pertanto, non si configurano come diritti soggettivi di immediata esigibilità e il loro riconoscimento è subordinato all’accertamento, in via amministrativa, delle disponibilità esistenti.
Tuttavia, nel corso della XVI legislatura, si sono verificati casi di benefici di carattere sociale la cui concessione, pur essendo finanziata a valere delle disponibilità di un fondo (e quindi di un plafond massimo di risorse), non è stata configurata dalla norma come subordinata e limitata alle disponibilità del fondo medesimo[337]. Si fa riferimento, in particolare, alla concessione di un bonus a soggetti, lavoratori e pensionati, componenti di nuclei familiari a basso reddito[338]. La norma ha subordinato l’erogazione del beneficio, attraverso i sostituti di imposta, ai soli requisiti reddituali individuati direttamente dalla legge, dando luogo quindi ad un meccanismo di spesa automatico pur in presenza di mezzi finanziari di ammontare predefinito, confluite in un fondo appositamente costituito. La norma ha peraltro previsto il monitoraggio degli effetti delle disposizioni, al fine dell’adozione degli eventuali interventi correttivi.
In tali casi, comunque, al fine di evitare possibili incrementi della spesa, anche attraverso successivi rifinanziamenti, si imporrebbe, dal punto di vista metodologico, di evitare automatismi nell’erogazione dei benefici, condizionando espressamente la concessione dei medesimi alla previa verifica della sussistenza delle necessarie risorse all’interno del limite massimo di spesa stanziato.
·
La spesa sanitaria
Preliminarmente, è opportuno ricordare che il finanziamento del SSN avviene attraverso il Fondo sanitario nazionale (FSN). Esso è costituito dalle risorse provenienti dal concorso dello Stato e delle Regioni. Per quanto riguarda il concorso dello Stato, l’ammontare del finanziamento è concordato con le Regioni nella conferenza unificata e formalizzato con un atto legislativo. Le Regioni concorrono con entrate proprie o con risorse ulteriori. L’ammontare complessivo del FSN è dimensionato sulle prestazioni da fornire (LEA – livelli essenziali di assistenza), il cui costo è calcolato, in prima approssimazione, sulla base della spesa annua pro capite per ciascun residente (quota capitaria ponderata)[339].
Prestazioni aggiuntive rispetto a quelle riconducibili ai livelli essenziali possono essere fornite dalle Regioni con oneri a carico dei rispettivi bilanci.
Nel corso della XVI legislatura, si sono succedute misure volte a ridimensionare i livelli del finanziamento del SSN e a razionalizzare nel contempo la spesa, fermi restando i livelli di assistenza. La riduzione della spesa si riflette sui saldi di fabbisogno e di indebitamento, attraverso il ridimensionamento delle uscite a livello regionale, ma si riflette anche, e in modo automatico e certo, sul saldo netto da finanziare, a causa della contestuale riduzione del finanziamento a carico dello Stato.
Altri interventi proposti sono stati caratterizzati dalla necessità di incrementare le prestazioni fornite dal SSN senza incidere sull’ammontare del finanziamento complessivo, in modo da non determinare la necessità di un’apposita copertura. E’ il caso ad esempio dell’articolo 5 del decreto-legge n. 158/2012, che ha disposto l’aggiornamento dei LEA con prioritario riferimento alla riformulazione dell’elenco delle malattie croniche e delle malattie rare, per includervi ulteriori fattispecie, nel rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica e secondo un procedimento compensativo. In tali casi, compatibilmente con le finalità finanziarie complessive del SSN, l’inserimento di nuove patologie deve essere compensato da misure di razionalizzazione dei rimanenti LEA, compresa l’esclusione, parziale o totale, di patologie per le quali la periodica revisione dei criteri epidemiologici, dei criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa e della valutazione comparativa di costi-benefici, suggeriscono un diverso posizionamento rispetto alla esclusione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie[340].
Per quanto riguarda specifiche tipologie di spesa sanitaria,
la particolare composizione della filiera degli operatori economici coinvolti
nei meccanismi di spesa e la possibilità di condizionarne il comportamento
hanno permesso di disegnare un sistema di finanziamento della spesa che ne ha
consentito un più puntuale controllo. E’ il caso della spesa farmaceutica
territoriale, che storicamente, soprattutto in alcune regioni, evidenziava
un costante trend di crescita che non
trovava giustificazione in ragioni epidemiologiche. L’introduzione di un tetto
di spesa[341],
calcolato in misura percentuale sul totale del finanziamento del SSN e giudicato
congruo per la copertura dei fabbisogni farmaceutici medi, ha comportato una
responsabilizzazione di tutti gli attori della filiera, dal momento che il
superamento del tetto comporta il ripiano dell’eccedenza da parte dei
produttori, dei grossisti e dei farmacisti.
Il meccanismo dell’individuazione di un tetto di spesa è stato esteso anche alla spesa farmaceutica ospedaliera per la quale, tuttavia, non è apparso agevole il rispetto di tale limite, tenuto conto del complesso delle variabili che influiscono sul settore ospedaliero (per esempio, la spesa per il personale addetto alle farmacie ospedaliere).
Con il DL n. 95/2012, da ultimo, è stato previsto, anche per la spesa farmaceutica ospedaliera, un meccanismo automatico di ripiano dell’eccedenza rispetto al tetto stabilito (c.d. “extratetto”), ponendo a carico delle aziende produttrici il 50 per cento dell’eventuale scostamento e lasciando a carico delle regioni che hanno superato il tetto a livello regionale l’onere del ripiano in proporzione dei rispettivi disavanzi[342].
Si segnala che, da ultimo, è stata decisa l’introduzione del meccanismo del tetto di spesa anche nel settore dell’assistenza protesica e della spesa per dispositivi medici, il cui mercato presenta caratteristiche simili a quelle della spesa farmaceutica territoriale[343].
7.5 Finanziamento della spesa in conto capitale e copertura di
interventi con risorse di parte capitale
Nel corso della XVI legislatura il finanziamento della spesa in conto capitale ha visto prevalere il ricorso a norme finanziarie configurate come limiti massimi di spesa. Tale meccanismo appare, da un lato, un presidio a garanzia della sostenibilità degli interventi, essendo la dimensione dell’impegno finanziario a carico dei conti pubblici definita direttamente nella norma. Per altro verso, le norme che prevedono simili interventi devono essere comunque supportate da una relazione tecnica in grado di fornire tutte le indicazioni e gli elementi necessari a valutare la congruità delle risorse stanziate rispetto agli obiettivi prefissati. In caso contrario, infatti, potrebbe determinarsi la necessità di finanziamenti successivi o di incompletezza nella realizzazione degli interventi in questione.
Più ridotto rispetto al passato è risultato invece il ricorso al finanziamento degli investimenti in infrastrutture e opere pubbliche realizzati da soggetti esterni alla PA o da amministrazioni pubbliche mediante contributi pluriennali, solitamente di durata quindicennale, a carico del bilancio dello Stato. Tale modalità di finanziamento risultava prevalente in passato in quanto consentiva di frazionare su un periodo piuttosto lungo l’incidenza dell’onere sui saldi di finanza pubblica.
Peraltro, in base al Sistema di contabilità europea (SEC 95)[344], la registrazione dell’onere in termini di indebitamento netto va effettuata applicando anche per tali trasferimenti (come per gli investimenti fissi) un criterio di cassa legato essenzialmente al pagamento degli stati di avanzamento lavori.
In genere, l’erogazione di un contributo pluriennale è accompagnata dall’autorizzazione per il beneficiario a porre in essere un mutuo, o altra operazione finanziaria, con un istituto di credito il cui onere di rimborso è posto a totale carico dello Stato a valere sul contributo pluriennale. Con questo sistema, attraverso l’utilizzo del ricavo netto del mutuo, il beneficiario dispone nei tempi dovuti, durante tutto il periodo di realizzazione dell’opera, dei finanziamenti necessari al pagamento degli stati di avanzamento.
Solitamente gli effetti di tali operazioni sono contabilizzati sui saldi di finanza pubblica nel seguente modo. Sul saldo netto da finanziare viene registrato l’importo del contributo annuo autorizzato per legge. Per stimare gli effetti dell’operazione sui saldi di fabbisogno e indebitamento si tiene conto del netto ricavo del mutuo e delle erogazioni effettive delle somme, ossia dei pagamenti effettuati di anno in anno a fronte degli stati di avanzamento dei lavori.
Tale meccanismo di contabilizzazione determina una divaricazione tra effetti sul bilancio dello Stato (saldo netto da finanziare), che possono essere diluiti su un arco pluriennale, ed effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento che si concentrano in specifici esercizi, nei quali gli importi da compensare possono assumere dimensioni considerevoli.
Al fine di compensare tali effetti negativi è stato costituito un Fondo per la compensazione degli effetti finanziari derivati dall’attualizzazione[345] dei contributi pluriennali (di cui all’articolo 6, comma 2, del DL 154/2008), nell’ambito del bilancio del Ministero dell’economia e delle finanze. In base a quanto precisato nella Nota metodologica allegata al Documento di economia e finanza 2012, le risorse del Fondo sono assunte nei tendenziali a legislazione vigente. Le possibilità di compensazione a valere sul Fondo sono peraltro limitate alle disponibilità dello stesso. Ulteriori effetti peggiorativi sul disavanzo andrebbero compensati con coperture ad hoc, da predisporre in relazione ai singoli interventi di spesa autorizzati.
In considerazione delle difficoltà sopra evidenziate, connesse all’utilizzo dei tradizionali strumenti di finanziamento di opere pubbliche, e tenuto conto della riduzione delle possibilità di indebitamento delle amministrazioni pubbliche con conseguente impatto negativo sulla spesa per investimenti, nel corso della XVI Legislatura sono stati introdotti strumenti alternativi di finanziamento, senza effetti sui saldi, per la realizzazione di immobili della pubblica amministrazione e di infrastrutture, soprattutto nel settore dei trasporti.
In particolare, l’articolo 6, comma 6-ter, del DL 138/2011 dispone che l'Agenzia del demanio proceda ad operazioni di permuta di beni appartenenti allo Stato con immobili adeguati all'uso governativo, al fine di rilasciare immobili di terzi, attualmente condotti in locazione passiva dalla pubblica amministrazione oppure immobili appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato, ma ritenuti inadeguati. Il ricorso a tale strumento è motivato dalla neutralità dell’operazione di permuta sui saldi di bilancio (in quanto viene registrata unicamente sul conto del patrimonio), mentre la vendita di immobili a copertura dell’acquisto di altri immobili determinerebbe riflessi negativi sui saldi di natura strutturale, rilevanti per il conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità e crescita[346].
I criteri di contabilità europea prevedono infatti che le entrate da dismissione immobiliare siano considerate di natura una tantum, non suscettibili quindi di migliorare il saldo di indebitamento netto strutturale della PA. Le spese per l’acquisto di immobili sono invece contabilizzate come investimenti fissi lordi e pertanto incidono negativamente sui saldi strutturali. Pertanto l’utilizzo delle entrate da dismissione di immobili per l’acquisto di altri immobili comporta un effetto complessivamente negativo sui predetti saldi.
Profili di problematicità sono potenzialmente riscontrabili nella defiscalizzazione delle operazioni di partenariato pubblico-privato, finalizzate alla realizzazione di infrastrutture, di cui all’articolo 18 della legge 183/2011 (Legge di stabilità 2012). L‘ambito di applicazione delle misure di defiscalizzazione, inizialmente circoscritto alle infrastrutture relative ai trasporti, è stato successivamente esteso alla realizzazione di ogni nuova opera in partenariato pubblico-privato, senza limitazioni di carattere settoriale.
La defiscalizzazione attualmente in vigore consente:
· di compensare parzialmente o integralmente le imposte sui redditi e l’IRAP generati durante il periodo di concessione con la riduzione o l’azzeramento del contributo a fondo perduto;
· di assolvere agli obblighi di versamento IVA mediante compensazione parziale o integrale con il predetto contributo, nel rispetto della normativa comunitaria;
· di riconoscere al concessionario, come contributo in conto esercizio, l'ammontare del canone di concessione;
· limitatamente alle grandi infrastrutture portuali, per un periodo non superiore ai 15 anni, la suddetta compensazione è consentita anche con il 25% dell'incremento del gettito IVA relativa alle operazioni di importazione riconducibili all'infrastruttura oggetto dell'intervento.
Riguardo ai benefici fiscali riconosciuti, le norme non prevedono alcuna tipologia di copertura: la relazione tecnica ha infatti postulato che la defiscalizzazione non comporti variazioni del gettito tributario e, di conseguenza, non siano modificati i saldi di finanza pubblica. Ciò in quanto il beneficio, applicandosi a nuove infrastrutture da realizzare, per il profilo finanziario configura non una riduzione di entrate ma una rinuncia ad un maggior gettito, in relazione alla chiara finalità di incentivare la costruzione di infrastrutture.
Più in dettaglio, la relazione tecnica stima che, in assenza di tali disposizioni, gli investimenti non si sarebbero realizzati; pertanto, per tali fattispecie nessun effetto di gettito risulta scontato in bilancio. Tale presupposto giustifica quindi l’effetto di invarianza finanziaria imputato all’intervento.
Va peraltro rilevato che tale ipotesi può verificarsi solo nel caso in cui nelle previsioni tendenziali non sia inclusa in alcun modo la redditività – sotto forma di entrate fiscali o di riscossione di canoni – delle infrastrutture interessate dalle norme e che si assuma, inoltre, l’ipotesi di assenza di fenomeni di “spiazzamento”, ossia l’ipotesi che i nuovi interventi defiscalizzati vadano a sostituire una quota di interventi che sarebbero stati comunque effettuati ed in relazione ai quali dovrebbe quindi sussistere una previsione di gettito.
Altri possibili profili di criticità sembrano riscontrarsi in ordine alla classificazione delle operazioni sopra descritte nell’ambito del partenariato pubblico-privato, come definito dai criteri Eurostat, di cui al manuale SEC 95. Infatti affinché l’intervento, e quindi la relativa spesa, non venga classificato all’interno dei bilanci pubblici occorre verificare, alla luce delle caratteristiche delle operazioni (criteri di defiscalizzazione e riconoscimento del canone di concessione come contributo in conto esercizio), la ripartizione del rischio di impresa tra il settore pubblico e le imprese private chiamate alla realizzazione delle opere infrastrutturali.
Si ricorda che i criteri Eurostat considerano tre principali categorie di rischio:
· rischio di costruzione, che copre eventi riferiti allo stato iniziale delle opere considerate. In pratica, tale rischio riguarda il ritardo nella consegna, il mancato rispetto degli standard qualitativi previsti, rilevanti costi aggiuntivi, nonché effetti esterni negativi (quali i rischi ambientali) che comportano il pagamento di indennizzi verso terzi;
· rischio di disponibilità, che copre le situazioni in cui il partner economico viene chiamato in causa in ragione di una struttura insufficiente. Tale carenza si manifesta in un volume di servizi più basso di quanto stabilito contrattualmente o con servizi di livello inferiore a quello stabilito dal contratto;
· rischio della domanda, che copre la variabilità della stessa (maggiore o minore di quanto previsto al momento della sottoscrizione del contratto), a prescindere dalla performance del partner privato. Si tratta di oscillazioni che dipendono essenzialmente dal ciclo economico, da nuove tendenze di mercato, dallo spostamento nelle preferenze dei consumatori o dall’obsolescenza tecnologica. Dette tipologie di rischio fanno parte del normale “rischio economico” sopportato dal settore privato in un’economia di mercato.
Secondo i criteri EUROSTAT, al fine di classificare la realizzazione delle infrastrutture come esterna alla pubblica amministrazione, il rischio di costruzione e uno tra il rischio di disponibilità e il rischio della domanda devono ricadere sul partner privato.
La nuova versione del SEC (2010) – che dovrà essere resa operativa con regolamento UE, non ancora formalmente adottato - conferma sostanzialmente l’impostazione sopra descritta, chiarendo altresì che:
· qualora il costo del capitale sia prevalentemente coperto dal Governo, ciò indica che è il Governo stesso ad assumere la maggioranza dei rischi. Inoltre, anche le garanzie pubbliche possono influenzare la classificazione contabile del partenariato pubblico-provato, in quanto producono un forte effetto sulla distribuzione dei rischi tra le parti;
· le garanzie pubbliche possono comportare la classificazione dell’operazione all’interno dei bilanci pubblici (on balance) quando assicurano un’integrale copertura del debito o un rendimento certo del capitale investito dal soggetto privato;
· riguardo all’allocazione finale dell’asset alla fine del contratto, può costituire un elemento di valutazione per la contabilizzazione nei bilanci (on balance) dell’infrastruttura:
- l’eventuale prezzo fisso, non rispondente ai valori di mercato, che l’amministrazione dovrà pagare alla scadenza del contratto;
- un prezzo più alto del valore economico atteso;
- un prezzo più basso del valore economico atteso perché l’amministrazione ha già pagato in precedenza per l’acquisto dell’asset in questione.
Pertanto, al fine di evitare l’impatto sui bilanci pubblici delle operazioni in essere, vanno attentamente considerati i profili di rischio e di ripartizione dello stesso tra componente pubblica e componente privata alla luce dei criteri sopra indicati[347].
·
Copertura di interventi di spesa con risorse di parte
capitale
Si osserva che, nell’utilizzo di risorse in conto capitale per finalità di copertura occorre tener conto di ulteriori peculiarità.
In primo luogo, come già osservato[348], dette risorse non possono in linea di principio essere utilizzate per la copertura di oneri di natura corrente, al fine di non incorrere in quella che si definisce “dequalificazione della spesa” [349].
Occorre inoltre che le risorse utilizzate presentino un tasso di spendibilità conforme a quello degli oneri da finanziare; ciò al fine di assicurare la compensazione delle nuove spese sul fabbisogno, che segue un criterio di cassa, e sul saldo di indebitamento netto calcolato sulla base del criterio della competenza economica (di cui costituisce un’efficace proxy, per le spese in conto capitale, lo sviluppo della spesa per cassa).
A differenza della spesa corrente - che presenta in genere un coefficiente di spendibilità tale da determinare una coincidenza tra effetti di competenza ed effetti di cassa – per la spesa in conto capitale si verifica spesso un disallineamento tra effetti in termini di competenza giuridica ed effetti in termini di cassa. La dinamica effettiva di cassa dipende dalla specifica tipologia dell’intervento finanziato e dalle procedure necessarie per il passaggio dalla fase dell’impegno giuridico (competenza) a quella dell’erogazione delle somme (cassa).
Pertanto, nel caso in cui per il finanziamento di specifici interventi si utilizzino risorse destinate ad altri interventi di spesa, caratterizzati da una diversa dinamica di cassa, nella valutazione della copertura finanziaria occorrerà verificare che siano stati adottati sistemi di “ponderazione” nell’utilizzo delle risorse tali determinare un’effettiva equivalenza sui saldi di fabbisogno e di indebitamento tra la spesa da finanziare e quella “definanziata” o ridotta a fini compensativi.
Particolarmente significativo a tale riguardo è il caso dell’utilizzo, per finalità di copertura di altre spese, del Fondo per la coesione e lo sviluppo (già Fondo per le aree sottosviluppate- FAS).
Il Fondo per la coesione e lo sviluppo è stato istituito ai sensi dell’articolo 4 del D. Lgs. 88/2009 (Risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali), ridenominando il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), di cui all'articolo 61 della L. 289/2002. Il Fondo è finalizzato a dare unità programmatica e finanziaria all’insieme degli interventi rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese. Ha carattere pluriennale, in coerenza con l’articolazione temporale della programmazione dei fondi strutturali dell’Unione europea, ed è volto a garantire l’unitarietà e la complementarietà delle procedure di attivazione delle relative risorse corrispondentemente a quelle previste per i fondi strutturali comunitari. Il coefficiente annuo di spendibilità di tale Fondo può risultare particolarmente basso rispetto ad altre tipologie di spesa in considerazione delle specifiche procedure previste per l’erogazione delle risorse.
Infatti, la procedura di spesa, alquanto complessa, si articola, a grandi linee, in più fasi, tra cui:
1) il riparto programmatico del CIPE sulla base delle proposte delle amministrazioni;
2) la valutazione periodica da parte del CIPE della fattibilità degli interventi, sulla base delle risorse degli anni precedenti e degli atti propedeutici per l’attuazione delle delibere delle amministrazioni interessate;
3) la stima sulla spendibilità;
4) il decreto ministeriale di ripartizione del Fondo;
5) l’impegno e il pagamento delle risorse riallocate in bilancio.
Le risorse del FAS sono state utilizzate per coprire spese anche non direttamente riferibili alle finalità del Fondo medesimo[350]. In tali casi, per valutare l’entità delle risorse da prelevare a carico del Fondo, si è dovuto tener conto dello specifico coefficiente di spendibilità in rapporto alla tipologia e alla natura delle spese da coprire.
In genere, assumendo l’ipotesi di stanziamenti annui costanti, il coefficiente di spendibilità del Fondo può essere valutato, nella prima annualità pari a 1/3 delle risorse stanziate, nella seconda annualità pari a 1/2 e solo nella terza annualità pari al 100 per cento delle risorse stanziate.
Da ciò consegue che, per coprire con risorse del FAS spese di parte corrente – caratterizzate dalla sostanziale coincidenza tra effetti di cassa ed effetti di competenza – occorre sovrastimare la copertura sul saldo netto da finanziare (espresso in termini di competenza giuridica) di tre volte per quanto attiene la copertura della prima annualità e di due volte per la seconda annualità, mentre per la terza l’effetto in termini di competenza giuridica (saldo netto da finanziare) coincide con l’effetto di cassa (indebitamento e fabbisogno).
A titolo di esempio si ricorda che l’articolo 25, comma 2,
del DL 185/2008 ha autorizzato la
spesa di 480 milioni per gli anni 2009,
2010 e 2011 per la stipula dei nuovi contratti di servizio dello Stato e
delle regioni a statuto ordinario con Trenitalia s.p.a. Il successivo comma
Laddove le risorse del FAS siano invece utilizzate per coprire altre spese in conto capitale, non si ritiene in genere necessario triplicare la copertura sul saldo netto da finanziare. In questo caso, la ponderazione necessaria a garantire l’effettiva compensatività va valutata caso per caso, sulla base dell’effettiva dinamica, per cassa, delle spese da coprire.
Nel corso della XVI legislatura, le manovre di finanza pubblica sul comparto delle amministrazioni locali hanno utilizzato principalmente gli strumenti del taglio dei trasferimenti statali, ovvero di una riduzione delle risorse assegnate alle predette amministrazioni, e del patto di stabilità interno, che prevede l’assegnazione di obiettivi di bilancio inerenti il saldo o singole poste contabili.
Rinviando alla sezione Finanza regionale e locale dei Temi dell’attività parlamentare[352], accessibile dall’home page della Camera dei deputati, per una descrizione normativa dei predetti strumenti e alla prima parte del presente dossier per l’analisi quantitativa degli effetti ad essi ascritti ai fini del consolidamento della finanza pubblica, si esaminano in questa sede:
I. i profili metodologici connessi alla contabilizzazione dei suddetti effetti e alle conseguenti implicazioni finanziarie;
II. i profili di coerenza dei predetti strumenti rispetto al mutato contesto conseguente all’approvazione delle riforme in materia di federalismo fiscale e di pareggio di bilancio.
Si opera infine un breve richiamo agli effetti di una sentenza della Corte costituzionale intervenuta sul tema della possibilità di prevedere o meno misure di carattere permanente che incidano sull’autonomia finanziaria delle amministrazioni locali.
Di seguito si ricordano, per linee essenziali, i criteri di contabilizzazione degli effetti finanziari dei predetti strumenti, evidenziandone le implicazioni finanziarie e i connessi profili di rischio.
· Il taglio dei trasferimenti produce effetti migliorativi del saldo del bilancio dello Stato (saldo netto da finanziare). Tali effetti migliorativi si estendono all’intero comparto della pubblica amministrazione (saldi di indebitamento netto e fabbisogno) solo ove le amministrazioni locali interessate dal taglio riescano a mantenere un’invarianza dei propri saldi, incrementando le entrate proprie o riducendo le spese per compensare le minori risorse ricevute dallo Stato. Di conseguenza, ove le predette amministrazioni non riescano a conseguire risparmi mediante un recupero di margini di efficienza, l’obiettivo di miglioramento del saldo può ottenersi a prezzo di un aumento della pressione fiscale locale o di una riduzione della spesa delle amministrazioni locali, in particolare di quella caratterizzata da minori margini di rigidità (es. spesa per investimenti).
· L’inasprimento degli obiettivi del patto di stabilità interno produce effetti positivi sul saldo delle amministrazioni locali, chiamate ad esporre un miglioramento del saldo (per gli enti locali) o una riduzione della spesa (per le regioni), rispetto a quanto registrato in esercizi precedenti, presi come base di riferimento. Tuttavia:
- nel caso in cui un progressivo inasprimento del patto di stabilità interno, dovuto al succedersi delle manovre, conduca all’obbligo, per alcune amministrazioni locali, di perseguire obiettivi di avanzo di bilancio, si determina un immobilizzo di queste ultime nei predetti avanzi, con conseguenti profili di criticità sotto il profilo dell’efficiente allocazione delle risorse;
- inoltre, la fissazione di obiettivi in termini di competenza mista[353] può determinare un incentivo all’allungamento dei tempi di pagamento, con il conseguente accumularsi di importanti stock di residui passivi di conto capitale;
- infine, con riferimento alle regioni, per le quali gli obiettivi del patto di stabilità interno riguardano il solo comparto della spesa, possono determinarsi effetti distorsivi nel caso in cui si disponga il finanziamento di funzioni aggiuntive senza un contestuale adeguamento dei vincoli di spesa previsti dal patto, finalizzato a consentire l’effettiva erogazione della maggiore spesa finanziata.
Su tale ultimo aspetto, si segnalano, nel corso dell’ultima legislatura, i casi in cui, per fronteggiare esigenze di spesa in particolari settori rientranti nell’ambito delle funzioni di competenza delle regioni, si sono disposti trasferimenti erariali aggiuntivi, senza prevedere un contestuale adeguamento dei limiti alla spesa regionale previsti dal patto di stabilità interno. In tal modo è stato possibile non iscrivere alcun incremento di spesa nei saldi di finanza pubblica, evitando conseguentemente il problema del reperimento delle risorse da portare in compensazione[354]. In tali casi, nonostante la disponibilità di risorse incrementali, le regioni potranno di fatto utilizzare queste ultime per le funzioni cui sono destinati soltanto riducendo le restanti spese regionali.
Un orientamento diverso è
stato seguito in alcuni casi per il finanziamento di funzioni di spesa
amministrate dalle regioni. Ad esempio, la citata legge finanziaria per il 2013[355] prevede un finanziamento
di 223 mln per il
A seguito dell’approvazione delle citate riforme in materia di federalismo fiscale e di pareggio di bilancio – suscettibili di incidere radicalmente sui rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie locali e sulle regole di governo della finanza pubblica – appare opportuno analizzare entrambi i tradizionali strumenti di manovra sulle amministrazioni locali (riduzione dei trasferimenti e patto di stabilità interno), sotto il profilo della loro coerenza rispetto al nuovo contesto ordinamentale.
· La riforma approvata in materia di federalismo fiscale ha previsto l’eliminazione di tutti i trasferimenti erariali, eccezion fatta per quelli di natura perequativa o quelli destinati a sostenere finalità di sviluppo o a rimuovere squilibri economici e sociali. Entrambe le tipologie residue di trasferimenti presentano pertanto una destinazione vincolata per specifiche finalità, il cui perseguimento verrebbe compromesso ove le stesse fossero oggetto di tagli in sede di manovre finanziarie. Pertanto, con riferimento alla necessità di ottenere il concorso delle amministrazioni locali al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nel nuovo contesto di relazioni finanziarie, emerge un problema di praticabilità del taglio dei trasferimenti come strumento di manovra.
Tali difficoltà di utilizzo e la relativa casistica sono più ampiamente illustrate nel paragrafo relativo al rapporto tra entrate statali ed entrate locali nonché, per gli aspetti quantitativi, nella prima parte del presente dossier.
Non possono d’altro canto considerarsi sostituitivi della manovra sui trasferimenti gli interventi sui cespiti di natura tributaria: questi infatti, anche ove configurati come compartecipazioni al gettito di tributi erariali, costituiscono risorse proprie delle amministrazioni cui sono assegnati e non sembrano pertanto suscettibili di riduzione discrezionale, in assenza di una decisione assunta in sede di concertazione con le amministrazioni interessate.
· Specifici problemi metodologici emergono anche con riferimento alla coerenza degli strumenti sopra analizzati rispetto all’impianto della legge n. 243/2012, relativa al pareggio di bilancio.
Come sopra ricordato, lo strumento del patto di stabilità interno, richiedendo alle amministrazioni locali un miglioramento sempre più incisivo delle proprie posizioni di bilancio, può condurre alla richiesta di obiettivi di avanzo di bilancio. Oltre ai profili problematici, sopra ricordati, in termini di efficienza allocativa, tale obbligo sembra presentare apparenti profili di coerenza rispetto alla regola del pareggio prevista dalla recente riforma costituzionale e disciplinata dalla citata legge n. 243/2012.
Occorre però ricordare in primo luogo che la legge prevede che il vincolo del pareggio si applichi, non ai singoli enti, bensì al complesso degli enti territoriali di ciascuna regione, inclusa la regione stessa.
Ciò salvaguarda la possibilità per una parte degli enti della regione di finanziare la spesa per investimenti mediante l’accesso a forme di indebitamento (previa la predisposizione di un piano di ammortamento), ovvero mediante l’utilizzo di avanzi di amministrazione pregressi. Tale possibilità resta comunque condizionata alla circostanza che altri enti del comparto regionale espongano posizioni di avanzo, idonee a compensare le posizioni di deficit degli enti che accedono alle predette forme di finanziamento della spesa per investimenti, le quali non costituiscono infatti una compensazione computabile ai fini del saldo di bilancio espresso in termini di competenza economica (indebitamento netto).
Inoltre, la stessa legge 243/2012, al fine di escludere un potenziale conflitto tra la regola del pareggio e l’obbligo di conseguire avanzi che può essere imposto dal patto di stabilità interno, fa salva la possibilità (art.9, comma 5), per la legge ordinaria, di definire, al fine di assicurare il rispetto di vincoli comunitari, ulteriori obblighi a carico delle amministrazioni locali in materia di concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica “sulla base di criteri analoghi a quelli previsti per le amministrazioni statali e tenendo conto di parametri di virtuosità”[356].
Occorre comunque considerare che, anche ammettendo la
possibilità di richiedere alle amministrazioni locali con legge dello Stato -
ai sensi dell’art. 9, comma 5, della legge n.
Quanto all’utilizzo dello strumento del taglio dei trasferimenti (o meglio: della riduzione delle risorse attribuite alle amministrazioni locali in sostituzione dei trasferimenti, ai sensi dei provvedimenti attuativi del federalismo fiscale), si segnala che l’art. 12 della citata legge 243/2012 prevede la possibilità di chiedere alle amministrazioni locali un contributo da destinare al Fondo ammortamento titoli di stato nelle sole fasi favorevoli del ciclo. La predetta legge non esplicita le modalità di concorso delle amministrazioni locali, nelle fasi non favorevoli del ciclo, per il raggiungimento dell’obiettivo di medio periodo previsto per l’Italia dai vincoli comunitari, che fissano un rapporto massimo debito/PIL pari al 60%. L’obbligo di perseguire tale obiettivo permane infatti, benché lievemente attenuato, anche nelle fasi non favorevoli del ciclo[358].
· Da ultimo, con riferimento ai possibili profili problematici derivanti dall’esigenza di coinvolgimento delle amministrazioni locali nell’azione di risanamento della finanza pubblica e da quella di garantire, nel contempo, il rispetto dell’autonomia finanziaria riconosciuta alle predette amministrazioni, si segnala che alcune sentenze della Corte costituzionale, intervenute negli ultimi anni, hanno censurato la possibilità di prevedere tagli di natura permanente alle risorse spettanti alle predette amministrazioni.
Più in dettaglio, tali sentenze[359] hanno affermato che possono ritenersi principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica norme che “si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi”. Una successiva sentenza[360], intervenuta con riferimento a eccezioni sollevate da alcune regioni a statuto speciale, ha censurato alcune disposizioni che prevedevano misure restrittive di carattere permanente, estendendo la censura anche a quelle riguardanti altri comparti delle amministrazioni locali: tali misure, infatti, sono state ritenute prive del requisito della temporaneità delle restrizioni, affermato nelle precedenti sentenze.
Le predette pronunce della Corte costituzionale sembrerebbero pertanto richiedere che le misure di finanza pubblica riguardino un arco di tempo circoscritto, salva la possibilità di proroga, sempre di carattere temporaneo, delle misure stesse.
[1] Il Patto risulta formalmente costituito dalla Risoluzione del Consiglio europeo del 17 giugno 1997 (97/C 236/01), dal Regolamento del Consiglio (1466/97) sul rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio e del coordinamento delle politiche economiche, dal Regolamento del Consiglio (1467/97) che regola le modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi, e dal Codice di Condotta.
Entrambi i regolamenti citati sono stati oggetto di modifica dapprima nel 2005 (ad opera, rispettivamente, dei regolamenti (CE) 1055 e 1056/2005) e successivamente nel novembre 2011, nel ambito del c.d. six pack, dai regolamenti (UE) 1175/2011 e 1177/2011. Il PSC è stato inoltre integrato dal regolamento (UE) 1173/2011 relativo alla sorveglianza di bilancio della zona euro e “affiancato” dalla Direttiva 2011/85/UE sui requisiti per i quadri di bilancio, che formalmente non fa parte del Patto ma è strumentale rispetto agli obiettivi dello stesso.
[2] Il six pack è costituto, oltre che dai regolamenti sopra citati, dai regolamenti (UE) 1174/2011 e 1176/2011 sugli squilibri macroeconomici.
[3] V. Articolo 3 del Fiscal compact e reg. (CE) 1466/97 come da ultimo modificato dal reg. (UE) 1175/2011.
[4] COM (2012) 342 final.
[5] Articoli 5 e 6 del Regolamento (CE) 1466/1997 come modificato dal Regolamento (UE) 1175/2011.
[6] Le linee guida aggiornate sono consultabili sul sito della Commissione, al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/economy_finance/economic_governance/sgp/pdf/coc/code_of_conduct_en.pdf
[7] Il dato relativo alla spesa delle amministrazioni pubbliche, redatto ai sensi del Regolamento CE 1500/2000, differisce da quello contenuto nel Conto Economico delle Amministrazioni redatto in base alle regole di Contabilità Nazionale. Il raccordo tra le due versioni viene diffuso annualmente dall'Istat a distanza di alcuni mesi.
[8] Per l’anno t si utilizza la media dei valori del deflatore del PIL indicati per tale anno, rispettivamente, dalle Previsioni di Primavera e di Autunno della Commissione pubblicate nell’anno t-1; per l’anno t+1 il valore indicato nelle Previsioni di Primavera dell’anno t; per gli anni successivi, i valori del deflatore indicati dai Governi nell’aggiornamento annuale dei Programmi di stabilità.
[9] La
tabella contenuta nel DEF 2012, Sezione I, mostra come tale regola viene
applicata in Italia. Il benchmark sulla spesa é fissato per un triennio: nel
corso del 2013
[10] Legge costituzionale n. 1/2012.
[11] V.
http://www.camera.it/leg17/522?tema=496&Il+pareggio+di+bilancio+in+Costituzione
[13] L’art. 34 della Costituzione recita
infatti: “Les orientations pluriannuelles des finances publiques sont définies
par des lois de programmation. Elles s’inscrivent dans l’objectif d’équilibre
des comptes des administrations publiques”. Le attuali leggi di
programmazione pluriennale permettono di definire una strategia coerente
complessiva su un periodo di tre anni, nell’obiettivo del ritorno
all’equilibrio dei conti pubblici e sulla base degli impegni presi dalla
Francia a livello europeo nel quadro del Patto di stabilità e crescita. Le
leggi di programmazione riguardano tutte le amministrazioni pubbliche (Stato,
sicurezza sociale e collettività territoriali), comprendono il bilancio
pluriennale dello Stato e integrano le riforme decise nell’ambito della
Revisione generale delle politiche pubbliche (RGPP). La
prima Legge di programmazione ha interessato il periodo
[14]
Il Trattato per “la stabilità, il coordinamento e la governance in seno
all’Unione economica e monetaria”, voluto fortemente dalla Germania, è stato
firmato il
[15] Nel 2011 il Governo allora in carica aveva ritenuto opportuna una modifica della Costituzione e aveva presentato un progetto di legge costituzionale che istituiva, tra l’altro, una nuova categoria di leggi, le “leggi-quadro d’equilibrio delle finanze pubbliche (LCEFP)” in sostituzione delle attuali leggi di programmazione economica, con il compito di determinare lo strategia da imporre, su un periodo di tre anni, per un ritorno al pareggio dei conti pubblici ed il successivo mantenimento di un equilibrio di bilancio. Il progetto legislativo, esaminato ed approvato dai due rami del Parlamento francese a luglio 2011, non è diventato tuttavia legge dello Stato, in quanto, secondo il procedimento “rafforzato” di revisione costituzionale francese (art. 89 della Costituzione), era necessaria una successiva approvazione definitiva dal Parlamento riunito in seduta comune (Congrès), con una maggioranza dei tre quinti dei voti espressi, oppure una consultazione referendaria. L’atteggiamento contrario dell’opposizione rendeva tuttavia incerto l’esito finale e così non è più stato dato seguito alla seconda parte dell’iter legislativo.
[16]
François Hollande, vincitore delle elezioni presidenziali del 22 aprile e
[17]
L’ordinamento francese prevede due strumenti legislativi annuali per il
finanziamento della spesa pubblica: le lois de finances e le lois de
financement de la sécurité sociale.
[18] Il progetto è stato approvato a ottobre
2012 ed è divenuto
[19] Loi organique n. 2012-1403
du 17 décembre 2012 relative à la programmation et à la gouvernance des
finances publiques.
[20] Decisione del 13 dicembre
2012 (causa n.
[21] Attuale art. 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
[22]
Si tratta di una misura che mira a contrastare la tendenza alla forte crescita
del debito pubblico. Secondo le analisi elaborate dai servizi di documentazione
del Bundestag (in particolare l’Aktueller Begriff “Die Schuldenbremse des
Grundgesetzes” n. 79/09 del
[23] La riforma ha, infatti, abrogato la seconda parte del comma 1 che recitava: “Le entrate provenienti da crediti non possono superare la somma delle spese previste nel bilancio per gli investimenti. Sono ammesse eccezioni solo per eliminare distorsioni dell’equilibrio economico generale. La disciplina di dettaglio è demandata ad una legge federale”.
[24] I dettagli sui bilanci dei Länder sono regolati nell’ambito dei loro poteri costituzionali, con il vincolo di rispettare l’obbligo di pareggio del bilancio sancito dalla costituzione federale.
[25] Gli aiuti di consolidamento
(Konsolidierungshilfen) erogati dalla Federazione a questi cinque Länder
ammontano ad un importo complessivo annuo di 800 milioni di euro per il periodo
[26] Il disegno di riforma costituzionale volto a modificare l’art. 135
della Costituzione spagnola è stato presentato al Congresso dei deputati il
[27] Prima dell’entrata in vigore della Ley
Orgánica 2/2012, in materia di bilancio del settore pubblico vigeva il Real Decreto Legislativo
2/2007, de 28 de diciembre, por el que se aprueba el texto refundido de la Ley
General de Estabilidad Presupuestaria[27], che stabiliva il
principio della stabilità di bilancio (art.3), sanciva il perseguimento
dell’obiettivo di stabilità di bilancio (art. 8), disciplinava la correzione
della situazione di inadempienza dell’obiettivo di stabilità (art. 14) e
prevedeva l’obiettivo di stabilità di bilancio per gli enti locali (art. 20).
Per quanto concerne le Comunità autonome, era invece vigente
[28] Come risulta da tale elenco:
- le Amministrazioni centrali
comprendono,
- le Amministrazioni locali comprendono gli enti la cui competenza è limitata ad una parte del territorio nazionale (regioni, province, comuni, comunità montane, Camere di commercio, Enti per il turismo, ASL, Aziende ospedaliere, IRCCS, Università, Autorità portuali, Enti parco, …);
- gli enti di previdenza e assistenza (INPS, INAIL, INPDAP, Casse previdenziali aziendali, Casse previdenziali privatizzate, enti di previdenza di categorie professionali, altri enti, …).
[29] La distinzione tra pubblico e privato adottata nell’ambito della contabilità nazionale, codificata nel Sec95, guarda principalmente alla natura dell’attività economica espletata dai singoli enti; quella utilizzata nella contabilità pubblica guarda invece prevalentemente alla natura dell’ente sotto il profilo della proprietà, del controllo, del finanziamento.
[30] Sec 95.
[31] I dati sono elaborati in conformità al
Regolamento UE 2223/96 (SEC95).
[33] In base al criterio della competenza giuridica, l’iscrizione è effettuata nel momento in cui si determina il diritto all’acquisizione (accertamento) ovvero l’obbligo di erogazione (impegno) delle somme. Il criterio di cassa fa riferimento al momento dell’incasso effettivo o del pagamento delle somme.
[34] I dati contenuti nella Notifica sono elaborati in base alla metodologia del SEC95. In alcuni casi si fa riferimento a regolamenti specifici che trovano applicazione solo per le statistiche elaborate nell’ambito delle procedure per disavanzi eccesivi (PDE): Regolamento 3605/93 (come emendato dal Reg. (CE) 351 del 25/2/2002 e (CE) 2103 del 12/12/2005); cfr inoltre regolamento (CE) n. 479/2009 come modificato dal regolamento (CE) n. 679/2010).
[35] Valutate al valore facciale di emissione.
[36] Il valore del debito è consolidato all’interno del settore delle P.A.: da esso sono quindi escluse le passività che costituiscono nel contempo stesso attività di enti appartenenti al comparto delle Amministrazioni pubbliche.
[37] Raccomandazione della Commissione al Consiglio SEC
(2009) 1525 e decisione del Consiglio
del 2 dicembre 2012 (2010/286/UE). Al seguente link v. la pagina web in cui
sono riassunte tutte le fasi della procedura per disavanzo eccessivo aperta nei
confronti dell'Italia:
http://ec.europa.eu/economy_finance/economic_governance/sgp/deficit/countries/italy_en.htm
[38] I
due documenti costituiscono, rispettivamente,
[39] La riduzione del rapporto/debito dal 2013, sia pure attenuata rispetto al Programma di stabilità oggetto della raccomandazione del Consiglio, è confermata dal dato contenuto nel quadro programmatico della Nota di aggiornamento al DEF presentata nel successivo mese di settembre (il debito programmatico sconta gli effetti di un programma di dismissioni immobiliari tale da favorire un abbattimento dello stock di debito di 1 punto di PIL ciascun anno).
[40] E’ da notare che in presenza di una crescita ridotta o nulla del PIL potenziale anche tassi estremamente contenuti del PIL effettivo possono contribuire alla chiusura dell’ output gap.
[41] Cfr. in particolare Public finance in EMU 2006, n. 3/2006, capitolo 4.
[42] Sono classificabili tra tali misure le imposte connesse all’esercizio di opzioni da parte dei contribuenti, quali la rivalutazione volontaria dei cespiti dell’attivo patrimoniale (immobili, terreni e beni d’impresa), e il riallineamento dei valori di bilancio ai principi IAS (Cfr. l’art. 15 del DL n. 185/2008), nonché i tributi richiesti per singoli esercizi (come l’imposta sostitutiva delle imposte ipotecaria e catastale sui contratti di locazione finanziaria di immobili in essere al 1° gennaio 2011, di cui all’art. 1, co. 15 e 16 della L. n. 220/2010).
[43] Cfr. il citato art. 1, co. 15 e 16, della L. n. 220/2010
[44] Cfr.
il citato art. 15 del DL n. 185/2008, come modificato dall’art. 20, commi da
[45] L’articolo
13-bis del DL 78/2009 ha istituito un’imposta sostitutiva connessa al rimpatrio
e alla regolarizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute
all’estero, corrispondente al 5 per cento del valore delle predette attività.
Il comma 8 dell’articolo 13-bis ha disposto il versamento delle maggiori
entrate in una contabilità speciale, ai fini del relativo utilizzo in
attuazione della manovra di finanza pubblica per l’anno 2010 e per gli anni
successivi. Le maggiori entrate, originariamente stimate in 4 miliardi, di cui
3.800 milioni nel 2009 e 200 milioni nel 2010
sono state in parte (3.716) utilizzate dal citato DL
[46] il DL 194/2009, art. 1, commi 1-
[47] L’ammontare cumulato della previsione della stima per l’intero periodo 2010-2015 ammonta a quasi 2 miliardi di euro (1.946 milioni) con una riduzione di circa 2,7 miliardi rispetto alle previsioni originarie.
[48] Previsto dall’art. 1 del DL n. 185/2008.
[49] Cfr. il DL n. 16/2012, nel testo risultante dalla legge di conversione.
[50] Secondo i dati Istat del 1° marzo 2013, l’avanzo primario 2011 risulta pari all’1,2 per cento (+0,2 punti rispetto alle precedenti stime) e l’indebitamento netto al 3,8 per cento (-0,1 pp).
[51] Per un approfondimento delle analisi della fiscal stance , v. dossier sui documenti di finanza pubblica predisposti dal Servizio Bilancio e dal Servizio Studi della Camera e dal Servizio Bilancio del Senato.
[52] I valori dei saldi scontano gli effetti della legge di stabilità 2013.
[53] Per ottenere il saldo strutturale, il dato OCSE relativo al saldo di bilancio corretto per i soli effetti del ciclo è integrato con la stima delle una tantum contenuta nella Nota di aggiornamento del DEF 2012.
[54] D.L. 112/2008.
[55] L’incidenza sul PIL della manovra fa riferimento al valore del prodotto quale risulta dal DPEF 2009, presentato nel giugno 2008 contestualmente al D.L. 112.
[56] Legge finanziaria per il 2009, D.L. 185/2008, D.L. 5/2009, D.L. 78/2009 e legge finanziaria per il 2010.
[57] Per una stima degli effetti sulla crescita e sui saldi di finanza pubblica delle misure adottate e degli stabilizzatori automatici, v. Hamburg.B., Momigliano S., Manzke B., Siviero S., The reaction of fiscal policy to the crisis in Italy and in Germany: are they really polar case in the European context?, 2010
[58] Con la legge di assestamento del bilancio 2009 si è proceduto ad incrementare le autorizzazioni di cassa (Fondo di riserva per le autorizzazioni di cassa e Fondo per la riassegnazione dei residui perenti) per far fronte alle richieste di rimborso nei confronti delle Amministrazioni centrali rimaste inevase negli esercizi precedenti. Nella misura in cui i conseguenti pagamenti della P.A. riguardavano spese in conto capitale ciò si è tradotto in un aumento dell’indebitamento netto 2009; per quanto riguarda invece gli esborsi a fronte di spesa per consumi intermedi, essi erano già scontati nel conto economico degli esercizi in cui l’Amministrazione aveva assunto il relativo impegno.
[59] V. Relazione unificata per l’economia e finanza (RUEF), presentata nel maggio 2010.
[60] In termini reali, invece, il PIL 2011 era ancora inferiore al livello raggiunto nel 2007.
[61] D.L. 78/2010.
[62] L’incidenza sul prodotto fa riferimento al valore del PIL risultante dalla DFP presentata nell’ottobre 2010.
[63] Decreti legge n. 98 e 138 del 2011.
[64] D.L. 201/2011.
[65] Gli effetti sui saldi comprendono anche quelli della legge di stabilità 2012, i cui effetti in termini di manovra netta sono peraltro marginali. L’incidenza sul prodotto fa riferimento al valore del PIL risultante dalla Relazione al Parlamento presentata nel dicembre 2011.
[66] V. tavola III.2 del DEF 2012, parte I.
[67] Cfr. in particolare i D.L. n. 185/2008 e n. 5/2009, inclusi nella Tavola. 3.1 del paragrafo 3.1 del presente Dossier e non considerati nelle Note brevi della RGS.
[68] Tali differenze sono in larga parte ascrivibili al riparto degli effetti indotti derivanti dalle misure contenute in ciascuna manovra, la cui imputazione ai diversi livelli di governo non è esplicitata nei prospetti riepilogativi allegati ai singoli provvedimenti.
[69] In assenza delle proiezioni ufficiali dei dati, non si è in questa sede operato il cumulo delle manovre attuate nel corso della legislatura che vengono presentate in due fasi temporali separate. Qualora si intenda cumularne gli effetti, si consideri che quelli del D.L. n. 78/2010, pari a circa 12,1 miliardi per il 2011, raddoppiano sostanzialmente a decorrere dall’esercizio successivo (25,1 miliardi, di cui il 51% imputabile alle Amministrazioni centrali, il 40% alle Amministrazioni locali e il 9% agli Enti di previdenza)
[70] Cfr. in
particolare “La manovra di bilancio per il triennio 2011-
[71] Rispetto alle tabelle sopra riportate, basate sul criterio dello sforzo fiscale, il riparto della manovra in termini di beneficio fiscale, ovvero in termini di miglioramento dei saldi di ciascun comparto amministrativo, ascriverebbe al comparto delle Amministrazioni centrali sia gli effetti di risparmio relativi al comparto previdenziale (cui corrispondono minori trasferimenti erariali), sia parte dei risparmi relativi al comparto delle Amministrazioni locali, in misura corrispondente al taglio dei trasferimenti operati nel corso della legislatura, sia nella prima che nella seconda fase (cfr., con riferimento a tale ultimo aspetto, il paragrafo 3.3, relativo agli strumenti di manovra sul comparto delle Amministrazioni locali, in cui si rileva che i tagli operati nella prima fase ammontano a 5,8 mld per il 2011 - destinati a divenire 7,5 dal 2013 -, mentre nella seconda fase sono stati operati ulteriori tagli per un importo pari a circa 3,8 mld per il 2012, 7,5 mld per il 2013 e 8 mld per il 2014).
[72] Ai fini del consolidamento delle poste di entrata e uscita corrente dei diversi livelli di governo si è adottata l’approssimazione di escludere le voci di spesa e di entrata derivanti da trasferimenti da e verso enti pubblici. Ne consegue uno scostamento, comunque estremamente contenuto (1,1%), tra il dato effettivo del saldo primario corrente della PA e quello che si ottiene dalla somma dei saldi primari correnti dei sottolivelli di governo così stimati.
[73] Cfr. in particolare il Rapporto annuale sul
coordinamento della finanza pubblica,
[74] Peraltro, con riferimento alle legislature precedenti, l’andamento dei trasferimenti agli enti locali - al netto di taluni effetti compensativi di scostamenti di gettito di tributi locali derivanti da interventi legislativi (ICI sulla prima casa, ICI rurale e altre fattispecie minori) – mostra comunque un progressivo contenimento, particolarmente marcato se espresso in termini di incidenza percentuale sul PIL.
[75] Con riferimento ai criteri di contabilizzazione degli effetti derivanti dai due strumenti di manovra, si rinvia al paragrafo “effetti delle manovre sulle amministrazioni locali: strumenti di manovra, federalismo e pareggio di bilancio” della seconda parte del presente dossier.
[76] Cfr. nota precedente
[77] Per la stima delle spese correnti dei diversi comparti si sono utilizzati i dati delle seguenti pubblicazioni Istat:
§
“I
bilanci consuntivi delle amministrazioni comunali – Dati provvisori
§
“I
bilanci consuntivi delle amministrazioni provinciali – Dati definitivi
§
“I
bilanci consuntivi delle regioni e province autonome – Dati provvisori
[78] Con
riferimento alle analisi relative all’andamento della spesa sanitaria cfr. capitolo 5, approfondimento n. 3.
Nella presente analisi, al fine di espungere dalla spesa corrente regionale
quella di carattere sanitario, si sono considerati i trasferimenti correnti
alle ASL, indicati nella sopra citata pubblicazione ISTAT “I bilanci consuntivi delle regioni e province
autonome – Dati provvisori
[79] I dati relativi alla spesa corrente dei
comuni e delle province appartenenti alle citate tre regioni a statuto speciale
sono tratti dalle predette pubblicazioni ISTAT: “I bilanci consuntivi delle amministrazioni comunali – Dati provvisori
[80] I cui effetti sono qui misurati con riferimento all’esercizio 2013, ma si mantengono pressoché identici per gli esercizi successivi.
[81] DEF 2012, parte I. Secondo le stime del Governo, elaborate con il modello QUEST III, l’impatto delle manovre sul PIL comporterebbe una minore crescita dell’1 per cento nel 2012 e 2013 e dello 0,6 per cento nel 2014. Su tali problematiche, cfr approfondimento n. 4 del dossier sul DEF, n. 14 dell’aprile 2012, predisposto dal Servizio Bilancio e Servizio Studi della Camera e dal Servizio Bilancio del Senato.
[82] Commissione Europea, Autumn
Forecast 2012,
[83] Elmeskov J. and Sutherland D.
(2012), Post crisis debt overhang: growth
implications across countries, OECD Parliamentary Budget Officials and
Independent Fiscal Institutions, 4th Annual Meeting.
[84] Henry J., Hernández de Cos, P. and Momigliano S. (2007), The impact of government budgets on prices: evidence from macroeconometric models, Journal of Policy Modeling; Coenen et al., Effects of fiscal stimulus in structural models, American Economic Journal: Macroeconomics, vol. 4, n. 1, Gennaio 2012. Gli studi mettono in evidenza la diversità dei risultati ottenuti sulla base dei modelli di impostazione keynesiana e quelli che incorporano aspettative razionali quali INTERLIK utilizzato dall’OCSE e il modello QUEST utilizzato dalla Commissione europea.
[85] Su
tali aspetti ha insistito
[86] Decreti legge n. 1, n. 5 e n. 83 del 2012.
[87] Legge n. 92
[88] V. Barnes S. et al. (2011), The GDP impact of reform: A simple
simulation Framework, OCSE Economics Department Working Papers, n. 834, and
Bouis R., Duval R., (2011), Raising
potential growth after the crisis: a quantitative assessment of the potential
gains from various structural reforms in the OECD area and beyond, OCSE,
W.P. n. 835.
Una rassegna di tali problematiche è contenuta nell’Approfondimento n. 3 del dossier predisposto sul DEF 2012 (cfr supra).
[89] Con riferimento alle misure adottate dall’Italia, l’OCSE (Economic Outlook, Maggio 2012) osserva che esse dovrebbero migliorare il potenziale di crescita nel medio periodo. Nel rapporto si raccomanda, inoltre, di dare al più presto attuazione alle norme, sottolineando come in Italia i tempi siano tradizionalmente più lunghi rispetto a quanto avviene negli altri paesi.
[90] DD.LL. n. 1 e n. 5 del 2012. Il DEF non
riporta le stime relative alla riforma del mercato del lavoro, all’epoca in
corso di esame presso il Parlamento, e al D.L. 83/2012 presentato
successivamente.
[91]Il mark-up (pari a (P-C)/P , dove P e C
indicano, rispettivamente, nel caso di un singolo bene o servizio il prezzo di
mercato e il costo, e nel caso di un settore, il prezzo e il costo medio)
misura il margine tra i prezzi di mercato e i costi indicando la percentuale di
ricarico che il produttore adotta rispetto ai suoi costi di produzione per
fissare il prezzo. La riduzione del mark-up indica un elevato grado di
liberalizzazione dell'economia o del settore comportando l'effetto crescita più
volte richiamato dai documenti OCSE.
[92] Lusinyan L. e Muir D., Assessing the macroeconomic impact of structural reforms: the case of
Italy, IMF Working Paper 13/22, Gennaio 2013.
[93] Nello studio si ipotizza che la riduzione del 50 per cento del divario con i paesi meglio performanti comporti una riduzione del mark-up pari a 2,5 pp nei settori tradable e di 15 pp nei non tradable.
[94] Fonte: Bollettino delle entrate tributarie, Ministero economia e finanze, Dipartimento delle finanze.
[95] L’autoliquidazione interessa sia il saldo delle imposte del 2008 sia l’acconto delle imposte per il 2009. Queste ultime, in base al metodo storico, sono calcolate con riferimento al reddito dell’anno precedente.
[96] Bollettino delle entrate tributarie, dicembre 2011.
[97] Nota cfr. infra
[98] La disciplina è stata introdotta dall’art. 23, comma 12, del decreto legge n. 98 del 2011 ed ha prodotto un gettito di imposta sostitutiva maggiore rispetto a quelli stimati ex ante nella relazione tecnica. I termini per il riallineamento agevolato sono stati successivamente riaperti (D.L. n. 201/2011, art. 20) e, in tale sede, la relazione tecnica ha considerato il maggior gettito precedentemente realizzato. A fronte della rivalutazione, tuttavia, si realizza un minor gettito IRES a decorrere dal periodo d’imposta in cui è riconosciuta ai fini fiscali la deduzione dell’ammortamento dei maggior valori di attività immateriale affrancate.
[99] Articolo 3, decreto legislativo n. 23/2011 (c.d. federalismo municipale).
[100] Nel corso dell’iter parlamentare, il Servizio bilancio dello Stato aveva osservato che “una parte non trascurabile del gettito per competenza della cedolare secca risulta ascritta al fenomeno dell’emersione di base imponibile” cfr. Dossier n. 264 del 1° febbraio 2011.
[101] Si veda in proposito la scheda relativa all’IMU e alla TARSU.
[102] Articolo 2, commi da 2-bis a 2-quater del decreto legge n. 138/2011.
[103] Con il termine “cuneo fiscale” si intende la differenza tra il costo del personale sostenuto del datore di lavoro (che comprende, ad esempio, anche i contributi previdenziali ed assistenziali) e la retribuzione netta percepita dal lavoratore dipendente (che, rispetto alla retribuzione lorda, viene ridotta dei contributi e delle ritenute fiscali). Il costo sostenuto dal datore di lavoro comprende anche l’IRAP pagata sulla quota di tale onere che non risulta deducibile ai fini della determinazione della base imponibile.
[104] Si veda, nella II parte del dossier, il paragrafo “effetti delle manovre sulle amministrazioni locali”.
[105]
L’anticipo dal
[106] All’incremento dell’aliquota IVA ordinaria dal 20% al 21% introdotta, a decorrere da settembre 2011, dal decreto legge n. 138 del 2011 sono ascritti effetti annui, a decorrere dal 2012, pari a 4.236 milioni annui.
[107] Nel corso della legislatura, l’utilizzo dell’incremento delle accise sui carburanti è stato oggetto di numerosi interventi.
[108] Comunicato stampa del MEF n. 30 de 11 marzo 2013.
[109] Articolo 1, comma 16, della legge n. 220 del 2010.
[110] Decreti legge nn. 98/2011, 138/2011 e 201/2011, legge di stabilità per il 2012 e D.L. n. 95/2012.
[111] Le differenze infrannuali possono verificarsi in corrispondenza dei versamenti delle ritenute relativi al pagamento delle tredicesime o di altri premi di produttività.
[112] La scadenza di giugno è prorogabile a luglio con l’aggiunta degli interessi. Inoltre, è anche prevista la possibilità di rateizzare in 5 quote l’ammontare dovuto a giugno.
[113] Il ddl stabilità 2013 quantificava, nel loro complesso, maggiori entrate pari a 6.655 milioni nel 2013, 6.295 milioni nel 2014 e 5.849 milioni nel 205 e di minori entrate pari a 8.751 milioni nel 2013, 7.181 milioni nel 2014 e 5.914 milioni nel 205 con un effetto netto sulle entrate pari a -2.097 nel 2013, -886 milioni nel 2014 e – 65 milioni nel 2015,
[114]
IMU: analisi dei versamenti 2012 disponibile
sul sito del Ministero dell’economia e finanze, http://www.mef.gov.it/primo-piano/documenti/Bozza_documento_IMU_rev.pdf
[115] Schema di decreto legislativo n. 292, Disposizioni in materia di federalismo municipale..
[116]
La relazione tecnica allegata al DL n. 201/2011 non esplicita il riferimento
anche ai fabbricati rurali. Tuttavia,
[117] Il valore include anche una stima prudenziale degli effetti delle manovre dei Comuni.
[118] http://www.governo.it/GovernoInforma/dialogo/aree/patrimoniale/IMU_analisi_ex_ante.pdf
[119]
La medesima stima è contenuta anche nella successiva relazione tecnica
trasmessa con nota del 27 luglio
[120] V. tavola 2.2 sulle misure una tantum, capitolo 2. Le entrate straordinarie, riconducibili all’asta delle frequenze, sono pari a 3,8 miliardi nel 2011. Le dismissioni immobiliari presentano un valore compreso tra 1,2 e 1,4 miliardi annui.
[121]
Sulla riduzione della spesa per interessi nel 2009 incidono anche effetti di
riclassificazione contabile. Come specificato nella Relazione sull’economia e
finanza (RUEF) del maggio 2010 (Cfr.
Note 21 e
[122] Si prendono in considerazione gli effetti di maggiore e minore spesa attesi per il 2012 dalle manovre oggetto dei decreti legge n. 98, 138 e 201 del 2011, della legge di stabilità 2012 e del decreto legge n. 95 del 2012 (v. capitolo 3, tavola 3.1).
[123] La spesa per interessi indicata nella Nota illustrativa non sconta gli effetti di abbattimento del debito derivanti dal programma di dismissioni annunciato dal Governo.
[124] Dati di consuntivo Istat 1° marzo 2013 per gli anni 2008-2012; Nota di aggiornamento DEF 2012, comprensiva degli effetti della legge di stabilità 2013, per il triennio 2013-2015.
[125] Come si è detto, revisioni dei tendenziali di spesa relativi al 2013 ed al successivo biennio potrebbero derivare dalla differenza, rispetto alle precedenti stime, registrata a consuntivo nel 2012.
[126] I dati del Conto annuale per gli anni dal 2001 al 20011 sono consultabili alla pagina www.contoannuale.tesoro.it.
[127] Si rammenta peraltro che la spesa per il pagamento di quanto dovuto a tali collaboratori viene computato dalla Ragioneria generale dello Stato al fine di determinare il totale generale del costo del lavoro nella Pubblica amministrazione.
[128] Il riferimento al comparto di contrattazione va inteso in senso ampio, poiché vi viene ricompreso anche il personale in regime di diritto pubblico (magistrati, diplomatici, professori universitari, prefetti, carriera penitenziaria, vigili del fuoco, forze armate e corpi di polizia).
[129] La tavola prende in considerazione i dati relativi al periodo 2007-2011 per valutare lo sviluppo del settore del pubblico impiego nel corso della XVI legislatura. L’anno 2007, esterno alla XVI legislatura viene utilizzato come anno base per il confronto.
[130] Le “unità annue” si ottengono sommando (distintamente per categoria e genere) i mesi lavorati dal personale che
presta attività lavorativa a termine e dividendo il totale di ciascuna categoria per i 12 mesi.
[131] Regione Siciliana: 670 unità annue, Ente foreste Sardegna: 970, ex Ipab della Provincia autonoma di Trento: 730.
[132] Il monitoraggio è un’indagine congiunturale trimestrale inserita fra le rilevazioni del sistema statistico nazionale che anticipa alcune informazioni di organico e di spesa che il conto annuale rileverà successivamente per l’intero anno. Le istituzioni tenute all’invio dei dati sono: un campione di 598 comuni statisticamente rappresentativo di tutti i comuni italiani; tutte le province; gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca con più di 200 unità di personale nella dotazione organica. Per il Servizio sanitario nazionale sono rilevate tutte le ASL (aziende sanitarie locali), le aziende ospedaliere, gli IRCCS (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) e Policlinici nonché gli ESTAV (Enti per i servizi tecnico-amministrativi di area vasta).
[133] Ad oggi SPT cura il pagamento degli stipendi del personale dei Ministeri, Agenzie Fiscali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Scuola, AFAM, Vigili del fuoco, Corpo Forestale, Polizia Penitenziaria, Carriere Penitenziaria, Diplomatica e Prefettizia, alcuni Enti di Ricerca ed altri enti di minori dimensioni. Le recenti modifiche normative amplieranno il novero degli enti serviti da SPT.
[134]
I dati sono prelevati dalla Nota tecnico-illustrativa al disegno di legge di
stabilità 2013 per quanto concerne gli anni dal 2012 al 2015, mentre i dati riferiti
all’anno 2008 sono tratti dai Conti delle
amministrazioni pubbliche - Periodo di riferimento 1990- 2011, pubblicati
dall’ISTAT il
[135]
La contabilizzazione di una spesa secondo il criterio di cassa, ovvero di
competenza giuridica oppure di competenza economica, può determinare lo
slittamento della imputazione di una spesa da un anno all’altro. Si prenda il
caso degli stanziamenti per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali per i
comparti del pubblico impiego. All’inizio il Governo effettua uno stanziamento
in competenza giuridica con riferimento agli anni del triennio contrattuale.
Supponiamo che per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017 sia effettuato uno stanziamento
in competenza giuridica pari a 100. Il Governo al primo gennaio 2015 avvia
le trattative e firma con le organizzazioni sindacali un contratto al
[136] “PIL e indebitamento delle amministrazioni pubbliche”.
[137] Previsti dall’articolo 24 della legge n. 448/1998.
[138]
La spesa per il triennio
[139]
Dati ISTAT - La classificazione funzionale
riguarda la spesa finale consolidata delle amministrazioni pubbliche
(amministrazioni centrali, amministrazioni locali, enti di previdenza), della
quale evidenzia unicamente i flussi che hanno impatto sugli altri settori
istituzionali; essa si suddivide in tre livelli di analisi, potenzialmente in
grado di fornire una classificazione articolata di tutte le voci di spesa
dell’operatore pubblico. Tali livelli consistono nelle Divisioni, che
rappresentano i fini primari perseguiti dalle amministrazioni, analizzate al
loro interno in Gruppi, che riguardano le specifiche aree di intervento delle
politiche pubbliche, e successivamente in Classi, che identificano i singoli
obiettivi in cui si articolano le aree di intervento.
Di
tali livelli di analisi, per il settore istruzione qui in esame, sono disponibili il primo ed il secondo.
[140] “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”.
[141] D.lgs. 112/1998 e DPR 275/1999.
[142] Nuovo sistema informativo sanitario.
[143] La parte restante è costituita da prestazioni di tipo assistenziale.
[144] V. art. 17 del D.L. 98/2011, art. 15 del D.L. 95/112 e art. 1, commi 131-132, della Legge di stabilità 2013.
[145] Su tale materia è intervenuto da ultimo l’articolo 15 del D.L. 95/2012, in base al quale a decorrere dal 2013:
- il tetto della spesa farmaceutica ospedaliera è rideterminato dal 2,4 per cento al 3,5 per cento;
- una quota pari al 50 per cento dell’eventuale sforamento del tetto di spesa è posto a carico delle aziende farmaceutiche;
- il restante 50 per cento del disavanzo è a carico delle regioni nelle quali è superato il tetto di spesa, in proporzione dei rispettivi disavanzi.
[146] Per un’analisi dettagliati dei risultati 2011 della spesa farmaceutica, territoriale e ospedaliera, nelle singole regioni, v. Corte dei conti, Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2012.
[147] Si ricorda che nel 2011 le risorse destinate alla copertura della sospensione dei ticket sulla specialistica hanno coperto i primi 7,5 mesi dell’anno (articolo 17, comma 6, del D.L. 98/2011).
[148] Il regime di pay back sul prezzo dei farmaci, istituito dall’articolo 1, comma 796, lett. g, della legge 296/2006, è stato esteso ai farmaci entrati in commercio successivamente al 2006 dall’art. 64 della legge 99/2009. Esso consiste nella possibilità per le aziende farmaceutiche di non ridurre del 5 per cento il prezzo di taluni farmaci a carico del SSN, a fronte del versamento in favore delle regioni dell’importo equivalente al maggior costo a carico dei servizi sanitari regionali.
Gli importi versati dalle imprese farmaceutiche a titolo di pay back, insieme a quelli relativi alla quota dell’1,83 per cento del prezzo (netto IVA) dei farmaci erogati in regime di convenzione che le imprese farmaceutiche sono tenute a versare alle regioni (art 11, comma 6, del D.L. 78/2010), sono portati in riduzione della spesa farmaceutica al fine del calcolo del rispetto del tetto.
[149] L’importo del finanziamento preso in considerazione ai fini del tetto sulla farmaceutica è al netto delle c.d. attività non rendicontate.
[150]
Su tale materia è intervenuto l’articolo 15 del D.L. 95/2012 che ha
rideterminato il tetto della spesa farmaceutica territoriale dal 13,3 per cento
del finanziamento cui concorre lo Stato al 13,1 per cento per il 2012 e
all’11,35 per cento dal 2013, precisando che nel tetto non è ricompresa la
quota differenziale a carico del cittadino per l’acquisto di farmaci a prezzo
superiore a quello rimborsato dal SSN. Il D.L.
[151] Al riguardo l’articolo 15 del D.L. 95/2012 ha previsto che, fermo restante il vigente meccanismo di cui all’articolo 5 del D.L. 159/2007, a decorrere dal 2013, gli eventuali importi derivanti dalla procedura di ripiano siano assegnati alle regioni, per il 25 per cento, in proporzione allo sforamento del tetto registrato nelle singole regioni e, per il residuo 75 per cento, in base alla quota di accesso delle singole regioni al riparto della quota indistinta del finanziamento del SSN.
[152]La procedura di affiancamento gestionale da parte dei Ministeri della salute e dell’Economia e la sottoscrizione dei Piani di rientro è stata avviata nel 2007 dalle regioni Liguria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Sicilia e Sardegna, quest’ultima ai soli fini di recupero del finanziamento statale non erogato a seguito dell’inadempienza per l’anno 2001. Tali regioni hanno rinnovato i Piani allo scadere del triennio, con l’eccezione della Liguria che aveva chiuso l’esercizio 2010 con esiti positivi. La procedura è stata successivamente estesa alla regione Calabria, al Piemonte e alla Puglia.
Per la disciplina dei piani di rientro, cfr articolo 1, commi 174 e 180 della legge 311/2004, l’articolo 1, comma 796, lett. b) della legge 296/2006, e l’articolo 2, commi 75 e ss. della legge 191/2009.
[153] Legge 244/2007.
[154] Legge 191/2009.
[155] v. Articolo 77-quater del D.L. 112/2008 convertito con modificazioni dalla legge 133/2008.
[156]
Come già avveniva per
[157] Enti finanziati con FSN: Croce Rossa Italiana, Cassa DD PP, Università (borse di studio per specializzandi), Istituti Zooprofilattici Sperimentali.
[158] Per una ricostruzione dei criteri vigenti fino al riparto relativo al 2012 e dei nuovi criteri previsti dal D.Lgs 68/2011, v. dossier predisposto dal Servizio Bilancio e dal Servizio Studi della Camera dei deputati, n. 291/2011.
[159] Sono componenti di ricavo introdotte dalla contabilità economica e ricomprendono: sopravvenienze attive, insussistenza del passivo, plusvalenze.
[160] Delle risorse (al netto dei costi capitalizzati) destinate alle regioni, pari complessivamente a 111.204 milioni nel 2011, 102.503 milioni sono relativi al finanziamento indistinto e 1.776 milioni sono destinati alle attività vincolate. Ad essi si aggiungono i trasferimenti da province autonome e RSS (704 milioni) ulteriori rispetto a quelli presi in considerazione in sede di riparto, i contributi che le regioni hanno garantito a copertura della spesa sanitaria al di là delle risorse a ciò specificamente destinate (666 milioni), i proventi e le entrate diverse (comprese quelle derivanti dai ticket) per oltre 3,7 miliardi, nonché i ricavi straordinari (666 milioni) e da intra moenia (1,1 miliardi) (Per tale ripartizione delle risorse, v. Corte dei conti, op.cit.).
[161] I conti forniti dalle regioni con i modelli CE del IV trimestre dell’anno sono vagliati ai Tavoli di verifica previsti dall’art. 1, comma 174, della legge 311/2004 e, per le regioni che hanno in corso un piano di rientro dal deficit sanitario, attraverso il monitoraggio specificamente previsto dall’art. 1, comma 796, lett. b), della legge 296/2006. V. anche legge 191/2009, articolo 2, commi 75 e ss.
[162] L’aumento della spesa per prestazioni sociali in denaro nel 2012 rispetto all’anno precedente, come si legge nel comunicato ISTAT del 1° marzo 2013, è stato in linea con la crescita della spesa per pensioni e rendite, la cui dinamica è stata sostenuta dall’effetto dell’indicizzazione ai prezzi.
[163] In particolare, da: ISTAT, Conti ed aggregati economici delle Pubbliche Amministrazioni, 1990-2011 (dicembre 2012), e ISTAT, Spesa della Amministrazioni pubbliche per funzione, 1990-2011 (gennaio 2013) e, infine, Comunicato del 1° marzo 2013, PIL e indebitamento AP.
[164] D.L. n. 201/2011, D.L. n. 216/2011, D.L. n. 95/2012 e legge n. 228/2012.
[165] Cfr. le relazioni tecniche alle disposizioni richiamate.
[166] Cfr. l’articolo 1, comma 235, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013).
[167] Si ricordano, in particolare, il D.L. n. 78/2010 e il D.L. n. 201/2011.
[168] Si precisa, a questo proposito, che le previsioni assumono: un aumento della speranza di vita, al 2060, di 6,7 anni per gli uomini e di 6,5 anni per le donne, rispetto ai valori del 2011; un tassi di fecondità che converge gradualmente a 1,6; un flusso netto di immigrati che passa da un valore medio annuo di circa 280.000 unità, nel primo decennio di previsione, ad un valore annuo di circa 180.000 unità alla fine del periodo di previsione.
[169] A tale proposito,
[170] Pubblicato nel dicembre 2012.
[171] Nota di aggiornamento al DEF 2012.
[172] Si segnala che, dal punto di vista metodologico, i tassi di variazione della spesa per altre prestazioni sociali in denaro risentono delle specifiche basi tecniche riferite alle diverse tipologie di prestazioni e degli aspetti normativo-istituzionali che le caratterizzano (cfr. DEF 2012, sezione II).
[173] Per esempio, il lavoro intermittente, le collaborazioni a progetto, le associazioni in partecipazione, il lavoro accessorio.
[174] A tale scopo, la legge introduce anche un procedimento giudiziario ad hoc.
[175] Si ricorda che, in caso di sospensione o interruzione del rapporto di lavoro, l’ordinamento prevedeva il ricorso alla Cassa integrazione ordinaria, alla Cassa integrazione straordinaria, alla mobilità, all’indennità di disoccupazione, finanziati dai contributi di lavoratori e datori di lavoro. Per fare fronte a situazioni di particolare crisi in settori non coperti dalla disciplina degli ammortizzatori sociali, nel tempo sono state autorizzate concessioni di ammortizzatori sociali in deroga, con oneri a carico della fiscalità generale.
[176] L’istituto in esame sostituisce l’indennità di disoccupazione.
[177] Si tratta, infatti, dei requisiti richiesti attualmente per l’accesso all’indennità di disoccupazione non agricola ordinaria a requisiti normali.
[178] Tale contributo assorbe il contributo a carico del datore di lavoro, attualmente previsto in caso di accesso alla mobilità.
[179] E’ il caso dei settori del commercio, delle agenzie di viaggio e delle imprese di vigilanza nonché dei lavoratori portuali.
[180] Secondo la classificazione conforme al sistema di contabilità economica adottato in ambito europeo, SEC 95, nell’aggregato delle uscite in conto capitale sono considerate, quali voci principali, gli “investimenti fissi lordi” ed i “contributi agli investimenti”; le ulteriori componenti sono aggregate nella voce delle “altre uscite in conto capitale”, che riguardano principalmente gli “altri trasferimenti in conto capitale”, diretti questi ultimi verso famiglie, imprese, enti pubblici ed estero e le “acquisizioni nette di attività non finanziarie”.
[181] Comunicato del 1° marzo 2013.
[182] Come evidenziato dalla letteratura economica, il declino strutturale della spesa per investimenti pubblici è riconducibile ad una pluralità di cause, quali:
- il ridimensionamento del ruolo dello Stato
- la parziale saturazione della domanda di infrastrutture in presenza di una progressiva riduzione del tasso di crescita della popolazione
- il diffondersi di sistemi alternativi di finanziamento degli investimenti infrastrutturali con il coinvolgimento del capitale privato
- la maggiore durata degli investimenti
- la sostituzione di investimenti materiali con investimenti immateriali (spesso classificati tra le spese correnti).
[183] Rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica – Maggio 2012
[184] V. Allegato IV al DEF 2012, Linee guida del programma delle infrastrutture strategiche infrastrutturale.
[185] Il DEF mette in rilievo le seguenti cause:
- progressivo inaridirsi delle risorse per gli investimenti e peggioramento qualitativo delle fonti di finanziamento, entrambi fattori legati alla crisi della finanza pubblica;
- pesantezza dei procedimenti di programmazione, progettazione, realizzazione delle opere pubbliche e contenzioso, che ha scoraggiato l’attrazione dei capitali privati;
- difficoltà procedurali, conflitti tra livelli di governo e tra amministrazioni e popolazioni direttamente toccate dalle opere.
[186]
v. in particolare, capitolo
[187] Per un approfondimento, v. dossier predisposti dal Servizio Bilancio e Servizio Studi della Camera e dal Servizio Bilancio del Senato sul DEF 2012 e sulla Nota di aggiornamento.
[188]
Come ricordato dal DEF 2012,, dal mese di agosto,
[189] Dalla riduzione del tasso di riferimento della politica monetaria (il tasso refi) e di quello MRO (Main Refinancing Operation) sulle operazioni di rifinanziamento principale, all’introduzione di operazioni LTRO (Long Term Refinancing Operation) anche a 3 anni (di cui una a dicembre 2011 e una febbraio 2012), dal dimezzamento a partire dal gennaio 2012 della riserva obbligatoria delle banche, all’ampliamento della gamma dei titoli accettati a garanzia nelle operazioni di rifinanziamento.
[190] Banca Centrale Europea, Comunicato stampa del 5 luglio 2012.
[191] Valore determinato confrontando gli incassi 2008 indicati nella RUEF 2010 e gli incassi 2009 indicati nel DEF 2012.
[192] Legge n. 220 del 2010 (legge di stabilità per il 2011), articolo 1, commi 8 e seguenti. Il valore complessivo delle assegnazione è pari a 3.826 milioni e la differenza, pari a circa 1 miliardo, è riscossa mediante cinque rate annuali.
[193] L’ammontare complessivo dei Tremonti bond emessi ai sensi dell’art. 12 del DL n. 185/2008 è pari a 4,1 mld. I soggetti beneficiari sono stati quattro: Banco Popolare, Banca Popolare di Milano, Credito Valtellinese e Banca MPS).
[194] Istat, Notifica dell’indebitamento netto e del debito delle amministrazioni pubbliche secondo il Trattato di Maastricht, 23 aprile 2012.
[195] I dati del 2008 sono definitivi, i dati del 2009 e 2010, semidefinitivi, mentre i dati del 2011 sono provvisori.
[196] Nella Tavola 6.7, l’avanzo primario è indicato con il segno negativo, in quanto concorre alla riduzione del rapporto debito/PIL.
[197] Relazione Annuale della Banca d’Italia – maggio 2011.
[198] Bollettino statistico Finanza pubblica, fabbisogno e debito del 15 marzo 2013.
[199] Per un approfondimento, v. dossier predisposto sul DEF 2012 dal Servizio Bilancio e Servizio Studi della Camera e dal Servizio Bilancio del Senato.
[200] Nella prima versione del Patto di Stabilità e Crescita si specificava che i paesi con un debito pubblico superiore al 60% avrebbero dovuto avvicinarsi a tale soglia ad un ritmo adeguato, ma senza specificarlo in modo concreto.
[201] Come specificato in ECFIN/C1-C4(2011), Operationalizing the debt criterion in
Excessive Deficit Procedure. Clarifications of open issues, la regola
numerica che ciascun Stato membro si impegna a rispettare è la seguente:
dove dt-i indica il livello del debito in percentuale del PIL nell'anno t-i, con i compreso tra 0 e 3. La formula è scomponibile in due parti: da un lato, il livello di debito di lungo periodo, ossia il 60 per cento del PIL; dall'altro, la quota in eccesso rispetto a tale soglia, definita da una media geometrica sul triennio precedente. Tale formula tende a dare un maggiore peso al debito registrato negli anni più recenti, per via dell'esponente i incorporato nel peso 0,95i, che diminuisce all'aumentare della distanza temporale rispetto all'anno di riferimento
[202]
Per converso, pur basandosi la chiusura della EDP sulla notifica di dati
ex-post,
[203] Tenuto conto che il ciclo influenza la dinamica del debito sia attraverso l'andamento del saldo di bilancio (che incide sul numeratore) sia attraverso l'andamento del PIL (effetto denominatore), la formula utilizzata è la seguente:
dove B indica il debito nominale, Y il PIL nominale, C la componente ciclica, p il deflatore del PIL e ypot il tasso di crescita del PIL potenziale. Al numeratore, il debito effettivo Bt, viene aggiustato per l'andamento del ciclo degli ultimi tre anni; mentre al denominatore, il PIL dei tre esercizi precedenti, Yt-3, viene proiettato sull'anno t, per l'intero triennio considerato, al tasso di crescita nominale del PIL potenziale [(1+ytpot)(1+pt)].
[204] La modifica costituzionale dell’art. 81 entrerà in vigore dal 1° gennaio 2014.
[205] Cfr. infra la scheda relativa alle clausole di salvaguardia.
[206] Cfr. supra.
[207] Su tali profili si rinvia alla più ampia trattazione contenuta nella parte seconda del presente dossier.
[208] La nuova versione di tale sistema di contabilità (SEC 2010) non è ancora operativa.
[209] Sul punto ci si limita a
ricordare che il citato art. 17 della legge n.
.
[210] D.L.
[211]
Nel corso della XVI legislatura, le
clausole di salvaguardia adottate, nella quasi totalità dei casi, sono state
riferite a previsioni di spesa, come prescritto, in linea di principio, dalla
legge n. 196/2009. Si riscontrano peraltro quattro fattispecie nelle quali la
clausola è stata inserita anche in presenza di norme di spesa formulate come
autorizzazioni, e quindi, in termini di limiti massimi di spesa.
[212] Corte dei conti: Relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relative alle leggi pubblicate nel quadrimestre gennaio– aprile 2006.
[213]
Si veda in tal senso la dichiarazione del rappresentante del Ministero
dell’economia e delle finanze, nella seduta della Commissione bilancio, tesoro
e programmazione del
[214] Si tratta di 4 casi.
[215] Si tratta, in particolare, di 24 casi.
[216] Si tratta di 3 casi.
[217]
Il rafforzamento della clausola di salvaguardia attraverso l’indicazione
preventiva delle misure di riduzione delle spese o di aumenti di entrata per
far fronte agli eventuali scostamenti è stato accolto con favore dalla Corte
dei conti, che, tuttavia, ha evidenziato la necessità che il Governo fornisca
maggiori informazioni in relazione alle disponibilità della copertura
alternativa indicata. Si veda a tale proposito
[218] Che, come previsto dalla stessa legge 1/2012, si applicherà a decorrere dall'esercizio finanziario 2014.
[219]
Si ricorda che l’articolo 10, comma 10 del decreto-legge
.
[220]
In talune circostanze
[221] Si fa riferimento agli articoli 21, 22 e 23 della legge 196/2009, in base ai quali le previsioni di bilancio devono essere formate sulla base della legislazione vigente.
[222] Sul punto si rinvia alla prima parte del presente Dossier (“La nuova governance europea e il principio costituzionale del pareggio di bilancio”).
[223] Agli strumenti di programmazione annuale concordati a livello di Unione europea (c.d. semestre europeo: analisi annuale sulla crescita, linee guida di politica economica e di bilancio, raccomandazioni di politica economica e di bilancio) fa riscontro la programmazione nazionale, contenuta nel DEF, nel programma di stabilità e nel programma nazionale di riforma e attuata mediante la legge annuale di stabilità e i provvedimenti collegati.
[224]
RGS-Università
[225] V. nota precedente.
[226] A titolo esemplificativo si segnala l’art. 34 della legge n. 183/2011 (legge di stabilità 2012).
[227] Art. 3-bis
[228] Tale registrazione dal lato della spesa avviene ad opera dell’Agenzia delle entrate, che utilizza le disponibilità finanziarie esistenti su una contabilità speciale a cui affluiscono le risorse stanziate sugli appositi capitoli di bilancio
[229] Art. 9 del decreto legge n. 201/2011 che ha riaperto i termini per il riallineamento agevolato dei valori iscritti nei bilanci delle banche.
[230] Articolo 51 del decreto legge n. 83 del 2012.
[231] A titolo esemplificativo, si rinvia al dossier del Servizio bilancio dello Stato n. 7 del 1° luglio 2008 relativo al decreto legge n. 112 del 2008. Con riferimento all’articolo 83, comma 3 (sviluppo attività di controllo) veniva rilevata, tra l’altro, “la necessità che tali incrementi siano suffragati da più prudenziali ed oggettivi elementi di riscontro e di valutazione”.
[232] Come di seguito indicato, in risposta alle richieste formulate e sulla base di uno studio sui risultati dell’attività di accertamento, si è assunto un rapporto medio tra valore accertato e valore riscosso pari al 10%. Tale rapporto, tuttavia, rappresenta un parametro oggettivo di riferimento che può comunque essere considerato in misura maggiore o minore in funzione dell’efficacia attribuita all’intervento stimato.
[233] L’obbligo della relazione annuale da presentare al Parlamento era contenuto nell’art. 1, c. 5, della legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007).
[234] Art. 1, commi 299 e 300 della legge n. 228/2013 (legge di stabilità 2013) che hanno soppresso l’art. 1, c. 5, della L. n. 296/2006 e hanno modificato l’art. 2, c. 36, del DL 138/2011.
[235] Rimangono in ogni caso vigenti i primi due periodi dell’art. 2, c. 36, del DL n. 138/2011 ai sensi dei quali le maggiori entrate derivanti dal medesimo D.L. n. 138 sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea
[236] Doc. LXVIII, n. 4
[237] Per una ricognizione delle entrate da giochi 2007-2011 cfr. tabella “Bilancio dello Stato – Entrate erariali – Analisi per tipo di imposta” pubblicata nella prima parte del presente dossier (paragrafo “Entrate del Bilancio dello Stato: analisi degli incassi tributari”).
[238] Sul punto cfr. infra quanto osservato nella XVI legislatura circa il fenomeno del rendimento decrescente, a parità di volumi, della raccolta lorda.
Rilevato anche dalla Corte dei conti nelle sue
relazioni al Parlamento sulla tipologia delle coperture. In particolare
[239] L’articolo 5 del DL 158/2012 (Tutela della salute) ha stabilito che la ludopatia (intesa come “sindrome da gioco con vincita in denaro”) sia inclusa fra le malattie da integrare nei livelli essenziali di assistenza (LEA) riconosciuti annualmente con apposito DPCM. Tale riconoscimento – da attuare “nel rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica”- implica l’effettuazione di prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rispetto alle quali la compensazione delle relative spese è stata affidata ad un meccanismo di aggiornamento dei LEA di tipo compensativo. In altre parole, per evitare l’insorgere di effetti onerosi, l’inserimento di nuove patologie deve essere compensato da misure di razionalizzazione dei rimanenti LEA, compresa l’esclusione parziale o totale di patologie per le quali la periodica revisione (prevista dall’articolo 1, comma 7, del D. Lgs. 502/1992) dei criteri epidemiologici, dei criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa e della valutazione comparativa di costi-benefici, suggerisce un diverso posizionamento rispetto all’esclusione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie.
Si segnala in proposito che una formulazione intermedia dell’articolo 5, comma 2, del DL 158/2012 – esaminata dalla Camera (C. 5440-A) e successivamente non riproposta nel testo definitivo della legge – prevedeva l’istituzione di un fondo alimentato dai proventi dei giochi autorizzati dall’AAMS al fine di garantire idonea copertura finanziaria ai LEA con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia.
[240] Corte dei conti: Relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relative alle leggi pubblicate nel quadrimestre settembre-dicembre 2011.
Sul punto si veda anche la nota consegnata dal
sottosegretario di Stato per l’economia alla Commissione finanze della Camera
nella seduta del 24 ottobre 2012. Il documento dà conto di una riduzione
delle entrate erariali da giochi a partire dal secondo semestre
[241] Si fa riferimento, in particolare, alle seguenti norme:
articolo 39 del DL 269 del 2003, il quale ha stabilito, per gli apparecchi AWP (newslot) e VLT (videolottery), un prelievo erariale unico (PREU) del 13,5 per cento delle somme giocate;
articolo 1, comma 531, della legge 266/2005 (legge finanziaria 2006), con il quale il PREU sulle somme giocate è stato ridotto, per gli apparecchi AWP, al 12 per cento;
articolo 1, comma 526, della medesima legge 266/2005, con il quale è stata prevista, per il PREU riferito agli apparecchi VLT, un’aliquota minima dell’8 per cento e massima del 12 per cento;
l’articolo 1-bis, comma 7, del DL 149/2008, che ha elevato al 12,70 per cento l’aliquota per gli apparecchi AWP;
articolo 2, comma 49, lett. e), della legge 203/2008 (legge finanziaria 2009), che ha ulteriormente elevato tale ultima aliquota al 13,40 per cento;
articolo 30-bis del DL 185/2008, il quale con riferimento agli apparecchi AWP ha nuovamente ridotto la predetta tassazione al 12 per cento circa, introducendo un sistema di aliquote differenziate per scaglioni di raccolta (fra il 12,6 per cento e l’8 per cento delle somme giocate);
articolo 2, comma 3, del DL 138 del 2011[v. decreto direttoriale AAMS del 12 ottobre 2011, emanato in attuazione dell’articolo 2, comma 3, del DL 138/2011], il quale ha nuovamente incrementato le aliquote per gli apparecchi AWP, che sono state fissate, per gli anni 2013 e 2014, al 12,70 per cento sull'ammontare delle somme giocate e, a decorrere dal 2015, al 13 per cento delle somme giocate;
articolo 2, comma 3, del DL 138 del 2011[v. decreto direttoriale AAMS del 12 ottobre 2011, emanato in attuazione dell’articolo 2, comma 3, del DL 138/2011], che, per gli apparecchi VLT, ha fissato il PREU al 4,5 per cento delle somme giocate, introducendo un’addizionale del 6 per cento sulla parte della vincita eccedente i 500 euro;
articolo 1, comma 479, della legge 228/2012 (legge di stabilità 2013), che ha elevato dal 4,5 al 5 per cento il PREU per le medesime VLT.
[242] Dati di fonte MEF-Amministrazione dei Monopoli e MEF-Dipartimento delle finanze: si tratta di dati che vegono elaborati con metodologie diverse: da una parte, vengono considerate la raccolta e la spesa dei giocatori (AAMS), dall’altra l’acquisizione delle entrate all’erario sulla base delle previsioni di competenza e di cassa del bilancio dello Stato (Dip. Finanze).
[243] Fonte MEF-Dipartimento delle finanze - Bollettini mensili delle entrate tributarie. Nel comunicato stampa del MEF ( n. 30 dell’11 marzo 2013) tale riduzione risulta ancora più pronunciata: “le entrate relative ai giochi hanno fatto registrare una riduzione complessiva del 6,2% (-862 milioni di euro); tra queste si segnala la riduzione dei proventi del lotto (-8,6% pari a -589 milioni di euro) e l’incremento del gettito delle lotterie istantanee (+11,2% pari a +149 milioni di euro).
[244] E non avranno riflessi diretti sull’adesione spontanea agli obblighi tributari. Su tali aspetti si rinvia al precedente paragrafo “Utilizzo delle entrate da accertamento e lotta all’evasione”.
[245] Su tale aspetto si rinvia a quanto rilevato nel precedente paragrafo dedicato alle modalità di copertura.
[246] V. l’articolo 17, comma 4, della legge 196/2009.
[247]
Circolare della Ragioneria generale dello Stato 13 settembre 2010, n. 32
(“Relazione tecnica – adempimenti previsti dalla legge 31 dicembre 2009 n. 195,
articolo
[248] Articolo 17, comma 1, della legge 196/2009 (v. anche l’articolo 11, commi 6-7, e l’articolo 23, comma 3, della medesima legge).
[249] Si fa riferimento, per esempio, alle seguenti leggi del 2010: nn. 45, 71, 73, 84, 93, 97 e 118.
[250] Tale norma ha autorizzato l'esecuzione di un programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico, nonché la realizzazione di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti. Il finanziamento complessivo, inizialmente previsto dal testo, è stato ripetutamente incrementato ed ammonta attualmente (a seguito dell’ultimo incremento disposto dall’articolo 2, comma 69, della legge 191/2009) a 24 miliardi di euro.
[251] Finanziamenti a favore dei soggetti danneggiati da trasfusioni o dalla somministrazione di emoderivati.
[252] Articolo 32, comma 8, del DL 98/2011. Si ricorda che tale norma ha autorizzato la spesa di 16,7 milioni di euro per il 2011 per il potenziamento e il funzionamento del sistema informativo del Ministero delle infrastrutture. La disposizione determinava effetti di maggiore spesa in conto capitale, per 16,7 milioni nel 2011, contabilizzati sui tre saldi di finanza pubblica nell’apposito prospetto riepilogativo allegato al provvedimento.
[253]
Allo scadere del periodo indicato dal testo
[254]
Relazione al Parlamento sulla tipologia delle coperture – gennaio aprile 2012.
Nella medesima relazione
[255]
Si fa riferimento, per esempio, al Fondo per interventi strutturali di politica
economica, al Fondo per esigenze urgenti e indifferibili, al Fondo strategico
per il paese a sostegno dell’economia reale e al Fondo per le aree
sottoutilizzate (ora denominato “Fondo per lo sviluppo e la coesione”, ai sensi
dell’articolo 4 del D. Lgs. 88/2011). Si rinvia in proposito alla successiva
scheda “Utilizzo di Fondi indistinti”.
[256] Si fa riferimento, in particolare, ai già menzionati Fondo per interventi strutturali di politica economica e Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili, nonché al Fondo per le aree sottoutilizzate (ora denominato Fondo per lo sviluppo e la coesione).
[257] C. 5103-A, articolo 5, comma 2.
[258] Nota MEF-RGS del 4 ottobre 2012, trasmessa alla Commissione bilancio della Camera nel corso dell’esame in sede consultiva del progetto di legge C. 5103-A.
[259]
Si segnala che il provvedimento non è stato approvato in via definitiva.
Infatti, dopo l’ultima seduta dell’Assemblea (8 ottobre 2012) dedicata al provvedimento
(C. 5103-A), il seguito dell’esame non ha avuto luogo. Anche
[260] Il Fondo per interventi strutturali di politica economica e il Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili sono iscritti, rispettivamente, nei capitoli 3071 e 3075 (missione Politiche economico-finanziarie e di bilancio – programma Analisi, monitoraggio e controllo della finanza pubblica e politiche di bilancio); le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione sono iscritte nel capitolo 8425 (missione Sviluppo e riequilibrio territoriale-programma Politiche per lo sviluppo economico ed il miglioramento istituzionale delle aree sottoutilizzate).
[261] I “contributi pluriennali” sono finanziamenti in conto capitale a carico del bilancio dello Stato destinati alla realizzazione di infrastrutture e di opere pubbliche da parte di soggetti esterni alla PA o di amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato. Si rinvia in proposito alla scheda relativa al Finanziamento della spesa in conto capitale e copertura di interventi con risorse di parte capitale.
[262] DL 162/2008, DL 39/2009, DL 78/2009, DL 195/2009, legge 183/2011, DL 95/2012. In particolare, l’articolo 33 della legge 183/2011 (Legge di stabilità 2012) ha previsto un finanziamento di carattere permanente (450 milioni a decorrere dal 2015).
[263]
Ci si limita qui a ricordare che il Governo ha precisato che un simile utilizzo
delle risorse del Fondo non deve necessariamente essere considerato una
dequalificazione della spesa, tenuto conto della circostanza che,
statisticamente, nel Fondo confluiscono anche interventi di natura corrente,
seppure in percentuale inferiore rispetto alla quota relativa agli investimenti.
A tale proposito si veda la seduta della Commissione Bilancio del Senato del
[264]
Si veda, ad esempio, la seduta della Commissione Bilancio, del
[265] Ai sensi dell’articolo 21, comma 11, della legge n. 196 del 2009.
[266] Tale norma ha incrementato la dotazione del Fondo, in termini di sola cassa, per l'importo di 277 milioni di euro per l'anno 2013.
[267] Relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relative alle leggi pubblicate nel quadrimestre gennaio-aprile 2012.
[268] L’articolo 33 della legge 183/2011 (Legge di stabilità 2012) ha disposto un finanziamento di 450 milioni a decorrere dal 2015.
[269]
Anche
[270]
Si tratta di circa 30 casi riferibili, per lo più, a decreti-legge.
[271] Si tratta, in particolare, di 4 casi: l’articolo 1 del decreto-legge n. 155 del 2008, l’articolo 12 del decreto-legge n. 185 del 2008, l’articolo 10 del decreto-legge n. 87 del 2012 e l’articolo 23-undecies del decreto-legge n. 95 del 2012.
[272] Nel complesso si tratta di 21 casi.
[273]
A tale proposito si vedano i rilievi formulata dalla Corte dei conti nella Relazione
sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione
degli oneri relative alle leggi pubblicate nel quadrimestre settembre-dicembre
[274] Si veda ad esempio l’articolo 13 del decreto-legge n. 16 del 2012 e l’articolo 69 del decreto-legge n. 83 del 2012.
[275] La disciplina è stata dapprima introdotta in via sperimentale con l’articolo 1, commi 480-481, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007). Successivamente è stata resa permanente con l’articolo 3, commi 67-71, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008).
[276] In tale logica si colloca anche la previsione (articolo 21 della legge 243/2012 di attuazione del pareggio di bilancio) di una sperimentazione del cosiddetto bilancio "a base zero", basato sul superamento del criterio della spesa storica e sul rafforzamento del ruolo programmatorio e allocativo del bilancio.
[277] Per un approfondimento delle modalità applicative dei tagli lineari si rinvia alla precedente scheda del presente Dossier.
[278] In particolare, la titolarità del coordinamento e del controllo degli effetti finanziari è in capo al Ministero dell’economia, mentre la titolarità del potere di iniziativa normativa e delle procedure di variazione delle spese iscritte in bilancio è prevalentemente in capo ai Ministeri di settore.
[279] L’articolo 23, comma 3, della legge 196/2009 prevede che con il disegno di legge di bilancio possano essere rimodulate in via compensativa all'interno di un programma o tra programmi di ciascuna missione le dotazioni finanziarie relative ai fattori legislativi, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica. La legge 196/2009 ha previsto, inoltre (articolo 49, comma 1), la graduale estensione del programma di controllo quantitativo e qualitativo della spesa a tutte amministrazioni pubbliche e non soltanto a quelle centrali
[280] Da presentare al Parlamento da parte del Ministro dell'economia. Il programma per la riorganizzazione della spesa pubblica ha ad oggetto, fra l’altro, l'integrazione operativa delle agenzie fiscali, la razionalizzazione delle strutture periferiche dello Stato, il coordinamento delle forze dell'ordine, l'accorpamento degli enti della previdenza pubblica, l'organizzazione giudiziaria e quella della rete diplomatica. Nell'ambito della risoluzione parlamentare approvativa del DEF 2012 avrebbero dovuto essere indicati i disegni di legge collegati alla successiva manovra finanziaria 2013-2015, mediante i quali il Governo sarebbe stato delegato ad attuare tale riorganizzazione della spesa.
[281] E che erano stati inizialmente finalizzati ad agevolare il processo di contenimento della spesa imposto alle amministrazioni centrali mediante le riduzioni lineari delle dotazioni di bilancio.
[282] Articolo 1, comma 02.
[283] L’articolo 23 della legge 196/2009 consente la rimodulazione compensativa degli importi di spesa:
• solo in sede di formazione del bilancio annuale di previsione;
• per le sole spese rimodulabili;
• fra i programmi delle medesime missioni di bilancio (e non fra le diverse missioni).
[284] Con decreto del Ministro dell'economia, su proposta del Ministro competente. Gli schemi di decreto sono trasmessi al Parlamento per l'espressione del parere delle Commissioni competenti per materia e per i profili di carattere finanziario.
[285] Ai sensi dell’articolo 21, commi 6 e 7, della legge 196/2009, si intende per “spese non rimodulabili” quelle definite come obbligatorie (o “oneri inderogabili”), per le quali l'amministrazione non ha la possibilità di esercitare un effettivo controllo, in via amministrativa, sulle variabili che concorrono alla loro formazione, allocazione e quantificazione (stipendi, assegni, pensioni, spese fisse, interessi passivi, spese derivanti da obblighi comunitari e internazionali, spese per ammortamento di mutui). Rientrano, invece, fra le “spese rimodulabili” quelle autorizzate da espressa disposizione legislativa che ne determina l'importo, considerato quale limite massimo di spesa, e il periodo di iscrizione in bilancio (c.d. fattori legislativi) e quelle destinate all’adeguamento al fabbisogno, ossia le spese non predeterminate legislativamente che sono quantificate tenendo conto delle esigenze delle amministrazioni.
[286] In particolare, nel DL 138/2011 la spending review (articolo 01, comma 4), il programma di riorganizzazione della spesa pubblica (articolo 01, comma 1) e la flessibilità di bilancio (articolo 1, comma 02) vengono esplicitamente posti in relazione con la “progressiva riduzione della spesa corrente primaria” (articolo 1, comma 01).
[287] In quest’ultimo caso le Amministrazioni devono proporre norme che consentano di conseguire i risparmi stabiliti incidendo sugli elementi essenziali che determinano la spesa.
[288]
Sul punto si veda
Su tali aspetti si rinvia al Dossier “Andamenti di
finanza pubblica - Legge di stabilità
[289] Con il DPCM 28 settembre 2011, la quantificazione delle riduzioni di spesa ai fini del saldo netto da finanziare ha comportato la rettifica degli importi inizialmente indicati (con riferimento al SNF) nel DL 98/2011 e nel DL 138/2011.
[290] Nel corso dell’esame parlamentare della legge di stabilità 2013, il Governo ha trasmesso - in seguito a richiesta del Servizio Bilancio - una tabella recante la composizione economica delle spese oggetto di riduzione (Nota MEF-RGS del 31 ottobre 2012). Dalla tabella è risultato, fra l’altro, che sono state in varia misura incise, per alcuni Ministeri, le categorie economiche dei “Redditi da lavoro dipendente” e - nel caso del Ministero dell’economia – degli “Interessi passivi e redditi da capitale”. Non essendo disponibili, tuttavia, gli elementi di raccordo fra le autorizzazioni di spesa oggetto di riduzione e la relativa classificazione economica, non è stato possibile verificare l’effettiva praticabilità dei tagli, in termini di impatto sui rapporti e sugli interventi in essere (nel caso degli interessi passivi) e in termini di funzionalità amministrativa (nel caso delle spese di personale).
[291]
V. Nota MEF-RGS n. 93231 del
[292]
Quanto ai criteri di valutazione degli effetti sui saldi,
[293] Si tratta di una nuova imposta che si sarebbe dovuta introdurre in sostituzione delle imposte di registro, ipotecarie, catastali, bollo, concessioni governative, assicurazioni e dell’imposta sugli intrattenimenti.
[294] A titolo di esempio, si ricorda l’art. 7 dell’A.C. 4566, che prevedeva l’introduzione di agevolazioni fiscali dirette a favorire nuovi investimenti da parte delle società (aiuto alla crescita economica – ACE). Tali misure sono state riportate nell’art. 1 del decreto legge n. 201 del 2011. Un altro esempio è dato dall’art. 11 dell’A.C. 4566, che prevedeva un riordino della spesa sociale e una riduzione o eliminazione dei regimi fiscali agevolati che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali in modo tale da assicurare effetti positivi, ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4 miliardi nel 2013 e a 20 miliardi annui a decorrere dal 2014. Una norma analoga è stata introdotta, con un emendamento all’art. 40, nel corso dell’esame parlamentare del decreto legge n. 98 del 2011. Tale norma, tuttavia, è stata oggetto di modifiche con successivi provvedimenti approvati nel corso della legislatura.
[295] La stessa clausola è contenuta nell’art. 1, c. 7, del testo approvato con modificazioni dalla Camera dei deputati e trasmesso al Senato (S. 3519).
[298] In base a quanto indicato nella legge di bilancio per il 2013 (l. n. 229/2012), il capitolo reca uno stanziamento per l’anno 2013 pari a euro 79.018.000.
[299] Tale fondo presenta, nell’anno 2013, uno stanziamento pari a 900 milioni di euro.
[300] Cfr. Relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relative alle leggi pubblicate nel quadrimestre settembre-dicembre 2008, gennaio – aprile 2009, settembre – dicembre 2011.
[301] Bollettino mensile – Aprile 2012
[302] DPCM del 5 giugno 2009.
[303] Cfr. Nota di verifica del Servizio Bilancio dello Stato relativa all’A.C. 5389.
[304] Cfr. Relazione sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relative alle leggi pubblicate nel quadrimestre settembre-dicembre 2008.
[305] (Url) www.camera.it/481, curata dal Servizio Studi
[306] Cfr. in particolare i D. Lgs. nn. 23 e 68 del 2011.
[307] La sospensione di tale facoltà, prevista inizialmente dall’art. 1, comma 7, del DL n. 93/2008, è stata successivamente prorogata (cfr. da ultimo l’articolo 1, comma 123, della L. n. 220/2010, legge di stabilità 2011) ed infine soppressa dall’articolo 4, comma 4, del decreto-legge n. 16 del 2012.
[308] L’obbligo di prevedere tali forme di compensazione è sancito normativamente dalla legge di contabilità e finanza pubblica solo nel caso in cui le decisioni assunte dal governo centrale abbiano effetti negativi sui bilanci delle amministrazioni locali (cfr. in proposito, con riferimento alle regioni, l’art. 19 della legge n. 196/2996). Una formulazione più generale dello stesso principio è contenuta nell’art. 11 D.Lgs. 68/2011.
[309] A tale proposito, si ricorda che, al fine di
evitare che gli obiettivi di contenimento della pressione fiscale del governo
centrale fossero vanificati dal contemporaneo aumento della pressione fiscale
locale, è stata a lungo prevista (con successive proroghe) la transitoria
sospensione della facoltà di aumento delle aliquote tributarie e tariffarie.
Tale sospensione è venuta meno all’inizio del
[310] Cfr. i commi 380 e ss. della legge 228/2012.
[311] Al fine di mantenere, formalmente, il criterio di verticalità del fondo di solidarietà, la quota del gettito IMU è versata dai comuni allo Stato, per essere da quest’ultimo riassegnata al predetto fondo.
[312] Infatti la dotazione statale del fondo deriva dall’eccedenza di risorse della nuova compartecipazione statale al gettito IMU (relativa ai fabbricati strumentali, classificati nella categoria catastale D), e la precedente compartecipazione statale (pari alla metà del gettito sugli immobili diversi dalla prima casa e dai fabbricati rurali).
[313] Cfr. OECD, Tax Expenditures in OECD Countries, 2010.
[314] Cfr. IMF, Manual On Fiscal Transparency, 2007.
[315] Cfr. supra “Il caso della delega fiscale”.
[316] Convertito dalla legge n. 111 del 15 luglio 2011.
[317] Come già ricordato, l’art. 21, c. 11, lett. a) della legge n. 196/2009 stabilisce che la nota integrativa contenuta nello stato di previsione delle entrate indichi gli effetti connessi alle disposizioni normative recanti esenzioni o riduzioni del prelievo. Pertanto, dati più aggiornati sono disponibili annualmente nel bilancio di previsione.
[318] Cfr. Dossier del Servizio Bilancio dello Stato, n. 320 del 14 luglio 2011.
[319] Cfr. la precedente scheda sull’utilizzo di maggiori entrate a fini di copertura.
[320] Cfr. la precedente scheda sull’utilizzo di maggiori entrate a fini di copertura.
[321] A titolo esemplificativo si segnala l’art. 34 della legge n. 183/2011 (legge di stabilità 2012).
[322] Art. 3-bis del decreto legge n. 95/2012.
[323] Art. 9 del decreto legge n. 201/2011 che ha riaperto i termini per il riallineamento agevolato dei valori iscritti nei bilanci delle banche.
[324] Articolo 51 del decreto legge n. 83 del 2012.
[325] L’onere annuo in termini di competenza indicato nell’allegato è pari a 10,5 miliardi.
[326] L’ammontare dei nuovi risparmi sconta parzialmente gli effetti dell’incremento delle aliquote IVA.
[327] Rispetto al DL n. 201/2011, il primo incremento previsto per 1° ottobre 2012 è stato prorogato al 1° luglio 2013 (pertanto, le aliquote del 10% e del 21% rimangono confermate fino al 30 giugno 2013). A decorrere dal 2014 le aliquote del 12,5% e del 23,5% sono state ridotte, rispettivamente, all’11% e al 22%.
[328] Tale valore si ottiene, per il 2013, dalla differenza tra 13,119 mld e 6,56 mld e, a decorrere dal 2014, dalla differenza tra 16,4 mld e 9,84 mld.
[329] Sulla tecnica dei tagli lineari e quella dell’attribuzione di un unico effetto finanziario ad una pluralità di provvedimenti si vedano le specifiche schede riportate nel presente dossier.
[330] Per una più esaustiva illustrazione dei meccanismi di finanziamento della spesa sanitaria si rinvia all’apposita scheda riportata nella parte I del presente dossier.
[331] DL n. 216/2011.
[332] Si segnala, da ultimo, l’estensione dell’indennità e del corrispondente obbligo contributivo al settore della pesca disposto dalla legge di stabilità per il 2013.
[333] Già Fondo per l’occupazione, istituito dal DL n. 148/1993 e oggetto di riforma con il DL n. 185/2008.
[334] Si rinvia al paragrafo su “Autorizzazioni e previsioni di spesa” per maggiori dettagli in merito alle differenze tra limiti massimi di spesa, che finanziano benefici non configurati come veri e propri diritti, e previsioni di spesa, utilizzate in presenza di diritti soggettivi.
[335] Il riconoscimento della copertura figurativa permette al lavoratore interessato di maturare anzianità contributiva, al fine dell’accesso al pensionamento e dell’ammontare dell’importo.
[336] Legge di stabilità 2013.
[337] Si rinvia ai paragrafi su “Autorizzazioni e previsioni di spesa” e “Clausole di salvaguardia”, per maggiori dettagli in merito alle differenze tra limiti massimi di spesa, che finanziano benefici non configurati come veri e propri diritti, e previsioni di spesa, utilizzate in presenza di diritti soggettivi, che sono corredate di clausole di salvaguardia per il finanziamento degli oneri eccedenti i mezzi di copertura apprestati inizialmente.
[338] DL n. 185/2008.
[339] Per un maggiore approfondimento dell’argomento, confronta il paragrafo riguardante la spesa sanitaria contenuto nella prima parte del dossier.
[340] L’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo n. 502/1992 prevede che sono posti a carico del SSN le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale e collettivo, a fronte delle risorse impiegate. Sono esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del SSN le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che: a) non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del SSN; b) non soddisfano il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate; c) in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfano il principio della economicità delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza.
[341] A decorrere dal 2013, tale tetto è fissato all’11,35 per cento (articolo 15 del DL n. 95/2012).
[342] Invece, non è tenuta al ripiano la regione che abbia fatto registrare un equilibrio economico complessivo.
[343]
DL n. 98/2011. Successivamente, la legge di stabilità per il
[344] Il manuale del SEC 95 costituisce il quadro di riferimento concettuale, formalmente vincolante nell’UE, finalizzato ad ottenere statistiche affidabili e comparabili per valutare la convergenza dei dati tra i Paesi dell’Unione europea.
[345] Per attualizzazione si intende, in genere, la conversione di somme disponibili a data futura in un’altra somma disponibile a vista. Il diverso valore dei due importi dipende principalmente dalla durata del periodo di riferimento e dal saggio di interesse applicato.
[346] Per una definizione dei saldi strutturali si rinvia alla prima parte del presente dossier.
[347]
Si segnala anche
la direttiva europea 2011/85/UE DEL CONSIGLIO, dell’8 novembre 2011, relativa
ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri, (inclusa nel c.d.
“six pack”) che, all’art. 14, dispone che, per tutti i sottosettori
dell’amministrazione pubblica, gli Stati membri pubblichino informazioni
pertinenti sulle passività potenziali che possono avere effetti consistenti sui
bilanci pubblici, comprese le garanzie pubbliche. Gli Stati membri dovranno
altresì pubblicare informazioni sulle partecipazioni dell’amministrazione
pubblica al capitale di imprese private e pubbliche per importi economicamente
significativi.
[348] Cfr. La precedente scheda relativa alla copertura di nuovi oneri mediante riduzione di autorizzazioni di spesa.
[349]
In alcuni casi è stato previsto tale utilizzo, operando opportune forme di
ponderazione (“caratura”) delle
risorse utilizzate. Cfr. infra il
caso dell’utilizzo del FAS.
[350] Si veda in proposito la scheda relativa alla copertura sui Fondi indistinti.
[351] Più specificamente, è stato
istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e
delle finanze un fondo per gli investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato,
dotato di 960 milioni per il
[352] (Url) www.camera.it/481, curata dal Servizio Studi
[353] Ovvero in termini di competenza giuridica per quanto riguarda la spesa corrente e di cassa per quanto riguarda la spesa in conto capitale.
[354] Fatta salva la necessaria compensazione ai soli fini del bilancio statale (saldo netto da finanziare).
[355] Cfr. il comma 263.
[356] Cfr. l’art. 9, comma 5, della L. n. 243/2012.
[357] In assenza di simili disposizioni, solo in via transitoria sarebbe possibile l’utilizzo di tali avanzi a riduzione del debito, per effetto del minore ricorso al mercato consentito (fino al 2014) dalla norma (art. 35, commi 8-10, del DL n. 1/2012) che ha previsto la sospensione temporanea della disciplina relativa al superamento della tesoreria unica per le amministrazioni locali (l’articolo 7 del D.Lgs. 279/1997). Da tale sospensione temporanea è conseguito infatti l’obbligo per le amministrazioni locali, fino al 2014, di riversamento delle proprie giacenze presso la tesoreria statale.
[358] Cfr. in proposito il box relativo alla nuova regola sul debito prevista dalla Commissione Europea, contenuto nella prima parte del presente dossier.
[359] Cfr. in particolare le sentenze nn. 148/2012, 232/2011 e 326/2010.
[360] Cfr. la sentenza n. 193/2012.