ALLEGATO 1
Schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali. Atto n. 488.
PROPOSTA DI PARERE DEI RELATORI, ONOREVOLI CASSINELLI E SILIQUINI
La Commissione Giustizia,
esaminato lo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali;
considerati i principi di delegificazione di cui all'articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 148 del 2011, e successive modificazioni, nonché gli ulteriori parametri di legittimità ricavabili dalla legislazione interna e dalla normativa dell'Unione Europea;
condiviso il parere espresso dal Consiglio di Stato il 10 luglio 2012 sullo schema di regolamento, richiamando i rilievi critici in esso espressi;
rilevato che dall'indagine conoscitiva svolta è emersa una forte contrarietà allo schema di regolamento da parte di rappresentanti degli ordini professionali, i quali hanno evidenziato diverse disposizioni non conformi ai principi di delegazione;
rilevato in particolare che:
l'articolo 1, comma 1, lettera a) annovera nella definizione di «professione regolamentata» anche le attività esercitate dagli iscritti in «albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici»; incidendo attraverso tale disposizione sulla disciplina di attività diverse da quelle organizzate nell'ambito degli ordinamenti professionali esistenti e, quindi, prefigurando l'introduzione di nuove figure professionali al di fuori del modello ordinistico, in contrasto con i principi della delegificazione, considerato che questi fanno riferimento unicamente agli ordinamenti professionali esistenti alla data di entrata in vigore della legge di delegificazione;
all'articolo 2 sarebbe stato opportuno fare riferimento, secondo i principi di delegificazione, all'articolo 33 della Costituzione, che sancisce l'obbligatorietà dell'esame di Stato per l'esercizio di determinate professioni, ritenuto che tale riferimento appare estremamente utile allo scopo di affermare la diretta corrispondenza tra la disciplina in esame e i principi costituzionali afferenti alle condizioni di accesso ed esercizio delle professioni regolamentate. In tale contesto sarebbe opportuno introdurre un esplicito divieto a che siano previsti ulteriori esami od abilitazioni per lo svolgimento di attività per le quali è riconosciuta una competenza specifica da ordinamenti professionali esistenti;
l'articolo 3 non sembra rispondere ai principi di delegificazione ove si prevede che gli albi territoriali debbano contenere anche l'annotazione dei provvedimenti disciplinari adottati nei confronti degli iscritti nonché nella parte in cui si stabilisce che l'insieme degli albi territoriali di ogni professione costituisce l'albo unico nazionale degli iscritti;
l'articolo 5, relativo all'obbligo di stipulare una polizza assicurativa per i Pag. 36rischi derivanti dall'attività professionale, riconosce anche alle associazioni professionali la legittimazione a stipulare convenzioni con le compagnie assicurative, eccedendo i principi delegificazione di cui alla lettera e) del richiamato articolo 3, comma 5 del decreto-legge n. 138 del 2011, che fanno riferimento unicamente alla legittimazione dei Consigli nazionali e degli enti di previdenza;
l'eccesso di delega in esame produce l'effetto di inibire ai Consigli nazionali degli ordini e collegi la possibilità di negoziare polizze collettive, così come impedisce agli stessi le condizioni generali delle polizze assicurative, in convenzione con i propri iscritti, per cui pare necessario modificare il testo riportando fedelmente quello contenuto alla lettera e) comma 5 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 138 del 2011;
all'articolo 5, come peraltro previsto per le professioni dell'area medica dal decreto-legge n. 89 del 2012, il cui disegno di legge di conversione è stato approvato dalla Camera dei deputati il 19 luglio 2012 (C. 5323) ed ora si trova all'esame del Senato, sarebbe stato opportuno inserire al primo comma una scadenza temporale differita ai fini dell'entrata in vigore dell'obbligo di stipulazione di una polizza assicurativa per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale a carico degli iscritti agli albi, in quanto appare altamente probabile che detto obbligo non possa essere rispettato entro la scadenza stabilita per l'entrata in vigore del decreto delegato, in ragione sia della mancata previsione di un corrispondente obbligo di assicurare i professionisti posto a carico delle compagnie assicuratrici, sia della riscontrata difficoltà di negoziare le condizioni generali delle polizze da parte dei Consigli nazionali e degli enti previdenziali, come previsto dagli stessi principi di delegificazione. Un differimento dell'obbligo al 13 agosto 2013 consentirebbe, pertanto, di risolvere tutte le questioni preliminari in grado di comprometterne il corretto adempimento che al momento è particolarmente gravoso per i professionisti;
l'articolo 6 rende obbligatorio il tirocinio anche per le categorie che ne erano prive e ne allunga la durata per quelle categorie che lo prevedevano per un periodo inferiore a 18 mesi, limitando in tal modo l'autonomia delle università e dei consigli nazionali nella definizione di specifiche intese volte ad anticipare il tirocinio, come previsto dalla lettera c) del richiamato articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011 e dal comma 6 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 1 del 2012, in contrasto con le previsioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 in materia di raccordo fra i corsi di laurea post-riforma e gli albi professionali;
la disciplina di dettaglio del tirocinio deve essere demandate a regolamenti emanati a cura dei Consigli nazionali degli ordini e collegi;
la disciplina del tirocinio prevista dall'articolo 6 eccede l'ambito di autorizzazione all'esercizio della potestà regolamentare in delegificazione di cui al richiamato articolo 3, comma 5, considerato che questa fa riferimento solo all'equo compenso da erogarsi al tirocinante, alla durata massima del tirocinio (che non può eccedere i 18 mesi) ed alla possibilità di anticiparlo durante il corso di studi e che, in ogni caso, occorre coordinare questi principi con quelle contenuti negli articoli 6 e 55, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 nonché salvaguardare la validità delle convenzioni già da tempo stipulate fra i Consigli nazionali degli ordini e collegi e le università e gli istituti superiori, in particolare mantenendo esplicita validità a quelle stipulate in forza di disposizioni di legge;
appare inoltre opportuno coordinare l'articolo 6 con le disposizioni legislative che attribuiscono ai Consigli nazionali degli ordini e collegi la disciplina dei tirocini;
al comma 1 dell'articolo 6 si sarebbe dovuto chiarire espressamente che Pag. 37il tirocinio professionale, «ha natura obbligatoria nei soli casi espressamente previsti dalle singole discipline professionali», allo scopo di evitare che il generico riferimento contenuto nel testo del decreto potesse condurre a un riconoscimento surrettizio del suo carattere obbligatorio anche per le professioni che attualmente non lo prevedono;
la finalità del tirocinio di far conseguire anche le capacità necessarie per la gestione organizzativa della professione, prevista dal comma 1 dell'articolo 6, non trova alcun riscontro tra i principi di delegificazione;
appare del tutto irragionevole prevedere l'incompatibilità del tirocinio con il solo impiego pubblico, mentre con l'impiego privato si prevede la compatibilità nel caso in cui siano rispettate alcune condizioni, per cui sarebbe stato opportuno prevedere la possibilità di svolgere il tirocinio anche in concomitanza con il mantenimento di un rapporto di impiego pubblico alle medesime condizioni previste per l'attività di lavoro privato subordinato;
l'articolo 6, comma 9, non corrisponde ai principi di delegificazione nella parte in cui si prevede la possibilità per i tirocinanti di frequentare specifici corsi di formazione professionale organizzati da soggetti autorizzati dai Ministri vigilanti;
al comma 10 dell'articolo 6 si attribuisce al Ministro vigilante il potere di emanare un regolamento volto a disciplinare una serie di oggetti relativi ai corsi di formazioni in contrasto con la ratio dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, dalla quale si evince la necessità che sia espressamente previsto dalla legge di delegificazione la legittimazione del Ministro ad adottare regolamenti volti a disciplinare ulteriormente la materia delegificata;
l'articolo 7, comma 2, affida al Ministro vigilante la disciplina attuativa dell'obbligo di formazione permanente, eccedendo l'ambito di autorizzazione all'esercizio della potestà regolamentare in delegificazione di cui alla lettera b) del richiamato articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011 che affida la potestà regolamentare unicamente ai Consigli nazionali;
il comma 3 dell'articolo 7 relativo alle convenzioni da stipulare tra Consigli nazionali ed università dovrebbe essere sostituito da una disposizione volta a prevedere che l'attività di formazione la gestione e l'organizzazione dell'attività di aggiornamento possa essere organizzata a cura degli ordini o collegi territoriali e dei sindacati di categoria delle professioni regolamentate in qualità di parte sociale con rilevanza nazionale, anche in cooperazione o convenzione con altri soggetti;
l'articolo 7, comma 5, invade la competenza delle Regioni disciplinata dall'articolo 117, comma 6, della Costituzione prevedendo che le Regioni possono disciplinate l'attribuzione di fondi per l'organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale;
l'articolo 8 disciplina il regime delle incompatibilità con l'esercizio della professione, limitando al primo comma l'incompatibilità esclusivamente alle attività suscettibili di pregiudicare l'autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico del professionista e, al secondo comma, facendo salvo il regime delle incompatibilità con l'esercizio della professione di notaio e con il pubblico impiego;
la disciplina delle incompatibilità all'esercizio della professione non rientra nell'oggetto dell'intervento regolamentare in delegificazione autorizzato dal richiamato articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011;
affidare la disciplina delle incompatibilità ad una formulazione di carattere generico e valida per tutte le professioni regolamentate comporta il rischio di notevoli distorsioni interpretative e conseguenti gravi incertezze applicative, non considerando adeguatamente le specificità legate alle singole professioni regolamentate;Pag. 38
l'articolo 9 disciplina il procedimento disciplinare per le professioni diverse da quelle sanitarie, con lo scopo di introdurre elementi di maggiore terzietà nell'esercizio del potere disciplinare, istituendo specifici organismi di disciplina distinti e diversi dagli attuali consigli territoriali e nazionali;
la soluzione prospettata per i consigli territoriali (il trasferimento delle funzioni disciplinari al consiglio viciniore) e per i consigli nazionali (affidamento della funzione disciplinare ai soggetti primi fra i non eletti) non sembra realizzare quanto indicato dal richiamato articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011, in quanto nel primo caso permane la commistione fra funzioni amministrative e funzioni disciplinari, che si voleva invece rimuovere, e nel secondo caso sembra meno garantita la terzietà nel giudizio;
rimane inoltre irrisolto il problema della divisione delle funzioni disciplinari da quelle amministrative per i consigli nazionali che decidono i ricorsi in via giurisdizionale;
sarebbe stato opportuno prevedere per gli ordini e collegi che decidono in via amministrativa, l'istituzione di consigli di disciplina territoriali e, per gli ordini e collegi che decidono in via giurisdizionale, l'istituzione di specifiche sezioni disciplinari dedicate, da costituirsi all'interno degli attuali consigli territoriali e nazionali, con sottrazione loro di qualunque altra funzione amministrativa;
sarebbe stato opportuno estendere anche alle società di professionisti di cui alla legge 12 novembre 2011, n. 183, l'applicazione, in quanto compatibile, delle medesime disposizioni previste nelle leggi professionali in materia disciplinare per gli iscritti che esercitano la professione in forma individuale, al fine di evitare che lo schermo della società professionale possa costituire una legittima causa di elusione dell'applicazione delle norme disciplinari nei confronti dei soci;
all'articolo 9, comma 3, sarebbe opportuno sostituire il complesso e macchinoso meccanismo di selezione dei componenti dei Consigli di disciplina territoriale ivi previsto con una disposizione volta ad evitare una sovrapposizione tra la funzione amministrativa e la funzione disciplinare, consentendo ai Consigli nazionali, tramite i rispettivi regolamenti di funzionamento, di prevedere la possibilità di designare anche soggetti non iscritti agli Albi;
al richiamato comma 3 si potrebbe quindi prevedere che i componenti dei Consigli di disciplina territoriale di cui al comma 1 dell'articolo 9 sono designati dai Consigli degli Ordini o collegi professionali fra i professionisti iscritti da almeno dieci anni all'Albo professionale e che possono essere designati a far parte del Consiglio di disciplina territoriale soggetti non iscritti all'albo nei limiti stabiliti dai rispettivi regolamenti di funzionamento emanati dai Consigli nazionali. Il coordinatore e il segretario del Consiglio di disciplina territoriale sono nominati dai Consigli degli Ordini o collegi professionali all'atto dell'insediamento. Si potrebbe altresì prevedere che i consigli di disciplina possano essere presieduti da un magistrato e composti da professionisti designati dai consigli degli ordini tra gli iscritti che si rendono disponibili. La formazione dei consigli di disciplina avverrebbe su base regionale, componendo ciascun consiglio territoriale con membri designati iscritti in ordini diversi da quello in esame. La designazione potrebbe altresì avvenire, sempre nell'ambito degli iscritti che si sono resi disponibili, anche a cura del tribunale competente;
all'articolo 9, comma 7, si sarebbe dovuta esplicitare la salvezza relativa alla «disciplina vigente per le professioni istituite anteriormente alla Costituzione, i cui Consigli Nazionali hanno, in materia disciplinare, competenza giurisdizionale». Ciò allo scopo di evitare che l'adozione del provvedimento in esame possa surrettiziamente condurre a un'uniformazione indebita delle competenze dei Consigli nazionali degli ordini e collegi, a prescindere dall'attribuzione o meno nei loro confronti Pag. 39dell'esercizio della funzione giurisdizionale;
al comma 10 sarebbe opportuno eliminare la previsione relativa al meccanismo di selezione dei componenti dei Consigli di disciplina nazionali, sostituendola con una formulazione corrispondente a quella che dovrebbe essere prevista anche per il comma 3, come sopra indicato, precisano inoltre che il periodo di «diciotto mesi» deve intendersi come durata «massima» del tirocinio, per fugare ogni eventuale dubbio che potesse condurre a interpretazioni fuorvianti e contra legem;
al fine di assicurare la massima coerenza tra il disposto dei commi 2 e 4 dell'articolo 9, si dovrebbe aggiungere una clausola di salvezza finalizzata a consentire l'anticipazione dei primi sei mesi di tirocinio durante lo svolgimento del corso di laurea, in deroga, quindi alla previsione di cui all'articolo 9, comma 2. Al contempo, al comma 4, si dovrebbe prevedere la possibilità di stipulare apposite convenzioni tra i Consigli nazionali degli ordini o collegi, il Ministro per la pubblica istruzione, università e ricerca e il Ministro per la semplificazione, al fine di consentire lo svolgimento del tirocinio anche presso pubbliche amministrazioni, all'esito del corso di laurea, come previsto ex lege;
l'articolo 11 reca una disciplina speciale del tirocinio per l'accesso alla professione forense, introducendo, in particolare, la possibilità del suo svolgimento presso gli uffici legali di enti privati autorizzati dal Ministro della giustizia;
attraverso tale previsione si mette a rischio la serietà del tirocinio, disgiungendolo dalla frequenza di uno studio legale o di un ambiente di esercizio della professione caratterizzato dai necessari requisiti di indipendenza e autonomia;
la ratio della predetta disposizione appare affine, nella sostanza, all'introduzione di una fattispecie di esercizio della professione forense in costanza di rapporto di lavoro subordinato privato, come lascia presagire il già censurato articolo 8, mettendo a rischio l'indipendenza e l'autonomia di giudizio dell'avvocato;
così come non è possibile ammettere la compatibilità fra l'esercizio della professione di avvocato e il lavoro subordinato nell'ufficio legale di un ente privato, così non può essere ammesso lo svolgimento del tirocinio alle medesime condizioni;
rilevato che lo schema in esame reca un capo dedicato a tutte le professioni (I), un capo dedicato alla professione di avvocato (II) ed un capo dedicato alla professione di notaio (III);
considerato che sarebbe stato opportuno prevedere ulteriori disposizioni concernenti altre specifiche professioni regolamentate, ritenuto che la riforma degli ordinamenti professionali dovrebbe rappresentare l'occasione per la modernizzazione ed una liberalizzazione delle professioni che si faccia carico di superare le criticità esistenti al fine di migliorare la qualità delle prestazioni professionali nell'interesse degli utenti dei servizi professionali;
considerato che andrebbe introdotta una norma per i Dottori Commercialisti e gli Esperti Contabili che consenta ai tirocinanti di avere la possibilità di completare il tirocinio anche per l'iscrizione nel registro dei Revisori Legali, atteso che la riduzione generale della durata del tirocinio a non oltre 18 mesi non può incidere su quello che la norma comunitaria impone per l'iscrizione nel citato Registro. Così facendo, all'esito dei diciotto mesi di tirocinio e del superamento dell'esame di Stato, l'abilitato Dottore Commercialista o Esperto Contabile potrà completare il tirocinio per l'iscrizione anche nel Registro dei Revisori Legali;
rilevato che lo schema in esame non prevede la facoltà per le professioni che svolgono attività similari di accorparsi su base volontaria, secondo quanto invece previsto dal comma 5 del richiamato articolo 3 del decreto-legge n. 138 del 2011 Pag. 40così modificato dall'articolo 9, comma 7, lett. a), decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, determinandosi in tal modo una lacuna normativa;
considerato, in particolare, che, con riferimento alla professione di assistente sociale, è avvertita dal Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali la necessità di garantire la formazione con un ciclo formativo unico per l'accesso alla professione disponendo l'obbligatorietà della propedeuticità del corso di laurea triennale della classe L39 per l'accesso al successivo biennio di laurea magistrale della classe LM87, dal momento che l'accesso a quest'ultima con diplomi di laurea triennale afferenti ad altre classi diverse dalla L39 non garantisce l'avvenuta acquisizione delle competenze professionali necessarie e sufficienti per l'accesso all'esame di Stato di abilitazione professionale e quindi all'esercizio della professione;
considerato che, conseguentemente, sarebbe stato opportuno istituire una sezione unica dell'albo superando le attuali sezioni A e B, provvedendo a disporre in via transitoria l'inserimento nella sezione unica dell'albo degli assistenti sociali iscritti nelle due sezioni al momento dell'entrata in vigore del regolamento;
con particolare riferimento alla professione di notaio, rilevato che:
lo schema di decreto interessa la professione di notaio, oltre che in relazione alla disciplina generale, in riferimento alle seguenti questioni: a) l'assicurazione obbligatoria; b) l'accesso; c) il tirocinio.
Per quanto concerne il punto a) relativo all'assicurazione obbligatoria, l'ordinamento del notariato regola specificamente la materia agli articoli 19 e 20 della legge 16 febbraio 1913 n. 89 come modificati dagli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 4 maggio 2006 n. 182, stabilendo che il Consiglio Nazionale del Notariato stipuli direttamente una polizza collettiva, ripartendone l'onere del premio fra tutti i notai italiani e non con polizze individuali stipulate sulla base di una «Convenzione collettiva» negoziata a livello nazionale, come previsto invece dall'articolo 5 comma 1 del provvedimento in esame. La specificità del notariato impone la conferma del sistema vigente della polizza collettiva, per offrire ai cittadini assoluta certezza in ordine alla copertura assicurativa della funzione pubblica esercitata da ciascun notaio, non rimessa alla pur doverosa iniziativa dello stesso. Inoltre, al fine di semplificare il suddetto sistema di partecipazione dei notai agli oneri derivanti dal pagamento dei premi della citata polizza, è necessario modificare il sistema di esazione.
Per quanto concerne il punto b) relativo all'accesso, si avverte la necessità di superare il limite della partecipazione a non più di tre concorsi, in quanto esso non appare coerente con i principi enunciati nel Decreto di agosto 2011. Ovviamente l'abolizione di tale limite richiede adeguati interventi correttivi del sistema concorsuale attuale per prevenire il pericolo di un ingolfamento delle prove, con la partecipazione di una massa di candidati non muniti di adeguata preparazione. Nel Regolamento, pertanto, andrebbe inserita nel Capo III, contenente «Disposizioni concernenti i Notai», e precisamente all'articolo 12, dedicato all'accesso alla professione notarile, l'abrogazione di tale limite con l'introduzione di modifiche volte alla velocizzazione delle prove concorsuali, facilitando anche il reperimento delle disponibilità – oggi scarse – di notai, magistrati e professori universitari ad assumersi l'onere di Commissari di concorso.
Nello stesso articolo 12 al comma 2 è previsto che il diploma conseguito presso le Scuole di specializzazione per le professioni legali, valga quanto un anno di pratica. Ora è ben noto quanto sia lontano dalla pratica notarile la frequentazione di un corso di specializzazione comune alle altre professioni legali, che per il primo anno ha carattere assolutamente generalista e nel secondo anno l'obbligo di frequenza viene spesso adempiuto con la Pag. 41frequenza a scuole istituzionali di notariato. Pertanto, vi è una alternativa: la norma viene del tutto espunta, nell'ottica della valorizzazione della pratica professionale realmente fatta – senza surrogati – ovvero deve prevedersi che lo stesso valore abbiano i corsi seguiti presso Scuole istituzionali di notariato o di livello universitario specifiche per l'accesso alla professione notarile. In ogni caso il diploma come sopra conseguito non dovrebbe essere computato per più di sei mesi di pratica.
Infine, per quanto riguarda in particolare il punto c) relativo al tirocinio e di cui all'articolo 6 del schema, si sarebbe dovuta aggiungere alla fine del comma 8, la previsione che i Consigli nazionali disciplinino con appositi regolamenti le modalità per la verifica dell'effettivo svolgimento del tirocinio,
esprime
PARERE CONTRARIO.
Pag. 42ALLEGATO 2
Schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali. Atto n. 488.
PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEGLI ONOREVOLI DI PIETRO E PALOMBA
La Commissione Giustizia,
esaminato lo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «Riforma degli ordinamenti professionali in attuazione dell'articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148»;
preso atto che:
L'intervento normativo di riforma degli ordinamenti professionali trova fondamento in un contesto di legislazione primaria modificatosi in un breve arco temporale, nell'ambito del quale si sono succedute le seguenti disposizioni:
l'articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», norma con la quale sono stati fissati principi ai quali devono necessariamente conformarsi tutte le professioni regolamentate;
l'articolo 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2012)», che, in materia di «Riforma degli ordini professionali e società tra professionisti», ha modificato l'articolo 3, comma 5, alinea, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, introducendo lo strumento normativo attraverso il quale effettuare la riforma degli ordinamenti professionali, individuato nel regolamento di delegificazione di cui all'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400; è stato altresì previsto, dalla stessa disposizione, che le norme vigenti sugli ordinamenti siano abrogate con effetto dall'entrata in vigore del regolamento governativo;
l'articolo 33 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», con cui sono stati regolati (introducendo un comma 5-bis, di seguito al comma 5 dell'articolo 3 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138) i tempi di attuazione della normativa secondaria di delegificazione, stabilendo che le leggi professionali sarebbero state abrogate «in ogni caso» dalla data del 13 agosto 2012, ovvero, solo se anteriore, dalla data di adozione dei regolamenti; con la stessa norma l'effetto abrogante è stato limitato alle sole disposizioni in contrasto con i principi-autoesecutivi formulati dall'articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 che li aveva introdotti; con il medesimo articolo 33 è stata espressamente conferita al Governo la facoltà di raccogliere, entro il 31 dicembre 2012, in un testo unico da emanare ai sensi dell'articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400, le disposizioni da considerarsi in vigore a seguito dell'avvenuta riforma (è stato così introdotto il comma 5-ter, di seguito al comma 5-bis dell'articolo 3 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138);Pag. 43
l'articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», con il quale: è stato integralmente abrogato il sistema delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico; sono stabilite le modalità di pattuizione del compenso per le prestazioni professionali e fissati obblighi informativi in favore del cliente, con la previsione di un preventivo di massima; è stata prevista in diciotto mesi la durata massima del tirocinio per l'accesso alle professioni e stabilita la possibilità che i primi sei mesi di tirocinio possano essere svolti in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea; è stato modificato l'articolo 3, comma 5, nelle parti incompatibili con le nuove disposizioni immediatamente precettive.
Preso atto che:
i principi guida dei regolamenti di delegificazione attraverso cui provvedere alla liberalizzazione delle professioni sono i seguenti:
a) l'accesso alla professione deve essere libero e fondato sull'autonomia e sull'indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista; il numero chiuso, su base territoriale, è consentito solo per particolari ragioni di interesse pubblico (come ad esempio la tutela della salute umana) e alcuna limitazione può fondarsi su discriminazioni dirette o indirette basate sulla nazionalità, ovvero sulla ubicazione della sede della società professionale;
b) la formazione continua permanente è obbligatoria, ed è sanzionata disciplinarmente la violazione di tale obbligo;
c) il tirocinio per l'accesso deve avere (per disposizione di norma primaria) durata non superiore ai diciotto mesi, e deve garantire l'effettivo svolgimento dell'attività formativa ed il suo adeguamento costante all'esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione;
d) l'assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale è obbligatoria, e di essa deve essere data notizia al cliente;
e) la funzione disciplinare deve essere affidata ad organi diversi da quelli aventi funzioni amministrative; allo scopo è prevista l'incompatibilità della carica di consigliere dell'Ordine territoriale o di consigliere nazionale con quella di membro dei consigli di disciplina territoriali e nazionali;
f) la pubblicità informativa deve essere consentita con ogni mezzo, e può anche avere ad oggetto, oltre all'attività professionale esercitata, i titoli e le specializzazioni del professionista, l'organizzazione dello studio ed i compensi praticati;
considerato che:
nel valutare la compatibilità con il sistema costituzionale delle fonti poste a fondamento della riforma, l'amministrazione richiama la competenza esclusiva statale relativa alla tutela della concorrenza, che consente di incidere sulla materia delle professioni di legislazione concorrente.
L'amministrazione evidenzia, inoltre, che la norma primaria non sembra aver tenuto conto della natura della competenza disciplinare di quegli ordini professionali per i quali le funzioni in materia disciplinare sono previste dal legislatore alla stregua di una vera e propria competenza giurisdizionale (è il caso, a titolo di esempio, degli architetti, degli avvocati, dei chimici, dei geometri, degli ingegneri, dei periti industriali), giungendo alla conclusione che, non potendo la materia della giurisdizione essere disciplinata se non ad opera della legge ordinaria (stante la riserva assoluta di legge ex articolo 108 della Costituzione), con il regolamento in esame non possono essere disciplinate le funzioni giurisdizionali dei Consigli dell'ordine nazionali.
Corollario di tale assunto è che la lettera f) dell'articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, viene Pag. 44riferita ai soli procedimenti disciplinari rimessi alla competenza di consigli che decidono in via amministrativa (come nel caso dei commercialisti ed esperti contabili).
Sulla base di tali premesse, l'amministrazione illustra il contenuto del decreto, che è unico per tutte le professioni, ed è ripartito in quattro Capi, il primo dei quali, composto di nove articoli, reca disposizioni generali, mentre gli ulteriori capi contengono alcune disposizioni specifiche relative agli avvocati (Capo II; articoli 10 e 11), ai notai (Capo III; articolo 12) e ad abrogazioni ed entrata in vigore (Capo IV, articoli 13 e 14).
Considerato:
Lo schema di regolamento dà attuazione all'articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», con cui la riforma degli ordinamenti professionali è stata demandata allo strumento del regolamento di delegificazione di cui all'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con abrogazione delle vigenti norme in contrasto con i nuovi principi a decorrere dalla data del 13 agosto 2012, ovvero, solo se anteriore, dalla data di adozione dei regolamenti.
L'effetto abrogante è stato limitato alle sole disposizioni in contrasto con i principi formulati dall'articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, demandando al Governo la facoltà di raccogliere, entro il 31 dicembre 2012, in un testo unico da emanare ai sensi dell'articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400, le disposizioni da considerarsi in vigore a seguito dell'avvenuta riforma.
In sostanza, l'effetto abrogante previsto dalla norma primaria è diretto ad eliminare gli ostacoli normativi che si frappongono alla liberalizzazione delle professioni, e il presente regolamento ha la funzione di riempire i vuoti, dando attuazione ai principi contenuti nella norma primaria.
La scelta di procedere all'emanazione di un unico regolamento riguardante tutte le professioni regolamentate è condivisibile, in quanto l'uniformità dei principi di liberalizzazione per tutte le professioni risulta coerente con i criteri fissati dalla norma primaria, in modo appunto indistinto per le diverse professioni. Parimenti condivisibile è la prima parte dell'inquadramento costituzionale, in cui è evidenziato che il contenuto del decreto attiene alla cosiddetta materia trasversale della tutela della concorrenza, rientrante nella legislazione esclusiva dello Stato, che consente a quest'ultimo di intervenire con la finalità di tutelare la concorrenza anche in relazione a materie rientranti nella competenza concorrente Stato Regioni, come quella delle professioni.
È, infatti, evidente che una riforma degli ordinamenti professionali finalizzata ad attuare il principio di liberalizzazione è direttamente ispirata a realizzare la piena concorrenza nel settore, in conformità anche con il diritto dell'Unione europea, che qualifica l'attività delle libere professioni come servizi (articolo 57, paragrafo 2, lettera d), TFUF), la cui prestazione non può essere soggetta a restrizione alcuna (articolo 56 TFUE).
Del resto, la Corte costituzionale ha da tempo affermato che la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle professioni deve rispettare il principio, secondo cui l'individuazione delle figure professionali è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale (Corte Cost. n. 153/2006; n. 57/2007; in precedenza, v. Corte Cost. n. 384/1986).
Alle esigenze di unitarietà presenti con riferimento al contenuto del presente regolamento, va aggiunta la specifica finalità di tutela della concorrenza, che conferma la sussistenza della competenza legislativa statale.
La riconduzione dell'intervento normativo alla materia della tutela della concorrenza consente di escludere ogni profilo di Pag. 45contrasto con l'articolo 117, comma 6, della Costituzione, che limita la potestà regolamentare dello Stato alle sole materie di legislazione esclusiva.
Con riferimento ai criteri della delega, correttamente riassunti dall'amministrazione nei punti indicati in precedenza, va sottolineato come il criterio principale, che deve costituire la guida per ogni scelta interpretativa, sia costituito dall'affermazione secondo cui «gli ordinamenti professionali devono garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti».
Per raggiungere tale scopo, la norma primaria fissa, quale primo principio, quello secondo cui «l'accesso alla professione è libero e il suo esercizio è fondato e ordinato sull'autonomia e sull'indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista. La limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica, è consentita unicamente laddove essa risponda a ragioni di interesse pubblico, tra cui in particolare quelle connesse alla tutela della, salute umana, e non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalità o, in caso di esercizio dell'attività in forma societaria, della sede legale della società professionale». Gli altri principi contenuti nel comma 5 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 138/2011 costituiscono attuazione e specificazione dei suddetti primari obiettivi della riforma, e devono essere interpretati nel senso di evitare che l'introduzione delle presenti norme regolamentari possa, anche indirettamente, porsi in contrasto con il libero accesso alle professioni, o possa anche solo ritardare l'accesso alle professioni da parte dei giovani.
Passando ad esaminare nel dettaglio il contenuto del decreto, si rileva che l'articolo 1 (Definizione e ambito di applicazione) contiene le definizioni di “professione regolamentata” e di “professionista”, adottando, in particolare, una definizione eccessivamente ampia di professione regolamentata come l'attività, o l'insieme delle attività, riservate o meno, il cui esercizio è consentito a seguito di iscrizione in ordini, collegi, albi o registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, allorché l'iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento di specifiche professionalità.
L'applicazione di tutte le disposizioni del decreto anche ai soggetti che si trovano inseriti in un qualsiasi albo, registro o elenco tenuto da amministrazioni o enti pubblici appare dilatare l'ambito di applicazione del decreto oltre i limiti della norma primaria, che, nel fare riferimento al concetto di «professione regolamentata» va ricondotta solo all'inserimento in ordini, collegi o albi, il cui effetto non è limitato alla verifica vincolata dei requisiti di legge, ma è esteso all'attribuzione in capo ai rispettivi organi di poteri ulteriori riconducibili a funzioni amministrative. Occorre, pertanto, eliminare il riferimento a registri ed elenchi comunque tenuti da amministrazioni o enti pubblici, e valutare come meglio precisare, nel senso sopra descritto, la nozione di professione regolamentata.
Va chiarito che l'effetto di tale eliminazione non è quello di sottrarre le attività soggette a minori oneri di registrazione alla liberalizzazione, ma, nel presupposto che tali attività non siano regolamentate, e di evitare un aggravamento degli adempimenti accessori (accesso, formazione, ecc.) per attività minori, ferma restando la liberalizzazione delle stesse.
L'articolo 2 dello schema disciplina l'accesso e l'esercizio dell'attività professionale, confermando i principi contenuti nella norma di delegificazione sulla libertà di accesso alle professioni regolamentate e sul correlativo divieto di limitazione alla iscrizione agli albi professionali se non in forza di previsioni inerenti il possesso o il riconoscimento dei titoli previsti per l'esercizio della professione, o in presenza Pag. 46di condanne penali o disciplinari irrevocabili. Con riferimento al comma 1 occorre espungere dal testo l'inciso «, quando esistenti» che non appare coerente con il divieto di limitazioni fissato in via generale; se il significato dell'inciso è quello di chiarire che le limitazioni esistenti cessano immediatamente, è preferibile esprimere tale previsione in modo chiaro, stabilendo che «Sono vietate e si intendono immediatamente abrogate tutte le limitazioni...».
Il comma 3 dell'articolo 2 stabilisce il divieto, contenuto nella legge di delegificazione, di introdurre limitazioni del numero di persone abilitate ad esercitare la professione su tutto o parte del territorio dello Stato, salve deroghe fondate su ragioni di pubblico interesse, quale la tutela della salute.
I periodi «Sono fatti salvi gli obblighi e i limiti di prestazione professionale in una determinata area geografica, parimenti fondati su ragioni di interesse pubblico, stabiliti per l'esercizio dell'attività notarile. Sono altresì fatte salve le limitazioni derivanti dall'attività assunta alle dipendenze di enti o di altri professionisti, funzionali alle finalità degli enti e al rapporto contrattuale con i professionisti.» non appaiono necessari, in quanto dette deroghe non possono essere introdotte direttamente dal regolamento, non essendo giustificate sulla base della lettera a) del comma 5 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 138/2011, che non attribuisce alla fonte secondaria un potere di introdurre deroghe, ma si limita a fare salve le limitazioni «in forza di una disposizione di legge» rispondenti a ragioni di interesse pubblico, tra cui in particolare quelle connesse alla tutela della salute umana.
La riproduzione delle deroghe nel regolamento rischia, quindi, di rendere meno chiaro il quadro normativo, duplicando le fonti e soprattutto inserendo in una fonte secondaria il contenuto di una deroga, che solo la legge può prevedere, Occorre, pertanto, eliminare due periodi, rimettendo alla valutazione dell'amministrazione l'eventuale inserimento di un mero rinvio, senza citarle, alle disposizioni di legge derogatorie.
L'articolo 4 dà attuazione all'articolo 3, comma 5, lettera g), del decreto-legge n. 138/2011, disciplinando, in chiave di incentivazione della concorrenza, la pubblicità informativa dell'attività professionale, La disposizione non contiene significativi elementi ulteriori rispetto alla lettera sopra citata e, in ragione di ciò, occorre utilizzare sempre lo stesso termine «pubblicità informativa», indicato dalla norma primaria, in sostituzione al comma 2 del termine «informazioni pubblicitarie».
Anche l'inciso «funzionali all'oggetto», contenuto nel comma 2, non appare chiaro: e proprio per non inserire, come detto nella relazione, «riferimenti ambigui alla dignità e al decoro professionale», che in passato hanno dato luogo a problemi interpretativi e applicativi, occorre eliminare l'inciso, attenendosi al contenuto della citata lettera g), anche per evitare che un parametro non oggettivo possa poi essere valutato sotto il profilo disciplinare in base al comma successivo.
Al comma 3 è, infatti, precisato che la violazione dei doveri di correttezza e non ingannevolezza costituisce illecito disciplinare, e appare opportuno completare il comma aggiungendo «oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2005 n. 206 e 2 agosto 2007, n. 145» (pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole).
La violazione degli obblighi in materia di pubblicità informativa può, infatti, integrare anche una violazione della disciplina del Codice del consumo se effettuata in pregiudizio dei consumatori, o del decreto legislativo n. 145/2007 in materia di pubblicità ingannevole se in danno di altri professionisti.
L'articolo 5 definisce i confini dell'obbligo, cui è tenuto il professionista, di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività. Al riguardo, appare preferibile utilizzare il termine Pag. 47contenuto nella norma primaria, che stabilisce che le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere «negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti» in luogo della possibilità per il professionista, prevista nello schema, di «stipulare, anche per il tramite di convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali degli ordini o collegi o da associazioni professionali o da casse o enti di previdenza, idonea assicurazione...».
L'articolo 6 disciplina la materia del tirocinio per l'accesso alla professione. Si deve evidenziare che la materia ha subito un duplice intervento del legislatore: dapprima l'articolo 33, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 ha modificato l'articolo 3, comma 5, lettera c), del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, riducendo da tre anni a diciotto mesi la durata massima del tirocinio e, successivamente, l'articolo 9, comma 6, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, ha stabilito, con norma immediatamente precettiva, la durata massima di diciotto mesi del tirocinio per l'accesso alle professioni, modificando nuovamente la citata lettera c) dell'articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138/2011.
Il limite massimo del tirocinio è, quindi, direttamente fissato dal legislatore in diciotto mesi dall'articolo 9, comma 6, del decreto-legge n. 1/2012, che, come correttamente ritenuto dall'amministrazione, è disposizione immediatamente precettiva.
Nello schema di regolamento il tirocinio è stato anche previsto come obbligatorio: e ciò costituisce una novità in quanto non tutte le professioni regolamentate vi è attualmente l'obbligatorietà del tirocinio ai fini dell'accesso all'esercizio della professione. Da tali previsioni non sembra potersi trarre un obbligo di svolgimento del tirocinio per tutte le professioni regolamentate ed appare, quindi preferibile lasciare agli ordinamenti delle singole professioni la decisione della necessità e della durata del tirocinio, sentito il Ministro vigilante;
considerato, in particolare, che:
con riferimento alla professione di assistente sociale, è avvertita dal Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali la necessità di garantire la formazione con un ciclo formativo unico per l'accesso alla professione disponendo l'obbligatorietà della propedeuticità del corso di laurea triennale della classe L39 per l'accesso al successivo biennio di laurea magistrale della classe LM87, dal momento che l'accesso a quest'ultima con diplomi di laurea triennale afferenti ad altre classi diverse dalla L39 non garantisce l'avvenuta acquisizione delle competenze professionali necessarie e sufficienti per l'accesso all'esame di stato di abilitazione professionale e quindi all'esercizio della professione;
considerato che:
conseguentemente sarebbe stato opportuno istituire una sezione unica dell'albo superando le attuali sezioni A e B, provvedendo a disporre in via transitoria l'inserimento nella sezione unica dell'albo degli assistenti sociali iscritti nelle due sezioni al momento dell'entrata in vigore del regolamento;
formula le seguenti osservazioni:
istituire una sezione unica dell'albo degli assistenti sociali superando le attuali sezioni A e B, e provvedendo a disporre in via transitoria l'inserimento nella sezione unica dell'albo degli assistenti sociali iscritti nelle due sezioni al momento dell'entrata in vigore del regolamento;
al fine di circoscrivere l'applicazione del decreto alle sole professioni regolamentate, ed ossia a quelle che sono organizzate in Ordini e Collegi, si propone di eliminare all'articolo 1, comma 1, lettera a) ogni riferimento ad ulteriori albi, registri, elenchi tenuto da amministrazioni ed enti pubblici. Pertanto all'articolo 1, comma 1, lettera a) dopo le parole «in Ordini o Collegi» cancellare tutte le parole successive, da «o in ogni caso» fino ad «amministrazioni o enti pubblici».Pag. 48
In secondo luogo, si ritiene di inserire all'articolo 2 (Accesso ed esercizio dell'attività professionale) un riferimento esplicito alla «obbligatorietà dell'esame di Stato di cui all'articolo 33 comma 5 della Costituzione», già contenuto nella legge di delega, al fine di rafforzare il collegamento tra la disciplina dell'accesso e dell'esercizio delle professioni regolamentate e l'attuazione del dettato costituzionale. Pertanto all'articolo 2, comma 1, prima riga, sostituire la parola «la disciplina» con la parola «l'obbligatorietà»; dopo la parola «Stato» aggiungere la frase «di cui all'articolo 33 comma 5 della Costituzione,».
All'articolo 6 (Tirocinio per l'accesso), si ritiene di chiarire espressamente che il tirocinio professionale, «ha natura obbligatoria nei soli casi espressamente previsti dalle singole discipline professionali» (comma 1), allo scopo di evitare che il generico riferimento contenuto nel testo del decreto possa condurre ad un riconoscimento surrettizio del suo carattere obbligatorio anche per le professioni che attualmente non lo prevedono. Si ritiene, altresì di eliminare le disposizione di cui ai commi da 9 a 11, concernenti l'equiparazione del tirocinio alla frequenza di specifici corsi di formazione disciplinati con regolamento ministeriale. Una simile equiparazione è, infatti, del tutto contraria alla stessa ratio dell'istituto del tirocinio, che è quella di consentire al futuro professionista di inserirsi progressivamente nel contesto professionale mediante l'esercizio «controllato» dell'attività, sotto la direzione e la responsabilità di un professionista iscritto all'albo da almeno 5 anni. Inoltre, la frequenza a corsi di formazione in luogo dello svolgimento del tirocinio rappresenta un'evidente e inutile duplicazione della frequenza ai corsi di studio finalizzati all'accesso all'esame di Stato.
Pertanto all'articolo 6, comma 1, primo periodo, dopo la parola «professionale», inserire la frase «che ha natura obbligatoria nei soli casi espressamente previsti dalle singole discipline professionali, ha una»; dopo la parola «mesi» aggiungere la parola «e». Al comma 3, primo periodo dopo la parola «anzianità», inserire la frase «di iscrizione all'albo,».
Ancora all'articolo 6 eliminare il comma 9, il comma 10 e il comma 11.
All'articolo 6 comma 12 dopo la parola «certificato», eliminare l'intero secondo periodo.
Nell'ambito della Formazione continua (articolo 7), si ritiene di riservare ai Consigli Nazionali degli Ordini o Collegi, la potestà di disciplinare, con propri regolamenti, seppure sottoposti all'approvazione del Ministro vigilante, «le modalità e le condizioni per l'assolvimento dell'obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti e per la gestione e l'organizzazione dell'attività di aggiornamento a cura degli ordini o collegi territoriali», e «i requisiti minimi, uniformi su tutto il territorio nazionale, dei corsi di aggiornamento». Pertanto all'articolo 7 comma 2, primo periodo, eliminare la frase «Il Ministero vigilante, sentito»; dopo la parola «con» inserire la parola «proprio»; dopo la parola «regolamento» inserire la frase «da sottoporre all'approvazione del Ministero vigilante; dopo la parola «vigilante», eliminare la frase «da emanarsi».
E sempre all'articolo 7, comma 2, lettera a, primo periodo, dopo la parola «territoriali,» eliminare la frase «delle associazioni professionali e di soggetti autorizzati dal ministro vigilante».
Ancora, con riguardo alla disciplina del procedimento disciplinare, oltre a inserire un riferimento alle società tra professionisti (cui si applicano, «in quanto compatibili, le medesime disposizioni previste nelle leggi professionali in materia disciplinare per i singoli professionisti»), si ritiene di sostituire integralmente il procedimento di nomina degli istituendi Consigli di disciplina territoriali (in base al quale i relativi componenti dovrebbero essere individuati tra i vincitori delle elezioni negli ordini viciniori a quello presso cui il Consiglio di disciplina sarà istituito, con un evidente aggravamento dell'attività istituzionale dei medesimi) con un più semplice meccanismo di designazione a cura dei singoli Consigli degli ordini o Pag. 49collegi. Il medesimo meccanismo è recepito anche per la nomina dei componenti del Consiglio di disciplina nazionale, la cui istituzione, tuttavia, resta prevista esclusivamente (e tale previsione risulta rafforzata nel testo, mediante l'inserimento di un'esplicita salvezza) per gli Ordini e Collegi che prevedono Consigli nazionali non dotati di specifica competenza giurisdizionale (attribuita dalla legge istitutiva). Pertanto all'articolo 9 comma 1, primo periodo, dopo la parola «albo» inserire la frase «, ovvero le società tra professionisti di cui alla legge 12 novembre 2011, n. 183 e seguenti. Alle società tra professionisti si applicano, in quanto compatibili, le medesime disposizioni previste nelle leggi professionali in materia disciplinare per i singoli professionisti.».
Ancora il comma 3 dell'articolo 9 è sostituito dal seguente: «I componenti dei Consigli di disciplina territoriale di cui al comma 1 sono designati dai Consigli degli Ordini o collegi professionali fra i professionisti iscritti da almeno dieci anni all'Albo professionale che non siano mai stati destinatari di provvedimenti disciplinari. Possono essere designati a far parte del Consiglio di disciplina territoriale soggetti non iscritti all'albo nei limiti stabiliti dai rispettivi regolamenti di funzionamento emanati dai Consigli nazionali. Il coordinatore e il segretario del Consiglio di disciplina territoriale sono nominati dai Consigli degli Ordini o collegi professionali all'atto dell'insediamento. La carica di consigliere dell'ordine o collegio territoriale e la carica di consigliere del corrispondente consiglio di disciplina territoriale sono in ogni caso incompatibili. Gli ordinamenti professionali possono prevedere ulteriori incompatibilità dirette ad assicurare la terzietà del consiglio di disciplina».
All'articolo 9, comma 7, primo periodo, sostituire la lettera minuscola «c» della parola consigli con la lettera maiuscola «C».
All'articolo 9, comma 7 dopo il primo periodo che termina con la parola «nazionali», inserire la frase «Resta salva la disciplina vigente per le professioni istituite anteriormente alla Costituzione, i cui Consigli Nazionali hanno, in materia disciplinare, competenza giurisdizionale».
All'articolo 9, comma 8, primo periodo, dopo la parola «supplenti», eliminare la frase «e i collegi sono composti da 3 consiglieri presieduti dal componente con maggiore anzianità di iscrizione all'albo.».
Infine si propone di sostituire il comma 10 dell'articolo 9 con il seguente «Sono nominati componenti dei Consigli Nazionali di disciplina di cui al comma 7, titolari e di seguito supplenti, i soggetti designati dai Consigli nazionali di riferimento fra i professionisti iscritti all'Albo professionale da almeno dieci anni che non siano mai stati destinatari di provvedimenti disciplinari.».
Si propone ancora di aggiungere, infine, nel testo del decreto, un capo istitutivo degli ordini territoriali dei biologi,
esprime
PARERE FAVOREVOLE CONDIZIONATO ALL'ACCOGLIMENTO DELLE SUMMENZIONATE OSSERVAZIONI.
Di Pietro, Palomba.
ALLEGATO 3
Schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali. Atto n. 488.
PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DELL'ONOREVOLE CAVALLARO
La Commissione Giustizia,
esaminato lo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali;
considerati i principi di delegificazione di cui all'articolo 3, comma 5 del decreto legge n. 138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 148 del 2011, e successive modificazioni, nonché gli ulteriori parametri di legittimità ricavabili dalla legislazione interna e dalla normativa dell'Unione Europea;
richiamato il parere espresso dal Consiglio di Stato il 10 luglio 2012 sullo schema di regolamento, i cui rilievi critici sono pienamente condivisi;
rilevato che dall'indagine conoscitiva svolta sono emersi rilievi critici e suggerimenti di modifica allo schema di regolamento da parte di rappresentanti degli ordini professionali, i quali hanno evidenziato diverse disposizioni ritenute non conformi ai principi di delegazione;
rilevato che il dato normativo primario da cui si è partiti appare ancora insufficientemente coordinato e sistematico, per cui è prioritariamente necessario richiamare l'opportunità di un intervento normativo-quadro realmente unitario a cui poi far riferimento incontrovertibile al fine di esercitare la potestà di attuazione mediante delegificazione da parte del Governo secondo lo schema di affidare alle stesse organizzazioni professionali la potestà statutaria e regolamentare e di affidare al governo poteri di indirizzo e controllo, nel quadro di una visione ispirata ai principi di competizione e di concorrenza anche nei servizi professionali e di rispetto del principio costituzionale sancito dall'articolo 33 Cost. di richiedere il possesso di speciali requisiti e di forme organizzative proprie nel caso di necessità dovute alla specifica qualità professionale e contraddistinte da asimmetrie informative e cognitive
rilevato in particolare che:
l'articolo 1, comma 1, lett. a) annovera nella definizione di «professione regolamentata» anche le attività esercitate dagli iscritti in «albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici occorre – come già segnalato dal C.d.S. che si chiarisca se si fa riferimento alla possibilità di introdurre nel novero delle professioni regolate altre specifiche professioni o se, come appare necessario alla luce del contenuto attuale della delega, si faccia riferimento con le nozioni richiamate ai soli ordini e collegi delle professioni già esistenti;
all'articolo 2 sarebbe opportuno fare riferimento, secondo i principi di delegificazione, all'articolo 33 della Costituzione, che sancisce l'obbligatorietà dell'esame di Stato per l'esercizio di determinate professioni, ritenuto che tale riferimento appare estremamente utile allo scopo di affermare la diretta corrispondenza tra la disciplina in esame e i principi Pag. 51costituzionali afferenti alle condizioni di accesso ed esercizio delle professioni regolamentate;
l'articolo 3 stabilisce che l'insieme degli albi territoriali di ogni professione costituisce l'albo unico nazionale degli iscritti; appare opportuno chiarire se si intendeva tener conto della articolata complessità di difforme organizzazione territoriale degli ordini esistenti o se si intende attribuire soggettività giuridica e qualità istituzionale al solo insieme nazionale degli iscritti agli albi e collegi;
l'articolo 5, relativo all'obbligo di stipulare una polizza assicurativa per i rischi derivanti dall'attività professionale, riconosce anche alle associazioni professionali la legittimazione a stipulare convenzioni con le compagnie assicurative, eccedendo i principi delegificazione di cui alla lettera e) del richiamato articolo 3, comma 5 del decreto legge n. 138 del 2011, che fanno riferimento unicamente alla legittimazione dei Consigli nazionali e degli enti di previdenza; appare pertanto opportuno rimodulare la norma affinché si chiarisca che non è inibito ai Consigli nazionali degli ordini e collegi la possibilità di negoziare polizze collettive, di predisporre le condizioni generali delle polizze assicurative, in convenzione con i propri iscritti, si segnala ulteriormente al riguardo che, trattandosi di norma che istituisce un regime di assicurazione obbligatoria, vanno previste anche modalità e condizioni generali per le quali sia obbligatoria da parte delle Compagnie assicuratrici la stipula delle polizze, onde evitare il fenomeno dell'indiretta limitazione all'esercizio della professione;
all'articolo 5, come peraltro previsto per le professioni dell'area medica dal decreto-legge n. 89 del 2012, il cui disegno di legge di conversione è stato approvato dalla Camera dei Deputati il 19 luglio 2012 (C. 5323) ed ora si trova all'esame del Senato, sarebbe opportuno inserire una scadenza temporale differita ai fini dell'entrata in vigore dell'obbligo di stipulazione di una polizza assicurativa per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale a carico degli iscritti agli albi onde consentire l'organizzazione dei presupposti per l'attuazione di tale obbligo;
l'articolo 6 rende obbligatorio il tirocinio anche per le categorie che ne erano prive e ne allunga la durata per quelle categorie che lo prevedevano per un periodo inferiore a 18 mesi, occorre chiarire che tale principio non limita in tal modo l'autonomia delle università e dei consigli nazionali nella definizione di specifiche intese volte ad anticipare il tirocinio, come previsto dalla lettera c) del richiamato articolo 3, comma 5, del decreto legge n.138 del 2011 e dal comma 6 dell'articolo 9 del decreto-legge 1/2012, la disciplina di dettaglio del tirocinio deve essere demandate a regolamenti emanati a cura dei Consigli nazionali degli ordini e collegi;
appare opportuno coordinare l'articolo 6 con le disposizioni legislative che attribuiscono ai Consigli nazionali degli ordini e collegi la disciplina dei tirocini;
al comma 1 dell'articolo 6 occorre verificare e chiarire se attraverso la previsione si intende ottenere e dichiarare ex professo il riconoscimento del carattere obbligatorio anche per le professioni che attualmente non lo prevedono o se esso si intende limitato ai singoli ordinamenti che già lo prevedono;
occorre chiarire che non vi può essere l'incompatibilità del tirocinio con il solo impiego pubblico, mentre con l'impiego privato si prevede la compatibilità nel caso in cui siano rispettate alcune condizioni, per cui è opportuno prevedere la possibilità di svolgere il tirocinio anche in concomitanza con il mantenimento di un rapporto di impiego pubblico alle medesime condizioni previste per l'attività di lavoro privato subordinato;
verificare se l'articolo 6, corrisponda ai principi di delegificazione nella parte in cui si prevede la possibilità per i tirocinanti di frequentare specifici corsi di formazione professionale organizzati da Pag. 52soggetti autorizzati dai ministri vigilanti; e nella parte in cui al comma 10 dell'articolo 6 si attribuisce al ministro vigilante il potere di emanare un regolamento volto a disciplinare una serie di oggetti relativi ai corsi di formazioni e se non sia invece opportuno secondo la ratio dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, che sia espressamente previsto dalla legge di delegificazione la legittimazione del Ministro ad adottare regolamenti volti a disciplinare ulteriormente la materia delegificata;
che meglio emergano i principi della facoltatività della frequenza di corsi di formazione, della loro gratuità e dell'accesso a tutti per i medesimi e del principio di separazione fra chi ha poteri di controllo sulla loro idoneità e chi li organizza e tiene, nonché al superamento del criterio dei crediti formativi come attualmente in essere;
l'articolo 7, comma 2, affida al Ministro vigilante la disciplina attuativa dell'obbligo di formazione permanente, eccedendo l'ambito di autorizzazione all'esercizio della potestà regolamentare in delegificazione di cui alla lettera b) del richiamato articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011 che affida la potestà regolamentare unicamente ai Consigli nazionali;
il comma 3 dell'articolo 7 relativo alle convenzioni da stipulare tra Consigli nazionali ed università potrebbe essere integrato prevedendo che l'attività di formazione la gestione e l'organizzazione dell'attività di aggiornamento possa essere organizzata anche a cura degli ordini o collegi territoriali e dei sindacati di categoria delle professioni regolamentate in qualità di parte sociale con rilevanza nazionale, anche in cooperazione o convenzione con altri soggetti;
occorre valutare se l'articolo 7, comma 5, invade la competenza delle Regioni disciplinata dall'articolo 117, comma 6, della Costituzione prevedendo che le Regioni possono disciplinate l'attribuzione di fondi per l'organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale o se si tratta di norma esortativa che può anche essere espunta o meglio riformulata;
l'articolo 8 disciplina il regime delle incompatibilità con l'esercizio della professione, limitando al primo comma l'incompatibilità esclusivamente alle attività suscettibili di pregiudicare l'autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico del professionista e, al secondo comma, facendo salvo il regime delle incompatibilità con l'esercizio della professione di notaio e con il pubblico impiego;
la disciplina delle incompatibilità all'esercizio della professione non rientra nell'oggetto dell'intervento regolamentare in delegificazione autorizzato dal richiamato articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011 ed è opportuno che essa non sia affidata ad una formulazione di carattere generico e valida per tutte le professioni regolamentate con possibili incertezze interpretative;
l'articolo 9 disciplina il procedimento disciplinare per le professioni diverse da quelle sanitarie, con lo scopo di introdurre elementi di maggiore terzietà nell'esercizio del potere disciplinare, istituendo specifici organismi di disciplina distinti e diversi dagli attuali consigli territoriali e nazionali;
la soluzione prospettata per i consigli territoriali (il trasferimento delle funzioni disciplinari al consiglio viciniore) e per i consigli nazionali (affidamento della funzione disciplinare ai soggetti primi fra i non eletti) non sembra realizzare quanto indicato dal richiamato articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011, in quanto nel primo caso permane la commistione fra funzioni amministrative e funzioni disciplinari, e nel secondo caso sembra meno garantita la terzietà nel giudizio;
rimane inoltre irrisolto il problema della divisione delle funzioni disciplinari da quelle amministrative per i consigli nazionali che decidono i ricorsi in via giurisdizionale;Pag. 53
sarebbe stato opportuno prevedere per gli ordini e collegi che decidono in via amministrativa, l'istituzione di consigli di disciplina territoriali e, per gli ordini e collegi che decidono in via giurisdizionale, l'istituzione di specifiche sezioni disciplinari dedicate, da costituirsi all'interno degli attuali consigli territoriali e nazionali, con sottrazione loro di qualunque altra funzione amministrativa;
sarebbe opportuno estendere anche alle società di professionisti di cui alla legge 12 novembre 2011, n. 183, l'applicazione, in quanto compatibile, delle medesime disposizioni previste nelle leggi professionali in materia disciplinare per gli iscritti che esercitano la professione in forma individuale, al fine di evitare che lo schermo della società professionale possa costituire una legittima causa di elusione dell'applicazione delle norme disciplinari nei confronti dei soci;
appare opportuna una generale riconsiderazione della materia disciplinare alla luce del principio di elezione di corti disciplinari autonome e terze;
all'articolo 9, comma 7, si sarebbe dovuta esplicitare la salvezza relativa alla «disciplina vigente per le professioni istituite anteriormente alla Costituzione, i cui Consigli Nazionali hanno, in materia disciplinare, competenza giurisdizionale». Ciò allo scopo di evitare che l'adozione del provvedimento in esame possa surrettiziamente condurre a un'uniformazione indebita delle competenze dei Consigli nazionali degli ordini e collegi, a prescindere dall'attribuzione o meno nei loro confronti dell'esercizio della funzione giurisdizionale;
al fine di assicurare la massima coerenza tra il disposto dei commi 2 e 4 dell'articolo 9, si dovrebbe aggiungere una clausola di salvezza finalizzata a consentire l'anticipazione dei primi sei mesi di tirocinio durante lo svolgimento del corso di laurea, in deroga, quindi alla previsione di cui all'articolo 9, comma 2. Al contempo, al comma 4, si è dovrebbe prevedere la possibilità di stipulare apposite convenzioni tra i Consigli nazionali degli ordini o collegi, il Ministro per la pubblica istruzione, università e ricerca e il Ministro per la semplificazione, al fine di consentire lo svolgimento del tirocinio anche presso pubbliche amministrazioni, all'esito del corso di laurea, come previsto ex lege;
l'articolo 11 reca una disciplina speciale del tirocinio per l'accesso alla professione forense, introducendo, in particolare, la possibilità del suo svolgimento presso gli uffici legali di enti privati autorizzati dal Ministro della Giustizia che va meglio esplicitata chiarendo che ciò è possibile solo se gli enti privati sono dotati di autonomo ufficio legale in cui esercitano iscritti agli albi professionali muniti del diritto di rappresentanza esterna e processuale;
rilevato che lo schema in esame non prevede la facoltà per le professioni che svolgono attività similari di accorparsi su base volontaria, secondo quanto invece previsto dal comma 5 del richiamato articolo 3 del decreto legge n. 138 del 2011 così modificato dall'articolo 9, comma 7, lett. a), decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, determinandosi in tal modo una lacuna normativa, mentre è opportuno chiarire che i consigli nazionali hanno facoltà di predisporre idonee proposte ai fini dell'emanazione di nuovi provvedimenti di riconoscimento delle professioni derivanti da tali accorpamenti,
esprime
PARERE FAVOREVOLE
a condizione che il provvedimento sia modificato secondo quanto riportato in premessa.
ALLEGATO 4
Schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali. Atto n. 488.
NUOVA PROPOSTA DI PARERE DEI RELATORI, ONOREVOLI CASSINELLI E SILIQUINI, APPROVATA DALLA COMMISSIONE
La Commissione Giustizia,
esaminato lo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali;
considerati i principi di delegificazione di cui all'articolo 3, comma 5 del decreto legge n. 138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n.148 del 2011, e successive modificazioni, nonché gli ulteriori parametri di legittimità ricavabili dalla legislazione interna e dalla normativa dell'Unione Europea;
a) richiamato il parere espresso dal Consiglio di Stato il 10 luglio 2012 sullo schema di regolamento, i cui rilievi critici sono pienamente condivisi;
b) rilevato che dall'indagine conoscitiva svolta sono emersi rilievi critici e suggerimenti di modifica allo schema di regolamento da parte di rappresentanti degli ordini professionali, i quali hanno evidenziato diverse disposizioni ritenute non conformi ai principi di delegazione;
c) rilevato che il dato normativo primario da cui si è partiti appare ancora insufficientemente coordinato e sistematico, per cui è prioritariamente necessario richiamare l'opportunità di un intervento normativo-quadro realmente unitario a cui poi far riferimento incontrovertibile al fine di esercitare la potestà di attuazione mediante delegificazione da parte del Governo secondo lo schema di affidare alle stesse organizzazioni professionali la potestà statutaria e regolamentare e di affidare al governo poteri di indirizzo e controllo, nel quadro di una visione ispirata ai principi di competizione e di concorrenza anche nei servizi professionali e di rispetto del principio costituzionale sancito dall'articolo 33 Cost. di richiedere il possesso di speciali requisiti e di forme organizzative proprie nel caso di necessità dovute alla specifica qualità professionale e contraddistinte da asimmetrie informative e cognitive;
d) rilevato in particolare che:
l'articolo 1, comma 1, lett. a) annovera nella definizione di «professione regolamentata» anche le attività esercitate dagli iscritti in «albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici occorre – come già segnalato dal C.d.S. che si chiarisca se si fa riferimento alla possibilità di introdurre nel novero delle professioni regolate altre specifiche professioni o se, come appare necessario alla luce del contenuto attuale della delega, si faccia riferimento con le nozioni richiamate ai soli ordini e collegi delle professioni già esistenti;
all'articolo 2 sarebbe opportuno fare riferimento, secondo i principi di delegificazione, all'articolo 33 della Costituzione, che sancisce l'obbligatorietà dell'esame di Stato per l'esercizio di determinate professioni, ritenuto che tale riferimento appare estremamente utile allo scopo di affermare la diretta corrispondenza tra la disciplina in esame e i principi Pag. 55costituzionali afferenti alle condizioni di accesso ed esercizio delle professioni regolamentate;
l'articolo 3 stabilisce che l'insieme degli albi territoriali di ogni professione costituisce l'albo unico nazionale degli iscritti; appare opportuno chiarire se si intendeva tener conto della articolata complessità di difforme organizzazione territoriale degli ordini eistenti o se si intende attribuire soggettività giuridica e qualità istituzionale al solo insieme nazionale degli iscritti agli albi e collegi;
l'articolo 5, relativo all'obbligo di stipulare una polizza assicurativa per i rischi derivanti dall'attività professionale, riconosce anche alle associazioni professionali la legittimazione a stipulare convenzioni con le compagnie assicurative, eccedendo i principi delegificazione di cui alla lettera e) del richiamato articolo 3, comma 5 del decreto legge n. 138 del 2011, che fanno riferimento unicamente alla legittimazione dei Consigli nazionali e degli enti di previdenza; appare pertanto opportuno rimodulare la norma affinché si chiarisca che non è inibito ai Consigli nazionali degli ordini e collegi la possibilità di negoziare polizze collettive, di predisporre le condizioni generali delle polizze assicurative, in convenzione con i propri iscritti, si segnala ulteriormente al riguardo che, trattandosi di norma che istituisce un regime di assicurazione obbligatoria, vanno previste anche modalità e condizioni generali per le quali sia obbligatoria da parte delle Compagnie assicuratrici la stipula delle polizze, onde evitare il fenomeno dell'indiretta limitazione all'esercizio della professione;
all'articolo 5, come peraltro previsto per le professioni dell'area medica dal decreto-legge n. 89 del 2012, il cui disegno di legge di conversione è stato approvato dalla Camera dei Deputati il 19 luglio 2012 (C. 5323) ed ora si trova all'esame del Senato, sarebbe opportuno inserire una scadenza temporale differita ai fini dell'entrata in vigore dell'obbligo di stipulazione di una polizza assicurativa per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale a carico degli iscritti agli albi onde consentire l'organizzazione dei presupposti per l'attuazione di tale obbligo;
l'articolo 6 rende obbligatorio il tirocinio anche per le categorie che ne erano prive e ne allunga la durata per quelle categorie che lo prevedevano per un periodo inferiore a 18 mesi, occorre chiarire che tale principio non limita in tal modo l'autonomia delle università e dei consigli nazionali nella definizione di specifiche intese volte ad anticipare il tirocinio, come previsto dalla lettera c) del richiamato articolo 3, comma 5, del decreto legge n. 138 del 2011 e dal comma 6 dell'articolo 9 del decreto-legge 1/2012, la disciplina di dettaglio del tirocinio deve essere demandate a regolamenti emanati a cura dei Consigli nazionali degli ordini e collegi;
appare opportuno coordinare l'articolo 6 con le disposizioni legislative che attribuiscono ai Consigli nazionali degli ordini e collegi la disciplina dei tirocini;
al comma 1 dell'articolo 6 occorre verificare e chiarire se attraverso la previsione si intende ottenere e dichiarare ex professo il riconoscimento del carattere obbligatorio anche per le professioni che attualmente non lo prevedono o se esso si intende limitato ai singoli ordinamenti che già lo prevedono;
occorre chiarire che non vi può essere l'incompatibilità del tirocinio con il solo impiego pubblico, mentre con l'impiego privato si prevede la compatibilità nel caso in cui siano rispettate alcune condizioni, per cui è opportuno prevedere la possibilità di svolgere il tirocinio anche in concomitanza con il mantenimento di un rapporto di impiego pubblico alle medesime condizioni previste per l'attività di lavoro privato subordinato;
verificare se l'articolo 6, corrisponda ai principi di delegificazione nella parte in cui si prevede la possibilità per i tirocinanti di frequentare specifici corsi di Pag. 56formazione professionale organizzati da soggetti autorizzati dai ministri vigilanti; e nella parte in cui al comma 10 dell'articolo 6 si attribuisce al ministro vigilante il potere di emanare un regolamento volto a disciplinare una serie di oggetti relativi ai corsi di formazioni e se non sia invece opportuno secondo la ratio dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, che sia espressamente previsto dalla legge di delegificazione la legittimazione del Ministro ad adottare regolamenti volti a disciplinare ulteriormente la materia delegificata;
è opportuno che meglio emergano i principi della facoltatività della frequenza di corsi di formazione, della loro gratuità e dell'accesso a tutti per i medesimi e del principio di separazione fra chi ha poteri di controllo sulla loro idoneità e chi li organizza e tiene, nonché al superamento del criterio dei crediti formativi come attualmente in essere;
l'articolo 7, comma 2, affida al Ministro vigilante la disciplina attuativa dell'obbligo di formazione permanente, eccedendo l'ambito di autorizzazione all'esercizio della potestà regolamentare in delegificazione di cui alla lettera b) del richiamato articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011 che affida la potestà regolamentare unicamente ai Consigli nazionali;
il comma 3 dell'articolo 7 relativo alle convenzioni da stipulare tra Consigli nazionali ed università potrebbe essere integrato prevedendo che l'attività di formazione la gestione e l'organizzazione dell'attività di aggiornamento possa essere organizzata anche a cura degli ordini o collegi territoriali e dei sindacati di categoria delle professioni regolamentate in qualità di parte sociale con rilevanza nazionale, anche in cooperazione o convenzione con altri soggetti;
occorre valutare se l'articolo 7, comma 5, invade la competenza delle Regioni disciplinata dall'articolo 117, comma 6, della Costituzione prevedendo che le Regioni possono disciplinate l'attribuzione di fondi per l'organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale o se si tratta di norma esortativa che può anche essere espunta o meglio riformulata;
l'articolo 8 disciplina il regime delle incompatibilità con l'esercizio della professione, limitando al primo comma l'incompatibilità esclusivamente alle attività suscettibili di pregiudicare l'autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico del professionista e, al secondo comma, facendo salvo il regime delle incompatibilità con l'esercizio della professione di notaio e con il pubblico impiego;
la disciplina delle incompatibilità all'esercizio della professione non rientra nell'oggetto dell'intervento regolamentare in delegificazione autorizzato dal richiamato articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011 ed è opportuno che essa non sia affidata ad una formulazione di carattere generico e valida per tutte le professioni regolamentate con possibili incertezze interpretative;
l'articolo 9 disciplina il procedimento disciplinare per le professioni diverse da quelle sanitarie, con lo scopo di introdurre elementi di maggiore terzietà nell'esercizio del potere disciplinare, istituendo specifici organismi di disciplina distinti e diversi dagli attuali consigli territoriali e nazionali;
la soluzione prospettata per i consigli territoriali (il trasferimento delle funzioni disciplinari al consiglio viciniore) e per i consigli nazionali (affidamento della funzione disciplinare ai soggetti primi fra i non eletti) non sembra realizzare quanto indicato dal richiamato articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011, in quanto nel primo caso permane la commistione fra funzioni amministrative e funzioni disciplinari, e nel secondo caso sembra meno garantita la terzietà nel giudizio;
rimane inoltre irrisolto il problema della divisione delle funzioni disciplinari Pag. 57da quelle amministrative per i consigli nazionali che decidono i ricorsi in via giurisdizionale;
sarebbe stato opportuno prevedere per gli ordini e collegi che decidono in via amministrativa, l'istituzione di consigli di disciplina territoriali e, per gli ordini e collegi che decidono in via giurisdizionale, l'istituzione di specifiche sezioni disciplinari dedicate, da costituirsi all'interno degli attuali consigli territoriali e nazionali, con sottrazione loro di qualunque altra funzione amministrativa;
sarebbe opportuno estendere anche alle società di professionisti di cui alla legge 12 novembre 2011, n. 183, l'applicazione, in quanto compatibile, delle medesime disposizioni previste nelle leggi professionali in materia disciplinare per gli iscritti che esercitano la professione in forma individuale, al fine di evitare che lo schermo della società professionale possa costituire una legittima causa di elusione dell'applicazione delle norme disciplinari nei confronti dei soci;
appare opportuna una generale riconsiderazione della materia disciplinare alla luce del principio di elezione di corti disciplinari autonome e terze;
all'articolo 9, comma 7, si sarebbe dovuta esplicitare la salvezza relativa alla «disciplina vigente per le professioni istituite anteriormente alla Costituzione, i cui Consigli Nazionali hanno, in materia disciplinare, competenza giurisdizionale». Ciò allo scopo di evitare che l'adozione del provvedimento in esame possa surrettiziamente condurre a un'uniformazione indebita delle competenze dei Consigli nazionali degli ordini e collegi, a prescindere dall'attribuzione o meno nei loro confronti dell'esercizio della funzione giurisdizionale;
al fine di assicurare la massima coerenza tra il disposto dei commi 2 e 4 dell'articolo 9, si dovrebbe aggiungere una clausola di salvezza finalizzata a consentire l'anticipazione dei primi sei mesi di tirocinio durante lo svolgimento del corso di laurea, in deroga, quindi alla previsione di cui all'articolo 9, comma 2. Al contempo, al comma 4, si è dovrebbe prevedere la possibilità di stipulare apposite convenzioni tra i Consigli nazionali degli ordini o collegi, il Ministro per la pubblica istruzione, università e ricerca e il Ministro per la semplificazione, al fine di consentire lo svolgimento del tirocinio anche presso pubbliche amministrazioni, all'esito del corso di laurea, come previsto ex lege;
l'articolo 11 reca una disciplina speciale del tirocinio per l'accesso alla professione forense, introducendo, in particolare, la possibilità del suo svolgimento presso gli uffici legali di enti privati autorizzati dal Ministro della Giustizia che va meglio esplicitata chiarendo che ciò è possibile solo se gli enti privati sono dotati di autonomo ufficio legale in cui esercitano iscritti agli albi professionali muniti del diritto di rappresentanza esterna e processuale;
e) rilevato che lo schema in esame non prevede la facoltà per le professioni che svolgono attività similari di accorparsi su base volontaria, secondo quanto invece previsto dal comma 5 del richiamato articolo 3 del decreto legge n. 138 del 2011 così modificato dall'articolo 9, comma 7, lettera a), decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, determinandosi in tal modo una lacuna normativa, mentre è opportuno chiarire che i consigli nazionali hanno facoltà di predisporre idonee proposte ai fini dell'emanazione di nuovi provvedimenti di riconoscimento delle professioni derivanti da tali accorpamenti;
f) rilevato che lo schema in esame reca un capo dedicato a tutte le professioni (I), un capo dedicato alla professione di avvocato (II) ed un capo dedicato alla professione di notaio (III);
g) considerato che, sarebbe stato opportuno prevedere ulteriori disposizioni concernenti altre specifiche professioni regolamentate, ritenuto che la riforma degli Pag. 58ordinamenti professionali dovrebbe rappresentare l'occasione per la modernizzazione ed una liberalizzazione delle professioni che si faccia carico di superare le criticità esistenti al fine di migliorare la qualità delle prestazioni professionali nell'interesse degli utenti dei servizi professionali;
h) considerato che andrebbe introdotta una norma per i dottori commercialisti e gli esperti contabili che consenta ai tirocinanti di avere la possibilità di completare il tirocinio anche per l'iscrizione nel registro dei Revisori Legali, atteso che la riduzione generale della durata del tirocinio a non oltre 18 mesi non può incidere su quello che la norma comunitaria impone per l'iscrizione nel citato Registro. Così facendo, all'esito dei diciotto mesi di tirocinio e del superamento dell'esame di Stato, l'abilitato Dottore Commercialista o Esperto Contabile potrà completare il tirocinio per l'iscrizione anche nel Registro dei Revisori Legali;
i) considerato, in particolare, che, con riferimento alla professione di assistente sociale, è avvertita dal Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali la necessità di garantire la formazione con un ciclo formativo unico per l'accesso alla professione disponendo l'obbligatorietà della propedeuticità del corso di laurea triennale della classe L39 per l'accesso al successivo biennio di laurea magistrale della classe LM87, dal momento che l'accesso a quest'ultima con diplomi di laurea triennale afferenti ad altre classi diverse dalla L39 non garantisce l'avvenuta acquisizione delle competenze professionali necessarie e sufficienti per l'accesso all'esame di Stato di abilitazione professionale e quindi all'esercizio della professione;
l) considerato che, conseguentemente, sarebbe stato opportuno istituire una sezione unica dell'albo superando le attuali sezioni A e B, provvedendo a disporre in via transitoria l'inserimento nella sezione unica dell'albo degli assistenti sociali iscritti nelle due sezioni al momento dell'entrata in vigore del regolamento;
m) con particolare riferimento alla professione di notaio, rilevato che:
lo schema di decreto interessa la professione di notaio, oltre che in relazione alla disciplina generale, in riferimento alle seguenti questioni: a) l'assicurazione obbligatoria; b) l'accesso; c) il tirocinio.
Per quanto concerne il punto a) relativo all'assicurazione obbligatoria, l'ordinamento del notariato regola specificamente la materia agli articoli 19 e 20 della legge 16 febbraio 1913 n. 89 come modificati dagli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 4 maggio 2006 n. 182, stabilendo che il Consiglio Nazionale del Notariato stipuli direttamente una polizza collettiva, ripartendone l'onere del premio fra tutti i notai italiani e non con polizze individuali stipulate sulla base di una «Convenzione collettiva» negoziata a livello nazionale, come previsto invece dall'articolo 5 comma 1 del provvedimento in esame. La specificità del notariato impone la conferma del sistema vigente della polizza collettiva, per offrire ai cittadini assoluta certezza in ordine alla copertura assicurativa della funzione pubblica esercitata da ciascun notaio, non rimessa alla pur doverosa iniziativa dello stesso. Inoltre, al fine di semplificare il suddetto sistema di partecipazione dei notai agli oneri derivanti dal pagamento dei premi della citata polizza, è necessario modificare il sistema di esazione.
Per quanto concerne il punto b) relativo all'accesso, si avverte la necessità di superare il limite della partecipazione a non più di tre concorsi, in quanto esso non appare coerente con i principi enunciati nel Decreto di agosto 2011. Ovviamente l'abolizione di tale limite richiede adeguati interventi correttivi del sistema concorsuale attuale per prevenire il pericolo di un ingolfamento delle prove, con la partecipazione di una massa di candidati non muniti di adeguata preparazione. Nel Regolamento, pertanto, andrebbe inserita nel Capo III, contenente «Disposizioni concernenti i Notai», e precisamente all'articolo Pag. 5912, dedicato all'accesso alla professione notarile, l'abrogazione di tale limite con l'introduzione di modifiche volte alla velocizzazione delle prove concorsuali, facilitando anche il reperimento delle disponibilità – oggi scarse – di notai, magistrati e professori universitari ad assumersi l'onere di Commissari di concorso.
Nello stesso articolo 12 al comma 2 è previsto che il diploma conseguito presso le Scuole di specializzazione per le professioni legali, valga quanto un anno di pratica. Ora è ben noto quanto sia lontano dalla pratica notarile la frequentazione di un corso di specializzazione comune alle altre professioni legali, che per il primo anno ha carattere assolutamente generalista e nel secondo anno l'obbligo di frequenza viene spesso adempiuto con la frequenza a scuole istituzionali di notariato. Pertanto, vi è una alternativa: la norma viene del tutto espunta, nell'ottica della valorizzazione della pratica professionale realmente fatta – senza surrogati – ovvero deve prevedersi che lo stesso valore abbiano i corsi seguiti presso Scuole istituzionali di notariato o di livello universitario specifiche per l'accesso alla professione notarile. In ogni caso il diploma come sopra conseguito non dovrebbe essere computato per più di sei mesi di pratica.
Infine, per quanto riguarda in particolare il punto c) relativo al tirocinio e di cui all'articolo 6 del schema, si sarebbe dovuta aggiungere alla fine del comma 8, la previsione che i Consigli nazionali disciplinino con appositi regolamenti le modalità per la verifica dell'effettivo svolgimento del tirocinio,
esprime
PARERE FAVOREVOLE
a condizione che il provvedimento sia modificato secondo quanto riportato in premessa.
ALLEGATO 5
Interrogazione n. 5-06727 Bernardini: Sul tentativo di suicidio di un detenuto presso il carcere di Porto Azzurro.
TESTO DELLA RISPOSTA
Nell'atto di sindacato ispettivo in oggetto, gli interroganti richiedono notizie riguardanti il tentativo di suicidio di un detenuto straniero ristretto presso la Casa di reclusione di Porto Azzurro. I parlamentari, chiedono di sapere se nei confronti del citato detenuto fossero state adottate tutte le misure precauzionali e di vigilanza che il caso concreto rendeva necessarie. Inoltre, dopo avere riportato i dati relativi ai casi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo avvenuti nell'ultimo anno negli istituti detentivi, segnalano la opportunità di promuovere iniziative normative preordinate a rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica, nonché ad implementare adeguate misure di supporto psicologico nei confronti dei detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo in carcere.
In data 10 gennaio 2012 presso la Casa di Reclusione di Porto Azzurro, verso le ore 18.20, il personale di Polizia penitenziaria in servizio veniva attirato dalle grida di alcuni detenuti della sezione n. 9, che affermavano che un loro compagno stava male. Giunto immediatamente sul posto, il personale notava il detenuto Haji Sami che, con l'utilizzo dei lacci delle scarpe, si era impiccato alle sbarre della finestra della propria cella.
Immediatamente gli agenti, con l'ausilio di altri detenuti, provvedevano a slegare il detenuto e ad adagiarlo a terra in attesa dell'arrivo del personale medico prontamente allertato. Venivano intanto praticati i primi soccorsi tanto che, all'arrivo del medico, il detenuto aveva già ripreso a respirare.
L'Haji veniva portato nel reparto infermeria e, dopo essersi ripreso, riferiva di aver messo in atto quel gesto, perché colto da grave sconforto a seguito delle notizie relative alle gravi condizioni di salute del padre e della sorella, apprese da altri familiari nel corso di un colloquio.
Il detenuto veniva successivamente collocato in una stanza della sezione infermeria e, al fine di scongiurare ulteriori gesti autolesionistici veniva disposta una attenta e continua sorveglianza.
In seguito, il detenuto è stato assistito in maniera costante dai diversi operatori penitenziari e, dopo un primo periodo piuttosto turbolento, durante il quale il soggetto poneva in essere altri gesti auto lesivi in segno di protesta per i discontinui turni di lavoro, l'Haji ha riacquistato finalmente serenità, accettando i turni di lavoro che gli venivano proposti.
Circa il quesito di carattere generale ed attinente al triste fenomeno dei suicidi e dei gesti di autolesionismo, preme osservare come accurato e costante sia l'impegno prestato dall'Amministrazione penitenziaria nel corso degli anni. Invero, si è più volte intervenuti, con diverse circolari, per fornire precise indicazioni ai Provveditori regionali e alle direzioni degli istituti affinché fossero svolti sempre più incisivi interventi per alleviare le situazioni di disagio derivanti dalla condizione di privazione della libertà e per prevenire il compimento di atti auto aggressivi.
Sono state elaborate, peraltro, anche apposite linee guida, volte a sensibilizzare gli operatori sull'importanza del momento Pag. 61dell’«accoglienza» e sulla necessità di agevolare, per quanto possibile, i rapporti con i familiari.
A fronte dell'avvertita necessità di procedere ad un'azione di monitoraggio, per trarre utili indicazioni ai fini di una più efficace opera di prevenzione, è stata costituita, con ordine di servizio dello scorso 2 marzo, l'unità di monitoraggio degli eventi di suicidio, con l'incarico di verificare la concreta applicazione e l'efficacia delle direttive sopra richiamate, nonché di monitorare singolarmente gli eventi di suicidio verificatisi nel corrente anno all'interno degli istituti penitenziari.
Con riferimento infine alla opportunità di promuovere iniziative normative preordinate a rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica nonché ad implementare adeguate misure di supporto psicologico nei confronti dei detenuti al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo in carcere, si evidenzia che trattasi di questioni poste all'attenzione del Ministro, in più interrogazioni, alcune delle quali riferibili agli odierni interroganti, ed alle quali si è già dato riscontro.
In ogni caso si riferisce che, in data 14 giugno 2008 si è operato, per effetto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, il trasferimento dell'assistenza sanitaria dei detenuti dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale. Risultano per l'effetto trasferite al Servizio Sanitario Nazionale tutte le competenze sanitarie della medicina generale e di quella specialistica in precedenza a carico del Ministero della Giustizia.
Trova così applicazione il principio che riconosce alle persone detenute, alla pari dei cittadini liberi, il diritto alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione previste nei livelli essenziali e uniformi di assistenza, con la possibilità di accesso alle risorse tecnologiche già disponibili per la comunità esterna.
Il decreto contempla anche un trasferimento del personale medico, infermieristico e degli psicologi al Servizio Sanitario Nazionale. Si stanno, pertanto, studiando di concerto con il Ministero della Salute – cui sono state trasferite tutte le funzioni sanitarie, i rapporti di lavoro, le risorse finanziarie, le attrezzature e i beni strumentali, afferenti alla sanità penitenziaria – alcune proposte per risolvere le problematiche attinenti la delicata materia.
Nell'accingermi a concludere, desidero comunque rassicurare gli interroganti che è sempre ferma l'attenzione del Ministro della Giustizia alle problematiche oggetto della presente interrogazione ed è massimo l'impegno per fronteggiarne le situazioni di criticità.
ALLEGATO 6
Interrogazione n. 5-06784 Bernardini: Sul suicidio di un detenuto in stato di custodia cautelare nell'ospedale Villa Scassi di Sampierdarena.
TESTO DELLA RISPOSTA
Con riferimento alla richiesta di notizie in merito al suicidio di Bruno Baldini, avvenuto il 2 gennaio del 2012 presso l'ospedale di Villa Scassi di Genova, si comunica che il predetto detenuto è stato arrestato il 5 dicembre 2011, ma non ha mai fatto ingresso nel penitenziario di Genova Marassi.
Ed infatti il Baldini, subito dopo il suo arresto, è stato ricoverato in stato di detenzione presso il reparto Grandi Ustionati del citato ospedale e quivi, su disposizione della competente Autorità giudiziaria, è stato piantonato dal personale della Polizia penitenziaria.
Si segnala, altresì, che in data 7 dicembre 21012, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova, a parziale modifica dell'ordinanza di custodia cautelare applicata al Baldini nell'immediato, ha ritenuto di disporre la deroga dell'onere di piantonamento, prevedendo – in sostituzione – dei controlli saltuari, da effettuarsi a cura della Polizia penitenziaria.
Secondo i dati informativi acquisiti dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, l'ultimo controllo da parte del personale della locale polizia penitenziaria è stato effettuato alle ore 15.00 del 1o gennaio 2012.
Al momento del controllo, l'assistente preposto al servizio non ha riscontrato alcuna anomalia, accertando la regolare presenza del Baldini nella sua stanza.
Tuttavia, poche ore dopo e cioè alle ore 3.20 del giorno seguente, il personale dell'ospedale ha rinvenuto il corpo, privo di vita, del Baldini, constatando che lo stesso si era suicidato, impiccandosi con un cavo elettrico fissato al supporto della televisione.
Dal referto autoptico, stilato dal medico legale, si evince che il decesso si è verificato non oltre le 3/4 ore prima del rinvenimento del corpo.
Ciò posto il locale Provveditorato regionale, in considerazione delle modalità del tragico gesto (come certificato dal referto medico e dagli atti allegati), ha ritenuto di non dover disporre ulteriori accertamenti.
D'altro canto, la stessa Procura della Repubblica di Genova, una volta acquisiti gli esiti della consulenza medico-legale attestante quale causa di morte del Baldini «l'asfissia meccanica» da impiccamento, ha proceduto in data 16 gennaio 2012 ad archiviare il procedimento relativo al decesso del detenuto Baldini.
ALLEGATO 7
Interrogazione n. 5-06785 Bernardini: Sulle disfunzioni e carenze degli istituti penitenziari e sulle strutture carcerarie non utilizzate in Puglia.
TESTO DELLA RISPOSTA
Nell'atto di sindacato ispettivo in oggetto viene segnalata la grave situazione degli istituti di detenzioni pugliesi, per come risulta da una indagine giornalistica, pubblicata dal quotidiano la Repubblica. Secondo quanto riportato nella interrogazione i detti istituti presentano caratteristiche strutturali di assoluta inadeguatezza rispetto alle finalità istituzionali e risultano in uno stato di intollerabile sovraffollamento. Tale allarmante quadro, è causa di quotidiane tragedie che mortificano ed umiliano la dignità umana e portano i detenuti a gesti autosoppressivi o autolesionistici.
I parlamentari, chiedono quindi al Ministro, quali sono le iniziative in atto per rimuovere le segnalate e gravi carenze degli istituti di detenzione pugliesi, quali i provvedimenti adattati o da adottare per superare le disfunzioni che mortificano la dignità dei detenuti e appaiono lesivi degli stessi diritti umani.
Preliminarmente si rappresenta, che la situazione detentiva della Regione Puglia, analogamente a quella che si registra nella maggior parte delle regioni del Paese, è caratterizzata da uno stato di tensione detentiva che interessa più strutture penitenziarie. Nella regione Puglia, alla data del 17 giugno c.a., a fronte di una capienza tollerabile di 3.926 posti, sono presenti 4.436 detenuti.
In proposito, si deve tuttavia osservare, che lo stato di generale sovraffollamento dei penitenziari del Paese è in fase di progressiva positiva evoluzione. Invero per effetto dell'entrata in vigore della legge 17 febbraio 2012, n. 9 che, prevede, tra l'altro, la modifica dell'articolo 558, comma 2, c.p.p. e la modifica della legge 199/10, viene limitato il numero di persone che transitano nelle strutture carcerarie per periodi brevissimi ed si estende la platea dei detenuti ammessi alla detenzione domiciliare.
Inoltre, la realizzazione del piano carceri, consentirà di disporre di circa nove mila nuovi posti detentivi e, per la regione Puglia, è prevista la realizzazione di due nuovi padiglioni detentivi in ampliamento degli istituti di Lecce e Taranto.
Sempre in via preliminare, occorre precisare che i dati sulle capienze detentive riportati nell'atto ispettivo fanno riferimento alla sola capienza regolamentare e non anche a quella tollerabile, così fornendo un quadro della situazione degli istituti della Puglia ancor più allarmante.
Sui singoli quesiti posti dagli interroganti si rappresenta che i dati riportati nell'atto di sindacato ispettivo, non descrivono compiutamente lo stato degli istituti di detenzione pugliesi.
Invero, in merito alla ristrutturazione delle sezioni detentive dell'istituto di Taranto, il cui costo complessivo è stato stimato in circa 2 milioni di euro, va chiarito che, tenuto conto delle generali ristrettezze finanziarie, si è venuti alla determinazione di suddividere in lotti funzionali l'intervento. Pertanto, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, si provvederà entro il corrente esercizio finanziario all'esecuzione di un primo lotto.Pag. 64
Sempre riguardo all'istituto di Taranto, non corrisponde assolutamente al vero che le celle siano prive di riscaldamento e che non ci sia acqua calda per le docce; in ogni cella vi sono i termosifoni e in orari dedicati vi è l'acqua calda per le docce. Effettivamente, le stanze detentive sono prive di interruttore elettrico all'interno, ma si provvederà alla loro installazione appena possibile. Infine, il campo di calcio è adibito a zona per il passeggio da alcuni anni, attesa la assoluta carenza di altre aree.
In effetti, le carenze strutturali di molti istituti della Puglia sono tali da richiedere immediati e consistenti interventi, i più urgenti dei quali, tuttavia, saranno realizzati con le risorse messe a disposizione sull'apposito capitolo di spesa. In ogni caso va segnalato che sono stati eseguiti numerosi lavori con l'impiego di manodopera dei detenuti, con il ricorso a ditte esterne e con progetti approvati dalle Cassa delle Ammende.
La situazione debitoria venutasi a creare sui capitoli di spesa che riguardano il funzionamento delle strutture (acqua, gasolio, energia elettrica), nel corso del 2011 è stata azzerata grazie anche alla riduzione delle spese da parte di tutti gli istituti, realizzata, tra l'altro, attraverso una più parsimoniosa erogazione di acqua e di riscaldamento.
Come riportato nella interrogazione, effettivamente si sono verificati dei casi di scabbia che però sono stati subito affrontati e debellati. In ogni caso va chiarito, al riguardo, che trattasi di casi che non nascono all'interno delle strutture penitenziarie, ma scaturiscono dall'ingresso di persone arrestate portatrici dell'infezione.
Nel corso del 2011, nella regione Puglia si sono registrati n. 4 suicidi e numerosi atti di autolesionismo per i quali sono stati attuati interventi mirati da parte degli Staff Multidisciplinari. Riguardo a tali fenomeni, preme ribadire come accurato e costante sia stato l'impegno dell'Amministrazione penitenziaria nel corso degli anni, durante i quali è più volte intervenuta per fornire precise indicazioni ai Provveditori regionali e alle direzioni degli istituti affinché fossero adottati più incisivi interventi per alleviare le situazioni di disagio derivante dalla condizione di privazione della libertà e per prevenire il compimento di atti auto aggressivi.
In proposito va ancora rilevato che è in fase avanzata la stesura di un Protocollo regionale per la prevenzione del rischio suicidano.
In tema di attività trattamentali, la Puglia, nonostante la riduzione dei fondi, ha visto l'incremento di corsi scolastici e l'organizzazione di ben 59 corsi extracurriculari. Sono stati, inoltre, realizzati 27 corsi di formazione professionale finanziati dalla Regione, cui hanno preso parte 267 detenuti.
Per quanto concerne le strutture penitenziarie che, secondo le notizie riportate dagli interroganti, sarebbero inutilizzate, si precisa che quelle di Accadia, Bovino, Casamassima, Castelnuovo della Daunia, Galatina, Minervino Murge, Orsara, Monopoli e Volturino Appula, sono state già da parecchi anni riconsegnate al Demanio, mentre quelle di Altamura e di Maglie sono pienamente utilizzate. La prima, delle ultime due strutture, è destinata ai detenuti imputati o condannati per reati di violenza sessuale, mentre la seconda è riservata ai detenuti semiliberi.
Venendo, infine, allo stato dell'assistenza sanitaria negli istituti penitenziari della Puglia, si deve ribadire che, a seguito del passaggio dalla sanità penitenziaria alle Regioni e alle Aziende sanitarie locali, sia per garantire la tutela della salute ed il recupero dei detenuti, sia per le esigenze di sicurezza all'interno degli istituti, in data 25 ottobre 2011 è stato sottoscritto tra il Provveditorato Regionale dell'Amministrazione penitenziaria di Bari e la Regione Puglia, il Protocollo d'Intesa per «l'applicazione dell'articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, relativamente alla definizione delle forme Pag. 65di collaborazione tra l'ordinamento sanitario e l'ordinamento penitenziario». In proposito, il Provveditorato Regionale ha invitato i direttori degli istituti penitenziari ad intraprendere analoghe iniziative con le altre Aziende Sanitarie Locali territorialmente competenti.
Nell'accingermi a concludere, desidero comunque rassicurare gli interroganti che è sempre ferma l'attenzione del Ministro della Giustizia alle problematiche oggetto della presente interrogazione ed è massimo l'impegno per fronteggiarne le situazioni di criticità.