XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 19 dicembre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il 31 ottobre 2012 è entrata in vigore la nuova disciplina in tema di mediazione creditizia;
    l'articolo 128-sexies del testo unico delle leggi in materia bancaria creditizia (TUB) di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, come modificato dal decreto legislativo n. 141 del 2010, qualifica come mediatore creditizio il soggetto che mette in relazione, anche attraverso attività di consulenza, banche o intermediari finanziari con la potenziale clientela per la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma;
    il mediatore creditizio può svolgere esclusivamente l'attività sopra indicata, nonché attività ad essa connesse o strumentali;
    il predetto decreto legislativo n. 141 del 2010 ha anche abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 2000, n. 287, recante il regolamento circa l'attività di mediazione creditizia, il quale, all'articolo 2, comma 3, stabiliva che: «Non integra mediazione creditizia la raccolta, nell'ambito della specifica attività svolta e strumentalmente ad essa, di richieste di finanziamento, effettuata sulla base di apposite convenzioni stipulate con banche e intermediari finanziari, da parte di: a) soggetti iscritti in ruoli, albi o elenchi, tenuti da pubbliche autorità, da ordini o da consigli professionali; b) fornitori di beni o servizi»;
    il combinato disposto delle citate modifiche ha comportato la conseguenza che il mediatore creditizio svolgere solo l'attività specifica indicata dall'articolo 128-sexies del testo unico delle leggi in materia bancaria creditizia, escludendo dunque tutte quelle attività che non siano ad essa connesse strumentali, e che gli agenti immobiliari non possono più, nell'ambito della loro attività e strumentalmente ad essa, effettuare anche attività di raccolta di richieste di finanziamento, come invece era loro consentito fino al 31 ottobre 2012;
    in tal modo è stata dunque introdotta una chiara ed inequivoca riserva di attività, (quella di mediazione creditizia) a favore di quei soggetti che, in possesso dei requisiti richiesti dalla nuova normativa, si iscrivano nell'apposito elenco tenuto dall'organismo (OAM) all'uopo costituito;
    è interesse del mercato e delle parti regolamentare entro i limiti della disciplina vigente il rapporto di collaborazione tra gli agenti immobiliari ed i mediatori creditizi con riguardo alla segnalazione, dai primi ai secondi, dell'interesse dei potenziali acquirenti di un immobile ad avvalersi dei servizi di un soggetto professionale che li assista nella ricerca di un finanziamento;
    detta attività di segnalazione dell'interesse del proprio cliente per l'ottenimento di un finanziamento, che l'agente immobiliare prima effettuava attraverso convenzioni all'uopo stipulate con istituti di credito, è, come sopra ricordato, ora esclusa dalla normativa recentemente modificata;
    tuttavia, non si possono riscontrare ostacoli normativi, né di altro genere, rispetto alla possibilità, per l'agente immobiliare, di indicare al proprio cliente il mero nominativo di un mediatore creditizio;
    rispetto a tale segnalazione appare evidente che l'attività dell'agente immobiliare dovrebbe limitarsi ad indicare al proprio cliente il nominativo del mediatore creditizio, senza illustrare, presentare o consegnare al cliente alcuna informativa sui prodotti finanziari gestiti dallo stesso mediatore creditizio;
    da più parti viene sollecitata, nella filiera del credito, l'esigenza di un rapporto stretto e proficuo tra agente immobiliare e mediatore creditizio, proprio per agevolare il reperimento di un finanziamento al cliente del primo e consentirgli quindi di perfezionare le compravendite di immobili,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa di competenza per consentire la conclusione di rapporti inquadrabili nell'istituto della cosiddetta «mediazione unilaterale», tra agente immobiliare e mediatore creditizio, posto che la messa in contatto operata dall'agente immobiliare tra il proprio cliente ed il mediatore creditizio è diretta alla conclusione del contratto di mediazione creditizia tra tali due soggetti, ovvero del contratto che il cliente stipulerà con il mediatore creditizio segnalato dall'agente immobiliare, qualora il cliente ritenesse di avvalersi dei servizi prestati da quest'ultimo;
   a porre a tal fine in essere le opportune iniziative affinché tale tipologia contrattuale, formatasi nell'ambito di un rapporto tra agente immobiliare e mediatore creditizio e finalizzato alla conclusione dell’«affare» relativo alla stipula di un contratto di mediazione creditizia, sia riconosciuta come lecita e non in contrasto con la normativa degli intermediari finanziari e creditizi, in quanto l'agente immobiliare non/compirebbe nessun atto, né eserciterebbe alcuna consulenza in materia finanziaria e creditizia, ma si limiterebbe unicamente a creare un'opportunità di contatto tra due diversi soggetti, il proprio cliente ed il mediatore creditizio, considerato che in tal modo si limiterebbe la possibilità di segnalazione unicamente ai soggetti professionali, quali sono gli agenti immobiliari regolarmente iscritti presso le camere di commercio, e si eviterebbe di estendere indistintamente detta possibilità a quanti non appartengono alla filiera delle compravendite immobiliari, e quindi non hanno alcun interesse diretto o indiretto, relativamente ai propri clienti, alla conclusione di un contratto di mediazione creditizia.
(7-01078) «Pagano».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la gestione del patrimonio pubblico, in particolare per quanto riguarda i beni immobili, rappresenta uno snodo essenziale per la politica economica del Paese;
    nell'attuale condizione di criticità della finanza pubblica, un'azione di corretta ed equilibrata valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti locali, rappresenterebbe infatti uno strumento fondamentale per reperire nuove risorse da destinare ai prioritari obiettivi di riduzione del carico tributario e di rilancio dell'economia;
    in tale contesto, da tempo è in corso un dibattito su quali siano le modalità e gli strumenti più adatti per fare in modo che l'ingentissimo patrimonio immobiliare dello Stato, cui si aggiunge quello degli enti locali, possa diventare una fonte cui attingere per abbattere il debito pubblico, riequilibrare il carico tributario, nonché individuare risorse da destinare al sostegno dei consumi delle famiglie e al rilancio degli investimenti produttivi;
    nonostante l'amplissima produzione normativa che ha interessato, almeno nelle ultime tre legislature, tale settore, nessuno dei Governi succedutisi in tale periodo di tempo è riuscito a realizzare risultati concreti in merito;
    al contrario, si sono evidenziate diverse problematiche negli interventi di valorizzazione del patrimonio immobiliare finora posti in essere;
    da un lato, tali misure hanno assunto, per lo più, carattere finanziario, ad esempio in occasione delle operazioni di cartolarizzazione denominate SCIP 1 e SCIP 2; dall'altro, si sono verificati veri e propri fenomeni di depauperamento del patrimonio pubblico, a vantaggio, come nel caso della creazione del fondo immobili pubblici, degli investitori privati che hanno acquisito le quote del predetto fondo avvantaggiandosi del regime di sostanziale esenzione fiscale dall'ICI e dall'IMU impropriamente riconosciuta sugli immobili conferiti al fondo stesso;
    in altri casi è emerso come le operazioni di dismissione degli immobili realizzate attraverso il meccanismo del «sale and lease back» siano spesso non vantaggiose per lo Stato, in quanto l'introito derivante dalla cessione degli immobili risulta sovente, come testimoniato da alcune inchieste giornalistiche svolte in materia, inferiore al flusso attualizzato dei canoni di locazione che le amministrazioni pubbliche dovranno pagare ai nuovi proprietari a titolo di locazione sugli immobili ceduti, i quali continuano ad essere utilizzati per finalità pubbliche;
    inoltre, occorre rilevare come la gestione, spesso assai carente, di molti immobili, nonché gli intrecci, spesso inestricabili, di competenze tra diverse amministrazioni e livelli di governo in relazione ai singoli cespiti, renda poco appetibili sul mercato numerosi beni, il cui valore sarebbe potenzialmente molto elevato, ma che sovente versano in condizioni di manutenzione disastrose e per i quali, assai spesso, mancano addirittura gli atti di accatastamento: in tale contesto sussiste il rischio che le operazioni di dismissione si concentrino solo su quei beni di maggior pregio e di più facile collocamento sul mercato, rimanendo invece invenduta un'ampia fetta di beni che presentano maggiori problematiche;
    sotto un altro profilo, in molti casi lo Stato e gli enti locali non hanno nemmeno una compiuta conoscenza del proprio patrimonio immobiliare, né degli spazi immobiliari che essi utilizzano: a tale riguardo appare significativa l'esperienza, non certo incoraggiante, rappresentata dall'applicazione delle norme in materia di monitoraggio degli impieghi del patrimonio immobiliare pubblico di cui all'articolo 2, comma 222, della legge n. 191 del 2009, in merito alla quale, secondo i dati acquisiti dalla Commissione Finanze nel corso di un'ampia attività conoscitiva svolta in materia, emerge come il numero delle amministrazioni pubbliche che hanno adempiuto agli obblighi di comunicazione in merito, risulta complessivamente insoddisfacente (53 per cento), raggiungendo, in alcune aree del Paese, livelli del tutto inaccettabili (ad esempio, del 22 per cento in Calabria, del 23 per cento in Sicilia, del 25 per cento in Campania, del 26 per cento in Basilicata, del 27 per cento nel Lazio, del 35 per cento in Molise, del 40 per cento in Trentino-Alto Adige);
    più in generale, si pone il problema di come ogni operazione di dismissione e valorizzazione del predetto patrimonio immobiliare debba fare i conti con le dimensioni, storicamente piuttosto ristrette, del mercato immobiliare nazionale relativo a tale tipologia di immobili, nonché con il fattore congiunturale rappresentato dall'attuale crisi economica, che ha contribuito a rarefare ulteriormente i volumi degli scambi su tale mercato, con evidenti conseguenze negative sul livello dei prezzi;
    sullo sfondo si pone inoltre l'ulteriore tema del rapporto tra tale processo di dismissione e valorizzazione e l'ormai fantomatico «federalismo demaniale» previsto dal decreto legislativo n. 85 del 2010, il quale avrebbe dovuto comportare il trasferimento agli enti territoriali di una fetta potenzialmente amplissima del demanio statale, ma la cui attuazione risulta completamente bloccata, anche a seguito del parere negativo espresso il 18 maggio 2011 dalla Conferenza Unificata sul decreto che deve individuare i beni esclusi dal predetto trasferimento;
    in tale intricatissimo contesto c’è dunque il forte rischio che il processo di valorizzazione e dismissione del patrimonio non prenda effettivamente avvio, ovvero che iniziative non meditate in materia possano, nell'attuale fase recessiva, tramutarsi in una vera e propria svendita del patrimonio pubblico, magari a vantaggio dei poteri forti e di soggetti appartenenti al solito «salotto buono» del mondo finanziario italiano, generando un vero e proprio danno erariale che suonerebbe come un ulteriore beffa ai danni dei cittadini onesti, i quali, oltre a venire colpiti dal continuo incremento del prelievo fiscale, sarebbero sostanzialmente privati di beni che appartengono alla collettività;
    finora le misure messe in campo in questa materia dall'attuale Governo non sono apparse al firmatario del presente atto certo rassicuranti, in quanto ricalcano le iniziative, inefficaci, adottate dai precedenti Esecutivi, essendo basate su un'articolata architettura finanziaria che prevede la creazione di società di gestione del risparmio alle quali devolvere i cespiti immobiliari conferiti ad uno o più fondi, le cui quote di partecipazione dovrebbero essere, prima o poi, collocate sul mercato;
    la logica sottesa a tale tipo di strategia dovrebbe determinare effetti di riduzione del debito pubblico nella misura in cui le quote di tali società di gestione del risparmio siano collocate sul mercato presso gli investitori, i quali, tuttavia, per essere attratti ad acquistare tali quote, dovranno essere rassicurati circa l'effettiva redditività di tali fondi;
    tali flussi di reddito non potranno, evidentemente, essere ottenuti esclusivamente attraverso la vendita dei beni conferiti, la quale, anche per le condizioni del mercato appena richiamate, potrà avvenire solo in un arco temporale ampio, onde evitare «svendite» dei beni, ma saranno principalmente realizzati attraverso operazioni di sale and lease back, cioè mediante i flussi dei canoni di locazione che la pubblica amministrazione pagherà sui beni medesimi;
    non a caso, l'articolo 7, comma 2, del disegno di legge di stabilità 2013, istituisce nello Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, a decorrere dal 2013, un Fondo per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili conferiti dallo Stato ad uno o più fondi immobiliari, con una dotazione di 500 milioni di euro per il 2013, di 900 milioni per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e di 950 milioni a decorrere dal 2016;
    pertanto, al momento, l'unica misura concreta adottata dal Governo in tale settore è lo stanziamento di circa 2,3 miliardi di euro nel solo triennio 2013-sostanzialmente in favore dei soggetti che acquisiranno le quote delle società di gestione del risparmio, mentre ancora una volta l'unico soggetto pubblico che dispone delle risorse necessarie per fornire un concreto apporto finanziario a tale operazione, la Cassa depositi e prestiti, sarà chiamata ad utilizzare i risparmi degli italiani anche per anticipare agli enti conferenti (Stato ed enti locali) il valore dei beni trasferiti a tali veicoli finanziari;
    in tale contesto, appare fondamentale che il Governo faccia, nelle sedi istituzionali proprie, chiarezza su tale quadro, al fine di dare concretezza agli annunci più volte lanciati,

impegna il Governo:

   ad adottare tutte le necessarie misure per assicurare la piena trasparenza di tali operazioni, sia sotto il profilo della tutela della legalità, sia per quanto attiene alla salvaguardia di un patrimonio che appartiene a tutti i cittadini;
   a fornire una compiuta informativa circa la strategia complessiva ed il programma pluriennale di completamento del processo di valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, lo stato di avanzamento di tale processo, i risultati finora raggiunti, in termini di beni ceduti ed incassi realizzati, gli effetti, realizzati ed attesi, di tali misure sullo stock di debito pubblico esistente, nonché in merito al ruolo svolto in tale ambito dalla Cassa depositi e prestiti;
   a chiarire quale sia l'effettivo impatto finanziario netto delle operazioni di sale and lease back sui beni immobiliari pubblici, in particolare specificando quale sia il rapporto tra le maggiori entrate determinate dalla cessione dei beni ceduti o che si intende vendere e le maggiori spese correnti determinate dai canoni di locazione che la pubblica amministrazione dovrà pagare per l'utilizzo dei medesimi immobili ceduti;
   a concludere in tempi rapidi il procedimento di censimento e rilevazione del patrimonio immobiliare pubblico previsto dall'articolo 2, comma 222 della legge n. 191 del 2009, rafforzando a tal fine il coordinamento e la collaborazione tra le amministrazione statali interessate, nonché tra queste e gli enti locali.
(7-01080) «Barbato».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    il Governo, all'interrogazione in Commissione n. 5-05231 De Torre sull'uso di facilitatori per gli studenti con disabilità presso le istituzioni scolastiche autonome, ha fornito ad avviso dei firmatari del presente atto una risposta discutibile nei contenuti in quanto discriminatoria negli effetti verso i tre studenti disabili del Friuli Venezia Giulia citati nell'interrogazione;
    la risposta del Governo si basa essenzialmente sulle considerazioni di una relazione ispettiva dell'ufficio scolastico regionale (USR) che presenta a giudizio dei firmatari del presente atto vizi formali e sostanziali nella sua redazione (quale incompletezza ispettiva su tutti i soggetti interessati; assenza di comunicazione con le famiglie e altro);
    il decreto legislativo n. 297 del 1994, articolo 314, comma 3, sancisce che «(...) l'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap. (...)». Tale principio normativo fonda la propria essenza nel favorire l'integrazione dei disabili all'interno dei percorsi formativi scolastici tradizionali;
    l'ausilio di insegnanti di sostegno che utilizzino la comunicazione facilitata (CF) non può essere considerato, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, ostativo alla sostenibilità pedagogica e docimologica – come affermato, invece, nella risposta del Governo – nel prosieguo del triennio della scuola secondaria superiore, in quanto nel biennio superiore, che ha permesso, nel caso in oggetto, la promozione a pieno titolo alla terza classe dei tre studenti disabili, tale tecnica (CF) è stata universalmente accettata all'interno degli istituti e considerata fondamentale al fine dell'integrazione degli alunni diversamente abili nei percorsi formativi tradizionali. Sposare la tesi dell'insostenibilità pedagogica e docimologica della comunicazione facilitata ai fini valutativi dei candidati sulla base di una presunta sostituzione in sede di prova tra facilitatori e facilitati, pur richiamando la normativa che impone l'equipollenza di apprendimento degli esaminandi disabili al pari dei colleghi «normali» anche mediante l'utilizzo di ausili idonei ad esprimere il proprio grado di formazione, significa di fatto negare a priori agli alunni che si avvalgono della comunicazione facilitata proprio l'accesso a tali ausili. Ci si trova così nella tipica situazione auto contraddittoria della «petizione di principio»: la costituzione tra facilitatori e facilitati (cosa che dovrebbe essere oggetto di dimostrazione) viene assunta nella premessa per negare validità alla tecnica (che è appunto quello che si dovrebbe dimostrare). È palese il non-senso di tutto ciò, soprattutto se si considera che:
     a) nel biennio superiore la valutazione degli alunni in sede di prove e di valutazione finale per l'ammissione alla classe successiva è stata possibile, ancor più senza il ricorso ad alcuna valutazione differenziata ex articolo 15, comma 5, dell'ordinanza ministeriale n. 90 del 2001;
     b) ci sono state diverse situazioni di uso della comunicazione facilitata in sede di esame di maturità (con tanto di «legittimazione» da parte del Ministero attraverso la presenza nel corso del suo svolgimento del Presidente di commissione, che di fatto conferisce valore legale all'esame stesso);
     c) ci sono diversi studenti universitari che si avvalgono della comunicazione facilitata per sostenere esami validi a tutti gli effetti. Infine per inficiare il presupposto dell'insostenibilità pedagogica e docimologica della comunicazione facilitata in sede valutativa è sufficiente citare lo studio condotto dall'università di Padova «Il delta del significati. Uno studio interdisciplinare sull'espressione autistica», ed. Carocci, 2008, che documenta con dovizia di prove l'autenticità delle espressioni dei soggetti disabili assistiti tramite comunicazione facilitata,

impegna il Governo

a dare mandato per una nuova ispezione completa e corretta sui casi in questione che porti ad una revisione della relazione ispettiva dell'ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia al fine di dare la possibilità ai tre alunni disabili di reintegrarsi nei percorsi formativi equipollenti a quelli tradizionali con l'ausilio della comunicazione facilitata presso gli istituti scolastici che, di fatto, li hanno costretti ad abbandonare gli studi.
(7-01079) «De Torre, Miotto, Maran».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   nella relazione «sul gruppo Separat e il contesto dell'attentato del 2 agosto 1980», redatta dai consulenti della commissione Mitrokhin Gian Paolo Pellizzaro e Lorenzo Matassa nell'ambito dei lavori del predette organismo bicamerale istituito durante la quattordicesima legislatura, viene menzionata una nota datata 15 luglio 1981 inviata dal comandante del Centro di controspionaggio del Sismi di Perugia, Colonnello Roberto Russo, al direttore della prima divisione generale Pasquale Notarnicola;
   nella nota predetta verrebbero indicate le finalità del viaggio effettuato in Libano dal dottor Domenico Sica, sostituto procuratore presso la procura della Repubblica di Roma, nei primi mesi del 1981;
   giusta tale informativa del Sismi, il dottor Sica si sarebbe recato a Beirut anche al fine di «contrattare» con esponenti ufficiali del Fronte popolare per la liberazione della Palestina la scarcerazione di Abu Anzeh Saleh, esponente della suddetta organizzazione detenuto in Italia e imputato nel procedimento penale presso la Corte d'appello dell'Aquila istruito per la nota vicenda del sequestro dei missili sovietici avvenuto a Ortona nel novembre 1979. In occasione di tale incontro il dottor Sica avrebbe assicurato ai rappresentati del Fronte popolare per la liberazione della Palestina che entro il settembre 1981 i magistrati italiani avrebbero accolto l'istanza di scarcerazione formulata dall'avvocato difensore di Saleh –:
   se il Governo possa render noto il contenuto integrale della nota del Sismi dinnanzi menzionata e se esso corrisponda a quanto indicato nella relazione redatta dai consulenti della Commissione Mitrokhin Pellizzaro e Matassa;
   se risulti se il surriferito incontro in Libano del dottor Sica con esponenti ufficiali del Fronte popolare per la liberazione della Palestina fosse finalizzato all'espletamento di una rogatoria giurisdizionale o invece all'esercizio di un mandato governativo teso a stornare, attraverso lo strumento negoziale, il pericolo di una reiterazione di azioni di coartazione in danno dell'Italia.
(2-01788) «Raisi».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CONTENTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   le associazioni di imprese che rappresentano gli operatori del settore legno-arredo, com’è Federlegno, hanno avanzato la proposta di estendere il meccanismo della detrazione di imposta alle spese per l'acquisto degli arredi da inserire nelle unità abitative oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia;
   secondo i proponenti, tale misura stimolerebbe la domanda e, affiancandosi all'innalzamento delle detrazioni previste per gli interventi edilizi, consentirebbe di attenuare le conseguenze della grave crisi che ha coinvolto il mercato interno portando alla chiusura di molte aziende ed alla perdita di decine di migliaia di posti di lavoro;
   sempre secondo i sostenitori, la proposta non dovrebbe comportare incrementi dei costi dello Stato in quanto, basandosi sul meccanismo del «conflitto di interessi» sarebbe idonea a compensare, in senso positivo, gli effetti per l'erario –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere per avviare una sperimentazione nel senso suggerito dalle associazioni, come Federlegno, che rappresentano le imprese del settore. (4-19188)


   DI PIETRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i sindacati della polizia di Stato (SIULP, SAP, CONSAP), i sindacati dei vigili del fuoco (FNS CISL, UIL P.A. VV.F., CO.NA.PO) e il coordinamento sicurezza UGL – attraverso l'acquisto di pagine a pagamento sui principali quotidiani nazionali – stanno denunciando la grave situazione in cui versano e dichiarano che «presto non saranno più in grado di garantire alle famiglie, alle donne, agli anziani e ai bambini gli attuali livelli di sicurezza, già fortemente depauperati dalle ultime leggi di bilancio e dai provvedimenti di spending review, che hanno tagliato oltre 4 miliardi di euro a questi comparti»;
   la riforma dell'architettura istituzionale con l'eliminazione di 35 province e la costituzione, sul versante della sicurezza e del soccorso pubblico, di un massimo di 18 presidi in altrettante – come asserito dal Ministro dell'interno – «sedi minori», qualora fosse formalizzata con regolamento del Consiglio dei ministri, andrebbe a contraddire la volontà, più volte espressa dallo stesso Ministro, di non smantellare nessun presidio e di mantenere inalterati i livelli di sicurezza per i cittadini;
   il sotto organico pari a 15.000 unità per la polizia di Stato e a 4.000 unità per i vigili del fuoco – tamponato con il sistematico ricorso al precariato – e il blocco del turn over previsto per i prossimi anni costringerà il personale ultracinquantenne a lavorare ancora in strada con grave deficit per la sicurezza e il soccorso;
   i tagli al comparto sicurezza porterebbero un risparmio di 5 milioni di euro «quando basterebbe tagliare solo il 10 per cento delle auto blu per avere un risparmio tre volte superiore e garantire un diritto essenziale, incomprimibile dei cittadini»;
   i sopracitati sindacati hanno annunciato la loro mobilitazione e lo stato di agitazione –:
   quali iniziative urgenti, anche di carattere normativo, si intendano adottare così da salvaguardare il diritto dei cittadini alla sicurezza e tutelare la specificità dei professionisti del comparto sicurezza e difesa che rischiano ogni giorno la vita per preservare l'incolumità dei cittadini.
(4-19189)


   DI PIETRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ente Casa Divina Provvidenza è un ente ecclesiastico fondato da don Pasquale Uva, attivo da oltre ottanta anni nell'ambito della sanità privata pugliese e dislocato nei centri sanitari di Foggia, Bisceglie e Potenza con un numero di posti letto complessivo superiore alle duemila unità (2054 totali, 631 solo a Foggia);
   l'ente è in uno stato di profonda crisi economico-finanziaria dovuta all'enorme debito – si parla di 324 milioni di euro – accumulato nel corso degli anni;
   la crisi ha determinato l'avvio della procedura fallimentare da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Trani e della procedura di licenziamento collettivo di oltre 500 dipendenti;
   qualora fosse attuata la procedura di licenziamento si assisterebbe a una grave diminuzione dei livelli di assistenza destinata a tutti quei soggetti affetti da disabilità psico-fisiche e sensoriali degenerative che da decenni vengono curati nelle sopracitate strutture –:
   quali iniziative urgenti, anche di carattere normativo, il Governo intenda adottare in relazione alla vicenda dell'Ente Casa Divina Provvidenza e se non ritenga doveroso tutelare i livelli essenziali di assistenza e i livelli occupazionali.
(4-19190)


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia è diffusa la pratica dello sfruttamento del lavoro dei lavoratori migranti, in particolare quelli provenienti da paesi dell'Africa subsahariana, dell'Africa del Nord e dell'Asia, impiegati in lavori poco qualificati, spesso stagionali o temporanei, per lo più nel settore agricolo delle province di Latina e Caserta. La denuncia, molto circostanziata, è contenuta nel rapporto sullo sfruttamento dei lavoratori migranti nel settore agricolo italiano (Exploited labour: Migrant worker in Italy's agricultural sector). Il rapporto denuncia gravi forme di sfruttamento anche nell'edilizia, specie nell'Italia meridionale;
   i lavoratori migranti impiegati in queste attività ricevono paghe inferiori di circa il 40 per cento, a parità di lavoro, rispetto al salario italiano minimo concordato tra le parti sociali e lavorano un maggior numero di ore. Le vittime dello sfruttamento del lavoro sono migranti africani e asiatici e, in alcuni casi, cittadini dell'Unione europea (soprattutto bulgari e rumeni) e cittadini di paesi dell'Europa orientale che non fanno parte dell'Unione europea (tra cui gli albanesi);
   «Nell'ultimo decennio le autorità italiane hanno alimentato l'ansia dell'opinione pubblica sostenendo che la sicurezza del paese è minacciata da un'incontrollabile immigrazione “clandestina”, giustificando in questo modo l'adozione di rigide misure che hanno posto i lavoratori migranti in una situazione legale precaria, rendendoli facili prede dello sfruttamento», spiega la ricercatrice autrice del rapporto;
   «L'esito di tutto questo per i lavoratori migranti – spiega ancora l'autrice – consiste spesso in paghe ben al di sotto del salario concordato tra le parti sociali, riduzioni arbitrarie dei compensi, ritardato o mancato pagamento, lunghi orari di lavoro. Si tratta di un problema diffuso e sistematico»;
   un altro fattore che incrementa il rischio di sfruttamento dei lavoratori migranti è il fatto che le quote di ingresso previste sono sempre insufficienti rispetto al reale bisogno di manodopera. Infatti, i datori di lavoro preferiscono assumere lavoratori già presenti in Italia a prescindere dalle quote d'ingresso fissate dal Governo. Alcuni lavoratori possono avere il permesso già scaduto mentre altri possono aver ottenuto il visto d'ingresso attraverso intermediari, ma non riescono poi a ottenere il permesso di soggiorno. In questo modo, molti lavoratori migranti finiscono per trovarsi senza documenti che ne attestino la presenza regolare in Italia e rischiano l'espulsione;
   il reato di «ingresso e soggiorno illegale», introdotto dal Governo Berlusconi, è un altro elemento di criticità secondo Amnesty. Questo reato stigmatizza infatti i lavoratori migranti irregolari, alimenta la xenofobia e la discriminazione nei loro confronti. E soprattutto pone i lavoratori migranti nella condizione di non poter chiedere giustizia per salari inferiori a quanto concordato, per il mancato pagamento o per essere sottoposti a lunghi orari di lavoro. La prospettiva, per molti di loro, è che se denunciano lo sfruttamento vengono arrestati ed espulsi a causa del loro status irregolare. Si stima che in Italia vi sia circa mezzo milione di lavoratori migranti privi di documenti validi, ossia migranti «irregolari»;
   «le autorità italiane – conclude la ricercatrice – dovrebbero modificare le politiche in materia d'immigrazione concentrandosi prima e soprattutto sui diritti dei lavoratori migranti, indipendentemente dal loro status migratorio, garantendo loro un efficace accesso alla giustizia, istituendo meccanismi sicuri e accessibili per i lavoratori migranti che intendono presentare esposti e denunce contro i datori di lavoro, senza timore di essere arrestati ed espulsi» –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se intendano modificare le politiche in materia d'immigrazione, come suggerito dai risultati a cui è pervenuta la ricerca citata. (4-19192)


   CICCANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2000 la gestione dell'aeroporto di Roma è stata privatizzata dall'IRI con una gara internazionale, prospettando un incremento annuo delle tariffe pari all'inflazione, maggiorato dell'1 per cento;
   nel successivo mese di agosto 2000 il sistema tariffario fu modificato con blocco delle tariffe in attesa di una nuova disciplina del settore che però ancora non è stata definita;
   il blocco delle tariffe aeroportuali, per quanto condivisibile ove si tenga in conto la situazione di crisi del maggior vettore nazionale Alitalia, ha determinato un blocco degli investimenti con un notevole abbassamento della qualità dei servizi rispetto agli standard europei, stante un gap tariffario che, cumulato, è pari al 95 per cento di quanto si registra a livello europeo;
   il 25 ottobre 2012, l'ENAC e Aeroporti di Roma hanno sottoscritto un accordo di programma per l'ammodernamento ed ampliamento dell'aeroporto per adeguare la propria capacità di servizio (33-35 milioni di passeggeri nel 2011) alla attuale domanda di traffico (37 milioni di passeggeri);
   gli investimenti privati previsti sono pari al 2,5 miliardi di euro nel prossimo decennio, su complessivi 12 miliardi da realizzarsi entro il 2044, con l'obiettivo di elevare la capacità di servizio dell'aeroporto di Fiumicino per una domanda fino a 100 milioni di passeggeri;
   le esperienze esterne confermano che l'aeroporto è un significativo motore di sviluppo economico e di occupazione (per ogni milione di passeggeri incrementato vengono generati 4.000 nuovi posti di lavoro), che secondo gli obiettivi dell'accordo di programma citato, corrisponde ad un aumento di 30.000 nuovi posti di lavoro nei prossimi 10 anni e circa 240.000 a completamento del piano nel 2044;
   l'aeroporto di Fiumicino da due anni lavora ad un livello molto vicino alla saturazione, non disponendo di slot addizionali, dovendo spesso rifiutare traffico nei periodi di alta stagione –:
   se si intenda adottare entro la fine dell'anno il previsto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri essendo stata definita l'istruttoria amministrativa e per quali motivi si intenda proporre una proroga, anche tenuto conto dell'orientamento negativo dell'Unione europea ad ulteriori lungaggini;
   quali ostacoli si frappongono ancora alla definizione dell'accordo di che trattasi, dal momento che l'obiettivo dell'ammodernamento dell'aeroporto di Fiumicino costituisce un importante contributo alla crescita del prodotto interno lordo, oltre a perseguire l'obiettivo di farne il più importante hub aeroportuale del Mediterraneo. (4-19203)


   TOMMASO FOTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modifiche ed integrazioni, prevede che all'individuazione dei siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, si provvede con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con le regioni interessate, secondo i princìpi e criteri direttivi specificati nell'articolo stesso;
   la procedura di bonifica di cui sopra è attribuita, dall'evocata norma, alla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministero dello sviluppo economico. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può avvalersi, per i detti fini, anche dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente delle regioni interessate e dell'istituto superiore di sanità nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati;
   tra i siti di interesse nazionale rientra quello che ospitava l’ex Carbochimica di Fidenza, in provincia di Parma, per il quale fin dall'anno 2008 risultano accantonati i fondi statali necessari (circa 4 milioni di euro) per l'esecuzione dei lavori di bonifica;
   risulta all'interrogante che, nel marzo del 2009, le risorse non assegnate per il programma strategico speciale «programma straordinario nazionale per il recupero produttivo dei siti industriali inquinati» sono state allocate in un fondo unico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;
   riguardo al sito che qui interessa, il comune di Fidenza ha adempiuto alle incombenze dalla legge richieste, mentre il progetto preliminare relativo all'intervento prospettato risulta approvato e, successivamente, autorizzato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 3 giugno 2010 –:
   quali siano i motivi per i quali a tutt'oggi non risultano assegnati, per l'attività di bonifica in questione, i previsti fondi statali. (4-19234)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RENATO FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 10 dicembre del 2012, a Bruxelles si è svolta una conferenza intitolata «Prevenzione dei conflitti e diritti umani – quale ruolo per le nuove linee guida Ue su Libertà di religione e culto», organizzata dal Ministero degli esteri austriaco e da alcune organizzazioni non governative per declinare nella situazione attuale la responsabilità che deriva dall'Unione europea dopo l'assegnazione del Nobel per la pace;
   l'evento – riferisce il quotidiano Avvenire in data 11 dicembre 2012 a firma Giovanni Maria Del Re, «ha visto protagonisti il ministro degli Esteri Giulio Terzi e il collega nonché vicecancelliere austriaco Michael Spindelegger (Partito popolare)». In particolare il Ministro Terzi ha affermato a proposito della libertà di religione: «... quando parliamo di diritti umani, stiamo parlando anche della questione della libertà religiosa, che ne è una parte essenziale. Il premio Nobel costituisce un impegno per l'Ue a rafforzare la difesa di questi diritti in tutto il mondo... È chiaro: in gioco è la protezione dell'individuo in quello che pensa, crede o non crede, che è la pietra fondante di qualsiasi legislazione sui diritti umani. L'Italia, peraltro, insiste affinché si allarghi il concetto di tutela della libertà di culto a quello di comunità. Vale a dire: quando viene data alle fiamme una chiesa, una moschea, una sinagoga, o un edificio di qualsiasi altro culto, è un'intera comunità a sentirsi in pericolo, e così ogni suo singolo individuo»;
   la domanda del giornalista: «Quali sono i fronti principali in cui si dovrà dispiegare l'azione Ue ?», il Ministro ha risposto: «Certamente in Africa, nel Nord Africa, nel Medio Oriente e anche nel Subcontinente indiano. I luoghi cioè dove si ha il maggior numero di scontri interetnici motivati spesso religiosamente. Qui siamo convinti che bisognerebbe applicare a livello Ue quello che già fa l'Italia, e cioè un meccanismo di allerta rapida e un ampio sistema di raccolta di dati» –:
   in cosa consista e come funzioni «il meccanismo di allerta rapida» a riguardo di fatti che attentino alla libertà religiosa;
   quali dati siano stati raccolti nel corso del 2012 e come intenda pubblicizzarli i mettendoli a disposizione dell'opinione pubblica. (5-08701)


   RENATO FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   come riferisce il quotidiano La Stampa in un reportage del 15 dicembre 2012, a firma Francesca Paci, da Minya, Alto Egitto (titolo: «i copti e la paura del referendum: “noi cristiani e l'incubo Sharia”»), la libertà religiosa è gravemente minacciata se non addirittura compromessa, costringendo ad una vita di semi-clandestinità e di soprusi continui, la comunità cristiana-copta;
   si riferisce tra l'altro, riferisce padre Jussef, 30 anni, «le aspettative per il futuro sono cupe, in particolare dopo che il mese scorso i salafiti hanno bloccato un festival dedicato alla rivoluzione in cui doveva cantare un copto: “ Il problema, destinato a aggravarsi, è che mentre un cristiano rischia la galera per il solo insultare il Corano un musulmano che ci attacca resta regolarmente impunito, come l'imam salafita Abu Islam quando ha bruciato la Bibbia e come gli otto islamici assolti dopo gli scontri del 2011 con i copti (condannati ndr.)”»;
   in tutto l'Egitto la numerosa minoranza copta teme che i risultati del referendum sulla costituzione aprano le porte a una applicazione massiccia della Sharia, che già era contenuta nella costituzione vigente ai tempi di Mubarak, ma era per cosi dire dormiente;
   la risoluzione Mazzocchi del 12 gennaio 2011 impegna il Governo a tutelare innanzitutto la libertà religiosa come madre di tutte le libertà nei rapporti con gli Stati;
   nella risposta all'interrogazione a risposta scritta sui colloqui del mese di gennaio 2012, tra il Presidente del Consiglio Mario Monti con il leader dei Fratelli Mussulmani, non ancora eletto presidente, Morsi, veniva riferito di aver ricevuto conferma dell'attenzione con cui il tema della tutela della libertà religiosa in particolare dei cristiani copti viene seguito dalle autorità egiziane;
   nella conferenza a Bruxelles intitolata «prevenzione dei conflitti e diritti umani» – quale ruolo per le nuove guide UE sulla libertà di religione e culto» organizzata dal Ministero degli esteri austriaco, il 10 dicembre il quotidiano Avvenire segnala tra i «protagonisti» il Ministro degli esteri Giulio Terzi che dice: «Il Nobel è uno straordinario riconoscimento della rilevanza dell'Unione europea, a livello mondiale, per il suo contributo alla pace e alla sicurezza. Direi che i diritti umani sono non solo un pilastro essenziale della politica estera e di sicurezza dell'Unione europea, ma anche un valore fondamentale per l'opinione pubblica e non solo dei governi. E quando parliamo di diritti umani, stiamo parlando anche della questione della libertà religiosa, che ne è una parte essenziale. Il premio Nobel costituisce un impegno per l'Unione europea a rafforzare la difesa di questi diritti in tutto il mondo». «Concordo – aggiunge Spindelegger – , il Nobel ci dà la motivazione, e il mandato, per essere ancora più attivi in questo campo –:
   se i fatti corrispondano al vero;
   come il Governo valuti l'evoluzione degli avvenimenti in Egitto, in particolare al riguardo delle preoccupazioni manifestate anche dalla delegata di Human Right Watch Heba Morayef, secondo cui si moltiplicheranno i casi delle incriminazioni per presunta blasfemia da parte dei cristiani;
   come intenda far valere nei rapporti con il Governo egiziano il principio inderogabile della difesa della libertà religiosa;
   come l'Italia in seno alla Unione europea intenda agire su questa emergenza.
(5-08702)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è impegnata a promuovere il recupero di materia e di energia dai rifiuti, attraverso l'estensione a tutte le regioni dei programmi per la raccolta differenziata e la progressiva riduzione delle discariche. È quanto assicurato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al commissario europeo Janez Potocnik incontrato a margine della riunione del Consiglio ambiente a Bruxelles. Ma, si aggiunge, «è necessario adottare misure urgenti a livello nazionale che erano all'esame del Parlamento e rischiano di essere vanificate per la chiusura anticipata della legislatura»;
   l'Italia, si rileva nella nota, rischia di dover pagare multe pesantissime, 56 milioni di euro di provvisionale e 46 milioni di euro ogni sei mesi, a causa della procedura di infrazione relativa alla messa in sicurezza delle discariche non in regola. Nonostante i grandi progressi (i siti sono passati da 5.000 a 214) c’è ancora molto da fare, e alcune regioni hanno accumulato gravi ritardi anche per l'uso non efficiente delle risorse finanziarie disponibili e il ricorso a procedure «barocche» di autorizzazione degli interventi necessari;
   ulteriori e analoghe sanzioni, 180 milioni di euro all'anno, potrebbero essere decise per la non corretta gestione dei rifiuti in Campania. Il piano presentato all'Unione europea dalla regione prevede una entrata a regime nel 2016, ma nello stesso tempo non sono state adottate tutte le decisioni in merito alla localizzazione degli impianti, in particolare per l'opposizione del comune di Napoli, mentre la raccolta differenziata procede a rilento;
   una situazione critica, sempre secondo il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è anche quella di Roma, oggetto di due procedure di infrazione: l'uso quasi esclusivo della discarica come sistema di smaltimento dei rifiuti, per lo più non trattati, lo scarso livello di raccolta differenziata e l'ancora più bassa percentuale di recupero di materia ed energia creano le condizioni per sanzioni molto onerose a carico dell'Italia. Era stato previsto un provvedimento per aggiornare gli obiettivi e gli strumenti per la raccolta differenziata ed il recupero di materia-energia dai rifiuti, modificando il decreto legislativo n. 152 del 2006, al fine di assicurare il raggiungimento omogeneo degli obiettivi a livello nazionale;
   l'emergenza rappresentata dalle procedure di infrazione, qualora il Parlamento non fosse in grado di aggiornare la normativa, si legge nella nota, «potrebbe autorizzare l'emanazione di un decreto legge con misure urgenti. Tra queste, oltre un vincolo generalizzato per la raccolta differenziata a carico delle autorità competenti sostenuto da sanzioni a carico degli amministratori inadempienti, la previsione di impiego degli impianti “fuori regione” per il recupero di materia e di energia dai rifiuti in impianti a tecnologia complessa per tempi limitati all'adeguamento dei singoli sistemi regionali e a condizione di non pregiudicare la corretta gestione dei rifiuti nelle regioni di destinazione»;
   occorre aver presente che peraltro già oggi il recupero energetico dei rifiuti urbani indifferenziati non è sottoposto ad alcun vincolo territoriale. Peraltro il sistema nazionale nel suo insieme sarebbe in grado di assicurare il recupero dei rifiuti prodotti, se sulla situazione italiana non incidesse una normativa nazionale più restrittiva di quella comunitaria. Quest'ultima infatti impone di conseguire l'autosufficienza a livello nazionale. Solo l'Italia ha invece previsto che tale autosufficienza debba attuarsi in ambito regionale e non nazionale, con il risultato paradossale dell'esportazione dei rifiuti all'estero –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere per dare soluzione ai problemi denunciati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
(4-19200)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa si evince che la Commissione europea chiede alla Corte di Giustizia dell'Unione europea una condanna a una ammenda forfettaria da 56 milioni di euro e a oltre 256 mila euro al giorno fino alla avvenuta bonifica delle centinaia di discariche illegali ancora presenti nel territorio nazionale –:
   quale sia la situazione ad oggi delle 255 discariche abusive e quale sia la suddivisione su base regionale delle discariche stesse e, visto l'ingentissimo importo della ammenda richiesta, quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano assumere nei confronti delle amministrazioni responsabili che hanno acconsentito per decenni la presenza di discariche totalmente illegittime. (4-19216)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MISITI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   numerosi risoluzioni e circolari dell'Agenzia delle entrate risultano favorevoli alle imprese di promozione turistica e ai tour operator affinché gli stessi possano ottenere i rimborsi dell'IVA sui servizi acquistati in Italia ai sensi dell'articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. Non ci sono state variazioni alla norma, ma recentemente l'Agenzia delle entrate ha mutato interpretazione sostenendo che i tour operator extracomunitari, pur non essendo soggetti passivi sul territorio italiano sono assoggettabili all'articolo 74-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, emettendo avvisi di accertamento per la richiesta della restituzione dei rimborsi erogati, oltre a interessi e sanzioni. I tour operator hanno depositato istanza di annullamento in autotutela degli avvisi di accertamento ai sensi dell'articolo 2-quater del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564 e intrapreso contenziosi fiscali. Le prime sentenze sono già state depositate e risultano favorevoli ai tour operator;
   la Corte di giustizia europea impone alle autorità tributarie nazionali di rispettare il principio della tutela del legittimo affidamento; spetta al giudice del rinvio valutare se, nelle circostanze delle cause principali, il soggetto passivo potesse ragionevolmente presumere che la decisione controversa fosse adottata da un'autorità competente;
   mutare retroattivamente l'interpretazione e l'applicazione dei vigenti regolamenti e delle norme e disposizioni legislative, che disciplinano il sistema del rimborso dell'IVA a società appartenenti a Paesi non aderenti all'Unione europea, è un'azione non condivisibile e fuori da ogni comportamento di un Paese civile –:
   se vi sia la possibilità di dare una risposta interpretativa chiara delle norme e, contemporaneamente, farle rispettare dagli uffici tributari, al fine di favorire gli arrivi dei turisti stranieri nel nostro Paese, provenienti dagli Stati Uniti e dai Paesi emergenti. (4-19193)


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 30 novembre 2012 sul sito www.ficiesse.it è stato pubblicato un articolo a firma del segretario generale dell'Associazione finanzieri cittadini e solidarietà, dal titolo «encomi facili in gdf, finanzieri denunciati alla procura militare da un comando del corpo per messaggi (del tutto inoffensivi) postati nel forum internet di ficiesse – Comunicato del segretario generale Ficiesse Giuseppe Fortuna»;
   nel comunicato si legge «In qualità di segretario generale dell'Associazione Finanzieri Cittadini e Solidarietà – Ficiesse informo iscritti, simpatizzanti e lettori del sito www.ficiesse.it di aver avuto notizia che è in corso un procedimento penale per il reato di diffamazione militare aggravata (articolo 227, commi 1, 2 e 3, del codice penale militare di pace) nei confronti di alcuni appartenenti alla Guardia di finanza che avrebbero postato messaggi nel forum del sito Ficiesse tra il 6 e il 7 ottobre 2010 nel topic dal titolo: «Complimenti ai colleghi pugliesi». In merito, mi sono recato la settimana scorsa, in qualità di rappresentante legale dell'Associazione, dal Pubblico Ministero militare procedente per rappresentare che:
    1) nei messaggi postati nel topic in questione sono state utilizzate solo ed esclusivamente espressioni di civile critica nei confronti della prassi assolutamente disdicevole e distruttiva per la coesione interna dei cosiddetti «encomi facili» nella guardia di finanza;
    2) non sono presenti nei messaggi offese di alcun genere, né dirette né indirette, a «altro militare», a un «corpo militare» o a qualsivoglia «ente amministrativo o giudiziario militare»;
    3) le espressioni contenute in tutti i messaggi costituiscono esercizio dell'incomprimibile diritto di libera manifestazione del pensiero previsto dall'articolo 21, comma 1, della Costituzione per il quale «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», diritto riconosciuto a tutti i cittadini, compresi quelli a status militare;
    4) per tali motivi il topic «Complimenti ai colleghi pugliesi» è ancora liberamente visibile nel forum di Ficiesse;
    5) trattandosi di esercizio di fondamentali libertà democratiche, l'Associazione Ficiesse:
   darà il più ampio risalto alla vicenda sul proprio sito e sugli organi di informazione nazionali e locali;
   rivolgerà appelli a tutte le forze politiche, presenti e non in Parlamento, alla società civile e alla rete;
   avvierà una sottoscrizione pubblica per sostenere le spese delle persone indagate. Il Magistrato procedente non ha richiesto alcun intervento di oscuramento del topic «Complimenti ai colleghi pugliesi» che, pertanto, rimane visibile nel forum internet dell'associazione alla pagina http://www.ficiesse.it/f - messaggi.php?id_topic=10840&#fine invitiamo soci, simpatizzanti e lettori del nostro sito a dare la massima diffusione al presente comunicato e a quelli che verranno diffusi nelle prossime ore»;
   in merito alla questione degli encomi tributati agli appartenenti del Corpo in occasione della celebrazione del 237o anniversario della fondazione del Corpo della guardia di finanza gli interroganti, già il 2 aprile 2012, hanno rivolto al Ministro interrogato una interrogazione (4/15576) rimasta senza alcuna risposta nonostante i numerosi solleciti. In quell'atto di sindacato ispettivo gli interroganti avevano chiesto di sapere «se i fatti esposti nell'articolo in premessa corrispondano al vero e in tale caso se non ritenga di dover revocare gli encomi in tal modo tributati al fine di non sminuire l'opera e l'impegno di coloro ai quali analoghi atti sono stati tributati per aver svolto con successo, anche con il rischio della vita, importanti azioni di contrasto alla criminalità e all'evasione fiscale.»;
   la mancanza di risposte, unitamente alla notizia riportata dal citato comunicato, è la chiara conferma della urgente necessità della smilitarizzazione del Corpo della guardia di finanza affinché gli onesti finanzieri, servitori dello Stato, non si ritrovino a dover sottostare, con l'obbligo della subordinazione, alle scelte di quelli che preferiscono premiare i peggiori per poi colpire i migliori, a dover combattere su un duplice fronte la criminalità e i vertici del Corpo –:
   quali immediate iniziative intenda intraprendere per ricondurre l'intera vicenda nell'ambito della legalità e per restituire il prestigio e il valore alle ricompense che l'ordinamento prevede per premiare i migliori cosa che al momento non sembra sia accaduta. (4-19198)


   JANNONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 12 ottobre 2012 i vigili del fuoco volontari di Romano di Lombardia, piccola realtà cittadina in provincia di Bergamo, hanno appreso di dover pagare l'Imu per la sede nella quale esercitano la loro attività. L'ammontare dell'imposta risulta essere pari a 24 mila euro l'anno. La sede in cui i vigili volontari esercitano la propria attività è stata costituita nel 1987 dagli stessi volontari, ed è sempre stata esonerata dal pagamento della precedente tassa sugli immobili, l'Ici. Per costruire la sede del distaccamento i pompieri volontari di Romano si erano trasformati anche in muratori, imbianchini, elettricisti, lavorando intensamente negli anni successivi per la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile e delle sue pertinenze;
   sulla questione è intervenuta anche la segreteria della Fns Cisl di Bergamo, per esprimere «la propria solidarietà ai colleghi del distaccamento, avendo ben presente il prodigarsi e la profusione del proprio tempo libero e non, che il personale volontario dedica alla sicurezza del cittadino». «Il distaccamento dei Vigili del Fuoco rappresenta – dice Antonio Cambia della segreteria Fns Cisl – il presidio di Soccorso Tecnico più qualificato e proprio la radicazione sul territorio, garantita dai propri componenti che vi risiedono, consente di conoscere veramente in maniera approfondita le caratteristiche del territorio stesso e di conseguenza i fabbisogni in termini di soccorso urgente, non è “un regno a sé stante”, occorre tenere conto delle risorse economiche che i volontari riescono a mettere a disposizione per prestare, come sempre, il miglior servizio possibile al cittadino, e ciò ha un valore inestimabile !»;
   a parere della Fns Cisl di Bergamo la richiesta di pagamento della tassa sull'immobile «ha dell'assurdo se non del grottesco». «Sono circa 24,000 euro di Imu per la sede, da loro stessi costruita nel lontano 1987 e sempre autogestita. I sindaci dei comuni protetti dal distaccamento e le Autorità tutte devono prendersi carico della richiesta di versamento della tassa Imu fatta nei confronti dei vigili del fuoco volontari di Romano, al fine di trovare una soluzione che soddisfi le esigenze e le richieste delle parti e che non lasci spazio ad eventuali ulteriori richieste di denaro per poter continuare a svolgere l'attività di soccorso tecnico urgente» –:
   quali interventi il Governo intenda adottare affinché siano esenti dal pagamento dell'Imu anche le associazioni di volontariato, quali i vigili del fuoco volontari di Romano di Lombardia, impiegati in compiti di tutela e sostegno della propria comunità di appartenenza. (4-19214)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RENATO FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della visita ex articolo 67 dell'ordinamento penitenziario condotta nel carcere di Monza, in particolare nella sezione femminile, venerdì 14 dicembre 2012, l'interrogante veniva messo a conoscenza di questa situazione: una reclusa di nazionalità romena, detenuta per una condanna riportata nel suo Paese di origine, versava in condizioni di salute assolutamente incompatibili con la detenzione carceraria;
   avendo incontrato questa signora, amorevolmente assistita dagli agenti di polizia penitenziaria, è stato dalla stessa riferito all'interrogante di essere gravemente malata di un tumore ai reni, che la costringe tra l'altro all'uso del catetere;
   in quei giorni di freddo particolarmente intenso non funzionava il riscaldamento, con disagi gravissimi e rischi concreti per la salute, specialmente per chi già versa in condizioni di malattia –:
   se i fatti corrispondano al vero;
   se il Ministro non intenda, nelle sue prerogative, attivarsi presso il DAP per prevenire queste situazioni che si protraggono da tempo per mancanza di fondi, nonostante il prodigarsi della direzione carceraria;
   se secondo il Ministro questa situazione non richieda una ispezione per accertare, secondo quanto detta la costituzione negli articoli 27 (umanità della pena) e 32 (diritto alla salute) se sussistano i presupposti per l'esercizio dei poteri di competenza del Ministro. (5-08703)


   LOLLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   quarantasette lavoratori del tribunale e della procura della repubblica presso il tribunale di Sulmona e degli uffici del giudice di Pace di Pratola Peligna Sulmona e Castel Di Sangro, patrocinati dagli avvocati Gabriele Tedeschi, Gabriele Silvestri, Mauro Calore e Teresa Nannarone, hanno depositato ricorso al giudice del Lavoro del tribunale di Sulmona il 29 ottobre 2012, nei confronti del Ministero della giustizia nella persona del Ministro pro tempore, della corte d'appello di L'Aquila nella persona del Presidente pro tempore della Procura Generale della Repubblica presso la corte d'appello di L'Aquila nella persona del Procuratore generale chiedendo:
    «che l'illustrissimo Giudice adito, per l'urgenza che il caso richiede, – sospenda, immediatamente, inaudita altera parte, l'efficacia degli atti impugnati come indicati in premessa;
    dichiari, con decreto inaudita altera parte, ovvero con ordinanza previa comparizione delle parti avanti a sé, la nullità e/o l'illegittimità, e/o l'annullabilità e/o l'inefficacia degli atti impugnati;
    in via subordinata – rimetta gli atti alla Corte Costituzionale previa declaratoria della rilevanza e non manifesta infondatezza delle diverse questioni di legittimità costituzionale evidenziate nel ricorso che comporteranno anch'esse, vieppiù, l'illegittimità dei suddetti provvedimenti e l'annullamento degli atti impugnati...»;
   gli atti impugnati (accordo sindacale siglato presso il Ministero della giustizia in data 9 ottobre 2012, circolare del Ministero di giustizia n. 5116 del 15 ottobre 2012 diramata dalla corte d'appello di L'Aquila e dalla procura della Repubblica Generale di L'Aquila protocollo n. 0003074-0 del 17 ottobre 2012, l'interpello distrettuale del 17 ottobre 2012, finalizzato alla ridistribuzione del personale perdente posto ed alla copertura dei posti vacanti nel distretto della corte d'appello di L'Aquila in funzione della riorganizzazione degli uffici giudiziari di cui alla legge 14 settembre 2011 n. 148), di fatto imponevano ai dipendenti di indicare entro il 3 novembre 2012 una sede ove essere trasferiti all'interno dello stesso distretto;
   con provvedimento del 31 ottobre 2012 il giudice del lavoro di Sulmona, accogliendo la tesi dei ricorrenti, sospendeva i provvedimenti impugnati e fissava per la comparizione delle parti l'udienza del 12 novembre 2012;
   all'udienza del 12 novembre 2012 il Ministero della giustizia si costituiva in giudizio con memoria difensiva ed in aula compariva il capo dipartimento dottor Luigi Birritteri;
   quest'ultimo, come è agevole desumere dal filmato visibile sul sito www.zac7.it, lasciando letteralmente stupefatti i presenti in aula, in particolare i dipendenti dello stesso Ministero, si rivolgeva al giudice con dichiarazioni del tipo «lei non ha giurisdizione», «riteniamo che questa sospensione generale che di fatto blocca la procedura su tutto il territorio nazionale, non sia rispettosamente di sua competenza» «provvedimento gravemente violatorio del contraddittorio»; lo stesso ha accennato al fatto che sarebbero state dette delle falsità, affermando, in relazione al blocco dell'interpello per mobilità esterna «è molto grave che ciò sia accaduto», «siamo preoccupati per le conseguenze contabili e amministrative» «mi sembrava importante metterci la faccia» e così via, tant’è che il collegio di difesa dei ricorrenti è stato costretto più volte ad intervenire ricordando al Capo dipartimento che doveva limitarsi a rendere dichiarazioni e non a compiere, con tono, ad avviso dell'interrogante, sprezzante arbitrarie valutazioni;
   inoltre, in totale contraddizione con la premessa all'accordo impugnato, che prevede che il personale può essere destinato ad altro ufficio nell'ambito del distretto ove vi siano posti vacanti, anticipatamente rispetto ai trasferimenti automatici disposti dalla legge, (che decorrono dal 13 settembre 2013) il dottor Birritteri ha ossessivamente ripetuto che nessun trasferimento può essere disposto prima della chiusura del tribunale di Sulmona da lui stabilita al 13 settembre 2016»;
   la corte d'appello di L'Aquila con provvedimento del 5-7 novembre 2012 a firma del procuratore generale Falcone e del presidente Schirò ha comunque proceduto alla graduatoria dei dipendenti e ciò nonostante in data 31 ottobre venisse notificato alla corte il provvedimento di sospensione del giudice di Sulmona, cui peraltro, ne è seguito uno identico del Tribunale di Rossano –:
   se, per quanto riguarda l'atteggiamento tenuto dal dottor Birritteri, quest'ultimo avesse ricevuto istruzioni in tal senso direttamente dal Ministro o, in caso contrario, se il capo del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, non abbia abusato dell'autorevolezza del suo ruolo recandosi in un'aula di giustizia, più che a rendere dichiarazioni come parte, a criticare duramente l'operato di un magistrato;
   se il Ministro, preso atto di quanto rappresentato in premessa intenda prendere provvedimenti nei confronti del dottor Birritteri. (5-08704)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RENATO FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il cittadino egiziano B.M.M., si trova nella casa circondariale di San Vittore, per un crimine commesso nella sua terra di origine;
   il Governo della Repubblica araba d'Egitto ha richiesto l'estradizione e la corte d'appello di Milano ha accolto la domanda in data 4 dicembre;
   la situazione attuale in Egitto vede i cristiani copti in un momento di grande preoccupazione a causa della costituzione voluta da Mossi e sottoposta a referendum in maniera giudicata discutibile, basti segnalare il titolo del reportage che appare sul quotidiano La Stampa del 15 dicembre 2012 «i copti e la paura del referendum: “noi cristiani e l'incubo Sharia”» dove si evidenziano i rischi di una giustizia che penalizza chi non appartenga alla maggioranza islamica, con evidente venir meno dello stato di diritto;
   non esiste un trattato di estradizione con questo Paese e spetta al Ministro della giustizia la decisione finale per dare o meno procedimento a questa richiesta –:
   vista la situazione di preoccupazione per la libertà religiosa e la disuguaglianza di trattamento verso i cristiani, se intenda sospendere qualsiasi decisione che porti al trasferimento del citato detenuto non esistendo nessun precedente di reciprocità ed estradizione (vedi caso di Hassan Mustafa Osama Nasr);
   come il Ministro intenda comportarsi e se intenda dare o meno attuazione alla richiesta di estradizione in Egitto del citato signore. (4-19201)


   PROIETTI COSIMI, GIORGIO CONTE, GALLI, GRANATA e MENIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, sulla stampa nazionale, ha avuto un grande risalto mediatico la notizia che la prima sezione penale del tribunale di Bari, accogliendo la richiesta della difesa, ha disposto la scarcerazione, per decorrenza termini, del boss barese del quartiere Japigia Savino Parisi, detto Savinuccio;
   il pregiudicato, a capo dell'omonimo clan, era detenuto in regime di custodia cautelare, nell'ambito della maxi operazione «Domino» condotta dalla Guardia di finanza e dalla direzione distrettuale antimafia di Bari in cui vennero arrestate 83 persone con le accuse di associazione mafiosa, tentativo di omicidio, traffico internazionale di droga, usura, turbativa d'asta e riciclaggio, dal dicembre 2009 e, dall'aprile 2011, era stato trasferito dal penitenziario di Tolmezzo, in provincia di Udine, a quello di massima sicurezza di Novara, per essere sottoposto al regime del carcere duro;
   con il decreto di rinvio a giudizio, i termini della custodia cautelare sono stati sospesi;
   da quanto emerge, l'accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Pasquale Drago e dal pubblico ministero Elisabetta Pugliese, non avrebbe avanzato una richiesta di congelamento dei termini che avrebbe potuto, invece, determinare un prolungamento della custodia cautelare sino a due armi, in attesa della sentenza;
   su tale circostanza, il presidente del tribunale Vito Savino e il procuratore generale Antonio Pizzi hanno già avviato indagini interne;
   non vi è dubbio, ad avviso degli interroganti, che eventuali omissioni procedurali, se confermate, risulterebbero estremamente gravi e lesivi per la buona amministrazione della giustizia, soprattutto in considerazione del fatto che esse, nel caso specifico, avrebbero avuto conseguenze determinanti sul piano giudiziale –:
   quali urgenti iniziative ispettive di competenza il ministro interrogato ritenga opportuno assumere in relazione alla vicenda ispettiva esposta in premessa ai fini dell'esercizio di poteri di competenza.
(4-19215)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CONTENTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in queste ore amministratori pubblici, comitati, associazioni e semplici cittadini del Friuli Venezia Giulia stanno manifestando per salvare la tratta ferroviaria «Sacile-Gemona»;
   il servizio è stato sospeso alcuni mesi fa anche per una serie di concause e sostituito da trasporto su gomma;
   trattasi di una linea secondaria che viene, però, utilizzata quotidianamente da decine di pendolari, preoccupati per l'ipotesi di una definitiva dismissione del collegamento;
   alcuni sindaci hanno proposto una cessione gratuita dei binari ai comuni per il successivo sviluppo locale degli stessi;
   consta che Trenitalia non abbia ancora assunto una decisione sul da farsi –:
   se intenda attivarsi presso Trenitalia al fine di concordare un piano di sviluppo della tratta «Sacile-Gemona del Friuli» che passi, se del caso, anche attraverso la cessione del binario alle comunità locali interessate al suo transito. (4-19205)


   CONTENTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   consta che la Commissione trasporti del Parlamento europeo abbia appena approvato i tracciati delle «Ten-T», le arterie di collegamento intercomunitario di primaria importanza per lo sviluppo dell'Unione;
   la regione Friuli Venezia Giulia risulta interessata dall'incrocio di due di queste infrastrutture, cioè la direttrice Mediterranea (tratta Lione-Torino-Trieste) e la linea Baltico-Adriatico (transito per Venezia passando da Tarvisio e Trieste);
   un piano di investimenti di tale portata strategica rischia, nel concreto, di scontrarsi con due lacune infrastrutturali ormai croniche del Friuli Venezia Giulia;
   trattasi del raddoppio della linea Udine-Cervignano e del nodo ferroviario che attraversa la città di Udine;
   in entrambi i casi urge un tavolo di concertazione per reperire i fondi necessari allo sviluppo dei relativi progetti di ammodernamento, utili anche per lo sviluppo industriale dell'area indipendentemente dai programmi europei –:
   se e con quali modalità intenda attivarsi per la risoluzione dei problemi logistici correlati al raddoppio del binario Udine-Cervignano e al by pass del nodo ferroviario che transita per Udine, anche alla luce dei futuri lavori di realizzazione delle «Ten-T» comunitarie. (4-19206)


   JANNONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'asfalto verde arriva per le strade di Vancouver, in Canada, dove in questi giorni sono partite le prime sperimentazioni di manto stradale composto da plastica riciclata da bottigliette e contenitori, creato grazie a un processo a freddo, che diminuisce l'impatto ambientale e i vapori sprigionati nell'aria dovuti alla sua preparazione. Un processo innovativo, i cui esempi si trovano in molte varianti anche altrove nel mondo (a Torino, ma anche in Spagna, o negli Stati Uniti), e che se funzionerà porterà a un minor numero di emissioni nocive nell'ambiente. Con costi pili alti rispetto alle procedure canoniche, ma effetti positivi per l'ambiente nel lungo periodo;
   la plastica usata per comporre il nuovo manto stradale è quella riciclata dai cittadini: contenitori di latte e alimenti, bottiglie usate per liquidi di ogni sorta. Questi vengono sciolti e trasformati in una specie di collante, pronto a essere miscelato con l'asfalto tradizionale. La miscela avviene a freddo, contrariamente a quanto succede di solito, perché al raffreddamento di questo materiale ottenuto dalla plastica riciclata esso diventa adesivo e permette così di tenere insieme il bitume. La procedura permette dunque di non immettere nell'aria i consueti fumi dovuti alla preparazione a caldo dell'asfalto. In questo nuovo mix, il contenuto in plastica è pari all'1 per cento e i costi, sostiene il comune di Vancouver che lo sta sperimentando per la città sono tre volte più cari di quelli per la miscela tradizionale. Ma nel lungo periodo, visto il risparmio del 20 per cento di carburante per creare il manto, questi verranno abbattuti: ora non resta che vedere se le strade appena aggiustate resisteranno, ma le prime prove dicono già che il mix con la plastica è resistente tanto quanto quello canonico. Senza contare che, sostengono gli ingegneri di Vancouver che hanno seguito il progetto, tale preparazione è possibile anche a temperature meteo molto basse, a differenza di quella del bitume tradizionale;
   mentre Vancouver plaude a questa nuova iniziativa all'interno di una serie di misure volte a diventare nel 2020 la città più green al mondo, prove tecniche di asfalto riciclato si sono già fatte altrove nel mondo, Italia compresa. A Torino per esempio già a inizio anno erano partiti i primi chilometri di strade ricoperte da una miscela a base di polverino di gomma, ottenuto da pneumatici riciclati. In Spagna, grazie agli stessi fondi europei utilizzati anche a Torino, è partita nella provincia di Madrid la sperimentazione su un tratto di una strada provinciale che vede ogni giorno il passaggio di 45 mila veicoli, di uno speciale asfalto, il Polymix, composto da pneumatici e rifiuti in plastica riciclati. Ogni anno in Italia vengono smaltiti 25 milioni di pneumatici: sono 400 mila le tonnellate di copertoni da riciclare. Il 45 per cento è avviato al recupero energetico mentre il 20-25 per cento viene trasformato in granuli, o polverino, destinato alla manifattura della gomma. I pneumatici vengono trattati in appositi impianti che separano la gomma dalla tela e dal metallo, recuperano poi la gomma e la frantumano in particelle sempre più piccole, ricavandone una sabbia molto fine: il polverino, appunto. Ed è con il polverino, o meglio, con bitumi modificati con polverino di gomma che la provincia di Torino sta ripavimentando lunghi tratti di strade come la circonvallazione Borgaro-Venaria;
   «La nostra Provincia gestisce 3.200 chilometri di strade. Il progetto TyRec4life, che prevede l'utilizzo di bitumi modificati, è finanziato nell'ambito del programma triennale europeo Life+», spiega l'assessore alla Viabilità Alberto Avetta. «Il costo totale per la Provincia è di circa 1 milione di euro di cui circa 700 mila cofinanziati della Comunità europea e il resto a nostro carico. La voce più importante nel budget è quella relativa alla realizzazione di circa 3 chilometri di strade, e vale 600 mila euro, 75 mila dei quali arriveranno dall'Ue», prosegue l'assessore. «Su una tangenziale lunga 8 chilometri, per ora la pavimentazione con polverino è circa di tre: se le province continueranno a esistere e non saranno abolite, andremo avanti nel progetto con altri 5 chilometri, e sperimenteremo queste miscele, che garantiscono maggior sicurezza e durata». La Provincia di Torino intende provarle anche ad altimetrie differenti, per valutarne l'impatto con ghiaccio e neve;
   il polverino di gomma usato come componente per creare bitumi modificati rende infatti il manto stradale più resistente alle deformazioni e all'azione dell'acqua o della neve. In alcuni Paesi lo usano da anni. «Negli Stati Uniti almeno da 15 anni viene ampiamente utilizzato, ma anche in Europa: soprattutto in Portogallo, Spagna, e anche in Germania. Un decreto di qualche anno fa stabiliva che una quota fissa di polverino dovesse essere utilizzata sulle pavimentazioni, poi non se ne è fatto più nulla», spiega Ezio Santagata, ingegnere del Politecnico di Torino, ordinario di costruzione di strade per aeroporti e di sovrastrutture stradali ferroviarie e aeroportuali. «Una volta frantumato e ridotto a sabbia, in granellini di un millimetro al massimo di diametro, il polverino è pronto per essere miscelato con il bitume: nella versione wet, bagnata, si gonfia assorbendolo e diventa gommoso, poi viene miscelato con gli aggregati, le pietre che servono per il manto stradale. La versione dry, asciutta, viene miscelata a secco, ed è interessante perché prevede un maggior quantitativo di polverino, dunque più materiale riciclato, ma dobbiamo risolvere problemi con le miscele»;
   gli ingegneri del politecnico di Torino stanno studiando questi fondi stradali da tutti i punti di vista, dalle miscele alle emissioni inalate sulla salute dei lavoratori. Se quando si guida una strada può sembrare uguale a un'altra, in realtà non è così. Ad esempio, i tratti di autostrada dove l'acqua non rimbalza sul parabrezza e che consentono anche con la pioggia una buona visibilità sono pavimentati con asfalto drenante (in realtà conglomerato bituminoso) che grazie alla tessitura aperta lascia defluire l'acqua, riducendo gli incidenti anche del 20 per cento. Le caratteristiche dei conglomerati a base di polverino sono, oltre a una migliore drenabilità, la maggior aderenza, l'assorbimento acustico (la gomma è fonoassorbente), il risparmio energetico e di risorse naturali (si impiegano elastomeri recuperati come materiale base). «L'energia trasferita dai veicoli in transito non viene dissipata ma assorbita, la gomma fornisce un contributo elastico e questo fattore va nell'ottica della durabilità del prodotto: in sintesi il manto è più durevole perché più elastico», conclude Santagata. «La maggior governabilità dei veicoli dipende dalla tessitura della pavimentazione, dalla sua rugosità. La maggior aderenza dei veicoli è legata alla scelta degli aggregati lapidei, alle pietre miscelate con il polverino, che danno maggior tenuta. La formulazione delle miscele è differente per i bitumi con o senza polverino di gomma» –:
   quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di sviluppare un progetto di ricerca nazionale, che tenga conto della possibilità di utilizzare il citato materiale ecologico per creare asfalto, nonché che ne implichi anche una prima sperimentazione su vasta scala locale. (4-19212)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAROFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della risposta presentata dall'interrogante, all'atto di sindacato ispettivo n. 4-14242, del 23 luglio 2012, in cui si evidenziavano i profili d'illegittimità del licenziamento a danno di sette vigili del fuoco dell'isola di Lipari, il Ministro interrogato, ha confermato che, con la sentenza n. 1400/2011 del 3 febbraio 2012, il TAR di Catania aveva disposto il rigetto delle istanze di annullamento dei provvedimenti impugnati, accogliendo pertanto la domanda di risarcimento dei danni e determinando l'esecuzione in forma specifica, mediante la riammissione in servizio dei medesimi ricorrenti;
   la suesposta sentenza tuttavia, ha accolto solo parzialmente il ricorso dei sette vigili del fuoco, non ritenendo infatti accettabile la domanda di annullamento dagli stessi avanzata in relazione agli atti impugnati in primo grado;
   l'interrogante rileva che alla base di tale controversia di giustizia amministrativa, il Ministero interrogato, abbia commesso un errore a danno dei suddetti vigili del fuoco, in considerazione che originariamente non sarebbe dovuto essere effettuato alcun licenziamento nei confronti degli stessi;
   il giudicato del TAR di Catania infatti nel corso della prima sentenza, con cui sono stati licenziati i sette vigili del fuoco, lasciava intendere come ci fossero spazi sufficienti, per non arrivare al punto estremo del licenziamento dei medesimi;
   il medesimo giudicato inoltre, andava oltre i limiti dello stesso, in considerazione che la finalità dei ricorrenti, nei confronti dei vincitori di concorso, (i sette vigili del fuoco), consisteva nell'ottenere i posti messi a concorso, aggiungendo inoltre che se tale posizione era acquisibile come lo era effettivamente, lo scopo era quello di una collocazione degli stessi ricorrenti in una graduatoria posta in posizione utile per la nomina;
   a giudizio dell'interrogante, non poteva pertanto ritenersi esteso l'ambito del giudicato per effetti non utili e non necessari come quelli del licenziamento dei sette vigili del fuoco e contestualmente ritenersi valida la vincita e la nomina in servizio per coloro che avevano effettuato il ricorso;
   il Ministro interrogato, in base alla suddetta impostazione, avrebbe dovuto infatti aderire non procedendo al licenziamento dei sette vigili del fuoco, ma al contrario, a giudizio dell'interrogante, limitarsi ad eseguire il giudicato in base ai principi di correttezza, buona fede e tutela dell'affidamento;
   sia la giurisprudenza amministrativa, che la dottrina in materia, ritengono infatti che in esecuzione del giudicato amministrativo per quanto riguarda i posti messi a concorso da parte dell'Amministrazione dello Stato, è necessaria la realizzazione di una duplice esigenza: quella di soddisfare l'interesse materiale della parte vittoriosa e quella di gravare il meno possibile sulla sfera dei terzi in buona fede che nel nostro caso sono i sette vigili del fuoco licenziati e poi riammessi in servizio;
   l'impostazione del primo ricorso, che vide soccombenti i sette vigili del fuoco infatti, non si sostanziava nell'espulsione degli stessi dalla procedura concorsuale, ma consisteva piuttosto nella acquisizione dei posti messi a concorso. Per i ricorrenti, ovvero per coloro che avevano fatto ricorso contro i sette vigili del fuoco poi licenzianti e successivamente reintegrati in servizio, era praticamente e giuridicamente irrilevante che, una volta soddisfatta la loro pretesa, gli altri concorrenti potessero mantenere una collocazione utile nella graduatoria;
   il comportamento da parte del Ministero interrogato pertanto, in esecuzione del giudicato, si è infatti rilevato, a parere dell'interrogante, incerto, contraddittorio e concluso infine in determinazioni illegittime perché sempre ad avviso dell'interrogante inficiate da evidenti tracce di vizio di eccesso di potere;
   la pronuncia di primo grado, quindi, a giudizio dell'interrogante, si palesa contraddittoria e non condivisibile, perché come precedentemente riportato, si limita a sostenere che l'effetto del giudicato formatosi a seguito del ricorso fosse quello dell'espulsione dei sette vigili del fuoco dalla procedura concorsuale;
   l'effetto favorevole del giudicato del TAR di Catania, si è dimostrato per gli originari ricorrenti, fermo e intangibile, evidenziando in definitiva, come non vi era né in precedenza né tuttora, alcuna incompatibilità fra tale effetto (nomina in servizio a seguito della loro collocazione in graduatoria in posizione posteriore rispetto a tutti gli altri partecipanti,) e l'altro anch'esso pienamente secundum legem, in quanto rispondente alla disciplina concorsuale vigente all'epoca dell'indizione del concorso, della ammissione alla procedura e della collocazione in graduatoria dei sette vigili del fuoco (sia pure in posizione recessiva rispetto agli originari ricorrenti, ma comunque idonea a ritenere validamente coperta da titolo giuridico, l'avvenuta nomina in servizio);
   quanto suesposto risulta infatti confermato e riscontrabile all'interno degli atti di nomina originari dei sette vigili del fuoco, in cui il Ministero interrogato, ha approvato la graduatoria concorsuale dei vincitori ed idonei del concorso, stabilendo, in tale modo che esso si era concluso con la presenza di figure di vincitori (ossia di concorrenti utilmente collocati in graduatoria in posizione da renderli suscettibili di assunzione) e di figure di idonei e di concorrenti anch'essi collocati in graduatoria, ma in posizione non sufficiente ai fini dell'assunzione;
   le posizioni quindi erano occupate, quelle dei vincitori dai sette vigili del fuoco e quella degli idonei, ma non vincitori, dai ricorrenti originari che hanno esercitato successivamente l'azione conclusasi nel giudicato amministrativo;
   appare pertanto evidente, che se all'origine esistevano nella graduatoria, le due posizioni sopra menzionate (vincitori e idonei non vincitori) e se tali posizioni erano occupate da due gruppi di concorrenti, l'effetto del giudicato favorevole formatosi sul ricorso del secondo gruppo di concorrenti (ossia, di quelli che in origine erano idonei non vincitori) era solamente quello della inversione delle posizioni e non quello del licenziamento tout court effettuato nei confronti dei sette vigili del fuoco;
   in riferimento alle contraddizioni dell'operato da parte del Ministero interrogato, l'interrogante rileva inoltre che, in sede di nomina in servizio, il medesimo Ministero ha manifestato esplicitamente, la sussistenza di una situazione di vacanza di posti in organico;
   pertanto se all'atto della nomina lo stesso Ministero, reputò rilevante la sussistenza di una vacanza in organico, anche all'atto del licenziamento, avrebbe dovuto essere obbligato ad effettuare una valutazione sul medesimo oggetto, ovvero avrebbe dovuto rilevare l'esistenza di una vacanza di organico tale da giustificare, sotto questo profilo, il mantenimento in servizio dei sette vigili del fuoco, tenuto conto che gli stessi erano ampiamente collocati in graduatoria;
   se invece si postula, che la perdita del posto di lavoro dei sette vigili del fuoco, sia attribuibile sia alla posizione di vincitori, che di idonei, tale assunto si configurerebbe in una violazione delle norme costituzionali ed emergerebbero inoltre rilievi di un giudicato incompatibile con i principi comunitari;
   a giudizio dell'interrogante, in considerazione di quanto suesposto, la sentenza di primo grado in cui si è disposto il licenziamento dei sette vigili del fuoco, appare pertanto viziata da eccesso di potere;
   l'Amministrazione dello Stato non ha infatti avvertito il bisogno di prendere in considerazione la situazione dei sette lavoratori che stavano per subire la più grave delle perdite che può essere inflitta ad un prestatore di lavoro dipendente, che è vittima di errori non propri, ma al contrario di inesattezze da parte del datore di lavoro, il quale ne ha disposto il licenziamento dopo aver fatto insorgere il convincimento che esistevano ampi spazi legali per il loro mantenimento in servizio;
   a giudizio dell'interrogante appare altresì, anomalo e sorprendente e contro il principio di ragionevolezza, la condotta da parte del medesimo Ministero interrogato, in considerazione che accolta la circostanza che i vigili del fuoco presunti riservatari, avessero diritto non solo alla riserva dei posti, ma anche alla riserva di concorso, li abbia successivamente espulsi dalla graduatoria, senza verificare se ciascuno dei vigili assunti in sostituzione, fosse in possesso effettivamente dei requisiti prescritti –:
   se il Governo non intenda dar seguito a quanto indicato nella risposta all'interrogazione n. 4-14242;
   quali siano le ragioni del mancato rispetto da parte del Ministero con riferimento al TAR di Catania, come esposto in premessa, in considerazione del fatto che non è possibile far ricadere sul lavoratore reclutato ed immesso in servizio, le conseguenze negative di errori non del lavoratore privandolo del posto assegnato, oppure opponendosi al diritto del concorrente ingiustamente, sacrificato di mantenere ad altro titolo il posto già acquisito;
   quali siano altresì le motivazioni della presunta discrezionalità del medesimo Ministero, nell'eseguire il suddetto giudicato in considerazione che la sua decisione, di non annullare il licenziamento nei confronti dei sette vigili del fuoco, sia secondo l'interrogante palesemente contraddittoria, in considerazione del fatto che gli argomenti difensivi svolti dai sette vigili del fuoco siano stati reputati dal TAR di Catania pienamente condivisibili nel capo della sentenza nella quale viene formulata la pronuncia risarcitoria e la riammissione in servizio degli stessi;
   se infine non ritenga urgente e necessario, intervenire al fine di consentire per i sette vigili del fuoco, il pieno reintegro nel posto di lavoro e determinare l'effettività della continuazione del loro rapporto di lavoro con l'Amministrazione dello Stato anche in considerazione della risposta del Ministero dell'interno, all'atto di sindacato ispettivo presentata dall'interrogante ed esposto in premessa, che conferma come non vi siano dubbi sulla riammissione in servizio dei sette vigili del fuoco. (5-08699)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PROIETTI COSIMI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   Roccastrada è un comune di 9.526 abitanti della provincia di Grosseto in cui è da tempo in corso una lunga e tortuosa procedura per la nascita di una nuova caserma dei carabinieri;
   le principali tappe sono così individuate:
    il 24 novembre 2009 è avvenuta l'approvazione progetto definitivo;
    il 27 novembre 2009 c’è stata la richiesta di mutuo alla Cassa depositi e prestiti;
    il 10 dicembre 2009 si è registrata la trasmissione del progetto definitivo alla compagnia carabinieri di Massa Marittima;
    il 23 dicembre 2009 la Cassa depositi e prestiti chiede di fornire il parere del comando generale dell'Arma dei carabinieri di Roma, ad oggi formalmente non acquisito;
    il 24 settembre 2010 su richiesta della prefettura, la giunta approva la perizia di stima del canone d'affitto da sottoporre, tramite la prefettura stessa, all'Agenzia del demanio per un parere di congruità;
    il 12 settembre 2011 la prefettura comunica il riconoscimento della congruità da parte dell'Agenzia del demanio del canone di locazione annuo stabilito in euro 21.744,00, chiedendo al comune l'accettazione formale;
    il 12 ottobre 2011 il comune invia l'accettazione di cui sopra;
    il 13 febbraio 2012 la prefettura comunica il nulla-osta dell'Agenzia del demanio e lo schema di contratto;
    il 2 maggio 2012 dopo approvazione formale del suddetto schema di contratto con delibera di G.M. n. 36 del 10 aprile 2012, il contratto stesso, sottoscritto dal sindaco, viene restituito alla prefettura per il perfezionamento definitivo;
    3 luglio 2012 – il prefetto in visita al comune di Roccastrada comunica il disimpegno del Ministero dell'interno al pagamento del canone di affitto;
    il 17 luglio 2012 il sindaco ed il vicesindaco hanno incontrato nuovamente il prefetto per la definizione della nuova strategia finalizzata alla realizzazione della nuova caserma nel più breve tempo possibile;
   ancora per alcuni mesi i militari dell'Arma resteranno nella sede storica di via Nazionale, nel palazzo degli eredi Bernabei, in attesa che sia avviata e conclusa la ristrutturazione del fabbricato di via del Pino, dove i carabinieri dovranno poi trasferirsi;
   nel 2008 il comune siglò un contratto di acquisto e divenne a tutti gli effetti proprietario dell'edificio ex Enel in via del Pino, destinato a diventare la sede della nuova caserma dei carabinieri. C'era Leonardo Marras, all'epoca, a governare il territorio e il rogito con l'Enel coronò un lungo percorso di collaborazione tra comune, Arma e prefettura di Grosseto;
   nell'ottobre del 2009 l'amministrazione Innocenti deliberò il progetto definitivo di ristrutturazione e il computo economico dell'operazione. Nei 3 anni successivi, però, le procedure burocratiche per ottenere il via libera al recupero si sono arenate, tra Ministeri, comandi, uffici amministrativi dell'Arma. Ora, grazie anche all'impegno del prefetto Valentini, il puzzle è stato composto, quasi tutti i «pezzi» sono andati al loro posto;
   il comune di Roccastrada, però, paga un conto salato agli accordi raggiunti e alla cosiddetta spending review. In pratica, oltre ad accollarsi tutte le spese di ristrutturazione e arredo del fabbricato, rinuncia per il futuro al canone di affitto. La caserma, in pratica, la paga la collettività –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo al fine di mantenere il presidio dell'Arma sul territorio comunale di Roccasarda. (4-19197)


   CONTENTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da tempo si discute dell'apertura di un distaccamento dei vigili del fuoco a Sacile (Pordenone) in modo da coordinare al meglio le funzioni di pronto intervento nell'area a confine con il Veneto, densamente abitata e altrettanto industrializzata;
   nonostante rassicurazioni e garanzie avute a più livelli, sino ad oggi non è stato possibile comprendere se e quando l'importante servizio verrà effettivamente attivato (tanto che ormai sono numerose le illazioni circa una definitiva sospensione sine die del progetto) –:
   se sussista una reale volontà del Governo di aprire un distaccamento dei vigili del fuoco nella città di Sacile (Pordenone) e, in caso di risposta affermativa, con quali tempistiche. (4-19204)


   NACCARATO e MIOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 18 dicembre 2012 un gruppo di circa una decina appartenenti all'area antagonista riconducibile al centro sociale «Pedro» di Padova ha fatto irruzione in un edificio pubblico del comune di Padova – il Centro culturale «San Gaetano» in via Altinate – con l'obiettivo di danneggiare una mostra fotografica e impedirne l'esposizione. La violenta aggressione ha provocato il ferimento di una persona, di cui si è reso necessario il ricovero in ospedale;
   le modalità utilizzate nell'azione sopra descritta dimostrano, ad avviso degli interroganti, che l'episodio è stato preparato e organizzato con cura;
   questa aggressione segue altri fatti di violenza organizzati e messi in pratica da persone appartenenti all'area antagonista riconducibile al centro sociale «Pedro» attualmente oggetto di indagini da parte della polizia giudiziaria. In particolare, l'ultimo episodio in ordine di tempo risale al 14 novembre 2012, quando sempre una trentina di appartenenti al «Pedro» ha aggredito con corpi contundenti e bombe carta il personale delle forze dell'ordine impegnato nel servizio di ordine pubblico nel piazzale antistante la stazione ferroviaria di Padova, provocando il ferimento di tre agenti che hanno riportato diversi giorni di prognosi;
   tali azioni violente paiono agli interroganti rispondere a una precisa e ben definita strategia che consiste nel sistematico utilizzo dell'intimidazione e della violenza con l'obiettivo di favorire e determinare una diffusa situazione di «illegalità di massa». Tale strategia è stata elaborata ed esplicitata dagli appartenenti a diversi centri sociali dell'area antagonista nei mesi scorsi, trovando una prima applicazione le pratica negli incidenti che hanno avuto luogo in diverse città italiane il 14 novembre e il 6 dicembre 2012;
   l'opinione pubblica è profondamente turbata e preoccupata dagli episodi sopra ricordati;
   c’è il rischio che la mancata individuazione degli autori degli episodi di violenza e il mancato accertamento delle relative responsabilità in sede penale, favoriscano un generale clima di impunità –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti in premessa;
   quali concrete iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro intenda adottare per prevenire e contrastare il ripetersi di episodi di violenza analoghi a quelli descritti e per assicurare l'individuazione dei responsabili dei fatti citati.
(4-19208)


   SARUBBI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 13 dicembre 2011, in piazza Dalmazia a Firenze, furono barbaramente assassinati da un estremista di destra, Gianluca Casseri, i cittadini senegalesi Modou Samb e Mor Diop. Nello stesso frangente rimasero feriti in maniera grave Sougou Mor, Mbengue Cheike e Moustapha Dieng, quest'ultimo con conseguenze tali da renderlo cronicamente non autosufficiente;
   a circa un anno di distanza da quel gesto efferato troppo pochi sono stati i segnali di cambiamento e non si è assistito ad una perdurante mobilitazione nel Paese. Per questo, nel primo anniversario, è stata presentata una petizione da parte di Pape Diaw, Presidente dell'Associazione dei senegalesi di Firenze, perché sia concessa la cittadinanza italiana ai tre ragazzi rimasti feriti nella brutale aggressione: Moustapha Dieng, 34 anni, Sougou Mor, 32 anni, e Mbengue Cheike, 42 anni;
   in meno di una settimana la petizione, rilanciata dal portale change.org, ha già superato le 13.500 sottoscrizioni;
   quanto è accaduto un anno fa è frutto di una cultura, di una ideologia violenta e razzista alla quale la stragrande maggioranza degli italiani è estranea. Riconoscere ai tre ragazzi senegalesi feriti la cittadinanza italiana sarebbe l'ulteriore dimostrazione del rifiuto da parte del nostro Paese di ogni forma di razzismo e della volontà di tutelare chiunque ne sia oggetto –:
   se il Ministro dell'interno, vista la rilevanza del caso, non intenda avviare le procedure necessarie a realizzare quanto chiesto nell'oggetto della petizione. (4-19217)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Sommacampagna di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Sommacampagna (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Sommacampagna (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Sommacampagna (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19220)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Villabartolomea di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Villabartolomea (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Villabartolomea (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Villabartolomea (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19221)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Castagnaro di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Castagnaro (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Castagnaro (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi provenienti da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Castagnaro (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19222)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Cerea di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Cerea (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Cerea (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Cerea (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19223)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Nogara di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Nogara (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Nogara (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Nogara (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19224)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Villafranca di Verona di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Villafranca di Verona (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Villafranca di Verona (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Villafranca di Verona (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19225)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Palù di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserite nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Palù (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Palù (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Palù (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19226)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Albaredo d'Adige di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Albaredo d'Adige (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Albaredo d'Adige (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Albaredo d'Adige (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19227)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Valeggio sul Mincio di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserite nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Valeggio sul Mincio (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Valeggio sul Mincio (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Valeggio sul Mincio (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19228)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Roncà di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Roncà (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Roncà (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi provenienti da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Roncà (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19229)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Isola Rizza di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserite nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Isola Rizza (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Isola Rizza (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Isola Rizza (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19230)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Oppeano di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserite nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Oppeano (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Oppeano (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Oppeano (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19231)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Mozzecane di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserite nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Mozzecane (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Mozzecane (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Mozzecane (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19232)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
   la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Negraro di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
   la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
   in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserite nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Negraro (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
   analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
   in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Negraro (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
   il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
   il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n. 279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
   con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
   la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1;
   l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
   la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
   secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
   oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
   le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
   dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
   le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
   se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Negraro (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19233)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:
VII Commissione:


   SIRAGUSA, GRANATA, GOISIS, BARBIERI, ENZO CARRA, ZAZZERA e GIULIETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministro del 10 settembre 2010, n. 249, definisce le modalità di formazione degli insegnanti, e attribuisce, in particolare, ai corsi di tirocinio formativo attivo, di durata annuale attivati dalle università in collaborazione con le istituzioni scolastiche e conclusi da un esame finale, il valore abilitante all'insegnamento in una delle classi di concorso previste dal decreto ministeriale n. 39 del 1998;
   tale decreto stabilisce altresì che l'accesso ai tirocini formativi attivi è a numero programmato con una prova di selezione;
   esso è riservato in via generale ai candidati in possesso del diploma di laurea magistrale nelle classi specifiche per l'insegnamento, ma nella fase transitoria possono partecipare alle prove di selezione sia coloro che erano già in possesso, alla data del 15 febbraio 2011, dei titoli e dei diplomi di laurea specialistica (o magistrale corrispondente) e dei crediti in determinati settori scientifico-disciplinari previsti per ciascuna classe di abilitazione dal decreto ministeriale n. 22 del 2005 (ex «requisiti SSIS»), ovvero dei requisiti previsti dalla normativa previgente, sia coloro che nell'anno accademico 2010/2011 erano iscritti a corsi finalizzati al conseguimento degli stessi titoli e requisiti, inclusi eventuali corsi volti al recupero di crediti necessari (nota ministeriale 29 aprile 2011 n. 1065) una volta portati a termine tali percorsi;
   in data 9 maggio 2012 con una nota pubblicata sul proprio sito il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca comunica che per i docenti con 36 mesi di servizio, ma senza il possesso della prescritta abilitazione, verrà individuato un percorso ad hoc;
   con nota stampa del 29 maggio 2012 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca comunica «tempi più lunghi per i tirocini formativi per i professori privi di abilitazione che hanno almeno tre anni di insegnamento alle spalle. L'avvio dei moduli aggiuntivi ai corsi di Tfa (tirocini formativi attivi) riservati ai docenti non abilitati con servizio richiede – spiega il Ministero sul suo sito – una modifica del decreto ministeriale n. 249 del 2010 con un altro provvedimento regolamentare di pari rango. L’iter di approvazione, già avviato, non potrà concludersi in tempi brevi per la necessaria e prescritta acquisizione di tutti i pareri degli organi consultivi previsti. L'approvazione del regolamento consentirà nella programmazione 2012-13 l'istituzione di un doppio percorso di Tfa: uno che prevede la selezione, la formazione in aula il tirocinio e l'esame finale, l'altro che permette ai docenti con tre anni di servizio di accedere direttamente alla formazione in aula e all'esame finale»;
   la normativa attualmente in vigore in materia di accesso del personale docente al tirocinio formativo attivo propedeutico all'abilitazione non prevede alcun tipo di percorso differenziato tra quei docenti che già da anni insegnano nelle classi e chi vi si accinge per la prima volta;
   per i docenti non abilitati ma con servizio, il tirocinio formativo attivo risulta quindi al momento l'unica via percorribile per conseguire l'abilitazione; nonostante l'esperienza pluriennale di insegnamento già maturata, la normativa impone a questi docenti il superamento delle prove selettive a numero chiuso per accedere al tirocinio formativo attivo senza che il periodo di servizio svolto venga loro riconosciuto. La stessa cosa è prevista anche per gli insegnanti tecnico-pratici (ITP) e i diplomati magistrali inseriti in III fascia di istituto;
   gli insegnanti tecnico-pratici sono ad oggi l'unica categoria di docenti esclusa dalla possibilità di conseguire l'abilitazione;
   il decreto ministeriale n. 85 del 2005 concedeva a coloro che avessero accumulato almeno 360 giorni di servizio nelle scuole entro il 6 giugno 2004 l'accesso ai corsi abilitanti della durata di un solo anno, con un esame finale ma senza un test di ammissione;
   è poi particolarmente grave la mancata attivazione del tirocinio formativo attivo per tutte le discipline artistiche e musicali che afferiscono all'AFAM;
   infine, un gruppo di docenti ha partecipato al corso abilitante speciale indetto dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ex lege n. 143 del 2004 – decreto ministeriale n. 85 del 2005, giusto provvedimento del giudice amministrativo, ed è stato inserito con riserva nelle graduatorie provinciali ad esaurimento, poiché al momento della presentazione della domanda di partecipazione al corso (22 dicembre 2005), non avevano maturato i 360 giorni di servizio, come previsto dall'articolo 36, comma 1-bis del decreto-legge 27 febbraio 2009, n. 14, ma li avevano maturati successivamente e comunque prima dell'inizio dei corsi;
   pur essendo stati ammessi con riserva, hanno frequentato i corsi, per un totale di 600 ore, suddivise in moduli di didattica frontale e laboratori. Hanno pagato una tassa di iscrizione di euro 1.750, hanno sostenuto con profitto gli esami in itinere (diciannove), nonché l'esame finale di Stato. Dunque hanno concluso il loro percorso di formazione all'insegnamento, seppure senza un'abilitazione riconosciuta;
   oggi questi docenti sarebbero costretti a concorrere per il tirocinio formativo attivo e a ricominciare un percorso formativo già completato –:
   se non intenda rivedere i criteri di accesso attualmente previsti nella bozza di regolamento ancora in corso di approvazione, promuovendo uno specifico percorso abilitante destinato a coloro che insegnano da almeno 360 giorni anche non consecutivi, seppure senza abilitazione, con un'equa distribuzione territoriale delle tipologie dei corsi, ma senza limiti territoriali che vincolino la partecipazione ai corsi alle province in cui si sono effettuate le supplenze. (5-08705)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRIMOLDI, GOISIS, RIVOLTA e CAVALLOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 15 del decreto ministeriale del 10 settembre 2010, n. 249, e successive modificazioni, con decreti rettoriali del 3 maggio 2012 sono state indette le selezioni per l'accesso ai corsi di tirocinio formativo attivo, finalizzati al conseguimento dell'abilitazione per l'insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado;
   è stata avanzata, da parte di tutti gli attori (docenti, organizzazioni sindacali e altri) la richiesta di una proroga dei termini di iscrizione, sia in considerazione di segnalazioni riguardanti malfunzionamento o ritardi nelle procedure di registrazione o di annullamento delle prescrizioni già effettuate, sia con riferimento agli aspiranti coinvolti dall'evento sismico che ha colpito l'Emilia;
   sono state, inoltre, segnalate carenze nei titoli di accesso previsti dalla funzione elaborata dal Cineca che, secondo molti, non terrebbe conto delle equipollenze di alcuni titoli di studio, disposte con decreti ministeriali, dei titoli di accesso richiesti dal decreto ministeriale n. 354 del 1998 relativo agli ambiti disciplinari, nonché delle indicazioni diramate dallo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in occasione delle ultime abilitazioni concorsuali e riservate e per l'accesso alle SSIS (ad esempio laurea in ingegneria valida per la classe di concorso 49/A);
   relativamente al percorso abilitante previsto per i docenti con 36 mesi di servizio, laureati ma senza il permesso della prescritta abilitazione, i tempi e le modalità di espletamento avrebbero dovuto essere previsti da un regolamento di rettifica del decreto ministeriale n. 249 del 2010; malauguratamente i tempi del procedimento, fallito il tentativo di emanare un'ordinanza d'urgenza, non consentono pertanto l'avvio dei corsi speciali in parallelo con i percorsi ordinari. Le uniche procedure di abilitazione previste sono quelle di cui al decreto ministeriale 14 marzo 2012 i cui termini di iscrizione sono scaduti, come noto, il 4 giugno 2012;
   il Ministro interrogato non avrebbe peraltro assicurato l'avvio «immediato» delle abilitazioni anche per le tipologie di posti (infanzia, primaria, e altro) e le classi di concorso non ricomprese nei tirocini formativi attivi ordinari, con particolare riferimento alle materie artistiche: sarebbe stato ipotizzato, infatti, una attivazione parallela ai soli tirocini formativi attivi già previsti, e confermata l'ipotesi dei tre anni di servizio (180 giorni) nella stessa classe di concorso o tipologia di posto richiesta;
   in merito alla valenza del requisito del servizio, sarebbe stato prospettato un periodo limitato agli ultimi quattro anni, senza tuttavia chiarire la valutabilità del servizio prestato su posto di sostegno;
   ai sensi del decreto ministeriale 5 maggio 2011, n. 44, ai fini del conferimento del punteggio, bisogna distinguere tra servizio svolto in possesso del titolo di sostegno e servizio svolto in mancanza del diploma di specializzazione, nonché tra servizio svolto con reclutamento dalla propria area di appartenenza e servizio svolto in seguito all'individuazione da graduatorie incrociate;
   l'articolo 6, comma 1, del suddetto decreto ministeriale recita: «Il servizio su posto di sostegno, se prestato con il possesso del diploma di specializzazione, è valutato con punteggio intero in una delle classi di concorso o posto di insegnamento comprese nell'area disciplinare di appartenenza, a scelta dell'interessato»;
   altro problema relativamente opaco riguarda la richiesta di preadesione da parte dei sovrannumerari ad un corso di abilitazione per il sostegno «on line» di circa 450 ore, a fronte del percorso formativo universitario, con esami di didattica speciale e per l'integrazione, di area psicologia, psicopatologica e dello sviluppo, nonché dell'area normativa dedicata alla disabilità, supportati da numerosi laboratori applicativi e da un compiuto percorso di tirocinio, che gli insegnanti specializzati hanno dovuto seguire;
   questi ultimi, se non ancora di ruolo, rischiano di essere scavalcati dai docenti curriculari, riconvertiti su posto di sostegno, perdendo così il lavoro che hanno scelto di svolgere e per il quale si sono adeguatamente formati –:
   alla luce delle problematiche esplicitate in premessa, in previsione dell'approvazione del citato regolamento riservato ai docenti non abilitati, con servizio, se non ritenga opportuno consentire ai docenti di sostegno che hanno seguito le procedure di abilitazione in corso, la facoltà di esercitare anche successivamente l'opzione relativa alla classe di concorso alla quale accedere «direttamente», senza preselezione, ai fini della formazione in aula e all'esame finale;
   se non ritenga altresì opportuno assumere iniziative per prevedere misure cautelative nei confronti dei docenti di sostegno che hanno seguito un elaborato e lungo percorso specialistico «universitario e a pagamento», maturando anni di servizio e competenze nel campo della disabilità cognitiva, anche al fine di scongiurare dannose discriminazioni e percorsi formativi insufficienti, miranti «esclusivamente» a salvaguardare docenti curriculari soprannumerari, con grave pregiudizio degli studenti disabili. (5-08698)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si è svolto il concorso per la scuola, il primo dopo 13 anni. Al termine delle prime due sessioni delle prove preselettive sono oltre il 66 per cento i bocciati sui primi 69mila partecipanti al test. I partecipanti alle prove, finora, sono stati 69.037, cioè il 79,7 per cento dei candidati previsti. Di questi, hanno superato la prova in 23.285, il 33,7 per cento. Complessivamente, i candidati attesi alle prime due sessioni erano invece 86.723;
   la maggior parte degli aspiranti, ha fallito la prova composta da 50 quesiti proposti su computer, unici per tutti i posti e le cattedre messe a bando. Il tempo a disposizione per rispondere è di 50 minuti, al termine dei quali ogni candidato visualizza il risultato conseguito sulla postazione assegnata. Per il superamento della preselezione è necessario conseguire un punteggio non inferiore a 35/50;
   dai primi risultati risulta che il 33,7 per cento di ammessi sono positivi: La quota degli ammessi supera il 30 per cento;
   però la maggior parte dei candidati boccia il test. Queste alcune dichiarazioni degli esaminati in una delle 100 scuole romane che hanno ospitato le selezioni: «Domande a tratti banali, certamente poco adatte per selezionare futuri insegnanti», «Ho preso 46 su 50 al test. Sono passata, ma sono delusa dalla preselezione. Non permette di selezionare chi ha una reale aspirazione, di differenziarlo da chi ci prova e basta. Le mie domande di italiano erano banali, matematica e lingue più complesse. In tanti sono venuti a tentare. Li capisco, oggi c’è fame di lavoro. Ma che docenti saranno?». Chi è stato bocciato resta deluso. Al di fuori di una delle sedi di esame un capannello di escluse che nella vita, paradossalmente, fanno le insegnanti, si confronta a fine prova sulle domande. «Vabbé – si consolano – almeno restiamo in graduatoria. Ormai è andata»;
   le sessioni di prova del test preselettivo del concorso continuano. I candidati sono oltre 320.000, per soli 11.542 posti a disposizione, dalla scuola dell'infanzia alle superiori. Coloro che supereranno la prova di preselezione saranno ammessi alle successive prove, scritte e orali. Le prime nomine in ruolo dei vincitori del concorso saranno fatte già a partire dal prossimo anno scolastico –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se non intenda verificare la congruità delle domande contenute nei test, al fini di ottenere una selezione efficace ed efficiente del personale docente, spina dorsale del futuro paese poiché sono i cittadini che hanno l'onore e l'onere di formare i cittadini del futuro. (4-19186)


   CICCANTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i docenti di «trattamento testi e dati» (classe di concorso A076), come anche i docenti di «dattilografia» (classe di concorso A075), sono da oltre 10 anni di fatto impegnati nell'insegnamento delle tecnologie informatiche, sistemi operativi e software applicativi negli istituti tecnici e professionali per il commercio;
   con la riforma degli istituti tecnici e professionali del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'insegnamento di tali materie, che dovrebbe essere compito delle predetti classi di concorso – causa la soppressione della dicitura di detti insegnamenti nei corsi di studi anzidetti – è di fatto svolto dalla classe di concorso A042; ciò ha comportato il paradosso che una docente di ruolo della provincia di Pesaro, da molti anni nella classe di concorso A075, essendo stata individuata soprannumeraria ed avendo presentato domanda di passaggio dalla classe A075 alla classe A076, pur in presenza di posti disponibili, non ha ottenuto tale passaggio su un posto che verrà occupato invece da docente «non di ruolo» della classe di concorso A042 –:
   come si pensi di sanare tale situazione paradossale che preclude ad una insegnante di ruolo il passaggio alla cattedra per la quale è abilitata, negandole il diritto al posto di lavoro cui avrebbe diritto, assegnandolo invece ad un docente «non di ruolo» di un'altra classe di concorso, solo perché nella riforma non sono stati menzionati gli anzidetti insegnamenti. (4-19187)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MONTAGNOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la spesa per le pensioni di invalidità in Italia secondo i dati Ocse si aggira dai 2 ai 4 miliardi di euro; negli ultimi anni si è proceduto in modo significativo ad un controllo delle varie situazioni –:
   quante siano state le verifiche e le revoche relative agli anni 2011 e 2012 suddivise per regione. (4-19194)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'evasione fiscale e contributiva è una delle piaghe peggiori del nostro Paese –:
   quale sia il numero delle ispezioni e il numero di lavoratori non in regola, suddivisi per regione, scoperti dalla Guardia di finanza e dagli ispettorati del lavoro, relativamente agli anni 2011 e 2012.
(4-19195)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa si apprende che tutti, ma proprio tutti, i 188 dirigenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sono stati premiati con il massimo punteggio dei voti e hanno ricevuto il premio; è quanto mai strano che in un Ministero in cui, ad avviso dell'interrogante, si sbagliano facilmente i conti, come nel caso degli «esodati», siano tutti così bravi nel proprio lavoro –:
   quali siano i criteri adottati e se non si ravveda l'assoluta necessità di applicare delle regole di più effettiva meritocrazia.
(4-19202)


   DI BIAGIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'avvocatura di Stato di Zurigo ha accertato un considerevole ammanco di capitale ai danni di italiani residenti all'estero, causato da operazioni truffaldine operate dal direttore del patronato Inca Cgil di Zurigo;
   alla luce delle denunce e dell'inchiesta sono circa un centinaio le famiglie coinvolte in questa grave truffa, per un danno che ammonta a circa trenta milioni di franchi svizzeri;
   l'ammanco e le irregolarità amministrative ad esso legate sarebbero risultate imputabili al signor Antonio Giacchetta direttore del suddetto patronato e membro della federazione dei socialisti italiani nella Confederazione;
   stando all'accusa il signor Giacchetta avrebbe sottratto le risorse ai connazionali residenti nel territorio svizzero, che si sarebbero rivolti al patronato al fine di ottenere l'assistenza per il disbrigo delle pratiche in materia di previdenza complementare;
   il signor Giacchetta, nella sua veste di responsabile del patronato, avrebbe funto da intermediario tra le compagnie di assicurazione, che in Svizzera gestiscono il trattamento di fine rapporto e il lavoratore, disponendo completamente dei risparmi che i connazionali avevano accumulato in anni di duro lavoro, appropriandosene indebitamente e falsificando firme e documenti;
   al fine di far fronte alle dinamiche processuali e alla tutela dei propri diritti, è andato costituendosi un Comitato difesa famiglie (CDF) che raggruppa tutte le famiglie coinvolte nella truffa del patronato;
   soltanto nel 2009 l'Inca Cgil decise di interrompere il rapporto di lavoro con Giacchetta, provvedendo a segnalare le operazioni truffaldine alla procura di Zurigo;
   tra giugno e luglio del 2009 Giacchetta ha subito due arresti a seguito di truffe: la detenzione tuttavia, ha avuto una durata di pochi giorni;
   alla fine del 2009 emerse che il conto bancario del signor Giacchetta, dove erano confluiti parte dei proventi delle operazioni truffaldine, era stato prelevato da sconosciuti senza che vi fossero stati dei controlli preventivi da parte della banca e delle autorità competenti: controlli doverosi essendo l'intestatario oggetto di precise accuse nonché denunciato presso la procura di Zurigo;
   sul fronte dell'ordinamento svizzero al momento risulta evidente una condizione di impasse, che non consente il prosieguo dell’iter procedimentale e che lascia sostanzialmente impunito l'autore della maxitruffa;
   nel corso degli ultimi anni è proseguito l’iter del procedimento giudiziario che coinvolge l'Inca Cgil in Svizzera e le famiglie dei truffati. Avendo perso la causa contro dieci pensionati alla prima istanza, l'Inca Cgil ha ritenuto di procedere in appello, circostanza per la quale la corte d'appello di Zurigo avrebbe chiesto al patronato il pagamento di una cauzione;
   in merito a tale istanza di appello contro la sentenza di condanna della 4° sezione del tribunale distrettuale di Zurigo, la corte d'appello avrebbe stimato l'ammontare della cauzione per due dei casi in questione, rispettivamente a 7.200 franchi svizzeri (per la causa numero LB 120092-o/Z01, processo CG100200) e 16.000 franchi svizzeri (per la causa numero LB 120092-oZO1, processo CG110005). Si stima che la cauzione totale, per l'appello contro le dieci sentenze di condanna, si attesterebbe su ammontare di circa 100.000 franchi svizzeri, pari a circa 85.000 euro;
   tale circostanza desta molte perplessità sotto molteplici aspetti: in primo luogo le famiglie dei cittadini truffati si stupiscono nel riscontrare che, mentre per molti anni l'Inca Cgil di Zurigo ha affermato di non avere mezzi finanziari a disposizione e ha negato loro la possibilità di ottenere la restituzione della pensione illegalmente sottratta dal signor Giacchetta, attualmente il patronato provvede a sostenere il pagamento della citata cauzione, caratterizzata da una considerevole somma di denaro, per continuare a negare ai nostri concittadini il proprio diritto;
   un ulteriore aspetto di perplessità è dovuto al fatto che, se la provenienza della somma di denaro in questione è, come sembra, da attribuire ad un sostegno da parte della sede centrale dell'Inca Cgil in Italia, si determinerebbe la paradossale situazione in cui il patronato abbia utilizzato del denaro pubblico proveniente dal finanziamento ex articolo 13 della legge n. 15 del 2001, per pagare la somma richiesta per un provvedimento di appello contro cittadini italiani già vessati dal patronato stesso delineando a giudizio dell'interrogante un ipotetico abuso di fondi pubblici –:
   se non intendano adottare ogni iniziativa di competenza al fine di garantire che l’iter procedimentale a carico del signor Giacchetta possa proseguire dovutamente, evitando che l'autore della maxitruffa rimanga impunito;
   se risulti quale sia la provenienza del denaro utilizzato dal patronato Inca Cgil per procedere nella causa di appello presso la corte d'appello di Zurigo;
   quali iniziative intendano predisporre al fine di garantire, nell'ambito delle proprie competenze, che ai nostri concittadini vittime della maxitruffa sia riconosciuta la massima assistenza e tutela ai fini della restituzione delle somme illegalmente sottratte. (4-19209)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CALLEGARI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la raccolta illegale di legname e il relativo commercio rappresentano un fenomeno in costante crescita che interessa oltre il 10 per cento del prodotto commercializzato su scala mondiale, con gravissime conseguenze non solo sul piano economico, privando i governi e i produttori di una importante fonte di reddito, ma anche su quello ambientale, posto che il taglio illegale non prevede tecniche compatibili con il concetto di selvicoltura sostenibile;
   nel maggio del 2003 la Commissione europea ha proposto un piano d'azione in materia di attuazione della legislazione forestale, la governance e il commercio di legname, al fine di affrontare e risolvere in maniera congiunta la problematica relativa al commercio illegale di legname;
   la strategia messa a punto dall'Unione europea si articola intorno a due importanti provvedimenti, il regolamento 2173/2005, noto come Forest Law Enforcement, Governance and Trade – FLEGT, e il regolamento n. 995 del 2012, noto anche come timber regulation;
   secondo quanto disposto dai suddetti regolamenti relativamente alla individuazione di una Autorità competente nazionale, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, è stato individuato quale soggetto idoneo allo svolgimento di tale incarico e pertanto ad esso è attribuito il compito di effettuare i controlli merceologici e verificare la validità delle licenze commerciali che accompagnano le partite di legname in arrivo nelle dogane appositamente abilitate, nonché di coordinarsi con la Commissione europea per gli aspetti normativi finalizzati all'applicazione della normativa comunitaria;
   la competenza in merito alla applicazione dei regolamenti FLEGT e Timber dovrebbe tuttavia essere posta in capo alle regioni, in quanto costituzionalmente titolari della materia forestale per gli aspetti concernenti la funzione economico-produttiva del bosco, fermo restando la competenza esclusiva dello Stato sulla funzione ambientale;
   l'attribuzione a soggetti diversi dalle regioni della funzione di autorità competente potrebbe complicare l'attuazione della normativa comunitaria nella misura in cui le regioni sono già titolari di alcune competenze rilevanti in materia forestale, quali l'autorizzazione ai tagli boschivi, e potrebbe verificarsi il caso in cui, pur in presenza di tagli legittimi, ossia regolarmente autorizzati, si possa incorrere in sanzioni amministrative emanate ai sensi delle prescrizioni di massima e di polizia forestale a fronte di un errore nella realizzazione pratica della operazione di abbattimento –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto sommariamente espresso in premessa e se non ritenga opportuno che l'applicazione dei regolamenti FLEGT e Timber sia demandata alle regioni, in ragione delle competenze che la Costituzione riserva loro in materia forestale, anche al fine di evitare che l'errore nella conduzione operativa e pratica delle operazioni di abbattimento delle piante, nell'ambito di una utilizzazione boschiva comunque autorizzata, possa configurarsi automaticamente come taglio boschivo illecito. (5-08697)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   DI PIETRO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) è un ente pubblico di ricerca vigilato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che – secondo l'osservatorio scientifico Science Watch – si colloca al terzo posto su 7675 enti per produttività scientifica in ambito geofisico;
   l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, attraverso il suo sistema di monitoraggio sismico, vulcanico e ambientale – con 3 sale operative attive 24 ore su 24 presso le sedi di Roma, Napoli e Catania – svolge un ruolo strategico a supporto del dipartimento di protezione civile;
   l'alta qualità della ricerca svolta all'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia è dovuta all'indispensabile contributo del personale precario, la cui formazione è costata alla pubblica amministrazione decine di milioni di euro e che analoghi enti di ricerca stranieri sarebbero ben lieti di accogliere;
   circa il 40 per cento del personale, in alcuni casi con esperienza quasi ventennale, lavora con contratti a termine che scadranno, per più della metà, il 31 dicembre 2012;
   oltre alla perdita del posto di lavoro, il mancato rinnovo dei contratti avrà serie e inevitabili ripercussioni anche sul sistema di monitoraggio, con il rischio di un graduale ritorno a una condizione simile a quella dei terremoto dell'Irpinia del 1980 quando non fu possibile dare con la dovuta tempistica e precisione l'epicentro della catastrofe per consentire i soccorsi immediati nelle aree maggiormente devastate. Attualmente la rete sismica nazionale, creata e gestita dall'INGV, fornisce entro 5 minuti dal terremoto le informazioni necessarie al dipartimento di protezione civile per definire le strategie di intervento in emergenza. Analogamente, nelle aree vulcaniche attive italiane sono operativi Sistemi di sorveglianza in collegamento costante con la protezione civile per la riduzione del rischio vulcanico;
   a tale possibile degrado si affiancherebbe la perdita dei qualificati contributi scientifici di scienziati, tecnici e amministrativi dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia in grado di attrarre in Italia, ogni anno, decine di milioni di euro con progetti internazionali in tutti i settori della Geofisica, con cui si finanzia la ricerca stessa dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia;
   il 10 dicembre 2012 si è tenuto uno sciopero nazionale del personale dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia a seguito della sospensione – unilaterale essenza alcuna giustificazione di tipo normativo o economico – da parte del consiglio di amministrazione e della direzione dell'ente, dell'Accordo sindacato di ente, siglato a luglio 2012 che avrebbe consentito il rinnovo quadriennale dei contratti del personale a tempo determinato in scadenza al 31 dicembre 2012 –:
   se non ritengano, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, che sia opportuno intervenire al fine di salvaguardare una risorsa d'eccellenza quale è il personale dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. (4-19191)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAROFALO. — Al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, prevede, al fine di favorire l'accesso alla titolarità delle farmacie da parte di un più ampio numero di aspiranti, aventi i requisiti di legge, nonché di sostenere le procedure per l'apertura di nuove sedi farmaceutiche, l'istituzione di un concorso straordinario da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, per l'assegnazione delle sedi farmaceutiche disponibili di cui al comma 1 del medesimo articolo e di quelle vacanti;
   l'interrogante rileva che, mentre alcune regioni, in considerazione delle prerogative e delle competenze previste dall'ordinamento vigente, che attribuisce agli enti locali le procedure per l'espletamento, hanno provveduto a pubblicare i bandi per il concorso straordinario, altre invece non hanno ancora adempiuto, nonostante il medesimo comma 1 dell'articolo 11 indichi il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione per il compimento;
   il suddetto articolo 11 stabilisce, inoltre, che il concorso straordinario si svolga sulla base della valutazione per soli titoli posseduti dai candidati e che fra i requisiti previsti per accedere al bando sia necessaria l'iscrizione all'Ordine dei farmacisti;
   l'interrogante segnala, inoltre, come i bandi del concorso straordinario pubblicati sino ad oggi, ad esclusione di alcune regioni del Mezzogiorno, che non hanno ancora provveduto all'avviso, riconoscono per la valutazione dei titoli di studio e di carriera un punteggio supplementare a coloro i quali, sono in possesso di una seconda laurea relativa alle seguenti discipline: medicina, scienze biologiche, veterinaria e chimica;
   l'esclusione dai bandi di concorso straordinario, del punteggio attribuito e conseguente al possesso della seconda laurea in scienze naturali, può, ad avviso dell'interrogante, costituire una incomprensibile disparità di trattamento tra i farmacisti che possiedono il titolo previsto dall'articolo 11 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e quelli invece in possesso della seconda laurea in medicina, scienze biologiche, veterinaria e chimica;
   ove fosse preclusa ogni possibilità di estendere il beneficio anche ai candidati in possesso della medesima seconda laurea, tale decisione potrebbe determinare una serie di contenziosi amministrativi con un conseguente e prevedibile spreco di risorse pubbliche –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, tra le discipline esposte in premessa, possa considerarsi inclusa, anche la laurea in scienze naturali equiparata con decreto interministeriale del 9 luglio 2009 alla laurea specialistica della classe 68/S (decreto ministeriale n. 509 del 1999) e riconosciuta con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica, n. 270 del 22 ottobre 2004, ed alla laurea magistrale della classe LM/60 (decreto ministeriale n. 270 del 2004) e quali iniziative di competenza si intendano assumere a tal fine. (4-19199)


   CONTENTO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   notizie di stampa hanno annunciato una serie di controlli generalizzati in tutti i nosocomi italiani a partire dalle prossime settimane volti a rivedere gli stati di inabilità al servizio tra il personale infermieristico (trattasi di quanti hanno lamentato delle patologie dopo l'assunzione e sono stati pertanto assegnati ad altre mansioni);
   la notizia sta suscitando scalpore atteso che sono emerse situazioni concrete tra loro molto divergenti;
   alcuni operatori interessati a provvedimenti di inabilità denunciano, infatti, di continuare a svolgere i compiti a loro formalmente interdetti, altri avrebbero intentato azioni civili e penali nei confronti dei vertici ospedalieri, altri ancora segnalano anomale punte di colleghi non idonei con reparti poco funzionali a causa di tali limitazioni nelle mansioni –:
   se disponga di dati relativamente al numero complessivo degli operatori paramedici dichiarati parzialmente inidonei al servizio e assegnati a mansioni diverse da quelle del contratto di assunzione.
(4-19207)


   CICCANTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia opera dagli anni ’60 l'Istituto nazionale ricerca e cura per anziani (INRCA) con 5 sedi di attività: Casatevovo (Lecco), Roma, Cagliari, Ancona, Fermo e Cosenza;
   l'attività di detto istituto è finalizzata alla ricerca e cura rivolta esclusivamente agli anziani, quindi con presidi ospedalieri specializzati in geriatria;
   stante il tendenziale invecchiamento della popolazione, l'operatività di strutture sanitarie come questa svolge il duplice compito di un'assistenza sanitaria integrativa ai sistemi sanitari regionali con recupero di costi nell'appropriatezza dei ricoveri ospedalieri e di un'assistenza specializzata nelle patologie proprie dell'anziano, con la definizione di modelli di intervento, sia nella lungodegenza e sia nella riabilitazione, con alti indici del rapporto qualità/costo, che diventano significativi come riferimento di costi standard;
   in alcune regioni (Lazio, Sardegna e Calabria) è risultato difficile l'inserimento dell'INRCA nel servizio sanitario regionale, determinandone la marginalità e la conseguente caduta di produttività, diversamente da altre regioni (Marche) dove, invece, ha svolto un eccellente lavoro di integrazione;
   a quanto consta all'interrogante sarebbero state, pertanto, accumulate negli anni, notevoli perdite di gestione nelle regioni del Lazio, Sardegna e Calabria –:
   quale sia la situazione economica dell'INRCA e se trovino conferma le citate problematiche di gestione;
   se intenda assumere ogni iniziativa di competenza volta a mantenere e potenziare strutture di eccellenza come l'istituto di ricovero e cura a carattere scientifico INRCA, valorizzandone l'esperienza e le competenze scientifiche acquisite nella cura e ricerca delle patologie degli anziani;
   quale posizione abbia espresso il Ministro, per il tramite del suo rappresentante nel consiglio di indirizzo e verifica dell'ente, in relazione alle problematiche che l'istituto sta incontrando in alcune regioni italiane e se abbia ipotizzato iniziative per risolvere tali problematiche. (4-19218)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE PASQUALE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15, comma 11-bis, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, previsto che il medico che curi un paziente, per il cui trattamento sono disponibili più medicinali equivalenti, è tenuto ad indicare nella ricetta del Servizio sanitario nazionale la sola denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco;
   dal settore viene segnalato che tale obbligo sta spostando massicce quote di mercato a favore dei farmaci generici (in grandissima parte prodotti all'estero in Paesi emergenti), a scapito dei prodotti con marchio (di cui il nostro Paese è il secondo produttore europeo, dopo la Germania), senza che lo Stato risparmi neanche un centesimo dal momento che è dal 2001 che lo Stato, qualunque sia il farmaco prescritto, rimborsa solo fino a concorrenza del prezzo più basso disponibile e l'eventuale differenza la paga liberamente il paziente debitamente informato da medico e dal farmacista dell'esistenza di una alternativa gratuita;
   tale intervento sta danneggiando molte imprese che da anni investono sul territorio in innovazione, ricerca e produzione;
   la riprova che questa norma distorce la concorrenza è data anche dai vistosi cali di vendita persino di quei prodotti con marchio (originali, con brevetto scaduto), che vengono venduti da anni al «prezzo di riferimento», e cioè al prezzo più basso disponibile;
   dal dibattito ormai avviato nel settore è emerso anche che la presunta «identicità» tra i generici e i farmaci originali è tutt'altro che inequivocabilmente e scientificamente dimostrata. Non esiste infatti identità, ma bioequivalenza, ma il fatto che prodotto origine e generico siano definiti bioequivalenti, ammettendo per legge una variabilità che va dall'80 per cento al 125 per cento, non significa che possono andare bene sempre e comunque a tutti. Questo imporrebbe di lasciare al medico la valutazione clinica di cos’è meglio per il singolo paziente ed al paziente la decisione consapevole se spendere mediamente 90 centesimi in più per curarsi con il farmaco originale –:
   se il Ministro interrogato non intenda svolgere uno studio sulle ricadute in termini di costi-benefici derivanti dall'introduzione della norma succitata, anche in relazione alle possibili ricadute occupazionali di tale norma sulle produzioni in Italia e per la salvaguardia di molti studi di settore già avviati. (5-08700)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il processo di razionalizzazione messo in atto dalla società Poste Italiane spa ha portato negli ultimi anni alla chiusura di numerosi uffici postali in diverse aree del territorio nazionale;
   sembra imminente anche la chiusura degli uffici postali di Cassone, Castione, San Briccio, Spiazzi, Cisano, Prun, Cavalo, Dolcè, Gargagnano, Pesina, Correzzo, Perzacco, San Pietro in Valle, Spinimbecco Custoza, Albaro, Tombasozana, Terrosa, Rosegaferro, Asparetto, Carpi, Lughezzano, Cellore, San Vittore di Colognola e Marano di Valpolicella, tutti della provincia veronese;
   la chiusura di tali uffici comporterà enormi disagi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a frequenti e difficili spostamenti, senza considerare il fatto che nei piccoli centri, dove non è presente neanche una banca, l'ufficio postale rappresenta un centro aggregante, oltre che funzionale;
   il contratto di programma tra lo Stato e Poste Italiane spa per l'espletamento del servizio postale universale prevede, quale dovere per la società, quello di conseguire determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste –:
   come il Ministro intenda intervenire, anche favorendo una concertazione fra la direzione di Poste Italiane spa e le amministrazioni locali, per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste Italiane spa arrechino disagi agli abitanti di tali paesi, al fine di garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità nel rispetto dell'accordo per l'espletamento del servizio postale universale.
(4-19196)


   DI PIETRO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il settore high tech a Genova comprende 150 aziende con 14.000 addetti e che le previsioni del Dixet – distretto elettronica e tecnologie avanzate – club d'imprese sono di arrivare a quota 190 aziende nel 2021 con un incremento occupazionale di 7.000 unità (di cui 5.000 nel parco scientifico e tecnologico degli Erzelli);
   nel libro bianco Dixet «Genova 2021 – Il ruolo strategico della tecnologia – dicembre 2011» il Parco degli Erzelli è indicato come «volano decisivo per la crescita dell'industria high tech nel prossimo decennio» ed è sottolineata l'importanza strategica per la buona riuscita dell'operazione la presenza di Ericsson Telecomunicazioni Spa;
   secondo l'indagine Dixet – Confindustria Genova pubblicata a febbraio 2012 il comparto dell'alta tecnologia ha registrato un incremento del 2,2 per cento nel fatturato tra il 2010 e il 2011 con previsione di crescita del 6,6 per cento per il 2012 e un aumento dei dipendenti del 4,2 per cento (2010-2011) con un previsto per l'anno in corso dell'1,1 per cento;
   il 19 maggio la regione Liguria, il comune e provincia di Genova, insieme con i Ministeri dello sviluppo economico e dell'istruzione, dell'università e della ricerca hanno firmato con la multinazionale svedese Ericsson Telecomunicazioni spa l'accordo di programma che prevede un finanziamento complessivo di 41,9 milioni di euro (11 milioni di regione Liguria di cui 5,3 quale contributo alla spesa e 5,7 in forma di credito agevolato a valere sull'asse 1 – misura 1.1 del POR-FESR 2007-2013; 24 milioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di cui circa 5 milioni a titolo di contributo e circa 19 milioni come credito agevolato; 6,9 milioni del Ministero dello sviluppo economico, di cui circa 4,6 milioni quale contributo alla spesa e 2,3 milioni come contributo in conto interessi) per la realizzazione del nuovo centro di ricerca e sviluppo di apparati e sistemi di telecomunicazione dell'azienda all'interno del parco scientifico e tecnologico di Erzelli del costo complessivo previsto pari a 73,3 milioni di euro;
   tali fondi verranno erogati alla presentazione dei primi progetti di ricerca che la Ericsson presenterà (in parte dopo tre mesi dall'accordo, presentazione già avvenuta da parte di Ericsson e in parte alla fine del 2013);
   l'importo di 41,9 milioni di euro stanziati per i progetti da sviluppare nel nuovo polo tecnologico di Genova sarebbero dovuti essere finalizzati a potenziare la presenza di un'importante multinazionale delle telecomunicazioni sul nostro territorio, valorizzando il know-how di tecnici e ingegneri, con aspettative di crescita occupazionale per Genova;
   il nuovo polo italiano della tecnologia è stato infatti concepito con l'obiettivo di riunire l'università di Genova, le aziende e i centri di ricerca & sviluppo, creando una sinergia di competenze chiave per lo sviluppo futuro del nostro Paese;
   a Genova i ricercatori Ericsson dovrebbero, ad esempio, contribuire a costruire l’internet del futuro, le reti ultraveloci capaci di trasmettere dati a 10 terabit al secondo su fibra, le tecnologie ottiche che permetteranno di aumentare la velocità di trasmissione dati di 50.000 volte rispetto alle attuali;
   il 24 maggio del 2012 Ericsson inaugura pubblicamente, con grande risalto sui media, la nuova sede (18 mila metri quadri su 7 piani) a Genova nel villaggio scientifico degli Erzelli. All'inaugurazione partecipano l'amministratore delegato e i vertici nazionali di Ericsson Italia, oltre a varie autorità pubbliche invitate dalla società, tra cui il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando ed il sindaco di Genova Marco Doria;
   il 12 luglio 2012, a sorpresa, dopo appena circa 40 giorni dall'inaugurazione, l'Azienda ha aperto una procedura di licenziamento collettivo per 374 dipendenti, di cui 94 a Genova (di cui 40 addetti proprio nell'area ricerca e sviluppo);
   questa azienda rilevò Marconi nel 2006 quando i dipendenti erano 1150. Ad oggi, dopo ben 5 procedure di licenziamento collettivo e mobilità attuate da Ericsson in 5 anni (questa attuale è la sesta in sei anni) gli impiegati sono stati ridotti a 762 e 110 sono i dirigenti. Se Ericsson ottenesse di far uscire i 94 dipendenti dichiarati in esubero, sarebbe riuscita a dimezzare la propria forza lavoro nell'arco di 6 anni –:
   se, in quanto principali finanziatori per i progetti da sviluppare nel nuovo polo tecnologico di Genova, intendano convocare con urgenza un tavolo tecnico con la presenza di Ericsson Telecomunicazioni, la cui permanenza nel territorio genovese è strategicamente importante per la buona riuscita dell'operazione che si intende attuare nel parco scientifico e tecnologico degli Erzelli a Genova;
   se intendano fare chiarezza sul futuro desiderato da Ericsson per il sito genovese e più in generale in Italia visto che, nonostante la multinazionale svedese abbia registrato 250 milioni di euro di utili, in Europa, nel terzo trimestre del 2012, nel nostro Paese invece procede a licenziare;
   che tipo di politica industriale intenda perseguire il Governo e come ritenga di affrontare il rapporto con quelle multinazionali, a partire dalla Ericsson, che in mancanza di adeguati controlli, non intendono minimamente avere una funzione sociale sul territorio offrendo una buona e sana occupazione, ma anzi cercando di convertire quella rimasta in occupazione a tempo determinato, in consulenze esterne e quindi in forme di lavoro precario e facilmente eliminabile;
   se, in extrema ratio, non intendano ricorrere alla revoca dell'accordo di programma sui finanziamenti statali qualora l'azienda non faccia un passo indietro rispetto ai 94 esuberi annunciati, pari al 12 per cento dell'attuale forza lavoro della sede di Genova. (4-19210)


   CONTENTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   recentemente è stato depositato un esposto alla Guardia di finanza di Pordenone da parte delle amministrazioni comunali di Andreis, Claut, Barcis, Erto e Casso e Cimolais;
   nell'atto in parola viene segnalato un consumo eccessivamente elevato di gas che sarebbe stato riscontrato tra le utenze della valle, alimentata da una conduttura di distribuzione dell'Eni;
   tutto sarebbe nato da una serie di guasti alle caldaie domestiche provocati, a detta del personale tecnico, dal probabile aumento della percentuale di aria miscelata al gas combustibile (il che spiegherebbe anche le ragioni del calo di rendimento calorifero lamentato dai sindaci e dalla popolazione);
   la zona interessata al fenomeno, monitorato dai singoli utenti e amministratori a partire dalla scorsa stagione invernale, è classificata come «alpina», con ovvie ripercussioni negative per i bilanci familiari a causa di un'accensione prolungata degli impianti di riscaldamento;
   da una prima stima parrebbe che, dopo l'intervento di cui sopra, la situazione dei consumi nei comuni valcellinesi sia tornata nella media del periodo –:
   quali iniziative intenda adottare per comprendere il perché degli episodi evocati in narrativa e, nel caso in cui venga dimostrata un'effettiva miscelazione errata di aria e gas nelle condutture, se intenda intervenire, anche in qualità di azionista, presso la società di gestione per gli opportuni provvedimenti;
   se risultino segnalazioni di analogo tenore e contenuto in altre località d'Italia, avendo cura di specificare l'esito delle eventuali iniziative di controllo, anche non a carattere giudiziario. (4-19211)


   JANNONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo un'ultima indagine di mercato, gli italiani rinunciano sempre di più ai trasferimenti autostradali durante il weekend. I transiti in autostrada negli ultimi due anni sono diminuiti del 6,2 per cento fino a crollare del –9,5 per cento nel Centro-Sud. Uno dei tanti effetti collaterali della crisi economica che ha investito anche l'Europa è proprio questo: viaggiare molto meno, soprattutto, nel fine settimana, fascia per la quale Autostrade per l'Italia, il principale gestore di vie a lunga percorrenza, ha rilevato una fortissima contrazione dei passaggi di auto e moto. Il caro benzina ha fatto la sua parte. Poi la crisi, il rincaro delle assicurazioni: «tutte considerazioni ragionevoli — osserva Marco Ponti, docente di economia dei trasporti al Politecnico di Milano — che spingono a rinunciare alla gita fuori porta domenicale. E questo vale soprattutto nelle aree del centro-sud dove i redditi sono più bassi»;
   nelle aree produttive del Paese si è rinunciato meno all'autostrada. Attorno a Milano il calo dei transiti ai caselli negli ultimi due anni è stato del 5,4 per cento, inferiore al dato nazionale e sempre concentrato nel weekend. La lunghezza del viaggio medio è rimasta stabile sui 42 chilometri (contro i 62 nazionali). E così si ripropongono, perenni, gli intasamenti sull'A4 Milano-Brescia, sull'A8 Milano-Varese, sulla Lainate-Como-Chiasso e sul tratto dell'A1 tra Bologna e Milano. Stessa storia, e stesso stress, sulla tangenziale di Napoli, che con 300 mila passaggi al giorno si conferma il tratto più intasato d'Italia. Dunque, invece di usare i più ecologici treni e gli autobus, i pendolari delle grandi città continuano a sprecare ore affogati nel traffico, a causa del trasporto pubblico locale carente, dei treni regionali spesso in ritardo. In Campania, per esempio, dal 2010 a oggi l'offerta di autobus e treni si è ridotta del 30 per cento. O forse, come sostiene Ponti, «non è l'offerta di trasporto locale a mancare, ma la domanda che è debole» sostiene. Nonostante le tariffe più basse d'Europa, solo due pendolari su dieci prendono il treno. «Il 70 per cento preferisce ancora la macchina. Per comodità o abitudine»;
   osserva Ennio Cascetta, presidente del comitato scientifico della Fondazione Caracciolo dell'Aci: «Storicamente il traffico stradale segue il Pil, quindi in Italia ci aspettavamo un calo in autostrada non superiore al 2,5 per cento. Invece è stato molto più forte, segno che c’è la crisi, ma che è anche in corso un cambiamento degli stili di vita degli italiani». «Per andare da Roma a Firenze, da Bologna a Milano o da Roma a Napoli, si utilizza sempre di più l'Alta velocità, unica forma di trasporto che sta avendo percentuali di crescita a due zeri». «Proprio il turismo — sostiene ancora Cascetta — potrà segnare un recupero dei viaggi in autostrada, ma prima devono ripartire i consumi» –:
   quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di contrastare, o di limitare i rincari relativi ai carburanti, nonché al fine di sviluppare una rete di trasporti pubblici, sia locali, che nazionali, di maggiore qualità ed efficienza. (4-19213)


   CICCANTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le organizzazioni di categoria che rappresentano le piccole imprese di gestione degli impianti di rifornimento carburanti hanno proclamato e quindi attuato, nei giorni 12 e 13 dicembre 2012, uno sciopero nazionale, annunciando allo stesso tempo ulteriori forme di protesta che mettono a rischio i regolari rifornimenti sulla viabilità ordinaria e sulla rete autostradale anche nel prossimo periodo festivo;
   tutto ciò ha ingenerato e ancor più rischia di ingenerare durante le feste natalizie grandissimi disagi alla collettività, costringendo gli automobilisti a lunghe code presso gli impianti nei giorni precedenti le agitazioni;
   le organizzazioni di categoria dei gestori lamentano, attraverso comunicati diffusi dalla stampa, l'inosservanza e la violazione di leggi dello Stato (decreto legislativo n. 32 del 1998, legge n. 57 del 2001, legge n. 27 del 2012) da parte di altri soggetti operanti nel settore;
   in particolare, la categoria lamenta che le compagnie petrolifere si rifiutano da anni di rinnovare gli accordi collettivi nazionali che il legislatore ha inteso regolassero i rapporti economico-normativi tra singola compagnia e singolo gestore, allo scopo essenziale di rimediare alla sproporzione negoziale evidente tra tali soggetti e attenuare la palese dipendenza economica esistente, anche a tutela delle condizioni di mercato e di concorrenza nel settore;
   inoltre, la categoria lamenta l'aggiramento delle suddette prescrizioni di legge da parte delle compagnie petrolifere attraverso la diretta imposizione a ciascun gestore, in un rapporto cosiddetto «one to one» escluso dal quadro normativo di riferimento, di condizioni economico-normative nettamente peggiorative persino dei livelli previsti dalla negoziazione precedentemente conclusa a norma di legge, tuttora valevole e vigente e successivamente non rinnovata e adeguata;
   infine, la categoria lamenta che anche il sistema bancario, in modo particolare i soggetti che emettono la cosiddetta «moneta elettronica» e ne gestiscono i flussi e le transazioni, stia aggirando la stessa normativa che prescrive la gratuità, sia per i consumatori che per i gestori, delle commissioni applicate sulle transazioni fino a 100 euro relative al pagamento del rifornimento dei carburanti, attraverso l'imposizione di nuove ed esose condizioni per conservare il suddetto servizio;
   vale la pena sottolineare, a quest'ultimo proposito, come il legislatore abbia ritenuto di intervenire tanto eccezionalmente nella materia per evidenti ragioni di interesse pubblico, sia sul piano della sicurezza e dell'incolumità fisica di consumatori e addetti al rifornimento carburanti attraverso un progressivo contenimento dell'uso del contanti, sia sul piano dell'equità in considerazione dell'amplissimo peso fiscale sul prezzo finale dei carburanti e dell'esiguità del margine riconosciuto alle gestioni;
   tutti questi comportamenti in contrasto con le norme citate, tanto più nell'attuale crisi generalizzata e in una fase di contrazione dei consumi, hanno prodotto danni altamente significativi e di grandissimo rilievo sociale esemplarmente sintetizzati dai 300 milioni di euro di indebitamento complessivo delle piccole imprese di gestione verso il sistema bancario e le stesse compagnie petrolifere e dalla circostanza che una gestione su cinque è stata costretta ad abbandonare la propria attività negli ultimi 18 mesi;

ciò appare dare ampia testimonianza dell'altissimo grado di pericolosità e di rischio di collasso per un intero settore tanto strategico per il Paese, che garantisce il diritto alla mobilità dei cittadini e il trasporto di prodotti e beni essenziali e assicura occupazione e reddito a circa 120.000 lavoratori il cui presente, prima ancora del futuro, viene fortemente messo in pericolo da comportamenti non osservanti le norme;
   il Ministero dello sviluppo economico, chiamato ad intervenire dalle organizzazioni di categoria dei gestori, non sembra al momento esser riuscito ad offrire sufficienti garanzie né in ordine alla piena osservanza delle norme di legge oggetto delle denunce della categoria, né in ordine al rispetto degli impegni assunti e sottoscritti dalle parti in causa nella stessa sede ministeriale, il 29 luglio 2012, che erano valsi la responsabile sospensione delle agitazioni allora proclamate –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere allo scopo di scongiurare qualsiasi ulteriore agitazione che possa provocare disagi ai cittadini, di ricondurre i comportamenti dei soggetti che operano nel settore all'interno delle prescrizioni di legge, di tutelare il sistema distributivo nel suo complesso e l'integrità dei meccanismi che ne devono regolare il funzionamento secondo criteri di mercato, concorrenza, equità e non discriminazione nonché di garantire il buon funzionamento dei servizi essenziali prestati e i livelli di occupazione. (4-19219)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Bocci n. 5-08424, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Garofani.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Lenzi e Miotto n. 5-08687, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 dicembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Incecco.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Galletti n. 5-08693, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 dicembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cera.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in commissione Tommaso Foti n. 5-03685 del 28 ottobre 2010, in interrogazione a risposta scritta n. 4-19234.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Senato accademico e il consiglio di amministrazione del politecnico di Milano, rispettivamente nelle sedute del 15 dicembre 2011 e del 20 dicembre 2011, hanno approvato le linee strategiche di ateneo 2012-2014;
   a seguito di tale approvazione, nella seduta del 23 gennaio 2012, il Senato accademico del politecnico di Milano ha deliberato le prime azioni sulla cosiddetta internazionalizzazione, predisponendo le risorse per farvi fronte, al fine di rendere obbligatorio – senza alternative – l'insegnamento nella lingua inglese di tutti i corsi di laurea magistrale a partire dall'A.A. 2014;
   tali decisioni, per l'impatto che hanno sulle professioni, sul mercato, sull'economia, sul diritto del lavoro e sui diritti linguistici, travalicano i confini di competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   tali provvedimenti, nella parte in cui impongono l'uso esclusivo della lingua inglese per l'erogazione dei corsi di laurea magistrali risultano di fatto una «inglesizzazione» e non un'internazionalizzazione che, comprimendo la libertà di scelta di docenti e studenti e il pluralismo dell'offerta formativa, sono, ad avviso degli interroganti, in contrasto con l'articolo 33 della Costituzione, che recita: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento»;
   si lede, secondo gli interroganti, il fondamentale principio di uguaglianza, di cui all'articolo 3 della Costituzione, nella misura in cui introduce un criterio di discriminazione su base linguistica, con effetti sicuri, anche se non del tutto prevedibili e governabili, sulle carriere del personale docente e su quelle degli studenti;
   ciò è in contrasto altresì con l'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione il 7 dicembre 2000 e resa giuridicamente vincolante per gli Stati membri dall'articolo 6 del TUE, come consolidato dal trattato di Lisbona, che prescrive in modo molto chiaro: «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, (...) sulla lingua (...)»;
   le delibere in questione paiono agli interroganti di dubbia legittimità perché non in linea con l'articolo 271 del regio decreto del 31 agosto 1933, n. 1592, il quale dispone che «la lingua italiana è lingua ufficiale dell'insegnamento e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari». Tale norma, pur dopo le tante riforme che hanno interessato l'università, non è mai stata abrogata ed è certamente ancora oggi vigente e rafforzata là dove si afferma che la conoscenza della lingua italiana è presupposto per accedere all'università e per ottenere qualsiasi titolo universitario (decreto ministeriale n. 270 del 2004);
   le delibere contestate non sono aderenti al dettato dell'articolo 1 della legge n. 842 del 15 dicembre 1999, che recita che la lingua ufficiale della Repubblica e l'italiano;
   le delibere contestate finirebbero per stravolgere il senso dell'articolo comma 2, lettera l) della legge n. 240 del 2010, il quale, nel promuovere l'internazionalizzazione dell'università, mira a promuovere l'integrazione fra le culture – e non a imporne una, neppure la propria, a scapito delle altre – e, non a comprimere ma ad ampliare l'offerta formativa;
   non è condivisibile l'idea che ciò sia fatto in nome della qualità e dell'eccellenza, essendo, al contrario, evidente che l'insegnamento nella lingua madre sia di qualità superiore di quello impartito in una lingua diversa;
   tra pochi anni ci sarà una forte carenza di figure professionali di alta formazione, in ingegneria, architettura e disegno industriale, in grado di conoscere il lessico professionale italiano e di comunicare con i connazionali e con le amministrazioni locali nella lingua madre. Si tratta di un danno enorme che risulterà prodotto dalle stesse università statali;
   tra pochi anni mancheranno docenti liceali adeguatamente preparati per insegnare in lingua italiana materie tecniche e scientifiche alle giovani generazioni, strategiche per lo sviluppo del Paese;
   la lingua madre è, per elezione, la lingua della formazione perché ad alta definizione, mentre il cosiddetto «inglese basico» usato nei corsi in lingua inglese al politecnico e altrove, è una lingua povera, a bassa definizione, ideologicamente propugnata da chi si prefigge di dislocare all'estero servizi e manifatture, non per introdurre i giovani alla cultura anglosassone più alta;
   il Ministro interrogato ha dichiarato che la scelta delle autorità accademiche del politecnico di Milano «è un esempio per tutta l'Italia», invitando nella sostanza a imporre l'obbligo della lingua inglese a tutte le altre università;
   circa 1/3 del personale docente del politecnico di Milano, in varie forme, si è espresso esplicitamente contro l'obbligo della lingua inglese e la rinuncia alla lingua madre;
   la sostituzione della lingua italiana con quella inglese, oltre che un attentato ai diritti linguistici dei giovani italiani, prefigura ed agevola il disegno scissionista dell'Italia, facendo venire meno il cemento linguistico del Paese;
   in Gran Bretagna non s'insegna alcuna lingua straniera dal 2004, consentendo risparmi sul fronte istruzione che ammontano a 18 miliardi di euro l'anno. Per contro, l'apprendimento della lingua inglese agli italiani costa 60 miliardi di euro l'anno e nell'Unione europea 350 miliardi di euro annui. Pertanto, oltre al risparmio in bilancio per le spese d'istruzione delle lingue straniere, il Regno Unito riceve circa 900 euro pro capite annui in modo indiretto dai cittadini italiani. Supponendo un periodo di vent'anni ad un tasso di interesse del 10 per cento si arriva ad un totale di 55.000 euro per persona;
   i privilegi linguistici assicurati ai madre lingua inglese dall'università influenzano altresì la competitività negativamente e a danno dei cittadini italiani che vengono ostacolati anzitutto linguisticamente per entrare nel mercato europeo delle professioni che dovrebbe essere aperto e in libera competizione (articolo 4 consolidato dei Trattati UE);
   l’«inglesizzazione» è un processo di occupazione globale da tempo messo in atto dalle principali potenze anglofone, perché, come esplicitamente ebbe a dire Churchill agli studenti di Harvard nel 1943, «dominare la lingua di un popolo offre guadagni di gran lunga superiori che non il togliergli province e territori o schiacciarlo con lo sfruttamento. Gli imperi del futuro sono quelli della mente». Con l'ovvia conseguenza che la cessione unilaterale di sovranità linguistica equivale alla cessione di suolo italiano;
   le università francesi non sono capitolate sotto la germanofonia nemmeno nella Repubblica di Vichy, con la Francia occupata dai nazisti, mentre si comincia a veder capitolare intere facoltà e, ora a Milano un'intera università, sotto quella che appare agli interroganti un’«occupazione linguistica» inglese;
   per lo sviluppo, anche economico, dell'Europa vi è l'indubbia necessità di una lingua federale che rilanci gli scambi e la mobilità non discriminando tra cittadini europei di madrelingua inglese e non;
   dal 1995 giace inattuato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca uno studio particolareggiato (pubblicato sul Bollettino Ufficiale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 21-22/1995 insieme alla circolare ministeriale 126 che lo accompagnava) sulla positività di promuovere nel modo più rapido possibile la sperimentazione della lingua internazionale (detta Esperanto) nella prospettiva di avere una lingua federale europea alla portata di tutti, senza discriminazioni e patrimonio comune dell'umanità –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e quali iniziative intenda assumere;
   se non reputi opportuno far sì che presso ogni scuola d'ordine e grado della Repubblica, si mantenga l'uso insostituibile della lingua nazionale;
   se il Governo, dopo 17 anni, e con il sistema d'insegnamento italiano alle soglie della completa colonizzazione anglofona intenda finalmente dar seguito alle promozioni, valorizzazioni e sperimentazioni della lingua internazionale (detta Esperanto) così come prefigurato nello studio summenzionato;
   se il Governo intenda valorizzare il summenzionato studio con i partner europei, avviando immediatamente le prove di lingua federale europea attraverso una sperimentazione comunitaria della lingua internazionale;
   se il Governo intenda avviare immediatamente uno studio economico che, oltre a dettagliare il risparmio per l'Italia e l'Europa dello «scenario Esperanto» stimato in 25 miliardi annui (Grin, «L'insegnamento delle lingue straniere come politica pubblica»), ne approfondisca altresì gli effetti e i guadagni per la crescita e lo sviluppo sia in chiave interna ed europea che mondiale, in considerazione del fatto che, così come molti Paesi avevano cominciato ad adottare l'euro sostituendolo al dollaro per le transazioni internazionali riconoscendogli il ruolo antinazionalista e sovranazionale, a maggior ragione essi adotteranno l'Esperanto in virtù non solo dell'economicità del suo studio ed insegnamento ma, anche della sua imparzialità originaria e storica, che rappresenta un patrimonio e un diritto dell'umanità. (4-16142)

  Risposta. — Su delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si risponde, anche per conto del Ministero degli affari esteri, all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante, in relazione all'iniziativa del Politecnico di Milano di impartire corsi di laurea magistrale e dottorato di ricerca in lingua inglese, chiede interventi finalizzati a salvaguardare la lingua italiana, in modo da coniugare la necessità dell'internazionalizzazione con la garanzia a tutti gli studenti, di un libero e proficuo accesso allo studio.
  Al riguardo si rappresenta preliminarmente che nel piano dell'offerta formativa 2012-2013 presentato al Ministero dal Politecnico di Milano e regolarmente validato è prevista la possibilità per l'ateneo di impartire solo 5 corsi di laurea magistrale in lingua inglese.
  Va evidenziato che l'annunciata iniziativa non appare in contrasto con la normativa vigente, atteso che l'articolo 2, comma 2, lettera l), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, prevede che le università, nell'adozione dei nuovi statuti, osservino alcuni vincoli e criteri direttivi tra i quali è indicato il «rafforzamento dell'internazionalizzazione anche attraverso una maggiore mobilità dei docenti e degli studenti, programmi integrati di studio, iniziative di cooperazione interuniversitaria per attività di studio e di ricerca e l'attivazione, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera» (enfasi aggiunta).
  Tale iniziativa sembra peraltro non pregiudizievole per gli studenti, ai quali verrebbe comunque consentita una scelta consapevole, e farebbe riferimento ai soli corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca, così da assicurare che l'acquisizione delle competenze di base possa avvenire in lingua italiana. In tal senso la scelta del Politecnico andrebbe dunque interpretata come un'opportunità diretta a offrire una formazione di taglio internazionale, in coerenza con gli obiettivi di un'università statale e con le richieste del contesto industriale e professionale di riferimento dell'ateneo, che ha più volte auspicato la formazione di persone capaci di operare professionalmente in lingua inglese, anche considerando che nelle discipline in cui l'ateneo è attivo (ingegneria e architettura), l'inglese rappresenta la lingua di elezione per la ricerca e l'attività professionale.
  Tale opportunità, inoltre, può costituire un importante strumento di scambio culturale attraendo giovani talenti stranieri che potranno sia contribuire al potenziamento della ricerca, sia stabilire un fruttifero legame con l'Italia.
  Per quanto riguarda la possibilità di avviare uno studio economico sull'esperanto, si fa presente che essa non è valutata come una delle lingue ufficiali dell'Unione europea e che, pertanto, non può essere considerata al momento attuale una priorità linguistica né nel nostro Paese né a livello europeo.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricercaFrancesco Profumo.


   BINETTI, NUNZIO FRANCESCO TESTA, DE POLI, CALGARO e PEZZOTTA. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   domenica 16 ottobre, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura celebrerà, come ogni anno, la Giornata mondiale dell'alimentazione per commemorare l'anniversario della sua fondazione, avvenuta il 16 ottobre 1945;
   il tema della Giornata mondiale dell'alimentazione scelto per il 2011 è «L'impatto dei prezzi sulla sicurezza alimentare». Fra il 2005 e il 2008, i prezzi mondiali degli alimenti di base hanno raggiunto i livelli più alti da 30 anni a questa parte. Negli ultimi 18 mesi del periodo considerato, il prezzo del mais è aumentato del 74 per cento mentre quello del riso è quasi triplicato, con un incremento complessivo del 166 per cento;
   sono scoppiate rivolte del pane in più di 20 Paesi. La stampa ha sentenziato la fine del cibo a buon mercato. Gli economisti ritengono che queste oscillazioni dei prezzi, verificatesi dal 2006, potrebbero ripetersi anche nei prossimi anni. In altre parole, sembra che si sia instaurata una tendenza alla volatilità (questo il termine tecnico che descrive il fenomeno) dei prezzi degli alimenti. Proprio per attirare l'attenzione su questa tendenza e sulle possibili azioni da intraprendere per attenuare l'impatto sui più vulnerabili, il tema della Giornata mondiale dell'alimentazione 2011 è «Prezzi degli alimenti – dalla crisi alla stabilità»;
   le fluttuazioni dei prezzi, in particolare quelle al rialzo, rappresentano la maggiore minaccia alla sicurezza alimentare nei Paesi in via di sviluppo. I più colpiti sono i poveri. Secondo la Banca mondiale, nel biennio 2010-2011 l'aumento dei costi degli alimenti ha spinto quasi 70 milioni di persone nella povertà estrema. A livello di Paesi importatori netti di prodotti alimentari, le impennate dei prezzi possono danneggiare i Paesi poveri aumentando i costi per importare il cibo destinato alla popolazione;
   a livello individuale, quando i prezzi degli alimenti aumentano, le persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno sono costrette a saltare un pasto. Anche gli agricoltori sono vittime di questo fenomeno perché hanno assolutamente bisogno di prevedere, a mesi di distanza, il prezzo che raggiungeranno le coltivazioni al momento del raccolto. Se si prevedono prezzi elevati, piantano di più. Se si prevedono prezzi bassi, piantano meno, tagliando così i costi. Le rapide oscillazioni dei prezzi rendono più difficoltosa questa valutazione;
   in questo contesto è opportuno ricordare che, oltre 195 milioni di bambini sotto i 5 anni sono malnutriti, e il 90 per cento di loro vive nell'Africa Subsahariana e nel Sud dell'Asia. Più di 20 milioni di bambini soffrono della forma più acuta e mortale di malnutrizione;
   «i leader mondiali sono assorbiti dalla crisi finanziaria. Ma è proprio questo il momento di mandare un chiaro messaggio alle persone più vulnerabili. Questa crisi dai molteplici aspetti – dal cibo al carburante, dagli alloggi ai crediti – colpirà con forza tutti, ma per i 923 milioni di affamati essa ha aggravato la battaglia quotidiana per la sopravvivenza». (Josette Sheeran, Direttore Esecutivo del PAM, – Programma alimentazione mondiale –);
   la malnutrizione gioca un ruolo considerevole nella mortalità infantile perché mina il sistema immunitario dei bambini i quali sono meno resistenti alla malattie infantili;
   inoltre, la denutrizione contribuisce ad un terzo degli otto milioni di morti all'anno tra i bambini al di sotto dei 5 anni. La maggior parte dei danni causati dalla malnutrizione si sviluppano nei bambini prima del raggiungimento del secondo anno di età;
   diete che non apportano la giusta quantità di energia, incluso proteine di alta qualità, i grassi essenziali, i carboidrati, insieme a vitamine e minerali, possono compromettere la crescita e lo sviluppo, aumentando il rischio di morte a causa di comuni malattie infantili o causare gravi conseguenze per la salute del bambino per tutta la durata della sua vita. I cereali arricchiti che vengono attualmente distribuiti come aiuti alimentari non rispettano questo standard minimo;
   servono cibi fortificati per ottenere il massimo impatto nutritivo perché solo così è possibile davvero cambiare la vita dei bambini, ha detto Josette Sheeran, direttore esecutivo del PAM (Programma alimentazione mondiale). Tra i vari standard qualitativi richiesti, questi prodotti devono essere compatibili con la cultura alimentare locale e riproducibili nelle quantità necessarie localmente, oltre ad essere convenienti dal punto di vista dei costi nel lungo periodo;
   negli ultimi 30 anni, dal 1980 a oggi, la quota degli aiuti ufficiali allo sviluppo destinata dai Paesi OCSE all'agricoltura è calata del 43 per cento. Probabilmente il sottofinanziamento protrattosi negli anni in agricoltura, sia nei Paesi ricchi che in quelli poveri, rappresenta la principale causa singola dei problemi che ci troviamo ad affrontare oggi;
   le celebrazioni ufficiali italiane, promosse dal Ministero degli affari esteri, direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, avranno luogo per affermare i princìpi che muovono l'azione del Governo italiano a sostegno delle attività svolte dalle Agenzie del polo agro-alimentare romano delle Nazioni Unite, in primis la FAO, e delle numerose amministrazioni pubbliche e private impegnate nella lotta alla fame, si svolgeranno dal 1° ottobre al 15 dicembre, a sostegno e promozione della Giornata mondiale dell'alimentazione –:
   quali urgenti misure intenda attuare per individuare una soluzione a questo annoso problema che rischia di divenire sempre più grave: sul piano internazionale, per quanto riguarda gli aiuti alla cooperazione internazionale, e sul piano nazionale, per quanto riguarda le nuove povertà emergenti a livello di famiglie numerose, spesso immigrate recentemente. (4-16797)

  Risposta. — La sicurezza alimentare è da tempo una priorità del Governo italiano ed in particolare del Ministero degli esteri.
  Il nostro Paese infatti, attraverso un notevole impegno di risorse economiche ed umane, risulta essere uno dei Paesi maggiormente coinvolti per lo sviluppo, il sostegno e la diffusione dei princìpi del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura (Tirgaa), ratificato con la legge 101 del 6 aprile 2004.
  La continua erosione genetica e la perdita della diversità biologica delle specie di interesse agricolo pone le condizioni per un'eccessiva uniformità della dieta alimentare con l'uso di poche specie e, all'interno di queste, di poche varietà. Oggigiorno, il mantenimento, la conservazione ed il miglioramento del patrimonio genetico vegetale si rivela ancor più strategico nel contesto della crisi economica globale, del cambiamento climatico e dei loro effetti sulla sicurezza alimentare e sulla volatilità dei prezzi degli alimenti, specialmente nei Paesi in via di sviluppo.
  Il Trattato ha lo scopo di proteggere le risorse genetiche vegetali che sono alla base della sicurezza alimentare mondiale e di promuoverne uno scambio equo e sostenibile tra i detentori attraverso la creazione di un sistema multilaterale di scambio, che consentirà una giusta suddivisione dei vantaggi derivanti dall'utilizzazione delle risorse genetiche.
  Il nostro Paese ha più volte ribadito il ruolo cruciale delle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura come base per garantire sicurezza alimentare globale e come risposta al cambiamento climatico attraverso la conservazione e l'uso sostenibile delle specie agricole.
  Il Governo, in attuazione del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, Rgv-Fao, finanzia dal 2004 un progetto di ricerca volto a censire, caratterizzare e valorizzare le risorse genetiche vegetali presenti nel Paese. L'obiettivo principale di tale progetto è quello di conservare e garantire l'uso duraturo delle risorse genetiche vegetali e di facilitare l'accesso e lo scambio delle informazioni, in modo da consentire la ricerca e lo sviluppo di varietà migliorate. Con l'adesione al Trattato, i Governi, gli agricoltori, gli istituti di ricerca e le industrie, hanno la possibilità di lavorare in comune, mettendo insieme le loro risorse genetiche e condividendo i benefici derivanti dal loro utilizzo. All'interno delle azioni promosse dal Trattato esistono, inoltre, dei progetti specifici di cooperazione mirati a sviluppare e rafforzare la capacità dei Paesi in via sviluppo in materia di conservazione ed uso sostenibile delle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, anche attraverso il trasferimento delle tecnologie e lo scambio di informazioni. Per l'anno 2011 l'Italia ha impegnato 1.106.246,00 euro per lo svolgimento delle attività annuali a livello nazionale, e 650.000 euro per i progetti da dedicare agli interventi nei Paesi in via di sviluppo.
  Nel 2009 si è inoltre attivato un processo, durante la Presidenza italiana del G8 e culminato con l'adozione dell'iniziativa sulla sicurezza alimentare dell'Aquila (Afsi – L'Aquila food security initiative), innovativo ed inclusivo capace di catalizzare l'adesione di oltre 40 tra Paesi ed organizzazioni internazionali, mobilizzando 22,5 miliardi di dollari in favore di iniziative a sostegno di progetti di sicurezza alimentare.
  Le iniziative Afsi sono state riviste e rilanciate dalla Presidenza statunitense in occasione dell'ultimo vertice G8 svoltosi a Camp David il 18 e 19 maggio 2012. Nel ribadire gli impegni collettivamente presi a L'Aquila nel 2009, gli Stati Uniti hanno proposto la creazione della cosiddetta «New Alliance to increase Food and Security Nutrition», per favorire lo sviluppo dell'Africa sub-Sahariana attraverso il sostegno agli investimenti del settore privato in agricoltura. La «New Alliance» prevede l'adesione di Paesi donatori di area G8 (tra cui l'Italia) e non solo, di Governi africani e del mondo imprenditoriale, con l'obiettivo di ridurre di 50 milioni in dieci anni il numero delle persone al di sotto della soglia di povertà. Inizialmente, la «New Alliance» prevede di concentrarsi su sei Paesi africani che hanno dimostrato particolare attitudine e potenzialità nel favorire gli investimenti privati nel settore agricolo: Burkina Faso, Costa d'Avorio, Ghana, Etiopia, Mozambico e Tanzania. La finalità dell'iniziativa statunitense è di privilegiare lo strumento dell'aiuto pubblico allo sviluppo per creare contesti favorevoli agli investimenti privati in agricoltura, migliorare il funzionamento dei mercati reali e finanziari, favorire l'impiego di nuove tecnologie e rendere più accessibili gli strumenti per una migliore gestione dei rischi: credito, assicurazioni, sistemi di analisi e di allerta precoce.
  Nelle linee guida 2012-2014 della cooperazione italiana, che come noto costituiscono il principale documento di programmazione strategica nazionale in materia di cooperazione, l'agricoltura e la sicurezza alimentare rivestono un ruolo assolutamente prioritario tra i settori d'intervento. In tali linee guida è previsto l'impegno dell'Italia a perseguire le finalità delineate nel piano d'azione recentemente adottato dai Ministri dell'agricoltura in ambito G20, come le iniziative per controllare e mitigare gli effetti negativi dell'elevata volatilità dei prezzi dei prodotti agricoli, contribuendo alla definizione di codici di comportamento responsabili riguardo agli investimenti in agricoltura.
  L’«Impatto dei prezzi sulla sicurezza alimentare» è oggetto di costante osservazione da parte dell'ONU. L'assemblea generale delle nazione unite, nella sessantaseiesima sessione, ha infatti adottato lo scorso anno una risoluzione concernente la «Eccessiva volatilità dei prezzi nei mercati dei prodotti alimentari e delle materie prime correlate» (A/RES/66/188), per meglio analizzarne le cause e discutere sulle politiche più idonee ad affrontare il problema. Anche l'ultimo rapporto congiunto Fao/Ocse «Prospettive agricole 2012-2021», pubblicato durante lo scorso mese di luglio, prevede che nel prossimo decennio i prezzi dei prodotti di base agricoli rimarranno sostenuti, in relazione al persistere di una domanda forte e stabile ma in presenza di una crescita rallentata della produzione globale. Le cause di tale tendenza sono dovute a un generale incremento dei costi di produzione e ad una più limitata espansione delle aree coltivabili, che si traducono in una sostanziale inadeguatezza dell'offerta di risorse alimentari.
  Per quel che concerne le iniziative intraprese in occasione della giornata mondiale dell'alimentazione 2011, il Ministero degli affari esteri ha fornito il suo sostegno operativo ad una campagna di raccolta fondi che ha visto la cooperazione delle agenzie Onu del polo agroalimentare romano (Fao, Ifad, Wfp), per l'emergenza siccità in Corno D'Africa. Nel corso della campagna sono stati raccolti circa 130.000 euro, destinati alla realizzazione di un progetto riguardante rispettivamente l'emergenza, lo sviluppo ed il microcredito, nel rispetto del mandato di ciascuna delle predette agenzie e con il coinvolgimento, ove possibile, delle organizzazioni non governative italiane operative nella regione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   BITONCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa locali della provincia di Padova affermano come, su segnalazioni di numerosi cittadini, è in corso una trattativa tra privati e nomadi rom per la cessione di un appezzamento di terreno nella zona di Altichiero, in territorio comunale di Padova ai confini con il comune di Limena, in favore dei nomadi medesimi;
   l'enorme preoccupazione scaturita da questa possibilità ha portato numerose famiglie della zona ad adottare da subito forme di protesta per evitare sul nascere tale possibilità, alla luce anche del fatto che l'area in questione è già oggetto di numerose problematiche legate alla sicurezza pubblica;
   sempre come riportato da organi di stampa, i nomadi interessati all'acquisto dell'area provengono da un campo nomadi ora situato in via Basette, sempre a Padova, dove non più tardi di qualche settimana fa, nel corso di una operazione di controllo da parte delle forze dell'ordine, sono stati ritrovati oltre trecento chili di rame rubati;
   in analoghe vicende occorse in altri comuni, soprattutto del Nord-Italia, in seguito all'acquisto del terreno, le famiglie di origine nomade erano causa di numerosi problemi di pubblica sicurezza (rumori notturni, disturbi della quiete pubblica, decoro, condizioni igienico-sanitarie precarie, e altro), costringendo i residenti limitrofi a drastiche soluzioni come il trasloco dall'area o il ri-acquisto, a prezzi maggiorati, dell'area precedentemente acquisita dai nomadi medesimi –:
   se, considerata quella che all'interrogante appare inerzia dell'amministrazione locale e tenuto conto dei numerosi problemi legati alla pubblica sicurezza di cui le famiglie nomadi del comune si sono rese protagoniste, non ritenga di assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, allo scopo di prevenire e risolvere eventuali problemi di ordine pubblico, ponendo così termine alla crescente preoccupazione venutasi a creare tra i residenti dell'area interessata. (4-11593)

  Risposta. — Il 1° aprile 2011 il quotidiano locale «Il Mattino di Padova» ha pubblicato tre articoli sui nomadi. In uno di essi si faceva riferimento a una trattativa in atto tra alcuni rom, stanziati nell'area di via Bassette, e un privato per l'acquisto di un terreno in località Altichiero, zona situata all'interno della cintura urbana di Padova. Allo stato attuale risulta che le trattative per la compravendita sono state interrotte in quanto il terreno insiste su un area più vasta dove il comune di Padova, d'intesa con quello di Limena, ha in progetto la costruzione di un parcheggio, i cui lavori dovrebbero iniziare al termine dell'iter amministrativo finalizzato all'acquisizione del terreno e di quello economico connesso al reperimento e stanziamento dei fondi.
  Il campo nomadi di via Bassette è situato su di un terreno di proprietà di un privato che nel luglio 2008, con scrittura privata, lo aveva affittato per un anno, poi prorogato, ad alcuni nuclei familiari nomadi provenienti da Torino.
  In seguito ai controlli di routine relativi al contratto, alla proprietaria è stata contestata la violazione amministrativa per la mancata presentazione della dichiarazione di cessione di fabbricato. Successivamente, la stessa ha sporto denuncia per occupazione abusiva del terreno precedentemente dato in locazione.
  L'insediamento è stato interessato da un intervento di ridimensionamento nell'aprile del 2010. sulla base di un'ordinanza sindacale eseguita dal comune, d'intesa con la proprietà, al fine di limitare la ricettività dell'area e consentire la presenza di un ridotto numero di ospiti. L'intervento ha costituito il primo stralcio di un più ampio progetto di riqualificazione dell'area, approntato dal comune e destinato ad assicurare alle persone ivi residenti condizioni igienico-sanitarie sufficienti e livelli di sicurezza corrispondenti alla normativa per quanto attiene agli impianti elettrici presenti.
  Attualmente nel campo nomadi vivono tre famiglie per un totale di 37 persone, che dimorano in strutture mobili tipo caravan e roulotte, per un totale di 13 moduli.
  Dal maggio 2011 sono continuati i controlli di polizia finalizzati alla prevenzione, alla repressione dei reati ed al monitoraggio del sito per evitare ulteriori insediamenti non autorizzati nel campo nomadi di via Bassette.
  Il 19 gennaio 2012, durante un controllo interforze coordinato dalla locale questura sono state identificate 17 persone di cui 11 gravate da precedenti di polizia e controllati 16 veicoli. Nell'occasione è stato sequestrato un camper, in esecuzione di provvedimento disposto dall'autorità giudiziaria, in quanto il veicolo è risultato mezzo utilizzato per realizzare truffe ai danni delle società che gestiscono la rete autostradale, ed è stato altresì notificato, a carico di un nomade, un provvedimento di avviso orale emesso dal questore di Padova.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   BOCCHINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata di sabato 10 marzo 2012 a Pisa, un avvocato di 32 anni è stato aggredito, pestato a sangue e rapinato;
   la situazione della sicurezza a Pisa è tornata prepotentemente alla ribalta a seguito di questo episodio che ha destato profondo sconcerto;
   quale che sia il movente, certo è che a Pisa c’è un'ondata di nuova delinquenza e la città sta vivendo una seria emergenza legalità, con interi quartieri che rischiano di essere ostaggio della criminalità;
   nonostante la volontà e la professionalità degli apparati di polizia, che tempestivamente agiscono per scovare gli autori dei delitti, molte parti della città di Pisa sono in preda alla delinquenza e vivono in un clima di illegalità;
   su questo mancato controllo pesa come un macigno la carenza di organico delle forze dell'ordine a Pisa, essendo le stesse commisurate alla popolazione residente a fronte invece di una presenza annua di milioni di turisti nonché circa 30.000 studenti fuori sede ed un hinterland di 200.000 abitanti;
   la Polizia di Stato nella città di Pisa ha in dotazione solo una macchina che, a seguito dell'individuazione della Torre come obiettivo sensibile di possibili attacchi terroristici, staziona esclusivamente nella piazza del Duomo, venendo meno alla propria funzione di controllo del territorio;
   se a ciò si aggiunge che a conclusione del 182° corso degli allievi della Polizia di Stato, fra le province destinatarie delle assegnazioni non risulta esservi la città di Pisa mentre sono contemplate realtà più piccole –:
   quali risorse umane e finanziarie il Governo intenda destinare per affrontare l'emergenza sicurezza che interessa la città di Pisa, al fine di ridurre e prevenire la criminalità comune e organizzata;
   quali siano stati i momenti individuati dopo gli attentati del 1993 per il presidio fisso di polizia e da allora per quali sia stata revocata tale misura.
(4-15357)

  Risposta. — La città di Pisa, che conta circa 90.000 residenti ai quali si devono aggiungere diverse decine di migliaia di studenti universitari fuori sede, negli ultimi anni ha registrato un forte afflusso di immigrati, con una consistente presenza di soggetti clandestini. Particolarmente rilevante risulta, in rapporto alla popolazione, la presenza nelle periferie di insediamenti di cittadini rom, per lo più rumeni ed ex-jugoslavi.
  Le criticità si concentrano prevalentemente in alcune aree del centro storico, quali piazza della Stazione e piazza delle Vettovaglie, in cui sono presenti da tempo presidi fissi della questura e dell'Arma dei Carabinieri.
  Nelle aree urbane, i fatti delittuosi sono legati soprattutto allo spaccio di sostanze stupefacenti, che genera una situazione di degrado con inevitabili ripercussioni sulla sicurezza e sull'opinione pubblica, mentre in altre zone, quali piazza del Duomo e piazza Belvedere nella frazione di Tirrenia, i reati sono legati essenzialmente al fenomeno dell'abusivismo commerciale.
  Nel territorio, non si riscontrano insediamenti stabili di consorterie mafiose, ma risultano comunque presenti persone legate a tali sodalizi, soprattutto calabresi, siciliani e campani, dedite al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti e al riciclaggio dei relativi proventi, anche mediante l'acquisizione di esercizi commerciali. Tali attività sono favorite da diversi fattori, quali la vicinanza a zone ad alta incidenza turistica e allo scalo portuale di Livorno, nonché la centralità rispetto a vie di comunicazione aeree ed autostradali.
  Le competenti autorità provinciali di pubblica sicurezza e le forze di polizia dedicano costante attenzione alle attività di prevenzione e repressione; tra i risultati ottenuti, si ricorda il sequestro da parte della Guardia di finanza a Pisa, nel febbraio del 2011, nel contesto di un'attività estesa anche ad altre province, di beni per un valore complessivo di oltre 940.000 euro riconducibili a soggetti appartenenti al clan camorristico dei «Maliardo», contiguo ai «Contini», e, il 2 febbraio 2012, sempre nella città toscana, il deferimento, da parte della polizia di Stato, di due soggetti di origine campana, affiliati al clan camorristico «Fabrocini», ritenuti responsabili di rapina aggravata e usura, ai danni del titolare di una piccola impresa di trasporti.
  Su tutto il territorio l'impegno costante e continuo delle forze dell'ordine ha permesso di raggiungere notevoli risultati.
  Gli indicatori della banca dati interforze delle forze di polizia evidenziano, infatti, nel periodo gennaio-luglio del 2012, la riduzione, pari al 7,8 per cento, del numero dei delitti denunciati rispetto al corrispondente arco temporale del 2011.
  Più nel dettaglio, i furti sono risultati in calo del 3,2 per cento, con flessioni ancora più significative per quelli perpetrati all'interno di abitazioni (-10,2 per cento) e per i furti di autovetture (-27,0 per cento); i reati in materia di sostanze stupefacenti sono invece lievemente incrementati, passando da 176 casi a 183.
  Tra le fattispecie in calo nei primi sette mesi del 2012 rispetto all'analogo periodo del 2011 si segnalano, inoltre, le lesioni personali dolose (-22,4 per cento), i danneggiamenti (-19,8 per cento), le rapine in banca (da 11 a 5) e le violenze sessuali (da 25 a 20); le estorsioni sono 22 in entrambi gli archi temporali considerati.
  L'attività di controllo della criminalità condotta dalle forze di polizia nella provincia è stata particolarmente intensa e ha consentito di deferire all'autorità giudiziaria, sempre nei primi sette mesi del 2012, 4.259 persone, di cui 686 in stato di arresto.
  La questura di Pisa ha ulteriormente e sensibilmente potenziato i servizi preventivi e investigativi, rafforzando altresì l'apparato di prevenzione generale e controllo del territorio mediante l'impiego di equipaggi automontati delle forze territoriali per servizi dedicati e di operatori dei reparti prevenzione crimine della polizia di Stato. Da molti anni viene assicurato anche un servizio interforze di vigilanza «antiterrorismo» a tutela dei principali monumenti del patrimonio artistico.
  In sede di coordinamento tecnico interforze, vengono periodicamente riviste le strategie per l'ottimale impiego degli operatori di pubblica sicurezza nei servizi di prevenzione generale secondo strategie volte a privilegiare una più efficace presenza dinamica sul territorio, anche al fine di soddisfare la domanda di sicurezza dei cittadini.
  Relativamente alla presenza delle forze di polizia, si rappresenta che la polizia di Stato, al 1° settembre 2012, dispone, nella provincia di Pisa, di 446 appartenenti ai ruoli operativi, oltre a 29 appartenenti ai ruoli tecnico-scientifici che contribuiscono alla funzionalità degli uffici.
  Oltre alla questura, nell'area sono dislocati i commissariati di pubblica sicurezza di Pontedera e Volterra, le sezioni della polizia stradale, della polizia ferroviaria e della polizia postale, nonché l'ufficio di polizia di frontiera aerea.
  Nel biennio 2011/2012, sono state complessivamente assegnate agli uffici della polizia di Stato della provincia 12 unità del ruolo degli agenti ed assistenti, di cui 8 alla questura e 4 all'ufficio polizia di frontiera aerea.
  Ulteriori esigenze di potenziamento potranno essere valutate contestualmente alle nuove immissioni in servizio, compatibilmente con le esigenze a livello nazionale.
  Quanto al parco veicolare, la questura di Pisa dispone, per le esigenze dei suoi uffici e dei dipendenti commissariati di pubblica sicurezza, di:
   16 autovetture per il controllo del territorio;
   13 autovetture con colori d'istituto per attività ordinarie;
   22 autovetture in colore di serie per servizi info-investigativi.

  Tra la fine del 2012 e i primi mesi del 2013, verrà assegnato un adeguato numero di autovetture per il controllo del territorio, attualmente in corso di acquisizione, tale da poter sostituire quelle più vetuste; entro quest'anno, inoltre, è prevista l'assegnazione di un'autovettura con colori d'istituto per attività ordinarie, ripianando l'attuale carenza.
  Si soggiunge, inoltre, che, nell'esercizio finanziario 2011, il dipartimento della pubblica sicurezza ha potuto soddisfare interamente le esigenze segnalate dalla questura di Pisa sotto il profilo della manutenzione del parco veicolare.
  Si può, quindi, concludere che le forze dell'ordine fronteggiano con efficacia i vari problemi di ordine pubblico, accentuati dall'intensa mobilità notturna dei giovani che frequentano le piazze cittadine, limitando grazie alla professionalità degli operatori conseguenze più gravi per la sicurezza generale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   BONCIANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Legoli, frazione del comune di Peccioli, in provincia di Pisa, è attualmente attiva una discarica comunale per rifiuti solidi urbani non pericolosi, aperta ormai più di 30 anni fa e poi ampliata più volte negli anni successivi (1988, primo ampliamento da 450.000 metri cubi; 1994, secondo ampliamento da 1.750.000 metri cubi; 2004, terzo ampliamento da 1.900.000 metri cubi);
   il 9 marzo 2011 la Belvedere spa, società che attualmente gestisce la discarica, ha richiesto l'autorizzazione per un quarto «ampliamento» di ulteriori 4.490.000 metri cubi; questo nuovo ampliamento ha ottenuto parere favorevole in sede di conferenza di servizi ed è stato definitivamente approvato dalla provincia di Pisa il 20 giugno 2012 con determina n. 2857 del servizio ambiente della provincia di Pisa;
   gran parte della popolazione locale è contraria a questo nuovo progetto di «ampliamento» della discarica di Legoli a causa delle impressionanti volumetrie richieste (più del doppio della discarica attuale), di alcune incongruenze che caratterizzano il nuovo progetto di ampliamento e dell'enorme impatto ambientale che esso inevitabilmente avrà sulla zona;
   la sentenza n. 6461 del 2004 del TAR della Toscana ha stabilito che discarica di Legoli attualmente attiva e gestita dalla Belvedere spa in realtà è stata realizzata a seguito di un procedimento autorizzativo viziato dalla violazione della legge regionale n. 79 del 1998 allora vigente, applicazione diretta della normativa europea e nazionale (direttiva 85/337/CEE e s.m.i.; direttiva 96/61/CE; decreto del Presidente della Repubblica, 12 aprile 1996; legge 22 febbraio 1994, n. 146). Nella sentenza suindicata la seconda sezione del TAR della Toscana ha infatti stabilito che la provincia di Pisa ha erroneamente approvato il progetto definitivo della discarica di Legoli attualmente attiva e gestita dalla Belvedere spa (D.D. provincia Pisa n. 4078 del 14 ottobre 2003) senza averlo prima assoggettato alla procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) come invece previsto dalla legge regionale e dalle normative nazionali e comunitarie sopraindicate;
   questa violazione di fondo che grava sull'attuale discarica di Legoli pone seri dubbi anche sulla legittimità del nuovo ampliamento, che di fatto si conforma come un «ampliamento» di una discarica irregolarmente autorizzata;
   seri dubbi sulla legittimità del nuovo ampliamento della discarica di Legoli scaturiscono anche da altre incongruenze, tra cui:
    il nuovo ampliamento è in contrasto con il vigente piano dei rifiuti della provincia di Pisa, che non prevede la possibilità di realizzare un ampliamento della discarica di Legoli di queste dimensioni (circa 4.500.000 di metri cubi);
    il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 «attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti», all'Allegato 1, punto 2.1: «UBICAZIONE» dispone che:
     «Di norma gli impianti di discarica per rifiuti pericolosi e non pericolosi non devono ricadere in aree dove i processi geologici superficiali quali l'erosione accelerata, le frane, l'instabilità dei pendii, le migrazioni degli alvei fluviali potrebbero compromettere l'integrità della discarica»; «Con provvedimento motivato le regioni possono autorizzare la realizzazione di discariche per rifiuti non pericolosi nei siti sopradescritti solo se le caratteristiche del luogo, per quanto riguarda le condizioni di cui sopra, o le misure correttive da adottare, indichino che la discarica non costituisca un grave rischio ecologico»;
   l'area su cui insiste la discarica di Legoli e quella che verrebbe interessata dal nuovo ampliamento sono sottoposte a vincolo idrogeologico e sono classificate come aree a pericolosità di frana elevata PF3 nel piano stralcio di assetto idrogeologico (P.A.I. - decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 maggio 2011) e come aree a pericolosità geomorfologica molto elevata (sottoclasse 4b) o elevata (sottoclasse 3b e Sa) nel piano territoriale di coordinamento e nel piano di protezione civile della provincia di Pisa;
   a fronte di questa chiara situazione di rischio, l'autorità di Bacino del fiume Arno, in sede di conferenza di servizi, ha stabilito che il nuovo progetto ampliamento della discarica di Legoli in questione, pur individuando questa pericolosità, non definisce i provvedimenti di stabilizzazione che devono esse messi in atto per far fronte alle problematiche di erodibilità, franosità e instabilità del sito e, di fatto, non assicura il superamento delle condizioni di pericolosità così come previsto dal P.A.I.. Esistono pertanto seri dubbi che le disposizioni del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 possano essere rispettate;
   la direttiva 1999/31/CE e successive modificazioni e integrazioni all'articolo 6, prevede che solo i rifiuti trattati (attraverso processi fisici, termici, biologici, chimici o meccanici) possano essere conferiti in discarica, ma, ciò nonostante, oltre il 55 per cento dei rifiuti smaltiti nella discarica di Legoli nel 2010, così come negli anni precedenti, sono rifiuti urbani non differenziati (CER 200301) e non trattati. La discarica non è infatti dotata di nessun impianto di pre-trattamento dei rifiuti. Anche per il nuovo ampliamento si prevede il conferimento degli stessi quantitativi di rifiuti non trattati, in aperta contraddizione con le prescrizioni della normativa comunitaria;
   l'articolo 9 del decreto legislativo 205 del 2010 stabilisce i principi di autosufficienza e prossimità al fine di «realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali (ATO)» e di «permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati negli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi». Ciò nonostante, nel triennio 2008-2011 nella discarica Legoli sono state sversate una media di 330.000 tonnellate di rifiuti l'anno di cui quasi il 70 per cento – pari a circa 230.000 tonnellate l'anno – provenienti da fuori ATO. Anche per il nuovo ampliamento si prevedono modalità di conferimento molto simili, contrariamente a quanto disposto dalla legge che stabilisce, appunto, che i rifiuti dovrebbero essere smaltiti all'interno dell'ATO in cui sono prodotti;
   a prescindere dalla decisione di aumentare la capienza della discarica in funzioni di esigenze di tipo locale, l'interrogante ritiene comunque passibile di verifica la scelta localizzativa che insiste su un'area classificata a pericolosità di frana elevata PF3, sottoposta a vincolo idrogeologico e distante dai principali centri di produzione e raccolta dei rifiuti in chiara contraddizione con i principi di prossimità e autosufficienza più volte richiamati dalle leggi nazionali ed europee;
   inoltre il fatto che oggi si intende ampliare una discarica che secondo il TAR della Toscana (sentenza n. 6461/04) è stata realizzata nel 2004 a seguito di un procedimento autorizzativo viziato dalla violazione della legge regionale n. 79 del 1998 e il cui relativo progetto definitivo fosse prima assoggettato a valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) così come previsto dalle normative nazionali ed europee, lascia decisamente interdetti –:
   se, anche per il tramite della competente autorità di bacino, il Ministro non intenda valutare attentamente i rischi descritti in premessa e quali iniziative l'autorità di bacino intenda porre in essere, anche in termini di prescrizioni a garanzia della conservazione dell'assetto del territorio interessato dal progetto. (4-17134)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche ambientali segnalate nell'interrogazione in esame, sulla scorta delle informazioni pervenute dalla provincia di Pisa, dal comune di Peccioli e dall'autorità di bacino del Fiume Arno, si rappresenta quanto segue.
  La discarica di Peccioli, in esercizio dalla metà degli anni novanta e oggetto di diversi ampliamenti, riceve rifiuti urbani provenienti dai comuni della provincia di Pisa, di Massa, di Lucca, di Firenze e di Prato.
  Prevista nel vigente piano provinciale di gestione dei rifiuti solidi urbani, la discarica è stata inserita anche nel piano straordinario di gestione dei rifiuti solidi urbani, approvato dall'autorità d'ambito dell'ambiente territoriale ottimale Toscana costa – autorità competente alla gestione dei Rsu – e nuovamente prevista nel nuovo piano interprovinciale (Massa, Livorno, Lucca e Pisa) in corso di predisposizione.
  Unitamente alla discarica localizzata nel comune di Rosignano, in provincia di Livorno, essa dovrà soddisfare il fabbisogno di smaltimento dei Rsu residuali della raccolta differenziata e dei vari trattamenti previsti in vari impianti delle suddette province.
  Considerato impianto strategico, secondo un accordo stipulato tra gli enti, l'impianto dovrà continuare a garantire lo smaltimento di parte dei Rsu prodotti nella provincia di Prato e di Firenze, fino al completamento della prevista impiantistica nei rispettivi piani.
  Stante il previsto esaurimento delle volumetrie a disposizioni per la fine del 2013, la società Belvedere, in qualità di gestore della discarica, ha inoltrato alla provincia di Pisa un progetto di ampliamento per una volumetria di circa 4.490.00 metri cubi.
  Pertanto, ai fini dell'approvazione del progetto, è stata attivata una procedura di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La provincia di Pisa, competente in materia, in data 27 giugno 2011, ha convocato conferenza dei servizi, con la partecipazione di tutti i competenti uffici del territorio provinciale (comune di Peccioli, comune di Palaia, dipartimento agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana di Pisa, Asl 5, autorità di bacino del fiume Arno, regione Toscana, genio civile, consorzio di bonifica Val d'Era, Ato Toscana Costa).
  Nell'ambito della procedura sopra riportata, in data 23 giugno 2011 è stato acquisito anche il parere dell'autorità di bacino del fiume Arno, con il quale veniva evidenziato come l'area individuata per l'ampliamento della discarica risulta classificata come area a pericolosità da frana elevata (P.F.3) e marginalmente come area a pericolosità idraulica modesta (P.I.1).
  Nella «Relazione geologica, idrogeologica e caratterizzazione geotecnica del sottosuolo», allegata al progetto, viene evidenziata l'erodibilità del sito, con depositi di materiale detritico all'interno di incisioni di notevole larghezza, materiali movimentabili a seguito di eventi atmosferici. Inoltre, le indagini di campagna effettuate hanno confermato la presenza di aree caratterizzate da franosità attiva o potenziale.
  Giova evidenziare come la presenza del vincolo idrogeologico e di aree a pericolosità geomorfologica elevata, tipica di tale territorio, è un fattore penalizzante, così come previsto sia dal decreto legislativo n. 36 del 2003 che dal vigente piano regionale di gestione dei rifiuti urbani; ma, con un'adeguata progettazione – comprensiva di opportune verifiche di stabilità – e con la specifica autorizzazione dell'autorità competente, gli interventi proposti e valutati in sede di conferenza dei servizi sono stati ritenuti validi per il superamento delle suddette problematiche.
  A parere dell'autorità di bacino, l'adozione di interventi tecnici, tali da evitare l'innesco o la riattivazione dei movimenti franosi, l'eliminazione del ruscellamento selvaggio delle acque ed un'adeguata regimazione delle acque meteoriche dilavanti ed il loro corretto smaltimento a valle dell'area, comporterebbe tuttavia il superamento delle problematiche e delle condizioni di instabilità.
  Pertanto, valutato il progetto di ampliamento in sede di conferenza dei servizi, è stato espresso parere di compatibilità ambientale ed inoltre prescritta la riduzione della volumetria di ampliamento, secondo le effettive esigenze e le previsioni del Piano Interprovinciale dei rifiuti in corso di predisposizione.
  Sulla base degli obiettivi e degli scenari di pianificazione, approvati dalla giunta provinciale, tali utili volumetrie sono state definite come pari a circa 1.900.00 metri cubi.
  Alla luce delle conclusioni di cui sopra, è stata richiesta, pertanto, una modifica progettuale, tale da garantire la chiusura della discarica alla suddetta volumetria.
  Con determina dirigenziale del 20 giugno 2012 (D.D.R.G.n. 2857), il progetto di ampliamento è stato approvato, limitatamente alla volumetria di 1.970.000 metri cubi, ed è in corso di realizzazione.
  Con riferimento al divieto di conferimento di rifiuti in discarica, ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 36 del 2003, la provincia ha sottolineato che il suddetto divieto non è ancora attuativo; infatti fino ad oggi, sono state emanate annualmente specifiche proroghe, l'ultima delle quali fissata al prossimo 31 dicembre 2012. È ritenuto pertanto assolto l'obbligo normativo di conferimento in discarica di soli rifiuti trattati, in quanto l'obiettivo di riduzione dei rifiuti biodegradabili collocati in discarica relativo all'anno solare di riferimento a livello di Ato è stato raggiunto. Infatti, annualmente l'Ato rendiconta alla regione i quantitativi di rifiuti biodegradabili smaltiti, sulla base dei quali viene verificato il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Fino ad oggi i suddetti obiettivi a livello di Ato sono stati raggiunti.
  Al fine di realizzare nella discarica l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani in ambiti territoriali ottimali (Ato), si fa presente che il conferimento di rifiuti urbani provenienti da fuori Ato è autorizzato, come sopra accennato, sulla base di un accordo di pianificazione stipulato il 28 luglio 2008 tra le province di Pisa, di Firenze e di Prato, le comunità d'ambito ex Ato 3, Ato 6 e Ato 10 ed aggiornato con successivo accordo del dicembre 2010, con scadenza il 31 dicembre 2014.
  Tale accordo è stato stipulato sulla base di quanto disposto dalla legge regionale n. 25 del 1998 e dal piano regionale di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, di cui alla decisione della giunta regionale Toscana n. 88 del 1998, secondo cui è prevista la possibilità di stipulare convenzioni con altre comunità d'ambito, qualora la completa autosufficienza nella gestione dei rifiuti a livello di Ato non risulti interamente perseguibile in carenza di capacità di smaltimento.
  Si sottolinea di fatto che le dimensioni dell'ampliamento (1.970.000 mc) sono state calcolate tenendo conto delle previsioni di produzione di rifiuti nell'ambito dell'Ato Costa, del raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata e dei termini di scadenza del suddetto accordo tra Ato, che prevede la cessazione dei conferimenti al 2014. Pertanto, i quantitativi di rifiuti provenienti da fuori Ato incidono in maniera marginale sulle volumetrie di ampliamento necessarie e autorizzate.
  Relativamente alla sentenza del Tar si evidenzia che il ricorso fu proposto dalle società proprietarie dei terreni espropriati dal comune di Peccioli, per l'annullamento dell'atto di esproprio del comune e dell'atto di approvazione del progetto di ampliamento della discarica rilasciato dalla provincia di Pisa.
  Il Tar ha accolto il ricorso con sentenza di annullamento dei provvedimenti impugnati, avverso la quale il comune di Peccioli e la provincia di Pisa hanno proposto ricorso in appello al Consiglio di Stato, con argomentazioni volte a provare la correttezza delle procedure adottate, nel rispetto della normativa regionale allora in vigore.
  Tuttavia, il comune e la società ricorrente hanno trovato un accordo, sulla base del quale con sentenza n. 7475 del 2005 è stata annullata la suddetta sentenza del Tar senza rinvio e dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso di primo grado.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareCorrado Clini.


   BORGHESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come è noto dopo una procedura assai discutibile è stato costituito il nuovo Imaie, che dovrebbe liquidare i diritti d'immagine degli artisti;
   in data 24 dicembre 2011 un artista ha ricevuto comunicazione dalla nuova Imaie sui diritti maturati dal 15 luglio al 31 dicembre 2009 per un valore di euro 1,01 ovviamente al lordo;
   per l'espletamento della pratica inoltre, l'Imaie chiede all'interessato l'invio di una serie di documenti;
   considerato il costo della lavorazione della pratica e l'invio della comunicazione e considerato il fatto che non sono ammessi i documenti via fax, l'interessato dovrebbe fare una fotocopia del documento, andare in posta, acquistare affrancature e spedire la documentazione, e, nel caso fosse così ligio, avrebbe diritto a un bonifico con consti ulteriori;
   un episodio del genere appare all'interrogante rivelatore della pessima ed inefficiente gestione dell'istituto –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra riportati;
   se e quali iniziative intendano assumere al fine di migliorare l'efficienza di un'entità che sembra oggi persino peggiore di quella che, in modo discutibile, è stata soppressa. (4-15356)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla costituzione del nuovo Imaie ed alla liquidazione dei «diritti connessi all'esercizio del diritto d'autore» degli artisti, si rappresenta quanto segue.
  L'istituto per la tutela dei diritti degli artisti, interpreti ed esecutori (Imaie) è stato dichiarato estinto con decreto del prefetto di Roma del 30 aprile 2009, confermato con decreto del 28 maggio 2009. Come si ricava dalla relazione allegata al citato provvedimento del prefetto, lo scioglimento è stato disposto in ragione dello stato di profonda crisi in cui versava l'Istituto, dovuta al mancato svolgimento della funzione di accertamento e ripartizione dei diritti fra i legittimi titolari, anche per la scarsa funzionalità delle procedure di ripartizione delle somme acquisite, nonché alla grave situazione di conflitto interno degli organi direttivi e tra questi e l'ufficio amministrativo e nei confronti dei lavoratori dipendenti, cui si era aggiunta la mancata approvazione, nei termini statutari, dei documenti di bilancio consuntivo 2007 e preventivo 2008.
  Il nuovo Imaie è stato invece istituito sulla base di quanto disposto dall'articolo 7 del decreto-legge n. 64 del 2010, convertito dalla legge n. 100 del 2010, avente come finalità statutaria quella prevista dall'articolo 4 della legge n. 93 del 1992, ossia «la tutela dei diritti degli artisti interpreti o esecutori nonché l'attività di difesa e promozione degli interessi collettivi di queste categorie».
  L'attività di vigilanza di questo ministero è puntualmente definita dalla suddetta normativa introdotta dalla legge n. 100 del 2010: «Il nuovo Imaie opera sotto la vigilanza congiunta della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per l'informazione e l'editoria, del ministero per i beni e le attività culturali e del ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ne approvano lo statuto e ogni successiva modificazione, il regolamento elettorale e di attuazione dell'articolo 7 della legge n. 93 del 1992, e che riordinano con proprio decreto l'intera materia del diritto connesso, in particolare per assicurare che l'assetto organizzativo sia tale da garantire efficaci forme di tutela dei diritti degli artisti interpreti esecutori e per definire le sanzioni da applicare nel caso di mancato versamento al nuovo Imaie dei compensi spettanti agli artisti interpreti esecutori ai sensi delle leggi 22 aprile 1941, n. 633, e 5 febbraio 1992, n. 93, e nel caso di mancata trasmissione al nuovo Imaie della documentazione necessaria alla identificazione degli aventi diritto di cui al comma 1 dell'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 93. Il ministero del lavoro e delle politiche sociali nomina il presidente del collegio dei revisori, il ministero per i beni e le attività culturali e il ministero dell'economia e delle finanze nominano un componente ciascuno del collegio».
  Sempre secondo quanto previsto dall'articolo 7 della legge n. 100 del 2010, occorre ricordare che il nuovo Imaie viene testualmente definito «associazione avente personalità giuridica di diritto privato» e, conseguentemente, ne deriva l'autodeterminazione dell'ente nell'esplicazione delle proprie finalità statutarie.
  In relazione, infine, all'episodio riportato nell'interrogazione parlamentare, relativo alla liquidazione da parte dell'associazione di un compenso dal valore minimo (1 euro) ad un beneficiario che avrebbe, però, dovuto sopportare costi, per il disbrigo della pratica di pagamento, superiori alla somma che doveva ricevere, si rappresenta che il nuovo Imaie, all'uopo interessato da questa amministrazione, ha evidenziato come le attività connesse alla liquidazione dei compensi spettanti agli artisti interpreti esecutori sono di gran lunga più gravose nel caso in cui la somma spettante all'artista risulti particolarmente esigua. Al riguardo, ha riferito che, al fine di soddisfare gli obblighi legislativi e, al contempo, evitare attività antieconomiche, con una recente, propria delibera ha stabilito che, ferma restando l'imputazione a tutti gli artisti di quanto da essi maturato e l'effettuazione in ogni caso della prevista comunicazione, per gli artisti che abbiano maturato compensi inferiori ai 50 euro la liquidazione potrà avvenire soltanto su richiesta o, in assenza di quest'ultima, quando il compenso complessivo da liquidare abbia raggiunto il suddetto importo.
Il Ministro per i beni e le attività culturaliLorenzo Ornaghi.


   DI CATERINA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con invito a presentare offerte ai sensi del regolamento (CE) n. 1234/2007, del regolamento (CE) n. 288/2009 e del regolamento (UE) n. 34/2011, per l'anno scolastico 2012-2013, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha invitato le organizzazioni e associazioni dei produttori agricoli, opportunamente aggregate ed organizzate, a presentare proposte per la realizzazione di programmi di distribuzione assistita di prodotti orticoli e frutticoli presso gli istituti scolastici di primo grado;
   al suddetto invito hanno partecipato sia il costituendo RTI «Benessere a colori per Frutta nelle scuole» sia il costituendo RTI «Alimenta la salute»;
   il costituendo RTI «Alimenta la salute» risulterebbe privo di requisiti necessari, in quanto:
    a) avrebbe al proprio interno, quale componente, la OP VOG – Products, società agricola cooperativa riconosciuta ai sensi del regolamento (CE) n. 1234/2007 dalla provincia autonoma di Bolzano esclusivamente per prodotti destinati alla trasformazione (prodotti quindi esclusivamente a destinazione industriale) di cui al codice 08, e non già per almeno uno dei prodotti di cui all'invito;
    b) risulterebbe complessivamente costituito da 7 componenti, di cui due risultano essere filiali commerciali, e non già organizzazioni di produttori ai sensi del regolamento (CE) n. 1234/2007, e un terzo (la società agricola cooperativa, la OP VOG-Products) non riconosciuto per alcuno dei prodotti di cui all'invito;
   la Commissione di valutazione, preventivamente istituita dal Ministero, in seduta pubblica, ha proceduto alla verifica del contenuto dei plichi e della documentazione amministrativa presentata dai concorrenti e, all'esito della detta verifica, ha ammesso con riserva il RTI «Alimenta la salute» per i lotti da 1 a 7;
   in data 20 luglio 2012 la Commissione di valutazione ha richiesto, al riguardo, chiarimenti all'ufficio SAQ IV e, all'esito degli approfondimenti richiesti, in data 24 luglio 2012 avrebbe dichiarato la sospensione della procedura, senza rendere note le misure cautelari adottate a tutela dell'integrità delle buste –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa;
   se il Ministro, per quanto di competenza, non ritenga di scongiurare forzature interpretative che esporrebbero l'Amministrazione pubblica al rischio di azioni giudiziarie e i ragazzi delle scuole italiane al rischio di vedersi privati di un beneficio immediato e diretto, assumendo ogni iniziativa di competenza per giungere in tempi rapidi all'effettiva applicazione del programma. (4-17270)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente talune problematiche che avrebbero potuto ritardare l'effettiva applicazione del programma di distribuzione di frutta nelle scuole di cui al Reg. 1234/2007 e successivi, mi preme anzitutto rassicurare l'interrogante che i relativi decreti di aggiudicazione sono stati emanati in tempo utile per l'attuazione del programma in parola.
  Infatti, in merito alla questione inizialmente insorta riguardo al possesso dei requisiti del Rti «Alimenta la salute» (per avere al proprio interno, quale componente, la Op Vog), la competente commissione di valutazione delle offerte tecniche si è espressa, a maggioranza, in favore della legittimazione della Op Vog), la partecipare al Rti «Alimenta la salute» in qualità di Op, argomentando che il riconoscimento alla Op Vog è stato concesso per i prodotti frutticoli del codice NC 08 destinati alla trasformazione.
  Al riguardo evidenzio che l'allegato I del Reg. (CE) 1234/2007, nella parte IX elenca i prodotti ortofrutticoli freschi, tra cui vi sono inclusi quelli recanti il codice NC 08 e, nella parte X, utilizza invece il codice NC 20 per i prodotti ortofrutticoli trasformati.
  Non v’è dubbio quindi che il riconoscimento alla Op è per la commercializzazione di prodotti ortofrutticoli freschi tra i quali sono compresi anche i prodotti destinati al programma «Frutta nelle scuole» (nello specifico, le mele).
  Peraltro, non vi è norma nazionale o in base alla quale una Op riconosciuta per la commercializzazione di prodotti ortofrutticoli destinati alla trasformazione non possa commercializzare anche prodotti non destinati alla trasformazione.
  Avendo la predetta commissione ritenuto il Rti «Alimenta la salute» in possesso dei requisiti necessari, il 3 agosto 2012 ha proceduto alla stesura della graduatoria degli aggiudicatari (come previsto al punto 11 «procedura di aggiudicazione» dell'invito a presentare offerte n. 12196 del 30 maggio 2012), consentendo all'Amministrazione di emettere i decreti di aggiudicazione in tempo utile.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   DI GIUSEPPE. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   nel 1978 durante i lavori per la costruzione della superstrada Napoli-Vasto fu scoperto un giacimento preistorico in località «La Pineta» di Isernia, rivelatosi immediatamente un ritrovamento eccezionale, perché, oltre ad essere stato giustamente definito il più grande e più ricco giacimento preistorico d'Europa, secondo gli archeologi, fu abitato circa 730.000 anni fa da ominidi di Homo erectus, definiti col nome di Homo Aeserniensis; scoperta fondamentale per l'analisi della storia dei primi insediamenti europei;
   per tutelare il giacimento preistorico e data l'enorme quantità di reperti rinvenuti, che documentano una delle fasi più antiche del popolamento del continente europeo e che costituiscono un punto nodale per lo studio della preistoria italiana ed europea, si ritenne necessario costruire il museo del paleolitico di Isernia per esporre tutti gli oggetti provenienti dallo scavo archeologico di «La Pineta», prevedendo inoltre una sede museale in località Santa Maria delle Monache dove proseguono gli scavi del paleosuolo;
   con la legge 28 ottobre 1986, n. 730, venne assegnata all'allora Ministero per i beni culturali ed ambientali la somma di 10 miliardi di lire per la sistemazione definitiva dell'area degli scavi del museo nazionale del paleolitico di Isernia; il progetto prevedeva l'utilizzazione dell'intera somma per la realizzazione di un museo laboratorio moderno e funzionale;
   il 9 marzo 2000, il Ministro pro tempore Giovanna Melandri e l'allora presidente della regione Molise Marcello Veneziale sottoscrissero un accordo di programma quadro in materia di beni e attività culturali per sbloccare, in maniera «immediata», i fondi per gli «investimenti previsti in specifici settori di intervento»; nel caso del museo del paleolitico di Isernia, l'accordo di programma quadro interveniva nel settore «beni e attività culturali», sbloccando fondi regionali per un totale di 4 miliardi e duecento milioni di lire per il «completamento ed allestimento delle opere per la fruizione e l'accessibilità dell'area museale», (identificate come «risorse aggiuntive della regione»), a fronte di oltre 5 miliardi di lire già stanziati dal Ministero per i beni e le attività culturali sui fondi lotto ’98/2000, per un totale quindi di 5 milioni di euro circa;
   come certificato dal nucleo di valutazione degli investimenti pubblici, con dati aggiornati al 16 settembre 2011, nel programma operativo regionale 2000-2006 furono stanziati, oltre ai miliardi di lire già spesi, altri euro 2.220.764,67, «per la strada di collegamento e sistemazione area esterna»; euro 546.903,52 per il «completamento e funzionalizzazione della struttura»; euro 100.000,00 per «lavori urgenti di messa in sicurezza della nuova struttura museale in località La Pineta per consentire lo spostamento del paleosuolo dal Museo di Santa Maria delle Monache», il tutto per una spesa totale di euro 2.867.668,19;
   già nel giugno 2009, l'amministrazione comunale di Isernia riteneva «non più differibile, per l'economia della Città, l'apertura del Museo stante il notevole tempo trascorso dall'inizio della costruzione», ponendosi l'obiettivo di aprire il museo entro il 31 dicembre 2009, elencando «le problematiche e carenze da superare per poter completare l'edificio e renderlo funzionale ed agibile», così testualmente descritte: a) presenza di infiltrazioni di acque meteoriche ed umidità in più punti dell'immobile, proveniente dalle coperture e dagli infissi; b) mancanza di raccolta delle acque di molti discendenti pluviali e mancanza di alcune griglie di raccolta delle acque piovane, nonché di alcuni tratti di tubazione necessaria per raccogliere e smaltire le acque piovane; c) portico, di ingresso e collegamento con il padiglione Paleosuolo e quello degli scavi da completare con pavimentazione e la controsoffittatura; d) assenza di parte della pavimentazione e precisamente all'ingresso, alla rampa di accesso alla sala espositiva e intorno all'area ove è prevista l'esposizione del Paleosuolo; e) assenza sulla gradinata e sul percorso sovrastante il Paleosuolo di apposito parapetto per evitare la caduta delle persone; f) necessità di opere di sistemazione esterna, per consentire l'accesso ai disabili ed eliminare infiltrazioni al piano seminterrato del fabbricato; g) mancanza di tinteggiatura interna in alcuni locali; h) mancanza di corpi illuminanti; i) necessità di prevedere opere per l'allestimento museale ed arredi; l) necessità di procedere a vari ripristini e completamenti interni già previsti nei lavori appaltati dalla Soprintendenza e necessari per la chiusura del cantiere (realizzazione battiscopa, finiture della gradinata, finiture porte interne, completamenti del parquet, riparazioni delle aree di parquet ammalorate, riprese di tinteggiatura e altro); m) sistemazione di una estesa porzione del parquet del piano seminterrato deformatosi e quasi del tutto inutilizzabile a causa di infiltrazioni di acqua piovana verificatasi in concomitanza di un intenso temporale tempo addietro; n) necessità dell'acquisizione del certificato di prevenzione incendi (CPI) da parte dei vigili del fuoco; o) necessità di ottenimento del certificato di agibilità dell'intera struttura da parte del comune di Isernia;
   i contenuti dell'accordo di programma quadro tra la regione Molise e il Ministero per i beni e le attività culturali identificavano «significative risorse per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale, particolarmente in relazione alle presenze di interesse archeologico o monumentale, responsabilizzando i soggetti proprietari, promuovendone il diretto coinvolgimento finanziario ed organizzativo e mirando ad azioni di recupero organiche e chiaramente finalizzate per assicurare anche un recupero funzionale oltre che fisico dei beni» prevedendo nel punto A dello stesso accordo di programma quadro la «piena attivazione del museo del Paleolitico di Isernia»;
   a distanza di 30 anni dall'inizio dei lavori di costruzione del museo del paleolitico di Isernia, il museo risulta, a quanto conta all'interrogante, ancora non ultimato, praticamente abbandonato e chiuso al pubblico, casa che cagiona un danno irreparabile e rischia di distruggere, per sempre, il patrimonio preistorico non solo del Molise ma dall'intera umanità –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito della propria competenza, non ritenga necessario promuovere un'ispezione per appurare se vi sia stata, dai primi anni novanta in poi, una corretta conduzione della Soprintendenza, inclusi i rapporti tra imprese, progettisti e direttori dei lavori che si sono aggiudicati i vari incarichi e appalti;
   come il Ministro intenda acclarare i motivi per cui i lavori di costruzione del museo del Paleolitico di Isernia, non ancora terminati, siano fermi, ed il perché l'area museale sia chiusa al pubblico;
   se non sia necessario istituire un tavolo tecnico ad hoc per tutelare i reperti rinvenuti ed il sito archeologico stesso. (4-15156)

  Risposta. — In riferimento all'interrogante in esame, indicata in oggetto, con il quale l'interrogante chiede di conoscere le motivazioni che hanno determinato i ritardi nella realizzazione del museo del Paleolitico ad Isernia, nonché chiarimenti relativi agli accadimenti databili dall'anno 2009, si rappresenta quanto segue.
  Il 23 febbraio 2009, la regione Molise ha assunto la delibera di assegnazione al comune di Isernia di 546.903,52 euro; per il completamento della struttura espositiva del paleolitico.
  L'anno 2009 è, tuttavia, trascorso senza che il finanziamento disposto dalla regione venisse concretamente assegnato al comune di Isernia, il quale aveva, intanto, provveduto ad espletare la gara d'appalto per l'esecuzione dei lavori.
  Nell'ottobre del 2010, la regione Molise, non potendo ancora concretamente stanziare, per sopravvenuti problemi di bilancio, i circa 540.000 euro deliberati per il museo, a fronte di sollecitazioni del comune, ha deliberato un ulteriore stanziamento di 100.000 euro, per la cui utilizzazione ha redatto un apposito stralcio progettuale, con l'assistenza della direzione regionale, la quale a chiesto ed ha ottenuto che la direzione dei lavori fosse effettuata da funzionari di questo ministero.
  I lavori di completamento del museo del paleolitico sono ripresi nel marzo del 2011 con l'effettiva assegnazione dei 100.000 euro; a settembre 2011 i 540.000 euro, precedentemente deliberati dalla regione, sono pervenuti al comune, che, nell'ottobre 2011, ha affidato ad apposita impresa specializzata la catalogazione, la verifica dello stato di conservazione, il restauro e la ricollocazione sul paleosuolo, appositamente sistemato nell'ambiente espositivo a ciò deputato, dei circa 5.000 reperti costituenti il materiale paleontologico rinvenuto.
  Dette lavorazioni hanno richiesto alcuni mesi per essere completate.
  La struttura è stata aperta in data 14 aprile 2012, in concomitanza con l'avvio della XIV settimana della cultura.
  L'ambiente, dove è esposto il paleosuolo è stato reso più interessante, anche sotto il profilo divulgativo e didattico, dall'allestimento di un sistema multimediale che consente al visitatore di capire a quali animali preistorici appartengano i reperti rinvenuti durante le ricerche ed esposti alla pubblica fruizione.
  Per quel che riguarda la necessità di istituire tavoli tecnici per tutelare e valorizzare al meglio i reperti, appare opportuno segnalare, oltre a quanto già esposto in materia di tutela, assicurata dalle operazioni di catalogazione, verifica dello stato di conservazione ed esposizione di detti reperti, che, ai fini di una migliore comprensione, da parte dei visitatori, dell'importanza scientifica del ritrovamento, la competente direzione regionale ha stipulato un apposito accordo con le università del Molise e di Ferrara, quest'ultima titolare dello scavo archeologico, in esito al quale è stato istituito un servizio di assistenza didattica alle visite, diretto da una ricercatrice dell'università del Molise, paleontologa, ed assicurato da un gruppo di archeologi formatisi presso varie università ed operanti presso una struttura dipendente dell'università del Molise. In tal modo si è offerta una opportunità di lavoro qualificato anche a dei giovani archeologi, che hanno così occasione di maturare esperienze appaganti sia sul piano scientifico che lavorativo.
Il Ministro per i beni e le attività culturaliLorenzo Ornaghi.


   DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (ratificata anche dall'Italia, ai sensi della legge 2 dicembre 1994, n. 689), all'articolo 100, richiede a tutti gli Stati di collaborare per la repressione delle attività piratesche, e, al successivo articolo 101, limita la fattispecie ai soli atti commessi in acque internazionali o in luoghi non sottoposti alla giurisdizione di qualunque Stato, con la precisazione che le azioni di pirateria sono tali quando commesse da singoli o da gruppi, a fini privati;
   l'articolo 105 consente agli Stati di sequestrare una nave pirata o una nave catturata e tenuta sotto il controllo dei pirati e di procedere all'arresto dell'equipaggio pirata;
   la moderna pirateria marittima è un fenomeno caratterizzato dall'elevata instabilità politica ed economica di regioni in cui le capacità degli Stati rivieraschi di imporre il rispetto delle leggi sono ridotte o addirittura assenti;
   la pirateria si manifesta oggi soprattutto nei mari dell'Asia sud-orientale e meridionale e dell'America meridionale ed ha il proprio epicentro nel golfo di Aden e nel tratto di mare antistante le coste della Somalia;
   attraverso canale di Suez, dove operano i pirati somali, transitano ogni anno tra 22.000 e 25.000 imbarcazioni, ovvero il 75 per cento del flusso globale dei container mercantili marittimi e 3,3 milioni di barili di greggio al giorno, equivalenti al 30 per cento del fabbisogno energetico mondiale;
   si tratta di un contesto in cui il 60 per cento del commercio estero italiano viaggia per mare e oltre 2.000 unità navali sono controllate da interessi italiani, 900 delle quali flottano ogni anno in acque ad alto rischio di pirateria;
   secondo l'osservatorio sulla pirateria istituito dall’International maritime bureau, nel 2010 sono stati registrati 445 assalti che hanno causato la cattura di 53 navi e il sequestro di 1.181 operatori marittimi (con un incremento del 12,5 per cento sul 2009 e più del 60 per cento rispetto al 2008), mentre, per quanto riguarda il 2011, nei primi sei mesi sono stati annoverati 243 attacchi nel mondo e sono state contate 439 persone prese in ostaggio dai pirati somali;
   l'aumento del rischio connesso agli attacchi pirateschi e la situazione di diffusa insicurezza per i traffici marittimi – in relazione ai quali si stima per la comunità mondiale una perdita economica complessiva oscillante tra i 13 e i 16 miliardi di dollari – ha portato inevitabilmente ad un innalzamento dei costi di trasporto delle merci dovuto principalmente all'incremento dei premi assicurativi – quadruplicati negli ultimi due anni – e delle indennità dei marittimi operanti nelle acque ad alto rischio pirateria, marittimi ai quali, anche in Italia, è stata riconosciuta una speciale indennità di guerra;
   il recente «report of the special advisor (Jack Lang) to the secretary-general on legal issues related to piracy off the coast of Somalia» presentato il 25 gennaio 2011 (nel periodo di studio 2008-2010) individua: circa 1.890 sequestri di persona, 105 sequestri di natanti; un incremento sensibile del tasso di violenza durante gli attacchi alle imbarcazioni; un innalzamento da 1 a 5 milioni di dollari delle richieste di riscatto medio per la liberazione della nave ed un prolungamento del periodo di detenzione che oggi si attesta a circa 120 giorni;
   le soluzioni da individuare e realizzare per il contrasto del fenomeno piratesco, secondo il consigliere speciale delle Nazioni Unite sulla pirateria devono essere inquadrate immediatamente in un piano globale, capace di «combattere, prevenire e sopprimere la pirateria» prima che «l’escalation di professionalizzazione ed operatività dei pirati raggiunga un punto di non ritorno» oltre il quale l'azione internazionale risulterebbe verosimilmente inefficace;
   l'Italia partecipa alle operazioni della NATO e dell'Unione europea e alla missione European union training mission in Somalia, il cui obiettivo politico-militare punta a rafforzare il Governo federale di transizione attraverso l'addestramento di forze di sicurezza; essa opera all'interno del Contact group on piracy off the coast of Somalia, l'organo delle Nazioni Unite incaricato di sviluppare la cooperazione e il coordinamento tra i Paesi e le organizzazioni internazionali e risolvere radicalmente le cause del fenomeno della pirateria;
   il 15 giugno 2011 la professoressa Del Vecchio, ordinario di diritto internazionale, in sede di audizione presso la Commissione difesa del Senato nell'ambito dell’«indagine conoscitiva sul possibile contributo delle Forze armate per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno della pirateria in acque internazionali», interpellata in merito ad una valutazione sulle peculiarità dell'utilizzo a bordo del naviglio civile di squadre armate composte da militari o da contractor privati, ha rilevato che, a livello internazionale, il quadro giuridico non appare ostativo all'impiego della difesa armata, purché esercitato nel rispetto del principio di proporzionalità dell'uso della forza;
   altresì, è da tenere comunque in considerazioni le eventuali responsabilità dello Stato di bandiera nel caso di uso illegittimo della forza esercitato da parte del personale privato –:
   come il Governo intenda adoperarsi per ripristinare il pieno utilizzo delle vie del mare, in particolare nell'area del Corno d'Africa, per le persone, il traffico commerciale e per le missioni di assistenza umanitaria;
   se intenda proseguire e rafforzare la propria azione al fianco dei partner internazionali a sostegno della pacificazione e stabilizzazione economico-sociale e politica della Somalia, quale condizione determinante per sradicare e debellare il fenomeno della pirateria;
   in sede ONU, all'interno del «gruppo internazionale di contatto sulla pirateria al largo delle coste somale» e del «gruppo di contatto sulla Somalia», se intenda attivarsi per realizzare un programma di coordinamento normativo interordinamentale volto a perseguire i responsabili di atti pirateschi – intesi come minaccia globale contro la comunità internazionale – mediante l'istituzione di un apposito tribunale penale internazionale e l'istituzione di un foro internazionale ad hoc per assicurare l'applicazione del diritto internazionale in materia di pirateria. (4-12972)

  Risposta. — Il fenomeno della pirateria al largo delle coste somale è una delle più nefaste conseguenze della crisi istituzionale, sociale ed economica che affligge il Paese africano da vent'anni a questa parte.
  Tale fenomeno, nel corso del tempo, è andato esponenzialmente crescendo, agevolato dal fragile contesto somalo che fa in modo che la rete della pirateria, in un ambiente di estrema povertà, basso rischio e alta remunerazione, prolifichi e si sviluppi, determinando sempre maggiori rischi economici e per la sicurezza.
  Va da sé che offrire valide alternative sul piano economico, sociale e istituzionale, a chi vive e prospera di pirateria costituisce certamente un contributo efficace per combattere il fenomeno.
  È dunque in quest'ottica che deve essere letto il sostegno del Governo italiano alla pacificazione e alla stabilizzazione della Somalia, tanto sul piano bilaterale quanto nei forum multilaterali al fianco dei partners internazionali.
  La crisi della regione ha effetti destabilizzanti nel Corno d'Africa: sul piano internazionale, i problemi e le fratture che attraversano il quadrante geopolitico regionale sono: sicurezza e governabilità, povertà e sviluppo, islam e fondamentalismo, migrazioni e rifugiati, pastorizia e agricoltura, proliferazione delle armi leggere, competizione per l'uso delle risorse idriche.
  Attraverso i pericolosi passaggi obbligati (choke points) marittimi dell'area transitano almeno il 20 per cento delle merci trasportate via mare su scala mondiale e il danno economico arrecato annualmente all'economia globale ammonta a svariati miliardi di dollari.
  Sino ad oggi, l'impegno profuso dalla comunità internazionale nel contrasto sul mare al fenomeno della pirateria ha portato i suoi frutti: confrontando i dati del 2010/2011 con quelli del 2008/2009 è evidente che, nonostante il numero degli attacchi sia aumentato nel suo complesso, a causa di un inasprimento del fenomeno nell'Oceano indiano, la percentuale di successi è diminuita.
  Il nostro Paese – sin dal manifestarsi dei primi casi di pirateria al largo delle coste somale, nel 2005 – si è distinto per l'impegno costante nel contrasto al fenomeno, nell'ambito di un'azione internazionale che vede, oggi, il coinvolgimento delle organizzazioni del comparto marittimo mondiale, attraverso un'opera di diffusione delle informazioni e di coordinamento delle iniziative a livello regionale.
  Partecipiamo a due operazioni multinazionali di pattugliamento delle acque del golfo di Aden, una sotto egida dell'Unione europea, denominata «Atalanta» e un'altra, sotto egida della Nato, denominata «Ocean Shield».
  A queste due operazioni si affiancano quelle di coalizione sotto egida statunitense denominata Combined Maritime Force ove partecipa anche l'Italia e in particolare la Marina militare con personale di staff operativo e quelle nazionali poste in essere da India, Cina, Iran, Russia, Giappone e altri Paesi.
  L'Italia partecipa anche alla missione «European Union Training Mission» (Eutm) in Somalia con un massimo autorizzato di 19 unità e con l'obiettivo di contribuire, nell'ambito dell'Unione europea, al rafforzamento del Governo Federale di Transizione di Mogadiscio, attraverso l'addestramento delle sue forze di sicurezza in Uganda.
  L'attività della missione EUTM, nata dall'esigenza di creare le condizioni necessarie per una stabilizzazione della grave situazione di crisi (principale causa del fenomeno della pirateria) in cui versa la Somalia e, più in generale, il Corno d'Africa, non è finalizzata soltanto al rafforzamento delle forze di sicurezza somale, ma si esplica anche nel fornire un indottrinamento basico sul diritto internazionale umanitario e, nella fattispecie, sulla salvaguardia dei diritti dei rifugiati, delle donne e dei bambini.
  In coerenza con quanto precede, l'Italia ha guardato con interesse l'avvio della missione dell'Unione europea denominata EUCAP NESTOR, volta a realizzare attività di Regional Maritime Capacity Building nel Corno d'Africa e nell'Oceano indiano occidentale (Gibuti, Kenia, Seichelles e Somalia) e alla quale intende prendere parte.
  È il caso di osservare che uno dei principali problemi legati al contrasto alla pirateria consiste nel perseguire giudizialmente i responsabili.
  Risulta, infatti, molto complicato per tutti gli Stati procedere al giudizio e alla detenzione dei pirati nei Paesi di origine dell'unità che ha proceduto alla loro cattura e, nello stesso tempo, è impossibile consegnare i pirati alle autorità somale in quanto Paese che non offre alcuna garanzia giuridico-istituzionale e della salvaguardia dei diritti umani.
  Attualmente è allo studio, da parte di un gruppo di lavoro (Legal working group) appositamente costituito dall'Onu nell'ambito del «Contact group on piracy off the coast of Somalia» (CGPCS) – al quale partecipiamo con rappresentanti difesa/esteri – per analizzare soluzioni ad hoc, la possibilità di istituire meccanismi giudiziari internazionali, tra cui prevale l'ipotesi di una Corte speciale somala che potrebbe, per il momento, operare nel territorio di un altro Stato (tribunale somalo delocalizzato), con o senza l'assistenza delle Nazioni unite.
  Voglio sottolineare che nel quadro della forte azione svolta a livello internazionale dall'Italia contro il fenomeno della pirateria, la difesa ha assicurato e continuerà ad assicurare, assieme alle altre componenti del Governo, la massima collaborazione a tutela del personale delle navi mercantili che attraversano le aree a rischio da attacchi dei pirati.
  Nel contesto in cui si è ormai diffusa la pirateria marittima si è reso necessario prevedere la possibilità d'imbarcare sui navigli commerciali, a richiesta degli armatori, team della Marina militare adeguatamente addestrati e dotati d'idoneo armamento ed equipaggiamento, destinati alla protezione della nave e dell'equipaggio, o, in alternativa, guardie giurate armate.
  Per far fronte, quindi, all'esigenza operativa di completare le azioni poste in essere dalle navi militari a garanzia, in aree ad alto rischio di pirateria, della protezione di beni e dei marittimi imbarcati su mercantili nazionali, l'articolo 5 del decreto-legge n. 107 del 12 luglio 2011, convertito con la legge n. 130 del 2 agosto 2011, prevede anche la possibilità di impiegare dei nuclei militari di protezione (Nmp), da imbarcare sulle navi mercantili di bandiera nazionale che transitano in aree specificatamente individuate con decreto del ministero della difesa 1o settembre 2011.
  Ai sensi della richiamata legge 130 del 2 agosto 2011, il giorno 11 ottobre 2011 è stato firmato il protocollo d'intesa tra la difesa e l'armatoria privata, per l'imbarco di nuclei militari di protezione a bordo delle navi mercantili battenti bandiera italiana negli spazi marittimi di cui al menzionato decreto.
  Tale protocollo stabilisce le modalità e le condizioni secondo cui la difesa erogherà il servizio di protezione mediante l'impiego degli Npm. Al protocollo è allegata una convenzione, che sancisce gli obblighi degli armatori verso gli Nmp, i presupposti necessari per la fruizione del servizio, le modalità attuative nonché le responsabilità e funzioni del comandante dell'unità e del comandante dell'Nmp.
  Peraltro, come noto, è stata recentemente approvata, presso la 4a commissione difesa del Senato, la risoluzione n. XXIV-46 che prevede tra gli impegni al Governo, anche quello di rivedere e di ottimizzare il protocollo d'intesa siglato tra il ministero della difesa e la confederazione italiana armatori (Confitarma).
  Al riguardo, sono già in avanzato stato di definizione le modifiche a tale protocollo.
  Vorrei, prima di concludere, rivolgere un pensiero ai nostri due fucilieri, assicurando che il Governo continua a riservare alla vicenda la massima attenzione, concentrandosi sulle indagini in corso, sull'eccezione di giurisdizione e d'immunità funzionale, proseguendo nel contempo nell'opera di sensibilizzazione dei Paesi amici, anche in seno alle principali organizzazioni internazionali, con l'immutato obiettivo di riportare in Italia i nostri marò.
Il Ministro della difesaGiampaolo Di Paola.


   DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   recentemente la Lega italiana per la lotta contro l'Aids (Lila) ha nuovamente denunciato una grave forma di discriminazione nei confronti delle persone con l'Hiv da parte del Ministero della difesa;
   tutti i bandi del Ministero della difesa, infatti, chiedono ai candidati di presentare un test Hiv negativo, pena l'esclusione;
   chi si presenta per un concorso deve sottoporsi a una serie di controlli medici. Oltre al test dell'Hiv, serve quello per l'epatite B e C, un esame radiografico del torace e un'ecografia pelvica;
   in alcuni casi, come nel concorso per accedere al corso per allievi marescialli dell'Arma dei carabinieri, alle allieve si richiede un test di gravidanza, condizione considerata «un temporaneo impedimento» a prestare servizio;
   si tratta, per esempio, anche di concorsi per entrare nella banda musicale dell'Arma dei carabinieri, nel centro agonistico della Marina, nei licei annessi alle scuole militari dell'Esercito;
   la legge n. 135 del 1990, e poi lo statuto dei lavoratori, nonché la raccomandazione su Hiv e Aids e mondo del lavoro del 2010 e il codice di condotta sull'HIV/AIDS e il mondo del lavoro del 2001, documenti dell'Organizzazione internazionale del lavoro, agenzia dell'Onu, escludono la possibilità di richiedere il test Hiv a lavoratori e aspiranti tali;
   Lila riceve da tempo segnalazioni di persone che sono in salute e in ottima forma, come sono oggi le persone che vivono con l'Hiv;
   l'Associazione ha inviato un esposto all'Unar (l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) e all'Oscad (l'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori) segnalando una «evidentissima forma di discriminazione nei confronti delle persone con Hiv» –:
   se e come il Governo intenda rispondere alla denuncia della Lila e se ritenga di assumere iniziative per rivedere le norme che impediscono a persone in salute e in ottima forma che convivono con l'Hiv di partecipare ai concorsi banditi dal Ministero della difesa, affinché si ponga fine ad una discriminazione inaccettabile e che contravviene alle disposizioni nazionali ed internazionali. (4-17189)

  Risposta. — Le procedure concorsuali per il reclutamento nelle Forze armate comprendono, tra i requisiti per la partecipazione, il possesso dell'idoneità psicofisica che deve essere accertata secondo le modalità previste dal decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 recante «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare», nel quale sono specificate le imperfezioni e le infermità causa di non idoneità al servizio militare e successive modifiche e integrazioni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 2012, n. 40.
  In particolare, il quadro giuridico non consente l'arruolamento dei soggetti in caso di positività al test HIV, incompatibile con l'attribuzione del profilo sanitario minimo per l'idoneità al servizio militare.
  Più specificamente, «le sindromi da immunodeficienza, anche in fase asintomatica», sono causa di non idoneità al servizio militare, ai sensi dell'articolo 582, comma 1, lettera e), numero 3) del richiamato decreto del Presidente della Repubblica.
  In materia, la Corte Costituzionale si è espressa (sentenza n. 218/1994) dichiarando «l'illegittimità costituzionale – basata sul principio generale che il diritto di ciascuno trova un limite nel reciproco riconoscimento e nell'uguale protezione del coesistente diritto degli altri – dell'articolo 5, terzo e quinto comma, della legge 5 giugno 1990, n. 135 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS), nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositività all'infezione da HIV come condizione per l'espletamento di attività che comportano rischi per la salute dei terzi».
  La stessa Corte, inoltre, ha ritenuto superata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all'articolo 6 della stessa legge, specificando che il divieto di accertamento della positività all'infezione da HIV sia inapplicabile non solo nella sanità, bensì in ogni altro settore in cui vi sia un serio rischio di contagio.
  Sulla base della richiamata pronuncia, le Forze armate rientrano a pieno titolo tra i settori a rischio contagio, in considerazione delle peculiari modalità di svolgimento dei compiti a loro devoluti, nonché degli evidenti fattori di rischio esistenti per la salute sia del personale militare sia di terzi.
  Peraltro, anche nella legislazione vigente sono contenute deroghe al principio generale (divieto di svolgere indagini prima dell'assunzione e nel corso della stessa) in particolari discipline di settore (personale appartenente alle forze di polizia): il riferimento normativo è la legge 30 novembre 1990, n. 359, dove è previsto che, per la verifica dell'idoneità all'espletamento di servizi comportanti rischi per la sicurezza, l'incolumità e la salute dei terzi, possono essere disposti, con il consenso dell'interessato, accertamenti dell'assenza di sieropositività all'infezione da HIV effettuati dagli organi tecnici previsti dai rispettivi ordinamenti, con modalità tali da garantire, comunque, l'assoluta riservatezza della persona.
  Da notare, ancora, che i fattori di rischio sussistono anche per Io stesso soggetto sieropositivo, la cui infermità sarebbe elemento ostativo per l'effettuazione integrale della prevista schedula vaccinale obbligatoria, quale indispensabile cautela per prevenire gravi malattie infettive diffusive derivanti dalla vita in comunità e/o dalle caratteristiche delle regioni geografiche nelle quali si è chiamati ad operare.
  La doverosa tutela nei confronti del soggetto sieropositivo richiede, oltretutto, che lo stesso non possa essere sottoposto a fattori di stress fisici e che, al contrario, debba seguire un regime di vita e un'eventuale terapia adeguati.
  Si richiama, inoltre, l'articolo 3 della direttiva tecnica della sanità militare del 5 dicembre 2005, come modificato dalla lettera e) del comma 1 dell'articolo 1, del decreto direttoriale 5 ottobre 2011 – emanato dalla Difesa – che contempla, tra le cause di non idoneità al servizio militare, «la positività per gli anticorpi anti-HIV».
  Da tali premesse e considerazioni, nonché sulla base della normativa vigente in materia, discende l'obbligo, per la Difesa, di prevedere l'accertamento della positività al test anti-HIV nella redazione dei bandi di concorso e di effettuare i relativi esami specialistico-strumentali durante le operazioni di selezione.
  Con riferimento, in ultimo, agli ulteriori «controlli medici», cui fa riferimento l'interrogante, si osserva che la menzionata direttiva tecnica della Sanità militare, indica, quali ulteriori cause di non idoneità al servizio militare, la positività all'antigene di superficie di HBV (HBsAg), agli anticorpi per HCV (epatite B e C), alla tubercolosi polmonare ed extrapolmonare (anche per tale ragione viene richiesta ai candidati una radiografia del torace, oltre che per escludere la presenza di infermità o degli esiti di patologie dell'apparato respiratorio), al morbo di Hansen e alla sifilide.
  L'ecografia pelvica – richiesta soltanto alle candidate – è, invece, necessaria per accertare l'identità di genere (atteso che gli organi genitali femminili, essendo intraddominali, non sono ispezionabili all'esame obiettivo), nonché per escludere altre malformazioni e infermità che sono causa di non idoneità all'arruolamento.
  Lo stato di gravidanza, infine, costituisce un «temporaneo impedimento» alla prosecuzione degli accertamenti di selezione proprio a tutela, in primis, della candidata, sia perché nei bandi sono previste anche le prove di efficienza fisica (corsa, piegamenti e altre attività che potrebbero essere pregiudizievoli per chi è in stato di gravidanza), sia perché i parametri clinici e di laboratorio durante la gestazione subiscono alterazioni che potrebbero inficiare il corretto giudizio medico-legale sull'idoneità.
Il Ministro della difesaGiampaolo Di Paola.


   DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogazione a risposta scritta n. 4-14562 con risposta pubblicata il 7 Agosto 2012 n. 678 si riferisce alle azioni di bonifica del territorio del poligono di Capo Frasca;
   dalle informazioni in possesso dell'interrogante nel poligono di capo frasca dal 1965 al 1987 la base si riforniva di acqua destinata ad usi umani proveniente da un solo pozzo e mai sottoposta ad analisi dei metalli pesanti come risulta da referti in suo possesso;
   con l'aumento del personale e l'aumento di risorse umane si dovette avviare alla ricerca di 2 pozzi artesiani senza autorizzazione né della provincia e né della regione e trovata l'acqua fu messa in rete senza analisi chimiche e di metalli pesanti e veniva usata principalmente ad uso umano;
   nel periodo estivo per esigenze della frazione confinante con il poligono di capo frasca veniva trasportata l'acqua con autobotti da 9000 litri e fino a 9 autobotti al giorno;
   l'acqua da bere era acqua in bottiglia ma per il caffè, la pasta, verdure e altro veniva usata acqua dei pozzi artesiani eh e ufficialmente non doveva essere utilizzata per uso umano e non conforme alle leggi in vigore;
   infatti, come il signor Palombo luogotenente dell'aeronautica in servizio per 40 anni effettivi prima a Decimomannu e poi al poligono di capo frasca in qualità di autista e capo autoreparto dichiara durante un'audizione nella seduta del 4 luglio scorso della Commissione d'inchiesta sull'esposizione a possibili fattori patogeni, con particolare riferimento all'uso dell'uranio impoverito, da analisi richieste dallo lui stesso a vari laboratori privati, sono state riscontrate diverse impurità e la presenza di metalli pesanti oltre i valori soglia. Cita a tale proposito le analisi effettuate dalla Sgs di Cagliari che hanno fatto riscontrare una presenza di arsenico in dosi superiori ai limiti previsti dalla legge. Dell'esito di ulteriori analisi richieste dal medico competente del poligono non si ha, ad oggi, notizia. Risulterebbe tuttavia che l'Aeronautica militare fosse al corrente di controlli effettuati dalle Asl competenti, che escludevano la possibilità di destinare l'acqua dei pozzi all'uso umano. Anche nei serbatoi sono presenti numerosi fattori di inquinamento che non sono stati mai adeguatamente indagati dal comando del poligono e i pochi interventi di bonifica si sono svolti senza la presenza degli ufficiali. Inoltre, non sono stati effettuati accertamenti sui casi di patologie invalidanti contratte dal personale che ha prestato servizio nel poligono;
   risulta, altresì, che l'acqua veniva data al bestiame, circa 2000 capi. La cooperativa di allevatori aveva in affitto 450 ettari di terreno per pascolo ma le bestie erano in giro per tutto il poligono particolarmente nel periodo di non attività, mentre nel periodo di attività moltissimi animali sconfinavano;
   venivano, poi, sganciate dalle portaerei bombe vere. Lo stesso signor Palombo dichiara di aver effettuato diverse azioni di bonifica e di aver individuato con la ruspa bombe inesplose con il rischio che esplodessero all'istante;
   nella risposta del Ministro della Difesa all'atto di sindacato ispettivo in questione si evidenziano una serie di informazioni in contrasto con quanto copra citato –:
   se il Governo ritenga di dover verificare i fatti citati in premessa, le richieste di analisi in sospeso e le mancate misure di protezione del personale che opera e ha operato nel Poligono di Capo Frasca. (4-17878)

  Risposta. — Si precisa, a premessa, che quanto rappresentato nella risposta all'atto n. 4-14562 – cui fa riferimento l'interrogante – relativamente alla situazione del poligono di Capo Frasca, è pienamente rispondente alla realtà.
  In particolare, si ribadisce che i tre pozzi artesiani, presenti nel poligono, sono stati, nel 1994, regolarmente notificati alle autorità competenti (Provincia e Regione) dall'allora 23o Gruppo radar dell'Aeronautica militare (GRAM) e che l'acqua viene utilizzata solo per l'irrigazione e la pulizia dei mezzi militari e non per uso umano: al personale è sempre stata distribuita acqua potabile in bottiglia sigillata.
  Quanto alle «analisi effettuate dalla Sgs di Cagliari», il poligono di Capo Frasca non ha mai richiesto analisi a tale società, tantomeno ha mai avuto copia delle risultanze delle analisi eseguite.

  Si sottolinea, invece, che nel 2006, il presidio multizonale di prevenzione dell'azienda sanitaria locale di Cagliari ha effettuato, come previsto dal decreto legislativo n. 31 del 2001, un controllo dell'acqua della rete idrica della sezione poligono di Capo Frasca, dal quale è emerso che l'acqua non era idonea all'uso umano, essendovi stati riscontrati valori di residuo fisso superiori ai limiti consentiti.
  Dopo le azioni correttive richieste, un prelievo di acqua effettuato nel punto dove viene utilizzata dalla mensa è stato sottoposto ad un controllo di verifica, da cui l'acqua è risultata conforme ai parametri previsti dal richiamato decreto legislativo n. 31 del 2001.
  In merito all'affermazione che «dell'esito di ulteriori analisi richieste dal medico competente del poligono non si ha, ad oggi, notizia», la stessa non è supportata da alcun fondamento, in quanto il medico competente, docente dell'università di Cagliari, non solo è stato sempre messo al corrente delle problematiche relative all'acqua della rete idrica di Capo Frasca, ma non ha mai richiesto ulteriori analisi.
  Sulla base dei risultati dei controlli periodici svolti a cura del Reparto sperimentale standardizzazione al tiro aereo (R.S.S.T.A), il medico ha svolto attività informativa attraverso incontri col personale della Sezione Poligono, illustrando le attività poste in essere per garantire la qualità dell'acqua utilizzata nella mensa di Capo Frasca e per chiarire, soprattutto, alcuni aspetti legati ad informazioni parziali e inesatte che circolavano tra il personale.
  Peraltro, dal 1998, il servizio di effettuazione delle analisi è affidato al laboratorio del Presidio multizonale di prevenzione della ASL di Cagliari, in base ad un atto negoziale stipulato dal servizio amministrativo del R.S.S.T.A..
  I risultati di tali analisi sono sempre stati valutati dal servizio sanitario del R.S. S.T.A., ai fini dell'attività di sorveglianza sanitaria: il riscontro occasionale di parametri non conformi ai limiti di legge veniva segnalato alle articolazioni competenti per le opportune azioni correttive.
  Quanto, poi, all'asserzione che «nei serbatoi sono presenti numerosi fattori di inquinamento che non sono mai stati indagati dal Comando del Poligono e i pochi interventi di bonifica si sono svolti senza la presenza degli ufficiali», ciò non risponde al vero.
  Al contrario, il serbatoio di accumulo, ispezionato recentemente, è apparso in ottime condizioni, protetto da agenti esterni e adeguatamente strutturato per evitare qualsiasi contaminazione; è attivo, inoltre, un impianto di clorazione successivo alla vasca di accumulo per assicurare l'ottimale disinfezione dell'acqua immessa in rete.
  I controlli periodici eseguiti nei punti di utilizzo confermano, altresì, l'assenza di contaminazione microbiologica, di eccesso di clorazione o di prodotti indesiderati della clorazione (cloriti e trialometani).
  Non risulta, tra l'altro, che l'acqua venisse data al bestiame: le attività agropastorali, svolte dalla cooperativa allevatori, sulla base della concessione demaniale in corso, sono regolarmente controllate dalla ASL territorialmente competente e, recentemente, una commissione nominata dal comandante della base ha accertato che le attività della cooperativa sono conformi e rispettano i dettami della concessione in atto.
  Riguardo, ancora, al fatto che venissero «sganciate dalle portaerei bombe vere», si conferma che nel poligono è impiegato solo «armamento inerte da esercitazione», che consiste in un involucro metallico ferroso riempito di materiale inerte – quali conglomerati cementizi – in sostituzione dell'esplosivo, di cui simulano il peso per mantenere le traiettorie di caduta più aderenti possibile al caso reale.
  Con riferimento alle dichiarazioni del signor P., è il caso di ribadire che non può trovarsi alcuna bomba inesplosa nel poligono, in quanto tutto l'armamento usato è privo di esplosivo e non esiste, pertanto, alcun pericolo di questo genere per il personale che effettua le operazioni di bonifica.
  Per quanto concerne, in ultimo, le «misure di protezione del personale che opera e ha operato nel poligono di Capo Frasca», si fa presente – come già evidenziato nella risposta all'atto n. 4-14263 dello stesso interrogante – che i dispositivi di protezione, da distribuire, previo addestramento per lo specifico impiego, debbono essere:
   facciali filtranti antipolvere monouso conformi agli standard FFP2 o classe 2 (protezione dagli aerosol solidi e/o liquidi indicati come pericolosi o irritanti) e FFP3 o classe 3 (protezione dagli aerosol solidi e/o liquidi tossici), di cui alla Norma UNI 10270;
   tute monouso con cappuccio e cerniera con elastici ai polsi, alle caviglie e alla vita con tessitura ad elevata traspirabilità, conformi alla Norma EN 467 e certificazione CE – categoria III (protezione contro sporco, schizzi e sostanze nebulizzate).
Il Ministro della difesaGiampaolo Di Paola.


   FAVA, MONTAGNOLI, FOGLIATO, BITONCI, GRIMOLDI, CHIAPPORI, CALLEGARI, BRAGANTINI, DI VIZIA, RONDINI, CAVALLOTTO, ALLASIA, BONINO e POLLEDRI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel settore dell'olio extravergine di oliva sono sempre più frequenti ipotesi di frodi e contraffazioni per ingannare i consumatori sulla vera natura dei prodotti costituiti, molto spesso, da oli di oliva deodorati, di bassa qualità, di valore commerciale tre volte inferiore a quelli di effettiva provenienza nazionale;
   al fine di prevenire e contrastare fenomeni fraudolenti, non sono state sufficienti le recenti normative relative all'indicazione della designazione dell'origine dell'olio extravergine di oliva, approvate, con le modifiche al regolamento (CE) n. 1019/2002 e, sul piano interno, con il decreto ministeriale 10 novembre 2009;
   recentemente, infatti, sono emerse diverse criticità, perché la normativa, pur definendo i contenuti essenziali delle diciture obbligatorie previste nell'etichettatura dei prodotti offerti in vendita, non indica con precisione le modalità grafiche con cui l'obbligo deve essere attuato e ciò consente alle imprese di apporre le indicazioni di interesse con modalità o caratteri che ne rendono difficile la corretta percezione da parte dei consumatori;
   dal rapporto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali 2011 sulle attività del Corpo forestale dello Stato nel settore della sicurezza agroambientale e agroalimentare, emerge che il personale del nucleo agroalimentare forestale, a seguito di una lunga indagine iniziata a settembre 2010 e finalizzata a verificare la filiera di qualità dell'olio extravergine di oliva, ha riscontrato, presso diversi stabilimenti di confezionamento a Firenze, Reggio Emilia, Genova e Pavia documenti di trasporto falsificati utilizzati per regolarizzare una partita di 450 mila chilogrammi di olio extravergine di oliva destinata ad essere commercializzata per un valore di circa 4 milioni di euro;
   dal medesimo rapporto emerge l'importanza dei metodi diagnostici finalizzati ad accertare, attraverso la presenza del livello di alchil esteri nell'olio, l'avvenuta deodorazione del prodotto, operazione di rettifica dell'olio di oliva che consente di trasformare oli di oliva non commestibili e di scarsa qualità in oli di oliva senza difetti, ma che, una volta subito questo trattamento, non possono più essere commercializzati come oli extravergini di oliva;
   con riferimento all'applicazione della normativa comunitaria (regolamento 24 gennaio 2011 (CE) n. 61/2011) che definisce alcune caratteristiche fisiche e chimiche degli oli d'oliva nonché i relativi metodi di valutazione sono emerse, tuttavia, notevoli criticità sotto il profilo delle caratteristiche e della qualità degli oli, posto che, i limiti fissati a livello comunitario per la presenza di alchil esteri negli olii extravergini è troppo elevato e rischia di incentivare la messa in commercio di olii di scarsa qualità, magari miscelati ad oli di migliore fattura o di legalizzare vere e proprie frodi ai danni dei consumatori, che vengono poste in essere adottando pratiche finalizzate a «deodorare» gli oli con caratteristiche organolettiche non adeguate;
   la presenza di metil esteri nell'olio di oliva è legata all'azione di un enzima nell'ambito del normale processo di lavorazione delle olive e non costituisce un indizio di cattiva qualità dell'olio. Diversamente, la presenza di un valore elevato di etil esteri è indice di fermentazione e di cattiva conservazione delle olive (nell'ambito di una produzione artigianale o a regola d'arte di olio extravergine di oliva, posta in essere rispettando le buone pratiche di raccolta e di estrazione dell'olio, la sommatoria degli alchil esteri non supera i 25/30 mg/kg);
   per tutte le indicate ragioni, l'articolo 43, comma 1-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese ha disposto che «al fine di prevenire frodi nel settore degli oli di oliva e di assicurare la corretta informazione dei consumatori, in fase di controllo gli oli di oliva extravergini che sono etichettati con la dicitura “Italia” o “italiano”, o che comunque evocano un'origine italiana, sono considerati conformi alla categoria dichiarata quando presentano un contenuto in metil esteri degli acidi grassi ed etil esteri degli acidi grassi minore o uguale a 30 mg/kg. Il superamento dei valori, salve le disposizioni penali vigenti comporta l'avvio automatico di un piano straordinario di sorveglianza dell'impresa da parte delle Autorità nazionali competenti per i controlli operanti ai sensi del regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004»;
   l'olivicoltura italiana è presente in quasi tutte le regioni caratterizzandone il paesaggio e, assicurando la produzione di oli di oliva vergini di elevata qualità, tanto da rappresentare un settore produttivo strategico per il made in Italy agroalimentare e per l'economia locale;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari e, nello specifico, degli oli di oliva vergini prodotti da olive nazionali, garantisce la solidità, la competitività e la distintività delle imprese agricole italiane;
   le azioni fino ad oggi intraprese nella lotta alle frodi ed alle contraffazioni non risultano ancora sufficienti e le risultanze delle attività di controllo fanno registrare una dilagante diffusione del fenomeno di illeciti nel settore oleario, posti in essere tramite operazioni tendenti a spacciare oli stranieri e di bassa qualità come oli di oliva vergini di provenienza italiana o, comunque, di categoria superiore;
   a fine settembre 2012, un funzionario della sede fiorentina dell'ispettorato per la tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, sarebbe stato arrestato dalla Guardia di finanza di Siena nell'ambito dell'inchiesta su olio «extravergine» tagliato con quello straniero, perché preannunciava i controlli dell'ispettorato e se ritenga di dover procedere, in conseguenza della gravità della misura, alla completa riorganizzazione dell'ufficio territoriale;
   l'avvocato Mario Monopoli, funzionario dell'ispettorato per la tutela della qualità e repressione frodi della Puglia, disattendendo, ad avviso degli interroganti, il contenuto e la ratio delle norme recentemente approvate, nel corso di un incontro svoltosi a Ostuni, il 22 settembre 2012 e di cui la stampa locale ha dato risalto anche in ragione della sua autorevole partecipazione accanto a quella dell'onorevole Paolo De Castro, ha dichiarato che i parametri fissati dalla norma per stabilire se un olio può essere classificato extravergine di oliva, a causa delle pratiche colturali attuate nelle nostre zone tra cui la raccolta e delle varietà secolari sono superati naturalmente e, pertanto, si corre il rischio che l'olio prodotto nelle nostre zone non venga classificato extravergine, sostanzialmente valutando i parametri previsti per legge, inutili ed irrilevanti o, addirittura, dannosi per il settore e, di fatto, avallandone la disapplicazione –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto riportato in premessa;
   se non ritenga gravemente lesivo della imparzialità e della efficienza dell'amministrazione che un funzionario preposto al controllo degli oli vergini, munito delle specifiche competenze tecniche e professionali, non debba valutare presuntivamente i difetti e le alterazioni di prodotti che non siano ottenuti nel rispetto delle migliori pratiche agronomiche e di tecnologia alimentare anche alla luce dei tradizionali parametri descritti nella legislazione in vigore (a partire dal grado di acidità) si che il livello di alchil esteri serva proprio per accertare la non rispondenza merceologica alla classificazione superiore di olio extra vergine ove sia vantata ai fini dell'immissione in commercio;
   quali iniziative intenda avviare per assicurare l'uniforme applicazione delle norme da parte dei funzionari dell'ispettorato per la tutela della qualità e repressione frodi e dagli altri organi di controllo sottoposti all'indirizzo e al coordinamento del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
   quali misure intenda promuovere per assicurare il tempestivo avvio di un sistema adeguato ed efficiente di controlli a partire dalla prossima e imminente campagna di produzione olearia. (4-18098)

  Risposta. — In merito a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame evidenzio che l'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), in qualità di organo tecnico di controllo del mio Dicastero, ha il compito di prevenire e reprimere gli illeciti nei vari settori del comparto agroalimentare per tutelare i consumatori ed i produttori nazionali.
  Nell'attività ispettiva di controllo particolare attenzione è assicurata alle produzioni di qualità più rappresentative del «Made in Italy», tra cui anche l'olio d'oliva, al fine di garantire l'immagine dello stesso sui mercati nazionali ed internazionali. Per questo motivo sono state anche intraprese misure di collaborazione con l'Agenzia delle dogane e le capitanerie di porto, sia per migliorare l'attività di monitoraggio dei flussi d'introduzione dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi terzi che per evitare fraudolente commercializzazioni di alimenti falsamente dichiarati «italiani».
  Sulla base dei criteri dell'analisi del rischio, così come previsti dal regolamento (CE) n. 882 del 2004, vengono scelti tutti gli operatori della filiera che l'ispettorato sottopone a verifica, ovvero frantoi, commercianti di olio sfuso, confezionatori, esercizi commerciali ivi compresi gli esercizi di ristorazione.
  In particolare, detti accertamenti sono orientati alla verifica della congruità tra le olive lavorate e l'olio prodotto in relazione all'origine dichiarata; della regolarità dei processi produttivi adottati; delle caratteristiche merceologiche; della corrispondenza delle tipologie merceologiche degli oli detenuti con la relativa documentazione contabile; della congruità del prodotto in entrata ed in uscita in relazione all'origine della categoria merceologica dichiarata; degli adempimenti previsti dal decreto ministeriale 10 novembre 2009 ed in particolare la corretta tenuta del registro degli oli d'oliva di cui all'articolo 7 dello stesso decreto; della regolarità degli imballaggi in relazione alla capacità e al sistema di chiusura, nonché della conformità dei dispositivi di etichettatura adottati alle indicazioni obbligatorie e facoltative.
  Inoltre, per assicurare lo svolgimento di azioni congiunte fra le diverse strutture operanti in campo alimentare, presso l'ispettorato è operativo il comitato tecnico ispettorato – altri organi di controllo, che riunisce i rappresentanti del comando Carabinieri salute (NAS), dei nuclei di polizia tributaria della Guardia di finanza, del Corpo forestale dello Stato, della Polizia di Stato, del comando Carabinieri politiche agricole, del comando generale del Corpo delle capitanerie di porto, dell'agenzia delle dogane e dell'AGEA.
  Tale comitato è stato istituito proprio allo scopo di potenziare e rendere più efficaci, nei diversi settori agroalimentari, ivi compreso il settore oleario, le sinergie d'intervento delle diverse amministrazioni interessate ed evitare, al contempo, inutili sovrapposizioni di controlli a carico degli stessi operatori.
  In tale ambito, vengono programmate azioni mirate di controllo a carattere straordinario, che si aggiungono all'attività istituzionale annuale dell'ispettorato; queste particolari azioni si orientano verso alcuni segmenti della filiera oleicola che, per situazioni contingenti di mercato, possono essere a maggior rischio di frode.
  L'attività di controllo dell'ICQRF prevede anche accertamenti analitici su campioni prelevati al commercio e alla distribuzione. Questi vengono effettuati dall'ispettorato avvalendosi di una propria rete qualificata di laboratori e comitati di assaggio che, nel caso degli oli d'oliva, procede al controllo di tutti i parametri relativi alla genuinità ed alla qualità dei prodotti previsti dalla regolamentazione comunitaria.
  Per quanto concerne il controllo dei flussi di oli di oliva movimentati dai singoli operatori, in base al richiamato dal decreto ministeriale 10 novembre 2009, i frantoi, le imprese di condizionamento e i commercianti di olio sfuso sono obbligati alla tenuta di un registro per ogni stabilimento e deposito, nel quale sono annotati le produzioni, i movimenti e le lavorazioni dell'olio extra vergine di oliva e dell'olio di oliva vergine, indipendentemente se destinati al mercato nazionale od estero.
  Tale registro, per una tempestiva fruizione dei dati ivi contenuti da parte degli organismi di controllo, è tenuto secondo modalità telematiche messe a disposizione sul portale del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN). Il registro di cui trattasi, costituendo un sistema di tracciabilità omogeneo e puntuale della «filiera olio d'oliva», consente di monitorare le singole movimentazioni di ogni singolo stabilimento e di conoscere i nominativi con i relativi indirizzi dei soggetti, nazionali o esteri, che hanno fornito o acquistato una specifica partita di olio.
  Al fine di migliorare il sistema di tracciabilità delle olive utilizzate nella produzione degli oli vergini, nonché di tutte le tipologie degli oli vergini commercializzati sul territorio nazionale, compresi quelli utilizzati dalle raffinerie nella produzione degli oli di oliva e di sansa di oliva, è all'esame una modifica del decreto 10 novembre 2009 per estendere l'obbligo della tracciabilità anche ad altre categorie di olio vergine (oggi escluse) prodotte e movimentate nel territorio nazionale (olio lampante e oli a DOP/IGP), nonché per ampliare la platea dei soggetti obbligati alla tenuta del suddetto registro telematico, quali i frantoi aziendali, i commercianti di olive da olio e le raffinerie che lavorano gli oli lampanti e producono olio di oliva o olio di sansa di oliva.
  La filiera «olio d'oliva», quindi, risulta essere oggetto di costante monitoraggio da parte dell'ICQRF senza che vengano operati criteri discriminatori tra il prodotto destinato al mercato nazionale e quello destinato al mercato comunitario che extra comunitario.
  In merito alle iniziative di natura legislativa vorrei, anzitutto, evidenziare il mio pieno sostegno alla recente, definitiva approvazione del testo di «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese» ove, fra gli altri, sono state introdotte due importanti disposizioni per tutelare ulteriormente la qualità dell'olio extra vergine di oliva italiano.
  La prima riguarda l'introduzione del limite del contenuto in metil esteri degli acidi grassi ed etil esteri degli acidi grassi fissato in 30 mg/Kg per gli oli extra vergini di oliva etichettati con la dicitura «Italia» o «italiano» o che comunque evocano un'origine italiana. Il superamento di tale limite comporta l'avvio di un piano straordinario di sorveglianza dell'impresa da parte autorità nazionali competenti per i controlli operanti ai sensi del regolamento (CE) n. 882 del 2004. La seconda disposizione, invece, prevede la verifica obbligatoria delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini (panel test), da utilizzare a fini probatori nei procedimenti giurisdizionali nell'ambito dei quali debba essere verificata la corrispondenza delle caratteristiche del prodotto alla categoria di oli di oliva dichiarati.
  Riguardo alla corretta e trasparente informazione al consumatore, abbiamo predisposto un decreto in materia di etichettatura che stabilisce le dimensioni minime obbligatorie dei caratteri in etichetta, così che le informazioni sull'origine del prodotto siano chiaramente leggibili e facilmente individuabili.
  Infatti, nonostante le normative europee sull'etichettatura dell'olio impongano l'obbligo di indicare in etichetta l'origine degli oli di oliva vergini ed extravergini, tale importante informazione, con alcuni espedienti grafici e tipografici, a volte viene resa poco riconoscibile ai consumatori, aggirando così di fatto le finalità del legislatore.
  Nelle more dell'esame da parte di Bruxelles del provvedimento ministeriale suddetto l'ICQRF, con apposita circolare inviata, tra gli altri, a tutti gli organi di controllo e a tutte le organizzazioni di categoria, oltre a richiamare l'attenzione delle imprese produttrici affinché predispongano etichette ove l'origine del prodotto sia facilmente individuabile, fornisce indicazioni sul potenziamento e coordinamento dei controlli, tramite la promozione di specifici programmi straordinari di lotta alle frodi e alle contraffazioni dell'olio di oliva lungo tutte le fasi della filiera, ma con particolare riguardo a quelle delicate dell'imbottigliamento e del commercio all'ingrosso.
  Al riguardo assicuro che, per uniformare l'applicazione delle norme su tutto il territorio nazionale, le circolari dispositive predisposte dall'ICQRF sono divulgate a tutti gli organi di controllo del Dicastero da me rappresentato e alle altre autorità nazionali competenti per i controlli operanti ai sensi del regolamento (CE) n. 882 del 2004.
  Riguardo alla vicenda che ha coinvolto l'ufficio territoriale di Firenze dell'ICQRF faccio presente che, in attesa che si definiscano compiutamente le responsabilità in ordine ai gravi fatti verificatisi, il funzionario interessato è stato sollecitamente sospeso dal servizio.
  Al fine salvaguardare e difendere sia la produzione nazionale che i consumatori, assicuro, anche per l'imminente campagna olearia, la massima attenzione da parte degli organi di controllo del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   FEDI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'approvazione della legge 22 marzo 2012, n. 38, recante «Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie di personale del Ministero degli affari esteri», (Gazzetta Ufficiale n. 86 del 12 aprile 2012), richiede comunque l'adozione delle norme del decreto legislativo n. 165 del 2011 indispensabile al fine di garantire l'effettività della parità di trattamento in termini di diritti sindacali del personale assunto con contratto locale dal Ministero degli affari esteri presso le sedi della rete diplomatico-consolare e degli Istituti italiani di cultura nel mondo;
   il personale impiegato con contratto locale è dipendente del Ministero degli affari esteri ai sensi della legge n. 109 del 2001 che recita: «il personale dell'Amministrazione degli Affari Esteri è costituito dalla carriera diplomatica, disciplinata dal proprio ordinamento di settore, dalla dirigenza e dal personale delle aree funzionali come definiti e disciplinati dalla normativa vigente, nonché dagli impiegati a contratto in servizio presso le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e gli istituti italiani di cultura»;
   l'articolo 42 del decreto legislativo n. 165 del 2011 prevede che nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l'attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300 – statuto dei lavoratori – e successive modificazioni ed integrazioni;
   la norma ha carattere generale e l'articolo 51, comma 2 della stessa prevede che si applichi anche alle pubbliche amministrazioni;
   il titolo II della legge n. 300 del 1970 contiene inoltre una serie di disposizioni volte a rafforzare l'effettività del principio di libertà sindacale sul posto di lavoro e il decreto legislativo n. 165 del 2001 conferma dunque la vigenza dei diritti previsti dallo statuto dei lavoratori per tutti i dipendenti indipendentemente dal fatto che questi siano destinatari o meno della contrattazione collettiva;
   la libertà sindacale sul posto di lavoro è un diritto fondamentale e indisponibile, garantito dalla nostra Costituzione, e deve trovare applicazione per tutti i lavoratori e, su questa linea, la legge n. 38 del 2012, composta di due articoli, ha posto fine a questa evidente discriminazione dei lavoratori del Ministero degli affari esteri;
   il primo articolo ha modificato l'articolo 42 del decreto legislativo n. 165 del 2001, disponendo che, dopo il comma 3, venisse inserito un comma 3-bis che prevede la possibilità per il personale in questione di partecipare alle rappresentanze sindacali sul posto di lavoro mentre il secondo articolo ha modificato l'impianto dell'articolo 50 del decreto legislativo n. 165 del 2001 con l'aggiunta di un articolo 50-bis, il cui disposto conferma l'applicabilità delle aspettative e dei permessi sindacali anche al personale assunto a contratto locale presso la rete diplomatico-consolare e degli istituti italiani di cultura nel mondo;
   a sei mesi dall'approvazione della legge il personale non può ancora godere a pieno titolo delle prerogative sindacali, poiché, a seguito di parere richiesto dal Ministero degli affari esteri, con palese ritardo, all'ARAN e al Dipartimento della funzione pubblica circa eventuali adempimenti tecnici, il funzionario del predetto Dipartimento ha rinviato l'applicabilità della norma in parola ad un accordo tra Aran e organizzazioni sindacali rappresentative ai fini del disposto dell'articolo 50 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (contenimento e razionalizzazione dei permessi sindacali), accordo che avrebbe potuto risolvere con strumenti prettamente pattizi questa complicata vicenda anni addietro, solo se le Confederazioni sindacali avessero mostrato disponibilità a raggiungere un accordo –:
   se non si ritenga necessario, anche in considerazione del blocco della contrattazione disposto dal decreto-legge n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 e successive modificazioni ed integrazioni, ai fini dell'applicabilità del disposto dell'articolo 2 della legge n. 38 del 2012, che il dipartimento della funzione pubblica impartisca disposizioni all'ARAN, affinché venga redatto celermente un addendum da sottoporre alla firma delle parti in causa, da inserire nel relativo accordo quadro;
   quali immediate iniziative si intendano assumere per rendere effettive la parità sindacale e la libertà di partecipazione sindacale, garantite dalla Costituzione e regolate dalla legge n. 38 del 2012. (4-18192)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede l'immediata applicazione di quanto disposto dagli articoli 42, comma 3-bis, e 50-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i quali prevedono, rispettivamente, che al personale assunto con contratti regolati dalla legge locale presso le sedi diplomatiche consolari e gli istituti di cultura nel mondo, venga concessa la possibilità di partecipare alle rappresentanze sindacali del posto di lavoro nonché di usufruire delle aspettative e dei permessi sindacali nel settore pubblico.
  Al riguardo, si rappresenta quanto segue.
  Com’è noto, con l'approvazione il 22 marzo 2012 della legge n. 38 recante «Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie di personale dei Ministero degli affari esteri», sono state introdotte modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, allo scopo di riconoscere specifici diritti e prerogative sindacali a determinate categorie di personale dipendente del Ministero degli affari esteri.
  In particolare, viene garantita la partecipazione del personale in servizio presso le sedi diplomatiche e consolari, nonché presso gli istituti italiani di cultura all'estero, ancorché assunto con contratto regolato dalla legge locale, alle elezioni svolte per la costituzione dell'organismo di rappresentanza sindacale unitaria del personale (articolo 1). Di conseguenza, si applicano alle stesse categorie di personale le norme vigenti in materia di aspettative e permessi sindacali di cui all'articolo 50 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001 (articolo 2).
  Tale disposizione prevede, in particolare, che i limiti massimi delle aspettative e dei permessi sindacali siano determinati dalla contrattazione collettiva in un apposito accordo, tra l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni e le confederazioni sindacali. Inoltre, alla contrattazione collettiva è demandata anche la gestione dell'accordo, che include le modalità di utilizzo e distribuzione delle aspettative e dei permessi sindacali tra le confederazioni e le organizzazioni sindacali.
  Al riguardo, pur aderendo a quanto affermato dall'interrogante, si osserva che le disposizioni della citata legge n. 38 del 2012 non appaiono di immediata applicazione: la previsione alla cui applicazione si rinvia prevede infatti, come anticipato, un accordo tra l'ARAN e le confederazioni sindacali rappresentative.
  Peraltro, l'accordo attualmente esistente – in quanto stipulato in data anteriore alla pubblicazione della legge 22 marzo 2012, n. 38 – non ha potuto tener conto delle norme introdotte con la novella legislativa.
  In considerazione di ciò, a seguito della raccolta dei dati sulla rappresentatività sindacale e dell'avvio delle procedure per la stipula del nuovo contratto collettivo nazionale quadro (CCNQ), il dipartimento della funzione pubblica sta predisponendo il relativo atto di indirizzo all'ARAN, contenente le indicazioni e le direttive necessarie per l'attivazione della predetta novella, per tanto, in sede di contrattazione collettiva saranno affrontate le problematiche relative alle nuove previsioni legislative.
  In ogni caso, si ritiene che l'applicazione della citala normativa debba avvenire nell'ambito delle ordinarie dotazioni finanziarie; ciò nel presupposto che, a norma del richiamato articolo 50 del decreto legislativo n. 165 del 2001, l'attuazione della norma avvenga nell'ambito di accordi raggiunti in sede di contrattazione collettiva nazionale: tale procedura dovrà applicarsi anche per quanto concerne la partecipazione del medesimo personale alle elezioni svolte per la costituzione dell'organismo di rappresentanza sindacale unitaria.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneFilippo Patroni Griffi.


   ANIELLO FORMISANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 maggio 2012 è pubblicata l'interrogazione n. 3-02849 della senatrice Teresa Armato, il cui iter ancora in corso, nella quale erano segnalati casi inquietanti relativi al fenomeno dello scambio di voti e più in generale al legame tra politica e criminalità;
   il caso forse più eclatante di quanto denunciato è quello delle elezioni nel comune di Sant'Antimo, nel quale, oltre a quanto descritto dalla stessa, si sono verificati anche casi di affissione selvaggia;
   la sezione locale dell'Italia dei Valori descrive ondate di manifesti e teloni elettorali, il cui contenuto elettorale si scontrava con le norme per le normali affissioni negli spazi pubblicitari, per le quali si è impegnata in una battaglia per la normalizzazione della campagna elettorale presentando una denuncia presso i vigili urbani;
   la risposta pronta e immediata dei vigili urbani poco ha potuto ottenere contro le squadre di attacchini che ricoprivano la città, vedendo ancora una volta perdenti le istituzioni dello Stato italiano;
   molteplici sono le relazioni e i documenti prodotti sia dalla Commissione antimafia che da servizi giornalistici, che collegano il fenomeno dell'attacchinaggio in periodo elettorale alla camorra –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda intraprendere per restituire dignità ai territori interessati e perché tali fatti non influenzino più il corretto svolgimento delle elezioni democratiche. (4-16189)

  Risposta. — L'interrogazione presentata dall'interrogante pone all'attenzione del Governo la questione concernente eventuali tentativi di condizionamento da parte della criminalità organizzata durante le ultime consultazioni elettorali tenutesi lo scorso maggio per il rinnovo degli organi elettivi del comune di Sant'Antimo (Napoli).
  L'argomento è stato oggetto di valutazione e approfondimento in occasione di apposite riunioni del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica tenutesi presso la prefettura di Napoli.
  Nel corso di tali riunioni sono state messe a punto strategie di intervento finalizzate alla intensificazione delle attività di monitoraggio ed infoinvestigative da parte delle forze dell'ordine volte a prevenire il verificarsi di eventuali situazioni che potessero condizionare la libera espressione del voto.
  A tal proposito in tutti i comuni della provincia di Napoli interessati alle consultazioni elettorali sono stati disposti mirati servizi sia in chiave di prevenzione generale e di controllo del territorio che di repressione di eventuali turbative, anche con l'impiego di personale di rinforzo delle forze dell'ordine.
  Sulla base delle esperienze maturate nelle precedenti consultazioni elettorali, sono state diramate alle amministrazioni comunali specifiche disposizioni con particolare riferimento all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 299 del 2000, relativo all'obbligo di rilasciare il duplicato della tessera elettorale solo al titolare, previa domanda corredata dalla denuncia di smarrimento o furto ai competenti uffici di pubblica sicurezza.
  Per quanto riguarda poi la possibilità di esprimere il voto presso uffici elettorali di sezione diversi da quelli di rispettiva iscrizione, è stata richiamata l'attenzione dei presidenti di seggio sulla disciplina in materia che limita tale possibilità solo a categorie tassative di soggetti.
  Gli stessi presidenti di seggio, inoltre, sono stati sensibilizzati ad informare, con massima tempestività, il delegato del comune, affinché procedesse ai necessari riscontri presso le sezioni nelle cui liste gli interessati risultavano iscritti.
  Nelle giornate in cui si sono svolte le votazioni in tutti i comuni interessati della provincia di Napoli è stata garantita la massima vigilanza da parte delle Forze dell'ordine sia all'interno dei seggi elettorali che davanti ad ogni singola sezione.
  Il fatto evidenziato dall'interrogante è stato segnalato la mattina del 6 maggio alle forze di polizia che, prontamente intervenute sul posto, hanno identificato tre persone a bordo di un'autovettura che si aggiravano nei pressi della scuola «Pestalozzi» di Sant'Antimo.
  All'interno del veicolo sono stati rinvenuti esclusivamente manifestini fac-simili di voto e bigliettini di propaganda elettorale di un candidato locale.
  Al termine degli accertamenti di rito è stata informata l'autorità giudiziaria.
  In ordine alle violazioni delle norme in materia di propaganda elettorale, si fa presente che è stata disposta la massima vigilanza da parte delle Forze dell'ordine con mirate attività preventive, anche per la salvaguardia del patrimonio artistico, archeologico, dell'arredo urbano e di ogni altro bene di valore.
  I sindaci e i commissari dei comuni interessati al voto, nonché i rappresentanti provinciali dei partiti e dei movimenti politici, nel corso di un incontro tenutosi presso la sede della prefettura di Napoli il 20 aprile 2012; sono stati invitati a vigilare sulla scrupolosa osservanza della normativa in materia, al fine di garantire anche la parità di condizione fra tutte le forze politiche.
  Il fenomeno delle affissioni al di fuori degli spazi consentiti, è stato attentamente monitorato anche con il coinvolgimento dei segretari comunali, invitati a relazionare periodicamente.
  Anche nel comune di Sant'Antimo il segretario comunale ha coordinato le attività di controllo delle affissioni abusive, assicurate dalla polizia locale con una apposita squadra adibita alla defissione provvedendo nel contempo all'oscuramento dei manifesti affissi abusivamente e alla contestazione per l'infrazione con la comminazione della sanzione amministrativa di cui all'articolo 8, legge 4 aprile 1956, n. 212 e successive modifiche ed integrazioni.
  Sulla questione la questura di Napoli ha riferito che sono stati elevati 16 verbali di contestazione e un candidato al consiglio comunale è stato deferito all'autorità giudiziaria competente, in concorso con altre 6 persone in quanto ritenuti responsabili della violazione di cui all'articolo 9, legge 4 aprile 1956, n. 212.
  Sottolineo, infine, che tutte quelle forme di attività che potenzialmente possono scaturire nell'illegalità vengono seguite con costante attenzione dalla prefettura che, nell'ambito dei poteri conferiti dalla legge, svolge le necessarie attività per garantire condizioni di trasparenza nella gestione dell'azione amministrativa.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   ANNA TERESA FORMISANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con DDG del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 13 luglio 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 luglio 2011 è stato indetto concorso pubblico per esami per complessivi 2.386 posti di dirigente scolastico, per i diversi ordini di scuole: il numero dei posti per la regione Lazio ammontava a 225 unità;
   il concorso, dopo una prima prova selettiva identica a livello nazionale tenutasi il 12 ottobre 2011 in ogni capoluogo di regione, prevedeva due prove scritte, tenutesi il 14 e 15 dicembre 2011 nel capoluogo di ciascuna regione, mentre la successiva fase orale è in corso di espletazione;
   la fase delle prove scritte e dei successivi colloqui è organizzata e gestita da ciascun ufficio scolastico regionale;
   l'ufficio scolastico del Lazio in data 23 settembre 2011 provvedeva a nominare la commissione esaminatrice che rimaneva in carica fino al 16 dicembre 2011 e che provvedeva a tutti gli adempimenti preliminari, alla predisposizione dei criteri di valutazione ed alla elaborazione delle tracce delle prove scritte effettuate il 14 e 15 dicembre 2011;
   si fa presente che il dirigente generale dell'Ufficio scolastico regionale Lazio aveva a disposizione un elenco con circa settanta aspiranti alla nomina di commissari, con competenze specifiche nelle tematiche oggetto del concorso mentre le persone scelte a quanto consta all'interrogante non avevano competenze specifiche nelle materie oggetto del concorso;
   secondo l'interrogante questa appare una violazione di legge che all'articolo 35 comma 3, lettera e), del decreto legislativo n. 165 del 2001 e all'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, impone che «i due commissari devono essere esperti di comprovata esperienza nelle materie oggetto del concorso»;
   in data 16 dicembre 2011 si registra un nuovo cambiamento nella composizione della commissione e si provvede anche a nominare una sottocommissione considerato che il numero dei partecipanti alle prove scritte è superiore alle cinquecento unità;
   infine la Commissione era composta da: ingegner Giorgio Guattari – presidente –; dottoressa Ester Rizzi; dottoressa Laura Toma. La sottocommissione formata in seguito era composta da: dottoressa Elisabetta Spaziani e dottor Mauro Arena;
   oltre a quanto segnalato in relazione alla commissione operante fino al 16 dicembre, si segnalano altre irregolarità in quanto uno dei commissari della sottocommissione (dottoressa Elisabetta Spaziani) risulta essere componente del consiglio generale della CISL, come rappresentante della CISL-scuola mentre l'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001 vieta che i rappresentanti sindacali facciano parte di commissioni esaminatrici;
   un altro membro della sottocommissione (dottor Mauro Arena) risulta essere ispettore tecnico, dirigente, di seconda fascia, reggente dell'ufficio VI dell'Ufficio scolastico regionale Lazio: detto ufficio ha, tra le sue competenze specifiche, «l'accreditamento e gli enti di formazione» ed è componente del team dei docenti e del comitato scientifico dell'I.S.ME.DA. s.r.l, ente di formazione che cura, tra l'altro, la preparazione dei candidati al concorso de quo;
   ciò risulta da quanto pubblicato nel sito ufficiale della società in questione e in tutte le «offerte» che l'ente indirizza ai candidati ed alle stesse istituzioni scolastiche; risulta altresì, da quanto lo stesso rappresentante legale dell'I.S.ME.DA. propone a chi aderisca all'offerta;
   si tratta quindi secondo l'interrogante di una evidente situazione di conflitto di interessi e di incompatibilità e ricorrerebbero le condizioni che avrebbero dovuto indurre il membro della sottocommissione a dichiarare la sua incompatibilità;
   un altro membro della commissione (dottoressa Ester Rizzi) risulta nell'elenco ufficiale dei consulenti dell'A.N.P., associazione sindacale nazionale dei presidi che ha evidente interesse al concorso: l'A.N.P. ha organizzato corsi di formazione (una delle prove del concorso ricalca il testo di un'esercitazione data ai corsisti ANP), assicura tutela legale a chi ha superato le prove nei ricorsi promossi dagli esclusi; e molti candidati ammessi all'orale risultano iscritti ANP;
   il commissario di informatica nella commissione de quo (professor Stefano Schacherl) risulta tra i docenti dei corsi di preparazione al concorso organizzato dell'ISMEDA;
   due commissari risulterebbero anche come tutori nel corso-concorso di reclutamento dei dirigenti scolastici del 2006/2007;
   inoltre due commissari sarebbero stati nominati dall'Ufficio scolastico regionale Lazio anche per la commissione che ha determinato il «dimensionamento» delle istituzioni scolastiche del Lazio;
   appare ictu oculi una sorta di casta e di cabina di regia, costituita sempre dalle stesse persone, intorno a tutto ciò che «ruota» intorno ai dirigenti scolastici nel Lazio;
   è inoltre oltremodo grave l'atteggiamento che l'Ufficio scolastico regionale Lazio tiene nei confronti dei richiedenti l'accesso agli atti ex legge n. 241 del 1990: di fronte ad istanze presentate in data 10 maggio 2011, l'Ufficio scolastico regionale Lazio ha consentito l'accesso in data 25 giugno (il termine per presentare ricorso è il 6 luglio, ma gli orali si concludono il 4 luglio);
   altri Uffici scolastici regionali (Lombardia, Molise, Calabria, Marche e Basilicata) hanno concesso e stanno autorizzando la visione di tutti gli atti inerenti la procedura concorsuale;
   l'Ufficio scolastico della regione Lazio secondo l'interrogante avrebbe operato contravvenendo alle più semplici regole di legittimità e trasparenza e limitando di fatto il diritto e la possibilità dei ricorrenti di organizzare la propria difesa –:
   se sia a conoscenza di tale vicenda e quali iniziative concrete intenda adottare al riguardo. (4-18204)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede chiarimenti riguardo a presunte irregolarità poste in essere nel corso dell'espletamento del concorso a dirigente scolastico per le scuole della regione Lazio.
  Al riguardo si forniscono le notizie pervenute dall'ufficio scolastico regionale per il Lazio, competente per l'espletamento della procedura concorsuale.
  Con riferimento alle osservazioni relative alla composizione della commissione esaminatrice, è stato evidenziato che la scelta del presidente e degli altri componenti della commissione si è basata sulla professionalità degli interessati dimostrata dai relativi curriculum vitae.
  In particolare, per quanto riguarda il presidente, la persona designata è stata per cinque anni coordinatore dell'indirizzo tecnologico della scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario e, in tale veste, ha presieduto tutte le commissioni di esame per l'accesso e per l'abilitazione. Successivamente, per ulteriori cinque anni, è stato direttore della Scuola di specializzazione all'insegnamento secondario, finalizzata alla formazione degli insegnanti della scuola secondaria di primo e di secondo grado.
  Per ciò che concerne la dirigente scolastica componente della medesima commissione, si precisa che quest'ultima è dirigente fin dal 1992 e che il suo percorso professionale è stato unanimemente apprezzato dall'amministrazione, come dimostrano gli incarichi speciali che le sono stati conferiti dai diversi direttori generali regionali che si sono succeduti nel tempo.
  In particolare, la stessa ha anche svolto il compito di tutor nel corso di formazione organizzato dall'ufficio scolastico regionale per il Lazio nell'ambito della procedura del corso-concorso di cui al decreto ministeriale del 3 ottobre 2006, riservato a coloro che avevano ricoperto la funzione di preside incaricato per almeno un anno.
  Si precisa che tale incarico si configurava in tutta evidenza come compito istituzionale, ai sensi dell'articolo 19 del contratto collettivo nazionale dell'area V – dirigenza scolastica per il quadriennio normativo 2002/2005, in quanto la scuola diretta dall'interessata era stata individuata dall'ufficio tra quelle presso cui svolgere il corso di formazione.
  Per quanto riguarda il dirigente tecnico, si precisa che lo stesso non è reggente dell'ufficio VI della direzione scolastica per il Lazio e che dal febbraio 2011 è il coordinatore del servizio ispettivo della medesima direzione.
  L'ufficio scolastico ha inoltre fatto presente che lo stesso funzionario non avrebbe mai aderito ad alcun comitato scientifico né autorizzato l'Istituto superiore metodologie direzione aziendale a utilizzare in proposito il proprio nominativo né la propria identificazione personale. Nell'anno 2000, vale a dire 12 anni fa, avrebbe effettuato attività di formazione a personale con qualifica di coordinatore dell'ufficio di segreteria al fine del successivo inquadramento nel ruolo dei direttori dei servizi generali amministrativi esclusivamente in Puglia e in Emilia Romagna. Da allora non avrebbe mai partecipato ad alcuna attività, né formativa né di altro genere, dell'ISMEDA.
  Riguardo, poi, alla pretesa incompatibilità dell'altra dirigente scolastica membro della sottocommissione, l'ufficio ha precisato che l'interessata non ricopre più il ruolo di membro del consiglio generale dell'unione sindacale territoriale della CISL di Roma, a cui era stata eletta nel marzo 2009 e dal quale si è dimessa nel dicembre 2010.
  È stato anche fatto presente che il detto consiglio generale non ha funzioni di direzione e rappresentanza sindacale, esercitate invece, secondo quanto stabilito dallo statuto CISL, dalla segreteria, organo di cui l'interessata non ha mai fatto parte.
  Per ciò che concerne le procedure di accesso agli atti, l'ufficio responsabile della gestione della procedura concorsuale, nonostante la grave situazione di deficit organico in cui versa, ha immediatamente messo in atto tutte le azioni per permettere nel più breve tempo possibile l'accesso a più di 450 candidati che ne avevano fatto richiesta.
  L'ufficio ha pubblicato un avviso sul sito internet istituzionale sin dal 1° giugno 2012 convocando tutti gli interessati, a partire dall'11 giugno 2012, secondo un calendario prestabilito per esaminare ed estrarre copia dei propri elaborati e delle relative schede di valutazione.
  L'amministrazione non ha espresso alcun diniego all'accesso, bensì ha esercitato la facoltà di differimento, ai sensi dei commi 2 e 3 dell'articolo 9 del regolamento sull'accesso (decreto del Presidente della Repubblica n. 184 del 2006) e del comma 2 dell'articolo 3 del decreto ministeriale n. 60 del 1996, al fine di contemperare gli interessi dei numerosissimi istanti con quelli dell'amministrazione.
  Per completezza si informa che secondo quanto rappresentato dall'ufficio scolastico regionale le censure illustrate nella presente interrogazione sono state oggetto di un ricorso al TAR del Lazio che, con ordinanza n. 2209 depositata il 22 giugno 2012, è stato respinto in sede cautelare, non avendo il giudice riscontrato la fondatezza di quanto lamentato.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricercaFrancesco Profumo.


   MANCUSO, CICCIOLI, CROLLA e GIRO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   Santa Maria della Scala, a Siena, è stato uno dei primi ospedali dell'Occidente e centro di accoglienza per i pellegrini, esempio di solidarietà per tutta l'Europa medioevale;
   l'opera, di straordinario valore architettonico, nel corso di un millennio, si è estesa per oltre 40 mila metri quadri, oggi recuperati per metà, con circa 25 milioni di euro quasi interamente finanziati dalla fondazione Monte dei Paschi;
   il Santa Maria della Scala è anche sede di collezioni permanenti e mostre, fra le più note quelle su Duccio da Boninsegna e Hugo Pratt;
   dallo scorso giugno, dopo la caduta della giunta di centro-sinistra, la città è retta dal commissario prefettizio Enrico Laudanna;
   lo scorso agosto Laudanna aveva preannunciato la chiusura dell'impianto per mancanza di fondi e per la mancanza dell'affidamento dei servizi di sorveglianza, precedentemente gestiti dalla Cooperativa Zelig, il cui contratto è scaduto il 30 agosto 2012;
   il Laudanna è riuscito ad evitare la chiusura con un temporaneo affidamento diretto del servizio di sorveglianza che ha garantito la continuità dell'apertura al pubblico delle principali sale;
   oggi, infatti, si può visitare solo il quarto livello, dove c’è la Sala del Pellegrino e il biglietto d'ingresso è ridotto;
   è in fase di avanzata predisposizione l'istruttoria di una gara per la gestione dell'intero complesso museale, in relazione alle promesse di risorse finanziarie che perverranno dalla regione Toscana e dalla Banca Monte dei Paschi di Siena;
   la banca MpS ha, tra l'altro, stornato i fondi per i festeggiamenti di fine anno, che saranno revocati, e destinati alla salvezza di Santa Maria della Scala –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per destinare appositi fondi alla salvezza del complesso museale senese di Santa Maria della Scala, anche in considerazione della candidatura della città a capitale della cultura per il 2019.
(4-17947)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante chiede se il Governo intenda assumere iniziative per destinare appositi fondi alla salvezza del complesso museale senese di Santa Maria della Scala, anche in considerazione della candidatura della città a capitale della cultura per il 2019, si comunica quanto segue.
  Il complesso dell'ex ospedale di Santa Maria della Scala è oggetto, da alcuni decenni, di interventi di recupero per fini museali, dopo la sua completa dismissione come ospedale, avvenuta a metà degli anni novanta del secolo scorso.
  Già negli anni ottanta, il comune di Siena aveva bandito un concorso per selezionare il progetto di trasformazione in complesso museale, vinto dallo studio Canali di Parma. Sulla base di questo progetto, nel tempo, attraverso stralci successivi, sono stati recuperati alcuni spazi per l'utilizzo espositivo, per mostre, permanenti o temporanee, e per altri servizi connessi (ad esempio la biglietteria, il bookshop, la caffetteria, gli uffici, la biblioteca d'arte Briganti, le sale per convegni). Una parte molto suggestiva degli spazi ipogei ha accolto il museo archeologico statale, inaugurato agli inizi degli anni 2000.
  Contemporaneamente ai vari cantieri, il complesso, di straordinario interesse architettonico, artistico ed archeologico, è stato oggetto anche di numerosi studi, ricerche, scavi. Nel 2010 è stata pubblicata l'interessante monografia di Beatrice Sordini, Dentro l'antico ospedale, che raccoglie i risultati delle ultime ricerche archivistiche ed archeologiche sul bene.
  Gli interventi fino ad ora eseguiti, che hanno reso possibile il recupero solo di una parte del vastissimo complesso, sono stati finanziati da fondi locali, soprattutto del Comune e della Fondazione Monte dei Paschi di Siena. Non sono mai stati richiesti contributi statali ai sensi degli articoli 31, 35 e seguenti del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modifiche.
  Poco prima della crisi dell'amministrazione comunale – che ha portato all'attuale commissariamento nella tarda primavera di quest'anno – si stava ultimando la bozza del protocollo di intesa tra il Ministero per i beni e le attività culturali, il comune di Siena, la provincia di Siena e l'arcidiocesi di Siena, per la costituzione del sistema museale integrato nel complesso dell'ex ospedale di Santa Maria della Scala, con il trasferimento al suo interno della pinacoteca nazionale di Siena, o di parte di essa, e del museo diocesano. Attualmente il progetto risulta sospeso in attesa, da un lato, della nuova amministrazione comunale e, dall'altro, della nuova configurazione che la provincia di Siena assumerà a seguito del recente accorpamento con quella di Grosseto.
  Nel frattempo, la carenza di risorse finanziarie ha portato alla parziale chiusura degli spazi visitabili e ad una riduzione degli orari di apertura: si è scongiurata la totale chiusura grazie al sostegno della regione Toscana ed ai fondi reperiti dal commissario prefettizio.
Il Ministro per i beni e le attività culturaliLorenzo Ornaghi.


   RICARDO ANTONIO MERLO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   continuano i disagi per i pensionati italiani residenti all'estero (Argentina) che sono sempre più oggetto di rapine e aggressioni fisiche, anche brutali;
   notizie di aggressioni, anche presso il domicilio di pensionati italiani, sono riportate non solo dalla stampa locale, ma anche da quella nazionale, e denunciate dai dirigenti delle associazioni italiane e dai Comites;
   a Balcarce (circoscrizione consolare di Mar del Plata) si è verificato l'ultimo fatto di sangue ai danni di una pensionata italiana che, a causa delle percosse e torture subite, versa ora in gravissime condizioni; il caso è stato riportato sia dal quotidiano locale di Mar de Plata, La Capital (28 giugno 2012), che dal Clarìn, uno dei principali media nazionali argentini (29 giugno 2012);
   i pensionati italiani vengono – spesso a torto – considerati dalla malavita locale percettori di redditi cospicui;
   è opinione oramai diffusa nella collettività italiana, ma non solo, che tra le cause di questi delitti ci possa essere una mancata protezione della privacy dei percettori di pensione italiana;
   l'INPS ha inviato recentemente diverse comunicazioni ai pensionati residenti all'estero contenenti richieste di informazioni personali, dati anagrafici, di residenza e di esistenza in vita che risultano viaggiare in plichi con «lato aperto», per un'eventuale ispezione postale;
   questa circostanza consentirebbe ai malintenzionati e criminali di accedere alle informazioni personali relative ai redditi e al domicilio dei pensionati italiani;
   il principio dell'inviolabilità della corrispondenza, è sancito dall'articolo 15 della nostra Costituzione;
   l'invio di plichi contenenti dati personali cosiddetti «sensibili» non può essere trattato come un qualunque servizio di spedizione di libri, campioni o pubblicità, ossia casi in cui il cliente (in questo caso l'INPS) in cambio di una tariffa molto agevolata aderisce a particolari condizioni dettate dal fornitore del servizio, come la facoltà di aprire l'oggetto di corrispondenza per eventuali controlli –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti criminali che hanno coinvolto i pensionati italiani residenti all'estero;
   se non ritengano necessario garantire la privacy dei pensionati italiani assicurando che l'INPS invii le prossime comunicazioni e le ulteriori richieste di informazioni ai propri assistiti, in forma riservata utilizzando un servizio di posta inviolabile. (4-16893)

  Risposta. — Non risulta esistere una correlazione diretta tra le comunicazioni inviate dall'Inps e le aggressioni subite dai percettori di pensione italiana residenti in Argentina. Dopo aver fatto verifiche con la Soc. Postel, che cura la predisposizione della corrispondenza da parte dell'Inps, è risultato che le buste con le quali l'Istituto invia le comunicazioni ai pensionati non hanno alcun lato aperto. Trattandosi di un processo di stampa ed imbustamento industriale, i plichi sono già incollati su tre lati e vengono incollate sul quarto dopo l'inserimento dei fogli al loro interno, prima di essere poi trasmesse a Poste Italiane per il recapito.
  Per quanto attiene alle comunicazioni ed alle richieste rivolte ai pensionati dalla banca che gestisce per conto dell'Inps i pagamenti all'estero, è stata richiesta una verifica delle modalità di spedizione della corrispondenza anche a Citibank. Quest'ultima ha fatto sapere che le buste contenenti la documentazione relativa alla richiesta di attestazione dell'esistenza in vita, i moduli di variazione delle coordinate bancarie, la variazione d'indirizzo e la cointestazione del conto corrente sono sigillate al momento della spedizione e non presentano nessun lato aperto per un'eventuale ispezione da parte del correo argentino.
  L'Ambasciata d'Italia a Buenos Aires, non appena informata dai patronati italiani nel Paese e dal Comites di Buenos Aires dei casi di buste pervenute aperte ai pensionati italiani, ha immediatamente contattato il servizio pubblico postale (correo argentino) rappresentando l'esigenza di un intervento urgente volto a scongiurare il verificarsi di simili accadimenti.
  A seguito del reiterarsi di episodi analoghi, l'Ambasciata ha contattato nuovamente il correo argentino, il quale ha informato della necessità di conoscere il domicilio e i nominativi dei pensionati interessati dalle violazioni di corrispondenza, elementi che ad oggi non sono stati resi noti all'Ambasciata.
  Pertanto, affinché possano essere attivate azioni utili ad impedire il verificarsi dei fatti citati, è necessario che i nostri connazionali che subiscono l'apertura della propria corrispondenza ne diano piena e completa informazione agli uffici consolari.
  Il Ministero degli affari esteri per quanto di competenza, nel confermare il proprio impegno a promuovere e realizzare iniziative a tutela delle nostre collettività all'estero, assicura che continuerà a seguire il caso con la dovuta attenzione, in raccordo con l'Ambasciata a Buenos Aires.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   MIGLIORI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Politecnico di Milano ha informato che dal 2014 saranno proposti i corsi per gli studenti dell'ultimo biennio della laurea specialistica e dei dottorati esclusivamente in inglese, abolendo di fatto la lingua italiana;
   tale decisione è stata opportunamente contestata dall'ambasciatore Bruno Bottai, a nome della società Dante Alighieri, in quanto «la lingua inglese senza dubbio va studiata come lingua veicolare ma non può in alcun modo sostituire la lingua nazionale»;
   tale rivoluzione linguistica contraddice le battaglie per la difesa della nostra lingua nell'Unione europea nonché l'attività delle 500 sedi della Dante Alighieri nel mondo e le finalità degli istituti di cultura italiani impegnati nella diffusione sempre più estesa dell'italiano –:
   se si abbiano notizie di quello che all'interrogante appaiono ulteriori tristi iniziative in merito da parte di altri istituti universitari;
   se non si reputi opportuno far sì che presso ogni scuola d'ordine e grado della Repubblica, salvo le scuole a tutela delle lingue delle minoranze nazionali, si mantenga l'uso insostituibile della lingua nazionale. (4-16038)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare citata in oggetto con la quale interrogante, in relazione alla possibilità per il politecnico di Milano di impartire corsi di laurea magistrale e dottorato di ricerca in lingua inglese, chiede interventi finalizzati a salvaguardare la lingua nazionale italiana.
  Al riguardo si rappresenta preliminarmente che nel piano dell'offerta formativa 2012-2013 presentato al Ministero dal politecnico di Milano e regolarmente validato è prevista la possibilità per l'ateneo di impartire solo 5 corsi di laurea magistrale in lingua inglese.
  Va evidenziato che l'annunciata iniziativa non appare in contrasto con la normativa vigente, atteso che l'articolo 2, comma 2, lettera l), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, prevede che le università, nell'adozione dei nuovi statuti, osservino alcuni vincoli e criteri direttivi tra i quali è indicato il «rafforzamento dell'internazionalizzazione anche attraverso una maggiore mobilità dei docenti e degli studenti, programmi integrati di studio, iniziative di cooperazione interuniversitaria per attività di studio e di ricerca e l'attivazione, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali, disponibili a legislazione vigente, di insegnamenti di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera» (enfasi aggiunta).
  Tale iniziativa sembra peraltro non pregiudizievole per gli studenti, ai quali verrebbe comunque consentita una scelta consapevole, e farebbe riferimento ai soli corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca, così da assicurare che l'acquisizione delle competenze di base possa avvenire in lingua italiana. In tal senso la scelta del politecnico andrebbe dunque interpretata come un'opportunità diretta a offrire una formazione di taglio internazionale, in coerenza con gli obiettivi di un'università statale e con le richieste del contesto industriale e professionale di riferimento dell'ateneo, che ha più volte auspicato la formazione di persone capaci di operare professionalmente in lingua inglese, anche considerando che nelle discipline in cui l'ateneo è attivo (ingegneria e architettura), l'inglese rappresenta la lingua di elezione per la ricerca e l'attività professionale.
  L'università interessata ha altresì chiarito che tale progetto sarebbe accompagnato da un piano di interventi a sostegno delle conoscenze linguistiche degli studenti durante il corso della laurea triennale.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricercaFrancesco Profumo.


   REGUZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'educazione alimentare rappresenta una importante questione da affrontare nel percorso educativo del bambino;
   il dibattito attuale sui cibi nostrani, eco-compatibili, geneticamente modificati e altro assume particolare importanza su tutti gli organi di informazione;
   l'organizzazione scolastica nulla prevede al riguardo –:
   quale sia l'orientamento del Governo per migliorare l'informazione e l'educazione rivolta ai nostri ragazzi;
   se e quali iniziative siano state assunte per migliorare, quale sia lo stato di attuazione del programma di educazione alimentare ed informazione alimentare corretta. (4-16162)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare indicata in oggetto con la quale l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative intende intraprendere il Governo per attuare un corretto programma di educazione alimentare rivolto agli studenti degli istituti scolastici di ogni ordine e grado.
  A tal riguardo, si fa presente che in materia di educazione alimentare sono state introdotte da questo Ministero una serie di innovazioni e modifiche, didattiche e operative, che hanno coinvolto l'intero sistema scolastico italiano.
  Nel nostro Paese già da tempo si è evidenziato l'aumento dell'incidenza di molte patologie legate agli stili di vita nonché il ruolo fondamentale dell'attività fisica e della corretta alimentazione per la protezione della salute. Dati che suscitano estrema preoccupazione sono quelli relativi al notevole aumento dei casi di sovrappeso e obesità nella nostra popolazione, già a partire dall'età infantile.
  In materia di educazione alimentare, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha posto in essere il programma «Scuola e cibo Piani di educazione scolastica alimentare» e partecipa al programma comunitario «Frutta nelle scuole», realizzato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali in collaborazione con questo Ministero, il Ministero della salute e le Regioni.
  I citati progetti sono coerenti con la strategia intersettoriale sviluppata dal programma «Guadagnare salute», di cui al protocollo d'intesa del 5 gennaio 2007 tra il Ministero della salute e questo Ministero.
  Tutte le iniziative sopra ricordate mirano a contribuire alla riduzione di quei fattori di rischio che maggiormente attentano alla salute pubblica.
  In particolare, il programma «Scuola e cibo» si prefigge di introdurre nel sistema di istruzione italiano l'educazione alimentare quale materia trasversale e interdisciplinare, anche riprendendo precedenti esperienze e iniziative già realizzate da singoli istituti e coinvolgendo progressivamente le scuole di ogni ordine e grado e le università. Non si tratta di inserire nei curricula una nuova materia, ma di collocarla di volta in volta all'interno di altre discipline, come quelle scientifiche, storico-geografiche dell'educazione civica e motoria, ad esempio con richiami e integrazioni relative alla conoscenza del cibo, dei consumi alimentari, della funzione degli alimenti, nonché agli aspetti culturali, sanitari ed economici dell'alimentazione.
  Il summenzionato programma rivolto ad alunni, famiglie e docenti cerca di sviluppare i temi dell'educazione alimentare e dell'educazione al movimento e allo sport sollecitando l'adozione di corretti e salutari stili di vita.
  Si tratta di un'iniziativa di notevole rilevanza didattico-educativa che questo Ministero intende progressivamente estendere su tutto il territorio nazionale per tutti gli ordini di studio, entro il prossimo 2015.
  Il programma comunitario «Frutta nelle scuole» si propone di far fronte allo scarso consumo di frutta e verdura da parte di bambini e ragazzi, aumentando durevolmente la porzione di frutta e verdura nella loro dieta, nella fase in cui si formano le abitudini alimentari.
  Infine per quanto riguarda il programma «Guadagnare salute», con il menzionato protocollo d'intesa del 5 gennaio 2007, il Ministero della salute e questo Ministero si sono impegnati a realizzare un programma d'interventi che impegni il sistema scolastico e il sistema sanitario nella prevenzione delle malattie croniche, attraverso la realizzazione di progetti finalizzati all'acquisizione di stili di vita e abitudini salutari.
  Il Ministero partecipa inoltre alla «Piattaforma nazionale sull'alimentazione l'attività fisica e il tabagismo», alla quale è assegnato il compito di formulare proposte e attuare iniziative, in coerenza con il programma «Guadagnare salute».
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricercaFrancesco Profumo.


   REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del Regolamento (CE) 847/2004, la legge 28 gennaio 2009, n. 2, prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
   il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con l'Arabia Saudita, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore –:
   se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
   quali siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
   se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-17963)

  Risposta. — Nel maggio 2011, con la firma di un nuovo memorandum of understanding tra le autorità aeronautiche saudite (GACA) e quelle italiane (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), sono state emendate le intese aeronautiche in tema di servizi aerei tra i due paesi.
  In particolare sono state introdotte le clausole comunitarie e specificatamente quelle inerenti la designazione dei vettori Unione europea stabiliti in Italia, safety, taxation aviation fuel e tutela dei princìpi di concorrenza.
  Quanto agli aspetti operativi, la nuova intesa ha previsto, a favore di entrambe le parti, un incremento del tetto delle frequenze passeggeri da 4 a 10 settimanali e di quelle cargo, fissate a 10 settimanali, con cosiddetti diritti di 3a e 4a libertà; nonché un ampliamento delle destinazioni finali (ora, Riad, Damman e Jedda in Arabia Saudita e Roma, Milano ed una terza destinazione a scelta in Italia) e di quelle intermedie (ora, 3 a scelta per ambedue le parti). Ai vettori di entrambe le parti è stato concesso il code-sharing tra compagnie della stessa parte, della controparte e di Paesi terzi. Nel luglio 2012, le suddette intese sono state ulteriormente emendate portando le frequenze passeggeri settimanali da 10 a 14.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriStaffan de Mistura.


   REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del regolamento (CE) 847/2004, la legge 28 gennaio 2009, n. 2, prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
   il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con l'India, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore –:
   se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
   quale siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
   se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-18137)

  Risposta. — A seguito dell'entrata in vigore della legge n. 2 del 2009 (decreto «salva Malpensa») il Ministero degli affari esteri, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'ente nazionale aviazione civile, ha messo a punto una road map operativa, periodicamente aggiornata, che ha dato il via alla rinegoziazione degli accordi aerei con numerosi paesi extra Unione europea strategicamente individuati, ad oggi 64, tra cui l'India.
  A tale Paese è stata inviata, in aggiunta alla richiesta di carattere generale di rinegoziare l'accordo aereo, una proposta ad hoc sulla base dello specifico interesse per lo sviluppo delle relazioni aeree bilaterali.
  A conclusione di tale azione negoziale, il 26 e 27 aprile 2011 si sono svolte a Roma consultazioni bilaterali che hanno portato alla revisione dell'accordo aereo bilaterale del 1959, alla firma di «Agreed minutes» e alla parafatura di un memorandum di intesa, firmato successivamente, a Delhi, dall'ambasciatore d'Italia in India ed entrato in vigore il 16 gennaio 2012.
  I contenuti operativi della nuove intese prevedono, in particolare:
   la multi-designazione dei vettori e la liberalizzazione dei servizi cargo e charter;
   la liberalizzazione dei punti intermedi ed oltre;
   due scali a scelta libera nei territori dei due stati contraenti, in aggiunta a quelli di Roma e Milano per i vettori indiani e di Mumbai e Delhi per quelli italiani;
   la quinta libertà per numerose destinazioni in relazione agli scali di Roma e Milano (per i vettori indiani) e di Mumbai e Delhi (per quelli italiani);
   il tetto complessivo di 24 frequenze settimanali; per maggiore flessibilità, è stata eliminata la ripartizione di frequenze precedentemente prevista in relazione a determinate rotte;
   accordi di cooperazione di block-space, joint-venture e code-sharing con vettori del proprio paese, dell'altro paese contraente e di Paesi terzi;
   la facoltà di code-sharing domestico tra le compagnie delle due parti, a condizione che la compagnia della controparte si limiti ad operare sul territorio dell'altra come marketing carrier e su non più di 4 punti addizionali rispetto a quelli di entrata previsti nel Route Schedule;
   alle compagnie è consentito l'uso di aeromobili in leasing per ogni tipologia di servizio.

  Inoltre, l'accordo aereo bilaterale del 1959 è stato emendato nelle parti attinenti alla sicurezza della navigazione aerea (aviation security/safety), al riconoscimento dei certificati (recognition of certificates) ed alle tariffe.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMarta Dassù.


   REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del regolamento (CE) 847/2004, la legge 28 gennaio 2009, n. 2, prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
   il Governo ha recentemente concesso alla compagnia di bandiera di Singapore i diritti di quinta libertà;
   il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con Singapore, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore –:
   se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
   se i diritti di quinta libertà siano effettivamente esercitati;
   quale siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
   in caso di positiva conclusione, se vi siano ulteriori elementi migliorativi che il nostro Paese intende ulteriormente richiedere;
   se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-18237)

  Risposta. — Già prima della legge n. 2 del 2009 (decreto «Salva Malpensa»), in considerazione dell'interesse ad ampliare i collegamenti aerei con i Paesi dell'Asia orientale, venne siglato a Roma, il 17 gennaio 2006, un Memorandum of understanding con le autorità aeronautiche di Singapore, che introdusse nella nuova intesa le norme comunitarie sul trasporto aereo (reg. UE 847/2004), la multi-designazione di compagnie aeree di entrambe le parti, l'incremento dei punti operativi tra i due Paesi nonché l'aumento delle frequenze passeggeri e cargo settimanali per ciascuna Parte.
  A seguito dell'entrata in vigore della legge n. 2 del 2009 (decreto «Salva Malpensa») il Ministero degli affari esteri, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Ente nazionale aviazione civile (Enac), ha messo a punto una
road map operativa, periodicamente aggiornata, che ha dato il via alla rinegoziazione degli accordi aerei con numerosi Paesi extra Unione europea strategicamente individuati, ad oggi 64, tra cui Singapore.
  A tale Paese è stata inviata, in aggiunta alla richiesta di carattere generale di rinegoziare l'accordo aereo, una proposta
ad hoc sulla base dello specifico interesse per lo sviluppo delle relazioni aeree bilaterali.
  Nelle more della conclusione delle nuove intese, è stata, peraltro, data la disponibilità a concedere alle compagnie di Singapore che ne avessero fatto richiesta, autorizzazioni provvisorie
ex legge n. 2 del 2009.
  Il negoziato che ne è seguito ha portato, nel giugno del 2009, ad una revisione del suddetto
memorandum consentendo alle compagnie di entrambe le Parti di aggiungere ulteriori 7 frequenze settimanali passeggeri e/o cargo a quelle concordate nel 2006 con diritti di terza e quarta libertà su Fiumicino, Malpensa ed un terzo punto a scelta in Italia, per i vettori di Singapore.
  L'Accordo del 2006 ed i successivi provvedimenti migliorativi dello stesso hanno permesso un sensibile aumento delle frequenze disponibili per le compagnie operanti, la designazione di vettori multipli ed un potenziamento del traffico aereo sugli scali italiani, in particolare Malpensa, grazie all'incremento delle rotte e dei diritti di traffico fruibili.
  Per quanto attiene la richiesta di
Singapore Airlines di poter operare, extra-accordi, con diritti di quinta libertà da Milano Malpensa a New York e viceversa, il competente Enac, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero degli affari esteri, ha comunicato, nel maggio del 2012, la disponibilità al rilascio di autorizzazioni per l'esercizio dei diritti di cui sopra (diritto di imbarcare e sbarcare passeggeri o merci tra due Stati terzi partendo dallo Stato che ha rilasciato la licenza) sulla tratta Milano Malpensa-New York.
  Tali nuovi collegamenti, fino a 7 frequenze settimanali, possono essere operati da parte della
Singapore Airlines qualora il vettore manifesti concreto interesse ad operare i suddetti servizi, secondo le modalità indicate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in via provvisoria ed extra accordo bilaterale, per un periodo di 18 mesi (3 stagioni di traffico Iata).
  Questi ulteriori diritti di traffico, a titolo di reciprocità, potranno essere richiesti alle Autorità di Singapore dai vettori italiani, laddove abbiano interesse ad operare in V libertà sull’
hub asiatico.
  
Singapore Airlines – per quanto a conoscenza di questo Ministero – non sta operando né ha manifestato l'intenzione di operare a breve tali servizi supplementari e per quanto attiene alla possibilità per le compagnie italiane di utilizzare, su base reciproca, il diritto di V libertà su Singapore, non vi è stata alcuna manifestazione di interesse.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMarta Dassù.


   SCHIRRU, VILLECCO CALIPARI, LAGANÀ FORTUGNO, CICU, GATTI, MATTESINI, BELLANOVA, GNECCHI, CALVISI, SIRAGUSA, ARGENTIN, FADDA, MELIS, MARROCU, PORCU e PES. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministero della difesa del 5 dicembre 2005 recante «Direttiva tecnica riguardante l'accertamento delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare, all'articolo 4, comma a), per quanto riguarda l'ematologia e le malattie primitive del sangue e degli organi emopoietici prevede che: «La microcitemia costituzionale o trait talassemico non è causa di inabilità al servizio militare quando presenta le seguenti caratteristiche: – Hb maggiore di 11 gr/dl per i maschi e 10 gr/dl per le femmine; regolare sviluppo somatico; as- senza di splenomeglia; assenza di segni di emolisi; sideremia e ferritina normali o aumentate»;
   in alcuni bandi di concorso per le forze armate e di polizia sembra che non si sia tenuto conto della nuova normativa richiamata in premessa, che ricorda tra l'altro le differenze dei valori di Hb diversi tra uomini e donne (se il valore minimo nell'uomo portatore di anemia mediterranea è individuato in 11 g/dL, il valore minimo per la donna deve essere differenziato di almeno 1 g/dL, quindi il livello di tolleranza per la donna portatrice di anemia mediterranea sul valore minimo deve essere almeno 10 g/dL);
   in seguito a quella che appare una mancata osservanza della norma pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 300 del 27 dicembre 2005, si è creato un ulteriore disagio a chi aveva già con grande impegno sostenuto costi e sacrifici, sia nello studio che nella preparazione al superamento delle prove psico-fisiche e attitudinali dei concorsi citati;
   si palesa quindi, ancora una volta, la non applicazione delle norme che prendono in esame le diverse caratteristiche fisiche tra uomini e donne nel rispetto del principio di pari opportunità –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di adoperarsi per ripristinare lo stato di diritto sanando l'evidente discriminazione;
   quali iniziative intenda avviare per l'eventuale modifica dei regolamenti interni per i bandi di concorso pubblici destinati all'arruolamento nelle forze armate, al fine di assicurare il corretto recepimento delle norme che comportano – come nei casi di cui in premessa – un aggiornamento dei criteri di selezione, nel pieno rispetto delle norme vigenti in materia di pari opportunità per uomini e donne. (4-17592)

  Risposta. — I bandi di concorso per il reclutamento nelle Forze armate contengono l'esplicito richiamo a tutte le direttive tecniche vigenti in materia, ivi compresa la direttiva tecnica in data 5 dicembre 2005, riguardante l'accertamento delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare.
  Anche le commissioni sanitarie, preposte alla selezione psico-fisica dei candidati, sono vincolate all'osservanza delle disposizioni legislative e regolamentari che disciplinano le procedure concorsuali di riferimento.
  Peraltro, tali direttive tecniche, benché modificate nel tempo, contemplano ancora oggi limiti di tolleranza differenziati di emoglobina (Hb) per i maschi e per le femmine.
  Infatti, nell'elenco delle imperfezioni e delle infermità è specificato che la microcitemia costituzionale o trait talassemico, con un valore di Hb che sia maggiore di 11 gr/dl per i maschi e di 10 gr/dl per le femmine, non costituisce causa di non idoneità al servizio militare, pur non raggiungendo, comunque, i valori minimi normali di emoglobina nel sangue.
  Allo stato attuale, pertanto, l'affermazione secondo cui non vi sia differenziazione tra maschi e femmine non corrisponde alla realtà, ma potrebbe derivare da un equivoco determinato dai differenti limiti di microcitemia stabiliti nella direttiva tecnica 5 dicembre 2005, riguardante i criteri per delineare il profilo sanitario dei candidati.
  In tale direttiva è stabilito che ai soggetti con microcitemia costituzionale o trait talassemico può essere attribuito un profilo 2 (che identifica un'idoneità sanitaria compatibile con il servizio militare incondizionato) nella caratteristica apparati vari (AV), solo quando il valore dell'Hb sia superiore a 10,5 gr/dl per le femmine e a 12 gr/dl per i maschi.
  Concludendo, nel ribadire che i bandi di concorso per il reclutamento nelle Forze armate si limitano a richiamare le direttive tecniche cui le commissioni mediche devono fare riferimento per la visita di idoneità al servizio militare – nulla aggiun- gendo ai valori richiesti per le singole caratteristiche somato-funzionali – si assicura che tali direttive costituiscono parte integrante dei bandi di reclutamento.
Il Ministro della difesaGiampaolo Di Paola.


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 30 marzo 2012 l'Associazione nazionale di imprese di bonifica, ASSOBON, ha inviato una nota al Ministero della difesa – direzione generale dei lavori del demanio, al Ministero della difesa – comando infrastrutture nord, al Ministero della difesa – 5° reparto infrastrutture – ufficio BCM, Ministero della difesa 10° reparto infrastrutture – ufficio BCM, al prefetto di Milano, al prefetto di Bergamo, al prefetto di Brescia, al prefetto di Como, al prefetto di Varese, al prefetto di Monza-Brianza, all'autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, alla direzione provinciale del lavoro di Milano, alla direzione provinciale del lavoro di Brescia, alla direzione provinciale del lavoro di Bergamo, alla direzione provinciale del lavoro di Como, alla direzione territoriale del lavoro di Varese, alla direzione provinciale del lavoro di Monza e Brianza, per rappresentare che: «1. L'Associazione Nazionale di Imprese di Bonifica, ASSOBON, costituita in Roma con atto Not. Mariconda del 12 febbraio 1989 rep. n. 21251, riunisce le principali imprese italiane che operano con continuità nel settore della ricerca e bonifica da mine ed altri ordigni bellici. Nell'ambito della finalità prevista dallo statuto, segnatamente l'intento di sensibilizzare i pubblici poteri ai pericoli derivanti dalla presenza nel territorio nazionale di ingenti quantità di ordigni residuati bellici, l'ASSOBON ha segnalato, nel novembre 2009, ai competenti uffici del Ministero della difesa, all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ed ai prefetti di Milano, Bergamo e Brescia l'avvenuto affidamento del servizio di bonifica delle aree interessate ai lavori di realizzazione del raccordo autostradale diretto Brescia, Bergamo, Milano a fronte di un corrispettivo (euro 765.000,00) del tutto inadeguato alle caratteristiche ed alla entità dell'intervento. La richiesta del prefetto di Milano al genio militare di Padova per avere conferma o smentita a quanto denunciato dall'ASSOBON ha permesso di calcolare in euro 4.968.432,20 l'importo dei corrispettivi stimabili per la bonifica delle aree in questione. Da ciò l'ovvia constatazione che, stante l'incomprimibilità dei costi stimati dal genio militare per tali interventi, il “caso Brebemi” mostrava con assoluta evidenza come anche in questa occasione, come in moltissime altre analoghe, dovesse ritenersi per certo che il servizio di bonifica non sarebbe stato realizzato nel rispetto delle previsioni contrattuali e in piena osservanza delle specifiche prescrizioni impartite dall'autorità militare. Concludevamo che, non potendosi confidare esclusivamente sulla tradizionale efficienza dell'attività di sorveglianza svolta dall'autorità militare a causa della mancanza di personale e mezzi adeguati, un intervento di bonifica affidato a condizioni economiche ragionevolmente inaccettabili non avrebbe potuto determinare la messa in sicurezza delle aree, con conseguente pericolosità delle condizioni di lavoro nei cantieri aperti sulle aree stesse e sostanziale inagibilità delle opere che vi sarebbero state realizzate. Malgrado le successive lettere del 18 gennaio 2010, 23 febbraio 2010, 15 aprile 2010 e 24 marzo 2011 nessuna autorità ha dato seguito al nostro esposto che, a conferma della straordinaria pericolosità dei fatti denunciati, non mancava di rilevare come gli ordigni rinvenuti sul territorio nazionale nell'ultimo triennio, come da attestazione del Ministero della difesa del 5 febbraio 2010, ammontassero all'impressionante numero di 235.830 di cui ben 534 rappresentati da bombe d'aereo. L'intervento di bonifica prodromico ai lavori di realizzazione del raccordo autostradale Brescia, Bergamo, Milano, affidati dal consorzio BBM all'Impresa Pizzarotti, non è mai stato sospeso né fatto oggetto di alcuna verifica in ragione della grave anomalia riscontrata. 2. Nel frattempo, l'ASSOBON ha sollecitato un intervento legislativo inteso a modificare il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, includendo il servizio di bonifica nei piani di sicurezza dei cantieri da far parte integrante del contratto di appalto con indicazione nei bandi di gara dei relativi oneri non soggetti a ribasso d'asta e ad istituire un albo delle imprese specializzate in grado di svolgere correttamente il servizio di bonifica ed in possesso di adeguati requisiti. La relativa proposta di legge (n. 3222), che è in fase di approvazione definitiva, introduce nella disciplina in materia di sicurezza sul lavoro l'obbligo di valutare anche il rischio di esplosione derivante dall'attivazione accidentale di residuati bellici, specialmente durante le mansioni di scavo che i lavoratori svolgono nei cantieri temporanei e mobili. Nella relazione che accompagna la proposta di legge è detto che “la regolamentazione di questa attività deve necessariamente definire i requisiti per abilitare le imprese ad operare relativamente agli interventi di bonifica da ordigni bellici, per quanto riguarda le capacità tecnico-economiche, la disponibilità di idonee attrezzature e il personale in possesso dei brevetti rilasciati dal Ministero della difesa”. Ed ancora, che i “casi emblematici rappresentati dai recenti affidamenti, da parte di importanti imprese di costruzione, della bonifica da ordigni bellici, relativamente alla realizzazione di rilevanti opere pubbliche, nel cui ambito gli importi di aggiudicazione sembrano assolutamente inadeguati, in quanto non raggiungono neanche un sesto di quelli stimati” portano a concludere “che il lavoro a tali condizioni non verrà eseguito correttamente e completamente e ciò con grave pregiudizio per la sicurezza delle maestranze, nonché delle opere da realizzare”. 3. Dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, che ha approvato il Codice dell'ordinamento militare e stabilito l'abrogazione espressa di numerose norme, tra cui il decreto legislativo luogotenenziale 12 aprile 1946, n. 320, e il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 1° novembre 1947, n. 1768, che contengono tutte le norme primarie in materia di bonifica del territorio nazionale da campi minati e da ordigni residuati bellici e del tutto trascurando la perdurante efficacia di tutti gli atti normativi (decreti ministeriali, direttive, istruzioni, circolari, determinazioni generali ministeriali, eccetera) “emanati in attuazione della precedente normativa abrogata” (articolo 2186) ed in concreto disciplinanti l'attività di bonifica, alcuni committenti di opere pubbliche in corso di attuazione hanno ritenuto “non più necessario fare domanda alle Autorità militari competenti per l'ottenimento dell'autorizzazione, con relative prescrizioni tecniche, per l'esecuzione della bonifica delle aree”, né tenute, le imprese incaricate della bonifica stessa, a fornire al committente “il certificato di buona esecuzione delle indagini”, salvo ad esigere che l'impresa affidataria rilasci il “certificato di avvenuto sminamento senza reperimento di ordigni con manleva delle responsabilità” del committente, dell'appaltatore e della direzione dei lavori. Ciò, malgrado la direzione generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa sia intervenuta chiarendo ai propri organi esecutivi che, ai sensi dell'articolo 2186, comma 2, del citato Codice, permaneva la piena validità intrinseca delle direttive amministrative e delle istruzioni tecniche impartite dalla Direzione stessa, come il Ministro della difesa ha recentemente confermato rispondendo ad una interrogazione parlamentare sul punto. Si aggiunga il sempre più frequente ricorso, da parte di alcune imprese del settore, a tecniche esplorative del sottosuolo (magnetometria) del tutto inadeguate ad accertare con sufficiente certezza la presenza o meno di ordigni bellici; tecniche, infatti, che nessun disciplinare vigente ha mai previsto ed autorizzato. In un quadro già di per sé poco rassicurante non sorprende che recentemente si siano verificati anche episodi di inusitata gravità, rappresentati da interventi di bonifica falsamente certificati come eseguiti, sui quali sono in corso gli accertamenti delle competenti autorità amministrative e giudiziarie. 4. Ad arrestare la pericolosa deriva che sembrava travolgere il settore della bonifica da ordigni esplosivi residuati bellici è intervenuto il decreto legislativo 24 febbraio 2012, n. 20, recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, che ha attribuito nuovamente, con legge dello Stato, alle competenti autorità militari i compiti e le attribuzioni che, pur erroneamente, erano parse ad alcuni essere venuti meno a seguito dell'abrogazione del decreto legislativo luogotenenziale 12 aprile 1946, n. 320, e del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 1° novembre 1947, n. 1768. Ciò non impedisce che tuttora, per le ragioni suesposte, si debba ritenere indispensabile che l'affidamento del servizio di bonifica avvenga a prezzi adeguati alle prestazioni che le imprese sono chiamate a svolgere. 5. A questo fine occorre premettere una constatazione in fatto ed una considerazione in diritto. La prima rende evidente che l'affidamento del servizio di bonifica alle imprese del settore avviene prevalentemente mediante subappalti conferiti dai soggetti affidatari dei contratti pubblici relativi alle opere da realizzare. Ad eccezione dei casi in cui è l'Amministrazione militare a commettere direttamente le attività di ricerca, individuazione e scoprimento di ordigni sulle aree che la stessa ha in uso, è raro che la bonifica sia oggetto di conferimento diretto dal committente dell'opera. Ciò non esclude – ed è la considerazione in diritto – che sia comunque obbligatorio il controllo delle offerte presentate in sede di gara di appalto o di subappalto al fine di escludere quelle anormalmente basse perché le norme dettate in materia di anomalia dell'offerta (articoli 86 e seguenti del Codice dei contratti pubblici) devono intendersi come meramente recettive di princìpi generali vigenti nell'ordinamento, ben potendosi effettuare la verifica di anomalia anche rispetto alle offerte non strettamente ricomprese nell'ambito dei criteri matematici di cui alle norme citate. È certo, infatti, che secondo l'articolo 86 comma 3 del Codice – ma il principio è comune ad ogni ipotesi di affidamento diretto od indiretto – la verifica di anomalia può essere esperita anche in casi nei quali non risulta prevista in modo specifico, così come non è precluso di sottoporre a verifica, discrezionalmente, ulteriori offerte che rimangano entro la soglia di anomalia ma destino ugualmente sospetti. In tal senso si è espresso il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con decisione n. 52 del 12 febbraio 2003. Con riferimento all'attività di bonifica, necessario parametro di riferimento per stabilire la congruità delle offerte, specie se abbiano ad oggetto un prezzo complessivo della prestazione e non un ribasso sul prezzo posto a base di gara, sono le prescrizioni tecniche dettate dal competente Ufficio BCM del Genio Militare contestualmente al rilascio dell'autorizzazione all'effettuazione del servizio; tra queste vengono indicate anche le quantità giornaliere massime di attività di bonifica consentite, sia superficiale che in profondità, per ogni squadra BCM operante in cantiere, secondo la sua composizione tipo (un assistente tecnico coordinatore ed un rastrellature). Tale parametro, che vale a definire l'ambito della prestazione che giornalmente può essere resa da un'impresa a secondo della propria disponibilità di mezzi e persone, consente di stabilire, tenuto conto del costo del lavoro e dei noli delle attrezzature usate, l'importo complessivo minimo al quale può essere svolta la bonifica in una determinata area interessata da lavori di scavo. A questo stesso risultato – cioè alla quantificazione del valore minimo della prestazione di bonifica – e con riguardo ai lavori sull'autostrada BREBEMI abbiamo visto essere pervenuto il 23 dicembre 2009 l'Ufficio BCM del 5° Reparto infrastrutture del Genio Militare di Padova quando ne è stato richiesto dal prefetto di Milano sollecitato dall'Assobon; valutazione che lo stesso Ufficio BCM ha confermato nell'agosto 2011. Pertanto, in forza delle disposizioni di legge in vigore e dei princìpi generali che da questa promanano, nessun committente di opera pubblica può sottrarsi all'obbligo di sottoporre a controllo di congruità le offerte che gli pervengono per l'effettuazione dei servizio di bonifica sui terreni interessati dai lavori di realizzazione di un'opera pubblica. E se a ciò non dovesse indurre la volontà di rispettare i princìpi di legalità cui deve orientarsi ogni attività d'impresa, specie quando coinvolga elementari esigenze di sicurezza delle persone, dovrà essere sufficiente stimolo ad osservare la legge la considerazione che degli esiti di ogni intervento di bonifica sono chiamati a rispondere, accanto all'impresa che la effettua, anche il committente dell'opera, l'impresa affidataria della stessa e la direzione dei lavori, a nulla rilevando che l'intervento sia stato oggetto di verifica da parte del Genio Militare, che si limita ad attestare il compimento di indagini a campione su una minima porzione (2 per cento) delle aree interessate e su questa sola base assume essere state osservate le prescrizioni tecniche imposte all'atto del rilascio dell'autorizzazione iniziale. È di tutta evidenza che tale documento non esclude la responsabilità di coloro che, a qualunque titolo, all'intervento hanno dato adito. 6. In conclusione, l'Assobon deve ribadire che, fino a quando l'entrata in vigore di nuove norme non sia valsa a disciplinare la materia in modo più adeguato, la sicurezza dei lavoratori e l'integrità delle opere realizzate restano affidate alla scrupolosa e severa sorveglianza che le autorità militari sapranno svolgere sugli interventi di bonifica; ma, soprattutto, alla preventiva verifica della entità del servizio da rendere e della adeguatezza dei corrispettivi convenuti. Distinti saluti»;
   da fonti di stampa (http://www.ilgiorno.it/bergamo/cronaca/2012/04/11/695546-bombe-brebenli-cantieri-bergamo-artificieri.shtml) si apprende che «Bergamo, 11 aprile 2012 – Non bastano le proteste, le inchieste e gli arresti. A fermare il cantiere della Brebemi ci si mettono anche gli ordigni bellici. Questa mattina gli operai al lavoro nel tratto del cantiere che attraversa il territorio del paese di Bariano, hanno trovato due proiettili bellici. Le autorità sono stati avvisate, la zona è stata transennata e i lavori sono stati sospesi. Si è ora in attesa degli artificieri da Cremona che provvederanno a prelevare gli ordigni o a farli brillare sul posto... [...] –:
   quali siano le urgenti iniziative che si intenderà assumere in relazione ai fatti narrati in premessa e se non ritenga opportuno interessare le competenti autorità giudiziarie per gli eventuali aspetti di competenza;
   quali siano state le azioni intraprese dalle autorità di Governo e dalle pubbliche amministrazioni statali destinatarie della nota in premessa e delle precedenti nella medesima citate, in caso contrario quali siano le ragioni dell'inerzia. (4-15711)

  Risposta. — I quesiti posti con l'interrogazione in esame, delegata alla difesa dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, non contemplano una competenza diretta del Dicastero, cui spetta soltanto la vigilanza sull'esecuzione dei lavori di bonifica preventiva.
  Infatti, ai sensi dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 66 del 2010 (codice dell'ordinamento militare), le attività di bonifica connesse con la realizzazione di opere pubbliche/private rientrano, normalmente, tra quelle finalizzate alla tutela della pubblica incolumità e della sicurezza dei cantieri e, per tale motivo, sono eseguite a cura e spese dell'impresa appaltatrice, mediante ditte specializzate nel settore e riguardano la sola fase di ricerca, individuazione e scoprimento di eventuali ordigni esplosivi residuati bellici interrati (detta anche bonifica sistematica).
  In caso di rinvenimento di ordigni, rientra nei compiti della locale prefettura coordinare la fase di disinnesco, rimozione e/o brillamento degli stessi (detta bonifica occasionale), che viene espletata con il concorso del personale dipendente (militare o civile) della difesa, in possesso della qualifica EOD (Esplosive Ordinance Disposal).
  In particolare, le attività di bonifica sistematica in argomento si configurano in un rapporto tra soggetti privati, laddove l'amministrazione Militare, in virtù delle vigenti disposizioni in materia, è chiamata, attraverso gli organi tecnici periferici a:
   impartire le prescrizioni alle quali le ditte specializzate dovranno attenersi per eseguire la ricerca;
   espletare le previste funzioni di sorveglianza che si concretizzano nella verifica delle attrezzature e del personale specializzato impiegato e, al termine delle attività, all'esecuzione di un sopralluogo sul cantiere per constatare, a campione, che la ditta specializzata abbia operato conformemente alle prescrizioni impartite.

  Tutte le responsabilità derivanti da danni a persone o cose imputabili ad una imperfetta ed incompleta esecuzione della ricerca ricadono sulle rispettive ditte specializzate interessate le quali, per tale aspetto, rilasciano specifica dichiarazione di garanzia sull'attività svolta.
  Chiarito quanto sopra, per quanto a conoscenza del Dicastero sugli specifici quesiti posti con l'atto in argomento, si rappresenta che:
   l'organo tecnico periferico, nel caso specifico il 5o reparto infrastrutture di Padova, ha fornito al richiedente consorzio BBM le prescrizioni e, su richiesta della prefettura di Milano, le informazioni tecniche in termini di costi/rendimenti, per pervenire ad una corretta valutazione della problematica in questione;
   il consorzio ha suddiviso l'appalto di bonifica in tre lotti affidati rispettivamente alle seguenti ditte specializzate: Bcm s.o.s. Diving Team s.r.l. (alla quale è subentrata successivamente la Co.fi.ba), la ditta Amenophis e la ditta Co.fi.ba;
   le notizie apparse sulla stampa relative al rinvenimento degli ordigni bellici riguardano, secondo quanto affermato dal sopracitato organo tecnico, ordigni rinvenuti nel corso della fase di ricerca (bonifica sistematica). Detti ordigni sono stati segnalati alle competenti autorità per la relativa rimozione/brillamento, secondo le procedure previste per la bonifica occasionale, così come descritto in precedenza.
Il Ministro della difesaGiampaolo Di Paola.


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Il Mattino del 22 giugno 2012 è pubblicato un articoli dal titolo «Catturò Setola: uccide il suo vice e si spara» dalla cui lettura si apprende che alla base del tragico evento che ha coinvolto mortalmente i due militari dell'Arma dei carabinieri che prestavano servizio presso la caserma di Mignano Montelungo vi siano state delle questioni di natura penale relative a presunte irregolarità amministrative e contabili;
   sul medesimo quotidiano un secondo articolo dal titolo «Guerra tra ruoli, omicidio come reazione ad una sfida»;
   rispondendo all'interrogazione 4-10648 il Ministro ha affermato che «in merito, invece, al quesito riguardante l'effettuazione di “periodici controlli presso i consultori psicologici”, nell'osservare che l'accesso dei militari presso tali consultori avviene in forma volontaria, sottolineo che costituisce un dovere per il personale rappresentare il proprio stato di salute al medico dell'ente/reparto di appartenenza che provvede, dopo le valutazioni del caso e qualora ritenuto opportuno, ad attivare i canali specifici. Ciò, proprio al fine di individuare le cause – di natura ambientale e personale – del possibile disagio e le linee di azione più appropriate per prevenire condotte autolesive. Per quanto riguarda i suicidi fra gli appartenenti alle Forze armate, registratisi negli ultimi dieci anni, nell'arco temporale 1° gennaio 2001-30 giugno 2011, si sono verificati n. 88 casi presso le Forze armate e n. 141 presso l'Arma dei Carabinieri.»;
   ad avviso degli interroganti l'episodio a cui si riferiscono gli articoli in premessa evidenzia gravi carenze nella politiche di gestione del personale e nelle politiche sanitarie volte alla prevenzione delle cause di disagio e delle condotte autolesive o pericolose tra il personale militare e in particolare tra gli appartenenti all'Arma dei carabinieri;
   è di tutta evidenza, secondo gli interroganti, che le attuali politiche sanitarie e l'attuale sistema di regolazione in tema di idoneità al servizio militare, favoriscono condotte volte a evitare la manifestazione di situazioni di disagio in specie di natura psicologica, per le note ripercussioni legate all'eventuale collocamento in congedo per non idoneità al servizio militare –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative correttive alle norme che regolano l'idoneità al servizio militare, anche con riguardo alle modalità ed alla tempistica delle visite di controllo;
   se non ritenga opportuno emanare adeguate disposizioni, ivi comprese l'istituzione di sportelli anche telefonici di aiuto e counseling per la prevenzione delle situazioni di disagio lavorativo, di atti violenti e di condotte lesive, cui rivolgersi inizialmente anche in forma anonima, affinché il personale militare e in particolare quello appartenente all'Arma dei carabinieri e al Corpo della guardia di finanza possa affrontare al meglio tali situazioni. (4-16729)

  Risposta. — Sul piano generale, si assicura che la Difesa ha da tempo attuato una mirata attività di prevenzione specificamente mirata ai possibili fenomeni di suicidio, così da individuare e analizzare eventuali situazioni ambientali e personali che possono costituire potenziali concause o fattori di rischio.
  Il numero degli psicologi e degli psichiatri militari impegnati nella selezione del personale all'atto dell'arruolamento, è stato incrementato proprio per soddisfare l'esigenza di approfondire le valutazioni cliniche sugli stati latenti o pre-morbosi per ogni candidato.
  Ciò premesso, le procedure concorsuali per il reclutamento nelle Forze armate comprendono, tra i requisiti per la partecipazione, il possesso dell'idoneità psicofisica che deve essere accertata secondo le modalità previste da:
   decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, recante «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005 n. 246», nel quale sono specificate le imperfezioni e le infermità causa di non idoneità al servizio militare e successive modifiche e integrazioni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 2012, n. 40;
   direttiva tecnica 5 dicembre 2005 della sanità militare riguardante l'accertamento delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di inidoneità al servizio militare, e successive modificazioni;
   direttiva tecnica 5 dicembre 2005 della sanità militare per delineare il profilo sanitario dei soggetti giudicati idonei al servizio militare, e successive modificazioni.

  Inoltre, la direttiva sulle procedure per gli accertamenti sanitari in tema d'idoneità al servizio, emanata dalla sanità militare in data 9 marzo 2007, stabilisce che il militare possa essere sottoposto alla verifica dell'idoneità al servizio, in relazione a peculiari circostanze rilevate d'ufficio, previa acquisizione di una dettagliata relazione che contenga gli elementi anamnestici e comportamentali a sostegno di un'eventuale visita medico collegiale.
  In merito all'opportunità di «emanare adeguate disposizioni» al fine di prevenire eventuali situazioni di disagio e/o di condotte autolesioniste, si precisa che per quanto riguarda, nello specifico, l'Arma dei Carabinieri, il comando generale è recentemente intervenuto, con apposita circolare in materia di individuazione delle situazioni di disagio, allo scopo di sensibilizzare i comandanti ai vari livelli nel porre particolare attenzione a tutte le possibili situazioni di difficoltà vissute dai militari appartenenti all'Arma dei carabinieri: situazioni di disagio che potrebbero essere suscettibili, anche in via del tutto ipotetica, di degenerare in atti di autolesionismo.
  Nello stesso contesto, sono stati anche forniti dei «criteri guida» per la gestione di tali casi, avvalendosi delle competenti strutture sanitarie dell'istituzione e, in particolare, dei servizi di psicologia medica istituiti presso le infermerie presidiarie, presso i quali viene sempre garantito l'accesso in condizioni di assoluta discrezione e riservatezza.
  Si ritiene, in conclusione, che le misure adottate forniscano uno strumento efficace per prevenire tragiche situazioni, fermo restando che nulla verrà trascurato in futuro per attivare ulteriori iniziative qualora l'evoluzione delle conoscenze scientifiche e metodologiche lo consentissero.
  Allo stesso modo, si ritiene che non sia il caso di intraprendere iniziative per modificare l'attuale normativa in materia di idoneità al servizio che, per quanto esposto, è in grado di assicurare, in virtù dei meccanismi di controllo previsti, una selezione accurata del personale da reclutare nelle Forze armate.
  Con riferimento, invece, al personale militare del «Corpo della guardia di finanza», si fa presente che si tratta di personale non appartenente all'amministrazione Difesa.
Il Ministro della difesaGiampaolo Di Paola.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i rapporti con le regioni. — Per sapere – premesso che:
   secondo il dossier di Legambiente «I ritardi dei Piani regionali per la bonifica dell'amianto» presentato il 27 aprile 2010 la situazione relativa alla presenza e smaltimento di amianto nel nostro Paese è ancora allarmante;
   solo 13 regioni, alle quali era stato dato il compito di stabilire, ex legge n. 257 del 1992, un programma dettagliato per il censimento, la bonifica e lo smaltimento dei materiali contaminati, hanno approvato un piano regionale sull'amianto ma non sempre alla mappatura dei manufatti contaminati, conseguono azioni adeguate per cui si rimane alle stime del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e dell'Istituto superiore prevenzione e sicurezza sul lavoro (Ispesl) che parlano di 32 milioni di tonnellate presenti sul territorio nazionale, che prendono in considerazione però solo le onduline di cemento amianto;
   secondo Legambiente, in Italia oggi ci sarebbero circa 50.000 edifici pubblici e privati in cui è presente amianto e, in base a calcoli comunque non esaustivi, circa 100 milioni di metri quadrati di strutture in cemento-amianto, e oltre 600.000 metri cubi di amianto friabile;
   secondo quanto riferito in risposta all'interrogazione 5-01233, il 24 giugno 2009, «il Ministero dell'Ambiente, con la collaborazione scientifica dell'ISPESL Ente di riferimento in materia, ha provveduto, di concerto con le Regioni, ad individuare i primi interventi di bonifica di particolare urgenza e finanziato le attività di mappatura dell'amianto sul territorio nazionale»;
   in particolare, secondo quanto riferito in risposta all'interrogazione 5-01233, tenuto conto che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dovevano, ex decreto del Ministro dell'ambiente n. 101/2003, effettuare la mappatura dell'amianto sul proprio territorio individuando, in una prima fase, i siti con amianto (tenendo conto di quattro categorie di ricerca: impianti industriali attivi o dimessi; edifici pubblici e privati; presenza naturale; altra presenza di amianto da attività antropica) e, in una seconda fase, selezionando quelli maggiormente a rischio, i siti interessati dalla presenza di amianto fino a quel momento censiti erano circa 23.000 e si prevedeva di completare tale attività entro la fine del 2009;
   secondo quanto riferito in risposta all'interrogazione 5-01233, la direzione generale qualità della vita, pur avendo avviato un dialogo costante con le regioni e le province autonome, aveva al momento acquisito solo i dati relativi a 17 di esse. Non risultava, infatti, ancora pervenuto alcun elemento relativo alle regioni Calabria e Sicilia e alla provincia autonoma di Trento. La regione Lazio aveva trasmesso, invece, unicamente i dati sulla fase I della mappatura relativi agli edifici di interesse pubblico –:
   se si sia provveduto a completare il censimento dei siti entro il 2009 e quale situazione emerga;
   se i dati di Legambiente coincidano con quelli in possesso del Ministero;
   se e quali iniziative siano state intraprese nei confronti di quelle regioni e province, in particolare le regioni Calabria e Sicilia e la provincia autonoma di Trento, che non avevano fatto pervenire alcun dato alla direzione generale qualità della vita;
   se e quali iniziative si intendano adottare per completare la mappatura nazionale prevista dal 2003 e quali misure, in particolare di carattere economico, si intendano adottare a sostegno della bonifica delle strutture contaminate. (4-07027)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame presentata dall'interrogante riguardante «I piani regionali per la bonifica dell'amianto», si rappresenta quanto segue.
  La normativa italiana in tema di amianto si colloca tra le più avanzate su scala europea ed internazionale. Infatti, la direttiva 2009/148/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un'esposizione all'amianto durante il lavoro, entrata in vigore il 5 gennaio 2010, ricalca, in diversi passaggi, la precedente normativa italiana di settore e il testo unico sicurezza. Tuttavia, a distanza di circa oltre anni dall'introduzione della legge 257 del 27 marzo 1992 (che stabiliva la «cessazione dell'impiego dell'amianto», ed in particolare il divieto di estrazione – importazione – esportazione – commercializzazione – produzione di amianto – di prodotti di amianto e di prodotti contenenti amianto) sono ancora presenti sul territorio nazionale non meno di trenta milioni di tonnellate di materiali compatti contenenti amianto oltre a quantitativi non trascurabili di amianto friabile in numerosi siti contaminati, sia di tipo industriale che non, pubblici e privati.
  Pertanto, tenuto conto che con il passare degli anni lo stato di crescente degrado dei materiali comporta un notevole rischio di incremento del rilascio di fibre pericolose nell'ambiente, al fine di evitare esposizioni indebite della popolazione e/o dei lavoratori, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm) e intervenuto sollecitando e finanziando attività di messa in sicurezza di emergenza, caratterizzazione e bonifica a partire dai siti con maggiore contaminazione da amianto, i cosiddetta «Siti da bonificare di interesse nazionale».
  In particolare, con la legge n. 426 del 1998 ed il decreto ministeriale n. 468 del 2001 e sue successive integrazioni sono stati individuati numerosi siti da bonificare in cui l'amianto è presente sia come fonte di contaminazione principale che come fonte secondaria. Detta normativa ha permesso di individuare una prima copertura finanziaria, per oltre settanta milioni di euro, agli interventi pubblici di messa in sicurezza d'emergenza, caratterizzazione e bonifica necessari per le situazioni di inquinamento ritenute più pericolose ed acute tra cui Broni-Fibronit (Milano), Priolo-Eternit Siciliana (Siracusa), Casale Monferrato-Eternit, Balangero-Cava Monte S. Vittore (Torino), Napoli Bagnoli-Eternit, Tito-ex Liquichimica (Pordenone), Bari-Fibronit, Biancavilla-Cave Monte Calvario (Catania), Emarese-Cave di Pietra (Aosta).
  Nei siti sopra citati, le attività di messa in sicurezza di emergenza, caratterizzazione e bonifica sono attualmente in fase avanzata. Tuttavia, sono presenti sul territorio nazionale molte altre aree contaminate da amianto, sebbene non in maniera così massiccia. Pertanto, attraverso la legge n. 93 del 2001 ed il relativo decreto ministeriale n. 101 del 2003, il Ministero dell'ambiente ha previsto un ulteriore finanziamento (oltre quello del Programma nazionale bonifiche) di importo complessivo pari a circa 9 milioni di euro, per la realizzazione di ulteriori interventi di bonifica urgente e di una mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale.
  Di conseguenza il Ministero dell'ambiente con la collaborazione scientifica dell'Ispesl (ora Inail), ha finanziato le attività di mappatura dell'amianto sul territorio nazionale avviando, tra l'altro, un continuo dialogo con le regioni che ha consentito di poter acquisire allo stato attuale una situazione aggiornata relativa a 19 regioni, mentre Calabria e Sicilia, come notato dall'interrogante, non hanno ancora consegnato nessun dato.
  Sono stati così censiti, ad oggi, circa 34.000 siti interessati dalla presenza di amianto.
  Va ricordato, inoltre, che Inail sta completando la mappatura sul territorio nazionale delle discariche e dei centri di stoccaggio dedicati all'amianto. Da un primo esame dei dati si conferma l'estrema insufficienza della volumetria utile residua di tali siti rispetto alle esigenze di bonifica.
  Alla luce della diffusione e della pervasività delle situazioni di rischio amianto, il Ministero dell'ambiente ha poi realizzato, negli anni 2006 e 2007, la «Scuola di formazione permanente per la lotta all'Amianto», rivolta a tutti i responsabili e funzionari pubblici afferenti a regioni, province città metropolitane, comuni ARPA, Ausl, ed anche a rappresentanti delle forze dell'ordine, dei sindacati delle associazioni ex-esposti amianto. In tal modo il Ministero ha inteso da un lato assicurare alla parte pubblica il possesso di competenze scientifiche, tecniche e amministrative adeguate a fronteggiare le situazioni più gravi, prevedendo i potenziali rischi; dall'altro, ha perseguito la sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle conseguenze ambientali e sanitarie della presenza di amianto ed il trasferimento delle conoscenze dei temi correlati al suo impiego.
  Si segnala, inoltre, che nell'ambito delle attività sui siti di interesse nazionale da bonificare da Inail, su richiesta del Mattm, le linee guida generali da adottare per la corretta gestione delle attività di bonifica da amianto nei Sin con particolare riferimento alla fase esecutiva.
  Con la collaborazione di Inail, è stato anche predisposto un sistema informativo territoriale (Sit), per archiviare i dati di mappatura trasmessi annualmente dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi del decreto ministeriale 101 del 2003. Detto Sit consente la gestione di tutte le informazioni disponibili sulla presenza di amianto sul territorio nazionale, la loro interrogazione e la restituzione di
report di dettaglio, organizzati per regione, categoria e classe di priorità, nonché la loro visualizzazione su base cartografica. Risulta possibile, pertanto, individuare i siti che rappresentano, a livello nazionale, un maggior rischio dal punto di vista sanitario ed ambientale.
  Attualmente il Sit raccoglie i dati di mappatura o censimento dell'amianto, ancorché in alcuni casi parziali, di 19 regioni. Il Mattn ha fornito, ai soggetti interessati, indicazioni puntuali affinché le informazioni relative alla presenza di amianto siano strutturate in maniera omogenea per consentire l'implementazione del suddetto database.
  La mappatura è stata applicata a quattro categorie: impianti industriali attivi o dismessi; edifici pubblici e privati; presenza naturale; altra presenza di amianto da attività antropica.
  Resta fermo l'impegno del Governo nel sollecitare continuamente le regioni per completare ed aggiornare, ove necessario, la predetta mappatura, in particolare le regioni totalmente inadempienti, perché forniscano i dati richiesti. Questo Ministero sta procedendo periodicamente a convocare tutte le regioni per ulteriori riunioni di coordinamento.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareCorrado Clini.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici) costituiscono una delle principali criticità della qualità dell'aria di una città in quanto sono in buona parte cancerogeni e si depositano sulle polveri sottili caratterizzandone la tossicità;
   a metà dicembre la prima firmataria del presente atto ha ricevuto un’e-mail da Alessandro Marescotti, tra i fondatori dell'associazione Peacelink, che informava che in occasione di un suo viaggio a Roma, si era portato uno strumento di monitoraggio dell'aria (l'analizzatore portatile Ipa Ecochem Pas 2000 CE);
   tale analizzatore di IPA è in dotazione di diverse Agenzie regionali di protezione dell'ambiente e, benché non sostituisca le analisi di laboratorio, è un utile strumento dal valore «esplorativo» e in quanto tale, benché le misurazioni con esso effettuato non abbiano validità ai fini di legge, è utilizzato da anni per effettuare misurazioni mobili di IPA che vengono utilizzate come dati significativi in diverse pubblicazioni scientifiche;
   benché la normativa nazionale non preveda un limite agli IPA, la loro rilevazione costituisce comunque un utile parametro di valutazione della qualità dell'aria;
   l'analizzatore Ecochem Pas 2000 CE misura la concentrazione degli IPA sulle polveri sottili offrendo un indice di qualità dell'aria più significativo rispetto alle analisi del solo PM10, in quanto quest'ultimo – benché valido ai fini di legge – non distingue fra polveri cancerogene e polveri non contaminate da cancerogeni;
   Marescotti ha usato tale strumentazione nella Capitale campionando l'aria in 22 punti, effettuando per ogni punto campionamenti ogni 10 secondi e calcolando le medie delle rilevazioni sito per sito; tali medie non sono valori indicativi del lungo periodo ma solo dei flash istantanei dell'aria che si respira in quei momenti in cui avvengono le misurazioni;
   il settimanale Il Salvagente ha pubblicato il 22 dicembre 2011 la «mappa» di queste misurazioni degli IPA nella Capitale;
   questa è la situazione registrata:
  Sabato 10 dicembre 2011:
   a) ore 6,52 stazione tiburtina, fermata corriere: 141ng/m3;
   b) Metro Tiburtina, nel tunnel; vicino al binario: 86 ng/m3;
   c) sulla metro, dentro il vagone: 159 ng/m3;
   d) fermata Garbatella, alla fermata bus di via Pullino: 212 ng/m3;
   e) abitazione quartiere Garbatella, rilevazione indoor: 202 ng/m3;
   f) abitazione quartiere Garbatella outdoor balcone lato cortile: 184 ng/m3;
   g) abitazione quartiere Garbatella outdoor finestra lato strada: 267 ng/m3;
   h) abitazione quartiere Garbatella rilevazione indoor alle ore 12: gli Ipa scendono a 81 ng/m3;
   i) abitazione quartiere Garbatella outdoor balcone lato cortile 32 ng/m3;
   l) abitazione quartiere Garbatella outdoor finestra lato strada 57 ng/m3;
   m) interno del Palazzo Congressi: 14 ng/m3;
   n) fuori dal Palazzo Congressi, andando verso la strada il valore degli Ipa sale a 64 ng/m3;
   o) Colosseo: 85 ng/m3;
   p) via Vittorio Emanuele: 87 ng/m3;
   q) lungotevere a mezzanotte: 445 ng/m3 (sul marciapiede).

  Domenica 11 dicembre 2012:
   a) villa Pamphili (entrata, punto gioco dei bambini in via Vittoria Nenni): 22 ng/m3;
   b) villa Pamphili prato interno, distante circa 800 metri dalla strada: 6 ng/m3;
   c) nello stesso punto di villa Pamphili mentre arriva una volata di vento dalla strada: 19 ng/m3;
   d) Campidoglio: 66 ng/m3 alle 13.30;
   e) viale Cristoforo Colombo 220 ng/m3 (è una media di valori molto diversi a seconda del traffico – a volte intenso e a volte no, ma sempre ad alta velocità – e del tipo di mezzi che transitano, si arriva anche a 415 quando transitano mezzi pesanti con diesel «sporchi»);
   f) abitazione Garbatella, outdoor cortile lontano dalla strada 16 ng/m3;
   g) abitazione Garbatella, outdoor vicino alla strada 30 ng/m3;
   per avere un termine di paragone fra fonti emissive di IPA misurate con l'analizzatore portatile in questione, dal tubo di scappamento di un'auto a gas gpl escono dai 30 ai 35 ng/m3, dal tubo di scappamento di un'auto a benzina euro 2 utilitaria circa 80 ng/m3, mentre da una sigaretta 3.000 ng/m3;
   alla luce di questi dati un minuto di sosta sul Lungotevere in momenti di intenso traffico è come stare per 14 minuti vicino al tubo di scappamento dell'auto;
   sul sito di Arpa Lazio (www.arpalazio.net) non vengono forniti i dati giornalieri degli IPA, ma si riescono a rintracciare i valori minimi, medi e massimi nei rapporti annuali di qualità dell'aria;
   sul sito www.arpalazio.net vi riescono a rintracciare i dati del benzo(a)pirene (il componente più pericoloso degli IPA) solo del 2004, 2005, 2006, 2007, 2008 e non anche quelli degli altri anni;
   su tale sito gli IPA rilevati a dicembre nel 2006 raggiungevano il valore massimo di 21,8 ng/m3, di 16,1 ng/m3 nel dicembre 2007 e di 12,9 ng/m3 nel dicembre 2008, stando ai dati riportati nei rapporti annuali di qualità dell'aria;
   benché il sistema di misurazione degli IPA sia differente, appare evidente una discrepanza fra i valori massimi rilevati dalle centraline di Roma e quelli rilevabili con un analizzatore portatile;
   sulla base delle rilevazioni Arpa Puglia effettuate da Arpa Puglia nel quartiere Tamburi di Taranto con l'analizzatore IPA Ecochem Pas 2000 ad un valore oscillante fra 13 e 15 ng/m3 corrisponde un valore di 1 ng/m3 di benzo(a)pirene;
   appare del tutto evidente che a Roma vi siano punti in cui tale valore si supera abbondantemente se lo strumento di misurazione viene posto non lontano dalle fonti di emissione degli IPA;
   gli IPA hanno caratteristica puntiforme per cui a Roma si trovano in forte concentrazione solo se si cercano nei punti critici, come ad esempio gli incroci semaforici o le arterie dove si incolonnano le auto;
   il «principio di precauzione» sancito dal trattato di Maastricht è stato tradotto nella normativa italiana con l'approvazione del «codice dell'ambiente» (decreto legislativo n. 152 del 2006) e precisamente attraverso l'articolo 301 che recita: «In applicazione del principio di precauzione del Trattato CE, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l'ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione». Tale concetto è stato ulteriormente precisato con l'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 4 del 2008 (integrativo del decreto legislativo n. 152 del 2006): «La tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva...» –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri ritengano prendere a tutela della popolazione più vulnerabile, in particolare per l'informazione relativa alle donne in gravidanza e ai bambini che non dovrebbero essere esposti assolutamento a sostanze cancerogene come gli IPA. (4-14779)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame ed in relazione alla nota pervenuta in merito da Roma Capitale, si precisa quanto segue.
  Il decreto legislativo n. 155 del 2010, in attuazione della direttiva 2008/50/CE, relativa alla qualità dell'aria e dell'ambiente, ha definito un quadro unitario in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria e dell'ambiente.
  In questo contesto il consiglio regionale del Lazio, con deliberazione n. 66 del 10 dicembre 2009, ha approvato il piano di risanamento della qualità dell'aria della regione Lazio.
  Il citato piano indica l'Arpa Lazio quale organo tecnico competente preposto all'attivazione ed alla gestione di un sistema modellistica revisionale in grado di stimare il livello di inquinamento presunto, dal quale è possibile dedurre la gravità del rischio.
  Sulla base di detti dati, Roma capitale viene allertata ai fini dell'adozione dei conseguenti provvedimenti.
  Con la suddetta nota, Roma Capitale, in attuazione delle indicazioni regionali, con deliberazione giunta comunale n. 242 del 19 luglio 2011, ha disposto il «Piano strategico della mobilità sostenibile» (Psma), limitando la circolazione del traffico, lamentato dall'interrogante, degli autoveicoli e ciclomotori di vecchia generazione anche attraverso interventi permanenti, programmati ed emergenziali tesi al contenimento dell'inquinamento atmosferico, ciò al fine di conseguire un più significativo abbattimento delle concentrazioni inquinanti, limitando gli effetti sia acuti che cronici causati dagli agenti come il PM10 e NO2.
  Si precisa, come specificato nella menzionata nota di Roma capitale, che la stessa non ha il compito di effettuare il monitoraggio degli «idrocarburi policiclici aromatici» (Ipa), tuttavia Roma capitale ha provveduto, in quanto autorità sanitaria locale, alla tutela della salute della popolazione, attraverso adeguati provvedimenti sindacali.
  In ambito generale il dipartimento tutela ambientale e del verde del comune di Roma competente per materia, anche in attuazione della legge n. 349 del 1986, istitutiva di questo Ministero, del decreto legislativo n. 195 del 2005, e del summenzionato decreto legislativo n. 155 del 2010, rende noto alla cittadinanza, mediante i mezzi di informazione, il superamento dei valori limite come media giornaliera per le polveri inalabili.
  Lo stesso dipartimento informa i soggetti a rischio circa l'opportunità di evitare l'esposizione prolungata alle alte concentrazioni di inquinanti e la necessita di attuare una serie di azioni volontarie volte alla riduzione delle emissioni con l'obiettivo di contribuire a prevenire concentrazioni inquinanti in atmosfera.
  In particolare Roma capitale invita ordinariamente i cittadini a:
   optare per l'uso dei trasporti pubblici evitando l'impiego privato dei veicoli a motore;
   utilizzare in modo condiviso l'automobile per contribuire alla riduzione dei veicoli circolanti (car pooling e car sharing);
   preferire veicoli elettrici, ibridi o alimentati con combustibili a basso impatto ambientale (ad es. metano);
   adottare infine comportamenti di guida volti alla riduzione delle emissioni inquinanti, come ad esempio moderare la velocità, mantenere spento il motore se non necessario, curare la manutenzione periodica del veicolo, in modo da garantire un corretto funzionamento del veicolo utilizzato.

  Resta inteso, nel quadro rappresentato, che quanto principalmente lamentato dall'interrogante, (inquinamento atmosferico da traffico veicolare) oltre ad essere affrontato dalle competenti autorità in materia, non può prescindere da una adeguata condotta, nel senso indicato, del medesimo cittadino e della popolazione tutta.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareCorrado Clini.


   ZAZZERA e EVANGELISTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il 10 luglio 2011 fra l'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura del Lazio ARSIAL e l'istituto privato «Istituto Superiore per le Tecniche di Conservazione dei Beni Culturali dell'ambiente «A. De Stefano» (Isad)» sarebbe stata stipulata una convenzione triennale che darebbe mandato all'Istituto per il restauro del «patrimonio etrusco» dell'ARSIAL: un centinaio di importanti reperti provenienti da Vulci e dall'intera Maremma;
   i reperti in questione – presumibilmente del valore di milioni di euro – sarebbero tenuti al chiuso di una stanza della sede dell'ARSIAL senza mai essere stati oggetto di alcun restauro né resi visibili al pubblico;
   la convenzione stipulata dall'ARSIAL sarebbe destinata addirittura a permettere all'istituto Isad di individuare beni archeologici «ancora interrati», bypassando – si presume – gli archeologi delle sovrintendenze competenti;
   una legge in vigore negli anni ’50 ai tempi degli scavi necessari per le opere di riforma eseguite dall'Ente Maremma, stabiliva che a compenso degli oneri dovuti per le attività di scavo, parte dei reperti (circa l'80 per cento) divenissero di proprietà della ditta o ente che si era adoperato per gli scavi;
   dal ritrovamento, avvenuto nei territori della maremma tosco-laziale, a tutt'oggi, le varie istituzioni che si sono avvicendate nel tempo (ente Maremma, Ersal e per ultima ARSIAL) non hanno mai pensato di rendere fruibili al pubblico i reperti di cui all'oggetto;
   pare addirittura che, al momento, a causa di un trasferimento, la sede dell'Isad sembrerebbe introvabile –:
   qualora la sopradescritta situazione, riportata dal quotidiano Il Corriere della Sera, corrisponda al vero se risulti alla competente soprintendenza:
    che l'ARSIAL abbia stipulato una convenzione con un soggetto privato per il ritrovamento ed il restauro di reperti archeologici di valore;
   per quali ragioni tali reperti non siano comunque mai stati oggetto nel corso degli anni di esposizioni pubbliche;
   quali siano i titoli vantati dall'Isad in campo archeologico e del restauro.
(4-18151)

  Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame oggetto, con il quale l'interrogante chiede notizie su quanto riportato in un articolo del Corriere della Sera pubblicato in data 4 ottobre 2012 e, precisamente:
   se l'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura del Lazio (Arsial) abbia stipulato una convenzione con un soggetto privato per il ritrovamento e il restauro di reperti archeologici di valore provenienti da Vulci e dall'intera Maremma;
   per quali ragioni tali reperti non siano mai stati oggetto di esposizioni pubbliche;

   quali siano i titoli vantati in campo archeologico e del restauro dall'istituto superiore per le tecniche dei beni culturali e dell'ambiente «Antonino De Stefano» (Isad), soggetto con cui l'Arsal sarebbe in procinto di stipulare la convenzione sopra citata.

  Al riguardo, si comunica quanto segue.

  I materiali archeologici, attualmente nella disponibilità dell'Arsial furono, a suo tempo, concessi dal Ministero allora competente come premio di rinvenimento degli scavi eseguiti nei primi anni ’60 dalla Società Hercle sui terreni di proprietà dell'Ente maremma nell'area dell'Osteria, una delle necropoli pertinenti all'antica città etrusca di Vulci in comune di Montalto di Castro (VT): tale procedura era, infatti, consentita dalla normativa allora vigente.
  In considerazione di quanto emerso dall'articolo del
Corriere della Sera del 4 ottobre 2012, la soprintendenza per i beni archeologici dell'Etruria meridionale ha subito avviato un'istruttoria finalizzata alla salvaguardia dell'intero complesso dei materiali archeologici, essendo sottoposti a tutela, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio e, quindi, soggetti a tutte le attività di salvaguardia previste dalla normativa vigente.
  Il 17 ottobre 2012 la citata soprintendenza ha effettuato un sopralluogo, sia per verificare le condizioni di sicurezza del deposito nel quale sono conservati i materiali archeologici, sia per valutare lo stato di conservazione dei reperti in questione.
  Nel corso di quel sopralluogo il direttore generale vicario dell'Arsial ha consegnato al predetto ufficio copia dello schema di convenzione tra Arsial e Isad Onlus/Ong precisando, per le vie brevi, che la stessa convenzione non era ancora entrata in vigore.
  La soprintendenza ha, comunque, precisato all'Arsial, sia nel corso del sopralluogo sopra richiamato, che con nota n. 9065 del 9 ottobre 2012, precedentemente inviata allo stesso ente, che qualsiasi intervento su beni culturali è subordinato all'autorizzazione del soprintendente competente, in forza dell'articolo 21, commi 4 e 5 del Codice dei beni culturali, e che qualunque attività di ricognizione, finalizzata ad una mappatura dei beni archeologici ancora interrati, può avere luogo solo dopo una specifica autorizzazione rilasciata, secondo la normativa vigente, dal Ministero per i beni e le attività culturali.

  Infine, successivamente al menzionato sopralluogo del 17 ottobre, personale tecnico-scientifico della soprintendenza ha avviato, in base ai verbali di ripartizione agli atti della stessa, il sistematico controllo della collezione per verificarne lo stato di fatto, anche al fine di stabilire gli interventi di conservazione e restauro che dovessero essere necessari.
  Circa la mancata esposizione al pubblico della collezione, si deve richiamare quanto sopra riferito relativamente al fatto che si tratta di materiali all'epoca concessi alla società Hercle e all'Ente Maremma come premio di rinvenimento regolato dalla normativa allora vigente, che non prevedeva l'obbligo di esposizione.
  Quanto ai titoli dell'istituto superiore per le tecniche di conservazione dei beni culturali e dell'ambiente «Antonio De Stefano», risulta dallo schema di convenzione fra Arsial ed Isad che l'istituto è l'ente di ricerca riconosciuto legalmente dal Presidente della regione Sicilia, che è iscritto al n. 40 del Registro delle persone giuridiche della regione Sicilia, che dal 2002 è incluso nell'anagrafe nazionale delle ricerche del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca come ente di ricerca.
Il Ministro per i beni e le attività culturaliLorenzo Ornaghi.