XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 15 novembre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 65 della legge 30 aprile 1969, n. 153, stabilisce che gli enti pubblici che gestiscono forme di previdenza e di assistenza sociale sono tenuti a compilare annualmente il piano di impiego dei fondi disponibili, precisando le percentuali da dedicare alle diverse tipologie di investimento e prescrivendo che detti piani di impiego siano presentati – entro 30 giorni dalla data di inizio dell'esercizio cui si riferiscono – al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed alle altre amministrazioni vigilanti, per le necessarie approvazioni;
    l'articolo 40 della legge n. 119 del 1981 ha stabilito che non possono essere mantenute presso aziende di credito disponibilità a qualsiasi titolo per un importo superiore ad una data percentuale (inizialmente 12 per cento successivamente modificata al 3 per cento) delle entrate previste dal bilancio di competenza o superiori ad uno specifico tetto fissato con decreto ministeriale, con l'obbligo di versare le eccedenze in apposito conto corrente infruttifero aperto presso la tesoreria centrale dello Stato; successivamente la legge n. 720 del 1984 istitutiva della tesoreria unica ha confermato la predetta disposizione di cui all'articolo 40 della legge n. 119 del 1981 per tutti gli enti elencati nella tabella B, nella quale è inserito anche l'INAIL;
    il patrimonio mobiliare dell'istituto in questione ha evidenziato nel tempo una forte crescita nei valori nominali dei titoli per effetto della capitalizzazione dei proventi derivanti dalla gestione dinamica, con evidente eccedenza rispetto al plafond stabilito. In conseguenza di ciò il Ministero del lavoro con nota del 24 maggio 2004 ha contestato formalmente la possibilità per l'istituto di possedere titoli oltre il plafond detenibile al di fuori della tesoreria, invitandolo ad avviare un piano di rientro graduale;
    in adesione a tale invito, si è avviato il piano di rientro sulla scorta del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 4 agosto 2005, che ha autorizzato l'istituto a detenere presso le aziende di credito e Poste Italiane Spa disponibilità per un importo complessivo non superiore a 260 milioni di euro, anche sotto forma di operazioni finanziarie, ed ha invitato l'ente, entro sei mesi, ad adeguarsi al predetto plafond attraverso lo smobilizzo dei valori mobiliari in eccedenza;
    dal limite sono stati esclusi gli investimenti in titoli di Stato il cui importo complessivo in valore nominale di euro 684 milioni di euro; rilevato al 31 maggio 2005, avrebbe potuto subire variazioni solo previo accordo con il Ministero dell'economia e delle finanze;
    alla luce di quanto sopra esporto, si rappresenta che la liquidità presente sui conti correnti aperti presso la tesoreria centrale dello Stato al 15 ottobre 2012 è pari ad euro 19.767.601.917;
    l'entità delle somme liquide detenute dall'Inail è stata più volte oggetto di rilievi critici da parte della Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, che da ultimo nel corso della seduta del 17 ottobre 2012 ha ravvisato la necessità di individuare soluzioni atte a ripensare la destinazione infruttifera delle stesse, attribuendo all'ente una parte di autonomia gestionale in materia di investimenti patrimoniali, al fine di incrementare sia l'attività di studio e prevenzione che la soglia di sicurezza delle riserve tecniche;
    l'articolo 7 del decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, nel sopprimere ISPESL e IPSEMA con l'attribuzione delle relative funzioni all'INAIL, che succede in tutti i rapporti attivi e passivi, ha creato le condizioni per l'istituzione di un unico polo della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, con l'obiettivo altresì di consolidare e centralizzare l'attività di studio e prevenzione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, che – in coerenza con il disposto di cui all'articolo 55 della legge 9 marzo 1989, n. 88, secondo cui l'INAIL adempie alle funzioni attribuitegli con criteri di economicità e di imprenditorialità, tra l'altro «realizzando una gestione del patrimonio mobiliare ed immobiliare che assicuri un idoneo rendimento finanziario» – prevedano lo svincolo di una quota delle somme dell'INAIL depositate sui conti infruttiferi in tesoreria, attualmente pari a circa 19,8 miliardi di euro, anche al fine di valutare, sul versante prestazionale, la possibilità di utilizzare quota parte dei depositi infruttiferi per rideterminare gli importi delle prestazioni erogate dall'istituto in termini di maggiore adeguatezza;
   a definire degli indirizzi specifici per l'ente in materia di investimenti immobiliari e mobiliari che, nell'ambito della mission istituzionale dell'istituto, ne configurino ulteriormente l'azione anche in termini di utilità e crescita economica per il sistema Paese;
   sul versante dei premi, a valutare la possibilità di procedere all'aggiornamento delle tariffe vigenti al fine di conseguire una riduzione degli oneri a carico dei datori di lavoro, esigenza tanto più sentita nell'attuale fase di crisi economica;
   a preservare l'attività istituzionale dell'INAIL, individuando nell'ambito delle generali politiche di riduzione della spesa per il comparto pubblico specifiche soluzioni atte a valorizzare in particolare l'attività di ricerca dell'istituto, prevedendo altresì che siano mantenuti adeguati livelli di dotazione organica del personale, già nell'ultimo quadriennio oggetto di riduzioni per effetto di successive disposizioni legislative, anche al fine di evitare la necessità di procedere a ridimensionamenti dei servizi a disposizione degli utenti.
(1-01188) «Jannone, Lo Presti, Motta, Poli, Santagata, Bellanova, Cazzola, Bosi, Ruggeri, Lulli, Evangelisti, Giacomelli».


   La Camera,
   premesso che:
    la prima relazione al Parlamento dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, dell'aprile 2012, quantifica in 10,8 milioni i bambini e gli adolescenti presenti nel nostro Paese, ossia il 17 per cento circa della popolazione complessiva. E di questi, è bene ricordarlo, poco più di 1 milione sono di origine straniera regolarmente registrati all'anagrafe;
    la stessa sopra citata relazione chiarisce bene i principali problemi che incontra nel nostro Paese una seria, efficace e credibile politica per la tutela dei minori: «Un quadro normativo lacunoso ed incoerente, la mancanza di un sistema organico di protezione dei minori, le gravi sperequazioni da regione a regione, il piano di azione nazionale per l'infanzia e l'adolescenza privo di finanziamenti adeguati, l'insufficiente sostegno alla genitorialità, la mancanza di un sistema di formazione e aggiornamento obbligatorio per tutti gli operatori che lavorano con e per i bambini e gli adolescenti, le perduranti discriminazioni normative o di trattamento, la mancanza di una normativa generale sul diritto all'ascolto e alla partecipazione sono solo alcune delle criticità che il Comitato ONU sui diritti dell'infanzia ha evidenziato al nostro Paese, raccomandandoci, ancora una volta, di colmarle al più presto»;
    a gennaio 2012, l'Istat ha reso noti gli indicatori demografici per il 2011. In Italia, natalità zero per il quinto anno consecutivo: «Sono 556 mila i bambini nati nel 2011, 6 mila in meno rispetto al 2010», mentre i morti lo scorso anno sono stati «592 mila, 4 mila unità in più dell'anno precedente». Il risultato è che «per il quinto anno consecutivo», la popolazione diminuisce, con 36 mila unità in meno per il 2011; con un tasso di natalità che scende dal 9,3 per mille (2010) al 9,1 per mille (2012), il numero medio di figli per donna è pari a 1,42;
    uno dei principali problemi del nostro Paese – e che contribuisce fortemente al costante calo demografico – risiede principalmente nella sostanziale assenza di mirati aiuti finanziari, di adeguati servizi all'infanzia a supporto delle famiglie e di politiche mirate a sostenere le pari opportunità tra uomini e donne;
    il 15 maggio 2012, l'associazione onlus Save the children ha pubblicato i dati riguardanti la povertà minorile in Italia. Dati tanto allarmati quanto emblematici dell'arretramento del nostro Paese sul fronte della promozione dei diritti dell'infanzia, e che collocano l'Italia ai primi posti della classifica europea sul rischio povertà minorile: quasi un minore su quattro oggi, ossia il 22,6 per cento dei bambini che sono nel nostro Paese, è a rischio povertà. Un dato che è il più alto degli ultimi 15 anni. Se si considerano i bambini figli di madri sole, l'incidenza di povertà sale al 28,5 per cento, e nel caso in cui il capofamiglia abbia meno di 35 anni detta incidenza raggiunge circa il 50 per cento. Il Sud e le isole sono le aree del Paese a più alta incidenza di povertà, che raggiunge rispettivamente quasi il 40 per cento e il 44,7 per cento dei minori;
    ben il 58,4 per cento dei bambini di cittadinanza straniera risulta povero, quasi tre volte il valore che si registra tra gli italiani. Dato che raggiunge addirittura il 62,2 per cento nelle famiglie con un solo genitore;
    non è, tuttavia, solo il reddito della famiglia a determinare la condizione di povertà di un bambino, ma è fondamentale poter contare anche su una rete di opportunità e di servizi, come l'asilo nido e una scuola di qualità, così come di spazi adeguati per il gioco e il movimento;
    di fronte a questi dati non stupisce il fatto che molte giovani donne siano spinte a rinunciare o a rinviare sine die una maternità comunque desiderata;
    finora il nostro Paese non si è dato obiettivi precisi per la riduzione della povertà minorile e non esiste nessun piano di intervento al riguardo;
    secondo un'elaborazione Eurostat, la quota di minori usciti dalla soglia del rischio, grazie all'intervento pubblico, è salita dal 3 per cento del 2009 al 3,8 per cento del 2010, un dato assai lontano da quello di Inghilterra (14,5 per cento), Francia (13,5 per cento) o Germania (11,1 per cento), dove i trasferimenti sociali riescono ad allontanare dalla soglia di povertà un numero tre, quattro volte maggiore di bambini;
    l'Italia è, peraltro, agli ultimi posti in Europa per finanziamenti a favore delle famiglie, infanzia e maternità con l'1,3 per cento del prodotto interno lordo contro il 2,2 per cento della media europea;
    relativamente, infatti, alle riduzioni delle risorse finanziarie stanziate per le politiche a favore dei minori, si ritiene utile riportare alcuni passaggi del documento conclusivo, approvato l'8 febbraio 2011, dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, dell'indagine conoscitiva su aspetti dell'attuazione delle politiche a favore dell'infanzia e adolescenza. Detto documento evidenzia come «la questione centrale nella programmazione di efficaci politiche per i minori consiste nell'individuazione e nella garanzia stabile lungo un arco di tempo pluriennale delle risorse finanziarie da destinare a tali politiche. Al contrario, invece, il succedersi di diverse leggi in questa materia ha posto in luce un processo di progressiva erosione delle risorse destinate a finanziare le politiche per l'infanzia e l'adolescenza (...). Il Comitato ONU ha raccomandato all'Italia, altresì, di introdurre un sistema di monitoraggio che consenta di analizzare annualmente la quota di risorse che l'Italia destina complessivamente e, per settore, all'infanzia e all'adolescenza, tenendo presente le risorse stanziate dai diversi Ministeri competenti, dalle regioni e dagli enti locali. Lo stesso Comitato ha anche raccomandato all'Italia di incrementare nei prossimi bilanci annuali le risorse destinate ai fondi nazionali che finanziano i servizi dell'infanzia e dell'adolescenza. È noto, peraltro, che tale sistema di monitoraggio, che tarda a nascere, sarebbe invece il primo strumento di valutazione e programmazione delle politiche per infanzia e adolescenza. Resta il fatto inoppugnabile che il Fondo nazionale per le politiche sociali, dentro cui è confluito al 70 per cento il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, è attualmente sceso a 75 milioni di euro e sarà rifinanziato di 200 milioni solo a partire dal 2011. Oltre a ciò, occorre considerare che mentre il primo Piano infanzia relativo agli anni 2000-2002 poteva contare su risorse dedicate e il secondo, per gli anni 2002-2004, sebbene non prevedesse un finanziamento specifico, poteva comunque attingere al Fondo sociale indistinto (che nel 2005 ammontava ad 1 miliardo di euro), il terzo Piano di fatto non può contare su alcun finanziamento adeguato»;
    anche se con l'ultimo disegno di legge di stabilità 2013, in via di approvazione da parte del Parlamento, al fondo per le politiche sociali vengono assegnate per il solo anno 2013 ulteriori 300 milioni di euro – stanziamento importante ma del tutto insufficiente – rimane il costante e pesante taglio di risorse ad esso assegnate in questi ultimi anni. Tale disegno di legge di stabilità stanzia solamente 43,9 milioni di euro per il 2014 e 43,3 milioni di euro per il 2015;
    uno dei problemi strutturali dell'Italia è, peraltro, l'evidente carenza di strutture per l'infanzia e di asili nido comunali. Nel rapporto di Cittadinanzattiva dell'ottobre 2011 sugli asili nido comunali in Italia, emerge un quadro avvilente in fatto di welfare, con alti costi e forti disparità nell'offerta tra le diverse aree del Paese. Gli asili nido comunali sembrano più strutture a pagamento che statali, con costi medi che si aggirano intorno ai 300 euro mensili e tariffe in crescita rispetto agli anni passati. La distribuzione sul territorio nazionale di asili nido comunali o finanziati dal comune è, peraltro, fortemente squilibrata;
    i pesanti tagli agli enti locali attuati in questi ultimi anni non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità del servizio che dei costi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
    facendo un confronto tra i posti disponibili negli asili e la potenziale utenza (numero di bambini in età tra gli zero e i tre anni), in media in Italia la copertura del servizio è del 6,2 per cento (percentuale che sale all'11,7 per cento se si considerano solo i capoluoghi di provincia) con un massimo del 15,7 per cento in Emilia Romagna ed un minimo dell'1 per cento scarso in Calabria e Campania;
    questo dato conferma non solo quanto l'Italia sia lontana dall'obiettivo comunitario, che fissa al 33 per cento la copertura del servizio, ma anche dal resto dei Paesi europei: Danimarca, Svezia e Islanda si contraddistinguono per il più alto tasso di diffusione dei servizi per la prima infanzia (con una copertura del 50 per cento dei bambini di età inferiore ai tre anni), seguiti da Finlandia, Paesi Bassi, Francia, Slovenia, Belgio, Regno Unito e Portogallo (con valori tra il 50 per cento e il 25 per cento). Percentuali comprese tra il 25 per cento e 10 per cento si registrano, oltre che nel nostro Paese, in Lituania, Spagna, Irlanda, Austria, Ungheria e Germania;
    anche il dossier di Cittadinanzattiva 2012, da poco pubblicato, conferma in pieno le difficoltà già evidenziate: le strutture comunali su cui possono contare le famiglie superano di poco quota 3.600 e sono in grado di soddisfare circa 147 mila richieste di iscrizione. I genitori di un bambino su quattro (23,5 per cento) restano in lista d'attesa e sono costretti a rivolgersi altrove;
    al di là della disponibilità di strutture dedicate, rimane il problema dei costi per la famiglia. Secondo il rapporto, una famiglia spende in media 302 euro per mandare il proprio figlio all'asilo. È chiaro, infatti, che minori sono le risorse su cui può contare l'ente locale, maggiore è l'intervento a carico dei genitori;
    l'insufficienza nell'offerta dei servizi socio-educativi per l'infanzia influisce negativamente e scoraggia la partecipazione femminile al mercato del lavoro, facendo rinunciare le donne alla ricerca del lavoro. Si ricorda, infatti, che questo rappresenta uno dei maggiori ostacoli che ancora oggi una donna incontra nel mondo del lavoro, tanto che il tasso di occupazione femminile pone l'Italia all'ultimo posto nella graduatoria europea del livello di attività;
    in questo ambito è, quindi, improcrastinabile individuare efficaci politiche attive del lavoro che puntino a favorire la buona e stabile occupazione femminile nel nostro Paese. Per far ciò, dette politiche non possono non intrecciarsi inevitabilmente con le esigenze di cura della famiglia e, quindi, anche con un aumento dell'offerta qualitativa e quantitativa della scuola, del tempo pieno e dei servizi socio-educativi per l'infanzia;
    altro problema drammatico riguarda la violenza sui minori;
    la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza riconosce ad ogni bambino e adolescente il diritto alla protezione da ogni tipo di abuso, sfruttamento e violenza;
    la medesima Convenzione richiede l'impegno, da parte degli Stati, al fine di proteggere il bambino dallo sfruttamento per fini pornografici e dal coinvolgimento in attività sessuali illegali. Gran parte delle violenze avviene all'interno dell'ambiente familiare e, conseguentemente, la stima degli abusi e delle violenze rimane un numero. Dal terzo Congresso mondiale sullo sfruttamento sessuale dei bambini e degli adolescenti è emerso che sono 150 milioni le bambine e circa 75 milioni i minorenni sotto i 18 anni che hanno avuto rapporti sessuali forzati o subito violenze sessuali, con o senza sfruttamento commerciale;
    per quanto riguarda l'Italia, i recenti dati presentati il 7 novembre 2012 da Telefono Azzurro dicono che, dal 2006 ad oggi, sono triplicati i casi di abuso fisico sui minori. Nel 2006, le segnalazioni per abusi fisici erano il 5,2 per cento del totale delle denunce. Una percentuale cresciuta in questi pochi anni e passata all'11,3 per cento del 2010 al 13,2 per cento del 2011 e a un allarmante 17,1 per cento nel 2012. Nello stesso arco di tempo, inoltre, è raddoppiato il numero di denunce per casi di grave trascuratezza: dal 5,7 per cento nel 2006 al 10,4 per cento nel 2012;
    il 32,3 per cento dei casi di emergenza presi in carico ha riguardato situazioni di abuso o violenza subite direttamente dai bambini o vissute in modo indiretto. Nel 2012, quasi il 20 per cento delle denunce riguarda l'abuso fisico. In aumento sono anche le segnalazioni per abuso psicologico e per grave trascuratezza;
    un ulteriore aspetto centrale, che riguarda le politiche di tutela dei minori, è quello relativo ai minori non accompagnati;
    le Nazioni Unite hanno stimato, relativamente all'anno 2006, che nel mondo ci siano circa 18 milioni di minori migranti, di cui quasi 6 milioni sono rifugiati. All'interno di questo processo migratorio, i minori non accompagnati, negli ultimi 10 anni, sono notevolmente aumentati;
    anche nel nostro Paese i minori stranieri, e quelli non accompagnati in particolare, costituiscono una realtà sempre più importante, dalle caratteristiche molto variegate e composite. Ciò comporta anche la difficoltà di quantificare con precisione il fenomeno;
    la principale fonte informativa sulla presenza dei minori stranieri non accompagnati sul territorio è la banca dati del Comitato per i minori stranieri, in cui vengono puntualmente registrate le segnalazioni effettuate da pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio e da enti che svolgono attività sanitaria o di assistenza. Al 30 settembre 2009, la banca dati contava 6.587 minori non accompagnati;
    nell'aprile 2009, la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha concluso un'indagine conoscitiva sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati. L'obiettivo principale dell'indagine è stato proprio quello di voler approfondire la situazione e il destino dei suddetti minori immigrati clandestinamente in Italia, una volta abbandonati i centri di prima accoglienza per gli immigrati. È evidente, infatti, come sia estremamente critica la fase del loro primo inserimento nella società civile, che li espone inevitabilmente a gravi rischi di sfruttamento da parte della criminalità, oltre che per la loro stessa incolumità;
    il fenomeno, per il quale molti minori si allontanano senza lasciare traccia dalle strutture di ospitalità per loro previste impone, di conseguenza, l'individuazione di efficaci strumenti di contrasto alla loro scomparsa e alla tutela dei loro diritti fondamentali. Va sottolineato come una delle ragioni dell'allontanamento di questi giovani dalle comunità che li ospitano è da rinvenirsi anche nella riduzione delle risorse finanziarie assegnate ai comuni e, conseguentemente, ai relativi centri di prima accoglienza. Va evidenziato, infatti, che è proprio ai comuni che essi sono affidati con il provvedimento di tutela del magistrato;
    un minore straniero non accompagnato dovrebbe avere la possibilità di poter restare nel Paese ospite e il permesso di soggiornare temporaneamente nel Paese ospite non dovrebbe essere inteso solo come una procedura amministrativa, che può essere interrotta bruscamente quando il minore compie i 18 anni;
    un aspetto centrale delle politiche di integrazione e di tutela dei minori è la concessione della cittadinanza ai figli di immigrati, nati in Italia, purché entrambi i genitori abbiano risieduto legalmente nel territorio italiano per almeno cinque anni;
    l'applicazione del principio dello jus soli consentirebbe di sostenere il processo di integrazione socio-culturale verso un'effettiva convivenza tra le persone di origine diversa;
    il bambino nato in Italia da genitore straniero, pur non essendo cittadino italiano, impara la lingua italiana, frequenta la scuola italiana, acquisisce la cultura e le abitudini locali. Inoltre, il bambino vive in un Paese del quale assorbe le regole e i comportamenti, ma il cui ordinamento giuridico non lo riconosce come cittadino;
    a livello demografico, la distribuzione della popolazione straniera in Italia evidenzia una concentrazione nelle fasce di età più giovani: il 22 per cento degli stranieri residenti ha meno di 18 anni; il 47 per cento ha un'età compresa tra i 18 e i 39 anni, gli ultraquarantenni stranieri sono il 30,7 per cento e solo il 2,3 per cento ha un'età superiore ai 65 anni. È, altresì, noto che gli stranieri contribuiscono in maniera determinante allo sviluppo dell'economia italiana e alla sostenibilità del suo sistema di sicurezza sociale;
    un freno alle politiche per l'infanzia e l'adolescenza è rappresentato da un eccessivo numero di soggetti istituzionali dotati di competenze distinte ma troppo frammentate in materia. Questo rende certamente più difficoltosa l'attuazione di un'efficace politica per i minori, con la conseguente eccessiva frammentazione dei ruoli in tale ambito. La normativa vigente attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri le funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche per la famiglia, con la gestione delle relative risorse. Sono, inoltre, affidate alla Presidenza del Consiglio dei ministri, presso il dipartimento per le politiche della famiglia, in coordinamento con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le funzioni di competenza del Governo (in particolare per la predisposizione del Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva) riguardanti l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e quelle concernenti il Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e l'adolescenza. Inoltre, la Presidenza del Consiglio dei ministri, attraverso il dipartimento per le pari opportunità in cui opera l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, svolge le funzioni inerenti la prevenzione, l'assistenza e la tutela dei minori dallo sfruttamento e dall'abuso sessuale dei minori. L'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza predispone il Piano nazionale di prevenzione e contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori, che sottopone all'approvazione del Comitato interministeriale di coordinamento per la lotta alla pedofilia (Ciclope). Per quanto riguarda le funzioni in tema di minori, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali monitora gli interventi ed i progetti sperimentali finanziati previsti dalla legge n. 285 del 1997 per la «promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», e ne predispone la relazione annuale al Parlamento. Sempre il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, inoltre, provvede a monitorare, in coordinamento con il Ministero della giustizia e le regioni, lo stato di attuazione della legge n. 149 del 2001 rivolta agli interventi in favore dei minori fuori famiglia;
    è evidente, quindi, come si è detto, la frammentazione sia a livello centrale sia a livello regionale e locale, laddove, invece, risulta indispensabile giungere a un coordinamento efficace di compiti e funzioni, e di compartecipazione alle politiche sull'infanzia, e all'unificazione, o, perlomeno, a una sensibile riduzione delle competenze in materia di infanzia e adolescenza, al fine di evitare inutili e controproducenti sovrapposizioni fra soggetti e istanze diverse;
    lo stesso terzo piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva (decreto del Presidente della Repubblica 21 gennaio 2011), andrebbe integrato con i piani regionali nella stessa materia, attraverso un effettivo processo di coordinamento in sede di Conferenza Stato-regioni, anche al fine di rendere il sopra citato piano nazionale uno strumento in grado di garantire un'azione coordinata tra lo Stato centrale gli enti territoriali e tutti gli altri soggetti coinvolti a vario titolo nell'attuazione dei diritti dei minori;
    peraltro, affinché il citato piano nazionale per l'infanzia non rimanga solamente una «buona intenzione», è indispensabile prevedere adeguate risorse finanziarie;
    ultimo, ma non meno importante aspetto, è quello collegato al drastico taglio di risorse, che in questi ultimi anni non ha risparmiato neanche il settore della giustizia e, conseguentemente, quello della giustizia minorile;
    il problema non riguarda solo le strutture penitenziarie dedicate, ma anche la gestione generale del minore detenuto. Problemi ci sono, ad esempio, nei trasferimenti dei ragazzi in istituti spesso lontanissimi dal loro luogo di origine, con conseguenti difficoltà nel mantenere i rapporti con le famiglie;
    il depotenziamento della giustizia minorile rende, di fatto, impossibile l'obiettivo costituito dal recupero sociale dei giovani entrati nel circuito penale e in disagio sociale,

impegna il Governo:

   a sostenere politiche attive e misure efficaci di sostegno alla conciliazione dei tempi di lavoro e di cura della famiglia, al fine di favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;
   a promuovere politiche sociali di sostegno alla maternità e paternità, anche attraverso l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia e, in particolare, per la fascia neo-natale e pre-scolastica, garantendone l'attuazione e l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale, confermando, altresì, il tempo pieno in ambito scolastico;
   a incrementare le risorse da destinare alla piena attuazione dei diritti dei minori che vivono in Italia e per l'indispensabile finanziamento del terzo piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva;
   a superare la carenza di un sistema di raccolta di dati e informazioni finalizzata al monitoraggio della condizione minorile, quale fondamentale strumento di valutazione e programmazione delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, affinché detti dati siano effettivamente rappresentativi, uniformi e comparabili fra le varie regioni;
   a prevedere interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà estrema;
   a favorire l'inclusione sociale dei minori stranieri, assumendo, tra l'altro, un'iniziativa normativa volta a concedere la cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri legalmente residenti in Italia da almeno 5 anni;
   ad assumere iniziative volte ad assicurare maggiori risorse finanziarie a favore dalle regioni sulla base delle rispettive presenze, per il potenziamento e il miglioramento dei progetti di accoglienza a favore dei minori stranieri non accompagnati;
   ad attuare efficaci iniziative, anche normative, al fine di intervenire nella fase estremamente critica del primo inserimento nella società civile dei minori non accompagnati, aiutandoli in una fase che li espone inevitabilmente a gravi rischi per la loro incolumità e di sfruttamento da parte della criminalità, e a favorirne la loro integrazione, agevolando a tal fine opportune forme di affido temporaneo;
   a potenziare il settore della giustizia minorile, al fine di rendere concreto il recupero sociale dei giovani entrati nel circuito penale e in disagio sociale.
(1-01189) «Di Giuseppe, Palagiano, Palomba, Mura, Borghesi».


   La Camera,
   premesso che:
    l'autismo è un disturbo su cui permangono ancora molte zone d'ombra, con variabilità e criticità di approccio che emergono già a partire dalla diagnosi, tanto che mancano ancora dati certi sull'incidenza di questo disturbo tra la popolazione. Comunque, secondo i dati dell'Ido (Istituto di ortofonologia), se 20 anni fa i casi riscontrabili in Italia erano 1 ogni 1.500/2.000 bambini, oggi i casi sarebbero almeno di 1 bambino ogni 200. Dato dietro il quale, tuttavia, si nasconderebbero molti casi sommersi;
    l'Istituto superiore di sanità (ISS) ha pubblicato nell'ottobre 2011 le nuove linee guida sull'autismo, elaborate da un gruppo di esperti, che appartengono prevalentemente ad uno specifico orientamento culturale, quello di tipo comportamentale;
    la pubblicazione delle linee guida ha suscitato consensi e polemiche, creando due fronti opposti tra di loro, entrambi comprendenti associazioni scientifiche, associazioni di pazienti e operatori del settore;
    da una parte, si contesta che il documento avrebbe bocciato tutte le metodiche utilizzate per curare la malattia salvandone solo una. La cosiddetta ABA (applied behaviour intervention), programmi comportamentali intensivi, da 20 a 40 ore la settimana rivolti all'età prescolare, dunque precoci. Interventi di solito mediati dai genitori col supporto di professionisti specializzati. Si tratta di terapie molto studiate che si basano sulla modificazione del comportamento. Gli esperti sostengono che sono efficaci «nel migliorare le abilità intellettive, il linguaggio e i comportamenti adattivi. Le prove a disposizione consigliano di utilizzare Aba nei bambini con disturbi dello spettro autistico»;
    si contesta al documento dell'Istituto superiore di sanità la bocciatura o il giudizio interlocutorio per tutte le altre metodiche, che sia pur non avendo una legittimazione dalla letteratura scientifica hanno comunque dimostrato risultati interessanti sotto il profilo dell'evidenza clinica;
    su questo fronte si sono schierati deputati e senatori di varie appartenenze politiche, che hanno presentato varie interrogazioni e si sono fatti promotori di una petizione popolare, supportata da 50 associazioni, 58 centri di riabilitazione accreditati cattolici e laici, 66 enti tra società scientifiche e scuole di formazione e specializzazione e migliaia di operatori del settore per chiedere la riapertura delle linee guida;
    sul fronte opposto Angsa (Associazione nazionale genitori soggetti autistici), Autismo Italia e Gruppo Asperger Onlus (riunite nel coordinamento di Fantasia), hanno indetto una «contro-petizione», per chiedere l'adozione urgente delle linea guida dalla Conferenza Stato-regioni e l'impegno del Ministero della salute a sviluppare linee di indirizzo per attuarle rapidamente su tutto il territorio nazionale. Secondo i difensori delle linee guida, queste non esprimono le opinioni degli esperti che hanno contribuito a svilupparle, ma rappresentano indicazioni operative basate su conoscenze scientifiche aggiornate e riscontri oggettivi di efficacia secondo criteri definiti a livello internazionale. Non stupisce quindi che le raccomandazioni espresse non si discostino da quelle preesistenti a livello internazionale, né che siano state accolte con favore dagli operatori sanitari;
    l'istituto superiore di sanità, da parte sua, ha sottolineato che le linee guida saranno riviste nel 2015 e che è favorevole a valutare nuovi approcci terapeutici, purché siano sottoposti a valutazione scientifica;
    in opposizione a questa linea tenuta dall'Istituto si sostiene che nelle linee guida le altre esperienze di approccio alla cura dell'autismo sono state viste in modo fortemente critico, creando un forte disagio sia a livello delle famiglie e delle reti di famiglia che in questi anni avevano fatte scelte diverse, sia a livello delle istituzioni che seguono i bambini autistici con un diverso orientamento e che hanno alle spalle una pluridecennale dedizione alla loro assistenza e a quella delle loro famiglie;
    si ricorda che il modello proposto dall'Istituto superiore di sanità contraddice quanto evidenziato nel documento Sinpia (Società italiana di neuropsichiatria infantile) nel 2005, «Linee guida per l'autismo. Raccomandazioni tecniche-operative per i servizi di Npi», in cui è chiaramente consigliato di mantenere «le due grandi categorie di approccio al trattamento, comportamentale ed evolutivo, sottolineando che non esiste un intervento che possa andar bene per tutti i bambini autistici e per tutte le età»;
    la Sinpia nel 2005 aveva evidenziato come la patologia dell'autismo rappresenti ancora oggi una delle grandi sfide per la ricerca scientifica e almeno sotto il profilo terapeutico-riabilitativo intendeva lasciare ai genitori e agli operatori del settore la possibilità di scegliere la soluzione ritenuta più efficace anche a livello soggettivo, in osservanza della libera scelta di cura da parte del soggetto e dei suoi familiari, diritto di rilevanza costituzionale (articolo 32 della Costituzione);
    nello scenario delle polemiche suscitate dalla presentazione delle linee guida, si evidenziano due interventi del Ministero della salute;
    il 27 gennaio 2012, il Sottosegretario alla salute Cardinale, nel suo intervento in Commissione igiene e sanità del Senato, ha sottolineato che le linee guida dell'Istituto superiore della sanità sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti «garantisce alti standard sul piano scientifico a livello sia nazionale sia internazionale, per cui, pur costituendo un elemento suscettibile di ogni opportuno ulteriore approfondimento, le linee guida rappresentano un elaborato che scaturisce da un percorso metodologico di approfondimento scientifico»;
    «le Linee Guida – ha però sottolineato Cardinale – scaturite dal tavolo costituiscono una raccomandazione, contenendo valutazioni volte a facilitare le terapie, e rappresentano la sintesi delle maggiori conoscenze attualmente disponibili, risultando poi affidata al singolo medico la scelta di calarne l'applicazione al singolo caso clinico». Il Sottosegretario ha comunque auspicato ulteriori approfondimenti per migliorare la vita dei soggetti affetti da tali disturbi, superando le contrapposizioni, a partire dal «necessario» tema «dell'organizzazione della rete di assistenza, che vede attualmente associazioni di volontariato meritoriamente impegnate in un'ottica di sussidiarietà, che appare sotto tale aspetto meritevole di un riconoscimento pubblico. Appare inoltre centrale favorire lo sviluppo della diagnostica ed ampliare gli interventi in materia di formazione degli operatori». Il Sottosegretario Cardinale ha quindi espresso la disponibilità del Ministero della salute in tal senso;
    il secondo intervento è del Ministro della salute Balduzzi che ha reso noto come il Ministero della salute abbia predisposto linee di indirizzo da proporre alle regioni, in vista di un accordo finalizzato allo sviluppo di reti di servizi sanitari e socioassistenziali per la diagnosi, la presa in carico e il trattamento precoce di tali condizioni. Tutto ciò allo scopo di valorizzare l'approccio multiprofessionale e interdisciplinare e di promuovere l'integrazione tra gli interventi sanitari e quelli scolastici, educativi e sociali, tra servizi pubblici e servizi del privato accreditato, del privato sociale, con il coinvolgimento delle famiglie e delle loro associazioni;
    viene infine contestato il fatto che le linee guida rimandino al 2015 la data del prossimo aggiornamento,

impegna il Governo:

   ad accelerare il processo di revisione delle linee guida che non può attendere la prevista scadenza del 2015, senza recare danni concreti alle famiglie e alle istituzioni che da decenni seguono metodologie diverse dall'ABA, con risultati di indubbio interesse sul piano socio-assistenziale e scientifico;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per garantire la cura e l'assistenza alle famiglie dei soggetti autistici, che necessitano di un sostegno multidimensionale, protratto nel tempo non solo attraverso aiuti economici, ma anche attraverso la possibilità di promuovere la creazione di una rete di integrazione nel tessuto sociale che vada oltre i tempi della scuola, considerato che troppo spesso questi ragazzi al termine della scuola dell'obbligo o dopo i 18 anni diventano i cosiddetti «malati invisibili», assimilati in tutto o in gran parte ad una generica diagnosi di grave patologia psichiatrica;
   ad assicurare un'attenzione concreta al rispetto della dignità e dei diritti umani delle persone con autismo, permettendo alle loro famiglie di scegliere il tipo di cura che considerano più efficace per i propri figli, come raccomanda non solo l'articolo 32 della Costituzione, ma anche un recente documento del Comitato nazionale di bioetica;
   a favorire per quanto di competenza, un rapido iter della proposta di legge AC 3677, dal titolo, «Norme per la prevenzione, la cura e la riabilitazione dell'autismo e disposizioni per l'assistenza alle famiglie delle persone affette da questa malattia», presentata il 29 luglio 2010 e assegnata alla XII Commissione, proposta che sintetizza un approccio multidisciplinare alla patologia dell'autismo.
(1-01190) «Bocciardo, Barani, Palumbo, Ciccioli, De Luca, De Nichilo Rizzoli, Di Virgilio, Girlanda, Mussolini, Porcu, Roccella, Scapagnini».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la regione Emilia Romagna è stata ripetutamente colpita da forti eventi sismici nel maggio 2012, in particolare il terremoto, oltre alla perdita di vite umane, ha causato ingenti danni al settore agroalimentare nelle province di Bologna, Modena, Ferrara e Mantova;
    i danni subiti da caseifici, magazzini di stagionatura del parmigiano-reggiano, strutture di conservazione delle produzioni ortofrutticole e cerealicole, acetaie, stalle, cantine e fienili, sono ingenti e quantificati in diverse decine di milioni di euro;
    la filiera dei formaggi DOP quali il parmigiano reggiano e il grana padano, vere eccellenze del made in Italy, è ancora in forte difficoltà per i danni subiti dalle strutture produttive e di stagionatura tanto che alcuni caseifici non hanno ancora ripreso la produzione;
    nel computo dei danni totali risulta che la filiera dei formaggi DOP ha subìto un danno economico pari a 150 milioni di euro in conseguenza della distruzione di oltre 330 mila forme di parmigiano reggiano e di grana padano, delle oltre 600 mila forme cadute a terra per il crollo delle «scalere», le grandi scaffalature di stagionatura che sono collassate per il sisma;
    il decreto-legge «sviluppo», n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, prevede, all'articolo 59, lo stanziamento di 19,738 milioni di euro per «misure a sostegno del settore agricolo e specifici interventi di contrasto alle crisi di mercato»;
    a meno di cinque mesi dall'approvazione della norma che prevedeva lo stanziamento di 19 milioni di euro per contrastare le crisi di mercato nel settore agricolo, il Governo ancora una volta ha penalizzato il settore agricolo, già fortemente danneggiato soprattutto in Emilia Romagna, dai forti eventi sismici del maggio 2012;
   risulta infatti che il disegno di legge di stabilità abbia ulteriormente «tagliato» le risorse a disposizione del Ministero competente,

impegna il Governo

ad assumere idonee iniziative per reperire il prima possibile, risorse adeguate per il parziale risarcimento dei danni arrecati dal sisma alla filiera dei formaggi DOP.
(7-01030) «Di Giuseppe, Messina, Rota».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALESSANDRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha già in passato chiesto al Governo di ricevere risposte al tema delle intercettazioni ritenute non regolari effettuate presso il territorio regionale della regione Emilia ed in particolare a Reggio Emilia; trattasi, in particolare, delle seguenti interrogazioni: interrogazione a risposta scritta 4-05980 presentata il 20 dicembre 2007; interrogazione a risposta scritta 4-02926 presentata il 6 maggio 2009; interrogazione a risposta in commissione 5-01713 presentata il 29 luglio 2009; a tali atti di sindacato ispettivo non e mai stata risposta;
   in tali atti si chiedeva se il Ministero fosse a conoscenza di violazioni di legge in tema di intercettazioni telefoniche in Emilia Romagna;
   nel corso di incontri con il territorio, all'interrogante è stato riferito che cittadini reggiani abbiano depositato esposti nel corso del 2006 presso la procura della Repubblica di Reggio Emilia, affinché la stessa verificasse se le loro utenze telefoniche fossero oggetto di intercettazioni non conformi alla normativa da parte di apparati dello Stato;
   risulterebbe all'interrogante un calo del costo delle intercettazioni da euro 608.970,10 del 2006 a euro 200.126,80 del 2007;
   andrebbe definitivamente ed inequivocabile chiarito il motivo del predetto calo, anomalo, di attività di intercettazioni telefoniche –:
   se siano stati avviati nel corso del 2006 da parte della procura della Repubblica di Reggio Emilia procedimenti penali che abbiano accertato l'esistenza di intercettazioni illegali, non disposte dall'autorità giudiziaria;
   se si possa conoscere il numero delle intercettazioni disposte dall'autorità giudiziaria sia nell'anno 2006 che nell'anno 2007;
   se sia possibile conoscere le relative ore di intercettazione effettivamente risultanti dalle fatture del gestore telefonico per gli anni 2006 e 2007, con separata indicazione delle intercettazioni ambientali ed in tal caso fornendo i dati secondo il criterio di competenza;
   quali siano gli importi delle singole fatture del gestore telefonico, sempre con il criterio di competenza, per gli anni 2006 e 2007;
   se per il biennio 2006 e 2007, sempre con il criterio della competenza, sia conoscibile la possibile suddivisione del costo tra le 3 sale di ascolto (polizia di Stato, carabinieri e Guardia di finanza). (5-08454)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BONGIORNO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   come è noto l'Italia fa parte del Consiglio d'Europa e nel 1950 ha sottoscritto la convenzione europea dei diritti dell'uomo;
   con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007 la Corte costituzionale ha chiarito la portata dei vincoli derivanti dal suddetto accordo internazionale. In particolare, ha precisato che non solo la Repubblica è tenuta a dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (ai sensi dell'articolo 46 della convenzione), ma anche che le norme della convenzione – nell'interpretazione che ne dà la Corte – si atteggiano a parametro interposto di costituzionalità delle leggi italiane, ai sensi dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione;
   il graduale riconoscimento dell'efficacia della convenzione europea dei diritti dell'uomo nell'ordinamento interno italiano è certamente un aspetto positivo e arricchente per il nostro Paese, nell'ottica della creazione e del consolidamento in Europa di una vasta area di prossimità giuridica in cui sia garantita la pace e un comune standard di tutela dei diritti fondamentali;
   spesso, gli accertamenti di una violazione delle disposizioni della convenzione nelle sentenze pronunziate dalla Corte europea sono ascrivibili direttamente alla legge nazionale;
   quando questo fenomeno porta a ripetute violazioni, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo parla di «violazioni strutturali», vale a dire le violazioni dei diritti che promanano da una sistemazione normativa consolidata nell'ordinamento interno di un Paese sottoscrittore in determinati ambiti, tale per cui solo la modifica della normativa può far venir meno future constatazioni di analoghe violazioni;
   la violazione strutturale è oggi sostanzialmente codificata dall'articolo 61 del regolamento di procedura della Corte di Strasburgo e, di fronte a essa, la Corte può adottare la speciale procedura della «causa pilota»;
   esempi di violazioni strutturali italiane cui si è tentato di rimediare sono quelle relative all'eccessiva durata dei processi (legge cosiddetta Pinto del 2001 e successive modifiche) e ai procedimenti espropriativi in via di fatto, senza adeguato ristoro indennitario;
   da questo punto di vista – come anche è stato ribadito nella conferenza di Brighton tenutasi sotto la presidenza britannica nel mese di aprile 2012 – ogni ordinamento dovrebbe dotarsi di strumenti normativi e amministrativi per adeguarsi con efficacia e tempismo alle pronunzie della Corte e alle risoluzioni del Comitato dei ministri –:
   quali ragguagli possano offrire, anche in omaggio allo spirito dell'articolo 5, comma 3, della legge n. 400 del 1988, in ordine a quale seguito sia stato sin qui dato agli impegni contenuti nella dichiarazione di Brighton del 19 e 20 aprile 2012 e in particolare al punto 29 della stessa. (4-18557)


   RAO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in via Assisi a Roma, al civico n. 163, esiste uno stabile abbandonato, che in passato ha ospitato una sede del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e oggi si trova ad essere occupato da persone senza fissa dimora;
   nella zona sono sempre più frequenti atti di vandalismo e violenza, come lo scippo ai danni di una dipendente Tim che ha riportato gravi conseguenze, e i residenti della zona denunciano da tempo un consistente aumento del degrado e dell'insicurezza;
   la situazione di via Assisi a Roma è purtroppo comune a zone, periferiche e non, di molte altre città d'Italia –:
   da quanto tempo risulti inutilizzato lo stabile di via Assisi e se siano stati avanzati progetti per la sua riqualificazione e futura utilizzazione;
   se siano stati svolti studi per censire gli immobili pubblici di valore rilevante che si trovano in stato di abbandono o di non efficiente sfruttamento economico, quantomeno con riferimento alle principali città del Paese, e se non si ritenga di avviarne un utilizzo più razionale;  
   se il Governo non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, in collaborazione con i comuni, affinché sia assicurato il decoro urbano anche nei quartieri meno centrali e sia intensificata la collaborazione con le forze dell'ordine per garantire la sicurezza dei cittadini.
(4-18561)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   PORTA, FEDI, BUCCHINO, GIANNI FARINA, GARAVINI e NARDUCCI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'ultimo adeguamento retributivo concesso dal Ministero degli affari esteri ai dipendenti a contratto in servizio presso rappresentanze diplomatico-consolari e istituti italiani di cultura in Argentina risale al lontano 2001; da allora le retribuzioni medie in Argentina, misurate in dollari USA, si sono triplicate (fonte Lucas Llach Diario La Nación 24 ottobre 2012), l'inflazione «reale» in pesos, riconosciuta da tutti gli esponenti politici ed economici, in assenza di affidabili statistiche ufficiali, si aggira attorno al 25 per cento su base annua, dal 2007;
   dal 1997 gli impiegati a legge italiana e legge locale percepiscono una retribuzione pari al 50 per cento circa di quella percepita dai dipendenti assunti precedentemente; tutti i dipendenti a legge italiana, inoltre, devono destinare annualmente circa 5.000,00 euro a premi assicurativi in campo sanitario poiché il Ministero degli affari esteri non provvede a stipulare convenzioni in materia di assistenza sanitaria per il personale in servizio in Argentina ed in altri Paesi, come sarebbe tenuto a fare in ottemperanza del decreto del Presidente della Repubblica n. 618 del 1980;
   l'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 stabilisce le modalità per gli adeguamenti retributivi del personale a contratto: «La retribuzione annua base è fissata dal contratto individuale tenendo conto delle condizioni del mercato del lavoro locale, del costo della vita e, principalmente, delle retribuzioni corrisposte nella stessa sede da rappresentanze diplomatiche, uffici consolari, istituzioni culturali di altri Paesi, in primo luogo di quelli dell'Unione europea, nonché da organizzazioni internazionali. Si terrà altresì conto delle eventuali indicazioni di massima fornite annualmente dalle organizzazioni sindacali. La retribuzione deve comunque essere congrua ed adeguata a garantire l'assunzione degli elementi più qualificati. La retribuzione annua base è suscettibile di revisione in relazione alle variazioni dei termini di riferimento di cui al precedente comma e all'andamento del costo della vita...»;
   l'ambasciata d'Italia a Buenos Aires, tuttavia, non ha effettuato negli ultimi dieci anni nessuna verifica delle retribuzioni erogate da altre rappresentanze straniere né ha informato l'amministrazione centrale del Ministero degli affari esteri relativamente ai costi del mercato locale e tassi d'inflazione;
   il Consiglio di Stato, a sua volta, in data 12 ottobre 2011, a seguito di richiesta di parere dello stesso Ministero degli affari esteri, ha stabilito che il blocco delle retribuzioni della pubblica amministrazione (articolo 9, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010) non è applicabile al personale a contratto;
   il mancato adeguamento retributivo, in conseguenza dell'assenza o carenza di informazioni all'amministrazione degli esteri, potrebbe configurare ad avviso degli interroganti un danno rilevante all'erario, sia per il mancato rispetto delle disposizioni di legge in materia di personale a contratto sia per la possibilità di una serie di vertenze in Italia o contenziosi a livello locale; il succitato parere del Consiglio di Stato, per altro, poneva l'accento anche su questo pericolo, in quanto il mancato adeguamento retributivo potrebbe interpretarsi come una violazione delle norme del contratto individuale di lavoro e della legislazione in materia di rapporti di lavoro in vigore in Italia o nelle realtà locali –:
   quali siano le ragioni del ritardo nel documentare e trasmettere al Ministero degli affari esteri le richieste di aumento retributivo, più volte presentate dal personale a contratto locale, anche attraverso le rappresentanze sindacali;
   quali motivazioni siano alla base della mancata valutazione delle retribuzioni corrisposte al personale a contratto della rete diplomatico-consolare italiana in Argentina in comparazione con le retribuzioni legate al locale mercato del lavoro e con quelle del personale consolare di altri Paesi europei;
   se non si ritenga necessario acquisire immediatamente le informazioni necessarie alla valutazione degli aumenti retributivi per il personale a contratto locale;
   se non si ritenga indispensabile assicurare che tali informazioni, necessarie comunque a monitorare l'andamento del mercato del lavoro locale, vengano acquisite prontamente ed a scadenze periodiche;
   se non si ritenga, alla luce delle precedenti considerazioni, di dover assumere iniziative per pervenire con urgenza all'adeguamento retributivo per i dipendenti a contratto in servizio presso le rappresentanze diplomatico-consolari e istituti italiani di cultura in Argentina.
(4-18556)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 29 settembre 2012 l'AgenParl ha pubblicato due lanci relativi all'acquedotto Camuccini di proprietà dell'Arsial (ente della regione Lazio);
   nel primo – intitolato «LAZIO: PRESENTATO ESPOSTO PER EMAIL ALLA CORTE DEI CONTI SU ACQUEDOTTO CAMUCCINI (ARSIAL)» – si fa riferimento ad un esposto alla Corte dei conti mentre il secondo – intitolato LAZIO: PRESENTATO ESPOSTO AI CARABINIERI DI FORMELLO SU MESSA A NORMA ACQUEDOTTO CAMUCCINI (ARSIAL) – si riferisce ad un esposto presentato ai carabinieri;
   nell'esposto presentato ai carabinieri si chiede di verificare le attività finalizzate alla messa a norma dell'acquedotto secondo le vigenti normative in materia di qualità delle acque destinate al consumo umano;
   la storia dei disservizi che coinvolgono l'acquedotto risale al 2008 quando è stato effettuato un sopralluogo dei carabinieri dei Nas congiuntamente all'Asl Rm F sulla situazione manutentiva dell'acquedotto Camuccini e a seguito di tale verifica sono state emanate alcune ordinanze di non potabilità dell'acqua, divieto che vale tuttora;
   l'intera rete idrica dell'acquedotto risale agli anni ’60, è in cemento amianto e le ormai frequenti rotture alla tubazione fatiscenti causano disagi alle famiglie residenti tra Formello e Sacrofano soprattutto per il protrarsi dei tempi di riparazione che superano abbondantemente le 48 ore; in un lancio dell'AgenParl del 18 ottobre 2010, dal titolo «REGIONE LAZIO: ARSIAL SU ACQUEDOTTO CAMUCCINI, IMPEGNATI 13,5 MILIONI DI EURO A FAVORE ACEA», si legge: «i numerosi interventi sul tratto di condotta in questione come quelli effettuati sui restanti acquedotti sono connessi al fatto che essi avevano carattere di urgenza, benché provvisorietà in attesa che fosse dato corso alla dismissione degli acquedotti rurali Arsial all'Acea Ato2». «L'acquedotto denominato “Camuccini” è interessato dal Protocollo d'Intesa, siglato nel 2004 da: diversi comuni della Regione, dalla Provincia e dall'Acea-Ato 2, finalizzato alla messa a norma ed alla contestuale dismissione di 14 strutture acquedottistiche rurali di Arsial all'A.T.O. 2, tramite i comuni di appartenenza»,
   «Per l'attuazione di detto Protocollo la Regione impegnò, negli anni successivi, 13,5 milioni di euro direttamente a favore dell'Acea, che a tutt'oggi non ha preso in carico», «S'informa, infine, che l'Arsial a fronte della deprecabile situazione di stallo generata dall'inerzia dell'Acea e dei restanti sottoscrittori del protocollo, ha di recente diffidato, per le vie extragiudiziali, l'Acea e gli enti interessati ad adempiere, dando formale seguito all'avvenuta presa in carico delle suddette strutture» –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, s'intendano assumere per garantire la potabilità delle acque in questione;
   se risulti presentato l'esposto sopra citato presso la procura della Repubblica di Tivoli;
   se risulti presentato l'esposto presso la Corte dei conti del Lazio. (4-18567)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VICO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   ormai da alcune settimane i circa 800 dipendenti civili in servizio nella sede di Maribase Taranto, sono in stato di agitazione e attraverso contatti diretti o con l'ausilio e il servizio delle forze sindacali di categoria, chiedono al Ministero della difesa un incontro o comunque chiarimenti circa il loro futuro;
   le preoccupazioni di questo personale trovano giustificazioni in una presunta riorganizzazione del servizio e riordino degli uffici che dal 2003 ad oggi hanno svolto funzioni preziose per la Marina militare di stanza a Taranto, garantendo non solo l'assistenza alle navi in entrata e in uscita ma anche compiti per tutti gli altri enti della giurisdizione, come la vigilanza, la rete elettrica, la manutenzione degli alloggi e delle infrastrutture e persino servizi di tipografia o mensa;
   si tratta di un'attività che accorpava funzioni un tempo frammentate e che avrebbe prodotto anche un considerevole risparmio di risorse economiche. Un dato non trascurabile in tempi di spending review;
   ora una non meglio palesata e tanto meno condivisa operazione di ristrutturazione del servizio lascia interdetto il personale che pure in questi anni, anche grazie a continue riconversioni professionali, si era dimostrato flessibile e disposto a dare il meglio;
   si è, però, di fronte ad una riorganizzazione che pare possa riguardare sia la dislocazione del personale, sia una frammentazione dei servizi ed eventuale esternalizzazione, che, gestita direttamente dall'alto, non vanta alcun tipo di condivisione né con i lavoratori né con le loro rappresentanze sindacali –:
   se il Ministro intenda fornire chiarimenti circa le azioni di riorganizzazione e ristrutturazione del servizio per meglio condividerle con il personale, con quali modalità ritenga di poter coinvolgere i dipendenti civili e le organizzazioni sindacali di categoria in questo processo anche al fine di non marginalizzarne o ridurne il ruolo rispetto al personale militare, e se intenda convocare le organizzazioni sindacali dei lavoratori. (5-08450)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   GALLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la RAI Radio Televisione Italiana – società per azioni partecipata quasi interamente dal Ministero dell'economia e delle finanze (circa il 99,56 per cento) e concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo – è una delle più grandi aziende di comunicazione d'Europa e rappresenta il quinto gruppo televisivo del continente;
   la natura di servizio pubblico che essa essenzialmente svolge presuppone che si debba coniugare al meglio lo scopo puramente economico dell'utile di esercizio con quello – di preminente interesse generale – di fornire agli utenti, tra l'altro assoggettati al pagamento di un canone obbligatorio, un servizio di informazione il più aderente a criteri di modernità, di completezza e di pluralismo oltre che volto ad ampliare la partecipazione dei cittadini e a concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese in conformità ai principi sanciti dalla Costituzione;
   con determinazione n. 72 del 2012 la Corte dei conti in sezione del controllo sugli enti, nell'adunanza del 17 luglio 2012 riferisce alle Presidenze delle due Camere del Parlamento il risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della società per l'esercizio 2010, in cui si legge «ritenuto che dall'analisi del bilancio e della documentazione acquisita della Società è emerso che:
    1. il conto economico chiude con una perdita di 128,4 milioni di euro, in peggioramento rispetto all'esercizio precedente;
    2. il patrimonio netto evidenzia una riduzione complessiva del 25 per cento rispetto
    3. all'esercizio 2009;
    4. il conto economico consolidato espone un risultato negativo per 98,2 milioni di euro;
    5. anche per il 2010 l'evasione dal pagamento del canone di abbonamento è stata elevata (26,7 per cento per il canone ordinario e 60 per cento per il canone speciale);
    6. non sono state introdotte misure volte ad arginare il fenomeno;
    7. il ricavo derivante dalla pubblicità ha evidenziato consistente flessione rispetto agli esercizi pregressi (circa 200 milioni di euro in meno rispetto al 2007);
    8. il contenimento dei costi della produzione non è apparso adeguato in relazione alla situazione economico-finanziaria della Società;
   nonostante la pessima situazione di bilancio, il monito della Corte dei conti e le previsioni di bilancio per l'anno in corso che attesterebbero le perdite a circa 200 milioni di euro, la RAI continua a elargire compensi ai propri conduttori a dir poco spropositati, di cui i seguenti vogliono essere solo un mero esempio: Fabio Fazio 2 milioni di euro (in esclusiva, al lordo per tre anni), la Littizzetto 1 milione e 800 mila (per due anni, in esclusiva), Antonella Clerici 1 milione e 800 mila, Milly Carlucci 1 milione e 200 mila euro, Pippo Baudo 900 mila euro, Giletti 600 mila euro, 300 mila euro la Balivo, Veronica Maya e Elisa Isoardi per finire con Giovanni Floris che guadagna 500 mila euro (dati consultabili in diversi siti on line anche di testate di informazione pubblica) ed il presidente percepisce 336.000 euro l'anno, mentre il direttore generale 650.000 in tre anni;
   tali «investimenti» in anchormen e women non ha altrettanto ritorno in share ascolti, come anche evidenziato da numerose rilevazioni e dalle dichiarazioni di Corrado Calabrò, presidente dell'Autorità di garanzia nelle comunicazioni nel mese di maggio 2012; «le reti generaliste Rai detengono il 38,3 per cento dello share»;
   una sana strategia aziendale imporrebbe una revisione dei costi ed un progetto di miglioramento del servizio pubblico, mentre insistenti voci di corridoio in ambienti limitrofi a RAI riferiscono dell'intenzione dell'azienda di ripianare il disavanzo di bilancio attraverso l'imposizione di aumenti tariffari in bolletta sul consumo di energia, in particolare energia elettrica, come è anche prassi consolidata per altre società, quali GSE, TERNA, SOGIN, il ricorrere ad aumenti della componente A3 della bolletta per provvedere a proprie esigenze finanziarie a prescindere dalla oculata gestione;
   il costo dell'energia elettrica grava sugli italiani di un consistente 30 per cento in più rispetto alla media europea, e non va sottaciuto come tra le prime cinque cause dei mancati investimenti in Italia vi sia un troppo gravoso costo dell'energia;
   il caricare sulle spalle, già provate dalla crisi attuale, di cittadini e imprese anche il peso delle perdite di un'azienda come RAI, senza che questa abbia fatto nulla per ridurre gli esagerati costi richiamati più sopra, né abbia intrapreso azioni idonee a recuperare la massa di canoni insoluti, come evidenziato dalla Corte dei conti, né sostanzialmente migliorato il servizio, come dimostra il calo di spot pubblicitari e dello share è ad avviso degli interroganti non solo ingiusto e scorretto, ma è anche e soprattutto indice di un malcostume che pone i cittadini in uno stato di sudditanza intollerabile, senza difesa dal dover essere costretti, loro malgrado, a dover pagare le mancanze e mantenere i privilegi di una serie di società che appaiono dedite alla propria autoconservazione (e a quella del proprio entourage «artistico culturale») senza che vi siano corrispondenti benefici per la comunità;
   non solo, Enel risulta essere un assiduo acquirente ai spazi pubblicitari RAI, ponendosi quindi nella posizioni di cliente dell'azienda, e una sua eventuale parte da protagonista nell'aumentare le proprie bollette di fornitura al fine di ripianare i debiti RAI pone una preoccupante legittima suspicione in merito ai rapporti tra le due aziende –:
   se il Ministro, peraltro azionista di amplissima maggioranza della RAI non ritenga di chiarire se il Governo abbia intenzione di assumere iniziative per ripianare le perdite RAI attraverso un aumento di alcune voci tariffarie nelle bollette energetiche, o di qualsiasi altra natura, a carico degli italiani o intende escludere totalmente tale soluzione come praticabile anche in futuro;
   quali, iniziative intenda assumere al fine di ottenere il rispetto di quanto esposto dalla Corte dei conti in premessa, introducendo azioni idonee ad arginare il fenomeno dell'evasione del canone e a contenere il costo della produzione adeguandolo alla situazione economico-finanziaria;
   se non si ritenga di approfondire nel caso tale meccanismo di ripianamento delle perdite RAI fosse realmente allo studio, dati i rapporti Enel – cliente/RAI – fornitore, tale meccanismo non possa integrare gli estremi di aiuto di azienda di Stato in favore di altra azienda di Stato. (3-02614)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENTUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comparto doganale italiano gode meritatamente di un'apprezzabile considerazione, non solo a livello europeo;
   i successi nell'azione di tutela del «made in Italy», nel controllo sul traffico dei rifiuti, della droga, delle armi, nonché sui prodotti dell’import-export, dimostrano che le autorità doganali italiane, sebbene siano chiamate ad operare su un confine di migliaia di chilometri, anche lungo le coste della penisola, riescono, unitamente alle altre forze di polizia, a contrastare l'organizzazione malavitosa dedita al contrabbando;
   da ultimo, la circolare dell'Agenzia delle dogane 16/D del 12 novembre 2012, rappresenta un concreto passo in avanti verso la completa informatizzazione del comparto, in particolare ai fini della trascrizione e conferma delle diverse tipologie di dichiarazioni doganali (ordinaria e domiciliata), ottimizzando in tal modo i tempi di sdoganamento e spedizione, in modo da realizzare il progressivo abbattimento dei costi e contrastare le distorsioni di traffico in favore di altri Paesi membri dell'Unione europea;
   in tale contesto positivo sorgono tuttavia alcune perplessità circa i tempi e le modalità delle verifiche sanitarie connesse con la procedura standard sul territorio nazionale, prevista per il cosiddetto «controllo ufficiale» delle partite di alimenti di origine non animale in arrivo presso i punti di confine dove operano gli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (USMAF), nonché circa le modalità di rilascio del nulla osta sanitario (NOS) e del documento comune di entrata (DCE);
   analoghe perplessità si evidenziano anche per quanto riguarda la procedura di rilascio dei certificati sanitari su alimenti di origine animale e sui loro sottoprodotti, nonché sui prodotti vegetali (che possono presentare un rischio di malattie contagiose o infettive per gli animali);
   i prodotti sottoposti a tali certificazioni, assolutamente necessarie e inderogabili per la tutela della pubblica salute, all'atto della introduzione in uno Stato dell'Unione europea, possono infatti essere posti in libera pratica sul territorio dell'Unione (e dunque sdoganati), prevedendosi che i controlli sanitari siano effettuati nel Paese di destinazione senza che la merce rimanga vincolata in dogana;
   l'articolo 4, comma 57, della legge n. 350 del 2003 ha istituito lo «sportello unico doganale», al fine di semplificare le operazioni di import-export attraverso una concentrazione dei termini delle attività istruttorie anche di competenza di amministrazioni diverse dalla dogana, ma a questa connesse –:
   quale sia, trascorsi quasi nove anni dall'entrata in vigore della citata legge n. 350 del 2003, lo stato attuale di realizzazione dello «sportello unico doganale», se sussistano circolari dell'amministrazione che si discostano dalla normativa in materia dell'Unione europea, le quali rischiano di imporre adempimenti farraginosi che generano a loro volta costi impropri sulle merci, e se risulti, anche in base alle informative degli operatori del settore, resistenza di distorsioni del traffico doganale a favore dei Paesi che attuano procedure doganali diverse da quelle italiane. (5-08451)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BONCIANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il contratto del 24 aprile 1996 tra l'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e la Societé Anonime Solvay S.A è stata stabilita una collaborazione industriale per l'estrazione delle acque salse nelle concessioni minerarie di Volterra, Poppiano e Cecina, site nel territorio dei comuni di Volterra e di Pomarance. Sulla base di tale collaborazione industriale la Solvay ha assunto l'impegno a corrispondere un corrispettivo di litri 1700 (millesettecento) a tonnellata di sale estratto, al netto dell'iva di legge, per la durata del contratto stesso, assumendo a proprio carico le spese dell'attività di estrazione e tenendo conto che il quantitativo massimo che la Soc. Solvay ha la possibilità di estrarre è pari a 2 milioni di tonnellate per anno e la stessa società si impegna a fornire la salamoia satura, espressa alla concentrazione di 308g NaCl/litro, per consentire all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato una produzione massima di 150.000 (centocinquantamila) tonnellate di sale per anno; per tale fornitura l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato si obbligava a pagare, a titolo di parziale rimborso spese, lire 700 (settecento) al netto dell'Iva a tonnellata di sale ottenuto dalla salamoia;
   con il passaggio delle concessioni dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ad Atisale SPA tale contribuzione non è venuta meno;
   con il trasferimento delle competenze amministrative alle regioni e l'attenzione mostrata dall'intero sistema degli enti locali alle problematiche ambientali del ciclo produttivo di imprese come la Solvay, è stato posto il problema della «territorializzazione» delle Royalty pagate dalla Solvay, stando all'accordo di programma regione, provincia, comuni, sottoscritto in data 26 luglio 2001 dal quale si attesta che le amministrazioni pubbliche firmatarie di tale protocollo considerano principio fondamentale che le risorse economiche, scaturenti dall'applicazione di norme fiscali alle attività industriali oggetto del protocollo medesimo, vengano destinate ai territori direttamente interessati dalle attuali e future estrazioni di salgemma;
   con il protocollo d'intesa, sottoscritto in data 15 marzo 2012 da regione Toscana, provincia di Pisa, provincia di Livorno, Unione dei comuni alta Val di Cecina, comune di Montecatini Val di Cecina, comune di Pomarance, comune di Montescudaio, comune di Cecina, comune di Rosignano, Solvay Chimica Italia SPA ed Atisale SPA si impegnano i sottoscrittori di tale accordo di programma, affinché gli oneri finanziari corrisposti dalla Solvay sotto forma di canoni minerari o di altri contributi attualmente versati alla regione e al Ministero siano devoluti a progetti di sviluppo che ricadano direttamente sul territorio, affinché possano essere impiegati in opere di tutela e ripristino ambientale, capaci di trasformarsi anche in motore di nuova occupazione;
   il comune di Volterra con segnalazione, protocollo n 1300 del 29 dicembre 2011, informava la regione Toscana di fenomeni recenti di deformazione superficiale del suolo nel comune di Volterra, esterno alla concessione mineraria di Buriano e che quindi esisterebbe una fattispecie direttamente conducibile all'attività estrattiva che si configurerebbe come un danno al territorio al quale si ritiene possano sussistere i presupposti per la concessione di un ristoro –:
   quale sia l'ammontare totale del corrispettivo che Solvay ha versato dal 1996 ad oggi con, possibilmente, la specifica di quanto versato dal 2001;
   se tale corrispettivo sia stato introitato interamente dallo Stato o sia stato, in parte, ristornato a regione Toscana o agli enti locali e, in caso affermativo, per quale importo;
   ove tali risorse siano state trattenute dallo Stato, se le amministrazioni comunali, nel cui territorio insistono le sedi estrattive, in considerazione del fatto che, come documentato, le attività di estrazione provocano danni, non siano legittimate a partecipare in quota parte a quanto versato da Solvay. (4-18560)


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane, il Consiglio dei ministri ha approvato un provvedimento legislativo per il recepimento della direttiva 2011/7/UE sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra imprese, e tra pubbliche amministrazioni e imprese;
   il provvedimento governativo prevede una più rigorosa disciplina per contrastare i ritardi di pagamento, in particolare per quanto riguarda le pubbliche amministrazioni, e i cui tempi in Italia, in particolar modo in alcune aree del mezzogiorno, sono particolarmente lunghi, così da assicurare termini certi di pagamento e di norma stabiliti in trenta giorni, che non possono comunque superare i sessanta, consentiti solo in casi eccezionali;
   secondo alcuni organi di stampa e le principali associazioni di categoria, dal testo oggi vigente pare essere stato escluso il settore delle costruzioni in quanto non compare un espresso riferimento al settore del lavori pubblici e in mancanza del quale l'intero comparto economico viene di fatto escluso dall'applicazione, tanto che mancherebbe altresì l'abrogazione delle norme sui pagamenti contenute nel regolamento di attuazione del codice appalti pubblici e che sono riportate nel decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 (articoli 142-144) –:
   se non si ritenga opportuno verificare l'eventuale esclusione dal provvedimento sopra citato, adottando, qualora verificato, le opportune correzioni per inserire all'interno del provvedimento anche il settore dei lavori pubblici. (4-18563)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012 (cosiddetto decreto liberalizzazioni) ha profondamente modificato le modalità di cessione dei prodotti agricoli, tra cui rientrano anche le produzioni florovivaistiche, di cui è leader la nostra provincia a livello internazionale;
   i diversi attori della filiera non sono tutti concordi sulle linee di principio stabiliti dalla norma di cui sopra, in quanto preoccupati per la modalità di applicazione sia dei termini di contrattazione, che di pagamento; elementi imprescindibili nelle trattative commerciali, dove il periodo di pagamento è contemplato nella determinazione del prezzo pattuito tra le parti;
   questa norma voleva dare maggior competitività alle imprese produttrici del settore, invece si è tradotta in misure che riducono il potere contrattuale delle stesse e allontana le prospettive del lavoro in rete, per arrivare a fare sistema (vero traguardo delle contrattazioni altro che 60 giorni);
   in un mercato sempre più globalizzato con scambi di merce più facili e con un quadro politico economico in cui le nostre imprese agricole hanno costi di produzione superiori a quelli degli altri Paesi della Comunità europea ed extra comunitari, imporre regole restrittive nelle contrattazioni, significa metterle fuori mercato, con il concreto rischio di orientare gli acquirenti altrove e l'evidente difficoltà di recuperare la fetta di mercato persa;
   in questi anni di crisi economica globale, le nostre imprese hanno lavorato con tanta difficoltà, investendo ulteriori risorse per essere pronti alla ripresa;
   in aggiunta alle difficoltà economiche attuali si sono pure introdotte modifiche alle regole di mercato, (più onerose per l'acquisto nel nostro paese rispetto agli altri concorrenti) ed è indubbio che molti clienti si rivolgeranno altrove, dove possono concordare condizioni e tempi di pagamento più lunghi;
   anche gli istituti bancari non erogano i finanziamenti richiesti, aggravando la già critica situazione di carenza monetaria e, senza credito aggiuntivo, diventa impossibile rispettare i tempi di pagamento fissati empiricamente. Tanto più che dovrebbero essere saldati anche gli importi debitori precedenti, la cui non immediata corresponsione può provocare uno squilibrio nell'esposizione bancaria, come il mancato rientro di fatture scontate in portafoglio di anticipo, riducendo la solvibilità bancaria e l'aumento del relativo rating;
   è assurdo, ma altrettanto realistico, che in una situazione finanziaria inconsistente come quella che stiamo vivendo, per non incorrere in sanzioni, i clienti si trovano a pagare prima i nuovi acquisti, lasciando inevasi i debiti precedenti, venendo così a trasformare un credito a breve, in un credito inesigibile per molto tempo;
   aumentando i costi all'interno della filiera si riducono i margini da distribuire ed essendo i prezzi dettati da regole di mercato libero mondiale e non dal proprio costo di produzione, nella ridistribuzione degli oneri verranno aggravati sull'elemento più debole, come e peggio di prima, il produttore agricolo. Infatti già alla vigilia dell'entrata in vigore dell'articolo 62, abbiamo assistito ad una generale riduzione dei prezzi, anche in maniera consistente. Tutto ciò allontana sicuramente con turbative e sconvolgimenti nel tradizionale libero mercato, le fondamentali linee di sviluppo per uscire dalla crisi nazionale e dell'Unione europea, anziché incentivare reti di filiera per fare sistema;
   è opportuno riflettere che la nuova normativa, ponendo nel nostro paese regole meno desiderate rispetto agli altri, contrasta con la libera circolazione dei prodotti, principio basilare del trattato dell'Unione europea;
   le nuove regole non tengono conto dei cicli produttivi agricoli, in modo particolare del settore florovivaistico e della zootecnia, che sono compatti in cui si comprano piantine per l'accrescimento od animali, che dovrebbero essere pagati a 60 giorni, mentre si rivendono a distanza di molti mesi o, addirittura, anni. Con la libera trattativa dei pagamenti concordati in tempi lunghi, molte imprese agricole possono proseguire nella loro attività, che altrimenti diventerebbe difficile;
   la nuova norma, inoltre, non tiene conto dello stato dei pagamenti effettuati dagli enti pubblici, che a seguito del patto di stabilità pagano i loro fornitori a distanza di molti mesi o addirittura anni, pur avendo in cassa la piena disponibilità;
   questo scenario è molto diffuso e sta bloccando molto denaro spettante alle imprese in una situazione che indubbiamente ha contribuito ad alimentare il ritardo dei pagamenti tra privati. Anche gli enti pubblici erano soggetti alle disposizioni del decreto legislativo n. 231 del 2002, con pagamenti a 60 giorni, che e stato disatteso interamente dalle istituzioni;
   lo stato di fatto è in contrasto con il principio di fondo (fissare i pagamenti a brevissime date certe) su cui si è basato il legislatore nell'emanazione dell'articolo 62, in quanto è lo Stato-ente pubblico che da parecchi anni non rispetta questo principio. Le imprese si domandano se l'articolo 62 non sia anticostituzionale, sia per la legittimità di imporre le regole di mercato libero più restrittive in presenza di accordi del WTO orientati al mercato globalizzato e soprattutto quando la norma è costantemente e palesemente in contrasto al comportamento assodato negli anni degli enti pubblici, i quali dovrebbero dare l'esempio;
   il rischio evidente di perdita della competitività sui mercati esteri e la riduzione dei prezzi è un serio problema, che se non corretta immediatamente, molte imprese saranno fuori mercato mettendo a rischio tantissimi posti di lavoro ed una buona fetta dell'economia;
   l'eventuale applicazione, orienterebbe gli acquirenti su altri mercati e sarebbe impossibile recuperarli, sia per gli effetti della globalizzazione (facilità degli scambi commerciali), che per la minor competitività delle nostre imprese, che devono operare a costi di produzione superiore agli altri Paesi della comunità europea ed extracomunitari;
   l'applicazione della normativa potrebbe essere limitata ai prodotti alimentari deperibili, che hanno una durata non superiore a 60 giorni, la cui permanenza nella filiera ha un percorso di poche settimane. Comunque occorre stabilire un periodo di pagamento più flessibile che sia determinato dalla stessa contrattazione (esempio per l'orticolo un periodo massimo di 4 mesi). Comunque l'industria conserviera-agroalimentare sarebbe davanti a difficoltà obiettive, con ripercussioni contrarie allo sviluppo dell'economia;
   a giudizio dell'odierno interrogante e delle principali associazioni di categoria, innanzitutto, dovrebbero essere escluse a priori, tutte le contrattazioni con l'estero, indipendentemente dal luogo di consegna della merce;
   dall'ambito di applicazione della norma sono state escluse tutte le cessioni del pesce, nei passaggi tra imprenditori ittici. In questo compatto, probabilmente, la norma creava problemi, per cui è stato escluso a priori. In analogia dovranno essere tolti anche gli altri compatti dell'agricoltura dove la nuova norma si traduce in un boomerang per gli stessi produttori, come il florovivaismo, la zootecnia e tutti i prodotti non alimentari freschi;
   oltre a tutto questo, l'articolo 62 entra nel merito delle pratiche commerciali sleali, tra queste vengono sanzionate quelle in cui si applicano prezzi diversi sullo stesso prodotto o la determinazione del valore al di sotto dei costi di produzione;
   nel settore florovivaistico, in particolare, si genera una parte di prodotto meno appetito sul mercato e può essere immesso in circolazione a prezzi effettivamente sotto costo. Chiaramente con l'articolo 62 questa pratica diventa rischiosa, perché sanzionabile, ma il vivaista aveva compensato la perdita con il prezzo della merce di prima qualità;
   tale percorso è in atto anche in altri compatti, come l'ortofrutta e la floricoltura –:
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda adottare il Ministro interrogato per intervenire rapidamente su questa norma che sta danneggiando un intero settore economico nazionale.
(4-18564)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   SBAI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia la violenza sessuale è punita dall'articolo 609-bis e seguenti del codice penale;
   chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni;
   alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
    1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
    2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona;

   è prevista la pena della reclusione dai 6 ai 12 anni se la violenza è commessa:
    1) nei confronti di una persona che non ha compiuto gli anni quattordici;
    2) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;
    3) con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
    4) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricati di servizi pubblici;
    5) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;
    5-bis) all'interno o nelle immediate vicinanze di istituto d'istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa;

   un'altra fattispecie di violenza sessuale è quella di gruppo (articolo 609-octies): i coautori sono puniti con la reclusione da 6 a 12 anni;
   gli articoli 609-bis e seguenti del codice penale italiano puniscono non solo lo stupro ma più in generale qualsiasi costrizione a compiere o subire atti sessuali;
   si legge sul quotidiano romano Il Messaggero del 13 novembre 2012, nell'articolo a firma di Michela Allegri la sentenza che riguarda i due autori dello stupro della metro Eur-Magliana del 10 marzo 2012, due cittadini romeni;
   uno dei due è stato assolto «per non aver commesso il fatto» e l'altro, Florin Veltan, autore materiale dello stupro ai danni della giovane ragazza, «dovrà scontare due anni e otto mesi di reclusione»;
   la vicenda, della quale l'interrogante è venuta a conoscenza tramite l'emittente Radio Ti Ricordi, sta scatenando una forte polemica nell'opinione pubblica;
   il fenomeno della violenza sessuale, nonostante i tentativi di fermare l'emergenza, è in costante aumento;
   in Italia, ogni anno le violenze sessuali sono circa 4.800, raddoppiate tra il 2001 e il 2011;
   uno stupro su tre è opera di sconosciuti, con un aumento negli ultimi mesi;
   a Milano, nel 2011, i casi di stupro sono stati 340, quasi uno al giorno (senza distinzione tra casi dentro le mura domestiche o per strada). A Roma, molto peggio: 578 nel 2011;
   spesso il sistema giudiziario non contempla un trattamento esemplare nei confronti di coloro che compiono reati di natura sessuale –:
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per evitare che situazioni del genere che sconcertano la pubblica opinione possano continuare e ripetersi;
   se intenda il Governo proporre una revisione del dettato giuridico e legislativo relativamente alla violenza sessuale, nel senso di un inasprimento delle pene e di una loro certezza applicativa;
   se in ogni caso non ritenga di evitare che in situazioni come quelle descritte in premessa sia giuridicamente consentito che le eventuali circostanze attenuanti prevalgano nella commisurazione della pena. (4-18559)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   domenica 28 ottobre 2012 l'interrogante ha visitato il carcere di Lanciano accompagnata dai radicali Rosa Quasibene e Francesco Belli;
   i detenuti presenti erano 262 per una capienza regolamentare di 193 posti; un detenuto era in permesso premio; i detenuti con condanna definitiva erano 175, mentre quelli in attesa di giudizio erano 86; inoltre, nell'Istituto erano presenti 2 internati; assenti per motivi di giustizia 115 detenuti, per ricovero in CDT 1 e per colloqui 9;
   considerati i diversi circuiti detentivi, si registrava la seguente situazione: nella prima sezione A «comune» erano presenti 55 detenuti per 25 posti regolamentari; nella seconda sezione A «ZETA» erano presenti 22 detenuti per 25 posti regolamentari; nella terza sezione A «ZETA» erano presenti 32 detenuti per 25 posti regolamentari; quanto all'alta sicurezza, nella prima sezione B erano presenti 35 detenuti per 25 posti regolamentari; nella seconda sezione B c'erano 45 detenuti in 25 posti mentre nella sezione terza B i detenuti erano 42 in 25 posti; i detenuti del «reparto verde» comune si trovano 26 detenuti; nel reparto «nuovi giunti» 2 e in quello dei semiliberi 3; nonostante i tanti circuiti detentivi, per il sovraffollamento, si registrano diversi casi di detenuti che devono scontare pene lunghissime e financo l'ergastolo sistemati a convivere con chi deve scontare pochi anni o mesi o, addirittura, è in attesa di giudizio;
   i detenuti stranieri sono in tutto 31: otto albanesi, quattro rumeni, quattro tunisini, due cinesi, due algerini, due marocchini, un bosniaco, un spagnolo, un ghanese, un liberiano, un lituano, un polacco, uno della Sierra Leone, un somalo e un ucraino;
   coloro che hanno la possibilità di lavorare sono in tutto cinquanta; il lavoro è a rotazione per cui in un anno ciascun detenuto arriva a stento ad essere impegnato per due mesi e mezzo, peraltro in lavori domestici interni poco formativi e con salari miserrimi; le possibilità di studio sono limitate alla scuola di alfabetizzazione e alle medie; attualmente è in atto un corso di idraulica e uno di ceramica;
   nell'istituto sono presenti sessanta detenuti tossicodipendenti, di cui n. 32 con patologie correlate allo stato di tossicodipendenza; tre sono i sieropositivi, cinque hanno una doppia diagnosi (psichiatrica e di tossicodipendenza);
   per quel che riguarda il personale di polizia penitenziaria occorre tenere presente che sebbene la pianta organica del 2001 prevede un totale di 147 unità ed attualmente siano amministrate 151 unità, l'attuale organizzazione dell'istituto, con la presenza di diversi circuiti penitenziari e il sovraffollamento comportano l'esigenza di altre unità di personale; ad aggravare la carenza si consideri che dalle 151 unità presenti bisogna sottrarre n. 12 unità impiegate presso il nucleo traduzioni, altre 5 unità al giorno distolte dal servizio d'istituto per le traduzioni ed i piantonamenti; quanto alla situazione dei funzionari del Corpo sono presenti 1 commissario del ruolo speciale con le funzioni di comandante di reparto e un'altra unità del ruolo direttivo ordinario, con le funzioni di vice comandante;
   fra le carenze strutturali dell'istituto si registra sicuramente quella del muro di cinta che non è sottoposto ad alcuna manutenzione e che ha il sistema anti-scavalcamento fuori uso;
   nella sala colloqui, peraltro poco illuminata e arieggiata, permane il muretto divisorio; inoltre, i collegamenti del carcere con il centro abitato sono rarissimi anche nei giorni destinati agli incontri dei detenuti con i familiari, limitandosi a una o due corse del bus navetta; a volte capitano scarcerazioni di detenuti che, se non trovano un passaggio, sono costretti a raggiungere a piedi la parte della città di Lanciano ove si trovano le stazioni dei pullman;
   durante la visita, la delegazione è entrata in diverse celle dove in meno di 10 metri quadrati (cioè celle per 1 persona) erano stati sistemati in letto a castello ben tre detenuti, con lo sfortunato del «terzo piano» costretto a dormire a pochi centimetri dal soffitto: tolto lo spazio occupato dai letti, dal tavolo, dagli sgabelli e dai mobili, rimane ben poco spazio per muoversi in tre; la cosa è tanto più deplorevole – oltre che non conforme alla normativa – se si considera che in questa «cattività» i detenuti ci stanno per almeno 20 ore al giorno;
   fra i detenuti incontrati, si segnalano i casi di:
   G.I. per fare i colloqui la moglie parte da Brolo il giorno prima; deve raggiungere Messina in treno e poi prendere un pullman fino a Pescara dove un altro treno la porterà a Lanciano; a Lanciano – dato il sopra esposto malfunzionamento del bus navetta – deve prendere un taxi fino al Carcere; il detenuto si duole, anche del fatto che gli siano consentite solo due telefonate a settimana; analoga situazione per i colloqui è stata rappresentata T.D.P. da solo che la moglie parte dal comune di San Pier Niceto (ME) e ha tre figli minori di 3, 8 e 12 anni;
   G.M., da due anni non vede i familiari (compresa una figlia di 4 anni) che sono di Lecce;
   F.C., affetto da epatite C, afferma che da 11 mesi gli hanno sospeso l'interferone; gli mancano 14 mesi al fine pena ed ad agosto ha presentato la domanda per accedere ai benefici della legge n. 199 senza aver ricevuto risposta; inoltre, afferma che ancora deve prendere due semestri di liberazione anticipata;
   due detenuti, uno di nazionalità spagnola e l'altro albanese, hanno in mano dal mese di settembre il provvedimento di espulsione dal territorio dello Stato italiano quale sanzione alternativa alla pena residua inferiore ai due anni, ma il provvedimento non viene posto in atto perché molto probabilmente l'amministrazione sta ancora «acquisendo» «i necessari titoli di viaggio» (biglietto aereo); per i due detenuti A.R.A.B. e P.M. «non ricorrono incertezze sull'identità e sulla nazionalità»;
   P.A., con i giorni di liberazione anticipata gli mancano solo 8 mesi da scontare: sta aspettando la risposta del magistrato di sorveglianza alla sua istanza presentata il 20 luglio;
   C.M., ha fatto richiesta di trasferimento a Modena dove vive la figlia di 6 anni; da sei anni e mezzo è detenuto senza aver mai avuto un rapporto disciplinare;
   unanime è l'opinione dei detenuti riguardo l'inefficienza dell'ufficio della magistratura di sorveglianza, dovuta probabilmente al fatto che abbia in carico, oltre al carcere di Lanciano, anche quelli di Vasto e di Pescara;
   lo psicologo è figura professionale quasi inesistente nel carcere di Lanciano: a domanda precisa molti detenuti hanno risposto «chi lo conosce?», mentre un detenuto particolarmente socievole ha detto sorridendo «qui, lo psicologo sono io»;
   particolarmente disagiata è la condizione di detenzione degli stranieri; non esiste il mediatore culturale, i sussidi vengono raramente erogati per cui molti di loro raramente riescono a tenersi in contatto telefonicamente con i propri familiari nel Paese di origine; il lavoro è la richiesta che avanzano di più e diversi di loro sono in attesa da più di un anno senza aver mai avuto la possibilità di lavorare; l'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario), stabilisce che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»;
   l'articolo 15 della medesima legge prescrive che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie»; il comma 2 dell'articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 (regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), dispone che «particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale»; l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell'istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati»;
   il primo comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali» –:
   quali urgenti iniziative si intendano assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del carcere di Lanciano; in particolare, entro quali tempi si preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti; cosa intendano fare, negli ambiti di rispettiva competenza, per garantire il diritto alla salute dei detenuti e, in particolare, entro quali tempi verrà ripristinata un'adeguata assistenza psicologica;
   cosa si intenda fare per garantire ai detenuti l'attività trattamentale, sia essa di studio e/o di formazione e lavoro, atta a preparare il futuro reinserimento sociale previsto dall'articolo 27 della Costituzione;
   se non si intendano adottare le opportune iniziative al fine di aumentare l'organico degli agenti penitenziari, degli educatori e, per quanto di competenza, degli psicologi e degli assistenti sociali in servizio presso il predetto istituto di pena, in modo da renderei stesso adeguato al numero delle persone recluse;
   se non si ritenga di dover urgentemente disporre il completo rifacimento della vetusta ed obsoleta sala-colloqui, dotata ancora del vietato muretto divisorio, in modo da garantire un miglior contatto umano tra detenuti e familiari; quando verrà ristrutturato il muro di cinta e ripristinato il sistema anti-scavalcamento;
   se ed in che modo si intendano potenziare, all'interno della struttura penitenziaria in questione, le attività di orientamento e formazione al lavoro e di ricerca di posti di lavoro da offrire ai detenuti, in particolar modo per quelli che hanno quasi finito di scontare la pena; se ritenga di dover intervenire affinché siano separati i detenuti imputati da quelli già condannati;
   quali iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, per rafforzare l'ufficio del magistrato di sorveglianza attualmente costretto a seguire ben tre istituti penitenziari, quello di Lanciano compreso;
   se, in base ai commi 1 e 2 dell'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354, il magistrato di sorveglianza di Lanciano vigilando come è suo compito sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena, abbia mai prospettato al Ministro della giustizia le esigenze dei vari servizi del carcere, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo;  
   se il Ministro intenda intervenire, per quanto di competenza, in merito ai casi descritti in premessa;
   stante la richiesta di alcuni detenuti del carcere di Lanciano di poter scontare la pena o la custodia cautelare vicino al proprio contesto familiare, cosa intenda fare il Ministro per rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto del detenuto con i propri familiari e i figli, specie in età minore;
   se il Governo non intenda assumere iniziative volte a destinare maggiori fondi e risorse al potenziamento delle misure alternative al carcere, anche attraverso la creazione di percorsi protetti di reinserimento sociale e lavori socialmente utili per tutti i condannati a pene inferiori ai tre anni di reclusione;
   se intenda intervenire per risolvere le problematiche dei detenuti stranieri descritte in premessa;
   se e quali iniziative intenda assumere per rendere effettiva la possibilità per i detenuti stranieri che lo richiedano di scontare gli ultimi due anni di pena nel Paese d'origine; in particolare, cosa intenda fare per i due casi riportati in premessa considerato che la loro permanenza in carcere ha comunque un costo per l'amministrazione, oltre ad incidere nel determinare il sovraffollamento della struttura;
   di quali elementi disponga il Governo con riferimento all'attuazione della legge n. 199 del 2010, e quali iniziative, anche normative, di competenza intenda assumere al riguardo qualora rilevasse che tale attuazione è insoddisfacente anche per il ritardo con cui viene concesso il beneficio dalla magistratura di sorveglianza.
(4-18565)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   STRIZZOLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da tempo l'amministrazione comunale della città di Udine ha segnalato e sollecitato Trenitalia a porre in essere tutte le decisioni necessarie a garantire la sicurezza dei cittadini, la tutela della loro salute e dell'ambiente nella parte di territorio collocato ad est della città dove transitano, inopinatamente, treni merci, convogli che trasportano anche sostanze tossiche e nocive, passando – in particolare – in mezzo alle case delle località di San Gottardo e di Laipacco, utilizzando un tracciato ferroviario che dovrebbe essere stato già dismesso ancora 15 anni fa, allorché è stata realizzata una tratta interrata che scorre a una distanza di adeguata sicurezza dagli abitati sopra richiamati;
   nuovamente nei giorni scorsi, grazie anche ad una vasta mobilitazione di cittadini residenti nelle vie Cividale, Buttrio, Don Bosco e Laipacco, è stata segnalata la pericolosità del transito di circa 350 convogli settimanali che determinano forti disagi nel traffico, con lunghe code che si formano ai numerosi passaggi a livello, con forte aumento dell'inquinamento e della rumorosità ricadenti sui circa 20 mila residenti della parte est della città di Udine interessata dal tracciato ferroviario che dovrebbe essere già stato soppresso;
   sul quotidiano Messaggero Veneto, in particolare nei giorni 9, 10 e 14 novembre 2012, sono stati riportati – in termini obiettivi e trasparenti – dei documentati e circostanziati fatti segnalati da molti cittadini e da diversi amministratori comunali circa i rischi e i disagi che la popolazione sta sopportando in conseguenza dell'insistito utilizzo da parte di Trenitalia della linea ferroviaria che attraversa i moltissimi edifici destinati a civile abitazione;
   nei programmi strategici infrastrutturali di Trenitalia vi è il completamento e l'effettiva attivazione di tutto l'asse della circonvallazione ferroviaria ad est di Udine, con stanziamenti già previsti, che consentirebbe di risolvere definitivamente la grave situazione di pericolo e di disagio per la popolazione di Udine est –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle gravi problematiche sopra richiamate;
   quali iniziative urgenti intendano assumere nei confronti del gruppo Ferrovie Italiane-Trenitalia per dare tempestiva soluzione alla condizione di grave rischio che sta giustamente preoccupando l'amministrazione comunale di Udine e la popolazione di Udine est. (4-18562)


   ESPOSITO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Società italiana traforo autostradale del Fréjus, siglabile S.I.T.A.F. spa, con sede in Susa (Torino), frazione San Giuliano n. 2, ha per oggetto, tra l'altro, ai sensi dell'articolo 2 dello statuto sociale, la costruzione e l'esercizio, o il solo esercizio, delle autostrade e dei trafori ad essa assentiti in concessione. In particolare, la società ha ottenuto la concessione della costruzione e gestione dell'autostrada A32 Torino-Bardonecchia e della parte italiana del traforo del Fréjus, la cui funzionalità è di estrema importanza per l'economia del territorio provinciale;
   la S.I.T.A.F. spa è una società per azioni a prevalente capitale pubblico, così come previsto dallo statuto, il quale all'articolo 6 dispone che almeno il 51 per cento del capitale è riservato agli azionisti enti pubblici e società a prevalente capitale pubblico; in particolare la provincia di Torino detiene l'8,6936 per cento, l'A.N.A.S il 31,746 per cento e la città di Torino il 10,6527 per cento. La qualificata maggioranza pubblica del capitale sociale è peraltro elemento richiesto esplicitamente dalla convenzione con l'ANAS per la concessione stradale;
   la S.I.T.A.F. spa detiene partecipazioni di controllo (100 per cento) in OK-GOL SRL, in SITALFA SPA, in TECNOSITAF SPA CON UNICO SOCIO ed ulteriori partecipazioni nelle seguenti società:
    Consepi S.p.A., codice fiscale: 03719310017, quota partecipazione: 49,100 per cento;
    Consorzio Autostrade Italiane Energia, codice fiscale: 06004131006, quota partecipazione: 10,000 per cento;
    INPAR SPA IN LIQUIDAZIONE, codice fiscale: 05669640012, quota partecipazione: 33,330 per cento;
    MUSINET ENGINEERING SPA, codice fiscale: 08015410015, quota partecipazione: 51,000 per cento;
    SINELEC S.P.A., codice fiscale: 07937690019, quota partecipazione: 1,080 per cento;
    SOCIETÀ DI GESTIONE AEROPORTO DI CUNEO-LEVALDIGI S.P.A. SIGLABILE «GEAC S.P.A.», codice fiscale: 00210940045, quota partecipazione: 0,909;
    TOPIX, codice fiscale: 08445410015, quota partecipazione: 0,300 per cento;
    TRANSENERGIA SRL, codice fiscale: 08528090015, quota partecipazione: 50,000 per cento;
    TURISMO TORINO E PROVINCIA, codice fiscale: 07401840017, quota partecipazione: 0,240 per cento;
   il decreto-legge n. 207 del 2008 (cosiddetto milleproroghe) ha modificato la disciplina relativa agli appalti di lavori, servizi e forniture aggiudicati dalle società concessionarie;
   a quanto consta all'interrogante SITAF s.p.a. affiderebbe direttamente alle società controllate/collegate lavori, servizi e forniture e queste ultime si avvarrebbero, in taluni casi, delle prestazioni di soggetti terzi individuati fiduciariamente;
   va richiamata la natura di società a maggioranza pubblica di SITAF s.p.a. e delle proprie controllate/collegate e va valutata l'opportunità che le stesse società, a prescindere da ogni vincolo giuridico positivo, informino i propri comportamenti di acquisto alle regole applicabili alle pubbliche amministrazioni –:
   se non sia il caso di assumere iniziative affinché, attraverso i rappresentanti di ANAS nel consiglio di amministrazione di SITAF, si faccia in modo che:
    a) la SITAF stessa e le sue controllate/collegate assumano comportamenti gestionali in materia di acquisti di beni, servizi e lavori coerenti con quelli adottati dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni;
    b) la società stessa, e le società da questa controllate/collegate affidino tramite le procedure del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni applicabili alle amministrazioni aggiudicatrici, le generalità dei lavori, servizi e forniture nella massima trasparenza operativa ed attraverso l'esperimento di gare ad evidenza pubblica. (4-18566)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 recante «Norme per la riorganizzazione della rete scolastica ed il razionale utilizzo delle risorse umane della scuola» ha provocato un notevole dissesto nel mondo dell'istruzione italiana;
   il taglio delle cattedre è stato drammatico al punto da mettere a repentaglio l'inizio dell'anno scolastico ed il funzionamento stesso del sistema istruzione;
   il numero dei docenti precari è attualmente talmente alto da non poter neppure essere quantificato con esattezza;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha tentato di attuare una debole forma di reclutamento attraverso il provvedimento cosiddetto salva-precari per l'anno 2009-2010, confermandolo soltanto per l'anno 2010-2011;
   sebbene totalmente inadeguato al reale fabbisogno del settore, il salva-precari ha dato ai docenti la possibilità di maturare il punteggio di servizio e una parziale continuità lavorativa;
   in Puglia ad esempio, attraverso il salva-precari diversi docenti sono stati impiegati in attività scolastiche collaterali, maturando quantomeno il relativo punteggio;
   conseguentemente i precari del mondo della scuola, nel rifiutare forme di assunzione fittizie, chiedono al Governo di rinnovare il decreto anche per l'anno 2012-2013 almeno per salvaguardare il punteggio dell'anno di servizio –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative nel senso descritto in premessa, adottando il salva-precari anche per l'anno 2012-2013. (4-18558)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BARANI e ANTONINO FOTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, cosiddetta spending review il Governo si è posto l'obiettivo di eliminare sprechi e inefficienze, garantire il controllo dei conti pubblici e liberare risorse da utilizzare per interventi di sviluppo nonché ridare efficienza al settore pubblico allo scopo di concentrare l'azione su chi ne ha bisogno;
   per un discorso di mancanza di pianta organica le norme del soprannumero previste dall'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non possono essere applicate al servizio sanitario nazionale;
   nell'ottica di elevare la qualità della tutela della salute sarebbe opportuno agevolare il pensionamento di cuochi, addetti alle pulizie, uscieri, guardie a carico delle strutture sanitarie, le cui mansioni sono state però affidate a società esterne, consentendo di assumere medici ed infermieri, uno ogni cinque addetti pensionati, come prospettato anche in alcune proposte emerse in sede parlamentare;
   tale previsione è importantissima dal momento che le aziende sanitarie, non avendo le valutazioni attuariali dei carichi di lavoro, non possono calcolare gli esuberi, previsti sempre dalla spending review;
   l'obiettivo è quello di far emergere gli esuberi favorendo il pensionamento secondo le previsioni di legge e risparmiando al contempo sui costi che imporrebbe un'eventuale mobilità;
   si tratta di alleggerire economicamente il sistema sanitario nazionale, pensionando quanti sono impossibilitati a svolgere il proprio lavoro, causa l'affidamento a terzi delle loro mansioni, a beneficio del bene primario della salute –:
   quali iniziative ritenga di adottare, il Ministro interrogato, al fine di garantire che le norme che valgono per tutta la pubblica amministrazione valgano anche per il servizio sanitario nazionale circa il trattamento pensionistico del personale in soprannumero. (5-08452)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE CAMILLIS. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'economia della regione Molise, e in particolare il suo comparto agroalimentare, sta vivendo una situazione difficile, con due importanti aziende, la Solagrital-Arena e lo Zuccherificio del Molise spa, che versano in condizioni di incertezza e necessitano di una speciale attenzione da parte delle istituzioni nazionali, al fine di salvaguardare i relativi apparati produttivi e occupazionali;
   le aziende citate coinvolgono, infatti, complessivamente migliaia di persone, intere comunità e rappresentano gran parte del polmone produttivo e occupazionale regionale;
   la Solagrital-Arena, azienda di trasformazione avicola con lo stabilimento produttivo più grande e la filiera più importante del meridione, occupa circa mille addetti tra dipendenti diretti, indotto e avventizi. Le difficoltà dell'azienda derivano principalmente da un notevolissimo credito nei confronti della holding «Arena», attualmente sottoposta a procedure di concordato preventivo presso il Tribunale di Campobasso. È attiva da circa quarant'anni e potrebbe essere riorganizzata e rilanciata con investimenti non elevati, perché ha un posizionamento geografico strategico e dispone di qualità professionali, competenze e senso di responsabilità eccelso. È stato nei giorni scorsi nominato il liquidatore da parte del Ministero dello sviluppo economico ed è in itinere la procedura di concordato preventivo. Ha in corso più istanze per cassa integrazione straordinaria e/o mobilità presso il Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
   lo Zuccherificio del Molise spa è l'unico stabilimento saccarifero attivo e coinvolge una filiera bieticola distribuita su tutto il centro-sud Italia. L'azienda opera dagli anni settanta, dispone di una quota di lavorazione assegnata che vale oltre 40 milioni di euro e, con la variazione delle politiche europee di settore e con l'impennata del prezzo dello zucchero, ha tutti i margini industriali per riorganizzarsi e rilanciarsi sul mercato. Nella filiera operano poco meno di mille addetti, tra personale fisso, avventizi storici, stagionali, indotto, imprese di trasporto, bieticoltori e manutentori. Al momento è in corso una procedura di concordato preventivo presso il tribunale di Larino (Campobasso), che si spera possa concludersi rapidamente e con esito positivo. Ha in essere procedure di cassa integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che però non coprono gli avventizi e i lavoratori dell'indotto;
   nello Zuccherificio del Molise spa ci sono lavoratori avventizi, costituitisi in coordinamento, che con alte professionalità ed esperienza hanno permesso il corretto funzionamento degli impianti nel corso degli anni di vita dello stabilimento basso-molisano. Tali lavoratori ricoprono il ruolo di: manutentori, nel periodo di inter-campagna saccarifera (fermo degli impianti); capo-turno, capo-reparto ed ispezione meccanica, elettrica e strumentale, nel periodo di campagna saccarifera, per un periodo complessivo che mediamente si aggira dai 6 mesi fino ai 10 mesi annui;
   nei confronti di tali lavoratori, così come da loro dichiarato, non sono stati rispettati gli accordi sindacali vigenti nello zuccherificio, come il diritto di precedenza alla riassunzione annuale, l'accesso agli ammortizzatori sociali e soprattutto il diritto al lavoro ed alla conoscenza dei piani aziendali in relazione alla posizione di tali lavoratori, cosa che dimostra che non si crede nel rilancio futuro dell'azienda ripartendo dalla qualità e dall'affidabilità dei propri dipendenti;
   il governo regionale, nel caso della Solagrital, ha attivato previsioni normative tese a garantire la filiera agricola molisana e specificatamente i suoi occupati. Ciò in una prospettiva di ristrutturazione aziendale che possa far superare le criticità determinate da situazioni creditizie e debitorie che vengono da molto lontano;
   il Governo nazionale non può ignorare che il perdurare della situazione di crisi delle citate aziende, soprattutto nell'attuale contesto di conclamata congiuntura economica, potrebbe determinare serie, negative conseguenze dal punto di vista economico e della tenuta sociale del territorio, e potrebbe compromettere in modo rilevante l'apparato produttivo specifico del settore agroalimentare –:
   se e in che modo il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali sia stato coinvolto dalle situazioni di crisi su esposte, e se sia a conoscenza e se sia stato coinvolto nelle iniziative intraprese dalla regione Molise;
   quali iniziative il Governo abbia intrapreso e intenda intraprendere, per quanto di competenza, al fine di affrontare situazioni di crisi che, se lasciate degenerare, potrebbero avere conseguenze non prevedibili sull'apparato produttivo del settore agroalimentare nella regione Molise e sulla tenuta sociale di un intero territorio. (5-08449)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TOTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», con sede in Chieti, era di proprietà della società «Villa Pini d'Abruzzo s.r.l.», dichiarata fallita dal tribunale di Chieti con sentenza del 16 febbraio 2010. All'atto del fallimento, la struttura esercitava, l'attività sanitaria di ricovero e cura, riabilitativa e specialistica ambulatoriale, essendo anche provvisoriamente accreditata con il servizio sanitario nazionale dalla regione Abruzzo. La citata sentenza, peraltro, ammetteva l'impresa fallita a permanere nell'esercizio, provvisorio, dell'attività;
   con deliberazione 13 gennaio 2010, n. 01/2010, il Commissario governativo ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Abruzzo, nominato con deliberazione del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2009, sospendeva, dal canto suo, l'accreditamento predefinitivo anche della struttura «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», «per non aver assolto agli obblighi retributivi e contributivi in favore del personale dipendente», in violazione delle disposizioni di cui agli articolo 7, lettera c) e 7-bis della legge regionale 31 luglio 2007, n. 32, come modificata dalla legge regionale 20 novembre 2009, n. 27, recante «Norme regionali in materia di autorizzazione, accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private». Conseguentemente, essa fu esclusa dal novero delle case di cura provvisoriamente accreditate nei cui confronti il Commissario ad acta medesimo, con deliberazione commissariale 18 febbraio 2010, n. 14/2010, autorizzò i relativi tetti di spesa complessivi per le prestazioni sanitarie erogate nel corso dell'anno 2010, sia a pazienti residenti in regione sia a quelli in mobilità sanitaria attiva non residenti in Abruzzo;
   sennonché, con deliberazione 8 aprile 2010, n. 26/2010, lo stesso Commissario ad acta procedette alla definizione del tetto di spesa per l'anno 2010 in favore della Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo» e «al riaccreditamento predefinitivo con condizione e proposta di contratto ex articolo 8-quinquies decreto legislativo n. 502 del 1992 per l'anno 2010 all'esercizio provvisorio del fallimento Villa Pini d'Abruzzo s.r.l», avendo deciso di «sciogliere, allo stato, nei confronti dell'esercizio provvisorio del Fallimento Villa Pini d'Abruzzo s.r.l, relativamente al ramo d'azienda Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo la riserva contenuta nella deliberazione Commissariale n. 14/2010 a condizione che, all'atto della sottoscrizione del contratto ex articolo 8-quinquies decreto legislativo n. 502 del 1992 testo vigente, sussistano e comunque siano stati ripristinati gli obbligatori requisiti, di autorizzazione e gli ulteriori obbligatori requisiti per l'accreditamento». Indi, decideva di proporre al Curatore fallimentare lo schema di contratto all'uopo predisposto, fissando il termine massimo del successivo 28 maggio 2010 per la sottoscrizione del contratto medesimo;
   è opportuno porre in evidenza il richiamo, operato nella narrativa della deliberazione commissariale 8 aprile 2010, n. 26 del 2010, dei motivi di esclusione della «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo» dalle statuizioni della deliberazione 18 febbraio 2010, n. 14 del 2010, indicati nel sopra riferito «stato di sospensione dell'accreditamento», del «conclamato stato prefallimentare nel quale versava la società proprietaria», nonché «della incertezza esistente in ordine al permanere del possesso dei requisiti di autorizzazione e di accreditamento», ciò per cui «si demandava ogni provvedimento a successive verifiche», non meglio specificate;
   è da sottolineare, altresì, il richiamo alla «incertezza esistente in ordine al permanere del possesso dei requisiti di autorizzazione e di accreditamento», posto che esso sembra alludere a problematiche ulteriori rispetto a quelle, di natura gestionale, attinenti ai disattesi obblighi contributivi e previdenziali, che determinarono la sospensione dell'accreditamento della «Casa di cura Villa Pini d'Abruzzo» disposta dal Commissario ad acta;
   va rilevato, altresì, che lo «schema di contratto prestazioni di assistenza ospedaliera erogate dalle strutture private», allegato alla citata deliberazione 8 aprile 2010, n. 26 del 2010, ai fini della proposta di sottoscrizione dell'accordo negoziale tra la Regione Abruzzo - Aziende Sanitarie Locali e «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», perfezionato il successivo 24 maggio 2010, nelle premesse, obbligava la Struttura accreditata a presentare alla Regione, tra gli altri documenti, il «certificato di iscrizione al registro delle imprese rilasciato dalla competente C.C.I.A.A..., altresì contenente l'attestazione di insussistenza di procedure concorsuali o di procedimenti per l'assoggettamento a dette procedure...». In proposito, non è dato di sapere quale valenza, rilievo e significato siano stati attribuiti a detta attestazione istruttoria dalla regione Abruzzo dapprima e dal Commissario ad acta dipoi. Nel caso di specie, ancorché lo schema di contratto allegato alla citata deliberazione 8 aprile 2010, n. 26 del 2010, di «riaccreditamento» della struttura, lo prevedesse, il legale rappresentante (rectius, il curatore fallimentare) della «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo» non poteva, ovviamente, essere nella condizione di produrre il documento richiesto contenente una siffatta attestazione. E, infatti, il testo del contratto sottoscritto il successivo 24 maggio 2010 tra la regione manica Abruzzo, in persona del Commissario ad acta, le aziende sanitarie del servizio sanitario regionale e la «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», sul punto risulta modificato, richiedendosi che il prescritto certificato di iscrizione al registro delle imprese rilasciato dalla competente C.C.I.A.A. contenesse, non più «l'attestazione di insussistenza di procedure concorsuali o di procedimenti per l'assoggettamento a dette procedure...» bensì «la declaratoria di fallimento e la disposizione di esercizio provvisorio». Non sembra, invero, l'ammissione all'esercizio provvisorio, poter esser ragione esimente e dirimente, posto che la preclusione, stando al tenore dell'attestazione che le strutture debbono produrre circa la «insussistenza di procedure concorsuali», è determinata, ipso facto, dall'eventuale sussistenza delle medesime. D'altronde, nel «modello contrattuale uniforme» approvato con deliberazione n. 14 del 2010 dal Commissario ad acta, non è prevista una specifica deroga per soggetti ammessi ad esercizio provvisorio, al fine di consentirgli la presentazione di un certificato, rilasciato dalla C.C.I.A.A., con attestazione difforme da quella richiesta «erga omnes». Peraltro, la non ammissione all'esercizio provvisorio di una società dichiarata fallita significa la cessazione delle sue attività rimuovendosi, in tal caso, la questione alla radice. Pertanto, con la deliberazione di riaccreditamento della struttura de qua, di fatto si è anche proposto al Curatore fallimentare uno schema di contratto che il medesimo non avrebbe potuto sottoscrivere, almeno per la parte in argomento. Discutibile, sembra all'interrogante, l'intervento operato ad personam (giuridica) per la descritta modifica del modello contrattuale, ratificata solo successivamente alla sottoscrizione dell'accordo negoziale, precisamente con l'adozione della deliberazione 23 giugno 2010, n. 34 del 2010 recante: «Prestazioni erogate dalla Rete Ospedaliera Privata Accreditata anno 2010 – Ratifica schemi di contratto e tetti di spesa sottoscritti». Atto, dunque, di «sanatoria», che rende ancora più giustificate le perplessità in ordine alla vicenda della sospensione, del successivo riaccreditamento e dell'accordo negoziale con la regione Abruzzo della struttura in discussione;
   ancora, lo schema contrattuale allegato alla deliberazione n. 14 del 2010, nelle premesse, prevedeva che, all'atto della sua sottoscrizione, la struttura avesse presentato dichiarazione resa in autocertificazione, attestante, tra l'altro, « e) d'essere in regola con la normativa in materia antinfortunistica e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro e con il possesso dei requisiti minimi previsti dalla vigente disciplina in ogni caso obbligandosi ad adeguarsi all'attuazione delle prescrizioni di cui alla legge regionale n. 32 del 2007 nei tempi e nelle modalità in essa previste; f) certificato di prevenzione incendi e certificato di conformità alle leggi antisismiche, g) certificato di agibilità e, inoltre, che la struttura si obbligasse, oltre al resto, «a rispettare puntualmente la normativa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e in materia previdenziale. A tal fine prende atto che la violazione debitamente accertata delle obbligazioni assunte costituirà causa di risoluzione del contratto, ai sensi degli articoli 1455 e 1456 del codice civile, attesa l'importanza di tali adempimenti e per come in tal senso espressamente convenuto;». Diversamente, nel testo sottoscritto del contratto «dato atto che (...) 3 il curatore fallimentare, si impegna, altresì, a presentare entro il termine di 30 giorni dalla sottoscrizione del presente contratto, dichiarazione resa» in autocertificazione «con la quale attesta», tra l'altro, quanto prescritto in contratto, sub n. 3, lettere e), f) e g), i cui contenuti sono sopra riportati. È, quindi, ripetuto, anche in relazione a detti altri incombenti, un intervento modificativo e, di fatto, agevolativo per la controparte contrattuale, la struttura, rispetto a questioni procedurali diversamente disciplinate nel modello contrattuale proposto ai fini della sua sottoscrizione alla medesima controparte. Si deve soggiungere, per completezza di considerazioni sul punto, che nel contratto sottoscritto tra le parti citate, il 24 maggio 2010, in conclusione premesse, è «dato atto, altresì, della deliberazione commissariale n. 26 del 2010 dell'8 aprile 2010», nella quale, però, si era deciso «di proporre al Curatore fallimentare lo schema di contratto di cui alla deliberazione Commissariale n. 14 del 2010...» in un testo difforme da quello sottoscritto;
   la legge regionale n. 32 del 2007 di regolamentazione delle autorizzazioni, degli accreditamenti e degli accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie, all'articolo 5 obbliga «I titolari di autorizzazione all'esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie» a inviare «al Comune territorialmente competente un'autocertificazione, con cadenza triennale, attestante il mantenimento del possesso dei requisiti minimi autorizzativi definiti dal Manuale di Autorizzazione emanato dalla Regione. 2. Il Comune trasmette le autocertificazioni ricevute alla Direzione Sanità per conoscenza ed al Dipartimento di Prevenzione territorialmente competente che dispone la necessaria attività di vigilanza e controllo sul possesso dei requisiti minimi autorizzativi; 3. La Direzione Sanità regionale ha facoltà di disporre attività ispettive sul possesso dei requisiti minimi autorizzativi avvalendosi del Dipartimento di Prevenzione dell'ASL territorialmente competente»;
   con riguardo alla «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», non è dato di sapere quando sia stata prodotta l'ultima autocertificazione ex articolo 5 della citata legge regionale n. 32 del 2007 e, pur tuttavia, è fondato il dubbio che problematiche di natura strutturale interessino la casa di cura, per la quale, d'altronde, il «Disciplinare per la vendita del complesso aziendale della società Villa Pini d'abruzzo S.r.l. in fallimento» richiama l'esistenza di «alcuni contratti aventi ad oggetto lavori di manutenzione e di adeguamento della struttura...» che sarebbero stati stipulati nel corrente anno dalla curatela. È proprio la situazione dei fabbricati a giustificare dubbi sulla conformità dei medesimi alle prescrizioni normative giacché da quel che è dato di apprendere gli impianti elettrici, per esempio, sarebbero alquanto obsoleti e, dunque, probabilmente, almeno parzialmente, non certificabili. In particolare, poi, la protezione antisismica risulterebbe assente con riguardo al fabbricato ospedaliero. In proposito, oltre a quanto prescritto nei manuali di autorizzazione e di accreditamento approvati con deliberazione della giunta regionale dell'Abruzzo 1o luglio 2008, n. 591/P, e successive modificazioni e integrazioni, è d'uopo rilevare che l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 20 marzo 2003, n. 3274, entrata in vigore il 23 ottobre la classificazione sismica del territorio nazionale, poneva l'obbligo di presentare i progetti di adeguamento antisismico dei fabbricati delle «strutture strategiche» qual è, indubbiamente, una casa di cura, ai sensi della deliberazione della giunta regionale dell'Abruzzo 29 ottobre 2008, n. 1009. Inoltre, gli impianti di protezione antincendio, non sarebbero conformi alla normativa e la struttura, dalla fine dell'anno 2011, avrebbe avuto sospeso il certificato di prevenzione incendi per decisione del comando provinciale dei vigili del fuoco di Chieti;
   rispetto al descritto, ancorché parzialmente e in estrema sintesi, quadro d'insieme, non è dato di sapere se la direzione sanità regionale della giunta regionale dell'Abruzzo abbia mai disposto, avvalendosi del dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria locale, territorialmente competente, successivamente al 18 febbraio 2010, data di adozione della deliberazione n. 14 del 2010, attività ispettive sul possesso dei requisiti minimi autorizzativi della «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», al fine di esperire quelle «successive verifiche» previste nella deliberazione n. 26 del 2010, anche in relazione alla asserita incertezza esistente in ordine al permanere del possesso dei requisiti di autorizzazione e di accreditamento», annoverata tra le cause di esclusione della struttura, in aggiunta a quella della sospensione dell'accreditamento e ad altre, pure indicate, dalla deliberazione in parola, autorizzativa dei tetti di spesa complessivi per l'anno 2010 di ciascuna delle strutture accreditate. Nell'eventualità che attività ispettive siano state espletate, non se ne conoscono gli esiti pure rilevanti per conciliare la sussistenza di requisiti disciplinati in normativa con fatti, quali, esemplificativamente, la sospensione del certificato di prevenzione incendi che avrebbe riguardato la struttura, a distanza di poco meno di due anni dal suo «riaccreditamento» presso la regione Abruzzo. Tra i requisiti, ovviamente, vi sono anche quelli inerenti alle certificazioni relative agli impianti elettrico, idrico, termico e il possesso dei certificati energetici e acustici. Ancora, il possesso dei certificati di collaudo statico dei fabbricati di cui si compone la struttura e di agibilità dei medesimi. E, così pure, costituisce requisito, il cui possesso è stato peraltro dichiarato nelle premesse dei contratti tra la regione Abruzzo – aziende sanitarie locali e «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», «l'essere in regola con la normativa in materia antinfortunistica e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro» elemento che, evidentemente, è condizionato dalla conformità o no dei fabbricati e, dunque, della struttura, alla normativa data in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro. Un cenno speciale, anche per la rilevanza sociale della questione, merita la considerazione intorno alla causa di sospensione, poi revocata, dell'accreditamento predefinitivo della struttura «per non aver assolto agli obblighi retributivi e contributivi in favore del personale dipendente». Essendo stata l'impresa dichiarata fallita ancorché autorizzata all'esercizio provvisorio, non risulta che siano state sanate le violazioni di quegli obblighi che, dunque dovrebbero dispiegare gli effetti preclusivi, contemplati dalla legge regionale 31 luglio 2007, n. 32, del mantenimento dell'accreditamento predefinitivo. Diversamente opinando, un requisito, la cui evidente ratio è quella della tutela dei lavoratori di tutte le strutture abruzzesi e della parità di condizione tra i soggetti concessionari di un pubblico servizio e della tutela della concorrenza, si dimostrerebbe eludibile alla stregua dei mutati assetti giuridici dell'impresa, nel caso di specie per il suo passaggio allo stato fallimentare, ipotesi, tuttavia, che la legge regionale non sembra ammettere, come, d'altronde, appare coerente con la sua ratio;
   orbene, dalla lettura della «Relazione sul valore economico del complesso aziendale denominato “Villa Pini d'Abruzzo” al 31 maggio 2012» redatta dal Collegio peritale nelle persone nominate dal Curatore fallimentare con istanza del 22 dicembre 2011, presentata presso il tribunale civile di Chieti – Sezione Fallimentare, ed essendo la nomina di detto collegio confermata, dipoi, dal giudice delegato del menzionato tribunale, si apprendono notizie che legittimano il dubbio circa i possesso, da parte della struttura, di tutti i requisiti minimi autorizzativi. Si legge infatti, tra l'altro quanto segue. «È utile altresì precisare che il contratto di affitto d'azienda fissa tutti gli interventi, anche di adeguamento, necessari per assicurare la funzionalità dell'azienda e per l'esercizio dell'attività sanitaria nel pieno rispetto della normativa in vigore, nonché pone a carico esclusivo della Casa di Cura, gli oneri connessi al rispetto delle normative in materia di prevenzione e sicurezza, tutela ecologia e ambientale, nonché la esecuzione di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria sui beni mobili e immobili». Naturalmente, non è noto quali siano gli «interventi» contrattualmente «fissati» ma la loro stessa deduzione in contratto rende tautologica l'affermazione per la quale verosimilmente sussistono criticità, a cui quegli «interventi» porrebbero, o avrebbero posto, rimedio;
   nel contesto sopra delineato si cala l'asta per la vendita del complesso aziendale nel quale è ricompresa la «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», fissata per il giorno 12 settembre 2012, nella cui relativa documentazione si rinvengono singolari prospettazioni integranti l'elaborazione di documentazione varia inerente alla procedura di vendita. Tra queste, la clausola inserita, sub 6), nel testo dell’«Accordo di riservatezza», che i soggetti interessati a formulare una proposta vincolante per l'acquisto sono stati chiamati a sottoscrivere, per la quale «Nel caso in cui per vincoli di legge o di regolamento ovvero su legittima richiesta delle competenti Autorità, sia necessario per la Società o per alcuno dei Soggetti interessati consegnare, rendere note a terzi o divulgare dette Informazioni Riservate, è obbligo della Società o di ciascuno dei Soggetti informare la procedura Fallimentare per iscritto preventivamente» (sic !), ravvisandosi nell’«imposizione» di stampo iugulatorio, di tale obbligazione un eccesso di «dominanza» che appare ingiustificato, strumentale e, a parere dell'interrogante, non legittimo. A rafforzare il profilo strumentale che sembra stagliarsi dietro quella clausola si presta l'inopinata «precisazione», recata nel «Disciplinare per la vendita del complesso aziendale della società Villa Pini d'Abruzzo S.r.l. in fallimento», nel paragrafo sub G), rubricato: «Avviamento aziendale», per la quale «Con riferimento al contenuto della domanda di autorizzazione sanitaria/accreditamento predefinitivo e definitivo, alle attestazioni in esse contenute ed ai relativi procedimenti, la procedura fallimentare non offre alcuna garanzia né assume alcun obbligo in ordine ai relativi esiti, rimanendo a carico di ciascun interessato ogni relativa alea e possibile conseguenza pregiudizievole» e, inoltre, «L'aggiudicazione del compendio aziendale non equivale ad automatica volturazione delle autorizzazioni ed accreditamento, restando in capo all'acquirente ogni rischio connesso al buon esito dei relativi procedimenti amministrativi». In altri termini, una presa di distanza, a ben vedere, tout court, una fuga da ogni e qualsivoglia responsabilità che, a tutto concedere, stupisce possa giungere a negligere, in quanto occorra, addirittura, «il contenuto della domanda di autorizzazione sanitaria/accreditamento predefinitivo e definitivo, le attestazioni in esse contenute e i relativi procedimenti». Di per sé, questa asserzione postulerebbe puntuali verifiche in ordine, esattamente, «al contenuto della domanda di autorizzazione sanitaria/accreditamento predefinitivo e definitivo e alle attestazioni in esse contenute» ! Criptico si palesa, anche, l'impegno che «l'offerente» deve assumere «ad astenersi dall'intraprendere attività commerciali e/o sottoscrivere accordi con terzi anche potenzialmente idonei ad arrecare pregiudizio agli interessi della procedura o confliggere con gli stessi». Si segnala, poi, l'inusitato richiamo al contenzioso amministrativo che riguarda l'impresa fallita Villa Pini d'Abruzzo in esercizio provvisorio e precisamente all'impugnativa innanzi al Tar Abruzzo, che, il 28 dicembre 2011, ha accolti i relativi ricorsi, promossa da altre Case di Cura, per l'annullamento delle deliberazioni del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Abruzzo con le quali si sono disposti il «riaccreditamento» della «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo» e l'assegnazione del relativo budget annuale. La causa è pendente innanzi al Consiglio di Stato che all'udienza di merito del 13 luglio 2012 ha trattenuto la causa per la decisione, in relazione alla quale nella documentazione d'asta è detto che «il rischio giuridico che grava sulla azienda Villa Pini d'Abruzzo è evidente: una eventuale conferma delle sentenze del Tar potrebbe determinare una forte riduzione del valore dell'azienda», della quale, sempre nelle precisazioni contenute nel citato «Disciplinare per la vendita del complesso aziendale della società Villa Pini d'Abruzzo S.r.l. in fallimento», è predicata la difficoltà di «pronosticare con un attendibile grado di certezza il futuro dell'attività... che pure costituisce oggetto della procedura di gara proposta nel presente Disciplinare di Vendita». Appare, di tutta evidenza, incongruente l'avvio di una procedura di gara nelle more di una decisione, comunque ormai non più remota, assistita dalla sfavorevole sentenza pronunciata in primo grado. In effetti, non sembra rispondere a criteri prudenziali e logico-temporali il contrasto evidente tra un'alea cospicua incombente sull'attività aziendale e, per conseguenza, sul valore del compendio aziendale, come peraltro, non appare considerato nella «Relazione sul valore economico del complesso aziendale denominato “Villa Pini d'Abruzzo” al 31 maggio 2012»;
   le vicende della sospensione dell'accreditamento della «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo» e del suo rapido «riaccreditamento», ancorché plurimi elementi avrebbero potuto, rectius dovuto, motivare un diverso e contrario avviso dell'ufficio del commissario ad acta nella loro valutazione, nonché della procedura di gara che, rispetto alla seria minaccia giudiziaria pendente sull'attività aziendale, appare decisione affrettata e carente, se non affatto priva, di un nesso ragionevole e conferente, impensieriscono in modo ragguardevole, sollecitando l'iniziativa di sindacato ispettivo che tende a chiarirne i contorni e ad approfondirne gli elementi concreti e fattuali che le sostanziano –:
   se, la rappresentata difformità, in particolare sulla «insussistenza di procedure concorsuali o di procedimenti per l'assoggettamento a dette procedure» tra i testi, rispettivamente, dello «schema di contratto» tra Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo e il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi del settore sanitario delle regione Abruzzo, allegato alla deliberazione 8 aprile 2010, n. 26 del 2010 del commissario governativo ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Abruzzo, e il contratto effettivamente sottoscritto il 24 maggio 2010 tra i medesimi soggetti, non costituisca causa di illegittimità o di censura su, qualsivoglia piano;
   se, con riguardo alla normativa vigente al momento del «riaccreditamento» della struttura «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», risultassero, ed eventualmente con quali modalità, sanate le violazioni relative agli obblighi retributivi e contributivi in favore del personale dipendente della Casa di cura;
   se risulti la nominata Casa di cura fosse, al momento del riaccreditamento, e permanga tuttora, in possesso di tutti i requisiti strutturali e gestionali indicati in normativa regionale di settore e in quella, statale, in materia di protezione antisismica, di prevenzione incendi, nonché di prevenzione e sicurezza sul lavoro e di tutela ecologica e ambientale ed eventualmente se e quali attività ispettive sul possesso dei requisiti minimi autorizzativi siano state eseguite dal dipartimento di prevenzione della azienda sanitaria locale competente per territorio –:
   se il Governo non ritenga opportuno predisporre per il tramite del commissario ad acta accertamenti in ordine al contenuto della domanda della nominata casa di cura Villa Pini d'Abruzzo di autorizzazione sanitaria/accreditamento predefinitivo e definitivo, alle attestazioni in essa contenute ed ai relativi procedimenti, attese le asserzioni contenute nel «disciplinare per la vendita del complesso aziendale della società Villa Pini d'Abruzzo srl, in fallimento», paragrafo sub g), rubricato: «avviamento aziendale», secondo le quali «con riferimento al contenuto della domanda di autorizzazione sanitaria/accreditamento predefinitivo e definitivo, alle attestazioni in esse contenute ed ai relativi procedimenti», la procedura fallimentare non offre alcuna garanzia né assume alcun obbligo in ordine ai relativi esiti rimanendo a carico di ciascun interessato ogni relativa alea e possibile conseguenza pregiudizievole». (5-08455)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRAZIANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la procedura telematica ComUnica permette di ottemperare agli obblighi di legge inerenti le fasi costitutiva, modificativa ed estintiva dell'impresa nei riguardi di camere di commercio (quali, ad esempio, domande di iscrizione al registro delle imprese), Inps, Inail e Agenzia delle entrate, inoltrando la comunicazione unica ad un solo destinatario che trasmette agli altri Enti le informazioni di relativa competenza. La comunicazione unica, da presentarsi all'ufficio del registro delle imprese, si compila e si invia utilizzando Internet con modalità predefinite. Per la stessa è necessario altresì essere registrati, dotarsi di firma digitale e di una casella di posta elettronica certificata (PEC);
    la medesima procedura prevede che l'imprenditore che non abbia il dispositivo di firma digitale possa presentare le pratiche tramite un intermediario, previa sottoscrizione di una procura speciale – utilizzando il modello di procura adottato in base alla circolare del Ministero dello sviluppo economico n. 3616/c del 15 febbraio 2008 – autografata dal dichiarante, e che tale dichiarazione, acquisita tramite scansione in formato pdf, sia allegata con firma digitale alla modulistica elettronica e alla copia informatica di un documento di identità valido di ciascuno dei soggetti che hanno apposto la firma autografa. Tutta la documentazione richiesta per ciascuna pratica, firmata digitalmente dall'intermediario, è caricata quindi sulla piattaforma in uso presso le camere di commercio, comunicastarweb;
   talvolta accade che, a seguito di richiesta di iscrizione presentata con la procedura descritta, alcune camere di commercio neghino l'iscrizione rigettando l'istanza perché, ad avviso di queste, la domanda ovvero la denuncia risulterebbe carente della sottoscrizione digitale del titolare dell'impresa e pertanto considerata irricevibile. Occorrerebbe quindi, sempre a loro avviso, che la distinta e la documentazione allegata siano firmate anche dal titolare dell'impresa;
   ad avviso invece di numerosi intermediari, la distinta risulta firmata digitalmente dall'intestatario della stessa che, nel caso in cui il titolare dell'impresa sia sprovvisto di firma digitale, risulta essere l'intermediario procuratore e non il titolare dell'impresa che invece firma di suo pugno solo la procura. Indicazioni in tal senso si rinverrebbero dai corsi di formazione sulla comunicazione unica presso le camere di commercio e dai manuali on line;
   la circolare menzionata, ravvisando difficoltà operative in relazione alle modalità di adozione della procedura telematica da parte dell'utenza meno informatizzata (soprattutto imprenditori individuali) e in particolare in merito alla sottoscrizione del plico informatico con la firma digitale, ha previsto, a questo specifico fine, precise modalità di conferimento del potere di rappresentanza, mediante le quali gli imprenditori possano conferire a professionisti o altri intermediari l'incarico di svolgere le attività relative alla presentazione della comunicazione unica. Peraltro, è la stessa circolare a chiarire la sua portata là dove è possibile leggere: «La presente circolare, pertanto, è diretta a chiarire le modalità di conferimento del potere di rappresentanza tramite procura speciale e di presentazione della comunicazione unica con l'utilizzo della sola firma digitale del soggetto incaricato»;
   sempre alla luce della medesima circolare, il titolare dell'impresa, con la procura, attribuisce al soggetto designato il potere di sottoscrizione digitale e presentazione telematica della comunicazione unica all'ufficio del registro delle imprese competente, sulla base del codice univoco di identificazione della pratica. Per il conferimento della procura speciale è sufficiente la forma scritta semplice con sottoscrizione non autenticata. Ai fini della giustificazione dei poteri di rappresentanza del soggetto che agisce, l'ufficio del registro delle imprese può effettuare controlli senza però arrestare o rallentare la procedura;
   le norme che regolano gli adempimenti cui le imprese sono tenute nei confronti del registro delle imprese hanno una loro importanza e attualità. Tuttavia la scarsa diffusione dei dispositivi di firma digitale e la difficoltà degli utenti ad utilizzare le procedure informatiche e telematiche predisposte per tali adempimenti rendono di fatto difficile agli utenti provvedere personalmente al loro compiuto svolgimento, preferendo ricorrere a strumenti di più facile impiego –:
   quali iniziative e provvedimenti intendano porre in atto, anche in collaborazione con Unioncamere, al fine di fare chiarezza nei riguardi dei titolari di impresa, soprattutto quelli meno informatizzati, dei professionisti e altri intermediari, nonché delle camere di commercio, la cui disparità di trattamento in relazione alla procedura in premessa danneggia la rapida e uniforme applicazione delle norme, oltre che l'ordinario svolgimento delle procedure, incidendo secondo l'interrogante negativamente sulla vita di un'impresa e complicando, invece di semplificare, le relazioni tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione. (5-08448)


   PELUFFO, GENTILONI SILVERI e META. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il sostegno pubblico all'editoria è presente in moltissimi Paesi avanzati e, in Italia, è una costante dall'epoca giolittiana. D'altra parte la stessa Unione europea ha sempre sostenuto che il mercato da solo non è in grado di garantire il pluralismo e l'autonomia dell'informazione;
   la legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni, e il decreto ministeriale 5 novembre 2004, n. 292, prevedono misure di sostegno per il settore televisivo locale, consistenti in contributi che vengono annualmente erogati dal Ministero dello sviluppo economico sulla base di graduatorie regionali redatte (con riferimento ai dipendenti occupati e ai fatturati conseguiti dalle imprese televisive locali interessate) dai Corecom – Comitati regionali per le comunicazioni, a seguito di bando di gara che lo stesso Ministero deve emanare entro il 31 gennaio di ogni anno;
   da notizie apparse sugli organi di stampa si apprende che a tutt'oggi il Ministero dello sviluppo economico non ha ancora provveduto alla pubblicazione del decreto di ripartizione tra i vari bacini di utenza degli stanziamenti relativi agli anni 2011 e 2010, che in assenza di un intervento del Governo potrebbero rischiare la perenzione amministrativa;
   a tutt'oggi non risulta emanato alcun bando relativo alle misure di sostegno per l'anno 2012, contrariamente a quanto previsto dal decreto ministeriale 5 novembre 2004, n. 292, il quale sancisce all'articolo 1, comma 1, che i termini procedimentali e le modalità di erogazione dei contributi previsti dall'articolo 45, comma 3, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni ed integrazioni, sono specificati nel bando di concorso emanato dal Ministero delle comunicazioni, ora Ministero dello sviluppo economico, entro il 31 gennaio di ciascun anno e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana;
   sempre dagli organi di stampa si apprende, inoltre, che ancora non sono state pubblicate le graduatorie per la riassegnazione delle frequenze tv a quasi un mese dalla presentazione delle domande ai bandi di gara per le regioni Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio (esclusa la provincia di Viterbo) e Campania, e che non è stato neppure fissato un termine entro il quale le graduatorie e i masterplan per le citate aree verranno emanate, quest'ultimi importanti, perché conterranno i dati di tutti gli impianti delle tv locali oggetto di cambiamento di frequenza o di spegnimento;
   è inutile rammentare che tali misure di sostegno hanno contribuito, negli anni, alla crescita e allo sviluppo delle imprese televisive locali in un'ottica di promozione dell'informazione e valorizzazione di competenze; ad oggi si rammenta che le tv locali in Italia sono oltre 600 e, insieme alle radio, raggiungono i circa 1.500 operatori complessivi del settore; rappresentano una realtà industriale che non ha eguali in Europa, garantendo ogni giorno un'informazione legata al territorio, che offre accesso alle realtà produttive locali, a partire dalla piccola e media impresa, e che, nonostante in questi anni sia stata messa a dura prova, oggi risulta comunque un fattore importante per il nostro Paese;
   nei giorni scorsi il sottosegretario Massimo Vari ha diramato una nota ritornando sui motivi del forte ritardo del Ministero nell'erogazione dei contributi alle Tv locali –:
   quali siano stati i motivi di tali ritardi nell'erogazione dei contributi alle tv locali e quali provvedimenti si intendano adottare;
   quali siano i tempi per la riassegnazione delle tv locali nelle regioni sopraccitate, considerando che, in ogni caso, così come previsto dalla legge 13 dicembre 2010, n. 220, la liberazione delle frequenze oggetto di dismissione (canali 61-69 UHF) dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2012;
   quali siano i tempi per l'emanazione di tali provvedimenti, ribadendo che ulteriori slittamenti dei pagamenti dei contributi dovuti porterebbe a gravi conseguenze per l'intero settore delle tv Locali, già messo a dura prova dalla crisi del mercato pubblicitario. (5-08453)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Zampa e altri n. 1-01183, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marco Carra.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Sani e altri n. 2-01710, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 ottobre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Velo.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-18528, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

  L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-18548, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Vanalli, Comaroli, Consiglio, Rivolta, Stucchi, Cavallotto, Reguzzoni.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Zampa n. 1-01183, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 714 del 6 novembre 2012.

   La Camera,
   premesso che:
    il 17 per cento dei cittadini italiani è minore di età: sono infatti 10 milioni e 837 mila le bambine, i bambini e gli adolescenti del nostro Paese. Questo significa che circa un italiano su sei è un bambino o un adolescente. I minori di età non votano, non appartengono alle lobby che fanno pressione sulle agende politiche dei governanti del mondo, non scioperano, non hanno sindacati e non possono costituirsi in corporazioni. I loro diritti sono sanciti nei primi 40 articoli della convenzione sui diritti dell'infanzia, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 20 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 27 maggio 1991;
    l'Italia è stata protagonista, negli ultimi trent'anni del ’900, di azioni forti, ispirate alla promozione dei diritti delle persone di minore età. Si pensi alla legge n. 1044 del 1971, disposizioni per il piano quinquennale per l'istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato. Vale qui la pena di ricordare anche solo l'articolo 1 di quella legge: «L'assistenza negli asili-nido ai bambini di età fino a tre anni nel quadro di una politica per la famiglia, costituisce un servizio sociale di interesse pubblico»;
    si pensi anche alla legge del 28 agosto 1997, n. 285, riguardante le disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza e che istituiva presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza «finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza, privilegiando l'ambiente ad esse più confacente, ovvero la famiglia naturale, adottiva o affidataria, in attuazione dei principi della Convenzione sui diritti del fanciullo». E ancora al fondo nazionale straordinario per i servizi socio-educativi per la prima infanzia, varato nella legge finanziaria del 2007, che nell'ambito del piano straordinario nidi aveva avuto il merito di contribuire ad innalzare la copertura territoriale di servizi per la prima infanzia dal 9,6 per cento del periodo 2005-2006, all'11,3 per cento del periodo 2009-2010. Infine, si tenga presente la legge del 23 dicembre 1997, n. 451, che istituiva la stessa Commissione parlamentare per l'infanzia e dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia;
    con la sola eccezione della legge istitutiva dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, (legge n. 112 del 2011) si assiste, oggi, ad un pericoloso arretramento culturale, ad una inerzia legislativa e ad una quasi totale assenza di risorse economiche investite, oggetto di critiche da parte di tutti gli organismi nazionali e internazionali a tutela dei diritti dei minori di età;
    criticità che il Comitato ONU sui diritti dell'infanzia ha segnalato con evidenza al nostro Paese raccomandandoci, ancora una volta, di colmarle al più presto. L'Italia è tra i Paesi OCSE con un tasso di povertà relativa molto elevato fra i bambini: il 15 per cento di loro vive in famiglie con redditi inferiori alla media nazionale. Secondo l'ISTAT, infatti, in Italia sono 1 milione e 876 mila le persone di minore età che vivono in famiglie povere e 653 mila quelle che vivono in condizione di assoluta povertà. La situazione più grave è nel Mezzogiorno: la Sicilia ha la quota più elevata di persone di minore età povere (44 per cento), seguita dalla Campania (32 per cento) e dalla Basilicata (31 per cento). È allarmante inoltre il dato in crescente aumento delle famiglie a «rischio povertà»: famiglie, cioè, che non sono considerate povere ma che potrebbero facilmente diventarlo a fronte di eventi negativi;
    povertà, esclusione sociale e discriminazione sono le cause che impediscono alle bambine e ai bambini del nostro Paese di vivere secondo le proprie aspirazioni e capacità, sono la ragione frequente che sta all'origine dell'abbandono scolastico, di pericolosi percorsi di devianza, di isolamento dal contesto sociale e amicale che possono condurre a scelte drammatiche. Su questo problema si è soffermato anche il Garante nazionale dell'infanzia nella sua prima relazione al Parlamento sollecitando azioni di contrasto alla povertà minorile che ha forti ripercussioni sulla formazione e cura dei minori fino a determinare l'emarginazione sociale e l'esclusione dei diritti fondamentali. Il nostro sistema di istruzione non è in grado di contenere il tasso di abbandono scolastico che è superiore a quello europeo di oltre 4 punti di percentuale: i giovani italiani, tra i 18 ed i 24 anni, che hanno deciso di lasciare la scuola prima di ottenere il diploma di maturità sono il 18,8 per cento della popolazione, mentre in Europa la percentuale è del 14,1 per cento. Ancora una volta è il Mezzogiorno a registrare i dati più allarmanti: in Sicilia la percentuale di studenti che hanno lasciato gli studi prima del diploma è del 26 per cento, seguono la Sardegna con il 23,9 per cento e la Puglia con il 23,4 per cento. Concorrono a questo risultato gli scarsi investimenti in risorse destinate alla scuola che sono tra i più bassi d'Europa: le spese per l'istruzione in Italia incidono per il 4,8 per cento sul prodotto interno lordo, mentre la media europea è del 5,6 per cento. Una scuola pubblica spesso desertificata, priva di progettualità, di investimenti, di risorse umane. Vi sono insegnanti di plessi scolastici in piccoli centri abitati che non hanno la possibilità di portare, nemmeno una sola volta nell'intero anno scolastico, i bambini a teatro, o in piscina. Si tratta di bambini che vivono in contesti rurali, dove la scuola dovrebbe rappresentare la prima e fondamentale opportunità che un Paese offre alle nuove generazioni per la realizzazione delle proprie aspirazioni e potenzialità. Non stupisce dunque il crudo dato diffuso in questi giorni dalla Fondazione Agnelli secondo il quale da un confronto con Germania, Inghilterra, Stati Uniti e Francia, i ragazzi italiani sono quelli a cui la scuola piace meno;
    la scarsità e la disomogenea distribuzione sul territorio nazionale dei servizi all'infanzia aggravano la situazione: in Italia oggi l'offerta degli asili nido è tra le più basse in Europa e solo il 12 per cento dei bambini da 0 a 3 anni ha un posto garantito al nido pubblico, contro il 35-40 per cento della Francia e il 55-70 per cento dei Paesi nordici. Uno studio della Fondazione Agnelli sui bimbi delle primarie dimostra che chi ha possibilità di frequentare l'asilo nido è più bravo a scuola. Un recente rapporto UNICEF ricorda che i servizi all'infanzia permettono ai bambini di uscire dal circolo della povertà familiare. Se il nostro Paese vorrà davvero consentire che si spezzi quella catena che lega l'infanzia italiana povera ad una vita adulta segnata allo stesso modo dalla povertà, dovrà scegliere di investire in servizi, scuola, istruzione universitaria e, nel rispetto della nostra Costituzione, garantire parità di accesso a tutte le classi sociali affinché nessun ostacolo impedisca ai più vulnerabili di raggiungere i più alti livelli di istruzione;
    tra i temi segnalati come urgenti da operatori ed esperti c’è quello dei minori stranieri che vivono in Italia. È ormai indispensabile provvedere ad una normativa che consenta ai figli di famiglie straniere nati in Italia di ottenere la cittadinanza italiana. Non si può pensare di crescere una nuova generazione di italiani se non si sarà capaci di fare sentire definitivamente accolti e riconosciuti come cittadini a pieno titolo tutti quei bambini o giovanissimi che studiano nelle nostre scuole, che lavorano nelle nostre imprese, che vivono al nostro fianco;
    un'urgenza che non si può più trascurare è rappresentata dai minori stranieri non accompagnati per i quali si rende necessario intervenire tempestivamente per la realizzazione di un'omogenea applicazione delle norme nazionali e sovranazionali, ratificate dal nostro Paese, che garantisca tutele in tutte le zone del nostro territorio nazionale. Sono attese politiche che determinino una diversità radicale di approccio e di accoglienza in sintonia con le raccomandazioni delle maggiori associazioni accreditate nella tutela e nell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Questo aspetto è stato segnalato dal Garante nazionale dell'infanzia, nella sua prima relazione al Parlamento italiano, come il secondo punto più urgente che attende di essere affrontato, oltre che da tutte le organizzazioni che sul territorio nazionale si occupano dell'accoglienza dei minori stranieri rifugiati in Italia, in transito sul nostro territorio per raggiungere le loro comunità di appartenenza in altri paesi europei, dei bambini in fuga dai territori di violenza e di guerra, degli «anchor children», inviati dai genitori nella speranza di finire da ancora per un inserimento futuro nel nuovo paese della famiglia rimasta nel Paese d'origine;
    la recente approvazione della convenzione di Lanzarote segna un traguardo importante nella lotta contro la pedofilia. L'Italia fu, nel 2007, non solo tra i primi paesi a sottoscrivere la convenzione per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, ma anche tra i maggiori contribuenti, con una cinquantina di articoli, alla sua stesura. Ma la velocità e la dimensione davvero globale con cui le nuove tecnologie o i nuovi media si evolvono e vengono proposti sul mercato, offrendo nuovi servizi e «spazi» aperti e accessibili a tutti, mettono tutti e soprattutto i più giovani, gli adolescenti, le bambine e i bambini, di fronte a nuove sfide. Le battaglie che la polizia postale italiana ha combattuto fino ad oggi sono giuste e hanno dato grandi risultati. Dal 1998 al 2012 sono stati chiusi 179 siti pedo-pornografici e sono state denunciate oltre 7500 persone. Ora con la Convenzione il loro lavoro potrà marciare ancora più spedito, ma da una recente audizione in commissione XI alla Camera del direttore della polizia postale si è appreso che la lotta si è spostata su fronti di cui non si possiedono le chiavi di accesso. Occorre avere l'intelligenza e l'umiltà di ammettere che nell'inseguimento del progresso tecnologico non possiamo che essere sconfitti. Magari di poco, ma si arriverà sempre dopo. È quindi necessario prevedere un investimento di risorse per un piano di informazione ed educazione che coinvolga Scuola e famiglie perché i bambini e gli adolescenti possano usufruire delle positive potenzialità prodotte dall'innovazione tecnologica, ma siano al contempo posti nella condizione di evitare i rischi cui possano andare incontro grazie alla conoscenza e alla consapevolezza dei pericoli. Analoga azione di controllo e formazione va realizzata per ciò che attiene l'utilizzo dei media da parte di minori e la presenza e l'abuso dell'immagine dei minori nei media;
    i bambini, le bambine e gli adolescenti italiani attendono da troppo tempo una giustizia a misura di minore che recepisca le linee guida del Consiglio d'Europa del 17 novembre 2010 o, per stare dentro ai confini nazionali, quanto previsto al riguardo dal piano nazionale di azione per l'infanzia e l'adolescenza del 2011, che prevede un rafforzamento dei diritti dei soggetti di minore età e suggerisce la messa in opera di un vero e proprio sistema di tutela e garanzie dei diritti delle persone di minore età. È tempo che la giustizia assuma il principio del superiore interesse del minore come bussola della sua azione: dai magistrati, ai giudici, agli avvocati. Nessun interesse di categoria deve prevalere. Dai tempi della riforma «Gozzini» del 1986 si attende di introdurre un ordinamento penitenziario per minorenni e giovani adulti secondo le indicazioni della Corte Costituzionale. Occorre procedere ad una riforma che accentri in un unico organo giudiziario le competenze in materia di minori. Occorre una riforma del sistema penale minorile che introduca un sistema sanzionatorio per i minori autori di reati;
    tra i meno garantiti è il diritto, sancito dall'articolo 12 della convenzione ONU, che stabilisce la libertà di espressione del minore, il diritto ad essere ascoltato in ogni situazione che lo coinvolga e la sua partecipazione in ogni questione che lo interessi. È di un anno fa l'iniziativa del Coordinamento per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, Pidida, che ha organizzato a Padova gli stati generali della partecipazione. Il documento elaborato dai minori che vi hanno partecipato comincia così: «Siamo giovani, e non ci basta essere delle ombre. Vogliamo essere protagonisti del mondo. Siamo milioni di voci...»;
    i giovani chiedono, legittimamente, ascolto e attenzione. Chiedono di non essere etichettati con cliché, vogliono esprimere opinioni ed essere ascoltati come «interlocutori capaci». Spetta alle istituzioni soddisfare questo bisogno e questa richiesta: la partecipazione dei giovani alla vita del Paese è tra le risorse più grandi di cui si dispone per realizzare una società più matura e attenta ai bisogni di tutti. Passa attraverso l'ascolto anche la possibilità di valutare e giudicare con maggiore consapevolezza nel caso di procedimenti giuridici che li riguardino;
    il quadro fin qui delineato, che riguarda solo una parte dei temi di carattere urgente riferiti alla tutela dei diritti dei più giovani dei nostri concittadini, suggerisce la necessità non più rimandabile di interventi strutturali. Ciò a cui bisogna aspirare e che è necessario volere con determinazione è un quadro omogeneo e unitario di provvedimenti che tuteli l'interesse dei minori di età, qualsiasi sia la loro condizione e per tutti gli aspetti della loro vita. Appare in tutta evidenza che non si possa imputare alla crisi economica e finanziaria il ritardo e la mancata realizzazione di politiche a tutela delle fasce più vulnerabili;
    l'attuale crisi ha peggiorato la situazione diminuendo ulteriormente le risorse riservate alla realizzazione di progettualità destinate ai bambini e agli adolescenti, ma non si può trascurare il fatto che il nostro Paese registra un ritardo in questo ambito che precede la crisi. Senza contare che in altri Paesi europei, comunque colpiti dalla crisi, sono stati adottati provvedimenti finalizzati a scongiurare un peggioramento delle condizioni delle classi più povere e fragili, esposte ad un rischio maggiore a causa della contrazione delle risorse;
    non v’è risanamento dei conti che possa incidere positivamente sulla vita di un grande Paese come il nostro che non debba essere realizzato con rigore ed allo stesso tempo con equità. Il rispetto dei diritti dei minori è alla base di ogni piano di sviluppo di una nazione, poiché ne determina il progresso culturale e ne promuove il cambiamento sociale in termini di maggiori possibilità, garantendo a tutti i suoi cittadini pari opportunità di realizzazione delle proprie ambizioni e aspirazioni. Solo così si evita lo scontro generazionale e si sigla un patto tra padri e figli, madri e figlie. Le politiche economiche del nostro Paese devono tener conto dell'impatto inevitabile che esse hanno sulla vita dei minori e deve essere chiaro a tutti che i diritti delle persone e dunque anche delle persone minori di età, non si ridimensionano in contingenze economiche difficili. Tutti sono chiamati a proseguire il compito di tutela dei diritti che la nostra Costituzione impone, consapevoli che attribuire priorità ai diritti dei bambini, alla loro vita, alla loro protezione e alla loro crescita, è garanzia di progresso e sviluppo dell'intera società italiana,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per stanziare risorse adeguate per sostenere il terzo piano d'azione per l'infanzia;
   a predisporre una cabina di regia per coordinare specifiche politiche per l'infanzia al fine di evitare una frammentazione delle responsabilità e data la molteplicità di aspetti che il mondo dell'infanzia comporta, ciò anche in ragione del fatto che il rispetto e l'applicazione dei principi fissati dalla convenzione ONU fanno capo al governo centrale;
   ad individuare e ad allocare risorse per finanziare progetti di sostegno ed incentivazione allo studio da rivolgere ai ragazzi che si trovano in situazioni familiari a rischio di esclusione sociale;
   a realizzare delle campagne di sensibilizzazione, nazionali e locali, al fine di combattere e superare i residui atteggiamenti di chiusura e di resistenza alla dimensione internazionale della scuola italiana, favorendo così l'inclusione e l'integrazione di tutti i minori stranieri che frequentano le scuole nel nostro Paese;
   a promuovere un sistema di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, strutturato e non emergenziale, finanziato con uno specifico fondo pluriennale, che tenga conto della disponibilità di posti in accoglienza su tutto il territorio nazionale e che sia collegato a meccanismi di monitoraggio degli standard di accoglienza;
   a promuovere l'istituzione presso la Conferenza Stato-regioni, come raccomandato dal Comitato ONU nelle osservazioni conclusive indirizzate al nostro Paese nel 2011, di un gruppo di lavoro per il coordinamento delle politiche riguardanti i diritti dei minori e l'applicazione coerente dei principi della convenzione ONU, anche alla luce della mancata definizione da parte del Governo dei livelli essenziali delle prestazioni sociali prevista – ma mai realizzata – dalla legge n. 328 del 2000;
   ad assumere con urgenza le iniziative di competenza per la piena attuazione della convenzione europea di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei bambini intervenendo sulle modalità di ascolto dei minori nei procedimenti, non solo giudiziari ma anche amministrativi, affinché essi possano far sentire la loro voce ed essere considerati non oggetto del contendere ma soggetti di una situazione di vita che li coinvolge;
   ad assumere iniziative per definire uno specifico ordinamento penitenziario per i minori, così come raccomandato anche dalla Corte Costituzionale.
(1-01183)
(Ulteriore nuova formulazione) «Zampa, Livia Turco, De Torre, Schirru, Mattesini, Sbrollini, Brandolini, Codurelli, Laganà Fortugno, Gatti, Verini, Cenni, Albini, Ferranti, Rugghia, Lovelli, Murer, D'Antona, Bellanova, Lenzi, Maran, Velo, Siragusa, D'Incecco, Tullo, Scarpetti, Pes, Cardinale, Motta, Bobba, De Pasquale, Fontanelli, Mogherini Rebesani, Peluffo, Rubinato, Lo Moro, Coscia, Samperi, Veltroni, Lucà, De Biasi, Capitanio Santolini, Marco Carra».

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Toto n. 4-17742 del 20 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08455.