XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 24 ottobre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La XI Commissione,
   premesso che:
    il difficile contesto socio-economico che da anni caratterizza il nostro Paese ha impoverito vaste fasce di popolazione, esponendole a un sempre crescente stato di inquietudine e insicurezza a volte accompagnato da un sentimento di distacco nei confronti delle istituzioni e delle amministrazioni che le rappresentano; percezione acuita, in alcuni casi, dal verificarsi di situazioni che possono apparire paradossali e ingiuste;
    il caso segnalato da molte famiglie di Lecco, ma diffuso in tutto il territorio nazionale, relativo alle problematiche causate dalla modifica della disciplina relativa al congedo straordinario sembra emblematico di tale condizione;
    l'articolo 4, comma 5, del decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119 – emanato in attuazione della delega prevista dall'articolo 23 («delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi») del cosiddetto «collegato lavoro», legge 4 novembre 2010, n. 183 – ha novellato l'articolo 42 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ridefinendo la platea dei destinatari del suddetto congedo straordinario e stabilendo un ordine di priorità (coniuge, padre o madre, anche adottivi, figlio convivente, fratello o sorella), in precedenza non esistente, tra i soggetti legittimati a fruirne, che degrada solo in caso di mancanza, decesso o presenza di patologie invalidanti dei primi soggetti aventi diritto;
    successivamente all'entrata in vigore della nuova normativa, 11 agosto 2011, e fino al luglio dell'anno in corso, gli istituti previdenziali hanno continuato a liquidare le prestazioni anche a tutti i soggetti autorizzati al congedo straordinario prima delle modifiche apportate dall'articolo 4, comma 5 del decreto legislativo n. 119 del 2011;
   nel luglio 2012, a distanza di un anno dall'emanazione del suddetto provvedimento, l'Inps, dopo aver riesaminato le domande presentate sino allora per verificarne la corrispondenza coi requisiti richiesti dal novello articolo 42 del decreto legislativo n. 151 del 2011, ha provveduto a inviare una comunicazione ai beneficiari dell'assegno che alla luce della nuova disciplina non risultino più averne diritto, con la quale oltre a notificare la cessazione del congedo e la cancellazione dei contributi figurativi si richiede la restituzione delle somme corrisposte dall'11 agosto 2011;
    vicende come queste definiscono il grado di civiltà di un Paese, ritiene la condotta dell'Inps non rispondente a criteri di efficienza e giustizia, poiché le procedure di verifica e le conseguenti comunicazioni di revoca del congedo straordinario, avvengono con un ritardo inaccettabile e incidono in maniera dolorosa sulla vita di persone già duramente provate e meritevoli non di ulteriori privazioni ma di sostegno,

impegna il Governo

in ragione delle straordinarie circostanze causate dalla lentezza e inefficienza del comportamento dell'Inps, a intervenire con la massima urgenza al fine di tutelare la condizione economica e contribuiva dei soggetti di cui sopra, adoperandosi allo scopo di non procede non procedere nella richiesta di restituzione delle somme e affinché le disposizioni del novello articolo 42 del decreto legislativo n. 151 del 2011 si applichino, per i medesimi lavoratori, solo a decorrere dalla conclusione, e dalla relativa notifica agli interessati, del riesame riguardante la verifica dei requisiti concernenti le domande accolte precedentemente alla data di entrata in vigore del decreto di riordino della normativa in materia di congedi e, in ogni caso, a non procedere alla cancellazione dei contributi figurativi maturati nel periodo intercorrente tra la suddetta data e il compimento di tale accertamento, per evitare un danno non recuperabile in termini di diritti previdenziali.
(7-01023) «Codurelli, Damiano, Gnecchi, Schirru, Mattesini, Miglioli, Bellanova, Rampi, Lenzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Adnkronos del 10 gennaio 2011, una coppia di fidanzati ventenni, lavoratori stagionali a Madonna di Campiglio, sarebbe stata arrestata dai carabinieri con l'accusa di avere avviato una piccola coltivazione di marijuana nella loro abitazione. Nel caso di specie i carabinieri avrebbero perquisito l'abitazione di proprietà del ragazzo, situata nel centro di Campiglio, trovando due piante di marijuana di 40 centimetri sistemate in una serra ricavata in un armadio;
   nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali sarebbe inconcepibile una destinazione al mercato del ricavato;
   anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
   il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare, ad avviso degli interroganti, davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
   in data 24 luglio 2009 la prima firmataria del presente atto ha depositato il progetto di legge n. 2641 rubricato «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di depenalizzazione della coltivazione domestica di piante dalle quali possono essere estratte sostanze stupefacenti o psicotrope»;
   la citata proposta di legge intende modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere, come opportunamente evidenziato nel provvedimento adottato dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Milano, dottor Guido Salvini, la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
   l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73, comma 1-bis, che nell'articolo 75 del testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
   è opinione della prima firmataria del presente atto che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente, anche in quantitativi di significativa consistenza;
   appare agli interroganti oltremodo penalizzante e discriminatorio il testo unico sugli stupefacenti così come interpretato da un certo orientamento giurisprudenziale, nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo –:
   di quali informazioni dispongano circa la notizia diramata dall'agenzia di stampa Adnkronos e riportata in premessa;
   se il Governo non ritenga di dover fornire dettagliati elementi in ordine agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e, in particolare, con riferimento a: a) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; b) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; c) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; d) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
   se, anche alla luce di operazioni di polizia quali quelle riportate in premessa, il Governo non reputi di dover intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana, sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica», venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(5-08266)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Francesco, nato il 28 luglio 2002, è stato adottato nel 2004 dai coniugi Clara L. e Giovanni L.;
   nel 2009 la madre adottiva di Francesco ricorreva al tribunale di Milano, sezione IX civile, al fine di ottenere la separazione dal marito e la causa veniva iscritta al n. 84710/09 R.G.;
   con provvedimento del 15 aprile 2010, il tribunale adìto, preso atto della gravissima conflittualità trai coniugi e della presumibile situazione di disagio del figlio Francesco, affidava il bambino al comune di Legnano collocando il minore temporaneamente presso la madre e riservandosi di decidere circa un'eventuale collocazione dello stesso presso una casa famiglia;
   a scioglimento della menzionata riserva, e precisamente in data 14 febbraio 2011, il giudice – sentiti i coniugi, il consulente tecnico nominato d'ufficio e i consulenti tecnici di parte ed esaminata la relazione del comune di Legnano, ente affidatario del figlio minore – confermava l'affido di Francesco L. al comune di Legnano disponendo l'immediato allontanamento dello stesso dall'abitazione dei suoi genitori ed il suo contestuale collocamento presso una casa famiglia;
   secondo il tribunale di Milano la signora Clara L. si sarebbe rivelata allo stato incapace di prendersi cura di Francesco e di metterlo al riparo dal fortissimo risentimento che ella prova contro il marito, verso il quale ha un comportamento, soprattutto in presenza del figlio, di totale svalutazione, il che avrebbe contribuito ad ingenerare nel bambino una significativa distanza dalla figura del padre. Secondo la Relazione del consulente tecnico d'ufficio madre e figlio avrebbero «un legame di natura fusionale, con la prima che veicola sul secondo fantasie molto primitive, fonti di vissuti angosciosi destabilizzanti, sia sul piano pulsionale che su quello relazionale»;
   la madre di Francesco ha presentato reclamo presso la corte d'appello di Milano avverso il predetto provvedimento eccependo, in primis, il difetto di competenza del tribunale di Milano atteso che le domande finalizzate a ottenere provvedimenti cautelari e temporanei idonei a porre rimedio a situazioni pregiudizievoli per il minore rientrano nella competenza del tribunale per i minorenni;
   la signora Clara L. ha inoltre denunciato la carenza ed illogicità del provvedimento impugnato stante la mancanza del pericolo di grave pregiudizio per il minore in quanto: a) il fatto che il minore venga coinvolto nella crisi sentimentale dei genitori non è circostanza che di per sé possa giustificare l'allontanamento del bambino dalla madre ed il suo collocamento presso una casa famiglia; b) l'allontanamento dalla casa coniugale e dalla figura genitoriale di riferimento può essere disposto, sulla base di quanto stabilito dalla legge n. 184 del 1983, così come modificata dalla legge n. 149 del 2001, solo quando vi è grave pregiudizio per lo sviluppo psicofisico del minore (casi di alcoldipendenza o tossicodipendenza dei genitori, violenza, incuria, abbandono); c) l'esistenza della grave patologia di cui sarebbe affetta la signora Clara L., ovvero «il disturbo della personalità di tipo istrionico grave», sarebbe stata soltanto ipotizzata dal consulente tecnico d'ufficio; d) la madre del bambino non è affetta da alcuna «patologia», ma semmai versa in una condizione di turbamento psicologico transeunte dovuto alla crisi del rapporto coniugale; e) come emerso anche dai documenti prodotti nel corso del giudizio, la madre del minore si è sempre contraddistinta in tutti questi anni nel dare ampio sostegno, affetto e attenzioni al piccolo Francesco; f) la decisione di allontanare il bambino dalla madre rischia quindi di cagionare un pregiudizio serio per lo sviluppo psicofisico del minore il quale, prima della effettiva adozione, era stato collocato in un orfanotrofio in Ucraina;
   le circostanze sopra indicate chiedono di definire i contorni di questa vicenda, tenendo presente che in vicende come queste le deliberazioni dell'autorità giudiziaria dovrebbero essere caratterizzate principalmente dalla regola del prevalente interesse del minore, in quanto elemento indifeso e svantaggiato di fronte alla realtà. L'interesse del minore è innanzitutto quello di avere garantita la continuità affettiva ed educativa con una famiglia. I cambiamenti in questa fase della crescita sono sempre e comunque traumatici e gettano le condizioni per lo sviluppo di eventuali patologie psichiche. Nel caso di Francesco, la famiglia che l'aveva accolto in adozione era stata giudicata idonea, dal punto di vista educativo e affettivo, per crescerlo. Di fronte alla crisi del rapporto coniugale, le capacità educative e affettive della signora Claudia L. non sono certo improvvisamente venute meno;
   l'affidamento a terzi di un minore è un'ipotesi che dovrebbe essere perseguita per gravissimi ed eccezionali motivi, altrimenti si vanno a ledere i diritti del bambino, oltre a quelli dei genitori;
   appare peraltro agli interroganti discutibile che casi come quello citato in premessa siano trattati dal tribunale ordinario piuttosto che dal tribunale dei minori, maggiormente specializzato –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative normative volte a modificare la disciplina dell'affido dei minori, prevedendo, in casi come quello descritto in premessa, che l'affidamento del minore a terzi sia disposto solo per gravissimi ed eccezionali motivi e comunque come soluzione residuale e che siano salvaguardate le relazioni affettive tra il minore e la famiglia, anche mediante il potenziamento degli strumenti di sostegno economico, educativo e psicologico finalizzati al tempestivo superamento delle difficoltà del nucleo familiare di provenienza;
   se non si ritenga opportuno assumere le necessarie iniziative normative per modificare il riparto di competenza tra tribunali ordinari e tribunali dei minori affinché casi quali quello descritto in premessa siano trattati dai tribunali dei minori. (5-08292)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 febbraio 2011 è stato dichiarato lo stato d'emergenza, ai sensi all'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, per l'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa, dalla fascia del Maghreb, in particolare dalla Tunisia, e dall'Egitto, con il fine di approntare misure di carattere straordinario ed urgente finalizzate alla predisposizione di strutture idonee per le necessarie forme di assistenza umanitaria, assicurando nel contempo l'efficace contrasto dell'immigrazione clandestina e l'identificazione di soggetti pericolosi per l'ordine e la sicurezza pubblica nazionale;
   con opcm 3924 del 18 febbraio 2011, modificata con opcm n. 3925 del 23 febbraio 2011, il prefetto di Palermo è stato nominato Commissario delegato per procedere all'adozione di provvedimenti di carattere straordinario e derogatorio finalizzati al rapido superamento dell'emergenza;
   al Commissario sono stati così conferiti poteri di agire – anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia ambientale, paesaggistico territoriale, igienico-sanitaria, di pianificazione del territorio, di polizia locale, salvo l'obbligo di assicurare le misure indispensabili alla tutela della salute e dell'ambiente – e con provvedimenti di occupazione temporanea, requisizione o esproprio, al fine di: a) definire programmi di azione, anche per piani stralcio, per il superamento dell'emergenza; b) censire i cittadini sbarcati sul territorio italiano dai Paesi del Nord Africa; c) adottare misure finalizzate all'individuazione di strutture ed aree anche da attrezzare destinate alla gestione dell'emergenza, nonché al potenziamento di quelle esistenti; d) adottare, in raccordo con il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, provvedimenti per la ridistribuzione tra i CARA, operanti sul territorio nazionale, dei richiedenti asilo;
   agli oneri derivanti dai primi interventi del commissario si provvede con la somma di 1.000.000 euro (da porre a carico del capitolo 2351 – centro di responsabilità 4 – dello stato di previsione del Ministero dell'interno anno 2011); che il Commissario delegato è altresì autorizzato ad utilizzare le eventuali risorse finanziarie di competenza regionale, fondi comunitari nazionali, regionali e locali, comunque assegnati o destinati;
   con opcm 3925 del 23 febbraio, che modifica la opcm 3924, si aggiunge tra le misure che il Commissario può adottare «l'acquisizione, anche con contratto di locazione, di strutture da destinare al superamento dell'emergenza umanitaria, anche in deroga all'articolo 2, comma 222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191»; si aggiunge che il «Commissario delegato è altresì autorizzato ad avvalersi delle eventuali risorse che si renderanno disponibili per le esigenze connesse al contesto emergenziale di cui alla presente ordinanza» –:
   quali atti abbia compiuto il commissario delegato dal 18 febbraio 2011, giorno della sua nomina;
   quali tra le misure adottate dal commissario si siano avvalse dei poteri derogatori conferitigli;
   se per la realizzazione di nuove aree, il potenziamento di quelle già esistenti e la fornitura di servizi si siano stipulati contratti con soggetti privati e per quali cifre;
   se per il superamento dello stato d'emergenza si siano stipulati contratti di locazione di aree o strutture, con quali controparti e a quale canone;
   quali fondi abbia utilizzato la struttura commissariale e da quali capitoli di spesa. (5-08293)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra venerdì 7 e sabato 8 aprile 2011 a Napoli, due dirigenti dall'associazione nazionale Arcigay sono stati violentemente aggrediti di fronte alla sede napoletana dell'associazione, perché persone dichiaratamente omosessuali;
   le due persone aggredite, Antonello Sannino, presidente di Arcigay Salerno, e Federico Esposito, segretario provinciale di Arcigay Pistoia, presenti nella città partenopea per un corso di formazione dell'associazione, sono stati colpiti con calci e pugni riportando lesioni;
   nel corso dell'aggressione, dalle finestre sono piovuti oggetti, uova e acqua e si è udito un «lavatevi sporcaccioni», mentre tre persone (tra queste uno uomo con una mazza e una donna) si sono aggiunte all'aggressore;
   la presenza altri esponenti dell'Arcigay ha evitato il peggio e l'aggressore è stato prontamente fermato e identificato dalle forze di polizia;
   non è la prima volta che a Napoli si verificano episodi di intolleranza omofobica che sfociano poi in aggressioni fisiche e verbali –:
   quali iniziative il Governo abbia attivato per evitare il ripetersi di atti di violenza contro le persone per il loro orientamento sessuale;
   quali iniziative di informazione e di educazione siano state attivate nelle scuole, nei luoghi di lavoro e di socialità affinché venga superato il pregiudizio e l'odio nei confronti delle persone lesbiche, omosessuali, bisessuali e transgender;
   se le violenze determinate dall'odio razziale, per orientamento sessuale, per motivi di religione, e più in generale contro le persone più deboli, siano monitorate e quali iniziative conseguenti siano state attivate;
   se il Governo non ritenga opportuno sostenere un rapido iter delle diverse proposte di legge finalizzate alla lotta all'omofobia. (5-08295)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il sostituto procuratore Raffaella Falcione ha chiuso nei confronti di Vincenzo Papadia un'indagine per truffa aggravata ed evasione fiscale per avere quest'ultimo svolto incarichi di consulenza per i comuni di Sabaudia ed Aprilia senza possedere i titoli indispensabili ai fini legali, come riportato dal quotidiano Latina Oggi del 25 luglio 2012, pagina 27;
   in particolare, il quotidiano Latina Oggi del 25 luglio 2012 (pagina 27) riporta il seguente passo: «non si arresta l'effetto Papadia sul Comune di Sabaudia. Ieri mattina del caso del super consulente indagato per truffa aggravata ed evasione fiscale se n’è discusso durante la riunione della commissione vigilanza. Nel corso della riunione è stata esaminata la documentazione relativa alle procedure degli incarichi affidati a Papadia. E ovviamente, come c'era da aspettarsi, sono emerse anomalie e stranezze. Innanzi tutto che sulle consulenze svolte da Papadia non c’è stato in alcun modo un controllo preventivo sia da parte del Consiglio comunale sia degli uffici competenti né tantomeno del collegio dei revisori»;
   inoltre, sempre sul quotidiano Latina Oggi del 27 luglio 2012 (pagina 31), è dato leggere quanto segue: «diversamente dai Comuni di Aprilia e Sabaudia, quello di Monte San Biagio non risulta essere stato “truffato” dal prof. che non è mai stato prof. Ma codice penale a parte, anche dalle parti di via Roma Papadia ha lasciato a suo modo il segno. È stato presidente del nucleo di valutazione, ma la vicenda per cui il suo passaggio a Monte San Biagio ancora lo ricordano in tanti è un'altra. È il concorso per l'assunzione in pianta stabile di alcuni lavoratori socialmente utili indetto dal Comune nel dicembre del 2008. Una data difficile da dimenticare perché in quelle ore a Monte San Biagio avvenne una sorta di miracolo: il giorno prima della selezione ai carabinieri venne inviata una lista di nomi. A vergare quell'elenco era stato un veggente: proprio quelli infatti vinsero il concorso»;
   dal sito del Comune di Aprilia: «L'amministrazione comunale ha deliberato il conferimento di un incarico legale per la difesa degli interessi del Comune di Aprilia nel procedimento penale aperto dalla Procura della Repubblica di Latina nei confronti di Vincenzo Papadia. Quest'ultimo ha fornito prestazioni professionali al comune di Aprilia fino al 2009 e gestito concorsi pubblici per diversi ruoli, tra cui quelli dirigenziali»;
   in data 8 agosto 2012 i consiglieri regionali del Lazio, Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, Gruppo Lista Bonino Pannella Federalisti Europei, hanno presentato un'interrogazione alla presidente della regione Lazio per sapere se risulta che il signor Vincenzo Papadia coinvolto nelle indagini svolte dalla procura della Repubblica di Latina per truffa aggravata ed evasione fiscale in merito ad incarichi di consulenza svolti per i comuni di Sabaudia ed Aprilia, senza possedere i titoli indispensabili ai fini legali, sia stato componente effettivo di commissioni esaminatrici per concorsi indetti dalla regione Lazio o abbia in qualche modo svolto per questo ente incarichi di consulenza;
   su un sito web, ora oscurato, riferibile allo stesso Vincenzo Papadia vengono inseriti numerosi enti locali, dalle regioni alle comunità montane, che in qualche modo potrebbero aver avuto rapporti di consulenza, o aver svolto concorsi con l'assistenza dello stesso;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto, considerata la vastità e la portata del fenomeno, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio metodo illegale di cui si sono avvalse amministrazioni ed enti pubblici per «sistemare», a seconda delle diverse esigenze di convenienza, interessi tutt'altro che pubblici –:
   se risulti che il signor Vincenzo Papadia abbia sostenuto docenze per la scuola superiore della pubblica amministrazione presso la Presidenza del Consiglio;
   se risulti che il signor Vincenzo Papadia abbia sostenuto docenze, collaborazioni o abbia fatto parte di commissioni esaminatrici presso altre amministrazioni dello Stato o sottoposte a vigilanza dello Stato o enti pubblici;
   se non ritenga opportuno agire immediatamente per verificare quali siano eventuali enti sottoposte a vigilanza stabile interessati, oltre ai comuni già oggetto della indagine della procura di Latina, ciò al fine di comprendere se vi sia il rischio che tali collaborazioni, in caso fossero accertate, non possano potenzialmente determinare una diffusa illegittimità di diversi atti amministrativi, in particolare in materia di concorsi pubblici, assunzioni, avanzamenti di carriera, inquadramento di LSU, bandi di gare di appalto, assegnazioni delle stesse, stravolgimento quindi di piante organiche. (5-08310)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del cosiddetto decreto «svuota-carceri» (decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211) il Parlamento ha inserito in sede di conversione in legge (legge 17 febbraio 2012, n. 9) l'articolo 3-ter che detta disposizione per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) i quali, dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici comuni (legge n. 180 del 1978), sono rimasti le uniche istituzioni chiuse destinate ai soggetti autori di reato non imputabili o con imputabilità ridotta a causa di infermità di mente, intossicazione da alcol o sostanze stupefacenti, sordomutismo. Per usare la stessa terminologia utilizzata per identificare il decreto-legge n. 211 del 2011, si potrebbe parlare di «decreto svuota-OPG»;
   nonostante il citato provvedimento legislativo, i sei OPG presenti sul territorio italiano (Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Napoli, Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto) - la cui definitiva chiusura è stata fissata dal legislatore entro il prossimo 31 marzo 2013 – continuano ad operare, con ciò perpetuando la cosiddetta «doppia istituzionalizzazione» del soggetto sia come malato di mente sia come autore di reato, il tutto in un contesto di neutralizzazione e abbrutimento degli internati causato dalle pessime condizioni strutturali e di carenza di personale che aggravano la gestione di alcuni di questi istituti, come ha drammaticamente denunciato la «Relazione sulle condizioni di vita e di cura all'interno degli ospedali psichiatrici giudiziari» redatta il 20 luglio 2011 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario nazionale, presieduta dal sen. Ignazio Marino;
   è sufficiente leggere alcuni brani della relazione per comprendere come i problemi di gestione delle carceri italiane appaiano addirittura (ed il che è tutto dire) di poca importanza in relazione agli OPG, strutture che in tutti questi anni hanno vissuto in una preoccupante condizione di vera e propria «extraterritorialità»;
   alla prima firmataria del presente atto sembra doveroso riportare alcuni passi della citata relazione della Commissione parlamentare, poiché gli stessi offrono un drammatico spaccato delle condizioni di vita all'interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, strutture all'interno delle quali tuttora persevera la logica manicomiale che trascura le esigenze della persona in favore della tutela della sicurezza sociale attraverso la mera neutralizzazione dell'internato: «(...) Gravi e inaccettabili sono le carenze strutturali e igienico-sanitarie rilevate in tutti gli OPG, ad eccezione di quello di Castiglione delle Stiviere e, in parte, di Napoli; tutti gli OPG presentano un assetto strutturale assimilabile al carcere o all'istituzione manicomiale, totalmente diverso da quello riscontrabile nei servizi psichiatrici italiani (...)»; (...) la dotazione numerica del personale sanitario appare carente in tutti gli OPG visitati rispetto alle necessità clinico-terapeutiche dei pazienti affidati a tali istituti; in particolare le competenze mediche specialistiche appaiono globalmente insufficienti in tutti gli OPG rispetto ai numeri dei pazienti in carico, in relazione alle necessità di raggiungere sufficienti prestazioni di finalità riabilitativa per ciascun degente sulla base di un progetto riabilitativo personalizzato (...)»; «(...) Pratiche di contenzione fisica ed ambientale, le cui «modalità di attuazione ... lasciano intravedere pratiche cliniche inadeguate e, in alcuni casi, lesive della dignità della persona, sia per quanto attiene alle azioni meccaniche, sia talora per i presidi psicofarmacologici di uso improprio rispetto alla finalità terapeutica degli stessi”; «(...) Nell'OPG di Barcellona Pozzo di Gotto per 329 pazienti è prevista la dotazione di un medico, due infermieri professionali ed un educatore, con assenza di figure sanitarie corrispondenti a psichiatri e psicologi, in un contesto caratterizzato da pessime condizioni strutturali. Nell'OPG di Aversa erano presenti, durante il sopralluogo, 320 degenti con un medico e due infermieri e furono riscontrate condizioni «tali da rendere disumana la permanenza di qualsiasi individuo» («pavimenti danneggiati in vari punti; soffitti e pareti con intonaco scrostato ed estese macchie di umidità; ovunque cumuli di sporcizia e residui alimentari; letti metallici con vernice scrostata e ruggine; sgradevoli esalazioni di urina; armadietti vetusti; effetti letterecci sporchi, strappati ed evidentemente insufficienti; finestre, anche in corrispondenza di letti, divelte o con vetri rotti»); non meno gravi le carenze assistenziali: «assenza di cure specifiche; inesistenza di qualsiasi attività; la sensazione di completo e disumano abbandono del quale gli stessi degenti si lamentavano. I degenti, nella assoluta indifferenza, oltre ad indossare abiti vecchi e sudici, loro malgrado di presentavano sporchi e maleodoranti»; (...) Nell'OPG di Montelupo Fiorentino è stato rilevato un sovraffollamento (celle sino a 9 posti letto) «che impedisce ogni movimento alle persone ospitate». Non è un caso che sia stato disposto il sequestro di alcune parti delle strutture degli OPG di Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto;
   è indubbio che il quadro emerso dall'indagine della Commissione rende non più tollerabile la permanenza degli OPG, così come oggi sono gestiti e strutturati, e non può che indurre a salutare con favore ogni sforzo verso il superamento dell'attuale situazione che evidenzia la crisi profonda in cui versano queste istituzioni, così come peraltro emerge anche dalla lettura del recente libro-inchiesta scritto dalla deputata radicale Maria Antonietta Farina Coscioni e intitolato «Matti in Libertà»;
   l'articolo 3-ter del decreto-legge n. 211 del 2011 contiene alcuni elementi che suscitano una certa preoccupazione;
   ed invero – come sottolineato anche nello studio del dott. Marco Pelissero pubblicato sulla rivista diritto penale e processo n. 8/12 – il progetto di regionalizzazione delle strutture destinate a sostituire gli attuali OPG presenta due profili critici, il primo sul piano dei finanziamenti ed il secondo sul piano dei tempi di attuazione: per quanto concerne la copertura degli oneri derivanti dalla attuazione del progetto, le somme stanziate risultano insufficienti (articolo 3-ter, comma 6, della legge citata); quanto ai termini fissati per il definitivo superamento degli OPG, le date indicate sono così ravvicinate che è impossibile rispettarle: al 31 marzo 2013 alle misure di sicurezza dovrebbe essere data attuazione esclusivamente all'interno delle neocostituende strutture, ma il Governo non ha ancora approvato in via definitiva il decreto, la cui adozione era prevista per il 31 marzo 2012, che dovrebbe fissare i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi, anche con riguardo ai profili della sicurezza, delle nuove strutture sanitarie. Al momento, infatti, è presente solo una intesa sullo schema del decreto (datato 14 giugno 2012), intesa sancita dalla conferenza unificata (Rep. Atti n. 98/CU del 25 luglio 2012) e nella quale è previsto che le strutture residenziali sanitarie per l'esecuzione delle misure di sicurezza dell'OPG e della casa di cura e di custodia dovranno avere una gestione interna esclusivamente sanitaria, attribuita alle aziende sanitarie con la direzione tecnica dei dipartimenti di salute mentale;
   in particolare, lo schema di decreto prevede che le strutture saranno destinate ad ospitare un numero massimo di venti pazienti con camere preferibilmente ad uno e due posti letto, fino ad un massimo di quattro, e che l’èquipe multi professionale dovrà comprendere medici psichiatri, psicologi, infermieri, terapisti della riabilitazione psichiatrica/educatori, OSS, ma le dotazioni indicate dal decreto appaiono insufficienti per garantire – come prevede lo stesso allegato A – gli «obiettivi di salute e di riabilitazione... tramite l'adozione di programmi terapeutico-riabilitativi e di inclusione sociale fondati su prove di efficacia». In particolare, se si considera il rapporto tra personale sanitario e riabilitativo, emerge una netta prevalenza del primo, con il rischio che il trattamento degli internati dimessi dagli OPG sia più sanitario che riabilitativo;
   i limiti finanziari ed i termini capestro fissati dall'articolo 3-ter sopra citato fanno sì che il superamento definitivo degli OPG appaia, più che una riforma attuata, un scommessa che rischia tuttavia di naufragare se non saranno messi a disposizione cospicui finanziamenti (al momento insufficienti) e se non sarà effettivo il rapporto tra controllo penale ed interventi sul territorio dei servizi di salute mentale;
   il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari potrà essere raggiunto solamente laddove i servizi territoriali saranno in grado di attivare queste nuove strutture sanitarie regionalizzate, garantendo al contempo i supporti necessari per interventi di reinserimento sociale attraverso prescrizione terapeutico-riabilitative che privilegino gli spazi di libertà;
   in caso contrario, se cioè i servizi territoriali non riusciranno a garantire efficaci supporti per assicurare il controllo della pericolosità sociale non elevata dei pazienti al di fuori di strutture chiuse, la scommessa fatta dal legislatore sarà persa in partenza ed il controllo penale dell'autore di reato infermo di mente rimarrà «OPG centrico», quantomeno in quelle regioni che non sapranno assicurare il rispetto degli standard richiesti dalla legge, con tutto ciò che ne conseguirà in termini di violazione degli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 32 (diritto alla salute) della Costituzione;
   esattamente come per la questione-carcere, l'effettiva attuazione del programma costituzionale di rieducazione dell'autore di reato richiede notevoli investimenti finanziari, in termini di implementazione delle strutture e di rafforzamento del personale;
   il timore è ancora una volta che la riforma rimanga solo sulla carta e non sani la violazione dei diritti umani che negli OPG quotidianamente si consuma in danno di quelli che alcuni hanno già definito «Vite di scarto» della società moderna;
   inoltre, dopo l'entrata in vigore della legge n. 9/12, all'interno delle strutture carcerarie sono stati attivati i cosiddetti «repartini» da utilizzare temporaneamente per le persone dimesse dagli OPG. Il che sta sicuramente avvenendo nelle carceri abruzzesi, dove per questo motivo risultano essere state aperte circa 19 nuove celle, nonché nella struttura penitenziaria Pagliarelli di Palermo, all'interno della quale sono stati rinchiusi 25 ex internati nell'OPG di Barcellona Pozzo di Gotto;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto è grave e preoccupante che le persone attualmente internate vengano dimesse per poi tornare detenute nelle carceri, così di fatto delegando al Dap problemi che dovrebbero essere risolti dalle singole regioni. Il rischio è che nell'immediato futuro gli istituti all'interno dei quali si eseguono le misure di sicurezza vengano utilizzati come «mini-OPG» –;
   quali siano i motivi della mancata emanazione del decreto, la cui adozione era prevista per il 31 marzo 2012, che avrebbe dovuto fissare i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi, anche con riguardo ai profili della sicurezza, delle nuove strutture sanitarie e se al riguardo il Governo non intenda provvedere immediatamente;
   se non intenda prevedere e/o garantire che all'interno delle nuove strutture sanitarie regionalizzate il personale riabilitativo prevalga su quello sanitario, in modo che il trattamento degli internati dimessi dagli OPG possa essere più accentuato sul versante riabilitativo che non su quello sanitario;
   se ritenga che le somme stanziate per il progetto di regionalizzazione delle strutture destinate a sostituire gli attuali OPG di cui all'articolo 3-ter, comma 6, del decreto-legge n. 211 del 2011 siano sufficienti;
   se, ai fini dell'effettiva attuazione del programma costituzionale di rieducazione dell'autore di reato, il Governo non intenda predisporre più adeguati investimenti finanziari, in termini di implementazione delle strutture e di rafforzamento del personale, garantendo nel contempo ai pazienti – mediante i servizi territoriali – i necessari supporti per interventi di reinserimento sociale attraverso le opportune prescrizioni terapeutico-riabilitative;
   quante celle l'amministrazione penitenziaria abbia dovuto costruire per accogliere le persone dimesse dagli ospedali psichiatrici giudiziari;
   quante persone, dopo l'entrata in vigore della legge n. 9 del 2012, sono state dimesse dagli ospedali psichiatrici giudiziari e rinchiuse dentro le carceri;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare, sollecitare e/o promuovere, affinché le strutture penitenziarie non vengano utilizzate come mini-OPG e se a tal proposito non ritenga opportuno emanare una circolare ministeriale. (5-08312)

Interrogazioni a risposta scritta:


   EVANGELISTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Finmeccanica è un gruppo d'eccellenza nell'ambito delle tecnologie e delle infrastrutture civili e militari;
   l'azionista di maggioranza è il Ministero dell'economia e delle finanze e pertanto le sue vicende aziendali e patrimoniali sono d'intrinseco interesse dello Stato e dei contribuenti italiani;
   il prestigio della Finmeccanica è stato però scosso dall'uscita — per ragioni davvero non commendevoli — dell'ex presidente Guarguaglini e poi dalle varie inchieste che coinvolgono l'attuale presidente Orsi;
   è di questi giorni la notizia che durante una visita in Brasile in favore del «sistema Italia» la vendita di mezzi navali militari a quel Paese sia stato caratterizzato da macroscopici profili corruttivi, che hanno coinvolto anche il Ministro pro tempore dello sviluppo economico Claudio Scajola;
   a parere dell'interrogante ce n’è abbastanza per esigere le immediate dimissioni del presidente e amministratore delegato Giuseppe Orsi e rinnovare radicalmente il management dell'impresa e delle sue controllate;
   ogni ritardo in tal senso potrebbe configurare un danno erariale a carico di Orsi di cui si dovrebbe interessare la Corte dei conti –:
   quali intendimenti abbia a proposito delle vicende descritte in premesse e se non ritenga di esigere le immediate dimissioni del presidente della Finmeccanica Giuseppe Orsi. (4-18262)


   MANTINI e LIBÈ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza di condanna dei componenti della Commissione grandi rischi a sei anni di reclusione per omicidio colposo in relazione alle vittime del terremoto del 2009 in Abruzzo, ha destato notevole sconcerto ed una vasta eco a livello nazionale ed internazionale ed ha provocato le dimissioni dei membri;
   appare necessario conoscere in modo approfondito le motivazioni della sentenza ai fini di una più ponderata valutazione, nel rispetto delle prerogative proprie della giurisdizione;
   tuttavia il punto di fatto su cui si articola la vicenda, ormai ben nota e nel dettaglio ricostruita nelle fonti giornalistiche, consiste in sostanza nel difetto di comunicazione scaturita dalla, riunione della Commissione grandi rischi, il giorno 31 marzo 2009 in L'Aquila, che è apparsa «rassicurante» circa i rischi connessi allo sciame sismico in atto, a fronte di una notevole preoccupazione presente nella popolazione, acuita peraltro da annunci allarmistici di un ricercatore locale;
   risulta altresì che l'allora Capo della protezione civile, Guido Bertolaso, abbia indicato l'opportunità di tale riunione allo scopo specifico di rassicurare la popolazione da parte della Commissione onde evitare allarmismi che, tuttavia, alla luce dei tragici fatti, non possono essere definiti inutili o infondati;
   sulla base dei fatti noti risulta che la condotta nella circostanza tenuta dalla Commissione grandi rischi della protezione civile, al di là di ogni valutazione di rilievo penale su cui possono sussistere fondati dubbi, sia stata non adeguata alle circostanze, che avrebbero imposto un maggior grado di oggettività e di trasparenza sui rischi realmente possibili sulla base delle migliori conoscenze scientifiche, al fine di consentire scelte e comportamenti individuali responsabili;
   la questione della corretta e trasparente comunicazione istituzionale nelle situazioni di grave rischio per l'incolumità delle popolazioni, in condizioni di pericoli derivanti da terremoti in atto o previsioni di calamità naturali, è di grande delicatezza e attualità e dovrebbe, ad avviso degli interroganti, essere oggetto di precisi protocolli disciplinari, nel rispetto dell'autonomia scientifica e dei principi di tutela dell'incolumità dei cittadini;
   una ragionevole soluzione di questo tema dovrebbe essere alla base della nuova Commissione grandi rischi, indispensabile al Paese, prevedendo una più netta distinzione tra responsabilità politiche e tecniche –:
   con riferimento ai fatti esposti, quali iniziative o misure intenda assumere per garantire i migliori standard di correttezza, completezza e veridicità della comunicazione istituzionale in relazione a gravi situazioni di calamità o pericolo per le popolazioni e quali misure intenda adottare con urgenza per garantire al Paese la piena efficienza della Commissione grandi rischi, indispensabile riferimento delle attività di prevenzione.
(4-18269)


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   sul sito web de il Fatto Quotidiano è pubblicato uno scritto di Alessio Liberati del 20 ottobre 2012 dal titolo «Patroni Griffi faccia chiarezza»;
   nello scritto si legge «[...] Infine, non da ultimo, il motore di ricerca della giurisprudenza risulta «in manutenzione», mentre pare sia invece accessibile e ben funzionante, ma solo attraverso la rete intranet dei giudici del TAR e del Consiglio di Stato. Un peccato, visto che in base a tale banca dati (cui il pubblico ha avuto accesso sino a due anni fa) è stato possibile, ad esempio, riscontrare che l'avvocato Carlo Malinconico, coinvolto nelle intercettazioni della cosiddetta cricca, mentre difendeva alcuni consiglieri di Stato (Roberto Giovagnoli e Raffaele Greco) vedeva le proprie cause decise proprio da tali magistrati, uno dei quali si è difeso dicendo che non era la prima volta che ciò accadeva (mal comune...). Quali altri consiglieri di Stato hanno deciso le cause del proprio avvocato difensore, in pendenza di mandato? Appena verrà ripristinato il «motore di trasparenza» (recte: motore di ricerca) potremo scoprirlo. Ma, nel frattempo, non sarebbe il caso che il ministro Patroni Griffi stimolasse la sua stessa amministrazione di appartenenza (il Consiglio di Stato, che è istituzionalmente preposto... a controllare il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni) a fare maggiore chiarezza sulle vicende che la riguardano! [...];
   consta agli interroganti che, invero, il motore di ricerca citato risulta da tempo in manutenzione –:
   se sia a conoscenza dei fatti narrati nello scritto in premessa e se i citati Consiglieri di Stato siano ancora in servizio, con quali mansioni e quali eventuali iniziative intenderà adottare in relazione ai predetti fatti;
   quali siano le ragioni di una prolungata attività manutentiva e quali le immediate iniziative per ripristinare l'efficienza del motore di ricerca. (4-18270)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta orale:


   VOLONTÈ. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la sezione italiana della scuola internazionale di Strasburgo esiste sin dal 1979 sulla base di un accordo tra Italia e Francia;
   i maestri e professori, provenienti da tutta Italia sono direttamente nominati e pagati dal Governo italiano;
   attualmente sono circa 200 gli studenti che frequentano la sezione italiana, i quali per poter accedere ad ogni grado di scolarità devono superare un rigido esame di ammissione in italiano;
   il ciclo di studi si conclude con una doppia maturità, francese ed italiana. Tale doppio diploma permette ai ragazzi di poter facilmente tornare in Italia per frequentare l'università;
   il 31 agosto 2012 la direttrice della scuola è stata informata dal consolato italiano di Metz della decisione di sopprimere il posto dell'insegnante di italiano del liceo;
   la situazione è particolarmente preoccupante soprattutto per quei ragazzi che quest'anno dovranno preparare la maturità ma anche per gli altri studenti dei diversi livelli della scuola che non avrebbero più la possibilità di proseguire il ciclo di studi intrapreso e di ottenere un diploma di maturità italiana –:
   se non ritenga di adottare ogni utile iniziativa volta a trovare una soluzione per evitare che il futuro della scuola internazionale di Strasburgo possa essere compromesso. (3-02559)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della provincia di Cuneo è stato oggetto di intense precipitazioni piovose nei mesi dell'aprile e maggio 2009. Tali eventi hanno causato notevoli smottamenti, che hanno interessato in numerosissimi casi la viabilità, ivi compresa quella comunale;
   particolarmente colpiti risultano, in questo senso, i piccoli comuni di collina e montagna, ancor più soggetti al dissesto idrogeologico e con la grave e cronica carenza di risorse per farvi fronte;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha stipulato un accordo di programma con la provincia di Cuneo, al fine di porre rimedio alle situazioni venutesi a creare. Per tale accordo sono stati stanziati circa 14 milioni di euro a valere su tutto il territorio provinciale;
   per la gestione di questa liquidità è stata nominata un'autorità commissariale, che ha verificato la fondatezza e l'urgenza delle richieste pervenute, decretando – per alcuni casi – la necessità dell'inizio dei lavori;
   il comune di Niella Tanaro (CN) ha segnalato la situazione, particolarmente grave, in cui versa un tratto di strada comunale, di servizio al Cimitero, che risulta essere fortemente compromessa per la presenza di cedimenti strutturali a monte ed a valle della carreggiata;
   la citata strada comunale risulta di fondamentale importanza per il servizio cimiteriale, essendo accesso privilegiato allo stesso cimitero comunale, altrimenti impossibile da raggiungere se non allungando di chilometri il percorso;
   la presenza dei cedimenti strutturali non potrà che peggiorare dal momento che si sta avvicinando la stagione più piovosa dell'anno, nonché per l'avvicinarsi della stagione invernale portatrice di intense nevicate nelle valli montane e collinari del cuneese;
   il comune di Niella Tanaro ha inoltrato richiesta di contributo, sulla base dell'Accordo di Programma di cui sopra. Contributo che risulta stanziato per un totale di euro 400.000,00 con decreto del commissario straordinario n. 003 del 21 dicembre 2011, proprio per l'esecuzione dei lavori di ripristino e messa in sicurezza di detta carreggiata stradale;
   sulla base di tale stanziamento, il comune di Niella Tanaro ha già provveduto ad affidare la progettazione dei lavori, approvato il progetto preliminare, verificato la progettazione definitiva e rilasciato l'apposita autorizzazione paesaggistica;
   a tutt'oggi, non risulta nessun tipo di assegnazione da parte dell'autorità commissariale, nonostante quanto sopra esplicato, rendendo quindi vana la celere attività dell'amministrazione comunale e, soprattutto, rimandando in maniera inesorabile l'esecuzione di lavori non più procrastinabili;
   la mancata assegnazione delle risorse previste, potrebbe portare alla chiusura, permanente, della strada non potendo il sindaco garantire l'incolumità delle vetture e dei pedoni –:
   quale sia la reale situazione dello stanziamento di 14 milioni di euro a favore del territorio cuneese;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per lo sblocco di tale stanziamento e la relativa assegnazione agli enti locali dei contributi richiesti;
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per sbloccare l’iter di assegnazione delle risorse, peraltro già confermate con decreti dell'autorità commissariale;
   se non intenda intervenire con urgenza per affrontare prioritariamente le situazioni in cui rischiano di essere compromessi servizi e diritti essenziali, che debbono essere garantiti senza interruzione. (4-18268)

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VERINI, VILLECCO CALIPARI, CONCIA, COSCIA, D'ANTONA, MELANDRI, MOGHERINI REBESANI, MORASSUT, PEDOTO, TOUADI, MADIA, CAUSI e CARELLA. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come illustrato nell'atto di sindacato ispettivo 5-06561 del 4 aprile 2012, a seguito dell'esito dei bandi per l'affidamento dei servizi finanziati dal fondo comunale della città di Roma, la gran parte delle associazioni e cooperative sociali attive da oltre vent'anni nel campo delle tossicodipendenze sono state escluse dai fondi o fortemente ridimensionate per far posto a nuovi soggetti: soggetti che le; associazioni ritengono non avere un curriculum adeguato nel settore delle tossicodipendenze e denunciano essere strettamente collegati con alcuni esponenti politici dell'amministrazione Capitolina;
   sulla vicenda, le associazioni e le cooperative di cui sopra, riunite nel Cnca, hanno presentato un dossier di denuncia nel marzo 2012, anche a seguito del quale sono state presentate diverse interrogazioni parlamentari e consiliari;
   si tratta di cooperative e associazioni, che per anni hanno collaborato nella gestione dei servizi per le dipendenze con il comune di Roma garantendo professionalità, rapporto positivo con l'utenza, riconoscimenti dalla rete dei servizi pubblici e privati del territorio, e che sarebbero, in base a quanto accaduto, improvvisamente diventate incapaci di ottenere il minimo risultato in una gara pubblica: motivo, quest'ultimo, che pone legittimi interrogativi e suscita preoccupazione circa l'esito dei bandi;
   la cooperativa Il Cammino, in particolare, gestisce da oltre 25 anni il Centro diurno Roma Nord e la comunità terapeutica per tossicodipendenti di Città della Pieve: un'esperienza che costituisce un vero patrimonio della città di Roma, un'esperienza di grande valore nata sulla spinta delle «madri di Primavalle», sostenuta dall'amministrazione comunale guidata da Luigi Petroselli e da tutte le amministrazioni succedutesi e che ha visto riconosciuto dalla comunità scientifica il proprio modello di intervento residenziale per il recupero di individui con problemi di dipendenza;
   a conferma di quanto sopra descritto, si rileva come, nonostante il ritiro dei bandi del febbraio 2011 e il successivo annullamento in autotutela degli esiti avvenuto a marzo 2012, il 5 ottobre 2012 l'Agenzia capitolina sulle tossicodipendenze abbia pubblicato la graduatoria emersa dal lavoro delle nuove commissioni nominate, che non solo registra di nuovo perdenti la fondazione Villa Maraini e le cooperative Parsec e Il Cammino, ma a quest'ultima assegna un punteggio addirittura inferiore ai 60 punti: il minimo previsto per essere adeguati a gestire una delle strutture di recupero per tossicodipendenti messe a bando;
   a giudizio degli interroganti è alquanto singolare che alla cooperativa il Cammino, venga assegnato un punteggio pari a 56/100, che le impedisce addirittura l'ingresso in graduatoria, così come era parso strano che nel marzo scorso, tutte le realtà con pluridecennale esperienza afferenti al CNCA Lazio risultassero tagliate fuori dagli esiti dei bandi riemessi ad agosto 2011;
   quanto sta accadendo ha ripercussioni enormi sul futuro degli utenti in carico e su quello degli operatori che lavorano nelle cooperative –:
   il Governo non ritenga opportuno, qualora non lo abbia già fatto, di dover attivare l'Osservatorio di cui al comma 7 dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza» al fine di acquisire elementi informativi sulla situazione descritta in premessa e se, per quanto di competenza, non ritenga oramai improcrastinabile promuovere iniziative normative che ripensino, nel suo complesso la rete delle Agenzie sulle tossicodipendenze, al fine di gestire nel modo più efficiente possibile le, risorse, già scarse, necessarie alla realizzazione degli interventi. (5-08242)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 1989 a Manerbio (Brescia), Monia Del Pero, diciannovenne di Offlaga (Brescia), venne uccisa dal suo ex fidanzato, Simone Scotuzzi;
   l'omicida, reo confesso del fatto, fu condannato alla pena della reclusione di undici anni e otto mesi, più tre mesi di libertà vigilata, questi ultimi eliminati in sede di processo di appello;
   si è appreso nei giorni scorsi, sia da media locali che nazionali, che i genitori di Monia, il signor Adriano e la signora Giliola, hanno ricevuto da Equitalia una richiesta di 2.000 euro per il deposito della sentenza con cui venne condannato l'assassino della figlia;
   i genitori di Monia hanno denunciato l'assurdità della richiesta e preannunciato di voler ricorrere al Tar e alla Corte di giustizia europea, al fine di ricevere un trattamento equiparato, dal punto di vista dei risarcimenti, a quello delle vittime della mafia e del terrorismo;
   a giudizio della richiedente l'intera vicenda si connota come un'offesa alla dignità e alla pietà, oltreché una lesione dei principi garantiti dall'articolo 2 della nostra Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea –:
   se sia intenzione dei ministri interrogati intervenire al fine di proporre modifiche all'attuale sistema – regolato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 – in base al quale l'ente di riscossione, per le spese di registrazione degli atti giudiziari, si può rivalere su entrambe le parti in causa, seguendo il criterio della solidarietà debitoria e non quello della soccombenza, come invece avviene per le spese di giudizio;
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative urgenti, ognuno per quanto di propria competenza, intendano adottare nel caso dei coniugi Del Pero, al fine di porre rimedio a questa paradossale vicenda. (4-18263)


   COSTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2011, a partire dal mese di ottobre si è svolto il 15o censimento generale della popolazione e delle abitazioni, istituito con apposita normativa e gestito dall'ISTAT;
   i rilevatori incaricati di tale censimento sono stati scelti, sulla base della circolare ISTAT n. 6 del 21 giugno 2011, da parte dei comuni interessati;
   gli incarichi sono assimilabili a contratti di prestazione di lavoro autonomo occasionale, per il quale è pattuito sia il compenso sia la durata temporale, da svolgersi con mezzi propri secondo le direttive nazionali e dell'ufficio comunale del censimento;
   il compenso pattuito deve essere versato in diverse tranche, attraverso l'emissione di assegni non trasferibili intestati ai rilevatori stessi;
   si sono verificati alcuni casi ove i rilevatori nulla hanno, a tutt'oggi, percepito;
   i signori M.M. e G.R., rilevatori del comune di San Michele Mondovì (CN), non solo non hanno ricevuto il compenso ma hanno scoperto che gli assegni loro intestati sono stati falsificati e pagati in una filiale bancaria diversa da quella indicata, nella città di Napoli;
   se con riferimento al pagamento degli assegni bancari non trasferibili a persone diverse dagli intestatari, siano state avviate indagini;
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano assumere per pagare sollecitamente il compenso previsto ai signori sopra citati, che hanno svolto il loro lavoro senza, ad oggi, essere retribuiti.
(4-18264)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il segretario generale della UIL Penitenziari Eugenio Sarno, il 15 novembre 2010, ha visitato – assieme ad una delegazione di quadri sindacali provinciali e locali – la casa circondariale di Ancona «Montacuto»;
   dalla visita è scaturita una dettagliata relazione sulle condizioni dell'istituto che è stata inviata, fra gli altri, al capo del Dap Franco Ionta;
   nella relazione sono descritte le criticità che si riportano di seguito;
   l'istituto penitenziario è ubicato in zona periferica, in aperta campagna, della città di Ancona. I dipendenti, i visitatori ed i familiari dei detenuti non possono disporre di idoneo parcheggio. L'area predisposta dall'amministrazione comunale, infatti, non solo è sconnessa quanto insufficiente alla bisogna. Ciò determina il parcheggio delle autovetture a fronte strada, elevando pericolosamente i rischi di incidenti (già molto concreti causa l'assoluta mancanza di persuasori, limitatori, abbattitori di velocità). L'uscita, quindi l'accesso, dall'istituto dà direttamente sulla strada, che è piuttosto frequentata e percorsa a velocità sostenute. Considerati gli ampi spazi interni e perimetrali di cui può disporre l'istituto, si potrebbe consentire il parcheggio, in tali aree, delle autovetture dei dipendenti ovviando al parcheggio a fronte strada;
   Il block house è costituito da una struttura in alluminio anodizzato e vetri che non garantiscono protezione antiproiettile. L'unica unità addetta a tale posto di servizio (preposta solo nel turno mattinale di 7.40 – 15.40) deve gestire le entrate e le uscite degli accessi nonché provvedere alla tenuta ed alle annotazioni manuali di circa una decina di registri (ingresso personale, ingresso visitatori, ingresso medici ed infermieri, ingresso automezzi, ingresso ditte, tenuta vaglia, manutenzione depuratore, ingresso familiari colloqui);
   negli orari pomeridiani e notturni l'ingresso in istituto avviene attraverso un cancello carraio comandato dalla (unica) unità in servizio alla portineria centrale, che non può nemmeno giovarsi dell'ausilio di tele-sorveglianza in quanto tale accesso è sprovvisto di telecamere. Analogamente non può avvalersi di un video citofono, installato solo al block house;
   nelle immediate vicinanze dell'ingresso si staglia la palazzina della direzione, al cui piano terra è collocata una ipertecnologica sala-regia i cui costi di realizzazione, ci è stato riferito, sono stati piuttosto ingenti. Purtroppo, nonostante l'impegno di spesa, tale posto di servizio è pressoché costantemente privo di personale preposto. Anche nella data della visita, infatti, in orario antimeridiano non vi era alcuna unità di servizio. A questo punto è lecito chiedersi se non sia il caso, visto lo scarso impiego, di smantellare la sala regia a Montacuto per destinarla in altro istituto dove, certamente, troverebbe maggior, e più utile, utilizzazione;
   le autovetture e gli automezzi del Corpo sono parcheggiati in aree esterne, non essendovi disponibile alcun garage o riparo. Ciò in una zona particolarmente umida e fredda non può che favorirne il deperimento;
   la portineria centrale funge anche da porta carraia (non potendo garantire il presidio della vera carraia, dalla quale transitano solo mezzi pesanti). Non si è riscontrato alcun impianto di estrazione dei fumi o di aerazione. L'unità (unica) in servizio nei vari turni deve gestire anche il centralino;
   nei locali della portineria sono presenti anche il posto di scarico per le armi individuali e di reparto, le casseforti con le armi di reparto e gli alveari per il deposito delle armi individuali. Particolare da sottolineare: i locali dove si custodiscono le armi hanno le porte (in alluminio) la cui automazione è guasta e pertanto sono sempre aperte, benché si trovino sul percorso pedonale che i visitatori ed i familiari che accedono ai colloqui debbono attraversare;
   per quanto riguarda i colloqui, si è potuto rilevare come i pacchi non siano sottoposti ad alcun controllo preventivo se non solo all'arrivo nei locali del rilascio e della perquisizione. Ciò determina che i pacchi attraversino aree sensibili (block house, portineria centrale e locali rilascio colloqui) senza alcun controllo. Tra l'altro lo scanner adibito al controllo elettromagnetico è guasto e le ispezioni debbono effettuarsi in forma manuale. Le sale colloqui presentano ancora il muretto divisorio, ma senza vetro. Il posto di controllo della polizia penitenziaria non dispone di vetri a specchio e non garantisce una virale sufficientemente completa degli ambienti. Di contro la scrivania colà posta è dotata di due monitor assolutamente obsoleti e non funzionanti;
   attraversata la portineria centrale si accede alle aree interne dell'istituto, da cui si fa ingresso ai reparti detentivi. Si è potuto rilevare la presenza di un fabbricato completamente autonomo che in tempi trascorsi era destinato a sezione femminile. Ora destinato ad archivio cartaceo del PRAP;
   i reparti detentivi maschili sono ubicati in una struttura ad «L» a tre piani. Le sezioni sono sei: due destinate agli AS, una di reclusione, tre circondariali. Nelle vicinanze del corridoio-uffici al piano terra della predetta palazzina è attiva anche una sezione protetta dove sono, promiscuamente, ospitati detenuti particolari (sex offender, appartenenti al circuito Z e persino un AS1 protetto). L'unità addetta alla sorveglianza è anche preposta al controllo dei passeggi. In questa sezione (come in tutte le altre) il personale non può disporre di alcun box office e deve accontentarsi (sic!) di un tavolino e di una sediola collocati nel bel mezzo del corridoio. Così come, causa il sovrappopolamento, la sezione isolamento (circa 12 posti) è stata destinata a sezione ordinaria. Nonostante ciò in più di una occasione è stato impossibile garantire una adeguata sistemazione a tutti i detenuti, costretti (in qualche occasione) anche a dormire con i materassi a terra;
   la conformazione strutturale dei reparti detentivi presupporrebbe come minino la predisposizione di una unità ad ogni «rotonda» su ciascun piano e almeno una unità per reparto. Invece, quando va bene, le unità sono solo due (una per reparto). Le cosiddette «rotonde» (in cui sono collocati i comandi remoti dei cancelli) altro non sono che strutture in alluminio, molto più prossime a verande condominiali che ad adeguati e dignitosi posti di servizio destinati a personale di un Corpo di polizia;
   descrivere le condizioni strutturali generali dell'istituto è già di per se impresa improba; descrivere lo stato delle sezioni detentive è opera titanica. Le infiltrazioni, le muffe, le alghe, le pareti, scrostate, il degrado, l'incuria e l'abbandono sono i tratti caratteristici di Ancona Montacuto. La sintesi dell'inciviltà e della decadenza generale trovano il punto apicale alla sezione. Il soffitto di tale sezione è simile ad una groviera, tanti sono i buchi determinatisi dalla caduta di pezzi di intonaci e dei mattoni causati dalle infiltrazioni. È talmente malmesso che la stessa stabilità del solaio potrebbe essere compromessa. Tutte le sezioni presentano solo 4 piatti docce, assolutamente insufficienti a soddisfare le esigenze complessive di igiene personale (ogni sezione ha circa 70 detenuti). Non sono solo insufficienti ma anche palesemente insalubri;
   i passeggi sono garantiti mediante l'accesso a cinque cortili non propriamente adeguati. In ognuno di tali cortili vi è un bagno con tazza alla turca il cui divisorio è costituito da un'esile muretto. Essendo tutti i cortili collimanti vengono, di fatto, meno le prescrizioni cautelari imposte nei confronti dei detenuti ad alta sicurezza. Nell'atrio di acceso ai passeggi è stato predisposto un locale adibito a moschea;
   l'unica unità di polizia penitenziaria preposta alla vigilanza dei cinque cortili non ha riparo dagli agenti atmosferici, se non sotto il cornicione del solaio da cui, però, spesso cadono pezzi di intonaci e calcinacci vari. Il campo sportivo costituisce praticamente il sesto cortile passeggio. L'accesso è a rotazione quotidiana tra i vari reparti detentivi. Come per i cortili passeggi anche al campo sportivo l'unità di polizia penitenziaria preposta alla sorveglianza non può disporre di alcun riparo;
   al degrado e all'insalubrità non sfugge nemmeno la cucina detenuti. A parte la singolarità per cui si è pensato di ricavare in uno dei locali l'archivio cartaceo della direzione, si è potuto constatare la presenza di muffe, di pareti sudice e scrostate, i pavimenti non sono antiscivolo, e l'attrezzatura non pare adeguata ancor più in ragione della triplicazione delle utenze;
   la lavanderia (controllata dalla stessa unità della cucina detenuti) ha due sole lavatrici (ma una sola è pienamente funzionante) ed un solo asciugatoio. Nei locali in cui sono stoccate lenzuola e coperte non risulta installato alcun impianto antincendio o di rilevazione fumi;
   per la scolarizzazione della popolazione detenuta sono state costituite classi di scuola media nonché corsi professionali di pizzeria, rilegatoria ed informatica;
   alla data della visita erano presenti 397 detenuti, a fronte di una capienza massima regolamentare determinata in 172. I detenuti di nazionalità italiana erano 209, 188 gli stranieri; 98 i detenuti classificati ad alta sicurezza; 136 i detenuti con condanna definitiva, 261 quelli senza condanne definitive (di cui 111 in attesa di 1° giudizio). Ne consegue che nelle celle originariamente destinate ad uso singolo trovano allocazione non meno di tre detenuti con letti a castello multipiano (anche nelle sezioni alta sicurezza) e nelle celle doppie trovano sistemazione non meno di cinque detenuti;
   dal 1° gennaio al 15 novembre si sono verificati 4 tentati suicidi, 42 atti di autolesionismo e 34 atti di aggressione (alcuni dei quali anche in danno di personale della polizia penitenziaria);
   i locali della mensa ordinaria di servizio sono squallidamente disadorni ed il locale spaccio non riesce a garantire un piena funzionalità del servizio, dovendo gli addetti sopperire e surrogare in altri compiti e servizi;
   il contingente di polizia penitenziaria previsto dal relativo decreto ministeriale è indicato in 201 unità. Al 15 novembre 2010 risultavano amministrate 184 unità, di cui solo 131 effettivamente presenti presso la casa circondariale. I distacchi out disposti dal PRAP assommavano a 44 (di cui 14 a Barcaglione e 9 allo stesso PRAP), i distacchi in a 2. I distacchi out disposti dal DAP assommavano a 19 mentre 4 sono i distacchi in. Delle 131 unità presenti 18 sono preposte al locale nucleo traduzioni e piantonamenti, circa 60 a servizi vari (istituzionali o amministrativo contabili) e circa 50 ai servizi propriamente a turno. All'accertata esiguità del contingente effettivamente disponibile (– 70 unità rispetto alla dotazione prevista) si coniuga un impiego ed una utilizzazione delle risorse umane non propriamente in linea con i principi di efficienza, efficacia ed economia. Sei unità di polizia penitenziaria addette all'area conti correnti-sopravitto, tre unità di polizia penitenziaria addette ad uffici contabili, tre unità di polizia penitenziaria addette all'area segreteria, due unità preposte a compiti di autista direzione appalesano una necessità di concertare, urgentemente, una organizzazione del lavoro più improntata a privilegiare l'operatività e la garanzia di poter concedere a tutto il personale i diritti elementari. Una qualche ragione dovrà pur esserci se le giornate di congedo ordinario non goduto nel triennio 2008/2010 assommano a ben 8.100 e sono circa 80 i riposi settimanali non concessi nei tempi previsti. D'altro canto anche le sole sei (al massimo sette) unità di polizia penitenziaria che, quotidianamente, sono preposte ai servizi notturni in un istituto che conta circa 400 detenuti (di cui 100 alta sicurezza) è un fattore che amplia i già evidenti vulnus di sicurezza riscontrati e rappresentati. Lo stesso accordo quadro nazionale non trova puntuale applicazione per quanto concerne l'equità dei turni festivi, dei carichi di lavoro e delle pari opportunità. È desumibile che la presenza di un Comandante in missione (da circa tre anni) non realizzi quelle necessarie condizioni di stabilità e continuità utili a definire un impianto organizzativo funzionale e rispondente alle necessità. Pur disponendo nell'organico di tre funzionari, infatti, al reparto di polizia penitenziaria della casa circondariale di Ancona Montacuto è preposto un ispettore superiore S.C. proveniente dalla casa circondariale di Pesaro. Le funzioni di Vice Comandante sono assolte da un Ispettore anche se nell'organico effettivo sono presenti tre ispettori capo e due ispettori superiori. Ad aggravare le già oggettive condizioni penalizzanti dell'esiguità dell'organico, concorre anche la mole di lavoro cui è sottoposto il nucleo traduzioni e piantonamenti. Dal 1° gennaio al 15 novembre 2010, il predetto nucleo traduzione e piantonamenti ha svolto 1021 servizi di traduzione per un totale di 1.854 detenuti movimentati (1.522 comuni, 8 internati, 315 alta sicurezza, 3 detenuti sottoposti al 41-bis, 2 congiunti di collaboratori e 4 collaboratori di giustizia). 383 le visite ambulatoriali e 15 i piantonamenti effettuati presso luoghi esterni di cura. A dimostrazione dell'insufficienza delle risorse assegnate al NTP e quanto incida il servizio traduzioni e piantonamenti nell'economia operativa complessiva basti pensare che per i servizi summenzionati sono state impiegate 3962 unità: 2410 del nucleo (60 per cento, 986 del quadro permanente (24 per cento e 566 provenienti da altri istituti (16 per cento). Per i 15 piantonamenti sono state impiegate 363 unità di cui: 181 del Nucleo (49,8 per cento) e 182 del quadro permanente (50,2 per cento). Per quanto sopra appare evidente che la casa circondariale di Ancona Montacuto non solo è inadeguata ad ospitare detenuti diversi da quelli comuni a medio indice di pericolosità quanto dovrebbe essere interessata da importanti interventi di manutenzione straordinaria atti a ripristinare salubrità e condizioni di sicurezza per i lavoratori e gli stessi detenuti;
   la relazione così si conclude: «in relazione all'organizzazione del lavoro e della mancata osservanza dell'accordo quadro nazionale la presente, per la direzione e il provveditore regionale, costituisce formale richiesta di convocazione delle rappresentanze sindacali per i necessari confronti concertativi e di contrattazione decentrata. Come al solito questa nota sarà inviata, per doverosa notizia e quanto di competenza, al sindaco, al prefetto, al D.G. dell'A.S.U.R. ed al signor procuratore capo della Repubblica e costituirà fonte di notizia per la stampa»;
   nell'atto di sindacato ispettivo n. 4/09154 la delegazione radicale nel gruppo parlamentare del PD sottolineava il fatto che, dall'inizio dell'anno, tre detenuti giovani e non affetti da particolari patologie fossero morti nel carcere anconetano –:
   cosa intenda fare per affrontare le gravi carenze del carcere di Ancona denunciate dal Segretario della UIL penitenziari Eugenio Sarno e, in particolare, i problemi riguardanti la sicurezza, la fatiscenza delle strutture, la sovrappopolazione detentiva, la gravissima carenza del personale della polizia penitenziaria che si confronta con i tanti distacchi effettuati dal DAP. (5-08182)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sull'agenzia ANSA del 25 novembre è apparsa la notizia del tentato suicidio di Diego Calì, 57enne, siciliano, rinchiuso nel carcere di Badu ’e Carros (Nuoro) per associazione mafiosa;
   il pronto intervento dei poliziotti penitenziari in servizio in quel momento nella sezione EIV (elevato indice di sorveglianza) è riuscito a salvare la vita all'uomo;
   Calì aveva tentato il suicidio anche sei mesi fa. Imprenditore con l'appoggio di Cosa nostra, secondo gli inquirenti Calì voleva acquisire il monopolio del racket del caro estinto, ed era stato arrestato, con l'accusa di associazione mafiosa, dai carabinieri di Caltanissetta, il 28 febbraio 2010 –:
   di quali informazioni dispongano circa i fatti riferiti in premessa;
   su quale supporto psicologico potesse contare il detenuto prima di cercare di togliersi la vita, visto che lo stesso aveva tentato il suicidio già qualche mese prima;
   a quali trattamenti medico-sanitari sia stato sottoposto Diego Calì dopo quest'ultimo tentativo di suicidio;  
   se intendano, negli ambiti di rispettiva competenza, aprire una indagine amministrativa interna al fine di verificare se nei confronti del detenuto fossero state messe in atto tutte le misure di supporto e sostegno psicologico e se lo stesso fosse sottoposto a una continua vigilanza dopo il primo tentativo di suicidio. (5-08184)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Francesco Molinaro, segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria ha denunciato la situazione di assoluta invivibilità in cui versa il carcere calabrese di Lamezia Terme;
   all'interno del predetto istituto di pena vi sono nove persone rinchiuse in una sola cella per 20 ore al giorno. Tutti affollati su tre letti a castello, intorno a un tavolino in un corridoio stretto, e con un bagnetto;
   nel carcere di San Francesco vi sono 90 detenuti e 20 agenti penitenziari attivi nei corridoi, altri 10 negli uffici amministrativi. Ma l'istituto potrebbe ospitare massimo 50 persone, e dovrebbe essere dotato di un agente per ognuno di loro;
   secondo gli esponenti del SAPPE, «il carcere lametino è interessato da tempo da un notevole sovraffollamento se si considera che la capienza regolamentare è di 30 posti e quella tollerabile di 50, mentre i detenuti oscillano dagli 80 ai 90, determinando una percentuale di sovraffollamento tra le più alte d'Italia. C’è un solo sovrintendente in servizio per turno perché tanti agenti sono distaccati altrove, e diversi non si trovano al lavoro per motivi di salute, e presto potrebbero andare in prepensionamento. Personale ridotto significa anche, secondo il sindacato, che c’è un solo agente donna e quando c’è l'accesso al carcere dei familiari dei detenuti bisogna fare ricorso a dipendenti di supporto che arrivano da altre sedi. Manca anche un educatore, ogni tanto ne arriva uno che deve far fronte alle richieste di 90 detenuti. La situazione obbliga il personale ad effettuare gravose ed estenuanti turnazioni di lavoro, senza che possano essere assicurate adeguate condizioni di sicurezza nella struttura penitenziaria» –:
   come il Governo intenda intervenire per:
    a) superare la situazione come sopra evidenziata e ricondurre il numero dei detenuti entro i limiti imposti dalla capienza regolamentare dell'istituto;
    b) ripristinare adeguate condizioni logistiche e organizzative, nonché un numero adeguato di agenti di polizia penitenziaria nel penitenziario di cui sopra, onde preservare legalità e sicurezza.
(5-08185)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'agenzia di stampa ANSA del 25 novembre 2010 ha battuto la seguente notizia: «Campobasso: prima di morire chiede di rivedere la figlia detenuta a Torino ma le negano il permesso»;
   l'agenzia di stampa riporta il disperato appello del padre di una trentenne molisana rinchiusa nel carcere a Torino per furto e alla quale è stato negato di poter rivedere per l'ultima volta il padre che è in fin di vita. L'uomo, che è malato di tumore, dopo essere stato ricoverato in ospedale è tornato a casa, a San Polo Matese (Campobasso), con un verdetto, quello dei medici, che non lascia speranze;
   la trentenne, che finirà di scontare la sua pena nel prossimo mese di marzo, ha presentato istanza alla direzione carceraria per vedere anche per una sola ora il padre, ma si è sentita negare il permesso; ha deciso quindi di ricorrere non solo al magistrato di sorveglianza, ma di presentare anche un esposto al garante per i diritti dei detenuti –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   per quali motivi sia stato negato alla figlia il permesso di vedere per l'ultima volta, anche solo per un'ora, il padre morente;
   se intenda avviare una indagine amministrativa interna per appurare l'eventuale esistenza di profili di illegittimità nel comportamento del direttore del carcere. (5-08186)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sull'agenzia di stampa AGI del 25 novembre 2010 sono stati riportati ampi stralci della drammatica lettera-denuncia scritta dalla madre siciliana di un detenuto di 40 anni, ristretto nel carcere di Nuoro, che non vede il figlio da due anni non avendo la possibilità, per problemi di salute e per motivi economici, di affrontare il viaggio per raggiungere Nuoro;
   la donna, ammalata, si è rivolta alle massime autorità dello Stato, al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al tribunale di sorveglianza, al garante dei detenuti del comune di Nuoro ed all'associazione Socialismo diritti e riforme;
   nella lettera-denuncia è scritto quanto segue: «Mio figlio, ergastolano, detenuto a Bad'e Carros, ha iniziato lo sciopero della fame il 27 ottobre per protestare contro l'amministrazione penitenziaria in quanto, dopo 20 anni di carcere, non è ancora riuscito, nonostante le numerose richieste, ad ottenere un trasferimento che gli permetta di avvicinarsi alla famiglia. Per punizione gli è stata tolta la cella singola a cui ha diritto e in seguito a una sua crisi è stato trattato in maniera disumana nonostante fosse debilitato dalla prolungata astinenza dal cibo. Sono molto preoccupata per le sue condizioni. Mio figlio è stato tenuto in una cella di isolamento priva di qualsiasi servizio ed è stato trattato come un animale. È stato visitato dal medico che gli ha riscontrato numerose ecchimosi e contusioni»;
   sulla vicenda Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione Socialismo diritti e riforme, ha dichiarato: «È un episodio preoccupante, a conferma dell'assoluta incompatibilità del detenuto con il carcere di Bad'e Carros. In venti anni di detenzione, l'uomo, padre di due figlie e nonno di un nipotino, ha girato numerosi carceri della penisola senza mai usufruire di un permesso. Ristretto a Bad'e Carros dal gennaio 2010, nel luglio scorso, si è rivolto al Dap chiedendo il trasferimento in un istituto penitenziario dove poter intraprendere un percorso professionale e didattico. La richiesta è purtroppo rimasta senza risposta» –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare al fine di riavvicinare il detenuto alla propria famiglia;  
   se corrisponda al vero la circostanza che al detenuto in questione sia stata tolta la cella singola come forma di punizione a causa del suo sciopero della fame condotto per protestare contro il mancato trasferimento;
   se corrisponda al vero il fatto che il detenuto in questione sia stato tenuto in una cella di isolamento priva di qualsiasi servizio;
   sei il medico del carcere di Nuoro abbia effettivamente riscontrato ecchimosi e contusioni sul corpo del detenuto;
   se non ritenga opportuno aprire un'indagine amministrativa interna al fine di appurare se il trattamento al quale è stato sottoposto il detenuto in questione sia conforme alle norme dell'ordinamento penitenziario. (5-08187)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 14 novembre 2010, l'interrogante è tornata a visitare il carcere di Favignana (TP) accompagnata dai referenti in Sicilia di Radicali italiani Donatella Corleo (Palermo) e Gianmarco Ciccarelli (Catania);
   la precedente visita si era svolta il 16 agosto 2010 nell'ambito dell'iniziativa Ferragosto in carcere e aveva dato luogo al deposito dell'atto di sindacato ispettivo n. 4-08506 presentato in data 8 settembre 2010 (con sollecito il 12 ottobre 2010), a tutt'oggi rimasto senza risposta;
   le ragioni della seconda visita originano da alcune segnalazioni ricevute a proposito di un ulteriore indurimento dell'atteggiamento punitivo della direzione nei confronti dei detenuti che il 16 agosto avevano risposto alle domande della presentatrice del presente atto in merito alle condizioni di vita nell'istituto;
   il 14 novembre, la delegazione è ricevuta e accompagnata dal sovrintendente di polizia penitenziaria Pino Buggea;
   i ristretti presenti sono 122 (70 detenuti e 52 internati) ai quali si aggiungono due semiliberi; altri 5 internati sono in licenza sperimentale e il loro rientro nella struttura è previsto a giorni;
   nella casa di lavoro è presente un numero consistente di internati affetti da patologie di tipo psichiatrico; anche i tossicodipendenti sono molti (gli agenti ammettono: «almeno 25 internati dovrebbero andare in una comunità di recupero»);
   l'organico di polizia penitenziaria effettivamente in servizio si conferma fortemente carente;
   dal punto di vista strutturale le condizioni del carcere continuano ad essere oltremodo fatiscenti, assolutamente inadeguate ad ospitare esseri umani;
   un nuovo istituto penitenziario capace di ospitare 128 persone, ubicato a poche centinaia di metri, è ancora in fase di collaudo, nonostante la consegna fosse prevista per il 30 giugno 2010; «ma sarà impossibile renderlo funzionante con l'attuale numero di agenti di polizia penitenziaria», sottolineano gli stessi agenti;
   nel quarto reparto (internati), nella cella n. 1, che a sua volta si compone di 3 piccole cellette senza finestra (i cosiddetti «cubicoli»), sono ristrette 6 persone;
   A.G., residente a Castellammare di Stabia (Napoli) è all'interno della struttura da circa 6 mesi, lamenta di non aver mai usufruito di una licenza e di non aver ancora avuto la «relazione di sintesi»; A.G. ha quattro figli, il più piccolo dei quali è nato lo scorso 8 settembre («è venuta a Favignana mia moglie con il neonato, altrimenti non lo avrei nemmeno visto»);
   S.C, residente a Nettuno (Roma) deve essere operato alla tiroide; racconta di essere stato per 9 mesi nel centro clinico del carcere di Messina, in cui il chirurgo gli avrebbe confermato la assoluta necessità e urgenza di procedere all'intervento; S.C. aggiunge: «il ministero, in un primo tempo, mi aveva detto che potevo andare ad operarmi al centro clinico di Pisa, dove ho già fatto esami ed analisi; io sto veramente male, perché non mi ci mandano?»;
   G.R., proveniente da Marcianise (Caserta), all'interno della struttura da circa 17 mesi, lamenta di non aver mai potuto beneficiare di una licenza; lamenta, inoltre, un grave ritardo nell'assistenza sanitaria: «ho dei polipetti alla gola, per avere una visita di controllo ho dovuto attendere un anno»;
   un'altra persona lamenta: «l'educatore non si vede mai, e il magistrato di sorveglianza è a Palermo!;
   la cella n. 2 è chiusa per lavori di ristrutturazione;
   nell'ottavo reparto, la cella n.1 ospita 4 internati; «fino a poco tempo fa qua dentro eravamo in 9», sottolineano gli internati; la cella si presenta in condizioni strutturali pessime; sui muri sono applicati fogli di giornale per evitare che l'intonaco cada sui letti; il tetto del bagno è in cemento-amianto; gli internati lamentano carenze nel rapporto con gli educatori: «qui non si vedono»; lamentano la carenza di lavoro e la scarsa retribuzione: «la retribuzione massima per i “fortunati” che lavorano è di 160 euro, a cui vanno sottratte le spese di mantenimento»;
   R.A., proveniente da Napoli, afferma di aver terminato il 26 giugno 2010 l'anno di internamento che era stato disposto nei suoi confronti e lamenta il fatto che non gli sia stato notificato alcun provvedimento: «sarei dovuto rimanere solo un anno, ma sto qui da un anno e mezzo e non mi hanno mai notificato niente»;
   G.D.M afferma di non fare un colloquio con i familiari da 7 mesi; ha cinque figli che vivono a Salerno e vorrebbe essere trasferito in una casa di lavoro meno distante dalla sua famiglia; G.D.M lamenta gravi carenze nell'assistenza sanitaria: «ho seri problemi cardiaci e ho perso l'occhio sinistro a causa di un incidente stradale, chiedo assistenza da 4 mesi ma qui non mi curano e rischio di perdere anche l'altro occhio; ho un'invalidità dell'80 per cento non ce la faccio più a soffrire così»;
   M.F., proveniente da Cosenza, racconta: «ho cominciato a fare uso di sostanze stupefacenti a 11 anni; ho finito la mia pena nel 2006, sono stato in ospedale psichiatrico giudiziario ad Aversa, lì sono stato legato varie volte, mi hanno anche picchiato...»; M.F. prosegue: «quando sono uscito non avevo dove andare, mio padre e mia madre sono morti, io dormivo sulla spiaggia e camminavo a piedi scalzi, stavo male dal punto di vista fisico e psicologico, sudavo a fiumi»; e aggiunge, iniziando a piangere: «mi sono venuti a prendere il 2 ottobre, mi hanno portato qui senza motivo, ma io ho già pagato i miei conti con la giustizia! Ora sto male, non dormo la notte, ho psicosi cronica e paranoia, sento chiasso in testa, non ce la faccio più»;
   la cella n. 2 ospita 6 persone:
    R.B., residente a Paternò (Catania), lamenta la mancata concessione di licenze: «se non chiudono le relazioni di sintesi per noi è un problema; inoltre, i magistrati di sorveglianza cambiano spesso: in 8 mesi ne ho visti 2; se ci fosse un magistrato di sorveglianza fisso sarebbe meglio». R.B. racconta di aver fatto domanda per andare alcuni giorni a raccogliere le olive nel terreno di suo padre, che è morto; «la mia famiglia è povera, da questa attività avrei potuto ricavare un po’ di denaro per mantenerla»; il magistrato di sorveglianza – a detta di R.B, – non avrebbe acconsentito perché non era stata redatta la relazione di sintesi; in 7 mesi R.B. ha fatto un solo colloquio con la moglie e, aggiunge «devo ringraziare il mio compagno di cella, pure lui della provincia di Catania, che ha fatto portare mia moglie dalla sua famiglia, altrimenti non l'avrei potuta incontrare»;
    i ristretti lamentano che il prezzo di molti articoli del sopravitto è superiore al prezzo di mercato: «i tovaglioli, ad esempio, qui costano 3 euro; se ci consentissero l'invio da parte dei nostri familiari avremmo un risparmio: perché costringere le persone che stanno qua ad acquistare, ad un prezzo più alto, prodotti che fuori costano meno ?»;
    lamentano anche l'inadeguatezza della struttura in cui sono ristretti: «qui siamo all'acqua e al vento»; tutte le celle si affacciano su un cortile-passeggio senza copertura e sono sprovviste di doccia; a detta degli internati, la direzione del carcere non permette l'ingresso di cappotti pesanti;
    nella cella n. 3 sono presenti 5 internati; il bagno non ha il tetto («prima era in amianto», dicono) e come copertura sono state applicate le buste di plastica nere che si utilizzano per la spazzatura, che si prolungano fino a coprire il piccolo piano con il fornello, per evitare cadute di intonaco sullo stesso; anche nella parte bassa della porta d'ingresso della cella è applicata una busta nera («per evitare che entrino piccioni e topi», affermano gli internati); il rapporto con gli educatori è una delle maggiori criticità dell'istituto, a detta degli internati; anche loro lamentano il fatto di non poter indossare un cappotto e mostrano un giubbetto di cotone e la parte di sopra di una tuta: «questi sono i giubbotti più caldi che abbiamo!»; anche loro lamentano: «i prezzi del sopravitto sono più cari del prezzo di mercato, e rispetto al listino del carcere di Trapani abbiamo meno prodotti e a prezzi più cari»; a detta degli agenti di polizia penitenziaria, i prezzi all'interno del carcere sono in linea con i prezzi dell'isola di Favignana;
    L.C., proveniente da Napoli, afferma che in data 10 maggio 2010 pesava 105 chilogrammi mentre in data 29 ottobre 2010 il suo peso corporeo era di 77 chilogrammi; L.C. si trova nella casa di lavoro di Favignana da 6 mesi e dovrà stare ancora un anno e mezzo. Dice di essere schizofrenico e fortemente depresso, e di essere stato in passato in un ospedale psichiatrico giudiziario; inoltre afferma di essere malato di diabete e aggiunge: «sto perdendo la gamba sinistra, da un mese e mezzo ho fatto la richiesta per una stampella»; già 6 mesi fa, al momento del suo ingresso nella struttura, ha fatto richiesta di essere trasferito in un istituto meno distante dalla famiglia: «vorrei andare a Sulmona, dove c’è un presidio medico»; la moglie è gravemente malata («ha un tumore», dice); L.C. lamenta il fatto di non aver potuto partecipare al matrimonio della figlia, lo scorso 13 settembre; «anche il magistrato di sorveglianza – afferma L.C. – ha statuito che non posso stare in qui»;
    anche F.C., residente a Viterbo, ha chiesto di essere trasferito in una struttura meno distante dalla sua famiglia: «non vedo i figli da 16 mesi, vorrei andare a Sulmona o a Modena». F.C. ammette il suo passato burrascoso ma sottolinea (lo aveva fatto anche a ferragosto) di essere stato raggiunto dalla misura di sicurezza detentiva quando già il suo passato era una pagina chiusa: «prima ero una capa malata, ma poi mi ero rifatto una vita, lavoravo sulle autoambulanze della Croce Rossa Italiana»;
    A.I.,  sottolinea i problemi strutturali e la presenza di topi, sia in cucina (dove ha lavorato) sia in cortile («escono dai tombini, a volte entrano nelle celle»);
    G.E., di aver ricevuto un rapporto disciplinare per essersi presentato con un giubbino, al rientro dopo alcuni giorni di licenza;
    E.H., cittadino italiano d'origine croata, si trova ristretto a Favignana da un mese, dopo aver scontato la sua pena nel carcere milanese di Opera. A Milano ha la moglie e i figli (di 3,7 e 10 anni); «vorrei avvicinarmi alla mia famiglia – dice –, perché devo stare a 1500 km di distanza?»;
    le celle dei reparti quarto e ottavo si affacciano direttamente su cortili-passeggio privi di pensiline o coperture; quando piove, lamentano gli internati, il vitto si bagna; anche i panni (indumenti, biancheria, asciugamani etc.) degli internati vengono stesi nel cortile, coperti da buste nere di plastica per la spazzatura: «quando piove dobbiamo rilavare i panni», lamentano gli internati;
    alcuni denunciano di dover acquistare buste nere per la spazzatura da utilizzare per la raccolta differenziata (3 buste al giorno per cella): «se non le acquistiamo, ci fanno un rapporto»;
    gli agenti – rispondendo ad una domanda della prima firmataria del presente atto – affermano che la ASL di riferimento fa visite all'istituto ogni sei mesi, rilasciando «regolari» documenti di idoneità; nel reparto «isolamento», sono presenti 4 piccole celle, fredde e buie. Soltanto una ha il bagno separato, le altre tre hanno il wc alla turca a vista e il letto in ferro fissato al suolo;
    «nudo a cella liscia» in isolamento, cioè completamente nudi e senza materasso, è il trattamento che viene minacciato e in alcuni casi riservato a chi dà in escandescenze, così avevano detto alcuni internati incontrati in precedenza;
    nell'unica cella con bagno un cittadino cileno è ristretto da 5 giorni in isolamento giudiziario;
    il passeggio del reparto «isolamento» è un rettangolo angusto di cemento con la grata a delimitare lo spazio superiore;
    al reparto «osservazione» si accede, attraverso una porta, dal reparto «isolamento»: 11 celle che si affacciano su un corridoio lungo e stretto coperto da una pensilina; 5 celle sono vuote, 6 ospitano altrettanti internati; il reparto «osservazione» è un reparto ordinario della casa di lavoro, secondo quanto riferito dagli agenti che accompagnano la delegazione nella visita; tutte le celle sono prive di finestra; in molte celle il wc è a vista, con evidente lesione del diritto alla privacy;
    nella cella n. 1 è ristretto un internato di Palermo; nella cella n. 2 è ristretto un internato di Milano in regime di sorveglianza particolare (ex articolo 14-bis dell'ordinamento penitenziario), proveniente dalla casa di lavoro di Castelfranco Emilia, in questa cella il wc è a vista;
    nella cella n. 3 è ospitato un internato che lamenta: «non vedo l'assistente sociale da 10 mesi»;
    anche in questa cella il wc è a vista;
    nella cella n. 5 è ristretto un internato di nome R.I. che non riesce a spiegarsi il motivo della sua permanenza nella casa lavoro e dice: «sono uscito da carcere di Ancona nel 2006 e mi sono rifatto una vita in Spagna: mia moglie e mia figlia sono spagnole, e io in Spagna lavoravo ma adesso ho perso il lavoro!; se non vivo più in Italia ormai da anni, come faccio ad essere pericoloso?»; R.I. non vede la figlia da 8 mesi; in questa cella il wc è a vista; l'internato racconta che il suo avvocato spagnolo, non essendo al corrente del fatto che in Italia una persona possa essere carcerata anche senza una condanna da dover scontare, avendo appreso che il suo cliente era stato assegnato ad una casa di lavoro, gli ha detto: «le hanno dato una casa ed un lavoro, di cosa vi lamentate?»;
    nella cella n. 8 è ristretto un internato che dice di trovarsi nella casa di lavoro di Favignana da 3 anni; anche in questa cella il wc è a vista;
    l'interrogante conferma tutte le domande contenute nel precedente atto di sindacato ispettivo, auspicando quelle risposte che non possono più attendere per chi abbia a cuore la salvaguardia dei diritti umani garantiti dalla nostra Costituzione –:
   se abbia intenzione di verificare la messa in atto di atteggiamenti punitivi da parte della direzione nei confronti dei detenuti e internati che hanno interloquito con la presentatrice del presente atto nel corso della precedente visita di sindacato ispettivo;
   cosa intenda fare per garantire la pienezza della prerogativa di sindacato dei deputati prevista dall'articolo 67 dell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975);
   quali siano i motivi della mancata apertura del nuovo istituto già prevista al 30 giugno 2010 in base a quale elementi si confermi costantemente l'agibilità dell'istituto visto quanto riportato in premessa.
(5-08188)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto affermato alle agenzie di stampa da Michele Bordo, deputato del PD e componente della Commissione bicamerale antimafia, il carcere di Foggia ospita il doppio dei detenuti e opera con personale ridotto;
   la presenza di un numero doppio di detenuti incide negativamente sull'adeguatezza e la fruibilità degli spazi e delle strutture comuni, aggravando la qualità della vita già compromessa dal sovraffollamento delle celle;
   alla prima firmataria del presente atto risulta che nella sola provincia di Foggia vi siano 5 strutture detentive costate 10 milioni di euro e mai attivate –:
   come intenda intervenire per coprire le carenze di organico della polizia penitenziaria assegnata presso il carcere di Foggia;
   cosa intenda fare per affrontare il sovraffollamento detentivo che si registra attualmente nel predetto istituto di pena;
   quali spiegazioni intenda dare il Ministro a proposito del mancato utilizzo dei 5 istituti di pena costruiti negli ultimi anni nella provincia di Foggia e quali provvedimenti intenda adottare al fine di garantire la loro immediata apertura. (5-08189)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come riportato sul quotidiano La Sicilia del 30 novembre scorso, il detenuto Orazio Buonprincipio è rimasto «intrappolato» per quasi due ore dentro il mezzo blindato della polizia penitenziaria perché la chiave del portello che serve per far entrare e uscire i detenuti si era spezzata dentro la serratura;
   l'uomo imputato nel processo «Venerdì Nero 2», è cardiopatico e se avesse accusato un malore la situazione poteva diventare seria;
   Buonprincipio, attualmente detenuto al carcere «Petrusa» di Agrigento, deve essere trasportato con un mezzo per disabili; mezzo di cui è sprovvisto il carcere agrigentino e che deve essere fatto arrivare appositamente da Messina. Queste circostanze sono state rappresentate dallo stesso Buonprincipio nel corso delle dichiarazioni spontanee rese in apertura d'udienza alla corte d'assise nissena, chiedendo per questo motivo di essere trasferito al carcere «Malaspina» di Caltanissetta –:
   cosa intenda fare affinché il carcere di Agrigento venga dotato di un mezzo di traduzione in grado di trasportare le persone disabili;
   se non intenda assumere iniziative affinché si possa trasferire il detenuto in questione presso il carcere Malaspina di Caltanissetta così da consentire allo stesso di assistere alle udienze del processo che lo riguardano senza dover sottostare a lunghi ed estenuanti viaggi di traduzione. (5-08190)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Il Gazzettino di venerdì 2 dicembre 2010 è apparso un articolo firmato da Gianluca Amadori intitolato: «In carcere siamo trattati come animali, un detenuto sporge querela»;
   l'articolo in questione dà conto della difficile situazione in cui sono costretti a vivere le persone recluse nell'istituto penitenziario veneziano e, vista la gravità delle circostanze in esso riportate, la prima firmataria del presente atto ritiene opportuno trascriverlo integralmente: «La vita all'interno del carcere di Santa Maria Maggiore è sempre più difficile a causa della grave situazione di sovraffollamento. E non mancano gli incidenti. Un detenuto di nazionalità algerina, di 37 anni, ha denunciato di essere caduto dalla branda al terzo piano, posta a notevole altezza dal suolo, e di essersi procurato gravi lesioni ai polmoni. Il suo legale, l'avvocato Marco Zanchi, ha depositato ieri in procura una querela con la quale chiede ai magistrati di accertare le eventuali responsabilità per l'accaduto: “È incredibile che in carcere possano esistere letti a castello a tre piani senza la ben che minima sponda protettiva”, si legge nella querela. Nelle scorse settimane il legale veneziano ha raccolto numerose testimonianze di detenuti di Santa Maria Maggiore i quali lamentano le condizioni in cui sono costretti a vivere: “In tutte le tipologie di celle si osserva un sovrannumero che a volte è triplo di quello consentito dalle normative di sicurezza europea”, si legge in un documento firmato da una settantina di detenuti, i quali lamentano le poche ore d'aria e i molti problemi nell'assistenza sanitaria. I sempre più numerosi atti di autolesionismo e suicidio vengono correlati alle carenti condizioni dei penitenziari: “Non siamo animali, ma esseri umani che sono chiamati a scontare una pena – scrivono – chiediamo che vengano applicati i nostri diritti di detenuti”. L'avvocato Zanchi ha scritto anche una lettera al presidente del Tribunale di sorveglianza Giovanni Maria Pavarin, chiedendo un suo intervento a tutela dei carcerati» –:
   se sia vero che i detenuti reclusi nel carcere di Venezia siano il triplo della presenza regolamentare; quanti siano i detenuti in attesa di giudizio, e per quali reati siano imputati; quanti siano gli stranieri reclusi;
   quali urgenti provvedimenti i Ministri intendano adottare, promuovere e sollecitare per garantire il fondamentale diritto alla salute di cittadini che ne sono titolari anche se detenuti e quali iniziative si intendano promuovere per garantire uno standard minimo di vivibilità nel carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia sia per i detenuti che per gli agenti della polizia penitenziaria;
   più in generale, se non si ritenga opportuno adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso la riduzione dei tempi di custodia cautelare, la rivalutazione delle misure alternative al carcere e la riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità, nonché istituire un organo di monitoraggio indipendente che controlli i luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura, firmato anche se non ancora ratificato dall'Italia, che ne prevede l'istituzione in tutti gli Stati aderenti entro il termine di un anno dalla ratifica. (5-08191)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il vicesegretario generale nazionale dell'Osapp, Domenico Mastrulli ha reso noto che lo scorso 2 dicembre 2010 un assistente di polizia penitenziaria è stato aggredito nel carcere di Trani con pugni sferrati allo stomaco da un detenuto, che si trovava nel reparto infermeria «per problemi psichiatrici»;
   l'agente è stato soccorso da operatori del 118 che lo hanno trasportato in ospedale dove è stato diagnosticato un «trauma contusivo al torace»;
   a sferrare i pugni contro l'agente è stato lo stesso detenuto che alcuni mesi fa aggredì altre due unità di polizia e lanciò contro di questi e nella propria cella escrementi umani;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto questa ennesima aggressione in danno di un agente di polizia penitenziaria è da collegare senza dubbio al sovraffollamento (in Puglia ci sono 4.800 reclusi rispetto ad una capienza di 2.500 posti) e all'eccessivo carico di lavoro al quale sono costretti i baschi azzurri. In Puglia mancano in organico circa 400 agenti, il che costringe i poliziotti penitenziari ad espletare anche 15 ore consecutive di lavoro; senza contare i doppi turni e le ore di straordinario che poi non vengono pagate –:
   quali siano le modalità e le circostanze in cui è maturata questa ennesima aggressione ad un agente di polizia penitenziaria;
   come intenda intervenire per coprire le carenze di organico della polizia penitenziaria e per rispettare le norme contrattuali e di legge sulle condizioni di lavoro e sugli straordinari effettuati dagli agenti del corpo;
   cosa intenda fare per affrontare il sovraffollamento detentivo che determina un degrado che offende la dignità umana dei reclusi. (5-08192)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 5 dicembre 2010, la prima firmataria del presente atto è andata a visitare il carcere Mammagialla di Viterbo accompagnata dal presidente di Casa Pound Italia, Gianluca Iannone e da Enrico Salvatori, militante di Radicali italiani;
   nel corso della visita ispettiva la delegazione è stata accompagnata dall'ispettore di polizia penitenziaria Taranta;
   i ristretti presenti nel carcere di Viterbo sono 750 ai quali si aggiungono due semiliberi; altri 5 internati sono in licenza sperimentale e il loro rientro nella struttura è previsto a giorni;
   226 detenuti sono affetti da patologie di tipo psichiatrico, i tossicodipendenti sono 230; gli affetti da malattie infettive sono 110, di cui 9 casi di Hiv, 77 di epatite C e 24 Epatite B;
   la carenza di personale è a dir poco preoccupante: nella casa circondariale operano 150 agenti di polizia penitenziaria in meno rispetto a quanto previsto dalla pianta organica, tutti «costretti» allo straordinario obbligatorio quotidiano nonostante il loro sia considerato un lavoro usurante. Tutto questo naturalmente si ripercuote sulle attività carcerarie anche per motivi di sicurezza, tanto che nel carcere non si fanno attività trattamentali, che invece sono fondamentali per il reinserimento del condannato;
   l'istituto di pena «Mammagialla» ospita diverse tipologie di detenuti: tra i 750 reclusi ci sono detenuti con il 41-bis, detenuti in regime di massima sicurezza, detenuti con condanna definitiva e circa 50 ergastolani, e per chi organizza la sicurezza interna del carcere è difficile mantenerli separati. Così ci si trova nella situazione paradossale che ergastolani «coabitino» nella stessa cella con detenuti comuni o addirittura con reclusi in stato di carcerazione preventiva, con le conseguenze immaginabili in termini di disagio psicologico. Una situazione peraltro contraria alla legge, visto che il codice stabilisce che gli ergastolani debbano scontare la pena in istituti ad hoc, in isolamento notturno e con l'obbligo di lavorare;
   il lavoro è un altro punto dolente, solo il 10 per cento dei detenuti infatti lavora, e lo fa a rotazione. Nel carcere inoltre ci sono solo cinque educatori e tre psicologi, un numero evidentemente insufficiente a fare fronte alle esigenze dei detenuti;
   anche dal punto di vista sanitario la situazione è complicata, oltre che per le carenze di tipo sanitario in senso stretto, anche per la carenza di medici e infermieri, che potrebbero non essere in grado di affrontare tempestivamente le emergenze che dovessero di volta in volta presentarsi. Il personale presente al momento della visita ispettiva ha ben descritto le criticità del settore: quotidianamente nella casa circondariale vi è un via vai di circa 1.300 persone tra detenuti, agenti, personale amministrativo, parenti dei detenuti, avvocati, magistrati, volontari, ed altro). Al mattino sono in attività sempre 2 ambulatori medici per le visite di routine, con una media di circa settanta visite. Attualmente, il modello organizzativo in atto dopo anni di funzionamento, sembra quello più funzionale e comunque necessita sicuramente di essere migliorato e integrato con risorse di personale. Il numero delle ore dei medici e infermieri a disposizione per l'area sanitaria si è ridotto progressivamente negli anni;
   il responsabile dell'area sanitaria del carcere ha recentemente prodotto una dettagliata relazione che non solo espone le criticità dell'istituto, ma prospetta concrete soluzioni organizzative che non possono prescindere, evidentemente, dal reperimento delle necessarie risorse;
   d'altra parte, lo svolgimento degli interventi sanitari deve confrontarsi anche con le carenze del personale di polizia penitenziaria. Per quanto concerne il rapporto di collaborazione con l'amministrazione penitenziaria, ai fini di un adeguato funzionamento della complessa organizzazione sanitaria dell'istituto, i sanitari ritengono indispensabile che il nucleo di polizia penitenziaria per la vigilanza dell'infermeria centrale e degli ambulatori periferici possa contare su un organico fisso non inferiore alle 7 unità (rispetto agli attuali 4 operatori messi in campo dalla direzione). Il potenziamento del settore, fra l'altro, consentirebbe di poter allargare la fascia pomeridiana di accesso di alcuni specialisti considerato che al momento non possono essere svolte prestazioni specialistiche oltre le 17,30. Vi sono delle giornate dove è possibile che nessun agente sia disponibile per l'area sanitaria e quindi con tutta una serie di conseguenze facilmente immaginabili;
   il problema più grave resta però il sovraffollamento, dimostrato dal fatto che anche nelle piccole celle da un posto sono sistemati due detenuti con letto a castello, e che venga utilizzato per i detenuti comuni anche un reparto come quello dell'isolamento, che per legge dovrebbe avere finalità completamente diverse. Una condizione così drammatica che può accadere, come è appunto successo due sere fa, che sei persone arrestate siano state costrette a dormire per terra nel corridoio perché il carcere registrava il «tutto esaurito». Note positive sono il buon rapporto tra gli agenti penitenziari e i detenuti, la pulizia del carcere e la professionalità, nonostante le carenze di organico, del personale sanitario;
   nel carcere di Viterbo si trova ristretto anche P.C. avvocato romano, indagato nell'ambito dell'inchiesta della procura della Repubblica di Roma sulle così dette «frodi carosello» e sui successivi fatti di riciclaggio. L'avvocato P.C. – dopo essersi costituito nell'ufficio del titolare delle indagini il 2 marzo 2010 – è rimasto in isolamento per 24 giorni nel carcere di Regina Coeli, poi trasferito presso la casa di reclusione di Opera, ed ora è stato allocato nel reparto di «alta sorveglianza» del carcere Mammagialla di Viterbo. Alla prima firmataria del presente atto lo stesso ha dichiarato: «Le mie condizioni di salute, già precarie all'atto dello ingresso nell'istituto penitenziario, peggiorano di giorno in giorno. Soffro di ipertensione grave, problemi cardiaci, problemi alla vista, rene policistico, problemi alla prostata, pressione alta. Ciò che mi preoccupa è soprattutto se dovessi trovarmi in situazione di emergenza, vista la carenza di personale». L'avvocato P.C., inoltre, ha un figlio piccolo con la compagna brasiliana, che è costretta a viaggiare in continuazione per effettuare i colloqui;
   nell'istituto di pena in questione è recluso anche S. G. sessantenne, diabetico e claustrofobico, detenuto nel reparto alta sorveglianza, il quale due mesi fa ha fatto richiesta di trasferimento al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria al fine di scontare la pena vicino alla famiglia e, quindi, presso la casa circondariale di Nola;
   A.C. un detenuto definitivo che finirà di scontare la pena nel 2015. Recluso nel reparto D2 detenuti comuni, ha fatto diverse richieste al dipartimento dell'amministrazione Penitenziaria senza ottenere alcuna risposta. Chiede di essere trasferito a Milano, vicino alla famiglia; a Milano vivono infatti la moglie, la madre malata e la figlia piccola che, scontando la pena a Viterbo, non può mai vedere;
   il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione; dagli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000; dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977; dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950; dagli articoli 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; nonché dagli articoli 1, 2 e 3 della raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e dall'articolo 1 della raccomandazione (2006) del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo; tale garanzia è ribadita dall'articolo 1, commi primo e sesto, della legge 26 luglio 1975, n. 354, che prescrive che «il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona», dovendo altresì essere attuato «secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti»;
   l'articolo 15, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, prescrive che «il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia»;
   gli articoli da 5 a 12 della legge 26 luglio 1975, n. 354, dettano una rigorosa disciplina in ordine ai requisiti strutturali minimi degli istituti di pena, prescrivendo che le carceri siano realizzate in modo tale «da accogliere un numero non elevato di detenuti o internati»; che «i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente»; analoga disciplina prevedono gli articoli da 8 a 13 della raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e gli articoli da 17.1 a 18.10 della raccomandazione (2006) del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 1° gennaio 2006 sulle norme penitenziarie in ambito europeo;
   le condizioni di sovraffollamento in cui versa la casa circondariale di Viterbo, l'inadeguatezza delle strutture, la carenza di personale e la scarsa assistenza sanitaria sono già stati oggetto di due separati atti di sindacato ispettivo (n. 4-06612 e 4-03782) depositati in questa legislatura dalla prima firmataria del presente atto e rimasti senza risposta –:
   se il Ministro della giustizia sia a conoscenza delle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria nella casa circondariale di Viterbo;
   se, negli ambiti di rispettiva competenza, ritengano opportuno effettuare delle ispezioni all'interno del carcere Mammagialla;
   quali urgenti iniziative si intendano assumere al fine di far rientrare l'istituto di pena laziale nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
   quali provvedimenti di competenza ritengano opportuno adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di garantire il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione e di migliorare le condizioni della vita penitenziaria nel carcere di Viterbo, così da garantire il pieno rispetto dei diritti alla dignità, alla salute ed allo studio dei detenuti;
   se non si intenda urgentemente rivedere il numero degli agenti di polizia penitenziaria attualmente assegnato presso il predetto istituto di pena posto che lo stesso risulta attualmente gravemente sottodimensionato;
   se non si intenda assumere ogni iniziativa di competenza per aumentare il numero degli educatori, degli psicologi e degli assistenti sociali in servizio presso il predetto istituto di pena, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone recluse;
   se ed in che modo si intendano potenziare, all'interno della struttura penitenziaria in questione, le attività di orientamento e formazione al lavoro e di ricerca di posti di lavoro da offrire ai detenuti, in particolar modo per quelli che hanno quasi finito di scontare la pena;
   cosa si intenda fare, per quanto di competenza, per garantire il diritto alla salute dei detenuti reclusi nel carcere Mammagialla di Viterbo, anche per tutto ciò che concerne il ripristino di un'adeguata assistenza psicologica e psichiatrica;
   per quali motivi i detenuti A.C. e S.G., nonostante le istanze rivolte al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, non siano ancora stati trasferiti presso un istituto di pena prossimo al luogo di residenza dei loro familiari;
   quali iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di garantire al detenuto P.C. il rispetto del suo inalienabile diritto alla salute e per quali motivi lo stesso si trovi ristretto all'interno del reparto alta sorveglianza;
   per quali motivi nel carcere di Viterbo vi siano ergastolani che – contrariamente al dettato normativo e regolamentare – continuano a condividere le stesse celle con i detenuti comuni.
(5-08193)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Uil penitenziari ha recentemente diffuso un rapporto sulla drammatica situazione delle carceri lucane che è stato ripreso dal quotidiano La Nuova che l'11 novembre 2010, a pagina 13, Potenza città, titolava «In carcere si delinque» – «la UIL denuncia le immutate condizioni di precariato della struttura di Betlemme»;
   nel documento indirizzato ai massimi vertici dell'amministrazione penitenziaria e riguardante la carenza del personale si legge questa considerazione: «Non si possono abbandonare i 434 baschi blu che operano all'interno degli istituti della Basilicata e anche le 597 persone detenute ivi ristrette, crediamo che sia un dovere morale e istituzionale conoscere queste realtà e risolvere le annose criticità»; inoltre, con riferimento ai pensionamenti, si fa presente che negli ultimi anni questi «hanno aggravato la situazione all'interno delle carceri, con notevoli difficoltà operative che condizionano il lavoro della Polizia penitenziaria con turni massacranti anche di 12 ore consecutive», sottoponendo il corpo «a notevoli stress psicofisici» che determinano l'aumento della percentuale di assenza in servizio;
   nel sopracitato documento si riportano le criticità nella sicurezza collegando la carenza di organico con il sovraffollamento detentivo che in regione è del 46,2 per cento con il carcere di Melfi all'82 per cento e quello di Potenza al 57 per cento quest'ultimo sembra creare la situazioni più critica e a rischio;
   sotto questo profilo si denuncia quanto segue:
    i livelli di sicurezza delle carceri lucane non forniscono più quei parametri di garanzia al personale di polizia penitenziaria, che sono necessari sotto tutti gli aspetti;
   tutte le traduzioni vengono effettuate sotto scorta con le responsabilità dirette del personale e del coordinatore NTP;
    l'istituto Melfese risulta ancora oggi classificato di III livello nonostante ospiti solo detenuti alta sicurezza, così come previsto dal decreto ministeriale 2007 approvato in data 22 gennaio 2008;
    i tre istituti vivono nella normale irregolarità; l'ex decreto legislativo n. 626 del 1994 e le successive normative sono una cognizione astratta, anche nella casa circondariale di Matera oggetto di recente ristrutturazione;
    il personale addetto alla vigilanza ed osservazione delle sezioni detentive subisce un sovraccarico di lavoro dovuto al sovraffollamento crescente di detenuti, svolgendo quotidianamente tripli incarichi, circostanza di estrema frustrazione e disagio, tanto che non riescono a consumare il pasto per l'impossibilità di un cambio;
    Potenza è il carcere che attualmente si trova nelle condizioni peggiori; il ruolo degli ispettori va anche a sopperire alle emergenze diventate quotidianità; impiegati con le chiavi in mano all'apertura di cancelli, recentemente hanno sostituito agenti nelle sezioni per la consumazione del pasto, per evitare ulteriori disordini. Si è giunti allo sfascio, non esiste più un'organizzazione e la differenziazione dei ruoli, non vengono più garantiti i servizi primari (come il casellario, magazzino detenuti, sopravvitto, e altro), tutti i restanti uffici ridotti all'osso spesso chiusi per far fronte alle esigenze presenti all'interno dei padiglioni detentivi, «una bomba a orologeria pronta ad esplodere». Il livello del degrado offende la dignità umana e la mancanza di spazi determina l'inciviltà della detenzione; è evidente che in tantissimi anni, nessun lavoro di adeguamento strutturale è stato posto in essere. La cinta muraria, per le condizioni in cui versa, è inadeguata e pericolosa per l'incolumità fisica, non conforme alle norme di sicurezza più volte denunciate;
    il personale femminile non riesce a garantire la gestione ordinaria all'interno dell'unico reparto femminile presente a livello regionale (Potenza). Su 14 unità risultano in servizio solamente 7 perché assenti a vario titolo (maternità, aspettativa, CS, e altro). Delle 7 unità solamente 4 possono espletare servizio notturno, tanto che vengono impiegati agenti maschili in un reparto di sesso diverso, recentemente impiegati anche in piantonamenti presso strutture ospedaliere di detenute in mancanza di unità femminili;
    a Matera non esiste ancora un reparto protetto per i piantonamenti presso il nuovo ospedale civile «Madonna delle Grazie»;
    vi sono ritardi nel pagamento del lavoro straordinario, che, visti i tagli, non è nemmeno garantito entro la fine dell'anno; lo straordinario sarebbe di fatto imposto ai poliziotti penitenziari contro la loro volontà, in palese violazione dell'articolo 36, comma 1, della Costituzione, della legge n. 300 del 1970 e delle normative contrattuali;
    il provveditorato risulta essere sede per gli emergenti dirigenti generali o prossimi alla pensione; questa situazione ha fatto sì che la Basilicata abbia risentito moltissimo in termini organizzativi; ad oggi si è in attesa della nuova nomina e l'incarico è affidato provvisoriamente e a part-time al provveditore della Campania;
   dopo aver esposto queste problematiche, il segretario provinciale della UIL penitenziari Donato Sabia e il Segretario regionale Giovanni Gruppo, concludono auspicando un dovuto intervento risolutivo e restando in attesa di ricevere sviluppi ed una eventuale convocazione, perché le carceri lucane rivestono un vero e proprio allarme sociale. Le annose carenze comportano solo una mala produttività, il mancato rispetto dei dettati normativi, la negazione dei più elementari diritti del personale previsti dalle vigenti normative in materia e dai contratti;
   in particolare, per quel che riguarda il carcere di Potenza, in un altro documento indirizzato alle massime cariche del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è possibile leggere: «Il Carcere di Potenza viene considerato come un raccoglitore di rifiuti sociali, arriva di tutto proprio per la posizione strategica che riveste, sì perché Potenza è sede di Corte d'Appello, ospita anche l'unica sezione femminile e la sezione sex offender e vari soggetti di categoria cosiddetta protetta, ha un alto indice di detenuti tossicodipendenti e psichiatrici, basti vedere gli atti autolesionistici che ammontano a 40 dall'inizio dell'anno e 2 tentati suicidi, mentre al contrario, il personale diminuisce giorno per giorno a seguito dei pensionamenti. Potenza è il carcere che attualmente si trova nelle condizioni peggiori, non esiste più una organizzazione né la differenziazione dei ruoli; non vengono più garantiti i servizi primari»;
   tutti gli uffici sono ridotti all'osso, spesso chiusi per far fronte alle esigenze presenti all'interno dei padiglioni detentivi;
   le osservazioni contenute nei due documenti citati coincidono quasi perfettamente con quanto la prima firmataria del presente atto ebbe a scrivere in due atti di sindacato ispettivo (n. 4/05651 dell'11 gennaio 2010 e n. 4/06613 del 30 marzo 2010, redatti all'indomani di visite effettuate con il segretario di Radicali Lucani, Maurizio Bolognetti), atti di sindacato ispettivo che non hanno ancora ricevuto risposta –:
   se quanto riscontrato dalla UIL penitenziari della Basilicata e dalla stessa prima firmataria del presente atto sulle gravi carenze degli istituti penitenziari lucani corrisponda a quanto rilevato dal Ministro;
   se sia vero o meno che la sicurezza degli istituti lucani sia deficitaria;
   come intenda intervenire per coprire le carenze di organico della polizia penitenziaria e per far rispettare le norme contrattuali e di legge sulle condizioni di lavoro e sugli straordinari effettuati dagli agenti del Corpo;
   cosa intenda fare per affrontare il sovraffollamento detentivo che, ad avviso della UIL e degli interroganti, determina un degrado che offende la dignità umana dei reclusi;
   se intenda adoperarsi affinché abbia seguito la richiesta di incontro manifestata dagli esponenti del sindacato lucano della UIL-penitenziari con i vertici del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. (5-08194)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un lancio dell'agenzia di stampa AGI, nel carcere di Ranza a San Gimignano negli scorsi giorni sarebbe stata razionata l'acqua;
   la decisione è stata presa per problemi riguardanti i pozzi di raccolta dell'acqua;
   sulla vicenda Massimo Miscia, componente della funzione pubblica della Cgil, ha dichiarato: «Questo dell'acqua nel carcere è un problema estremamente delicato che da troppi anni si presenta continuamente, con disagi per gli operatori penitenziari e per la popolazione detenuta ristretta nell'istituto. Due anni fa l'amministrazione penitenziaria ha rifiutato una proposta del comune di San Gimignano che si era offerto di farsi carico delle spese necessarie per la risoluzione del problema (circa tre milioni di euro), praticamente il 50 per cento delle spese per l'allacciamento alla conduttura comunale» –:
   se e per quali motivi il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria abbia rifiutato la proposta del comune di San Gimignano con la quale quest'ultimo si sarebbe offerto di farsi carico delle spese necessarie per la risoluzione del problema della mancanza di acqua nel carcere di Ranza;
   quali provvedimenti intenda adottare, sollecitare e/o promuovere al fine di risolvere i gravi problemi riguardanti i pozzi di raccolta di raccolta dell'acqua, in modo da garantire agli operatori penitenziari e ai detenuti del carcere di Ranza condizioni di vita e di lavoro più dignitose. (5-08195)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'agenzia ANSA del 10 dicembre 2010 riporta la denuncia del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria in merito a tre aggressioni avvenute nel giro di poche ore all'interno del carcere di Pontedecimo ai danni di alcuni agenti di polizia penitenziaria;
   nella giornata del 9 dicembre, intorno a mezzogiorno, un detenuto tossicodipendente italiano di 30 anni, già in passato al centro di vicende di intolleranza nel carcere ligure al punto da essere stato già allontanato più volte dall'istituto, ha colpito con un pugno al volto un agente impegnato nella sorveglianza, mandandolo in ospedale. Poco più tardi un detenuto ha tentato di uccidersi prima ferendosi volontariamente al collo e poi inghiottendo una lametta. È stato salvato da un agente e ora è ricoverato nel reparto detenuti dell'ospedale San Martino. In serata un marocchino ha aggredito violentemente e ferito a colpi di lametta due connazionali attirati nella sua cella con la scusa di un caffè. Entrambi sono stati feriti e trasportati al San Martino nel reparto detenuti;
   nella casa circondariale di Pontedecimo il numero dei detenuti è quasi il doppio rispetto a quello consentito e quello degli agenti di polizia penitenziaria è appena la metà;
   Roberto Martinelli, segretario aggiunto del Sappe, ha dichiarato: «Oltre ai problemi di sovraffollamento e di carenza di personale gli agenti sono mal considerati dal comandante di reparto che li demotiva con continui rapporti disciplinari e non li fa lavorare nella condizione ideale con gravi rischi per la sicurezza degli stessi poliziotti ma anche dei detenuti. Per rendersene conto basta pensare che ieri a guardia di tre piani c'era un solo agente» –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   se non intenda avviare una ispezione all'interno del carcere di Pontedecimo, anche al fine di verificare quali siano i motivi di contrasto tra gli agenti penitenziari ed il loro comandante di reparto;
   se il Ministro non ritenga di dovere intervenire con urgenza per ripristinare all'interno dell'istituto di pena sopra citato le necessarie condizioni di sicurezza, per garantire corrette relazioni lavorative e il ritorno ad un clima il più possibile sereno, e al fine, altresì, di assicurare la fruizione dei diritti stabiliti dal nostro ordinamento per i detenuti e per i lavoratori del carcere;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rimediare alla grave mancanza di agenti di polizia penitenziaria assegnati presso la casa circondariale di Pontedecimo;
   se non intenda adottare misure urgenti al fine di ridurre sensibilmente il numero dei detenuti presenti nel predetto istituto di pena. (5-08197)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Heinrich Johannes Spieker è un cittadino tedesco di anni 48, attualmente detenuto nel carcere di Opera con l'accusa, insieme ad un altro imputato, di aver abusato sessualmente di una persona in condizioni di inferiorità psichica;
   il 26 ottobre 2010, il signor Spieker è stato condannato a sei anni e quattro mesi di reclusione e recentemente sono state rese pubbliche le motivazioni della sentenza; a seguito di questa sentenza, dal 1° novembre 2010, il signor Heinrich Johannes Spieker ha avviato uno sciopero della fame concluso il 28 novembre; nonostante avesse necessità di alcuni medicinali gli è stato impedita la possibilità di averli;
   su ordine di un mandato di arresto europeo, richiesto dalla procura della Repubblica di Sondrio, il signor Spieker venne arrestato in Germania nel febbraio 2010; dopo essere stato detenuto in almeno tre diversi istituti tedeschi è stato trasferito nel carcere di Monza dove ha subìto violenze gravi da parte di altri detenuti;
   successivamente il signor Spieker è stato trasferito nel carcere di Sondrio dove ha subito violenze di tipo psicologico e almeno una violenza fisica da parte di un altro detenuto in data 3 novembre 2010, violenze – a detta della direttrice – regolarmente refertate dall'infermeria dell'istituto; ciò è accaduto pochi giorni prima della visita ispettiva che l'interrogante ha svolto nella qualità di parlamentare all'interno del carcere domenica 7 novembre 2010 –:
   se sia a conoscenza delle violenze fisiche subìte dal signor Spieker all'interno degli istituti penitenziari di Monza e Sondrio e quali iniziative intenda assumere per evitare che tali episodi si ripetano;
   per quali ragioni non siano state assicurati al detenuto i medicinali richiesti durante il suo sciopero della fame.
(5-08198)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Il Mattino del giorno 11 dicembre 2010 è apparso un articolo di Rosaria Capacchione intitolato: «Detenuto cardiopatico trapiantato, per i medici non può stare in carcere, per i giudici si»;
   nel citato articolo, la giornalista del Mattino espone i seguenti fatti: «La Corte di giustizia chiede spiegazioni al Guardasigilli, la Corte di Assise di Napoli risponde rincarando la dose e ordinando il trasferimento in carcere dell'imputato Tommaso Prestieri, camorrista e trafficante di droga, cardiopatico grave e paziente trapiantato. Una sfida a distanza, giocata sul filo delle prerogative del giudice italiano contrapposte a quelle del giudice europeo; magistrati che, dal punto di vista formale, non si parlano e che ignorano le rispettive decisioni. Il risultato è che Prestieri fa ritorno nel penitenziario di Secondigliano. «è stato dichiarato guarito non da un medico specialista ma da un'ordinanza della Corte d'assise di Napoli (IV sezione) proprio mentre la II sezione della Corte di Strasburgo, con nota datata 25 novembre 2010, informa il difensore di Prestieri, l'avvocato Vittorio Giaquinto, di aver preso in esame il ricorso, di avere necessità di informazioni dettagliate sullo stato di salute del ricorrente e di averle chieste al ministero della Giustizia, il quale «è stato invitato a informare la Corte delle ragioni per le quali il ricorrente non è stato trasferito in un centro medico specializzato, al fine di seguire una riabilitazione cardiaca». Perché il punto in contestazione è proprio questo: Tommaso Prestieri, sottoposto a trapianto cardiaco nel maggio scorso, dopo l'intervento avrebbe dovuto effettuare obbligatoriamente una terapia riabilitativa, così come evidenziato anche dai consulenti d'ufficio. Cura che non c’è stata perché nessuno dei centri specializzati indicati anche dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha fornito la sua disponibilità a ospitare un paziente piantonato. Il risultato è stato che il boss di Secondigliano è stato ricoverato fino all'altro giorno, agli arresti domiciliari, al Cardarelli, che non è in grado di fornire l'assistenza specialistica richiesta. Il 6 dicembre, la notifica dell'ordinanza della Corte di Assise di Napoli, presso la quale è in corso il processo per l'omicidio di Alfredo Negri, ucciso il 27 luglio del 1992 e per il quale sono imputati, tra gli altri, anche Paolo Di Lauro e Antonio Amato. Scrive la Corte: «Avendo il Prestieri superato senza alcuna complicanza tale periodo (sei mesi dalla data del trapianto, ndr), la situazione di incompatibilità deve considerarsi cessata e va ripristinata, perdurando le eccezionali esigenze cautelari poste originariamente a fondamento della misura restrittiva, la custodia cautelare in carcere». Prestieri, che ha interamente scontato le condanne per fatti contestati negli anni passati, è detenuto solo sulla scorta di titoli provvisori: uno, per il quale il gip aveva concesso gli arresti domiciliari, per traffico di droga; l'altro, quello per il quale è processo dinanzi alla Corte di Assise, nel quale è stato accusato da alcuni collaboratori di giustizia ma «salvato» dal fratello Maurizio, che pure lo ha indicato quale responsabile di altri gravissimi episodi. Secondo l'accusa, Negri era stato tra gli ideatori della strage del Rione Monterosa. L'ordinanza, contestata dalla difesa di Prestieri, è basata sulla relazione del reparto detenuti del Cardarelli il quale, il 9 ottobre, aveva certificato che le condizioni del paziente detenuto erano «stabili sia dal punto di vista emodinamico che metabolico» e che quindi «il paziente può essere trasferito presso il centro clinico della casa circondariale di appartenenza qualora sia disponibile un ambiente idoneo in stanza singola per prevenire eventuali complicazioni infettive». I precedenti. Il cuore pazzo gli spalancava le porte del carcere ogni volta che lo arrestavano: in Costa Azzurra o a Parigi, tradito dalla passione per il calcio e da quella malattia che funzionava come un segnalatore a distanza quando i gps ancora non erano stati inventati. Michele Zaza, uomo di collegamento tra la camorra e la mafia, in cella non rimaneva mai a lungo perché troppo malato. E quando vi era capitato, e fino al suo decesso nel 1994, era stato un detenuto speciale, proprio perché cardiopatico a rischio di morte. Lorenzo Nuvoletta, capomafia di Marano, condannato da un tumore al fegato, era morto in ospedale in quello stesso anno. Piantonato, certo, ma in corsia. A casa, invece, ha concluso nel 2007 la sua esistenza Vincenzo Lubrano, consuocero di Nuvoletta, condannato all'ergastolo per l'omicidio di Franco Imposimato. Tutti boss di estrema pericolosità, tutti con il fisico minato, tutti destinatari di provvedimenti di clemenza fondati sull'incompatibilità con il regime carcerario e sull'obbligo previsto dalla Costituzione di garantire il diritto alla salute a chiunque. Ricorda l'avvocato Vittorio Giaquinto, difensore di Tommaso Prestieri: «Non mi risulta che in Italia sia in vigore la pena di morte. Al di là delle responsabilità giudiziarie del mio assistito, ancora da dimostrare, non si comprende la ragione per la quale gli sia stata negata la possibilità di sottoporsi alle terapie riabilitative previste per i trapiantati. Il suo rientro in carcere sta esponendo la sua vita a un gravissimo rischio. Rischio che anche la Corte di giustizia ha ritenuto fondato –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   per quale motivo sia stata negata al detenuto Tommaso Prestieri, fino a questo momento, la possibilità di sottoporsi alle terapie riabilitative previste per i trapiantati;
   quali siano le ragioni per le quali il detenuto non sia stato trasferito in un centro medico specializzato, al fine di seguire una riabilitazione cardiaca;
   quali iniziative urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza e alla luce di quanto richiesto dalla Corte di giustizia, affinché al detenuto in questione sia garantito il diritto alla salute e, quindi, l'accesso alle cure e/o terapie imposte dal suo precario quadro clinico. (5-08199)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   martedì 7 dicembre 2010 il quotidiano Il Tirreno ha riportato l'appello di un giovane detenuto nel carcere di Massa;
   l'uomo, con problemi di tossicodipendenza, ha 28 anni e da 24 mesi si trova in una cella del penitenziario di via Pellegrini. Da allora non vede il figlio di 5 anni. Sembra sia stata l'assistente sociale a impedire al bimbo di vedere il genitore, in quanto il carcere non è un luogo adatto ai minori;  
   nell'appello il detenuto scrive quanto segue: «Senza mio figlio sto male. Anche mia moglie ha problemi di tossicodipendenza e di depressione, ma lei sta con nostro figlio giorno e notte. Non è giusto che mi si faccia pagare una condanna sulla condanna. Io voglio vedere il mio bimbo perché senza di lui sto troppo male. Da quando mi vietano di vederlo sono caduto in depressione. C’è anche un decreto del giudice che dice che posso vederlo purché alla presenza di un'educatrice. E per questo non riesco a capire perché non posso parlargli, perché non posso abbracciarlo, perché non posso accarezzarlo come fanno tutti i genitori con i loro figli. Io ho commesso degli errori e per questi sto pagando con il carcere, non vedo ragione perché debba pagare ulteriormente stando lontano dal mio piccolino. Questo appello attraverso le pagine del Tirreno è l'ultima speranza che mi rimane. Io sto troppo male, ho bisogno di mio figlio. Questa depressione mi sta divorando l'esistenza» –:
   se risulti per quali motivi il detenuto non riesca a vedere suo figlio nonostante il giudice abbia disposto il contrario e cosa intenda fare nell'ambito delle proprie competenze per garantire ad un padre il diritto di mantenere, anche se dal carcere, un contatto umano ed affettivo con il proprio bambino. (5-08200)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia ANSA del 16 dicembre 2010, gli agenti di polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Messina hanno incrociato le braccia per una intera mattinata a causa delle proibitive condizioni di lavoro in cui sono costretti ad operare;
   i baschi azzurri lamentano turni di lavoro massacranti e un organico ridotto all'osso. Al momento gli agenti in servizio nel carcere di Messina sono 295, ovvero 305 unità in meno rispetto a quanto previsto dalla pianta organica. E tutto questo avviene in una struttura sovraffollata con più di 400 detenuti, quasi il doppio della capienza consentita;
   sulla vicenda Giuseppe Conte, segretario provinciale del Sappe, uno dei sindacati di polizia penitenziaria ha dichiarato: «Siamo stanchi di lavorare in queste condizioni; con un organico del genere il servizio offerto non può essere che scadente, nonostante il nostro impegno. Non dimentichiamo che siamo chiamati anche ad accompagnare i detenuti nelle udienze in tribunale e a fare i piantonamenti in ospedale. E tutto questo avviene nell'arco di tre turni lavorativi mentre la legge ne prevede quattro. Il risultato è semplice: oltre a mettere a repentaglio l'incolumità nostra e dei detenuti abbiamo anche una qualità della vita molto bassa» –:
   quali dati aggiornati siano a disposizione del Governo in relazione alla situazione riscontrata presso il carcere di Messina, con particolare riguardo al numero di detenuti effettivamente presenti nella struttura e al tasso di sovraffollamento in essa riscontrato;
   quali urgenti iniziative intenda assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori della casa circondariale messinese; in particolare, entro quali tempi preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
   se non ritenga opportuno procedere all'immediato aumento del personale di polizia penitenziaria attualmente dislocato presso il carcere di Messina;
   quali provvedimenti intenda adottare, sollecitare e/o promuovere al fine di risolvere le criticità denunciate dai sindacati della polizia penitenziaria operanti all'interno della struttura siciliana. (5-08203)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tirreno, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria lamenta come, nonostante in passato sia stata più volte denunciata la presenza di topi nella casa circondariale di Pistoia, la direzione del carcere non abbia intrapreso alcuna iniziativa tesa a scongiurare i pericoli igienico-sanitari che la presenza dei roditori potrebbe causare al personale di polizia penitenziaria e a quello civile, nonché ai detenuti stessi;
   sulla vicenda Pasquale Salemme, segretario nazionale del Sappe, riferisce quanto segue: «La presenza dei roditori comporta dei seri rischi igienico-sanitari: il topo è vettore di malattie ed infezioni (virus di rabbia, afta, eccetera o batteri di salmonellosi, colera ed altro) che risultano essere pericolose per l'uomo. Inoltre non è da escludere il pericolo di attacco all'uomo. È paradossale affermare che il personale di Pistoia debba svolgere una vera e propria «caccia al topo»;
   il Sappe, nel denunciare lo stato di «disagio, paura e ribrezzo», sottolinea «la persistente inerzia dell'amministrazione penitenziaria» e invoca l'intervento dell'Asl, «affinché si scongiurino conseguenze ben più gravi» –:
   alla luce di tali considerazioni, quali iniziative si intendano adottare, negli ambiti di competenza affinché nella casa circondariale di Pistoia venga finalmente debellata una volta per tutte la presenza dei roditori. (5-08204)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 17 dicembre 2010 Calogero Gueli, 71enne, ex sindaco di Campobello di Licata, si è visto recapitare un ordine di carcerazione da parte della procura generale nonostante la Corte di cassazione avesse appena confermato la sentenza con la quale lo stesso era stato assolto dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa;
   solo dopo che l'avvocato dell'uomo si è opposto all'ordine di carcerazione, l'ufficio della procura generale si è reso conto del macroscopico errore in cui era incorso;
   sulla vicenda l'avvocato dell'imputato, Lillo Fiorello, ha rilasciato il seguente commento: «Siamo in presenza di una superficialità assoluta. Prima di prendere un provvedimento del genere bisognerebbe controllare bene e invece non lo hanno fatto. Se avessero controllato si sarebbero accorti che ad essere rigettato è stato il ricorso del procuratore generale. Non sappiamo davvero in che mondo viviamo»;
   Gueli nel 2006 era stato arrestato per mafia ed estorsione nell'ambito di un'inchiesta sulla gestione di appalti pubblici nell'agrigentino. L'accusa era stata derubricata in concorso esterno e l'ex sindaco era stato condannato in primo grado a 3 anni e 4 mesi ma assolto dall'accusa di estorsione. In secondo grado era stato invece assolto dal concorso con la mafia. La Corte di cassazione oggi ha confermato al sentenza scagionando definitivamente il politico. Gli uffici della procura generale, sbagliando, credevano invece che l'ex imputato fosse stato condannato per estorsione, e per questo avevano ordinato l'arresto –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   se non ritenga di dover avviare una ispezione ministeriale presso la procura generale responsabile di aver notificato l'ordine di carcerazione all'imputato, e, se del caso, promuovere le iniziative di competenza. (5-08205)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere:
   secondo quanto riportato da un lancio dell'agenzia ANSA del 17 dicembre 2010, il penitenziario di Foggia sarebbe al collasso in quanto al suo interno si troverebbero 750 reclusi a fronte di una capienza regolamentare di 371 detenuti;
   gli agenti di polizia penitenziaria sarebbero 300 rispetto a una esigenza in organico di 420 unità;
   il vice segretario generale nazionale dell'Osapp, dottor Domenico Mastrulli, ha annunciato per il mese di dicembre una ispezione nell'istituto foggiano per visitare tutti i luoghi di lavoro dei poliziotti. Al termine dell'ispezione l'Osapp terrà una assemblea sindacale e, subito dopo, una conferenza stampa;
   secondo quanto riferito dal sindacato degli agenti penitenziari, la gestione del carcere foggiano rischia di farsi esplosiva, tanto che è stato chiesto ai vertici regionali e centrali di valutare l'assegnazione urgente di un direttore titolare di provata esperienza professionale nel campo penitenziario al fine di affrontare, con solerzia e costruttiva partecipazione, le situazioni di estremo disagio e tendenzialmente al limite della sicurezza –:
   se non intenda disporre un'ispezione presso il carcere foggiano;
   quanti detenuti dovrebbe ospitare e quanti in effetti ne ospita il carcere di Foggia;
   quanti siano, nell'istituto di pena in questione, gli agenti di polizia penitenziaria e quanti, invece dovrebbero essercene secondo le leggi e le disposizioni vigenti, ciò anche in relazione alla possibilità di rendere disponibili, proprio perché sorvegliati, spazi di socializzazione e di lavoro, di formazione e di impegno del tempo in attività formative;
   quante siano le unità dell’equipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere pugliese;
   se il Ministro non intenda intervenire, in questo come in altre carceri, perché siano garantite a chi sconta una pena tutte le condizioni previste dalla legge perché la pena sia tale e non un aggravamento derivato da condizioni strutturali e ambientali del carcere stesso. (5-08206)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 14 dicembre 2010 sul quotidiano Il Manifesto è apparso un articolo di Diana Santini intitolato: «Colpevole di non avere il permesso di soggiorno, Saidiou muore da detenuto»;
   l'articolo racconta l'incredibile morte di Saidiou Gadiaga Elhdj avvenuta all'interno di una camera di sicurezza di una caserma dei carabinieri ubicata a Brescia;
   considerata l'importanza del contenuto e delle informazioni in esso riportate, la prima firmataria del presente atto ritiene di trascrivere integralmente il citato articolo: «La magistratura ha aperto un'inchiesta sulla morte, domenica mattina, di un immigrato senegalese nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri Masotti, a Brescia: stroncato da una crisi respiratoria, hanno detto i medici. Saidiou Gadiaga, Elhdj per gli amici, trentaquattro anni, soffriva di una grave forma d'asma ed è stata proprio questa la prima cosa che ha detto ai carabinieri quando venerdì pomeriggio l'hanno portato in caserma, dopo che durante un controllo dei documenti era risultato privo del permesso di soggiorno. Il giorno dopo in città si sarebbe svolto un corteo antirazzista contro la sanatoria-truffa e, come spesso accade ultimamente nella Brescia ostaggio delle politiche discriminatorie a marchio Lega, la vigilia si è trasformata in un'ottima occasione per un giro di controlli a tappeto tra gli immigrati. Dopo l'arresto Saidiou viene portato in camera di sicurezza, in attesa del processo per direttissima e della conseguente espulsione forzata. In tasca ha, come sempre, un flaconcino di spray antiasmatico e un certificato medico che ne attesta la malattia. Più di una volta, racconta uno dei tre ragazzi immigrati, fermati nelle stesse ore e poi trattenuti insieme a lui, forse a causa dell'aria viziata della cella, il fiato di Saidiou si fa corto, affannoso. Ma viene tenuto lì dentro lo stesso, per due notti, nonostante avesse spiegato che il suo stato di salute non era compatibile con la detenzione. Domenica mattina, verso le sette, le sue condizioni peggiorano drasticamente. Finalmente qualcuno si decide a chiedere l'intervento dei medici, ma è troppo tardi. Ancora una breve, disperata corsa verso l'ospedale, dove però non c’è altro da fare che constatare il decesso, poco prima delle nove. Ora si attendono i risultati dell'autopsia. La comunità senegalese di Brescia, riunita ieri per discutere di quanto accaduto, chiede sia fatta chiarezza. La sorella di Saidiou, da Padova, dove vive, è partita per Brescia, dove oggi nominerà un avvocato di fiducia. Che, con tutta probabilità, chiederà un nuovo esame autoptico. Per ora all'attenzione dei legali ci sono la testimonianza del ragazzo senegalese che ha diviso la cella con lui e la pacata ammissione dei carabinieri del fatto che erano perfettamente consapevoli delle precarie condizioni di salute di Saidiou Gadiaga. Tra gli amici e i conoscenti, invece, c’è soprattutto la consapevolezza, se davvero c'era bisogno di un'altra inutile prova, che di Bossi-Fini si muore: in fondo, l'unica colpa di Saidiou, l'unica ragione per cui si trovava in quella cella, è che non aveva il maledetto pezzetto di carta. Anche per lui i migranti «bresciani», dopo la mobilitazione dell'11, saranno oggi a Roma per manifestare con tutti gli altri che hanno risposto all'appello nazionale dei migranti e delle associazioni antirazziste, nel giorno in cui il Governo Berlusconi chiede la fiducia. Porteranno in dote il patrimonio delle lotte che li hanno visti protagonisti, sopra e sotto la gru, a Brescia» –:
   di quali informazioni dispongano circa i fatti riferiti in premessa;
   se non intendano avviare, negli ambiti di rispettiva competenza, una indagine amministrativa interna al fine di accertare l'esistenza di eventuali profili di responsabilità e/o illiceità disciplinare nella condotta dei carabinieri che hanno tenuto in custodia Saidiou Gadiaga Elhdj. (5-08207)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia ANSA del 18 dicembre, Fabrizio Bruzzone, quarantenne, ex maresciallo dei carabinieri, attualmente detenuto nel carcere di Genova Pontedecimo perché accusato di aver ucciso la moglie, avrebbe tentato il suicidio nella sua cella nel pomeriggio del 17 dicembre;
   Fabrizio Bruzzone è stato salvato grazie all'attenzione e alla professionalità della Polizia penitenziaria posto che la stessa, non appena accortasi che il detenuto stava inalando gas dalla bomboletta che tutti i reclusi detengono per cucinarsi il cibo, è immediatamente intervenuta scongiurando il decesso dell'uomo –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   se e quali misure di cautela e di controllo siano state disposte dalla direzione dell'istituto di pena nei confronti dell'uomo che ha tentato di togliersi la vita;
   se lo stesso usufruisca di un adeguato supporto psicologico;
   se non ritenga che l'alto tasso dei suicidi e dei tentati suicidi dipenda anche – se non soprattutto – dall'elevato tasso di sovraffollamento degli istituti di pena dove attualmente sono ristretti quasi 70.000 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 43.000 posti;
   se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una «detenzione giusta», rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui, se del caso, istituendo in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per prevenire il rischio-suicidi e le altre emergenze legate ai disagi psicologici. (5-08208)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   giovedì 16 dicembre 2010 un cittadino magrebino di 35 anni condannato in primo grado per spaccio di sostanze stupefacenti con il fine pena nel 2011, si è suicidato nel carcere di Sollicciano aspirando il gas di una bomboletta nel gabinetto della cella;
   nella cella in cui si è consumato il suicidio erano ubicate sei persone e secondo quanto dichiarato dalla direzione dell'istituto di pena, il soccorso dei compagni, della polizia penitenziaria e dei medici è stato immediato ma non c’è stato niente da fare;
   questo suicidio è il 63° consumatosi all'interno di un istituto di pena dall'inizio dell'anno –:
   se e come il 16 dicembre 2010 fosse garantita la sorveglianza nel carcere di Sollicciano;
   quanti detenuti dovrebbe ospitare e quanti in effetti ne ospiti il carcere di Sollicciano;
   quanti siano, nell'istituto di pena in questione, gli agenti di polizia penitenziaria e quanti, invece dovrebbero essercene secondo le leggi e le disposizioni vigenti, ciò anche in relazione alla possibilità di rendere disponibili, proprio perché sorvegliati, spazi di socializzazione e di lavoro, di formazione e di impegno del tempo in attività formative;
   quante siano le unità dell’equipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Sollicciano;
   se il Ministro non intenda intervenire, in questo come in altre carceri, perché siano garantite a chi sconta una pena tutte le condizioni previste dalla legge perché la pena sia tale e non un aggravamento derivato da condizioni strutturali e ambientali del carcere stesso. (5-08209)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro della giustizia ha pubblicato sul sito istituzionale del Ministero una propria dichiarazione ripresa dai maggiori mezzi di informazione – riguardante le scarcerazioni decise dal tribunale di Roma nei confronti delle persone arrestate in occasione della manifestazione degli studenti del 14 dicembre 2010;
   in questa dichiarazione è scritto testualmente: «Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a seguito della scarcerazione dei soggetti responsabili, appena poche ore prima, di gravi atti di guerriglia urbana e di violenta contestazione delle istituzioni, ha incaricato l'Ispettorato Generale di effettuare l'accertamento urgente sulla conformità formale e sostanziale alle norme, del provvedimento disposto dall'Autorità Giudiziaria.»;
   a parere della prima firmataria del presente atto appare sconcertante che il Guardasigilli anticipi – per di più senza conoscere gli atti processuali – un giudizio di colpevolezza definendo i soggetti scarcerati «responsabili di gravi atti di guerriglia urbana e di violenta contestazione delle istituzioni»;
   sempre secondo il giudizio della prima firmataria del presente atto l'iniziativa del Guardasigilli è del tutto fuori luogo e inopportuna atteso che l'accertamento della responsabilità penale dei cittadini deve essere fatto dai magistrati in piena libertà e al di fuori da ogni condizionamento (politico o di altro tipo). L'invio degli ispettori – a procedimento ancora in corso e con una attività istruttoria ancora tutta da compiere – rischia di pregiudicare tale presupposto facendo perdere serenità ed equilibrio proprio a chi è chiamato ad esercitare la funzione giurisdizionale;
   l'iniziativa del Ministro rischia dunque di sovrapporre un improbabile controllo formale con finalità disciplinari al controllo sostanziale dei provvedimenti che spetta unicamente alla giurisdizione –:
   se non intenda rettificare la nota pubblicata sul sito del Ministero della giustizia nella parte in cui tutti i manifestanti arrestati nel corso della manifestazione del 14 dicembre vengono indistintamente definiti – prima dello svolgimento del relativo processo – «responsabili di gravi atti di guerriglia urbana e di violenta contestazione delle istituzioni»;
   se il Governo non reputi opportuno rivedere la decisione di affidare agli ispettori di via Arenula il compito di verificare la conformità formale e sostanziale alle norme dei provvedimenti di scarcerazione disposti dal tribunale di Roma nei confronti dei manifestanti arrestati in occasione della giornata del 14 dicembre. (5-08210)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Salvatore Coci, nato a Sant'Agata di Militello (Messina) il 10 novembre 1950, è detenuto dal 27 novembre 2010 nel carcere di Messina Gazzi, in esecuzione di una pena di 1 anno, 1 mese e 25 giorni;
   nel notificare la pena da scontare, per le gravi condizioni di salute del signor Coci, il tribunale di Patti sospendeva la sua esecuzione in carcere e chiedeva al tribunale di sorveglianza di Messina di applicare una misura alternativa;
   a tal fine il tribunale di sorveglianza incaricava l'ufficio di esecuzione penale esterna (Uepe) di Messina di produrre la relazione utile a fornire i dati occorrenti per l'applicazione della misura alternativa, ma le assistenti sociali dell'Uepe non ottemperavano alla richiesta del tribunale perché il signor Coci era lontano da Messina, cioè a Manduria, in provincia di Taranto, dove veniva assistito da una famiglia che aveva deciso di ospitarlo;
   il Coci attendeva quindi a Manduria, secondo accordi telefonici, di essere contattato dall'Uepe di Taranto ma il tribunale di sorveglianza di Messina non si sarebbe preoccupato, neanche dopo il sollecito dell'Uepe di Messina, di incaricare per la relazione gli assistenti sociali di Taranto;
   sta di fatto che, infine, il caso del signor Coci è stato discusso davanti al tribunale di sorveglianza di Messina senza alcuna relazione da parte degli assistenti sociali e con tutti i certificati delle malattie del Coci esibiti dal suo avvocato difensore e comprovanti gli alti rischi di mortalità, per evitare i quali il paziente è completamente allettato;
   in base ai certificati medici, il Coci risulta affetto da: angina instabile post infartuata trattata con intervento di rivascolarizzazione miocardica mediante stent; ipertensione arteriosa; broncopneumopatia cronica ostruttiva; artrosi generalizzata con netta diminuzione della funzionalità dell'apparato locomotore; lombosciatalgie; esiti di discectomia microchirurgica per ernia discale lombare; ernia discale con compressione sul sacco durale; sindromi comiziali post traumatiche in terapia farmacologica; immunodeficienza HCV correlata; microangiopatia generalizzata; sindrome depressiva maggiore in terapia con psicofarmaci; pregresso intervento di rivascolarizzazione arti inferiori con intervento di by-pass axillo-bifemorale per claudicatio intermittens di gamba bilaterale a stretto intervallo libero secondaria ad occlusione dell'aorta addominale e delle articolazioni iliache bilateralmente (da evidenziare che questo tubo di 8 mm che parte dal cuore fino alle gambe, se dovesse infettarsi, il rischio di morte del paziente è immediata, e il detenuto vive in condizioni precarie di pulizia); formazioni nodulari NDD polmonari;
   nonostante le numerose certificazioni esibite, secondo le quali il paziente sarebbe incompatibile con qualsivoglia stato detentivo, il tribunale di sorveglianza di Messina ha disposto la sospensione della sospensione pena richiesta dal tribunale ordinario, ordinando la carcerazione del Coci;
   il detenuto è stato prelevato dalla sua residenza nel messinese – dove era stato nel frattempo portato nella speranza che le assistenti sociali dell'Uepe di Messina lo andassero a trovare – e trasportato fino al carcere di Messina Gazzi, su un'autoambulanza e con la necessità dell'ossigeno che già aveva nel momento in cui è stato prelevato;
   attualmente è ristretto insieme ad altre 5 persone in una cella del centro clinico, dove le condizioni igieniche e le cure non sarebbero adeguate al suo stato e dove recentemente si sarebbe sentito male con il cuore, sarebbe caduto a terra e il medico sarebbe arrivato solo dopo tre ore;
   nell'interrogazione del 26 luglio 2010 n. 4-08158 la prima firmataria del presente atto faceva presente che il centro clinico era in condizioni di abbandono e degrado –:
   se corrisponda al vero quanto su descritto; se intenda effettuare accertamenti preliminari presso il tribunale di sorveglianza e l'ufficio di esecuzione penale esterna di Messina in relazione a quanto riportato in premessa; cosa intenda fare perché siano garantiti al paziente detenuto suoi diritti fondamentali e sia, innanzitutto, scongiurato il rischio che il signor Coci muoia in carcere. (5-08211)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio Permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali Italiani, Ristretti Orizzonti, Radiocarcere, Il Detenuto Ignoto, Antigone e A Buon Diritto, Pietro Salvatore Mollo, calabrese, arrestato per associazione mafiosa, detenuto in regime «duro», quello del 41-bis, si è tolto la vita nel supercarcere «Le Costarelle» di Preturo, frazione ovest dell'Aquila;
   l'uomo era giunto nel supercarcere da circa un mese e al momento non si conoscono le cause del gesto estremo messo in pratica con un lenzuolo che è stato legato ad una delle inferriate della finestra della cella. Mollo era stato arrestato a luglio 2010 a Corigliano Calabro (Cosenza) insieme ad altre 66 persone nell'ambito dell'operazione «Santa Tecla» condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ed eseguita dagli uomini del Gico della Guardia di finanza di Catanzaro, in collaborazione con i colleghi dello Scico di Roma e dai carabinieri del comando provinciale di Cosenza. Alle persone coinvolte, accusate di far parte di una pericolosa organizzazione ’ndranghetistica con base nell'alto Ionio cosentino, furono contestati i reati di associazione mafiosa, estorsione, usura, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti;
   secondo gli inquirenti Mollo, 41 anni, ricopriva una posizione di rilievo all'interno del clan coriglianese, e, unitamente al cognato Alfonso Sandro Marrazzo e ad altri sodali, avrebbe avuto un ruolo di assoluto rilievo nel traffico di droga gestito dalla cosca nonché in diverse attività estorsive e usurarie. La salma del detenuto è stata messa a disposizione dell'autorità giudiziaria che potrebbe disporre l'autopsia prima di concedere il nullaosta per i funerali –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   se intenda verificare, per quanto di competenza, il modo in cui si sono svolti i fatti per appurare se nei confronti del detenuto Pietro Salvatore Mollo siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto;
   quali siano i risultati acquisiti in passato dal monitoraggio avviato sui casi di suicidio in carcere dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
   se non ritenga che l'alto tasso di suicidi in carcere dipenda dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena, soprattutto per quanto riguarda le persone sottoposte al regime di isolamento o comunque ad altre forme di inasprimento del regime detentivo quali quelle previste dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario;
   quali misure intenda mettere in atto per arrestare questo drammatico flusso di morte che si manifesta dentro le carceri italiane con l'alto numero dei suicidi.
(5-08212)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali Italiani, Ristretti Orizzonti, Radiocarcere, Il Detenuto Ignoto, Antigone e A Buon Diritto, Alessandro Luzzani, 31enne, detenuto nel carcere del Bassone di Como dal mese di settembre 2010, calabrese, si è tolto la vita il 18 dicembre 2010 all'interno della sua cella;
   secondo quanto emerso fino a questo momento, l'uomo si sarebbe suicidato mettendosi sulla testa un sacchetto in plastica;
   l'ultimo episodio accaduto nel carcere di Como risale al maggio 2010 quando a togliersi la vita era stato un 57enne che, più volte finito in carcere, da alcuni giorni aveva iniziato uno sciopero della fame sostenendo di sentirsi perseguitato dalla magistratura –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se intenda avviare un'indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere di Como siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto;
   se non ritenga che l'alto tasso di suicidi in carcere dipenda dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno;
   quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere. (5-08213)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le agenzie di stampa del 28 dicembre 2010 hanno battuto la notizia della morte in carcere di Fernando Paniccia, detenuto invalido al 100 per cento, affetto da ritardo mentale, epilettico e semiparalizzato, il cui peso corporeo era pari a 186 chili;
   Paniccia era entrato in carcere per la prima volta a 19 anni, per il furto di 3 palloni di cuoio in una palestra, e da allora era stato più volte arrestato per piccoli reati di cui probabilmente non era nemmeno consapevole, poiché la sua capacità di comprensione era quella di un bambino di tre anni. Avrebbe terminato di scontare la sua ultima condanna il 31 dicembre 2011;
   al quotidiano Il Messaggero i parenti hanno dichiarato che «il giorno di Natale l'uomo aveva accusato un malore ed aveva chiesto di essere visitato. Dopodiché è stato dapprima visitato presso l'infermeria dell'ospedale e poi riportato in cella. Lamentava tachicardia e battiti irregolari; probabilmente, se fosse stato ricoverato, non sarebbe morto. E invece è stato di nuovo portato in carcere»;
   subito dopo il decesso i due avvocati dell'uomo hanno chiesto alla procura della Repubblica di approfondire il caso. E così, mentre è stato aperto un fascicolo, contro ignoti, per omicidio colposo è stata disposta anche l'autopsia da parte del sostituto procuratore Antonella Politi;
   a tal proposito gli avvocati della madre e dei fratelli della vittima hanno dichiarato: «Non vogliamo accusare nessuno, vogliamo solo chiarezza. Non si può morire per un malore e, probabilmente, il detenuto è stato dimesso troppo frettolosamente. L'obesità? Certo, Fernando era su con il peso, ma in carcere faceva palestra ed era sceso di diversi chili. Ci preme sottolineare, inoltre, che Fernando era lucido e affetto da handicap ad una mano, ma niente di particolarmente grave come qualcuno ha detto»;
   non appare chiaro quanti siano esattamente i disabili detenuti nelle carceri italiane dal momento che non risulta esista un sistema di monitoraggio nazionale sulle condizioni di salute sui carcerati; al momento risultano essere quattro, le sezioni attrezzate per i «minorati fisici», 143 posti in tutto, di cui molti ancora inagibili; sette risultano le sezioni per disabili motori, per un totale di una trentina di posti;
   accade spesso che chi varca la soglia di un carcere, porta con sé gli esiti di un trauma o di una malattia che hanno ridotto le sue capacità motorie o mentali;
   appare incredibile e inaccettabile che, a fronte di una popolazione carceraria che ha raggiunto ormai le 70 mila unità, vi siano meno di duecento posti riservati ai disabili fisici e disabili motori e che una quantità di detenuti con disabilità siano costretti a vivere in celle troppo strette, all'interno di istituti pieni di barriere architettoniche e affidati in molti casi solo all'assistenza di agenti della polizia penitenziaria e compagni di cella –:
   se non ritengano urgente avviare un'inchiesta amministrativa interna al fine di accertare se al detenuto Fernando Paniccia sia stata garantita un'adeguata assistenza sanitaria nel corso della sua detenzione e per quali motivi lo stesso non sia stato ricoverato pur avendone fatto espressa richiesta a causa delle sue critiche condizioni di salute;
   se non si ritenga necessario e urgente realizzare un monitoraggio nazionale per accertare quanti siano i detenuti con disabilità fisiche e in quali carceri siano ristretti e se non si ritenga di doversi dotare di un sistema unitario di raccolta dati sull'indice della malattia in carcere;
   quante delle strutture con sezioni attrezzate per disabili fisici siano effettivamente funzionanti, quanti detenuti vi siano ricoverati e quante di queste sezioni siano inagibili e per quale ragione.
(5-08214)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ADNKRONOS del 21 dicembre 2010, un detenuto polacco di 33 anni, appena arrivato dal carcere di Brescia, avrebbe tentato il suicidio tramite impiccamento nell'istituto penitenziario di Trieste;
   il gesto disperato del detenuto, il quale ha tentato di impiccarsi con i lacci del lenzuolo, è stato sventato dal personale di polizia penitenziaria –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   per quale reato il detenuto che ha tentato il suicidio si trovasse in carcere, se fosse in attesa di giudizio o condannato in sede definitiva e da quanto tempo fosse detenuto;
   se prima di questo gesto disperato, il detenuto risultasse essere seguito da uno psicologo;
   se consti che attualmente l'uomo benefici di un adeguato supporto psico-terapeutico. (5-08215)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI del 24 dicembre 2010, un detenuto di nazionalità palestinese avrebbe tentato di evadere dal carcere di Vibo Valentia, scavalcando il muro dei passeggi, dove stava effettuando la prevista ora d'aria, all'esterno della cella detentiva;
   l'aspirante evasore è soggetto pericoloso, imputato di omicidio. In passato, peraltro, il medesimo detenuto si era reso responsabile di altri eventi critici, come un tentativo di suicidio. Nella circostanza l'uomo è stato bloccato dagli agenti della polizia penitenziaria, prima che riuscisse ad uscire fuori dal carcere;
   la vicenda è stata resa nota da Giovanni Battista Durante e Damiano Bellucci, rispettivamente segretario generale aggiunto e segretario regionale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, i quali hanno rilasciato alla stampa la seguente dichiarazione. «Nel carcere di Vibo Valentia ci sono 450 detenuti, a fronte di una capienza di 256 posti, con un sovraffollamento del 175 per cento. Gli stranieri, pari a 160, quindi al 35,55 per cento, superano di circa il 10 per cento la media regionale. Il personale di polizia penitenziaria è di 157 unità, a fronte di una pianta organica di circa 200. Sarebbe opportuno un immediato incremento dell'organico di polizia penitenziaria, vista la continua crescita dei detenuti. Chiediamo che l'amministrazione proceda al più presto con le assunzioni previste dalla legge Alfano, di recente approvata dal Parlamento» –:
   quale sia l'esatta dinamica di questa tentata evasione e se, sul punto, il Ministro interrogato intenda avviare un'indagine amministrativa interna;
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda promuovere, adottare e sollecitare in relazione alla grave situazione che si è determinata nel carcere di Vibo Valentia, con particolare riferimento al versante della sicurezza interna, del sovraffollamento e della mancanza di un numero adeguato di agenti di polizia penitenziaria. (5-08216)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Il Tirreno del 24 dicembre 2010 è stato pubblicato un articolo intitolato: «Detenuto 50enne tenta il suicidio impiccandosi, viene salvato dagli agenti»;
   nell'articolo viene descritto il tentato suicidio di un cinquantenne detenuto nel carcere di Pisa, il quale nella circostanza è stato soccorso da un assistente della polizia penitenziaria e poi da un medico del Centro clinico del carcere Don Bosco, intervenuti in tempo per strapparlo alla morte;
   l'uomo ha tentato di impiccarsi nel primo pomeriggio di sabato 18 dicembre con un lenzuolo nella sua cella. Lo ha scoperto quasi subito l'assistente Michele Vignali e sul posto è arrivato immediatamente un medico del centro clinico del carcere Don Bosco, il dottor Mario Caporale. In pochi minuti hanno sciolto l'uomo dal cappio e sono riusciti a rianimarlo. È stata quindi chiamata un'ambulanza e l'uomo è stato portato in ospedale, dove si trova tuttora ricoverato: le sue condizioni però non destano preoccupazioni e la prognosi è confortante –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   per quale reato il detenuto che ha tentato il suicidio si trovasse in carcere, se fosse in attesa di giudizio o condannato in sede definitiva e da quanto tempo fosse detenuto;
   se prima di questo gesto disperato, il detenuto risultasse essere seguito da uno psicologo;
   se consti che attualmente l'uomo benefici di un adeguato supporto psico-terapeutico. (5-08217)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano La Sicilia del 21 dicembre 2010 è stato pubblicato un articolo intitolato: «Il Comune di Gela contro il Ministero della Giustizia, inaccettabile il carcere ancora chiuso»;
   l'articolo citato solleva il problema della struttura penitenziaria ubicata nel comune di Gela, la quale, pur potendo in teoria contenere almeno cento posti, continua a rimanere chiusa;
   secondo quanto sostiene l'assessore all'edilizia e urbanistica Giuseppe D'Aleo, il comune di Gela avrebbe da tempo consegnato l'immobile direttamente al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ma l'apertura del predetto istituto di pena, ancora non si intravede;
   qualche mese fa, il Sottosegretario alla giustizia, dottor Giacomo Caliendo, in Senato, aveva fissato la definitiva conclusione dei lavori del carcere galese per gli ultimi mesi del 2010, al contempo, però, un documento ufficiale firmato dal dottor Franco Ionta, capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha spostato la partenza del penitenziario al dicembre del 2012 –:
   quali siano i motivi per cui il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria abbia inteso spostare nel lontano dicembre del 2012 l'apertura del nuovo istituto di pena di Gela. (5-08218)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Il Gazzettino del giorno 31 dicembre è apparso un articolo di Antonio Franchini, presidente della camera penale veneziana, intitolato: «Nel carcere di Santa Maria Maggiore condizioni da Terzo mondo»;
   nel citato articolo, l'avvocato penalista espone i seguenti fatti: «La notizia della decisione di costruire un nuovo carcere a Campalto è di quelle che fanno sentire di appartenere ad un paese civile. Sembrava impossibile che, di fronte ad una situazione come quella del carcere di S. Maria Maggiore, con le bocche di lupo nelle celle, con il sovraffollamento selvaggio da Paese del terzo mondo, con storie suicidiarie, con la sistematica violazione delle regole igieniche (un water in cella per 8/9 detenuti), con il mancato rispetto dello spazio minimo per ogni detenuto (tre metri quadri), il governo nazionale, quello regionale, un sindaco illuminato come Giorgio Orsoni non intervenissero in nome di una democrazia liberale, che deve assicurare a chi delinque una pena certa, ma in condizioni di vita civile e con lo scopo costituzionale della rieducazione del condannato. Per non parlare dei detenuti in attesa di giudizio, presunti innocenti fino alla sentenza definitiva. I penalisti veneziani in questi anni hanno spesso protestato per le condizioni dei detenuti di S. Maria Maggiore, condizioni che non dipendono certo dalla Direzione della struttura o dalle guardie penitenziarie, che fra mille sacrifici si trovano coinvolte nel degrado e nel sovraffollamento del carcere (243 numero fisiologico di detenuti, 363 attuali presenze) e continueranno a protestare con azioni sempre più incisive finché questa vergogna non sarà cancellata. Già 20 anni fa Nicolò Amato emise un decreto di chiusura del carcere di S. Maria Maggiore, decreto che poi venne bloccato dalla giustizia amministrativa. Era un segnale ed un simbolo. Ora è necessario andare fino in fondo, senza incertezze o ripensamenti, perché non succeda che un dibattito infinito (del quale si avvertono i primi segnali) ritardi o, peggio, blocchi un'opera di giustizia e civiltà. Intanto, finché non sarà costruito il nuovo carcere, è comunque necessario intervenire urgentemente per alleviare una situazione che resta drammatica. Vi è, infatti, un dato impressionante che, fa capire come intervenire si possa e si debba. Nell'arco dell'anno 2010 i detenuti “in transito” sono stati più di 1000: costoro restano in carcere 3-4 giorni e poi vengono liberati per una serie di motivi tecnici (assoluzione o sospensione condizionale della pena nei processi per direttissima, mancate convalide degli arresti, eccetera). In realtà, se il Tribunale garantisse la celebrazione delle udienze di convalida e dei giudizi direttissimi entro 24 ore dall'arresto, questi detenuti potrebbero essere condotti direttamente davanti al Giudice senza transitare per il carcere, ma rimanendo in custodia presso le camere di sicurezza della Polizia o dei Carabinieri. Questi detenuti “provvisori” entrano invece in carcere con il risultato di un insostenibile aggravio numerico della popolazione carceraria e una moltiplicazione burocratica del tutto inutile. Le Autorità preposte (Procuratore della Repubblica, Questore, Comandante dei Carabinieri) devono urgentemente intervenire per mutare questa situazione. Nell'immediato non esistono altre ricette; per il futuro si chiuda finalmente S. Maria Maggiore e si costruisca finalmente il nuovo carcere senza tentennamenti, senza se e senza ma» –:
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di riportare le condizioni di detenzione all'interno del carcere di Santa Maria Maggiore compatibili con il dettato costituzionale e con le norme e i regolamenti in materia di trattamento penitenziario;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di riportare il numero dei detenuti reclusi nel carcere veneziano all'interno della capienza regolamentare;
   se ed entro quali tempi sia prevista la chiusura del carcere indicato in premessa. (5-08220)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – emesso che:
   secondo quanto reso noto dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, avvocato Angiolo Marroni, e riportato dall'agenzia di stampa Il Velino, un giovane detenuto rom ventiquattrenne, Rambo Djurdjevic, si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella del carcere romano di Rebibbia nuovo complesso;
   a quanto appreso dai collaboratori del garante, Djurdjevic era arrivato il 16 giugno 2010 nel reparto G 12 di Rebibbia Nuovo Complesso dove stava scontando, insieme al fratello, una condanna per furti con un fine pena fissato a maggio 2011. A trovarlo senza vita sono stati gli agenti di polizia penitenziaria nel corso di un controllo. Il giovane era entrato per la prima volta in carcere nel 2002 all'istituto penale minorile di Casal del Marmo, quindi aveva conosciuto anche le carceri di Velletri e Arezzo. I familiari sono stati avvertiti dalle autorità di quanto accaduto;
   si tratta del decimo decesso registrato in un carcere della regione Lazio nel 2010, il quarto suicidio. Mentre a livello nazionale, nello stesso arco temporale, i decessi in carcere sono stati i 72 e i suicidi 66 –:
   se il Governo non intenda urgentemente attuare iniziative di competenza per capire, anche attraverso l'avvio di un'indagine interna, se vi siano responsabilità disciplinari nella morte detenuto avvenuta nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso;
   se ed in che misura il detenuto morto suicida disponesse di un adeguato supporto psicologico;
   se non si ritenga di fornire con la massima urgenza elementi sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette;
   se non si intenda immediatamente assumere iniziative volte a stanziare fondi per migliorare la vita degli agenti penitenziari e dei detenuti in modo che il carcere non sia solo un luogo di espiazione con caratteristiche esclusivamente afflittive, ma diventi soprattutto un luogo, attraverso attività culturali, lavorative e sociali, in cui i detenuti possano avviare un percorso concreto per essere reinseriti a pieno titolo nella società;
   se non sia indispensabile e urgente assumere iniziative, anche normative, per favorire il ricorso a forme di pene alternative per garantire un'immediata riduzione dell'affollamento delle carceri italiane. (5-08221)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa 9Colonne del 29 dicembre 2010, Giuseppe Belcastro, 50enne, condannato all'ergastolo in primo e secondo grado per omicidio e associazione mafiosa, sarebbe tornato in libertà perché il magistrato che ha emesso la sentenza di condanna all'ergastolo, non ha depositato, dopo 4 anni e mezzo le motivazioni della sentenza;
   la scarcerazione è stata motivata dal fatto che i motivi della sentenza d'appello con cui Giuseppe Belcastro è stato condannato all'ergastolo sono stati depositati quattro anni e mezzo dopo l'emissione della sentenza, avvenuta nel marzo del 2006. Un ritardo che ha provocato la scarcerazione anche di un altro imputato del processo «Prima Luce», per la faida di Sant'Ilario, Luciano D'Agostino, condannato a 15 anni di reclusione;
   la procura generale di Reggio Calabria aveva già segnalato alla corte d'appello i ritardi nel deposito della motivazione della sentenza «Prima luce» con la condanna all'ergastolo, tra gli altri, di Giuseppe Belcastro, che per tale motivo è stato scarcerato grazie alla scadenza dei termini di custodia cautelare. È quanto hanno riferito fonti della procura generale, secondo le quali, tra l'altro, il giudice estensore, che è Enrico Trimarchi, «non è nuovo a ritardi nel deposito delle motivazioni delle sentenze» –:
   se non ritenga necessario ed urgente avviare un'apposita iniziativa ispettiva presso la Corte d'assise d'appello di Reggio Calabria, verificando il motivo per cui il deposito delle motivazioni sia avvenuto a distanza di ben quattro anni e sei mesi dall'emissione della relativa sentenza, ai fini dell'esercizio dell'azione disciplinare. (5-08222)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 30 dicembre 2010, un detenuto è morto a causa di problemi cardiaci all'interno della struttura di reclusione di Larino (Campobasso);
   l'uomo, recluso per reati contro il patrimonio, era in attesa di giudizio definitivo. In cura per malattie del sistema cardiocircolatorio, era in cella insieme ad altri due detenuti;
   sulla vicenda il consigliere nazionale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe) Aldo Di Giacomo ha voluto rilasciare la seguente sconfortante dichiarazione: «Questa morte purtroppo conferma che le carceri italiane sono diventate una pattumiera dell'umanità; si continua a mettere in galera tutti senza creare differenziazioni nei circuiti carcerari e misure alternative» –:
   se intendano, negli ambiti di rispettiva competenza, acquisire elementi per valutare se al detenuto morto per una crisi cardiaca siano state garantite l'assistenza e le cure mediche che il suo precario stato di salute imponevano;
   più in generale, se e quali iniziative, anche di carattere normativo, il Ministro della giustizia intenda promuovere, al fine di garantire una efficace e concreta differenziazione tra i circuiti carcerari;
   se non sia indispensabile e urgente assumere iniziative, anche normative, per favorire il ricorso a forme di misure e pene alternative al carcere. (5-08223)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   un comunicato dell'ufficio stampa di Antigone, diffuso nel pomeriggio del 5 gennaio 2011, ha dato la drammatica notizia del suicidio di un internato nell'Ospedale pischiatrico giudiziario di Aversa, verificatosi nel pomeriggio del 4 gennaio;
   secondo l'osservatorio dell'associazione Antigone Campania, l'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa ospita attualmente circa 300 internati, persone sofferenti psichicamente, autori di reati e condannati ad una misura di sicurezza;
   l'uomo che si è tolto la vita è Massimo B., aveva 32 anni e si è impiccato nella propria cella; sull'accaduto, il portavoce campano dell'associazione, Stefano Dell'Aquila, ha dichiarato: «È triste constatare che un sofferente psichico, che ha fatto il suo ingresso in Opg a luglio dello scorso anno, sottoposto a misura di sicurezza provvisoria per reati non di particolare gravità, trovi la morte, dopo nemmeno sei mesi in una struttura in cui dovrebbe ricevere, in teoria, una adeguata assistenza sanitaria»; ”Pur ammettendo tutti i limiti dovuti alla esiguità di risorse, – ha proseguito il portavoce dell'associazione – rimane inspiegabile che una persona sottoposta ad un doppio regime di sorveglianza, sanitario e penitenziario, abbia modo di togliersi la vita senza che nessuno se ne accorga»; «Lo spirito della riforma della sanità penitenziaria, ha concluso Dell'Aquila, era quello di superare la logica manicomiale e avviare un processo di sostanziale trasformazione di questi luoghi. Ad oggi constatiamo che vi è una distanza enorme tra la realtà degradante di questi luoghi e le nostre aspettative» –:
   di quali informazioni dispongano in merito a quanto riportato in premessa;
   in che modo fosse seguito dal punto di vista psico-pedagogico il giovane suicida, se sia stato previsto per lui un progetto individualizzato di cura e riabilitazione e quanto tempo abbia trascorso in totale in strutture che ospitano internati, siano state esse ospedali psichiatrici giudiziari o case di lavoro;
   quale sia la collaborazione tra l'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa e il dipartimento di salute mentale presso la Asl competente sul territorio e quale sia il modello organizzativo adottato ai fini del perseguimento degli obiettivi per la tutela della salute degli internati;
   quali informazioni risultino – in base alle periodiche relazioni della ASL – in merito agli standard igienico-sanitari dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa;
   quali specifici programmi mirati alla riduzione dei rischi di suicidio siano stati attivati con riferimento all'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. (5-08224)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 20 dicembre 2010 si è impiccato nel carcere di Genova Pontedecimo il signor Marco Fiori;
   fin dall'inizio le modalità del suicidio hanno attirato l'attenzione della procura della Repubblica tanto è vero che sul quotidiano Il Secolo XIX del 22 dicembre 2010 è apparso un articolo intitolato: «24enne si impicca in carcere: per la Procura è istigazione al suicidio»;
   l'articolo contiene spunti interessanti rispetto ai quali il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria dovrebbe fare piena luce: «La svolta è arrivata ieri mattina, quando il sostituto procuratore Alberto Lari ha aperto ufficialmente l'indagine per “istigazione al suicidio”. E il passaggio successivo, altrettanto importante, è stata la richiesta d'un dettagliato dossier alla direttrice del carcere, mentre nelle prossime ore sarà eseguita l'autopsia all'istituto di medicina legale del San Martino. C’è qualcosa che non torna, nella morte di Marco Fiori, il ventiquattrenne che domenica sera si è impiccato nel penitenziario di Pontedecimo, legando una corda nel bagno. O meglio: i passati problemi della vittima, che già in due occasioni aveva provato a togliersi la vita ed era inquadrato quale “detenuto ad alto rischio”, come potevano conciliarsi con il recentissimo trasferimento nella cella di Fabrizio Bruzzone, carabiniere assassino a sua volta considerato borderline? È questo il nocciolo degli accertamenti, che devono dar risposta a due domande delicate. Primo: si poteva in qualche modo evitare il suicido, c’è stata qualche falla (burocratica) nel meccanismo che non ha infine saputo evitare la tragedia? E soprattutto: c’è chi potrebbe aver spinto Marco a compiere un gesto estremo? Non è un mistero che, da subito, il caso di Fiori fosse stato considerato anomalo. Il giovane era infatti agli arresti dal 7 maggio scorso, quando fu bloccato a San Fruttuoso dopo aver rapinato un supermercato per pagarsi debiti di droga. Sulle prime era stato dipinto come il bandito che aggrediva e derubava le anziane del quartiere, e per questo “punito” con una violentissima aggressione a Marassi. In altre due occasioni era stato invece picchiato perché aveva contribuito con le sue dichiarazioni a incastrare una banda di spacciatori, o per aver semplicemente incrociato un folle durante l'ora d'aria. Fatto sta che, profondamente depresso, era stato trasferito a Pontedecimo e qui aveva cercato la morte: prima inalando gas dalla bomboletta in dotazione per cucinare, quindi tagliandosi le vene. Proprio perché instabile (da ragazzino era stato riformato dal militare per questioni comunque psicologiche) la direttrice Maria Milano aveva chiesto che fosse accompagnato in una struttura protetta, a Torino. La sua pratica era già al vaglio del tribunale di sorveglianza (che ha competenza su tutto ciò che riguarda carcerazione o buona condotta) e il nome di Marco Fiori risultava inserito in una lista d'attesa, ma evidentemente non s’è fatto in tempo. E però nell'opinione del pubblico ministero è probabilmente un altro, l'aspetto che va chiarito definitivamente e chiama in causa gli ultimi dieci giorni di vita della vittima. Recentemente, infatti, Fiori aveva chiesto d'essere spostato e la sua non era stata una proposta come tante, in quanto può capitare sovente che i detenuti aspirino a nuove sistemazioni. Fiori aveva espresso la volontà di condividere i pochi metri quadrati nei quali si svolge quotidianamente la vita dietro le sbarre con Fabrizio Bruzzone, il carabiniere che l'8 agosto scorso uccise a coltellate la moglie Mara Basso. Lo stesso che sabato, ventiquattro ore prima di Marco, ha tentato a sua volta di uccidersi in cella. Secondo alcune indiscrezioni filtrate nelle ultime ore, Bruzzone avrebbe sussurrato durante un colloquio che era stato proprio il nuovo compagno a salvarlo, prima che intervenissero gli agenti penitenziari. Che cosa ha poi innescato la sua scelta di farla finita, con chi potrebbe aver parlato, di cosa? “Non dovevano lasciargli le lenzuola” insiste il legale Carlo Contu, dando voce alle parole di Giovanni Fiori, padre di Marco. Il primo passo è rappresentato dall'autopsia, per capire almeno come è morto Marco. Poi il dossier che scandisca i tempi ed eventualmente qualche interrogatorio. La legge è chiara. Per contestare l'istigazione al suicidio, è necessario dimostrare che qualcuno abbia determinato o rafforzato il proposito di uccidersi. Difficilissimo, ma s’è deciso di vederci chiaro»;
   inoltre, sempre sulla stessa vicenda, il 22 dicembre 2010, è stato pubblicato il seguente articolo sul Corriere Mercantile intitolato: «La disperazione nelle ultime lettere di Marco dalla cella prima del suicidio»: «Tutti gli altri detenuti giocano, si divertono ecc. Io me ne sto dentro la mia cella a pensare alla mia ragazza, alla madre e ai miei cari. So che così è peggio, ma non riesco assolutamente a entrare nel contesto che sono un detenuto, io non sono un carcerato e non faccio parte di questa vita». Era il 6 ottobre quando Marco Fiori, il ragazzo di 24 anni che domenica si è tolto la vita in carcere scriveva queste parole al suo avvocato, Carlo Contu, lanciandogli un disperato appello tra urla di dolore. «Io sto molto male, so che quando vieni a trovarmi mi vedi meglio, lo so, ma dentro soffro, perché io non voglio abituarmi al carcere». Marco era disperato. Per lui le porte del carcere si erano aperte a maggio, quando aveva messo in atto una maldestra rapina ai danni del supermercato Pam di via Donghi, a San Fruttuoso. Il colpo, nel quale fu arrestato in flagranza dai carabinieri, gli era costato due anni e 8 mesi in abbreviato. La sentenza fu pronunciata dal gup Massimo Cusatti che aveva dovuto tenere conto delle aggravanti, ovvero che si era opposto all'arresto e, nel tentativo di divincolarsi, aveva rotto il naso ad un uomo. Fiori tentò la rapina perché doveva dei soldi a degli spacciatori da cui aveva avuto della droga da vendere e che lo minacciavano. I primi guai giudiziari li ebbe ad Asti dove doveva spacciare la droga ma fu preso. Fu condannato a due anni e 8 mesi per detenzione e spaccio, pena che ottenne di scontare in affidamento, lavorando di giorno (faceva il gommista) e dormendo a casa la notte. Proprio al gup, a novembre, Marco Fiori scrisse una lettera di supplica dopo avere ricevuto il rigetto di un'istanza di attenuazione della custodia. «Sono pentito per ciò che ho fatto, la prego, sono rinchiuso da 8 mesi in carcere e ogni giorno penso a ciò che ho fatto per ritrovarmi in questa situazione». E ancora: «Ho preso atto del crimine da me fatto e posso assicurarle che mi manca tantissimo la mia famiglia... Per lo psicologo io ho fatto la rapina senza capirne poi le conseguenze ed è proprio così». «Quando feci la rapina – aggiunse il ragazzo – ero sotto psicofarmaci e in più ero perseguitato e minacciato da altre persone». Cusatti ricevette successivamente una richiesta di trasferimento in una struttura sanitaria che firmò il giorno stesso. Per Fiori il tribunale di sorveglianza aveva disposto il trasferimento nell'ospedale psichiatrico giudiziario. Era in lista d'attesa per lasciare il carcere di Pontedecimo, dove era stato trasferito dopo essere stato nuovamente picchiato da un detenuto. Non ha avuto la forza di attendere il trasferimento. Un'altra missiva al suo legale porta la data del 21 ottobre 2010. Gronda dolore e segue il primo tentativo di suicidio. «Sono sotto stretta sorveglianza – scriveva Marco Fiori – perché non so se ti è capitato in mano il giornale o hai visto il telegiornale: ho tentato il suicidio. La motivazione è che mi manca la mia famiglia». E aggiunge: «Purtroppo con la testa ancora non sto tanto bene, ero lì per salutare tutti». E conclude: «Ti prego, se i miei non sono venuti a sapere niente non dirgli niente del tentato suicidio. Ora sono sotto controllo ma sono veramente giù di morale, non so più dove girarmi». Marco Fiori poco dopo tentò di tagliarsi le vene del collo con una lametta da barba, quindi ingoiò una lametta da barba. Venerdì scorso il suo compagno di cella, il carabiniere uxoricida Fabrizio Bruzzone, ha tentato il suicidio. Domenica, durante una visita di personale sanitario, il ventiquattrenne si è ritirato in bagno, ha fabbricato un cappio con un lenzuolo e si è impiccato –:
   quale sia l'esatta dinamica che ha condotto il giovane detenuto a togliersi la vita;
   se corrisponda al vero il fatto che, già prima del suicidio, il detenuto avesse tentato due volte di togliersi la vita;
   se siano note le ragioni per le quali il detenuto non risultasse ancora essere stato trasferito presso una struttura protetta, come espressamente richiesto dalla direttrice del carcere di Genova-Pontedecimo;
   per quali motivi nella cella del detenuto Marco Fiori, che già in due occasioni aveva provato a togliersi la vita ed era inquadrato quale «detenuto ad alto rischio», sia stato trasferito Fabrizio Bruzzone, persona considerata borderline;
   se nel corso della sua detenzione, Marco Fiori abbia potuto usufruire di un adeguato supporto e sostegno psicologico;
   per quali motivi al detenuto aspirante suicida sia stato consentito di tenere con sé un lenzuolo e perché sia stato lasciato solo e senza sorveglianza consentendogli di togliersi la vita;
   se, più in generale, intenda avviare una indagine amministrativa interna, nel rispetto dell'inchiesta avviata dalla procura della Repubblica, al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere di Genova siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e, quindi, se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto. (5-08225)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul Corriere di Como del 29 dicembre 2010 è apparso un articolo intitolato: «Medici del carcere in rivolta: siamo pronti a dimetterci tutti»;
   i sei medici del servizio integrazione di assistenza sanitaria (Sias) del carcere Bassone di Como si sono uniti alla protesta iniziata la scorsa settimana dagli agenti di polizia penitenziaria lamentando che i muri degli ambulatori sono scrostati, di non avere una connessione a internet e che i locali sono così freddi che si vedono costretti a visitare i pazienti con guanti e giacca;
   la dottoressa Teresa Cera, portavoce del pool di medici in sciopero, ha dichiarato: «Il primo problema è la condizione igienico-sanitaria in cui lavoriamo. Gli ambulatori della sezione maschile e femminile sono in condizioni totalmente inadatte: in quello femminile ci sono dieci gradi, a volte dobbiamo visitare con guanti e giacca. Soltanto da quest'anno abbiamo una stufetta elettrica che riscalda un po’ l'ambiente dove viene utilizzata. Nell'ambulatorio maschile la temperatura oscilla tra i 12 e i 16 gradi. I caloriferi perdono, l'intonaco cade e c’è muffa nel bagno e nell'ambulatorio. Due settimane fa è andata a fuoco un presa ed è saltato un computer. Non abbiamo un fax personale e nemmeno una connessione a internet, che servirebbe anche per l'elettrocardiografo. Oltretutto, dal 2005 prendiamo 23 euro lordi all'ora, a qualsiasi ora di qualsiasi giorno dell'anno. Da due anni non dipendiamo più dal ministero della Giustizia, ma da quello della Salute, e le nostre condizioni sono invariate: o la situazione cambia, oppure saremo pronti a dimetterci» –:
   di quali informazioni dispongano circa i fatti riferiti in premessa;
   quali provvedimenti urgenti intendano promuovere o adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di rimuovere i problemi, le criticità e i disagi denunciati dai sei medici del servizio integrazione di assistenza sanitaria (Sias) assegnati presso il carcere Bassone di Como. (5-08226)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 7 gennaio 2011 sul sito internet Umbria24 è apparso un articolo scritto da Daniele Bovi intitolato: «Le carceri umbre sovraffollate e violente. Capanne quarta in Italia per atti di autolesionismo»;
   nell'articolo sono riportati alcuni dati forniti dalla UIL-PA Penitenziari e relativi alla difficile situazione che stanno attraversano gli istituti penitenziari umbri;
   in particolare nelle carceri dell'Umbria – pur registrandosi un tasso di sovraffollamento «solo» del 47,4 per cento e, quindi, ben lontano dall'81 per cento di Puglia ed Emilia Romagna 0 dal 77 per cento della Calabria – si sono registrati, nel solo 2010, un suicidio, 19 tentati suicidi, 258 atti di autolesionismo, 13 aggressioni agli uomini e alle donne della polizia penitenziaria e 125 detenuti in sciopero della fame;
   in particolare, nel solo carcere di Capanne, si sono verificati ben 146 atti di autolesionismo: un dato che piazza il penitenziario umbro al quarto posto in Italia dietro Firenze Sollicciano (302), Lecce (214) e Bologna (155);
   sempre secondo i dati forniti dalla Uil-Pa Penitenziari, nel 2010 gli atti autolesionistici registrati a Spoleto sono stati 67, contro i 38 di Terni e i sette di Orvieto. Sei invece le aggressioni a Perugia, contro le tre a testa di Spoleto e Terni e l'unica di Orvieto. Sei i tentati suicidi a Perugia, Terni e Spoleto contro uno soltanto a Orvieto. Cinquantadue infine i detenuti in sciopero della fame nel carcere di Perugia contro i 59 di Spoleto, i 12 di Orvieto e i due di Terni –:
   se non intendano avviare, negli ambiti di rispettiva competenza, una indagine ispettiva presso gli istituti di pena umbri, in particolare presso il carcere di Capanne;
   quanti degli atti suicidiari e autolesivi indicati in premessa siano stati compiuti dai detenuti durante la fase iniziale della carcerazione e quanti nel corso del periodo di isolamento;
   quanti reclusi, tra quelli che hanno tentato il suicidio o che hanno compiuto atti autolesivi, fossero tossicodipendenti;
   se in tutti gli istituti di pena umbri sia presente e funzionate il servizio «nuovi giunti» e lo staff multidisciplinare che lo compone;
   se, alla luce dell'alto tasso di suicidi, tentati suicidi e atti di autolesionismo registrato nel solo 2010 nelle carceri umbre e, in particolare, in quello di Capanne, non ritengano, negli ambiti di rispettiva competenza, di dover intensificare — così come previsto nella circolare GDAP n. 0177644-2010 del 24 aprile 2010 – l'attività di sostegno e riabilitazione dei detenuti mediante la predisposizione ed il miglioramento di moduli procedurali che coinvolgano la polizia penitenziaria, gli operatori dell'area educativa, il personale sanitario e gli assistenti volontari nelle seguenti attività: a) effettuazione di sempre più accurate scelte dell'ubicazione detentiva; b) approfondimenti dell'osservazione della personalità; c) più celeri attivazioni di eventuali programmi diagnostici e terapeutici anche, ad esempio, con il coinvolgimento del SE.r.T.;
   se e quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare e promuovere al fine di aumentare gli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché per quanto di competenza dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi in servizio presso gli istituti di pena umbri, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone ivi recluse. (5-08227)


   BERNARDINI, BELTRANDI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   su La Nuova Sardegna del 29 dicembre 2010, pagina 36, è apparso un articolo intitolato: «Un atto di clemenza per Grazia Marine»;
   l'articolo riporta la vicenda di Grazia Marine, donna che compirà 74 anni il prossimo 21 gennaio, madre di 10 figli, rinchiusa nel carcere sardo di Badu ’e Carros da ben 4 anni (con fine pena a gennaio 2013) perché accusata di essere stata la carceriera di Silvia Melis;
   negli scorsi mesi i familiari dell'anziana detenuta si sono rivolti alla presidente dell'associazione Socialismo diritti e riforme, Maria Grazia Caligaris, sostenendo che per ragioni di salute Grazia Marine non può rimanere dentro quel carcere, in quanto, stando al loro racconto, la detenuta soffrirebbe di un numero piuttosto elevato di malanni vari;
   sulla vicenda la ex consigliera regionale Maria Grazia Caligaris ha dichiarato: «La permanenza in carcere soprattutto in questi ultimi mesi sta mettendo a dura prova la resistenza fisica e psichica di Grazia Marine, orgolese, ristretta nel carcere di Badu ’e Carros. Da diversi anni in cura per ipertensione arteriosa, la donna, che ha avuto un infarto negli anni scorsi, convive con numerosi disturbi, tra i quali vi sarebbe anche la gotta, il che le impedisce di deambulare. Per cui, continuare a tenerla in stato di detenzione mette a rischio la sua vita»;
   i familiari della detenuta sostengono che l'anziana non può più essere curata in modo adeguato all'interno del carcere e ciò nonostante le attenzioni dei medici e della polizia penitenziaria;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto, per una donna così anziana che ha sempre vissuto in condizioni decisamente poco agiate, forse sarebbe opportuno pensare a una pena attenuata almeno per garantirle il mantenimento della dignità –:
   di quali informazioni dispongano circa i fatti riferiti in premessa;
   se sia noto quali siano attualmente le condizioni di salute della signora Grazia Marine e se venga garantita alla detenuta tutta l'assistenza medico-sanitaria che il suo precario stato di salute richiede;
   quali iniziative urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, affinché alla signora Grazia Marine venga assicurato il fondamentale diritto alla salute riconosciuto a livello costituzionale. (5-08228)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 3 febbraio 2011, di notte il carcere di Favignana, all'interno del quale sono reclusi circa 150 detenuti, è affidato alla vigilanza di due sole unità di polizia penitenziaria;
   secondo quanto dichiarato dal vicesegretario generale del sindacato di categoria Osapp, Mimmo Nicotra, non si comprende per quale motivo il direttore disponga del contingente addetto alla navale, che oggi conta 20 unità, di cui 4 nel ruolo di ispettore, e nessuna di queste venga impiegata presso la struttura. Peraltro, delle 2 motovedette in dotazione, solo una è operativa. Quindi il personale «navale» non ha momentaneamente impiego completo. «Ecco perché facciamo appello al capo del Dap e al Provveditorato della Regione: non possiamo permetterci, soprattutto in Sicilia, di non impiegare al meglio il personale della polizia penitenziaria» –:
   per quali motivi nessuna unità del contingente addetto alla navale venga impiegata all'interno del carcere di Favignana;
   se non intenda adottare provvedimenti urgenti al fine di aumentare l'organico degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso la predetta struttura penitenziaria. (5-08229)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla stampa locale, continuano gli allagamenti all'interno del carcere di Enna ove alcune celle delle sezioni detentive femminile e maschile restano inagibili, con ripercussioni sull'operato degli agenti che devono farsi carico di questi disagi; il muro che costeggia il penitenziario è inagibile da diversi anni, il che rende difficile la circolazione delle auto, con serio disagio per la cittadinanza;
   le mura del penitenziario ennese sono scrostate e piene di muffa, mentre i corridoi della mensa versano in analoghe condizioni. La struttura inoltre presenta in più punti evidenti segni di deterioramento, con pareti e soffitti scrostati, intonaco distaccato e muffa;
   per questi motivi gli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Enna hanno proclamato lo stato di agitazione aggiungendo che se non riceveranno risposte concrete da parte del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non esiteranno ad intraprendere forme di protesta pacifiche – dalla protesta di piazza ad oltranza allo sciopero bianco, al rifiuto della fruizione della mensa di servizio – sino a quando le autorità interessate non interverranno e verificheranno che poco è stato fatto e tanto si deve fare;
   i sindacati di polizia penitenziaria chiedono con forza la chiusura del vecchio padiglione e l'immediata apertura di quello nuovo nonché l'invio di nuovi agenti;
   a ferragosto 2010, la prima firmataria del presente atto ha visitato il carcere di Enna assieme al sindaco Paolo Garofalo e i gravi problemi sopra riportati erano stati già segnalati con precisi atti di sindacato ispettivo che, ad oggi, non hanno ottenuto risposta –:
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di risolvere i gravi problemi in cui versa la struttura penitenziaria di Enna denunciati dalle organizzazioni sindacali di categoria;
   se non si ritenga opportuno disporre l'immediata chiusura del vecchio padiglione e l'apertura di quello nuovo.
(5-08230)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI del 1° febbraio 2011, un 45enne, di origini napoletane, detenuto per condanne relative a reati contro il patrimonio, ha cercato di togliersi la vita all'interno del carcere Castrogno di Teramo;
   l'uomo si è stretto attorno al collo un maglione, formando un vero e proprio cappio, dopodiché lo ha assicurato alle sbarre della finestrella. Un agente di polizia penitenziaria si è accorto di quanto stava accadendo ed è entrato subito all'interno della cella, chiedendo il supporto dei colleghi, che hanno liberato il detenuto e lo hanno accompagnato in infermeria per essere assistito da uno psichiatra –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   se l'uomo prima di compiere il gesto abbia potuto usufruire di un adeguato trattamento psicologico;
   con quante persone l'aspirante suicida condividesse la cella al momento del tragico gesto;
   a quanto ammonti il numero dei detenuti che dall'inizio dell'anno hanno tentato il suicidio o che hanno compiuto gesti di autolesionismo. (5-08231)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi alcuni sindacati di polizia penitenziaria hanno lanciato l'allarme per le condizioni di assoluta invivibilità registrate nel carcere Sant'Anna di Modena, a causa dell'insostenibile sovraffollamento;
   la situazione nel predetto penitenziario è diventata difficilissima sia per gli agenti, sia per i detenuti;
   l'istituto può ospitare non più di 220 detenuti ed attualmente ne ospita circa 484;
   in celle nate per ospitare un solo detenuto (celle di due metri per tre e anche meno) sono ristretti fino a cinque detenuti sistemati in letti a castello che arrivano sino al terzo piano;
   invece dei 226 agenti di polizia penitenziaria previsti in pianta organica, ne risultano effettivamente in servizio solo 170, il che costringe il personale a rinunciare a diritti, quali riposi e congedi per «mantenere a galla» una struttura ormai al collasso –:
   se non ritenga di intervenire con le più opportune iniziative per destinare: a) un numero maggiore di agenti, sì da far fronte all'alta presenza di detenuti, che continua a crescere costantemente; b) fondi per mettere in stato di sicurezza la struttura e, di conseguenza, l'incolumità degli agenti e degli stessi detenuti.
(5-08232)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   domenica 30 gennaio 2011, la prima firmataria del presente atto ha visitato la casa circondariale di Savona assieme ad Irene Testa (segretaria dell'associazione Il detenuto ignoto), Alessandro Rosasco e Gian Piero Buscaglia (membri del comitato nazionale di Radicali italiani) e Susanna Mazzucchelli (segretaria dell'Associazione Radicali Genova); la delegazione è stata accompagnata dal comandante Andrea Zagarella;
   dalla visita ispettiva è emerso il seguente quadro:
    il carcere di Savona nasce come convento e risale al XIV secolo; è una struttura vecchia, umida, male illuminata e fatiscente. In tutto ci sono 11 celle, 6 al pianterreno e 5 al piano interrato; le celle sono estremamente umide e con il wc alla turca; tutti i detenuti accedono 4 volte alla settimana ad uno spazio unico per le docce; le ore d'aria si svolgono in un cortile senza riparo (ma è l'unico luogo dell'istituto che riceve luce naturale); vi è poi una piccola palestra, una biblioteca/cineforum e una cappella; nella sala colloqui, molto angusta e senza finestre per ricevere la luce naturale, non è stato ancora abbattuto il vietatissimo muretto divisorio per cui persino i colloqui dei detenuti con i minori si svolgono in una condizione pietosa; in futuro – rassicura il comandante – questo tipo di colloqui si svolgeranno nella cappella, in attesa della messa in funzione dell'area verde;
   nel carcere di Savona, il giorno della visita erano presenti 80 detenuti, di cui 5 semiliberi, a fronte di una capienza regolamentare di 38 posti; 12 di loro con condanna definitiva, 34 in attesa di primo giudizio, 15 appellanti e 14 ricorrenti in cassazione; nell'istituto si registra un pesante turn over: in un anno, infatti, entrano tra i 500 e i 600 detenuti e gli «sfollamenti» che in passato l'amministrazione autorizzava quando usi raggiungeva quota 70 detenuti, oggi sono autorizzati a quota 90; con la legge 199 del 2010, ironicamente denominata «svuotacarceri», sono usciti non più di 4 detenuti;
    i detenuti stranieri sono circa il 50 per cento mentre i tossicodipendenti sono 33 (41,5 per cento);
   gli agenti di polizia penitenziaria sono sotto organico di almeno il 30 per cento: gli agenti sono infatti 52 di cui 47 effettivamente in servizio, mentre 5 di loro fanno parte del nucleo traduzioni; gli educatori sono 2 così come gli assistenti sociali; i volontari – a detta del comandante – sono una bella realtà che si distingue per la dedizione di «suor Cesarina» che ha messo su un gruppo di tre persone molto presenti;
    quanto alla sanità, non esiste un presidio sanitario h 24, il medico di guardia incontrato non sapeva dove fosse il defibrillatore e, comunque, in caso occorresse usarlo di notte, gli agenti in servizio non sanno come si usi né sono tenuti a farlo; quanto al personale sanitario questo è così suddiviso: un medico dirigente sanitario, 3 medici convenzionati, 1 infermiere per turno, uno psichiatra per due ore alla settimana, 1 psicologo; è in funzione un’equipe del SERT composta da un medico, un assistente sociale e uno psicologo; le visite specialistiche si svolgono tutte all'esterno;
    a seguito dell'ultimo taglio al capitolo di bilancio riguardante le mercedi, in tutto il carcere lavorano solo 9 detenuti; oggi, in un istituto fatiscente come quello di Savona, la direzione ha dovuto rinunciare persino agli addetti alla MOF (manutenzione ordinaria fabbricato) che in precedenza rientravano nei progetti finanziati dal provveditorato regionale;
    lo stesso angusto locale viene utilizzato per i corsi di alfabetizzazione, la scuola media, il corso di ceramica, di pittura e di canto, la musicoterapia;
    i familiari in visita ai detenuti non possono portare alimenti perché non c’è personale a sufficienza per fare i controlli perciò i detenuti possono acquistare alimenti solo allo spaccio interno dell'istituto che ha prezzi molto alti; l'amministrazione non è in grado di fornire ai detenuti il necessario per pulire le celle;
    nella lavanderia dove presta servizio uno dei 9 detenuti che lavorano, si è appena rotta l'asciugatrice e lenzuola, federe e indumenti di coloro che non ricevono visite da parenti, ci mettono anche una settimana per asciugarsi vista l'umidità degli ambienti;
   i detenuti passano sostanzialmente 20 ore chiusi in celle dove, per il sovraffollamento, è quasi impossibile muoversi; possono fare 4 telefonate al mese; nella 2° sezione, cella n. 3, sono in 8 (7 italiani e un albanese), il gabinetto alla turca, si trova in un loculo senza finestre ed è in condizioni pietose: perde acqua e la porta non si chiude; da 25 giorni non cambiano le lenzuola; nella cella n. 4, si trovano in 7 di nazionalità albanese e marocchina; c’è pochissima luce; nella cella 5 sono tutti malati; uno di loro che è rientrato in galera per un furto al supermercato, fuori era seguito dalla Caritas; un altro è visibilmente sofferente perché dice che stanno facendo morire in un canile il suo bastardino di nome Ciro e, addirittura, gli hanno chiesto il permesso di abbatterlo; un altro ragazzo aspetta da due mesi il busto per una vertebra rotta a seguito di incidente stradale;
    nella 1a sezione (quella ubicata nel seminterrato) nella cella n. 1, i detenuti affermano che dal wc alla turca escono i topi e, per questo motivo, tengono coperto il buco con una bottiglia; uno di loro (G.C.), che è alla sua prima esperienza carceraria ed è in attesa di giudizio, è inorridito «sto vivendo – afferma – la più incredibile, illogica e disumana condizione di vita che si possa anche solo immaginare», «siamo in compagnia quotidiana di topi, insetti, impianti fatiscenti, mura il cui intonaco cade a pezzi per l'umidità; i letti sono irrimediabilmente sporchi ed arrugginiti; mi sono preso una dermatite seborroica e mi sono dovuto rasare completamente la testa e a mie spese mi sono dovuto comprare una lozione al cortisone; la mia corrispondenza viene violata; il cibo puzza e chi può è costretto a comprarlo allo spaccio dell'istituto;
    uno dei pochissimi aspetti positivi del carcere di Savona è l'ottimo rapporto dei detenuti con gli agenti nella casa circondariale di Savona non esiste il regolamento interno previsto dal secondo comma dell'articolo 32 della legge n. 354 del 1975: «I detenuti e gli internati, all'atto del loro ingresso negli istituti e, quando sia necessario, successivamente, sono informati delle disposizioni generali e particolari attinenti ai loro diritti e doveri, alla disciplina e al trattamento». D'altra parte la conoscenza delle disposizioni da parte dei detenuti è necessaria, visto che al terzo comma dello stesso articolo 32 si stabilisce che «essi devono osservare le norme e le disposizioni che regolano la vita penitenziaria» –:
   se sia a conoscenza di quanto scritto in premessa;
   in che modo intenda attivarsi e in quali tempi per superare gli evidenti problemi di sovraffollamento che si aggiungono a quelli, drammatici, di fatiscenza dell'edificio, delle celle e dei luoghi destinati alla socialità, di insalubrità di tutti gli ambienti della totale mancanza di applicazione delle più elementari norme igienico-sanitarie;
   in che modo intenda ripristinare il fondo per il lavoro in carcere dei detenuti, visto che nelle condizioni attuali, solo un'estrema minoranza di loro ha la possibilità di svolgere un'attività, peraltro poco qualificante, all'interno dell'istituto;
   in che tempi verrà ripristinato l'organico degli agenti di polizia penitenziaria la cui carenza si ripercuote sulle attività trattamentali dei detenuti oltre che a creare enorme stress sul personale penitenziario che non può seguire normali turni di lavoro, di riposi settimanali e di ferie;
   quando verrà abbattuto il muretto divisorio nella sala colloqui e allestita un'area verde per gli incontri dei detenuti con i loro figli minori;
   cosa si intenda fare per vigilare affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti e, urgentemente, per far sì che venga assicurato un presidio sanitario h 24, oltre che la messa in sicurezza degli ambienti, a partire dalle celle e da tutti gli altri ambienti frequentati da detenuti, agenti e personale tutto;
   in che tempi verrà sanata la violazione normativa riguardante l'inesistenza di un regolamento interno all'istituto.
(5-08233)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la struttura Ospedale psichiatrico giudiziario «Filippo Saporito», sito in via San Francesco, 81031, Aversa (Caserta), dislocato in aria urbana sotto la sorveglianza del tribunale di Napoli (ufficio di sorveglianza: Santa Maria Capua Vetere), costruita nel 1881, si articola attraverso vari corpi separati ed uniti da corridoi o cortili ed ha una capienza regolamentare di 150 posti anche se ospita attualmente circa 300 pazienti (tutti di sesso maschile);
   la struttura risulta in un avanzato stato di abbandono, soprattutto l'area riservata ad attività ricreative all'aperto, le condizioni igieniche sono precarie, con pazienti abbandonati a loro stessi; le stanze ospitano anche più di 6 (sei) pazienti contemporaneamente, con il rischio di creare reazioni violente fra pazienti e personale della struttura;
   in queste condizioni frequenti sono gli incidenti avvenuti ai pazienti; lo scorso mese di agosto, ad esempio, un paziente ha aggredito un altro paziente, il quale ha subito un trauma cranico con una sutura di svariati punti;
   il 4 gennaio 2011 all'interno della predetta struttura un paziente si è suicidato impiccandosi nella sua cella (vedi interrogazione a risposta scritta 4-10288, presentata dall'interrogante e dai suoi colleghi della delegazione radicale nel gruppo parlamentare del PD e pubblicata lunedì 10 gennaio 2011, seduta n. 414);
   in relazione al citato suicidio sono state iscritte nel registro degli indagati 14 persone per omicidio colposo, tra i quali il personale in servizio in reparto, medici, psichiatri e i dirigenti della struttura, in particolare Adolfo Ferraro, direttore sanitario, e Carlotta Giaquinto, direttrice penitenziaria;
   lo scorso mese di novembre i carabinieri dei Nas della commissione d'inchiesta del Senato sul servizio sanitario nazionale hanno sequestrato la farmacia dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa per le «gravi irregolarità riscontrate». Il predetto sequestro è avvenuto nell'ambito dell'inchiesta sulla salute mentale. L'iniziativa di polizia giudiziaria è stata presa per l'individuazione e il rischio del protrarsi di alcuni reati, segnatamente l'esercizio abusivo della professione medica e la detenzione e l'erogazione illegali di stupefacenti;
   nell'ambito dell'inchiesta condotta dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, sono stati notificati avvisi di garanzia all'ex commissario straordinario dell'ASL di Caserta Ferdinando Romano e alla direttrice del dipartimento di salute mentale ex ASL Caserta 2 Tiziana Celani, per omissione d'atti d'ufficio, nonché alla direttrice penitenziaria Carlotta Giaquinto e al direttore sanitario Adolfo Ferraro per omissione d'atti d'ufficio e maltrattamenti e per truffa per assenza sul posto di lavoro –:
   se, con riferimento al suicidio avvenuto il 5 gennaio 2011, sia stata avviata o si intenda avviare un'indagine amministrativa interna al fine di verificare l'esistenza di eventuali responsabilità del personale in servizio presso la struttura psichiatrica giudiziaria di Aversa;
   se si intenda avviare un'indagine amministrativa interna al fine di valutare eventuali profili di responsabilità disciplinare in capo ai soggetti coinvolti nell'inchiesta condotta dalla procura di Santa Maria Capua Vetere;
   quali misure amministrative i rispettivi Ministri intendano assumere, per quanto di loro competenza, in tempi immediati, per affrontare le condizioni di insostenibile degrado, di repressiva segregazione, anche laddove immotivata da diagnosi psichiatrica, di abbandono civile ed etico, cui sono sottoposti gli internati nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. (5-08234)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 4 febbraio 2011, il sito Repubblica.it ha riportato l'appello di Angelo Provenzano, 36 anni, primogenito di Bernardo Provenzano, affinché il padre malato, detenuto in 41-bis dal 2006, sia adeguatamente e tempestivamente curato;
   «Chi ha perso un padre – ha detto Angelo Provenzano – credo che possa capirmi, anche se il mio dolore non è paragonabile al suo dolore, lo ho provato a immedesimarmi nei miei coetanei che hanno perso un genitore per morte violenta. Confesso di non esserci riuscito. Penso che provino un dolore immenso, che non riesco neanche a immaginare. E mi dispiace. Ognuno di noi paga un dazio, e anche io l'ho pagato solo perché esisto e perché sono figlio di un certo pezzo di storia di questo Paese. Oggi vorrei dire: anche un pluriergastolano ha diritto di essere trattato come un essere umano. Se poi l'esistenza di mio padre dà fastidio, qualcuno abbia il coraggio di chiedere la pena di morte, anche ad personam»;
   sulla scorta di una perizia diagnostica disposta dalla corte d'appello a fronte della istanza di scarcerazione per motivi di salute, l'avvocato difensore Rosalba Di Gregorio afferma che tale perizia proverebbe che Provenzano sta da tempo molto male e che si sarebbero persi mesi preziosi per tentare di salvargli la vita;
   gli autori della perizia, i dirigenti della medicina legale dell'università di Ferrara, Francesco Avato, della neurologia dell'università di Pavia, Giuseppe Micieli, e dell'urologia del San Raffaele di Milano, Francesco Montorsi, chiedono che venga eseguita al più presto una scintigrafia e soprattutto una terapia, «radio o chemio». Ci sarebbe infatti alcuni valori che fanno pensare al ritorno del tumore alla prostata per cui Provenzano fu operato nel 2003, a Marsiglia, ragion per cui i periti avrebbero scritto di una «prognosi non particolarmente favorevole a breve-medio termine» (circa 2-3 anni);
   dalle carte depositate in corte d'appello risulterebbe che nel giugno 2009 era stata la seconda sezione del tribunale a chiedere il ricovero di Provenzano in un centro clinico, sulla base di una relazione del medico del carcere di Novara. Ma qualche giorno dopo, sarebbe arrivato un invito del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria a riconsiderare il provvedimento. «La direzione di Novara tiene sotto controllo la situazione», avrebbe scritto il direttore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e, quando i giudici ribadirono l'ordinanza, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria avrebbe inviato una nuova nota, assicurando cure ed esami, sicché al tribunale non restò che revocare il ricovero;
   fatto sta che ora, da quanto risulta dall'ultima perizia disposta dalla corte, secondo l'avvocato Di Gregorio «l'ombra di un tumore si è fatta minacciosa e l'ultima scintigrafia è stata fatta nel 2009»;
   l'articolo 1 del decreto legislativo n. 230 del 1999 afferma che «I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci e appropriate»;
   l'articolo 11 della legge n. 354 del 1975, al comma 2, recita «Ove siano necessarie cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura (...); al comma 5 «All'atto dell'ingresso nell'istituto i soggetti sono sottoposti a visita medica generale allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche. L'assistenza sanitaria è prestata, nel corso della permanenza nell'istituto, con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati»; al comma 6 «Il sanitario deve visitare ogni giorno gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta; deve segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche» –:
   se corrisponda al vero quanto esposto in premessa circa la gravità dell'attuale stato di salute di Bernardo Provenzano;
   se corrisponda al vero che, di fronte alla richiesta avanzata nel 2009 dalla seconda sezione del tribunale di ricovero di Provenzano in un centro clinico, il direttore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria abbia invitato il tribunale a riconsiderare il provvedimento fino a ottenerne la revoca sulla base di assicurazioni che per il detenuto sarebbero stati disposti esami e cure adeguate;
   se sia noto quali cure ed esami siano stati effettuati dall'ultima scintigrafia del 2009 e, cosa intenda fare ora, nell'ambito delle proprie competenze, passati due anni dalla richiesta di ricovero in un centro clinico, per evitare che si perda altro tempo per una cura adeguata del male che dall'ultima perizia disposta dalla corte risulterebbe emergere. (5-08235)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   venerdì 28 gennaio 2011, l'interrogante ha visitato la casa circondariale di Genova-Marassi assieme ad Irene Testa (segretaria dell'associazione Il detenuto ignoto), Alessandro Rosasco (membro del comitato nazionale di Radicali italiani), Susanna Mazzucchelli (segretaria dell'associazione Radicali Genova) e Stefano Petrella (segretario del gruppo radicale Adele Faccio); la delegazione è stata accompagnata dal direttore, (dottore Salvatore Mazzeo;
   dalla visita di sindacato ispettivo è emerso il seguente quadro: nel carcere di Genova-Marassi sono presenti 726 detenuti rispetto ad una capienza regolamentare di 466 posti; 219 sono nella I sezione, 312 nella II, 20 nella III sezione a custodia attenuata, 36 nella IV, 45 nella V, 94 nella VI sezione, cioè nel CDT (centro diagnostico terapeutico) dove è ubicato anche il reparto HIV che ospita 19 detenuti; 7 detenuti, al momento della visita, sono ricoverati presso l'ospedale cittadino; nelle celle concepite per ospitare 4 detenuti, sono in realtà presenti dalle 7 alle 9 persone; nell'istituto sono presenti anche alcuni ergastolani;
   i detenuti tossicodipendenti sono 300 e si trovano dislocati nelle diverse sezioni; i casi psichiatrici sono in aumento, il 50 per cento dei detenuti fa uso di psicofarmaci, 20 detenuti sono in regime di stretta sorveglianza perché casi psichiatrici gravi; gli stranieri costituiscono il 60 per cento della popolazione detenuta e sono soprattutto magrebini, rumeni, albanesi e sudamericani;
   meno del 10 per cento dei detenuti ha accesso alle attività lavorative: per l'esattezza si tratta di 66 persone che si dividono 33 posti di lavoro ruotando ogni 15 giorni, ragione per cui, quasi tutti i reclusi trascorrono in celle sovraffollate almeno 19 ore della loro giornata essendo peraltro notevolmente ridotte sia le attività scolastiche che quelle sportive; gli agenti di polizia penitenziaria registrano un deficit di organico di 60 unità; questa carenza, oltre che a ripercuotersi sulle condizioni di lavoro oltremodo stressanti, limita notevolmente le attività trattamentali dei detenuti; inoltre, non vengono mai rimpiazzati gli agenti più anziani che vanno in pensione;
   gli educatori sono solo 7 mentre ne servirebbero almeno il doppio; anche gli psicologi sono insufficienti e in particolare il servizio «nuovi giunti» ha subito un forte degrado dopo il passaggio della sanità penitenziaria alle ASL e nessuna garanzia è all'orizzonte per il rinnovo della convenzione che scadrà fra sei mesi;
   quanto alla sanità, il passaggio di competenze alla ASL ha comportato non pochi problemi; infatti il personale preesistente è stato interamente sostituito disperdendo così un patrimonio di competenze specifiche che si erano formate negli anni; il servizio infermieristico fornito dalla cooperativa Il Gabbiano è discontinuo e con difficoltà da parte del personale che non viene pagato con regolarità;
   con la legge n. 199 del 2010 sono usciti dal carcere di Marassi, per beneficiare della pena alternativa della detenzione domiciliare, 12 detenuti;
   nella casa circondariale di Marassi non vige il regolamento interno previsto dal secondo comma dell'articolo 32 della legge n. 354 del 1975; il direttore informa la delegazione che il testo redatto è al vaglio del magistrato di sorveglianza;
   l'8 febbraio 2010 Ciprian Florin Gheorghita, 25 anni, romeno, è stato trovato agonizzante nel bagno della sua cella, con accanto un sacco nero di plastica che emanava ancora gas butano, ed è morto poco dopo nell'infermiera mentre provavano a rianimarlo –:
   se sia a conoscenza di quanto scritto in premessa;
   in che modo intenda attivarsi e in quali tempi per superare gli evidenti problemi di sovraffollamento del carcere di Marassi;
   in che modo intenda ripristinare il fondo per il lavoro in carcere dei detenuti, visto che nelle condizioni attuali, solo un'estrema minoranza di loro ha la possibilità di svolgere un'attività, peraltro poco qualificante, all'interno dell'istituto;
   in che tempi verrà ripristinato l'organico degli agenti di polizia penitenziaria, degli educatori e degli psicologi;
   cosa si intenda fare per vigilare affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti tenuto presente l'alto numero di tossicodipendenti e di casi psichiatrici;
   in particolare, quali notizie ulteriori dispongano il Ministro della giustizia e il Ministro della salute sulla morte del giovane rumeno, se siano stati messi in atto tutti gli accorgimenti del caso vista la sua condizione di tossicodipendenza e se il Ministro della giustizia intenda avviare un'indagine amministrativa interna al carcere per individuare eventuali responsabilità;
   quanti dei 19 reclusi nel reparto HIV siano nello stadio di AIDS conclamato;
   in che tempi verrà sanata la violazione normativa riguardante l'inesistenza di un regolamento interno all'istituto. (5-08236)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 29 gennaio 2011, l'interrogante ha visitato il carcere di Imperia assieme ad Irene Testa (segretaria dell'Associazione Il Detenuto Ignoto), Alessandro Rosasco e Gian Piero Buscaglia (membri del Comitato nazionale di Radicali Italiani), Susanna Mazzucchelli (segretaria dell'Associazione Radicali Genova); la delegazione è stata accompagnata dal direttore, Nicolò Mangraviti;  
   dalla visita ispettiva è emerso il seguente quadro:
    nel carcere di Imperia sono presenti 99 detenuti rispetto ad una capienza regolamentare di 78 posti; 57 detenuti sono condannati in via definitiva, i rimanenti sono in attesa di giudizio e, fra questi, 18 sono imputati; gli stranieri sono il 60 per cento mentre i tossicodipendenti sono circa 40 di cui, seguiti dal Sert 27 e, in trattamento metadonico 4; 3 sono i reclusi affetti da HIV; i casi psichiatrici sono numerosi, circa 10, soprattutto fra gli extracomunitari; gli agenti di polizia penitenziaria in servizio sono 52 a fronte di una pianta organica che nel 2001 ne prevedeva 72, ma occorre tenere presente che 4 agenti sono al nucleo traduzioni, 8 si occupano dei colloqui, 10 sono distaccati in altre sedi; gli educatori sono due; un solo psicologo;
   l'area sanitaria presenta gravi problematiche in primo luogo perché non è previsto un servizio sanitario h24; a ciò si aggiunge il fatto che il defibrillatore è semi-automatico e che nelle ore notturne scoperte dal presidio, quando non ci sono nemmeno gli infermieri, gli agenti di turno – non avendo fatto alcun corso – non sono in grado di usare il dispositivo nel caso di un arresto cardio-circolatorio; il Sert dovrebbe esser più presente, soprattutto la psichiatra, infatti, da più di un mese non mette piede nell'istituto;
   i detenuti che lavorano non sono più di 15; lo fanno a rotazione e dopo un mese di prestazioni possono contare su un salario di 100 euro che viene decurtato di 50 euro per le spese di mantenimento in carcere; la scuola di alfabetizzazione è frequentata da 9 detenuti, la media da 5 il corso di francese da 8 e quello di inglese da 9; ciò che è chiaro è che chi non ha la fortuna di lavorare, passa 19 ore della giornata in cella;
   positiva, invece, è la sperimentazione fatta dall'istituto nella sezione «dimittendi» che ospita 35 detenuti che hanno le celle aperte dalle 8.30 alle 15.30; questa «custodia attenuata» – a detta dei dirigenti del carcere – dà buoni risultati consentendo ai detenuti di fare alcune attività come il corso di teatro e di pittura, il gruppo di gestione dei conflitti alla presenza di una psicologa del Sert, o alcune attività sportive come la pallavolo;
   quanto alla sanità, il passaggio di competenze alla ASL sembra non abbia comportato particolari traumi anche perché è stato assorbito tutto il personale della precedente gestione dell'amministrazione penitenziaria: solo il dirigente sanitario è cambiato;
   con la legge n. 199 del 2010 sono usciti dal carcere di Imperia, per beneficiare della pena alternativa della detenzione domiciliare, 6 detenuti, mentre 2 sono in attesa di risposta da parte del magistrato di sorveglianza;
   nella sala colloqui c’è ancora il vietatissimo muretto che divide i detenuti negli incontri con i loro familiari; non c’è l'area verde per le visite dei minori;
   nell'Istituto penitenziario di Imperia non vige il regolamento interno previsto dal secondo comma dell'articolo 32 della legge n. 354 del 1975 –:
   se sia a conoscenza di quanto scritto in premessa;
   in che modo intenda attivarsi e in quali tempi per superare i problemi di sovraffollamento del carcere di Imperia;
   in che modo intenda ripristinare il fondo per il lavoro in carcere dei detenuti, visto che nelle condizioni attuali, solo in pochi hanno la possibilità di svolgere un'attività, peraltro poco qualificante, all'interno dell'istituto;
   in che tempi verrà ripristinato l'organico degli agenti di polizia penitenziaria;
   cosa si intenda fare per vigilare affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti, considerata la presenza di 40 tossicodipendenti e di una decina di casi psichiatrici; quando verrà ripristinato il servizio sanitario h24 e in che modo si intenda urgentemente far fronte ad eventuali gravi emergenze notturne;
   in che tempi verrà abbattuto il muretto nella sala colloqui e quando sarà consentito ai bambini di avere colloqui in un luogo meno deprimente; quando verrà istituita l'area verde; quando verranno ripristinati fondi adeguati per la manutenzione ordinaria e per i sussidi da destinare ai detenuti più indigenti;
   in che tempi verrà sanata la violazione normativa riguardante l'inesistenza di un regolamento interno all'istituto.
(5-08237)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   domenica 30 gennaio 2011 la prima firmataria del presente atto ha visitato il carcere di Sanremo nuovo complesso (inaugurato nel 1996) assieme ad Irene Testa (segretaria dell'Associazione Il detenuto ignoto), Alessandro Rosasco e Gian Piero Buscaglia (membri (del comitato nazionale di Radicali italiani) e Susanna Mazzucchelli (segretaria dell'associazione Radicali Genova); la delegazione è stata accompagnata dal comandante, commissario Sergio Orlandi;
   dalla visita ispettiva è emerso il seguente quadro:
    nel carcere di Sanremo sono presenti 355 detenuti rispetto ad una capienza regolamentare di 209 posti; 218 detenuti sono condannati in via definitiva, i rimanenti sono in attesa di giudizio e, fra questi, 58 sono imputati; 187 sono i detenuti stranieri appartenenti a 34 nazionalità diverse; fra i condannati 22 sono i collaboratori di giustizia e 8 gli ergastolani;
    i detenuti tossicodipendenti sono 70 di cui 8 in terapia metadonica; 6 sono i reclusi affetti da HIV;
    gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 156 a fronte di una pianta organica che nel 2001 ne prevedeva 254; gli educatori previsti in organico sono 6 mentre quelli effettivamente in servizio sono 4; nell'istituto opera un solo psicologo del Sert mentre un altro è presente solo per poche ore al mese;
    i detenuti che lavorano sono in tutto solo 40: 30 dipendenti dall'amministrazione che ruotano ogni 15 giorni, 5 addetti alle lavorazioni di serramenti pagati con fondi provinciali erogati alla cooperativa «Galeotta S.r.l.», e 5 detenuti semiliberi che lavorano in proprio; la quasi totalità dei detenuti passa in cella quasi 19 ore, tolte le 4 ore d'aria mattutine e pomeridiane e l'ora e un quarto della socializzazione che si svolge dalle 16.45 alle 18.00; i corsi di alfabetizzazione occupano 10 detenuti così come la scuola media; solo uno degli 8 ergastolani lavora;
    nel 2010 nell'istituto sono morti due detenuti, uno dei quali si chiamava Fernando Paniccia invalido al 100 per cento affetto da ritardo mentale, epilettico e semiparalizzato; Paniccia, che pesava 186 chili, è morto nella cella, ucciso probabilmente da un arresto cardiaco; le sue condizioni di salute erano critiche da tempo e, secondo quanto riferito dal comandante, è stato lui a rifiutare il ricovero in ospedale quando, il giorno di Natale 2010, si è sentito male;
    a proposito di eventi critici, da segnalare 12 casi di autolesionismo nel 2010 e 1 nel 2011 e due aggressioni contro dipendenti dell'amministrazione penitenziaria;
    quanto alla sanità, il passaggio di competenze alla ASL sembra non abbia comportato particolari traumi anche perché è stato assorbito tutto il personale della precedente gestione dell'amministrazione penitenziaria: solo il dirigente sanitario è cambiato;
    con la legge 199 del 2010, sono usciti dal carcere di Sanremo, per beneficiare della pena alternativa della detenzione domiciliare, 8 detenuti;
    nonostante l'istituto sia di relativa recente costruzione, nella sala colloqui c’è ancora il vietatissimo muretto che divide i detenuti negli incontri con i loro familiari; l'area verde per le visite dei minori deve ancora essere messa a norma;
    nell'istituto penitenziario di Sanremo Nuovo complesso non vige il regolamento interno previsto dal secondo comma dell'articolo 32 della legge n. 354 del 1975; il Comandante informa la delegazione che il testo redatto è al vaglio del magistrato di sorveglianza –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   in che modo intenda attivarsi e in quali tempi per superare i problemi di sovraffollamento del carcere di Sanremo nuovo complesso;
   in che modo intenda ripristinare il fondo per il lavoro in carcere dei detenuti, visto che nelle condizioni attuali, solo un'estrema minoranza di loro ha la possibilità di svolgere un'attività, peraltro poco qualificante, all'interno dell'istituto;
   in che tempi verrà ripristinato l'organico degli agenti di polizia penitenziaria, degli educatori e degli psicologi;
   cosa si intenda fare per vigilare affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti considerata la presenza di 70 tossicodipendenti e di numerosi casi psichiatrici;
   in particolare, quali notizie ulteriori dispongano i ministri interrogati sulla morte di Fernando Paniccia, se siano stati messi in atto tutti gli accorgimenti del caso vista la sua condizione di infermità mentale e se il Ministro della giustizia intenda avviare un'indagine amministrativa interna al carcere per individuare eventuali responsabilità in merito al suo malore, al mancato ricovero seguito e alla sua successiva morte;
   in che tempi verrà abbattuto il muretto nella sala colloqui e quando sarà consentito ai bambini di avere colloqui in un luogo meno deprimente; quando verrà istituita l'area verde;
   quando verranno ripristinati fondi adeguati per la manutenzione ordinaria, per l'acquisto di materiali per la pulizia delle celle e per i sussidi per i detenuti più indigenti;
   in che tempi gli ergastolani del carcere di Sanremo potranno vivere una detenzione secondo quanto previsto dalla normativa vigente, cioè scontando la pena in istituti ad hoc, in isolamento notturno e con l'obbligo di lavorare;
   in che tempi verrà sanata la violazione normativa riguardante l'inesistenza di un regolamento interno all'istituto.
(5-08238)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 28 gennaio 2011, la prima firmataria del presente atto ha visitato il carcere di Chiavari assieme ad Irene Testa (Segretaria dell'Associazione Il Detenuto Ignoto), Alessandro Rosasco e Valter Noli (membri del Comitato Nazionale di Radicali Italiani), Susanna Mazzucchelli (segretaria dell'Associazione Radicali Genova); la delegazione è stata accompagnata dalla direttrice dottoressa Paola Penco e dal comandante Andrea Tonellotto;
   dalla visita di sindacato ispettivo è emerso il seguente quadro:
    nel carcere di Chiavari sono presenti 95 detenuti rispetto ad una capienza regolamentare di 70 posti;
    54 detenuti sono condannati in via definitiva, i rimanenti sono in attesa di giudizio e, fra questi, 11 sono imputati; gli stranieri sono 43, mentre i tossicodipendenti sono 26 di cui 3 in trattamento metadonico; 2 sono i reclusi affetti da HIV;
    gli agenti di polizia penitenziaria in servizio sono 46 a fronte di una pianta organica che nel 2001 ne prevedeva 60, ma occorre tenere presente che la forza effettiva operante è di 37 unità e che sono solo 27 gli agenti che svolgono i turni nel reparto; inoltre, il nucleo traduzioni e piantonamento (composto da 4 unità compreso il coordinatore) non disponendo di forze sufficienti, è costretto ad attingere al reparto già sofferente in caso di traduzioni, visite specialistiche o ricoveri di detenuti; ad avviso della prima firmataria del presente atto, nella situazione descritta, è assolutamente impossibile garantire i diritti del personale (addestramento e formazione, ferie, riposi, congedi parentali, legge n. 104, permessi sindacali, malattie occasionali) e la sicurezza dell'istituto; gli educatori sono due; un solo psicologo;
   i detenuti che lavorano sono 32, cioè il 33,6 per cento, percentuale che costituisce il picco più alto riscontrato nei penitenziari liguri; 24 sono dipendenti dall'amministrazione, 4 lavorano per conto di imprese e cooperative, 4 sono i detenuti semiliberi dipendenti da datori di lavoro esterni;
   dal punto di vista strutturale l'istituto presenta evidenti carenze che ne pregiudicano la sicurezza interna: basti osservare il muro di cinta che cade a pezzi e che, per la sua dislocazione e il parcheggio di mezzi nei pressi, più che scongiurare evasioni e intromissioni, sembra fatto apposta per propiziarli; a ciò deve peraltro aggiungersi l'obsolescenza dei sistemi di sorveglianza;
   nonostante la criticità del quadro sopra descritto, occorre dare atto alla direttrice, al comandante e all'ottimo rapporto interpersonale che i due dirigenti riescono a mantenere con il personale tutto, che il clima all'interno dell'istituto è ottimo, raramente riscontrabile in altri istituti; malgrado il drastico taglio delle risorse (sia umane che materiali), infatti, le attività trattamentali non sono state ridotte anzi, per molti versi, sono aumentate e i detenuti, apprezzando questo sforzo, sono molto collaborativi; il modello di carcere «aperto» alla società civile, dà indubitabilmente i suoi frutti: nell'istituto sono praticamente inesistenti gli episodi di autolesionismo;
   il rischio che agli interroganti appare evidente è però quello per cui proprio laddove le cose funzionino meglio per capacità organizzative, manageriali e umane della dirigenza degli istituti, siano proprio questi stessi istituti ad essere dimenticati anziché valorizzati dall'amministrazione centrale; a questo proposito, si segnala la mancata risposta a diversi progetti di ristrutturazione profonda da tempo richiesti dalla direzione del carcere di Chiavari sia per quanto riguarda il miglioramento dei reparti detentivi, sia per quanto attiene la destinazione dei locali dell'ex caserma e degli ex uffici amministrativi, sia per le zone d'accesso dei familiari, dei visitatori esterni e degli operatori;
   nel carcere di Chiavari, oltre ad essere stata allestita (con donazioni del Rotary locale) l'area verde per le visite dei detenuti con i minori, vige anche il regolamento interno previsto dal secondo comma dell'articolo 32 della legge n. 354 del 1975, fatto pressoché unico nel panorama degli istituti penitenziari italiani –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   in che modo intenda attivarsi e in quali tempi per superare i problemi di sovraffollamento del carcere di Chiavari;
   in che tempi verrà ripristinato l'organico degli agenti di polizia penitenziaria, oggi drasticamente ridotto;
   cosa si intenda fare per la necessaria ristrutturazione dell'istituto, sia per quanto riguarda la «sicurezza» dello stesso, sia per quel che riguarda le condizioni di vita dei detenuti;
   quando verranno ripristinati fondi adeguati per la manutenzione ordinaria e per i sussidi da destinare ai detenuti più indigenti. (5-08240)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la prima firmataria del presente atto ha appreso che il provveditorato regionale del Lazio ha effettuato un taglio del 35 per cento al monte ore, già estremamente esiguo, degli psicologi penitenziari;
   in particolare, a Regina Coeli nel delicatissimo reparto nuovi giunti si prevedono solo 24 ore mensili da ripartire fra 7 psicologi, mentre per l'osservazione e trattamento sono previste solo 10 ore mensili; il direttore si rammarica inoltre di non riuscire ad aprire, allo stato attuale, la sezione di accoglienza;
   a Rebibbia, l'altro grande carcere della capitale, sono state tagliate ben 80 ore mensili da quelle previste per le prestazioni degli psicologi di osservazione e trattamento;
   l'alto numero di suicidi, tentati suicidi, atti di autolesionismo che si verificano negli istituti penitenziari del Lazio richiederebbero una costante, robusta e aumentata presenza rispetto al passato di psicologi –:
   se quanto scritto in premessa corrisponda al vero;
   se il Ministro abbia intenzione di intervenire immediatamente per scongiurare la drastica diminuzione della presenza di psicologi negli istituti penitenziari del Lazio, permettendo agli psicologi in questione di passare alle ASL come previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, in quanto operatori sanitari. (5-08241)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio Permanente sulle morti in carcere composto da Radicali italiani, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», redazione «Radiocarcere» e redazione «Ristretti orizzonti», un detenuto di 38 anni si è suicidato nel carcere di Pavia il 12 febbraio 2011;
   l'uomo si chiamava Jon R. ed era di origini romene. Ha aspettato che i compagni di cella uscissero per l'ora di socializzazione. Una volta rimasto solo ha inalato il gas della bomboletta che viene data ai detenuti per cucinare e si è infilato un sacchetto di plastica in testa, per aumentarne gli effetti. Il giovane detenuto è morto in pochi minuti. I compagni di cella, al ritorno, lo hanno trovato steso per terra, vicino alla branda. Ormai senza vita. I medici del 118, subito allertati, hanno fatto il possibile per salvarlo, ma per il ragazzo non c’è stato niente da fare. Inutile il trasporto in ospedale;
   il detenuto era arrivato nel carcere di «Torre del Gallo» un mese fa, proveniente da un altro istituto penitenziario. Era recluso nel reparto «protetti», riservato a chi deve scontare pene per reati ritenuti «infamanti» dagli altri carcerati. Infatti, l'uomo era in carcere per violenza sessuale. Non si conoscono i motivi del gesto, ma pare che da giorni fosse in uno stato di prostrazione dovuto proprio alle accuse per cui era detenuto –:
   se il detenuto morto suicida fosse sottoposto ad un trattamento psicologico;
   quanti psicologi siano effettivamente in servizio presso il carcere di Pavia;
   se non intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di accertare l'esistenza di eventuali profili di responsabilità e/o illiceità disciplinare nella condotta del personale penitenziario che aveva in custodia il detenuto;
   quali provvedimenti intenda adottare al fine ridurre la piaga dei suicidi all'interno delle carceri italiane. (5-08243)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere composto da Radicali italiani, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», redazione «Radiocarcere» e redazione «Ristretti orizzonti», un detenuto di 27 anni è morto nella casa circondariale di Chieti, in via Janni;
   l'uomo si chiamava Gaetano Busiello ed era originario di Napoli. Il giovane, detenuto a Chieti da circa 4 mesi, è presumibilmente morto tra le 23 di sabato 12 febbraio 2011 e le 4 del mattino di domenica 13. Lo hanno scoperto senza vita i compagni di cella, L'autopsia chiarirà le cause del decesso, al momento l'ipotesi è quella di «infarto»;
   della morte sono stati subito informati, oltre ai familiari, anche il direttore del carcere, il comandante e il magistrato di sorveglianza. Con la morte di Busiello da inizio anno salgono a 9 i suicidi in carcere e a 15 il totale dei detenuti morti: 6 di loro avevano meno di 30 anni e altri 7 un'età compresa tra i 32 e i 39 anni –:
   quali siano le cause che hanno portato al decesso di Gaetano Busiello;
   con quante persone il detenuto dividesse la cella al momento del decesso;
   se risulti all'amministrazione penitenziaria che l'uomo soffrisse di disturbi cardiaci o di patologie di altro tipo;
   se il detenuto fosse in cura presso il centro clinico dell'istituto penitenziario;
   se non intendano avviare, negli ambiti di rispettiva competenza, una indagine amministrativa interna al fine di accertare l'esistenza di eventuali profili di responsabilità e/o illiceità disciplinare nella condotta dei personale aveva in cura e custodia il detenuto. (5-08244)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la mattina del 14 febbraio 2011, nel carcere di Castrovillari, Vasile Gavrilas, 48enne, in attesa di giudizio con l'accusa di «concorso in omicidio», si è impiccato alle sbarre con i lacci delle scarpe;
   Vasile era in carcere dal 25 ottobre 2011, quando fu arrestato assieme ai fratelli Costel e Cristinel Habliuc, di 28 e 29 anni, anch'essi romeni, con l'accusa di avere ucciso il bracciante agricolo bulgaro Angelov Krasimir, di 33 anni;
   i fratelli Habliuc, durante l'udienza di convalida tenutasi nel carcere di Castrovillari, avevano risposto alle domande, fornendo la loro versione dei fatti e confermando l'avvenuto pestaggio scoppiato per delle «avances» fatte dalla vittima a una sedicenne romena, fidanzata di uno dei tre fermati. Vasile Gravilas, invece, si era avvalso della facoltà di non rispondere;
   il corpo senza vita di Angelov Krasimir, originario di Vidin (Bulgaria) e residente a Cassano Ionio (Cs), era stato rinvenuto da alcuni addetti alla vigilanza del villaggio turistico di Marina di Sibari sotto un eucalipto in un'area di parcheggio adiacente alla carreggiata e posta all'entrata del villaggio turistico –:
   se con riferimento al suicidio di Vasile Gavrilas intenda aprire una indagine amministrativa interna al fine di verificare l'eventuale sussistenza di profili di responsabilità disciplinare in capo al personale penitenziario che aveva in cura e custodia il detenuto. (5-08245)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, il presidente della corte di appello di Brescia ha definito la situazione del carcere lombardo «allarmante»;
   in particolare, l'enorme sovraffollamento del carcere di Brescia penalizza tanto i detenuti, esposti a gravissimi disagi, quanto gli agenti, costretti a turni di lavoro insostenibili. Inoltre, all'interno della struttura penitenziaria in questione, non sono affatto rispettate le adeguate condizioni di igiene e sicurezza e per questo il carcere necessita di urgentissimi interventi di ristrutturazione;
   le carenze sopra descritte appaiono lesive della dignità e dei più elementari diritti del personale e dei detenuti del carcere di Brescia –:
   cosa intenda fare per ripristinare al più presto all'interno della predetta struttura carceraria le dovute condizioni di vivibilità, nonché il rispetto delle norme igieniche e di sicurezza;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di dare il via agli interventi di ristrutturazione di cui il carcere necessita. (5-08246)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere composto da Radicali italiani, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», redazione «Radiocarcere» e redazione «Ristretti orizzonti», un detenuto di 37 anni si è suicidato nella casa circondariale di Velletri il 14 febbraio 2011;
   Gianluca Corsi ha tagliato le lenzuola e dopo averle annodate ne ha fatto un cappio con cui si è impiccato alle sbarre della sua cella nel carcere veliterno;
   l'uomo era detenuto da oltre sette mesi in attesa di giudizio, si trovava in una cella di isolamento ed era padre di una bambina piccola;
   a diffondere la notizia di quello che è il primo suicidio del 2011 nelle carceri delle regione Lazio è stato il «garante dei detenuti del Lazio», avvocato Angiolo Marroni –:
   per quali motivi l'uomo si trovasse rinchiuso all'interno di una cella di isolamento;
   se non intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di accertare l'esistenza di eventuali profili di responsabilità disciplinare nella condotta del personale penitenziario che aveva in custodia il detenuto. (5-08247)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Giuseppe Reito, detenuto nel carcere di Brucoli, ha scritto una lettera pubblicata sul quotidiano La Sicilia il 18 febbraio 2011, nella quale lamenta alcuni disagi sofferti dalla popolazione detenuta nella casa di pena di Augusta, nonché l'inefficacia delle attenzioni per le sue condizioni di salute;
   nella missiva è dato leggere quanto segue: «In questo istituto ci sono molti disagi. Prima di tutto non esiste un dirigente sanitario al quale rivolgersi. Il risultato è che attendo da circa un anno il mio trasferimento in una struttura ospedaliera per l'ernia inguinale di cui soffro e che ha raggiunto una certa gravità. L'acqua calda non c’è e siamo costretti a lavarci tutti i giorni con acqua gelida. La matricola non funziona. Un esempio è che non si riescono a trovare i moduli di richiesta per alcuni servizi. È così che non riesco a frequentare nemmeno la scuola e non riesco a fare domanda di trasferimento in un altro istituto. Insomma, qui succede di tutto tranne che inserirmi nella società. Da parte mia sto scontando la pena, come è giusto che sia, ma non mi sembra altrettanto giusto che venga trattato come un animale. Sono un ragazzo solo e senza nessuno che mi aiuta. Mi rivolgo a voi che siete la mia ultima spiaggia» –:
   quali provvedimenti urgenti intendano adottare, nell'ambito delle rispettive competenze, affinché il detenuto Giuseppe Reito venga trasferito in una struttura ospedaliera dove potersi curare l'ernia inguinale che lo affligge da circa un anno;
   se il Ministro competente non intenda adottare i provvedimenti necessari affinché ai detenuti della casa di pena di Augusta venga data la possibilità di lavarsi con acqua calda;
   per quali motivi l'ufficio matricola del predetto istituto di pena non funzioni e cosa intenda fare affinché ne sia ripristinata nel più breve tempo possibile la funzionalità a pieno regime. (5-08248)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo pubblicato il 18 febbraio del 2011, la camera penale «Sardiello» di Reggio Calabria ha sollevato la questione relativa ai box destinati ai colloqui difensore-assistito esistenti all'interno del carcere calabrese;
    i penalisti lamentano che le sale colloquio «sono in numero insufficiente e finiscono per impedire gli stessi colloqui tra detenuti e difensori con grave nocumento per il diritto di difesa. Si pensi che il carcere di Palmi dispone di 12 box, mentre a Reggio Calabria ve ne sono soltanto 4, sicché i difensori, spesso, sono costretti a rinunciare a recarsi nell'istituto penitenziario ben sapendo di non riuscire a effettuare, comunque, il colloquio con l'assistito per impossibilità di espletarlo nei limiti dell'orario»;
   già con la lettera inviata lo scorso autunno la camera penale aveva segnalato l'anomalia consistente nel fatto che esiste uno stanziamento di 110 mila euro per il rifacimento della sala magistrati e avvocati ma che, purtroppo, non si è ancora proceduto ad affidare l'incarico per l'esecuzione dei lavori –:
   se con riferimento alla mancata esecuzione dei lavori di rifacimento della sala colloqui tra avvocati e detenuti non intenda verificare l'eventuale sussistenza di profili di responsabilità disciplinari in capo ai dirigenti del Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria i quali, già raggiunti da diffide da parte dei penalisti calabresi, continuano a mantenere sul punto un contegno omissivo;
   se non intenda adottare provvedimenti urgenti volti a consentire l'immediato rifacimento della sala colloqui nel carcere di Reggio Calabria. (5-08249)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 27 febbraio 2011 risulta vacante il ruolo di procuratore capo della Repubblica di Catania, atteso che dalla predetta data il dottor Enzo D'Agata è andato in pensione per raggiunti limiti di età;
   dall'elenco ufficiale pubblicato dal consiglio superiore della magistratura risulta che i candidati a ricoprire il vertice della procura etnea sono sedici;
   le domande sono state presentate dai magistrati Enzo Serpotta, Roberto Campisi, Giovanni Tinebra, Giuseppe Gennaro, Salvatore Scalia, Italo Ghitti, Gaetano Siscaro, Giuseppa Geremia, Giovanni Salvi, Amedeo Bertone e Katia Sommaria;
   oltre alle predette candidature figurano anche cinque magistrati che svolgono un ruolo direttivo da meno di tre anni e che per questo non sarebbero legittimati a concorrere, ma che potrebbero essere rimessi in gioco dal TAR Lazio o dal Consiglio di Stato. I detti magistrati sono: Francesco Paolo Giordano, Anna Maria Palma Guarnire, Santi Consolo, Ugo Rossi e Giuseppe Toscano;
   il dottor Giovanni Tinebra, attualmente procuratore generale presso la corte di appello di Catania, rientra tra i sedici aspiranti al ruolo di procuratore capo della procura etnea ed è uno dei grandi favoriti – sia per motivi di anzianità di servizio, che per i titoli di cui lo stesso è in possesso – ad essere nominato dal Consiglio superiore della magistratura a tale incarico;
   ad avviso dell'interrogante tale nomina potrebbe rivestire carattere di grave pregiudizio per il funzionamento della procura di Catania nonché per lo sviluppo delle delicatissime inchieste di mafia (e non solo) tuttora ivi pendenti;
   ed invero, come si apprende da fonti di stampa, il dottor Tinebra risulta essere legato da forti rapporti di amicizia con grossi nomi dell'imprenditoria catanese e romana, da Ciancio a Caltagirone, tutti personaggi titolari di grossi interessi tuttora oggetto di inchieste aperte dalla stessa procura di Catania e affidate al sostituto procuratore Giuseppe Gennaro, come quella sui parcheggi o quella sul risanamento del vecchio quartiere San Berillo con progetto dell'architetto Fuksas, un investimento da centinaia di milioni di euro nel quale è interessato il gruppo Acquamarcia. Peraltro, proprio agli atti di una di queste inchieste, pare vi sia un'intercettazione telefonica in cui alcuni di questi imprenditori catanesi si augurano che al posto di D'Agata venga nominato proprio il dottor Giovanni Tinebra;
   per tutti questi motivi, in un comunicato stampa del primo febbraio 2011, diverse associazioni catanesi, anche alla luce degli episodi sconcertanti che vedono coinvolti alcuni aspiranti candidati al posto di procuratore capo Catania, si sono pubblicamente rivolte al vice-presidente e alla commissione uffici direttivi del CSM, auspicando «che la nomina a Procuratore Capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania ricada su una personalità di alto spessore che eserciti l'autonomia della magistratura rispetto al potere politico, che sia capace di operare al di fuori delle logiche proprie del sistema politico affaristico della città, che possibilmente sia del tutto estranea all'ambiente cittadino, che provenga cioè da realtà lontane dall’humus siciliano e catanese»;
   il presidente della Confindustria-Sicilia, Ivan Lo Bello ha individuato nella città di Catania «la capitale della mafia imprenditrice in Sicilia»;
   il dottor Giovanni Tinebra, citato a comparire in qualità di teste per il 26 gennaio 2010 nel procedimento penale RGNR 15776/07 allora in corso presso la IV sezione penale del tribunale di Palermo, ha inviato una nota (datata 19 gennaio 2010) al sostituto procuratore della Repubblica, dottor Nino Di Matteo e al presidente del tribunale nella quale è dato leggere quanto segue: «Con riferimento alla citazione in oggetto rappresento subito alle SS.VV. Ill.me la mia più totale ed incondizionata disponibilità a conformarmi alle Loro determinazioni. Non posso però sottacere la difficoltà a conformarmi alla detta data in dipendenza dell'imminenza dell'inaugurazione del nuovo Anno Giudiziario, adempimento che mi vede pesantemente e direttamente coinvolto nella sua organizzazione e celebrazione, anche in relazione alle mie condizioni di salute. Inoltre, e soprattutto, rappresento che le mie condizioni, così come descritte nella certificazione che allego, consiglierebbero di soprassedere dall'esecuzione dell'incombente in oggetto; e ciò sia in relazione alla stancabilità di cui sono affetto ed alla non sempre brillante memoria di cui dispongo, sia in relazione alla scarsa coordinazione dell'attività fisica che mi affligge, scarsa coordinazione che mi comporta spesso reazioni emozionali assolutamente spropositate (circostanza questa che potrebbe viziare il giudizio di eventuali osservatori). Mi permetto pertanto di rassegnare alle Loro Signorie istanza di soprassedere all'incombente in oggetto»;
   alla predetta missiva è allegato un certificato medico rilasciato in data 20 gennaio 2010 dal dottor Erminio Costanzo dell'azienda ospedaliera «Cannizzaro» di Catania nel quale si attesta che «il dottor Giovanni Tinebra è affetto da “sindrome parkinsoniana” con tremore a riposo agli arti superiori (sinistro e destro), apofonia con bradilalia. Tale situazione clinica (aspetto motorio) e il marcato riverbero neuro-vegetativo (sudorazione improvvisa e rash cutaneo eccetera) oltre ad un disagio psicologico di base si accentua nei momenti di stress arrivando talvolta a rallentare il flusso ideico e il rashival mnesico»;
   considerati, infine, i legami, familiari e non, che collegano la magistratura del distretto catanese alla vita politica e ai cosiddetti poteri forti che per decenni hanno caratterizzato il palazzo di giustizia catanese, appare opportuno valutare una scelta coraggiosa, analoga a quella già compiuta a Reggio Calabria con la nomina al vertice della locale requirente di un magistrato non reggino, estraneo alla pervasività dei condizionamenti esterni; la nomina del dottor Giuseppe Pignatone ha consentito, infatti, di conseguire, in un paio di anni, brillanti risultati mai raggiunti in decenni di reggenza di uno dei più delicati uffici delle procure distrettuali antimafia;
   a giudizio dell'interrogante quanto sopra descritto non rende consigliabile e/o opportuna la nomina del dottor Giovanni Tinebra al posto di procuratore capo della procura di Catania –:
   se il Ministro interrogato, laddove il CSM dovesse deliberare positivamente circa la nomina del dottor Giovanni Tinebra a capo della procura di Catania, non ritenga di dover tener conto, nell'esprimere il concerto, dell'inopportunità della detta nomina per i motivi illustrati in premessa. (5-08250)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 28 gennaio 2011, l'interrogante ha visitato la casa circondariale di Genova-Pontedecimo assieme ad Irene Testa (segretaria dell'associazione Il Detenuto Ignoto), Alessandro Rosasco (membro del comitato nazionale di Radicali Italiani), Susanna Mazzucchelli (segretaria dell'associazione Radicali Genova), Stefano Petrella (segretario del gruppo radicale Adele Faccio) e Claudia Bornico (presidente dell'associazione Radicali Genova); la delegazione è stata accompagnata dalla direttrice, dottoressa Maria Milano;
   dalla visita ispettiva è emerso il seguente quadro:
    nel carcere di Genova-Pontedecimo sono presenti 172 detenuti, 81 donne e 91 uomini, a fronte di una capienza regolamentare di 100 posti;
    gli agenti di polizia penitenziaria sono 104 di cui 34 distaccati, 5 al nucleo traduzioni e piantonamenti; nei 104 sono compresi amministrativi, malati, aspettative e altro; il numero è del tutto insufficiente per coprire tutte le esigenze dell'istituto, in primo luogo quelle trattamentali;
   l'istituto presenta gravi carenze strutturali che ne pregiudicano la sicurezza e la salubrità dei luoghi e, in particolare, ci sono lavori urgentissimi che dovrebbero essere eseguiti al più presto come: lavori per infiltrazioni d'acqua nelle aule scolastiche e in altri locali; rifacimento zona colloqui (c’è ancora il vietatissimo muretto divisorio); sostituzione di una telecamera dell'impianto di videosorveglianza; collegamento delle telecamere della II sezione maschile con i monitor della porta carraia e della sezione detentiva maschile; lavori di varia natura nelle celle detentive della sezione maschile; diffusori d'acqua per lavandini e docce di tutte le sezioni detentive; interruttori a tempo nei corridoi e in diversi locali; zanzariere nella cucina per i detenuti; griglie per aerazione della porta carraia; sistemazione di caditoie site sulla strada d'accesso all'istituto; sostituzione plafoniere in diversi locali; bonifica della fossa dell'ascensore per cucina detenuti; asfalto della strada d'accesso all'istituto; sostituzione dei materassi perché scaduti; revisione degli impianti per acqua calda e riscaldamento sia nei reparti detentivi sia nelle stanze che ospitano il personale; nell'istituto manca l'area verde;

   il passaggio della sanità penitenziaria alla ASL ha creato notevoli problemi in primo luogo perché è stato sostituito tutto il personale che precedentemente operava nell'istituto: non c’è più la guardia medica h24, c’è una copertura ridotta costituita da un medico o da un infermiere; se accade un evento critico di notte, è necessario chiamare il 118 anche per interventi che potrebbero essere risolti sul posto; attrezzature importanti che pure sono disponibili, come il defibrillatore, sono in realtà inutilizzabili perché nei turni scoperti dalla presenza di medici, il personale non è in grado di usarle;
   inoltre il passaggio alla ASL ha diminuito la presenza degli specialisti e a causa della carenza degli agenti di polizia penitenziaria le visite in esterna sono molto difficili da gestire; alcuni specialisti, psichiatra e dentista, si recano in istituto la domenica, creando difficoltà dovute all'ulteriore riduzione del già ridotto numero di agenti; la mancanza della guardia medica h24 implica un enorme carico di responsabilità per gli agenti che devono controllare e gestire situazioni talvolta drammatiche;
   nonostante le indubbie capacità della direttrice, per le gravissime carenze di mezzi che hanno registrato tagli in tutti i settori, l'istituto versa in condizioni difficilissime: bastino gli esempi del monte ore degli psicologi che attualmente coprono il servizio per sole 13 ore mensili o delle possibilità di lavoro per i detenuti che si sono ulteriormente ridotte a causa del drastico taglio delle mercedi: 30 per cento nel 2010 e 40 per cento nell'anno corrente;
   i detenuti lavorano per 50 euro mensili: infatti, a causa della scarsità di posti la direttrice prevede rotazioni frequenti, al fine di far lavorare il maggior numero di detenuti; in cifre, su 172 detenuti lavorano solo 14 uomini e 6 donne e chi non fa attività passa in cella ben 19 ore;
   quanto alle attività scolastiche, queste impegnano: 13 uomini e 23 donne nei corsi di alfabetizzazione; 26 uomini e 15 donne nelle scuole medie e 20 uomini e 22 donne in quelle superiori;
   l'impegno della direttrice riesce a coprire le molte carenze dell'istituto che – ad avviso degli interroganti – sono dovute alla disattenzione dell'amministrazione regionale e centrale; le capacità dirigenziali, d'altra parte, sono dimostrate dal fatto che bene o male il 50 per cento dei detenuti è impegnato in attività scolastiche o lavorative;
   con la legge n. 199 del 2010 sono usciti alla detenzione domiciliare solo 3 detenuti;
   il regolamento d'istituto ancora non c’è, anche se sono stati percorsi tutti i passaggi previsti: manca solo l'autorizzazione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria –:
   se siano a conoscenza di quanto scritto in premessa;
   in che modo intenda attivarsi e in quali tempi per superare gli evidenti problemi di sovraffollamento del carcere di Genova Pontedecimo;
   in che tempi verrà ripristinato l'organico degli agenti di polizia penitenziaria, degli educatori e degli psicologi;
   in che tempi verranno superate le carenze strutturali dell'istituto, anche attraverso il finanziamento di progetti ad hoc;
   cosa si intenda fare per vigilare affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti;
   in che modo intendano ripristinare il fondo per il lavoro in carcere dei detenuti, visto che nelle condizioni attuali, solo un'estrema minoranza di loro ha la possibilità di svolgere un'attività, peraltro poco qualificante, all'interno dell'istituto;
   in che tempi verrà sanata la violazione normativa riguardante l'inesistenza di un regolamento interno all'istituto.
(5-08251)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO, ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul sito internet del Ministero della giustizia è presente una statistica relativa ai «Detenuti italiani e stranieri presenti e capienze per istituto – 31 dicembre 2010», in cui sono indicati, per ciascun istituto di pena, il tipo di istituto, la capienza regolamentare, il totale detenuti presenti, i detenuti stranieri presenti, le detenute donne presenti;
   la fonte di tale statistica è il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale – sezione statistica;
   secondo la suddetta statistica, la capienza regolamentare della casa circondariale di Catania piazza Lanza risulta essere di 361 posti;
   tale dato, evidentemente, si ripercuote sulla somma totale della capienza regolamentare in tutti gli istituti di pena, indicata in 45.022 posti;
   in occasione della visita ispettiva effettuata dalla prima firmataria del presente atto presso la casa circondariale di Catania piazza Lanza in data 13 novembre 2010, la direzione del carcere dichiarava una capienza regolamentare di 155 posti e una capienza «tollerata» di 221 posti; la capienza regolamentare indicata nella succitata statistica del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria risulta essere, pertanto, fortemente sovradimensionata – addirittura in misura superiore al doppio – rispetto alla capienza regolamentare dichiarata dalla direzione della casa circondariale di Catania piazza Lanza;
   la capienza regolamentare di un istituto di pena è un dato essenziale per calcolare il numero dei detenuti in esubero, e la cui conoscenza è dunque necessaria per avere piena contezza della misura del sovraffollamento di un istituto di pena –:
   se i dati presenti nella statistica citata in premessa risultano corretti;
   se, in particolare, il dato presente nella statistica citata in premessa, relativo alla capienza regolamentare della casa circondariale di Catania piazza Lanza, risulti correttamente indicato nella misura di 361 posti;
   quali provvedimenti eventualmente intenda assumere per assicurare che le statistiche del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria pubblicate sul sito del Ministero della giustizia presentino caratteri di precisione e attendibilità.
(5-08252)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia — Per sapere – premesso che:
   gli esperti ex articolo 80, in servizio al presidio nuovi giunti della Casa circondariale Poggioreale Napoli hanno rappresentato in questi giorni alle massime autorità dello Stato, in primo luogo il Presidente della Repubblica, la difficile situazione lavorativa in cui da anni ormai si trovano;
   con la loro presa di posizione pubblica gli esperti ex articolo 80 in servizio al presidio nuovi giunti della casa circondariale Poggioreale mettono in evidenza «l'incredibile rischio di vita in cui incorrono i detenuti, a causa, tra l'altro, dell'ultimo taglio di ore, che ha reso di fatto impossibile la valutazione del rischio suicidiario”;
   gli esperti ex articolo 80, in servizio al presidio nuovi giunti della casa circondariale Poggioreale, nel dettaglio rilevano che già da tempo si assiste ad una diminuzione, attraverso drastici tagli – del monte ore assegnato al servizio dei nuovi giunti;
   la Casa circondariale di Poggioreale, in particolare, è un istituto che ha una capienza tollerabile di 1300 unità, attualmente vede rinchiusi oltre 2700 persone. Ogni giorno vede entrare in media dalle 30 alle 50 unità, da sottoporre, oltre all'immatricolazione e alla visita medica, anche alla valutazione del rischio suicidario e della etero aggressività del detenuto da parte degli esperti ex articolo 80;
   da gennaio 2011 il già esiguo monte ore è stato ulteriormente decurtato per cui le ore assegnate nel carcere di Poggioreale sono di sole 160 ore mensili che consentono la presenza di un solo esperto criminologo o psicologo ex articolo 80, per solo cinque (5) ore giornaliere;
   di fatto, denunciano gli esperti ex articolo 80, è a loro impossibile svolgere correttamente la professione, attraverso i previsti colloqui che, secondo la normativa, dovrebbero essere fatti per lo screening dei detenuti nuovi giunti, per le valutazioni dei casi segnalati, per motivi disciplinari, per il sostegno psicologico a seguito di atti di autolesionismo e anticonservativi, per la valutazione e il trattamento dei disagi legati alla riduzione di trattamento intramurario nei detenuti sottoposti al regime del 14-bis;
   gli esperti ex articolo 80 denunciano che la ulteriore diminuzione di ore li costringe di fatto ad una vera inadempienza operativa obbligata, svalorizzando la normativa e il significato per cui fu creato il servizio presidio nuovi giunti e limitando il tutto ad uno spazio formale «che intende solo tenere le carte a posto, in caso di suicidio del detenuto»;
   «da febbraio 2011 – accusano gli esperti ex articolo 80 – siamo costretti a fare i colloqui di primo ingresso non entro le 24 ore, come da disposizione ministeriale, ma dopo e oltre le 48 ore. Inoltre, dal 2008 non sappiamo bene neanche se la funzione sia a carico del Ministero della giustizia o a quello della salute. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° aprile 2008 infatti assegna la funzione al Ministero della salute, ma a tutt'oggi, senza nessun accordo tra i ministeri, la funzione viene espletata dagli esperti ex articolo 80 in carico al Ministero della giustizia»;
   infine gli esperti ex articolo 80, lamentano il vero e proprio muro di gomma che i responsabili istituzionali hanno opposto a richieste di incontri più volte reiterate –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga di ripristinare e incrementare urgentemente il fondo destinato al presidio nuovi giunti;
   se non ritenga di dover provvedere urgentemente alla sistemazione della figura dell'esperto criminologo e psicologo in ruolo al servizio nuovi giunti nelle carceri italiane, per addivenire ad una buona organizzazione delle attività di monitoraggio e di intervento sui rischi di vita della persona detenuta;
   se non ritenga che gli psicologi che operano nelle carceri debbano passare alle ASL come previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, in quanto operatori sanitari.
(5-08253)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI del 5 marzo 2011, un detenuto straniero, ristretto nel carcere Bassone di Como, avrebbe aggredito un agente della polizia penitenziaria ferendolo non gravemente ad una spalla esentato e avrebbe tentato anche di colpirlo con una lametta;
   secondo quanto raccontato agli organi inquirenti, il detenuto avrebbe compiuto il gesto di violenza colto da un improvviso scatto d'ira, atteso che lo stesso aveva fatto per mesi diverse richieste, sia orali che scritte, alla direzione dell'istituto penitenziario, per vedere i figli senza ottenere mai alcun tipo di risposta –:
   se corrisponda al vero quanto esposto in premessa;
   se il detenuto si trovi ristretto in carcere per aver commesso reati riconducibili alla fattispecie di violenza in famiglia;
   per quali motivi il detenuto non riesca a vedere i figli nonostante le numerose istanze rivolte alla direzione dell'istituto penitenziario. (5-08254)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere composto da Radicali italiani, Associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», Associazione «A buon diritto», redazione «Radiocarcere» e redazione «Ristretti orizzonti», un detenuto di 39 anni si è tolto la vita nella casa circondariale di Ariano Irpino;
   l'uomo, di origini francesi, si è impiccato nella sua cella il 1° marzo alle dieci di mattina;
   salgono così a dieci i detenuti suicidatisi nelle degradate celle italiane in questo 2011. Sulla vicenda il segretario generale della Uilpa penitenziari, dottor Eugenio Sarno, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Si tratta, evidentemente, di una strage silenziosa che sembra toccare solo la sensibilità di pochi. È chiaro, infatti, che il silenzio istituzionale, sociale e politico che avvolge i dieci suicidi, i 150 tentati suicidi, le 29 vite strappate in extremis alla morte per suicidio dagli agenti penitenziari, denota una insensibilità ed una disattenzione che offendono non solo il senso civico ma anche la professionalità e l'impegno degli operatori penitenziari diuturnamente impegnati, con scarsi mezzi e risorse, a contrastare l'inciviltà e la disumanità delle condizioni detentive. Alla luce di quanto successo oggi trovano ancor più ragioni le innumerevoli iniziative di protesta proclamate su tutto il territorio nazionale dai sindacati della polizia penitenziaria. Non ci stancheremo, pertanto, di chiedere al Ministro Alfano e al Governo Berlusconi un concreto impegno per risolvere le criticità che affogano l'universo penitenziario nel mare delle emergenze. Ancora una volta invito il Ministro Alfano e i Sottosegretari Caliendo e Casellati dall'astenersi da roboanti dichiarazioni in relazione allo stato degli istituti penitenziari, rispetto all'improbabile piano carceri e alle solo annunciate assunzioni in polizia penitenziaria. I responsabili politici di Via Arenula rinuncino a qualche passerella, a qualche taglio di nastro, e a qualche posa di prima pietra e si concentrino sulle soluzioni possibili. Non guasterebbe, infine, nemmeno un confronto con le rappresentanze sindacali che, attraverso la loro competenza, potrebbero fornire consulenze (gratuite) derivanti dalla diretta conoscenza di fatti, cose, persone e dinamiche» –:
   da quanto tempo e a che titolo l'uomo morto suicida si trovasse ristretto in carcere;
   se al momento del suo ingresso nell'istituto di pena in questione l'uomo sia stato preso in carico dal servizio nuovi giunti;
   con quante persone il detenuto dividesse la cella al momento del suicidio;
   quanti siano i detenuti ristretti presso il carcere di Ariano Irpino, quanti gli agenti di polizia penitenziaria e quanti gli psicologi;
   se risulti all'amministrazione penitenziaria che l'uomo soffrisse di disturbi psicologici o di patologie di altro tipo;
   se risulti che il detenuto avesse richiesto un colloquio con gli psicologi del carcere;
   se non intenda avviare un'indagine amministrativa interna al fine di accertare l'esistenza di eventuali profili di responsabilità disciplinare nella condotta del personale penitenziario che aveva in cura e custodia il detenuto. (5-08255)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'agenzia di stampa ANSA del 16 febbraio 2011 ha dato la notizia sulle indagini in corso relativamente alla morte di Vincenzo Fazio, detenuto nel carcere di Lecce e ivi deceduto nel 2007;
   prima di morire Vincenzo Fazio, trasferito tre giorni prima a Lecce dal carcere di Catania su provvedimento del tribunale di sorveglianza, accusò forti dolori al petto. Fu quindi visitato nell'infermeria del carcere leccese, dove gli fu prescritto un comune antipiretico. Terminata la breve visita il detenuto fu rispedito in cella, dove, la mattina dopo, fu trovato privo di vita;
   l'autopsia, disposta dal sostituto procuratore della Repubblica, Maria Cristina Rizzo, evidenziò un arresto cardiocircolatorio, oltre a una serie di patologie di cui il detenuto era già affetto;
   nella successiva consulenza medica richiesta dal pubblico ministero, il consulente stabilì che la morte dell'uomo sarebbe sopraggiunta comunque in maniera repentina, anche se al termine della visita in infermeria fosse stato disposto il ricovero in ospedale. Per due volte l'accusa ha chiesto l'archiviazione del procedimento, in cui risultano iscritti come indagati due medici in servizio presso il carcere di Lecce. L'istanza è stata respinta in entrambi i casi, ad aprile 2008 e gennaio 2010, dal gip. Alla richiesta di archiviazione si sono sempre opposti anche i parenti del detenuto, assistiti dall'avvocato Tania Rizzo, che chiedono sia fatta giustizia sulla morte del 51enne catanese;
   è stato proprio il gip Maritati a respingere, a gennaio 2011, l'ultima richiesta di archiviazione, chiedendo che fosse ricostruita rigorosamente la storia medica dell'uomo e le sue condizioni di salute all'arrivo nel carcere di Lecce, e di conoscere i nomi degli infermieri e del personale medico che lo visitarono. Da qui la necessità di affidare ai due consulenti l'analisi delle cartelle cliniche, dell'esame autoptico e di tutti gli altri accertamenti medici sostenuti da Fazio prima della morte –:
   se sia stata aperta una indagine amministrativa interna volta a fare piena luce sulle cause che hanno provocato la morte del detenuto Vincenzo Fazio e quali ne siano stati gli esiti. (5-08256)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa DIRE del 16 febbraio 2011, un giovane italiano di 30 anni, internato nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, avrebbe tentato di togliersi la vita tagliandosi le vene;
   la notizia è stata data dal Sindacato autonomo polizia penitenziaria (SAPPE) in una nota nella quale è scritto che il giovane «è stato salvato solo grazie all'intervento di un agente della Polizia penitenziaria che non vedendolo durante il consueto giro di controllo si è insospettito, è entrato nella stanza e lo ha trovato nel letto, coperto dalle lenzuola e in una pozza di sangue. L'uomo si era tagliato le vene ed era in fin di vita ma grazie all'intervento immediato prima dell'agente e poi del personale medico, è riuscito a salvarsi»;
   sempre secondo quanto riferito dal SAPPE, non era la prima volta che il trentenne tentava il suicidio. Secondo il sindacato dei baschi azzurri, nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia vi è carenza di organico e sovraffollamento;
   l'ospedale psichiatrico di Reggio Emilia, una delle sei strutture presenti in Italia, ospita circa 300 internati, a fronte di una capienza di circa 150 posti. Gli agenti in servizio sono circa 80, mentre ne sono previsti 120. All'interno della predetta struttura è in atto il progetto sperimentale che prevede la gestione totale del personale medico e paramedico, mentre la Polizia penitenziaria si dovrebbe occupare solo della sicurezza. Così non è, atteso che cinque reparti sono totalmente affidati al personale medico e paramedico, mentre uno è ancora gestito dalla Polizia penitenziaria, la quale spesso si trova di fronte a soggetti difficili, con problemi motori e non autosufficienti –:
   se intendano fornire elementi sul tentato suicidio avvenuto a febbraio 2011 nell'ospedale psichiatrico di Reggio Emilia;
   quali provvedimenti urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di aumentare l'organico dei medici, degli psicologi e della polizia penitenziaria assegnati presso l'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia;
   per quali motivi non risulti essere ancora operativo il progetto sperimentale in base al quale la gestione totale della struttura dovrebbe spettare al personale medico e paramedico, mentre la polizia penitenziaria dovrebbe occuparsi solo della sicurezza. (5-08257)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa DIRE dell'11 marzo 2011, nelle carceri in Emilia-Romagna il sovraffollamento starebbe cominciando a portare grandi «preoccupazioni dal punto di vista igienico-sanitario e infettivo, con casi di contagio che stanno interessando anche agenti della Polizia penitenziaria»;
   la denuncia proviene dai sindacati della polizia penitenziaria in una lettera inviata ai vertici dell'amministrazione penitenziaria e al presidente della regione, Vasco Errani: le richieste sono quelle già avanzate nelle ultime settimane, ovvero di avere rinforzi di personale al più presto per coprire le vacanze d'organico;
   secondo i sindacati la situazione dell'Emilia-Romagna è la peggiore del centro-nord, atteso che rispetto alla capienza regolamentare ci sono 2.000 detenuti in più e 700 agenti in meno, per un indice di sovraffollamento che supera il 180 per cento, a fronte di un dato nazionale del 140 per cento;
   particolarmente critica la condizione di lavoro del nucleo traduzione e piantonamenti (che si occupa di accompagnare i detenuti ai processi o di sorvegliare gli arrestati in ospedale) delle varie carceri regionali, il che, a giudizio dei sindacati, mette a rischio la sicurezza non solo dei poliziotti ma di tutte le strutture penitenziarie e dei cittadini –:
   quali azioni il Ministro interrogato intenda attuare al fine di intervenire sul grave sovraffollamento del sistema carcerario della regione Emilia-Romagna;
   se, a fronte della persistente carenza di organico, il Governo non ritenga di prevedere all'ulteriore messa in servizio di personale tecnico (educatori, assistenti sociali, e altri) e di polizia penitenziaria al fine di ottemperare alle attuali previsioni organiche;
   in che modo e in quali tempi il «piano carceri» riguarderà la situazione penitenziaria emiliano-romagnola, quanti posti in più si preveda di rendere disponibili e con quale personale, considerata la già vistosa attuale carenza di agenti, psicologi, educatori, assistenti sociali;
   in che modo si pensi di poter affrontare – nella situazione igienico-sanitaria sopra descritta delle carceri romagnole e, in particolare, in previsione dell'arrivo dell'imminente periodo estivo – il rischio di diffusione di malattie infettive.
(5-08258)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da Il Velino in data 7 marzo 2011, sabato cinque marzo, verso le 19, un giovane detenuto straniero ristretto presso l'istituto penale per i minorenni di Palermo, avrebbe tentato il suicidio mediante impiccamento all'interno della propria cella;
   il giovane detenuto ha tentato di impiccarsi utilizzando i lacci delle scarpe che ha stretto al collo, realizzando così un cappio, e, legandoli alle sbarre delle finestra, si è lasciato cadere dal davanzale sul quale era salito. Il giovane è stato prontamente soccorso dal personale di Polizia Penitenziaria in servizio, che ha evitato che l'uomo riuscisse a soffocarsi –:
   se nei confronti del minorenne siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza, protettive ed educative previste e necessarie;
   se il ragazzo soffrisse di problemi psicologici e se lo stesso fosse seguito dagli psicologi del carcere minorile;
   se non ritenga opportuno disporre il passaggio del detenuto ad un regime detentivo più sorvegliato e tutelato, proprio per evitare che lo stesso possa tentare nuovamente di togliersi la vita;
   se risulti coperto l'organico previsto per ogni ruolo operativo presso l'istituto penale per i minorenni di Palermo;
   se e quali misure intenda attuare per implementare il ruolo rieducativo della detenzione carceraria. (5-08259)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA dell'11 marzo 2011, nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa un internato transessuale sarebbe stato sottoposto a violenza sessuale;
   l'uomo, secondo quanto denunciato da una psichiatra, sarebbe stato costretto ad avere rapporti orali con due agenti della polizia penitenziaria;
   sulla vicenda Imma Battaglia, Presidente di DiGay Project, ha dichiarato quanto segue: «La notizia della violenza sull'internato transessuale dell'Opg di Aversa è terribile. Noi di DiGay Project, che da anni ci impegniamo a portare negli istituti di contenzione l'idea di un carcere diverso, vorremmo consegnare una targa di ringraziamento alla psichiatra che ha denunciato gli abusi da parte delle guardie penitenziarie, dimostrando ancora una volta che le donne sono sempre più sensibili al tema della violenza e più coraggiose nella denuncia» –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   se sulla vicenda intenda aprire una indagine amministrativa interna e, se del caso, quali provvedimenti disciplinari intenda adottare nei confronti dei due agenti di polizia penitenziaria coinvolti. (5-08260)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 9 marzo 2011, nel carcere di Spoleto starebbero per arrivare altri 100 detenuti;
   l'arrivo di queste persone andrà ad appesantire la situazione, già al limite della sostenibilità, del penitenziario spoletino. Nel 2010 a Maiano infatti si sono registrati tra i detenuti 67 atti di autolesionismo, un suicidio, 6 tentati suicidi, tre aggressioni ai danni degli agenti penitenziari e 59 scioperi della fame. La capienza dell'istituto è di 450 reclusi, ma i dati al 31 dicembre 2010 indicano una presenza di 676 detenuti; le sezioni sono aumentate da 13 a 19, le celle di tre metri per tre, concepite per ospitare un solo detenuto, ne ospitano due e si pensa di inserire anche un terzo letto, lo spazio comune per la ricreazione dei detenuti è stato soppresso per la carenza di agenti di sorveglianza;
   la situazione insomma è destinata a divenire ancora più drammatica, con gli agenti penitenziari che attualmente stanno cercando di mantenere, tra mille difficoltà, una pacifica convivenza tra detenuti ma sono costretti a sopperire alla carenza di organico facendo turni massacranti e gli straordinari che non vengono loro pagati –:
   se non intenda rivedere la decisione di inviare 100 detenuti nel carcere di Spoleto, anche alla luce delle gravi carenze strutturali e di personale di cui soffre la predetta struttura penitenziaria;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover urgentemente intervenire per risolvere i problemi di carenza di agenti e di sovraffollamento presente nel carcere di Spoleto. (5-08261)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato sul quotidiano La Sicilia del 10 marzo 2011, nella casa circondariale di Giarre, su 45 unità previste in organico, solo 33 sono quelle operative a disposizione;
   secondo il segretario regionale dell'OSAPP, «se su carceri come quelle di Messina, Catania, Enna e Siracusa, l'evidenziatore è di colore rosso, su Giarre, trattandosi di una struttura di II livello, il problema non ha, spesso, ed è comprensibile, la stessa rilevanza ma resta il fatto che, anche qui esiste un organico non sufficiente: meno 12 poliziotti rispetto al numero assegnato. Questo fa sì che anche Giarre venga indicata tra quelle carceri della Sicilia orientale dove il problema della carenza di organico è ben più tangibile rispetto ad altre zone della Sicilia. Malgrado la struttura ospiti detenuti che non devono scontare pene alte il carico di lavoro viene distribuito tra il personale a disposizione e questo comporta disagi»;
   in un documento dell'OSAPP indirizzato anche al presidente della commissione speciale sulla situazione carceraria in provincia di Siracusa, dottor Carmelo Spataro, viene scritto che «Tale grave carenza è quantificabile negli istituti della provincia di Messina, Catania, Siracusa ed Enna in 400 unità circa a fronte delle 518 che risultano mancanti al contingente della Sicilia. Alle carenze devono sommarsi la scarsità delle risorse economiche per il pagamento dei servizi di missione, per la corresponsione degli straordinari, per la normale manutenzione degli automezzi adibiti ai servizi di traduzione e per tutte quelle peculiarità che hanno ripercussione sulla qualità del servizio della polizia penitenziaria» –:
   quali azioni il Ministro interrogato intenda attuare al fine di intervenire sul grave sovraffollamento del sistema carcerario della regione Sicilia;
   se, a fronte della persistente carenza di organico, il Governo non ritenga di prevedere all'ulteriore messa in servizio di personale tecnico (educatori, assistenti sociali, e altri) e di polizia penitenziaria al fine di ottemperare alle attuali vacanze organiche che si registrano presso il carcere di Giarre;
   in che modo e in quali tempi il «piano carceri» riguarderà la situazione penitenziaria siciliana, quanti posti in più si preveda di rendere disponibili e con quale personale, considerata la già vistosa attuale carenza di agenti, psicologi, educatori, assistenti sociali;
   quali iniziative di propria competenza intenda adottare al fine di reperire le risorse economiche necessarie al pagamento dei servizi di missione e degli straordinari agli agenti di polizia penitenziaria così come indicato nel documento inviato dall'Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria al presidente della commissione speciale sulla situazione carceraria in provincia di Siracusa. (5-08262)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del giorno 8 marzo 2011, Jacopo Merani, ristretto nel carcere di Monza, avrebbe tentato il suicidio;
   l'uomo, accusato di omicidio e in attesa di giudizio, ha tentato di uccidersi tra le mura della cella dov'era detenuto impiccandosi con un cappio realizzato con il materiale a disposizione, verosimilmente un lenzuolo. L'intervento degli agenti della polizia penitenziaria ha evitato la tragedia –:
   se nei confronti del detenuto in questione siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza, protettive ed educative previste e necessarie;  
   se risulti che l'uomo soffrisse di problemi psicologici e se lo stesso fosse seguito dagli psicologi del carcere;
   se non ritenga opportuno disporre il passaggio del detenuto ad un regime detentivo più sorvegliato e tutelato, proprio per evitare che lo stesso possa tentare nuovamente di togliersi la vita;
   se risulti coperto l'organico previsto per ogni ruolo operativo presso il carcere di Monza;
   se e quali misure intenda attuare per implementare il ruolo rieducativo della detenzione carceraria. (5-08263)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 marzo 2011, un genovese di 29 anni si è tolto la vita inalando gas nel bagno della sua cella ubicata nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino;
   l'uomo è stato trovato morto dagli agenti penitenziari. Inutili i soccorsi. Accanto al cadavere, gli agenti hanno scoperto una bomboletta di gas in dotazione ai detenuti. Sul caso è stato aperto un fascicolo da parte della procura della Repubblica di Firenze;
   sulla vicenda Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), ha dichiarato: «La notizia dell'ennesimo detenuto suicida è sempre, oltre che una tragedia personale e familiare, una sconfitta per lo Stato. È inevitabile che il carcere determini, come autorevolmente sottolineato dal Comitato nazionale per la bioetica, crisi di identità, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. E allora, proprio ora che si parla di una riforma epocale della giustizia, bisognerebbe darsi concretamente da fare per un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Serve un carcere nuovo e diverso perché quello attuale è un fallimento. Nell'ambito delle prospettive future occorre che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l'intero sistema. E la polizia penitenziaria è sicuramente quella propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative» –:
   se nei confronti della persona che si è tolta la vita nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza, protettive ed educative previste e necessarie;
   se, alla luce di recenti avvenimenti e nel rispetto dei più elementari diritti individuali, non ritengano di dover urgentemente intervenire, negli ambiti di rispettiva competenza, affinché nei confronti delle persone recluse negli ospedali psichiatrici giudiziari vengano assicurate condizioni di vita dignitose. (5-08264)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, è un istituto che risale al 1876, anno in cui fu creata la prima sezione carceraria per «maniaci»; i reparti dell'istituto sono del tutto obsoleti e adatti più per il controllo che per la cura; al momento risultano funzionanti solo cinque reparti, perché alcuni sono chiusi essendo fatiscenti o in ristrutturazione. Le stanze ospitano fino a 6 internati;
   sabato 5 marzo 2011, l'interrogante ha visitato l'ospedale psichiatrico giudiziario, assieme ad Irene Testa (segretaria dell'associazione Il detenuto ignoto), Annarita Di Giorgio e Paola Di Fosco (membri del comitato nazionale di Radicali italiani), Luca Bove e Elio De Rosa, rispettivamente segretario e tesoriere dell'Associazione «Legalità & Trasparenza» di Caserta, Enrico Salvatori militante radicale;
   la delegazione è stata accompagnata dalla direttrice Carlotta Giaquinto e dal comandante, Gaetano Manganelli;
   dalla visita ispettiva è emerso il seguente quadro:
    nell'istituto sono presenti 284 internati a fronte di una capienza regolamentare di 212 posti; gli internati provengono soprattutto dalla Campania e dal Lazio e, in minor misura, da altre regioni come l'Abruzzo e il Molise; 148 internati risultano in OPG per sopravvenuta malattia in carcere, 2 sono in osservazione e 100 sono in regime di proroga per dimissibilità; un internato è tossicodipendente in terapia metadonica; 3 sono gli internati sieropositivi; gli extracomunitari sono 15, tutti senza fissa dimora;
   il luogo ha poco a che vedere con un luogo di cura, nonostante la buona volontà della direttrice che, appena insediata, ha preso la meritoria iniziativa di abolire i letti di contenzione di antica e triste memoria; anche il personale cerca di superare le forti carenze di organico e di mezzi messi a disposizione dallo Stato per la struttura;
   gli psichiatri sono in tutto 6, compreso il dirigente sanitario che è anche l'unico a prestare servizio per le canoniche 36 ore settimanali perché gli altri 5, secondo la convenzione stipulata, giungono in istituto dopo aver prestato servizio presso la ASL di riferimento;
   sempre riguardo al personale sanitario, nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa operano cinque medici incaricati (medico di base) che prestano il loro servizio 3 ore al giorno per 6 giorni a settimana; 9 medici di guardia (Sias) a rotazione: un solo medico di guardia è presente nella struttura h24, non c’è medico di guardia psichiatrico e non è prevista alcuna sua reperibilità; gli infermieri sono 48, ma molti di loro (secondo convenzione) prestano servizio a volte solo per un'ora, retribuita come straordinario dopo il lavoro svolto presso la ASL; gli operatori socio-assistenziali (cosiddetti OSA) sono solamente 3 a tempo pieno e 10 che vanno in istituto una volta a settimana;
   gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 89 a fronte di una pianta organica che ne prevede 100; inoltre, 34 agenti sono esenti da turnazione notturna (ai sensi della legge n. 104 del 1992);
   gli educatori effettivamente in servizio sono 4; gli psicologi sono 2 per un totale di 60 ore mensili;
   la pulizia dell'Istituto è affidata agli internati e sono in tutto 30 quelli che lavorano come scopini alle dipendenze dell'amministrazione; il budget a disposizione per il pagamento delle mercedi è di 170.000 euro all'anno; pur valutando positivamente il fatto che si utilizzino gli internati in attività lavorative, è evidente che la pulizia dell'istituto non possa essere affidata totalmente a persone che hanno problematiche gravissime sia fisiche che psichiche e, infatti, l'istituto presenta gravissime carenze dal punto di vista igienico-sanitario: in particolare, nelle celle, materassi e lenzuola sono luridi; i pazienti devono lavarsi gli indumenti a mano per loro conto perché non c’è una lavatrice in sezione ma solo una centralizzata per lenzuola, federe e asciugamani, motivo per cui gli internati che non fanno i colloqui con i familiari indossano tute o altri indumenti sporchi; non è prevista una dotazione di biancheria intima;
   solo 92 internati fanno attività trattamentali (scuola e corsi di varia natura); il budget a disposizione per le attività trattamentali è di 8.000 euro l'anno;
   anche i fondi per la manutenzione ordinaria sono scarsi ed essendo affidata agli internati lascia molto a desiderare; sono gli agenti a dare una mano per le riparazioni che si rendono necessarie;
   nel 2010 si sono verificati i seguenti eventi critici, mentre un suicidio si registra già all'inizio del 2011: 50 atti di autolesionismo, 7 tentati suicidi, 6 decessi per cause naturali, 175 atti di aggressione, 5 incendi, 34 manifestazioni di protesta, 1 evasione, 21 violazioni di norme penali, 33 danneggiamenti di beni dell'amministrazione, 83 ricoveri urgenti in ospedale, 64 infortuni accidentali;
   una palazzina, la n. 9, ristrutturata di recente e che presto sarà aperta per ospitare internati, nonostante il certificato di agibilità rilasciato dall'ingegnere del PRAP, presenta vistosissime crepe su un lato;
   sicuramente positiva la sperimentazione in atto di un padiglione senza agenti e con la presenza di soli infermieri;  
   ad avviso dell'interrogante:
    a) va urgentemente ridotto il numero degli internati, per poter loro destinare l'attenzione e la cura di cui necessitano. Innanzi tutto va perseguita la strada assolutamente prioritaria ed imprescindibile della dimissione dei soggetti non più pericolosi dal punto di vista psichiatrico con la loro relativa presa in carico da parte delle diverse articolazioni dei dipartimenti di salute mentale di pertinenza; in secondo luogo occorre completare la distribuzione per bacini di utenza, circostanza che facilita il processo di dimissioni di cui sopra;
    b) va notevolmente incrementato il numero di ore destinate al servizio psicologico da parte dell'amministrazione penitenziaria ed attivato in forma permanente analogo servizio da parte dell'Asl Ce2 che, inoltre, deve aumentare il numero degli psichiatri e la loro assunzione a tempo pieno presso l'ospedale psichiatrico giudiziario;
    c) è necessario un consistente incremento di fondi sul capitolo relativo alla manutenzione ordinaria del fabbricato, sia per interventi di adeguamento normativo della struttura, sia per lavori di miglioramento delle condizioni ambientali, come il ripristino del teatro, la sostituzione dei servizi igienici, la rimodulazione del servizio lavanderia; per il cosiddetto «reparto nuovo», totalmente da ristrutturare e per il campo sportivo, l'istituto attende peraltro gli stanziamenti dei fondi della cassa delle ammende per i quali sono stati presentati otto progetti;
    d) il personale medico e infermieristico va incrementato in maniera consistente così come il numero degli agenti di polizia penitenziaria e degli educatori;
    e) al fine di raggiungere un livello igienico-sanitario almeno decente è assolutamente indispensabile ottenere da parte dell'Asl Ce2 l'assunzione a tempo pieno di personale O.S.A. in numero consistente (almeno 30 unità) che si occupi dell'assistenza fisica, della cura e dell'igiene personale degli internati;
    f) va potenziato il capitolo di bilancio con cui vengono acquistate attrezzature e mobilio, elettrodomestici e altro e quello che consente l'acquisto di casermaggio ed indumenti personali;
    g) è indispensabile un incremento delle risorse destinate alle mercedi dei lavoranti, nella misura di almeno il doppio dei fondi oggi destinati;
    h) è necessaria la sostituzione degli effetti letterecci – materassi, brande, lenzuola – con arredi di tipo ospedaliero, per dismettere l’habitus penitenziario dell'ospedale psichiatrico giudiziario;
    i) è necessario incrementare l'assegnazione dei fondi per il settore trattamentale per le attività da proporre agli internati nonché per le attrezzature da destinare alle attività riabilitative –:  
   se siano a conoscenza di quanto scritto in premessa;
   quali iniziative urgenti intendano intraprendere per ridurre il numero degli internati, soprattutto di coloro che sono dichiarati «dimissibili»;
   cosa intendano fare per quanto di competenza per incrementare l'indispensabile organico di psichiatri, psicologi, medici, infermieri e operatori socio-assistenziali;
   cosa intenda fare il Ministro della giustizia per incrementare l'organico di agenti, educatori e psicologi;
   se intendano incrementare i fondi riguardanti i capitoli di spesa indicati in premessa;
   come intendano operare per riportare nella legalità costituzionale e normativa l'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. (5-08265)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal sito giustiziagiusta.info, a Milano, a causa della tecnica del «copia e incolla», un imputato è stato tenuto in galera con le motivazioni di un altro;
   nel caso di specie sembrerebbe che i pubblici ministeri, di fronte ad una richiesta di scarcerazione, si siano limitati a copiare e incollare il parere già espresso per un altro detenuto, senza neanche ricordarsi di cambiare il nome. E, circostanza ancora più grave, il giudice avrebbe accolto il parere come se niente fosse, senza accorgersi che riguardava un altro imputato;
   la vicenda riguarda un imputato, Giovanni Valdes, ex sindaco di un paese tra Milano e Pavia, in carcere da tre mesi, festività comprese, per un reato (la turbativa d'asta) che la legge punisce con una pena esigua: talmente esigua da rendere praticamente certo che, in caso di condanna, ci sarà la sospensione condizionale della pena;
   ecco la ricostruzione operata dallo stesso Giovanni Valdes e riportata sul sito la giustizia.info: «Il 24 dicembre il difensore di Valdes, Mario Brasa, chiede al gip Andrea Ghinetti la scarcerazione del suo assistito. Lo stesso giorno il pubblico ministero Paolo Storari, braccio destro del procuratore aggiunto Ilda Boccassini, scrive: “Parere sulla istanza di revoca/modifica avanzata dalla difesa di Valdes. Allo stato si esprime parere contrario per i seguenti motivi: si tratta della terza istanza avanzata da Introini. Introini dopo pochi mesi dall'aver ricoperto la carica di sindaco si è subito messo a disposizione”, eccetera eccetera. Il maldestro “copia – e – incolla” è vistoso, ma il giudice Ghinetti non fa una piega. E tre giorni dopo, “visto il parere negativo del pubblico ministero”, respinge l'istanza» –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   se non intenda avviare un'ispezione presso la procura di Milano e, se del caso, avviare tutte le iniziative di competenza.
(5-08267)


    BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la notte del 7 gennaio 2011 due detenuti sarebbero stati rinvenuti feriti all'interno del carcere della Dogaia (Prato);
   secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tirreno, alcuni testimoni oculari, passata la mezzanotte, avrebbero visto due detenuti mentre venivano accompagnati al pronto soccorso dell'ospedale. Entrambi perdevano sangue, ma uno era in condizioni critiche, tanto che è stato subito portato in sala operatoria, mentre l'altro è stato medicato dai sanitari sul posto;
   al momento la direzione del carcere nega che sia avvenuto un accoltellamento – si parla genericamente di una caduta – e di questa vicenda ufficialmente non si sono occupati né i carabinieri né la polizia –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   se non intenda avviare un'indagine amministrativa interna al fine di verificare l'esatta dinamica che ha condotto al ferimento dei due detenuti. (5-08268)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere composto da Radicali italiani, Antigone, A buon diritto, Il Detenuto ignoto, Ristretti orizzonti e Radio carcere, il 13 gennaio 2011 il detenuto Michele Massaro, 23enne, si è suicidato nel carcere Capanne di Perugia inalando il gas di una bomboletta da camping. L'uomo era detenuto nel carcere umbro dallo scorso mese di ottobre, quando i carabinieri lo prelevarono dalla comunità terapeutica nella quale era ricoverato;
   i trascorsi da tossicodipendente ed i reati «contro il patrimonio», che spesso contrassegnano l'esistenza di chi deve procurarsi i soldi per la «dose», avevano fatto accumulare a Michele Massaro una pena che considerava sproporzionata: 8 anni, troppi per avere una misura alternativa, ma per lui troppi anche da trascorrere in una cella, evidentemente;
   Massaro ha approfittato del cosiddetto momento di «socialità» in cui l'altro detenuto è uscito, forse uno dei pochi in cui la vittima è stata lasciata completamente sola nelle ultime settimane, per togliersi la vita;
   in seguito al fax inviato dal suo legale alla direzione del carcere di Capanne – comunicazione avvenuta dopo l'incontro coi familiari sconvolti, ai quali era stato confidato l'intento suicida da Michele – il giovane era seguito dal personale con un'attenzione maggiore. Lui, che si era sempre mostrato passivo e quasi per niente coinvolto nelle attività ricreative dell'istituto penitenziario, è stato portato via – dopo che il medico legale Sergio Pantuso Scalise ne ha constatato il decesso – nel silenzio rispettoso dei detenuti del braccio maschile;
   da inizio anno, in soli 12 giorni, salgono così a 6 i detenuti «morti di carcere»: il più «anziano» aveva 35 anni, Michele Massaro era il più giovane. Due si sono suicidati, gli altri 4 sono morti per «infarto»;
   nel carcere di Perugia l'ultimo decesso risaliva all'ottobre 2007, quando Aldo Bianzino – falegname arrestato per il possesso di alcune piante di marijuana – fu trovato morto in cella in circostanze mai del tutto chiarite (la procura ha recentemente archiviato il relativo fascicolo, che come ipotesi di reato riportava «omicidio volontario contro ignoti») –:
   se non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa di competenza al fine di capire, anche attraverso l'avvio di un'indagine, se vi siano responsabilità del personale penitenziario in ordine al suicidio del detenuto Michele Massaro;
   se e che tipo di sostegno psicologico fosse stato predisposto nei confronti del detenuto;
   quanti siano gli psicologi e gli educatori effettivamente in servizio presso il carcere Capanne di Perugia e quanti quelli previsti in pianta organica;
   se non intendano adottare le opportune iniziative normative al fine di istituire gli istituti a custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti;
   se non si intendano immediatamente stanziare fondi per migliorare la vita degli agenti penitenziari e dei detenuti in modo che il carcere non sia solo un luogo di espiazione e di afflizione ma diventi soprattutto un luogo, attraverso attività culturali, lavorative e sociali, in cui i detenuti possano avviare un percorso concreto per essere reinseriti a pieno titolo nella società. (5-08269)


    BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tirreno, nel corpo di Yuri Attinà, il giovane di 28 anni morto nel carcere delle Sughere il 7 gennaio 2010, sarebbero state trovate tracce di gas. È quanto emerge dalle prime indiscrezioni emerse dall'autopsia eseguita sabato mattina dal medico legale, Luigi Papi. I risultati ufficiali devono ancora arrivare, ma in base a quanto emerso il giovane avrebbe assunto una notevole quantità di gas prima di morire. Lo conferma anche il fatto che accanto al suo corpo è stata trovata una bomboletta (tipo quelle da campeggio) che vengono date in dotazione alle celle per preparare il caffè. Yuri era alle Sughere, al settimo padiglione, in cella con due compagni. Nei prossimi giorni, arriveranno anche gli esiti delle verifiche tossicologiche;
   secondo la nipote del detenuto deceduto, «Yuri fumava il gas in cella, invece il direttore dell'istituto detentivo ci aveva assicurato che era impossibile perché “i controlli sono scrupolosi”. Inoltre ci risulta che Yuri aveva assunto gas anche mentre era detenuto a Pisa, due anni fa circa. Non capisco come mai alle Sughere lui avesse ancora a disposizione il fornellino. Ci hanno detto che è morto subito e che i soccorsi sono stati immediati. Invece c’è chi dice che l'ambulanza sia arrivata molto dopo. Io non so come stiano le cose e non voglio certo cercare colpe che non esistono. La responsabilità di questa storia è di Yuri, che l'ha pagata anche cara. Ma se c’è qualcuno che ha sbagliato è giusto che paghi» –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   se non intenda avviare un'indagine amministrativa interna al fine di verificare se in relazione al decesso del detenuto siano ravvisabili responsabilità del personale penitenziario;
   per quali motivi il detenuto avesse a disposizione il fornellino da camping nonostante i familiari avessero in più occasioni avvertito la direzione dell'istituto penitenziario che l'uomo era solito fumare il gas in cella;
   se e che tipo di controlli fossero stati predisposti dalla direzione del carcere nei confronti dell'uomo;
   se nel caso di specie risulti se i soccorsi siano stati tempestivi. (5-08270)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. – Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano Libertà, in data 16 gennaio 2011 un detenuto nella casa circondariale delle Novate (Piacenza) si è conficcato in testa un pezzo di ferro che ha ricavato dagli arredi della sua cella, dopodiché è stato chiamato il 118 e l'uomo è stato soccorso dai sanitari dell'infermeria della casa circondariale;
   da quanto si è appreso, il protagonista dell'episodio è un detenuto di origini straniere con problemi psichici che un paio di giorni prima era stato purtroppo protagonista di un altro simile episodio. Nella precedente circostanza infatti si era conficcato in testa due viti e anche allora era dovuto ricorrere alle cure dei sanitari, fortunatamente anche quella volta le ferite che si era provocato non erano state gravi –:
   quali iniziative, anche normative, urgenti il Governo intenda adottare al fine di far sì che i detenuti affetti da gravi patologie psichiatriche siano assegnati a strutture, diverse da quelle carcerarie ordinarie, in grado non solo di contenerli ma anche di predisporre nei loro confronti un adeguato trattamento terapeutico, così come previsto dalle norme sull'ordinamento penitenziario. (5-08271)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   una delegazione del sindacato di polizia penitenziaria, guidata la Mimmo Mastrulli (vice segretario nazionale dell'Organizzazione sindacati agenti di polizia penitenziaria) ha effettuato una visita ispettiva al nuovo reparto detentivo del carcere di Trani che dovrebbe ospitare, a breve, altri 180 detenuti che si aggiungeranno ai 260 attualmente reclusi nella struttura di via Andria;
   i lavori, costati oltre 7 milioni di euro e durati poco meno di quattro anni, hanno interessato un'ala in passato occupata dalla sezione Giovani adulti. Il nuovo reparto si ispira al modello delle carceri americane e prevede – una rarità in Italia – anche due celle per detenuti disabili. La delegazione sindacale, al termine della visita, ha però contestato alcune disfunzioni strutturali;
   secondo quanto dichiarato da Mastrulli, «il carcere di Trani tornerà ad accogliere anche detenuti di un certo spessore ma non è nelle condizioni di poter compiere questo passo, né di accogliere così tanti detenuti. Le nuove celle, seppur in linea con gli standard delle migliori carceri internazionali, lamentano alcune deficienze che ne mettono a rischio la sicurezza. Mancano le telecamere, non tutti i bagni sono dotati di spioncini e, nel caso dovesse andare in tilt la centrale operativa, si costringerebbe il personale di polizia ad effettuare controlli su di un muro a cielo aperto, con qualsiasi condizione meteorologica. Il problema maggiore peraltro riguarda la cronica carenza di personale, visto che a Trani, nel giro di pochi anni, potremmo registrare un'utenza carceraria di circa 800 detenuti, soprattutto se verranno posti in essere i lavori di ristrutturazione di un'altra ala. Ad oggi, nella struttura, mancano circa 60 agenti di polizia penitenziaria. Per questo motivo chiedo l'istituzione di un tavolo di confronto al provveditorato regionale della Puglia invocando il rientro in sede a Trani di tutta la polizia penitenziaria distaccata da tempo presso altre strutture oltre che l'arrivo in città di un nuovo commissario di reparto. Le nostre richieste sono condivise dalla direzione locale, un motivo in più per proseguire nella nostra battaglia» –:
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare affinché venga posto rimedio, nel più breve tempo possibile, alle disfunzioni e alle carenze denunciate dal vice segretario dell'Osapp, dottor Mimmo Mastrulli. (5-08272)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, Antonino Montalto, 22enne, recluso a Prato, si è tolto la vita impiccandosi nella propria cella il pomeriggio del 20 gennaio 2011;
   ne ha dato notizia Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, che ha commentato: «Chi ha competenze politiche e amministrative, potrà anche continuare a perpetrare un ostinato, quanto offensivo, silenzio e negare risposte a chi, come noi, pone senza indugio e foglie di fico la questione penitenziaria in termini crudi e nudi, ma non potrà sottrarsi, prima o poi, dall'affrontare la tragica realtà delle morti in cella»;
   nei primi 20 giorni dell'anno salgono cosi a 5 i suicidi in carcere e a 6 il totale dei detenuti morti –:
   se non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa di competenza al fine di verificare, anche attraverso l'avvio di un'indagine, se vi siano responsabilità amministrative o disciplinari del personale penitenziario in ordine al suicidio del detenuto;
   se e che tipo di sostegno psicologico fosse stato predisposto nei confronti del detenuto;
   quanti siano gli psicologi e gli educatori effettivamente in servizio presso il carcere di Prato e quanti quelli previsti in pianta organica;
   se non ritenga che l'alto tasso di suicidi in carcere dipenda dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno;
   quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere. (5-08273)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, il 20 gennaio 2011 Salvatore Camelia, trentanovenne, si è suicidato in carcere, a Caltagirone, impiccandosi, con un lenzuolo, alla grata della finestra della sua cella. Inutili i primi soccorsi degli agenti dell'istituto penitenziario e i successivi interventi di rianimazione dell'uomo, il cui corpo è giunto privo di vita all'ospedale «Gravina» di Caltagirone;
   secondo le prime ricostruzioni dei carabinieri di Mineo, che avevano eseguito il provvedimento restrittivo, l'uomo aveva aggredito e ferito la sua compagna con un coltello. Dopo l'arresto, Camelia era stato accompagnato nel carcere calatino. L'accusato sarebbe stato interrogato dalla competente autorità giudiziaria, che gli avrebbe contestato i reati di tentato omicidio e lesioni –:
   se non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa di competenza al fine di verificare, anche attraverso l'avvio di un'indagine, se vi siano responsabilità amministrative o disciplinari del personale penitenziario in ordine al suicidio del detenuto;  
   se e che tipo di sostegno psicologico fosse stato predisposto nei confronti del detenuto;
   quanti siano gli psicologi e gli educatori effettivamente in servizio presso il carcere di Caltagirone e quanti quelli previsti in pianta organica;  
   se non si intenda immediatamente assumere le necessarie iniziative per stanziare fondi per migliorare la vita degli agenti penitenziari e dei detenuti in modo che il carcere non sia solo un luogo di espiazione e di afflizione ma diventi soprattutto un luogo, attraverso attività culturali, lavorative e sociali, in cui i detenuti possano avviare un percorso concreto per essere reinseriti a pieno titolo nella società. (5-08274)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano La Tribuna di Treviso del 19 gennaio 2011 è stato pubblicato un articolo intitolato: «Così mi hanno picchiato in carcere. In aula il racconto di un detenuto rumeno arrestato per stupro. L'uomo ha accusato tre agenti di polizia penitenziaria di averlo pestato»;
   il rumeno Lucian Elwis Andricsak, 28 anni, ha accusato in un'aula di giustizia tre agenti di polizia penitenziaria del carcere di Santa Bona di averlo picchiato tra il 12 e il 13 ottobre 2007, dopo che l'uomo era stato arrestato per aver violentato una brasiliana a Spresiano (condannato a 5 anni). I tre – Pasquale T., Gaspare C. e Maurizio V. – sono ora a processo con l'accusa di abuso d'ufficio;
   nel corso della sua deposizione il rumeno ha raccontato quanto segue: «Mi hanno picchiato di brutto il giorno dopo il mio arrivo in carcere. Sono venuti tre volte in un giorno, mi hanno colpito alla schiena con calci e pugni. E sono tornati anche il giorno dopo. Mi hanno picchiato a mani nude, più volte: quando il giudice mi ha interrogato gli ho detto che ero stato picchiato. Ho avuto dolori per un anno dopo l'accaduto. Non capivo niente di quello che mi dicevano» –:
   se sulla vicenda sia stata avviata un'indagine amministrativa interna e, in caso affermativo, quali ne siano stati gli esiti. (5-08275)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, il 19 gennaio 2011 un detenuto egiziano di 66 anni, Mahmoud Tawfic, proveniente dalla libertà vigilata e tornato in carcere da due mesi, si è suicidato nel carcere di Sulmona;
   il detenuto era affetto da tempo da una forte depressione che aveva minato il suo equilibrio psichico. Ad agosto aveva ottenuto la libertà dopo aver finito di scontare la sua pena. Ma la lunga detenzione gli aveva procurato forti contraccolpi a livello psichico. Uscito dal carcere, ha cercato di rifarsi una vita trasferendosi a Roma ma nella capitale si sarebbe macchiato di nuovi reati tanto che nel mese di dicembre 2010 è tornato nel carcere di Sulmona, questa volta da internato. Infatti, proprio in seguito al comportamento assunto una volta uscito dal carcere, il giudice lo ha ritenuto socialmente pericoloso, condannandolo all'ulteriore pena della casa di lavoro;
   nei primi 20 giorni dell'anno salgono cosi a 5 i suicidi in carcere e a 6 il totale dei detenuti morti –:
   se non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa di competenza al fine di verificare, anche attraverso l'avvio di un'indagine, se vi siano responsabilità amministrative o disciplinari del personale penitenziario in ordine al suicidio del detenuto;  
   se e che tipo di sostegno psicologico fosse stato predisposto nei confronti del detenuto;
   quanti siano gli psicologi e gli educatori effettivamente in servizio presso il carcere di Sulmona e quanti quelli previsti in pianta organica;
   quanti internati siano impegnati in attività lavorative, quali i lavori svolti e quale sia lo stanziamento destinato alle mercedi in un anno;
   più in generale cosa intenda fare affinché le case lavoro siano effettivamente tali con occupazioni che aiutino gli internati a superare il loro stato di «pericolosità sociale»;
   se non ritenga di dover assumere iniziative volte a rivedere la normativa, risalente al codice Rocco del 1930, varato nel corso del ventennio fascista, riguardante le misure di sicurezza personali. (5-08276)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con precedente interrogazione n. 4-05789, presentata nella seduta del 20 gennaio 2010, si è chiesto di sapere quali iniziative il Ministro della giustizia intenda adottare allo scopo di valutare, con riferimento al lungo periodo di custodia cautelare in carcere patito dal signor Giancarlo Benedetti, la sussistenza dei presupposti per un'eventuale promozione di un'azione disciplinare a carico dei magistrati investiti del relativo procedimento penale; nonché se la direzione degli istituti di pena all'interno dei quali il signor Benedetti è stato rinchiuso abbiano garantito al detenuto la presenza costante di un adeguato supporto psicoterapeutico come richiesto dalle sue precarie condizioni di salute, ed inoltre quali iniziative di rispettiva competenza il Ministro della giustizia ed il Ministro della salute intendessero adottare affinché al detenuto Giancarlo Benedetti fosse garantito il rispetto dei diritti inviolabili, in primis quello alla salute;
   nonostante i solleciti del 9 febbraio 2010; del 4 marzo 2010; del 22 marzo 2010; del 12 aprile 2010; 12 ottobre 2010 e del 1° dicembre 2010, al predetto atto di sindacato ispettivo non è stata data ancora alcuna risposta;
   nel frattempo lo stato di salute del signor Giancarlo Benedetti è andato lentamente peggiorando, atteso quanto accertato con apposita perizia medico-legale redatta in data 8 maggio 2010 dal professor dottor Maurizio Marasco, specialista in neurologia e in psichiatra, il quale nella conclusione della sua Relazione clinica ha rilevato (tra l'altro) quanto segue: «[...] A tutt'oggi, dopo oltre 40 giorni, il Benedetti non è stato ancora visitato dallo psichiatra del carcere, nonostante in data 14 gennaio 2010 il medico del reparto ove è alloggiato il predetto detenuto abbia richiesto la consulenza psichiatrica [...]»; «[...] Si rammenta, come rilevato nelle precedenti relazioni cliniche dello scorso anno e di qualche giorno fa, che si tratta di un soggetto con alto tasso di familiarità per le forme bipolari, patologia psichiatrica che si è presentata prevalentemente in forma depressiva e che funestamente ha colpito la madre del paziente, suicidatasi, ed altri familiari del Benedetti; il quale, dal canto suo, pur non avendo mai manifestato episodi acuti di depressione o di disturbo bipolare, sin dall'adolescenza soffre di disturbo da attacchi di panico, disturbo d'ansia che in realtà viene considerato un equivalente dei disturbi depressivi e non a caso richiede un trattamento farmacologico con farmaci anti-ansia, appoggiati a farmaci antidepressivi [...]»; «[...] In questo caso non si comprende la ragione per la quale, pur essendo stata richiesta la visita psichiatrica, il Benedetti a tutt'oggi non è stato posto a visita specialistica con il rischio che il disturbo da attacchi di panico che ormai si è cronicizzato si aggravi slatentizzando quella condizione depressiva che è latente ed insita nei geni del soggetto [...]»; «[...] Dunque, al fine di prevenire l'aggravamento della patologia di cui soffre attualmente il Benedetti, di prevenire in particolare il rischio che il suo disturbo da attacchi di panico si trasformi in una condizione depressiva franca, è indispensabile che il soggetto venga immediatamente sottoposto ad un trattamento farmacologico con farmaci antidepressivi e che venga anche sostenuto da una psicoterapia di supporto qualificata, oltre che sostenuto dal costante ed assiduo appoggio dei referenti affettivi. È dunque indispensabile avviare un programma multidisciplinare che non è realizzabile in ambiente penitenziario, non solo perché il supporto psicoterapeutico non è realizzabile nel circuito penitenziario ove la presenza dello psicologo è appena sufficiente ad osservare i nuovi giunti per un colloquio di primo ingresso e dove l'elevato numero di detenuti non consente allo psicologo la frequenza, la costanza e l'assiduità del supporto psicoterapeutico necessaria, ma anche in relazione al fatto che al supporto psicoterapeutico va affiancato il sostegno dei referenti affettivi, senza considerare il fatto che un paziente con la patologia di cui soffre il soggetto va assiduamente seguito anche dallo psichiatra, cosa che nello specifico non si sta verificando, considerato che la visita psichiatrica richiesta il 14 gennaio 2010, non è stata ancora eseguita ed anche se lo fosse a breve, comunque dovrebbe essere ripetuta a cadenza settimanale, il che, considerato che nel carcere di Rebibbia nuovo complesso sono operativi due psichiatri che devono fronteggiare una popolazione di oltre 1000 detenuti, appare utopistico. Per le sovraesposte ragioni ritengo, secondo scienza e coscienza, che il Benedetti presenti condizioni di salute psicofisica incompatibili con la persistenza del regime detentivo in carcere»;
   contrariamente alle indicazioni contenute nelle relazioni cliniche del professor Marasco, il signor Giancarlo Benedetti, durante la sua permanenza negli istituti di pena di Regina Coeli, di Velletri e di Rebibbia nuovo complesso, non ha usufruito né di un adeguato supporto psicoterapeutico, né di un adeguato trattamento farmacologico;
   nel corso del lungo periodo di custodia cautelare in carcere, al detenuto non sono mai stati concessi gli arresti domiciliari, pur essendo lo stesso persona incensurata e, quindi, sebbene difficilmente potesse essere ravvisato nel caso concreto il pericolo di reiterazione del reato e/o di fuga e né, tanto meno, il pericolo di inquinamento probatorio, atteso che i fatti di cui era accusato il signor Benedetti erano abbastanza risalenti nel tempo;
   in data 11 novembre 2010, dopo 15 mesi trascorsi in carcere in custodia cautelare, il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Roma, dottor Riccardo Amoroso, assolveva il signor Giancarlo Benedetti, nel caso di specie difeso e assistito dall'avvocato Renato Borzone, perché «il fatto non sussiste»;
   peraltro, sempre con riferimento alla carcerazione preventiva dal medesimo sofferta, consta agli interroganti che il signor Giancarlo Benedetti abbia preannunciato l'intenzione di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell'uomo al fine di chiedere la condanna dello Stato italiano per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali –:
   se, anche alla luce della recente sentenza di assoluzione pronunciata in data 11 novembre 2010, il Ministro non ritenga opportuno valutare la sussistenza nella vicenda processuale illustrata in premessa dei presupposti per un'eventuale promozione di un'azione disciplinare nei confronti dei magistrati che sono stati investiti nel corso del tempo della questione relativa allo status detentionis del signor Benedetti, respingendo di volta in volta le richieste della difesa volte ad una sostituzione della misura cautelare carceraria;
   se nel corso della sua detenzione il signor Giancarlo Benedetti sia stato sottoposto a visita psichiatrica così come dallo stesso richiesto dopo il 14 gennaio 2010;
   se il detenuto abbia usufruito di un adeguato supporto psicoterapeutico e farmacologico nel corso della sua reclusione all'interno degli istituti di pena di Velletri e di Rebibbia nuovo complesso;
   se, più in generale, al detenuto in questione sia stato garantito il rispetto dei suoi diritti inviolabili, a partire da quello alla salute. (5-08277)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in un comunicato stampa del 17 gennaio 2011, l'Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria, alla luce delle recenti rivolte scoppiate in Tunisia, invita l'amministrazione penitenziaria a fornire tutti i mezzi necessari affinché i detenuti di nazionalità tunisina possano mettersi in contatto fin da subito con le famiglie di appartenenza, sia che si trovino dentro, sia che si trovino fuori dell'Italia;
   ed invero su 67.973 mila reclusi presenti nelle carceri italiane, ben 3.122 sono di nazionalità tunisina, sicché sarebbe opportuno e necessario che l'amministrazione penitenziaria consentisse loro di entrare immediatamente in contatto con i propri parenti attraverso gli strumenti diplomatici nonché, anche in deroga all'ordinamento penitenziario, consentendo agli stessi di telefonare al proprio Paese di origine –:
   se il Ministro interrogato intenda attivarsi al fine di consentire alle persone recluse di nazionalità tunisina di mettersi in contatto con i propri parenti attraverso gli strumenti diplomatici e/o per consentire agli stessi, anche in deroga a quanto previsto dalle norme dell'ordinamento penitenziario, di telefonare al proprio Paese di origine. (5-08278)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   domenica 23 gennaio 2010 la prima firmataria del presente atto, assieme a Giulio Petrilli (responsabile provinciale diritti umani del Pd de L'Aquila) e a Sergio Rovasio (segretario dell'associazione «Certi Diritti»), ha visitato il carcere di Sulmona;
   nella visita ispettiva che si è concentrata sulle problematiche della cosiddetta casa-lavoro, la delegazione è stata accompagnata dal direttore del carcere Sergio Romice e dall'ispettore Matteo Balassone;
   questi i dati delle presenze rilevati:
   a fronte di una capienza regolamentare di 250 persone, i detenuti e gli internati presenti sono 445, così suddivisi: 127 nella sezione reclusione ordinaria; 47 in alta sicurezza A.S.1; 97 in alta sicurezza A.S.3; 14 nella sezione collaboratori; 159 nella sezione internati;
   quanto al personale della polizia penitenziaria, si registra una carenza di 60 unità rispetto all'organico previsto, carenza che si ripercuote sulle attività trattamentali di tutto l'istituto;
   le criticità che si sono riscontrate nella casa di lavoro sono soprattutto queste:
   nonostante gli sforzi del direttore, gli internati che lavorano sono attorno al 40 per cento tutti gli altri passano almeno 18 ore al giorno in cella in una vera e propria detenzione carceraria; d'altra parte, il taglio di un ulteriore 25 per cento degli stanziamenti per le mercedi, non può non ripercuotersi sulle possibilità di svolgere un'attività, tanto che gli internati che sono impiegati a turnazione nei servizi di pulizia e vitto, nel mese in cui hanno la fortuna di lavorare, non riescono a guadagnare più di 100-130 euro; molti degli internati, peraltro con condizioni familiari di estrema indigenza, hanno riferito all'interrogante che – pur di essere impiegati in un'attività – sarebbero disponibili a farlo a titolo totalmente gratuito;
   a detta di pressoché tutti gli internati, la più che deficitaria assistenza sanitaria pone a forte rischio la loro salute; un internato (A.C.) con 5 infarti alle spalle, per esempio, non è mai stato sottoposto a visita cardiologica tanto che si è visto costretto a farla approfittando di una licenza; un altro, privo di un rene e con pressione alta che peraltro non gli viene mai misurata, da mesi attende di essere operato per la rottura di una protesi d'anca; un malato psichiatrico «che parla da solo» (dicono gli altri internati), che non si lava e non fa colloqui, continua a rimanere lì mentre risulta evidente che le sue condizioni richiederebbero il ricovero in una struttura sanitaria adeguata; un invalido totale dichiara di non ricevere alcuna assistenza sanitaria specifica; evidenti sono i problemi odontoiatrici: molti internati, infatti, sono sdentati o hanno gonfiori a causa di infezioni in corso; lo stesso egiziano che si è suicidato alcuni giorni fa da tempo si lamentava di non essere curato e già aveva tentato il suicidio alla vigilia di Natale;
   sempre a proposito di problemi sanitari, da segnalare che il «repartino penitenziario ospedaliero», si trova nel seminterrato dell'ala vecchia dell'ospedale di Sulmona, dichiarata da tempo inagibile, il che mette in serio pericolo l'incolumità dei detenuti, degli agenti penitenziari e del personale civile che ivi opera;
   sicuramente va segnalato come aspetto positivo della visita ispettiva effettuata, l'ottimo rapporto che gli internati hanno con il direttore e con gli agenti della polizia penitenziaria; ma ciò che rimane difficile accettare da parte di queste persone è il supplemento di pena che gli viene imposto quale misura di sicurezza decisa dal magistrato di sorveglianza per una valutazione di «pericolosità sociale» che li sottopone ad una restrizione della libertà che in nulla si differenzia dalla detenzione ordinaria –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Ministro della giustizia non intenda provvedere alla immediata chiusura della casa di lavoro di Sulmona o quanto meno, prendere le opportune iniziative per riportarla nella legalità sia per quanto riguarda le effettive possibilità di lavoro degli internati sia per quanto attiene alle condizioni «detentive» in cui si concretizza la loro permanenza nell'istituto;
   se intenda, e in che tempi, ripristinare l'organico oggi fortemente deficitario, degli agenti di polizia penitenziaria;
   cosa si intenda fare, per quanto di competenza, per assicurare il rispetto del diritto alla salute internati nel carcere di Sulmona;
   cosa intendano fare in merito all'ubicazione del reparto penitenziario dell'ospedale di Sulmona;
   quali siano gli intendimenti del Governo ai fini di una piena considerazione dei problemi esposti in premessa e, conseguentemente, quali indirizzi giuridici e normativi intenda assumere, in coordinamento con le diverse responsabilità e con i soggetti istituzionali interessati, sul fronte della riforma delle modalità e dei meccanismi applicativi ed esecutivi delle misure di sicurezza detentive. (5-08279)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, Antonio Leandri, in carcere a Perugia per aver ucciso e fatto a pezzi il padre Olindo, ha tentato di tagliarsi le vene nella sua cella la mattina del 23 gennaio 2011;
   Leandri si è procurato una quindicina di tagli superficiali agli avambracci con la lametta da barba usa e getta in dotazione a tutti i detenuti. L'uomo è stato immediatamente soccorso nella medicheria del carcere perugino di Capanne ed attualmente è tenuto sotto osservazione e non gli è concesso di avere alcun potenziale oggetto pericoloso in cella –:
   se ed in quante occasioni il detenuto Leandri sia riuscito ad avere colloqui con gli psicologi del carcere prima del tentato suicidio;
   se il detenuto Leandri, al momento del fatto, fosse sottoposto ad un trattamento psicologico;
   se sia noto di quale tipo di cura e di assistenza sanitaria usufruisca attualmente il detenuto in questione. (5-08280)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 24 gennaio 2011, undici detenuti del carcere di Piacenza avrebbero fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo per le condizioni in cui sono costretti a vivere in carcere;
   gli 11 detenuti dicono di essere sottoposti a trattamento inumano perché rinchiusi in celle in cui hanno a disposizione meno di 3 metri quadrati ciascuno e che sono mal illuminate a causa delle sbarre alle finestre. Inoltre, nel ricorso scrivono che l'accesso alle docce è limitato dal fatto che manca l'acqua calda. Due di loro, non fumatori, si dolgono inoltre di dover condividere la cella con dei fumatori e di essere quindi esposti ai rischi del fumo passivo durante tutta la giornata;
   a seguito del predetto ricorso, la corte di Strasburgo ha chiesto al Governo italiano di fornire tutti i dati sulla reale situazione del carcere di Piacenza e di indicare quali misure sono state prese dopo che il giudice di sorveglianza di Reggio Emilia ha dato ragione a tre dei detenuti che gli avevano già presentato un ricorso simile;
   l'Italia è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel luglio del 2009 per aver tenuto per 2 mesi e mezzo un detenuto nel carcere romano di Rebibbia in una cella dove aveva a disposizione meno di 3 metri quadrati. In quel caso la Corte accordò al ricorrente mille euro per danni morali. Secondo il comitato per la prevenzione alla tortura lo spazio minimo in cella a disposizione del detenuto deve essere di circa 7 metri quadrati –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   quali siano i dati sulla reale situazione del carcere di Piacenza che il Governo italiano ha inviato alla Corte europea dei diritti dell'uomo;
   quali misure siano state adottate dal Governo dopo che il giudice di sorveglianza aveva accolto il ricorso di tre detenuti che si erano lamentati del fatto di non avere sufficiente spazio all'interno delle celle ubicate nel carcere di Piacenza;
   di quanti metri quadrati dispongano i detenuti rinchiusi nel carcere di Piacenza; se le celle siano sufficientemente illuminate e se le docce abbiano l'acqua calda. (5-08281)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 gennaio 2011, sul quotidiano La Gazzetta del Sud, è apparso il seguente articolo: «L'agente deve fare la scorta, la sala colloqui rimane chiusa»;
   l'articolo disegna un quadro drammatico della situazione in cui si trova il carcere di Reggio Calabria e per questo motivo la prima firmataria del presente atto decide di riportarne integralmente il contenuto: «Quanto sia importante la presenza dell'agente di polizia penitenziaria Tommaso Chirivì all'interno del carcere di via San Pietro lo stanno sperimentando i detenuti e i penalisti che li assistono. Da quando, per carenza di personale, l'agente addetto alla chiamata viene spesso e volentieri impiegato all'esterno nel servizio scorte, infatti, la sala colloqui rimane chiusa. Incredibile, ma vero, non c’è nessuno che lo sostituisca. Avvocati e detenuti, di conseguenza, devono rinunciare alla possibilità parlare con i loro assistiti. Magari sono costretti a rinviare uno scambio di vedute su questioni importanti come la firma di un atto, la scelta di un rito. E quando ci sono di mezzo termini di scadenza il rinvio di un colloquio può diventare un ostacolo insormontabile. Una situazione paradossale che, secondo i penalisti reggini, lede il diritto di difesa. Il problema si è palesato in tutta la sua gravità nell'ultimo periodo quando sono cresciute in modo esponenziale le scorte assicurate dal corpo di Polizia penitenziaria. Situazione critica per l'alto numero di processi con imputati detenuti che hanno il sacrosanto diritto di essere presenti in udienza e che devono, quindi, essere accompagnati nelle varie sedi giudiziarie della Corte d'appello. Per assicurare il servizio scorte ci vuole un numero adeguato di agenti. Così, vengono lasciati sforniti di personale alcuni uffici, in particolare l'ufficio colloqui avvocati. Tra i destinati a infoltire le file per assicurare il servizio scorte c’è anche l'agente Chirivì, addetto a stare all'interno della sala e chiamare i detenuti dopo aver controllato la regolarità delle nomine. Quando è utilizzato all'esterno, l'agente chiude a chiave la sala e buonanotte ai colloqui. I penalisti si rivolgono alla direttrice Carmela Longo che può solo manifestare il suo rammarico. Lei ha fatto presente il problema nelle sedi opportune ma non ha ricevuto risposte adeguate. Di un'altra questione legata ai colloqui si era di recente occupata anche la camera penale: ci sono solo 4 salette e sono poche per il numero dei detenuti nel carcere di Reggio. Capita di frequente che qualche avvocato veda trascorrere l'orario dei colloqui, dalle 9 alle 14.30, senza possibilità di incontrare il proprio assistito. Mercoledì i penalisti hanno trovato la sala chiusa: “Mi è stato detto – racconta l'avvocato Giacomo Iaria – che non era possibile procedere al colloquio perché la saletta non poteva essere aperta mancando l'agente Chirivì impegnato a fare servizio di scorta in Tribunale”. Iaria ci ha riprovato venerdì insieme con i colleghi Antonino Priolo e Gregorio Cacciola giunto da Palmi:  !Alle 11 – spiega – sono stato invitato a uscire perché Chirivì doveva andare a fare servizio scorta. Crediamo che siamo in presenza di una lesione del diritto di difesa. Il colloquio con il detenuto, oltre a rivestire importanza di natura psicologica, diviene necessario nel momento della formazione della strategia difensiva. Io avevo necessità di far firmare degli atti di conferimento di procura speciale per accedere a un rito alternativo. Avevo necessità di illustrare le ragioni di questa scelta processuale al mio assistito. Ciò mi è stato impedito» –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di aumentare il numero degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso la casa circondariale di Reggio Calabria;
   se non ritenga opportuno provvedere all'immediato ampliamento della sala colloqui del carcere di Reggio Calabria in modo da garantire la corretta e puntuale fruizione dei colloqui tra difensori e detenuti. (5-08282)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è grave la situazione in cui versa l'ufficio del giudice di pace di Roma dove la carenza di personale non consente lo svolgimento dell'ordinaria attività giudiziaria;
   infatti l'organico del predetto ufficio (123 giudici in servizio), risulta insufficiente e non riesce a smaltire l'enorme carico di lavoro che grava sullo stesso;
   la difficile situazione, che potrebbe tradursi in una paralisi per l'ufficio, danneggia inevitabilmente gli interessi dei cittadini e pregiudica il corretto svolgimento dell'attività giudiziaria;
   è necessario evidenziare che i giudici operanti presso l'ufficio sono 123 a fronte di una pianta organica di 209 unità stabilita dal Ministero della giustizia e necessaria per garantire il normale funzionamento degli uffici giudiziari;
   è necessario un intervento urgente per assicurare che l'ufficio del giudice di pace di Roma possa continuare a svolgere la sua attività nel migliore dei modi –:
   quali iniziative intenda adottare per aumentare l'organico dei giudici di pace di Roma permettendo così lo svolgimento regolare ed efficace dell'attività giudiziaria nella capitale. (5-08283)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 14 dicembre sul quotidiano Il Manifesto è apparso un articolo di Diana Santini intitolato: «Colpevole di non avere il permesso di soggiorno, Saidiou muore da detenuto»;
   l'articolo racconta l'incredibile morte di Saidiou Gadiaga Elhdj avvenuta all'interno di una camera di sicurezza di una caserma dei carabinieri ubicata a Brescia;
   considerata l'importanza del contenuto e delle informazioni in esso riportate, la prima firmataria del presente atto decide di trascrivere integralmente il citato articolo: «La magistratura ha aperto un'inchiesta sulla morte, domenica mattina, di un immigrato senegalese nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri Masotti, a Brescia: stroncato da una crisi respiratoria, hanno detto i medici. Saidiou Gadiaga, Elhdj per gli amici, trentaquattro anni, soffriva di una grave forma d'asma ed è stata proprio questa la prima cosa che ha detto ai carabinieri quando venerdì pomeriggio l'hanno portato in caserma, dopo che durante un controllo dei documenti era risultato privo del permesso di soggiorno. Il giorno dopo in città si sarebbe svolto un corteo antirazzista contro la sanatoria-truffa e, come spesso accade ultimamente nella Brescia ostaggio delle politiche discriminatorie a marchio Lega, la vigilia si è trasformata in un'ottima occasione per un giro di controlli a tappeto tra gli immigrati. Dopo l'arresto Saidiou viene portato in camera di sicurezza, in attesa del processo per direttissima e della conseguente espulsione forzata. In tasca ha, come sempre, un flaconcino di spray antiasmatico e un certificato medico che ne attesta la malattia. Più di una volta, racconta uno dei tre ragazzi immigrati, fermati nelle stesse ore e poi trattenuti insieme a lui, forse a causa dell'aria viziata della cella, il fiato di Saidiou si fa corto, affannoso. Ma viene tenuto lì dentro lo stesso, per due notti, nonostante avesse spiegato che il suo stato di salute non era compatibile con la detenzione. Domenica mattina, verso le sette, le sue condizioni peggiorano drasticamente. Finalmente qualcuno si decide a chiedere l'intervento dei medici, ma è troppo tardi. Ancora una breve, disperata corsa verso l'ospedale, dove però non c’è altro da fare che constatare il decesso, poco prima delle nove. Ora si attendono i risultati dell'autopsia. La comunità senegalese di Brescia, riunita ieri per discutere di quanto accaduto, chiede sia fatta chiarezza. La sorella di Saidiou, da Padova, dove vive, è partita per Brescia, dove oggi nominerà un avvocato di fiducia. Che, con tutta probabilità, chiederà un nuovo esame autoptico. Per ora all'attenzione dei legali ci sono la testimonianza del ragazzo senegalese che ha diviso la cella con lui e la pacata ammissione dei carabinieri del fatto che erano perfettamente consapevoli delle precarie condizioni di salute di Saidiou Gadiaga. Tra gli amici e i conoscenti, invece, c’è soprattutto la consapevolezza, se davvero c'era bisogno di un'altra inutile prova, che di Bossi-Fini si muore: in fondo, l'unica colpa di Saidiou, l'unica ragione per cui si trovava in quella cella, è che non aveva il maledetto pezzetto di carta. Anche per lui i migranti “bresciani”, dopo la mobilitazione dell'11, saranno oggi a Roma per manifestare con tutti gli altri che hanno risposto all'appello nazionale dei migranti e delle associazioni antirazziste, nel giorno in cui il governo Berlusconi chiede la fiducia. Porteranno in dote il patrimonio delle lotte che li hanno visti protagonisti, sopra e sotto la gru, a Brescia» –:
   di quali informazioni dispongano circa i fatti riferiti in premessa;  
   se non intendano avviare, negli ambiti di rispettiva competenza, una verifica amministrativa interna al fine di accertare l'esistenza di eventuali profili di responsabilità e/o illiceità disciplinare nella condotta dei carabinieri che hanno tenuto in custodia Saidiou Gadiaga Elhdj. (5-08284)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 14 maggio 2008 si sta celebrando a Napoli il processo per il dissesto della gestione dei rifiuti in Campania. Tra i reati contestati, tutti risalenti al periodo compreso tra il 2001 e il 2004, vi sono la truffa aggravata ai danni dello Stato, l'interruzione di servizio di pubblica utilità, l'abuso d'ufficio, la violazione della normativa ambientale e il falso ideologico. Gli imputati sono l'ex Presidente della regione Campania, onorevole Antonio Bassolino, all'epoca nominato commissario per l'emergenza dei rifiuti; il dott. Raffaele Vanoli, vicecommissario, e il dottor Giulio Pacchi, subcommissario. Imputati sono anche Piergiorgio e Paolo Romiti, rispettivamente ex amministratore delegato dell'Impregilo ed ex dirigente dell'Impregilo e della Fisia Italimpianti. Sul banco degli imputati siedono inoltre le società Impregilo, Fibe, Fisia Italia Impianti, Fibe Campania e Gestione Napoli, tutte rinviate a giudizio per illecito amministrativo;
   il processo, oltre alle già citate persone fisiche e giuridiche rinviate a giudizio, vede coinvolte più di cento parti civili (Ministeri, Comuni della Campania, Enti, cittadini), sicché, considerato l'elevato numero di avvocati presenti in aula, è stato deciso dal Tribunale partenopeo che le udienze debbano svolgersi all'interno dell'aula bunker del carcere di Poggioreale;
   malgrado il processo nei confronti dell'ex Presidente della regione Campania rivesta un rilevante interesse pubblico, una disposizione adottata dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Napoli, ha vietato a tecnici e giornalisti, sulla base dell'esistenza di presunti «motivi di sicurezza», di introdurre in aula qualsiasi tipo di strumento tecnologico di comunicazione indispensabile per la ripresa audio-visiva delle udienze con ciò impedendo alla stampa di adempiere pienamente a quel diritto/dovere di cronaca e d'informazione riconosciuto, garantito e tutelato a livello costituzionale;
   la decisione della Procura Generale di Napoli è stata presa sebbene le parti coinvolte nel processo non avessero manifestato alcun tipo di opposizione alle riprese audio-visive delle singole udienze;
   ipotetiche quanto generiche ragioni di sicurezza non hanno mai impedito, in passato, la ripresa audio-video dei processi che si sono svolti all'interno dell'aula bunker di Poggioreale (compresi i maxi-processi di camorra);
   da più di trent'anni Radio Radicale registra e trasmette integralmente migliaia di udienze dalle aule di giustizia di tutta Italia; proprio all'interno di quella stessa aula bunker in cui oggi viene celebrato il processo nei confronti di Bassolino, l'emittente radiofonica radicale ha potuto registrare e mandare in onda (trasmettendoli in differita) moltissimi processi, senza che alla stessa sia mai stato opposto alcun tipo di divieto in tal senso;
   considerato inoltre che in un ordinamento democratico fondato sulla sovranità popolare – nel quale, dunque, la giustizia è amministrata in nome del popolo – lo strumento di trasparenza istituzionale integrato dalla pubblicità immediata dei processi ha lasciato sempre più spazio alla nascita di nuovi e moderni canali attraverso i quali il cittadino può accedere all'udienza dibattimentale, superandone la dimensione spaziale e temporale. Da questo punto di vista vi è un innegabile accostamento tra le forme di pubblicità audio-visive dei dibattimenti ed il principio sancito dall'articolo 101, 1° comma, della Costituzione;
   l'articolo 147 delle disposizioni attuative del codice di rito stabilisce che ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca, il giudice con ordinanza, se le parti consentono, può autorizzare le riprese audiovisive del dibattimento, purché non ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell'udienza o alla decisione. Al secondo comma il legislatore ha previsto che l'autorizzazione è data anche senza il consenso delle parti, laddove sussista «un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento», a condizione, sempre, che le riprese audio-visive non rechino pregiudizio alla genuinità del dibattimento o alla decisione;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto, la disposizione con la quale la Procura Generale di Napoli ha vietato l'introduzione di qualsiasi tipo di dispositivo di comunicazione all'interno dell'aula bunker di Poggioreale, escludendo con ciò la possibilità di dar vita a forme di pubblicità mediata (via radio) del processo Bassolino + altri, è stata presa ricorrendo a logiche astratte in totale spregio della garanzia apprestata dall'articolo 21 della Costituzione, atteso che, nel caso di specie, l'impiego dei mezzi audio non avrebbe potuto in alcun modo pregiudicare la regolare e serena decisione dell'organo giudicante; né il regolare e sereno svolgimento delle pubbliche udienze (ed invero le esigenze degli operatori della radio ben avrebbero potuto essere soddisfatte con l'installazione di una struttura che, venendo quasi a far parte dell'arredamento dell'aula, non sarebbero state di certo percepite come fattore di disturbo delle operazioni dibattimentali), né, tanto meno, la genuinità della prova;
   l'esclusione dei mezzi audio-visivi dall'aula d'udienza, in nome di valori extraprocessuali quali, ad esempio, «ragioni di sicurezza», può avvenire solo in forza di un giudizio di assoluta incompatibilità tra questi valori e qualsiasi forma di diffusione audio delle risultanze dibattimentali;
   tempo fa, sulla vicenda, l'Ordine dei giornalisti della Campania ha diramato il seguente comunicato: «All'avvio del processo, i colleghi sono stati costretti dagli agenti di polizia a consegnare i telefoni cellulari all'ingresso dell'aula bunker in applicazione di una disposizione della Procura generale presso la Corte di Appello di Napoli che ha anche vietato l'uso delle telecamere. Una decisione, quella del Procuratore Generale, che determina enormi difficoltà al lavoro dei cronisti e che troviamo inspiegabile, anche perché si tratta di un processo per reati di pubblica amministrazione per il quale non sono attesi in aula testimoni di giustizia minacciati dalla camorra che sarebbe pericoloso riprendere. Questo tipo di divieti, peraltro, sono stati adottati solo per il processo rifiuti e non per altri procedimenti in corso sia al Palazzo di Giustizia al Centro direzionale sia nell'aula bunker di Poggioreale» –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, con riferimento ad essi, il Ministro interrogato intenda attivare i propri poteri ispettivi presso la Procura Generale presso la Corte di Appello di Napoli e, nel caso ne sussistano i presupposti, promuovere le iniziative di competenza. (5-08285)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con precedente interrogazione n. 4-08504, presentata nella seduta del giorno 8 settembre 2010, si è chiesto di sapere quali iniziative il Ministro della giustizia intenda adottare al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 54 del 2006 in modo tale che il principio della cosiddetta «bigenitorialità» possa trovare finalmente completa attuazione anche in Italia;
   nonostante i solleciti del 12 ottobre 2010 e del 1o dicembre 2010, al predetto atto di sindacato ispettivo non è stata data ancora alcuna risposta;
   nel frattempo l'Osservatorio Nazionale ADIANTUM sul condiviso, che ad oggi annovera un campione di 1.020 sentenze provenienti da quasi tutti i tribunali italiani, ha reso noto che i dati provenienti dall'ISTAT relativamente all'attuazione della legge n. 54 del 2006 sull'affido condiviso risultano essere fortemente viziati atteso che nelle cause di separazione dei coniugi i figli, sebbene affidati ad entrambi i genitori, vengono «collocati», nella stragrande maggioranza dei casi, presso la madre («domicilio prevalente») a causa di una prassi contra legem di diretta creazione giurisprudenziale;
   ed invero dal campione analizzato dall'Osservatorio Nazionale ADIANTUM sul condiviso si evince che, a fronte di un 95 per cento di concessione nominale del condiviso, così come comunicata dagli organi di informazione, nel 93 per cento dei casi il «domicilio prevalente» viene stabilito presso la madre e solo nel 2 per cento presso il padre. Pertanto, il dato che si ricava ci dice che nel 90 per cento dei casi la legge in vigore non viene applicata, atteso che i tribunali concedono il condiviso solo formalmente, ma i contenuti delle sentenze (tempi di permanenza con i figli e imposizione dell'assegno anche a parità di reddito) sono ancora quelli tipici di quando imperava l'affidamento esclusivo;
   sempre dai dati in possesso dell'Osservatorio Nazionale ADIANTUM sul condiviso si ricava che il cosiddetto «mantenimento diretto» (previsto dalla legge n. 54 del 2006), viene negato nel 98 per cento dei casi, al punto che la prassi dell'assegno – anche tra due ex coniugi che hanno il medesimo stipendio – è ancora l'unica ad essere applicata dai tribunali;
   il citato Osservatorio, nell'applicazione di una corretta metodologia, ha operato anche un distinguo tra i tribunali ordinari (che disciplinano le separazioni tra le coppie formalmente sposate) e quelli minorili (a cui va la competenza per le coppie di fatto). Ebbene, nei secondi l'applicazione dell'affidamento esclusivo alla madre è ancora molto diffusa, rispetto a quanto avviene nei primi. Si tratta solo di differenze esclusivamente terminologiche, perché il contenuto e i tempi di permanenza previsti sono del tutto uguali tra loro, cambiando solo la denominazione formale del regime. In particolare, nei tribunali dei minori la legge n. 54 del 2006 viene aggirata, oltre che con il sistema del «domicilio prevalente», anche con la formula dell’«affidamento ai servizi sociali competenti per territorio e collocazione abitativa presso la madre». Il che rappresenta un vero e proprio stratagemma per affidare i bambini al «genitore sessualmente corretto» anche in presenza di chiari motivi di pregiudizio per i bambini. Tale aggiramento, per il quale i tribunali minorili si servono della stretta collaborazione degli assistenti sociali, dura mediamente dai 3 ai 5 anni, e nasconde perfettamente un vero e proprio affidamento esclusivo dietro esigenze di tutela assolutamente infondate tipo conflittualità, tenera età e così via;
   venendo ai tempi di permanenza del minore con i genitori, i tribunali ancora oggi non si discostano dall'organizzazione tipica del modello vigente prima dell'entrata in vigore della legge n. 54 del 2006 ossia un pomeriggio a settimana e un week-end alternato di permanenza del bambino con il padre;
   sintetizzando i dati di ricerca dell'Osservatorio Nazionale ADIANTUM sul condiviso, si rinviene quanto segue: Totale campione: 1.020 sentenze/provvedimenti; Fonte: tribunali ordinari e minorili Copertura geografica (regionale) Italia: 100 per cento; Copertura distretti corte di appello: 89 per cento Provvedimenti recanti domicilio prevalente presso la madre: 969 (distribuzione tempi con figli 83 per cento madre – 17 per cento padre); Provvedimenti recanti domicilio prevalente presso il padre: 20 (distribuzione tempi con figli: 31 per cento madre – 69 per cento padre); Provvedimenti recanti tempi di permanenza pressoché paritetici: 31; Media mensile dei pernottamenti per il genitore «non domiciliatario» (bambini > 3 anni di età): 6,5; Media mensile dei pernottamenti per il genitore «non domiciliatario» (bambini < 3 anni di età): 2,5; Media mensile dei pernottamenti per il genitore «domiciliatario» dei figli: 26,5; Media giorni consecutivi nelle vacanze estive per il genitore «non domiciliatario» (bambini > 3 anni di età): 18; Media giorni consecutivi nelle vacanze estive per il genitore «non domiciliatario» (bambini < 3 anni di età): 4; Media giorni consecutivi nelle vacanze natalizie per il genitore «non domiciliatario» (bambini > 3 anni di età): 4,5; Media giorni consecutivi nelle vacanze natalizie per il genitore «non domiciliatario» (bambini <  3 anni di età): 1,5;
   sulla scorta di queste risultanze, l'associazione ADIANTUM ha preannunciato di voler inviare all'ISTAT una richiesta formale di rettifica della metodologia di analisi, sollecitando una nuova ricerca sull'attuazione della legge n. 54 del 2006 che tenga conto del fenomeno – affatto marginale – della cosiddetta «domiciliazione prevalente» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati resi pubblici dall'Osservatorio Nazionale ADIANTUM sull'affido condiviso e, in particolare, quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 54 del 2006 in modo tale che i minori, anche dopo la separazione dei coniugi, possano continuare a mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i loro genitori. (5-08286)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 16 marzo 2011, il quotidiano La Città di Salerno ha riportato una notizia che faceva riferimento ad una lettera inviata al giornale dai detenuti tossicodipendenti del carcere Fuorni di Salerno;
   nell'articolo intitolato «Lettere: i detenuti tossicodipendenti di Salerno; qui non è garantito il diritto alla salute» si leggeva: «Il diritto alla salute è un diritto non garantito ai carcerati». È un disperato appello quello che arriva dai carcerati della seconda sezione tossicodipendenti del carcere di Salerno. «Siamo costretti in otto in una cella di pochi metri quadrati per oltre 22 ore al giorno – scrivono tre detenuti in una lettera al nostro giornale. Siamo costretti a subire intimidazioni e minacce, mentre noi vorremmo solo riuscire, con l'aiuto delle istituzioni competenti, ad uscire dal tunnel della droga ed avere una vita migliore, ma tutto questo non è possibile», I detenuti sottolineano come il carcere sia «una non risposta» delle istituzioni ai problemi sociali. Un luogo, tra l'altro, «con condizioni disumane, senza la possibilità di essere visitati e curati dai medici. Veniamo rinchiusi in una cella come si fa in un canile e spesso abbandonati a noi stessi, calpestando la nostra dignità». Ma, anche in una struttura carceraria, la salute dovrebbe essere un diritto garantito ad ogni individuo. In particolare per persone tossicodipendenti che necessitano di maggiore attenzione.»;
   già nella visita ispettiva effettuata il 19 aprile del 2010, la prima firmataria del presente atto aveva rappresentato al Ministro della giustizia le difficilissime condizioni di vita all'interno del carcere salernitano e, in particolare, dello stato in cui si trovavano (e, a quanto pare, si trovano ancora) i detenuti tossicodipendenti;
   nell'interrogazione del 4 maggio del 2010 n. 4-07052 (che a distanza di quasi un anno non ha ancora ricevuto risposta), l'interrogante rimarcava in particolar modo la condizione di forte sofferenza fisica e psicologica in cui si trovavano i detenuti tossicodipendenti che allora erano 91 su 501 ristretti; nell'interrogazione, si chiedeva «se e quali urgenti iniziative di carattere normativo e/o amministrativo il governo intendesse adottare al fine di creare i cosiddetti istituti di custodia attenuata per i detenuti tossicodipendenti, così come previsto dalla mozione n. 1-00288 approvata dalla Camera dei deputati il 12 gennaio del 2010» e «se non ritenesse necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una “detenzione giusta”, rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui, se del caso, istituendo in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per prevenire il rischio delle morti violente e le altre emergenze legate ai disagi psicologici dei detenuti, in specie di quelli tossicodipendenti»;
   purtroppo, non solo le domande rivolte al Governo non hanno avuto risposta, ma per quel che riguarda i tossicodipendenti le condizioni sembrano addirittura peggiorate se corrisponde al vero che questa tipologia di detenuti trascorre in cella ben 22 ore al giorno, che questa permanenza è in spazi angusti di pochi metri quadrati e che l'assistenza sanitaria è del tutto carente –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   cosa intenda fare per assicurare il rispetto dei diritti umani dei detenuti tossicodipendenti nel carcere di Fuorni e, più in generale negli istituti penitenziari italiani tenuto conto degli impegni presi con la mozione n. 1-00288 approvata dalla Camera dei deputati il 12 gennaio del 2010. (5-08288)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'11 marzo 2011, l'interrogante ha visitato il carcere di Perugia-Capanne accompagnata da Liliana Chiaramello e Francesco Mangone ambedue dell'Associazione radicaliperugia.org; nella prima parte della visita erano presenti anche i deputati del PD Marina Sereni e Walter Verini che ben conoscono l'Istituto penitenziario umbro;
   dalla visita, guidata dalla direttrice Bernardina Di Mario, è venuto fuori il seguente quadro: aperto nel 2004, il carcere di Perugia-Capanne, è in buone condizioni dal punto di vista strutturale anche se maggiori disponibilità per la manutenzione ordinaria scongiurerebbero per il futuro il degrado che necessariamente si manifesta quando poco si investe nella conservazione e cura degli edifici e sei suoi impianti;
   a Capanne sono presenti 521 detenuti (441 uomini e 80 donne) a fronte di una capienza regolamentare di 352 posti letto; il 75 per cento dei detenuti sono stranieri; 138 sono i tossicodipendenti di cui 52 in terapia metadonica;
   nel carcere di Perugia entrano ogni anno circa 2.000 detenuti molti dei quali vi rimangono per pochissimi giorni caricando l'Istituto di una notevole mole di lavoro soprattutto per il servizio dei nuovi giunti;
   le celle, concepite per ospitare un solo detenuto, sono attualmente occupate da due e qualche volta tre detenuti i quali vi trascorrono la maggior parte della giornata visto che solo in 39 (11 donne e 28 maschi) hanno la possibilità di svolgere attività lavorative; in diverse celle il terzo posto-letto è un materasso che la notte viene buttato a terra; gli agenti sono sicuramente insufficienti: solo 237 (l'istituto non è ancora dotato della pianta organica della polizia penitenziaria): gli educatori sono solo 4 a fronte di una pianta organica che ne prevede 8; nonostante l'alta presenza di stranieri il carcere non ha un mediatore culturale e solo la ASL di riferimento ne fornisce uno assolutamente insufficiente alle esigenze;
   il taglio del monte ore degli psicologi si ripercuote moltissimo sulle attività di osservazione e trattamento;
   nel corso dell'ultimo semestre del 2010 si sono registrati 138 atti di autolesionismo e nel corso di questi primi mesi del 2011 c’è stato un suicidio;
   per molti detenuti, soprattutto stranieri, avere rapporti con i familiari è pressoché impossibile; alcuni non vedono i figli da anni; un nigeriano non ha mai visto il figlio nato il 21 febbraio 2011 perché essendo la moglie senza permesso di soggiorno questa ha paura di portare il neonato in visita al padre;
   i drastici tagli fatti dal Ministero su molti capitoli di spesa rendono veramente difficile se non addirittura impossibile alla Direzione assicurare quella pur minima assistenza finalizzata al trattamento e alla rieducazione dei detenuti: il capitolo delle mercedi, per esempio, ammonta a soli 300.000 euro all'anno a fronte dei 570.000 che l'amministrazione aveva richiesto per consentire a un numero maggiore di detenuti di poter lavorare; persino la voce «fornitura per pulizie» è stata così decurtata da essere prevista solo per i detenuti più indigenti;
   la regione Umbria pur avendo istituito da 4 anni il garante dei detenuti, non procede ancora alla nomina –:
   se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   in che modo pensi di risolvere il problema dei detenuti che permangono per pochissimi giorni nel carcere di Perugia-Capanne;
   quali iniziative intenda mettere in atto per riportare la popolazione detenuta nel carcere di Capanne nel limite dei posti regolamentari disponibili;
   in che tempi verranno adeguati gli organici di agenti, educatori e psicologi;
   in che tempi intenda intervenire per assicurare le attività trattamentali, in primo luogo il lavoro, che consentano ai detenuti e alle detenute di intraprendere un percorso riabilitativo;
   se intenda ricostituire i fondi drasticamente tagliati di mercedi, manutenzione ordinaria, assistenza psicologica;
   se sia in grado di fornire un quadro di quanti garanti per i diritti privati della libertà personale siano stati istituiti a livello regionale, provinciale e comunale, e, per quel che riguarda le regioni, quali, pur avendo istituito la figura del garante non abbiano proceduto alla nomina. (5-08289)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il signor A. D. venticinquenne, è recluso da circa 6 anni ed è attualmente detenuto presso la casa di reclusione di Spoleto;
   nei cinque anni di reclusione presso il carcere di Modena, il signor A. D., dopo essersi iscritto al corso di laurea «consulenza del lavoro e delle relazioni aziendali», ha studiato con profitto superando con buoni voti 15 esami, fino al momento in cui è stato trasferito a Spoleto a causa della chiusura della sezione di alta sicurezza dell'istituto modenese;
   negli otto mesi di permanenza a Spoleto, A. D. ha potuto sostenere un solo esame, in videoconferenza;
   successivamente A. D. ha trasferito la sua iscrizione all'università di Bologna perché provvista del suo stesso corso di laurea e di una «convenzione» tra università e carcere che consente sia facilitazioni organizzative, come la fornitura di tutto il materiale necessario per la stesura della tesi di laurea, sia economiche: infatti, se all'università di Modena A. D. pagava per l'iscrizione più di mille euro, a Bologna la cifra da sborsare è di poco superiore ai cento euro;
   a causa di una circolare del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria datata 2004, secondo la quale il detenuto deve iscriversi presso l'università più vicina al carcere ove è ristretto, A. D. è obbligato ad iscriversi presso l'università di Perugia ove però non esiste il corso di laurea in «consulenza del lavoro e delle relazioni aziendali»;
   a causa della suddetta circolare il signor A. D. si vede pertanto a sacrificare il lavoro di tanti anni di studio portati avanti con profitto;
   il comma 4 dell'articolo 19 della legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario) stabilisce che «è agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione» –:
   cosa intenda fare affinché sia garantito il diritto allo studio del detenuto di cui in premessa è stata rappresentata la vicenda;
   se non intenda assumere iniziative affinché il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria riveda la circolare del 2004 che, in alcuni casi concreti di applicazione, contrasta con quanto previsto dall'ordinamento penitenziario. (5-08290)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   giovedì 31 marzo 2011, Carlo Saturno, 22 anni, di Manduria (Ta), detenuto nella casa circondariale di Bari, si è impiccato nella sua cella. A trovarlo penzoloni sono state le guardie che lo hanno tirato giù quando respirava appena ed era in fin di vita. In suo aiuto è intervenuto il personale dell'infermeria e del 118 di Bari. Trasportato in ospedale è ora ricoverato in condizioni disperate nella rianimazione del policlinico, dove è mantenuto invita dalle macchine. L'elettroencefalogramma risulta piatto, per cui da un momento all'altro i sanitari potrebbero decidere di staccare la spina del respiratore. Come fanno sapere i suoi familiari, Carlo soffriva da tempo di crisi depressive ed era in cura con tranquillanti. Il suo avvocato, Tania Rizzo, del foro di Lecce, lo aveva visto l'ultima volta una ventina di giorni fa nel corso di un'udienza che lo riguardava nel tribunale di Mandria, e afferma di averlo trovato visibilmente agitato, nervoso e scostante;
   i familiari si sono già rivolti ad un proprio legale di fiducia per capire le cause del gesto e soprattutto per scoprire eventuali responsabilità. Il giovane — come si legge nella nota diffusa dall'osservatorio permanente sulle morti in carcere — era detenuto per furto, ma era anche parte civile nel processo in corso davanti al tribunale di Lecce contro nove poliziotti del carcere minorile, che sono accusati di aver compiuto violenze sui detenuti tra il 2003 e il 2005. Il nome di Carlo Saturno, che all'epoca aveva 16 anni, compare infatti nell'elenco delle presunte vittime dei nove agenti di polizia penitenziaria del carcere minorile di Lecce che il tribunale salentino sta processando perché accusati di maltrattamenti e vessazioni di ogni tipo nei confronti di alcuni ospiti dell'istituto di pena per minori. Saturno è uno dei tre ex detenuti di quel minorile che si è presentato come parte lesa nel processo iniziato il 19 febbraio 2011 davanti giudice del tribunale di Lecce Pietro Baffa, che vede alla sbarra, per i presunti abusi nei confronti anche di Saturno, il capo degli agenti Gianfranco Verri, il suo vice Giovanni Leuzzi, sette agenti di polizia penitenziaria, per rispondere tutte della presunta atmosfera di paura instaurata tra i giovani detenuti con minacce, privazioni e violenze non di natura sessuale;
   dal 29 marzo 2011 si sono verificati in Puglia tre tentativi di suicidio, uno a Lecce e gli altri due a Bari;
   dall'inizio dell'anno in Puglia sono stati otto gli episodi — tra suicidi e tentativi di suicidi — riguardanti detenuti rinchiusi negli affollatissimi istituti di pena della regione;
   dal 1o gennaio 2010 nella stessa regione sono morti 10 detenuti, 6 dei quali per suicidio;
   il penitenziario di Bari in cui il detenuto era rinchiuso ha una capienza di 296 posti letto, a fronte di 606 detenuti presenti;
   in tutta la regione sono 4.621 i detenuti rinchiusi tra i 13 penitenziari, a fronte di 2.528 posti regolamentari. Un esubero di 88 detenuti ogni 100 posti, affollamento del 182 per cento. Solo 125 reclusi svolgono lavoro intramurario. Al 28 febbraio 2011 i detenuti agli arresti domiciliari in base alla legge 199/10, cosiddetta «Svuota-carceri» risultano essere 128 di cui 8 stranieri;
   la legge regionale 19 del 10 luglio del 2006 all'articolo 31 istituiva l'ufficio del garante dei diritti dei detenuti e impegnava la sua giunta ad approvare il regolamento per la composizione e il funzionamento dello stesso entro 180 giorni. Tale regolamento emanato il 29 settembre 2009 (n. 21) stabiliva entro 90 giorni la nomina di tale organo. A oggi la regione Puglia non ha ancora garante dei diritti dei detenuti;
   il 25 giugno 2010 il Governo rendeva noto il parere dal titolo «Il suicidio in carcere Orientamenti bioetici» approvato dal comitato nazionale per la bioetica che, considerata la particolare vulnerabilità bio-psico-sociale della popolazione carceraria rispetto a quella generale sottolineava il preciso dovere morale a garantire un ambiente carcerario che rispetti le persone e lasci aperta una prospettiva di speranza e un orizzonte di sviluppo della soggettività in un percorso di reintegrazione sociale, ma, prima ancora, a riconsiderare criticamente le politiche penali che siano di per sé causa di sovraffollamento. E in cui il comitato nazionale di bioetica raccomandava alle autorità competenti di predisporre un piano d'azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, secondo le linee indicate dagli organismi europei –:
   di quali informazioni disponga il Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare un'indagine amministrativa volta a verificare eventuali responsabilità dell'amministrazione penitenziaria;
   se non ritenga che l'alto tasso dei suicidi e dei tentati suicidi dipenda dall'elevato tasso di sovraffollamento e delle condizioni degli istituti di pena pugliesi;
   quali iniziative, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere; se intenda istituire in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per una prevenzione specifica rivolta alla tempestiva individuazione e intervento sulle situazioni a rischio suicidio in grado di travalicare la «soglia di resistenza» dei detenuti;
   quali provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare per garantire i livelli essenziali di assistenza sanitario-psicologica previsti dalla legge;
   se si ritenga necessario, assumere le opportune iniziative per la creazione di un «osservatorio» per il monitoraggio delle morti che avvengono in situazioni di privazione o limitazione della libertà personale anche al di fuori del sistema penitenziario, osservatorio in cui siano presenti anche le associazioni per i diritti dei detenuti e degli immigrati;
   cosa intenda fare per dare attuazione a quanto previsto e approvato nella mozione promossa dalla delegazione radicale nel gruppo del PD n. 1/00288, mozione che impegna il Governo ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione della pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda:
    1. la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale;
    2. l'introduzione di meccanismi in grado di garantire una reale ed efficace protezione, del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un'adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti;
    3. il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge «Gozzini», da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dalla estensione dell'istituto della messa alla prova, previsto dall'ordinamento minorile, anche nel procedimento penale ordinario;
    4. l'applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
    5. l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extra-comunitari, quale strumento per favorirne l'integrazione ed il reinserimento sociale e quindi ridurre il rischio di recidiva;
    6. la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento;
    7. la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza;
    8. l'adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti;
    9. il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione;
    10. l'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000 n. 193 (cosiddetta legge «Smuraglia»), anche incentivando la trasformazione degli istituti penitenziari, da meri contenitori di persone senza alcun impegno ed in condizioni di permanente inerzia, in soggetti economici capaci di stare sul mercato, e, come tali, anche capaci di ritrovare sul mercato stesso le risorse necessarie per operare, riducendo gli oneri a carico dello Stato e, quindi, della collettività;
    11. l'esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini;
    12. una forte spinta all'attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, prevista dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;
   se intenda inviare un commissario straordinario dirigente generale per l'organizzazione dei servizi e delle relazioni sindacali dal dipartimento amministrazione penitenziaria presso il provveditorato regionale Pugliese;
   se sia in grado di fornire un quadro di quanti garanti per i diritti privati della libertà personale siano stati istituiti a livello regionale, provinciale e comunale, e, per quel che riguarda le regioni, quali, pur avendo istituito la figura del garante non abbiano proceduto alla nomina;
   se, considerate le difficoltà nell'istituzione dell'organo da parte delle amministrazioni regionali, provinciali e comunali, non intenda riconsiderare la posizione negativa del Governo in merito all'istituzione del garante nazionale per le persone private della libertà. (5-08291)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   domenica 22 luglio 2012 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale «Regina Coeli» di Roma, accompagnata da Irene Testa, segretaria dell'associazione «Il Detenuto ignoto», e Gianmarco Ciccarelli, membro del Comitato nazionale di Radicali Italiani;
   la visita ha avuto una durata di circa tre ore, con inizio alle 10,00; la delegazione è stata ricevuta e accompagnata da un ispettore di polizia penitenziaria; non erano presenti il direttore dell'istituto e i vicedirettori, né il comandante di polizia penitenziaria;
   la situazione riscontrata è la seguente: il penitenziario è gravemente sovraffollato, i detenuti presenti sono 997; la capienza regolamentare dichiarata dal Ministero della giustizia è di 725 posti (dato pubblicato sul sito del Ministero della giustizia, statistica «Detenuti italiani e stranieri presenti e capienze per istituto – 30 giugno 2012»), tuttavia – secondo quanto riferito – questo dato non tiene conto del fatto che due sezioni dell'istituto, la quinta e la sesta, sono chiuse per lavori di ristrutturazione, per cui la reale capienza regolamentare dell'istituto allo stato attuale è di circa 485 posti; infatti, secondo quanto riferito, la quinta sezione, chiusa da circa 3 anni, aveva una capienza regolamentare di circa 100 posti, mentre la sesta sezione, chiusa dal mese di febbraio 2012, aveva una capienza regolamentare di circa 140 posti;
   secondo quanto riferito, sono circa 150 i detenuti che scontano una condanna definitiva: oltre l'80 per cento delle persone ristrette è in attesa di giudizio; più della metà della popolazione detenuta è composta da stranieri;
   la carenza di personale di polizia penitenziaria è particolarmente marcata; secondo quanto riferito, la pianta organica prevede 630 unità mentre gli agenti in servizio sono circa 490, di cui circa 90 distaccati presso il Nucleo traduzioni: gli agenti effettivamente in servizio, dunque, sono circa 400;
   il penitenziario si articola in 8 sezioni (comprese le due sezioni chiuse) più un reparto adibito a Centro diagnostico e terapeutico (CDT); la delegazione visita la seconda sezione, uno dei quattro bracci che si diramano dalla prima rotonda;
   la seconda sezione ospita detenuti comuni in regime di media sicurezza e si articola su 4 piani (terra, primo, secondo e terzo);
   quasi tutte le celle ospitano 3 detenuti sistemati in un letto a castello a tre piani; la dimensione delle celle è di circa 7 metri-quadri a cui va aggiunto un piccolo vano bagno con wc e lavandino; tutte le celle sono sprovviste di doccia, in violazione dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000; in tutte le celle sono applicate alle finestre, oltre alle sbarre, reti a maglia stretta: la circolazione di aria e l'ingresso di luce naturale risultano sensibilmente ridotti;
   i detenuti trascorrono all'interno della cella almeno 20 ore al giorno; secondo quanto riferito da alcuni detenuti, a causa del sovraffollamento le ore d'aria previste non vengono tutte effettivamente utilizzate per recarsi nel cortile esterno: «in teoria abbiamo 3 ore d'aria più un'ora di socialità, ma in pratica andiamo all'aria per un'ora e 15 minuti al giorno, siamo troppi e dobbiamo alternarci, per un'altra ora anziché andare all'aria passeggiamo nel corridoio del reparto»; altri detenuti confermano: «facciamo soltanto un'ora d'aria, un'ora nel corridoio del reparto e un'ora di socialità, dalle 17,00 alle 18,00: per 21 ore restiamo chiusi in queste cellette»; inoltre i detenuti riferiscono che la doccia, che è esterna alla cella, può essere utilizzata proprio durante le ore d'aria: «dobbiamo scegliere se farci la doccia oppure andare all'aria»;
   l'assistenza sanitaria, a detta di molti detenuti, è una delle criticità più gravi dell'istituto: «qui l'assistenza medica è un problema grosso: i dottori, se dici che stai male, pensano che stai simulando»;
   anche l'assistenza psicologica è gravemente carente e del tutto inadeguata per fare fronte alle esigenze della popolazione detenuta: secondo quanto riferito, lo psicologo è presente soltanto per 12 ore al mese (2 ore per 6 giorni al mese) e gli psicologi sono soltanto 4 o 5;
   con riferimento al sopravitto, i detenuti denunciano prezzi di vendita superiori rispetto ai normali prezzi di mercato; ad esempio, una confezione di riso scotti da 1 chilogrammo costa euro 4,11; una confezione di 100 piatti monouso costa euro 3,90; il tabacco da 25 grammi costa euro 4,50 mentre il tabacco da 40 grammi euro 7,20; mezzo chilo di pomodorini ha un costo di euro 3,38; mezzo chilo di abbacchio costa euro 13,00; il fornellino per cucinare ha un costo di euro 14,00; le cuffiette per la radio costano euro 11,88; le batterie costano euro 4,50; i detenuti evidenziano che per moltissimi prodotti, anche di prima necessità, non è possibile una seconda scelta economicamente più conveniente; inoltre, riferiscono che i piatti, i bicchieri e le forchette di plastica fino al 2009 potevano entrare dall'esterno, fra i prodotti che i familiari possono consegnare ai detenuti, mentre adesso devono necessariamente essere acquistati;
   molti detenuti sottolineano di aver aderito in massa all'iniziativa nonviolenta di sciopero della fame e silenzio, promossa da Marco Pannella dal 18 al 21 luglio 2012; secondo quanto riferito dall'ispettore di polizia penitenziaria, «mediamente, nei quattro giorni di iniziativa, ogni giorno hanno rifiutato il vitto circa 800 detenuti, con un picco di circa 900 detenuti che hanno fatto lo sciopero della fame nel secondo giorno»;
   al piano terra sono ristretti 32 detenuti;
   P.T., detenuto di 68 anni ristretto nella cella n. 5, riferisce di trovarsi in condizioni di salute fisica e mentale incompatibili con il regime carcerario e denuncia carenze nell'assistenza sanitaria: «il mio nome è Black, nella mia vita ho fatto 20 anni di manicomio, per 3 anni sono stato nel letto di forza, i medici dicono che sono lucido, pulito, orientato, ma io sono schizofrenico paranoico; qui subiamo torture, ma non dagli agenti, dai dottori; io sono malato di diabete, non ci vedo quasi più, guardate la caviglia quanto è gonfia, non esco all'aria perché sennò casco per terra, il problema qui sono i medici e gli infermieri, dicono che le mie condizioni di salute sono buone e posso stare qua, dicono che sono lucido ma io non sono scemo, io sono pazzo; vorrei andare in una struttura per essere curato, ho fatto domanda per andare all'Aidat, una comunità che è qui a Roma, ma non mi hanno mai risposto»;
   G.C., detenuto di 41 anni ristretto nella cella n. 5, racconta così i suoi problemi di salute: «nel carcere ai Larino mi hanno fatto una biopsia, sono malato di epatite C e ho un inizio di cirrosi, l'ematologo dell'ospedale Santo Spirito mi ha detto che se non trovano una terapia giusta dovrei fare un trapianto di fegato, invece al Pertini hanno escluso la necessità del trapianto e dicono che sono compatibile con il carcere, a chi devo credere ?; ora vicino al fegato mi sono usciti dei linfonodi, ma i dottori dicono che sono cumuli di grasso»; G.C. riferisce di avere il fine pena nel 2017, di essere assegnato al carcere di Sulmona e di trovarsi nella casa circondariale di Regina Coeli dal mese di aprile, e aggiunge: «temo di tornare a Sulmona, vorrei rimanere qua perché la mia famiglia è residente a Roma»;
   nella cella n. 9 è ristretto C.D., un detenuto di 30 anni in attesa di giudizio accusato di aver violato la legge in materia di sostanze stupefacenti; C.D. non dice nulla e non si muove dalla sua branda posta al secondo piano del letto a castello, ma i suoi compagni di cella manifestano estrema preoccupazione per le sue condizioni: «questo ragazzo come vedete è un vegetale, ha problemi mentali molto seri, la notte si graffia e al mattino è tutto pieno di sangue, a volte si fa la pipì addosso, anche l'altra notte se l’è fatta addosso; è qui da 4 mesi e da più di 3 mesi non va all'aria; ha anche una situazione familiare delicata, in questo carcere ci sono tanti problemi, però per favore occupatevi del suo caso, noi non sappiamo cosa possiamo fare per aiutarlo»;
   la cella n. 11 ospita un detenuto in un letto singolo; la cella non è dotata di lenzuola, di televisore né di altre suppellettili; alla finestra è saldato un pannello di vetro plexiglass che impedisce l'ingresso di aria; oltre al pannello, le sbarre e la rete a maglia stretta; la persona ristretta in questa cella afferma: «sono qua perché sono a rischio suicidio, sto qua dentro da un mese e mezzo, questa cella è un forno a causa di quel vetro, in genere sto all'aria 30 minuti al giorno, ma il sabato e la domenica sto chiuso tutto il giorno perché ci sono pochi agenti; prima di me un tedesco è stato in questa cella per 7 mesi»;
   M.U., detenuto di nazionalità nigeriana, lamenta i tempi lunghi del processo: «sono qui dentro da 15 mesi e il processo ora è stato rinviato al prossimo ottobre; io sono un immigrato regolare, sono incensurato, vivo in Italia da 9 anni, perché dicono che sono pericoloso e mi tengono qua ? ho due figli piccolissimi, di 3 anni e di 1 anno, quando mi hanno arrestato mia moglie era incinta di 8 mesi»;
   C.A.D.T., nato a Roma nel 1965, riferisce di essere in attesa di giudizio da 13 mesi e denuncia carenze nell'assistenza medica: «in passato ho subito un intervento di doppio bypass intestinale, ho la sideremia bassissima, ho necessità di ferro e per questo dovrei fare endovene una volta alla settimana, ma in tutto il carcere non c’è nessuno che sa fare le iniezioni endovena !»;
   la doccia comune del piano terra, in discreto stato ma con ristagno di acqua sul pavimento, consta di 3 piatti doccia; un detenuto riferisce che «le docce sono state ristrutturate 5 mesi fa, ma hanno sbagliato la pendenza, per questo si allaga»;
   la delegazione si reca al primo piano, che ospita circa 55 detenuti e si presenta in condizioni generali di manutenzione peggiori rispetto al piano terra;
   molti detenuti lamentano l'assenza di lavoro all'interno dell'istituto: «ho chiesto di poter lavorare ma qui non c’è niente, ho cinque figli, tutti minorenni: ho bisogno di lavorare», afferma un detenuto; un altro dice: «ho i figli piccoli e le rate del mutuo arretrate, ho chiesto di lavorare in cucina, ma in questo carcere il lavoro è un miraggio»; alcuni detenuti riferiscono di spendere una parte importante dei propri risparmi per aiutare economicamente i compagni di cella più poveri, evidenziando che l'assenza di lavoro è un problema che si ripercuote sull'intera popolazione detenuta: «se capiti in cella con due persone che non hanno niente e non lavorano che fai, non li aiuti ?»;
   un detenuto spagnolo con condanna definitiva (ristretto nella cella n. 26) riferisce di avere presentato la richiesta per poter scontare il residuo della pena in Spagna, senza aver ancora ricevuto alcuna risposta: «sono di Bilbao, mi resta da scontare 1 anno e 9 mesi, ho chiesto il trasferimento in Spagna due mesi fa, ma non mi hanno risposto, sto aspettando»;
   un detenuto ristretto nella cella n. 30 lamenta carenze nell'assistenza sanitaria e sottolinea come il grave deficit di organico di polizia penitenziaria incida sulle condizioni di vita delle persone detenute: «io sono diabetico e c'ho da fare l'insulina, ma alle 23 l'infermiere se ne va e c’è un solo agente per tutta la sezione, un solo agente per 4 piani, un solo agente deve controllare più di 200 persone: se c’è un'emergenza, se mi sento male come faccio ?»; e prosegue: «il dentista non mi manda fuori per curare i denti perché c’è carenza di agenti di polizia penitenziaria»;
   molti detenuti sottolineano che il rapporto con gli agenti di polizia penitenziaria è buono: «con gli agenti ci troviamo bene, sono pochi e anche per loro è difficile lavorare in queste condizioni, ed è evidente che i problemi del carcere non dipendono da loro, anzi ci aiutano come possono», afferma un detenuto; «gli agenti spesso fanno cose extra, cose che non dovrebbero fare: l'altro giorno un agente ha fatto lavori di idraulica perché la cella era allagata», racconta un altro; «in questa sezione gli agenti ti fanno fare la doccia ogni giorno, nella settima sezione invece tre volte alla settimana, in ogni caso dipende dal numero e dalla disponibilità degli agenti»;
   R.M., detenuto trentaduenne ristretto nella cella n. 17, riferisce di aver presentato domanda di trasferimento nel carcere di Rebibbia, per ricevere cure ed essere più vicino alla moglie: «il tribunale di Roma mi ha riconosciuto l'incompatibilità col carcere, sono dipendente da psicofarmaci dal 2003; vorrei andare al centro clinico di Rebibbia, a mia moglie lì verrebbe più semplice venirmi a trovare, è incinta di 3 mesi, sono 2 mesi che non faccio colloqui, da 2 mesi non vedo mia moglie e non vedo i bambini»;
   anche A.B. (cella n. 17), detenuto trentacinquenne con 3 figli, di cui 2 minorenni, vorrebbe essere trasferito nel carcere di Rebibbia: «a parte i miei figli non ho nessuno, sono orfano di padre e di madre, non ho fratelli, non ho parenti, sono divorziato da 9 anni; i miei figli abitano vicino Rebibbia, il più grande che ha 19 anni va a scuola là vicino»;
   R.L.L.L., detenuto di 67 anni ristretto nella cella n. 23, riferisce di trovarsi in condizioni di totale indigenza e di aver presentato molte domande per tornare in possesso della proprio carta di credito: «sono uruguaiano ma ho anche la cittadinanza italiana, sono in attesa di primo giudizio, sto qua da 7 mesi, da 7 mesi sono senza soldi, i carabinieri dopo l'arresto non mi hanno restituito la mia carta di credito, e così dopo essere andato ai domiciliari in una comunità sono dovuto tornare in carcere perché non ho la carta di credito: ho fatto un sacco di domande per riaverla, ma ancora niente»; R.L.L.L. lamenta inoltre di non ricevere adeguate cure mediche: «soffro di ipertensione e di diabete, ho le gambe gonfie e sto peggiorando ogni giorno che passa, fuori facevo una terapia diversa, qui non mi danno cibo per diabetici e mi danno troppa insulina, ho troppi sbalzi di glicemia»;
   «la situazione è critica», sottolineano molti detenuti: «come si fa a tenere 3 persone in 6 metri quadrati ?»; «i prezzi del sopravitto sono troppo alti, è un furto autorizzato e continuato», lamentano in tanti; i detenuti inoltre lamentano l'assenza di palestra e l'inadeguatezza del passeggio-cortile esterno;
   le doccia comune del primo piano (4 docce di cui una non funzionante) si presenta in condizioni fatiscenti, con il tetto scrostato a causa dell'umidità;
   la sala per socialità è un ambiente fatiscente arredato con 2 tavoli; alle finestre sono applicate, oltre alle normali sbarre, reti a maglia stretta; il piccolo bagno si presenta in condizioni igieniche e di manutenzione pessime;
   la delegazione si reca al secondo piano; la cella n. 46 è particolarmente buia, a causa della finestra a bocca di lupo (anche la finestrella del bagno ha la bocca di lupo);
   la doccia comune (4 piatti doccia) è in cattivo stato, con muri e tetto scrostati a causa dell'umidità;
   la delegazione si reca nel cortile-passeggio; quest'area esterna, di dimensioni modeste benché sia destinata a ospitare i detenuti dell'intera sezione, è priva di qualunque copertura ed dotata di un wc e di un lavandino che si presentano in condizioni di totale degrado;
   in tutta la seconda sezione del carcere di Regina Coeli la notte vengono chiusi i blindi che vengono riaperti la mattina successiva anche con il caldo soffocante che si vive a Roma in piena estate;
   in risposta all'interrogazione n. 5-06220 della prima firmataria del presente atto, il 1o marzo di quest'anno il Governo replicava che per le «ristrutturazioni» del carcere di Regina Coeli, negli ultimi 10 anni, erano stati spesi ben 18 milioni e 400.000 euro mentre per la manutenzione ordinaria e straordinaria, negli ultimi 5 anni, la spesa sostenuta ammontava a 4 milioni 831.000 euro –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere Regina Coeli di Roma;
   se e quando si intenda intervenire per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria;
   se intenda per quanto di competenza, assumere iniziative affinché si incrementino le ore di lavoro mensili degli psicologi ex articolo 80 e definire finalmente la loro posizione lavorativa considerato che molti di loro prestano la loro opera professionale per l'amministrazione penitenziaria da qualche decennio;
   se si intendano incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
   se intenda chiarire se nella «capienza regolamentare» dell'istituto penitenziario di Regina Coeli riportata sul sito del Ministero della giustizia (725 posti al 30 giugno 2012) siano conteggiate anche le sezioni chiuse e, quindi, inutilizzate;
   se intenda finalmente chiarire se nella «capienza regolamentare» dei 207 istituti penitenziari riportata sul sito del Ministero della giustizia (45.584 posti al 30 giugno 2012) siano conteggiate anche le sezioni chiuse e, quindi, inutilizzate;
   se, per una maggiore aderenza dei dati forniti alla realtà, non intenda distinguere la capienza regolamentare di ciascun istituto per sezioni e per tipologia di detenuti ospitati nelle stesse e cioè «alta sicurezza», «41-bis» e «media sicurezza»;
   a che punto si trovino le ristrutturazioni delle sezioni V e VI e quando prevedibilmente verranno collaudate e consegnate;
   quali sono le ditte che si sono aggiudicate gli appalti delle ristrutturazioni delle due sezioni e attraverso quale procedura di evidenza pubblica;
   come mai, sebbene negli ultimi 5 anni siano stati stanziati ben 4.831.000 euro per manutenzioni ordinarie e straordinarie, la II sezione visitata nell'occasione dall'interrogante risulti ancora così fatiscente sia per quel che riguarda le celle detentive che per quanto riguarda la zona passeggi; se, nei lavori eseguiti, sia stato consentito ai detenuti di poter lavorare;
   quali sono le ditte che si sono aggiudicate gli appalti delle manutenzioni ordinarie e straordinarie e attraverso quale procedura di evidenza pubblica; se, nei lavori eseguiti, sia stato consentito ai detenuti di poter lavorare;
   se i Ministri interrogati intendano intervenire di concerto per assicurare il diritto alla salute delle persone detenute nel carcere di Regina Coeli che descrivono le situazioni di scarsa attenzione e cura rappresentate in premessa;
   se, in base ai commi 1 e 2 dell'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 il magistrato di sorveglianza di Roma vigilando come è suo compito sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena abbia mai prospettato al Ministro della giustizia le esigenze dei vari servizi del carcere di Regina Coeli, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo;
   se il Ministro della giustizia intenda intervenire per approfondire ed eventualmente risolvere i casi descritti in premessa;
   stante la richiesta di alcuni detenuti del carcere di Regina Coeli di poter scontare la pena o vivere la custodia cautelare vicino al proprio contesto familiare, cosa intenda fare il Ministro per rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto del detenuto con i propri familiari e i figli, specie in età minore, secondo quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000 n. 230;
   se intenda disporre, almeno nei mesi estivi, l'apertura dei blindi durante la notte;
   se intenda intervenire per rimuovere tutte quelle carenze strutturali – come le bocche di lupo alle finestre che non fanno entrare luce e aria e l'assenza delle docce nelle celle – che costituiscono vere e proprie violazioni del regolamento penitenziario;
   se intenda intervenire per calmierare i prezzi del sopravvitto all'interno del carcere di Regina Coeli, se non altro dando la possibilità ai detenuti di acquistare prodotti di marche meno costose di quelle che attualmente compongono il listino prezzi;
   quale sia la ditta che gestisce il sopravvitto all'interno del carcere di Regina Coeli, da quanti anni eroga questo servizio e se si sia aggiudicata l'appalto attraverso una gara ad evidenza pubblica. (5-08296)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   recentemente, in data 30 luglio e 1° agosto 2012, sulla stampa sono emerse diverse segnalazioni aventi ad oggetto la cooperativa Lilium, un centro per la cura ed il ricovero dei minori con gravi disturbi psichiatrici con sede in via Verdi 18, S. Giovanni Teatino (Sambuceto), Chieti;
   secondo quanto pubblicato in tale data da alcuni siti di notizie online trentini e abruzzesi (tra gli altri: TrentoToday, TrentinoLibero, ChietiToday, Abruzzo24ore) e sul quotidiano abruzzese Il Centro, i gestori e gli amministratori della comunità in oggetto sarebbero stati denunciati presso la procura di Chieti. In particolare si riferisce che: «Secondo la denuncia dell'avvocato le segnalazioni ricevute in merito alla circolazione di droghe e alcool nella comunità sono state purtroppo confermate da un ragazzo di Padova. Nella relazione del dottor Paolo Cioni si afferma che il ragazzo ha dei ricordi e dei vissuti estremamente negativi sulla comunità terapeutica di Chieti: In particolare riferisce che “circolavano droga e alcool. Gli educatori ci portavano a comprarla al Parco Florida, vicino a Pescara”. In particolare cita un educatore [...] che sarebbe stato il referente di questo meccanismo»;
   negli stessi media, si riporta un'altra denuncia rivolta ai gestori e/o amministratori della cooperativa Lilium per avere questi ultimi omesso di denunciare una molestia sessuale praticata da un infermiere verso una ragazza minorenne ospite presso la comunità, come confermato da una nota in cui la comunità stessa afferma di «aver svolto repentinamente indagini interne, per appurare quello che realmente era accaduto, coinvolgendo anche i carabinieri e invitando la ragazza stessa a sporgere denuncia, cosa che, però, la minore si è rifiutata di fare»;
   i media riferiscono anche di altri abusi praticati all'interno della citata comunità. In particolare è stato riportato che: «La minore stessa e altri ospiti hanno scritto di ragazzi e ragazze legati ai letti e chiusi in stanza per ore, di una prassi secondo la quale nei primi tre mesi si vieta agli ospiti qualsiasi, contatto con l'esterno, di problemi di sicurezza con ragazzi che si scambiano gli psicofarmaci, di condizioni insopportabili che spingono i ragazzi a tentare la fuga e di droghe circolanti nella struttura»;
   in passato la comunità Lilium era già salita all'onore delle cronache. Ed invero: 1) già in data 12 aprile 2012, in un servizio del TGR Trentino Alto Adige di RAI 3, veniva riportata la vicenda della minore molestata sessualmente da un infermiere e trattenuta in comunità contro la sua volontà; 2) sul Messaggero Veneto del 4 luglio 2012 si riporta la notizia di un ragazzino di soli 13 anni legato al letto e picchiato dagli operatori; vicenda che attualmente vedrebbe sotto processo ben 33 operatori della cooperativa Cearpes (nel 2007 la cooperativa Lilium ha rilevato le attività della cooperativa Cearpes che era ubicata nelle stesse strutture e il direttore della cooperativa Lilium, Dominique Quattrocchi, era il presidente della cooperativa Cearpes); 3) sul quotidiano on-line PrimaDaNoi.it del 20 giugno 2009 veniva riportata la notizia di un ragazzino di 15 anni deceduto dopo sole 5 ore di permanenza nella comunità Lilium. In particolare il giornalista riferisce che: «secondo i genitori, il ragazzo non aveva mai avuto problemi cardiaci ed era in un buono stato di salute, fatto salve alcune patologie legate alla sua obesità (...). Quando i genitori hanno avuto modo di vedere il ragazzo senza vita hanno notato che gli erano stati rasati i capelli e che aveva dei lividi sul corpo. La Procura ha disposto il sequestro della cartella clinica e l'autopsia»;
   nella seduta del 3 aprile 2012 della Commissione per l'infanzia e l'adolescenza (http://www.camera.it/470 ?stenog=/dati/legl6 /lavori/stenbic/36/2012/0403&pagina=s030& cancelletto; Preside nte7.3) i rappresentanti dell'Associazione Pronto soccorso Famiglie avevano portato all'attenzione della commissione alcune situazioni sopra illustrate relative alla cooperativa Lilium, ma alla prima firmataria del presente atto non risulta che siano state fatte ulteriori indagini serie sulla comunità per verificare e correggere le eventuali irregolarità in essa presenti –:
   se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza di quanto sopra riportato e, in caso affermativo, quali siano le loro determinazioni al riguardo;
   se intendano avviare in tempi brevissimi un'ispezione presso la cooperativa Lilium di S. Giovanni Teatino, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di verificare direttamente con gli adolescenti attualmente ospitati nella comunità l'eventuale presenza delle gravi irregolarità indicate in premessa;
   se risultino quanti e quali finanziamenti statali la cooperativa Lilium abbia percepito negli ultimi cinque anni, per quali e quanti minori e per quali periodi di ospitalità;
   se risultino indagini in corso riguardanti la cooperativa Lilium e, in caso affermativo, per quali ipotesi di reato;
   se risultino indagini o procedimenti in corso riguardanti la cooperativa Cearpes e, in caso affermativo, per quali ipotesi di reato;
   se risultino indagini o procedimenti in corso riguardanti operatori o dirigenti della cooperativa Cearpes e, in caso affermativo, se attualmente tali operatori o dirigenti lavorino nella o siano connessi in qualsiasi modo con la cooperativa Lilium;
   se, più in generale, il Governo non ritenga di intervenire nei modi e con i mezzi che riterrà più opportuni al fine di promuovere una maggiore attività di controllo e verifica delle comunità alloggio presenti sul territorio nazionale al fine di approfondire ed elaborare le più opportune strategie di intervento a tutela dei minori. (5-08297)


   BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla agenzia di stampa Adnkronos il 1o agosto, un detenuto albanese cinquantenne, in carcere ad Alba, nel cuneese, per omicidio, si sarebbe impiccato nella sua cella utilizzando un lembo di lenzuolo con il quale si è legato alle grate;
   appresa la notizia, Leo Benedici, segretario generale dell'OSAPP, ha dichiarato: «Tra suicidi di detenuti e suicidi di uomini della polizia penitenziaria, questi ultimi cinquemila in meno negli ultimi anni per blocco del turn over e spending review, conviene chiudere del tutto le carceri, e questo è quello che chiediamo al Governo e al ministro Severino»;
   il suicidio è la causa più comune di morte dei detenuti e nel nostro Paese, ha una frequenza 20 volte maggiore rispetto ai cittadini in stato di libertà;
   le prigioni italiane sono sovraffollate, con una popolazione di 68 mila detenuti, mentre la capienza regolamentare sarebbe solo di 43 mila;
   l'articolo 27, terzo comma, della Costituzione recita che «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» –:
   se e come il 1o agosto 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio dell'uomo non siano ravvisabili profili di responsabilità amministrativo disciplinare in capo al personale penitenziario;
   se, per la riduzione del numero di suicidi tra i detenuti, oltre ai naturali rapporti di valorizzazione e di rispetto della persona, non si ritenga opportuno incrementare la pratica dell'identificazione del «profilo» della persona ad alto rischio di suicidio;
   se non si ritenga importante l'aggiornamento del personale, onde facilitare la valutazione dei segnali precoci di rischio di suicidio;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere, ove sia necessario, per persone con gravi situazioni di salute, la possibilità di scontare la pena in misura alternativa in luoghi protetti, come piccole strutture socio-sanitarie o in comunità terapeutiche;
   se non si ritenga utile promuovere, per quanto di competenza e con il coinvolgimento delle regioni, convenzioni di collaborazione con ospedali, strutture psichiatriche, servizi di emergenza, per attuare programmi di salute mentale e di disintossicazione nonché facilitare colloqui mirati con mediatori culturali, per operare in maniera integrale a fini della prevenzione del suicidio in carcere. (5-08298)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla agenzia di stampa, Valentino Di Nunzio, 29 anni, ricoverato in un reparto ospedaliero di terapia intensiva, è morto a seguito dei gravi traumi riportati nella casa di reclusione di Teramo, dove il 14 febbraio 2012 aveva messo in atto un tentativo di suicidio in cella, buttandosi «di testa» dal secondo piano della branda a castello;
   nella caduta l'uomo aveva riportato gravissime lesioni midollari ed era paralizzato dal collo in giù, al punto che per respirare aveva bisogno di essere sempre collegato ad un «ventilatore meccanico»;
   nonostante la palese invalidità. Di Nunzio è rimasto in stato di detenzione fino all'ultimo istante di vita, sottoposto a custodia cautelare disposta dal giudice per le indagini preliminari di Teramo e piantonato dalla polizia –:
   se sia vero quanto esposto in premessa;
   se non si ritenga di acquisire elementi sui motivi che hanno spinto il detenuto al suicidio e se tale tragedia potesse essere evitata;
   se con riferimento al suicidio dell'uomo non siano ravvisabili profili di responsabilità amministrativa o disciplinare in capo al personale penitenziario;
   se il Ministro, per la riduzione del numero di suicidi tra i detenuti, oltre ai naturali rapporti di valorizzazione e di rispetto della persona, non ritenga opportuno incrementare la pratica dell'identificazione del «profilo» della persona ad alto rischio di suicidio;
   se il Ministro interrogato, nell'esercizio delle proprie facoltà, secondo il disposto del comma 2 dell'articolo 107 della Costituzione, non ritenga opportuno promuovere un'azione disciplinare nei confronti del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Teramo che – stando a quanto riportato dalla stampa – avrebbe mantenuto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo paralizzato dal collo in giù e ventilato meccanicamente. (5-08299)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lunedì 6 agosto 2012 la prima firmataria del presente atto, assieme al proprio consulente, avvocato Alessandro Gerardi, ha visitato la casa circondariale di Velletri;
   nel corso della visita la delegazione è stata assistita e/o accompagnata dall'ispettore di polizia penitenziaria Proietti;
   il vecchio padiglione del carcere di Velletri (la struttura è composta da due edifici ovvero da un padiglione vecchio e da uno nuovo) attualmente detiene una percentuale di detenuti doppia rispetto alla capienza regolamentare, ossia circa 380 detenuti reclusi all'interno di celle singole occupate da due persone, e a volte anche da tre. Nel reparto isolamento si trovano reclusi 17 detenuti, mentre 10 giorni fa ve ne erano 30;
   la stragrande maggioranza dei detenuti, ben 263, sono in attesa di giudizio (di questi 160 sono imputati, 77 appellanti e 26 ricorrenti), i rimanenti (118) stanno invece scontando una pena definitiva. Tra i reclusi, 186 risultano essere tossicodipendenti e 115 di nazionalità straniera;
   all'interno della struttura che contiene i bracci detentivi, si trovano ubicati al piano terra l'ufficio matricola, l'ufficio ispettori, quello del comandante di reparto e la stanza dove i magistrati del tribunale di Velletri tengono le convalide degli arresti. Alcune delle predette stanze sono ricavate da ambienti che nulla hanno perso delle loro caratteristiche originarie di celle detentive. Qui gli spazi per gli operatori sono ridotti al minimo e, a volte, risultano essere pure scarsamente illuminati. Nella stanza delle convalide, inoltre, è stato installato un videoproiettore che però è fuori uso da parecchio tempo;
   sempre al piano terra è allocata la sezione «transito» all'interno della quale vengono rinchiuse le persone appena arrestate (i cosiddetti «nuovi giunti») in attesa di trovare una più adeguata sistemazione. Al momento della visita nelle celle-transito non vi era nessuno, ma capita spesso che al loro interno, per ragioni di mancanza di spazio, vengano rinchiusi alcuni detenuti anche per molti giorni prima di essere assegnati alla sezione di riferimento. Nella sezione «transito» non vi sono né i «camminamenti» né gli spazi dove poter effettuare l'ora d'aria, sicché i «nuovi giunti», durante l'attesa, rimangono costantemente chiusi all'interno delle celle;
   oltre all'elevato tasso di sovraffollamento, il disagio che i detenuti sono costretti a patire non è irrilevante se è vero, come è vero, che nell'istituto penitenziario in questione vi sono solo quattro educatori (sui sei previsti in pianta organica) effettivamente in servizio (a fronte di ben 517 detenuti reclusi tra vecchio e nuovo padiglione), e due soli psicologi operativi (di cui solo uno a tempo pieno). La carenza di psicologi è molto grave, anche perché nel carcere veliterno si riscontra un elevato indice di detenuti affetti da gravi disagi psichici (peraltro all'interno dell'istituto manca un reparto di osservazione psichiatrica), costretti a rimanere chiusi in cella 20 ore al giorno. Non a caso negli ultimi tempi, tra la popolazione carceraria, si sono verificati frequenti casi di autolesionismo e di tentato suicidio, mentre due detenuti si sono tolti la vita nel 2009 e nel 2010;
   di fronte all'avvento della stagione estiva, la direzione dell'istituto sta cercando, per quanto possibile, di dare attuazione alle circolari emanate dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria volte ad arrecare un minore stress fisico e psicologico ai detenuti. Le celle, infatti, sebbene permangano costantemente chiuse, presentano i blindi aperti nel corso dell'intera giornata, il che evita un eccessivo surriscaldamento degli spazi detentivi. In ogni sezione, inoltre, è presente un refrigeratore dove i detenuti possono conservare in modo adeguato frutta, verdura ed ogni genere di bibita (secondo alcuni però un solo refrigeratore non basterebbe a soddisfare le esigenze di 52 detenuti. Al 4° B, ad esempio, hanno il frigo comune di sezione rotto e i detenuti sono spesso costretti a buttare via il cibo andato a male). Inoltre ai detenuti, soprattutto a quelli che lavorano e che quindi possono permettersi il cosiddetto «sopravitto» è permesso cucinare nelle celle (ovviamente solo pietanze che non richiedono una cottura particolarmente difficile). In alcuni spazi della socialità sono disposti dei lavabi per lavare i panni (che però hanno i rubinetti rotti) e sono messi dei fili per stenderli;
   venendo alle modalità di fruizione dell'ora d'aria si osserva che ai detenuti spettano due ore d'aria la mattina (passeggi comuni, campo sportivo o palestra), mentre il pomeriggio gli stessi possono fruire di altre due ore di socialità negli appositi spazi predisposti in ogni singola sezione. Ai detenuti a volte è concesso anche pranzare e cenare nelle celle in gruppi di non più di quattro; per il resto della giornata, però, ogni singola persona rimane rinchiusa all'interno del proprio spazio detentivo, senza la possibilità di muoversi nel corridoio della sezione, cosa che, invece, è concessa ai detenuti che hanno trovato sistemazione nel nuovo padiglione;
   lo scarso numero degli educatori in servizio provoca evidenti disagi: manca, infatti, il rapporto umano tra singolo detenuto ed educatore e le relazioni di sintesi a volte vengono chiuse con notevole ritardo;
   le condizioni di lavoro del personale di polizia penitenziaria sono assolutamente inadeguate e fuori da ogni previsione contrattuale, con carichi di lavoro insopportabili. Il contingente di polizia penitenziaria assegnato risulta pari a 195 unità, a fronte della pianta organica che ne prevede 227; lo stesso pertanto risulta essere fortemente sottodimensionato rispetto alle esigenze del servizio. Ma v’è di più. Delle predette 195 unità, infatti, 30 sono a disposizione della C.M.O. di Roma, senza considerare che altri 19 sono adibiti esclusivamente al nucleo traduzioni e piantonamenti. Pertanto, alla data della visita, il contingente effettivamente disponibile assommava ad appena 146 agenti. La carenza di organico costringe gli agenti di polizia penitenziaria a turni di lavoro veramente stressanti anche perché, con l'apertura del nuovo padiglione e perciò con l'aumento della popolazione detenutali, il personale non è stato minimamente reintegrato;
   i cancelli di accesso ai singoli padiglioni detentivi sono tutti a comando manuale, sicché, considerato il traffico di persone (detenuti, agenti, sanitari, educatori, e altro) e di generi (alimentari e altro) le innumerevoli aperture e chiusure degli stessi effettuate in un unico turno di servizio determinano un carico di lavoro assolutamente insopportabile per gli agenti di polizia penitenziaria. Sebbene con una spesa irrisoria sarebbe possibile provvedere all'automazione dei cancelli, nulla è stato fatto, anche da questo punto di vista, per alleviare i carichi di lavoro del personale;
   a detta del personale penitenziario, la situazione può dirsi per certi versi peggiorata a seguito dell'apertura – avvenuta nel mese di ottobre 2011 – del nuovo padiglione detentivo costato 8.600.000 euro (lo stanziamento dei fondi è contenuto nella legge n. 259 del 1992) e costruito conformemente alle norme del regolamento penitenziario (ogni cella, ad esempio, è dotata di bagno e doccia), sebbene la sua edificazione abbia sottratto ampi spazi prima destinati alle attività ricreative dei detenuti (il campo di calcio, ad esempio risulta fortemente ridimensionato rispetto a prima, in quanto larga parte della sua superficie è stata utilizzata proprio per tirare su il nuovo padiglione (senza considerare che attualmente – nonostante i fondi stanziati dalla regione Lazio – lo stesso campo sportivo risulta del tutto inagibile). L'apertura del nuovo padiglione, infatti, non è stata accompagnata dalla conseguente, adeguata e proporzionata assunzione di nuovi agenti di polizia penitenziaria, di educatori, psicologi e assistenti sociali; e, quindi, di un numero di operatori in grado di garantire la cura dei detenuti e, soprattutto, lo svolgimento delle attività rieducative per essi previste dalla legge; contemporaneamente al nuovo padiglione non risultano essere state costruite nemmeno le nuove caserme per gli agenti di polizia penitenziaria, sicché non si capisce proprio dove gli agenti – che un domani dovessero essere assunti – potranno alloggiare una volta immessi in servizio; il nuovo padiglione non dispone nemmeno della sala colloqui e, per questo motivo, gli agenti hanno un ulteriore aggravio di lavoro per accompagnare i detenuti nelle sale del vecchio edificio;
   nonostante fino a poco tempo fa all'interno del carcere veliterno vi fosse un'azienda agricola, le persone recluse che attualmente lavorano alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria sono poco più di 50. Ve ne è solo uno che lavora in carcere per conto di imprese e/o cooperative esterne, mentre, tra i «semiliberi», 2 lavorano in proprio e 13 alle dipendenze di datori di lavoro esterni;
   gli spazi destinati alle attività ricreative o lavorative non sono conformi a quanto disposto dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (da questo punto di vista le ASL competenti dovrebbero provvedere con maggiore solerzia alle opportune verifiche, secondo quanto disposto dall'articolo 11 dell'ordinamento penitenziario). Il fine del reinserimento sociale delle persone recluse mediante il lavoro, come la delegazione ha potuto constatare, è frustrato dalla mancanza dei finanziamenti e dalla indisponibilità di attività qualificata all'interno del carcere per un numero sufficiente di persone, visto e considerato che attualmente sono appena poco più di 50 i carcerati che riescono a lavorare (peraltro a turno e per pochissime ore durante la giornata), svolgendo prevalentemente mansioni generiche (scopino e altro). Se poi a tutto ciò si aggiungono anche le evidenti carenze del personale civile (assistenti sociali, educatori e psicologi) e della polizia penitenziaria, ne viene fuori un quadro davvero desolante all'interno del quale le condizioni di vita dei detenuti e quelle di lavoro degli operatori non risultano affatto conformi ai parametri costituzionali ed alle direttive europee, nonché alle norme del regolamento penitenziario;
   l'istituto penitenziario di Velletri, pur essendo stato edificato in epoca relativamente recente (i lavori di costruzione dell'edificio sono iniziati sul finire degli anni ’80 e la struttura è stata consegnata nel 1992), presenta condizioni materiali non certo ottimali: la struttura, infatti, è spesso soggetta ad infiltrazioni d'acqua e necessita di periodici lavori di manutenzione a causa della continua e repentina usura delle parti comuni (sia sul tetto che sulle tubature, sebbene rifatti recentemente, si devono effettuare a cadenza periodica nuovi lavori di riparazione). Purtroppo col passare degli anni i lavori di manutenzione ordinaria dell'edificio stanno diventando sempre più sporadici a causa del taglio dei fondi, i quali, sono diminuiti circa del 40 per cento rispetto agli anni precedenti. Mancano perfino i soldi per cambiare la targa apposta all'esterno dell'edificio carcerario e scarseggia il budget per l'acquisto degli strumenti ordinari di lavoro quali cartucce, stampanti e computer;
   la sala colloqui presenta ancora il muretto divisorio, il che costituisce una evidente violazione del regolamento penitenziario (secondo quanto riferito dall'ispettore Proietti, entro il mese di ottobre 2012 dovrebbero essere effettuati i lavori per la sua eliminazione). Peraltro i familiari dei detenuti si mettono in fila per i colloqui sotto il sole. Vengono alle 10 per fare il colloquio alle 13. Non c’è una pensilina per ripararsi né la disponibilità di un po’ d'acqua. Attualmente i colloqui si svolgono due volte a settimana (in precedenza erano 3). Una settimana, il mercoledì e il sabato e la successiva il martedì e venerdì. Ciò crea molti problemi e in diversi fanno il colloquio 1 volta ogni due settimane. Il problema potrebbe essere risolto se si potessero fare i colloqui su prenotazione, come avviene in alcuni istituti;
   le condizioni igieniche del carcere di Velletri sono pessime e ai limiti della tollerabilità: le lenzuola delle celle vengono cambiate una volta ogni 15 giorni (fino a poco tempo fa addirittura una volta al mese) e sono spesso rotte, corte e macchiate. In ogni sezione, ognuna delle quali composta da 26 stanze dove alloggiano 52 detenuti, vi sono quattro docce, ma spesso ne funzionano solo due. I locali delle docce, come i bagni ubicati all'interno delle celle, presentano macchie di umidità e tracce di muffa alle pareti. In pratica le docce sono fatiscenti e malfunzionanti, pericolose per l'igiene e per l'incolumità dei detenuti. Nelle celle vi sono evidenti segni di infiltrazioni d'acqua e – a detta dei detenuti – dai bagni a volte escono persino le blatte. Qualche detenuto ha riferito di aver trovato scarafaggi persino nella pasta;
   nel corso della visita ispettiva molti detenuti si sono lamentati del vitto e del sopravvitto: il primo perché di qualità scadente e di scarsa quantità, il secondo in quanto i prezzi risultano essere troppo elevati rispetto a quelli che si praticano all'esterno;
   l'amministrazione non fornisce gli attrezzi per pulire le celle: i detenuti devono comprarsi nello spaccio interno stracci, palette, scope e spazzoloni. Per quanto concerne i pacchi con la biancheria sporca da consegnare ai familiari, i detenuti devono consegnarli due giorni prima e, nel frattempo, si accumula altra biancheria sporca;
   nel carcere di Velletri la cronica carenza di fondi non permette alla direzione dell'istituto di far fronte in modo adeguato a tutte le esigenze della popolazione detenuta con riferimento al reperimento dei medicinali, sicché molti farmaci scarseggiano e altri sono fruibili però non a titolo gratuito;
   il detenuto F.T. riferisce di aver fatto richiesta di trasferimento nella casa di reclusione di Noto (la sua famiglia è residente a Catania). Deve scontare ancora 18 anni e ha un estremo bisogno di lavorare. Ha una figlia di 17 anni che non vede da 3 anni e 8 mesi per problemi economici;
   un detenuto che lavora come «spesino» racconta che prima guadagnava 460 euro al mese, ma negli ultimi tre mesi, pur svolgendo lo stesso lavoro di prima, ne guadagna 70;
   G.C. riferisce di aver fatto un mese fa richiesta di trasferimento a Rebibbia. Ha la madre di 65 anni malata di tumore e cardiopatica e un figlio di 7 anni che non vede da 4 anni. Ha girato diversi istituti e il suo fine pena è nel 2018;
   B.M.K. racconta di avere bisogno di un avvocato non d'ufficio perché è accusato di omicidio ma reclama di essere innocente;
   S.C. riferisce di aver presentato diverse richieste di trasferimento in Calabria senza ricevere mai risposte. Ha due bambini. Ogni due mesi, tra l'altro, deve essere tradotto a Catanzaro Siano per processi. Fa avanti e indietro e non comprende il motivo per quale non possa essere assegnato direttamente nell'istituto calabrese;
   alcuni detenuti – per «ripulire» le mura fatiscenti e sporche delle celle – hanno incollato una sorta di tappezzeria sui muri utilizzando i fogli dei notes. Qualcuno per aver fatto quest'opera encomiabile, sostiene di aver ricevuto rapporto;
   S. C. ha fatto richiesta per comunità Ceis-La Quercia (VT); il 15 novembre 2011 ha inviato il programma al magistrato di sorveglianza ma ancora non ha ricevuto risposta. È detenuto da 4 anni e finisce nel 2015. I suoi abitano a Latina. Ha un figlio di 10 anni che non vede da due perché non vuole farlo venire in carcere per i colloqui, mentre in comunità sarebbe più semplice incontrarlo;
   P.G. riferisce di aver richiesto da ben due mesi un permesso per stare 8 ore con sua figlia di 16 anni che non vede da due anni. Il magistrato di sorveglianza, però, non gli avrebbe mai risposto;
   M. P. ha effettuato un solo colloquio negli ultimi tre mesi. Ha chiesto l'avvicinamento a casa (Catanzaro) per avere più contatti con i propri familiari. Deve scontare ancora sei anni;
   M. B. ha chiesto di essere trasferito a Rieti o a Civitavecchia perché ha una detenzione lunga da scontare;
   M. S. riferisce che gli sono venuti i «funghi» a causa della eccessiva umidità presente nella sua cella;
   E. A. riferisce che in tredici mesi di reclusione non è ancora riuscito a chiamare i suoi famigliari in Egitto;
   il detenuto E.I. riferisce di essere depresso e che non viene seguito da uno psicologo. A volte, dice, è stato sul punto di compiere un «gesto estremo»;
   F. A. uscirà fra due mesi e riferisce di voler andare in comunità ma non riesce a trovarne una disponibile ad accoglierlo. Fuori dal carcere non ha familiari e nemmeno una abitazione;
   un detenuto di nazionalità inglese è stato evacuato dal carcere di Ferrara a causa del terremoto e ora non può più fare i colloqui con i propri familiari per la notevole distanza che lo separa dalla sua residenza. Inoltre, prima, nel carcere di Ferrara, svolgeva una regolare attività lavorativa, che però dopo il trasferimento non ha più potuto portare avanti;
   in genere i detenuti con i quali la prima firmataria del presente atto ha parlato nel corso della visita ispettiva riferiscono di non riuscire ad avere un colloquio con la direttrice e sostengono che il magistrato di sorveglianza, dottor Sclafani, non avrebbe mai visitato le celle detentive e non evaderebbe le loro richieste di colloquio –:
   quali urgenti iniziative si intendano assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del carcere di Velletri; in particolare, entro quali tempi si preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
   cosa intendano fare, per quanto di competenza, per garantire il diritto alla salute dei detenuti e, in particolare, entro quali tempi verrà ripristinata un'adeguata assistenza psicologica e psichiatrica;
   cosa si intenda fare per garantire ai detenuti l'attività trattamentale, sia essa di studio e/o di formazione e lavoro, atta a preparare il futuro reinserimento sociale previsto dall'articolo 27 della Costituzione;
   come si intenda risolvere la grave e perdurante carenza di personale di polizia penitenziaria assegnato presso il carcere di Velletri;
   se non si intenda sopperire alla cronica carenza del personale della polizia penitenziaria attingendo ai tantissimi agenti distaccati per ragioni di servizio;
   se non si intendano adottare, per quanto di competenza, opportune iniziative al fine di aumentare l'organico degli educatori, degli psicologi e degli assistenti sociali in servizio presso il predetto istituto di pena, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone recluse;
   se si intendano incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
   se non si ritenga di dover urgentemente disporre il completo rifacimento della vetusta ed obsoleta sala-colloqui presente nell'istituto di pena in questione in modo da garantire un miglior contatto umano tra detenuti e familiari e, più in generale, entro quali tempi verrà garantito un normale funzionamento dell'istituto quanto alla manutenzione delle celle, dei bagni e delle docce;
   se non si intenda disporre anche per il carcere di Velletri la possibilità di effettuare i colloqui dei detenuti con i propri familiari su prenotazione, come avviene in altri istituti di pena;
   se ed in che modo si intendano potenziare, all'interno della struttura penitenziaria in questione, le attività di orientamento e formazione al lavoro e di ricerca di posti di lavoro da offrire ai detenuti, in particolar modo per quelli che hanno quasi finito di scontare la pena;
   se corrisponda al vero che la legge n. 199 del 2010 e la sua recente estensione a 18 mesi per l'esecuzione presso il domicilio delle pene venga applicata agli aventi diritto solo a ridosso del fine pena e, comunque, quanti siano i detenuti che hanno beneficiato dell'intero periodo richiesto;
   se il magistrato di sorveglianza abbia mai dato disposizioni per il rispetto della normativa riguardante le condizioni di detenzione e, in caso affermativo, quali siano le ragioni per le quali le disposizioni stesse non siano state rispettate;
   quale sia il carico di lavoro del magistrato di sorveglianza di Velletri e se siano note le ragioni di quella che agli interroganti risulta un'inadeguata e carente risposta alle istanze avanzate alla stessa da parte dei detenuti;
   in che modo si intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa. (5-08300)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal Corriere Fiorentino dell'8 agosto 2012, Rhee He Cheung, 48enne, di nazionalità coreana, detenuto nel carcere di Sollicciano, si è tolto la vita la sera del 4 agosto 2012, poco prima di mezzanotte;
   l'uomo, solo in cella, in cima al letto a castello, ha assicurato il lenzuolo alla testiera e si è avvolto al collo l'altra estremità del brandello di stoffa. Al che è stato sorpreso da un agente di polizia penitenziaria, che prima ha provato a farlo desistere e poi si è allontanato per dare l'allarme. Ed è stato in quel momento che il detenuto è caduto dal letto, battendo la testa sul tavolo ed è finito per terra. Ogni soccorso si è rivelato inutile;
   sulla tragica vicenda la procura della Repubblica ha aperto un'inchiesta, al momento senza ipotesi di reato e a carico di ignoti, per fugare ogni dubbio sulle cause della morte, il pubblico ministero, dottor Luigi Bocciolini ha disposto l'autopsia;
    Rhee He Cheung doveva scontare una condanna definitiva a sei anni e quattro mesi per due rapine. Avrebbe riacquistato la libertà nel giugno del 2014. Non aveva moglie, né figli in Italia. I suoi parenti erano rimasti in Corea. Nel gennaio 2012, era stato trasferito a Sollicciano da Perugia;
   appresa la notizia, Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze, ha diramato il seguente comunicato: «Rhee He Cheung, detenuto coreano, aveva chiesto il trasferimento a Roma in aprile per poter avere dei colloqui con i parenti attraverso l'Ambasciata Coreana. In giugno, dopo una visita del mio ufficio al signor Rhee, ho sollecitato il Dap per il suo trasferimento a Roma. Purtroppo non ho avuto risposta e il signor Rhee He Cheung, ha iniziato uno sciopero della fame, ha poi tentato il suicidio e cadendo ha battuto la testa, è entrato in coma ed è morto. Se la direzione del carcere avesse preso sul serio la richiesta del signor Rhee He Cheung e avesse affrontato con i volontari e con il Garante la questione, questa tragedia non si sarebbe verificata. Ho inviato una lettera al Capo del Dap, per denunciare questo ennesimo episodio di trascuratezza che deve interrogare le coscienze e prendere un impegno perché sia davvero l'ultima morte, che non può essere rubricata come frutto del caso» –:
   se sia vero quanto esposto in premessa;
   se, indipendentemente dalla inchiesta aperta dalla magistratura, non ritenga di dover accertare i motivi che hanno spinto il detenuto al suicidio anche al fine di verificare se, con riferimento ad esso, non siano ravvisabili profili di responsabilità disciplinari in capo al personale penitenziario;
   per quali motivi il detenuto non sia stato trasferito a Roma e come mai il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non abbia ritenuto di dare alcun tipo di seguito alla richiesta proveniente dal garante per i diritti dei detenuti di Firenze;
   cosa intenda fare per rispettare il principio della territorializzazione della pena;
   se il Ministro, per la riduzione del numero di suicidi tra i detenuti, oltre ai naturali rapporti di valorizzazione e di rispetto della persona, non ritenga opportuno incrementare la pratica dell'identificazione del «profilo» della persona ad alto rischio di suicidio. (5-08301)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Calabria Ora del 6 agosto scorso ha pubblicato a pag. 7 un articolo titolato «Al 41-bis con un tumore. Negato il diritto alla salute»;
   secondo quanto riferito nell'articolo del quotidiano calabrese, il cinquantacinquenne Tommaso Gentile «sopravvive con una serie di patologie che potrebbero cacciargli via parecchi anni di vita, forse tutti quelli che possono ancora restargli. Tommaso Gentile sopravvive rinchiuso in una cella del carcere di Parma, sottoposto, da un paio d'anni, al regime del 41-bis. “Il paziente, disponibile al colloquio, manifesta forte controllo emotivo ma riferisce di umore oscillante per la preoccupazione di un possibile tumore”, scriveva due mesi fa la psicologa del carcere. Il “paziente” sapeva che l'azienda sanitaria di Reggio Emilia stava per diagnosticargli un carcinoma mammario. Avrebbe avuto conferma di ciò nel giro di qualche giorno. L'ultima tessera di un quadro clinico più che compromesso. Sempre l'area sanitaria regionale dell'amministrazione penitenziaria scrive nell'aprile 2012: “Il detenuto è affetto da cardiopatia ipertensiva, sindrome delle apnee morfeiche, obesità, diabete mellito di tipo 2”. Per farlo respirare durante le ore di sonno gli hanno attaccato un apparecchio per la ventilazione. Pesa un centinaio di chili, a parte quelli persi negli ultimi due mesi e, per uno ch’è alto un metro e settanta, sono molti. Ha il sangue che gli mangia i nervi e gli organi, perché è pieno di zuccheri in eccesso che, insieme all'ipertensione, gli stanno divorando le arterie coronariche e tutto il resto del sistema cardiocircolatorio. È quel tipo di diabete che ti fa cadere a pezzi gli arti, ti fa diventare cieco, più presto che tardi, nel suo caso; gli addetti ai lavori la chiamano “polineuropatia diabetica”»;
   scrive ancora Calabria Ora nell'articolo citato «Gentile dovrebbe trascorrere, in tutto, dieci anni in carcere, per reati associativi legati all'usura e all'estorsione. Non ci stanno omicidi, non si sta la droga. E anche quando fosse l'uomo più pericoloso del mondo, persino la giurisprudenza italiana prescrive delle deroghe. Una sentenza del 3 marzo 2011, emanata dalla Corte di Cassazione, parla chiaro. Un detenuto combinato così male, dovrebbe esser trasferito agli arresti domiciliari. Eppure Tommaso Gentile chiede molto meno. Chiede di essere operato in una struttura adeguata a trattargli quel tumore che ormai gli cresce in petto e che già s'irradia ai noduli ascellari. Ha chiesto di essere operato al Regina Elena di Roma. E di ricevere l'assistenza dei familiari. Richiesta accordata dal giudice di sorveglianza di Reggio Emilia. Manca solo una firma, al trasferimento da Parma all'ospedale romano, quella del funzionario del dipartimento per l'amministrazione penitenziaria presso il Ministero della giustizia. Una firma che non arriva, non si capisce perché. Il fascicolo è sul tavolo del funzionario del DAP e lì qualcuno sembra aver deciso che deve restare, chiuso e fermo»;
   la prima firmataria del presente atto, sollecitata dai familiari che si erano rivolti all'Associazione «nessuno tocchi Caino», il 2 agosto scorso invia un’e-mail al capo del DAP dottor Giovanni Tamburino, al Vice-Capo dottor Luigi Pagano e al Responsabile del trattamento dei detenuti Calogero Piscitello; nel testo del messaggio, nel fornire delucidazioni sul caso, l'interrogante scrive ai responsabili del DAP «vi prego di intervenire immediatamente autorizzando il ricovero di questo detenuto.»;
   il dottor Piscitello contatta telefonicamente l'interrogante riferendo che il signor Tommaso Gentile «si è rifiutato di farsi operare nell'ospedale di Parma e che all'ospedale dei tumori Regina Elena di Roma non c'era posto ed il signor Gentile era ancora in lista d'attesa»; il 7 agosto il DAP precisa che corrispondeva al vero il fatto che il magistrato di sorveglianza avesse disposto il trasferimento del detenuto al Regina Elena di Roma, ma che il nosocomio romano, il 9 luglio, aveva comunicato l'indisponibilità del posto letto; da parte loro i familiari del detenuto facevano sapere all'interrogante che – data la gravità della situazione – se avessero saputo per tempo la notizia, avrebbero immediatamente scelto di far operare il congiunto a Parma; ora i familiari attendono «che il giudice di sorveglianza di Reggio Emilia risponda alla istanza presentata dai legali nella quale è chiesto di voler autorizzare il trasferimento del Gentile Tommaso presso l'Ospedale Civile di Parma al fine di consentirgli di essere sottoposto ad intervento chirurgico di mastectomia mammaria e di voler regolamentare la visita, e quindi la presenza, dei familiari durante il periodo di degenza»;
   il diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione, rappresenta un diritto inviolabile della persona umana, non suscitabile di limitazione alcuna e idoneo a costituire un parametro di legittimità della stessa esecuzione della pena, che non può in alcuna misura svolgersi secondo modalità idonee a pregiudicare il diritto del detenuto alla salute ed alla salvaguardia della propria incolumità psico-fisica;
   l'articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sancisce una rigorosa disciplina in ordine alle modalità ed ai requisiti del servizio sanitario di ogni istituto di pena, prescrivendo tra l'altro che «ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti (...) in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura»;
   la sentenza della Corte di cassazione n. 46479/2011, del 14 dicembre 2011 ha evidenziato, fra l'altro, come «il diritto alla salute del detenuto va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture» –:
   se intendano fornire chiarimenti cronologici in merito allo svolgimento della vicenda;
   per quali ragioni, nonostante le decisioni del magistrato di sorveglianza, la famiglia e lo stesso detenuto Tommaso Gentile non siano stati informati per tempo del fatto che l'ospedale Regina Elena di Roma avesse comunicato il 9 luglio 2012 l'indisponibilità del posto letto e, quindi, il diniego al ricovero;
   cosa intendano fare, immediatamente e per quanto di competenza, per garantire il diritto alla salute e alla vita del signor Tommaso Gentile. (5-08302)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ADNKRONOS il 30 agosto 2012, un detenuto quarantenne di origini italiane si è suicidato nel carcere di Udine impiccandosi con una cintura del suo compagno di cella;
   l'uomo era arrivato nel capoluogo friulano solo da poche ore, proveniente dal carcere di Padova per sfollamento. Era stato arrestato nella città patavina per violenze ai familiari e all'atto dell'arresto era stato ricoverato nel reparto psichiatrico, per oltre dieci giorni, considerato i disturbi psichici di cui soffriva;
   si tratta del 36esimo detenuto che si è tolto la vita dall'inizio dell'anno;
   secondo quanto dichiarato dal segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno, «questa strage silenziosa dei suicidi in carcere continua nel più assoluto silenzio e nella quasi totale distrazione della stampa, della società e della politica, nonostante i fervidi solleciti del Presidente Napolitano rispetto alla prepotente urgenza, che si perpetua nel tempo, e alla vergogna dell'Italia in Europa per le condizioni delle proprie prigioni. Considerato che a oltre un anno da questo autorevole pronunciamento del Capo dello Stato nulla è mutato per alleviare le criticità del sistema penitenziario non possiamo, amaramente, non rilevare come, pur nella loro incisività e forza, le parole di Napolitano siano state sostanzialmente inutili» –:
   se e come il 30 agosto 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena di Udine e se con riferimento al suicidio dell'uomo non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario;
   con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
   se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
   di quali disturbi psichici soffrisse il detenuto, se lo stesso fosse seguito da uno psicologo nel carcere di Padova e se sia noto a quale terapia, anche farmacologia, fosse sottoposto;
   se nel corso della detenzione nel carcere di Padova, ossia prima di giungere a Udine, il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
   se una volta giunto a Udine, il detenuto sia stato sottoposto ad una attenta vigilanza da parte del personale della polizia penitenziaria attesi i suoi disagi psichici. (5-08303)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'8 agosto la prima firmataria del presente è stata raggiunta dalla telefonata della familiare di un detenuto morto nel carcere di Civitavecchia; la vicenda è così riassunta:
   Luigi Didona aveva 49 anni, era stato incarcerato per reati legati al suo stato di tossicodipendenza, una vita passata tra istituti penitenziari e comunità; si trovava da un mese e mezzo nel carcere di Civitavecchia proveniente da quello di Santa Maria Capua Vetere;
   da quando era stato trasferito si erano interrotti i colloqui con la sorella che, morti i genitori, si era fatta carico di seguire il ragazzo; la donna, non aveva mezzi sufficienti ad affrontare il viaggio per raggiungere Civitavecchia da un paesino della provincia di Caserta;
   giovedì 2 agosto 2012 Luigi Didona stava mangiando nella sua cella quando un pezzo di carne gli è andato di traverso e si stava strozzando, cosa che capita con una certa frequenza a chi è sottoposto ad una forte terapia di psicofarmaci. Subito soccorso dal medico del carcere richiamato dalle urla del suo compagno di cella, Didona veniva condotto in autoambulanza all'ospedale San Paolo di Civitavecchia. Durante il tragitto l'uomo ha diversi arresti cardiaci e, appena arrivato al pronto soccorso, viene immediatamente intubato. Venerdì 3 agosto il suo fisico non regge all'ennesimo arresto cardiaco e muore;
   la triste vicenda di questo detenuto ha anche altri risvolti che non possono essere trascurati:
    le sue condizioni di salute erano così compromesse che giovedì 2 agosto il magistrato gli riconosce l'incompatibilità con la detenzione, disponendone la scarcerazione ma, nelle more della notifica dell'atto; Luigi Didona – come detto – muore per arresto cardiaco;
    lunedì 6 agosto viene negata ai familiari la possibilità di vedere per l'ultima volta il loro congiunto; il 7 agosto viene eseguita l'autopsia su suo corpo e il giudice dispone un percorso per il rientro della salma nel paesino d'origine che nega la sosta nella parrocchia per la celebrazione della messa funebre: Luigi Didona deve andare direttamente al cimitero per essere definitivamente sepolto con grande dolore dei parenti, della sorella e del fratello che avrebbero voluto un momento di raccoglimento nella parrocchia del paesino del casertano prima della tumulazione;
   Ristretti Orizzonti raccoglie ulteriori notizie anche dai quotidiani che, riportati i fatti sopraesposti dalla scrivente, interpellano la direttrice del carcere di Civitavecchia Sergi che afferma: che la sepoltura senza funerale è «una prassi consolidata» e che «i familiari non si sono potuti permettere il trasporto e la tumulazione, tanto che se ne è fatto carico l'istituto stessi»; riguardo alle dinamiche che hanno portato Didona alla morte dichiara: «Un incidente che può capitare a chi ha problemi psichici. Era così povero che, pur non avendo più i denti, non si era potuto permettere una dentiera. Aveva 49 anni, non era anziano, ma viveva una situazione di disagio assoluto»;
   l'articolo 28 dell'Ordinamento penitenziario stabilisce che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie» –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   per quali ragioni Luigi Didona fosse stato trasferito, peraltro senza avvertire i familiari, così lontano dai suoi affetti;
   se sia noto per quali ragioni l'incompatibilità della salute di Luigi Didona con lo stato di detenzione in carcere sia stata decisa così tardi, di fatto cioè il giorno della sua morte;
   per quali ragioni sia stato impedito alla famiglia di vedere il loro congiunto prima dell'autopsia e di far celebrare la messa in suo ricordo;
   perché a Luigi Didona, privo di denti, non sia stata fornita una dentiera;
   se corrisponda al vero quanto affermato dalla direttrice del carcere di Civitavecchia che la sepoltura senza funerale sia «una prassi consolidata». (5-08304)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lunedì 20 agosto 2012 l'interrogante ha effettuato una visita di sindacato ispettivo alla casa circondariale «Carmelo Magli» di Taranto accompagnata dagli esponenti radicali Maurizio Bolognetti e Maria Antonietta Ciminelli; la visita, durata molte ore, è stata guidata dalla direttrice Stefania Baldassarri e dal Comandante Giovanni Lamarca;
   l'Istituto tarantino ha in carico 595 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 200 posti, sebbene sul sito internet del Ministero della giustizia sia indicata una ricettività legale di 315 posti; i detenuti in attesa di primo giudizio sono 153 mentre coloro che scontano una sentenza definitiva di condanna sono 318; in alta sicurezza sono ristretti in 103; ben presto, con la ripresa, dopo la pausa estiva, dell'attività giudiziaria, l'istituto tornerà alla media dei 700 detenuti presenti; il 40 per cento degli ospiti sono tossicodipendenti e, fra questi, 20 sono in trattamento metadonico;
   il carcere di Taranto, entrato in funzione a metà degli anni ottanta presenta molte problematiche strutturali, date le scarse risorse destinate centralmente per la manutenzione sia ordinaria che straordinaria: alcune aree risultano transennate perché pericolanti; alcune sale colloqui hanno ancora il muretto divisorio: una di esse è definita «la pescheria» per il cattivo odore che emana l'ambiente sovraffollato all'inverosimile; il percorso per i familiari (bambini e persone anziane comprese) che si apprestano ad incontrare il congiunto detenuto, è sotto il solleone (o con la pioggia, d'inverno) o con coperture, come quella della pensilina prossima all'ingresso, che dovrebbero essere coibentate essendo «roventi» d'estate e con infiltrazioni d'acqua nella stagione delle piogge; per mancanza di spazi, l'ex campo sportivo è stato diviso in due e adattato a passeggio per le ore d'aria: un deserto polveroso privo di servizi e di approvvigionamento di acqua; la casa circondariale è destinataria del piano carceri per la costruzione di un padiglione da 200 posti i cui lavori sono ancora nella fase di aggiudicazione attraverso gara; all'interno dell'area c’è però un padiglione a 48 posti inutilizzato perché per metterlo in funzione – magari per una custodia attenuata come suggerisce la direttrice – oltre al personale, occorrerebbero modifiche strutturali essendo stato concepito per ospitare detenuti malati di aids; un'altra nota dolente, riguarda la caserma degli agenti dove c’è un piano intero transennato e dove le stanze per il pernottamento degli agenti sono addirittura peggiori delle celle di detenzione; nell'istituto non c’è l'area verde per gli incontri della popolazione detenuta con i figli minori; mancano del tutto spazi per attività sportive e ricreative e il teatro non viene utilizzato a causa della carenza di personale e della mancanza di fondi da destinare alle attività trattamentali; la biblioteca, invece, è ben fornita anche grazie ad una donazione di libri effettuata un anno e mezzo fa da parte della Presidenza del Consiglio;
   fra le celle visitate ci sono quelle della sezione A, ubicata al primo piano: il sovraffollamento è evidente considerato che in celle di circa 10 metri quadrati sono ospitati tre detenuti e, a volte, anche quattro;
   il corpo degli agenti di polizia penitenziaria ha un deficit di organico pari a 40 unità; dei 357 agenti previsti dal decreto ministeriale dell'8 febbraio 2001, ne risultano effettivamente assegnati 317 di cui 53 impiegati presso il nucleo traduzioni e piantonamenti;
   la situazione degli automezzi del nucleo traduzioni è disastrosa a causa della sospensione della manutenzione ordinaria per mancanza di fondi; inoltre capita che le scorte siano sottodimensionate e che a volte non si possano nemmeno rimborsare i buoni-pasto; a proposito dei vari tipi di traduzione, risulta veramente uno spreco la scorta per accompagnare i detenuti ai domiciliari: tre uomini che fanno sostanzialmente i «tassisti» per un servizio che potrebbe essere semplicemente abolito visto che il detenuto, se decide di contravvenire a quanto prescritto dalla legge, può «evadere» da casa un momento dopo essere stato accompagnato ai domiciliari; spesso queste traduzioni prevedono viaggi lunghissimi anche di centinaia di chilometri per raggiungere comunità per tossicodipendenti o domicili situati nelle regioni settentrionali;
   l'area educativa risulta sottodimensionata essendo costituita da un responsabile e da 4 educatori; anche l'assistenza psicologica è carente se consideriamo che è portata avanti da 2 psicologi ex articolo 80 che fanno in tutto 78 ore mensili e da una psicologa ASL che fa 60 ore e che si occupa esclusivamente dei nuovi giunti;
   la prima firmataria del presente atto intende sottolineare – perché non accade quasi mai nelle altre visite ad istituti penitenziari – l'ottimo rapporto del magistrato di sorveglianza sia con la direzione e il comando dell'istituto sia con la popolazione detenuta: non è un caso che sotto ferragosto siano stati concessi circa 80 permessi premio e che la legge n. 199 del 2010 abbia riscontrato un esito positivo per oltre 200 detenuti che hanno avuto la possibilità di scontare gli ultimi mesi di pena ai domiciliari;
   molti dei detenuti trascorrono 20 ore della giornata in cella; 100 in media sono infatti coloro che durante l'anno frequentano un corso scolastico (medie e superiori), 85 sono i posti di lavoro disponibili a rotazione ogni sei mesi e 5 coloro che sono ammessi al lavoro esterno; a differenza di altri istituti è molto positivo il fatto che le mercedi non siano solo simboliche e che i lavoranti riescano a guadagnare intorno ai 6/700 euro al mese; buono è il rapporto con il cappellano che, gestendo una casa famiglia, è disponibile a fornire l'alloggio a quei detenuti, soprattutto stranieri, che non hanno un domicilio per poter scontare a casa il residuo periodo di pena come previsto dalla legge n. 199 del 2010 e successive modificazioni; il volontariato è presente con due associazioni mentre il rapporto con le istituzioni – provincia e comune – è connotato dall'assoluta mancanza di collaborazione quasi a significare che il carcere sia un corpo estraneo inserito nella città;
   ai detenuti è consentito fare la doccia a giorni alterni per contenere i consumi idrici a causa dell'ingente debito che l'amministrazione penitenziaria ha con l'Acquedotto Pugliese spa;
   fra i casi particolari, si segnalano:
    A.S. proveniente dal reparto psichiatrico dell'ospedale Moscati di Taranto, si trova in carcere a causa di un residuo pena di un mese e 20 giorni per poi tornare presso la comunità Il Delfino dove è assegnato;
    E.D.B. ha il fine pena fra sette anni e ha fatto richiesta di trasferimento a Rebibbia o a Civitavecchia per poter fare un valido percorso riabilitativo visto che ha due figli minori ospitati in istituti; non fa colloqui da dicembre, cioè da quando è venuta via da Teramo;
    G.C. ha presentato istanza di trasferimento al Carcere di Pozzuoli; suo marito è morto suicida;
    M.B. è una ragazza rumena di 22 anni che scoppia in lacrime non appena le chiediamo come stia; orfana di madre, è venuta in Italia prima di Pasqua con il suo ragazzo che l'ha coinvolta in una rapina nella città di Bari; è spaventata e afferma di non essere mai stata in carcere e di non conoscere nessuno nel nostro paese né di sapere alcunché della sua posizione processuale perché ha visto il suo avvocato d'ufficio una sola volta; direttrice e comandante si occuperanno della sua vicenda soprattutto sotto l'aspetto della difesa legale –:
   quale sia effettivamente la capienza regolamentare del carcere di Taranto e cosa intenda fare per urgentemente riportare la popolazione detenuta ai livelli di ricettività legali, secondo quanto previsto dall'ordinamento penitenziario e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
   cosa intenda fare per rimuovere le illegalità strutturali degli edifici dell'intero complesso della casa circondariale di Taranto, tenuto presente che alcune criticità evidenziate in premessa rischiano di mettere in pericolo la salute e la vita del personale e dei detenuti;
   a quando risalga e cosa vi sia scritto nell'ultima relazione della ASL di competenza in merito alle condizioni strutturali degli edifici anche sotto il profilo igienico-sanitario;
   se intenda immediatamente provvedere a stanziare fondi per la manutenzione straordinaria così da fronteggiare i problemi più urgenti e se intenda ripristinare i fondi pressoché esauriti della manutenzione ordinaria;
   cosa intenda fare per incrementare il budget destinato alle attività trattamentali e per ripianare il debito verso l'Acquedotto Pugliese S.p.A così che, fra l'altro, i detenuti possano farsi la doccia tutti i giorni;
   quanto al Corpo degli agenti di polizia penitenziaria, se intenda intervenire per ripristinare l'organico, per rimettere in funzione il parco macchine e furgoni del nucleo traduzioni e per ristrutturare il piano oggi transennato e chiuso degli alloggi della caserma agenti;
   se intenda raccogliere il suggerimento di evitare l'accompagnamento dei detenuti allo loro abitazione (o altro luogo specificato nei provvedimenti quale una comunità terapeutica o una casa-famiglia) quando accedano al beneficio della detenzione domiciliare;
   se intenda incrementare il personale dell'area trattamentale e dell'assistenza psicologica;
   se intenda valutare, per promuovere iniziative per estenderle magari a livello nazionale, le buone pratiche della magistratura di sorveglianza di Taranto;
   se intenda in qualche modo intervenire nei limiti della propria competenza perché sia effettivamente assicurata l'assistenza legale ai detenuti, soprattutto stranieri, sprovvisti di avvocati di fiducia;
   cosa intenda fare per i casi segnalati in premessa. (5-08305)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Il Manifesto Sardo del 1° settembre 2012 è apparso l'articolo scritto da Roberto Loddo che di seguito si riporta nella sua versione integrale: «L'internamento di Valeria Porcheddu nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova) è la dimostrazione che il termine ultimo per il superamento degli attuali Opg è un inganno. Nonostante la legge 9/2012 fissi tra il primo febbraio e il 31 marzo 2013 la chiusura definitiva, dalla Sardegna continuano silenziosi e indisturbati gli internamenti nelle «galere dei folli». Ad oggi, le organizzazioni aderenti al comitato sardo «Stop Opg» non conoscono le linee guida dell'assessorato regionale alla salute per la presa in carico delle cittadine e dei cittadini sardi internati nei sei Opg della penisola. La Regione Sardegna e i dipartimenti di salute mentale dovrebbero attivare progetti individualizzati di cura e assistenza, ma dai quotidiani sardi apprendiamo solamente di nuovi internamenti e ipotesi di apertura di strutture segreganti da sostituire agli attuali Opg. Questa vicenda conferma anche le cattive pratiche in atto nel mondo della salute mentale. È come se la legge 180 in Sardegna non fosse mai stata attuata e il movimento per la riforma della legge psichiatrica con Franco Basaglia non fossero mai esistiti. Invece di garantire la cura nei percorsi riabilitativi, nelle relazioni col mondo esterno e nella restituzione dei diritti di cittadinanza si continua a spedire le persone fragili come Valeria negli Opg. Valeria Porcheddu è una ragazza di 23 anni che dalla notte del 14 agosto 2012 è imprigionata in Opg. Il vero scandalo di questa vicenda è che non si conoscono le motivazioni che hanno determinato il suo internamento. A differenza di altri casi come quello del cittadino senegalese Abdou Lahat Diop, il dipartimento di salute mentale di Oristano nega ogni genere di informazione ai rappresentanti del comitato sardo «Stop Opg» adducendo motivazioni legate a privacy e segreto professionale. Valeria è stata prelevata dall'abitazione di sua madre Adriana Zampedri (in sciopero della fame da 18 giorni) dai carabinieri di Cabras (Oristano) su mandato del giudice di sorveglianza. Dalla stampa e dai social network leggiamo che «il suo reato sarebbe quello di essersi allontanata dalla comunità di recupero per tossicodipendenti di Alghero in seguito alla scadenza dei termini della libertà vigilata, scadenza di ben 4 mesi durante i quali nessuna comunicazione di conferma della stessa è mai arrivata». L'attenzione mediatica sull'assurda vicenda di Valeria ha portato alla mobilitazione anche il comitato nazionale «Stop Opg». I rappresentanti del comitato nazionale hanno contattato Ettore Straticò, neo direttore dell'Opg di Castiglione. Il dottor Straticò ha garantito ai rappresentanti il suo impegno per il rientro di Valeria nell'isola. Ma non basta sapere che Valeria potrebbe tornare. Vogliamo sapere la data certa del suo rientro e il perché di questo insensato internamento. Se davvero esistono, vogliamo sapere quali motivazioni hanno portato il tribunale di sorveglianza a decidere sulla misura di sicurezza e dichiarare Valeria socialmente pericolosa e incapace di intendere e di volere. Se mai siano state immaginate, vogliamo conoscere le alternative all'Opg che la Asl di Oristano e il dipartimento di salute mentale hanno messo in campo per assistere e prendersi cura di Valeria. Liberiamo Valeria prima che sia troppo tardi. Prima che le illegalità e gli abusi che ogni giorno subiscono le 1.300 persone internate negli Opg trasformino lo Stato italiano in un criminale seriale» –:
   se sia noto quali siano i motivi che hanno provocato l'internamento di Valeria Porcheddu nell'ospedale psichiatrico giudiziario;
   se vi siano – e quali siano – le alternative all'ospedale psichiatrico giudiziario che la Asl di Oristano e il dipartimento di salute mentale hanno messo in campo per assistere e prendersi cura della donna indicata in premessa;
   quante persone risultino essere state internate negli ospedali psichiatrici giudiziari italiani dopo l'entrata in vigore della legge n. 9 del 2012;
   se corrisponda al vero che non sia ancora avvenuto il riparto tra le regioni dei finanziamenti finalizzati alla presa in carico da parte delle ASL delle persone internate attraverso la predisposizione di progetti terapeutico riabilitativi individuali;
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro intenda adottare così da consentire alle ASL di prendere in carico le persone internate facendole dimettere all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi-individuali;
   quali siano i motivi per cui gli ospedali psichiatrici giudiziari non vengono ancora chiusi nonostante ciò sia espressamente previsto dalla legge n. 9 del 2012.
(5-08306)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulle condizioni della casa circondariale di Teramo, la prima firmataria del presente atto ha già presentato due interrogazioni a risposta scritta – n. 4-04862 con riferimento alla visita ispettiva del 2 novembre 2009, e n. 4-05612 con riferimento alla visita ispettiva del 25 dicembre 2009 – rimaste a tutt'oggi senza risposta, nonostante i continui e numerosi solleciti;
   il 15 agosto 2012 la prima firmataria del presente atto è tornata per la terza volta a visitare la casa circondariale di Teramo, insieme a Marco Pannella, presidente del senato del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, a Riccardo Chiavaroli, consigliere regionale della Regione Abruzzo, e ai militanti radicali Rosa Quasibene, Orazio Rapili, Renato Ciminà, Paolo Francesco Palombo e Gianmarco Ciccarelli;
   il penitenziario, costruito alla fine degli anni settanta, sorge in località Castrogno, una frazione del comune di Teramo; all'interno della struttura dall'inizio dell'anno si sono consumati già quattro suicidi;
   la visita ha avuto una durata di 7 ore e 30 minuti, con inizio alle ore 15; non erano presenti né il direttore dell'istituto né il comandante di polizia penitenziaria; la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal vice comandante di polizia penitenziaria Igor De Amicis e, nella seconda fase della visita, dall'ispettore Papini (polizia penitenziaria);
   la situazione riscontrata è la seguente: la casa circondariale di Teramo è gravemente sovraffollata; i detenuti presenti sono 418 (376 uomini e 42 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 231 posti; con riferimento alla posizione giuridica, 236 detenuti scontano una condanna definitiva, 62 sono in attesa di primo giudizio, 37 appellanti, 30 ricorrenti, 34 con posizione giuridica mista con definitivo, 18 con posizione giuridica mista senza definitivo; i detenuti stranieri sono 82, così suddivisi: 23 provenienti dalla Romania, 12 dall'Albania, 11 dal Marocco, 10 dalla Nigeria, 8 dalla Tunisia, 4 dall'Algeria, 2 da Slovacchia e Macedonia, 1 detenuto proveniente da Libia, Egitto, Sierra Leone, Somalia, Ruanda, Burkina Faso, Bolivia, Georgia, Croazia, Svizzera;
   secondo quanto riferito, dall'inizio dell'anno, soltanto 17 detenuti sono usciti dal carcere in virtù della legge 199 del 2010 (e successive modifiche); 398, invece, sono stati i nuovi ingressi dall'inizio dell'anno;
   al sovraffollamento si affianca una marcata carenza di personale di polizia penitenziaria: gli agenti assegnati all'istituto sono 180 ma le unità effettivamente in servizio sono soltanto 160 (a causa di distacchi e malattie di lungo corso), mentre è di 203 agenti la dotazione organica dell'istituto prevista dal decreto ministeriale del 2001 (previsione effettuata in relazione ad una popolazione detenuta di gran lunga inferiore a quella attuale); il deficit di organico di polizia penitenziaria si ripercuote negativamente sulla vita dei detenuti e sulla vita degli stessi agenti, costretti a operare in condizioni di stress per fare fronte a un notevole carico di lavoro; nuovi agenti, secondo quanto riferito, prenderanno servizio dal prossimo autunno, ma l'incremento effettivo sarà di sole quattro unità, perché sei delle dieci unità previste sono già attualmente distaccate presso il carcere di Castrogno: «ci saranno in futuro quattro nuove unità, ma sono poche», sottolinea il vice comandante De Amicis;
   il nucleo traduzioni della polizia penitenziaria di Teramo ha un elevato numero di movimentazioni: nel 2011 ha effettuato 1314 traduzioni (di cui 399 per ragioni sanitarie), per un totale di 1997 detenuti tradotti; nel 2012 (dato parziale) sono state effettuate 806 traduzioni (di cui 324 per ragioni sanitarie), per un totale di 1074 detenuti tradotti; «Me maggiori criticità del nostro istituto sono riconducibili al sovraffollamento, alla carenza di personale di polizia penitenziaria e all'alto numero di detenuti con problematiche di tipo sanitario, psichiatrico, o legate alla tossicodipendenza», afferma il vice comandante De Amicis; i detenuti tossicodipendenti iscritti al Ser.T di Teramo sono 90; 80 detenuti sono affetti da patologie di tipo psichiatrico e circa 250 detenuti manifestano disturbi di personalità e forme di disagio psicologico; i detenuti con una cardiopatia conclamata sono 27, mentre 23 soffrono di ipertensione arteriosa; i detenuti con una doppia diagnosi sono 14; all'interno dell'istituto operano 6 medici (che assicurano una copertura h24), 1 psichiatra per 18 ore settimanali, 9 infermieri più 1 caposala (ciascuno impegnato per 36 ore settimanali, assicurano una copertura dalle 7 alle 22); l'area sanitaria, secondo quanto riferito, ha effettuato all'interno 6044 visite dall'inizio dell'anno;
   gli educatori effettivi sono 4, atteso che 2 dei 6 educatori assegnati al carcere di Castrogno sono distaccati in un altro istituto; l'assistenza psicologica, assicurata soltanto da 2 psicologi volontari, risulta del tutto inadeguata a fare fronte alle esigenze della popolazione detenuta; a Castrogno lavora solo il 10 per cento dei detenuti, a rotazione: si tratta esclusivamente di lavori domestici alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, mentre non sono presenti lavorazioni interne o collaborazioni con cooperative o imprese esterne; negli ultimi anni, secondo quanto riferito, le ore lavorative complessive si sono progressivamente ridotte, a causa dei consistenti tagli alle mercedi; molti detenuti, inoltre, sottolineano l'esiguità dei compensi; un detenuto lavorante, con la mansione di spesino, mostra la sua busta paga del mese di maggio: 74 euro, che si riducono a 41 euro per le varie trattenute (fra le quali 13 euro vincolati per affrontare eventuali emergenze); un altro detenuto riferisce di guadagnare 19 euro ogni 10 giorni e denuncia: «lavoro 11 ore al giorno ma mi pagano per 1 ora e mezza»; l'istituto si sviluppa su quattro piani (oltre al piano terra, dove è ubicata l'infermeria) e non è dotato di ascensore; ogni piano corrisponde a una sezione; al primo piano sono ristretti i detenuti protetti; il secondo piano ospita detenuti in regime di alta sicurezza; il terzo e il quarto piano ospitano detenuti comuni in regime di media sicurezza; ogni sezione consta di 50 celle e si articola, a sua volta, in due semisezioni da 25 celle; a parte, in un'area del penitenziario prossima all'ingresso, si trovano la sezione femminile, in cui è ristretta anche una detenuta con un bimbo di età inferiore a 3 anni, e un piccolo reparto che ospita 3 detenuti semiliberi;
   le celle sono tutte di uguale dimensione (circa 9 metri quadrati): progettate per ospitare un detenuto, ne ospitano generalmente 2 e in alcuni casi 3; i detenuti trascorrono 20 ore al giorno chiusi in cella; tutte le celle sono sprovviste di doccia, in violazione dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000; l'erogazione di acqua è razionata, con una sospensione di 2 ore e mezzo al mattino (dalle 8.30 alle 11) e di 3 ore nel pomeriggio (dalle 14 alle 17); l'erogazione di acqua calda non è assicurata nemmeno nei mesi invernali; l'accesso alla doccia comune è consentito ogni giorno, tranne la domenica e i giorni festivi; in tutte le celle il letto a castello è fissato al pavimento in cemento; la condizione dei materassini di gommapiuma su cui sono costretti a dormire i detenuti è pessima; alle finestre sono applicate, oltre alle normali sbarre, reti a maglia stretta che ostacolano la visuale esterna e limitano la circolazione di aria e l'ingresso di luce naturale: secondo quanto riferito, queste reti sono state installate recentemente per evitare che i detenuti buttino i rifiuti dalla finestra; le celle non sono dotate di frigorifero;
   in molti casi nella stessa cella sono reclusi detenuti che scontano una condanna definitiva e detenuti in attesa di giudizio, senza che sia assicurata la separazione dei condannati dagli imputati;
   una delle maggiori criticità è connessa al ruolo e alle funzioni del magistrato di sorveglianza, che – come segnalato da moltissimi detenuti e come si appalesa dalle condizioni di detenzione, per molti aspetti non conformi alla normativa vigente – non riesce a espletare in modo pieno e puntuale i compiti che la legge gli affida; fino a non molto tempo fa era competente sul penitenziario teramano il magistrato di sorveglianza di Pescara, Alfonso Grimaldi; da circa un mese è subentrato un nuovo magistrato di sorveglianza;
   molti detenuti sottolineano che il rapporto con gli agenti di polizia penitenziaria è buono, mostrando piena comprensione del fatto che gli agenti sono costretti a lavorare sotto organico: «le guardie sono brave, con loro non abbiamo problemi»; «non possiamo lamentarci degli agenti, il problema è che nemmeno loro ce la fanno perché sono pochi»;
   la prima sezione è destinata ad ospitare detenuti «protetti»: sex offender, ex appartenenti alle forze dell'ordine ed ex collaboratori di giustizia;
   nella «prima semisezione sud» sono ristretti i cosiddetti sex offender; G.decreto-legge ristretto nella cella n. 18, riferisce di non aver ricevuto alcuna risposta all'istanza rivolta al magistrato di sorveglianza per scontare il residuo della pena presso il proprio domicilio, ai sensi della legge n. 199 del 2010: «mi restano da scontare 10 mesi, ho fatto richiesta più di due mesi fa ma non mi ha mai risposto nessuno; qui il magistrato di sorveglianza non è mai venuto»;
   G.T. anch'egli ristretto nella cella n. 18, dice di aver presentato domanda per un colloquio con il magistrato di sorveglianza da circa un anno, senza aver mai ricevuto alcuna risposta; G.T. inoltre lamenta le condizioni del materasso: «guardate in che stato è, io sono allergico, mi gratto tutto il tempo»;
   un detenuto ristretto nella cella n. 5 denuncia carenze nell'assistenza sanitaria: «ho un problema alla mano, ho subito un intervento al carpale, ma il chirurgo non viene»; e ancora: «sono senza denti, ho chiesto la dentiera ma non me l'hanno messa»; M.L.F. ristretto nella cella n. 8, lamenta: «ho una lesione D10 e D11, ho l'incompatibilità con il regime carcerario firmata dal direttore sanitario; quando ero fuori prendevo un medicinale, il Frontal, che qui non riesco ad avere, me lo hanno dato solo nel primo perito, la psichiatra ha fatto l'impossibile ma è una sola»;
   G.C. ristretto nella cella n. 8, riferisce di soffrire di apnee notturne di grado severo e mostra una macchina di ausilio per la respirazione notturna: «ho bisogno di questa macchina per respirare, il problema è che il filtro diventa nero dopo 4 giorni; loro dicono che posso stare, io sono qua da un anno e 2 mesi, ho fatto istanza per l'affidamento ai servizi sociali»; un detenuto ristretto nella cella n. 14 afferma di trovarsi molto meglio in questo istituto che nel carcere napoletano Poggioreale, da cui proviene, ma aggiunge: «io sono definitivo con fine pena nel 2023, non dovrei stare in questo carcere che è una circondariale, giusto ? Dovrei stare in una casa di reclusione»;
   nella cella n. 10 è ristretta M. (all'anagrafe S.S. detenuta transessuale che vorrebbe essere trasferita nel carcere romano di Rebibbia, dotato di un apposito reparto per persone transessuali; riferisce di trovarsi nel carcere di Castrogno da quasi 3 anni e lamenta il fatto di non avere la possibilità di fare la doccia da sola: «non sono operata, ho preso ormoni; mi costringono a fare la doccia con gli uomini, loro mi insultano, mi chiamano frocio, si masturbano, io vorrei fare la doccia da sola»; questa detenuta transessuale riferisce di averne parlato con due magistrati di sorveglianza, un anno fa e nel mese di aprile, senza che il suo problema abbia a tutt'oggi avuto soluzione: «un anno fa ho parlato con il dottor Grimaldi, ad aprile con un magistrato di sorveglianza donna; io vorrei andare a Rebibbia»;
   i detenuti della cella n. 23 denunciano l'assenza del magistrato di sorveglianza: «il magistrato di sorveglianza non si vede mai, ho fatto la domanda per un colloquio 3 mesi fa e non mi ha risposto»; «sono in questo carcere da 2 anni: qua, a visitare le celle per vedere come stiamo, il magistrato di sorveglianza non è venuto mai una volta»;
   un detenuto ristretto nella cella n. 25 afferma: «vorrei chiedere una cortesia per un mio compagno di cella, lui è un clochard, non ha abitazione, i servizi sociali sono sempre assenti»; questo detenuto senza fissa dimora, di nome A.S. conferma: «sono 2 anni e mezzo che sto qua, l'assistente sociale mi ha chiamato solo una volta la prima settimana»; S.S. detenuto con trascorsi di dipendenza da cocaina, mostra la foto del figlio di 3 anni e racconta commosso la sua vicenda: «io lavoravo, ero in affidamento ai servizi sociali, ora sono in carcere da 6 mesi, mi hanno arrestato perché mi trovavo in un posto che non corrispondeva all'itinerario prescritto per andare al lavoro, ma io ho deviato soltanto per andare in un centro commerciale per acquistare un anellino per mia moglie che era incinta; mi hanno arrestato e ho avuto anche la disgrazia che mia moglie abbia perso il figlio che portava in grembo»;
   il vano doccia comune è composto da tre postazioni doccia sprovviste di diffusore; le condizioni sono discrete: buone quelle del pavimento, meno buone quelle del tetto; anche alla finestra del vano doccia sono applicate reti a maglia stretta;
   nella «prima semisezione nord» sono ristretti ex appartenenti alle forze dell'ordine ed ex collaboratori di giustizia;
   J.P. detenuto di 37 anni ristretto nella cella n. 26, appare in stato di grande sofferenza e riferisce di soffrire di disturbi da attacchi di panico (DAP): «sto veramente male, non sono compatibile con il carcere»;
   E.T. detenuto diabetico, cardiopatico e con 6 by-pass, afferma che da circa 20 giorni non gli passano più il farmaco Folina perché la farmacia dell'ospedale ne è sprovvista e non glielo fanno nemmeno comprare; il figlio F.T. detenuto nella stessa cella, soffre di apnee notturne e avrebbe bisogno di un apparecchio per respirare che però da 4 mesi non gli viene fornito;
   H.I. detenuto rumeno ristretto nella cella n. 38, lamenta condizioni di salute a suo dire incompatibili con la detenzione, e mostra un documento redatto dall'ASL di Teramo in data 11 luglio 2012 da cui risulta che il detenuto è affetto da diabete insulino-dipendente, grave polineuropatia sensitiva e motoria agli arti inferiori con difficoltà deambulatoria, esiti di orchiectomia parziale sinistra con disfunzione erettile, varici agli arti inferiori con insufficienza venosa cronica, bronchite asmatiforme, insonnia;
   R.T. detenuto di 49 anni di Giulianova (Teramo), versa in condizioni di estrema povertà e vorrebbe un sussidio per acquistare generi di prima necessità: «non ho soldi, sono solo, la mia famiglia è morta tutta quanta, non ho soldi nemmeno per fare la barba, vorrei un sussidio almeno per comprare le lamette da barba o un bagnoschiuma»;
   D.V. ristretto nella cella n. 46 afferma di aver fatto richiesta di colloquio con il magistrato di sorveglianza almeno 2 anni e mezzo fa, ma non gli è stato mai accordato; molti detenuti lamentano che i giorni di liberazione anticipata vengono concessi con grande ritardo; qualche detenuto afferma: «i giorni di liberazione anticipata arrivano quando siamo già usciti, tanto ci fanno aspettare»;
   la delegazione prosegue la visita recandosi al secondo piano; la seconda sezione ospita 115 detenuti in regime di alta sicurezza; l'apertura, ad opera degli agenti, delle porte da cui si accede alle varie sezioni richiede un tempo di attesa superiore a due minuti, a causa della carenza di personale; il vice comandante a tal proposito afferma: «abbiamo chiesto all'Amministrazione di dotarci di cordless per comunicare fra di noi, ma ci ha detto di no adducendo ragioni di sicurezza non meglio specificate; questi tempi di attesa sono un problema quando c’è qualcuno che sta male»; la delegazione inizialmente si reca nella «seconda semisezione nord»;
   nella cella n. 34 sono ristretti 3 detenuti sistemati in un letto a castello a tre piani; questi detenuti denunciano l'impossibilità di accedere ai corsi scolastici: «qui non c’è scuola, noi dell'alta sicurezza non possiamo frequentare i corsi»; anche i detenuti di altre celle lamentano il fatto di non poter seguire i corsi scolastici;
   per i soli detenuti comuni, invece, sono attivi corsi di scuola elementare, media, e istituto alberghiero: quest'ultimo con classi di prima e di secondo anno e con circa 18 partecipanti ai corsi nel 2012;
   il penitenziario di Castrogno ha una dislocazione extraurbana e collinare ed è difficilmente raggiungibile con i mezzi del trasporto pubblico; in relazione a quest'aspetto, molti detenuti sottolineano le difficoltà che affrontano i familiari per recarsi presso l'istituto per lo svolgimento dei colloqui: «per i colloqui è complicato, il carcere non è collegato dal punto di vista dei trasporti»;
   le salette per i colloqui sono due e, secondo quanto riferito, i tempi di attesa per i familiari sono piuttosto lunghi; un detenuto riferisce che la moglie e i 3 figli si mettono in fila alle 8.00 del mattino e riescono ad entrare generalmente intorno alle 12; «con 400 detenuti i tempi di attesa per i colloqui inevitabilmente si dilatano», spiega il vicecomandante, che aggiunge: «però diamo la possibilità di accorpare le ore per chi ha familiari che vengono da lontano»; le salette per i colloqui hanno ancora il muretto divisorio, in violazione della normativa vigente: «non è stato fatto alcun intervento, sono rimaste così come le avete viste nel 2009», riferisce il vice comandante De Amicis;
   alcuni detenuti lamentano carenze nell'assistenza sanitaria: «se stai male qui ti danno la pillola che cura tutto»; un detenuto della cella n. 36, seconda semisezione nord, racconta: «sono stato male per un'infezione alla prostata, avevo la febbre a 40 gradi, avevo il catetere con il sangue dentro e la dottoressa nemmeno mi ha controllato»;
   alcuni detenuti sottolineano di non aver potuto fare la doccia nonostante il caldo soffocante: «oggi è ferragosto, la domenica e i festivi niente doccia»; altri evidenziano l'assenza di acqua calda;
   M.G.F. ristretto nella cella n. 38, ha visto rifiutarsi «per motivi di sicurezza» l'istanza ai trasferimento in Calabria dove vive la figlia di dieci anni con un grave disturbo neurologico; il detenuto in questione viene comunque tradotto in Calabria, nel penitenziario di Catanzaro-Siano, in occasione delle udienze processuali; un detenuto ristretto nella cella n. 30 afferma: «con queste reti alle finestre non ci vedo più, gli occhi mi si stanno ammalando»;
   V.B. ha presentato istanza di trasferimento a Rebibbia, Frosinone e Viterbo, ma gli è stata rigettata nonostante la motivazione della domanda fosse legata non solo alla necessità di stare vicino alla famiglia, che è residente a Napoli, ma anche alle specifiche necessità della figlia di 4 anni non vedente, in attesa di trapianto della cornea, che può incontrare solo in istituti che abbiano sale colloqui adeguate: «il medico ha attestato che mia figlia non può affrontare un viaggio lungo e ha bisogno di una sala asettica per il colloquio», riferisce; V.B., che ha altri tre figli minori dei quali il più grande ha dieci anni, aggiunge: «faccio pochi colloqui perché mia moglie deve badare a nostra figlia»; G.E. detenuto di 64 anni, riferisce di essere gravemente malato e di aver fatto richiesta di colloquio con il magistrato di sorveglianza da almeno 5 o 6 mesi, senza aver ricevuto alcuna risposta;
   molti detenuti denunciano che «l'educatrice, la psicologa e l'assistente sociale qui non si vedono mai»;
   alcuni detenuti in passato hanno lavorato ad un progetto (il progetto L.A.D.) volto alla pitturazione delle celle, finanziato dalla cassa delle ammende; da qualche tempo i lavori sono stati sospesi a causa della carenza di agenti di polizia penitenziaria: «io vorrei lavorare, ma hanno fermato i lavori perché non ci sono le guardie che ci guardano», racconta un detenuto; «non abbiamo materialmente agenti che stiano a controllare», conferma il vice comandante, sottolineando che accanto alla carenza di personale c’è il sovraffollamento ad ostacolare il proseguimento di questa esperienza: «è evidente che se pitturiamo una cella, in quell'ambiente non possono dormire»;
   alcuni detenuti, facendo riferimento all'ubicazione della cabina telefonica (posta nel corridoio della sezione), lamentano il fatto che le telefonate non possano svolgersi in un luogo adeguato a garantire la riservatezza delle comunicazioni; la delegazione si reca nella «seconda semisezione sud»;
   U.B. ventunenne di Rosarno (Reggio Calabria) ristretto nella cella n. 3, racconta che la madre è reclusa nel carcere di Vigevano, il padre nel carcere dell'Aquila e i fratelli negli istituti di Viterbo e Benevento: «vorrei andare in un istituto dove c’è uno dei miei fratelli perché mia sorella è l'unica fuori e non ce la fa a girare tutte le carceri»; U.B. inoltre lamenta l'impossibilità di accedere a corsi scolastici: «sono arrivato qui a 18 anni, volevo proseguire la scuola superiore ma qui non c’è possibilità di studiare»;
   L.A.P. ristretto nella cella n. 19, riferisce di aver presentato diverse istanze di trasferimento per avvicinarsi alla famiglia che risiede in provincia di Palermo, senza aver mai ricevuto alcuna risposta: «non vedo le mie figlie dal novembre del 2009, sto qui da un anno e mezzo e non ho mai fatto un colloquio, ho chiesto di andare al Pagliarelli, anche per un breve periodo; la prima domanda l'ho fatta circa 9 mesi fa, l'ultima un mese fa, mai una risposta; prima ero nel carcere di Palmi: avevo chiesto un avvicinamento alla famiglia, e invece mi hanno dato un allontanamento»;
   molti detenuti lamentano l'assenza di attività: «non c’è un corso, non c’è la possibilità di studiare, nella saletta della socialità non ci sono nemmeno un tavolo e uno sgabello e il calcetto non funziona; se facciamo la domandina per parlare con l'educatore non ti chiama nessuno; va bene che noi siamo alta sicurezza, ma in questo modo non riusciamo ad andare avanti, possiamo fare 30 anni così ? Di quale rieducazione stiamo parlando ?»; un detenuto afferma: «qui ci dicono che se vogliamo 5 giorni di permesso dobbiamo collaborare»;
   C. lamenta di non aver ricevuto risposta alle domande presentate alcuni mesi fa per avere un colloquio con il direttore e con l'educatrice; questo detenuto riferisce di essere ormai prossimo alla liberazione e si dice preoccupato per i tempi burocratici di restituzione dei soldi che ha sul libretto: «so che a un altro detenuto che sul libretto aveva 1.000 euro gliene hanno dati soltanto 200 euro e gli altri dopo 4 mesi»;
   la delegazione prosegue la visita recandosi nella terza sezione (3 piano), che ospita detenuti comuni in regime di media sicurezza; le condizioni di manutenzione della struttura sono peggiori rispetto a quelle dei piani inferiori;
   i detenuti della «terza semisezione nord» lamentano l'assenza di attività e le condizioni in cui sono costretti a vivere: «con questo pavimento in cemento mangiamo polvere dalla mattina alla sera», afferma un detenuto; molti sottolineano lo stato di avanzato deterioramento dei materassi: «questi materassini in spugna sembrano colla, sono appiccicosi, non li cambiano non da anni ma da decenni, sono scaduti e strascaduti, c’è la forma della persona»; nella saletta ricreativa è presente soltanto un tavolo da ping pong inutilizzabile perché sprovvisto di racchette e pallina; oltre alle sbarre, reti a maglia stretta sono applicate alle finestre della sala ricreativa e della doccia comune;
   «l'educatore non funziona bene: se ti chiama, lo fa dopo diversi mesi dalla domandina», evidenziano in tanti;
   S.A. detenuto di 71 anni ristretto nella cella n. 28, appare in cattive condizioni di salute, è completamente sdentato e non riesce a parlare; N.H. riferisce di essere il suo piantone volontario («lo faccio gratis, spero che almeno mi possa fruttare come buon comportamento») e segnala che S.A. ha problemi al cuore, è stato operato alla lingua e non mangia da 3 giorni: «dovrebbe avere il vitto liquido ma non lo ottiene tutti i giorni, a volte gli danno il vitto solido, ma lui non può mangiarlo»;
   A.P. ristretto nella cella n. 35, riferisce di non vedere da un anno e mezzo il padre malato e di aver presentato per questo un'istanza di avvicinamento colloqui nelle carceri di Secondigliano (Napoli), Avellino, Benevento, Cassino, Santa Maria Capua Vetere: «mio padre ha un tumore, non può viaggiare, ogni tanto viene a trovarmi mia madre ma solo se l'accompagna qualche amica; io sono in questo carcere da 3 mesi, prima ero a Poggioreale, non ho mai preso un rapporto e ho sempre tenuto un buon comportamento: anche se a Poggioreale eravamo 11 in una cella, preferivo stare lì perché la lontananza dalla famiglia mi pesa troppo, soprattutto per le condizioni di salute di mio padre»;
   C.M. ristretto nella cella n. 30, riferisce di aver presentato al magistrato di sorveglianza l'istanza di concessione dei giorni di liberazione anticipata più di otto mesi fa, il 7 gennaio 2012, aver ricevuto alcuna risposta;
   in una cella della «terza semisezione sud» è ristretto G.S. che riferisce di essere tossicodipendente e iscritto al Ser.T. dal 1993, e lamenta: «il dottor Paolini, responsabile dell'area sanitaria, e il dottor Valerio Filippo Profeta, medico del Ser.T., dicono che non sono tossicodipendente e dunque non ho la possibilità di accedere alla comunità, ma io sono tossicodipendente ! Come fanno a sostenere il contrario ?»;
   un detenuto recrimina di non riuscire a vedere la televisione dal letto: «con questi letti saldati a terra non c’è nulla da fare: chi sta giù non può vedere la tv»;
   un detenuto della cella n. 2 afferma di non aver potuto spedire alla prima firmataria del presente atto una barca a vela costruita in cella: «volevo mandargliela ma non mi hanno consentito di inviarla»;
   C.P. ristretto nella cella n. 17, racconta di aver fatto richiesta di poter essere presente al funerale della nonna, morta il 1° febbraio, 2012, e di non aver ricevuto alcuna risposta: «avrebbero potuto dirmi no, non puoi andarci, invece non mi hanno detto nulla»; A.A.D.S. riferisce di essersi visto rigettare la richiesta di trasferimento a Napoli, dove vorrebbe tornare per stare vicino al figlio di 7 anni che ha gravi disturbi psicologici dovuti proprio alla separazione dal padre; non vede il figlio dal 16 aprile; il tetto del vano doccia della «terza semisezione sud» è in pessime condizioni a causa dell'umidità;
   i detenuti accompagnano l'uscita della delegazione dal reparto con applausi e cori («Pannella è uno di noi»);
   anche la quarta sezione ospita detenuti comuni in regime di media sicurezza: in questo piano però sono presenti principalmente detenuti stranieri e detenuti con problemi di tossicodipendenza; la delegazione si reca inizialmente nella «quarta semisezione nord»; L.B. ristretto nella cella n. 50, non ha ricevuto alcuna risposta all'istanza presentata lo scorso 25 aprile 2012 per chiedere di poter scontare il residuo della pena presso il proprio domicilio, ai sensi della legge n. 199 del 2010; questo detenuto riferisce di avere un lavoro e di aver chiesto, con istanza presentata sempre il 25 aprile 2012, di poter usufruire della misura dell'affidamento in prova al servizio sociale, senza aver ricevuto anche in questo caso alcuna risposta; inoltre, L.B. dice di aver presentato il 30 aprile istanza di liberazione anticipata: «ma ancora niente, non riesco ad avere nemmeno i 45 giorni di liberazione anticipata, il magistrato di sorveglianza non risponde»;
   nella cella n. 45 è ristretto A.E. che finisce di scontare la sua pena nell'agosto del 2013, e afferma di avere un tumore alla prostata e di essere stato dichiarato incompatibile con il regime carcerario sia dai sanitari del carcere di Regina Coeli che da quelli del carcere di Teramo, ma la sua istanza è stata rigettata perché il magistrato di sorveglianza sostiene, invece, che il suo stato di salute è perfettamente compatibile;
   M.D.G. ristretto nella cella n. 44, è un detenuto tossicodipendente che, piangendo, riferisce di aver tentato il suicidio: «sto male, ho ansia, il Ser.T. non mi segue; ho 4 figli piccoli: due gemelli di 4 anni, uno di 3 anni e l'ultimo ha un anno e mezzo; sono stato arrestato per un vecchio reato risalente al 2002, prima lavoravo come operatore ecologico, adesso ho finito, sono povero, ho cercato di togliermi la vita»;
   M.F. è un detenuto tunisino che da tempo è sceso sotto i 2 anni di residuo pena: per questo motivo ha presentato 7 mesi fa la richiesta di essere espulso nel suo Paese, ma non ha mai ricevuto risposta; stesso discorso per il suo compagno di cella C.R. che ha presentato l'istanza 2 mesi fa; il fratello di M.F. si è suicidato il 12 settembre 2009 nel carcere di Prato;
   J.C.N.W.N. detenuto ruandese ristretto nella cella n. 35, non ha ancora ricevuto alcuna risposta all'istanza di liberazione anticipata presentata il 15 maggio scorso;
   molti detenuti sottolineano l’«inesistenza» di assistenza psichiatrica e psicologica;
   G.D.S. giovane detenuto ristretto nella cella n. 37, racconta commosso: «dall'inizio dell'anno in questo carcere si sono suicidati quattro di noi e non è stata fatta nemmeno una messa per ricordarli, ci sono rimasto male»; G.D.S. prosegue: «ho chiesto di andare in cappella per fare una preghiera, ho fatto un'apposita domanda, ma niente, io sono qua da 4 mesi, non l'abbiamo mai visto un cappellano e la messa non si fa»;
   E.H. e A.E. ristretti nella cella n. 39, riferiscono di essere in attesa di giudizio da 10 mesi e mostrano grande preoccupazione per la loro sorte processuale; questi detenuti conoscono pochissime parole di italiano;
   nella cella n. 42 sono ristretti M.M. detenuto della Sierra Leone, e J.O. nigeriano di 40 anni; quest'ultimo riferisce di trovarsi in carcere da meno di un mese e di non conoscere le ragioni del suo arresto;
   un numero consistente di detenuti stranieri non parla e non comprende la lingua italiana, dichiara di non conoscere la propria situazione processuale e riferisce di non aver mai incontrato il proprio difensore d'ufficio;
   molti detenuti, specialmente stranieri, versano in condizioni di totale indigenza e affermano di non ricevere alcun sussidio, nemmeno per fare fronte ad esigenze primarie;
   A.B.F. detenuto tunisino, è disperato perché gli è arrivato un vecchio definitivo del 1998 (in tutto 6 anni, di cui 3 scontati); prima dell'arresto si è sposato e ha avuto 3 bambine che vivono con la madre a Martinsicuro: «così ho perso tutto»; gli hanno rigettato l'istanza di affidamento in prova presso l'impresa edile dello zio;
   R.T. detenuto rumeno, riferisce di avere un residuo pena di 6 mesi e di aver presentato domanda per finire di scontare la condanna in Romania, senza aver mai ricevuto alcuna risposta; anche J.A.B. con un residuo di pena da scontare inferiore a 2 anni, ha chiesto di poter tornare in Romania; 
   C.F. racconta che il 4 luglio 2012, gli è nata una bambina e ha chiesto di poterla riconoscere, ma nessuno gli ha fatto sapere alcunché; la delegazione visita, infine, la «quarta semisezione sud»;
   alcuni detenuti lamentano le condizioni di estrema povertà in cui sono costretti a vivere: «non abbiamo i soldi nemmeno per lo shampoo»; altri evidenziano la scarsa varietà del vitto: «da 3 giorni mangiamo solo riso, qui ci danno sempre e solo riso»;
   B.C. è un marocchino di 23 anni ristretto nella cella n. 3; questo detenuto, che presenta vistose cicatrici in diverse parti del corpo (braccia, petto, pancia, cosce), conseguenza di atti di autolesionismo, appare in stato di forte agitazione e racconta così la sua vicenda: «ho problemi di tossicodipendenza con la cocaina, il Ser.T. non funziona, per calmarmi mi danno una terapia, il farmaco si chiama Akineton; prima ero nel carcere di Marassi (Genova), poi 6 mesi a Verona, ora qua da 3 mesi; a Verona sono stato sempre al 14-bis, anche qui, ora me l'hanno tolto da 3 giorni; a Verona ho tentato il suicidio tre volte; qui non mi aiuta nessuno, sono senza soldi, vorrei almeno lavorare; 3 mesi fa ho fatto la domanda per tornare in Liguria per stare vicino alla mia ragazza, non mi hanno risposto neppure per dirmi di no»;
   H.E.H. detenuto tunisino di 29 anni, riferisce di essere in carcere dal 2008 e di avere il fine pena nel giugno 2013; il suo timore è di essere espulso in Tunisia, mentre lui vorrebbe andare in Francia, dove dice di avere i documenti e un figlio di 4 anni: «sto qua senza fare colloqui, senza la famiglia, senza soldi, senza lavoro; ho girato 7 carceri, ormai ho quasi finito la mia pena ma non voglio tornare in Tunisia, lì c’è una situazione di guerra, voglio andare in Francia dal mio bambino; sono dentro per violazione della legge sulla droga»; un detenuto della cella n. 10 lamenta: «stiamo chiusi tutto il giorno, ho fatto mille domandine per parlare con il magistrato di sorveglianza ma non mi ha risposto, ho scritto anche al direttore ma nemmeno lui mi ha risposto, mi mancano soltanto 10 mesi da scontare, vorrei qualche lavoretto, sarei disposto pure a lavorare gratis, come volontario, pur di non stare tutto il giorno chiuso in cella»;
   M.D. ventisettenne albanese ristretto nella cella n. 15, ha un residuo pena di circa 17 mesi e afferma di aver presentato sia un'istanza per accedere alla misura alternativa di affidamento in prova al servizio sociale sia, in alternativa, una richiesta di trasferimento in Albania, dove vive la famiglia; non ha ancora ricevuto risposta;
   C.O. ristretto nella cella n. 4, ha fatto richiesta di trasferimento negli istituti di Napoli Secondigliano, Benevento e Isernia, per stare più vicino alla famiglia; ha 5 figli, tutti minorenni; questo detenuto inoltre riferisce di aver fatto richiesta di un colloquio con il magistrato di sorveglianza, senza ancora essere riuscito a incontrarlo: «è da un anno che faccio domande per parlare con il magistrato di sorveglianza, qui non esiste il magistrato di sorveglianza»;
   nella cella n. 17 sono ristretti due gemelli macedoni di 25 anni: V.M. riferisce di aver indirizzato al magistrato di sorveglianza un'istanza per un permesso, e di non aver ricevuto alcuna risposta dopo oltre 2 mesi dalla presentazione della domanda; A.M. soffre di vene varicose e lamenta carenze nell'assistenza medica; L.M. ristretto nella cella n. 24, ha il fine pena nel febbraio 2013 e lo scorso 24 giugno ha presentato la domanda per scontare il residuo della pena presso il proprio domicilio, ex legge n. 199 del 2012: «ancora non mi ha risposto nessuno»;
   F.T. detenuto di 25 anni ristretto nella cella n. 22, ha il fine pena nel 2018 e vorrebbe seguire corsi di liceo scientifico, che nel carcere di Teramo non sono attivi; per questo ha presentato una richiesta di trasferimento nella casa di reclusione di Porto Azzurro (Livorno);
   M.R. detenuto rumeno di 27 anni recluso nella cella n. 25, ha un residuo pena di 6 mesi e lamenta di non aver ricevuto alcuna risposta all'istanza presentata circa 3 mesi fa per scontare il residuo della pena presso il domicilio, ai sensi della legge 199 del 2010; con riferimento all'assenza dell'ascensore, l'ispettore Rapini evidenzia la gravità di questo limite strutturale: «in questo carcere abbiamo detenuti malati di cuore: in caso di emergenza come li portiamo fuori ?»;
   secondo quanto riferito da molti detenuti, gli spazi dove si svolgono le ore d'aria (i cosiddetti passeggi) sono dotati di una copertura molto piccola, che assicura una zona d'ombra solo al mattino ma non al pomeriggio: «di pomeriggio c’è sempre il sole e il passeggio è un forno crematorio»;
   l'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario), stabilisce che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»;
   l'articolo 15 della medesima legge prescrive che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie»; il comma 2 dell'articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), dispone che «particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale»; l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell'istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati»; il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali. (...)» –:
   quali siano le ragioni per le quali, nonostante le segnalazioni contenute nelle interrogazioni a risposta scritta – n. 4-04862 (visita ispettiva del 2 novembre 2009) e n. 4-05612 (visita ispettiva del 25 dicembre 2009), non si sia ritenuto di dover intervenire per rimuovere le evidenti illegalità riguardanti il carcere di Teramo-Castrogno;
   quali urgenti iniziative si intendano assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del carcere di Castrogno; in particolare, entro quali tempi si preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti; cosa intendano fare, negli ambiti di rispettiva competenza, per garantire il diritto alla salute dei detenuti e, in particolare, entro quali tempi verrà ripristinata un'adeguata assistenza psicologica e psichiatrica;
   cosa si intenda fare per garantire ai detenuti l'attività trattamentale, sia essa di studio e/o di formazione e lavoro, atta a preparare il futuro reinserimento sociale previsto dall'articolo 27 della Costituzione;
   se non si intendano adottare le opportune iniziative al fine di aumentare l'organico degli agenti penitenziari, degli educatori e per quanto di competenza degli psicologi e degli assistenti sociali in servizio presso il predetto istituto di pena, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone recluse;
   se non si ritenga di dover urgentemente disporre il completo rifacimento della vetusta ed obsoleta sala-colloqui, dotata ancora del vietato muretto divisorio, in modo da garantire un miglior contatto umano tra detenuti e familiari e, più in generale, entro quali tempi verrà garantito un normale funzionamento dell'istituto quanto alla manutenzione, al riscaldamento, all'accesso quotidiano alle docce;
   per quale ragione si sia deciso di installare recentemente le vietate grate a maglie strette davanti alle sbarre delle finestre, limitando in tal modo sensibilmente l'ingresso della luce; se ed in che modo si intendano potenziare, all'interno della struttura penitenziaria in questione, le attività di orientamento e formazione al lavoro e di ricerca di posti di lavoro da offrire ai detenuti, in particolar modo per quelli che hanno quasi finito di scontare la pena; se ritenga di dover intervenire affinché siano separati i detenuti imputati da quelli già condannati;
   quale sia il carico di lavoro della magistratura di sorveglianza di Teramo e se intenda assumere iniziative ispettive in considerazione di quella che agli interroganti risulta essere un'inadeguata e carente risposta alle istanze avanzate alla stessa da parte dei detenuti;
   se, in base ai commi 1 e 2 dell'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 il magistrato di sorveglianza di Teramo vigilando come è suo compito sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena abbia mai prospettato al Ministro della giustizia le esigenze dei vari servizi del carcere di Teramo-Castrogno con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo;
   se il Ministro della giustizia intenda intervenire in merito ai casi descritti in premessa;
   stante la richiesta di alcuni detenuti del carcere di Teramo-Castrogno di poter scontare la pena o vivere la custodia cautelare vicino al proprio contesto familiare, cosa intenda fare il Ministro per rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto del detenuto con i propri familiari e i figli, specie in età minore;
   se il Governo non intenda assumere iniziative volte a destinare maggiori fondi e risorse al potenziamento delle misure alternative al carcere, anche attraverso la creazione di percorsi protetti di reinserimento sociale e lavori socialmente utili per tutti i condannati a pene inferiori ai tre anni di reclusione;
   quali iniziative abbia intrapreso il Governo a seguito dei quattro suicidi che si sono verificati quest'anno nel carcere di Teramo;
   se non ritenga di dover intervenire per assicurare la mediazione culturale per i detenuti stranieri che non sono nemmeno in grado di conoscere la propria condizione processuale;
   se e quali iniziative intenda assumere per rendere effettiva la possibilità per i detenuti stranieri che lo richiedano di scontare gli ultimi due anni di pena nel Paese d'origine; se non ritenga di dover intervenire per assicurare l'assistenza religiosa, messa domenicale compresa, richiesta da un buon numero di detenuti anche assumendo gli opportuni contatti con la Curia di Teramo;
   di quali elementi disponga il Governo con riferimento all'attuazione della legge n. 199 del 2010, e quali iniziative, anche normative, di competenza intenda assumere al riguardo qualora rilevasse che tale attuazione è insoddisfacente. (5-08307)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa e, in particolare, dal sito www.polpen.it, potrebbe slittare l'apertura del carcere di Bancali: l'inaugurazione, inizialmente prevista per ottobre, sembra infatti slittare in primavera. Il problema sarebbe legato a ritardi sulle procedure amministrative come i collaudi;
   in attesa il vecchio carcere di Sassari è stato oggetto di una visita della delegazione di consiglieri provinciali della commissione sanità. Durante l'ispezione del penitenziario fino alla rotonda, accompagnati dal comandante della polizia penitenziaria Sandra Cabras, i consiglieri hanno appreso che tra i 130 reclusi ci sono anche ben quattro bambini in fasce. Uno ha pochissimi giorni: alla mamma detenuta è stato dato giusto il tempo di partorire, per poi tornare dentro quando il neonato aveva soli tre o quattro giorni. Altri camminano appena. Ma tutti e otto, madri e figli, sono costretti a vivere nel «nido», una grande cella con qualche gioco –:
   quali siano le cause esatte che impediscono l'apertura del carcere di Bancali per il prossimo mese di ottobre e se non siano ravvisabili eventuali responsabilità in merito a questo ritardo;
   se intenda intervenire per fare in modo che i bambini detenuti con le loro madri nel carcere di Sassari possano avere nel corso della giornata momenti di vita all'esterno dell'istituto senza vivere 24 ore su 24 l'incubo delle sbarre;
   se vi siano e quanti siano ad oggi i bambini sotto i tre anni reclusi in carcere insieme alle madri. (5-08308)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   domenica 19 agosto 2012 l'interrogante è tornata a visitare il carcere di Potenza accompagnata dagli esponenti radicali, Maurizio Bolognetti e Maria Antonietta Ciminelli;
   il giorno della visita i detenuti presenti erano 114 a fronte di una capienza regolamentare di 156 posti secondo la risposta del Governo all'interrogazione n. 5-06717 e di 210 secondo quanto pubblicato sul sito del Ministero della giustizia;
   fatto sta che tutti i detenuti si trovano ristretti nella sezione penale, essendo quella giudiziaria chiusa per ristrutturazione e il sovraffollamento è immediatamente visibile dalla presenza di letti a castello, come nella cella n. 8 dove si trovano i cosiddetti «protetti», sistemati in due letti a castello, uno a due piani e l'altro a tre; i detenuti stranieri sono in tutto 16; i tossicodipendenti sono in tutto 30;
   i detenuti escono dalle loro celle per le canoniche 4 ore d'aria e per 2 ore da trascorrere nella saletta della socialità; spesso nelle stanze detentive convivono tanto i detenuti condannati quanto quelli che sono in attesa di giudizio; l'offerta scolastica si limita alle elementari e alle medie mentre durante l'anno si svolgono corsi di informatica e di vivaista ai quali però non possono partecipare i detenuti «protetti» per carenza di personale;
   nel carcere di Potenza, il rapporto fra detenuti e agenti è ottimo e alcuni ristretti napoletani lo confrontano con quello, pessimo, avuto con gli agenti di Poggioreale; gli agenti spiegano che sono riusciti ad organizzare un paio di mesi di cineforum e con orgoglio fanno notare una locandina intitolata «Olimpiadi all'ombra»: l'area trattamentale di concerto con l'area sicurezza ha organizzato, nel periodo 6 luglio-9 agosto, un torneo di calcetto a 8, un corso di basket e poi tornei di battimuro, morra cinese e sprint dei 10 metri (il «passeggio» non consente distanze maggiori); pur essendoci la biblioteca questa non viene utilizzata per mancanza di personale;
   quanto al lavoro, la delegazione trova la situazione migliorata: il salario non è così miserrimo come riscontrato nelle visite precedenti (poche decine di euro al mese): ora i giudicabili prendono 650/700 euro mensili mentre i definitivi sono retribuiti con circa 500 euro; unico neo è che le mercedi vengono corrisposte con 4-5 mesi di ritardo;
   dal punto di vista strutturale e di condizioni igienico-sanitarie si segnala un miglioramento generalizzato dell'istituto anche se permangono alcune vistose carenze che ancora colpiscono la dignità delle persone private della libertà nel carcere di Potenza: nelle celle 21, 22 e 23 c’è ancora il WC a vista e nella sala colloqui persiste il muretto divisorio; in aggiunta, in alcune celle, sono state recentemente installate davanti alle sbarre delle finestre delle reti a maglia stretta che riducono l'ingresso della luce e dell'aria; il muro di cinta non ha avuto alcun intervento manutentivo nonostante crolli a pezzi come segnalato in precedenti atti di sindacato ispettivo;
   nel carcere di Potenza non esiste il reparto e il servizio «nuovi giunti»;
   fra i detenuti incontrati, si segnalano i casi di:
    O.G. lamenta la distanza dalla famiglia e ci dice che ha 4 bambini; fortunatamente annuncia che il suo fine pena arriverà fra 110 giorni;
    A.M.F. da maggio ha chiesto un colloquio con il magistrato di sorveglianza senza aver ricevuto risposta; da tre mesi non può vedere i suoi 2 figli minori e le sue condizioni familiari sono così disagiate che sua moglie è ospite insieme ai due bambini della casa di accoglienza «Il Quadrifoglio»; il detenuto è molto preoccupato per il momento in cui uscirà dal carcere perché potrà disporre solo di un lavoro in nero (con i giorni di liberazione anticipata, sarà libero a febbraio del prossimo anno);
    M.B. deve scontare ancora molti anni (fine pena 2018); sei mesi fa, quando era detenuto a Poggioreale, ha presentato istanza per essere trasferito nella casa penale dell'isola di Gorgona per poter lavorare e riabilitarsi pienamente; non avendo ricevuto risposta, ha il dubbio che la sua richiesta non sia stata trasmessa al DAP; M.B. ha un figlio di 16 anni che vive con la madre, ha perso un fratello in un incidente automobilistico e ha visto morire un suo compagno di cella di soli 47 anni stroncato da un infarto;
    a G.C. manca solo un mese per finire di scontare la sua pena; è molto sconfortato perché ha due figli minori affetti da epilessia e uno dei due non lo vede da 17 mesi;
    A.P. come molti, è stato trasferito a Potenza da Poggioreale per sfollamento; a Poggioreale, il 20 marzo 2012, ha presentato istanza per accedere alla legge n. 199 del 2010 e successive modificazioni, ma ancora non ha ricevuto risposta; adesso gli mancano 11 mesi e teme che la risposta arrivi a ridosso del fine pena;
    B.P. anche lui si trova a Potenza da tre mesi per sfollamento dal carcere di Poggioreale; è molto preoccupato perché a Poggioreale aveva preparato tutte le carte per essere trasferito all'Istituto a Custodia Attenuata per Tossicodipendenti (I.C.A.T.T.) di Lauro e ora non sa più niente;
    D'O.S. il 12 giugno ha presentato istanza per accedere alla legge n. 199 del 2010 e successive modificazioni ma teme che la risposta arrivi quando avrà finito di scontare l'intera pena, cioè a febbraio 2013;
    M.E.B. è in una situazione di estrema indigenza e ha molto bisogno di svolgere un qualsiasi tipo lavoro;
    M.A.D. è stato trasferito dal carcere di Brescia dove ha potuto fare fino alla metà del terzo anno di geometra; nel carcere di Potenza non può proseguire gli studi perché le scuole si fermano alle medie;
    V.S. racconta che da incensurato è stato condannato a un anno e sette mesi per inosservanza del DASPO e che lui stesso si sia consegnato nel carcere di Potenza appena la sentenza è divenuta definitiva; il 20 luglio 2012 ha presentato istanza per accedere alla legge n. 199 del 2010;
    P.P. quando stava a Poggioreale, per l'esattezza l'8 maggio 2012, ha fatto richiesta per la concessione dei giorni di liberazione anticipata senza ricevere risposta; avendo un fine pena molto lungo, il 30 marzo del 2011 ha avanzato istanza per essere trasferito a Rebibbia, anche in questo caso, senza ottenere risposta;
    M.L.: si tratta di un caso già segnalato in un'interrogazione precedente della prima firmataria del presente atto; M.L. padre di cinque figli che vivono a Voghera fu trasferito a Potenza da Pavia; quando l'interrogante lo incontrò doveva scontare ancora 20 mesi di reclusione; ora gli mancano 9 mesi e, oltre al rigetto dell'istanza riguardante la legge n. 199 del 2010, si è visto respingere anche l'istanza di trasferimento con la motivazione che «le carceri della Lombardia sono sovraffollate»;
    C.L. trasferito da Secondigliano, racconta che la moglie e la figlia soffrono di epilessia e che in 3 anni e mezzo ha potuto vederle solo 10 volte. C.L. vorrebbe tornare a Secondigliano e ha presentato domanda di trasferimento;
    L.T. lamenta problemi per ottenere i benefici: un'azienda, è pronta ad assumerlo e pur avendo ottenuto il parere favorevole del Sert e della direzione, non riesce ad ottenere l'affidamento;
    P.P. sostiene di aver già scontato la condanna di 1 anno e sei mesi;
    B.P. vorrebbe essere trasferito a Napoli per stare vicino alla famiglia;
    S.D. ha fatto richiesta di accedere alla legge n. 199 del 2010 ma ancora non ha ricevuto risposta;
    G.M. è da dicembre a Potenza per un reato commesso nel 2002;
   il reparto femminile ospita 17 detenute; alcune di loro si lamentano di poter fare poche docce;
    C.R. è da due mesi in lista di attesa per un intervento chirurgico;
    M.F. e le sue compagne detenute A. e M. sono state trasferite a Potenza per sfollamento dal carcere di Pozzuoli; M.F. non vede il figlio di 3 anni da un anno e mezzo e il grande, che ha dieci anni, non lo vede da quando è stata trasferita, cioè da due mesi; anche i colloqui telefonici non le sono consentiti perché sono ancora in corso accertamenti sull'utenza;
   particolarmente toccante è stato per la delegazione l'incontro con una detenuta rumena 22enne entrata da pochi mesi in Italia che si esprimeva con difficoltà e che in un pianto a dirotto ha spiegato di non aver parlato con l'avvocato d'ufficio e di non sapere alcunché della sua condizione processuale;
   rispondendo alla precedente interrogazione n. 5-06717 il Ministero della giustizia aveva rappresentato che a causa della riduzione degli stanziamenti sui capitoli di spesa per l'edilizia penitenziaria non era stato ancora possibile eseguire gli interventi relativi: 1) alla ristrutturazione delle sale colloqui ai sensi dell'ordinamento penitenziario; 2) alla ristrutturazione del muro di cinta che richiede una spesa di importo pari a 5 milioni di euro; 3) al risanamento ed adeguamento al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 dei reparti detentivi e della sala colloqui: per il lotto dei lavori la spesa stimata è di 3.150.000,00 euro; 4) al ripristino dell'integrità delle coperture del fabbricato (la spesa prevista è di 32 mila euro); 5) al ripristino degli impianti termici, per un costo pari a 31 mila euro; 6) al ripristino dell'impianto antincendio per un importo di 15 mila euro;
   l'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario), stabilisce che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»;
   l'articolo 15 della medesima legge prescrive che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie»;
   il comma 2 dell'articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), dispone che «particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale»;
   l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell'istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati»;
   il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali. (...)» –:
   quali urgenti iniziative si intendano assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del carcere di Potenza; in particolare, entro quali tempi si preveda che l'istituto possa rientrare nella sua piena funzionalità;
   cosa si intenda fare per incrementare l'attività trattamentale, sia essa di studio e/o di formazione e lavoro, atta a preparare il futuro reinserimento sociale previsto dall'articolo 27 della Costituzione;
   se non si intendano adottare le opportune iniziative al fine di aumentare l'organico degli agenti penitenziari, degli educatori e, per quanto di competenza, degli psicologi e degli assistenti sociali in servizio soprattutto in vista della riapertura del reparto oggi chiuso;
   quando si interverrà per disporre il completo rifacimento della vetusta ed obsoleta sala-colloqui, dotata ancora del vietato muretto divisorio, in modo da garantire un miglior contatto umano tra detenuti e familiari e, più in generale, entro quali tempi verrà garantito un normale funzionamento dell'istituto quanto alla ristrutturazione del muro di cinta, al risanamento ed adeguamento dei reparti detentivi, al ripristino dell'integrità delle coperture del fabbricato, al ripristino degli impianti termici e dell'impianto antincendio;
   se ed in che modo si intendano potenziare, all'interno della struttura penitenziaria in questione, le attività di orientamento e formazione al lavoro e di ricerca di posti di lavoro da offrire ai detenuti, in particolar modo per quelli che hanno quasi finito di scontare la pena;
   se ritenga di dover intervenire affinché siano separati i detenuti imputati da quelli già condannati;
   se intenda assumere iniziative ispettive con riferimento a quella che agli interroganti risulta essere un'inadeguata e carente risposta della magistratura di sorveglianza alle istanze avanzate alla stessa da parte dei detenuti;
   se, in base ai commi 1 e 2 dell'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 il magistrato di sorveglianza di Potenza vigilando come è suo compito sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena abbia mai prospettato al Ministro della giustizia le esigenze dei vari servizi del carcere di Potenza, in particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo;
   se il Ministro della giustizia intenda intervenire in merito ai casi descritti in premessa;
   cosa intenda fare il Ministro per rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto dei detenuti nel carcere di Potenza con i propri familiari e i figli, specie in età minore;
   se il Governo non intenda assumere iniziative volte a destinare maggiori fondi e risorse al potenziamento delle misure alternative al carcere, anche attraverso la creazione di percorsi protetti di reinserimento sociale e lavori socialmente utili per tutti i condannati a pene inferiori ai tre anni di reclusione;
   se non ritenga di dover intervenire per assicurare la mediazione culturale per i detenuti stranieri che non sono nemmeno in grado di conoscere la propria condizione processuale;
   di quali elementi disponga il Governo con riferimento all'attuazione della legge n. 199 del 2010 e quali iniziative, anche normative, di competenza intenda assumere al riguardo qualora rilevasse che tale attuazione è insoddisfacente. (5-08309)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 2 settembre 2012 sul quotidiano La Repubblica è apparso un articolo di Conchita Sannino intitolato: «Incensurato e disabile: incarcerato per due birre»;
   l'articolo citato narra la storia di Marco Penza, 40enne, operatore sociale, disabile, condannato a trenta giorni di arresto per essersi posto al volante – tre anni fa – in stato di ebbrezza;
   l'uomo è affetto dall'infanzia da una grave malattia che poco tempo fa, dopo pellegrinaggi sofferti in vari ospedali, non gli ha risparmiato l'amputazione della gamba. Tuttavia, ha la sua vita e le sue relazioni, si occupa di sociale e lavora nella coop Marina Service di Casalvelino, nel cuore del Cilento, dove ha scelto di vivere;
   circa tre anni fa Marco Penza, senza alcun precedente penale, viene dunque denunciato a piede libero per guida in stato di ebbrezza, condannato a trenta giorni di arresto, all'uomo non viene concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena nonostante fosse incensurato;
   la condanna nel frattempo diviene definitiva e l'avvocato del detenuto non chiede nemmeno la sospensione dell'ordine di carcerazione entro il termine fissato dalla legge; cosicché l'uomo, prima tradotto nell'istituto di Vallo della Lucania e poi in quello di Fuorni (Salerno), si trova in carcere da dieci giorni in attesa che il magistrato titolare del fascicolo «torni dalle ferie» per pronunciarsi sulla richiesta di detenzione domiciliare;
   in un primo momento un operatore della polizia penitenziaria è persino costretto, dalle norme, a privare l'uomo della protesi alla gamba. Solo dopo qualche giorno e dopo le proteste degli altri detenuti, finalmente al signor Penza viene restituito l'arto finto;
   l'incredibile vicenda è stata portata alla luce da Silvia Ricciardi dell'associazione Jonathan, che si occupa del recupero dei minori a rischio dell'area penale, la quale ha dichiarato: «A volte lo sdegno non trova le parole per esprimersi scrive. Mi vergogno a vivere in questo paese dove la giustizia non è per i cittadini, ma per chi detiene soldi e potere. Un paese che tiene in galera una persona per un reato sanzionabile con una gradualità di risposte alternative al carcere. Un paese che non ha occhi per vedere né cervello, in alcuni casi, per amministrare pene e sanzioni»;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro al fine di verificare la sussistenza di eventuali presupposti per l'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati che a vario titolo si sono occupati – e ancora si stanno occupando – della vicenda narrata in premessa;
   quali provvedimenti urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di garantire il rispetto della dignità e del diritto alla salute del detenuto Marco Penza. (5-08311)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 25 agosto 2012 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Castelvetrano (Trapani), accompagnata dagli esponenti radicali di Palermo e Catania, Donatella Corleo e Gianmarco Ciccarelli;
   la visita ha avuto una durata di 5 ore; la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal comandante di polizia penitenziaria Giovanni Antoci; non erano presenti la direttrice dell'istituto Carmen Rosselli, in ferie, né la sostituta pro tempore Rita Barbera, direttrice della casa circondariale Ucciardone di Palermo;
   l'istituto è gravemente sovraffollato: i detenuti presenti sono 97, a fronte di una capienza regolamentare che attualmente è di 46 posti; risulta non corretto, pertanto, il dato presente nella statistica pubblicata sul sito del ministero della giustizia (Detenuti italiani e stranieri presenti e capienze per istituto – 30 giugno 2012) che attribuisce alla casa circondariale di Castelvetrano una capienza regolamentare di 49 posti;
   i detenuti stranieri sono 19, di cui 15 extracomunitari; con riferimento alla posizione giuridica, sono 4 i detenuti in attesa di primo giudizio, 3 gli appellanti, 6 i ricorrenti, 84 quelli che scontano una condanna definitiva; quasi tutti i detenuti sono provenienti da altri istituti di pena (anche di altre regioni), mentre gli ingressi dalla libertà, secondo quanto riferito, sono pochissimi;
   il personale di polizia penitenziaria è sottodimensionato: la pianta organica prevede 61 unità, gli agenti assegnati sono 67, ma (tra distacchi e congedi per malattie di lunga degenza) quelli effettivamente in servizio sono soltanto 55; «di questi 55 agenti effettivamente in servizio, 11 unità usufruiscono dei permessi previsti dalla legge n. 104 del 1992, per cui si assentano tre volte al mese», riferisce il comandante, che aggiunge: «riusciamo a garantire i riposi e le ferie con grande difficoltà; molti agenti sono anziani e ormai prossimi alla pensione»;
   il deficit di organico di polizia penitenziaria incide sull'organizzazione del lavoro e si ripercuote negativamente sulla vita dei detenuti e sulla vita degli stessi agenti, costretti a operare in condizioni di stress per fare fronte a un notevole carico di lavoro, reso ancora più gravoso dalla carenza di mezzi e risorse economiche; le autovetture in dotazione alla polizia penitenziaria sono soltanto due (Fiat Punto), più un'altra in officina: «abbiamo pochi uomini e pochi mezzi», afferma il comandante;
   il nucleo traduzioni di riferimento è quello di Trapani; «se è necessario effettuare un ricovero urgente si procede con personale in servizio in questo istituto: chiamiamo un'ambulanza, la scortiamo, e poi attendiamo che arrivino i colleghi da Trapani», spiega il comandante;
   all'interno del penitenziario non sono presenti né un alloggio per il comandante di polizia penitenziaria né un alloggio per il direttore;
   le risorse per la manutenzione ordinaria sono scarse: «ci sono molti problemi, tentiamo di risparmiare anche sulla carta perché ne abbiamo poca; anche il climatizzatore della mia stanza perde acqua», sottolinea il comandante;
   i detenuti tossicodipendenti sono 22;
   all'interno dell'istituto è assicurata la presenza di un medico h24 soltanto venerdì, sabato e domenica, mentre dal lunedì al giovedì il presidio sanitario è attivo fino alle 20.00; «nei giorni feriali non c’è copertura medica e infermieristica h24, e la guardia medica esterna è a Selinunte che dista 13 chilometri da qui ed è spesso ipercarica di lavoro, perché è una località turistica», evidenzia il responsabile dell'area sanitaria; secondo quanto riferito, all'interno dell'istituto non è presente il defibrillatore;
   l'assistenza psicologica è assicurata da uno psicologo per sole 4 ore al mese;
   gli educatori sono 2 (uno di ruolo più uno distaccato);
   sotto il profilo dell'istruzione, sono attive esclusivamente classi di scuola elementare (alfabetizzazione); i detenuti possono accedere al corso di computer e nel recente passato sono stati effettuati corsi di cucina, giardinaggio e decorazione; non sono presenti lavorazioni di alcun tipo; «manca lo spazio per fare lavorazioni stabili; per i corsi viene utilizzata la stanza della socialità dei detenuti, di mattina si fa il corso e nel pomeriggio la socialità, per questo abbiamo fatto soprattutto corsi orali, perché per le lavorazioni occorrerebbero altri spazi», spiega il comandante; i detenuti che lavorano sono pochi, tutti alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria (fatta eccezione per i detenuti ammessi al lavoro esterno ex articolo 21 dell'ordinamento penitenziario);
   l'istituto si articola in quattro sezioni: le sezioni prima e seconda ospitano 58 detenuti comuni in regime di media sicurezza; nella terza sezione sono ristretti 31 detenuti «protetti» (sex offender); la quarta sezione ospita 8 detenuti semiliberi o ammessi al lavoro esterno ex articolo 21 dell'ordinamento penitenziario;
   le celle, tutte di uguale dimensione, misurano circa 8 metri quadrati; pensate per ospitare un detenuto, ne ospitano generalmente due e in alcuni casi perfino tre; tutte le celle sono sprovviste di doccia, in violazione dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000; ai detenuti è consentito l'utilizzo della doccia comune soltanto tre volte alla settimana; le porte d'ingresso delle celle presentano una singolare conformazione «piena» che limita sensibilmente la circolazione dell'aria: anziché esservi (come nella generalità dei penitenziari) il cancello a sbarre e la porta blindata, c’è un'unica porta blindata senza aperture, fatta eccezione per una piccola porzione della stessa (circa 20 centimetri x 1 metro) in cui vi sono due sbarre; le ore d'aria sono 4, due al mattino e due al pomeriggio;
   la prima sezione si compone di 11 celle più una (la cella n. 1) che è adibita a sala per la socialità; i detenuti presenti sono 23;
   nella cella n. 2 sono ristretti 3 detenuti sistemati in un letto a castello;
   G.S., detenuto ventunenne, riferisce di essere in attesa di andare presso la comunità «Casa dei Giovani» di Bagheria (Palermo) e racconta: «sono entrato in una casa famiglia a 10 anni, da quando ho 10 anni ho fatto solo 3 anni di libertà; mia madre è in carcere e mio padre dovrebbe essere scarcerato proprio oggi, un mio fratello che è stato adottato si è rifatto vivo dopo 9 anni che non lo vedevo, non faccio molti colloqui»;
   R.S., ristretto nella cella n. 11, ha chiesto un avvicinamento colloqui nel carcere Ucciardone di Palermo, dove si trova anche il figlio: «vorrei andare all'Ucciardone per essere vicino ai familiari, il mio problema è che qui non faccio colloqui»;
   nell'area esterna (il cosiddetto «passeggio») non c’è nemmeno un rubinetto ma soltanto 2 wc alla turca in pessime condizioni;
   nella postazione di controllo della polizia penitenziaria (la cosiddetta «garitta») il condizionatore non funziona da circa un anno: «non si è potuto aggiustare per questione di soldi, ma in estate c’è troppo caldo, ci sono 50 gradi dentro la garitta, e così il collega si deve mettere in piedi sull'uscio», afferma un agente; secondo quanto riferito, il personale di polizia penitenziaria deve fare i conti anche con un problema di vestiario: «il vestiario è bloccato; gli anfibi, ad esempio, dovrebbero cambiarli ogni 5 anni ma dopo 10 anni ancora non ce li danno, a volte li chiediamo all'esercito che però utilizza anfibi di colore marrone, e poi noi provvediamo a tingerli di nero»; il comandante conferma: «le scarpe mancano da parecchio tempo»;
   la delegazione incontra i detenuti nel passeggio;
   «in questo passeggio non c’è acqua, abbiamo fatto richiesta almeno per un lavandino, ma ancora niente», lamentano i detenuti;
   uno dei problemi segnalati dai detenuti riguarda il sopravitto, con riferimento sia ai prezzi che alla varietà dei prodotti che possono essere acquistati; «qui la spesa è cara, ad esempio la pasta Barilla, il pomodoro, il gelato: hanno un costo molto più alto rispetto a fuori, io lo so perché mia moglie lavora in un supermercato», afferma un detenuto; «nella lista mancano i piselli, manca il pesce, non ci sono nemmeno i bastoncini Findus», si rammarica un altro; molti detenuti evidenziano l'assenza del frigorifero in cella: «senza un frigo il cibo che ci portano da fuori o lo mangi tutto la sera stessa oppure lo puoi buttare»;
   molti detenuti, inoltre, deplorano la scarsa qualità del vitto somministrato dal carcere: «il pesce che passa l'Amministrazione fa puzza»; «l'hamburger che passano è immangiabile»; e ancora: «ci danno sempre würstel, uova, e cordon bleu, che è frittura»;
   secondo quanto riferito dai detenuti, non vengono forniti dall'amministrazione nemmeno quei generi di prima necessità necessari per la pulizia della cella (stracci, detersivi) e per l'igiene personale (spazzolino, dentifricio, sapone): «qui la fornitura non esiste, il poveraccio che non ha i soldi non può nemmeno pulire la cella»;
   un detenuto deplora: «consentirci di fare la doccia soltanto tre volte alla settimana non è corretto, specialmente nel periodo estivo»; un altro afferma: «la doccia possiamo farla lunedì, mercoledì e giovedì: sarebbe meglio il venerdì anziché il giovedì; noi comunque vorremmo farla ogni giorno»;
   molti detenuti sottolineano l'anomala struttura delle porte delle celle: «il blindato non fa passare l'aria, queste sono porte da 41 bis»; «con questo blindato mi sta venendo l'asma, uno in carcere entra sano ed esce malato»; «il blindo non è normale, dovrebbe venire a vederlo Amnesty International»;
   una delle rimostranze più ricorrenti riguarda la figura del magistrato del sorveglianza: «qualche colloquio con i detenuti ogni tanto lo fa, ma il magistrato di sorveglianza non visita mai le celle», affermano i detenuti; «forse il magistrato di sorveglianza le celle le ha viste nelle riviste», dice un altro; alcuni detenuti sottolineano il ritardo con cui viene concesso il beneficio della liberazione anticipata;
   molti detenuti evidenziano che la legge n. 199 del 2010 (e successive modifiche) non ha prodotto gli effetti deflattivi auspicati: «nemmeno in un penitenziario come questo, dove in tanti siamo definitivi con pene brevi, la 199 ha funzionato»; «il sovraffollamento c'era prima e continua ad esserci anche ora»;
   emblematico il caso di A.T., che racconta di essersi visto rigettare «per pericolo di fuga» l'istanza presentata per scontare la pena presso il proprio domicilio ai sensi della legge n. 199 del 2010, sebbene si fosse costituito spontaneamente: «avevo un residuo pena di 1 anno e 2 mesi e così ho fatto la richiesta per la 199, dopo 5 mesi mi è arrivato il rigetto del magistrato di sorveglianza motivato dicendo che c'era pericolo di fuga; ma se io ero andato in questura con i miei piedi e mi ero consegnato, come fanno a dire che c'era pericolo di fuga?»;
   L.M. non ha ricevuto alcuna risposta all'istanza di avvicinamento colloqui presentata a marzo: «vorrei andare nel carcere di Catanzaro per stare vicino a mio padre che ha avuto un ictus, nella domanda ho allegato la sua cartella clinica; ho fatto richiesta anche per andare in un carcere qualsiasi della Calabria o della Basilicata, al limite andrei anche a Messina, ma qui sono troppo lontano da casa, sono a 700 chilometri, sono qui da 16 mesi e non ho mai fatto un colloquio»;
   O.I., detenuto ucraino, non ha mai ricevuto risposta all'istanza presentata circa 9 mesi fa per chiedere il trasferimento in un carcere più vicino alla sua famiglia, che risiede a Mantova: «non faccio colloqui, non vedo la mia famiglia da 5 anni»;
   alcuni detenuti denunciano l'inadeguata assistenza psicologica: «lo psicologo lo vediamo pochissimo»;
   G.I., detenuto con disagio di tipo psichiatrico, vorrebbe avere colloqui più frequenti con lo psichiatra: «sono qui da 13 mesi, ho paura di morire qua dentro, io non credo di essere compatibile con la detenzione, mi danno solo gocce ma io sto male»;
   tanti detenuti manifestano rammarico per il fatto che Radio Radicale non si senta in questa area: «fate qualcosa per fare arrivare il segnale, Radio Radicale per noi è un filo di speranza»;
   il vano doccia comune della prima sezione consta di due docce; le condizioni sono buone, fatta eccezione per gli infissi che si presentano arrugginiti;
   la delegazione visita la cucina, che si presenta in ottime condizioni sotto il profilo igienico e strutturale; i detenuti che lavorano in cucina offrono alla delegazione un pezzo di pizza;
   la seconda sezione si compone di 15 celle e ospita 35 detenuti; la delegazione incontra i detenuti nel passeggio, che si presenta in condizioni peggiori rispetto a quello della prima sezione; le rimostranze dei detenuti si appuntano sulle stesse criticità già segnalate dai detenuti della prima sezione: il sovraffollamento (vivere in 3 in una cella di queste dimensioni è impossibile), le inadeguatezze strutturali delle celle (porta blindata, assenza della doccia), le anomalie del sopravitto, la scarsa qualità del vitto, l'assenza di frigorifero, la carenza di forniture da parte dell'amministrazione, l'assistenza psicologica inadeguata, l'assenza di assistenza medica nelle ore serali e notturne, la carenza di lavoro e attività trattamentali, il funzionamento del magistrato di sorveglianza;
   N.F.L. riferisce di avere un residuo di pena da scontare di 5 mesi e di aver presentato 4 mesi fa istanza ai sensi della legge n. 199 del 2010, senza aver ricevuto alcuna risposta: «nemmeno rispondono: così la svuotacarceri è una presa in giro»;
   M.B., con un residuo di pena da scontare di 12 mesi, non ha ricevuto alcuna risposta all'istanza presentata il 22 marzo 2012 per chiedere di poter scontare il residuo della pena presso il proprio domicilio, ai sensi della legge n. 199 del 2010;
   anche nella garitta che si affaccia sul passeggio della seconda sezione il climatizzatore non funziona, con evidente disagio per gli agenti assegnati in quella postazione di controllo;
   la delegazione si reca al primo piano e visita la terza sezione che si compone di 12 celle e ospita 31 detenuti «protetti» (sex offender); nella sezione ci sono 2 salette (una saletta polivalente e un'altra dove si svolgono i corsi) e 2 vani doccia con 2 postazioni-doccia ciascuno;
   A.T., detenuto di 80 anni ristretto nella cella n. 8, riferisce di trovarsi in cattive condizioni di salute: «sono qui da 2 anni, sto male, la salute mi manca»;
   A.C., detenuto di 76 anni ristretto nella cella n. 13, lamenta: «ieri sera ho avuto un fortissimo mal di pancia e ho dovuto attendere più di tre ore per avere qualcosa, io chiedevo un calmante, non pretendevo mica un'assistenza specialistica, qui se stiamo male di sera siamo abbandonati, non c’è né assistenza medica né infermieristica»; A. C. riferisce di essere stato sfollato dal carcere di Termini Imerese, dove l'anziana moglie poteva andarlo a trovare con minore difficoltà: «mi hanno trasferito da Termini Imerese a Castelvetrano per il sovraffollamento, ma anche questo carcere è sovraffollato; mia moglie vive in provincia di Messina ed è anziana: ogni volta che viene a trovarmi, fra andata e ritorno, fa centinaia di chilometri»;
   M.R. ha chiesto di essere trasferito a Palermo dove risiede la moglie gravemente malata: «mia moglie ha la leucemia, inoltre le hanno trovato una massa al seno grande come un'arancia, vorrei starle vicino»;
   G. C., ristretto nella cella n. 12, sottolinea l'importanza di risolvere, accanto ai problemi che riguardano i detenuti, anche i problemi che riguardano gli agenti di polizia penitenziaria: «il nostro destino qui dentro è legato: se stanno bene loro stiamo bene anche noi»;
   nel carcere di Castelvetrano il rapporto fra i detenuti e gli agenti è molto buono, nonostante le difficoltà oggettive legate al sovraffollamento e alla carenza di organico;
   la sala colloqui, arredata con 8 tavoli e decorata con dipinti a muro, si presenta in buone condizioni; il climatizzatore però, secondo quanto riferito, non è funzionante;
   all'interno dell'istituto è presente ma non è ancora funzionante una piccola area verde attrezzata per lo svolgimento dei colloqui dei detenuti con i familiari minorenni; l'attivazione dell'area verde, secondo quanto riferito, è ostacolata dalla mancanza di un apposito posto di sorveglianza;
   l'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354, (ordinamento penitenziario) stabilisce che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»;
   l'articolo 15 della medesima legge prescrive che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie»;
   il comma 2 dell'articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 (regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) dispone che «particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale» (...);
   l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell'istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati»;
   il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali (...)» –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere di Castelvetrano;
   se e quando si intenda intervenire per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
   se, e in che tempi, verranno effettuate le opere di adeguamento strutturale necessarie a rendere le celle conformi a quanto prescritto dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000;
   se, e in che tempi, intenda intervenire per far sì che il vestiario in dotazione agli agenti risulti costantemente adeguato alle necessità e al decoro del corpo di polizia penitenziaria;
   se si intendano incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle; quale intervento intenda mettere in atto per assicurare ai detenuti i detergenti per lavarsi e la possibilità di farsi la doccia quotidianamente;
   in che modo si intenda intervenire, per quanto di competenza, in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
   a quanti dei detenuti definitivi del carcere di Castelvetrano venga applicato il trattamento rieducativo previsto dall'ordinamento, penitenziario, trattamento che deve tendere, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi, secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti;
   cosa si intenda fare affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
   in particolare, come si giustifichino gli sfollamenti da carceri sovraffollate che sradicano i detenuti dal loro ambiente familiare per confinarli in istituti altrettanto affollati;
   come questi sfollamenti a centinaia di chilometri di distanza siano compatibili con la normativa citata in premessa;
   quale sia il carico di lavoro del magistrato di sorveglianza di riferimento del carcere di Castelvetrano e se, in riferimento ai commi 1 e 2 dell'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354, lo stesso, vigilando come è suo compito sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena, abbia mai prospettato al Ministro della giustizia le esigenze dei vari servizi del carcere, con particolare riguardo all'attuazione del trattamento rieducativo;
   se corrisponda al vero che la legge n. 199 del 2000 e la sua recente estensione a 18 mesi per l'esecuzione presso il domicilio delle pene, venga applicata agli aventi diritto solo a ridosso del fine pena e, comunque, quanti siano i detenuti che hanno beneficiato dell'intero periodo – 12 mesi prima e 18 mesi con l'adeguamento della nuova normativa;
   se intenda intervenire per consentire l'utilizzo dell'area verde per gli incontri dei detenuti con i loro familiari, in particolare se minorenni;
   se intenda verificare i prezzi del sopravitto praticati all'interno del carcere di Castelvetrano. (5-08313)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 24 agosto 2012, la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Sciacca (AG), accompagnata dagli esponenti radicali di Palermo e Catania, Donatella Corleo e Gianmarco Ciccarelli;
   il carcere è allocato nell'ex convento dei carmelitani, una struttura del XIII secolo in pieno centro cittadino;
   la visita ha avuto una durata di 3 ore e 50 minuti; la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal comandante di polizia penitenziaria Giovanni La Sala; non era presente il direttore dell'istituto Giuseppe Russo, che dirige anche la casa circondariale di Agrigento;
   il penitenziario ospita detenuti di sesso maschile in regime di media sicurezza; i detenuti presenti sono 91, a fronte di una capienza regolamentare che attualmente è di 80 posti, tenendo in considerazione la riduzione di 15 posti regolamentari derivante dalla circostanza che tre stanze detentive sono da tempo inagibili; risulta non corretto, pertanto, il dato presente nella statistica pubblicata sul sito del ministero della giustizia («Detenuti italiani e stranieri presenti e capienze per istituto – 30 giugno 2012») che attribuisce alla casa circondariale di Sciacca una capienza regolamentare di 92 posti;
   i detenuti stranieri sono 24; con riferimento alla posizione giuridica, sono 11 i detenuti in attesa di primo giudizio, 8 gli appellanti, 6 i ricorrenti, 61 quelli che scontano una condanna definitiva (a pene brevi, «non oltre i 2 o 3 anni», secondo quanto riferito dal comandante);
   nell'istituto si registra una grave carenza di agenti di polizia penitenziaria: la pianta organica prevede 61 unità, gli agenti assegnati sono 56, a cui vanno ulteriormente sottratte 9 unità (8 distaccati per mandato politico più un caso di malattia di lungo corso), per cui gli agenti effettivamente in servizio sono 47; «abbiamo ciclicamente picchi di forte criticità legati al rinnovo dei consigli comunali», riferisce il comandante, che aggiunge: «inoltre c’è una criticità organizzativa legata alla ripartizione delle figure, ad esempio abbiamo soltanto due ispettori e due sovrintendenti»; il deficit di organico di polizia penitenziaria incide sull'organizzazione del lavoro e si ripercuote negativamente sulla vita dei detenuti e sulla vita degli stessi agenti, costretti a operare in condizioni di stress per fare fronte a un notevole carico di lavoro;
   il nucleo traduzioni di riferimento è quello di Agrigento; «se è necessario effettuare un ricovero di un detenuto, provvede il nucleo di Agrigento; in caso di ricovero urgente si procede con personale in servizio in questo istituto, chiamando il 118 e approntando un servizio di scorta: è un problema specialmente nei giorni festivi», spiega il comandante;
   all'interno dell'istituto è presente un'infermeria ma non c’è personale sanitario insediato h24: se un detenuto ha bisogno di assistenza medica durante la notte si fa ricorso alla guardia medica esterna;
   gli educatori sono 2, uno di ruolo e uno in missione per tre volte alla settimana;
   soltanto uno psicologo è presente in sede una volta alla settimana (il mercoledì) per 2-3 ore;
   i detenuti tossicodipendenti sono 7 o 8; non sono presenti detenuti affetti da patologie di tipo psichiatrico, «ma ne abbiamo avuti, sono stati trasferiti recentemente», riferisce il comandante;
   le ore d'aria sono 4 al giorno; la socialità è prevista per 3 ore alla settimana;
   i detenuti che lavorano sono 9-10, con turnazione: si tratta esclusivamente di lavori alle dipendenze dell'Amministrazione penitenziaria;
   sono attive classi di scuola elementare e media e corsi di ceramica, elettricista, bottega dell'arte e caseificio;
   la casa circondariale di Sciacca ospita detenuti trasferiti «per sfollamento» da penitenziari di altre regioni: «sono presenti detenuti pugliesi, campani, e anche stranieri provenienti da carceri del nord Italia; recentemente abbiamo avuto uno sfollamento da Poggioreale», riferisce il comandante;
   l'inadeguatezza strutturale è uno degli aspetti problematici di questo penitenziario: «gli spazi non sono nati per ospitare persone, la struttura essendo vecchia ha bisogno di manutenzione gravosa», sottolinea il comandante;
   all'interno della struttura, sebbene vi sia un chiostro, non è presente un'area verde attrezzata per il colloquio dei detenuti con i familiari minorenni;
   l'area esterna (il cosiddetto passeggio) dove i detenuti trascorrono le ore d'aria è un cortile privo di copertura, con un rubinetto e un wc alla turca in pessime condizioni; un altro cortile-passeggio è inagibile dallo scorso inverno a causa della caduta di calcinacci;
   la delegazione si sofferma nel passeggio a colloquiare con i detenuti;
   molti lamentano le condizioni in cui sono costretti a vivere: «i bagni sono privi di tetto; in cella abbiamo l'acqua col contagocce e non c’è l'acqua calda; possiamo fare la doccia soltanto tre volte alla settimana; andate a guardare i cubicoli della seconda sezione: sono scatolette di tonno»;
   una delle rimostranze più ricorrenti riguarda la figura del magistrato del sorveglianza: «io non l'ho mai visto», afferma un detenuto; «viene una volta all'anno», dice un altro; alcuni detenuti sottolineano il ritardo con cui viene concesso il benefìcio della liberazione anticipata: «i giorni di liberazione anticipata arrivano anche un anno dopo che abbiamo fatto la richiesta»; «il magistrato di sorveglianza rigetta anche se le relazioni dell'educatore e dello psicologo sono positive», lamentano altri;
   F.I. trasferito a Sciacca il 5 maggio 2012 «per sfollamento» dal carcere di Napoli Poggioreale, riferisce di soffrire molto per la lontananza dalla famiglia che risiede a Torre Annunziata (Napoli): «mia moglie è disoccupata e ho tre figli piccoli, di 8 anni, 3 anni e l'ultimo di appena 8 mesi; in Sicilia non ho mai effettuato colloqui: così il mio reato non lo pago solo io, lo paghiamo in 5 persone; nel mese di giugno ho fatto domanda per essere trasferito in un istituto campano, ho allegato anche lo stato di famiglia, tornerei perfino nell'inferno di Poggioreale pur di stare vicino a mia moglie e ai miei figli»;
   anche R.F. è stato trasferito a Sciacca dal carcere di Napoli e ha due figli minori, di 10 e 11 anni: «vorrei un avvicinamento, è difficile che la famiglia possa venire qui a fare i colloqui»;
   M.Q. detenuto definitivo con un residuo di pena da scontare di un anno e 4 mesi, si è visto rigettare l'istanza presentata ai sensi della legge n. 199 del 2010 (e successive modifiche); M.Q. lamenta carenze nell'assistenza medica: «ho un'ernia inguinale e una frattura del ginocchio, da 8 mesi aspetto per questi due interventi, qui l'area sanitaria non funziona»;
   V.N. riferisce di non vedere la moglie dal 2010: «mia moglie è agli arresti domiciliari, quindi non possiamo fare colloqui: non la vedo da 2 anni e mezzo»;
   P.O. è un detenuto definitivo con un residuo pena di 11 mesi: «se consideriamo i giorni di liberazione anticipata mi mancano solo 7 mesi, a Napoli ero permessante, il 30 giugno ho fatto richiesta per la legge 199, per scontare quello che mi resta nel mio domicilio: proprio oggi mi è arrivato il rigetto»;
   D.M. detenuto di Taranto trasferito a Sciacca dal carcere di Bari nel dicembre 2010, lamenta di non aver mai ricevuto alcuna risposta alle numerose istanze di trasferimento nel carcere di Taranto, città in cui risiede anche la figlia di 7 anni: «vorrei tornare a Taranto per stare vicino a mia figlia di 7 anni che non sta bene: rifiuta di mangiare ed è stata ricoverata; ho fatto tante domande, la prima più di un anno fa, nell'ultima domanda ho allegato anche la cartella clinica della bambina, non ho mai ricevuto risposta»;
   N.M. detenuto tunisino con un residuo di pena da scontare di 2 anni e mezzo, si trova nella casa circondariale di Sciacca da 10 mesi e racconta di non aver mai lavorato e di non avere i soldi nemmeno per comprare il mangiare e le sigarette; questo detenuto ha fatto richiesta di trasferimento nel vicino carcere di Castelvetrano, dove sono detenuti il padre e il fratello: «ho fatto la domanda un mese e mezzo fa, ancora nessuna risposta, se il trasferimento non è possibile almeno vorrei poter fare un colloquio con mio padre e mio fratello»; N.M. inoltre afferma di non aver potuto effettuare telefonate in Tunisia; «ho mandato il foglio con il contratto la fotocopia della carta d'identità, ma ancora non riesco a telefonare»; P.D'A. detenuto napoletano trasferito a Sciacca il 19 maggio dal carcere di Poggioreale, ha il fine pena nel mese di aprile 2013 e lamenta di non aver ricevuto alcuna risposta alle istanze presentate per scontare il residuo della pena presso il proprio domicilio, ai sensi della legge 199 del 2010: «ho presentato la domanda 2 mesi fa, quando ero già in questo carcere; avevo presentato una domanda anche prima, quando mi trovavo a Napoli, ma non hanno mai risposto»;
   M.V.D. detenuto rumeno ormai prossimo alla liberazione, lamenta difficoltà a ottenere permessi: «vorrei un permesso, ma l'educatore non mi ha chiuso la sintesi»;
   un altro detenuto afferma: «l'educatore tutto sommato funziona, il problema è il magistrato di sorveglianza: è completamente assente»;
   D.M. detenuto catanese proveniente dal carcere di Trapani, ha fatto istanza per essere trasferito in un istituto in cui poter proseguire il suo percorso scolastico: «a Trapani frequentavo l'istituto tecnico commerciale, sono stato ammesso al terzo anno e a settembre vorrei iniziare il corso scolastico, per questo ho chiesto il trasferimento ad Augusta, a Noto o ad Agrigento, vorrei utilizzare il tempo in carcere almeno per poter studiare»;
   T.M. detenuto tossicodipendente con due figli di 6 e 7 anni, vorrebbe andare in una comunità e riferisce di aver presentato un'apposita domanda;
   C.C. riferisce di essere stato sfollato dal carcere Ucciardone di Palermo, dove vorrebbe tornare per stare vicino alla famiglia;
   la delegazione visita gli ambienti detentivi;
   al primo piano sono ubicate le sezioni prima e seconda; in questo stesso piano sono presenti la cappella, la saletta per la socialità, la saletta per l'educatore e lo psicologo, la saletta per i corsi, la saletta che ospita le classi elementare e media e la stanza del medico (l'infermeria invece si trova al piano terra);
   la prima sezione si compone di 4 celle che si affacciano su un corridoio stretto; tutte le celle di questa sezione sono sprovviste di doccia, in violazione dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000; il vano bagno, ricavato all'interno delle celle, è sprovvisto di finestra e di tetto;
   le condizioni strutturali sono fatiscenti e in più parti l'intonaco è scrostato a causa dell'umidità;
   alle finestre delle celle sono applicati vetri opachi che impediscono la visuale esterna e limitano sensibilmente l'ingresso di luce naturale e la circolazione di aria;
   la cella n. 1 ospita 5 detenuti sistemati in 2 letti a castello a tre piani;
   in questa cella, così come in tutte le altre, l'acqua del rubinetto scorre e si riversa dentro un fusto: «l'acqua è razionata, così la accumuliamo dentro questo bidone», spiegano i detenuti; gli agenti confermano: «l'acqua ha orari di erogazione, noi forniamo i fusti ai detenuti per agevolarli, per fare in modo che abbiano sempre un po’ di acqua a disposizione»;
   nella cella n. 4 sono ristretti 6 detenuti;
   A.P. detenuto catanese definitivo arrestato nel 2007 e condannato a una pena superiore a 9 anni di reclusione, è stato sfollato a Sciacca dal carcere Pagliarelli di Palermo nello scorso mese di marzo; A.P. lamenta di essersi visto rigettare la domanda di trasferimento in una casa di reclusione: «ho fatto richiesta per andare in un carcere penale, ad Augusta o a Noto, ma mi è stata rigettata; qui la socialità si fa soltanto 2 volte alla settimana; faccio un colloquio ogni 2-3 mesi, ho un figlio di 9 anni che non vedo da 5 anni»;
   C.A. è stato trasferito nel carcere di Sciacca da circa un mese: «provengo da Poggioreale, mi hanno mandato qua per sovraffollamento ma io vorrei tornare a Poggioreale, per la vicinanza, per fare i colloqui»;
   anche questi detenuti lamentano la carenza idrica: «l'acqua c’è a intervalli, è giusto»; un detenuto evidenzia la condizione degli sgabelli: «guardate qua, sono rotti, ci si può anche tagliare una gamba, guardate in quale stato siamo»;
   nella cella n. 2 sono ristretti 5 detenuti;
   nella cella n. 3 sono ristretti 8 detenuti; facendo riferimento al fatto che il vano con il wc non sia dotato di tetto, un detenuto afferma: «quando noi mangiamo e qualcuno è in bagno, sentiamo tutto»; un detenuto riferisce di soffrire di asma e sottolinea la presenza dei pannelli opachi applicati alle finestre: «c’è poca luce, l'aria non passa»;
   una nota positiva è che non si segnalano criticità con riferimento ai prezzi del sopravitto: «di recente sono stati inseriti anche prodotti sottomarca», riferisce il comandante;
   la seconda sezione si compone di 18 celle: 12 piccole cellette (i cosiddetti «cubicoli»), di cui 1 inagibile, e 6 celle più ampie; tutte le celle di questa sezione sono sprovviste di doccia; anche in questa sezione i detenuti raccolgono l'acqua nei bidoni; le condizioni strutturali sono fatiscenti;
   i cubicoli sono cellette buie e anguste di circa 6 metri quadrati, ospitano 2 detenuti in un letto a castello, hanno il wc «aperto» (cioè senza tetto né porta, ma solo con un muretto divisorio) e le finestre ostruite da bocche di lupo in cemento; il cubicolo n. 11 è utilizzato come cella d'isolamento e ha il wc alla turca a vista (non è presente nemmeno il muretto divisore); il cubicolo n. 12 è di dimensioni ancora più ridotte: anche in questa celletta, di circa 4 metri quadrati (2,75 metri x 1,50 metri), sono ristretti 2 detenuti;
   le altre celle, poste sull'altro lato del corridoio di fronte ai cubicoli, sono più ampie e si affacciano sul chiostro interno; in tutte, il vano con il wc non è dotato di tetto;
   la «stanza» n. 12 ospita 7 detenuti;
   L.G. detenuto napoletano trasferito il 24 luglio 2012, dal carcere Poggioreale «per sfollamento», ha 2 figli (di cui uno minorenne) che non ha più visto da quando si trova recluso nel carcere di Sciacca: «qui non penso che farò mai colloqui, è troppo lontano per la mia famiglia»; L.G. è ricorrente in Cassazione e lamenta i tempi eccessivamente lunghi della giustizia: «è da un anno ormai che attendo la sentenza della Cassazione»;
   nella cella n. 13 sono ristretti 3 detenuti;
   anche la cella n. 14 ospita 3 detenuti;
   F.F. subito un intervento chirurgico al polso sinistro che si è fratturato a causa di una caduta mentre tentava di salire sul letto a castello: «l'incidente è accaduto alle 23,30 e mi hanno portato in ospedale alle 12, dell'indomani; mi hanno messo una placca, adesso ho un chiodo che mi devono tirare»;
   nella cella n. 15 sono ristretti 3 detenuti;
   nella cella n. 16 sono ristretti 6 detenuti;
   anche nella cella n. 17 sono ristretti 6 detenuti;
   i detenuti lamentano: «ci manca anche l'acqua, siamo costretti a fare le scorte con i bidoni»; secondo quanto riferito, l'acqua viene erogata per circa un'ora tre volte al giorno: alle 7, alle 9 e alle 12,30;
   C.R. presentato istanza di trasferimento a Brucoli per sfruttare i 4 anni di pena che gli rimangono e completare così il corso di perito elettronico;
   la doccia comune, utilizzata sia dai detenuti della prima sezione che da quelli della seconda, consta di 8 postazioni (di cui una non funzionante); l'utilizzo è consentito 3 volte alla settimana; anche alla finestra della doccia sono applicati, oltre alle sbarre, pannelli opachi; le condizioni di manutenzione sono buone; secondo quanto affermato da un agente, «il problema è questo pannello che limita l'aerazione e non consente il ricambio dell'aria e quindi all'interno della doccia si crea molto vapore acqueo»;
   interpellato con riferimento alle ispezioni semestrali che la ASL è tenuta ad effettuare per verificare le condizioni igienico-sanitarie, il comandante afferma: «non so, a me non risulta, però magari sono venuti quando io non ero in sede»;
   la delegazione si reca al secondo piano e visita la terza sezione, ristrutturata circa 10 anni fa; questa sezione, l'unica con le docce in cella, si compone di 5 celle di cui soltanto 3 aperte e altre 2 chiuse perché in attesa di collaudo; anche nelle celle di questa sezione il vano bagno è sprovvisto di tetto e alle finestre sono applicati, oltre alle sbarre, pannelli opachi;
   nella cella n. 1 sono ristretti 3 detenuti sistemati in un letto a castello a 3 piani;
   nella cella n. 2 sono ristretti 3 detenuti;
   nella cella n. 5 sono ristretti 10 detenuti;
   un detenuto lamenta: «c’è sempre puzza, la cassetta del wc non funziona da 7 mesi»;
   G.B. detenuto tunisino, afferma: «mi hanno portato qua da 3 giorni, prima sono stato 10 giorni a Regina Coeli, ancora non ho parlato con un avvocato, non so nemmeno perché sono in carcere»;
   B.B. detenuto tunisino, riferisce di essere ancora in attesa dei giorni di liberazione anticipata relativi a 5 semestri: «per questo grande ritardo, 4 mesi fa ho fatto ricorso al tribunale di sorveglianza di Palermo e ancora non mi è arrivata nessuna risposta, né un rigetto né accettazione»;
   «fate in modo che si possa ascoltare anche qui Radio Radicale, per noi è importante», affermano i detenuti;
   la sala colloqui, in cui è ancora presente il muretto divisore con il vetro, è molto piccola e anche qui alle finestre sono applicati, oltre alle sbarre, pannelli opachi che limitano l'ingresso di luce naturale e non consentono una adeguata circolazione dell'aria;
   la delegazione visita la caserma degli agenti; le stanze non hanno il bagno in camera, sono presenti 2 bagni comuni con docce; anche quest'ambiente avrebbe bisogno di una sistemazione;
   il rapporto fra i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria è molto buono; il comandante e gli agenti operano con abnegazione e grande professionalità, nonostante siano costretti a lavorare in una situazione difficile a causa della carenza di risorse umane e finanziarie: «facciamo quello che possiamo con risorse praticamente inesistenti», afferma il comandante; le telecamere di sicurezza non funzionano da circa 7 anni; nella casa circondariale di Sciacca non ci sono i soldi nemmeno per acquistare l'inchiostro per i timbri, tant’è gli agenti sono costretti ad utilizzare un bicchiere d'acqua in luogo del tampone: «qui siamo arrivati, altro che spending review», afferma con amarezza un agente –:
   quale sia effettivamente la capienza regolamentare del carcere di Sciacca e cosa intenda fare per urgentemente riportare la popolazione detenuta ai livelli di ricettività legali, secondo quanto previsto dall'ordinamento penitenziario e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
   cosa intenda fare per rimuovere le situazioni strutturali del carcere di Sciacca non conformi alle norme di legge, tenuto presente che alcune criticità evidenziate in premessa rischiano di mettere in pericolo la salute e la vita del personale e dei detenuti; in particolare, quando verrà abbattuto il muretto divisorio della sala colloqui e quando la stessa verrà ristrutturata; quando verranno ristrutturate le stanze da bagno, visto che, oltre ad essere indecenti, sono prive del soffitto; quando verranno rimossi dalle celle e dagli altri luoghi frequentati dai detenuti i pannelli opachi che limitano l'ingresso di luce e aria nelle stanze di detenzione; quando verrà predisposta l'area verde;
   a quando risalga e cosa vi sia scritto nell'ultima relazione della ASL di competenza in merito alle condizioni strutturali dell'edificio del carcere anche sotto il profilo igienico-sanitario;
   se intenda immediatamente provvedere a stanziare fondi per il regolare approvvigionamento idrico, per la manutenzione straordinaria così da fronteggiare i problemi più urgenti e se intenda ripristinare i fondi pressoché inesistenti della manutenzione ordinaria;
   cosa intenda fare per incrementare il budget destinato alle attività trattamentali e all'assistenza psicologica e per rafforzare l'area educativa;
   quanto al Corpo degli agenti di polizia penitenziaria, se intenda intervenire per ripristinare l'organico e per risistemare la caserma agenti;
   se intenda in qualche modo intervenire per quanto di competenza affinché sia effettivamente assicurata l'assistenza legale ai detenuti, soprattutto stranieri, sprovvisti di avvocati di fiducia;
   se intenda rivedere la politica degli «sfollamenti» che allontanano i detenuti dal loro ambiente familiare in aperta violazione di quanto previsto dall'ordinamento penitenziario;
   cosa intenda fare in relazione ai casi segnalati in premessa. (5-08314)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa l'11 settembre 2012, il detenuto Daniele Ridolfi, 26enne, si è tolto la vita nel Carcere Opera di Milano lo scorso 2 settembre. L'uomo si è impiccato nella sua cella ed è morto venerdì 7 settembre in ospedale, dove era stato trasportato dopo l'accaduto;
   sono 112 i detenuti morti nei primi 9 mesi del 2012, di cui ben 40 sono stati i suicidi;
   Ridolfi si sarebbe impiccato con l'ausilio di una tenda che aveva attaccato alla sua finestra. L'oggetto in questione era vietato dal regolamento eppure si trovava nell'area dei detenuti protetti dove aveva la sua cella il 26enne;
   i genitori del detenuto morto suicida, che sarebbe uscito dal carcere il prossimo 26 dicembre, hanno autorizzato l'espianto degli organi –:
   se e come il 2 settembre 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio dell'uomo non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario;
   se corrisponda al vero il fatto che al momento del suicidio l'uomo si trovasse nell'area dei detenuti protetti;
   se corrisponda al vero il fatto che l'uomo si sia impiccato con una tenda, e per quali motivi il detenuto disponeva di questo oggetto vietato dal regolamento;
   con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
   se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
   se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Opera. (5-08315)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa il 13 settembre 2012, un detenuto ha tentato di togliersi la vita impiccandosi alle grate della cella del carcere di Monza;
   l'uomo, approfittando dell'assenza dei compagni di cella che stavano rientrando dopo l'ora d'aria in cortile, ha preso la cintura dell'accappatoio e ha deciso di porre fine nella maniera più tragica al suo disagio. Si è legato la corda intorno al collo e si è appeso alle grate in ferro della finestra. Solo un caso ha evitato che il gesto dell'uomo si compisse. Appena entrati in cella, infatti, sia l'agente di polizia sia i due detenuti hanno immediatamente soccorso l'uomo liberandolo dal cappio;
   attualmente il giovane si trova in una cella del reparto di isolamento priva di alcun oggetto che potrebbe nuocergli, come da prassi, in attesa che si chiariscano i motivi del suo gesto –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   se intenda avviare un'indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti del detenuto che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
   se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
   se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
   più in particolare quali iniziative, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza psicologica e medico-psichiatrica ai detenuti, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora;
   più in generale, come si intenda intervenire in tempi rapidi e con quali provvedimenti per superare questa grave situazione creatasi nelle carceri italiane per arginare l’escalation dell'autolesionismo, dei tentati suicidi e dei suicidi e, soprattutto, come si intendano tutelare i soggetti meno tutelati, «i senza niente», che, per paura del dopo carcere, ricorrono sempre più frequentemente al suicidio;
   quali misure si intendano attuare per limitare il sovraffollamento carcerario e affinché si creino situazioni più consone alla salute, anche mentale, del detenuto e quali percorsi, alternativi alla detenzione, di reinserimento nel tessuto lavorativo e sociale si intendano intraprendere, già dall'interno, per arginare tali fenomeni degenerativi e di disagio. (5-08316)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa lo scorso 6 settembre un detenuto di 71 anni, Luigi D.S., si è suicidato impiccandosi con un lenzuolo all'interno della sua cella singola, nel braccio G 8 del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso;
   l'uomo, originario di Paliano (in provincia di Frosinone), si trovava in carcere per scontare una condanna definitiva a 14 anni di reclusione per un omicidio compiuto nel 2005. Affetto da problemi respiratori, il detenuto aveva un fine pena fissato per il 2015;
   sulla vicenda il garante dei diritti dei detenuti della regione Lazio ha dichiarato: «È l'ennesimo dramma della solitudine in carcere che siamo costretti a commentare in questo difficile anno; tredici decessi in questo 2012, fra cui quattro suicidi, sono la spia di un estremo disagio fisico e psicologico che si vive all'interno degli istituti di pena della nostra Regione dove, ormai, il numero dei detenuti presenti continua a crescere senza sosta. In queste condizioni è estremamente difficile per gli agenti di polizia penitenziaria, per i volontari e per gli altri operatori presenti in carcere riconoscere i segni e prevenire il disagio interiore che vivono gli anziani e le altre categorie più fragili di detenuti. Un disagio che, a volte, può far sembrare la morte la via di uscita più facile»;
   mentre la prima firmataria del presente atto stava scrivendo la premessa è giunta la notizia che, sempre a Rebibbia, un altro detenuto in età avanzata si era tolto la vita; così veniva riportata sul sito www.clandestinoweb.it: «Un altro caso di suicidio sempre nel penitenziario di Rebibbia è stato invece segnalato dal Garante dei detenuti di Roma Capitale, Filippo Pegorari che racconta: “Un detenuto di 75 anni che si trovava al nuovo complesso di Rebibbia e che aveva ottenuto i domiciliari, poco prima di usufruire del beneficio si è suicidato. La notizia ha sconvolto tutti – prosegue – non soltanto i compagni di reparto ma anche la direzione carceraria che visto l'età del detenuto e la salute dello stesso erano contenti che l'uomo potesse tornare a casa. Non conosciamo ancora i motivi del gesto dell'uomo ma la sua morte addolora tutti”»;
   in totale, sono 38 i detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri italiane in questi primi otto mesi dell'anno –:
   quali iniziative siano state adottate dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per assicurare l'incolumità dei due detenuti, se fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se, con riferimento ai due suicidi, non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario;
   con chi dividessero la cella e di quanti metri quadrati disponessero i detenuti morti suicidi;
   se i due detenuti fossero alloggiati all'interno di celle rispondenti a requisiti di sanità e igiene;
   se nel corso della detenzione i due detenuti fossero stati identificati come potenziali suicidi e, nel caso, se fossero tenuti sotto un programma di osservazione speciale;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso;
   quali siano le condizioni umane e sociali degli istituti di pena laziali, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare il rispetto della legge costituzionale e ordinaria, nonché dell'ordinamento e dei regolamenti penitenziari, all'interno delle strutture penitenziarie laziali, contrastando il pesante sovraffollamento e ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi di assistenza e sostegno psicologico. (5-08317)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'agenzia di stampa AGI del 12 settembre 2012 ha riportato le seguenti dichiarazioni del coordinatore nazionale dell'Ugl polizia penitenziaria, Walter Campagna: «A pochi mesi dal completamento dei lavori del nuovo complesso minorile di Catanzaro, oggetto di un'imponente attività di manutenzione straordinaria ed ampliamento, nessun riscontro si è registrato in termini di incremento di personale. Alla luce di ciò è impensabile programmare una data di inaugurazione della stessa struttura se il superiore dipartimento non provvederà a colmare tale problematica, oggi aggravata dalla chiusura del Centro di prima accoglienza di Reggio Calabria» –:
   se ed entro che termini intenda provvedere all'aumento del personale di polizia penitenziaria da assegnare al nuovo complesso minorile di Catanzaro;
   se a tal fine non intenda richiamare in servizio gli agenti di polizia penitenziaria attualmente distaccati presso il Ministero della giustizia;
   per quando sia prevista l'inaugurazione del nuovo carcere minorile di Catanzaro. (5-08318)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla agenzia di stampa ASCA il 13 settembre 2012, le detenute della sezione femminile dell'istituto penitenziario di Castrovillari (Cosenza) avrebbero deciso di protestare, ogni sera alle 19,30, battendo le gavette alle finestre della cella per richiamare l'attenzione sul sovraffollamento del carcere, sulle carenze igieniche e sulle scarse cure mediche;
   in una lettera pubblicata sul Quotidiano della Calabria, fatta uscire dall'istituto tramite i parenti, le donne descrivono quella che definiscono «condizione disumana» e scrivono: «In queste celle viviamo male, tre detenuti al posto di due; le docce fuori dalle celle e per di più solo tre volte a settimana. Ci sono detenute operate che stanno male, sebbene abbiano un piccolo residuo di pena. Detenute con patologie gravi e persino con perizie dei tribunali che parlano di “incompatibilità carceraria”; eppure vivono in questo posto, in questo inferno» –:
   quali siano le condizioni umane e sociali del carcere in questione e quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario. (5-08319)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa lo scorso 11 settembre 2012 (ANSA) A.L., 46enne, assistente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Poggioreale, in malattia dal 10 marzo 2012, è morto dopo aver ingerito un micidiale mix di farmaci: era sparito dalla sua abitazione il giorno precedente;
   la notizia è stata resa nota da Donato Capece, segretario generale del Sappe, il quale ha dichiarato: «Quel che ci lascia perplessi è che l'Amministrazione Penitenziaria pensa di avere messo sul piatto soluzioni concrete al dramma del disagio lavorativo dei poliziotti penitenziari, ma non è affatto così. L'incontro che si era tenuto a Roma lo scorso 31 luglio scorso su questo drammatico tema è stato deludente ed inconcludente. Il collega era scomparso da casa ed è stato trovato domenica nei pressi del cimitero di Alife. I casi di suicidi tra i baschi azzurri dovrebbero fare seriamente riflettere ed invece confermano come sono distanti i vertici del Dap dalla realtà delle carceri italiane. L'approccio al delicato e drammatico tema, la morte per suicidio di 7 poliziotti penitenziari negli ultimi 7 mesi (più di 100 i casi dall'anno 2000), non ha visto mettere in campo a nostro avviso efficaci azioni per contrastare il disagio lavorativo del personale di Polizia penitenziaria e contestualmente stimolarne la professionalità. Le uniche soluzioni proposte dal Dap Giovanni Tamburino sono state la realizzazione di una brochure da diffondere tra il Personale e la previsione di un numero verde di ascolto, da contattarsi in caso di necessità. Questo significa non affrontare il problema alla radice. Mancano concrete iniziative per garantire e favorire il benessere dei Baschi Azzurri. Le soluzioni proposte dal Dap servono solamente all'Amministrazione Penitenziaria per scaricarsi la coscienza su un tema tanto drammatico e delicato che avrebbe avuto necessità di ben altra sensibilità umana ed istituzionale –:
   se il Ministro interrogato ritenga che possa esservi connessione diretta o indiretta tra questi tragici gesti e le condizioni ambientali e lavorative in cui si trovano costretti ad operare gli agenti di polizia penitenziaria;
   se non reputi di dover assumere iniziative al fine di valutare la reale e concreta entità del fenomeno dei suicidi tra i lavoratori appartenenti alla polizia penitenziaria prevedendo l'eventuale istituzione di un'apposita commissione;
   se non ritenga opportuno adottare immediati provvedimenti atti a scongiurare il ripetersi di simili tragedie anche raccomandando opportune misure di supporto psicologico. (5-08320)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sul Secolo XIX del 19 settembre 2012 è apparso il seguente articolo di Graziano Cetara: «Ci sono condanne che non si scontano mai fino in fondo. E che ti inseguono. Diventano una seconda carta d'identità e viaggiano con te. Il carcere, quando è un tribunale a sentenziare, dovrebbe essere una parentesi più o meno lunga prima del riscatto, della riabilitazione. Dovrebbe. Per il codice della strada, invece, la pena non basta. Ora a Genova, in base a una legge introdotta due anni fa ma rimasta di fatto inapplicata in attesa di modifiche e aggiornamenti mai arrivati, il giudizio si estende alla sfera morale della persona. Proprio così. E una condanna per questioni di droga diventa un marchio di indegnità, inaffidabilità (anche se controlli e analisi negli anni hanno dimostrato il contrario) capace di farti revocare la patente. Matteo G., 41 anni, rappresentante di commercio di Arenzano, chiede di restare coperto dall'anonimato per non aggiungere un altro danno alla “beffa appena incassata”: per i prossimi tre anni potrà spostarsi solo a piedi o accompagnato. Lo ha deciso il prefetto. Ha sbagliato, Matteo G., finendo nelle maglie di una organizzazione di spacciatori di cocaina nell'ormai lontano 2006. Ha pagato un primo conto, con una condanna a tre anni e mezzo. E si è sottoposto a ogni genere di test e analisi, dal sangue ai capelli, passando ogni controllo. La giustizia però non si è fermata e quando ormai la sua vita si era stabilizzata sulla retta via, con una moglie e una figlia in arrivo tra qualche mese e un lavoro come rappresentante di gioielli ormai avviato, è arrivata la mazzata: sei indegno, gli dice in sostanza il provvedimento, quindi non puoi guidare fino a nuovo ordine. È successo alla fine del mese scorso e il provvedimento è stato notificato quando Matteo e la famiglia si trovavano in vacanza in Trentino. In campeggio. L'ufficiale giudiziario incaricato dalla prefettura di Genova non ha sentito ragioni. E ha raggiunto il camping per farsi consegnare la licenza di guida. Risultato? Marito e moglie incinta sono rimasti a piedi. Ma quel che è peggio, avvertono gli avvocati del commerciante (Carlo Contu per gli aspetti penali, e Maurizio Porretti e Stefano Mascini per quelli civili) è che senza la possibilità di guidare Matteo non può neanche tenersi il lavoro. Lascia stare che, risolto il problema della vacanza conclusa con un inatteso viaggio in treno, il rappresentante abbia deciso di tenere segreto il suo impiccio e di dotarsi di un autista personale per non perdere il lavoro. Il problema ora è combattere contro un marchio di infamia che dice di non meritare. E lo afferma esibendo le carte a sostegno della sua buona condotta. Il primo dei punti fermi è rappresentato dai tempi. L'inchiesta per spaccio risale a un periodo nel quale Matteo non aveva ancora la patente. Siamo nel 2006. L'allora trentaseienne patteggia una pena a tre anni e mezzo che, tra custodia cautelare e arresti domiciliari, sfocia ben presto nell'affidamento in prova: il test con il quale si concludono quasi sempre certe pene per le quali il ritorno in libertà non rappresenti un rischio enorme per la società. Matteo supera l'esame e la sua pena viene scontata ed estinta. A questo punto decide di rifarsi una vita. Prende moglie e patente. E siamo nel 2010. La sua esistenza cambia rotta. Si sottopone a ogni genere di test per dimostrare a tutti che ha tagliato con la droga e con l'ambiente marcio tutto attorno. Gli alambicchi della Asl confermano puntualmente la sua buona fede e il suo stato di salute. E il segno del riscatto. Ma il passato ritorna. Lo fa nei modi più beffardi, a volte. E nel caso di Matteo lo fa rinfacciandogli degli episodi minori relativi agli stessi fatti per cui era stato condannato e poi incarcerato. Briciole giudiziarie di un'inchiesta che doveva essersi esaurita e invece ancora aveva in servo delle sorprese. Al rappresentante viene presentato un conto da nove mesi di reclusione da scontare. Sono fatti che risalgono a quando ancora non aveva la patente e che nulla potevano aggiungere o togliere alla sua moralità: si può essere più o meno indegni se si spaccia dieci volte oppure dodici? Per il prefetto di Genova sì. E sulla base della legge nel frattempo entrata in vigore, Matteo riceve la revoca della patente. Con i suoi avvocati presenta un ricorso al giudice di pace, tentando la strada più breve tra quelle consentite. Ed è di ieri la decisione di sospendere temporaneamente il provvedimento del prefetto. Matteo potrà continuare a guidare fino al 29 novembre. Quando un altro giudice sarà chiamato a decidere sulla sua moralità. Solo a quel punto questa storia giudiziaria potrà arrivare al punto. E solo allora Matteo saprà quante condanne ancora dovrà scontare prima di provare a rifarsi una vita»;
   il ritiro della patente di guida è un handicap assoluto nelle attività di lavoro in cui la patente è necessaria e/o relativo in tutte quelle in cui l'uso della stessa è più o meno indispensabile per raggiungere il luogo di lavoro. Non disporre della patente di guida è oggi una forma di grave incapacitazione della persona. È chiaro che la sanzione introdotta dall'articolo 19 della legge n. 120 del 2010 è stata voluta, in ragione dei suoi effetti dissuasivi, proprio per questo, ma è anche chiaro che, per il risultato incapacitante che produce e, in particolare, per il ritardo nel tempo di produzione dello stesso (alla fine della pena principale), tale sanzione ostacola e riduce fortemente la possibilità di reinserimento al lavoro della persona condannata;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto c’è da interrogarsi su quale efficacia potrebbero avere le predette misure visto e considerato che il condannato non sarà certo ostacolato dal ritiro della patente di guida se intende tornare a delinquere, mentre sarà ostacolato da questo provvedimento se intende seguire un percorso di riabilitazione sociale e di lavoro –:
   se il Governo non intenda adottare iniziative di carattere normativo al fine di apportare le opportune modifiche all'articolo 120 del codice della strada in materia di requisiti morali necessari per ottenere il rilascio della patente di guida, ciò al fine di non perseguitare la persona condannata anche dopo l'espiazione della pena, ma semmai facilitandone il reinserimento sociale conformemente a quanto stabilito dall'articolo 27 della Costituzione.
(5-08321)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 25 agosto 2012 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Marsala (Trapani), accompagnata dagli esponenti radicali di Palermo e Catania, Donatella Corleo e Gianmarco Ciccarelli;
   la visita ha avuto una durata di 2 ore e 40 minuti; la delegazione è stata ricevuta e accompagnata da un assistente capo di polizia penitenziaria; non erano presenti il direttore dell'istituto Paolo Malato, che dirige anche la casa di reclusione di Favignana, né il comandante di polizia penitenziaria Carmelo Arena;
   il penitenziario sorge all'interno di un castello medievale e ospita 33 detenuti di sesso maschile in regime di media sicurezza; la capienza regolamentare è di 35 posti, quindi allo stato il carcere non risulta sovraffollato;
   il personale di polizia penitenziaria è sottodimensionato: gli agenti assegnati sono 34, quelli effettivamente in servizio sono 27; la carenza di organico incide sulle condizioni di vita dei detenuti e degli stessi agenti: «qui in questo momento siamo in 3, se succede qualcosa può essere un problema gestire la situazione», affermano gli agenti; con riferimento all'organizzazione del lavoro degli agenti, il deficit di personale fa sì che siano necessari turni di servizio di 8 ore, in luogo delle 6 ore previste dall'accordo quadro; «facciamo sacrifici anche per prenderci le ferie», riferiscono gli agenti;
   l'istituto si compone di 7 celle che si affacciano su un cortile che funge anche da area passeggio, dove i detenuti possono trascorrere 4 ore d'aria al giorno, più un'ora supplementare nel periodo estivo; le celle sono sprovviste di doccia, ai detenuti è consentito l'utilizzo della doccia comune 3 volte alla settimana; il vano con il wc presente all'interno delle celle non è dotato di finestra; nelle celle l'ingresso di luce naturale è limitato a causa della particolare conformazione «incassata» della finestra: la distanza fra le sbarre rivolte verso l'interno della cella e le sbarre esterne è di circa un metro e mezzo;
   sebbene questo penitenziario presenti evidenti e gravi inadeguatezze strutturali (assenza di doccia in cella, carenza di spazi, conformazione delle finestre), i detenuti manifestano preoccupazione e contrarietà all'ipotesi di chiusura dell'istituto, sottolineando l'ottimo rapporto con il personale e in primo luogo con gli agenti di polizia penitenziaria: «sarebbe un errore chiudere questo carcere, qui siamo trattati bene dagli agenti», afferma un detenuto; «le guardie capiscono le nostre esigenze e noi capiamo le loro; tutto lo staff, anche gli educatori, nel loro piccolo fanno di tutto», dice un altro; e ancora: «qui tutto sommato si sta bene, non ci sono né topi né scarafaggi, il rapporto con gli agenti è buono: prima di chiudere questo carcere dovrebbero chiudere altri istituti dove si sta peggio»;
   secondo quanto riferito, l'ipotesi di una imminente chiusura dell'istituto si ripercuote negativamente sulle condizioni di detenzione e sulla vita dell'intera comunità penitenziaria: «col fatto che si parla di chiusura, qui a noi non ci pensa più nessuno: Marsala ormai è un carcere fantasma», dice un detenuto; «le brande sono arrugginite, ma se noi chiediamo che vengano sostituite loro dicono di no perché tanto questo carcere sta per chiudere; però così le nostre condizioni sono disumane», evidenzia un altro; un detenuto lamenta: «qui ci vorrebbero dei corsi, ma noi stiamo tutto il giorno senza fare nulla perché non mandano i soldi nemmeno per allestire una stanza per fare i corsi: siamo in condizioni di totale abbandono»; un agente riferisce che nell'ufficio matricola manca perfino il toner per la stampante: «il problema è che per l'Amministrazione questo carcere è come se già fosse chiuso»; secondo quanto riferito dall'ispettore capo, il carcere di Marsala ha un grande numero di ingressi dalla libertà e abbraccia un comprensorio territoriale ampio: «anche per questo sarebbe un errore chiudere questo carcere»;
   nella cella n. 1 sono ristretti 5 detenuti;
   A.I.  riferisce di essere stato arrestato per coltivazione di cannabis, di cui faceva uso per scopi terapeutici: «la marijuana mi dà beneficio, la coltivo per non andare nei luoghi di spaccio»;
    nella cella n. 2 sono ristretti 5 detenuti;
   R.B., detenuto di 43 anni con fine pena nel 2014, ha presentato numerose istanze di avvicinamento colloqui in un carcere del nord Italia per avere la possibilità di incontrare la famiglia che è residente a Milano: «sono in carcere dal 2000, da 2 anni sono in Sicilia e in questi 2 anni ho fatto solo un colloquio; ho fatto tantissime domande per andare in un carcere della Lombardia o dell'Emilia Romagna: le prime domande me le hanno rigettate, alle più recenti non ho nemmeno ricevuto risposta; ho usufruito di due permessi, il primo di necessità, il secondo premiale; mi sono già attivato con l'Uepe di Milano per avere un lavoro quando finirò la mia pena, sarebbe importante per me avvicinarmi già ora, a Milano ho anche una compagna»;
   nella cella n. 3 sono ristretti 6 detenuti;
   la cella n. 4 ospita 4 detenuti;
   V.G. riferisce di avere avuto un calo ponderale di 10 chilogrammi da quando si trova in carcere e afferma di non conoscere le ragioni del suo arresto: «sono un pescatore, ho 33 anni di mare alle spalle, non ho mai fatto un reato in vita mia: io ancora non ho capito perché sono in cella»;
   un detenuto sottolinea l'assenza di frigorifero in cella: «senza un frigo le cose che ci portano i nostri familiari durano poco, con qualche piccolo accorgimento in questo carcere si potrebbe vivere meglio»;
   nella cella n. 5 sono ristretti 4 detenuti, di cui uno straniero (di nazionalità rumena);
   un detenuto afferma: «gli agenti sono eccezionali, noi però viviamo peggio degli animali; questo carcere comunque non dovrebbe chiudere: qui si sta meglio che in altre carceri»;
   S.C., detenuto palermitano di 45 anni, riferisce di essere assegnato presso la casa circondariale di Lucca e di trovarsi «in transito» nel carcere di Marsala; S.C. non ha mai ricevuto alcuna risposta alle numerose istanze di trasferimento in un carcere di Palermo, dove risiede la famiglia e in particolare la moglie con gravi problemi di salute: «in 2 anni mi hanno fatto girare 5 carceri: dall'Ucciardone mi hanno trasferito a Genova Marassi, poi a Firenze Sollicciano, adesso sono assegnato a Lucca; più di un anno fa ho chiesto di poter stare all'Ucciardone o al Pagliarelli, perché mia moglie soffre di crisi di panico e non può affrontare lunghi viaggi: non mi hanno mai risposto, ma io non voglio nessun regalo, vorrei solo un avvicinamento alla famiglia; infine questo detenuto aggiunge: «per me andrebbe bene anche restare qui a Marsala, in questo carcere non si sta male, rispetto all'Ucciardone è meglio, lì i topi sono grandi come cani Yorkshire»;
   nella cella n. 6 sono ristretti 5 detenuti, di cui 4 tunisini;
   nella cella n. 7 sono ristretti 4 detenuti stranieri (3 tunisini e un egiziano);
   anche i detenuti stranieri, che vivono da tempo nella provincia di Trapani e hanno la famiglia vicino, sottolineano il buon rapporto che intercorre con gli agenti di polizia penitenziaria e manifestano timore per la chiusura del carcere e per il conseguente trasferimento in una struttura più lontana dal luogo di residenza della famiglia;
   il vano doccia comune consta di 4 postazioni-doccia, in buone condizioni;
   la sala colloqui ha ancora il muretto divisorio; l'istituto non è dotato di un'area verde per il colloquio fra i detenuti e familiari minorenni –:
   cosa intenda fare per riportare il carcere di Marsala nella legalità costituzionale e regolamentare violata nell'istituto del trapanese tanto quanto in quasi tutti gli istituti penitenziari italiani riguardo alle deficienze strutturali e trattamentali, ma non per quel che riguarda il sovraffollamento che, nella casa circondariale di Marsala non si registra;
   se corrisponda al vero che sia stato già firmato il decreto di chiusura del carcere di Marsala e, nel caso, se non intenda rivedere tale decisione considerato il giudizio positivo che tutto sommato ne danno sia il personale che i detenuti;
   cosa ne sia della nuova struttura che, secondo il «piano carceri» predisposto dall'ex guardasigilli Alfano, avrebbe dovuto sorgere in contrada Scacciaiazzo e quanti fondi siano stati spesi finora dei 40 milioni e 400 mila euro all'epoca stanziati;
   se intenda intervenire per avvicinare alle famiglie i due detenuti segnalati in premessa. (5-08322)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARINELLO e PAGANO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la direzione generale risorse materiali beni e servizi del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi del Ministero della giustizia si occupa di edilizia giudiziaria ed in particolare: della predisposizione ed attuazione dei programmi per acquisto, costruzione, ristrutturazione, adeguamento alle normative di sicurezza di cui al decreto legislativo 8 aprile 2008 n. 81 e di prevenzione incendi, per gli immobili demaniali da adibire ad uffici per l'amministrazione giudiziaria centrale e periferica laddove le attività di progettazione, affidamento e direzione lavori, come regolate dal decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 e successive modificazioni sono delegate ai provveditorati alle opere pubbliche competenti per territorio; del coordinamento e della verifica dell'iter tecnico-amministrativo per l'edilizia giudiziaria comunale e del rilascio del parere favorevole per la concessione del mutuo da parte della Cassa depositi e prestiti (legge 30 marzo 1981 n. 119); della gestione degli interventi di manutenzione ordinaria (in adesione alla Convenzione Consip) degli uffici dell'amministrazione centrale e periferica in Roma (articolo 1 della legge 24 aprile 1941 n. 392) nonché della verifica e del controllo delle spese sostenute dai comuni per il funzionamento degli uffici giudiziari ai fini della determinazione ed erogazione del contributo statale (legge 24 aprile 1941 n. 392);
   il tribunale di Gela sorge su un terreno di proprietà privata che, 10 anni fa, è stato preso dal Comune senza che esso sia stato legittimamente espropriato;
   la famiglia Calafiore, legittima proprietaria dell'area in cui oggi sorge il tribunale, ha visto riconosciuti i propri diritti da ben 7 sentenze che hanno condannato il comune alla restituzione del bene e al pagamento dei danni;
   nonostante i procedimenti giurisdizionali in corso il comune di Gela, oltre agli uffici giudiziari, affitta a terzi altri locali dell'edificio;
   ad oggi, da un punto di vista catastale la proprietà risulta, ovviamente, ancora intestata alla famiglia Calafiore che sul bene paga ancora tutte le tasse che le competono;
   il Tribunale di Gela è abusivo e ciò è chiaramente spiegato in una lettera che il signor Elio Calafiore ha consegnato brevi manu anche all'interrogante –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle gravi irregolarità commesse in relazione alla realizzazione del Tribunale di Gela;
   se non ritengano opportuno in base alle rispettive competenze, anche alla luce delle sentenze già passate in giudicato controllare le attività di tutti gli organi preposti alla progettazione e alla costruzione dell'opera. (4-18254)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   MIGLIORI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la giunta della regione Toscana con una delibera (del. regionale 859), per effetto della spending review, ha messo in atto una riforma sul trasporto regionale, ed in particolare nel trasporto ferroviario, che prevede la drastica riduzione dei costi, il riordino delle tratte, la soppressione di stazioni e l'aumento, considerevole, delle tariffe;
   la situazione della rete ferroviaria Toscana denuncia numerosi deficit infrastrutturali ed una rete obsoleta. Attualmente molte linee sono ad un solo binario ed altre non ancora elettrificate, con conseguenti tempi di percorrenza elevati, regolari ritardi nelle percorrenze, cancellazioni treni, creando continui disagi ai pendolari, studenti e turisti. Si denotano inoltre ulteriori deficit nelle stazioni ed in particolar modo per l'accessibilità ai portatori di handicap;
   in particolare la delibera prevede la soppressione di numerose stazioni, di cui due concertate nella Provincia Pistoiese (Borgo a Buggiano, Serravalle Pistiese), con grande contrarietà delle amministrazioni locali dei comuni dove sussistono le stazioni e di quelli limitrofi che ne fruiscono e della popolazione tutta;
   i pendolari, gli studenti e i lavoratori rimarrebbero, così, privi di collegamenti pubblici con le città principali e con il capoluogo di regione, vedendo un conseguente deterioramento della normale qualità della vita a scapito di tempi di percorrenza più lungi, aggravio economico, congestionamento della viabilità e ulteriore deperimento della salute e dell'ambiente, ed anche alle negative ricadute sull'economia locale e turistica –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda attuare per verificare gli effetti della spending review, posto che è necessario evitare di penalizzare ulteriormente i cittadini nel diritto allo studio, al lavoro e alla mobilità, e restituendo quei servizi, fondamentali per i quali pagano le tasse;
   se si intendano assumere per quanto di competenza, iniziative dirette a mantenere gli impegni precedentemente siglati per la realizzazione delle infrastrutture, al fine di dare alla Toscana gli standard delle regioni più evolute, espletando così servizi alla popolazione e strumenti per un buono sviluppo di questi territori. (4-18255)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   domenica 28 novembre 2010, il sito www.radicali.it, riportava la dichiarazione di Marco Cappato, segretario dell'associazione Luca Coscioni, e di Giuseppe Rossodivita, consigliere regionale della lista Bonino-Pannella e segretario del comitato radicale per la giustizia Piero Calamandrei, riguardante le inquietanti ripetute minacce di cui è vittima l'avvocato Filomena Gallo, vicesegretaria dell'associazione Luca Coscioni;
   Cappato e Rossodivita, nella dichiarazione, si soffermano, in particolare, sull'ultimo episodio, verificatosi domenica 28 novembre: «Si è realizzata stamane a Salerno l'ennesima azione di grave minaccia contro il Vicesegretario dell'Associazione radicale Luca Coscioni presso il suo domicilio. Come da lei stessa denunciato alle forze dell'ordine, un martello avvolto in fogli di giornale è stato depositato davanti alla porta del suo appartamento, all'interno dello stabile dove Filomena Gallo risiede, in pieno giorno in una delle vie più centrali e di passaggio della città. L'episodio è solo l'ultimo di una lunghissima serie di azioni, nell'ambito di una vera e propria opera di persecuzione – per telefono, per citofono, con recapito di oggetti come chiodi e altri – che una o più persone indisturbate da oltre un anno realizzano ai danni dell'avvocato Gallo presso il suo domicilio. Si tratta di una o più persone che hanno spesso fatto riferimento verbale, in occasione di telefonate e citofonate anonime, all'attività politica di Filomena Gallo, notoriamente esposta sul fronte delle iniziative per la libertà di ricerca scientifica e di cura. In particolare. Filomena Gallo è stata animatrice dei Comitati referendari per l'abolizione della legge 40 e coordinatrice dei ricorsi giudiziari che hanno portato la Corte costituzionale a statuire l'illegittimità costituzionale di parte della legge stessa»;
   concreta appare la gravità delle minacce, la prossimità fisica che i criminali riescono indisturbati a realizzare, le informazioni precise delle quali dispongono sui suoi spostamenti, il numero e la costanza degli episodi e delle rispettive denunce presentate alle forze dell'ordine da parte della vicesegretaria dell'associazione Luca Coscioni –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   cosa intenda fare nell'immediato per assumere finalmente tutte le misure necessarie per mettere le forze dell'ordine nelle condizioni di assicurare alla giustizia i responsabili di queste azioni, nonché per garantire l'incolumità fisica dell'avvocato Filomena Gallo. (5-08183)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'associazione radicale Il detenuto ignoto, ha di recente ripubblicato nel suo sito internet un'intervista apparsa sull’Unione Sarda del 18 giugno 1998 alla dottoressa Carmen Pugliese, giudice istruttore all'epoca dello svolgimento della drammatica vicenda riguardante Aldo Scardella giovane suicidatosi il 2 luglio 1986 nel carcere Buoncammino di Cagliari, dopo 185 giorni di detenzione cautelare a seguito di un'ingiusta accusa di omicidio per la quale non fu mai interrogato, delitto per il quale nel 1996 si indagarono i reali colpevoli, condannati definitivamente nel 2002;
   nell'intervista, realizzata da Giorgio Pisano e intitolata «Il giudice Carmelina Pugliese: se parlo scoppia la guerra», era scritto: Certo che se lo ricorda: proprio per questo non ne vuole parlare. Aldo Scardella, quel povero ragazzo che ha aspettato sei mesi in isolamento a Buoncammino, torna e ritorna nella sua memoria come un fantasma ingombrante. E non solo perché si è impiccato in attesa di un interrogatorio che non arrivava. Altri impegni, altro codice penale. Altra vita quella che Carmen Pugliese conduceva allora a Cagliari nella veste di giudice istruttore. Quando se ne è andata, lasciandosi alle spalle un cadavere e un oceano di polemiche, sperava in qualche modo di chiudere, dimenticare. Anzi, come dice lei: «archiviare per sempre la fase Sardegna del mio lavoro». Nessuno poteva immaginare che dopo quella piccola tragedia privata un pentito assolvesse Scardella sparando i nomi dei veri assassini nella rapina al Bevimarket di via dei Donoratico. Boom: la notizia è finita sulle prime pagine di tutti i giornali italiani riaprendo ferite mai rimarginate. Carmen Pugliese, pubblico ministero a Bergamo, l'ha presa male, «innanzitutto perché alcuni quotidiani hanno mentito sostenendo addirittura che ero stata allontanata per questa storia». Il che non è vero? «no nel modo più assoluto. Ho fatto regolare richiesta di trasferimento ed eccomi qui a lavorare moltissimo e benissimo in un luogo eccezionale. Non ho altro da aggiungere». Riuscire ad intercettarla non è facile, portarla sull'argomento quasi impossibile. Giacca rossa e gonna nera, capelli corvini, tono da signora borghese molto impegnata, accetta un civile posto di blocco durante una pausa d'udienza in corte d'assise. Sorriso e grande cortesia. Dietro la maschera della buona educazione, affiora comunque il giudice descritto dagli avvocati di questo palazzo di giustizia: combattiva, molto determinata. Falco e colomba? «se andiamo per etichette, né l'uno né l'altro. È un magistrato che difende le sue convinzioni con fermezza, questo sì». Mentre riordina i fascicoli sparsi sul tavolino, capisce al volo perché L'Unione Sarda voglia parlarle. «Ma non ho niente da dire» dice senza spegnere il sorriso. Il caso Scardella. «Ancora? Vi prego. Per me è una storia chiusa. Finita. Beh, quello c’è morto». Lo so. Mi servirebbe un'intera giornata per affrontare questo argomento. Ma non ne ho alcuna intenzione e sa perché? conosco l'ambiente sardo: ricomincerebbero le polemiche, le guerre. «Non si può dire che le sia rimasta la Sardegna nel cuore». A Bergamo sto molto bene. Ho ottimi rapporti coi giornalisti e con gli avvocati «mentre a Cagliari da giudice istruttore ne avevo di buoni con qualche giornalista, decisamente pessimi col foro». Anche per questo è andata via. «Sono andata via, tre anni dopo la morte di Scardella, perché mi piaceva l'idea di cambiare aria». I penalisti sardi non hanno pianto. «Probabile. Neppure io». Ha saputo degli sviluppi dell'inchiesta? «Ho letto». Niente da dire? Se parlassi, presterei il fianco alla speculazione. Vuol dire che «poteva» succedere? Col vecchio codice «poteva» succedere, anche. Poteva succedere che un indiziato aspettasse sei mesi per essere interrogato? Se rispondessi come dovrei a questa domanda scoppierebbe il finimondo. Mi creda, meglio star zitti. Dunque silenzio, nessuno paga. «Le ho detto che per chiarire questa vicenda, dovrei riferire dei rapporti con alcune persone dell'ambiente di lavoro e altro. Dovrei dire come andavano le cose allora al palazzo di giustizia di Cagliari. Esattamente quello che voglio evitare». Le sembra giusto il silenzio? Non so se sia giusto. So che non intendo fare il minimo accenno. Ne ho davvero, ma davvero, le tasche piene. Vabbè, passiamo al privato. «Al privato di Carmen Pugliese?». Sotto la toga, c’è un giudice no? Cosa ha provato. Ma lei cosa ha provato? «Io, io... chiedo scusa ma non ne voglio proprio parlare». Ha avuto un pensiero privato, un rimorso? «Ho detto che non voglio parlarne». Ha pensato di scrivere un biglietto ai familiari? La domanda resta appesa ad uno sguardo che si fa improvvisamente serio. La disponibilità di Carmen Pugliese è entrata in riserva: l'idea che la mancanza di un suo commento lasci la cronaca in qualche modo incompleta non sposta il dialogo di un millimetro. «La pregherei di essere corretto. Il suo giornale finora lo è stato. Scriva che non intendo rilasciare dichiarazioni di alcun genere». Saluta e fa per andarsene, tre chili di fascicoli sottobraccio. Uno due passi. Si ferma, si volta e torna il miglior sorriso: «Posso chiedere un favore? Mi saluti la Sardegna buona». Dev'essere una fettina sottile sottile questa Sardegna buona: i dieci anni (1979-1989) trascorsi all'ufficio istruzione di Cagliari non sono stati allegri. Ce l'ha scritto in faccia. «Un capitolo finito», ha detto. A Bergamo le cose vanno invece diversamente. L'avvocato Roberto Mari (l'unico a uscire volentieri dall'anonimato), confessa che «agli inizi, quand’è arrivata, eravamo abbastanza preoccupati. Era seguita da una fama tempestosa, personaggio durissimo». Il cambio di sede le ha giovato «grande lavoratrice, ottimi rapporti con i penalisti, magistrato sensibile e corretto». Pecche non riesce a trovarne neanche radio sussurro, che trasmette dal bar di piazza Dante il ritratto di «un PM fiero e sensibile, laboriosamente impegnato soprattutto su reati di violenza sessuale e droga». Il resto è silenzio, il passato non merita neppure una parola di scuse, una lapide in memoria. È morto e sepolto: come Aldo Scardella;
   recentemente, il fratello di Aldo, Cristiano, ha pubblicato un articolo sul quotidiano online Notizie Radicali nel quale, fra l'altro, si legge: «Il caso di Aldo è stato aperto tante volte, la maggior parte su mia iniziativa; l'ultima istanza da me fatta è stata perché ipotizzavo il delitto volontario, aggravato ai danni di Aldo e sottolineavo anche che nel referto autoptico i medici facevano figurare quantità e dosaggi di una terapia metadonica inesistente. Il caso è stato chiuso ma l'anno scorso ho ripresentato, tramite un'avvocatessa di Foggia, Rosa Federici, un'altra istanza in Tribunale per la riapertura della vicenda. Poco tempo dopo, esattamente nel novembre del 2009, fece irruzione in casa mia la polizia, senza mandato, piombò nella mia stanza quando ancora mi trovavo addormentato e mi sottopose a domande e nell'occasione si trovò ad assistere alla scena mia madre affetta da Alzheimer... In parole povere una persona in scooter del colore uguale al mio aveva tentato una rapina, ma la polizia per fortuna dovette constatare che il motore del mio scooter era freddo e che quindi non poteva essere quello utilizzato per la rapina. Anche i vertici della polizia dichiararono che ero risultato completamente estraneo al fatto delittuoso. Per dovere di cronaca devo dire che chi decise di inviare gli agenti 24 anni fa in casa mia, con la motivazione che Aldo era stato visto due o tre giorni prima del delitto del commerciante nei pressi del negozio, è lo stesso uomo che oggi sta a capo degli investigatori che sono venuti improvvisamente nella mia stanza e, credetemi, non è stato tanto bello –:
   se non si ritenga di dover acquisire elementi in ordine alle modalità in cui si e svolta l'irruzione di alcuni agenti di polizia nella casa di Cristiano Scardella nel novembre del 2009; in particolare, se non ritenga di dover verificare se nel caso di specie vi siano state violazioni delle procedure che sovrintendono a operazioni di questo tipo e quali provvedimenti intenda assumere in tal caso. (5-08201)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della procedura di regolarizzazione di cittadini stranieri prevista dal decreto-legge n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009 – che più precisamente si connota come procedura di emersione dal lavoro nero – si sono verificati in tutta Italia fatti di tipo criminale, posti in essere da organizzazioni o singoli cittadini, per lucrare denaro ai danni di cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno in cambio della presentazione della domanda di emersione; domanda di emersione di solito del tutto falsa, costruita a tavolino con documentazione ad hoc, oppure priva sin dall'inizio dei requisiti richiesti dalla legge;
   a seguito di queste vere e proprie truffe commesse in danno di migliaia di cittadini extracomunitari, alcune procure della Repubblica, a partire da quella di Verona, hanno ipotizzato l'esistenza della fattispecie criminosa di cui all'articolo 12, comma 5, del Testo Unico sull'immigrazione, norma in base alla quale «chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell'ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente Testo Unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni. Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà»;
   nel caso di specie, i migranti sfruttati vengono considerati parti offese nei procedimenti penali instaurati o instaurandi (salvo singole evidenze diverse), in quanto vittime di grave sfruttamento;
   la circolare 4 agosto 2007 emanata dall'allora Ministro dell'interno, Giuliano Amato, invita i questori a trovare soluzioni che, all'interno del testo unico sull'immigrazione, permettano la regolarizzazione della posizione anche di tutti quei cittadini stranieri vittime di grave sfruttamento nei luoghi di lavoro e/o di lavoro nero, ciò mediante la concessione del permesso di soggiorno per protezione sociale previsto dall'articolo 18 del medesimo testo unico;
   le argomentazioni e le conclusioni della citata circolare sono state confermate successivamente anche dalla direttiva n. 2009/52/CE ancora non recepita dallo Stato italiano;
   l'immigrazione è sicuramente una delle questioni sociali più importanti attualmente in Italia, in quanto i cittadini stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2009 sono 3.891.295, pari al 6,5 per cento del totale dei residenti e rappresentano il 7 per cento della forza lavoro del nostro Paese;
   la realtà dell'immigrazione del nostro Paese è un fatto positivo, strutturale e duraturo se correttamente gestita perché può corrispondere alle necessità della nostra economia, delle nostre famiglie, del nostro welfare –:
   se non ritenga opportuno convocare un tavolo istituzionale sul tema delle truffe commesse in danno degli immigrati nell'ambito della procedura di regolarizzazione prevista dal decreto-legge n. 78 del 2009 nonché promuovere in tempi brevi l'introduzione di una normativa che permetta a questi stranieri di denunciare la truffa subita senza il pericolo di essere espulsi dal territorio italiano;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di combattere ogni forma di sfruttamento del lavoro, attraverso una rigorosa applicazione della normativa vigente, in modo particolare dell'articolo 18 del decreto legislativo 286 del 1998, che prevede un permesso di soggiorno per le persone che denunciano i propri sfruttatori;
   se non reputi opportuno emanare una nuova circolare e, tramite essa, invitare le questure a concedere agli immigrati truffati in occasione della procedura di regolarizzazione prevista dal decreto-legge n. 78 del 2009 un permesso di soggiorno per attesa occupazione;
   se non reputi opportuno emanare una nuova circolare e, tramite essa, invitare le questure a concedere agli immigrati truffati in occasione della procedura di regolarizzazione prevista dal decreto-legge n. 78 del 2009 un permesso di soggiorno per protezione sociale ex articolo 18 del decreto legislativo n. 286 del 1998;
   se e quali iniziative intenda adottare al fine di promuovere entro tempi brevi all'interno del nostro ordinamento giuridico della direttiva 2009/52/CE. (5-08202)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto dichiarato dal consigliere regionale Roberto Antonaz al quotidiano Il Piccolo del 31 dicembre 2010, nel centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Gradisca d'Isonzo vi sarebbero attualmente 130 immigrati, tensione altissima, restrizioni per l'ora d'aria (due il giorno, meno che in un carcere) e servizi mensa scadenti;
   il 50 per cento degli immigrati ristretti nel centro non sono delinquenti ma persone che hanno smarrito il permesso di soggiorno o non l'hanno mai avuto: l'altra metà è gente che viene dal circuito carcerario, ed è un'altra assurdità, atteso che a queste persone viene inflitto un supplemento di pena, perdendo tempo per un'identificazione che andava fatta prima;
   la prefettura di Gorizia, intanto, ha reso noto che sui siti del Ministero dell'interno e della stessa prefettura è online l'avviso pubblico per l'affidamento della gestione del Cie e del Cara per il periodo dal 1° marzo 2011 al 28 febbraio 2014. Si tratta di un bando di gara con una base d'asta di poco superiore ai 15 milioni di euro per tre anni –:
   per quali motivi gli immigrati non vengano identificati durante il loro passaggio all'interno del circuito carcerario, evitando così ai medesimi un supplemento di pena rappresentato da un ulteriore periodo di privazione della libertà personale all'interno di un CIE che può durare anche fino a sei mesi;
   se il livello dei servizi erogato fino a questo momento dall'ente gestore sia adeguato alle esigenze del centro indicato in premessa;
   se le condizioni di vita quotidiana dei trattenuti nel CIE di Gradisca d'Isonzo corrispondano agli standard umanitari previsti dall'articolo 14 del testo unico sull'immigrazione laddove si afferma che le modalità del trattenimento devono assicurare la necessaria assistenza allo straniero e il pieno rispetto della sua dignità;
   se esistano dei piani ministeriali che facilitino il collegamento con le istituzioni locali, le quali, se opportunamente sostenute, potrebbero attivarsi per rendere un po’ più umana la permanenza degli extracomunitari nei CIE con attività di studio, di insegnamento della lingua italiana, culturali e ricreative;
   se non reputi opportuno procedere alla immediata chiusura del centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo. (5-08219)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sabato 2 aprile 2011 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso il centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Mineo insieme al segretario di Radicali Italiani, Mario Staderini, nonché a Simone Sapienza e Valentina Ascione, entrambi membri della giunta di Radicali Italiani e a Gianmarco Ciccarelli, segretario dell'associazione Radicali Catania;
   al momento della visita ispettiva il Cara di Mineo ospitava 1595 persone in prevalenza di nazionalità eritrea, somala, etiope, nigeriana e tunisina. Tra queste vi erano anche 44 minori, compresa una bambina di appena 20 giorni;
   nel centro le condizioni di vita dei migranti sono buone, sia dal punto di vista della struttura, che dell'assistenza, ciò anche grazie all'ottimo lavoro svolto dalla Croce Rossa Italiana. Gli stessi alloggi assomigliano a dei veri e propri residence, sino a pochi mesi fa tutti occupati dai militari della base Nato di Sigonella;
   i problemi riscontrati dalla delegazione nel centro di Mineo riguardano la possibilità di movimento degli ospiti dovuta all'isolamento della struttura raggiungibile solo con l'automobile e non servita da alcun mezzo collettivo di trasporto pubblico o privato; inoltre, al momento della visita, il centro aveva difficoltà di collegamento con i telefoni cellulari per mancanza di copertura del segnale di quasi tutti gli operatori telefonici, non disponeva di collegamento internet ed era privato anche del segnale di tutti i canali radiotelevisivi; questa situazione genera uno stato d'ansia e di prostrazione sia degli ospiti che non riescono ad avere contatti e informazioni dei paesi d'origine, sia del personale per l'efficace svolgimento del proprio lavoro;
   almeno un terzo dei richiedenti asilo presenti nella struttura è stato trasferito a Mineo dai Cara presenti in altre città ed in altre regioni (Bolzano, Bari, Brindisi, Crotone). In pratica centinaia di persone, che avevano già avviato nei rispettivi centri di accoglienza la procedura di asilo e il conseguente processo di integrazione (andando a scuola, facendo formazione e altro), improvvisamente sono state allontanate da quelle realtà e catapultate nel Cara di Mineo senza alcuna certezza sui tempi di risposta alle loro richieste di asilo politico, atteso che la commissione territoriale competente, quella cioè di Siracusa, non si è ancora insediata e allo stato nemmeno si sa entro quando ciò potrà avvenire;
   secondo quanto disposto dal decreto legislativo n. 35 del 2008 in materia di diritto d'asilo, la domanda volta all'ottenimento dello status di rifugiato dovrebbe essere esaminata entro 35 giorni dall'ingresso nel Cara;
   le testimonianze dei richiedenti asilo, preoccupati perché non sanno entro quali tempi potranno ottenere lo status di rifugiati, possono essere riascoltate sul sito di Radio Radicale o di Radicali Italiani. È il caso di Muhamed, ragazzo proveniente da una zona del Pakistan sconquassata dalle inondazioni e trasferito a Mineo dopo cinque mesi trascorsi nel Cara di Crotone: la sua pratica era praticamente definita, ma ora sarà costretto a ricominciare tutta la trafila;
   il 5 aprile 2011 l'agenzia di stampa ANSA ha diramato un comunicato nel quale l'Arci Catania, attraverso il proprio legale, avvocato Francesco Auricchiella, ha dichiarato quanto segue: «Per i richiedenti asilo ospiti nel Villaggio della Solidarietà di Mineo i tempi di permanenza si allungheranno, e di parecchio, e c’è il rischio che una persona rimanga anche un anno all'interno del centro. Sono persone che si trovavano a Gorizia piuttosto che a Brindisi e dovevano fare il colloquio. Il giorno successivo però sono stati trasferiti d'urgenza senza sapere neanche la loro destinazione. Il problema più evidente che sta emergendo a Mineo è la mancanza di informazione per i migranti che si trovano dentro il centro ma anche per i soggetti che istituzionalmente avrebbero il diritto di averle, come le associazioni e gli enti. Come Arci stiamo chiedendo la convocazione di un consiglio territoriale per interloquire ed avere informazioni. Peraltro al Cara di Mineo manca ancora il decreto attuativo»;
   nel centro di Mineo vi sono una cinquantina di persone provenienti da Lampedusa, per lo più di nazionalità tunisina, le quali rischiano di essere rimpatriate da un momento all'altro nel proprio Paese di origine, atteso che, stando a quanto riferito dal Ministro interrogato agli organi di stampa, non avrebbero alcuna possibilità di ottenere lo status di rifugiati;
   sempre da fonti di stampa si apprende che lo stesso Ministro interrogato ha incontrato esponenti del governo tunisino per auspicare un accordo di riammissione in Tunisia delle persone illegalmente provenienti da quel Paese;
   il rimpatrio coatto dei richiedenti asilo non riconosciuti può solo essere disposto caso per caso, dietro verifica della situazione personale e di quella del Paese d'origine, nel rispetto di tutte le garanzie e del divieto di refoulement in Paesi in cui si rischiano persecuzioni;
   l'istituto dell'asilo è basato sul riconoscimento di un diritto soggettivo fondamentale, sancito dalla nostra Costituzione il diritto dei richiedenti asilo che si vedano respingere tale domanda ad adire all'autorità giudiziaria ordinaria per la tutela del proprio diritto fondamentale non può in alcun modo essere compresso od ostacolato. Pertanto non può essere ammesso in nessun caso che si verifichi un allontanamento coatto dello straniero dal territorio nazionale prima che all'interessato sia stata data la possibilità di appellarsi all'autorità giudiziaria contro la decisione negativa;
   lo sbrigativo respingimento dei migranti presenti nel Cara di Mineo si porrebbe in gravissima violazione del principio di non refoulement («non respingimento») sancito dall'articolo 33 della Convenzione di Ginevra, nonché dall'articolo 19 del testo unico n. 286 del 1998, che stabilisce il divieto assoluto di rimpatrio di una persona verso un territorio ove la sua vita e la sua sicurezza potrebbero essere in pericolo –:
   per quali motivi non sia stato ancora emanato il decreto attuativo che dispone la trasformazione del residence di Mineo in un centro di accoglienza per richiedenti asilo;
   quale sia il costo sia annuale del centro di Mineo, sia per l'affitto della struttura, sia per la convenzione con la Croce Rossa;
   in che tempi verranno predisposti i collegamenti riguardanti il trasporto, la telefonia, internet, e per la ricezione dei canali televisivi;
   se non ritenga opportuno disporre il ritorno nelle strutture originarie dei richiedenti asilo trasferiti a Mineo dagli altri centri di accoglienza per richiedenti asilo sparsi sul territorio nazionale;
   entro quali tempi verrà istituita la commissione territoriale di Siracusa incaricata di valutare le domande di asilo politico avanzate dai migranti presenti nel centro di Mineo;
   quali provvedimenti intenda adottare affinché venga garantito, per i richiedenti asilo trasferiti a Mineo, l'immediato ripristino dei percorsi di integrazione nell'ambito dello Sprar (sistema di protezione e assistenza rifugiati);
   se non intenda convocare immediatamente un consiglio territoriale per interloquire e fornire informazioni agli enti e alle associazioni ivi ubicate;
   se non ritenga necessario intervenire affinché non si realizzino violazioni delle garanzie nelle procedure di accoglimento delle istanze di asilo e nel trattamento delle persone a cui le istanze fossero eventualmente respinte, escludendone comunque un rimpatrio forzoso nei Paesi nei quali la loro sicurezza e incolumità non fosse garantita;
   se non ritenga di disporre affinché, ferme restando le eventuali procedure individuali di asilo politico, sia attribuita ai migranti allocati nel Cara di Mineo una forma di protezione umanitaria automaticamente prorogabile o comunque un permesso di soggiorno temporaneo ex articolo 20 del testo unico sull'immigrazione.
(5-08294)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 ottobre 2012, è stato disposto lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
   conseguentemente, è stato disposto il commissariamento dell'ente per rimuovere tempestivamente gli effetti pregiudizievoli per l'interesse pubblico ed assicurare il risanamento dell'ente locale, affidando la gestione del comune ad una commissione straordinaria composta, tra gli altri, dal dottor Vincenzo Panico, prefetto di Crotone;
   il prefetto Panico ha ricoperto il suo incarico a Crotone con grande professionalità e senso dello Stato facendo sentire – riportando le parole del sindaco di Crotone, Peppino Vallone, – «viva e costante la presenza dello Stato e rappresentando per il Comune di Crotone e per tutta la cittadinanza un punto di riferimento importante»;
   ai sensi dell'articolo 17, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini» tutte le province delle regioni a statuto ordinario saranno oggetto di riordino sulla base di criteri minimi demo-territoriali ovvero dimensione territoriale (non inferiore a 2.500 chilometri quadrati) e popolazione residente (non inferiore a 350.000 abitanti);
   secondo anticipazioni di stampa, Corriere della Sera del 22 ottobre 2012 «Pronto il decreto sulle nuove Province: 36 soppresse, dal 2013 tutte commissariate», la provincia di Crotone dovrebbe essere soppressa e accorpata a quella di Cosenza e a quella di Catanzaro;
   il trasferimento del prefetto Panico ad altro importante incarico e la contestuale vacanza, che ormai si protrae da diverse settimane, della sede della prefettura di Crotone causerebbero un vuoto istituzionale ingiustificabile in una terra dove forte è l'esigenza di far sentire la presenza dello Stato –:
   se intenda proporre, con la massima urgenza, al Consiglio dei ministri, la nomina del nuovo prefetto di Crotone.
(5-08329)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PICIERNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 18 ottobre 2012, presso gli uffici della prefettura di Napoli, si è svolta una riunione per discutere l'argomento dei roghi incontrollati di rifiuti, anche pericolosi, che persistono sul territorio compreso tra le province di Napoli e Caserta;
   in tale sede, alla presenza dei prefetti di Caserta e Napoli, è intervenuto il parroco di Caivano, Don Maurizio Patriciello, noto come il «sacerdote anti-roghi tossici», in rappresentanza del comitato locale da lui animato che si occupa volontariamente di monitorare i continui roghi tossici;
   nel corso del suo intervento, in cui esplicitava il possesso di documentazione anche fotografica dei roghi che continuano a devastare l'ambiente e la salute dei cittadini di quei territori, Don Patriciello si rivolge al prefetto di Caserta, Carmela Pagano, con cui aveva già avuto proficui rapporti di collaborazione sociale, chiamandola «Signora», incidentalmente senza fare riferimento al titolo istituzionale, in luogo di «Eccellenza»;
   il prefetto di Napoli, Andrea De Martino interrompendo bruscamente il sacerdote, cominciava ad inveire contro lo stesso, con toni insopportabilmente imbarazzanti, supponenti e arroganti, chiedendogli di rivolgersi alla collega prefetto di Caserta chiamandola «Sua Eccellenza, Signora Prefetto». Dalla trascrizione delle parole pronunciate dal Prefetto di Napoli, sulla base di un video girato da alcuni astanti e pubblicato da numerosissimi media, si legge «di quale Signora sta parlando ? La Signora è un Prefetto (...) C’è anche un rispetto per le istituzioni, Lei se io la chiamassi Signore, come reagirebbe ? Allora, la chiami Signora Prefetto (...) cerchi di capire quello che le sto dicendo, poi se vuole può anche andar via ! (...)». Quando il sacerdote, basito e umiliato, chiarisce che non era assolutamente sua intenzione offendere la Signora Prefetto, l'infuocato Prefetto di Napoli riprende il suo sproloquio, ribadendo che «l'ha offesa, e ha offeso anche me (...)»;
   alcune persone presenti alla riunione in prefettura palesano con vigore tutto il loro disappunto per l'incomprensibile e riprovevole atteggiamento del prefetto di Napoli;
   Don Patriciello da anni conduce una battaglia contro lo sversamento di rifiuti tossici nell'area circoscritta tra Napoli, Giugliano, Qualiano e il basso Casertano, la cosiddetta "terra dei fuochi", dove continuano i roghi di rifiuti e materiale tossico di ogni genere, che dovrebbe essere smaltito come rifiuti speciali, ma che sono interrati e bruciati, propagando nell'aria fumi neri e densi. In quelle terre persone come Don Patriciello rappresentano un fondamentale presidio di legalità e umanità, che talvolta compensano l'assenza dello Stato, vanno rispettate e non umiliate come successo in prefettura a Napoli –:
   se sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se intenda chiedere al prefetto di Napoli pubbliche scuse per Don Patriciello, e se e quali iniziative si intendano assumere nei confronti del prefetto di Napoli, Andrea De Martino, eventualmente procedendo alla sua rimozione dall'incarico. (4-18265)


   EVANGELISTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 20 ottobre 2012, si è svolto a Napoli un incontro in prefettura sui tenni della sicurezza pubblica al quale hanno partecipato, oltre al prefetto di Napoli, Andrea de Martino, anche quello di Caserta, signora Carmela Pagano; all'incontro era presente anche don Maurizio Patriciello, sacerdote notoriamente impegnato nelle comunità di base e nel sociale, il quale, durante il suo intervento, si è rivolto al prefetto di Caserta, dandole della «signora»; il lemma signora è certamente ossequioso e fa da base all'aggettivo signorile, che sta a significare elevato, elegante, nobile d'animo;
   Antonio de Curtis – detto Totò – una volta affermò che signori si nasce; è del resto notorio che una laurea per fregiarsi del titolo di «dottore» si può conseguire più o meno meritatamente e onestamente; in Italia o in un altro Paese, ma essere signori, educati e nobili d'animo è un fatto d'indole; inopinatamente, sia il prefetto Pagano, meno in verità, sia il prefetto De Martino si sono offesi per l'appellativo signora e hanno aspramente rimproverato don Maurizio, innanzi al pubblico presente, ritenendo il vocativo da lui adoperato non rispettoso delle istituzioni –:
   di quali informazioni ulteriori disponga in ordine a quanto evidenziato in premessa;
   quale sia lo stato di servizio dei prefetti di Napoli e di Caserta;
   quali risultati nella lotta alla camorra e alle altre mafie costoro possano esibire, posto che ciò è una priorità dello Stato da cui essi sono retribuiti;
   se non intenda investire le competenti autorità disciplinari per sanzionare quello che secondo l'interrogante è un inqualificabile comportamento. (4-18266)


   TOTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di un incontro svoltosi il 18 ottobre 2012 presso la prefettura di Napoli, al quale partecipavano numerosi sindaci del casertano, varie autorità civili e militari, amministratori di enti locali, il sacerdote di una parrocchia sita nel comune di Caivano, in provincia di Napoli, nonché i prefetti di Napoli e di Caserta, occorreva, a causa di un'inopinata esternazione di quest'ultimo, dottor De Martino Andrea, un episodio increscioso quanto sbalorditivo;
   il sunnominato funzionario statale, improvvisamente interrompendo l'intervento che il sacerdote presente alla riunione, don Maurizio Patriciello, era intento a svolgere, lo redarguiva con modi grevi e resi ancor più ostici da un'imbarazzante topica grammaticale, imputandogli la reità di lesa maestà nei confronti della dottoressa Carmela Pagano, collega del nominato funzionario statale, per averla più volte appellata «signora» in luogo di «prefetto» o di «signor prefetto» come, a sua opinione, il sacerdote avrebbe dovuto, invece, «omaggiare» la dottoressa Pagano, per «rispetto», esternava il funzionario, «delle Istituzioni»;
   i mezzi di comunicazione hanno diffuso la notizia e la registrazione audiovisiva dell'episodio che, nella sua dozzinale manifestazione, ha destato scalpore, riprovazione e sdegno nei commentatori degli organi di stampa ma anche presso l'opinione pubblica;
   in effetti, per un malinteso e deprimente, a parere dell'interrogante, senso di «rispetto» delle istituzioni, sorprendentemente superficiale e vacuamente formale, e con una manifesta insensibilità e inappropriatezza valutativa, aggravate dall'estraneità di contesto, per essere stata convocata la riunione su delicatissime questioni, intorno alle quali l'azione dello Stato, a tutela del popolo sovrano, si è appalesata sin troppo inadeguata, e che avrebbero dovuto preoccupare e indurre, il funzionario statale per primo, a ben altra solerte attenzione, il medesimo, repentinamente, evidentemente compulsato da un'inopportuna interpretazione del proprio ruolo, reclamato, col preteso motivo del «rispetto istituzionale», alla stregua di una deferente e nostalgica «eccellenza», contestava, al malcapitato sacerdote, la riferita, supposta colpa «in dicendi» con veemenza, improvvida e concitata. Di più, il funzionario si esprimeva, come agevolmente può constatarsi dalla visione e dall'ascolto del reperto audiovisivo, rintracciabile su una quantità sterminata di siti web, con un linguaggio cacofonico nella forma e nella sintassi, e perciò stesso irrispettoso, a parere dell'interrogante, anche del decoro istituzionale;
   si è purtroppo costretti più volte a registrare circostanze, come quella rappresentata, che danno eloquente prova di un'intollerabile sproporzione tra la personalità di soggetti che ricoprono ruoli più o meno importanti e le esigenze, le implicazioni, le situazioni le responsabilità riconnesse a quei ruoli e, più specificatamente, le attitudini, le duttilità, le qualità, le affinità instate dalle mansioni e dai compiti loro propri. Con una frequenza e con un rilievo di funzioni preoccupanti, è dato di constatare, talora, l'inadeguatezza, talaltra, la conflittualità congenita tra la condotta di taluni rappresentanti delle istituzioni e le cariche da essi rivestite. Quello di specie appare, a opinione dell'interrogante, un caso di inadeguatezza per «afasia culturale» avendo, il detto funzionario, manifestato, di tutta evidenza, un'epistemologia delle relazioni tra istituzioni e cittadini apoditticamente concepita sul piano di un'arcaica e inane dignità formale, deleteriamente aggrappata a un'idea di sudditanza dei cittadini al cospetto di «dignitari» istituzionali. Una visione, in altri termini, offensiva, questa sì, di soggetti «esposti», com’è il caso di don Maurizio Patriciello, per colpa di croniche e diffuse incapacità delle istituzioni e degli uomini che le rappresentano, a rischi e pericoli insiti in impropri ma necessitati ruoli di «supplenze», rispetto ai quali il funzionario avrebbe egli stesso meritato, nella sua veste di rappresentante delle istituzioni manchevoli, carenti, latitanti, l'esecrazione di qualunque cittadino –:
   se il Ministro sia al corrente della circostanza narrata e se non ritenga, alla luce del riferito episodio e della sua pubblica e vastissima eco, di valutare l'additata condotta del menzionato funzionario, dottor Andrea De Martino, e, ove ne condivida la disapprovazione, di, eventualmente, attivare le procedure per la sua destinazione ad altri incarichi, implicanti solo relazioni interne all'amministrazione di appartenenza, al fine di prevenire analoghe intemperanze, almeno in presenza di soggetti ad essa estranei;
   se il Ministro interrogato non ritenga di adottare ogni utile e opportuna iniziativa di audit interno per rilevare l'ampiezza e la consistenza del fenomeno, nel quale quello in esame si inscrive, con l'obiettivo di agire affinché i dipendenti dell'amministrazione siano educati o, a seconda dei casi, rieducati, a un corretto senso dell'autoreferenzialità perché ciascuno scorga, senza indugio, nell'incarico espletato, non il profilo di una supposta ed erronea superiorità di status rispetto ai cittadini ma quello di servizio ai medesimi, in quanto membri del popolo sovrano costituzionalmente legittimati ad esercitarne le prerogative, i quali possono anche, malauguratamente, incorrere in involontarie e formali inesattezze lemmatiche, comunque scusabili, mentre non può essere dato di tollerare nei loro servitori alcuna sostanziale «inesattezza», della natura di quelle oggetto della riunione nel corso della quale è occorso il deplorevole episodio di cui si è reso protagonista il nominato funzionario. (4-18267)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   dopo aver denunciato, insieme ai sindacati della scuola e le intere categorie di insegnanti, studenti e personale ATA, che l'anno scolastico si è aperto in una drammatica situazione di carenza di strutture, insegnanti e risorse, si apprende a mezzo stampa e dalle denunce delle organizzazioni una serie di eventi molto gravi;
   come comunicato in una nota della direzione generale per gli studi, la statistica ed i sistemi informativi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (protocollo 4173 del 12 settembre 2012) dal prossimo 20 ottobre 2012 saranno dismesse le connessioni internet di 3800 scuole, nonostante quanto annunciato dal Ministro Profumo in merito alla necessità di avere un computer per classe e di promuovere la «scuola digitale»;
   una motivazione espressa consisterebbe nel fatto che sono venuti meno gli stanziamenti finanziari necessari a garantire la gestione e lo sviluppo dell'intero sistema informativo, con conseguente grave esposizione debitoria della direzione generale nei confronti del fornitore del servizio;
   a tale argomentazione nella suddetta nota si aggiunge però anche il fatto che il sostegno economico in favore delle 3800 scuole costituirebbe una discriminazione nei confronti della restante maggior parte degli istituti, un'affermazione che conferma la linea restrittiva per cui i servizi agli studenti devono essere tendenzialmente smantellati o sostituti da sponsor e finanziamenti privati;
   l'Istituto Enrico Fermi «IPIA» di Agrigento è stato chiuso ad una settimana dall'apertura perché è stato dichiarato inagibile a seguito di un'inchiesta della procura, la quale ha accertato la presenza e l'uso di cemento depotenziato nell'edificio;
   dopo la chiusura dell'edificio scolastico per inagibilità, la provincia, in accordo con il provveditore agli studi di Agrigento ed i dirigenti scolastici, ha predisposto impraticabili turni pomeridiani in 41 aule messe a disposizione dai presidi degli istituti «Brunelleschi», «Gallo» e «Sciascia», turni che rendono impossibile per gli studenti utilizzare gli insufficienti trasporti pubblici, in attesa della consegna di 25 nuove aule nella zona ASI, prevista solamente per dicembre;
   il 24 settembre 2012, nell'istituto tecnico Carlo Matteucci di Roma, è esplosa una caldaia proprio durante l'orario delle lezioni, un incidente ad altissimo rischio di vera e propria strage, che ha provocato il ferimento grave di un operaio;
   nella regione Lombardia, in più di 500 istituti (su 1227) l'anno scolastico è iniziato senza dirigente scolastico, per via della sentenza del TAR della Lombardia, che il 18 luglio 2012 ha annullato i risultati del concorso, rilevando un vizio procedurale che avrebbe minato la garanzia del principio dell'anonimato, fondamentale per ogni concorso pubblico;
   sulla questione, si attende il pronunciamento del Consiglio di Stato, il prossimo 20 novembre;
   stando all'anagrafe dell'edilizia scolastica diffusa dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel solo territorio del Lazio 72 edifici che ospitano scuole hanno più di cento anni, essendo stati costruiti prima del 1900, mentre sono 718 quelli costruiti negli ultimi trent'anni, 1.222, la maggior parte, tra il 1961 e il 1980, 423 nel Dopoguerra (1946-1960) e 279 nei primi 45 anni del secolo scorso;
   a fronte di tutto questo, sempre nel Lazio, sono 1.949 (42,4 per cento) gli edifici che non sono stati progettati con normativa antisismica, a fronte di soli 399 (8,7 per cento) che invece sono sottoposti al vincolo della normativa, mentre, al contempo 127 scuole (pari al 6,5 per cento del totale) sono costruite in una zona ad alto rischio sismico, la cosiddetta zona 1, dove in passato si sono avuti gravissimi danni;
   l'associazione «Cittadinanzattiva», nel «X rapporto su sicurezza qualità e comfort degli edifici scolastici», ha denunciato l'assenza di un'anagrafe dell'edilizia scolastica, completa e aggiornata, dichiarando l'inaffidabilità dei dati pubblicati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca la scorsa settimana in quanto aggregati e privi di un quadro preciso comune per comune, scuola per scuola, nome per nome;
   a tal proposito, «Cittadinanzattiva» dichiara inaccettabile le spiegazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per cui le regioni e gli enti locali avrebbero smesso di fornire i dati a partire dal 2009, sostenendo a buon diritto che è compito del Ministero attivarsi in ogni modo per monitorare lo status quo e reperire le informazioni;
   secondo i dati di «Cittadinanzattiva», solo un quarto delle scuole è in regola con tutte le certificazioni di sicurezza, la manutenzione è insufficiente, tanto che nel 45 per cento delle scuole monitorate sono stati richiesti interventi strutturali senza ottenere, nel 58 per cento dei casi, intervento alcuno;
   inoltre, un terzo degli edifici è privo anche della più semplice aula computer e quasi la metà di laboratori didattici, il 46 per cento non ha una palestra al proprio interno, in un terzo dei casi i cortili sono usati come parcheggio, lesioni strutturali sono presenti in gran parte sulla facciata esterna dell'edificio, crolli di intonaco in corridoi (19 per cento), aule (14 per cento) e bagni (14 per cento), muffe, infiltrazioni e umidità in bagni ed aule (24 per cento), mense (18 per cento), palestre (17 per cento);
   il 21 per cento delle scuole presenta uno stato di manutenzione del tutto inadeguato, come rivelano gli stessi responsabili del servizio di protezione e prevenzione intervistati da «Cittadinanzattiva» che nell'87 per cento dei casi hanno richiesto interventi mantenutivi all'ente interessato, ma quest'ultimo, nel 15 per cento delle situazioni, non è mai intervenuto o l'ha fatto con estremo ritardo;
   il certificato di agibilità statistica, quello di agibilità igienico-sanitaria e quello di prevenzione incendi sono presenti solo nel 24 per cento delle scuole, quando il 59 per cento del totale delle scuole si trova in aree a rischio sismico;
   secondo quanto fa notate l'ANCI le risorse messe in campo non sono assolutamente sufficienti e, soprattutto, rispetto agli annunci che arrivano ai comuni, sono esigue e giungono con lentezza;
   nel merito, del miliardo di euro di fondi CIPE stanziati nel 2009 per la messa in sicurezza delle scuole, tolta la parte destinata all'emergenza Abruzzo, restano 760 milioni di euro circa (che dovevano essere utilizzati attraverso 2 piani stralcio), di cui solo 161 milioni di euro sono stati effettivamente assegnati e quasi totalmente impegnati, motivo per cui la mancata assegnazione delle altre risorse preventivate ha impedito di effettuare gli interventi programmati;
   le risorse previste nel 2012 ammontano a 200 milioni di euro, sia per la costruzione di nuovi edifici che per la messa in sicurezza, di cui una parte è stata assegnata per la ricostruzione delle scuole colpite dal recente sisma e 115 milioni di euro serviranno per mettere in sicurezza le scuole individuate nella risoluzione Alfano, risorse in relazione alle quali si è in attesa di conoscere le modalità di assegnazione;
   infine, l'ANCI fa notare che il piano di coesione territoriale, che interessa le 4 regioni del Mezzogiorno dell'obiettivo 1, prevede nell'ambito del progetto per la dispersione scolastica anche interventi sugli edifici scolastici;
   si trova in una situazione in cui secondo l'ultimo rapporto OECD (OCSE) appena pubblicato, l'Italia è al penultimo posto dopo il Giappone, 31 su 32 Paesi, per spesa pubblica destinata all'istruzione, con il 9 per cento a fronte della media del 13 per cento della spesa pubblica –:
   come i Ministri interpellati intendano affrontare l'emergenza complessiva sul piano nazionale;
   se i Ministri non ritengano urgente un piano straordinario di risorse per l'intero settore scuola, in grado di avvicinare rapidamente il Paese alla media europea e rimediare alla grave carenza nella garanzia delle pari opportunità e del diritto allo studio a tutti i cittadini.
(2-01714) «Di Pietro, Zazzera, Di Giuseppe».

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE POLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale situazione economica-finanziaria sta colpendo le famiglie che devono inevitabilmente tagliare anche sui costi che sostengono per mandare i figli agli asili paritari. Questo è il quadro che emerge in particolare sul territorio veneto dove sul totale delle 1.744 scuole dell'infanzia (bambini dai 3 ai 6 anni) 1.181 sono paritarie e 563 statali. In percentuale ben il 66,56 per cento delle scuole materne venete sono gestite da parrocchie, enti religiosi e da privati, contro un 33,44 per cento interamente pubbliche. I bambini alle paritarie sono in totale 93.627 contro i 47.043 iscritti alle statali. Il costo di un bimbo iscritto agli asili paritari è di 269 euro al mese. I contributi pubblici si suddividono in 54 euro al mese (19 per cento del costo) dal ministero, 15 euro (5 per cento dalla regione, 42 euro (13,5 per cento) dal comune, in totale 111 euro e il resto, 185 euro lo mette la famiglia;
   in Veneto le scuole paritarie sono il 70 per cento sul totale delle scuole per l'infanzia, ciò significa che metà dei Comuni veneti non ha scuole statali per l'infanzia;
   dal 2004 al 2010 la differenza versata dalle famiglie della retta scolastica è passata dal 53,3 per cento al 62,5 per cento con un incremento in 6 anni del 9,2 per cento;
   dunque sono i numeri a parlare della gravità della situazione: nel 2012 sono stati 2 mila i bambini che non si sono inscritti alle scuole dell'infanzia, un'emergenza sociale, un'emorragia che sta colpendo le scuole dell'infanzia paritarie che può essere arginata solo permettendo alle famiglie di dedurre le spese sostenute per l'istruzione dei propri figli, è questo il punto di partenza su cui lavorare per presentare al più presto un progetto concreto;
   la scuola paritaria è parallela e non concorrente alla scuola pubblica; entrambe devono perseguire l'obbiettivo comune della promozione umana e culturale degli alunni e della crescita civile, sociale ed economica del paese. Inoltre la scuola statale non è in grado da sola di coprire tutte le esigenze educative. Uno degli obbiettivi di un moderno ed efficiente Stato che vuole inserirsi ed essere protagonista oggi in Europa, come l'Italia, deve essere quello di aumentare le opportunità di scelta tra diverse istituzioni educative, non certo di limitarle –:
   in che modo i Ministri competenti intendano intervenire per poter superare le criticità messe in evidenza in premessa. (4-18256)


   ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale del lavoro di Mantova con sentenza n. 255 del 13 dicembre 2011 ha riconosciuto come illegittima la reiterazione dei contratti a termine oltre i 36 mesi ai sensi della direttiva europea 1999/70/CE, a seguito dell'istanza presentata dai docenti precari della provincia di Mantova;
   la sentenza spiega con chiarezza che la reiterazione di tali contratti non era dettata da esigenza eccezionali e temporanee della pubblica amministrazione, ma, come esposto dai ricorrenti, era il modo, vietato, con cui la stessa datrice di lavoro sopperiva alle endemiche carenze di organico;
   tale passaggio della sentenza fa riferimento alla continua assegnazione di posti vacanti, almeno a partire dal 2005, attraverso l'uso di contratti a termine;
   il giudice non ha potuto predisporre la stabilizzazione dei docenti, ed ha quindi sancito la condanna del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al pagamento di un risarcimento del danno, calcolato in due mensilità e mezzo dell'ultima retribuzione globale lorda per il primo contratto di lavoro, oltre ad una mensilità per i contratti su organico di fatto (oppure a mezza mensilità per i contratti su organico di diritto) per i successivi anni di servizio (nei limiti del termine di prescrizione quinquennale);
   nonostante il riconoscimento del danno ingiusto provocato ai docenti, l'ufficio scolastico territoriale di Mantova ha messo a punto un meccanismo palesemente illegittimo finalizzato ad aggirare gli effetti della sentenza;
   in particolare, con circolare interna il dirigente generale dell'ufficio scolastico regionale ha vietato all'amministrazione di avvalersi nuovamente dei docenti ricorrenti proprio a causa del carattere illecito dei contratti;
   quindi paradossalmente, ai lavoratori ai quali il giudice ha riconosciuto il danno ingiusto, è stata negata la possibilità di insegnare per il futuro;
   come se ciò non bastasse, probabilmente facendo leva sulle necessità lavorative dei docenti, l'ufficio scolastico territoriale ha indotto i ricorrenti a rinunciare agli effetti della sentenza attraverso una risoluzione bonaria della questione;
   risulta addirittura che l'amministrazione abbia contattato direttamente i docenti beneficiari delle cause di lavoro, per portarli a sottoscrivere le conciliazioni, anche in assenza di legali o rappresentanti sindacali, a volte suggerendone addirittura l'opportunità in vista della perdita definitiva del posto di lavoro nell'eventuale caso di soccombenza in Cassazione;
   in sostanza l'amministrazione ha indotto alcuni di questi docenti vincitori del ricorso a rinunciare al giudicato della sentenza, per poter ottenere la nomina annuale nuovamente con contratto a termine;
   l'inqualificabile comportamento dell'amministrazione è aggravato dal fatto che il tribunale di Mantova, immediatamente adito dai ricorrenti, aveva da qualche giorno già decretato, d'urgenza e inaudita altera parte, l'illegittimità dell'esclusione dei ricorrenti dalle graduatorie per le supplenze, obbligando il Ministero ad annullare l'esclusione dei docenti dalle nomine;
   tale esclusione non può essere comunque operata sulla base della sentenza di cui sopra, in quanto nella medesima condizione dei ricorrenti si trovano diverse migliaia di docenti precari in tutta Italia;
   tale conciliazione è evidentemente impropria e priva di fondamento giuridico, specie alla luce del provvedimento d'urgenza emesso dallo stesso giudice del lavoro, in cui si dimostra in maniera dettagliata che la sentenza n. 255 del 13 dicembre 2012 non può comportare l'esclusione dall'incarico ma deve semmai aprire ad un piano di stabilizzazione ai sensi delle direttive comunitarie;
   secondo l'ultimo rapporto OECD (OCSE) appena pubblicato, l'Italia è al penultimo costo dopo il Giappone, 31 su 32 Paesi, per la spesa pubblica destinata all'istruzione, con il 9 per cento del PIL di fronte alla media del 13 per cento;
   il concorso recentemente bandito dal Ministero aggrava la posizione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in merito alla condanna, in quanto, con l'inutile spesa di 120-150 milioni di euro, stabilizzerebbe solo 12.000 unità, le quali potrebbero già essere promosse in ruolo anche solo attraverso le graduatorie, essendo invece 180.000 i precari che svolgono attività didattiche strutturali e indispensabili al funzionamento del sistema –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei gravi fatti descritti in premessa e quali provvedimenti di competenza intenda adottare nei confronti dell'ufficio scolastico territoriale di Mantova;
   alla luce della decretazione d'urgenza del tribunale di Mantova, per quali ragioni il Ministero non abbia provveduto ad annullare l'esclusione dei docenti dalle nomine;
   quali iniziative, anche normative, il Ministro ritenga opportuno adottare al fine di tutelare i diritti già riconosciuti dal giudice del lavoro ai docenti di cui in premessa. (4-18258)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI GIUSEPPE, ROTA e MESSINA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea sostiene la produzione agricola dei Paesi membri attraverso l'erogazione, ai produttori, di aiuti, contributi e premi. Queste erogazioni sono finanziate dal fondo europeo agricolo di garanzie (FEAGA) e dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), e vengono gestite dagli Stati membri attraverso gli organismi pagatori, istituiti ai sensi del Reg.CE n. 885/2006 (Articolo 18); come è noto, in Italia, con il decreto legislativo n. 165/99, è stata istituita l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) per lo svolgimento delle funzioni di organismo di coordinamento e di organismo pagatore;
   è in corso una duplice inchiesta, della Procura della Repubblica di Pescara e della procura regionale della Corte dei conti, su un presunto illecito relativo all'utilizzo dei contributi, ventisei milioni di euro dell'Unione europea previsti dal Piano di sviluppo rurale in Umbria, e che sarebbero finiti nelle tasche di alcuni funzionari dell'Agea;
   l'inchiesta riguarda il territorio di Pescara e dell'Umbria, infatti, proprio dagli uffici della regione Umbria sono partite le denunce che hanno consentito di avviare il procedimento. Da notizie di cronaca risulta, a carico di tre agricoltori e cinque funzionari Agea, un danno erariale stimato in 1.338.342,5 euro, che con gli interessi arrivano a circa due milioni di euro;
   per l'esattezza i contributi oggetto delle verifiche della Guardia di Finanza prima e della Corte dei conti poi, sono quelli relativi alla procedura «set aside» che consiste nella messa a riposo di terreni che quindi risultano sottratti alla normale rotazione produttiva. In virtù di questa scelta, agli agricoltori viene riconosciuto una sorta di indennizzo da parte dell'Unione europea;
   secondo l'accusa, che ipotizza l'esistenza di un'associazione a delinquere composta da funzionari e imprenditori, in grado di falsificare atti pubblici, timbri e sigilli con i quali aggirare le procedure per l'erogazione dei contributi, i fondi dell'Unione europea sarebbero finiti nelle tasche dei citati funzionari dell'Agea e degli agricoltori compiacenti che, per gestire i contributi set aside erogati al termine di illeciti procedimenti, mettevano a disposizione degli organizzatori la loro identità ed i loro c/c bancari, successivamente svuotati;
   all'epoca dei fatti contestati, che concerne le dichiarazioni effettuate tra il 2003 e il 2006 e relative alle stagioni 1990-1995, il contributo economico veniva liquidato dall'Agea in base ad alcune liste redatte dagli uffici regionali. Il presunto illecito riguarda proprio la composizione di questo elenco infatti, posto che le domande presentate dalle singole aziende potevano essere accolte oppure rigettate, in caso di rigetto si verificava un contenzioso giuridico che, se risolto positivamente, poneva la richiesta pendente nell'elenco di quelle presentate fiori termine. A sbloccare le richieste, secondo quanto si apprende, avrebbero provveduto alcuni funzionari dell'Agea, attraverso una documentazione inventata di sana pianta, eludendo il controllo degli uffici competenti. Infatti nella citazione a giudizio della Procura della Corte dei conti, riportata dai quotidiani, si legge che «L'erogazione dei contributi era avvenuta attraverso procedimenti amministrativi formatisi in Agea sulla base di documenti falsi sia materialmente (gli elenchi “fuori termine” risultavano non compilati dai competenti uffici in sede locale, i quali erano all'oscuro di tutta la vicenda), sia ideologicamente (contenevano dati non veri)»;
   i fatti sopracitati riguardano avvenimenti occorsi negli ultimi venti anni, appare lecito alla scrivente, auspicare un maggiore e più efficiente controllo sulle erogazioni economiche previste, dei fondi europei come il fondo sociale europeo e il fondo europeo di sviluppo regionale da far valere sul programma di sviluppo rurale, per il periodo 2007-2013 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga necessario doversi attivare al fine di valutare l'attuazione di un più efficace modello di gestione e controllo dei flussi economici erogati dall'Unione europea;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti, dal momento che il sistema di controllo attuato da AGEA avrebbe dovuto garantire un'adeguata corrispondenza tra i terreni posti in «set aside» ed i fondi dell'Unione europea assegnati;
   se il Ministro non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze, proprio in virtù dei fondi dell'Unione europea 2007-2013, di verificare l'effettivo utilizzo dei fondi europei, in concessione e già concessi negli ultimi anni, transitati per AGEA. (5-08325)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSSO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'apicoltura è quel particolare comparto, il più complesso del mondo agricolo, in cui le funzioni principali sono l'attività economica e lo sviluppo rurale, la produzione di miele e di altri prodotti dell'alveare. Si tratta di un settore – forse più di altri – caratterizzato dalla diversità delle condizioni di produzione e di resa, dalla frammentazione e dalla molteplicità degli operatori; per poter migliorare la produzione e la commercializzazione dei prodotti dell'apicoltura lo Stato eroga aiuti, all'interno di programmi nazionali come quelli di cui la legge n. 313 del 2004;
   i seguenti enti e/o associazioni nazionali percepiscono l'erogazione statale:
    FAI (Federazione apicoltori italiani), corso Vittorio Emanuele, 101 – 00186 ROMA C.F. 02843180585;
    CONAPI (Consorzio apicoltori e agricoltori biologici – società cooperativa agricola), via Idice 299 – 40050 Monterenzio (BO) P.IVA IT00625981204 C.F. 03486390374;
    Osservatorio nazionale del miele, via Matteotti, 72 – 40024 Castel San Pietro (BO), P.IVA 00705721207 e C.F. 90004450376;
    UNAAPI (Unione nazionale associazioni apicoltori italiani), sede operativa, strada Tassarolo, 22 – 15067 Novi Ligure (AL) –:
   se intenda fornire informazioni dettagliate sulle ultime tre annualità, come i progetti, gli importi per ogni singolo progetto con i dettagli di spesa e i tempi di esecuzione, nonché, sui contributi dati alle suddette organizzazioni nazionali apistiche (UNAAPI, FAI, CONAPI e Osservatorio del miele) con il finanziamento erogato ai sensi della legge n. 313 del 2004 o di altre normative. (4-18257)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   i dati del rapporto «Sentieri» presentati dal Ministro della salute a Taranto, il 22 ottobre 2012, sull'aumento dell'incidenza di malattie tumorali attorno all'area dell'Ilva rappresentano un punto di rilevantissima preoccupazione e di un evidente non ritorno sulla situazione di emergenza sanitaria determinatasi;
   l'intera comunità nazionale italiana, apprende ancora una volta, che a Taranto insiste un grande, complesso e complicato problema, dal quale nessuno ed alcuna Istituzione possono sentirsi esclusi;
   sono in gioco la salute di migliaia di cittadini di Taranto e, accanto ad essa, il destino del più grande stabilimento siderurgico d'Europa;
   la recente autorizzazione integrata ambientale (AIA) invertendo radicalmente la vecchia logica dell'AIA 2011, anticipando la direttiva Unione europea 2016, ponendo con rigorosità i limiti emissivi e i tempi certi sugli interventi da svolgersi, prevedendo la valutazione di danno sanitario (VDS) come previsto dalla legge n. 21 del 2012 della Regione Puglia, prescrivendo all'azienda i report trimestrali sullo stato di avanzamento dei lavori, dovrà rappresentare la compatibilità del processo industriale con il territorio, con l'ambiente e la salute dei cittadini;
   il Ministro interpellato ha dichiarato – il 23 ottobre 2012 – «per la popolazione di Taranto stiamo mettendo a punto servizi sanitari straordinari. Visto che a Taranto c’è una mortalità maggiore rispetto alla Puglia e al resto della nazione metteremo in campo un intervento sanitario rafforzato ai fini di prevenire e diagnosticare nuove patologie»;
   occorre che si attuino alcuni interventi prioritari per monitorare e controllare i rischi cui è esposta la popolazione ai fini della prevenzione e della cura delle patologie connesse all'inquinamento industriale in direzione di: uno studio sullo stato della salute della popolazione; uno studio sulle ricadute sanitarie degli altri principali impianti industriali presenti sul territorio (Eni, Cementir e Arsenale M.M.); la creazione e il potenziamento di presidi di prevenzione e cura connesse all'inquinamento; realizzazione del Centro Ambiente e Salute dell'OMS con le istituzioni locali; potenziamento degli organici Arpa Puglia; una deroga per il personale di assistenza sanitaria e prevenzione della ASL TA;
   occorre una accelerazione per le bonifiche previste dalla legge 3 ottobre 2012 per la «bonifica per Taranto» e conseguentemente predisporre un piano strategico per il risanamento e la riqualificazione di Taranto attraverso l'accordo di programma;
   occorre assumere tutte le iniziative istituzionali di competenza affinché il consiglio di amministrazione dell'ILVA dichiari rapidamente le proprie intenzioni in relazione agli interventi e misure prescritti dall'AIA anche in riferimento ai dati del Rapporto «Sentieri» 2003-2009 –:
   quali iniziative urgenti e strutturali il Governo, intenda assumere per affrontare l'emergenza sanitaria a Taranto e se intenda accogliere le preposte avanzate in premessa dagli interpellanti.
(2-01715) «Vico, Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Lenzi, Boccia, Giachetti, Quartiani, Rosato».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   BARANI. — Al Ministro della salute — Per sapere – premesso che:
   nella risposta all'atto 5-07586 del 2 agosto 2012 da parte del Ministro si è sottolineato come vi sia un importante ritardo per il raggiungimento di un accordo secondo quanto previsto dall'articolo 19 del patto sulla salute per gli anni 2010-2012 da parte della regione Umbria con quelle confinanti, tanto che se ne prospetta una reale definizione in vista dell'analogo patto 2013-2015;
   tale stato di cose costringere a richiamare in premessa quanto già evidenziato in occasione del precedente atto di sindacato ispettivo in Commissione affari sociali, inerente la mobilità passiva dalla regione Umbria alla regione Toscana, con riferimento particolare al settore della diagnostica per immagini, uno dei più colpiti dal fenomeno delle liste d'attesa, pur essendo uno dei campi vitali per una corretta attività di prevenzione;
   da una analisi dei dati relativi al trend della mobilità sanitaria della regione Umbria riferita al triennio 2008-2010, elaborati dal servizio IV, direzione regionale salute, appare evidente, nel triennio, un costante e progressivo aumento della mobilità passiva insieme ad un'altalenante tenuta della mobilità attiva ed una consistente riduzione del saldo attivo di mobilità, passato dai 10,5 milioni di euro del 2008 ai 6,5 milioni di euro del 2010;
   all'interno del suddetto trend si evidenziano i saldi negativi, superiori al milione di euro, relativi alla mobilità sanitaria da e verso la Lombardia, l'Emilia-Romagna, il Veneto e soprattutto verso la Toscana;
   analizzando i flussi di mobilità da e verso la Toscana ne deriva che l'incremento desti particolari perplessità circa la reale applicazione, da parte dell'Umbria, degli accordi sottoscritti con la regione Toscana per il contenimento della mobilità passiva (determinazione dirigenziale numero 5441 del 16 giugno 2006, determinazione dirigenziale numero 11383 del 23 dicembre 2010 che addirittura fa riferimento ai criteri stabiliti con la determinazione del 2006, e dgr n. 600 del 22 marzo 2010), accordi che, stando ai dati, hanno ben funzionato per la Toscana, facendo diminuire la mobilità diretta in Umbria del 12 per cento ma sono risultati totalmente fallimentari per l'Umbria che invece in soli tre anni ha visto lievitare del 75 per cento la mobilità diretta in Toscana;
   è quantomeno sospetto che la direzione generale della sanità umbra abbia fissato (con le delibere sopracitate) tetti finanziari per le Asl e le strutture del privato convenzionato situate nel territorio regionale ma sia del tutto inadempiamente circa l'adozione dei piani annuali di attività, ossia gli atti con cui la giunta deve stabilire a inizio anno il tetto finanziario delle prestazioni erogabili dalla Toscana, le tariffe da applicare e gli abbattimenti da applicare alle tariffe nel caso di superamento del tetto di budget;
   il tetto 2010 delle prestazioni erogabili dalla Toscana è stato fissato con determinazione dirigenziale n. 11383 del 23 dicembre 2010, cioè a sanatoria di quanto già fatturato dalla Toscana stabilendo che tale tetto semplicemente coincidesse con il fatturato del 2009;
   il tetto per il 2011 non è mai stato fissato e addirittura la «trattativa» risulta a tutt'oggi ancora aperta, comprendendo questo stato di cose anche l'anno 2012;
   l'anomalia maggiormente evidente è quella relativa al fatto che un terzo del fatturato di mobilità passiva è attribuibile a prestazioni di specialistica/diagnostica ambulatoriale ed è indirizzato per la quasi totalità ad una struttura privata, convenzionata, denominata Istituto di diagnostica «A. Cesalpino» di Terontola, situato al confine fra Umbria e Toscana;
   analizzando in termini di prestazioni e di fatturato, i flussi di mobilità passiva risultano in incremento costante nel triennio da tutte le ASL umbre, il volume di mobilità verso l'istituto «A. Cesalpino» di Terontola, per alcune ASL risulta quasi raddoppiato nel triennio, ed appare a dir poco strano in virtù della distanza tra i residenti della regione Umbria e la città di Terontola, per cui non si comprende per quale motivo la popolazione umbra decida di andare fuori regione per eseguire esami diagnostici quali Tac o Rmn, piuttosto che utilizzare le numerose strutture a disposizione sul territorio, siano esse pubbliche o private convenzionate;
   le strutture convenzionate umbre non dispongono di una convenzione diretta con la direzione generale della sanità, come invece l'istituto «A. Cesalpino» di Terontola con regione Toscana ma sono assoggettate a convenzioni specifiche con le singole ASL della regione;
   ne consegue che i centri diagnostici umbri devono sottostare a budget imposti dalle singole ASL rinegoziabili ogni anno solare, da utilizzarsi in dodicesimi e regolati mediante stipula di un contratto;
   i centri convenzionati con la varie ASL umbre non possono eseguire esami a pazienti provenienti da fuori regione, bloccando la mobilità attiva verso l'Umbria (al contrario l'Istituto «A. Cesalpino» di Terontola può eseguire mediamente più 5.000 prestazioni annue liberamente); la sola ASL 2 di Perugia autorizza la mobilità attiva limitandola per soli 120 mila euro per pazienti provenienti da tutte le regioni italiane, mentre per i pazienti provenienti dalla regione Toscana la mobilità attiva viene regolata in modo specifico;
   non tutte le ASL umbre concedono convenzioni ai centri privati umbri che svolgano attività di diagnostica per immagini; ne consegue che nella stessa città ci sono centri convenzionati per alcune ASL, mentre ad altri centri inspiegabilmente non viene concessa la convenzione, determinando una disparità di trattamento, non garantendo inspiegabilmente la pari condizione agli attori della sanità privata, e soprattutto attivando inspiegabilmente mobilità passiva e notevoli costi per gli utenti;
   altra grave anomalia è quella che alcune direzione generali delle ASL umbre chiedono alla firma dei contratti annuali sconti sul nomenclatore regionale Umbro per la stipula dei contratti, poiché tali risparmi incidono direttamente sui bilanci annuali delle ASL, mentre, per esempio, l'Istituto «A. Cesalpino» di Terontola, che dispone di una convenzione diretta con la regione Toscana, non concede sconti di nessun tipo, addebitando direttamente le prestazione eseguite alla regione Toscana, che a sua volta gira i costi alla regione Umbria;
   tutto ciò premesso ne consegue un'ulteriore disparità di trattamento tra i vari competitor; mentre i contratti con le ASL umbre impongono diverse clausole ai centri convenzionati, le stesse acquistano servizi senza imporre nessuna garanzia o clausola comportamentale, in virtù dell'accordo tra regioni, a giudizio dell'interrogante, con un aggravio di spesa da segnalare alla Corte dei conti –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere al fine di monitorare più efficacemente la mobilità sanitaria interregionale, in particolare nelle regioni richiamate in premessa, anche sotto il profilo dell'appropriatezza delle prestazioni e soprattutto per garantire omogeneità delle cure ed un rapido raggiungimento degli accordi previsti dal patto per la salute, pur nelle difficoltà imposte dall'attuale crisi economica, anche al fine di non costringere i cittadini umbri a viaggi costosi fuori regione, in particolar modo in relazione ai servizi di diagnostica per immagini.
(5-08323)


   MURER e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 6 luglio 2012 il Governo ha approvato il decreto-legge n. 95 (Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14 agosto 2012 – supplemento ordinario n. 173) recante «Disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati» convertito, con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012;
   le misure approvate contengono interventi di riduzione della spesa in vari settori della pubblica amministrazione; tra questi ci sono disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica;
   tutti i tagli, secondo le intenzioni del Governo, non dovrebbero in teoria comportare «varianza dei servizi per i cittadini», anche se le misure adottate per il servizio sanitario, ispirate da una logica prevalentemente economica e basate su tagli di risorse di carattere lineare, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dello stesso servizio sanitario nazionale e l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;
   la stessa programmazione delle spese sanitarie avviene sulla base di riduzione di risorse che non sono state previamente concordate né con le regioni, né con gli enti locali, mettendo così in discussione un sistema pattizio che finora ha permesso di tenere sotto controllo l'andamento della spesa sanitaria;
   alcune misure, nello specifico, vanno ad incidere non solo sui servizi erogati ma anche sui livelli occupazionali di cooperative sociali di tipo A e di tipo B, comportando disagi tra i lavoratori, molti dei quali soggetti svantaggiati avviati al lavoro dentro un percorso di inclusione sociale;
   alle cooperative sociali di tipo A, impegnate nella gestione di servizi sociosanitari per conto di aziende sanitarie locali, in seguito al provvedimento denominato spending review, stanno pervenendo richieste di riduzione degli importi senza possibilità di rinegoziazione pari al 5 per cento degli appalti, che si traduce inevitabilmente in un grave disagio per i lavoratori dal momento che le cooperative hanno davanti due strade: licenziare un lavoratore ogni cinque oppure praticare un taglio lineare dell'orario di lavoro e quindi delle stipendio, del 20 per cento, con una misura di solidarietà interna che ancora una volta vede penalizzati i lavoratori;
   alle cooperative sociali di tipo B, che avviano al lavoro soggetti svantaggiati in settori di multiservizio (pulizie, manutenzioni, eccetera), in seguito al provvedimento denominato spending review, stanno pervenendo comunicazioni per la rinegoziazione dei contratti con tagli dei corrispettivi del 20 per cento, che talvolta si sommano al 5 per cento di cui sopra, configurando per i lavoratori una situazione insostenibile; per molti di loro non c’è alternativa al licenziamento e, configurandosi in molti casi rapporti di lavoro flessibile e atipico, in alcune situazioni mancano anche gli ammortizzatori sociali;
   bisogna ricordare che le cooperative sociali sono soggetti d'impresa che si configurano come organizzazioni non lucrative di utilità sociali (Onlus), svolgendo, oltre ad un'attività di impresa, anche una funzione sociale; in particolare, le cooperative sociali di tipo B avviano al lavoro soggetti problematici, che hanno trovato nell'occupazione una risorsa non solo economica ma personale, psicologica, motivazionale per uscire da situazioni di svantaggio cronico; in questi casi, là perdita del lavoro si traduce non solo in un problema economico ma in un dramma personale, con il rischio di far scivolare migliaia di persone, di nuovo, verso situazione di marginalità;
   in sede di approvazione, alla Camera dei deputati, del disegno di legge di conversione del decreto-legge denominato spending review è stato accolto un ordine del giorno della prima firmataria del presente atto che impegnava il Governo a «monitorare gli effetti applicativi delle disposizioni citate in premessa al fine di valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di escludere espressamente dall'obbligo del ricorso alle procedure d'appalto le associazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) che operano nel campo socio assistenziale e dell'accoglienza agli immigrati nonché nella rinegoziazione dei contratti nel settore sanitario le cooperative di tipo b vista la loro valenza sociale nel rinserimento lavorativo delle persone svantaggiate» –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposta e se non ritenga di adottare iniziative normative volte a rivedere i citati tagli alla spesa sanitaria disposti dal decreto-legge n. 95 del 2012 cosiddetto spending review, in particolare al fine di escludere le cooperative sociali di tipo B dalla prevista rinegoziazione e riduzione degli appalti delle convenzioni con le aziende sanitarie. (5-08324)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Antonio Alibrandi, 32 anni, ex tossicodipendente, colpito da febbre altissima a metà di settembre all'interno del carcere Rebibbia Nuovo Complesso, è morto il 5 ottobre 2010 al Policlinico Umberto I;
   non si sa se la morte sia dipesa da una meningite, da una leucemia fulminante, oppure da una diagnosi ritardata dalla burocrazia;
   sulla vicenda l'ennesimo dramma viene denunciato da Angiolo Marroni, garante dei detenuti per il Lazio, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «La vicenda è emblematica. La cosa certa è che, con i livelli di sovraffollamento attuali, le carceri non sono adeguate a garantire l'assistenza a persone in certe condizioni di salute. È possibile che nel caso di Alibrandi, conoscendo la burocratizzazione delle procedure, ci sia stata una incertezza diagnostica e che questa abbia contribuito a quello che è successo»;
   Alibrandi, originario della Calabria, era in carcere dall'ottobre del 2009. Doveva scontare una pena definitiva a due anni per rapina. A metà settembre i sintomi: febbre altissima, un possente mal di testa, malessere generale –:
   se intenda acquisire elementi in relazione alle cause che hanno provocato il decesso di Antonio Alibrandi e se con riferimento ad esse non siano rinvenibili profili di responsabilità amministrativa e disciplinare da parte del personale che ha avuto in cura e custodia il detenuto.
(5-08196)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 31 dicembre 2010 a partire dalle ore 19 fino alla mattina alle ore 4.30 del 1° gennaio 2011, l'interrogante ha visitato l'istituto penale Due Palazzi di Padova insieme all'onorevole Marco Pannella, agli esponenti radicali Matteo Angioli e Maria Grazia Lucchiari e alla direttrice di Ristretti orizzonti, Ornella Favero; la visita, che ha comportato il giro cella-cella in tutte le sezioni dell'istituto, è stata guidata dal sovrintendente capo Giuseppe Racioppi;
   proprio nel corso della visita, la delegazione è stata messa al corrente della drammatica situazione sanitaria, determinata in primo luogo dall'emergenza infermieristica; l'appalto per tale assistenza è stato vinto recentemente dalla Medical service assistance (Via Cristoforo Colombo 440 – Roma) che ha sostituito la cooperativa Alba Solidarietà Sociale (Via Garibaldi, Padova); questo passaggio di testimone ha comportato e comporta una serie di disfunzioni, tra le quali si segnalano:
    a) gli infermieri precedentemente in servizio, alcuni dei quali prestavano la loro opera da quasi un decennio, si sono visti proporre un nuovo contratto che dimezza il loro già misero compenso orario (5 euro al posto dei 10 euro all'ora assicurati dalla Cooperativa) con l'onere aggiuntivo di doversi pagare un'assicurazione privata;
   di fronte al rifiuto degli infermieri di accettare tali condizioni che ad avviso degli interroganti sono vere e proprie condizioni capestro, la Medical service assistance, ha fatto venire da Roma il personale sostitutivo che, non avendo alcuna esperienza di medicina penitenziaria, non solo non è riuscito e non riesce a coprire le 44 ore al giorno di servizio previste dal contratto (ne copre al massimo 32), ma non è in grado assicurare la continuità assistenziale, non conoscendo le problematiche dell'istituto;
   il turn over dei nuovi infermieri – che vengono sistematicamente sostituiti – non garantisce nemmeno quel minimo di assistenza assicurato con la precedente convenzione essendo fondamentale in questo tipo di lavoro non solo una professionalità generica, ma una conoscenza del paziente e una capacità di ascolto che solo la continuità del servizio prestato è in grado di salvaguardare;
   il metadone da somministrare ai detenuti tossicodipendenti viene, con la nuova gestione, preparato dal SERT di Padova perché il nuovo personale non conosce le procedure per la somministrazione che fino a ieri era assicurata dall'interno dell'istituto: ciò ha comportato e comporta notevoli ritardi nella distribuzione del farmaco;
   la terapia insulinica non viene somministrata negli orari previsti e il ritardo – anche di alcune ore – comporta gravi rischi e sofferenza per i detenuti diabetici;
   i prelievi di routine, che prevedono una particolare procedura informatica che i nuovi infermieri disconoscono e perciò non sono in grado di seguire, subiscono gravi ritardi che comportano seri deficit nei controlli –:
   di quali elementi disponga il Governo, in ordine a quanto riportato in premessa anche per il tramite dell'osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria di cui all'allegato A al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, modalità e criteri per il trasferimento al servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria;
   se la situazione rappresentata in premessa non comporti una grave compromissione dei livelli essenziali di assistenza e quali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo. (5-08239)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica di giovedì 20 gennaio, la comunità Villa Maraini, storico centro di Roma per la cura della tossicodipendenza, vi sono gravi carenze da parte delle istituzioni riguardo l'aiuto e il sostegno necessari per far fronte a tutte le esigenze soprattutto di tipo economico per assistere adeguatamente i tossicodipendenti;
   secondo quanto dichiarato dal Presidente della commissione permanente della Croce rossa e della Mezza Luna Rossa, Massimo Barra, il fondatore di Villa Maraini, la comunità, fondata dalla metà degli anni Settanta, è in grave crisi di finanziamenti e aspetta i bandi regionali che verranno. Un lavoro «a progetto», da sempre. «Per la distribuzione del metadone» racconta Barra «la delibera è scaduta il 3 agosto. E noi ne diamo 250 dosi al giorno, senza fondi, finché dura, perché presto finirà. Pretendono di trattare il problema con indicazioni burocratiche del tipo: al centro di accoglienza gli eroinomani dovrebbero rimanere solo 4 giorni. E dopo ? Sono guariti ? Tutto questo è pazzesco. Anche Aiuti, presidente della commissione comunale della Sanità, ha chiesto di riscrivere i bandi. È un'umiliazione»;
   il centro di Villa Maraini è aperto 24 ore su 24. «Quando un tossico finisce in cella» conclude Barra «dai commissariati e dalle stazioni dei carabinieri chiamano noi. Molti i “domiciliari” li scontano a Villa Maraini, curandosi. Dal 1992 andiamo a cercarli e a fornire aiuto con i camper delle unità di strada. C’è il piano “spazzaneve” contro la diffusione della cocaina. Abbiamo insegnato ai drogati a non scambiarsi le siringhe per non prendersi l'Aids. Abbiamo visto morire tanti di cirrosi per l'epatite C, come Roberto, un nostro bravissimo operatore. E dobbiamo vivere così, sempre alla mercé di un bando e dell'insicurezza ?» –:
   se non si ritenga che un centro di così elevata esperienza e professionalità, anche di aiuto e sostegno ai detenuti, non necessiti di un intervento ad hoc del Governo di carattere economico-finanziario;
   se infine non si ritenga urgente promuovere, d'intesa con la regione Lazio, un tavolo di confronto con l'obiettivo di risolvere i problemi relativi all'opera di assistenza e aiuto attualmente offerti dall'istituto in questione a migliaia di cittadini in difficoltà. (5-08287)


   BELLANOVA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   alcuni medici del reparto di cardiochirurgia del nosocomio leccese Vito Fazzi si trovano a vivere una vera e propria odissea lavorativa ed umana, fatta di precariato quasi decennale e proroghe continue dei contratti, anche per brevissimi periodi di tempo. Questa situazione è rinveniente dalla mancata stabilizzazione per l'effetto combinato della pronuncia di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale circa la legge regionale 4/2010, che riguardava dirigenti, medici dei reparti, del 118 e lavoratori socialmente utili e che consentiva la loro stabilizzazione, e della disposizione di cui all'articolo 16, comma 8 del decreto-legge n. 98 del 2011, che ha dichiarato la nullità dei provvedimenti di stabilizzazione adottati sulla base di leggi dichiarate incostituzionali;
   risulta indispensabile sottolineare che a fronte di una vasta mole di lavoro da affrontare il personale medico del reparto di cardiochirurgia risulta essere attualmente sottodimensionato. Si contano, infatti, 8 unità operative più il primario, tra queste tre medici precari, di cui due vincitori di concorso e la restante unità assunta con l'incarico di sopperire all'assenza di un collega per malattia;
   i due medici precari di fatto sono operativi presso il reparto dal 2006, vale a dire da quando furono assunti a tempo determinato poiché vincitori di avviso pubblico per titoli bandito nel luglio 2006. Nell'anno 2007 è stato bandito il concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura dei due posti vacanti nell'organico della cardiochirurgia, tale concorso, però è stato bloccato prima del suo completo espletamento, in quanto, su disposizione della regione Puglia, si avvia il programma di stabilizzazione del precariato secondo quanto previsto dalla legge regionale n. 40 del 31 dicembre 2007;
   il 9 aprile 2009 è stata bandita una selezione pubblica per n. 2 posti di dirigente medico di cardiochirurgia con deliberazione n. 1481 del 1o ottobre 2008 e successiva n. 949 del 13 marzo 2009. Il 16 ottobre 2010 si è proseguito con l'assunzione a tempo indeterminato delle due unità in quanto vincitori di concorso, con delibera n. 2991 del 12 ottobre 2010. Il 2 settembre 2011, però, con delibera n. 1566 del 31 agosto 2011 è stato dichiarato nullo il contratto a tempo indeterminato sulla base della sopra citata sentenza della Corte Costituzionale n. 42 del 16 febbraio 2011;
   sempre il 2 settembre 2011 su proposta della direzione generale, a causa della grave carenza di organico, è stata attribuita ai due medici l'assegnazione di incarico a tempo determinato fino al 31 dicembre 2011, con successiva proroga fino al 31 marzo 2012;
   il 21 dicembre 2011 la regione Puglia, sulla scorta di alcune sentenze favorevoli, consiglia ai direttori generali delle varie ASL interessate di «valutare la possibilità di deflazionare il contenzioso [...] mediante l'utilizzo di apposite procedure conciliative dinanzi alle Direzioni provinciali del lavoro». E difatti, nel corso dell'anno 2012 numerose procedure conciliative sono state portate a termine nelle ASL pugliesi, ma non a Lecce, sicché i due medici cardiochirurghi, ad oggi, sono stati costretti ad accettare l'ennesima proroga del contratto di lavoro per un periodo di 10 giorni, dal 20 ottobre al 31 ottobre 2012;
   a questo contesto occorre aggiungere che nel novembre 2010 la regione Puglia ha sottoscritto il piano di rientro sanitario 2010-2012 finalizzato a verificare la qualità delle prestazioni ed a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali;
   non è la prima volta che l'interrogante pone il problema della mancata stabilizzazione del personale sanitario in Puglia, sottolineando che il personale medico, prima vincitore di concorso, ma ad oggi purtroppo ancora precario, ha assolto nel corso di questi anni ad una funzione dirimente per la sanità pugliese, senza la quale, vista la conclamata carenza di personale, non solo si sarebbe rischiato il tracollo di molti reparti, ma anche uno svilimento dei livelli essenziali di assistenza offerti ai cittadini;
   va altresì detto che il ricorso continuo e costante a proroghe di fatto finisce non solo per mortificare la professionalità di medici che nel corso degli anni hanno acquisito un enorme bagaglio esperienziale all'interno del reparto, ma rischia fortemente di rendere precario anche ciò che dovrebbe essere un rapporto fiduciario, di assistenza e cura tra il medico e il paziente;
   va inoltre ricordato che la cardiochirurgia di Lecce è l'unica struttura pubblica di un'area molto vasta e popolosa come il Salento, zona che nei mesi estivi vede aumentare in misura notevole la sua utenza in relazione al flusso turistico. Occorre ricordare che la cardiopatia ischemica risulta essere, purtroppo, la prima causa di morte nel mondo occidentale. Il reparto di Lecce ha nel corso degli anni offerto un servizio di eccellenza pubblica dimostrato anche dal tracollo che i cosiddetti «viaggi della speranza» verso il Nord Italia hanno subito. Ciò è stato reso possibile anche attraverso l'impiego di personale medico che ad oggi, nonostante la maturata esperienza, risulta essere, purtroppo, ancora precario –:
   pur nel rispetto delle competenze regionali, quali iniziative il Ministro interrogato intende assumere per non disperdere l'eccellenza ad oggi acquisita dai reparti ospedalieri anche attraverso il lavoro dei medici precari e per evitare il perpetarsi di questa situazione di estrema instabilità del personale medico che oltre a mortificare la professionalità degli stessi, potrebbe di fatto impoverire il servizio offerto ai cittadini e trasformarsi in una precarizzazione dei livelli essenziali di assistenza forniti ai leccesi. (5-08326)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SAVINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il vaccino esavalente (nome commerciale Infanrix HEXA della ditta GlaxoSmithKline) è il vaccino usato anche in Italia per vaccinare i neonati a partire dal secondo-terzo mese di vita e contiene 6 antigeni che dovrebbero proteggere i nostri figli da difterite, tetano, poliomielite, epatite B, pertosse ed emofilo tipo B;
   in Italia le vaccinazioni pediatriche obbligatorie sono 4 e cioè contro difterite, tetano, poliomielite ed epatite B;
   a partire dal 2001, è stato messo in commercio il vaccino esavalente, un'unica fiala vaccinale contro 6 germi che ha sostituito i 4 vaccini prima disponibili ed oggi ben difficilmente reperibili singolarmente e, di conseguenza, i genitori si sono trovati obbligati, senza alcuna legge che lo imponga, a somministrare ai loro figli 6 vaccini contemporaneamente invece dei 4 obbligatori; ciò, secondo il Codacons, comporta, tra l'altro, uno spreco di 114 milioni di euro l'anno;
   se non ritenga opportuno garantire la libertà dei genitori di somministrare ai propri figli unicamente i quattro vaccini obbligatori, assicurandone la disponibilità singolarmente, conseguendo, in tal modo, anche un risparmio in termini di spesa sanitaria. (4-18259)


   QUARTIANI e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si fa seguito a diverse iniziative, anche legislative, tra le quali quelle a firma degli interroganti, relative all'assistenza odontoiatrica di base e alla urgenza di prevedere norme atte a riconoscere il profilo della professione di assistente di studio odontoiatrico (ASO), definendone il percorso formativo, di qualificazione e riqualificazione professionale;
   da oltre tre anni in alcune regioni, ed in seguito, anche per impulso del Ministero della salute, in particolare nell'ultimo anno, a livello del coordinamento interregionale sanità, nonché nell'ambito delle relazioni intercorse tra le rappresentanze sindacali degli assistenti di studio odontoiatrico e gli uffici preposti del Ministero della salute, è stata avviata la procedura per la definizione del profilo professionale di ASO, individuato anche attraverso apposito documento del Ministero della salute, come risulta da atti risalenti al 19 settembre 2011, sottoposto all'attenzione del coordinamento interregionale sanità;
   il sopraddetto organismo interregionale ha preso visione della documentazione fornita dal Ministero, nella quale veniva espressamente richiamata «l'esigenza di individuare una omogeneità concordata e condivisa su tutto il territorio della Repubblica, della formazione, della competenza e attività dell'Assistente di Studio Odontoiatrico»;
   il medesimo organismo disponeva inoltre delle diverse proposte delle regioni che sul tema avevano prodotto decisioni o regolamenti riguardanti questo nuovo profilo professionale, cosicché alla competente attenzione del coordinamento interregionale sanità potesse sottoporsi la ricerca di una soluzione condivisa a seguito di un preliminare esame nel merito;
   la proposta sottoposta al vaglio del coordinamento interregionale sanità corrispondeva anche ai desiderata delle rappresentanze sindacali della categoria (tra cui SIASO – sindacato italiano assistenti studio odontoiatrico);
   gli interroganti non dispongono di notizie e informazioni relative né all’iter né alla conclusione della richiamata proposta di definizione del percorso formativo e di qualificazione di ASO;
   gli stessi interroganti non dispongono di un'adeguata conoscenza delle eventuali ed ulteriori iniziative assunte dal Ministero competente –:
   quali siano le iniziative intraprese dal Ministero della salute tese a sollecitare la conclusione dell’iter di cui in premessa o che il Ministro intenda intraprendere al fine di coordinare l'azione del Governo con quella delle regioni per un celere conseguimento di un importante obbiettivo quale quello richiamato in premessa, volto a dotare la nuova professione di assistente di studio odontoiatrico di un adeguato profilo professionale e di formazione valido su tutto il territorio nazionale, essendo ciò di importante utilità anche per i pazienti a garanzia di un più elevato livello della qualità dell'offerta dei servizi odontoiatrici e sanitari ai cittadini. (4-18261)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


    DE CAMILLIS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 ottobre 2012 la trasmissione del canale televisivo raitre«Report» ha trasmesso un servizio a parere dell'interrogante alquanto capzioso e non corrispondente alla realtà dei fatti riguardante la situazione industriale della regione Molise in particolare le tre aziende principali la Solagrital-Arena, Zuccherificio del Molise spa e Ittierre spa che versano in condizioni di incertezza e necessitano di attenzioni istituzionali nazionali con istruttorie ministeriali riferite ed auspicabili tenute occupazionali, rilanci produttivi e ristrutturazioni post-fallimentari;
   la tipologia di informazione distorsiva della realtà ha spinto l'Arcidiocesi di Campobasso-Bojano, presieduta dall'arcivescovo monsignor Gian Carlo Bregantini, a prenderne le distanze con un lungo comunicato stampa in cui, tra le diverse cose, si dichiara: «...esprime un vivo dispiacere sul Metodo distruttivo, riduttivo e superficiale adoperato ultimamente a livello mediatico, su scala nazionale, nell'affrontare inchieste delicate che riguardano il territorio e la realtà politico-sociale del Molise. Si sottolinea, pertanto, che simili meccanismi continuano ad offrire all'opinione pubblica racconti parziali e comunque sempre tendenti al negativo, senza mai raccontare la bellezza, il positivo ed il valore del nostro Molise...»;
   le tre aziende suddette coinvolgono complessivamente 4 mila persone, intere comunità e rappresentano gran parte del polmone produttivo e occupazionale regionale;
   la Sogitral-Arena azienda di trasformazione avicola con lo stabilimento produttivo più grande e la filiera più importante del meridione occupa circa mille addetti tra dipendenti diretti, indotto ed avventizi. Le difficoltà dell'Azienda derivano principalmente da un notevolissimo credito nei confronti della holding «Arena», attualmente sottoposta a procedure di concordato preventivo presso il tribunale di Campobasso. È attiva da circa quarant'anni e potrebbe essere riorganizzata e rilanciata con investimenti non elevati perché ha un posizionamento geografico strategico e dispone di qualità professionali, competenze e senso di responsabilità eccelso. È stato nei giorni scorsi nominato il liquidatore da parte del Ministero dello sviluppo economico ed è in itinere la procedura di concordato preventivo. Ha in corso più istanze per Cassa integrazione straordinaria e/o mobilità presso il Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
   lo zuccherificio del Molise spa è l'unico stabilimento saccarifero attivo e coinvolge una filiera bieticola distribuita su tutto il centro-sud Italia. L'azienda opera dagli anni settanta, dispone di una quota di lavorazione assegnata che vale oltre 40 milioni di euro e con la variazione delle politiche europee di settore e con l'impennata del prezzo dello zucchero, ha tutti i margini industriali per riorganizzarsi e rilanciarsi sul mercato. Nella filiera operano poco meno di mille addetti, tra personale fisso, avventizi storici, stagionali, indotto, imprese di trasporto, bieticoltori e manutentori. Al momento è in corso una procedura di concordato preventivo presso il tribunale di Larino (Campobasso) che si spera possa concludersi rapidamente, e con esito positivo. Ha in essere procedure di cassa integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali che però non coprono gli avventizi e i lavoratori dell'indotto;
   si rileva inoltre che nello zuccherificio del Molise spa ci sono dei lavoratori avventizi, costituitasi in coordinamento, che con alte professionalità ed esperienza, hanno permesso il corretto funzionamento degli impianti nel corso degli anni di vita dello stabilimento basso-molisano. Tali lavoratori ricoprono il ruolo di: manutentori, nel periodo di inter-campagna saccarifera (fermo degli impianti); capo-turno, capo-reparto ed ispezione meccanica, elettrica e strumentale, nel periodo di campagna saccarifera per un periodo complessivo che mediamente si aggira dai 6 mesi fino ai 10 mesi annui;
   nei confronti di tali lavoratori, così come da loro dichiarato, non sono stati rispettati gli accordi sindacali vigenti nello zuccherificio come il diritto di precedenza alla riassunzione annuale, l'accesso agli ammortizzatori sociali e soprattutto il diritto al lavoro ed alla conoscenza dei piani aziendali in relazione alla posizione di tali lavoratori, dimostrando di non credere nel rilancio futuro dell'azienda ripartendo dalla qualità e dall'affidabilità dei propri dipendenti;
   l'Ittierre spa è una delle principali aziende italiane del sistema moda, dispone di marchi e di licenze significative, occupa 700 addetti diretti e rappresenta un punto di riferimento per tanti laboratori di piccole dimensioni che operano sul territorio. La società Ittierre SpA lavora marchi come «Dolce e Gabbana», «Ferrè», «Cavalli» solo per citarne alcuni, ed è attivo da anni un coordinamento di lavorazione e di vendita che ha raggiunto le più grandi città del mondo. La società pregressa è ancora in procedura commissariale nel mentre il gruppo Albisetti spa di Como che è subentrato ha presentato un Contratto di Sviluppo ad Invitalia per 48 milioni di euro di investimenti, al momento non ancora evaso. Per il personale è incorso una procedura di Cassa integrazione straordinaria che a breve potrebbe concludersi;
   a tutto questo si aggiunge che nello stabilimento Fiat di Termoli dove lavorano poco meno di 3 mila addetti sta per partire un periodo di cassa integrazione, il quadro si oscura ulteriormente con forti paure per la tenuta del sistema sociale locale;
   è evidente che il rispetto del diritto al lavoro deve essere garantito e il Governo nazionale non può ignorare la crisi di un territorio; dove il dramma del lavoro tocca un'intera comunità e migliaia di persone;
   seppur il Governo regionale nel caso della Solagrital ha attivato delle previsioni normative tese a garantire la filiera agricola molisana e specificatamente i suoi occupati. Ciò in una prospettiva di ristrutturazione aziendale che possa far superare le criticità determinate da situazioni creditizie e debitorie che vengono da molto lontano;
   il perdurare della situazione di crisi delle tre aziende, soprattutto nell'attuale contesto di conclamata congiuntura economica potrebbe determinare serie, negative conseguenze non soltanto dal punto di vista economico ma soprattutto di tenuta sociale –:
   in che modo, finora il Governo sia stato coinvolto dalle situazioni di crisi su esposte, e se sia a conoscenza e se abbia condiviso le iniziative intraprese dalla regione Molise;
   quali iniziative il Governo abbia intrapreso e intenda intraprendere, al fine di aiutare la regione Molise a venir fuori da una situazione di crisi industriale che, se lasciata degenerare, potrebbe avere conseguenze non prevedibili sulla tenuta sociale di un intero territorio;
   se intenda rafforzare e/o istituire tavoli tecnici istituzionali presso il Ministero dello sviluppo economico, con il coinvolgimento degli altri Ministeri coinvolti, al fine di trattare queste vertenze con la dovuta attenzione e solerzia.
(5-08327)


   BELLANOVA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 19 settembre 2012 si è tenuto un vertice sulla vertenza ex Bat Italia presso il Ministero dello sviluppo economico nel quale si sarebbe dovuto discutere della situazione di stallo, visto il mancato avvio della produzione, in cui versa il piano di riconversione della ex manifattura tabacchi di Lecce, siglato il 2 dicembre 2010;
   nello specifico si sarebbero dovute analizzare la situazione che interessa le aziende HDS, la quale ha aperto le procedure di mobilità per 22 lavoratori e IP che dopo diversi annunci inerenti l'avvio dell'attività ha di fatto procrastinato sino ad oggi quest'ultima. Peraltro l'azienda IP alla data dell'incontro di settembre era in arretrato di tre mensilità (luglio, agosto e settembre) nei confronti dei settanta dipendenti;
   al sopra citato incontro, però, il titolare dell'azienda IP, senatore Filippo Piccone non si è presentato, nonostante fosse stata convocata anche la dirigenza di BAT. Anche per questa motivazione si è deciso di aggiornare l'incontro a due settimane di distanza;
   oggi si apprende dagli organi di stampa che il vertice previsto per domani è saltato e rimandato a quanto si legge al 6 novembre 2012. La motivazione a quanto si legge dalla stampa sembrerebbe essere «la richiesta di proroga giunta da parte di IP, per avere la possibilità di trasferire a Lecce i macchinari necessari all'avvio della produzione»;
   l'interrogante vorrebbe ricordare ai Ministri in oggetto che il senatore Filippo Piccone ha più volte annunciato e poi procrastinato l'avvio della produzione nello stabilimento leccese. Il 19 marzo 2012, ad esempio, presso la sede di Confindustria Lecce si tenne un incontro per una verifica complessiva sullo stato di avanzamento dell'iniziativa industriale della società IP. In quella sede l'azienda IP comunicò, come verbale testimonia, che «i lavori di impiantistica e messa a norma nello stabilimento dovrebbero terminare entro la fine del corrente mese di marzo per poi consentire l'installazione completa delle macchine nelle successive due settimane. Pertanto la produzione verrà avviata a partire dal 16 aprile 2012». Siamo a fine ottobre 2012 e purtroppo di avvio della produzione, il sito leccese, non ne ha mai vista, come peraltro affermano le OO.SS e gli stessi lavoratori;
   siamo dinanzi ad una situazione di estrema gravità occupazionale, sociale ed economica, nella quale gli unici a pagare il carico delle tante inadempienze perpetrate sino ad oggi sembrerebbero essere, purtroppo, solo i quasi 100 lavoratori salentini e le loro famiglie. Appare evidente che la mancata responsabilità di una impresa che sottoscrive un accordo in sede ministeriale e lo disattende più volte, in questi due anni si è di fatto scaricata solo su queste persone che un lavoro prima lo avevano ed oggi sono purtroppo vittime di una lunga agonia fatta di attese. E ad attendere è anche l'economia familiare poiché le mensilità di agosto e settembre non sono state ancora corrisposte a questi lavoratori, nonostante le tante rassicurazioni da parte dell'azienda IP;
   la chiusura del sito leccese di Bat Italia, non per improduttività, ma per espresse decisioni di carattere opportunistico della multinazionale, ha rappresentato una gravissima perdita dal punto di vista economico/occupazionale per l'intero territorio salentino, alla quale si sarebbe evidentemente dovuto procedere con un piano di riconversione che avesse in primis la categoria imprescindibile della serietà delle aziende individuate, se si voleva effettivamente non penalizzare il contesto lavorativo e produttivo leccese –:
   in questo contesto gravissimo, quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per evitare che questa riconversione, con il continuo slittamento delle varie verifiche in sede ministeriale, si trasformi in una ulteriore desertificazione industriale a scapito del territorio salentino, già ampiamente provato dagli effetti della crisi economica, con un evidente penalizzazione per i lavoratori leccesi e le loro famiglie;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere affinché l'azienda IP corrisponda quanto dovuto, in termini di mensilità arretrate, ai lavoratori leccesi.
(5-08328)

Interrogazione a risposta scritta:


   BARBATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2000 la «Carrefour», secondo gruppo mondiale della grande distribuzione, acquisisce il 100 per cento del Gruppo GS che diventa così «Gs spa», e tutti prendono la nuova insegna. Un anno dopo si lavora con l'insegna «Di per Dì», destinandola soprattutto ai punti di vendita di vicinato e all'affiliazione di piccole superfici indipendenti;
   nel novembre 2007, a seguito della riorganizzazione internazionale di Carrefour, viene deciso di dismettere gradualmente l'insegna «Di per Dì», assegnando l'insegna GS alle superfici più grandi e l'insegna GS Express a quelle più piccole. Parallelamente i Gs Iperstore, ovvero le superfici assimilabili ad ipermercati riceverai l'insegna «Carrefour Market», che designa gli ipermercati di dimensioni minori (attorno ai 2600 metri quadri;
   la strategia del gruppo Carrefour è decisa, da Parigi l'ordine è stato chiaro: vendere lasciando intatte solo le realtà che permettono migliori performance in termini di sell out (fatturato) e garantiscono economie di scala sulla Private Label;
   Carrefour ha deciso di vendere 11 Ipermercati nel sud Italia e 17 Cash and carry prevalentemente nel Nord. In seguito vi è stato un cambio di strategia: le superette «Di per Dì» saranno destinante ad assumere l'insegna «Carrefour Express», mentre i supermercati GS diventeranno «Carrefour Market». I mini iper manterranno invece la denominazione «Carrefour». I primi cambi di insegna sono avvenuti a partire da fine 2009 ed hanno inizialmente interessato (per quanto riguarda le superette), alcune importanti città del Nord Italia;
   la riorganizzazione del piano aziendale tocca anche l'Ipermercato «Carrefour» di Casoria (Napoli) ex Euromercato;
   la grande struttura nata nel 1978 ubicata accanto alla via circumvallazione esterna;
   nel 2010 è stato ceduto il proprio ramo d'azienda ad un'altra società;
   in data 24 maggio 2010 il verbale di incontro riferisce che si sono incontrati a Napoli «la S.S.C. Società Sviluppo Commerciale S.r.L., rappresentata dal signor Vincenzo Scialò, la Ipercasoria S.r.L., rappresentata dal signor Fabio Gili, ed erano inoltre presenti il dottor Luciano Novelli, parte promettente acquirente, il dottor Ciro Canditone e il dottor Antonio Pirozzi in qualità di consulenti di parte della Ipercasoria S.r.L. e le Organizzazioni Sindacali, Ugl, rappresentata dal signori Enzo Pavia. Inoltre vi erano presenti in rappresentanza della RSU di UGL dell'Ipermercato Carrefour sito in Casoria i signori Ugo Iovine, Giovanni Cordone e Castaldo Francesco. La S.S.C. Società di Sviluppo Commerciale S.r.L gestisce l'azienda commerciale ubicata in Casoria (Napoli), circumvallazione esterna, località san Salvatore, adibita ad ipermercato; l'esercizio commerciale ha una gestione tale da non essere per la SSC economicamente profittevole con una situazione di crisi che perdura da diversi anni e che in conseguenza di tale accentuata criticità ha inteso cedere tale esercizio ad altro operatore di mercato; ai sensi e per gli effetti dell'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428 i sopraccitati SSC Società di Sviluppo Commerciale S.r.L e la Ipercasoria S.r.L hanno congiuntamente informato le organizzazioni sindacali, con comunicazione datata 1o aprile 2010 in merito all'intenzione di effettuare, entro la data del 1o giugno 2010, l'operazione consistente nel conferimento da parte di SSC Società sviluppo Commerciale S.r.L dell'Esercizio Commerciale alla Ipercasoria SrL e dell'acquisto, ad avvenuto conferimento, dell'intero capitale sociale di Ipercasoria SrL da parte del signor Luciano Novelli. Si dispone che: tutto il personale dell'Esercizio Commerciale di Casoria facente capo alla SSC Società Sviluppo Commerciale S.r.L passerà a far data dal 1o giugno 2010 senza soluzione di continuità alla Ipercasoria S.r.L alle stesse condizioni economiche e normative in corso; la Ipercasoria S.r.L acquisisce la totalità della licenza che comprende l'attuale superficie commerciale in carico a SSC (circa 11 mila mq), eventuali successive modifiche dell'area commerciale dovranno, comunque prevedere da parte di Ipercasoria SrL, la garanzia dei livelli occupazionali, le competenze maturate alla data del 31 maggio 2010 (TFR, mensilità aggiuntive, ferie ROL ex festività e tutto quanto previsto dal CCNL di categoria) sarà trasferito dalla SSC alla Ipercasoria, ivi incluso il premio produttività qualora dovuto e tutti gli istituti maturati al 31 dicembre 2009»;
   in data 31 maggio 2010 si legge da un documento di esame congiunto che «le parti hanno raggiunto l'accordo sindacale in sede aziendale che prevede la richiesta dell'intervento della CIGS per ristrutturazione aziendale della durata di 24 mesi per n. 110 unità lavorative su 193 complessivamente in organico con decorrenza 1o giugno 2010, (...). A tal fine le parti premettono che con verbale di accordo del 24 maggio 2010 si è determinato il passaggio ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2112 codice civile a far data al 1° giugno 2010 di tutto il personale in forza alla SSC Carrefour impiegato presso l'Ipermercato. Tale cessione è avvenuta a seguito della grave crisi economica che ha indotto la cessionaria a ritenere non più economicamente profittevole l'iniziativa economica, anche al fine di evitare conseguenze maggiormente pregiudizievoli attesa l'accentuata criticità della situazione di mercato. In particolare, delle 193 unità lavorative, 118 risultano attualmente in servizio presso la struttura mentre 75 già risultano interessata all'intervento di CIGS a zero ore in deroga dalla concessionaria Carrefour. La Ipercasoria dichiara che esiste un progetto di ristrutturazione degli spazi precedentemente occupati nell'intero centro dalla SSC Carrefour pari a circa 11 mila metri quadri per garantire il sicuro rilancio dell'intera struttura nonché i livelli occupazionali in un panorama caratterizzato dall'apertura sul territorio di nuovi ipermercati con caratteristiche anche architettoniche in grado di suscitare l'interesse della clientela (vedasi “Vulcano Buono”). Il piano di ristrutturazione prevede investimenti per circa 2.600.000,00 euro utilizzando capitali propri»;
   da due anni versa in uno stato di abbandono (vetri divelti, immondizie d'ogni sorta e calcinacci caduti dai muri);
   il 19 giugno 2012 «La nuova società – spiegano i manifestanti – si era impegnata ad anticiparci la CIG, che però da alcuni mesi non ci viene pagata. Sappiamo che c’è stata richiesta di una proroga della cassa integrazione per un altro anno. Ma ad oggi non sappiamo ancora se questa ci sarà garantita». I lavoratori, in tutto 194, temono per il loro futuro occupazionale, in quanto, sostengono, «i lavori di ristrutturazione vanno avanti ormai da tre anni, e l'azienda ha anche tolto molte apparecchiature, e questo non ci fa ben sperare»;
   il 22 luglio 2012 il sindaco di Casoria Carfora accoglie circa ex 200 lavoratori dell'ipermercato Carrefour insieme alle organizzazioni sindacali dei lavoratori ex Carrefour, oggi Iperstore-Gs;
   l'incontro si svolge dopo che circa 200 dipendenti hanno occupato la piazza antistante la sede del Comune come forma di protesta perché a causa del mancato avvio della prevista ristrutturazione, dopo il passaggio tra il gruppo francese e Ipersore-Gs, sono senza stipendio e da quattro mesi senza il previsto assegno di cassa integrazione;
   al sindaco i lavoratori si erano rivolti per ottenere un intervento del Prefetto di Napoli, Andrea Di Martino nella questione che vede fermi i lavori e bloccata la cassa integrazione. In accordo con la Prefettura, che ha già incontrato la proprietà del sito, sarà organizzato un tavolo con i lavoratori;
   il sindaco ha inoltre personalmente contattato l'Inps per lo sblocco degli assegni della Cassa Integrazione, un nuovo appuntamento telefonico è previsto per lunedì. Al termine della mattinata lo stesso Carfora ha rassicurato tutti i lavoratori in piazza che dopo aver parlato con lui hanno tolto il presidio;
   in data 30 luglio 2012, dopo l'incontro delle rappresentanze sindacali e del sindaco di Casoria con rappresentanti del Prefetto i lavoratori della ex Carrefour tornano a protestare sotto la Prefettura di Napoli, sollecitando un tavolo con la proprietà e la gestione dell’ex Euromercato chiuso ufficialmente per ristrutturazione. I lavoratori chiedono nell'occasione risposte certe sul loro futuro e minacciano di bloccare le altre strutture attive legate all'attuale proprietà e gestione;
   in data 22 ottobre 2012 hanno manifestato davanti all'ingresso dell'Ipermercato i quasi 200 dipendenti ex Carrefour di Casoria rimasti da sei mesi senza il salario della cassa integrazione (cassieri, operai, impiegati) reclamando non solo gli arretrati della cassa integrazione guadagni ma anche i soldi della liquidazione;
   tra pochi mesi scadrà il regime di cassa integrazione per i lavoratori –:
   se i Ministri interrogati sono a conoscenza dei fatti esposti;
   se intendano acquisire dettagliate informazioni tese a comprendere cosa sia accaduto per far saltare la riapertura, se il piano di ristrutturazione sia stato portato a termine e quali ostacoli si sono presentati nonché quali iniziative intendano mettere in campo a tutela dei 197 posti di lavoro nonché se intendano valutare l'apertura di un tavolo di concertazione con i vertici Carrefour o altra società/gruppo che possa subentrare nella proprietà di gestione della grande struttura. (4-18260)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Zampa e altri n. 1-01177, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 ottobre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Ghizzoni, Lo Moro.

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Vanalli e altri n. 7-00949, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 luglio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bragantini.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Germanà n. 5-07300, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 luglio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Aracri.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Peluffo n. 5-08157, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 ottobre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Marco Carra, Zucchi, De Biasi, Farinone, Mosca.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Di Pietro e altri n. 3-02551, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 ottobre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Barbato.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Callegari n. 5-08175, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 ottobre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Fugatti e altri n. 5-08180, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 ottobre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09629 del 22 novembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08182.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09769 del 29 novembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08183.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09770 del 29 novembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08184.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09771 del 29 novembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08185.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09772 del 29 novembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08186.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09774 del 29 novembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08187.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09781 del 29 novembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08188.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09903 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08189.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09904 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08190.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09905 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08191.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09908 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08192.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09943 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08193.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09947 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08194.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09950 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08195.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09965 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08196.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09966 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08197.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09967 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08198.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09968 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08199.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09971 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08200.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09972 del 13 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08201.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-09990 del 14 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08202.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10121 del 21 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08203.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10122 del 21 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08204.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10123 del 21 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08205.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10125 del 21 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08206.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10127 del 21 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08207.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10128 del 21 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08208.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10129 del 21 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08209.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10140 del 21 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08210.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10145 del 21 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08211.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10260 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08212.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10261 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08213.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10262 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08214.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10263 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08215.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10264 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08216.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10265 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08217.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10266 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08218.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10267 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08219.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10268 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08220.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10269 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08221.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10270 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08222.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10271 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08223.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10288 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08224.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10289 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08225.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10291 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08226.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10292 del 10 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08228.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10336 del 12 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08227.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10363 del 12 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08239.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10392 del 17 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08266.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10410 del 17 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08267.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10412 del 17 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08268.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10413 del 17 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08269.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10414 del 17 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08270.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10540 del 24 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08271.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10541 del 24 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08272.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10542 del 24 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08273.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10543 del 24 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08274.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10546 del 24 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08275.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10548 del 24 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08276.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10552 del 24 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08277.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10558 del 24 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08278.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10580 del 25 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08279.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10658 del 1o febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08280.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10661 del 1o febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08281.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10662 del 1o febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08282.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10663 del 1o febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08283.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10664 del 1o febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08284.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10665 del 1o febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08285.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10666 del 1o febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08286.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10705 del 2 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08287.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10753 del 7 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08229.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10754 del 7 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08230.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10755 del 7 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08231.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10756 del 7 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08232.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10760 del 7 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08233.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10761 del 7 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08234.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10765 del 7 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08235.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10844 del 15 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08236.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10852 del 15 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08237.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10853 del 15 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08238.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-10894 del 16 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08240.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11038 del 25 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08241.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11066 del 28 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08243.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11067 del 28 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08244.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11068 del 28 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08245.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11069 del 28 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08246.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11070 del 28 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08247.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11071 del 28 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08248.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11075 del 28 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08249.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11108 del 2 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08250.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11115 del 7 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08251.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11127 del 7 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08252.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11141 del 7 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08253.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11142 del 7 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08254.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11145 del 7 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08255.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11152 del 7 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08256.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11153 del 7 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08257.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11246 del 14 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08258.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11252 del 14 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08259.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11254 del 14 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08260.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11256 del 14 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08261.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11257 del 14 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08262.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11258 del 14 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08263.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11259 del 14 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08264.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11261 del 14 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08265.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11326 del 23 marzo 2011 In interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08288.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11338 del 23 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08289.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11466 del 4 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08290.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11492 del 5 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08291.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11500 del 5 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08292.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11519 del 6 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08293.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11532 del 7 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08294.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-11562 del 12 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08295.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17292 del 6 agosto 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08296.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17334 del 7 agosto 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08297.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17371 dell'8 agosto 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08298.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17375 dell'8 agosto 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08299.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17380 del 5 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08300.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17383 del 5 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08301.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17386 del 5 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08302.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17388 del 5 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08304.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17435 del 5 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08303.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17442 del 5 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08305.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17443 del 5 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08306.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17445 del 5 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08308.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17468 del 5 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08307.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17469 del 5 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08309.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17470 del 5 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08310.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17480 del 6 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08311.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17489 del 6 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08314.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17504 del 10 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08312.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17520 del 10 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08317.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17542 del 11 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08313.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17676 del 18 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08320.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17677 del 18 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08315.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17689 del 19 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08322.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17731 del 20 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08316.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17737 del 20 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08319.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17738 del 20 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08318.
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-17739 del 20 settembre 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08321.