XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 8 ottobre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 27 dicembre 2002, n. 289, legge finanziaria per il 2003, all'articolo 61, recita: «A decorrere dall'anno 2003 è istituito il Fondo per le aree sottoutilizzate, coincidenti con l'ambito territoriale delle aree depresse di cui alla legge 30 giugno 1998, n. 208, al quale confluiscono le risorse disponibili autorizzate dalle disposizioni legislative, comunque evidenziate contabilmente in modo autonomo, con finalità di riequilibrio economico e sociale»;
    il fondo per le aree sottoutilizzate (ora fondo per lo sviluppo e la coesione) è considerato dalla legge strumento di finanziamento, con risorse aggiuntive nazionali, delle politiche di sviluppo per le aree sottoutilizzate del Paese, finalizzato a garantire una maggiore concentrazione delle risorse nelle aree dove è più elevata la sottoutilizzazione del potenziale produttivo e vige uno svantaggio competitivo accumulato e prospettico;
    nel fondo di cui all'articolo 61 della legge finanziaria per il 2003, sono confluite le risorse relative all'intervento straordinario nel Mezzogiorno e all'intervento ordinario nelle aree depresse (di cui alla legge n. 64 del 1986 e alla legge n. 208 del 1998, articolo 1, comma 1, come integrata dall'articolo 73 della legge n. 488 del 2001), nonché altre risorse disponibili autorizzate da disposizioni legislative con finalità di riequilibrio economico e sociale e cioè il fondo per lo sviluppo e la coesione, quindi, compensa i territori dove operava la Cassa per il Mezzogiorno prima della sua soppressione;
    dunque, il fondo per lo sviluppo e la coesione, per definizione e per sua stessa natura, deve essere impiegato unicamente per lo sviluppo delle aree sottoutilizzate;
    tuttavia, nel recente passato larga parte di tali fondi è stata impiegata per fini diversi rispetto a quelli originari, che per il Cnel ammonta a 28 miliardi di euro, in precedenza destinati al Sud con il rapporto 85/15 per cento;
    secondo una ricerca di Svimez, negli ultimi quattro anni l'industria al Sud ha perso 147 mila unità, pari a una riduzione del 15,5 per cento che corrisponde al triplo del resto del Paese, determinando una nuova migrazione degli abitanti verso il Nord;
    la descrizione della crisi occupazionale meridionale che ne fanno gli istituti specializzati dimostra che la crisi al Sud ha degli effetti molto più gravi rispetto al Centro-Nord, tanto da raggiungere percentuali di disoccupazione per i giovani e le donne di oltre il 50 per cento;
    per affrontare adeguatamente la grave situazione sopra esposta e ridurre il dualismo economico italiano, è necessario che al Sud siano sostenuti sia gli investimenti strategici, relativi alla ricerca e all'innovazione, sia qualificati interventi infrastrutturali volti a una ripresa dell'economia meridionale, attraverso una maggiore funzionalità nella pubblica amministrazione e un efficiente utilizzo del fondo per lo sviluppo e la coesione per le aree sottoutilizzate, che rappresentano uno strumento indispensabile per riequilibrare la realtà economica e sociale italiana,

impegna il Governo

a far sì che siano rispettati i contenuti e le finalità della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che non sono stati intaccati dalle successive modifiche normative, utilizzando le risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione unicamente nelle aree definite «sottoutilizzate» ma, nella sostanza, coincidenti con il territorio ex Cassa per il Mezzogiorno.
(1-01158) «Misiti, Miccichè, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova».


   La Camera,
   premesso che:
    a decorrere dal 2003, le risorse destinate agli interventi nelle aree sottoutilizzate del Paese sono concentrate in un fondo di carattere generale (fondo per le aree sottoutilizzate), ai sensi della legge n. 289 del 2002. Nel fondo sono iscritte tutte le risorse finanziarie aggiuntive nazionali, destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché a incentivi e investimenti pubblici;
    per quanto concerne il riparto delle risorse, l'articolo 61, comma 3, della legge n. 289 del 2002 attribuisce al Cipe il compito di ripartire, con proprie deliberazioni, la dotazione del fondo per le aree sottoutilizzate tra gli interventi in esso compresi;
    il quadro strategico nazionale del 2007 prevedeva una politica regionale di sviluppo destinata in modo specifico ai territori con squilibri economici e sociali. Poi è scoppiata la crisi. E per il Sud si sono ridotte non solo le risorse aggiuntive, ma anche quelle ordinarie, rendendo difficile quell'inversione di tendenza indicata dalle proiezioni programmatiche del Governo;
    come chiarito in un recente articolo dei professori Mario Centorrino e Pietro David pubblicato dal sito lavoce.info, per accelerare i tassi di crescita delle regioni meridionali, nel 2007, in coincidenza con il ciclo di programmazione dei fondi strutturali 2007-2013, si stabilì di adottare una strategia di sviluppo che, per la prima volta, vedeva confluire nella stessa programmazione tutte le risorse destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate: fondi comunitari, quote di cofinanziamento nazionale e risorse aggiuntive nazionali. In totale, 124,7 miliardi di euro (60,3 di fondi strutturali e 64,4 di fondi per le aree sottoutilizzate), che nei successivi sette anni dovevano finanziare un'unica strategia di sviluppo per il Mezzogiorno, indicata nel quadro strategico nazionale;
    un documento, questo, nato dal processo partenariale che ha coinvolto comuni, province, regioni e amministrazioni centrali nella definizione di scelte strategiche, priorità di intervento e modalità attuative della spesa per lo sviluppo. Tale approccio, definito politica regionale unitaria, aveva come «precondizioni per la sua stessa efficacia» l'intenzionalità dell'obiettivo territoriale e l'aggiuntività delle risorse;
    in sostanza, a differenza delle politiche ordinarie, che sono di regola orizzontali, la politica regionale di sviluppo sarebbe dovuta risultare destinata specificatamente a quei territori che presentavano squilibri economici e sociali. E per essere efficace, cioè per raggiungere l'obiettivo di ridurre i divari, le risorse impiegate avrebbero avuto carattere di distinzione e aggiuntività rispetto a quelle ordinarie;
    in base a queste «precondizioni» la ripartizione delle spese in conto capitale della politica regionale unitaria (la spesa aggiuntiva) avrebbe dovuto essere l'85 per cento per il Sud e il 15 per cento per il Centro-Nord, in modo che la quota totale delle spese in conto capitale (ordinarie più aggiuntive) per il Mezzogiorno sul totale nazionale avrebbe dovuto crescere fino al 45 per cento;
    se questo era l'impianto strategico nel 2007, la crisi economica ha modificato tutta l'impostazione finanziaria della politica regionale unitaria. La percentuale di spesa in conto capitale nelle regioni meridionali, sul totale nazionale, evidenzia come dal 2009 questa strategia sia sostanzialmente compromessa. La quota di spesa in conto capitale per il Sud è diminuita dal 35,4 del 2009 al 31,2 per cento del 2011. In valore assoluto si è passati dai 22,4 miliardi di euro investiti nelle regioni meridionali nel 2009 ai 15,1 miliardi di euro del 2011;
    a ridursi sono state non solo le risorse aggiuntive nazionali (il fondo per le aree sottoutilizzate), utilizzate in chiave anticiclica per altri interventi su tutto il territorio nazionale, ma anche le risorse ordinarie, la cui quota destinata al Mezzogiorno sul totale è passata dal 26,8 per cento del 2009 al 18,8 per cento del 2011, contravvenendo ad una delle «precondizioni» essenziali della politica regionale unitaria;
    anche il rapporto Svimez 2012 sull'economia del Mezzogiorno, presentato a Roma il 26 settembre 2012, sottolinea come negli ultimi anni la strategia complessiva volta al riequilibrio economico, sociale e territoriale delle regioni meridionali sia completamente venuta meno, «essendo le risorse ordinarie un vero e proprio buco nero nello sviluppo del Mezzogiorno»;
    in sostanza, come nel precedente ciclo di programmazione, le risorse aggiuntive stanno sostituendo i tagli di quelle ordinarie, compromettendo, di fatto, l'efficacia della politica regionale unitaria;
    nel corso del 2008 sono intervenute alcune disposizioni che hanno inciso in maniera significativa sulla programmazione delle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate:
     a) con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, articoli 6-quater e 6-quinquies, è stata impostata una strategia di razionalizzazione delle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate, volta, da un lato, alla ricognizione delle risorse disponibili sul fondo per le aree sottoutilizzate e, dall'altro, alla concentrazione delle risorse stesse a favore di settori e di interventi considerati di rilevanza strategica nazionale;
     b) con il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, all'articolo 18, ponendosi in linea di continuità rispetto a quanto disposto dal decreto-legge n. 112 del 2008, si sono previste la riprogrammazione e la concentrazione delle risorse nazionali disponibili destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate su obiettivi considerati prioritari per il rilancio dell'economia italiana. A tal fine sono stati costituiti tre fondi settoriali:
      1) fondo sociale per l'occupazione e la formazione;
      2) fondo infrastrutture;
      3) fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale;
    ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, attuativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, il fondo per le aree sottoutilizzate ha assunto la denominazione di «fondo per lo sviluppo e la coesione»;
    per il periodo di programmazione 2007-2013 le risorse del fondo per le aree sottoutilizzate sono state fissate dall'articolo 1, comma 863, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), per un importo complessivo pari a 64,379 miliardi di euro. Nel corso dell'anno 2008 sono state apportate numerose riduzioni a carico delle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate, in attuazione di alcune disposizioni legislative adottate nel corso dell'anno, per un importo complessivo pari a 12,9 miliardi di euro. Altre decurtazioni delle risorse di tale fondo sono intervenute anche successivamente;
    il rapporto Svimez 2012 già citato asserisce che oggi ci vogliono quattro secoli per recuperare il gap che divide il Mezzogiorno dal Settentrione. Il rapporto parla di «desertificazione industriale». La disoccupazione tocca il 25 per cento, più del doppio rispetto a quella del Centro-Nord;
    nel 2012, il prodotto interno lordo è sceso ancora del 3,5 per cento, i consumi del 3,8 per cento e gli investimenti del 13,5 per cento. Negli ultimi quattro anni, dal 2007 al 2011, sono 147 mila i posti di lavoro persi al Sud, il triplo dei dati del Centro-Nord. In questa situazione dal 2000 al 2010 oltre un milione e 350 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno, aggravandone l'impoverimento;
    una situazione di grave e progressivo impoverimento che richiederebbe piani di emergenza ed investimenti pubblici;
    lo stesso intervento straordinario, quando c’è stato, in anni ormai lontani, era la semplice sostituzione di quello ordinario che non c'era mai stato. Era un investimento che non mirava a ridurre le differenze, ma a dare fondi ai potenti meridionali, in modo che potessero mantenere il loro potere e continuare a fare gli interessi settentrionali;
    anche i Governi di centrodestra degli ultimi vent'anni, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, hanno trascurato il Sud per compiacere la Lega. Non c’è, dunque, da stupirsi che i vecchi divari si siano allargati;
    il Meridione sconta oggi, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, il combinato disposto della peggior crisi dal dopoguerra e dell'impostazione leghista della compagine berlusconiana, che l'ha colpito sistematicamente nella convinzione che le realtà settentrionali ne avrebbero tratto giovamento. Oggi si vede con nettezza che è vero il contrario: senza politiche di coesione territoriali tutto il sistema-Paese soffre;
    la crescita dell'economia italiana è, infatti, strettamente legata allo sviluppo delle regioni meridionali e al recupero dei divari territoriali in termini di prodotto interno lordo, occupazione e infrastrutture. Con un Mezzogiorno a bassi livelli di produzione, anche se il Centro-Nord crescesse a tassi «europei», il prodotto interno lordo nazionale rimarrebbe sempre intorno alla sua media degli ultimi dieci anni: poco sopra lo zero (0,2 per cento),

impegna il Governo:

   ad intraprendere le necessarie iniziative affinché siano mantenuti ed effettivamente realizzati gli attuali criteri di riparto delle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione;
   ad assegnare nel più breve tempo possibile alle amministrazioni destinatarie le risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione ed a garantire che l'utilizzo di tali risorse sia oggetto di costante monitoraggio e valutazione al fine di accelerare il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
(1-01159) «Aniello Formisano, Messina, Palagiano, Palomba, Di Giuseppe, Di Stanislao, Barbato, Zazzera, Donadi, Di Pietro, Borghesi, Evangelisti, Cimadoro, Favia, Monai, Mura, Paladini, Piffari, Porcino, Rota».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 66, comma 9-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», in materia di turn over prevedeva che: «A decorrere dall'anno 2010 i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco possono procedere, secondo le modalità di cui al comma 10, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella relativa al personale cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente»;
    tale disposizione, per esigenze di contenimento della spesa pubblica, è stata modificata dal decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», cosiddetta spending review, che, all'articolo 14, comma 2, ha limitato ai soli anni 2010 e 2011, per i corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, la possibilità di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella relativa al personale cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente e stabilito, invece, che la predetta facoltà assunzionale è fissata nella misura del 20 per cento per il triennio 2012-2014, del 50 per cento nell'anno 2015 e del 100 per cento solo a decorrere dall'anno 2016;
    in buona sostanza, con la modifica all'articolo 66 del decreto-legge n. 112 del 2008, introdotta dalla cosiddetta spending review, si riduce il turn over, per i corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dall'attuale percentuale del 100 per cento al 20 per cento nel triennio 2012-2014 e al 50 per cento nell'anno 2015, ripristinandolo completamente solo a decorrere dall'anno 2016;
    questo rischia di compromettere seriamente la funzionalità delle strutture dedicate alla tutela dell'ordine pubblico, della sicurezza e dell'incolumità dei cittadini;
    infatti, tale contrazione si aggiunge alle manifeste carenze di organico da più parti denunciate. Si conterebbe, infatti, ad esempio, una perdita pesante che ammonta a circa 6.000 poliziotti che si andrebbero ad aggiungere alla già esistente carenza di circa 15.000 unità: dunque, circa oltre 20.000 poliziotti in meno rispetto all'organico previsto, nell'arco di 4 anni;
    per di più, dopo tre anni di flessione, il 2011 ha registrato un aumento del 5,4 per cento dei reati; i furti e i borseggi sono saliti rispettivamente del 20 e del 16 per cento, ciò anche a causa della crisi che fa aumentare i reati predatori; la corruzione costa all'Italia tra il 2 e il 4 per cento del prodotto interno lordo; oltre a ciò, l'economia sommersa nel nostro Paese è pari al 21 per cento del prodotto interno lordo, per un valore, quindi, di 340 miliardi di euro, e l'evasione fiscale nel primo semestre 2012 è cresciuta del 14,1 per cento in media nazionale, con una punta del 14,9 per cento al Nord. Questi fenomeni, tra gli altri, poco rassicuranti, che minano lo sviluppo del Paese e gravano sulle casse dello Stato, meriterebbero, al contrario, un incremento delle risorse umane e strumentali ai fini di un loro efficace contrasto;
    oltre al contrasto della criminalità e alla lotta alle mafie, che vedono impegnati quotidianamente migliaia di uomini e donne delle forze dell'ordine, in questi mesi il personale del comparto sicurezza e del soccorso pubblico è stato sempre più impegnato a garantire l'ordine pubblico nel corso di manifestazioni di protesta (vedi Alcoa) o, come nel caso dei cantieri dell'alta velocità in Val Susa a garantire l'incolumità fisica degli operai e l'integrità delle attrezzature;
    al contrario, la contrazione del turn over comporterà la necessità di ridimensionare le dotazioni organiche dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, incidendo sull'efficienza delle strutture operative direttamente destinate al controllo del territorio, al contrasto della criminalità organizzata e comune, alla lotta all'evasione fiscale, alla tutela dell'ambiente e della salute, al soccorso e alla salvaguardia delle vite umane;
    inoltre, questa contrazione frustra le legittime aspettative di tutti quei giovani che hanno dedicato tempo e impegno nella formazione ai fini di superare concorsi già espletati (si cita, a mero titolo esemplificativo, il concorso a 490 posti allievo maresciallo dell'Arma dei carabinieri bandito nel settembre 2011 e conclusosi nel giugno 2012), e che potrebbero essere quella linfa utile e all'altezza di rinnovare la lotta alla criminalità, comune e organizzata, interna e internazionale; in particolare, si evidenzia l'impossibilità di assumere i volontari di truppa in ferma prefissata quadriennale (VFP4) e annuale (VFP1) delle Forze armate al termine di tali ferme;
    si segnala, altresì, che a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, gli emolumenti assegnati alle forze dell'ordine hanno subito un blocco solo parzialmente bilanciato dalle misure perequative connesse al riconoscimento della specificità del comparto sicurezza e assegnate al fondo istituito dal medesimo decreto (articolo 8, comma 11-bis), che non dispone comunque delle risorse necessarie per gli anni 2012 e 2013;
    se, da un lato, quindi, è necessario concorrere al risanamento della finanza pubblica attraverso una radicale revisione della spesa generale ai fini di aumentarne l'efficacia e l'efficienza, dall'altro lato, questa esigenza va contemperata con il rispetto di principi costituzionalmente riconosciuti e con la garanzia della funzionalità di strumenti a difesa della sicurezza, dell'ordine pubblico e dell'incolumità dei cittadini, onde evitare che i costi della possibile riduzione della qualità del vivere civile e dell'immaginabile rischio del diffondersi della criminalità, comune e organizzata, non siano più elevati di quanto lo siano i risparmi quantificati con la riduzione del turn over,

impegna il Governo:

   ad assumere, quanto prima, iniziative affinché nei prossimi provvedimenti legislativi sia trovato un giusto contemperamento tra le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica e di funzionalità delle strutture impiegate nella difesa dell'ordine pubblico, della sicurezza e dell'incolumità pubblica, promuovendo specifiche modifiche alle disposizioni che stabiliscono la drastica contrazione del turn over per i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e prevedendo il ripristino immediato del turn over al 100 per cento o, in subordine, l'aumento dal 20 al 50 per cento per il triennio 2012-2014 e il reintegro al 100 per cento a decorrere dall'anno 2015, al fine di salvaguardare principi costituzionalmente riconosciuti, di non inficiare la lotta alla criminalità comune e organizzata, interna e internazionale, e rispettare le legittime aspettative di chi ha investito tempo e risorse nella formazione ai fini di servire il proprio Stato;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse da destinare al fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010.
(1-01160) «Galletti, Tassone, Libè, Mantini, Compagnon, Rao, Ciccanti, Naro, Volontè, Bosi, Delfino».


   La Camera,
   premesso che:
    si osserva con preoccupazione il protrarsi della recessione economica internazionale e l'affiorare di inquietanti focolai di crisi nel Mediterraneo, specificamente legati alle ricadute della cosiddetta «Primavera araba», ma anche a circostanze del tutto indipendenti, come i gravi incidenti verificatisi in Nord Africa e Medio Oriente in seguito alla pubblicazione di un film ritenuto blasfemo dai musulmani;
    tali fenomeni sono suscettibili di produrre ricadute significative anche sulla sicurezza interna del nostro Paese, che già risente di antiche problematiche, come la sussistenza di una criminalità organizzata che detta legge in rilevanti porzioni del territorio nazionale e sta cercando di allargare la propria influenza anche al di là delle regioni di proprio tradizionale insediamento;
    si sottolineano le croniche insufficienze di personale che si riscontrano nel settore del soccorso tecnico urgente, a dispetto del periodico verificarsi nel nostro Paese di calamità naturali di varia natura, stagionali (come gli incendi estivi e le alluvioni determinate dal maltempo) o geologiche (terremoti), che consiglierebbero di investire nel potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sostenendone anche la componente volontaria, anziché ridurne la consistenza;
    pur comprendendo le ragioni di bilancio che hanno suggerito al Governo la decisione di varare piani ambiziosi di riduzione della spesa pubblica, si manifestano dubbi, sulla base delle ragioni sopra esposte, circa l'opportunità di contrarre il personale delle forze dell'ordine e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il cui turn over avverrà, a legislazione vigente, fino al 2014 soltanto nella misura del 20 per cento e nel 2015 comunque della metà, per tornare al 100 per cento solo successivamente;
    si evidenzia che il 25 febbraio 2012 il Comando generale dell'Arma dei carabinieri ha indetto un concorso per il reclutamento di 1.886 allievi carabinieri effettivi, riservato, ai sensi dell'articolo 2199 del decreto-legge 15 marzo 2010, n. 66, recante il codice dell'ordinamento militare, ai volontari delle Forze armate in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale, in servizio o in congedo;
    la contrazione del turn over determinata dall'approvazione della cosiddetta spendingreview comporta sensibili riduzioni nei posti che verranno posti a concorso dalle forze dell'ordine e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco nei prossimi anni, se non addirittura l'annullamento puro e semplice delle procedure concorsuali in programma a breve e medio termine;
    si richiama a questo proposito l'attenzione sull'avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 2 ottobre 2012, relativo alla riduzione del numero dei posti messi a concorso dall'Arma dei carabinieri il 25 febbraio 2012 dalle originarie 1.886 a 375 unità, così ripartite: 216 da immettere direttamente e 159 da incorporare a conclusione della ferma di quattro anni quale volontario nelle Forze armate;
    queste procedure concorsuali determinano in ogni caso legittime aspirazioni in coloro che vi si sottopongono, partecipando a selezioni che spesso implicano la sopportazione di sacrifici ed oneri economici significativi;
    si esprime preoccupazione per le conseguenze che quanto precede minaccia di provocare in assenza di opportuni correttivi, sotto molteplici punti di vista, giacché la drastica decurtazione del turn over nelle forze di polizia e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco è destinata ad elevare l'età media del personale in servizio in tempi di minacce nuove e crescenti; inoltre, mortifica le legittime aspettative insorte in chi ha già visto riconosciuta la propria idoneità per i posti messi a concorso, generando i presupposti di una futura ondata di ricorsi giudiziari avverso le decisioni che le amministrazioni interessate assumeranno e, soprattutto, mina alla radice la credibilità del regime di incentivi che dal 2004 assicura il gettito dei militari volontari arruolati dalle Forze armate;
    si stigmatizza la circostanza che i provvedimenti di riduzione del turn over rischiano di pregiudicare il rispetto da parte dello Stato dell'obbligazione contratta con i giovani che hanno liberamente scelto di servirlo volontariamente in armi, spesso in teatri ad alto rischio, come l'Afghanistan, l'Iraq ed il Libano;
    si rileva come sul punto il Governo abbia già accolto un atto di indirizzo recentemente presentato al Senato della Repubblica, in cui la gran parte di questi effetti è esplicitamente menzionata e che non casualmente prospetta l'innalzamento almeno alla soglia del 50 per cento del turn over nelle Forze di polizia;
    occorre rimarcare come l'urgenza della questione abbia trovato conferma nella circostanza di aver costituito l'oggetto di un'interrogazione a risposta immediata nella Commissione difesa della Camera dei deputati, presentata il 1o ottobre 2012 ed illustrata il giorno successivo,

impegna il Governo:

   a rivedere rapidamente le proprie valutazioni circa la riduzione del turn over praticato sul personale in uscita dalle forze dell'ordine e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, assicurando, altresì, ai militari volontari cessati senza demerito dal servizio prestato nelle Forze armate meccanismi alternativi di scivolo nella pubblica amministrazione, paragonabili a quelli che si prevede di introdurre a favore delle categorie del personale militare in uscita dall'amministrazione della difesa per effetto della spending review, o compensazioni che siano comunque in grado di conservare al volontariato militare la sua attuale competitività sul mercato del lavoro;
   con riferimento al concorso indetto il 25 febbraio 2012 dall'Arma dei carabinieri, a mantenere aperta e valida la graduatoria a profitto di tutti gli originari 1.886 aspiranti carabinieri che risulteranno idonei vincitori, in luogo dei 375 ora previsti, fino al suo totale assorbimento.
(1-01161) «Gidoni, Chiappori, Molgora, Vanalli, Meroni, Pastore, Volpi, Bragantini, Fugatti, Lussana, Fedriga, Montagnoli, Fogliato».


   La Camera,
   premesso che:
    il fondo per le aree sottoutilizzate (ora fondo per lo sviluppo e la coesione) è stato istituito con la legge n. 289 del 2002. La sua stessa istituzione rispondeva all'esigenza di sostenere politiche attive di sviluppo delle aree appunto sottoutilizzate;
    appare evidente e necessario sottolineare che nella sua stessa definizione si dovrebbe cogliere il suo autentico senso politico. Si dice, infatti, «aree sottoutilizzate», aree cioè in difficoltà perché male governate o non governate nella maniera più adeguata, in modo insomma da non permettere lo sviluppo delle potenzialità effettive di queste aree;
    in tale definizione, non si sa quanto volontaria, si riassume una buona dose della ormai annosa questione meridionale;
    in effetti, all'atto pratico, il fondo per lo sviluppo e la coesione rappresenta, o meglio dovrebbe rappresentare, lo strumento principale di governo della politica regionale nazionale, in particolare per permettere la realizzazione degli investimenti necessari nelle aree, appunto, sottoutilizzate del Paese;
    le risorse finanziarie messe a disposizione del fondo per lo sviluppo e la coesione non rappresentano, però, solo un semplice strumento finanziario e un sostegno economico settoriale, in quanto sono, invece, anche un importante strumento di raccordo delle politiche regionali con le scelte e gli indirizzi della comunità europea. L'affermazione di una strategia unitaria nella programmazione degli interventi, che avviene proprio grazie all'utilizzo «locale» di tali risorse, permette, infatti, di sviluppare una politica regionale coerente con i principi e le regole comunitarie consentendo, al contempo, una maggiore capacità di spesa in conto capitale, una condizione questa necessaria per soddisfare anche quel principio di addizionalità che l'Italia è chiamata a rispettare con l'Unione europea;
    il fondo per lo sviluppo e la coesione è stato oggetto, nel tempo, di diversi interventi normativi:
     a) la legge 24 dicembre 2003, n. 350, (legge finanziaria per il 2004), ha affidato al fondo per le aree sottoutilizzate l'obiettivo di accelerare la spesa in conto capitale, includendolo tra i criteri che presiedono alla rimodulazione delle risorse. In quell'occasione si è stabilito che, per gli interventi infrastrutturali, la loro attuazione potesse avvenire esclusivamente secondo quanto stabilito dalle procedure previste dagli accordi di programma quadro, con priorità per gli interventi nei settori della sicurezza, dei trasporti, della ricerca, dell'acqua e del rischio idrogeologico;
     b) la legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha destinato al fondo per le aree sottoutilizzate, in virtù di una programmazione settennale, 64 miliardi di euro, specificando che l'85 per cento di quelle risorse fosse destinato a favore del Mezzogiorno;
     c) con il decreto-legge n. 185 del 2008 le risorse destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate sono state riprogrammate e sono stati creati tre fondi settoriali, quello sociale per l'occupazione e la formazione, quello per le infrastrutture, e quello strategico per il Paese;
     d) conseguentemente, la programmazione delle risorse per il periodo 2007-2013 è stata poi adottata dal Cipe con delibera 21 dicembre 2007, n. 166, che, come detto, evidenziava un ammontare pari a 64,379 miliardi di euro;
     e) a decorrere dall'anno 2008 fino ad oggi, le risorse sopra citate hanno subito una serie costante di decurtazioni, principalmente per reperire le risorse necessarie al riequilibrio dei saldi di finanza pubblica;
     f) ai sensi del decreto legislativo n. 88 del 2011 (Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali), attuativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, il fondo per le aree sottoutilizzate ha assunto la denominazione di fondo per lo sviluppo e la coesione;
    il fondo per lo sviluppo e la coesione è finalizzato, riconoscendo un'intrinseca unità programmatica, ad un insieme di interventi rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese;
    dal quadro descritto appare evidente che anche la semplice ipotesi di non utilizzare più tali risorse a favore della aree meridionali del nostro Paese, o, comunque, utilizzarle principalmente in altre aree geografiche d'Italia, significa non aver compreso lo spirito stesso dello strumento. Non aver compreso che si tratta di un mezzo fondamentale per l'affermazione di una politica comune europea. Non aver compreso che il ritardo del meridione d'Italia è chiaramente una questione nazionale, dalla quale dipende la competitività dell'intero sistema Italia, e, quindi, la possibilità per tutti i cittadini italiani, anche quelli residenti nelle regioni settentrionali, di mantenere livelli di vita adeguati nei prossimi anni. Significa, in buona sostanza, non aver compreso l'attuale fase storica che si sta vivendo;
    un approccio localistico nell'utilizzo di tali risorse risponde, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, esclusivamente ad una visione ristretta, miope e antistorica;
    i danni prodotti dalla «moda del federalismo irresponsabile», oggi sono tutti drammaticamente sotto gli occhi. Si sono creati centri di spesa fuori da ogni controllo. Il risultato è stato: minori servizi e più tasse per tutti i cittadini italiani;
    pensare ancora il nostro Paese diviso e voler aumentare le distanze tra le sue aree geografiche appare davvero futile e dannoso. È venuto il momento della responsabilità, non è più il tempo di proclami separatisti, di chimere antinazionali, l'Italia è una e deve essere sempre più coesa se davvero si vuole affrontare, nell'interesse di tutti i suoi cittadini, la sfida europea;
    è necessario investire maggiori risorse in tutte le aree sottoutilizzate a cominciare proprio da quelle meridionali;
    bisogna legare tali investimenti alla possibilità che le forze produttive più avanzate del Paese possano investire nel Meridione, e fare in modo che le aziende del Nord trovino sempre più vantaggioso investire nel Sud. Anche per quest'azione è venuto il tempo della responsabilità e si ritiene che in questa chiave vada letto il decreto-legge sugli enti locali che il Governo ha deciso recentemente di emanare. Non è più accettabile sprecare, non è più pensabile utilizzare male le risorse disponibili;
    in questo senso, appaiono davvero preoccupanti i dati più recenti relativi allo stato di utilizzo delle risorse relative al periodo di programmazione che si è concluso nel 2007. Dati allarmanti che mettono in evidenza la permanenza di ritardi ed inefficienze, nonché la capacità di spesa da parte delle regioni, in particolare, di quelle meridionali. Diversi provvedimenti normativi hanno più volte sottolineato l'opportunità e riconosciuto la possibilità dell'utilizzo di risorse giacenti sul fondo per lo sviluppo e la coesione che ancora non sono state utilizzate,

impegna il Governo:

   a confermare i principi generali di riparto delle citate risorse tra Mezzogiorno e Centro-Nord (rispettivamente 85 e 15 per cento);
   a ribadire, per le risorse destinate agli investimenti pubblici in infrastrutture, il criterio di distribuzione tra amministrazioni centrali e regioni (pari rispettivamente al 20 e all'80 per cento);
   a porre in essere tutte le misure ritenute idonee a garantire il più sollecito ed efficiente uso delle risorse di cui al fondo per lo sviluppo e la coesione, utilizzando tutti gli strumenti in suo possesso affinché le regioni si mostrino all'altezza dei loro compiti e delle loro responsabilità;
   a prevedere, nell'annunciato progetto di revisione costituzionale relativo alla ripartizione delle competenze tra Stato e regioni, meccanismi che permettano allo Stato di intervenire direttamente nella gestione e utilizzo delle risorse finanziarie disponibili, in caso di mancato utilizzo da parte delle regioni inadempienti;
   a garantire che le risorse disponibili siano orientate alla finalità della riduzione del divario economico tra le diverse aree del Paese.
(1-01162) «Ossorio, Nucara, Mario Pepe (Misto-R-A), Brugger».


   La Camera,
   premesso che:
    col decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, il Governo ha adottato misure di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica, che prevedono anche riduzioni nell'acquisto di beni e servizi (articolo 1, comma 21) e blocco parziale del turn over del personale per le amministrazioni pubbliche (articolo 14, comma 2);
    la ratio a base dell'intervento normativo è fondata sulla necessità, da tutti condivisa, di ridurre la spesa pubblica, inducendo ciascuna amministrazione, centrale e territoriale, a eliminare spese inutili o superflue e a disporre in modo più oculato delle risorse disponibili. L'esame degli esiti di tale intervento nel settore della sicurezza ha fatto, tuttavia, emergere gravi ricadute, alle quali è necessario porre rimedio, senza far venir meno l'insieme dell'impianto riformatore;
    a seguito della contrazione del turn over per le assunzioni da parte dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, è stato stabilito che l'attuale percentuale del 100 per cento di ricambio scenda al 20 per cento nel triennio 2012-2014 e al 50 per cento nell'anno 2015. Il ripristino del completo turn over è previsto solo a decorrere dall'anno 2016. L'incidenza della spending review sui mezzi è altrettanto penalizzante: ha dilatato il ritardo nei pagamenti delle locazioni degli immobili adibiti a presidi di polizia, ha determinato un sostanziale blocco dell'avvio di nuovi presidi e costringe a una riduzione dei servizi per la difficoltà di garantire il ricambio degli automezzi o di altri strumenti necessari per il lavoro. L'entità della riduzione delle spese per beni e servizi prevista dal citato decreto-legge per l'anno in corso è, con riferimento al Ministero dell'interno, di 131 milioni di euro annui a partire dal 2013 e per gli anni successivi;
    se vi è un settore che non può in questo momento tollerare decrementi di organici e di mezzi, esso è proprio quello della sicurezza. Non solo per una ragione formale, normativamente sancita da qualche anno, costituita dalla sua specificità nell'ambito del pubblico impiego, ma anche per un dato sostanziale, su cui si fonda quel riconoscimento: in tempo di crisi ciascuno dei fronti che appartiene alla competenza dei Corpi di polizia vede accentuate le esigenze, e quindi la necessità, di disporre di uomini e di mezzi per dare risposte serie, concrete ed equilibrate;
    quanto al profilo della criminalità, sia quella di tipo mafioso, sia quella priva di tale connotazione, la crisi economica e finanziaria ha moltiplicato le attività di usura e di estorsione, oltre che l'illecito reimpiego di denaro; la criminalità da strada ha fatto registrare negli ultimi mesi un sensibile aumento di furti e di rapine, anche per somme di entità limitata;
    il calo dell'occupazione, per le condizioni drammatiche nelle quali versano aziende di ogni dimensione, si traduce spesso in manifestazioni di piazza, in ordine alle quali va garantito l'equilibrio fra il diritto, costituzionalmente sancito, a esprimere la protesta e il mantenimento dell'ordine pubblico, a sua volta correlato ad altri diritti costituzionali; il contesto di tensione sociale causato dalla crisi favorisce attività di tipo antagonistico, se non eversive, e ciò richiede attenzione e dedizione costanti, sul fronte della prevenzione e dell'investigazione; antagonismo ed eversione prendono di mira importanti opere pubbliche, come la tav in Val di Susa, con notevole sforzo di contenimento, che grava per intero sul sistema sicurezza. Il lavoro delle forze di polizia continua a essere impegnativo anche quanto all'immigrazione clandestina e al contestuale soccorso prestato con generosità a chi, tentando l'ingresso irregolare in Italia, rischia la vita. Né vanno trascurati compiti non sempre adeguatamente valutati, ma ciò nonostante impegnativi e pericolosi, come i servizi di sicurezza stradale. Per concludere: in tempo di crisi, ai Corpi di polizia viene chiesto di più, sia per quantità che per qualità di lavoro; a tale maggiore impiego non può corrispondere una diminuzione degli organici e una riduzione dei mezzi;
    del comparto devono ritenersi parte integrante le varie articolazioni del soccorso pubblico, inprimis i vigili del fuoco, per i quali va richiamato lo stesso riferimento alla specificità nell'ambito del pubblico impiego: il gran numero di emergenze naturali e ambientali vede chi vi è dedicato spendersi con professionalità e senza limiti, in condizione di ristrettezze sempre più significative;
    la misura di riduzione del turn over comporta un forzato e stabile cambiamento dell'organico, non concordato né con le organizzazioni sindacali, né con le rappresentanze. Il ripristino del turn over a partire dal 2016 non potrà più riequilibrare il gap determinatosi nel precedente quadriennio. Nell'immediatezza, unitamente agli effetti negativi prima illustrati, si sono manifestate inaccettabili distorsioni, a cominciare da quelle che riguarda il concorso, già espletato, per l'assunzione di circa 1.900 carabinieri: dopo aver superato le prove ed essere stati dichiarati vincitori di concorso, solo ai primi 211 partecipanti è stata garantita l'immissione in servizio, mentre agli altri 1.650 è stata conferita una pressoché inutile idoneità;
    a maggior ragione, le forze di polizia a ordinamento militare e civile, a causa dell'entità delle riduzioni del turn over, si trovano nell'impossibilità di assumere i volontari di truppa in ferma prefissata quadriennale (vfp4) e annuale (vfp1) delle Forze armate al termine di tali ferme, come previsto dalla legge istitutiva del modello professionale delle medesime Forze armate per i vincitori degli appositi concorsi;
    questa situazione comporterà, anche qui, la lesione delle legittime aspettative dei singoli interessati vincitori di concorso, specie se si considera che la loro mancata assunzione nei tempi previsti renderà necessario prevedere la preclusione definitiva della possibilità di essere assunti per coloro che dovessero nel frattempo superare i limiti di età stabiliti per l'accesso alle carriere iniziali delle forze di polizia. A essa si sommano ulteriori effetti negativi in ordine alla funzionalità delle stesse forze di polizia, in quanto esse si troveranno, all'atto del ripristino del turn over, a dover assorbire l'elevato contingente di volontari che non è stato possibile assumere nel periodo in questione, composto di personale che avrà raggiunto una maggiore anzianità anagrafica, specie per i volontari di truppa in ferma prefissata quadriennale (vfp4) in gran parte superiore ai 30 anni di età;
    l'equilibrio fra le esigenze di riduzione della spesa pubblica e il mantenimento degli standard di sicurezza può ben essere assicurato, fra l'altro, attingendo dalle risorse del fondo unico per la giustizia, istituito nel settembre 2008 e alimentato dal cash e dai titoli monetizzabili sottratti con sequestri e confische dalla disponibilità delle organizzazioni di tipo mafioso. Tale fondo è per legge destinato per il 49 per cento all'incremento delle risorse del Ministero dell'interno e per il 49 per cento a quello della giustizia. In data 1o agosto 2012, all'avvio dell'esame in Commissione bilancio, tesoro e programmazione alla Camera dei deputati dell’iter di conversione del decreto-legge n. 95 del 2012, il rappresentante del Governo ha chiarito quale sia la disponibilità del fondo unico per la giustizia, in base a una nota trasmessa dalla Ragioneria generale dello Stato: alla data del 31 dicembre 2011 le risorse in questione ammontano a 2.212,88 milioni di euro, di cui 1.065,52 milioni di euro riportati da conti correnti e depositi a risparmio. In data 7 agosto 2012, la Camera dei deputati ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a utilizzare queste risorse, come la legge prescrive, per fare fronte alle emergenze dei settori della giustizia e della sicurezza,

impegna il Governo:

   ad adottare, nell'ambito dei prossimi provvedimenti di carattere finanziario, a cominciare dalla legge di stabilità, misure correttive per:
    a) elevare il limite del turn over per le assunzioni da parte delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, previsto per il triennio 2012-2014, dal 20 per cento quanto meno al 50 per cento e ripristinare l'intero turn over a decorrere dal 2015;
    b) garantire l'assunzione dei volontari in ferma prefissata delle Forze armate vincitori di concorso per l'assunzione nelle stesse forze di polizia al termine di anni di servizio prestati meritoriamente;
    c) immettere in servizio tutti i 1.886 vincitori del concorso per allievi carabinieri;
    d) coprire le spese essenziali riguardante la logistica e i mezzi del settore, superando le attuali difficoltà relative al pagamento dei canoni locativi degli immobili adibiti a presidi;
    e) utilizzare, sia pure per una parte delle predette esigenze, le risorse del fondo unico per la giustizia.
(1-01163) «Mantovano, Cirielli, Cicu, Baldelli, Santelli, Ascierto, Barba, Cannella, De Angelis, Gregorio Fontana, Mazzoni, Sammarco, Speciale, Moles, Laffranco».


   La Camera,
   premesso che:
    il fondo per le aree sottoutilizzate, istituito con la legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003), rappresenta lo strumento principale di governo della politica regionale nazionale per la realizzazione degli investimenti nelle aree sottoutilizzate del Paese;
    la strategia unitaria nella programmazione degli interventi e la flessibilità nell'allocazione delle risorse permettono di impostare una politica regionale nazionale coerente con i principi e le regole comunitarie e di conseguire una maggiore capacità di spesa in conto capitale, condizione essenziale per soddisfare anche il principio di addizionalità, scaturente dagli impegni assunti dall'Italia con l'Unione europea;
    la legge 27 dicembre 2006, n. 296, attribuiva alla programmazione settennale del fondo per le aree sottoutilizzate, su base programmatica settennale, 64 miliardi di euro da destinare ad interventi, per l'85 per cento in favore del Mezzogiorno, anche attraverso il cofinanziamento e i programmi a valere sui fondi strutturali 2007-2013;
    i maggiori provvedimenti finanziari e di politica economica in chiave anticrisi emanati a partire dal 2008 sono stati finanziati attraverso la riduzione di oltre 28 miliardi di euro di risorse relative al fondo per le aree sottoutilizzate;
    l'articolo 6-quater del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, ha inserito nel nostro ordinamento i principi generali di riparto delle risorse tra Mezzogiorno e Centro-Nord (rispettivamente 85 e 15 per cento);
    nel corso del 2010 è stato costruito un proficuo rapporto di cooperazione istituzionale rafforzata tra il Governo e le regioni che ha consentito di avviare a realizzazione il piano nazionale per il Sud, approvato il 26 novembre 2010, e di accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati 2007-2013, scongiurando il rischio di disimpegno delle risorse comunitarie al 31 dicembre 2011;
    il decreto legislativo n. 88 del 2011, in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (articolo 119, comma quinto, della Costituzione), ha:
     a) ridefinito la finalizzazione del fondo per le aree sottoutilizzate, che ha assunto la denominazione di fondo per lo sviluppo e la coesione;
     b) introdotto nuove regole di responsabilizzazione dei soggetti pubblici titolari dell'utilizzo di tali risorse;
     c) previsto, per accelerare la realizzazione degli interventi e garantire la qualità degli investimenti, il «contratto istituzionale di sviluppo», che destina le risorse aggiuntive e definisce responsabilità, tempi e regole di realizzazione degli interventi programmati, le sanzioni per eventuali inadempienze e le condizioni per l'attivazione di poteri sostitutivi;
    la delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011, registrata alla Corte dei conti il 21 dicembre 2011 e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 31 dicembre 2011, ha disposto il finanziamento, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di competenza regionale, di interventi prontamente cantierabili riguardanti le grandi opere strategiche nazionali e regionali ferroviarie e viarie, essenziali per ricucire Nord e Sud del Paese. In particolare, la citata delibera assegna 1,6 miliardi di euro a favore di interventi strategici nazionali e 5,8 miliardi di euro a favore di 128 infrastrutture di rilievo interregionale e regionale, riguardanti non soltanto strade e ferrovie ma anche schemi idrici, porti e interporti, aree d'insediamento produttivo, banda larga;
    la delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011, registrata alla Corte dei conti il 9 gennaio 2012 e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 21 gennaio 2012, e successivamente modificata dalla delibera 20 gennaio 2012, registrata alla Corte dei conti il 17 aprile 2012 e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 23 aprile 2012, ha approvato un programma di investimenti nel sistema universitario delle regioni del Mezzogiorno che assegna, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di competenza regionale, 1.027 milioni di euro, di cui circa 84 milioni di euro a favore di due poli di ricerca di eccellenza in Calabria/Sicilia e Puglia e 943 milioni di euro in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia, per il finanziamento di infrastrutture quali laboratori didattici e di ricerca, biblioteche, mense, attrezzature tecnologiche e informatiche, case dello studente, ristrutturazioni e nuove costruzioni di edifici universitari;
    la delibera Cipe n. 8 del 20 gennaio 2012, registrata alla Corte dei conti il 17 aprile 2012 e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 25 maggio 2012, ha assegnato circa 750 milioni di euro, a carico della programmazione regionale del fondo per lo sviluppo e la coesione, per il completo finanziamento degli interventi rientranti in specifici accordi di programma già sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le singole regioni del Mezzogiorno per il contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti;
    la delibera Cipe n. 41 del 23 marzo 2012, registrata alla Corte dei conti il 7 giugno 2012 e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 15 giugno 2012, ha previsto che, ai fini dell'attuazione degli interventi previsti nelle delibere CIPE n. 62 del 2011 e n. 78 del 2011, si procede attraverso lo strumento dei contratti istituzionali di sviluppo, nelle ipotesi nelle quali i soggetti attuatori siano costituiti da concessionari di pubblici servizi di rilevanza nazionale; in tutti gli altri casi si procede mediante la stipula di specifici accordi di programma quadro;
    il Cipe, in data 3 agosto 2012, ha programmato le risorse residue, oltre 4 miliardi di euro del fondo per lo sviluppo e la coesione a favore delle regioni meridionali, assegnandole alle seguenti sei categorie prioritarie di intervento: promozione d'impresa (circa 943 milioni di euro); sanità (oltre 717 milioni di euro); riqualificazione urbana (oltre 400 milioni di euro); sostegno alle scuole e alle università (circa 191 milioni di euro); altre infrastrutture (oltre 468 milioni di euro); assistenza tecnica/azioni di sistema (36 milioni di euro); copertura debito sanitario della Regione siciliana (oltre 358 milioni di euro), interventi nel settore delle bonifiche e del completamento del servizio idrico integrato (1 miliardo di euro),

impegna il Governo:

   a confermare i principi generali di riparto delle risorse tra Mezzogiorno e Centro-Nord (rispettivamente 85 e 15 per cento), già affermati dall'articolo 6-quater del decreto-legge n. 112 del 2008;
   a stipulare, nel più breve tempo possibile, i contratti istituzionali di sviluppo o gli accordi di programma quadro, al fine di mettere a disposizione delle amministrazioni regionali le risorse per avviare concretamente le opere e dare un impulso molto importante all'economia del Mezzogiorno.
(1-01164) «Fitto, Gioacchino Alfano, Marinello, Aracu, Baccini, Ceroni, Girlanda, Mantovano, Marsilio, Toccafondi, Traversa».


   La Camera,
   premesso che:
    il Mezzogiorno ha subìto più del Centro-Nord le conseguenze della crisi economica, con una caduta maggiore del prodotto interno lordo e una riduzione ancora più pesante dell'occupazione nel biennio di recessione 2008-2009, mentre la debole ripresa del successivo biennio 2010-2011 è stata nell'area troppo incerta e insufficiente;
    tra il 2007 e il 2011 il prodotto interno lordo meridionale ha subito una riduzione in termini reali del 6,1 per cento, a fronte di una riduzione del 4,1 per cento nel Centro-Nord;
    da quattro anni i consumi nel Mezzogiorno non crescono: i consumi delle famiglie hanno registrato, in particolare nel Mezzogiorno, un calo significativo nel corso della crisi, anche per quelli alimentari, riducendosi complessivamente del 4,5 per cento, a fronte di una sostanziale stazionarietà nelle regioni del Centro-Nord. Per effetto della crisi e del declino dei redditi in atto dall'inizio del decennio, il livello dei consumi delle famiglie meridionali risulta inferiore in termini reali di oltre 3 miliardi di euro rispetto al valore del 2000;
    le stime per il 2012, effettuate con il modello di previsione regionale Svimez-Irpet, evidenziano un forte peggioramento del quadro economico: aggravamento della recessione, contrazione del prodotto interno lordo superiore a quella dei partner europei, peggior andamento delle regioni meridionali;
    si conferma, inoltre, e si aggrava la tendenza ad un ampliamento del divario tra Nord e Sud: il prodotto interno lordo del Centro-Nord dovrebbe flettere del 2,2 per cento, mentre quello del Sud farebbe segnare una riduzione del 3,5 per cento: considerando questa ulteriore contrazione, il prodotto interno lordo del Mezzogiorno farebbe segnare dal 2007 a tutto il 2012 una riduzione complessiva di circa il 10 per cento, ritornando ai livelli del prodotto interno lordo (a prezzi costanti) del 1997, un salto all'indietro di quindici anni (il prodotto del Centro-Nord tornerebbe ai livelli del 2002);
    le manovre restrittive comportano, secondo le stime Svimez, un effetto depressivo sul prodotto interno lordo del 2012 dell'1,1 per cento in Italia, ma assai differente a livello territoriale: 8 decimi di punto nelle regioni centro-settentrionali e 2,1 punti percentuali in quelle meridionali;
    tra il 2008 e il 2011 si sono perse nel nostro Paese 437 mila unità di lavoro, con una concentrazione territoriale impressionante: meno 266 mila nel Mezzogiorno, quasi il 60 per cento di perdite in un'area in cui sono presenti meno del 30 per cento degli occupati italiani. Per quanto riguarda i settori, si può parlare di un vero e proprio crollo per le costruzioni (meno 14,1 per cento, contro il meno 3,7 per cento del Centro-Nord) e nell'industria in senso stretto (meno 11,1 per cento nel Mezzogiorno, contro il meno 5,1 per cento nel resto del Paese), non compensate dalla dinamica del terziario che cresce al Centro-Nord (più 1 per cento), mentre riduce i posti di lavoro nel Sud (meno 1,6 per cento);
    per quanto riguarda i tassi di occupazione relativi alle classi da 25 a 34 anni, la percentuale è del 47,6 per cento nel Mezzogiorno, a fronte del 75,7 per cento delle regioni del Centro-Nord;
    l'impegno complessivo allo sviluppo è nei fatti mancato – causa la difficile crisi finanziaria e il rispetto dei vincoli che discendono dal patto di stabilità – determinando nel 2011 un crollo della spesa in conto capitale complessiva dell'11 per cento, che segue la riduzione del 19,6 per cento registrata nel 2010;
    il taglio drastico operato sulle spese per investimenti, ai livelli più bassi per entrambe le macroaree, è gravato prevalentemente sul Mezzogiorno (meno 18,8 per cento rispetto al meno 8,2 per cento nel Centro-Nord), determinando una diminuzione della sua quota sul totale nazionale al 31,1 per cento, dal 40 per cento del 2010: a dispetto dei tanti luoghi comuni che persistono – alimentati da una discussione parziale, disinformata e scandalistica sull'uso, il non uso e l'abuso delle risorse per la coesione – il livello di spesa per investimenti pro capite al Sud è drammaticamente inferiore al resto del Paese;
    ma ciò che emerge dai dati è, soprattutto, il fatto che la spesa ordinaria al Sud, diminuita dagli 11,3 miliardi di euro del 2010 ai 7 miliardi di euro del 2011, è l'elemento di peculiare debolezza dell'attività di investimento: la sua incidenza sulla spesa ordinaria complessiva del Paese è scesa dal 25,5 per cento nel 2010 al 18,8 per cento nel 2011 e, dunque, la spesa aggiuntiva, in leggera ripresa rispetto all'anno precedente, è risultata così di ammontare superiore a quello della spesa ordinaria (8,1 miliardi di euro rispetto a 7 miliardi di euro);
    tutto questo determina la costante violazione del principio di addizionalità della spesa a finalità strutturale pattuito con l'Unione europea, per beneficiare delle politiche di coesione, indebolendo maggiormente la posizione negoziale del nostro Paese in vista della riforma per il ciclo di programmazione 2014-2020;
    in ogni caso, l'efficacia dell'impegno aggiuntivo, vista la prassi di «sostitutività» registrata in tutti questi anni a dispetto di altri importanti vincoli, può essere garantita solo ponendo con forza, pure nell'ambito dell'attuazione del federalismo fiscale, la questione della garanzia di una spesa in conto capitale ordinaria di dimensione «adeguata» per il Mezzogiorno;
    il prossimo documento di economia e finanza, momento di programmazione complessiva dello Stato, dovrebbe essere il luogo, a differenza che nel passato, per iniziare a esplicitare quantità e «qualità» della spesa ordinaria prevista per le aree sottoutilizzate, anche al fine di stabilirne, su un piano programmatico, l'effettiva portata dell'aggiuntività degli interventi e quanto questa possa incidere negli obiettivi di convergenza che il Paese si pone;
    di fronte alla persistente mancanza, nel Mezzogiorno, di una politica complessiva di sviluppo e persino di politiche ordinarie generali adeguate (la spesa pubblica corrente pro capite sarà pure gravata da sacche di forte inefficienza, ma è più bassa rispetto al resto del Paese: e il livello dei servizi lo dimostra), anche gli interventi «aggiuntivi» e «speciali» realizzati con la «nuova» politica di coesione rischiano di continuare a perdere la loro finalità di riequilibrio territoriale, con il ben noto effetto di sostituzione (sempre più parziale, stante il livello complessivo inadeguato) della mancata spesa ordinaria. Questo, inevitabilmente, ne condizionerebbe esiti e risultati, inficiandoli ab origine,

impegna il Governo:

   a confermare la percentuale di riparto del fondo per lo sviluppo e la coesione assegnando l'85 per cento delle risorse al Sud e il 15 per cento al Centro-Nord;
   ad assumere iniziative per attribuire al fondo per lo sviluppo e la coesione una dotazione di risorse iscritte in bilancio non inferiori allo 0,6 per cento del prodotto interno lordo, risorse che non possono comunque risultare inferiori allo 0,4 per cento a fine anno.
(1-01165) «Boccia, Ventura, Baretta, Calvisi, Capodicasa, D'Antoni, De Micheli, Duilio, Genovese, Marchi, Marini, Misiani, Nannicini, Rubinato, Sereni».


   La Camera,
   premesso che:
    il 20 novembre 1989 l'Assemblea generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) approvava la «convenzione sui diritti del fanciullo», ratificata dall'Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176;
    la convenzione, all'articolo 3, sanciva il principio di «interesse superiore del fanciullo» ovvero il concetto fondamentale delle politiche a favore dell'infanzia e dell'adolescenza;
    il 13 dicembre 2006 l'Assemblea generale dell'ONU approvava la «convenzione sui diritti delle persone con disabilità» ratificata dall'Italia con la legge 3 marzo 2009, n. 18;
    tale convenzione, all'articolo 7, ribadiva il principio di «superiore interesse del minore» e sanciva l'impegno degli Stati parti a fornire ai minori con disabilità adeguata assistenza in relazione alla disabilità e all'età allo scopo di realizzare il diritto di eguaglianza con gli altri minori;
    la stessa convenzione, all'articolo 25, specificava che gli Stati parti, in tema di politiche per l'età evolutiva, si impegnano a fornire servizi sanitari alle persone con disabilità proprio in ragione della loro disabilità, compresi i servizi di diagnosi precoce e d'intervento d'urgenza e i servizi destinati a ridurre al minimo ed a prevenire ulteriori disabilità;
    inoltre, lo stato di benessere dell'infanzia è uno degli obiettivi del piano sanitario nazionale del Paese;
    la tutela della salute mentale in età evolutiva, in particolare, dovrebbe essere una priorità da perseguire, attraverso un'attenta attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione in ambito psichiatrico, neuropsicologico e neurologico nella fascia d'età da 0 a 18 anni, con il coinvolgimento di fattori familiari, socio-culturali ed educativi;
    l'attuazione di un efficace intervento per la soluzione dei disturbi neuropsichiatrici in infanzia e adolescenza necessita, quindi, di un'azione combinata sul piano sociale e sul piano sanitario;
    la chiusura degli ospedali psichiatrici, degli istituti per minori e delle strutture speciali nella scuola, l'introduzione della psichiatria e della neuropsichiatria infantile all'interno del servizio sanitario nazionale e lo sviluppo dei servizi di salute mentale e di neuropsichiatria infantile nelle aziende sanitarie locali hanno profondamente trasformato il Paese in tema di salute mentale e hanno generato una progressiva razionalizzazione degli interventi;
    in particolare, nel settore dell'infanzia, hanno assunto un rilievo decisivo le pratiche di prevenzione e promozione della salute, con particolare riferimento alle collaborazioni dei neuropsichiatri infantili con le famiglie, i pediatri, le istituzioni scolastiche e gli psichiatri dell'età adulta;
    i cambiamenti socio-economici verificatisi in Italia negli ultimi tempi hanno mutato anche il profilo epidemiologico che attiene alla domanda di salute mentale: in particolare, tra i disturbi che esordiscono nell'infanzia e nell'adolescenza si è ridotta la componente di grave disabilità neuromotoria e sensoriale (a causa del miglioramento delle condizioni di vita e delle cure perinatali); d'altra parte è divenuta più evidente la rilevanza epidemiologica dei disturbi dello sviluppo, che complessivamente riguardano 8 bambini e ragazzi su 100 tra i 2 e i 18 anni e richiedono una presa in carico spesso superiore ai dieci anni, coprendo oltre il 60 per cento della domanda;
    il sempre più diffuso disagio giovanile e la preoccupante psicopatologia dell'adolescenza, che riguarda 2 ragazzi su 100 fra i 13 e i 18 anni, richiederebbero una migliore predisposizione di interventi tempestivi e coordinati tra servizi dedicati esclusivamente alla cura e alla prevenzione degli stessi;
    i dati sui servizi raccolti dalla Società di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (SINPIA) e il confronto epidemiologico tra ricerche su popolazioni globali e su popolazioni cliniche svolto dall'Istituto superiore di sanità, dall'istituto G. Bollea, dall'istituto di ricovero e cura a carattere scientifico E. Medea e dall'azienda sanitaria locale di Modena, hanno portato a prime indicazioni significative sulla governance dei flussi di utenza in neuropsichiatria infantile;
    la conferenza Stato-regioni ha approvato, l'11 ottobre 2001, il modello per la rilevazione di strutture, personale, attività e prestazioni dei dipartimenti di salute mentale che individua le caratteristiche principali del sistema informativo per la salute mentale sia da un punto di vista funzionale che tecnico;
    con decreto del Ministro della salute 15 ottobre 2010 è stato istituito il sistema informativo per la salute mentale (SISM) che definisce, tra gli altri, l'obiettivo di monitorare e tutelare la salute mentale;
    oggi nel Paese è consolidato un modello organizzativo dipartimentale (DSM) che interviene direttamente sul territorio e che opera tra le istituzioni scolastiche, il domicilio e il luogo di lavoro; tale sviluppo organizzativo ha generato, tuttavia, evidenti differenze tra indici di attività e livelli di assistenza dei vari sistemi regionali che configurano una reale disuguaglianza dei cittadini rispetto al diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione;
    nella maggior parte delle regioni sono assenti DSM di neuropsichiatria infantile. Non esiste alcun servizio, strutturato in articolazioni territoriali, dedicato esclusivamente alla cura dei disturbi mentali in età evolutiva ed, in particolare, alla loro prevenzione nella fascia di età 0-12 anni;
    i servizi regionali esistenti per le problematiche dell'infanzia e dell'adolescenza risentono, poi, di una programmazione non unitaria indirizzata, da un parte, verso l'ambito della salute materno-infantile e, dall'altra, verso i servizi psichiatrici per gli adulti;
    occorrerebbe, pertanto, un modello organizzativo in grado di coniugare l'unitarietà della programmazione e l'omogeneità delle prestazioni con il decentramento e l'integrazione sociosanitaria;
    il progetto obiettivo «Tutela della salute mentale 1998-2000» stabilisce che l'esperienza organizzativa dei servizi di salute mentale per la popolazione adulta suggerisce che anche le attività di salute mentale dedicate all'età evolutiva possano essere realizzate all'interno di un modello dipartimentale, sia di tipo strutturale che tecnico-funzionale a direzione unica che assicuri l'unitarietà degli interventi, la continuità terapeutica e il collegamento funzionale fra tutti i servizi coinvolti nella tutela della salute mentale;
    il progetto obiettivo «materno infantile relativo al piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000» ribadisce che l'assistenza neuropsichiatrica nell'infanzia e nell'adolescenza deve articolarsi seguendo anche le indicazioni contenute nel progetto obiettivo 1998-2000 e in armonia con le linee guida del Ministero della salute per le attività di riabilitazione specificatamente per quanto attiene all'età evolutiva;
    c’è la necessità inderogabile di costituire una programmazione nuova ed effettiva ed un monitoraggio efficace sulle pratiche della salute mentale in età evolutiva,

impegna il Governo:

   a promuovere il riconoscimento della tutela della salute mentale in età evolutiva come parte essenziale della salute dell'infanzia;
   a sviluppare una sistema informativo dedicato;
   a promuovere e potenziare una rete di ricerca clinica dedicata, con particolare attenzione ai modelli di cura e presa in carico efficace, efficiente ed economica;
   a porre in atto tutte le iniziative di competenza, con il coinvolgimento delle regioni, atte a garantire un sistema di unità operative autonome territoriali di neuropsichiatria infantile a direzione unica che, sia pure nelle diverse articolazioni territoriali (per una popolazione in fascia di età 0-18 anni non inferiore alle 80.000 unità e non superiore alle 120.000 unità) assicuri l'unitarietà degli interventi e che, nell'ottica di coordinare in maniera continuativa e per progetti di prevenzione i principi ispiratori della psichiatria infantile con le pratiche di cura, persegua le seguenti priorità:
    1) la centralità dei diritti del minore affetto da disturbi neuropsichiatrici;
    2) lo sviluppo di sistemi di monitoraggio dei processi e degli esiti attraverso la diffusione delle conoscenze al fine di conseguire un miglioramento delle cure;
    3) la definizione precisa dei livelli essenziali di assistenza (LEA) relativi alla salute mentale in età evolutiva in modo da rendere effettivi e certi i percorsi di cura;
    4) la valorizzazione del lavoro di équipe al fine di pervenire alla specializzazione dei trattamenti alla soluzione di eventuali problemi multipli;
    5) lo sviluppo di percorsi di formazione, ricerca e intervento al fine di conseguire un migliore utilizzo delle conoscenze della ricerca scientifica;
   a promuovere l'istituzione, presso il Ministero della salute, di un tavolo permanente – composto la rappresentanti del Ministero della salute, dell'Istituto superiore di sanità, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e delle regioni, ed esperti riconosciuti di neuropsichiatria infantile, in collaborazione con rappresentanti della psichiatria, della pediatria e dell'associazionismo familiare – che elabori le linee guida del programma nazionale per la ricerca sulla salute mentale nell'infanzia e nell'adolescenza e i trattamenti riabilitativi, psicoterapeutici, farmacologici, pedagogici e sociali dei disturbi ad essa collegati, gli interventi di prevenzione e le modalità di fornitura dei servizi, da presentare annualmente, per il parere, alle competenti Commissioni di Camera e Senato.
(1-01166) «Binetti, Calgaro, Nunzio Francesco Testa, De Poli, Volontè, Buttiglione, Compagnon, Delfino, D'Ippolito Vitale, Carlucci, Mondello, Tassone, Lusetti».

Risoluzione in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    il distretto della ceramica, porcellana e vetro artistico del Veneto, con le sue aree nevralgiche di Bassano del Grappa e Nove, attorno alle quali si è sviluppata una fitta rete di aziende, rappresenta un'eccellenza dell'economia italiana;
    il distretto conta nell'intero territorio veneto un totale di 681 aziende attive al registro delle imprese, in data 30 settembre 2009, di cui 366 specializzate nella fabbricazione di prodotti in ceramica e 315 nella lavorazione artistica del vetro; si tratta di aziende prevalentemente artigiane con una dimensione media di circa cinque dipendenti per impresa;
    il settore più rappresentativo del distretto è sicuramente quello legato alla lavorazione della ceramica artistica a cui si ricollegano altri settori, come la produzione di porcellane e la lavorazione del vetro artistico, che se pure numericamente più contenuti rappresentano, ciascuno secondo le proprie peculiarità, la storia del territorio veneto;
    la nascita della tradizione della ceramica artistica in Veneto ha radici molto lontane e passando attraverso una serie di fasi alterne di crisi e di recuperi è arrivata ai nostri giorni grazie alla professionalità e alla dedizione di tanti piccoli artigiani, i quali si sono impegnati a far conoscere la ceramica vicentina nel mondo, a testimonianza della vocazione di questo territorio;
    la crisi economica ed occupazionale in atto nel Paese non ha mancato di colpire anche questo settore strategico per l'economia vicentina, e più in generale per quella veneta, mettendo in seria difficoltà le aziende che negli ultimi anni hanno subìto un forte ridimensionamento, visibile anche dal considerevole aumento del numero di pratiche di sospensione;
    l'aggressiva concorrenza proveniente dai mercati asiatici, favorita dai bassi costi di produzione e dalla scarsa qualità dei prodotti, ha contribuito ad aggravare la crisi del settore ceramico, i cui effetti stanno avendo delle ricadute pesanti sul territorio che, fra l'altro, rappresenta un importante punto di riferimento per l'occupazione, dando lavoro a circa 900 persone nel settore artigiano della ceramica e del vetro;
    il settore ceramico veneto ha reagito alle difficoltà investendo sulla qualità e specializzazione del prodotto, sulla internazionalizzazione, sulla flessibilità produttiva e sulla creatività; tuttavia la mancanza di una politica industriale di sostegno e di rilancio del comparto rischia di compromettere l'esistenza di questo sito storico italiano, portando alla dispersione di quel patrimonio produttivo ed occupazionale che negli anni si è costituito nel distretto;
    l'occupazione nel settore è da molti anni in calo; è necessario quindi arginare tale emorragia di personale allo scopo di mantenere nel settore le professionalità peculiari alla conservazione di uno standard di qualità elevato, a garanzia dell'esistenza futura di un comparto che tanto ha dato in termini culturali ed economici all'area in cui si è insediato e che comunque è ancora rilevante;
    il comparto industriale della ceramica veneta è strategico per lo sviluppo dell'economia del territorio è, quindi, necessario creare tutte le premesse affinché venga preservata l'esistenza di tale eccellenza produttiva e venga tutelata l'occupazione,

impegna il Governo:

   ad intraprendere iniziative urgenti in favore del settore della ceramica nazionale, con particolare riguardo al distretto della ceramica del Veneto, oggi in crisi, sostenendo tramite concrete misure integrative e di compensazione della perdita del reddito i lavoratori colpiti dalla disoccupazione;
   ad individuare misure di sostegno dirette a favorire il rilancio del settore della ceramica nazionale;
   ad attuare azioni di contrasto alla concorrenza sleale ed ai comportamenti di pirateria commerciale messi in atto da operatori asiatici che minacciano la competitività delle imprese nazionali della ceramica;
   ad incentivare le imprese di settore ad investire nella formazione professionale del personale al fine di preservare la storia e la cultura dell'artigianato della ceramica artistica.
(7-01001) «Dal Lago, Lanzarin, Torazzi, Rainieri, Dussin, Bitonci».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo di stampa a firma Gian Antonio Stella, pubblicato nei giorni scorsi su Il Corriere della Sera, il giornalista rileva l'assurdità della vicenda che riguarda il sottosegretario alla Presidenza della Giunta regionale della Calabria, Alberto Sarra, che in seguito ad un grave problema di salute accusato nel 2010, ha di recente ottenuto il vitalizio per inabilità al lavoro;
   a pubblicare per primo la notizia è stato il Corriere della Calabria, il cui servizio di Antonio Ricchio è stato citato come fonte da Stella, che nel suo articolo ricostruisce l’iter amministrativo che ha portato al riconoscimento della completa inabilità al lavoro ed alla conseguente elargizione di un vitalizio di 7.490 euro;
   secondo tale ricostruzione, «Sarra, avvocato reggino di 46 anni e amico da sempre dell'attuale Presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti, già consigliere ed assessore provinciale di Reggio, fu colpito nei primi giorni del 2010, quando stava per scadere il suo mandato, da uno choc emorragico; salvato grazie ad un delicato intervento chirurgico, si perse le elezioni di marzo, ma tre mesi dopo Scopelliti lo nominava sottosegretario regionale alla Presidenza»; da allora – rileva Stella – ha conquistato ben 156 dispacci di agenzia che parlano di lui: «Lui che incontra i presidenti delle Comunità montane. Lui che presiede conferenze dei servizi sulle frane. Lui che inaugura nuove strade. Lui che si occupa dei consorzi industriali. Lui che riceve l'ambasciatrice cubana in Italia. Lui che cerca di risolvere il nodo dei forestali»;
   contemporaneamente, però, il sottosegretario Sarra pare avesse avviato le pratiche per farsi riconoscere invalido al lavoro, conferma che arrivava lo scorso 13 giugno, quando una Commissione di cui faceva parte anche il suo cardiologo di fiducia, Enzo Amodeo, dichiarava che «considerata la patologia-aneurismi dei grossi vasi arteriosi del collo e del tronco complicati da dissezioni della aorta torico-addominale si ritiene l'avvocato Alberto Sarra permanentemente inabile a proficuo lavoro», e così in tempi di record, la settimana dopo l'Ufficio di presidenza del Consiglio regionale riconosceva al sottosegretario l’«inabilità totale e permanente al lavoro» e con la determinazione n. 439, gli si concedeva un assegno mensile di 7.490,33 euro «al lordo delle ritenute di legge», a titolo di vitalizio, con decorrenza 7 gennaio 2010, ovvero – come evidenzia Stella nel suo articolo – «gli riconosceva gli arretrati per un totale di 30 mesi pari (stando ai numeri) a circa 225mila euro» –:
   quali iniziative normative il Governo intenda assumere, nel rispetto dei principi del federalismo, al fine di evitare che fatti quali quelli descritti in premessa possano ripetersi. (5-08078)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANNI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   supera i 2000 ettari di terreno andati in fumo, questo il bilancio, dei disastrosi incendi che da mercoledì mattina 26 settembre 2012 a domenica 30 settembre 2012, hanno messo in ginocchio il territorio, al confine tra le province di Messina e Palermo. Un vero e proprio disastro ambientale, per l'estrema area occidentale del parco dei Nebrodi comprendente i comuni di Tusa (devastato il bosco di Tartara, sito di interesse comunitario, distrutta la vallata dell'Alesa, sito archeologico di interesse comunitario, distrutte le attività economiche aziende zootecniche e di allevamento) Pettineo, Motta d'Affermo, Santo Stefano di Camastra;
   altri comuni interessati quali Sant'Agata di Militello, Patti, Ucria, Librizzi, Naso, Longi, Montalbano Elicona, Mazzarrà Sant'Andrea, area centro orientale;
   molti i mezzi e il personale di soccorso che hanno operato per l'intero pomeriggio del 29 settembre 2012 e per la mattinata del 30 settembre 2012, mentre un plauso deve andare agli interventi da parte degli organi di controllo; quattro Canadair impegnati e poi gli uomini del corpo forestale di una decina di comuni, la protezione civile di Tusa e Lascari e le associazioni di volontariato di altri centri della zona, i vigili del Fuoco di Santo Stefano e Cefalù;
   numerose abitazioni sono state sgomberate a scopo precauzionale mentre molti anziani sono stati soccorsi con acqua e mascherine per evitare i danni causati dal fumo che ha ricoperto una vasta area mentre a Milianni, (contrada del comune di Tusa) diversi bungalow sono stati lambiti dal fuoco;
   chiuse numerose strade interne per la caduta di pietre e di alberi ormai ridotti a tizzoni. Tusa centro, per molte ore è stata isolata mentre si è temuto il peggio per alcune case rurali e per la casa anziani. Sfiorata anche una fabbrica che si occupa di riciclaggio di rifiuti mentre sino a tarda notte decine di allevatori sono stati impegnati a sfidare il fuoco per mettere in salvo il bestiame;
   restano in ogni caso i gravi ritardi nella redazione dei piani di protezione civile, per fronteggiare simili emergenze, da parte dei Comuni, la necessità di informare i cittadini dell'importanza di tale piano e dell'importanza di fare esercitazioni di evacuazione, in quanto la maggior parte dei cittadini non sa come comportarsi e dove andare in caso di eventi di tale portata; impreciso l'utilizzo dei mezzi di soccorso a disposizione degli ambiti comunali;
   la protezione civile della regione siciliana, ha emesso avvisi relativi a rischio incendi, e nell'attuazione delle fasi operative, invita gli enti ad attuare quanto previsto nei propri documenti e piani di emergenza. In particolare si raccomanda ai sindaci di attivare le procedure previste dal piano comunale di emergenza, per il rischio incendi;
   le ragioni di straordinaria necessità ed urgenza che sono alla base della richiesta dello stato di calamità sono da ricercare, nell'individuazione delle criticità che hanno appesantito l'azione della protezione civile nel corso di questi ultimi anni: criticità dovute ad un tessuto normativo che è apparso, sì, rispondente alle esigenze della collettività, ma ha presentato, nel momento attuativo, risvolti che, anche in forza di una malintesa estensione del concetto di emergenza, hanno finito per spostare l'ottica del servizio nazionale della protezione civile, alterando il rapporto tra situazione emergenziale e utilizzo di strumenti normativi straordinari e derogatori;
   nell'attuale situazione, oltre ai gravissimi danni al patrimonio boschivo, all'ambiente naturale e al paesaggio, si mette in ginocchio, in un momento di crisi economica e di non occupazione a livello globale, in un territorio dove l'attività economica prevalente è l'allevamento, l'intero sistema economico vero, che tiene ancora il territorio unito;
   è fuor di dubbio che si tratta quasi sempre di incendi pianificati, perseguiti con tentativi ripetuti finché lo scopo non viene raggiunto. La ragione di tanto perverso accanimento risiede nella maggior parte dei casi speculare sul business dei rimboschimenti;
   è una battaglia di civiltà che ci deve vedere tutti solidali e impegnati a svolgere un'azione comune contro tali eventi –:
   se non si ritenga necessario, tenuto conto dei fatti citati in premessa, riconoscere in tempi brevi lo stato di calamità il territorio tra Messina e Palermo interessati da disastrosi incendi nei giorni tra il 26 settembre 2012 e il 30 settembre 2012.
(4-17981)


   SARUBBI e COLOMBO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di Cassazione, con sentenza 38085 del 5 luglio 2012, ha definitivamente accertato i fatti relativi al blitz effettuato presso la scuola Diaz di Genova nella sera del 21 luglio 2001, confermando la condanna di diversi alti funzionari del Viminale nel frattempo decaduti dai loro incarichi a causa dell'interdizione dai pubblici uffici sancita dai giudici;
   secondo le motivazioni della sentenza recentemente pubblicate, l'incursione – effettuata a G8 ormai concluso e con «caratteristiche denotanti un assetto militare» – nacque dall'esortazione rivolta dall'allora capo della Polizia, prefetto Giovanni De Gennaro, «ad eseguire arresti, anche per riscattare l'immagine della Polizia dalle accuse di inerzia»; tale obiettivo, scrivono i giudici, finì «con l'avere il sopravvento rispetto alla verifica del buon esito dell'operazione stessa»;
   dall'esortazione del dottor De Gennaro scaturì «un massacro ingiustificabile», «una pura esplosione di violenza», di fronte alla quale i suoi stretti collaboratori, «in posizione di comando a diversi livelli», non si fermarono: «invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli – scrivono ancora i giudici, stigmatizzandone “l'odiosità del comportamento” – avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze»;
   pur non essendo stata accertata una specifica responsabilità penale dell'allora prefetto, al vertice della polizia di Stato nei giorni degli eventi, a giudizio degli interroganti non può comunque essere taciuta una sua responsabilità morale in merito alla condotta tenuta dai suoi diretti collaboratori recentemente condannati, tanto più che, negli anni successivi ai fatti di Genova, lo stesso dottor De Gennaro, in qualità di capo della polizia e direttore del dipartimento della pubblica sicurezza, ha proposto e ottenuto l'avanzamento in carriera dei predetti funzionari, evidenziando un rapporto di piena e immutata fiducia nei loro confronti;
   il Governo ha voluto, in ogni contesto, dare un forte segno di discontinuità rispetto ad un passato recente, lavorando alacremente per restituire al Paese quella credibilità sul piano internazionale che aveva perduto –:
   se non ritenga la presenza al Governo del prefetto Giovanni De Gennaro, oggi Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all'informazione e alla sicurezza, incompatibile con le responsabilità che oggettivamente gli fanno capo ed inopportuna, nei confronti del Paese stesso, alla luce dell'odiosa vicenda che – a parere della Corte di Cassazione, e di una significativa parte dell'opinione pubblica – ha «gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero». (4-17995)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OSVALDO NAPOLI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   ad Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, esiste un ufficio distaccato dell'Ambasciata italiana a Baghdad che, tra le altre cose, si fa carico di raccogliere le richieste di visto per il nostro Paese, e quindi per tutta l'area Schengen, di inoltrarle alla nostra ambasciata di Baghdad ed in seguito di consegnare i visti, una volta emessi dalla nostra ambasciata;
   i controlli di sicurezza sono svolti dall'ambasciata italiana a Baghdad, poiché non esiste presso l'ufficio distaccato di Erbil un apparecchio in grado di procedere all'identificazione delle impronte digitali, passaggio fondamentale al fine del rilascio del visto in loco;
   la Repubblica federale di Germania ha invece a Erbil un consolato generale, preposto al rilascio dei visti per i soli residenti del Kurdistan iracheno che abbiano i seguenti requisiti:
    possessori di passaporti di servizio e diplomatici;
    viaggiatori d'affari che negli scorsi tre anni abbiano più volte ottenuto il visto Schengen e che possano dimostrare stretti rapporti con la Germania;
    appartenenti a delegazioni del Governo o commerciali, invitati da istituzioni ufficiali tedesche;
    scienziati o artisti, invitati da organizzazioni ufficiali tedesche;
    persone che debbano subire interventi urgenti in Germania;
    partecipanti a misure di iniziative di formazione svolte da istituzioni tedesche o da programmi organizzati dal Governo federale;

   tale situazione crea una disparità di accesso all'area Schengen ed in particolare agevola i legami, anche commerciali, con i Paesi che concedono il visto più celermente –:
   se e quando il Ministero degli affari esteri aprirà una sede consolare ad Erbil in grado di rilasciare i visti per l'area Schengen. (5-08071)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   si legge in un lancio dell'AGENPARL del 4 settembre 2012, dal titolo «ITALIANI ALL'ESTERO: SITO CGIE FUORI USO DA DIVERSI MESI»;
   «il sito web del Consiglio generale degli italiani all'estero (Cgie) è fuori uso, sin da prima dell'estate. All'indirizzo www.cgie.it, infatti, campeggia la scritta “Sito momentaneamente non disponibile”. La situazione dura però da diversi mesi ed è impossibile dunque accedere alle informazioni riguardante l'organo che si occupa degli italiani all'estero»;
   ad un mese di distanza la situazione è immutata, il sito web risulta non raggiungibile ed è impossibile accedere a qualsiasi informazione riguardo il Cgie;
   il Consiglio generale degli italiani all'estero istituito con la legge 6 novembre 1989 n. 368 (modificata dalla legge 18 giugno 1998, n. 198) e disciplinato dal regolamento attuativo di cui decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 1998, n. 329, è organo di consulenza del Governo e del Parlamento sui grandi temi di interesse per gli italiani all'estero;
   il Consiglio generale degli italiani all'estero è un organo facente riferimento al Ministero degli affari esteri, che ne sostiene le spese di funzionamento;
   la trasparenza dovrebbe essere uno dei punti cardine del funzionamento degli organi pubblici ed è singolare che un Ministero permetta che il sito web di un suo importante organo sia inaccessibile per mesi e mesi –:
   per quali ragioni il sito web del Consiglio generale degli italiani all'estero non sia raggiungibile;
   quali siano state, nel dettaglio, le spese di comunicazione e informazione del Ministero degli affari esteri per l'anno 2012, con particolare riferimento a quelle aventi come oggetto gli italiani all'estero.
(4-17988)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   PICIERNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio comprendente il comune di Capua, in provincia di Caserta, legato ad una storica tradizione agricola, è stato negli ultimi anni utilizzato dai clan camorristici come sversatoio di rifiuti, anche tossici, provenienti dal Nord Italia, tanto da compromettere la salubrità dei terreni comunali;
   uno di questi siti è stato individuato nel 1999 durante un'operazione di polizia giudiziaria della Procura di Santa Maria Capua Vetere, condotta dal sostituto procuratore Donato Ceglie. Si tratta di un lago artificiale, su un'area vasta di circa 80 mila metri quadrati, ricavato dall'azione della preesistente cava abusiva di sabbia, e ubicato in Località Purgatorio nella frazione di Sant'Angelo in Formis in Capua, non lontano dalle rive del Volturno;
   l'indagine condotta dall'ex pubblico ministero della procura di Santa Maria Capua Vetere, dottor Donato Ceglie, portò alla scoperta di un enorme sversatoio di rifiuti illegali e pericolosi. Difatti, come affermato dallo stesso magistrato in un'audizione della commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti nella seduta del 22 marzo 2000, furono trovate «non solo diverse tonnellate di rifiuti solidi urbani, ma anche numerosissimi bidoni metallici contenenti scarti industriali assai pericolosi per la salute, che si accertò essere provenienti da aziende del Nord Italia e dall'estero. In pratica, quella sorta di lago era stato trasformato in un'enorme discarica abusiva»;
   ad oggi, dopo tredici anni dal ritrovamento dei rifiuti tossici, quel sito, rinominato «laghetto dei veleni», non risulta ancora bonificato. L'area in questione figurerebbe nel piano regionale bonifiche, redatto nel 2005 dall'Agenzia regionale per l'ambiente della Campania, dal Commissario straordinario per l'inquinamento del suolo e delle acque sotterranee e dalla regione Campania, e sarebbe indicato come «sito di potenziale inquinamento»;
   da quanto risulta da una petizione popolare indirizzata al sindaco di Capua e al prefetto di Caserta, le uniche analisi disponibili, disposte per motivi di indagine penale, sono state eseguite sulle acque di una fontana ubicata nel sito, e in cui sarebbero state trovate tracce di idrocarburi policiclici aromatici non meglio classificati. Inoltre, a seguito di sequestro giudiziario, furono ritrovati numerosi bidoni metallici, a pochi metri di profondità, presumibilmente contenenti stirene, un idrocarburo tossico, nocivo e cancerogeno;
   secondo alcune stime, occorrerebbero almeno otto milioni di euro per la bonifica, ma il Comune di Capua non sembrerebbe in grado di provvedere allo stanziamento della cifra. Eppure, come ricorda il dottor Donato Ceglie, la normativa vigente – il riferimento è al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – è molto chiara: difatti, il citato decreto legislativo, all'articolo 250, disciplina che «Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi [...] sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate [...]. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio»;
   la città di Capua è ricompresa nel sito di interesse nazionale da bonificare, denominato «Litorale Domizio Flegreo ed Agro Aversano», ai sensi della legge 29 ottobre 1987, n. 441, recante disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti, ma non risulta nessuno stanziamento di fondi utile a bonificare l'area;
   l'interrogante ha già portato all'attenzione del Parlamento, con un'interrogazione in data 31 luglio 2012, la grave situazione igienico-sanitaria conseguente lo sversamento di rifiuti tossici nel territorio campano e la correlazione tra rifiuti abusivi e incidenza di patologie oncologiche e malformazioni infantili in Campania –:
   se e quali iniziative, per quanto di sua competenza, intenda assumere per una rapida risoluzione del grave problema in premessa. (3-02517)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALOMBA e PIFFARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Parco geominerario storico ambientale della Sardegna, riconosciuto dall'UNESCO sin dal 1998 quale esempio emblematico della rete europea e mondiale GEOPARKS, è stato istituito con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 16 ottobre 2001 in attuazione delle disposizioni contenute nell'articolo 114, comma 10, della legge 23 dicembre 2000, n. 388;
   per circa sei anni dalla sua istituzione è stato mantenuto nel più totale immobilismo a causa di numerosi vincoli di carattere burocratico, organizzativo e gestionale presenti nel decreto istitutivo e nello statuto del Consorzio del Parco che hanno impedito il suo regolare funzionamento e l'avvio dell'attività operativa;
   nel febbraio del 2007 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione Sardegna, ha proceduto a commissariare il consorzio del parco al fine di poter provvedere con «tempestività» al suo riordino con la rimozione degli ostacoli e dei vincoli che ne avevano impedito il regolare funzionamento;
   fin dal mese di luglio del 2007, dopo avere ottenuto l'approvazione unanime della comunità del Parco, il commissario del consorzio del parco ha trasmesso al Presidente della regione Sardegna e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una proposta di riordino dello stesso consorzio da attuarsi attraverso la modifica del decreto istitutivo e dello statuto, previa intesa da stipulare tra le due parti;
   a causa della mancata attuazione di tale proposta di riordino, il consorzio del parco versa in una mortificante e dannosa situazione di stallo che ha indotto l'UNESCO un anno fa a emettere un pesante ammonimento nei confronti dello stesso consorzio quale preavviso di esclusione dalla rete europea e mondiale dei GEOPARKS;
   dopo aver appreso dell'ammonimento dell'UNESCO, la consulta delle associazioni del Parco geominerario, il 27 settembre 2011, ha dato vita a un presidio davanti alla sede della Presidenza della regione Sardegna, ancora oggi in essere, per denunciare questa incredibile situazione e per sollecitare l'attuazione della richiamata proposta di riforma come presupposto per il rilancio del Parco geominerario ponendo fine al regime commissariale con la nomina dei nuovi organi di gestione previsti nella stessa proposta di riforma;
   la regione Sardegna, sulla spinta della protesta delle associazioni e delle pressanti sollecitazioni della comunità del parco, lo scorso aprile ha finalmente inviato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un aggiornamento dell'originaria proposta di riforma come risultanza di una strategia unitaria concordata con tutte le istituzioni e le parti sociali interessate (province, comuni, università, organizzazioni sindacali e associazioni);
   le istituzioni competenti non sono state ancora capaci di rendere operativo lo strumento che il Parlamento, il Governo e la regione Sardegna, hanno voluto istituire e finanziare undici anni fa, nel rispetto degli impegni assunti con l'UNESCO, per promuovere lo sviluppo e la rinascita culturale, sociale e economica delle aree minerarie dismesse della Sardegna come sta avvenendo con eccellenti risultati nei vecchi bacini minerari europei con la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro;
   sembra che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sia pronto a emettere il decreto ma manchi di fatto la concertazione con altri ministeri interessati;
   tale grave e inaccettabile inadempienza è da considerare politicamente paradossale e moralmente riprovevole alla luce della drammatica situazione di tensione sociale che stanno attraversando proprio in questi momenti gli stessi territori a causa degli effetti devastanti della crisi del settore industriale –:
   quali siano le ragioni per le quali, dopo oltre cinque anni dall'approvazione da parte della comunità del parco e dopo oltre un anno dall'inizio della protesta della consulta delle associazioni, non si sia provveduto a dare attuazione alla proposta di riforma è al rilancio del consorzio del parco geominerario storico ambientale della Sardegna nel rispetto della volontà fortemente e unitariamente espressa dalle istituzioni locali, dalle parti sociali e dalle popolazioni interessate e di quali informazioni disponga in merito alla mancata concertazione sopra accennata. (5-08076)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PICIERNO. —Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la reggia di Caserta, progettata dall'architetto Luigi Vanvitelli per conto della casa reale dei Borbone di Napoli, rappresenta certamente una tra le opere d'arte e architettoniche più belle e invidiate al mondo, tanto da essere stata proclamata patrimonio dell'umanità dall'UNESCO;
   tale inestimabile patrimonio culturale versa da anni in uno stato di semiabbandono, in quanto non solo risulta per nulla valorizzato dal punto di vista economico-turistico, ma addirittura lasciato al degrado e al deterioramento strutturale, di fatto nell'indifferenza delle istituzioni;
   da quanto si è appreso dagli organi di stampa, in data 28 settembre 2012, ci sarebbero stati crolli di dimensioni considerevoli, conseguenti a cedimenti strutturali della parte laterale che insiste all'interno della scuola sottufficiali dell'aereonautica, che hanno, peraltro, messo seriamente a rischio l'incolumità dei militari;
   le autorità militari, transennata l'area interessata dai cedimenti, hanno prontamente provveduto ad allertare la Soprintendenza per i beni culturali;
   giovedì 4 ottobre 2012 hanno avuto luogo nuovi crolli, con il distaccamento di un pezzo di cornicione dalla facciata principale, con potenziale compromissione dell'incolumità dei passanti e dei turisti che transitavano nei pressi dell'ingresso del palazzo vanvitelliano;
   la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici di Caserta, architetto Paola Raffaella David, nonostante sollecitata più volte ad intervenire, non sembra ancora aver fornito risposte soddisfacenti. La stampa locale riporta alcune dichiarazioni dell'architetto David che afferma di aver «già fatto presente innumerevoli volte al Ministero la condizione della Reggia»;
   il sindaco di Caserta, Pio del Gaudio, in base ad alcune dichiarazioni rese all'indomani degli ultimi crolli nella Reggia di Caserta, sembrerebbe intenzionato a chiedere un incontro al Ministro interrogato per affrontare la questione relativa al degrado in cui versa il Palazzo Reale –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di ripristinare condizioni di decenza per quello che viene universalmente riconosciuto essere uno dei beni architettonici più belli e significativi al mondo, e se intenda verificare eventuali omissioni e responsabilità della Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici di Caserta. (5-08075)

Interrogazione a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   ad un anno di distanza dall'avvio della procedura espropriativa di cava Pontrelli, in agro di Altamura, provincia di Bari, dove sono state rinvenute circa 20.000 impronte di dinosauri, disposte su una superficie di 12.000 metri quadrati, con il riconoscimento da parte della comunità scientifica dell'importanza mondiale della scoperta, la soprintendenza per i beni archeologici della Puglia non ha ancora reso nota la stima del bene in questione;
   tale ritardo rischia di pregiudicare le condizioni di un patrimonio di inestimabile valore, che a seguito di tredici anni d'abbandono versa in uno stato disastroso, avendo subito danni in parte anche irreparabili –:
   quali urgenti iniziative il Ministro intenda adottare per impedire che venga pregiudicato un bene archeologico di così rilevante portata. (4-17992)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIONATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15, commi da 16 a 23, del decreto-legge n. 185 del 2008 (anche noto come decreto anti-crisi) convertito nella legge n. 2 del 28 gennaio 2009, in vigore dal 29 gennaio 2009, ha reintrodotto la facoltà di rivalutare il valore degli immobili posseduti dalle imprese;
   la citata norma, ricalcando in larga parte la precedente disciplina di cui alla legge n. 342 del 2000, attribuisce a determinati soggetti la possibilità di rivalutare i beni immobili risultanti dal bilancio in corso al 31 dicembre 2007, anche in deroga all'articolo 2426 del codice civile e ad altre disposizioni vigenti in materia;
   ciò che differenzia la norma in esame dalla precedente disciplina è la possibilità, in essa contemplata, di effettuare la rivalutazione ai soli fini civilistici, vale a dire la possibilità di far emergere i maggiori valori nel bilancio d'esercizio senza per questo essere obbligati ad ottenerne il riconoscimento ai fini fiscali;
   tale istituto, che si inserisce in una più ampia manovra legislativa, si pone infatti quale precipua finalità quella di consentire alle imprese – in un periodo caratterizzato da una situazione di forte crisi economico finanziaria – di intervenire sul proprio capitale, in modo tale da ottenere il duplice risultato di coprire eventuali perdite superiori al terzo del capitale stesso, e nel contempo contenere il costo del denaro evidenziando indici patrimoniali migliori ai fini dei parametri di Basilea 2;
   il comma 16 del citato articolo 15 del decreto-legge n. 185 del 2008 circoscrive, sotto il profilo soggettivo, il campo di applicazione della rivalutazione stabilendo che sono ammessi ad avvalersene:
   a) le società di capitali (Spa, Sapa e Srl);
   b) le società di persone (Sas e Snc) ed equiparate di cui all'articolo 5 del TUIR;
   c) gli enti commerciali residenti, tra cui i trust;
   d) le imprese individuali;
   restano pertanto escluse dalla possibilità di operare la suddetta rivalutazione: le società non residenti, gli enti pubblici e privati, e i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali nonché tutti i soggetti che si avvalgono dei criteri Ias/Ifrs, nella formazione del bilancio 2008;
   come previsto dal comma 16 la rivalutazione ha ad oggetto i beni immobili – escluse le aree fabbricabili e gli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività d'impresa (immobili «merce») – presenti nel bilancio dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2007 (quindi, per i soggetti con esercizio solare, nel bilancio dell'anno 2007) e ancora presenti nel patrimonio dell'impresa al termine dell'esercizio successivo (quindi, per i soggetti con esercizio solare, nel bilancio dell'anno 2008). Ne deriva che non possono essere oggetto di rivalutazione i beni in leasing in quanto non iscritti in bilancio a meno che, gli stessi, come precisato da ultimo dall'Agenzia delle entrate, non siano stati riscattati entro l'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2006;
   sono rivalutabili invece i beni completamente ammortizzati i quali si intendono posseduti se risultano dal bilancio o rendiconto, ovvero, per le imprese in contabilità semplificata dal libro cespiti ammortizzabili;
   la rivalutazione si caratterizza positivamente per il fatto che la stessa può essere effettuata anche ai solo fini civilistici con evidenti vantaggi in termini di bilancio;
   le società che prevedono di chiudere il bilancio fortemente in perdita tale, addirittura, da incidere sulla salvaguardia del capitale minimo, infatti, possono avere interesse ad aumentare il patrimonio netto (con l'iscrizione della riserva da rivalutazione) proprio per evitare interventi sul capitale;
   può essere, altresì utile mantenere nei confronti dei terzi (banche, soprattutto) valori patrimoniali più adeguati alla realtà aziendale; tipico è il caso delle società che hanno riscattato immobili in leasing e che, conseguentemente, hanno potuto iscrivere in bilancio i beni per il solo valore di riscatto. Infine, i migliori indicatori patrimoniali derivanti dalla rivalutazione possono ridurre il costo del denaro in funzione dei parametri di Basilea 2;
   la legge che ha consentito la rivalutazione non è più in vigore dal novembre 2011 e data la persistente crisi economica recessiva sarebbe necessario il suo rinnovo o prevedere la rivalutazione degli immobili risultanti a bilancio alla data del 31 dicembre 2011 –:
   se non intenda valutare la possibilità di procedere al ripristino della rivalutazione degli immobili posseduti dalle imprese risultanti a bilancio alla data del 31 dicembre 2011, già prevista dall'articolo 15, commi da 16 a 23, del decreto-legge n. 185 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 28 gennaio 2009, in vigore dal 29 gennaio 2009, inserendo tale proroga nella prossima iniziativa normativa idonea. (4-17982)


   SCILIPOTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2012 le Poste italiane hanno predisposto il piano per la chiusura e la riorganizzazione degli uffici postali «antieconomici», una lista di 1.156 uffici postali destinati alla chiusura. Tra gli sportelli presenti nell'elenco spunta anche quello della frazione di Massa del comune di Faicchio;
   la soppressione dell'ufficio postale di Massa comporterebbe un'inevitabile penalizzazione per tutto il territorio di Faicchio è soprattutto per quella fascia di persone anziane che usufruiscono dei servizi e della riscossione periodica della pensione. Inoltre, va evidenziato che lo sportello in questione si è sempre contraddistinto per efficienza e produttività, garantendo un servizio indispensabile non solo agli oltre ottocento abitanti della frazione di Massa bensì ai comuni limitrofi;
   difatti in merito alla paventata soppressione va sottolineato che la popolazione locale sarebbe costretta a convergere sull'unico ufficio postale presente nel territorio di Faicchio, finendo così per congestionare ulteriormente le già consistenti file che si formano quotidianamente, in particolare modo nei giorni della riscossione delle pensioni –:
   se il Governo sia a conoscenza degli enormi disagi che procurerebbe un siffatto taglio ai servizi postali alle popolazioni della frazione di Massa di Faicchio nel comune di Faicchio;
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere affinché si possa scongiurare la soppressione dell'ufficio postale di Massa di Faicchio;
   se non sia possibile optare, allo scopo di scongiurare i suddetti tagli, per la trasformazione, mediante accordo con l'amministrazione comunale di Faicchio, dell'ufficio postale nella frazione Massa in centro multiservizi, in grado di offrire assistenza non solo nell'ambito dei tradizionali servizi postali ma anche nei campi della cartografia digitale e dei certificati anagrafici nonché la possibilità di saldare i ticket sanitari, venendo così incontro a quei parametri di economicità e profitto che, stando alle stime di Poste italiane, gli attuali sportelli a rischio non sono in grado di rispettare. (4-17983)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALBONETTI e CUPERLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta agli interroganti dalla lettura di un articolo pubblicato da il Resto del Carlino, edizione di Ravenna, il 21 settembre 2012, nel pomeriggio di lunedì 17 settembre 2012, un uomo è entrato in uno studio legale di Ravenna e ha sparato contro un avvocato, ferendolo gravemente. Il malvivente, di nome Primo Bisi, veniva in seguito catturato grazie al contributo di due dirigenti della Polizia municipale fuori servizio e al tempestivo intervento delle Forze dell'ordine;
   già in passato Primo Bisi si era reso autore di altri gravi delitti; nel gennaio 1963, infatti, aveva ucciso un uomo a sprangate a Filo di Argenta (Ferrara);
   per tale omicidio lo stesso veniva condannato dal tribunale di Ferrara a 14 anni di carcere;
   tornato in libertà nel 1977, si trasferisce a Savio, nel ravennate, insieme alla famiglia. Il 6 dicembre 2001 uccide la moglie a colpi di pistola ed un vicino di casa;
   nel 2003 con rito abbreviato viene condannato a 16 anni di carcere più 5 da trascorrere in una clinica psichiatrica giudiziaria. Sentenza confermata anche in Cassazione;
   nel settembre 2010 gli sono stati concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute, condizione in cui si trovava anche al momento del tentativo di omicidio nei confronti dell'avvocato in attesa di entrare all'ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino per scontare la seconda parte della pena che gli era stata comminata per il pluriomicidio del 2001;
   il pregresso criminoso e il percorso giudiziario di Primo Bisi pongono diversi interrogativi soprattutto in ordine alla congruità delle pene allo stesso inflitte per i due omicidi commessi;
   inoltre, molteplici interrogativi sorgono anche in ordine all'opportunità di riconoscere gli arresti domiciliari ad un pluriomicida in attesa di essere ricoverato una clinica psichiatrica e lasciarlo in tale condizione per due anni;
   grande allarme sociale ha suscitato l'ultimo grave episodio di cui si è reso protagonista il pluriomicida Bisi, sentimento di cui si è fatto interprete lo stesso sindaco di Ravenna in una lettera inviata alle autorità competenti –:
   se il Ministro interrogato, in relazione alle gravi vicende descritte in premessa, non intenda assumere iniziative ispettive presso le competenti autorità giudiziarie, al fine dell'eventuale esercizio dei poteri di competenza;
   inoltre, se ritenga che la normativa vigente sia adeguata ad affrontare casi come quello di Bisi e, ove non lo fosse, quali iniziative intenda intraprendere per procedere in tempi rapidi agli opportuni adeguamenti. (5-08077)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARBATO. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio del 2003 è stato bandito il concorso pubblico per esami per il conferimento di 271 posti di allievo vice ispettore del Corpo della polizia penitenziaria;
   nell'anno 2008 l'amministrazione penitenziaria, al fine di dare attuazione ad un precedente provvedimento dell'organo giurisdizionale amministrativo (T.A.R. LAZIO), ha dovuto procedere alla ripetizione di tutte le prove precedentemente espletate più le prove scritte ed orali conclusesi il 19 giugno 2012;
   a seguito del ricorso promosso da un giovane concorrente, risultato non idoneo alla prova orale, avverso il provvedimento di nomina del presidente di commissione di esame per «presunta illegittimità perché in quiescenza», il T.A.R. Lazio sez. I quater ha emesso l'ordinanza di sospensiva n. 2934 del 5 luglio 2012, confermata in data 28 agosto 2012 dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 03338/2012, che di fatto ha bloccato il procedimento concorsuale;
   nell'aprile 2012 Uil-PA penitenziari è intervenuta circa l'opportunità di aggiornare la durata del corso di formazione relativo all'accesso alla qualifica iniziale del ruolo ispettori, rispetto ai tempi e, soprattutto, per adeguarlo alla logica degli altri percorsi formativi, di allievo agente e allievo vice commissario;
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini» (cosiddetta spending review) dispone misure contenitive relative a bandi e concorsi, inserendosi nel contesto esposto in premessa come un'ulteriore ostacolo all'assunzione di queste persone risultate idonee e vincitrici;
   per poche decine di unità non si permetterebbe all'amministrazione penitenziaria, già patologicamente carente di personale, di assumere nuove leve in un ruolo fondamentale come quello in questione;
   tali vincitori guardano con speranza e fiducia alla possibilità di essere chiamati allo svolgimento delle funzioni per le quali si sono preparati ed hanno concorso;
   la battaglia dura da dieci anni senza che l'amministrazione abbia posto le basi per una definizione del concorso, anzi limitandosi ad una mera costituzione in giudizio avanti i diversi organi della giustizia amministrativa;
   le fasi concorsuali hanno raggiunto i tre milioni e mezzo di euro di spesa;
   al concorso dei 271 posti di allievo vice ispettore si aggiunge anche il concorso interno per 643 allievi vice ispettori, in stallo da oltre due anni;
   l'amministrazione nulla fa, in autotutela, per garantire i diritti degli idonei sebbene gli orientamenti del Consiglio di Stato consentirebbero l'adozione di provvedimenti (cfr. ordinanza 3338/2012 R.P.C. del 28 agosto 2012) –:
   quali iniziative urgenti anche di carattere normativo, intenda assumere il Ministro interrogato al fine di individuare una soluzione che tuteli gli interessi e le legittime aspettative dei 271 vincitori desiderosi di essere arruolati nel Corpo di polizia penitenziaria e quali iniziative si intendano adottare verso quei funzionari che avendo proceduto alla controversa nomina contestata nelle sedi opportune hanno di fatto bloccato il concorso penalizzando i vincitori. (4-17989)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Corriere della Sera del 30 agosto 2012 ha dato la notizia del nuovo incarico ricoperto dal dottor Alfonso Sabella designato dal Ministero della giustizia quale direttore del centro clinico di Regina Coeli;
   nell'articolo, ancora reperibile online era scritto, tra l'altro che:
    a) il dottor Sabella si era insediato alla guida della commissione paritetica voluta dal Ministro Severino e dal governatore Polverini «per affrontare – come da comunicato ufficiale – le criticità del Centro diagnostico terapeutico della casa circondariale di Regina Coeli»;
    b) la commissione mista si è insediata prima di ferragosto, nella città svuotata e riarsa, e ha definito un crono-programma: entro il 20 settembre i gruppi di lavoro individuati da alti funzionari di via Arenula e dai responsabili dei centri di spesa della regione (presente anche il direttore della Asl RmA) dovranno mettere a punto entità e scadenze degli interventi tecnici ed edilizi necessari a «ottimizzare l'assistenza sanitaria e rendere maggiormente fruibile il centro clinico»;
   senza mettere minimamente in discussione le capacità professionali del dottor Alfonso Sabella, dimostrate negli anni sul campo quale magistrato inquirente e giudicante, sorprende la decisione del Ministero della giustizia di prevedere ulteriori stanziamenti per un centro clinico che negli anni, a fronte di esorbitanti esborsi di denaro pubblico, ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza ad affrontare il problema della salute dei detenuti ivi ricoverati;
   rispondendo alle domande contenute in una precedente interrogazione della prima firmataria del presente atto, il sottosegretario Mazzamuto faceva il seguente quadro dei denari pubblici spesi negli ultimi dieci anni nello storico carcere romano: «Per ciò che concerne gli ulteriori quesiti attinenti alla manutenzione ordinaria e straordinaria del fabbricato di Regina Coeli, evidenzio che, dall'anno 2002 al 2012, sono stati finanziati ed eseguiti numerosi e significativi interventi di natura straordinaria. A titolo esemplificativo ricordo la ristrutturazione della V Sezione (attualmente in corso di esecuzione) per un importo di circa 2.900.000,00 euro, nonché la ristrutturazione della Caserma Santacroce per circa 5.000.000,00 di euro, la ristrutturazione della I Sezione per circa 4.000.000,00 di euro, la ristrutturazione di una parte della IV Sezione per circa 2.300.000 euro. Evidenzio, altresì, che tutti questi interventi sono stati eseguiti con i fondi assegnati dal Comitato Paritetico Interministeriale e che sono stati finanziati sotto la responsabilità e direzione del Provveditorato alle OO.PP. del Lazio. Per completezza di informazione preciso, poi, che la restante parte della Sezione IV è stata completata con finanziamento integrativo (assegnato in delega al suddetto Provveditorato alle OO.PP. del Lazio e pari a circa 3.200.000 euro) per un importo complessivo di circa 5.500.000 di euro. Inoltre, è in corso di revisione e di aggiornamento da parte dell'Ufficio Tecnico competente il progetto di ristrutturazione della VI Sezione per un importo di circa 1.000.000 di euro, che si prevede di appaltare entro il corrente anno, appena si renderanno disponibili le necessarie risorse finanziarie. A tali interventi vanno affiancati quelli per la manutenzione ordinaria e straordinaria della struttura, demandati negli ultimi 5 anni al Provveditorato Regionale del Lazio, con un esborso di spesa per l'anno 2007 di 877.099,54 euro, per l'anno 2008 di 768.499,78 euro, per l'anno 2009 di 794.591,08 euro, per l'anno 2010 di 726.278,87 euro e per l'anno 2011 di 666.758,66 euro. Oltre a tali somme, nel quinquennio 2007-2012, sono state effettuate assegnazioni specifiche per complessivi 1.000.000,00 di euro, al fine di fronteggiare situazioni di particolare rilevanza ed urgenza, relative ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria»;
   oggi il centro diagnostico e terapeutico dell'istituto – come già scritto in un'altra precedente interrogazione della prima presentatrice della presente – è nella realtà dei fatti una «grande infermeria», fino a non molto tempo fa, disponeva di due sale operatorie ben funzionanti per interventi chirurgici di non elevata complessità, ma questo servizio – molto utile ad evitare traduzioni e piantonamenti – non esiste più dopo il passaggio della sanità penitenziaria alla ASL; la sala radiologica è funzionante ma solo in orari di ambulatorio, quindi non di notte e durante i festivi; per i detenuti del carcere di Regina Coeli che hanno bisogno di essere ricoverati, si utilizzano sia l'ospedale Belcolle che il Sandro Pertini, ma i posti sono insufficienti –:
   se, alla luce delle recenti e note vicende che hanno investito la regione Lazio il cui Consiglio è stato sciolto, il progetto richiamato in premessa sia ancora operativo;
   quale sia l'esito del lavoro della commissione mista che si è insediata prima di Ferragosto e che entro il 20 settembre avrebbe dovuto mettere a punto entità e scadenze degli interventi tecnici ed edilizi necessari a «ottimizzare l'assistenza sanitaria e rendere maggiormente fruibile il centro clinico»;
   quali e di quale entità siano gli investimenti previsti e se questi comprendano la piena riattivazione delle sale operatorie e del funzionamento full time della sala di radiologia;
   se il Governo abbia effettuato accertamenti in materia di spese sostenute nel corso degli anni all'interno del carcere di Regina Coeli soprattutto se si considerano le condizioni di detenzione che costantemente sono rimaste inumane e degradanti con il portato incredibile di morti e suicidi che si sono verificati;
   se abbia preso in considerazione la proposta da più parti avanzata della chiusura del carcere di Regina Coeli. (4-17993)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CONSIGLIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada Pedemontana Lombarda è un'opera viabilistica autostradale in costruzione, che ha l'obiettivo di velocizzare gli spostamenti nell'area nord di Milano, realizzando una via esterna alla provincia di Milano per collegare la provincia di Varese con quella di Bergamo;
   il progetto definitivo è stato approvato nel novembre 2009 e nel gennaio 2010 la Corte dei conti ha dato il via libera all'opera attesa sul territorio da vent'anni;
   il completamento dell'autostrada Pedemontana supporterebbe adeguatamente la viabilità lombarda e l'atteso appuntamento con l'Expo nel 2015;
   a causa della difficoltà nel reperire i necessari finanziamenti, i cantieri già avviati rischiano il blocco;
   nel mese di settembre 2012 si è dimesso l'amministratore delegato della società autostrade Pedemontana, Bruno Soresina, che dopo solo nove mesi di lavoro ha deciso di lasciare l'incarico –:
   se non ritenga di dover intervenire in merito alle preoccupanti paventate difficoltà economiche della società autostrade Pedemontana, al fine di evitare l'eventuale arresto del lavoro nei cantieri per la costruzione dell'opera, con pesanti ripercussioni sulla viabilità lombarda e, in particolare, nella provincia di Bergamo.
(4-17980)


   FEDRIGA e MONTAGNOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la creazione di una rete transeuropea di trasporto TEN-T che comprenda e colleghi tutti gli Stati membri dell'Unione europea in maniera intermodale ed interoperabile incentiverebbe la competitività, il funzionamento del mercato interno, il rafforzamento dell'economia e la coesione sociale nell'Unione europea, anche procedendo ad un riequilibrio del trasporto merci tra i singoli vettori stradale e ferroviario allo scopo di contribuire alla riduzione del divario economico tra le regioni del continente europeo e promuoverne lo sviluppo;
   per il nostro Paese riveste una grande importanza la realizzazione del corridoio V, che connetterà Lisbona a Kiev e attraverserà l'Italia da Ovest a Est, assegnandole un ruolo strategico per assicurare la connessione tra il quadrante occidentale europeo a Kiev, attraverso una rete transeuropea di merci e di passeggeri. Ad oggi, dopo anni di progetti, non sono ancora iniziati i lavori sulla Lione-Torino;
   il corridoio 5 interessa un'area molto vasta, che ricomprende gli hub portuali del sistema tirrenico e del sistema adriatico, fino agli assi stradali e ferroviari dei valichi del Sempione, del Gottardo e del Brennero, assi che consentono al corridoio di interagire con le realtà produttive dell'Europa centrale;
   al summit economico – tecnico organizzato in questi giorni a Budapest, il coordinatore europeo del progetto prioritario numero 6 del corridoio V ha espresso sconcerto e irritazione per i continui ritardi e rinvii nella realizzazione di una grande infrastruttura, come quella del corridoio V che rappresenta una nuova opportunità di sviluppo per molti Paesi europei;
   il coordinatore europeo che guida il direttorato generale ha anticipato una serie di incontri fra il Governo italiano e i Governi sloveno e francese per discutere sulle sorti del progetto –:
   se il Ministro non ritenga urgente mettere in atto, in tutte le competenti sedi decisionali nazionali ed europee, le opportune iniziative per accelerare i lavori per il completamento della direttrice transpadana Lione – Torino – Milano – Trieste corridoio V, che riveste un interesse strategico per il nostro Paese;
   se siano in programma, nell'immediato futuro, incontri ufficiali con i Governi sloveno e francese per discutere sulle tempistiche previste per la realizzazione del progetto del corridoio V. (4-17986)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da anni agli agenti della polizia stradale, che prestano servizio presso la sezione di Milano e presso il distaccamento autostradale dei RIPS, non viene garantito il diritto di fruire del pasto serale, denominato «secondo ordinario»;
   tale incresciosa situazione è scaturita dalla chiusura serale delle due mense in cui i sopracitati agenti andavano a consumare il pasto;
   in entrambe le strutture, la mensa di servizio funziona solo per la consumazione del primo ordinario lasciando di fatto agli agenti di quegli uffici che effettuano turni di lavoro nella fascia serale 19/01, o che prolungano il turno di servizio 13/19 fino alle 21.00, l'impossibilità di fruire della consumazione del secondo ordinario, comprimendo e annullando un loro diritto contrattuale, previsto dalla legge n. 203 del 18 maggio 1989;
   al danno economico si aggiunge, ben più grave, quello fisiologico che comporta la mancata consumazione sistematica di un pasto;
   il problema è stato portato alla luce durante la commissione paritetica «Mensa e Spacci» della questura di Milano, chiedendo in quella sede, attesa la manifesta impossibilità di risolvere la problematica de quo in quel contesto, di inserire la tematica all'ordine del giorno della successiva riunione dell'omologa Commissione istituita a livello centrale;
   al contempo, sempre durante la commissione paritetica, ritenendo non più procrastinabile la risoluzione della menzionata situazione, che grava in via esclusiva sui colleghi, è stato chiesto che quell'ufficio, per porre immediato rimedio alla situazione, attribuisca a quei dipendenti l'attribuzione del buono pasto, denominato «ticket restaurant», valutando anche il pregresso come arretrati da riconoscere, (articolo 61 decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 16 marzo 1999);
   susseguentemente con nota n. 109.5/SN.12 del 18 aprile 2012, il sindacato di polizia SIAP ha chiesto al Ministero la risoluzione delle problematiche;
   a riscontro della precitata missiva, l'Ufficio relazioni sindacali ha riscontrato con relativa nota n. 559/RS/39/50/3902 del 18 giugno 2012;
   il TAR della Lombardia, sez. III, 6 giugno 2012 n. 01572/2012 REG.PROV.COLL, ha riconosciuto ai dipendenti della Guardia di Finanza la garanzia del diritto al vettovagliamento gratuito, o tramite l'esercizio convenzionato, ovvero, in caso di impossibilità, attraverso l'erogazione dei buoni pasto;
   sempre il Tar Lombardia ha condannato l'amministrazione a corrispondere i buoni pasto ai ricorrenti in corrispondenza delle giornate in cui queste abbiano effettuato i turni di servizio oggetti del caso;
   nel caso oggetto di sentenza, il diritto alla corresponsione era relativo solo alla durata del turno di servizio, mentre nel caso in argomento, a nostro parere, il compartimento Polstrada Lombardia ha mancato completamente il proprio compito istituzionale di garantire la fruizione del pasto agli agenti impiegati durante la fascia serale;
   nella sentenza del TAR è stata riconosciuta, altresì, la corresponsione retroattiva dei buoni pasto che per quanto attiene questo caso dovrebbe decorrere dalla chiusura serale delle due mense;
   l'ufficio relazioni sindacali con la nota n. 559/RS/39/50/3902 del 18 giugno 2012, già allegata, ed il dirigente del compartimento durante la verifica del 19 giugno, hanno dichiarato che i dipendenti della sezione di Milano e dei RIPS, per la consumazione del pasto serale possono avvalersi di altre strutture similari dislocate sul territorio, quali: a) la mensa presso il distaccamento autostradale di Milano Ovest: orari 12/14 e 18/20; b) la mensa della questura presso caserma Garibaldi; 3) la mensa del III reparto mobile di Milano: orari 11.30/14.30 e 17.30;
   le distanze dei due uffici (sezione e RIPS) dalle mense proposte in alternativa dall'amministrazione dicono che la più vicina è risultata essere quella del distaccamento Milano Ovest;
   la predetta dista dalla sezione circa 16 chilometri, con un tempo stimato dal sito «viamichelin» di percorrenza di circa 35 minuti, dove non viene calcolato il traffico, mentre dista dai RIPS circa 24 chilometri che, per lo stesso sito, dovrebbero essere colmati in 30 minuti. Nella realtà per arrivarci avrebbero bisogno di circa 45/50 minuti;
   i dipendenti devono trovarsi in ufficio circa 30 minuti prima dell'inizio del turno, per indossare la divisa, eventualmente prendere l'auto o la moto e recarsi sul posto, considerato che gli occorre minimo 30 minuti per cenare e 90/100 minuti o più per recarsi e tornare dalla mensa, gli stessi dovrebbero partire per andare a cenare alle 16.20 circa. Ovviamente arrivando in mensa alle 17.10 circa quando la mensa apre solo alle 18.00;
   in altri casi comunque tali soluzioni non possono nemmeno essere prese in considerazione per i dipendenti che trovandosi ad effettuare il turno pomeridiano 13/19 o similari, per qualche motivazione si trovano nella condizione di prolungare il proprio turno di servizio in straordinario obbligatorio, oltre le ore 21.00, per un intervento (tipo incidente stradale) o per redigere atti prodromici relativi a quest'ultimo; perché a questi ultimi casi, in tali circostanze, spetterebbe il diritto della fruizione del pasto in mensa obbligatoria di servizio, ma le mense, tutte le mense cittadine, senza distinzione alcuna, sono chiuse;
   in data 3 luglio 2012 il sindacato SIAP ha diffidato formalmente il dirigente del compartimento Polstrada della Lombardia all'immediata attribuzione del ticket restaurant con decorrenza dal momento in cui il personale addetto al RIPS ed alla Sezione non ha più fruito del «secondo ordinario» –:
   se il Governo intenda verificare tale situazione incresciosa e illegittima e come intenda intervenire. (5-08073)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   una disposizione del 1993 della Corte dei conti stabilisce che non sono accettate le dizioni «pasto a prezzo convenuto» o «pasto completo», ma solo le ricevute recanti la dizione «pasto a prezzo fisso» o «pasto a prezzo turistico»;
   dei poliziotti inviati dal loro ufficio a molti chilometri di distanza per svolgere una indagine rischiosa ma preziosa per la lotta al crimine organizzato, si vedono negare il rimborso delle spese per i pasti, che avevano comunque anticipato per un costo di 24 euro;
   gli Uffici preposti della prefettura hanno negato quindi il rimborso suddetto appellandosi a suddetta disposizione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti;
   se il Ministro intenda in proposito chiarire i termini della sopra citata disposizione;
   se non intenda prendere i necessari provvedimenti amministrativi per fissare un tetto al rimborso anziché basarlo sulla dizione scritta sulle ricevute. (4-17979)


   BITONCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa locale della provincia di Padova riportano la notizia secondo la quale l'altra sera, in prossimità della stazione ferroviaria di Padova, si sarebbe registrato uno scontro tra tre persone di origine straniera, due rumeni ed un algerino, e che si sono affrontati all'esterno della stazione fino all'arrivo di una volante della Polizia;
   la rissa, avvenuta peraltro poche ore prima l'inizio di una manifestazione che si è svolta proprio di fronte alla stazione e con finalità di isolare il grave degrado nel quale la stazione di Padova da tempo si trova, è solo l'ultima di una lunga serie di episodi di violenza e che vedono coinvolti per lo più stranieri, quasi sempre di origine nord-africana, e che in diversi luoghi della città, dall'Arcella alla stazione medesima, danno spesso vita ad episodi di aggressività, sia sulle persone che sulle cose;
   il protrarsi di questi episodi di violenza che in questi mesi si stanno verificando a Padova causano grave preoccupazione tra gli abitanti della città portando, suo malgrado, la città veneta e la preoccupazione evidenziata dai sui cittadini alla ribalta nazionale –:
   se non ritenga opportuno, alla luce dei fatti sopra descritti e della grave situazione venutasi a determinare, adottare idonee iniziative nell'ambito delle proprie competenze per aumentare il livello di controlli in prossimità della stazione ferroviaria di Padova. (4-17991)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI e SARUBBI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   numerosi articoli apparsi sulla stampa nazionale e internazionale, blog di informazione, notiziari online riportano la notizia della probabile chiusura del programma Erasmus prevista per il 2013. Il programma Erasmus ha finito i soldi ed è altissimo il rischio che la Commissione europea non arrivi a liquidare una parte delle borse di studio già previste per il periodo settembre-dicembre 2012;
   l'allarme è stato lanciato dal francese Alain Lamassoure, presidente della Commissione bilancio del Parlamento europeo, commentando le criticità di bilancio del fondo sociale europeo: capitolo a cui afferisce il sopraccitato programma comunitario di scambio tra universitari;
   ad oggi il budget del fondo sociale europeo è stato tagliato dagli Stati dell'unione per un totale di 4 miliardi di euro. La ricaduta per i singoli Stati sarà molto grave perché i progetti non finanziati corrisponderanno rispettivamente a 900 milioni di euro per la Spagna, 600 milioni di euro per Italia e la Grecia, 400 milioni di euro per la Francia e 150 milioni di euro per il Regno unito;
   il progetto Erasmus, acronimo di European region action scheme for the mobility of university students, nasce nel 1987 per opera dell'allora Comunità europea e sancisce la possibilità di uno studente universitario europeo di effettuare in una università straniera un periodo di studio legalmente riconosciuto dalla propria università. Il nome del programma deriva dall'umanista e teologo olandese Erasmo da Rotterdam che viaggiò diversi anni in tutta Europa per comprenderne le differenti culture;
   il progetto, che proprio nel 2012 festeggia il suo 25o anno di vita, fu in effetti creato per educare le future generazioni di cittadini all'idea di appartenenza a quella che sarà poi chiamata Unione europea e all'interscambio culturale tra studenti provenienti da altri Paesi, favorendo allo stesso tempo anche l'apprendimento di una o più lingue diversa da quella madre. Fu l'allora associazione studentesca Egee, oggi Aegee, fondata da Franck Biancheri (oggi presidente del movimento trans-europeo Newropeans) a convincere nel 1986-87 il presidente francese François Mitterrand ad appoggiare Erasmus. Dalla sua creazione si è così giunti a mobilitare all'interno dell'Unione europea più di 2,2 milioni di studenti e si è permesso ai giovani europei di studiare in 33 Paesi, tra cui anche Stati non membri dell'Unione, come Islanda, Svizzera, Liechtenstein e Turchia –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati per garantire una adeguata partecipazione economica dell'Italia al fondo sociale europeo, ed in particolare assicurare, di concerto con gli altri partner comunitari, i fondi necessari al capitolo del bilancio inerente al progetto Erasmus, che tanto successo ha avuto in questi anni per gli studenti stranieri che vengono ospitati nelle università italiane e per gli studenti italiani in tutta Europa;
   se il Ministro per gli affari europei intenda rappresentare agli altri Stati membri la necessità di confermare i finanziamenti necessari a mantenere in vita per il futuro il programma Erasmus, che è uno forse dei meglio riusciti programmi di cooperazione scientifica dell'Unione.
(4-17984)


   ROSATO, MARAN e STRIZZOLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, pubblicato in Gazzetta Ufficiale – serie speciale concorsi n. 75 del 25 settembre 2012, è stato bandito, su base regionale, il concorso per la copertura di 11.542 posti e cattedre di personale docente nelle scuole dell'infanzia, primarie e secondaria di I e II grado, nonché di posti a sostegno, risultanti vacanti e disponibili negli anni scolastici 2013/2014 e 2014/2015;
   l'allegato n. 1 al decreto contiene la distribuzione dei posti a concorso per regione, per grado di studio e per materia o, se posti a sostegno, solo per regione e per grado di studio, senza che il Governo abbia reso pubblici, né per iscritto né per le vie brevi, i criteri che sono stati scelti per la formulazione della ripartizione dei posti per regione;
   anche dopo un'attenta lettura delle tabelle non sono comprensibili quali siano stati i parametri addotti dal Ministero nella stesura dell'allegato n. 1, la cui pubblicazione è stata, peraltro, anticipata da un'informativa inviata tramite e-mail alle organizzazioni sindacali, contenenti delle tabelle identificate come «definitive», ma che poi non sono corrisposte completamente a quelle ufficiali pubblicate in Gazzetta Ufficiale quattro giorni dopo;
   infatti, come evidenziato dalle organizzazioni sindacali, la divisione dei posti a concorso sembrerebbe non corrispondere alle disponibilità di cattedra come implicitamente richiamato dal decreto, e nemmeno alle proiezioni sui futuri pensionamenti;
   in dettaglio, secondo il riparto ministeriale degli 11.542 posti a concorso, al Friuli Venezia Giulia ne spetterebbero solamente 103 e specificatamente: 52 nella scuola primaria, 6 per le discipline economico-aziendali (A017), 36 nell'ambito disciplinare delle lettere (A043 e A050), 5 posti di sostegno nella scuola primaria, 3 posti di sostegno nella scuola secondaria di I grado, 1 posto di sostegno nella scuola secondaria di II grado;
   si ricorda che la circolare n. 25 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 29 marzo 2012 per la determinazione delle dotazioni organiche per l'anno scolastico in corso, adottava come criterio per determinare la distribuzione dei docenti sul territorio, la popolazione scolastica dell'anno scolastico 2011/2012, di quella prevista per l'anno scolastico 2012/2013 alla luce della serie storica del dato sulla scolarità;
   ma nel caso in questione, non sembrerebbe nemmeno questo il criterio utilizzato dal Ministero nella stesura delle tabelle di riparto;
   infatti, il Friuli Venezia Giulia, con una popolazione scolastica di 194.911 unità, rappresenta circa il 16 per mille del totale nazionale; ma, nonostante questo dato, gli sono stati riservati solo l'8,9 per mille dei posti a concorso, ovvero la metà;
   facendo un esame comparativo con altre regioni, si evince una disparità di trattamento patita dal Friuli Venezia Giulia: la Liguria, che vanta una popolazione scolastica di poco superiore (40.000 unità in più), vede riservati 196 posti, quasi il doppio del Friuli Venezia Giulia; così la Puglia, che ha una popolazione quattro volte quella del Friuli Venezia Giulia, è aggiudicataria di 981 posti a concorso, cioè oltre nove volte il contingente per la regione friulana-giulicina: da ultimo l'Umbria, che ha una popolazione scolastica di 147.630 alunni (50.000 unità in meno al Friuli Venezia Giulia) ha 150 posti a concorso, 47 in più di quelli a disposizione del Friuli Venezia Giulia;
   per il personale docente a sostegno, si segnala che in Friuli Venezia Giulia sono presenti 3.585 alunni con disabilità, cioè il 19,5 per mille del totale nazionale (che è di 184.255), ma, nonostante questo dato, l'allegato n. 1 al decreto del bando assegna solo 8 posti a sostegno a questa regione, cioè l'8,4 per mille del totale nazionale (che è di 952 posti a sostegno), cioè un contingente al di sotto della metà;
   è chiaro, quindi, che la distribuzione degli 11.542 posti a concorso tra le regioni è molto diversificata da caso a caso, e lascia molto a desiderare in quanto a trasparenza dei criteri scelti, anche in ragione del repentino cambiamento delle tabelle che non sarebbe stato possibile se fosse stato individuato preventivamente un parametro di misura;
   da questa divisione/spartizione a giudizio degli interroganti arbitraria, il Friuli Venezia Giulia risulta fortemente penalizzato, sia in riferimento ai docenti destinati all'insegnamento nelle varie classi di concorso, sia a quelli destinati al sostegno –:
   quali siano stati i criteri adottati dal Ministero per la distribuzione tra le regioni, gli ordini e gradi di studio e le materie degli 11.542 posti a concorso;
   come mai al Friuli Venezia Giulia, nonostante una determinata popolazione scolastica, siano stati assegnati posti a concorso in numero inferiore di circa la metà, sia in riferimento ai docenti destinati all'insegnamento, sia ai docenti destinati al sostegno;
   se, alla luce delle disparità che questa prima tabella ha comportato a danno di diverse regioni, il Governo intenda adottare nuovi criteri per la distribuzione dei posti a concorso. (4-17987)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALOMBA e PALADINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 14 gennaio 2011 il tribunale di Cagliari decretava il fallimento del gruppo editoriale Epolis che editava quotidiani semigratuiti in 19 edizioni diffuse in tutta Italia;
   le pubblicazioni del quotidiano, fondato nel 2004, erano cessate il 27 luglio 2010 quando il gruppo aveva improvvisamente interrotto l'attività e messo in ferie forzate i 146 dipendenti (tra cui 118 giornalisti 40 dei quali lavoravano nella sede centrale di Cagliari);
   nel settembre 2010 l'azienda ha firmato con il sindacato dei giornalisti, la FNSI, un primo accordo per la messa in cassa integrazione straordinaria dei dipendenti promettendo di pagare le tre retribuzioni arretrate maturate dai dipendenti; tale promessa non è però stata rispettata dunque i lavoratori sono rimasti con tre stipendi lavorati ma mai onorati dall'azienda;
   nell'ottobre 2010 è stata sottoscritta presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'intesa per la messa in cassa integrazione dei 146 dipendenti che si concluderà il prossimo 30 settembre 2012;
   l'articolo 2 della legge n. 297 del 29 maggio 1982 istituisce un Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto finalizzato a sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto spettante ai lavoratori o loro aventi diritto. La stessa legge attribuisce, per i giornalisti, la gestione di questo fondo all'INPGI;
   con il decreto legislativo n. 80 del 27 gennaio 1992, emanato in attuazione della direttiva 80/987/CEE, l'intervento del Fondo di garanzia è stato esteso anche al pagamento delle retribuzioni non corrisposte degli ultimi 3 mesi del rapporto di lavoro rientranti nei 12 mesi che precedono la data del provvedimento che determina l'apertura della procedura concorsuale; per questo motivo gli ex lavoratori del gruppo, nelle more delle procedure fallimentari, hanno inoltrato presso gli istituti previdenziali la procedura per richiedere l'erogazione da parte dei rispettivi Fondi di garanzia delle tre mensilità arretrate mai onorate dall'azienda; appena scadrà la cassa integrazione faranno altrettanto per chiedere anche il trattamento di fine rapporto loro spettante;
   i lavoratori poligrafici hanno avuto risposta positiva da parte dell'Inps, mentre risulta all'interrogante che per quanto riguarda i 118 giornalisti nei mesi scorsi l'Inpgi avrebbe dichiarato che l'istituto non avrebbe considerato tali somme dovute in quanto già erogate ai dipendenti sotto forma di assegni di cassa integrazione;
   dopo l'opposizione del sindacato dei giornalisti l'Inpgi ha fatto sapere che avrebbe chiesto un parere in merito al Ministero dell'economia e all'Unione europea;
   quanto al trattamento di fine rapporto l'Inpgi ha sostenuto di essere obbligata a pagarne soltanto una parte ai giornalisti tramite il proprio Fondo di garanzia: quella destinata al Fondo complementare. Per quella rimasta in azienda durante il tempo precedente alla riforma previdenziale (ovvero dal 2004 al 2006) il Fondo di garanzia – sostiene l'Inpgi – non intende intervenire e invita i giornalisti a richiederla all'Inps –:
   se sia a conoscenza della vicenda dei 146 dipendenti del gruppo Epolis; se effettivamente l'Inpgi abbia richiesto al Ministero un parere sull'esistenza dell'obbligo di intervenire a sostegno dei giornalisti del gruppo Epolis posto che non appare giusto che sia fatta una distinzione tra dipendenti della stessa azienda a seconda dell'appartenenza a un diverso ente previdenziale;
   per quali ragioni, contrariamente all'Inps che sosterrà i poligrafici ex Epolis erogando le tre mensilità non onorate dall'azienda e l'intero tfr, l'Ingpi, istituto di previdenza dei giornalisti, rifiuti il sostegno ai propri lavoratori;
   per quali ragioni l'Inpgi prenda posizione in questo momento e non sia viceversa intervenuta a suo tempo quando il gruppo Epolis non pagava sistematicamente i contributi previdenziali ai giornalisti;
   se anche il fondo complementare dei giornalisti abbia omesso di denunciare a suo tempo i mancati versamenti del trattamento di fine rapporto ai lavoratori;
   se ritenga opportuno fornire quanto prima il parere richiesto dall'Inpgi e pronunciarsi affinché il Fondo di garanzia dell'istituto previdenziale dei giornalisti intervenga immediatamente a sostegno dei giornalisti di Epolis erogando senza indugio le tre mensilità non onorate dall'azienda e – non appena cessato definitivamente il rapporto di lavoro – eroghi la totalità del trattamento di fine rapporto maturato dai giornalisti, evitando una inaccettabile sperequazione tra dipendenti della stessa azienda. (5-08074)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAZZERA e DI GIUSEPPE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cosiddetto Salva Italia), convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, ha introdotto nuove nome in materia pensionistica;
   in particolare, l'articolo 24 del suddetto decreto al comma 5 prevede che «Con riferimento esclusivamente ai soggetti che a decorrere dal 1o gennaio 2012 maturano i requisiti per il pensionamento [...] non trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 12, commi 1 e 2 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni e integrazioni, e le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 21, primo periodo del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148»;
   tale riforma, fissando al 31 dicembre 2011 la maturazione dei requisiti per il pensionamento, non tiene in considerazione la particolarità del sistema pensionistico per i docenti scolastici, che è basato sull'anno scolastico e non su quello solare;
   conseguentemente per tale categoria di lavoratori i requisiti per il pensionamento, le ferie, l'anzianità di servizio e gli scatti di carriera, decorrono dal 1o settembre al 31 agosto dell'anno successivo;
   per i docenti scolastici la normativa introdotta con il decreto Salva Italia rappresenta una vera e propria ingiustizia, riconosciuta anche da diversi giudici del lavoro che hanno contestato la legittimità costituzionale del provvedimento;
   da ultimo la sentenza del giudice del lavoro di Siena ha dato ragione agli insegnanti che nel 2012 avrebbero dovuto andare in pensione, ma che a causa della riforma sono costretti a prestare servizio ancora per diversi anni;
   secondo i giudici dunque, sarebbe anticostituzionale non riconoscere a tali docenti diritti ormai acquisiti;
   il nuovo meccanismo pensionistico infine, oltre a generare forti dubbi di costituzionalità, impedisce l'ingresso di nuovi docenti nel mondo della scuola e non contribuisce a risolvere il grave problema del precariato nel settore –:
   quali iniziative, anche normative, il Ministro intenda adottare al fine di riconoscere ai docenti scolastici il diritto al pensionamento secondo la previgente disciplina, evitando in tal modo le soccombenze giudiziarie ed i relativi danni economici. (4-17978)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 7 ottobre 2010 la conferenza Stato-regioni ha ritenuto opportuno ritirare il documento sulle linee guida di coesistenza tra colture biologiche, convenzionali e geneticamente modificate necessario per la predisposizione dei piani di coesistenza a livello regionale, affermando che tale documento fosse da considerarsi superato alla luce delle proposta di regolamento della Commissione europea che emenda la direttiva 2001/18 al fine di dare agli Stati membri la possibilità di restringere o proibire la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul proprio territorio nazionale;
   il Consiglio di Stato nella sua decisione N 00183/2010 (causa Silvano Dalla Libera contro Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) ha dichiarato che la mancata adozione dei piani di coesistenza regionali non costituisce ostacolo al rilascio dell'autorizzazione prevista dal decreto legislativo n. 212 del 2001 e che resta fermo il potere dell'amministrazione statale di avviare i procedimenti sostitutivi che l'ordinamento appresta nel caso di inerzia delle regioni nel predisporre tali piani;
   la sopracitata proposta della Commissione europea, presentata nel luglio 2010, è da più di un anno bloccata in Consiglio dell'Unione europea, dove in più occasioni una consistente minoranza di blocco, che riunisce tra l'altro Germania, Francia e Regno Unito, ha esplicitamente respinto qualsiasi compromesso per l'adozione di una posizione comune sul testo della Commissione europea come emendato dalla prima lettura del Parlamento europeo;
   attualmente non esistono regole di coesistenza tra colture biologiche, convenzionali e geneticamente modificate effettivamente applicabili in nessuna parte del territorio italiano;
   è al momento ancora operativa nell'ordinamento italiano per disposizione dell'articolo 1 comma 2 del decreto legislativo n. 212 del 2001, «Attuazione delle direttive 98/95/CE e 98/96/CE concernenti la commercializzazione dei prodotti sementieri, il catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole e relativi controlli», una norma che prevede l'autorizzazione alla messa in coltura ai fini commerciali degli organismi geneticamente modificati da parte del ministero delle politiche agricole e forestali;
   una recente sentenza della Corte di giustizia europea (causa C 36/11 Pioneer HiBred Italia Srl contro Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) ha chiarito che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais MON 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e le medesime varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, emendata con il regolamento n. 1829/2003;
   la medesima sentenza ha inoltre chiarito che, al di fuori dei casi espressamente previsti dal diritto dell'Unione europea, vietare o limitare la coltivazione di organismi geneticamente modificati legittimamente autorizzati secondo la normativa comunitaria a livello nazionale, non è legittimo se non per quei casi di divieto o limitazione della coltivazione che siano geograficamente circoscritti e che discendano direttamente dall'applicazione effettiva di regole di coesistenza –:
   come il Ministro interrogato intenda comportarsi nel caso che nei prossimi mesi gli agricoltori italiani facciano domanda al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per ottenere l'autorizzazione alla semina di varietà geneticamente modificate;
   se intenda in persistenza dell'inazione degli organismi regionali avviare i procedimenti sostitutivi che l'ordinamento appresta nel caso. (5-08072)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   DI PIETRO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'immediata periferia sud della zona urbana del comune di Vercelli, su un'area di circa 68.000 metri quadrati, sono ubicati gli impianti e i servizi di Atena spa e l'inceneritore dei rifiuti urbani dello stesso comune;
   il termovalorizzatore di Vercelli, di proprietà di Atena spa fornisce il proprio servizio a un bacino formato da circa 180.000 persone, con una potenzialità di incenerimento annuo di circa 72.000 ton ed è gestito, per quanto concerne le strutture e lo svolgimento delle attività manutenzione, da circa 44 dipendenti;
   i problemi ambientali e sanitari che sta procurando l'inceneritore in questione lo fa senza dubbio apparire come una piccola «Ilva» di Vercelli: infatti, le falde di prima fascia sotto l'inceneritore (usate in agricoltura) e i canali attorno all'inceneritore (anch'essi utilizzati in agricoltura) sono inquinati da diossina e metalli pesanti;
   nel 2004 la società Atena, proprietaria del sito e dell'impianto, ha affidato ad Akron spa il progetto preliminare relativo alla bonifica dell'area in premessa effettuato secondo i criteri di cui al decreto ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471, così come previsto dall'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modificazioni;
   le analisi dell'area ha messo in evidenza come nel sito siano presenti scorie in grande quantità già a livello di calpestio, mentre interrati e misti a terreno vi sono rifiuti con rilevanti concentrazioni di metalli pesanti (piombo, zinco, rame, cadmio,...), nonché diossine in misura superiore ai limiti previsti per i siti industriali di cui al sopra citato decreto ministeriale, allegato 1, tabella 1, colonna B; tali analisi evidenziano la presenza di derivati da combustione di idrocarburi di 350 volte superiori ai limiti stabiliti dalla legge per le aree industriali mentre quelli che sono in superficie, invece, sono respirati ogni giorno dai lavoratori. I fumi emessi in atmosfera sono al di fuori dei limiti e una catena di incidenti ha già creato gravi danni all'ambiente e alla salute;
   relativamente all'attività di tale inceneritore è stato anche presentato un esposto alla procura della Repubblica di Vercelli;
   nel frattempo un altro procedimento penale per le falsità commesse nelle autocertificazioni delle emissioni registrate dal sistema di monitoraggio dell'inceneritore (SME) sino al 2008 è giunto alla fase dibattimentale;
   è evidente che vi siano state gravi responsabilità politiche, su questa vicenda soprattutto per quanto riguarda l'operato di due giunte provinciali per la concessione dell'AIA (autorizzazione integrata ambientale) che dovrebbe essere revocata poiché tra la documentazione a supporto potrebbe esserci quella risultata falsa –:
   di quali informazioni disponga con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritenga di voler avviare un'attività di monitoraggio dell'area interessata che ad avviso dell'interrogante è una sorta di piccola Ilva. (4-17990)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MONTAGNOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa locale (L'Arena di Verona) riportano la notizia secondo la quale la sede veronese di Fnac, azienda francese che opera nel campo della grande distribuzione con una catena di filiali internazionali che vende libri, dischi e cd, programmi software, componenti hardware e computer, telefonia cellulare, attrezzature fotografiche, audio, video e TV, prodotti audiovisivi e videogiochi e che in Italia è presente in sette città grandi italiane con otto negozi, sarebbe ormai in procinto di cessare la propria attività;
   i lavoratori della filiale veronese, oltre cinquanta, hanno già indetto uno sciopero con presidio davanti al negozio localizzato in Verona in via Cappello per rimarcare la gravità della situazione in cui si ritrovano da tempo e per sollecitare l'azienda a fornire risposte concrete ed aprire, contestualmente, un dialogo con le parti sociali;
   a pochi mesi, infatti, dalla conclusione dell'anno solare, i dipendenti della filiale veneta ancora non conoscono con precisione le sorti del loro futuro, mentre la preoccupazione dei lavoratori cresce costantemente col passare del tempo –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, anche in ragione dell'importanza strategica dell'azienda nel contesto economico della città di Verona, per salvaguardare i livelli occupazionali dei dipendenti interessati dalla situazione sopraesposta. (4-17977)


   DI BIAGIO, SCANDEREBECH e GALLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   attualmente il comparto vitivinicolo, fiore all'occhiello del made in Italy e settore di indiscussa e consolidata tradizione oltre che di grande prestigio a livello internazionale, è gravato da forti criticità che rischiano di pregiudicare in maniera definitiva la sopravvivenza del settore;
   le suddette criticità, che si registrano nel settore in tutte le principali regioni produttrici, dal Piemonte alla Sicilia, sottolineano la necessità di elaborare un piano urgente di interventi a sostegno dei produttori vitivinicoli italiani;
   la struttura stessa del comparto è stata condizionata dalle dinamiche di liberalizzazione del mercato agricolo mondiale: l'affluenza di prodotti – provenienti in particolare da alcune regioni estere – con qualità inferiore rispetto ai prodotti tradizionali italiani, ha determinato un crollo dei prezzi di mercato delle materie prime e del prodotto finito in virtù del surplus di produzione, con la conseguente difficoltà, per le piccole aziende del settore, di coprire le spese;
   un'elevata percentuale delle aziende vitivinicole italiane chiude da anni i bilanci in rosso, costretta a vendere, o meglio a svendere i propri prodotti a prezzi risibili: si pensi che solo in Piemonte, dove sono operative centinaia di aziende per una superficie vitata di 45.560 ettari, il vino «Barbera» viene svenduto al costo 30 centesimi al litro, un prezzo inferiore a quello dell'acqua minerale;
   la crisi del settore assume lineamenti preoccupanti sia sul versante della tutela del patrimonio produttivo nazionale, sia sul versante socio-economico: al disagio sociale determinato dalle difficili condizioni reddituali in cui versano moltissimi viticoltori e alla crescita dell'età media dei lavoratori del settore (attualmente 60 anni), fa da contraltare il progressivo e crescente abbandono dei vigneti da parte delle giovani leve che dovrebbero garantire il mantenimento del settore, profilando scenari di una totale mancanza di addetti al settore nell'immediato futuro;
   l'impossibilità di coprire le spese, anche a fronte delle risorse erogate a diversi livelli, in sede nazionale ed europea, evidenzia la necessità di una rimodulazione e ripianificazione delle stesse anche nell'ottica di un consistente intervento strutturale del comparto;
   gli interventi auspicabili, nella suindicata prospettiva, dovrebbero attuare misure di semplificazione fiscale e amministrativa – anche in relazione all'accesso al credito per le piccole aziende – oltre che di tutela delle aree a tradizione vitivinicola, attraverso incentivi specifici orientati al mantenimento di elevati standard qualitativi per la materia prima ed il prodotto finale;
   sul piano fiscale sarebbe altresì auspicabile la predisposizione di un meccanismo di compensazione che, attraverso opportuni sgravi fiscali alle grandi aziende, incentivi l'acquisto e la commercializzazione di prodotti o derivati vitivinicoli – vini, liquori e distillati a base di succo d'uva, ma anche mosti e altri prodotti – dalle piccole aziende territoriali o analoghe misure che consentano la definizione di un prezzo equo minimo garantito, tutelando l'accesso delle piccole aziende al mercato –:
   quali iniziative si intendano predisporre, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di porre rimedio alle criticità evidenziate in premessa e consentire un rilancio del comparto a tutela della forte vocazione vitivinicola del nostro Paese;
   se non ritengano opportuno valutare l'assunzione di iniziative finalizzate alla predisposizione di un piano di defiscalizzazione del settore citato in premessa che, incentivando il legame tra grandi aziende e piccoli produttori locali, dia respiro all'intero comparto. (4-17985)


   DI PIETRO, MURA, PALADINI e ANIELLO FORMISANO. —Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la BredaMenarinibus, con sede a Bologna, conta oggi circa 300 dipendenti ed è rimasta l'unica azienda che produce bus in Italia dopo la chiusura anche della Irisbus-Fiat della provincia di Avellino;
   la società è nata dallo scioglimento, nel 1987, del consorzio Inbus le cui produzioni furono trasferite alla Bredabus, capogruppo della Breda Costruzioni Ferroviarie, controllata dall'ente pubblico Efim;
   nel 1989, BredaCostruzioni Ferroviarie (società successivamente e attualmente fusa in AnsaldoBreda Spa, settore trasporti di Finmeccanica) ha acquisito la storica impresa Menarini di Bologna, nata nel 1919 e sviluppatasi con la proprietà della famiglia Menarini. Le due società vennero, quindi, fuse, con la nascita del marchio commerciale BredaMenarinibus, caratterizzato da un cavallino rosso;
   all'inizio degli anni novanta la Efim, nel frattempo divenuta società per azioni (dopo aver registrato per decenni enormi perdite) è stata posta in liquidazione coatta e le partecipazioni industriali trasferite a Finmeccanica, appartenente allora ad IRI spa, altro storico ente di partecipazioni statali, e gestore di un grande gruppo industriale diversificato;
   dal 1989 la società ha prodotto circa 7.000 autobus ed è in possesso di certificazione ISO 9001 e ISO 14001;
   la BredaMenariniBus, dopo aver attraversato la profonda crisi di mercato di riferimento (1990-1995) nella seconda metà degli anni ’90 ha ritrovato un andamento economico soddisfacente (il 1997, 1998 e 1999 hanno prodotto utili di esercizio) e, sopratutto, nello stesso periodo ha ricostituito, con grossi sforzi economici un portafoglio prodotti adeguato alle esigenze del mercato;
   pur essendo il secondo produttore nazionale, già in quegli anni ha però evidenziato una sempre crescente criticità, riconducibile in estrema sintesi a un problema di «dimensione». Infatti, tutte le società di dimensioni analoghe a quelle della BredaMenariniBus, a livello nazionale e europeo, o sono uscite dal mercato (Autodromo, Cacciamali e da ultima De Simon) o sono state oggetto di fusione di gruppi significativamente più importanti (come ad esempio, Iveco/Renault, MAN/Neoplan, Mercedes/Setra e altri);
   quindi, la ricerca di un partner o di altre sinergie industriali, che riuscissero a superare il problema dimensionale e di «isolamento» sia in termini commerciali, sia tecnologici che finanziari, è diventata un fattore più che «strategico» di vera e propria sopravvivenza per BredaMenariniBus;
   purtroppo questa ricerca invece di essere soddisfatta all'interno di Finmeccanica, integrando veramente la società nel gruppo, per volontà dell'azionista, è stata rivolta all'esterno del gruppo;
   nel frattempo è avvenuta l'accennata fusione di Ansaldo Breda Costruzioni Ferroviarie, che ha comportato un riassetto complessivo dell'industria ferroviaria nazionale (vendita dell'Avis di Castellammare e della Ferrosud di Matera, la chiusura della Sofer di Napoli, la vendita della Imesi di Palermo, anche se poi rientrata) e la conseguente «esternalizzazione» della BredaMenariniBus, che è passata di proprietà e sotto il «controllo diretto» di Finmeccanica spa, non essendo riuscita l'operazione di cessione già avviata con diversi altri soggetti industriali, anche di «spessore» significativo;
   questo nuovo «assetto» che vede dal 2001 BredaMenariniBus s.p.a. sotto il diretto controllo della holding finalizzato sostanzialmente alla «dismissione» della società, l'ha di fatto indebolita ulteriormente, costringendola a lavorare per anni (2002-2005) in maniera completamente avulsa dal contesto tecnologico che l'aveva supportata nel periodo (1991-2001) durante il quale ha fatto parte del gruppo Breda;
   i due esercizi successivi (2001-2002) sono stati negativi in termini di risultati. Ciò è derivato, oltre che da una flessione di mercato, anche dalla scarsa credibilità e quindi perdita di importanti occasioni di vendita dei prodotti (si veda commessa di Roma per il Giubileo) che un «azienda posta in vendita» ha sullo specifico segmento di mercato in cui opera: una municipalità acquista veicoli destinati a circolare perlomeno 10/15 anni, non vuole certo acquistarli da una società dal destino «incerto»;
   così nel 2002 la citata società ha iniziato un profondo processo riorganizzativo con l'obiettivo di adeguare le «quantità» delle risorse umane disponibili alle possibilità di carico di lavoro concretamente offerte dal mercato, nuovamente in contrazione;
   il processo, conclusosi sostanzialmente alla fine del 2004, ha visto il personale praticamente dimezzato dall'inizio del piano, consentendo un assetto dimensionale, relativamente agli obiettivi assunti nel piano, sicuramente da consolidare, ma equilibrato;
   bisogna, però, anche aggiungere che, in questo periodo, tutte le «risorse» sono state esclusivamente dedicate alla realizzazione del ridimensionamento programmato dell'organico, tralasciando, a parte quelle che agli interroganti appaiono talune opere di maquillage indispensabile, di intervenire sulle strategie commerciali, sull'innovazione del prodotto e sui necessari adeguamenti dei processi industriali, problematiche che, al contrario, non sono state assolutamente trascurate dalla concorrenza più qualificata;
   in questo contesto si inserisce la vicenda del primo tentativo di vendita del 2005 alla Dipiùdi Ambiente dell'ingegner Paolo De Luca, che all'interrogante appare tanto più irragionevole se rapportato allo sforzo che la BredaMenariniBus stava facendo per uscire positivamente dal duro processo di riorganizzazione in atto, con l'obiettivo di rilanciarsi;
   questo tentativo di vendita fortemente osteggiato da sindacato e rappresentanza sindacale unitaria ha indotto Finmeccanica a predisporre un piano di rilancio, rinunciando alla vendita, rinnovando il gruppo dirigente e la gamma di prodotto che ha avuto il suo momento di visibilità al salone di Verona del 2007;
   nel febbraio 2006 Finmeccanica ha insediato in BredaMenariniBus l'attuale gruppo dirigente e l'anno si è chiuso con un risultato netto negativo di 6,5 milioni e sempre in negativo si è chiuso il 2007, confermando l'inversione di rotta rispetto al 2005 che si era chiuso con un utile di 3,3 milioni di euro;
   il 2007, oltre al rinnovamento della gamma aveva visto la costruzione e l'accordo sulla piattaforma aziendale che gettava le basi per permettere alla BredaMenariniBus di uscire dai condizionamenti del mercato finanziato interno, per acquisire, attraverso accordi di partnership e una nuova rete commerciale, una dimensione internazionale;
   la nuova gamma e gli accordi sulla politica industriale costituivano i fondamentali sui quali costruire dopo gli anni della crisi e la ripresa del 2005 il consolidamento e lo sviluppo di BredaMenariniBus;
   la ricerca di partner a livello internazionale, portata avanti con estrema approssimazione, invece di far cogliere opportunità, ha prodotto, a parere degli interroganti, veri e propri disastri;
   nel 2010 BredaMenariniBus ha consonato 235 veicoli con un fatturato di 69 milioni di euro e con un saldo negativo di 15 milioni di euro; nel 2011 aumenterà il consegnato che si attesterà attorno ai 300 veicoli e di conseguenza aumenterà anche il fatturato –:
   se non si intendano assumere iniziative affinché la BredaMenariniBus sia integrata in un «polo nazionale del trasporto ferroviario e su gomma» che veda protagonista il Governo, con un piano industriale serio e credibile, per evitare che un'altra importante realtà del nostro patrimonio industriale vada perduta insieme alle professionalità che vi lavorano;
   se non ritengano di adoperarsi per favorire l'apertura di un tavolo nazionale con le organizzazioni sindacali e l'azienda, ai fine di ricercare soluzioni che garantiscano lo sviluppo e il rilancio nel mercato italiano e internazionale della BredaMenariniBus e per la salvaguardia dei livelli occupazionali dell'unica realtà italiana rimasta nella costruzione di autobus.
(4-17994)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Fiano e altri n. 1-01140, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Codurelli.

  La mozione Di Pietro e altri n. 1-01147, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paladini.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Bersani n. 1-01118, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 674 del 31 luglio 2012.

   La Camera,
   premesso che:
    il contesto recessivo, che investe l'economia dell'Occidente e il Paese, rischia di travolgere in maniera più incisiva le regioni del Mezzogiorno e, in particolare, la Calabria, come confermano autorevoli centri di ricerca istituzionali e come può agevolmente evincersi dagli indicatori economici e sociali, i quali evidenziano che il dato regionale dell'occupazione, già gravemente in affanno, nella prima parte del 2012 è diminuito in Calabria di circa il 5 per cento ed il prodotto interno lordo pro capite permane nettamente il più basso d'Italia, ben al di sotto della soglia dei 18.000 euro, considerata la frontiera della vivibilità;
    il dato occupazionale desta maggiore preoccupazione se si considera che il tasso di disoccupazione complessivo della Calabria (19,5 per cento) è circa il doppio della media nazionale (10 per cento) e cresce, in particolare, per le donne, nonostante in Calabria ci siano più di 45 mila imprese femminili e, nel corso del 2011, la regione abbia visto un incremento delle imprese guidate da donne dell'1,6 per cento a fronte dello 0,4 per cento di quelle maschili;
    la crisi finanziaria globale e la crisi fiscale dello Stato italiano hanno avuto un profondo impatto sulle economie regionali. Un'approfondita analisi territoriale di inizio 2012 de Il Sole 24 Ore – Centro Studi Sintesi, attraverso la combinazione di otto rilevanti indicatori economici (propensione all’export, produttività, tasso di occupazione, indice di imprenditorialità, grado di apertura commerciale, sofferenze su crediti di impresa, numero di brevetti europei, prestiti alle imprese), ha determinato una graduatoria delle regioni italiane basata su un indice sintetico di performance che ha collocato la Calabria all'ultimo posto con un valore dell'indice pari a 11,71 (economia statica), significativamente distante dalla Basilicata (22,94), dalla Campania (24,62), dalla Sicilia (26,06) e dalla Sardegna (40,99);
    la Calabria, come si evince dalla drammaticità e dalla crudezza del dato statistico, confermato da altri autorevoli centri di ricerca istituzionali, evidenzia sul piano socio-economico una drammatica specificità negativa, continuando inesorabilmente a declinare in un lento processo di separazione anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno: i dati di autorevoli centri di ricerca istituzionali evidenziano, sul piano socio-economico, una forte specificità negativa, anche rispetto alle altre regioni del Mezzogiorno;
    secondo la Svimez, a fronte di un dato nazionale di 25.583 euro, il prodotto interno lordo pro capite nel 2010 ha registrato divari regionali sempre più marcati: la regione più ricca è stata la Lombardia, con 32.222 euro pro capite. Nel Mezzogiorno la regione con il prodotto interno lordo pro capite più elevato è stata l'Abruzzo (21.574 euro), mentre all'ultimo posto si colloca la Calabria (16.657 euro);
    in tale ottica, occorre in particolare sostenere la crescita e l'apertura internazionale del sistema produttivo ed economico della regione Calabria, valorizzando e favorendo la penetrazione sui mercati esteri delle eccellenze territoriali, anche attraverso la promozione ed il finanziamento di specifici accordi di programma tra i competenti Ministeri, l'Istituto nazionale per il commercio estero, la regione ed i propri organismi operativi, per l'attuazione di programmi ed interventi integrati finalizzati all'attivazione di network operativi funzionali;
   nonché occorre creare condizioni realmente incentivanti per gli investitori e per rendere effettivamente Gioia Tauro un hub internazionale che restituisca all'Italia la centralità nel Mediterraneo;
    appare chiaro che, per avviare uno stabile processo di adeguamento competitivo e di sviluppo nonché idonei livelli di attrattività dei territori del Mezzogiorno, occorre mettere in campo risorse adeguate per coniugare la diffusione della cultura della legalità e della partecipazione democratica, con una costante opera di repressione e di lotta alle mafie, anche mediante il rafforzamento e la razionalizzazione della rete dei presidi di legalità sia con riguardo agli uffici di polizia giudiziaria sia con riguardo alla rete dei tribunali, valutando anche le indicazioni provenienti dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere del 25 gennaio 2012 e i pareri delle commissioni parlamentari rispetto all'esame del decreto legislativo n. 155 del 2012 di revisione delle circoscrizioni giudiziarie,

impegna il Governo:

   a una forte azione per lo sviluppo e l'inclusione sociale in Calabria che, con il resto del Mezzogiorno, è parte determinante della strategia di crescita dell'Italia e, pertanto, in considerazione di quanto rappresentato in premessa:
    a) a dare rapida attuazione agli interventi a favore dei lavoratori in mobilità, dei licenziati, dei giovani e delle donne disoccupati, degli inattivi e di coloro che né lavorano, né svolgono un'inattività di studio o formazione (neet), nonché a continuare negli sforzi per creare un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, utilizzando parte significativa delle risorse derivanti dalla terza e ultima riprogrammazione dei fondi comunitari, da realizzare entro ottobre 2012, in particolare per:
     1) rifinanziare la misura introdotta con l'articolo 2 del decreto-legge 70 del 2011, come modificato dal decreto-legge n. 1 del 2012, relativa al credito d'imposta per i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati, in base anche agli esiti dei primi bandi pubblicati dalla regione;
     2) finanziare misure di agevolazione fiscale de minimis per le micro e le piccole imprese, con particolare attenzione alle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile e femminile, operative nelle città con aree a più elevata criticità economico-sociale della regione;
    b) a promuovere, coerentemente con quanto recita l'articolo 119, quinto comma, della Carta costituzionale «la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona», attraverso la rapida attuazione, con un forte presidio nazionale degli interventi finanziati con il piano di azione coesione, con particolare riferimento ai servizi di cura per la prima infanzia e gli anziani, per i quali sono complessivamente stanziati in Calabria oltre 100 milioni di euro e, in tale contesto di promozione dei diritti di cittadinanza, verificando la possibilità di concentrare le risorse del fondo sviluppo e coesione per gli obiettivi di servizio sugli interventi volti ad aumentare i servizi socio-assistenziali per bambini ed anziani nei comuni, nonché l'opportunità di estendere la sperimentazione della nuova social card familiare a tutti i comuni della Calabria o, in alternativa, ai soli comuni capoluogo e valutando ogni altro adempimento, di competenza del Governo, necessario a migliorare l'efficienza delle strutture ospedaliere;
    c) a promuovere l'internazionalizzazione delle imprese della Calabria, in particolare attraverso interventi mirati a sostegno della capacità di penetrazione nei mercati esteri dei settori di specializzazione e l'attivazione di forme di tutoraggio a vantaggio delle piccole e medie imprese dei settori ad elevato potenziale;
    d) a promuovere, attraverso un tavolo permanente Cipe-regioni del Mezzogiorno e Trenitalia o altri concessionari, un efficace monitoraggio della qualità del servizio di trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza, anche con riferimento al contratto di servizio con Rete ferroviaria italiana, nel più ampio tema della mobilità nel Mezzogiorno e dal Sud verso il Centro-Nord e viceversa, che interessi anche la razionalizzazione e il rafforzamento del sistema portuale e aeroportuale calabrese, anche attraverso un progetto che preveda l'utilizzo in modo integrato e intermodale dell'attuale assetto del trasporto (treni, aliscafi, bus, aerei), per rendere più efficiente ed economica la gestione del sistema stesso, in sinergia con il sistema dei trasporti della Sicilia; in questo contesto, inoltre:
     1) ad assumere in tempi rapidi ogni atto necessario per dare attuazione all'accordo di programma quadro che ha previsto finanziamenti per un totale di 459 milioni di euro a favore dell'area di Gioia Tauro, per accelerare le procedure e dare compiuta attuazione agli impegni sottoscritti, anche attraverso l'adozione di ogni atto necessario affinché l'area portuale di Gioia Tauro sia segnalata alla Commissione europea come zona in cui garantire le condizioni infrastrutturali ancora necessarie per superare l'attuale assenza di interazione tra ambito portuale e retro portuale, tra impianto portuale e sistema produttivo;
     2) a porre in essere tutte le iniziative necessarie per rispettare gli impegni assunti dal Governo, di concerto con la società Anas spa, affinché l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, relativamente alla parte già cantierata, sia completata entro il 2013, e a promuovere l'avvio della realizzazione degli ultimi 59 chilometri che vanno progettati ed appaltati, con le modalità più idonee per l'accesso alle esigenze finanziarie;
     3) ad assumere in tempi ragionevoli una posizione definitiva in merito al progetto del ponte sullo Stretto, mantenendo in ogni caso la destinazione delle somme al sistema infrastrutturale calabrese e siciliano;
    e) a finanziare il programma straordinario per gli uffici giudiziari e la polizia giudiziaria della regione Calabria, nell'interesse dei cittadini e in coerenza con le linee guida approvate all'unanimità dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere nella seduta del 25 gennaio 2012 e a garantire a tutti i livelli, tenuto conto del nesso particolarmente stretto tra sviluppo economico-territoriale e legalità, adeguati presidi di legalità, anche con riferimento al complesso della rete dei tribunali calabresi;
    f) a sollecitare i soggetti attuatori affinché avviino celermente gli interventi di riduzione del dissesto idrogeologico, di bonifica dei siti inquinati e di manutenzione del territorio di cui alle delibere Cipe del 3 agosto 2011, 20 gennaio 2012 e del 3 agosto 2012, in forze delle quali sono stati stanziati per la regione Calabria, rispettivamente, 723 milioni di euro, 199 milioni di euro e 38 milioni di euro, anche tramite le verifiche e i sopralluoghi effettuati dal team di tecnici delle strutture del Ministero per la coesione territoriale;
    g) a dare ulteriore stimolo al processo di bonifica delle aree industriali dismesse del crotonese ex Pertusola, ex Fosfotec ed ex Agricoltura, interessate da un alto livello di contaminazione da metalli pesanti del suolo e delle acque di falda;
    h) ad adottare ogni iniziativa utile per una celere attuazione degli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici già finanziati con le risorse di cui alla delibera Cipe del 20 gennaio 2012, n. 6, dove oltre 42 milioni di euro sono destinati alle scuole della Calabria;
    i) a verificare urgentemente gli adempimenti ancora necessari per completare l’iter per la realizzazione dei nuovi ospedali previsti dall'accordo di programma integrativo sottoscritto dal Ministro della salute e dal presidente della regione Calabria in data 6 dicembre 2007;
    l) a sostenere per le regioni obiettivo convergenza, nell'ambito dei negoziati per la riforma della politica agricola comune, una riforma non penalizzante dei pagamenti diretti, favorendo l'inserimento nel greening anche dell'olivicoltura e dell'agrumicoltura, nonché una riforma che preveda un aiuto specifico in favore delle coltivazioni tipiche di tali aree, anche sotto forma di maggiorazione degli aiuti diretti della politica agricola comune;
    m) a sollecitare la realizzazione di interventi per lo sviluppo dei principali siti archeologici anche per accrescere l'offerta turistica regionale, rendendola adeguata e competitiva, attraverso, in particolare, il potenziamento dei servizi di accoglienza delle aree archeologiche di Sibari, Roccelletta di Borgia, Locri e Kroton (con l'istituzione di un parco archeologico relativo alla vecchia polis crotoniate e all'area sacra di Capo Colonna), nel quadro dell'ampia riprogrammazione dell'intervento per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale delle regioni del Sud, finanziato attraverso le risorse dei fondi strutturali comunitari, di cui una larga parte riguarda il patrimonio archeologico della regione Calabria, nonché a verificare la possibilità, d'intesa con le diverse realtà territoriali interessate, di recuperare il tracciato dell'antica via Popilia, quale strumento per il recupero dell'identità storica di un territorio vasto e multiforme e delle sue molteplici interrelazioni.
(1-01118)
(Ulteriore nuova formulazione) «Bersani, Cicchitto, Casini, Misiti, Angela Napoli, Nucara, Moffa, Belcastro, Mosella».