XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 1 ottobre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il turismo è un'industria trainante a livello mondiale, europeo e nazionale ed è uno dei pilastri su cui si regge l'economia di molti territori, come tale da sostenere e incentivare;
    secondo il World Travel & Tourism Council (WTTC) nel 2011 il contributo diretto al PIL italiano del settore viaggi e turismo è stato di 51,4 miliardi di euro pari al 3,3 per cento del PIL, dato leggermente superiore rispetto al 2010, che dovrebbe scendere a un valore di circa 50,6 miliardi, nel corso del 2012;
    includendo oltre agli impatti generati in modo diretto, anche quelli indiretti e indotti, il contributo totale del Turismo al PIL in Italia è stato di 136.1 miliardi di euro (8,6 per cento del PIL) nel corso del 2011;
    nel 2011 il settore del turismo in Italia ha generato 868.500 posti di lavoro inseriti in modo diretto nel settore come in hotel, compagnie aeree, agenzie di viaggi e altri servizi, includendo anche servizi di divertimento e ristorazione direttamente interessati dal turismo, che rappresentano il 3,8 per cento dell'occupazione totale;
    per quanto concerne l'occupazione, per l'anno corrente (2012) si prevede un calo attorno all'1,3 per cento, che si traduce in 857.000 posti (3,8 per cento dell'occupazione totale);
    le stime del WTTC indicano un aumento del contributo del turismo nell'occupazione entro il 2022 in Italia, pari a 996.000 posti di lavoro generati in modo diretto con un incremento dell'1,5 per cento, all'anno nei prossimi 10 anni;
    il contributo totale del settore viaggi e turismo all'occupazione, compresi investimenti, impatti indiretti e indotti, in Italia è stato di 2.231.500 posti di lavoro nel 2011 (9,7 per cento dell'occupazione totale), anche in questo caso il dato nel corso di quest'anno dovrebbe scendere del 2,5 per cento, a circa 2.176.000 posti di lavoro (9,6 per cento dell'occupazione totale);
    le esportazioni dei visitatori sono una componente essenziale del contributo diretto del turismo, nel 2011 l'Italia ha generato 30,5 miliardi di euro di esportazioni derivanti dai visitatori, ma è attesa una diminuzione per la fine dell'anno in corso pari allo 0,9 per cento;
    il WTTC ipotizza una crescita fino a quasi 54 milioni di visitatori internazionali entro il 2022, generatori di una spesa di circa 32,7 miliardi di euro;
    il settore dei viaggi e del turismo in Italia ha attirato investimenti di capitali per 12,6 miliardi nel corso del 2011; per l'anno corrente si prevede una diminuzione del 6,2 per cento;
    l'Italia è un Paese straordinario, ha un patrimonio culturale, ambientale e imprenditoriale ineguagliabile: possiede, la maggior parte dei siti mondiali dell'Unesco, 5.000 chilometri di costa balneabile, 68.000 chilometri quadrati di superficie forestale, 146 riserve naturali, 2.100 siti e monumenti archeologici, 20.000 rocche e castelli, 40.000 dimore storiche, 128 parchi tematici, 185 località termali. Luoghi meravigliosi, serviti da 33.411 alberghi, 2.374 campeggi e villaggi turistici, 11.525 aziende agrituristiche, 10.583 agenzie di viaggio, 95.000 posti barca in porti, 77.807 ristoranti, trattorie, pizzerie, 390 aziende termali (fonte Censis);
    nonostante questa dote culturale e naturale ineguagliabile, il nostro Paese è 21° in Europa e 28° nel mondo, nella classifica generale stilata dal World economic forum sulla competitività turistica di 133 Paesi;
    se il nostro Paese è così ricco di bellezze e di valore dal punto di vista naturale e culturale, è del tutto evidente che, un progetto strategico di sviluppo del comparto debba basarsi sulla sostenibilità ambientale della crescita turistica, il turismo da incentivare e promuovere, nella fase attuale, è quello sostenibile, ovvero il turismo responsabile nei confronti dell'ambiente, delle popolazioni e delle culture locali;
    in Italia il valore aggiunto del comparto «alberghi e ristoranti» negli anni novanta e cresciuto di circa il 3 per cento all'anno (il doppio del PIL), negli anni duemila la crescita media del comparto si è azzerata (-0,1 per cento) ed il PIL è cresciuto dello 0,2 per cento la quota di mercato dell'Italia è progressivamente diminuita, già nel 1999 l'Italia aveva perso il proprio primato in Europa;
    dal punto di vista delle politiche pubbliche non c’è stato adattamento ai mutamenti intervenuti nella composizione della domanda internazionale, anche se il saldo del turismo internazionale dell'Italia resta in attivo grazie alla ricchezza delle attrattive turistiche;
    tuttavia negli ultimi 15 anni l'interscambio turistico con l'estero ha contribuito meno alla crescita del PIL per effetto di una crescita delle spese degli italiani all'estero, più alta di quella, rimasta stagnante degli stranieri in Italia;
    in particolare è diminuito il contributo dei Paesi ad alto reddito, tradizionali mercati per l'Italia, compensato in termini di arrivi ma non di introiti da viaggiatori dei nuovi Paesi UE (est europeo) a minore capacità di spesa giornaliera;
    seppure in crescita è ancora modesto il contributo, in termini di presenze turistiche, proveniente dai paesi BRIC che offrono le maggiori potenzialità di sviluppo del settore;
    gli introiti turistici del Mezzogiorno contribuiscono limitatamente al totale delle entrate (13 per cento) nonostante l'elevata attrattività dei suoi territori; nei primi anni 2000, lo sviluppo dei voli low cost e gli investimenti per migliorare la qualità e quantità delle strutture alberghiere aveva fatto sperare in una crescita molto maggiore che tuttavia non si è realizzata, e il Mezzogiorno è oggi l'area più penalizzata dalla crisi;
    l'OCSE nel 2011 ha segnalato che in Italia manca un coordinamento locale fra responsabili della gestione del patrimonio culturale e dello sviluppo turistico e che è importante la promozione del «marchi Italia» nei paesi emergenti in cui le destinazioni locali non hanno riconoscibilità;
    secondo il World Economie Forum, per l'Italia è, inoltre, penalizzante il fatto che i governi non riconoscano nel turismo una risorsa prioritaria, che è invece così importante per l'economia nel suo complesso, insufficiente, a giudizio degli analisti del WEF, anche il sistema delle infrastrutture di trasporto di superficie e l'attenzione ad uno sviluppo sostenibile del turismo da un punto di vista ambientale;
    il dato certo e univoco è che il turismo rimane un settore orfano di politiche pubbliche e di risorse all'altezza della situazione;
    lo scorso Governo ha istituito un ministro senza portafoglio, l'attuale Ministro ha soppresso il dipartimento del turismo, accorpandolo a quello degli affari regionali, scelta che rischia di rendere ancora più marginale il turismo e di rinviare le scelte strategiche che il turismo attende da tanto tempo, visto che il settore non dispone di alcuna risorsa propria ed essendo il turismo materia di competenza delle regioni, il Parlamento non può legiferare;
    a tal proposito è utile ricordare che la consulta ha dichiarato incostituzionali ben 19 articoli del decreto legislativo n. 79 del 23 maggio 2011 (Codice del turismo) per eccesso di delega e per violazione delle competenze esclusive delle regioni in materia turistica;
    la cancellazione di buona parte del Codice del turismo, fortemente voluto dal ministro precedente, nonostante il parere contrario della Conferenza delle regioni, delle associazioni di categoria e dei consumatori, pone il settore in una situazione di vacatio legis, visto che il citato codice ha abrogato la legge 135 del 2001;
    il settore naviga in questa situazione di incertezza nonostante i risultati del primo Conto satellite del turismo in Italia, promosso dal dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo – Osservatorio nazionale del turismo, stabiliscano che il valore aggiunto prodotto in Italia dal turismo è stato pari, nel 2010, a 82.833 milioni di euro, il 6 per cento del valore aggiunto totale dell'economia, un'incidenza del turismo sull'economia, molto vicina a quella del settore delle costruzioni;
    il turismo si colloca, dunque, tra le industrie più rilevanti per l'economia italiana ma è l'unica ad essere trattata come una vera e propria Cenerentola, nonostante le speranze di occupazione di migliaia di giovani possano essere indirizzate, con effetti a breve termine, proprio verso questo comparto;
    il settore, da tempo, ha l'esigenza primaria di essere sostenuto nella riqualificazione e nell'innovazione delle strutture d'accoglienza pubbliche e private, attende una politica in grado di fare del Paese un unico grande sistema dedicato alla vacanza, al loisir, al benessere, puntando su risorse culturali, paesaggistiche e naturali uniche al mondo ma disperse e difficilmente fruibili, al di fuori dei soliti circuiti gestiti dai tour operator;
    il miglioramento degli standard qualitativi delle strutture turistico-ricettive è indispensabile per allineare la qualità del prodotto turistico italiano alla concorrenza internazionale, attraverso un adeguamento infrastrutturale basato su incentivi che permettano la riqualificazione, in primo luogo delle piccole strutture turistiche;
    il turismo infine non può essere delocalizzato ed è la più importante, vera, grande risorsa di sviluppo dell'intera area del Mezzogiorno, oltre ad essere un potenziale ambasciatore a livello planetario della qualità e dell’appeal del nostro Paese nel mondo;
    per rispondere alle esigenze sopra esposte è fondamentale incentrare il Piano strategico di rilancio del turismo, i cui contenuti sono stati di recente oggetto di approfondimento tra il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport e un'ampia rappresentanza delle regioni, sulla crescita sostenibile del comparto,

impegna il Governo:

   ad accelerare l'adozione del Piano strategico di rilancio del turismo nella forma di un provvedimento da sottoporre al parere del Parlamento;
   ad accompagnare il citato Piano strategico con la contestuale indicazione delle risorse da impiegarsi nella sua attuazione, seppure in modo graduale, ma certo e continuativo;
   a finalizzare il Piano Strategico e le relative risorse:
    a) estendere gli incentivi previsti per le ristrutturazioni edilizie, anche alle spese relative alla riqualificazione energetica, alla ristrutturazione e riqualificazione delle unità immobiliari strumentali adibite a strutture ricettive turistiche;
    b) rilanciare il ruolo dell'Enit-Agenzia per promuovere in modo adeguato il turismo nel mondo;
    c) a riformare l'attuale sistema dei buoni vacanze, titoli di pagamento immediatamente spendibili, utilizzati in molti Paesi esteri per il sostegno alla domanda di turismo interno e per coinvolgere fasce di popolazione in genere escluse, quali anziani, disabili, giovani e famiglie meno abbienti, che rappresentano una percentuale elevata della popolazione, aumentando le risorse ad essi destinate e il contributo statale di cui possono usufruire gli aventi diritto e a mantenere le risorse attualmente stanziate;
    d) a incentivare l'innovazione e la crescita dimensionale della grande platea degli alberghi di piccole e medie dimensioni, favorendo l'acquisto degli immobili ad uso turistico-ricettivo da parte dei gestori;
    e) ad applicare la disciplina sugli standard alberghieri a tutta la filiera ricettiva e non ai soli nuovi alberghi prevedendo la detassazione sugli investimenti volti alla riqualificazione e alle dotazioni infrastrutturali (piscine, strutture sportive, centri benessere e altro), prevedendo un rating pubblico per i servizi offerti dalle strutture ricettive da effettuarsi in accordo con le associazioni di tutela dei consumatori;
    f) a riformare la disciplina delle concessioni e dei canoni demaniali ad uso turistico ricreativo, accelerando l’iter della presentazione dell'atteso decreto e sottoponendolo, oltre che all'intesa delle regioni, alla consultazione della categoria e del Parlamento;
    g) a considerare il personale che lavora nel turismo un patrimonio irrinunciabile per la crescita del settore, prevedendo la formazione permanente degli addetti, il riconoscimento delle nuove figure professionali turistico-ricreative ai fini della loro qualificazione ed evitando anche per questa via, lo svilupparsi di un'area di lavoro sommerso e precario.
(1-01154) «Marchioni, Lulli, Colaninno, Fadda, Froner, Martella, Mastromauro, Peluffo, Portas, Quartiani, Sanga, Scarpetti, Federico Testa, Vico, Zunino».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    le aflatossine sono micotossine prodotte da funghi principalmente appartenenti al genere Aspergillus ed in particolare da A. flavus e A. parasiticus;
    queste tossine costituiscono un pericolo reale, essendo l'aflatossina B1 l'epatocancerogeno più potente che si conosca;
    il pericolo riguardo alle aflatossine non si limita all'alimentazione diretta se gli animali vengono alimentati con mangimi che le contengono, un loro metabolita, l'aflatossina M1, viene trasferito al latte;
    lo sviluppo di tali funghi tossigeni, ampliamenti diffusi in natura, avviene nei nostri ambienti cerealicoli in campo quando le condizioni climatiche di gran caldo, umidità relativa elevata e stress idrico ne favoriscono la diffusione e la crescita;
    data la facilità con cui tali contaminanti si sviluppano è opportuno garantire una piena vigilanza, dato che soltanto attraverso un completo e scrupoloso monitoraggio è possibile avere consapevolezza dell'entità e della diffusione della problematica;
    le operazioni di pulizia e selezione fisica sul «semilavorato essiccato grezzo», se scrupolosamente effettuate, consentono di ridurre la contaminazione e recuperare quote importanti del prodotto all'utilizzo;
    nel nostro Paese monitoraggio e selezione vengono effettuate con grande attenzione e più volte è stato riconosciuta agli operatori italiani un'opera eccezionale che garantisce, nel contempo, qualità e sicurezza, nonostante i danni economici che talvolta i produttori devono sopportare per garantire queste due prerogative al mais italiano;
    la normativa richiede oggi, uno sforzo eccezionale per contenere il rischio aflatossine nel mais, dato che l'Unione Europea e l'Italia opera sulla base del concetto di precauzione, che risulta essere molto più rigido, e considera meno di quanto si fa negli Stati Uniti le conseguenze economiche per gli operatori delle diverse filiere;
    data l'intenzione più volte palesata dall'Esecutivo di non agire tempestivamente emanando una deroga temporanea, in presenza di adeguate misure di tracciabilità e di possibilità di controllo della stessa, che consenta l'innalzamento dei limiti per le aflatossine nel mais destinato all'alimentazione animale per quelle produzioni, quali carni e uova, senza rischi per la salute animale e umana, con particolare riguardo alla filiera dei prodotti per l'infanzia e di quelle dedicate a fasce di consumatori potenzialmente più esposte, come quelle ad esempio dei celiaci, è bene che sia garantito con assoluta certezza che i criteri validi per i produttori nazionali siano rispettati anche per i prodotti importati,

impegna il Governo:

   ad effettuare, sul mais importato da Paesi dell'Unione europea e al di fuori dell'Unione europea, controlli atti a garantire la presenza di livelli di aflatossine nel mais conformi a quanto previsto attualmente dalla normativa europea e nazionale;
   a relazionare prontamente agli organi parlamentari competenti le risultanze di tali controlli e, più specificamente, in che grado, considerando il quantitativo della merce controllata rispetto al totale dell'importazioni di mais, essi possano garantire la sicurezza circa una presenza di aflatossine nel mais conforme a quanto previsto attualmente dalla normativa europea e nazionale;
   a individuare, nel caso non venga definita una deroga rispetto alla normativa attuale in materia di aflatossine, strumenti alternativi per soddisfare le carenze riscontrate rispetto ai consumi necessari alla filiera agroalimentare alimentata dal mais onde prevenire distorsioni di prezzo nel mercato.
(7-00994) «Bellotti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOMBARDO, COMMERCIO e OLIVERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che
   la presenza e la permanenza nella sede di Messina della Motovedetta CC 710, rappresenta una fondamentale risorsa per l'istituzione, sia dal punto di vista dell'immagine che sul piano prettamente pratico;
   il piano di razionalizzazione del servizio navale dell'arma dei carabinieri, non ha tenuto conto del fatto che la sede di dislocamento della Motovedetta, è anche sede del Comando interregionale carabinieri «Culqualber»; tale presenza renderebbe maggiormente plausibile la permanenza in Messina di una motovedetta dell'arma;
   la motovedetta CC 710 è stabilmente inserita nel Piano Locale S.A.R. (Search and rescue) delle capitanerie di porto di Messina e Milazzo, relativamente alle zone di propria competenza;
   con la soppressione del sito di Messina, così come da piano di razionalizzazione, l'area dello Stretto si troverebbe priva di presidio dell'Arma, considerato che le più vicine unità della costa sicula si troverebbero a Milazzo (competenza territoriale da Punta Finale di Pollina-Foce Fiume Alcantara) ed Augusta (Foce Fiume Alcantara-Capo Passero), mentre per quella calabra, sempre come previsto nel detto piano, l'unico presidio regionale è rappresentato dall'unità di Vibo Marina. Tale circostanza creerebbe notevole nocumento all'istituzione, poiché in caso di eventuale intervento operativo da effettuare nella detta area da parte delle prefate unità dell'Arma, il ritardo per raggiungere la zona d'interesse sarebbe considerevole, con conseguenze fortemente negative;
   la motovedetta CC 710 è altresì inserita nel dispositivo di ordine pubblico per l'emergenza immigrazione clandestina dell'isola di Lampedusa, già operativo dal 2011, ove viene impiegata unitamente alle altre unità d'altura dell'Arma dislocate in Sicilia;
   tale alternanza ha fino ad oggi consentito la presenza di almeno una unità nelle rispettive zone di impiego consentendo, in caso di necessità, l'intervento in aree adiacenti così come verificatosi nei mesi di agosto e settembre 2012, quando la Motovedetta CC 710 è stata impiegata sia in Calabria, località Capo Bruzzano del comune di Bianco (Reggio Calabria), per il rinvenimento in mare di reperti archeologici, che presso l'isola di Alicudi, per le ricerche di un subacqueo disperso in mare il cui corpo veniva successivamente recuperato con l'ausilio della detta unità navale;
   l'ormai continuo arrivo nel porto di Messina di navi da crociera delle compagnie di navigazione più affermate, ha reso lo scalo cittadino uno dei più importanti del Paese facendo sì che anche la presenza della «barca dei Carabinieri», impiegata nella vigilanza sulle operazioni di approdo, sbarco ed imbarco passeggeri, venga apprezzata come garanzia di sicurezza ed affidabilità, nonché punto di riferimento per tutti i crocieristi – anche quelli stranieri – considerata «l'internazionalità» dell'Arma dei carabinieri;
   nell'area dell'arsenale militare di Messina è inoltre prevista la realizzazione di un centro di eccellenza della NATO, volto alla demilitarizzazione e allo smaltimento di unità navali, non più in linea, fino a duemila tonnellate (il cosiddetto naviglio sottile). Così come indicato nel piano di demilitarizzazione dell'Agenzia industrie e difesa – da cui l'arsenale di Messina dipende dal 2001 – tale attività potrà avere inizio già entro la fine del corrente anno, a seguito della verifica che sarà effettuata al termine della stagione estiva da parte della NAMSA (strumento logistico-amministrativo della NATO, con sede in Lussemburgo). Tale opera che conseguentemente diventerà un appoggio logistico per la NATO stessa, rappresenterà un delicatissimo obiettivo sensibile, la cui vigilanza a mare, così come già si verifica in altre sedi di tale organismo internazionale (Augusta), potrà rientrare nei compiti devoluti all'Arma dei carabinieri –:
   se, verificata la situazione e preso atto che l'area dello Stretto di Messina, fondamentale anche strategicamente, rimarrebbe privata della motovedetta da sempre presente, non si ritenga di rivedere il piano predisposto e mantenere a Messina la motovedetta CC 710. (4-17887)


   ROSATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dalla giornata di mercoledì 26 settembre 2012, attorno a Cefalù (Palermo) è divampato un imponente incendio alimentato dal vento di scirocco, lungo un fronte di 6 chilometri;
   le fiamme hanno minacciato diversi centri abitati e centri di villeggiatura che i Vigili del fuoco, con grande professionalità e tempestività, hanno fatto evacuare per prevenire l'incolumità di residenti e ospiti;
   durante tutta la notte sono proseguite le operazioni di spegnimento dell'incendio nonostante la difficoltà incontrate dalla squadre di terra causate dal continuo cambio di direzione del vento. In soccorso all'emergenza determinatasi sulle colline di Cefalù, alle squadre dei vigili del fuoco provenienti anche da Enna e Caltanissetta, si sono aggiunti un veicolo canadair e due elicotteri della protezione civile;
   gli incendi boschivi a Cefalù rappresentano una costante, da ultimo nel 2007 un vasto fronte boschivo è stato assediato dalle fiamme e ne è rimasto devastato;
   nonostante la situazione si riproponga continuativamente, sono giunte segnalazioni di alcune falle nell'organizzazione degli interventi di soccorso;
   la legge n. 353 del 2000, all'articolo 7 comma 3 prevede che «le regioni programmano la lotta attiva (...), e assicurano il coordinamento delle proprie strutture antincendio con quelle statali istituendo e gestendo con una operatività di tipo continuativo nei periodi a rischio di incendio boschivo le sale operative unificate permanenti (SOUP), avvalendosi, oltre che delle proprie strutture e dei propri mezzi aerei di supporto all'attività delle squadre a terra: a) di risorse, mezzi e personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del Corpo forestale dello Stato in base ad accordi di programma; b) di personale appartenente ad organizzazioni di volontariato (...); c) di risorse, mezzi e personale delle Forze armate e delle Forze di polizia dello Stato, in caso di riconosciuta e urgente necessità, richiedendoli all'Autorità competente che ne potrà disporre l'utilizzo in dipendenza delle proprie esigenze; d) di mezzi aerei di altre regioni in base ad accordi di programma. Su richiesta delle regioni, il Centro operativo aereo unificato interviene, con la flotta aerea secondo procedure prestabilite e tramite le SOUP»;
   secondo quanto riportato da un articolo de la Repubblica, edizione di Palermo, del 28 settembre 2012 dal titolo «Inferno di fuoco nella notte a Cefalù sgomberate oltre cento persone» il sindaco di Cefalù, Rosario Lapunzina, avrebbe proclamato lo stato di emergenza, dopo aver lanciato un drammatico appello e la richiesta di aiuto al prefetto Umberto Postiglione per l'invio dell'esercito per far fronte all'avanzare dell'incendio;
   sempre secondo quanto riportato dal succitato articolo sembrerebbe che, a causa del forte vento, non abbiano potuto operare gli elicotteri chiamati ad intervenire sulla zona, dopo che l'unico veicolo canadair in servizio durante il divampare dell'incendio, dopo i primi lanci, sia stato richiamato a Roma intorno alle 16 e non avrebbe più partecipato alle operazioni sino alla mattina del 27 settembre, quando sono arrivati anche altri canadair e gli elicotteri della forestale;
   l'articolo pubblicato da il Corriere del Mezzogiorno, il 28 settembre 2012, «Cefalù, ancora roghi», riporta la notizia in merito alla spiegazione fornita al sindaco per giustificare il richiamo alla base dell'unico canadair in servizio la notte del rogo: in prima battuta, si sarebbe trattato di un cambio di pilota. Successivamente, il richiamo è stato giustificato con un problema di «avaria». Il fatto è che il canadair non è rientrato in servizio prima dell'indomani mattina provocando, probabilmente, un aggravarsi della situazione –:
   se siano a conoscenza delle difficoltà nell'organizzazione delle operazioni di soccorso denunciate dalle autorità locali;
   per quanto di propria competenza, se ritengano che ci sia stata una falla organizzativa nella gestione del coordinamento delle attività antincendio, in particolare nell'utilizzo della flotta aerea antincendio, e per quali ragioni;
   quali iniziative di propria competenza intendano adottare per evitare che simili disfunzioni continuino a ripetersi nel futuro. (4-17895)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   GARAVINI, GIANNI FARINA e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   dal corrente anno scolastico, nella «Leonardo Da Vinci – Gesamtschule» operante a Wolfsburg (Germania) viene a mancare un insegnante per la classe di concorso A043, in quanto il Ministero degli affari esteri non ha inteso ricoprire il posto lasciato libero dall'insegnante precedentemente assegnata;
   nel quadro della promozione del plurilinguismo da parte dell'Unione Europea, la «Leonardo Da Vinci – Gesamtschule» realizza un insegnamento bilingue a beneficio di centinaia di famiglie italiane, italo-tedesche e tedesche ed è un fattore incisivo di integrazione nell'area in cui opera; in essa, infatti, l'italiano, la storia e la geografia sono insegnate nella nostra lingua dalla prima classe fino alla licenza superiore;
   il venir meno di un insegnante di italiano incide negativamente sulla qualità dell'offerta formativa della scuola; per garantire a tutti i corsi di italiano, inoltre, la direzione si è vista costretta a riunire due classi, assegnando un numero molto elevato di alunni a un solo docente;
   l'eliminazione dell'insegnante di italiano compromette l'immagine del nostro Paese e diminuisce la nostra affidabilità nei confronti delle autorità scolastiche e istituzionali tedesche, poiché mette in discussione la convenzione di cooperazione educativa che la nostra amministrazione ha stipulato con il Land Niedersachsen, assumendo l'impegno di garantire almeno tre insegnanti di ruolo nella scuola fino al mese di luglio 2013;
   le difficoltà a cui soggiace la scuola ricadono sulla numerosa e attiva comunità italiana residente nell'area e frenano il positivo processo d'integrazione fin qui realizzato;
   una misura analoga colpisce il «Centre International de Valbonne» di Nizza nel quale operano cinque sezioni internazionali, di cui una in italiano comprensiva delle classi che vanno dalla prima media all'ultimo anno di liceo;
   nel liceo, frequentato da circa 130 allievi, fino allo scorso anno scolastico operavano due professori di letteratura italiana, storia e geografia, uno dei quali non è stato sostituito dopo avere raggiunto la soglia della pensione;
   un solo insegnante, evidentemente, non può far fronte alle esigenze formative di 130 allievi; anche la decisione del Ministero dell'educazione francese di sopperire il vuoto che si è determinato non assicura il livello didattico di cui gli alunni già disponevano, essendo il docente incaricato di coprire solo l'insegnamento dell'italiano, peraltro senza essere di madrelingua, e non anche della geografia e della storia;
   l'eliminazione di uno dei posti d'insegnante nel «Centre International de Valbonne» pesa negativamente sulla Convenzione stipulata con le autorità francesi, in base alla quale l'amministrazione italiana si impegnava a garantire un'adeguata copertura didattica delle attività formative; la situazione che si è determinata, non a caso, è stata raccolta criticamente da un giornale locale, danneggiando l'immagine del nostro Paese;
   l'orientamento di non occupare il posto degli insegnanti che vanno in pensione o che concludono il ciclo di insegnamento all'estero è frutto della riduzione del contingente determinato dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95; la cancellazione dei posti, tuttavia, non sempre è stata interpretata in modo automatico, ma ha subito eccezioni in relazione alle concrete situazioni esistenti presso scuole, corsi e lettorati;
   le situazioni sopra descritte, relative a Wolfsburg e Nizza, sono certamente meritevoli di essere considerate prioritarie e strategiche nel quadro generale dell'insegnamento della lingua e della cultura italiana all'estero –:
   se il Ministro degli affari esteri non ritenga di porre rimedio alle situazioni di difficoltà in cui versano la «Leonardo Da Vinci» e il «Centre International de Valbonne», e di disporre con urgenza il reintegro dei livelli didattici e formativi fino ad ora assicurati, anche per rispettare gli impegni assunti con le istituzioni locali. (4-17901)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   PIZZOLANTE e TOCCAFONDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in materia di rifiuti, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (decreto «salva Italia») è intervenuto modificando l'articolo 195, comma 2, lettera e) del decreto legislativo n. 152 del 2006 (testo unico delle norme in materia ambientale) e che tale riforma consente ai comuni di assimilare ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, nonché di ampliare il campo di applicazione della RES (tributo comunale rifiuti e servizi) anche ai rifiuti industriali prodotti nelle aree produttive;
   dal 1998 si attende l'emanazione di un apposito decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico che deve definire le relative condizioni quali-quantitative dei rifiuti assimilabili, come riporta lo stesso articolo 195, comma 2, lett. e) – rimasto invariato – «sono definiti entro 90 giorni, i criteri per l'assimilabilità ai rifiuti urbani», e che la mancata emanazione di detto decreto ha determinato, fino ad oggi, il perdurare della dannosa prassi di molte amministrazioni comunali di estendere il perimetro dei rifiuti speciali assimilati a quelli urbani così sottraendo al libero mercato le attività di raccolta e smaltimento di alcune tipologie di rifiuti provenienti da attività industriali, artigianali, e commerciali, nonostante la normativa in materia di assimilazione non potrebbe essere applicata perché vacante del decreto attuativo mai emanato;
   in tale contesto, si verificheranno ulteriori rilevanti squilibri concorrenziali poiché verranno sottratti al libero mercato le attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti speciali che oggi sono affidate agli operatori attivi nella gestione dei rifiuti speciali sulla base di rapporti contrattuali con i produttori stessi e si determinerà anche un incremento dei costi per i cittadini in quanto il tributo comunale sui rifiuti dovrà coprire anche i costi per la gestione dei rifiuti speciali che il comune assimilerà agli urbani e che invece, ad oggi, sono sostenuti direttamente dai produttori dei rifiuti che sono tenuti a provvedere allo smaltimento dei rifiuti speciali a proprie spese;
   in tutti quei comuni ove il sistema di raccolta differenziata non è ancora efficiente (e sono la maggioranza; si pensi che Roma è ancora ferma al 20 per cento di raccolta differenziata) è facilmente prevedibile che detti rifiuti speciali e recuperabili vengano raccolti in modo indifferenziato e smaltiti in discarica anziché recuperati; ritardando ulteriormente il raggiungimento degli obiettivi imposti dalla legge in tema di raccolta differenziata e quindi determinando un danno all'ambiente –:
   se, in conseguenza di quanto sopra esposto, sia prevista, e con che tempi, la costituzione di un tavolo di concertazione tra tutte le associazioni di categoria coinvolte nel processo di assimilazione ed i Ministeri competenti per la formulazione dell'atto ministeriale previsto dall'articolo 195, comma 2, lettera e) del decreto legislativo n. 152 del 2006, che stabilisca in maniera univoca i criteri per l'assimilazione ai rifiuti urbani limitando gli ambiti discrezionali delle amministrazioni comunali nell'individuazione della quantità e qualità di tipologie di rifiuti speciali da assimilare ai rifiuti urbani. (4-17888)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


   STRIZZOLO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la città di Cividale del Friuli è patrimonio dell'umanità come proclamato dall'Unesco il 27 giugno del 2011 segnando per l'Italia il quarantacinquesimo ingresso (record mondiale) nella world heritage list;
   tale risultato è anche dovuto, oltre che all'impegno profuso dalle istituzioni locali, che si sono attivate sin dal 1996 per ottenere tale importante riconoscimento per le opere di pregio del periodo longobardo, anche alla presenza sul territorio di antichi insediamenti di epoca romana che rafforzano il valore storico, archeologico e culturale dell'intero compendio cividalese;
   in particolare, in Cividale del Friuli, si segnala la presenza delle mura patriarcali, risalenti all'epoca tardo-romana e oggetto di vincolo per effetto del decreto ministeriale del 5 maggio 1954, emesso ai sensi della legge n. 1089 del 1939;
   nell'area sottoposta a vincolo, nello specifico al mappale n. 164, foglio n. 16, il comune di Cividale del Friuli, nel corso dell'anno 1962, rilasciò una concessione – senza chiedere preventivamente l'autorizzazione alle Belle arti – per la costruzione di un fabbricato ad uso abitazione che, negli anni seguenti, si è elevato di due piani ed è diventato un «hard discount», oggi risultante chiuso ma che lede fortemente la godibilità e il decoro dell'ex Castello Craigher, nel frattempo divenuto fondazione Niccolò Canussio, adiacente al fabbricato costruito in area vincolata;
   sulla base di sopralluoghi effettuati da esperti incaricati dal Ministero per i beni e le attività culturali nel mese di aprile del 2011, anche in vista del pronunciamento dell'UNESCO sulla tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico presente in Cividale del Friuli, risulterebbe che resti delle antiche mura romaniche potrebbero essere rintracciabili al di sotto del piano di calpestio e ancora inglobati nel fabbricato costruito nell'area vincolata;
   il comune di Cividale del Friuli ha recentemente approvato il PAC (piano attuativo comunale) che prevede interventi di salvaguardia su tutti i circuiti murari della città, ivi compreso quello antistante l'odierno castello Canussio in relazione al quale la omonima fondazione, da tempo, sta sollecitando un adeguato e tempestivo intervento delle autorità competenti per riportare i resti delle fondazioni della cinta muraria al legittimo godimento della comunità cividalese e di tutti i cittadini italiani e stranieri appassionati di storia e di archeologia;
   nel piano attuativo comunale, il comune di Cividale del Friuli ha individuato il fabbricato esistente (conosciuto come «hard discount») sul mappale vincolato quale «edificio di contrasto» e, pertanto, «soggetto alla promozione ed incentivazione della sostituzione dell'edificio mediante demolizione totale o parziale dello stesso con applicazione della perequazione e compensazione urbanistica attraverso stipula di convenzione tra amministrazione e soggetto proponente» e tale previsione urbanistica può consentire, finalmente, un intervento risolutivo per il recupero e la tutela delle cinte murarie tardo romane;
   la direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee, servizio II – tutela del patrimonio architettonico del Ministero per i beni e le attività culturali, risulta abbia indirizzato, in data 30 gennaio 2012, con prot. n. 3040 cl. 34.34.01, una specifica segnalazione alla soprintendenza del Friuli Venezia-Giulia e alle istituzioni locali per sbloccare il problema sopra sinteticamente descritto –:
   quali siano gli esiti di tale comunicazione e quali concrete e tempestive iniziative intenda promuovere il Ministro interrogato per far rispettare il vincolo più sopra indicato e, conseguentemente, salvaguardare e tutelare le cinte murarie tardo romaniche di Cividale del Friuli.
(4-17889)

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è svolto il 20 settembre 2012 un incontro tra le organizzazioni del Tavolo nazionale immigrazione e rappresentanti del Governo coinvolti nella procedura di emersione prevista dal decreto-legge n. 109 del 2012 attuativo della direttiva europea n. 52;
   alla riunione, i rappresentanti del tavolo hanno esposto le preoccupazioni derivanti dall'estrema difficoltà di utilizzare il provvedimento a causa di alcune condizioni previste per accedervi e che impedirebbe di fatto a una parte dei datori di lavoro di far emergere i rapporti di lavoro in corso. In particolare, l'esperienza dei primi giorni dall'entrata in vigore conferma il rischio di un insuccesso dell'intervento di emersione in assenza di chiarimenti sui principali punti critici;
   la richiesta della prova di presenza in Italia al 31 dicembre 2011, è a parere degli interroganti, incongrua e ingiustificata e si configura come una vessazione sia nei confronti dei lavoratori che dei datori di lavoro. Si ricorda infatti che le pubbliche amministrazioni non possono produrre documentazione, salvo in casi molto particolari, per stranieri irregolarmente presenti nel territorio;
   una potenziale conseguenza negativa è rappresentata dal fatto che il provvedimento potrebbe essere applicato in maniera restrittiva e disomogenea e che, in assenza di una circolare esplicativa, si alimenti il mercato delle prove false e l'attività di faccendieri e frodatori –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative si intendano eventualmente assumere, a partire dalla circolare esplicativa citata, in considerazione del fatto che è necessario chiarire al più presto almeno cosa si intenda per organismi pubblici, ampliando il più possibile il novero dei soggetti che possono rientrare in questa categoria, non escludendo il potenziale ricorso a certificazioni emesse da enti privati poiché l'attuale situazione determina fra l'altro uno scenario che potrebbe dar luogo a un ampio contenzioso giurisdizionale. (4-17880)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   PORFIDIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del comparto della Difesa è in atto un riordino della sanità in senso interforze;
   a parere dell'interrogante il Ministro della difesa, nell'ambito dei provvedimenti di ridimensionamento dell'area logistico-sanitaria, avrebbe deciso di sopprimere, tra gli altri, il dipartimento militare di medicina legale di Caserta ed ha disposto che le strutture soppresse verranno preferenzialmente chiuse oppure transitate nelle strutture di aderenza delle forze armate;
   dal 1o gennaio 2007, il dipartimento militare di medicina legale di Caserta è l'unico ente sanitario militare della Campania nonché punto di riferimento della medicina legale regionale;
   ad oggi il dipartimento militare di medicina legale di Caserta, in termini di mole di lavoro svolto sul vasto bacino di competenza (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e non solo) è secondo solo a quello di Roma, ma con personale medico, in proporzione, notevolmente ridotto. Soddisfa la domanda di un'utenza interforze appartenente alle diverse forze armate ed ai Corpi armati e non armati dello Stato: Esercito, Marina, Aeronautica, Guardia di finanza, Arma dei carabinieri, Polizia di Stato, Polizia penitenziaria, Vigili del fuoco, Corpo forestale;
   se attuato, il provvedimento di soppressione, azzererebbe quasi del tutto la presenza dell'esercito italiano nonché di quello di altre forze armate sul territorio di Caserta, con verosimili ripercussioni negative sulla credibilità dell'intero comparto logistico di sostegno. Caserta rappresenta un punto logistico di grande importanza per un bacino d'utenza molto esteso che riguarda tutto il meridione d'Italia che con questo riordino rischierebbe di trovarsi sguarnito dal servizio. La chiusura della struttura del dipartimento militare di medicina legale casertana arrecherebbe gravi disagi per molti cittadini i quali si troverebbero un aggravio di spesa considerevole a causa degli spostamenti conseguenti alla chiusura del centro;
   infine è a conoscenza dell'interrogante l'esistenza di colloqui in corso tra i vertici del dipartimento militare di medicina legale e della ASL di Caserta al fine di perfezionare una convenzione per effettuare visite ed esami negli ambulatori del dipartimento militare di medicina legale il che rappresenterebbe un introito non indifferente per l'ente Difesa –:
   se la notizia della soppressione del dipartimento militare di medicina legale di Caserta risponda a verità e se, qualora essa sia confermata, il Ministro non ritenga opportuno rivedere il provvedimento in oggetto. (5-08030)


   GIDONI, CHIAPPORI, MOLGORA e DOZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in occasione di un recente convegno promosso da due noti think tank italiani, l'Istituto affari internazionali di Roma e l'Istituto di studi politici internazionali di Milano, dedicato alle missioni internazionali delle nostre Forze Armate, un autorevole esponente del Governo ha espresso l'auspicio che l'Italia uniformi il suo comportamento a quello di alcuni dei suoi maggiori alleati, anticipando il ritiro delle truppe dall'Afghanistan, anche allo scopo di renderle disponibili per eventuali altri impieghi altrove;
   è noto che negli ultimi mesi il contingente italiano di stanza in Afghanistan ha ceduto il controllo di importanti fette di territorio sottoposte alla sua responsabilità, abbandonando anche aree che non possono ritenersi pacificate, come prova la decisione di distruggere alcune basi per non correre il rischio che vengano in futuro utilizzate dalla guerriglia contro le forze di sicurezza dipendenti dal Governo di Kabul;
   il processo sembra quindi andare oltre lo schema previsto dalla cosiddetta «transition» ed appare compatibile con un ritiro più veloce;
   in coincidenza con l'avvicendamento in teatro tra le Brigate Garibaldi e Taurinense si è inoltre proceduto ad effettuare un primo significativo ridimensionamento delle nostre forze sul terreno –:
   se il Governo stia effettivamente considerando o meno la possibilità di anticipare, e a quando, il completamento del ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan.  (5-08031)


   PAGLIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da recenti comunicati delle principali organizzazioni sindacali del comparto Difesa emerge che con lettera prot. n. 004 del 9 agosto 2012 indirizzata al Capo di stato maggiore difesa, il Ministro interrogato ha espresso le proprie valutazioni e direttive in merito al progetto di riordino della sanità militare in senso interforze, messo a punto dall'amministrazione competente senza coinvolgere le OO.SS. e quando ancora è all'esame del Parlamento il disegno di legge delega per il riordino complessivo dello strumento militare (A.S. 3271);
   tra le principali scelte di riordino adottate rientrerebbe sia la soppressione dei Comandi servizi sanitari Nord (Padova) e Sud (Napoli) sia il drastico ridimensionamento dei dipartimenti militari di medicina legale: di questi ne rimarrebbero solamente sette, con chiusura, tra gli altri, di quello di Caserta;
   dalla lettera risulterebbe, altresì, che il Ministro interrogato ha espressamente chiesto di «procedere senza indugi» e mettere a punto entro il 30 settembre 2012 la road-map di dettaglio con le date di attuazione dei provvedimenti necessari;
   il dipartimento militare di medicina legale di Caserta, che ha sede nella caserma «Tescione» e che, per bacino di competenza (in particolare, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria), è secondo solo a quello di Roma, svolge importanti compiti e dati oggettivi ne evidenziano la qualità dei servizi erogati;
   esso riveste un ruolo strategico, in particolare per la sua posizione geografica che, di fatto, ne fa il punto di riferimento principale per tutta la sanità militare e la medicina legale dell'intera regione Campania e non solo;
   considerata la presenza sul territorio di importanti organismi militari quali la brigata bersaglieri Garibaldi di Caserta, il raggruppamento addestramento volontari di Capua, la scuola allievi sergenti dell'AM di Caserta, se risultasse confermato il citato progetto di riordino, la soppressione di tale dipartimento militare di medicina legale comporterebbe notevoli disagi per gli utenti, anche in termini di un sostanziale aggravio di spese per i conseguenti spostamenti;
   l'attuale congiuntura economica ha reso necessari numerosi interventi volti a realizzare un sostanziale contenimento e una effettiva razionalizzazione della spesa pubblica, anche nel delicato settore della difesa, con inevitabili ripercussioni sull'operatività, l'efficienza e la professionalità delle forze armate e di polizia;
   l'esigenza di rispettare gli equilibri di finanza pubblica, tuttavia, non può tradursi, altresì, in un riassetto organizzativo del servizio sanitario militare che rischia di peggiorare i livelli di efficienza amministrativa in questo delicato settore –:
   se corrisponda al vero la notizia diffusa della soppressione del dipartimento militare di medicina legale di Caserta e, in caso positivo, come verrà reimpiegato il personale militare e civile della difesa in servizio presso il citato dipartimento e, comunque, se non ritenga opportuno fornire ulteriori informazioni di dettaglio in merito al progetto di riordino del servizio sanitario militare di cui in premessa. (5-08032)


   DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, tra le possibilità di valorizzazione del patrimonio della difesa consente, con l'articolo 402, l'utilizzo dello strumento della cooperazione tra il personale delle Forze armate e di polizia e del project financing;
   con lettera del 20 settembre 2010 la cooperativa «Delfino» costituita ai sensi del regio decreto 1165/38 articolo 91, con molteplici interventi già realizzati sul territorio solo per personale di FFAA e FFPP, sottoponeva al Ministero della difesa un progetto di trasformazione per l'area della ex caserma «Donati» di Sesto Fiorentino con proposta di edificazione di alloggi da assegnare in locazione ai soci;
   in data 12 novembre 2010 la filiera edilizia dell'istituto di credito CA.RI. PARMA si rende disponibile a concedere un mutuo fondiario di 15 milioni (il 64,74 per cento totale dell'intervento);
   con lettera n. 2/629424/10-3-9-2/2011 del 3 agosto 2011 il Ministero della difesa ordina all'ente competente di procedere all'assegnazione dell'area dell'ex caserma «Donati» alla cooperativa «Delfino» comunicando quanto disposto alla stessa cooperativa;
   in data 3 agosto 2011, n. 2/629425/10-3-9-2/2011 il Ministero della difesa comunica alla cooperativa «Delfino» di aver dato mandato alla direzione generale dei lavori del demanio del Dicastero per la definizione dell'atto di assegnazione secondo la procedura indicata dallo stesso Ministero della difesa;
   in data 1o marzo 2012 la direzione generale dei lavori e del demanio, ufficio generale dismissioni immobili comunicava al comune di Sesto Fiorentino che sul sito dell'ex caserma «Donati» dovevano realizzarsi alloggi per il personale della difesa;
   all'articolo 402 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 dal comma 3 al comma 7 si prevede e si regola il sistema del project financing con la specifica sancita al comma 7 in cui si prevede che il Ministero della difesa dovrà procedere alla redazione di una graduatoria per poter assegnare l'intervento e che il Ministero della difesa proceda a redigere una graduatoria solo per gli alloggi a riscatto derivanti dalla costruzione con il sistema del project financing per il quale il Ministero dovrà procedere alla formazione di una graduatoria;
   all'articolo 402 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, i commi 8, 9 e 10 prevedono la costruzione e l'assegnazione di alloggi con il sistema della cooperazione senza alcuna graduatoria a carico del Ministero della difesa;
   proprio secondo il dettato dell'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 112 del 18 maggio 2010 le FFAA devono indicare le priorità (dovere espletato in data 5 ottobre 2011 con lettera inviata a tutti i dipendenti della CME Toscana Firenze proprio per eventuali progetti edificatori sul territorio della regione militare);
   ad oggi, nonostante la documentazione prodotta e le direttive del Ministro già emanate, la direzione generale dei lavori e del demanio non ha provveduto a ratificare l'atto di concessione con la cooperativa «Delfino» già individuata «soggetto attuatore»;
   durante questi anni la caserma «Donati» è stata oggetto di numerose occupazioni da parte di soggetti organizzati e/o di immigrati clandestini che hanno costretto le forze dell'ordine a continui e dispendiosi interventi;
   all'interno dell'area sono state bloccate dalle forze dell'ordine attività illecite e pericolose per la cittadinanza;
   gli organi di polizia hanno più volte sollecitato il Ministero della difesa ad individuare una destinazione dell'area ed evitare il mantenimento di una struttura particolarmente idonea ad attività criminose sul territorio;
   a distanza di 14 mesi, l'organo esecutivo, ha ignorato le disposizioni del Ministero, ha messo in serio pericolo la disponibilità al finanziamento dell'istituto bancario, ha lasciato in uno stato di degrado l'area e contribuisce al mantenimento della stessa con spese di centinaia di migliaia di euro;
   l'amministrazione militare è costretta ad interventi particolarmente costosi al fine di: evitare incendi, costruire barriere che evitano l'ingresso di irregolari, provvedere alla pulizia dell'area che interessa il sedime stradale che costeggia la caserma, ripristinare centinaia di metri di recinzione che separano la caserma da un insediamento abitativo composto, tra l'altro, da centinaia di famiglie di militari in servizio;
   si produce uno sperpero continuo di risorse pubbliche, un organo operativo non attua disposizioni impartite dall'organo politico e si dimostra una incomprensibile insensibilità verso la creazione di sviluppo, benessere e crescita sia dei territorio che dello stesso Ministero –:
   quali siano i motivi per i quali ad oggi gli organi competenti non hanno attuato quanto disposto dal Ministro e non è stato ancora sottoscritto l'atto di concessione. (5-08033)


   RUGGHIA, SCHIRRU, CODURELLI, GAROFANI, GIANNI FARINA, VILLECCO CALIPARI, LAGANÀ FORTUGNO e RECCHIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il concorso indetto il 25 febbraio 2012 dal Comando generale dell'Arma dei carabinieri per il reclutamento di 1886 allievi carabinieri effettivi, riservato, ai sensi dell'articolo 2199 del decreto-legge 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari delle Forze armate in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale, in servizio o in congedo e, ai sensi del decreto legislativo novembre 2011, ai concorrenti in possesso dell'attestato di bilinguismo era finalizzato al reclutamento di 1886 allievi carabinieri effettivi; riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno VFP1 quadriennale VFP4 oppure in rafferma annuale, in servizio o in congedo;
   il concorso bandito nel mese di febbraio 2012 è ancora in svolgimento in quanto le visite di idoneità si protrarranno fino al mese di settembre 2012, dopo di che si procederà a stilare la graduatoria finale per il previsto arruolamento allievi carabinieri entro la fine del 2012;
   con l'approvazione della spending review si è intervenuti nello specifico con il blocco del turn over al 20 per cento determinando tagli perlomeno dell'80 per cento e/o dell'annullamento dei concorsi per i prossimi anni;
   nel concorso per allievi carabinieri su 20.500 domande presentate inizialmente si è arrivati ad una platea di 3000 aspiranti candidati che, nell'anno in corso hanno dovuto sostenere tutte le prove attitudinali e psicofisiche previste, affrontate con grande impegno e significativo investimento economico, da parte delle famiglie dei giovani concorrenti;
   il concorso pubblico (denominato 2 IST) per l'ammissione al 2° corso triennale (2012-2015) di 490 allievi marescialli del ruolo ispettori dell'Arma dei carabinieri (Gazzetta Ufficiale n. 74 del 16 settembre 2011) è stato bandito nel settembre 2011 dal Ministero della difesa e le prove concorsuali sono terminate nel mese di giugno del 2012. Da quel momento i giovani aspiranti sono in attesa della graduatoria finale e delle convocazioni che dovrebbero permettere di reclutare i 490 vincitori alla scuola allievi marescialli di Velletri entro il mese di settembre;
   il giorno 7 agosto 2012 il COCER carabinieri ha emesso un comunicato, con cui si annuncia che con l'applicazione della spending review e quindi con il blocco del turn over i concorsi su indicati subiranno i seri ridimensionamenti:
    a) concorso Marescialli triennale, da 490 a 150 posti;
    b) concorso per accademia militare, da 50 a 40 posti;
    c) concorso per allievi carabinieri, da 1886 a 241 posti;
   senza tener conto di qualche approssimazione nei numeri, le riduzioni si stanno dimostrando di tale entità;
   appare evidente, a giudizio degli interroganti, l'effetto assolutamente negativo che tale situazione determina sia sul rinnovo del personale dal punto di vista di un aumento dell'età media, sia a fronte delle legittime aspettative insorte in chi ha già visto riconosciuta la propria idoneità per i posti messi a concorso, esponendo quindi le amministrazioni interessate a ricorsi giudiziari;
   un atto di indirizzo accolto dal Governo al Senato viene presa in considerazione l'ipotesi di innalzare al 50 per cento il turn over nelle Forze di polizia –:
   se, tenendo conto di quanto approvato in Senato, ritenga possibile escludere dal blocco del turn over i concorsi, richiamati nelle premesse, già banditi e di fatto quasi ultimati, o in alternativa mantenere le graduatorie degli stessi concorsi. (5-08034)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   tra gli effetti dei tagli derivanti dalla spending review in queste settimane è al vaglio del Ministero della difesa l'eventuale soppressione della motovedetta CC 805 «De Giorgi» dei Carabinieri di Crotone;
   il mare per la città Pitagorica costituisce da sempre una risorsa di straordinaria importanza per gli interessi economici e produttivi che da esso ne derivano. La presenza dell'area marina protetta «Capo Rizzuto» istituita con decreto ministeriale del 27 dicembre 1991 e successivo decreto ministeriale del 19 febbraio 2002, che ricopre una superficie di circa 14.721 ettari e si sviluppa su un territorio di ben 42 chilometri di costa, le diffuse attività di pesca professionale e la relativa marineria, i numerosi villaggi turistici presenti lungo tutta la costa, l'attività estrattiva di idrocarburi dell'Eni, le attività commerciali connesse allo storico porto cittadino, la cui posizione risulta essere strategica per le rotte del Mediterraneo, testimoniano come il mare rappresenta un importante volano per la crescita non solo del territorio crotonese ma dell'intera regione;
   la Motovedetta «De Giorgi» di Crotone, si è distinta in questi anni per il suo esclusivo ruolo di controllo marittimo dell'intera costa ionica, contrastando – con eccellenti risultati – il fenomeno della pesca illegale finalizzata alla salvaguardia delle risorse ittiche ed a tutela dell'ecosistema marino. Ma la sua operatività è aumentata considerevolmente negli ultimi tempi per la lotta al progressivo estendersi del fenomeno dell'immigrazione clandestina che coinvolge sempre più frequentemente potenti organizzazioni internazionali ramificate soprattutto nei paesi dell'est Europa. Frequenti risultano infatti essere nel corso dell'anno gli sbarchi sulle coste del crotonese dove a S. Anna nel comune di Isola Capo Rizzuto si trova il Centro di accoglienza più grande d'Europa che ospita migliaia di immigrati richiedenti asilo politico;
   qualora venisse adottata tale decisione ad essere messa a rischio sarebbe la sicurezza dei cittadini che si vedrebbero privati di un servizio indispensabile per le funzioni sinora garantite ad un territorio che già vive di gravi difficoltà economiche e sociali e che presto dovrebbe essere privata anche dell'ente intermedio, la provincia, con conseguente soppressione di alcuni fondamentali presidi dello Stato –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare l'opportunità di scongiurare l'eventuale soppressione del reparto navale motovedetta carabinieri al fine di assicurare in modo permanente la presenza dello Stato in un territorio che ha particolari e urgenti problemi collegati alla difesa della legalità e dove risulta diffusa e radicata la criminalità organizzata. (4-17885)


   TOUADI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto di Pratica di Mare è un aeroporto militare situato a 30 chilometri a sud di Roma, nel territorio del comune di Pomezia. È un aeroporto gestito dall'Aeronautica militare e non è aperto al traffico commerciale. All'interno del sito di 830 ettari – uno fra i più vasti aeroporti militari d'Europa – sono presenti molteplici installazioni ed enti di varie forze armate italiane. Nell'aeroporto lavorano oltre 2600 persone. Inoltre, l'aeroporto è circondato – oltre che da campi agricoli, da stabilimenti commerciali – da una zona densamente abitata, segnatamente la località di Campo Ascolano nonché da una zona marittima e una riserva naturale di pregio;
   in data 3 settembre 2012 è scattato un allarme ambientale in seguito allo sversamento di idrocarburi nel fosso di Campo Ascolano che attraversa numerose abitazioni civili e sfocia direttamente in mare. Tale avvenimento si era già verificato dalla stessa fonte nel 2008;
   in data 5 settembre 2012 (come riferito dall'ordinanza del sindaco di Pomezia, la 74 del 14 settembre 2012) è stata convocata d'urgenza una riunione tra gli enti coinvolti, per chiarimenti sull'accaduto e per la definizione di interventi tesi a prevenire ed eliminare i pericoli per l'incolumità dei cittadini;
   in tale sede si apprendeva dal comando dell'aeroporto di Pratica di Mare dell'accidentale fuoriuscita di kerosene avvenuta da una cisterna posta all'interno della stessa area aeroportuale, nonché informazioni circa le misure di contenimento immediatamente attuate;
   in data 6 settembre 2012, personale del S.I.S.P. unitamente a funzionari dell'Arpa Lazio, effettuava un sopralluogo all'interno dell'Aeroporto di Pratica di Mare, i cui esiti sono in via di valutazione;
   in base all'ordinanza precitata il medesimo S.I.S.P ha chiesto all'amministrazione comunale, anche in considerazione di pozzi ad uso potabile, di procedere all'emanazione di opportuni provvedimenti a tutela della salute pubblica, inibendo l'uso a qualsiasi titolo delle acque del Fosso di Campo Ascolano;
   con la precitata ordinanza del sindaco di Pomezia – in ottemperanza al decreto legislativo del 2 febbraio 2001, n. 31, successivamente modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 27 del 2002, in attuazione della direttiva 98/83/CE del consiglio del 3 novembre 1998, che detta indirizzi in merito alla qualità delle acque destinate al consumo umano – disponeva il «divieto di utilizzo per il consumo umano dell'acqua da pozzo (compreso l'uso irriguo per ortaggi e verdure destinate all'alimentazione nonché per lo scarico dei servizi igienici) fino a successivo provvedimento –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente di tale fatto e se siano in grado di fornire all'interrogante e alla pubblica opinione l'esatta dinamica dell'accaduto, anche in riferimento alle normali procedure di smaltimenti degli idrocarburi derivanti dall'attività dell'aeroporto;
   quali misure intendano assumere per assicurare una corposa prevenzione di tali incidenti che gravano pesantemente sulla salute dei cittadini, la conservazione di un ambiente marino e forestale di pregio;
   quali azioni intendono intraprendere per riparare ai danni causati all'ecosistema e alla salute pubblica. (4-17903)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istat ha reso noto che, in assenza di rinnovi, da gennaio 2013, sulla base delle sue proiezioni e in vista della scadenza alla fine dell'anno di gran parte dei contratti dell'industria, la crescita delle retribuzioni contrattuali crollerebbe allo 0,9 per cento;
   l'Istituto segnala che le retribuzioni contrattuali orarie ad agosto hanno segnato un leggerissimo aumento mensile, salendo dello 0,1 per cento, mentre salgono dell'1,6 per cento su base annua. In termini congiunturali restano però pressoché ferme, mentre su base tendenziale, pur se in piccola accelerazione, rimangono ancora sotto al livello d'inflazione annuo dello stesso mese (+3,2 per cento), con una differenza di 1,6 punti. Quindi il ritmo di crescita dei prezzi è circa doppio;
   i contratti in attesa di rinnovo sono 34, di cui 16 nella pubblica amministrazione, relativi a circa 3,8 milioni di dipendenti (intorno ai 3 milioni nel pubblico impiego). La quota di dipendenti coinvolti è pari al 29 per cento nel totale dell'economia –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se intendano eventualmente assumere iniziative ulteriori volte a dare soluzione ai problemi narrati in premessa. (4-17879)


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo una previsione di Confcommercio, nel 2012 i consumi pro capite degli italiani dovrebbero presentare «la peggiore variazione negativa della storia della Repubblica», con un calo di oltre il 3 per cento;
   l'organizzazione, in uno studio sul commercio in Italia regione per regione, indica che solo pochissimi settori di spesa (la telefonia e l'informatica) e solo un canale di distribuzione, il discount, tengono i livelli di fatturato reale del 2011;
   tra il terzo trimestre del 2007, punto di massimo per l'economia italiana, e il secondo trimestre del 2012, rileva ancora lo studio, i consumi pro capite degli italiani sono diminuiti in termini reali del 6,5 per cento;
   a soffrire maggiormente della crisi, sono i piccoli esercizi al dettaglio il cui stock, pari a poco più di 757 mila unità nel 2011, è in diminuzione rispetto al 2010 (-0,1 per cento); in flessione anche il fatturato di questa tipologia distributiva (-2,6 per cento nei primi sei mesi del 2012), mentre cresce quello dei discount (+1,8 per cento) e dei supermercati (+1,4 per cento);
   guardando alle varie regioni, Molise (-1,9 per cento), Friuli Venezia Giulia (-1,1 per cento) e Liguria (-0,9 per cento), sono quelle che, nel complesso, registrano le maggiori «perdite» di esercizi; tra i comparti merceologici, spicca l'aumento nel settore delle apparecchiature informatiche e telecomunicazioni (con un +2,6 per cento di esercizi), mentre si conferma lo stato di difficoltà dei negozi di mobili e arredamento che si sono ridotti dell'1,3 per cento, con punte di quasi il 2 per cento al Sud e nel Nord-Est;
   rilevante, nel sistema distributivo italiano, il ruolo di altre tipologie di vendita che hanno raggiunto ormai un elevato livello di diffusione, come il commercio ambulante (oltre 175 mila imprese di cui quasi la metà al Sud), le imprese di e-commerce (+19 per cento rispetto al 2010), e la vendita attraverso i distributori automatici (oltre 2 milioni di macchine installate in Italia) –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se intendano eventualmente assumere iniziative ulteriori volte a dare soluzione ai problemi narrati in premessa. (4-17881)


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da una ricerca indicativamente denominata «La scomparsa dei consumi» emerge una previsione riguardante inflazione, disoccupazione e pressione fiscale che può determinare una ulteriore riduzione dei consumi nel triennio 2012-2014. Dallo studio si evince che la combinazione dei tre fattori determinerà un ridimensionamento medio dei consumi reali dei nuclei familiari – il cui reddito proviene da rapporti di lavoro subordinato – nel triennio 2012-2014, rispetto al 2011, pari a 1.806 euro (-8,4 per cento);
   il consumo medio dei nuclei familiari di lavoratori subordinati, nel periodo 2007-2011, ha conosciuto un incremento di poco superiore ai 200 euro annui mentre si registra una perdita media annua di 600 euro nel periodo 2012-2014;
   i dati appaiono in controtendenza con le stime governative, da cui si evince il convincimento che le ripercussioni negative sull'economia causati dai provvedimenti adottati avrebbero provocato un rallentamento nel «breve periodo» dovuto al calo della domanda. La ricerca indica invece che «il calo della domanda» sarà duraturo almeno fino al 2014;
   soprattutto la pressione fiscale, l'inflazione e la disoccupazione sono gli elementi che comprimeranno ancora la capacità di spesa delle famiglie, con un conseguente calo dei consumi e ripercussioni sulla produzione e sull'occupazione;
   per le famiglie che dipendono da redditi fissi la propensione al consumo sfiora l'85 per cento, del reddito; nel caso degli altri lavoratori la percentuale si attesta al di sotto del 65 per cento;
   in un Paese manifatturiero come l'Italia, che produce in modo prevalente per il proprio mercato interno, questo scenario potrebbe causare un peggioramento per la condizione economica degli italiani, che potrebbe determinare un ulteriore inasprimento della crisi –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se intendano eventualmente assumere iniziative ulteriori volte a dare soluzione ai problemi narrati in premessa. (4-17882)


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la stampa ha reso noto che un gruppo di lavoratrici ex Perugina Nestlé vive, come molti altri lavoratori in Italia, nell'incertezza del proprio futuro perché appartenenti alla categoria di lavoratori che, con termine evocativo della condizione sono definiti comunemente esodati, senza reddito né prospettive per il futuro;
   le donne hanno siglato, insieme ad altri 80 lavoratori, un accordo per l'uscita dall'attività produttiva il 18 maggio 2007. Si tratta di un accordo proposto dall'azienda, che prevedeva alcuni anni di mobilità e poi la collocazione in pensione, con i requisiti dell'epoca, ovvero 57 anni di età e 35 di contributi. Ma, le due riforme succedutesi in materia hanno modificato i parametri, rendendone incerto il futuro perché, in diversi casi, sono senza reddito da alcuni mesi;
   allo stato attuale, l'unica via d'uscita possibile per queste donne, sembrerebbe quella di optare per il regime speciale contributivo, rinunciando così però ad una cospicua quota di pensione, pari a circa il 30 per cento dell'importo e accentando quindi di ridurre il proprio diritto che ritenevano acquisito, oppure attendere il compimento dei 66 o 67 anni di età, considerando che le donne in questione oggi non ne hanno ancora compiuti 60 –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se a partire dagli esempi specifici intendano assumere iniziative normative che possano chiarire il futuro di tutti i cosiddetti esodati il cui futuro è incerto a causa della mancanza degli strumenti normativi che permettano di affrontare situazioni come quelle descritte. (4-17883)


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il «117» è un numero telefonico gratuito di pubblica utilità, operante 24 ore su 24, realizzato con lo scopo di instaurare un rapporto diretto tra la Guardia di finanza e i cittadini;
   istituito nel 1996, anche al fine di corrispondere alle diversificate istanze di tutela espresse con sempre maggior vigore dalla collettività, nonché all'esigenza di migliorare i rapporti fra contribuente e fisco, il numero «117» prevede la possibilità per i cittadini di segnalare, anche in forma anonima, i comportamenti scorretti in tutti i campi di competenza delle Fiamme gialle, dall'evasione fiscale alla contraffazione attraverso un contatto con le «sale operative» presenti in tutte le province del territorio nazionale;
   oltre alla funzione anti-evasione il numero «117» raccoglie anche segnalazioni relative a stupefacenti, contraffazione di prodotti o monete e banconote, violazioni doganali, accise (ex imposte di fabbricazione) e frodi comunitarie;
   l'interrogante evidenzia come, nel corso degli ultimi anni il suesposto strumento anti-evasione del «117», sia stato tuttavia ridimensionato sia dal punto di vista della sua proposta di utilità, che dagli eventuali risultati raggiunti –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritenga, opportuno, prevedere iniziative volte a rendere maggiore conoscenza nei riguardi della pubblica opinione dei risultati ottenuti da parte della Guardia di finanza attraverso lo strumento esposto in premessa del «117», nonché degli effetti in termini economici derivanti dalle azioni derivanti dal contrasto all'evasione fiscale nonché dagli altri comportamenti illeciti evidenziati dallo strumento di pubblica utilità esposto in premessa. (4-17886)


   NEGRO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la grave fase di crisi che sta attraversando la nostra economia costringe le nostre imprese ad azionare tutte le leve competitive per sopravvivere in un'economia globalizzata; la pubblica amministrazione, con tutte le sue componenti deve essere di supporto all'azione delle nostre imprese, consentendo loro di agire in tempi brevi ed in maniera efficiente;
   esistono mercati in cui la velocità e la tempestività dell'azione della pubblica amministrazione possono fare la differenza a favore delle imprese italiane nei confronti dei concorrenti esteri, soprattutto quando le merci sono deperibili e i tempi di spedizione e di consegna devono essere rapidissimi;
   le aziende italiane che esportano prodotti deperibili, tipicamente alimentari, devono scontrarsi con la chiusura degli uffici doganali nei giorni festivi e nei fine settimana, ritardando le operazioni di esportazione, con evidenti disagi per i clienti esteri, sia in termini di tempestività di consegna, sia in termini di qualità della merce; ciò a vantaggio dei concorrenti stranieri che riescono ad assicurare tempi minori e qualità maggiore;
   la razionalizzazione dell'uso delle risorse è obiettivo condiviso da parte della Lega Nord, sarebbe auspicabile che tale razionalizzazione non andasse a penalizzare le nostre imprese, in una fase storica già drammatica per i nostri operatori economici –:
   se il Ministro non ritenga opportuno garantire orari di apertura degli uffici doganali più ampi degli attuali per coprire anche le giornate festive, attraverso una razionalizzazione del personale in servizio, in modo da offrire un servizio tempestivo ed efficiente alle nostre aziende che esportano prodotti deperibili, tipicamente alimentari, le quali devono spesso scontare uno svantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti esteri in termini di celerità di consegna e di qualità dei prodotti.
(4-17890)


   FAVA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 24 settembre l'istituto di credito Monte dei Paschi di Siena ha presentato un documento intitolato: «Progetto ottimizzazione attività amministrative, contabili e ausiliarie», altro non è l'ennesimo progetto di riorganizzazione con previsione di riduzione del personale;
   già nelle settimane scorse negli incontri con le rappresentanze sindacali, l'azienda oltre a non risolvere il nodo sul rinnovo del CIA e sulla questione delle «esternalizzazioni», ha introdotto il tema della mobilità territoriale che riguarderà le circa 2500 risorse interessate dal progetto di revisione organizzativa: rete filiali (400 chiusure), riorganizzazione della Capogruppo Bancaria, delle aree territoriali, dei DOR e delle DTM;
   l'ennesimo documento che prevede la «riduzione del costo del personale per la banca» sicuramente non aiuta ad alimentare delle speranze per una soluzione positiva della vicenda –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non si intenda convocare un tavolo con le parti interessate per trovare una soluzione al fine di salvaguardare posti di lavoro difficilmente riassorbibili in un periodo di enorme crisi come quello che sta vivendo il Paese. (4-17896)


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la nota del 18 gennaio 2010 – recante oggetto Rapporti con l'istituto opere di religione (IOR) ed inviata alle banche che hanno rapporti con lo IOR – la Banca d'Italia ha affermato la qualificazione dello IOR come banca residente in un paese extra comunitario;
   ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del Testo unico Bancario (così come modificato dal decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 239) «le banche extracomunitarie possono operare in Italia senza stabilirvi succursali previa autorizzazione della Banca d'Italia, rilasciata sentita la CONSOB per quanto riguarda le attività di intermediazione mobiliare»;
   ai sensi dell'articolo 10, comma 3, del Testo unico Bancario – rubricato come «attività bancaria» – «le banche esercitano, oltre all'attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali»;
   nel rapporto del 4 luglio 2012 «Santa Sede (compreso lo Stato della Città del Vaticano)» i valutatori del Comitato di esperti sulla valutazione delle misure antiriciclaggio e sul finanziamento del terrorismo del Consiglio d'Europa (MONEYVAL) hanno affermato che «l'IOR svolge come impresa una o più delle attività o operazioni – per o per conto di un cliente – elencate nella definizione di “istituzione finanziaria” del glossario del GAFI» (pag. 30) –:
   se risulti se e quando l'Istituto per le opere di religione sia stato autorizzato dalla Banca d'Italia ad operare in Italia;
   se risulti se e quando l'Istituto per le opere di religione abbia stabilito succursali in Italia. (4-17910)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 settembre è stato consegnato il nuovo carcere di Oristano-Massama;
   la struttura, – secondo quanto recita una nota del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – riportata dall'agenzia ADN Kronos – «la cui consegna è avvenuta perfettamente nei tempi previsti, ospiterà 250 detenuti (125 di media sicurezza e 125 di alta sicurezza) che cominceranno ad affluire dal prossimo 11 ottobre»;
   il nuovo carcere di Oristano sorge a Massama, località Is Argiolas;
   la data di inizio lavori per la realizzazione della casa circondariale di Massama (Oristano) riportata negli atti di affidamento lavori era quella del 12 aprile 2007;
   la data di ultimazione e consegna dei lavori il 29 settembre 2009;
   il nuovo carcere costato quaranta milioni di euro sorge su un'area estesa 23 mila metri quadrati per 86 mila metri cubi di volume, ha una capienza di progetto di circa 240 detenuti nella sezione circondariale e dieci in stato di semilibertà;
   l'importo complessivo dei lavori per la costruzione del complesso di circa 40 milioni di euro è stato suddiviso tra prima (24 milioni) e seconda fase (16 milioni);
   la struttura prevede una caserma per gli agenti di polizia con 30 posti e 4 alloggi;
   alla data del 28 settembre risultavano aver aderito al trasferimento al carcere di Massama, 56 agenti sugli 80 destinati alla struttura, oltre a quelli già in carico alla casa circondariale di Oristano;
   tale numero di agenti risultava non sufficiente nemmeno per coprire le ordinarie esigenze di una struttura carceraria ampia e articolata e con un carico di detenuti rilevante;
   a questo elemento fondamentale nell'organizzazione e nella sicurezza della struttura e dello stesso personale operante si aggiunge che secondo la comunicazione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria sarebbero destinati alla nuova struttura di Massama ben 125 detenuti di Alta sicurezza;
   in particolar modo risulta al sottoscritto, e nessuna smentita è giunta da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria stesso, che subito dopo il trasferimento dei 117 detenuti del carcere vecchio di piazza Mannu si procederà a trasferire nel carcere di Massama, dal resto d'Italia, i detenuti appartenenti alle categorie AS 1 e AS 3;
   secondo le informazioni in possesso dell'interrogante sarebbero settanta tra camorristi, mafiosi, trafficanti internazionali di droga i detenuti che già dalla settimana successiva all'undici di ottobre prossimo giungeranno nel carcere di Oristano;
   si tratterebbe secondo l'interrogante di un vero e proprio blitz del Ministro della giustizia che avrebbe dato disposizioni alle strutture periferiche per un trasferimento senza precedenti di detenuti pericolosissimi legati alle più pericolose organizzazioni criminali in Sardegna;
   la decisione del Ministero, resa pubblica attraverso una nota ufficiale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria costituisce un atto gravissimo predisposto nel più totale silenzio a conferma dell'intenzione di trasformare la Sardegna in una vera e propria prigione di Stato;
   si tratta di un trasferimento che deve essere respinto in tutti i modi proprio perché si tratterebbe di una deportazione malavitosa in Sardegna ingiustificata e spropositata rispetto alla originaria destinazione delle carceri sarde;
   il carcere di Massama sarà, dunque aperto, nella prima decade di ottobre con una decisione che sarebbe già trasmessa con atti interni alle rispettive carceri di provenienza dei detenuti mafiosi, camorristi e trafficanti internazionali di droga;
   la destinazione ad Oristano di settanta detenuti di alta sicurezza, dei livelli 1 e 3, contrasta palesemente con il nuovo carcere nato come casa circondariale e non certo come carcere destinato a questo elevato grado di sicurezza;
   si tratta di un problema non solo logistico ma di una scelta inopportuna, grave e non gradita dalla Sardegna e dai sardi proprio per le possibili infiltrazioni della malavita organizzata nella società sarda;
   trasferire ad Oristano i detenuti più pericolosi in circolazione nel nostro Paese, ai quali si aggiungerà oltre un terzo di detenuti del 41-bis, con i 180 posti che saranno ricavati tra Sassari, Cagliari e Nuoro significa aver assegnato alla Sardegna un ruolo di collettore principale nello scacchiere penitenziario nazionale;
   sin dall'inizio si era percepita la posizione inopportuna e anacronistica del Ministro che ha ripetutamente attribuito alla condizione insulare una condizione positiva per la gestione detentiva dei carcerati;
   a giudizio dell'interrogante questa idea di carcere di Stato alla quale si ispira questo Ministro per rifunzionalizzare le carceri sarde è una visione fuori luogo e destituita del più elementare senso della logica, basti pensare ai trasferimenti dei detenuti per i processi dalla Sardegna al resto d'Italia;
   l'articolazione naturale sarebbe quella che ognuno governi il proprio quantitativo di detenuti, senza steccati, ma nemmeno con la dislocazione massiccia in un'unica regione come si sta verificando in questo caso;
   ad Oristano è stato previsto, contro le indicazioni progettuali e iniziali, un braccio di alta sicurezza al quale sono destinati 70 detenuti appartenenti ai sottocircuiti di alta sicurezza 1 e 3;
   il primo, A.S. 1, accoglierà i detenuti e internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all'articolo 41-bis;
   si tratta della soglia di sicurezza prossima al 41-bis, quella riservata ai capi mafiosi e camorristi;
   a questi si aggiungono i detenuti del circuito A.S. 3 detenuti per mafia, sequestro di persona, traffico internazionale di sostanze stupefacenti;
   ciò che è più grave è la ratio di questo abnorme trasferimento di detenuti mafiosi, camorristi e trafficanti internazionali di droga considerato che l'alta sorveglianza è riservata più che alla pericolosità individuale, all'appartenenza degli stessi ad una organizzazione, e dunque – come recita la circolare istitutiva dei tre livelli di alta sorveglianza – alla potenzialità di interagire con le compagini criminali operanti all'esterno della realtà penitenziaria, ovvero di determinare fenomeni di assoggettamento e reclutamento criminale;
   secondo la circolare «A meritare una attenzione maggiore e dunque una “elevata” o “maggiore sicurezza” non è quindi solo l'individuo in sé, ma la compagine cui egli appartiene, con la sua capacità di condizionare, dentro e fuori il circuito penitenziario, l'ordinario svolgersi dei rapporti sociali, e di fungere da moltiplicatore dei fenomeni criminali»;
   per la Sardegna è un rischio senza precedenti di infiltrazioni delle più pericolose organizzazioni malavitose, da quelle mafiose a quelle camorristiche, sino alle organizzazioni internazionali di traffico di droga;
   ad avviso dell'interrogante, si rende indispensabile e urgente fermare questo nefasto utilizzo delle carceri sarde perché non si può e non si deve pensare al sistema carcerario sardo come contenitore delle criminalità più pericolose e fare della Sardegna una vera e propria concentrazione delinquenziale della più pericolosa;
   a questo si aggiunge una carenza di organico del personale penitenziario che già oggi è in gravissime condizioni con vacanze in organico tra il 30 e 40 per cento –:
   se il Ministro sia a conoscenza e abbia disposto un piano di trasferimenti di 125 detenuti di alta sicurezza nel carcere di Oristano Massama a partire dalla prima decade di ottobre;
   se non ritenga necessario anche dinanzi alle dure prese di posizione delle istituzioni a partire dal presidente della provincia di Oristano, il presidente della Confindustria, le organizzazioni sindacali territoriali, cittadini e associazioni varie revocare tale disposizione eventualmente adottata dagli organi del Ministero;
   se non ritenga necessario aprire le nuove carceri sarde attraverso il riempimento sino e non oltre la soglia della capienza, consentendo alle altre di non trovarsi in regime di tollerabilità, ovvero con un numero di detenuti quasi il doppio rispetto alla capienza;
   se non ritenga di predisporre un piano straordinario che consenta di dotare le nuove carceri di un numero di agenti adeguato con il trasferimento in Sardegna dei tantissimi agenti sardi dislocati nelle carceri del nord d'Italia che da tempo manifestano il desiderio di ritornare a lavorare nella loro terra. (4-17893)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa lo scorso 28 settembre 2012 un detenuto di 51 anni si è suicidato la scorsa notte nel carcere di Biella, impiccandosi con i lacci delle scarpe alle inferriate della finestra della cella, nel reparto isolamento. Era detenuto dal 2006 per una serie di condanne per furti e rapine e avrebbe finito di scontare le pene nel 2014;
   il Segretario Generale dell'OSAPP (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), Leo Benedici, ha dichiarato: «È il 118o morto dall'inizio dell'anno nelle carceri italiane e il 41o per suicidio. Si tratta di una vera e propria strage di Stato che bisogna fermare ad ogni costo. Tralasciando il senso di frustrazione che pervade coloro che operano in carcere del tutto impotenti davanti ai drammi che si consumano ogni giorno negli istituti di pena, e che spesso ci coinvolgono direttamente, come poliziotti penitenziari non possiamo subire ulteriormente l'inerzia dell'Amministrazione e della politica che abbandonano a sé stessi quasi centomila donne e uomini nelle carceri, 66.500 dei quali sono detenuti» –:
   se e come il 26 settembre 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio dell'uomo non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario;
   con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
   se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
   se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Biella;
   quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Biella, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare il rispetto della legge costituzionale e ordinaria, nonché dell'ordinamento e dei regolamenti penitenziari, all'interno della struttura penitenziaria in questione, contrastando il pesante sovraffollamento e ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi di assistenza e sostegno psicologico. (4-17898)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, ZAMPARUTTI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 3 settembre 2012, il direttore del carcere di Reggio Emilia, ha affisso all'interno dell'istituto un «avviso alla popolazione detenuta» il cui testo è stato recapitato a Radio radicale per la trasmissione «radio carcere» condotta dall'avvocato Riccardo Arena;
   la lettera dei detenuti e l'avviso sopra riportato sono stati letti martedì 25 settembre 2012 nel corso della trasmissione settimanale che, quel giorno, ospitava il leader radicale Marco Pannella;
   nell'avviso è scritto: «si avvisa la popolazione detenuta di tutti i reparti detentivi che, dalla data odierna non sarà più tollerata alcuna forma di protesta anche se pacifica. Qualsiasi violazione alla presente disposizione sarà oggetto di rilievi disciplinari anche collettivi. Il Direttore»;
   il giorno dopo, il vice capo del Dap Luigi Pagano diffondeva un comunicato che veniva riportato dall'Ansa nel lancio che di seguito si riporta testualmente: «Carceri: Pagano (Dap), Rischi anche in proteste pacifiche. Posso comprendere motivi che hanno mosso direzione Reggio Emilia (Ansa) – Roma, 26 settembre 2012 – “Non conosco i termini della vicenda perché la competenza a occuparsene è del Provveditorato Regionale dell'Emilia Romagna, ma detta così, senza voler anticipare giudizi, credo di comprendere quali possano essere stati i motivi che hanno mosso la Direzione”. Parla dell'avviso della direzione alla popolazione detenuta del carcere di Reggio Emilia che “non sarà più tollerata alcuna forma di protesta anche se pacifica”, Luigi Pagano oggi vice capo del DAP, ma per 16 anni direttore del carcere milanese di San Vittore; e lo fa proprio nella sua veste di ex direttore di uno dei più importanti penitenziari. “Della questione si sta occupando il provveditore dell'Emilia Romagna – premette Pagano – Ma da ex direttore osservo che anche le proteste pacifiche nelle carceri possono sfociare in situazioni in grado di mettere a repentaglio la sicurezza degli stessi detenuti e del personale. E in questa ottica non mi sembra che l'avviso di Reggio Emilia costituisca una minaccia in sé, quanto piuttosto un avvertimento sulle conseguenze materiali che a seguito di una protesta si possono verificare. Per esempio le battiture possono dar fastidio ai detenuti malati oppure ai tossicodipendenti in crisi di astinenza e creare nervosismo in un ambiente dove già sono elevate le tensioni ordinarie. E il compito di un direttore è quello di garantire ordine e sicurezza per tutti”. E a conferma che il suo non è un ragionamento teorico, tutt'altro, Pagano cita quello che accadde a San Vittore dopo il suicidio di Gabriele Cagliari. “Ci fu una battitura terribile a cui parteciparono 220 detenuti”. E in quel caos un altro detenuto si impiccò e non riuscimmo ad arrivare in tempo per salvarlo”.» (Ansa);
   quando era direttore di San Vittore, il dottor Luigi Pagano fu protagonista di clamorose proteste «pacifiche» davanti al carcere che dirigeva, riportate da tutti i mezzi di informazione: significativa fu quella dell'albero di Natale addobbato con rotoli di carta igienica per contestare l'amministrazione centrale che aveva tagliato gli stanziamenti per gli istituti penitenziari compresi i fondi per acquistare le necessarie forniture igienico-sanitarie;
   i detenuti di pressoché tutti gli istituti penitenziari hanno dovuto sopportare e sopportano da anni un sovraffollamento che determina condizioni di vita disumane e degradanti sanzionate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e dai tribunali italiani e denunciate in più occasioni dai garanti dei detenuti delle persone private della libertà;
   dopo le violente proteste degli anni Settanta e Ottanta, sfociate spesso in vere e proprie rivolte, da decenni i detenuti delle carceri italiane praticano il metodo nonviolento partecipando, soprattutto negli ultimi dieci anni, alle iniziative promosse dai radicali e, in particolare, dal leader radicale Marco Pannella;
   in particolare, recentemente, decine di migliaia di loro hanno preso parte, assieme ai lavoratori e ai volontari della comunità penitenziaria, alla «quattro giorni di nonviolenza, sciopero della fame e silenzio» tenutasi dal 18 al 22 luglio 2012, mentre il 30 agosto oltre 40.000 detenuti hanno dato vita alla «battitura della speranza» per sostenere la campagna radicale per l'amnistia per far rientrare lo Stato italiano nella legalità costituzionale sia per quel che riguarda le condizioni di detenzione, sia riguardo all'irragionevole durata dei processi per la quale l'Italia è stata ripetutamente condannata in sede europea;
   l'articolo 69, del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, prevede che all'atto dell'ingresso in carcere, a ciascun detenuto o internato, è consegnato un estratto delle principali norme di cui al regolamento interno dell'istituto, con l'indicazione del luogo dove è possibile consultare i testi integrali. L'estratto deve essere fornito nelle lingue più diffuse tra i detenuti e internati stranieri –:
   se corrisponda al vero che il testo dell'avviso riportato in premessa, secondo la lettera recapitata a Radio Carcere, sia stato affisso nelle sezioni detentive del carcere di Reggio Emilia;
   se sia vero che il vice capo del Dap Luigi Pagano abbia avallato con un comunicato stampa l'avviso sopra citato;
   se non tema che – visto quel che devono sopportare i detenuti e la comunità penitenziaria in termini di illegalità dei nostri istituti di pena – liquidata l'opzione di lotta nonviolenta e la cultura che si è andata diffondendo con la sua pratica decennale, non vi sia il pericolo che si ritorni a forme di protesta violenta che rischiano di sfociare, come accaduto in passato, in vere e proprie rivolte;
   se è quali iniziative intenda prendere nel caso in cui risultino confermati sia l'affissione dell'avviso, sia la presa di posizione del vice capo del Dap Luigi Pagano;
   in quanti e quali istituti penitenziari sia vigente il regolamento interno e se questo sia stato approvato nelle forme previste dalla normativa vigente;
   quanti e quali istituti penitenziari, all'atto dell'ingresso in carcere, consegnino a ciascun detenuto o internato un estratto delle principali norme di cui al regolamento interno dell'istituto, con l'indicazione del luogo dove è possibile consultare i testi integrali e se l'estratto sia fornito nelle lingue più diffuse tra i detenuti e internati stranieri;
   se non ritenga opportuno, con atto immediato, predisporre una qualificata ed articolata ispezione all'interno del carcere di Reggio Emilia per accertare se nelle condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti non siano ravvisabili situazioni inaccettabili. (4-17902)


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2011 il sostituto procuratore presso la procura di Roma Luca Tescaroli ha rappresentato al Ministero della Giustizia:
    «non sono giunte presso quest'ufficio notizie in ordine alle richieste di commissione rogatoria del 20 novembre 2008 (n. 33.004.004.2998-DM RA/2008/Città del Vaticano), del 23 gennaio 2004 e del 28 novembre 2002, dirette allo Stato della Città del Vaticano»;
   il sostituto procuratore Tescaroli ha richiesto, «pertanto, di voler sollecitare l'evasione delle richieste di commissione rogatoria» del 20 novembre 2008, del 23 gennaio 2004 e del 28 novembre 2002;
   l'8 febbraio 2012 il sostituto procuratore Tescaroli – intervistato da Gianluigi Nuzzi durante una trasmissione de La7 – ha affermato di non aver ricevuto «nessuna» risposta sulle «tre» richieste di commissione rogatoria «sulla vicenda Calvi» «(presentate) in Vaticano» «dal 2002» ad oggi;
   il 9 febbraio 2012 la sala stampa della Santa Sede ha dichiarato che:
    «l'affermazione del magistrato Luca Tescaroli secondo la quale il Vaticano non avrebbe dato risposta alle rogatorie riguardanti il caso Banco Ambrosiano-Calvi non corrisponde a verità. In merito si precisa che la rogatoria del (28 novembre) 2002 non risulta pervenuta in Vaticano»;
    «all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede, dopo una prima ricerca effettuata negli Archivi, la richiesta di rogatoria internazionale presentata dal Tribunale di Roma nel 2002 non risulta mai pervenuta»;
    «alle altre due (20 novembre 2008 e 23 gennaio 2004) è stato fornito regolare riscontro, indirizzato all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede»;
    «la Santa Sede e le autorità del Vaticano hanno doverosamente cooperato con la magistratura e le altre autorità italiane e ciò risulta dalla documentazione accessibile agli ufficiali sia della Santa Sede sia della Repubblica Italiana»;
   il 14 aprile 2012 il direttore della sala stampa della Santa Sede ha dichiarato che:
    «è prassi costante della Santa Sede di rispondere alle rogatorie internazionali, ed è ingiusto affermare il contrario (come si è fatto ancora recentemente a proposito di una rogatoria sullo IOR, che in realtà non è mai stata trasmessa alla Segreteria di Stato, come confermato ufficialmente dalle competenti Autorità diplomatiche italiane)» –:
   se corrisponda a verità affermare che la rogatoria del 28 novembre 2002 non sia mai «pervenuta» all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede;
   quando e quale «Autorità diplomatica italiana» abbia «confermato ufficialmente» che «la rogatoria sullo IOR» del 2002 «non è mai stata trasmessa alla Segreteria di Stato»;
   se e quando sia stata resa pubblica la documentazione accessibile agli ufficiali della Repubblica Italiana» dalla quale risulterebbe il «regolare riscontro» fornito alle rogatorie del 20 novembre 2008 e 23 gennaio 2004;
   per quale motivo in ordine alle richieste di commissione rogatoria del 20 novembre 2008 e 23 gennaio 2004, alle quali sarebbe stato «fornito regolare riscontro, indirizzato all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede», non siano successivamente giunte «notizie presso (la Procura di Roma)»;
   quale sia la specifica procedura prevista o ad oggi seguita per l'evasione delle richieste di commissione rogatoria fra la Santa Sede e la Repubblica italiana;
   se e quando la procedura prevista per l'evasione delle richieste di commissione è sia stata regolamentata da atti legislativi e/o intese fra la Repubblica italiana e la Santa Sede;
   se non ritenga di dover sollecitare i competenti uffici del Ministero della Giustizia a fornire od ottenere notizie aggiornate circa l'esito delle richieste di commissione rogatoria del 20 novembre 2008, del 23 gennaio 2004 e del 28 novembre 2002, dirette allo Stato della Città del Vaticano. (4-17909)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PELINO e IANNARILLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 690 Avezzano-Sora, conosciuta anche come superstrada del Liri, è un'importante arteria che attraversa numerosi centri abitati abruzzesi e, proseguendo nella regione Lazio, termina nella provincia di Frosinone; realizzata dalla Cassa per il Mezzogiorno alla fine degli anni Settanta ha uno sviluppo complessivo di 79 chilometri;
   il percorso presenta aspetti di elevata criticità: solo 6 chilometri sono a doppia corsia; vi sono inoltre circa una ventina di svincoli e, nei 39 chilometri del tratto abruzzese, ben 17 gallerie, di cui solo 9 illuminate;
   nonostante i limiti di velocità (90 chilometri orari nel tratto a doppia carreggiata, 70 nel tratto a unica carreggiata), sulla strada statale n. 690 il livello di sicurezza appare attualmente carente e critico, come confermato dai molteplici incidenti, causati dall'elevata velocità, ma anche dal maltempo e dalle criticità del percorso;
   i dati riferiti dal compartimento ANAS per viabilità per l'Abruzzo riferiscono di un traffico stimato in oltre 18 mila veicoli al giorno di cui circa 3 mila mezzi pesanti –:
   se non ritenga urgente e opportuno programmare per la strada statale n. 690 Avezzano-Sora:
    a) interventi volti all'ampliamento del tratto a due corsie della strada statale e più in generale volti ad ammodernare sia la sede stradale che gli svincoli;
    b) interventi volti a completare l'illuminazione delle gallerie;
    c) interventi volti a rafforzare i controlli sui limiti di velocità. (5-08027)

Interrogazione a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   con una formale comunicazione agli utenti la società Tirrenia spa ha reso note le nuove tariffe relative al trasporto merci da e per la Sardegna;
   tali nuovi tariffe si configurano secondo l'interrogante come l'ennesimo abuso della compagnia sul trasporto marittimo ai danni dei sardi e della Sardegna;
   la società Tirrenia con un atto gravissimo, nella forma e nella sostanza, ha aumentato tutte le tariffe per il trasporto merci, comprese le rotte in regime di continuità territoriale;
   si tratta di un fatto di una gravità inaudita che rappresenta l'ennesimo duro colpo inferto all'economia dell'isola sempre più condizionata dalle insostenibili tariffe applicate dalla Tirrenia con il grave silenzio del Governo che risulta di fatto essere complice della compagnia di navigazione;
   i dati relativi agli aumenti sono eloquenti: sulla tratta Porto Torres-Genova l'incremento è del 36,4 per cento e del 20 per cento, circa su Olbia-Civitavecchia per tutti i semi-rimorchi;
   si tratta di un danno gravissimo alle produzioni e alle merci che arrivano e partono dalla Sardegna nei porti principali dell'isola;
   tali aumenti generano un aumento gravissimo con ripercussioni su tutta l'economia della Sardegna;
   si tratta di aumenti ingiustificati coperti da una voce denominata «diritto di transito» che la Tirrenia incassa su ogni mezzo che attraversa il mare da e per l'isola;
   secondo la comunicazione formale della Tirrenia un semirimorchio da Porto Torres verso Genova e ritorno prima pagava 74 euro ora ne pagherà 102 per sola andata;
   il nuovo corso partirà dal 1o di ottobre 2012;
   incrementi rilevanti si registrano anche sulle rotte Cagliari verso Napoli-Palermo e Trapani;
   con una decisione comunicata tra ieri e oggi agli operatori del settore vengono praticamente azzerati tutti i precedenti contratti mettendo in ginocchio l'intero sistema dei trasporti merci dell'isola;
   tali aumenti rappresentano secondo l'interrogante un gesto di evidente arroganza della compagnia, considerato lo stato dei trasporti dell'isola;
   un aumento che conferma il regime di monopolio che caratterizza i collegamenti marittimi e ribadisce il predominio assoluto della Tirrenia e delle compagnie collegate che si coniuga con l'evidente incapacità e complicità del Governo e della stessa regione di contrastare questa situazione;
   a giudizio dell'interrogante, gli aumenti che riguardano tratte in regime di continuità territoriale non possono essere applicati perché il Ministero, nell'ambito delle convenzioni con la Tirrenia, non può non essersi riservato un controllo e una potestà autorizzativa sugli aumenti e sulle tariffe;
   se nelle nuove convenzioni fosse stata omessa una clausola in tal senso significherebbe che la Sardegna sarebbe ormai in mano a dei veri e propri predatori del mare, senza alcun tipo di salvaguardia del diritto alla continuità territoriale;
   ad avviso dell'interrogante, il Ministro competente non può continuare a ignorare questi fatti gravissimi coprendo di fatto tutte le operazioni più maldestre sui mari della Sardegna senza assumere immediatamente una posizione netta e chiara a tutela della continuità territoriale da e per la Sardegna;
   la vendita della Tirrenia si conferma in questo senso un gravissimo raggiro dello Stato contro la Sardegna e i sardi che risultano privi di qualsiasi tutela;
   nell'ambito della continuità territoriale marittima risulta esserci una grande e grave zona d'ombra: quella delle convenzioni funzionali al privato che doveva comprare la Tirrenia che, oltre a sovvenzioni per oltre 560 milioni di euro nei prossimi 8 anni, può con gli aumenti di oggi incrementare il suo già ingiustificato elevatissimo guadagno;
   questo ennesimo ingiustificato aumento delle tariffe merita ad avviso dell'interrogante l'attenzione dell'Autorità garante per la concorrenza e ai mercati al fine di valutare il comportamento della società Tirrenia –:
   se non ritenga di dover immediatamente adottare tutti gli atti necessari ai fine di conseguire la revoca degli aumenti proposti da Tirrenia nell'ambito delle tratte in regime di continuità territoriale;
   se non ritenga di far conoscere con quali atti ministeriali siano state autorizzate le nuove tariffe con gli aumenti richiamati al trasporto merci;
   se non ritenga di dover urgentemente intervenire per ripristinare tariffe da concreta e riscontrabile continuità territoriale. (4-17904)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MISEROTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 94 del 2009, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, il precedente Governo Berlusconi ha modificato il codice penale vietando l'utilizzo di minori nell'accattonaggio, introducendo anche delle aggravanti nel caso gli sfruttatori di minori siano genitori o tutori degli stessi;
   recentemente il fenomeno dell'accattonaggio ha coinvolto anche i disabili e le forze di polizia, in particolare nelle città di Milano e di Torino, hanno individuato alcune bande che sfruttavano tali soggetti schiavizzandoli e costringendoli con la violenza a chiedere l'elemosina;
   il fenomeno dello sfruttamento dell'accattonaggio è diffuso in tutto il territorio nazionale e rappresenta uno spregevole esempio di individui senza scrupoli che si accaniscono contro degli esseri umani incapaci, per costringerli a elemosinare sfruttandone i guadagni;
   distinguendo dai casi in cui gli stessi mendicanti fingono una menomazione fisica per procurarsi l'elemosina, è necessario impedire il sequestro della libertà degli esseri umani da parte di veri e propri schiavisti che in alcuni casi acquistano a buon mercato i disabili, diventandone i «padroni» –:
   in che modo il Governo intenda intervenire per far fronte a questa situazione di disagio sociale e di criminalità impiegando in maniera più mirata le forze di polizia in tutto il territorio nazionale.
(4-17891)


   BERTOLINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono in continuo aumento casi di violenza e maltrattamenti su donne da parte di immigrati, sempre più spesso agenzie di stampa riportano notizie in merito;
   l'Asca del 12 settembre 2012 riporta la notizia dell'arresto di un marocchino di 55 anni ad Acquasparta (Terni) con l'accusa di violenza sessuale, maltrattamenti e lesioni nei confronti della moglie fin dal 2004 e recentemente avrebbe picchiato la figlia di 7 anni, provocandole lesioni al collo e all'addome;
   l'Ansa del 13 settembre 2012 rende noto che a Montano Antilia (Salerno) un cittadino marocchino di 27 è stato arrestato dalla Guardia di finanza per sequestro di persona in flagranza di reato ai danni della moglie, anch'essa marocchina di 22 anni, rinchiusa in casa dall'uomo solo perché aveva espresso il desiderio di ritornare nel proprio Paese;
   sempre da un'agenzia dell'Ansa del 14 settembre 2012 si apprende che, a Viareggio (Lucca), un ventenne magrebino è stato accusato di lesioni aggravate e maltrattamenti in famiglia a danno della moglie, una ventenne di origine italiana, che aveva sposato solo per ottenere il permesso di soggiorno;
   ancora, dall'Ansa del 18 settembre 2012, si legge che a Sellia Marina (Catanzaro) un marocchino di 42 anni, conosciuto per la sua attività di rappresentanza in un'associazione di categoria a difesa dei diritti degli extracomunitari, è stato arrestato per maltrattamenti in famiglia, lesioni personali aggravate e violenza sessuale aggravata;
   le violenze, compresa quella sessuale sarebbero avvenute nei confronti della moglie e della figlia che, all'epoca dei fatti, aveva meno di 14 anni, ma tutta la famiglia (l'uomo ha quattro figli) ha subito le sue violenze;
   l'Ansa del 22 settembre 2012 riporta la notizia che, ad Alba Adriatica (Teramo), un albanese di 49 anni ha picchiato selvaggiamente le due figlie minorenni, di 14 e 16 anni, perché le aveva sorprese a parlare con un loro coetaneo, alla fermata dell'autobus;
   l'ultima sconcertante notizia, data dagli organi di informazione nazionali, è del 30 settembre 2012: una ragazza pakistana di 19 anni, residente in provincia di Brescia, è stata segregata, picchiata, minacciata di morte dal padre e violentata dal cugino, suo coetaneo, per aver rifiutato un matrimonio combinato in Pakistan;
   la ragazza dopo essersi rifiutata di partire per il Pakistan, è stata rinchiusa in casa, ma grazie all'aiuto di una sua amica è riuscita a denunciare i suoi aguzzini, che sono stati arrestati dalla compagnia dei carabinieri di Salò per violenza sessuale aggravata e sequestro di persona;
   purtroppo, episodi come questi, in pericoloso aumento, ormai non hanno più alcun risalto sugli organi di informazione, anzi spesso vengono riportati solo dalle agenzie di stampa, senza suscitare nessuna reazione;
   si tratta di violenze inaccettabili, che dovrebbero essere severamente condannate, ma che spesso non hanno alcun seguito giudiziario, mentre rappresentano un affronto alla dignità di tutte le donne e dimostrano come l'integrazione degli immigrati, in Italia, non solo non si è realizzata, ma sta addirittura subendo una regressione –:
   se i Ministri siano a conoscenza di tali episodi e quali altri elementi abbiano in merito;
   quali iniziative urgenti intendano adottare per scongiurare l'aumento di casi di violenza di tale genere;
   se siano in grado di fornire dati relativi a vicende che vedono coinvolte donne straniere, vittime di violenze e soprusi all'interno dei propri nuclei famigliari, avvenuti nel nostro Paese negli ultimi cinque anni;
   se corrisponda al vero che questi episodi siano in costante aumento in Italia;
   come si spieghi questa involuzione nei percorsi di integrazione di tanti stranieri, molti dei quali vivono da anni nel nostro Paese, ma dimostrano di non rispettare regole e comportamenti propri del nostro ordinamento, a danno delle proprie famiglie e soprattutto delle donne;
   se non ritenga necessario avviare, con la collaborazione degli enti locali, un'indagine approfondita per verificare quante situazioni analoghe, non denunciate, ci siano nel nostro Paese e per verificare la reale situazione delle donne straniere che vivono in Italia. (4-17894)


   TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di maggio di questo anno perveniva presso il Corpo forestale dello Stato a Latina una gravissima lettera minatoria nei confronti del sostituto procuratore Giuseppe Miliano da anni impegnato in delicatissime inchieste;
   il 4 marzo del 2012 il quotidiano il Messaggero riferiva di una grave intimidazione nei confronti del giudice per le indagini preliminari di Latina, già in passato oggetto di gravi minacce, che riceveva un proiettile nella sua cassetta delle lettere;
   il 6 luglio 2012 lo stesso quotidiano riferiva di gravissime minacce nei confronti del sostituto procuratore Marco Giancristofaro da tempo impegnato nelle inchieste contro il clan Ciarelli-Di Silvio;
   già in passato inoltre pesanti intimidazioni erano state rivolte nei confronti del questore pro tempore di Latina Nicolò D'Angelo, del dirigente della squadra mobile di Latina Cristiano Tatarelli e di ispettori di polizia in servizio presso il commissariato di polizia di Formia –:
   se i Ministri siano a conoscenza di questi gravi fatti e se intendano avviare opportune iniziative per tutelare la sicurezza dei magistrati e dei funzionari di polizia in prima linea nella lotta alle mafie nella provincia di Latina. (4-17897)


   FIANO e FERRARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane gli organi di informazione hanno dato ampio risalto alla notizia dell'attentato esplosivo avvenuto contro l'abitazione del pubblico ministero Tamburini della Dda di Brescia;
   in particolare questo grave episodio va ad inserirsi nella più ampia logica di atti intimidatori che da mesi con frequenza sempre maggiore vanno ripetendosi sulle sponde e nelle vicinanze del Garda;
   a tal proposito il procuratore generale della corte d'appello di Brescia Papalia ha messo in guardia sul fortissimo rischio di infiltrazione nelle attività economiche da parte di organizzazioni criminali che sulla sola sponda bresciana hanno visto già sequestrarsi oltre 120 attività economiche tra immobili ed aziende;
   la presenza inoltre di moltissimi personaggi di spicco di diverse realtà criminali quali i Fortugno e Piromalli o le famiglie Cardo e Scullino dimostrano quanto questi territori siano oggi nel mirino di una criminalità che punta a riciclare i ricavi milionari del traffico di droga nelle attività turistiche locali –:
   se al Ministro risulti la gravità della situazione e quali rimedi intenda porvi.
(4-17905)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   PELUFFO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con ddg del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 13 luglio 2011, è stato indetto il concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici. I posti messi a concorso in Lombardia sono 355;
   il tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con la sentenza n. 2035 del 18 luglio 2012, in seguito al ricorso giurisdizionale promosso da alcuni candidati respinti alle prove scritte, ha ritenuto non valida la procedura delle prove scritte del concorso a dirigente scolastico relativa alla regione Lombardia, per presunta irregolarità delle buste, la cui non perfetta opacità non avrebbe garantito l'anonimato dei candidati, sottolineando nel contempo che nel caso di specie non è emerso in concreto alcun elemento in grado di ipotizzare violazioni da parte della commissione giudicatrice a garanzia dell'anonimato;
   il Consiglio di Stato, con ordinanza cautelare n. 3295 del 28 agosto 2012, ha rigettato l'istanza di sospensione della citata sentenza del tribunale amministrativo regionale della Lombardia, fissando la trattazione nel merito, in udienza pubblica, alla data del 20 novembre 2012, sottolineando il venir meno del principio dell'anonimato nelle prove concorsuali, in quanto le buste contenenti i nominativi dei candidati hanno natura tale da rendere astrattamente leggibili i nominativi stessi;
   la legge n. 202 del 3 dicembre 2010 («Norme per la salvaguardia del sistema scolastico in Sicilia e per la rinnovazione del concorso per dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale 22 novembre 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 94 del 26 novembre 2004») consenti un provvedimento di sanatoria per il concorso per dirigenti scolastici per la regione Sicilia;
   per far fronte all'emergenza connessa all'imminente inizio dell'anno scolastico, gran parte delle istituzioni scolastiche, prive del dirigente, sono state affidate in reggenza agli attuali dirigenti in servizio, con relative ripercussioni sull'efficienza dell'intero servizio scolastico;
   le stesse buste usate per il concorso per dirigenti scolastici in Lombardia sono state utilizzate anche da altri uffici scolastici regionali –:
   quali interventi urgenti intenda adottare il Governo sia a tutela dei vincitori del concorso per dirigenti scolastici in Lombardia e, visto l'imminente inizio dell'anno scolastico, sia a tutela dell'interesse generale al regolare funzionamento del servizio scolastico. (3-02499)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANTINI e CAPITANIO SANTOLINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è nota la condizione di grave disagio degli studiosi che hanno conseguito l'idoneità a professore associato con i bandi del 2008 e ancora in attesa di chiamata o, pur chiamati dagli atenei, non possono fare la presa di servizio negli atenei divenuti, nelle more del concorso, «non virtuosi» per via del superamento del parametro del 90 per cento del Fondo di finanziamento ordinario;
   si sta determinando in tal modo una paralisi del reclutamento che, oltre agli effetti generali su tutto il sistema universitario, provoca lesioni di diritti e interessi legittimi, delineando la vanificazione dei concorsi. Come noto, il decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012 riduce del turn-over, già in vigore dal 2008, ad un massimo del venti per cento della spesa del personale cessato nell'anno precedente. Inoltre, una recente circolare ministeriale (direzione generale università, ufficio III, protocollo 1179 del 19 luglio 2012) invita le università a «non procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato» sino a quando non saranno assegnate le risorse dal Ministero, facendo salve le assunzioni a valere sul piano straordinario dei professori associati 2011, o utilizzando punti organico residui al 31 dicembre 2011, ovvero su risorse esterne;
   in questa situazione il piano straordinario diventa, in apparenza, l'unico canale possibile di reclutamento, ma la sua attuazione sta rafforzando una duplice discriminazione nei confronti degli idonei. La prima ha natura economica e comporta differenti opportunità tra gli inquadrati in atenei «virtuosi» – che in parte sono già stati assorbiti – e gli altri idonei, a prescindere dalle qualifiche scientifiche. Questa discriminazione viola le indicazioni del «piano straordinario» (legge n. 220 del 2010) che prevedeva risorse per tutti gli idonei indipendentemente dalla loro collocazione istituzionale. La mancanza di indicazioni sul recupero dei fondi del 2011 per gli atenei «non virtuosi», nella summenzionata circolare ministeriale, suggerisce una conferma di questa situazione nel 2012. La penalizzazione potrebbe essere attenuata, in qualche caso, se gli atenei «virtuosi», e non, chiamassero anche i cosiddetti «esterni» e si consentisse quel meccanismo di circolazione dei docenti che è indispensabile per il buon funzionamento delle università; ma l'incertezza del quadro generale ha paralizzato persino il canale della mobilità;
   una seconda discriminazione ha natura giuridica e riguarda il rapporto tra idonei e futuri abilitandi. Infatti, con l'avvio delle nuove procedure per il conseguimento dell'abilitazione a professore di I e II fascia, si prospetta la concreta possibilità che gli idonei vengano assimilati ai prossimi abilitati, svalutando il titolo da essi ottenuto. Come noto, il legislatore ha voluto tutelare coloro che hanno conseguito l'idoneità, evitando che potessero essere esclusi dai concorsi locali da bandirsi dopo le abilitazioni. Infatti, il comma 8 dell'articolo 29 della legge n. 240 ribadisce che «Ai fini dei procedimenti di chiamata dei professori di cui all'articolo 18 della presente legge, l'idoneità conseguita ai sensi della legge 3 luglio 1998 n. 210 è equiparata all'abilitazione limitatamente al periodo di durata della stessa». La formulazione si presta a qualche ambiguità interpretativa, tuttavia non può discenderne una svalutazione del titolo che – a differenza delle abilitazioni future – consente la chiamata diretta ai sensi dell'articolo 29, comma 4, della legge n. 240;
   l'idoneità dei concorsi del 2008 è stata ottenuta con una procedura diversa dalla nuova abilitazione, più complessa, più difficile, più selettiva: prevedeva il numero chiuso (2 soli idonei); comprendeva, oltre alla valutazione dei titoli, una discussione degli stessi e soprattutto una prova didattica; infine la commissione giudicatrice era composta, per 4/5, da docenti sorteggiati. Di tali specificità ha tenuto conto il legislatore (legge n. 240, articolo 29, comma 4) nel ribadire che gli idonei possano essere destinatari di chiamata diretta ai sensi della legge 3 luglio 1998, n. 210, a differenza dei titolari della nuova abilitazione per i quali sarà necessario un ulteriore concorso locale, che invece i soggetti in questione hanno già sostenuto e vinto. Vi è inoltre il rischio concreto, che avrebbe il sapore della beffa oltre il danno, che l'idoneità possa «scadere» in virtù degli effetti di una scelta normativa –:
   quali misure intenda adottare per evitare l'iniqua «scadenza» dell'idoneità e se i soggetti in esame debbano necessariamente ripartecipare ai nuovi concorsi per abilitazione o possano essere assunti con altre modalità e quali. (5-08024)


   DE PASQUALE, CENNI e PELUFFO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale amministrativo regionale della Toscana, nella seduta dello scorso 25 luglio 2012, in seguito al ricorso giurisdizionale promosso da alcuni candidati respinti alle prove scritte del concorso per dirigenti scolastici, ha accolto l'istanza cautelare, giudicando degni di approfondimento tutti i motivi elencati nel ricorso e ha fissato il giorno del 5 dicembre come data ultima per la trattazione del merito;  
   i ricorrenti nella citazione in giudizio hanno denunciato irregolarità nella procedura concorsuale e irregolarità nella composizione della commissione;
   anche per la Toscana, come già successo in Lombardia, potrebbe essere possibile che il tribunale amministrativo regionale si pronunci per l'annullamento dell'intera procedura concorsuale;
   rispetto alle selezioni in Lombardia il Ministro dell'istruzione ha recentemente dichiarato che (...) «Al più presto troveremo una modalità perché venga validato quanto è stato fatto, con una verifica probabilmente ulteriore ma al fine di consentire a questi nostri colleghi di prendere servizio nelle loro scuole» (ANSA del 24 settembre) –:
   quali interventi urgenti intenda adottare il Ministro interrogato al fine di garantire una corretta e trasparente conclusione della procedura concorsuale su tutto il territorio nazionale. (5-08028)


   LOLLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 settembre 2012 sono stati pubblicati i risultati dei test di accesso alle facoltà di architettura;
   i posti totali disponibili in base al decreto ministeriale 28 giugno 2012 n. 200 sono 8.720, di questi ne sono stati assegnati circa 8.000 in quanto in molte facoltà i partecipanti non hanno raggiunto il punteggio minimo previsto;
   ai posti assegnati è necessario aggiungere il numero dei posti che si libereranno dalle rinunce che puntualmente si verificano;
   è facile quindi ipotizzare che i posti non assegnati saranno pari al 10 per cento di quelli messi a concorso e non saranno più occupabili in quanto non è possibile far scorrere la graduatoria delle singole facoltà per mancanza del requisito minimo di accesso;
   dall'esame delle graduatorie delle singole facoltà di architettura si evince chiaramente che molti studenti esclusi hanno raggiunto un punteggio tale che avrebbe permesso loro di collocarsi in posizioni medioalte nelle graduatorie di altre Facoltà;
   tutto ciò non si sarebbe verificato se fossero stati presi i medesimi provvedimenti adottati per le facoltà di medicina. Alla luce dei risultati dei test di architettura essi sarebbero stati necessari per evitare palesi trattamenti di iniquità, che si sono ripercossi sugli studenti più meritevoli;
   la sesta Sezione del Consiglio di Stato ha sollevato il dubbio sulla legittimità costituzionale dell'attuale meccanismo di definizione delle graduatorie;
   nell'ordinanza del 18 giugno 2012, con la quale si solleva la legittimità costituzionale si legge: la scelta tra graduatoria unica e graduatorie di Ateneo per l'ammissione ai corsi di laurea a numero chiuso è una scelta discrezionale riservata all'Amministrazione e, prima ancora, al legislatore, e non è sindacabile se non si ravvisano vizi di palese illogicità, irrazionalità, travisamento, disparità di trattamento, difetto di proporzionalità. Tali vizi ad avviso del Collegio sussistono e ancora «a fronte di una prova unica nazionale, con 80 quesiti, l'immissione al corso di laurea non dipende, in definitiva, dal merito del candidato, ma da fattori casuali e affatto aleatori legati al numero di posti disponibili presso ciascun ateneo e dal numero di concorrenti presso ciascun Ateneo, ossia fattori non ponderabili ex ante»;
   il testo prosegue nel seguente modo «una volta che il legislatore abbia, nella sua insindacabile discrezionalità, optato per il criterio meritocratico, esso deve essere portato alle estreme conseguenze e non può essere contraddetto da un metodo applicativo non meritocratico i cui punteggi minimi di accesso varino dall'università a università a fronte di un concorso unico» –:
   al fine di evitare ulteriori discriminazioni nei confronti di studenti meritevoli, rimasti ingiustamente fuori dalle graduatorie e allo stesso tempo di permettere alle singole facoltà la copertura dei posti vacanti, in alcuni casi pari al 40 per cento dei posti disponibili, tenendo anche conto dell'ordinanza del Consiglio di Stato, se il Ministro intenda assumere iniziative per definire una graduatoria nazionale per gli studenti esclusi dalle graduatorie locali, ma che abbiano il requisito minimo di accesso, affinché possano partecipare all'assegnazione dei posti rimasti liberi nelle singole facoltà. (5-08029)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIMADORO e PIFFARI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il concorso per dirigenti scolastici nella regione Lombardia, indetto con D.D.G. 13 luglio 2011, si è concluso con un blocco totale imposto da un'ordinanza del Consiglio di Stato del 28 agosto 2012, perfettamente confacente alla sentenza del Tar Lombardia del 19 luglio 2012;
   la decisione è stata presa sulla base del principio di un'astratta possibilità di violazione dell'anonimato a causa dell'utilizzo, da parte della pubblica amministrazione, di buste ritenute non consone a garantirlo totalmente;
   di fatto tale decisione lede i 406 docenti che hanno superato tutte le prove, senza che abbiano alcuna responsabilità rispetto all'eventuale disfunzione;
   risulta che le suddette buste siano in uso in tutti i concorsi pubblici italiani –:
   se il Ministro interrogato intenda intervenire urgentemente, per porre rimedio al grave danno subito dalla regione, se si considera la scuola un bene comune, rimettendo in regolare funzione le scuole lombarde, che hanno diritto a direzioni stabili;
   se abbia intenzione di tutelare i diritti dei 406 docenti vincitori del concorso, altrimenti discriminati sulla base di responsabilità terze e di fatto istituzionali. (4-17884)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sono presenti sul territorio italiano 21 «Istituti musicali pareggiati» destinati allo studio professionale della musica ed autorizzati al rilascio di titoli di studio legalmente riconosciuti: centri che svolgono un'attività didattica e formativa che rappresenta il 30 per cento dell'offerta nazionale e che promuove e valorizza la millenaria e diversificata tradizione melodica e musicale del nostro Paese. Basti pensare, infatti, che tali scuole formano ogni anno oltre mille orchestrali;
   con la legge n. 508 del 1999, gli istituti musicali pareggiati sono stati trasformati in istituti superiori di studi musicali, dotati di personalità giuridica, autonomia statutaria, didattica, scientifica, amministrativa, finanziaria e contabile, riconosciuti come sedi primarie di alta formazione, di specializzazione, di produzione e di ricerca nel settore artistico e musicale;
   dopo 13 anni dall'entrata in vigore della legge di cui sopra non sono ancora stati emanati tutti i regolamenti ministeriali attuativi;
   gli istituti sono stati equiparati ai conservatori statali tranne che per la provenienza dei finanziamenti. I costi di tutto il personale di tali istituti, nonché la gestione delle strutture, ricadono ancora quasi interamente sui bilanci dei comuni e delle province di appartenenza e questi enti locali attendono il completamento della statizzazione prevista dalla stessa normativa;
   gli istituti musicali pareggiati sono pienamente riconosciuti nel circuito universitario europeo ma la crisi economica, con il conseguente taglio dei finanziamenti agli enti locali ed i vincoli imposti ai bilanci delle amministrazioni, sta compromettendo lo svolgimento delle attività didattiche e formative degli istituti musicali pareggiati;
   sono circa 700 gli insegnanti che rischiano il posto di lavoro e 8 mila gli studenti che potrebbero essere privati del servizio scolastico;
   l'ultimo finanziamento pubblico risale al periodo 2006/2008, con uno stanziamento di 10 milioni di euro;
   i presidi degli istituti musicali pareggiati hanno firmato un appello al Governo affinché vengano individuate le modalità per salvare «strutture di altissimo valore formativo, indispensabili per la diffusione della cultura musicale»;
   all'appello dei presidi si sono affiancati i rappresentanti di Anci, Upi e della Conferenza Stato-regioni che hanno chiesto al Governo di predisporre un piano progettuale concreto che preveda la stabilizzazione del personale insegnante degli istituti musicali pareggiati;
   sulla vicenda è stato istituito un tavolo tecnico composto dai rappresentanti dei Ministeri dell'economia e finanze, dell'università e della ricerca scientifica, delle regioni, delle province e dei comuni dove è stata avanzata la proposta di procedere ad accorpamenti tra i conservatori statali e gli istituti superiori di studi musicali, che diverrebbero sezioni distaccate dipendenti in tutto dal Ministero, con un passaggio graduale del personale docente nei ruoli dello Stato man mano che si renderanno disponibili i posti nei conservatori di riferimento per pensionamento o cattedre inattive;
   in tal senso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è espresso nella risposta all'interrogazione del senatore Marcucci il 26 giugno 2012 (atto n. 3-02845);
   la disparità di tutele delle due tipologie di dipendenti (degli istituti musicali pareggiati da un lato e dei conservatori di musica dall'altro) appare immotivata anche dal fatto che entrambe le categorie sono regolate dallo stesso contratto collettivo di lavoro nazionale –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati affinché venga emanato il regolamento per la programmazione previsto dalla legge n. 508 del 1999;
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati per completare il processo di statizzazione di suddetto personale nel rispetto della continuità didattica, dei diritti di studenti e lavoratori e del prestigio e del ruolo di tali istituzioni formative e culturali. (4-17892)
* * *

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano «Corriere della Sera» nell'edizione del 24 settembre 2012, cronaca romana, rubrica «Una città mille domande» curata dal giornalista Paolo Conti, ha pubblicato una lettera del signor Francesco Ferraro, dal significativo titolo: «Disabili e diritto alla vita normale, i rimborsi regionali fermi al 2006»;
   detta lettera, per il suo contenuto particolarmente significativo, si ritiene utile pubblicarla integralmente: «Sono il papà di un bambino disabile di 10 anni che si muove con la sedia a rotelle. Nel marzo 2011 ho dovuto costruire presso la mia abitazione due rampe per consentire a mio figlio l'accesso alla strada per la normale quotidianità (scuola, salute, vita di relazione). Prima dei lavori ho presentato al Dipartimento programmazione e attuazione urbanistica del Comune la domanda di contributo (spesa prevista 4500 euro, contributo previsto 4125). Lavori eseguiti e pagati. L'Ufficio legge 13/89 del Comune di Roma mi informa che non può fare previsioni sui tempi di finanziamento perché dipendono dalla disponibilità finanziaria della Regione Lazio. Amareggia e sconforta constatare che, in base ai finanziamenti regionali, si è fermi con i rimborsi alle domande presentate fino al 23 febbraio 2006 !...E se non si ha la possibilità di anticipare le somme, il disabile (bambino, anziano, adulto), resta recluso in casa ? C’è speranza che i tempi dei rimborsi si possano accorciare ? Non si potrebbero destinare a questo settore almeno in parte i soldi recuperati con i tagli alla Regione ? È proprio necessario ricorrere al clamore mediatico per vedersi riconoscere basilari diritti di cittadinanza ?» –:
   se non si ritenga di dover assumere iniziative per accertare se si tratti di un caso isolato, o – al contrario, come si ha ragione di sospettare – se il fenomeno sia diffuso su tutto il territorio nazionale, anche a seguito delle recenti politiche di rigore, e in questo caso l'entità della diffusione;
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano promuovere, o adottare per fronteggiare la problematica.
(4-17908)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI e MARIANI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo forestale dello Stato è una forza di polizia ad ordinamento civile, specializzata nella tutela del patrimonio naturale e paesaggistico, nella prevenzione e repressione dei reati in materia ambientale e agroalimentare. La natura giuridica, i compiti istituzionali, le funzioni, l'organizzazione ed i rapporti con le Regioni e con gli enti locali sono disciplinate dalla legge numero 36 del 2004 «Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato»;
   la legge 5 aprile 1985, numero 124 «Disposizioni per l'assunzione di manodopera da parte del Ministero dell'agricoltura e delle foreste» consente l'assunzione di operai a tempo determinato ed indeterminato a supporto del Corpo forestale dello Stato per la manutenzione delle aree naturali protette e per assolvere ad ulteriori compiti istituzionali. Tale personale viene assunto, con contratto di natura privatistica, dagli uffici territoriali per la biodiversità (Utb) del Corpo forestale dello Stato;
   con l'articolo 1, commi 519 e 521 della legge 27 dicembre 2006 numero 296 («Legge Finanziaria 2007») è stata attuata la stabilizzazione di circa 1.000 lavoratori: da questa disposizione sono comunque stati esclusi 340 dipendenti, in tutta Italia, che non avevano maturato i requisiti di anzianità richiesti;
   successivamente alcuni di questi 340 operai sono stati assunti temporaneamente (per 5 mesi) nel corso dell'anno 2009, grazie ai finanziamenti stanziati con la legge numero 69 del 2009;
   con la legge numero 191 del 2009 («Legge Finanziaria per il 2010») all'articolo 2, comma 250, e con il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in cui sono ripartite nel dettaglio le risorse assegnate, sono stati finanziati 3 milioni di euro per gli anni 2010, 2011 e 2012 per l'assunzione a tempo determinato di operai del Corpo forestale dello Stato (riferimento normativo: la già citata legge numero 124 del 1985). Grazie a tali stanziamenti nell'anno 2010 sono stati assunti temporaneamente alcuni operai;
   l'articolo 9, comma 28, del decreto-legge numero 78 del 2010 (convertito, con modificazioni, dalla Legge numero 122 del 2010) ha disposto la riduzione del 50 per cento delle assunzioni di personale a tempo determinato per le amministrazioni dello Stato;
   questa disposizione non dovrebbe essere applicata agli operai che sono assunti con contratti di natura privatistica. Tale categoria di lavoratori subisce infatti l'anomalia (ancora giuridicamente non risolta) di essere dipendenti di un ente pubblico ma attraverso un contratto di natura privatistica: verrebbero quindi applicate le restrizioni previste per il pubblico impiego senza però riconoscere le tutele e le garanzie previste per i lavoratori di enti pubblici;
   i tagli introdotti dal decreto-legge n. 98 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 122 del 2010 non hanno consentito, per gli anni 2011 e 2012, di procedere alla riassunzione dei 181 operai a tempo determinato impiegati nel 2010, ma solo di 81 unità per un periodo massimo di sei mesi;
   da quanto emerge dal bilancio 2012 del Corpo forestale dello Stato e dalla previsione di spesa per il 2013 e 2014, il totale dei tagli previsti per il 2013 e 2014 sarà di circa 3.660.000 euro, la maggior parte dei quali deriva dalla riduzione totale dei fondi per la riassunzione degli Otd (circa 1.430.000). Per i prossimi due anni non sarebbe quindi attuata nessuna nuova stabilizzazione nonostante siano previsti circa un centinaio di pensionamenti tra gli Oti (operai a tempo indeterminato);
   da quanto risulta all'interrogante dal 2009 ad oggi il numero di Otd (operai a tempo determinato) in servizio presso il Corpo forestale dello Stato si è ridotto da 400 a circa 80 unità;
   tale situazione di incertezza oltre a penalizzare fortemente il personale che da anni viene assunto, sia pure a tempo determinato, dal Corpo forestale dello Stato comporta criticità nella cura e nella salvaguardia di risorse naturali nazionali di valenza naturale, storica e culturale;
   si rende ormai improrogabile trovare una soluzione alla questione riguardante la contrattazione di secondo livello del personale assunto ai sensi della Legge numero 124 del 1985;
   tale problematica è già stata oggetto, da anni, da interrogazioni parlamentari ancora senza risposta: in particolare negli atti di sindacato ispettivo numero 5/04668 (a prima firma del deputato Susanna Cenni) e numero 5/04917 (a prima firma del deputato Oliverio Nicodemo Nazzareno);
   va aggiunto che la legge numero 36 del 2004 prevede il trasferimento di parte del patrimonio statale forestale alle regioni con relative maestranze e che nelle Regioni dove è stato operato tale trasferimento sono stati ottenuti buoni risultati di valorizzazione del patrimonio naturale assieme alla tutela dei livelli occupazionali preposti a tali mansioni –:
   se il Ministro non ritenga necessario, alla luce di quanto esposto in premessa, emanare ogni provvedimento utile per far fronte al problema della stabilizzazione degli operai a tempo determinato sia per salvaguardare professionalità e livelli occupazionali, sia per assicurare le risorse necessarie per una efficace e continua azione di salvaguardia del patrimonio dello Stato di competenza del Corpo forestale;
   se non ritenga inoltre di assoluta urgenza assumere un'opportuna iniziativa normativa per chiarire la qualificazione giuridica di tali lavoratori (dipendenti pubblici o privati), per tutelarne i diritti e per evitare continue e contrastanti interpretazioni. (5-08025)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel corso delle indagini relative al lebbrosario di Miulli di Gioia del Colle, è stato arrestato monsignor Domenico Laddaga, reggente fiduciario dell'ente ecclesiastico da oltre venti anni, e Saverico Vavalle, dirigente della Colonia hanseniana. L'ospedale con sede legale in Acquaviva delle fonti (Bari) ha il suo centro nazionale per la cura degli hanseniani a Gioia del Colle e opera in convenzione con la regione. Oltre ai vertici dell'ospedale anche altre otto persone tra imprenditori e dipendenti risultano indagati. La procura di Bari ha inoltre disposto il sequestro giudiziario di immobili e beni appartenenti all'Opera Pia Miulli del valore di oltre due milioni e mezzo di euro: si ipotizzano i reati di truffa aggravata finalizzata alla illecita percezione di finanziamenti e rimborsi ai danni dalla regione Puglia, alla quale il centro convenzionato costava circa sette milioni di euro l'anno;
   un'altra inchiesta non ancora conclusa vede sempre coinvolto lo stesso monsignor Laddaga ed il vescovo di Altamura, Gravina e Acquaviva Mario Paciello e risultano indagati il presidente della regione Vendola e due ex assessori alla Sanità. In questo caso gli inquirenti vogliono chiarire i termini di un accordo transattivo chiuso con l'ente per un importo di 48 milioni di euro, a fronte di prestazioni sanitarie rese al di fuori del tetto di spesa in regime di convenzione;
   in base a quanto emerso nell'inchiesta sul lebbrosario dagli accertamenti eseguiti della Guardia di finanza, gli indagati avrebbero predisposto fatture gonfiate sull'acquisto di beni e macchinari ospedalieri e falsificato i costi di gestione della struttura; il lebbrosario disponeva infatti di oltre 60 dipendenti tra medici e infermieri e di circa 300 posti letto;
   si è accertato perché i ricoverati effettivi non superavano le dieci o venti unità a seconda del periodo dell'anno, mentre quelli fittizi che servivano a giustificare la sopravvivenza del centro erano una cinquantina;
   tra i ricoverati perché lebbrosi nessuno avrebbe avuto bisogno delle cure in regime di ricovero, trovandosi in uno stadio della malattia non più virulenta per il quale sarebbe stato sufficiente una cura domiciliare o ambulatoriale;
   per rendere credibile, nel XXI secolo, la sopravvivenza del maxi centro di cura del morbo di Hansen, l'ultimo rimasto in Italia oltre a quello specialistico di Genova, gli ammalati sarebbero stati invogliati a prolungare il più possibile il ricovero, godendo di una diaria di circa trenta euro e di un vitto senza particolari restrizioni caloriche;
   un ex paziente riferisce di essere entrato nel lebbrosario a 16 anni e che, pur non essendo contagioso, vi sarebbe rimasto per oltre venti anni convinto che vivere nel lebbrosario fosse la soluzione migliore per sé e per i propri parenti;
   nel frattempo il vescovo Paciello avrebbe dichiarato il proprio rammarico per l'accaduto precisando che aveva, di propria iniziativa e senza prevedere le decisioni dei giudici, nominato una commissione di indagine interna sulla trasparenza della gestione e degli atti in vista del rinnovo della convenzione con la regione;
   adesso la sua maggiore preoccupazione non è per le indagini, ma per «l'immagine che i mezzi di comunicazione potrebbero dare di un sacerdote che, come formica infaticabile e laboriosa, nel silenzio, ma a costo di grandi sacrifici ha dato alla Puglia, al meridione e alla sanità italiana una struttura ospedaliera tenuta in alta considerazione e che gestisce una struttura per malati di lebbra, unica in Italia» –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se intendano assumere iniziative per far effettuare un controllo ai NAS, nuclei antisofisticazioni e sanità dell'Arma, all'interno delle strutture sanitarie citate in premessa al fine di verificare lo stato di salute dei degenti ivi ricoverati. (4-17899)


   FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Il Secolo XIX nella sua edizione del 30 settembre 2012 racconta la penosa storia, conclusasi con la morte, della signora Carmela Goglia, malata in attesa di un doppio trapianto (reni e fegato) e costretta al trasferimento dal reparto in cui era stata seguita, il Centro trapianti del San Martino di Genova, chiuso dalla regione la scorsa primavera, all'ospedale Niguarda di Milano;
   la signora Goglia, da tempo seguita nel reparto di nefrologia e dialisi del San Paolo a Savona, è deceduta mentre era in attesa di un doppio trapianto di fegato e reni, per il quale aveva richiesto di essere operata dall’équipe del professor Umberto Valente, ex primario poi dimissionato a forza dal San Martino-Ist; il problema nasce dal fatto che la regione già dallo scorso anno aveva ritirato l'autorizzazione al centro genovese per i trapianti di fegato, lasciando attive le operazioni per i reni e gli espianti;
   la signora Goglia era stata trasferita dal San Paolo a Genova all'inizio della scorsa estate; poco dopo gli eventi erano precipitati nella «guerra» tra Valente e parte della sua stessa squadra, con l'epilogo peggiore, a inizio luglio, per i pazienti in attesa. Chiuso il centro, il professore «sollevato» dall'incarico sino alla pensione e trasferimenti obbligati in altre strutture;
   la signora Goglia, da più di otto anni in cura, era stata praticamente «adottata» dalla nefrologia del San Paolo diretta dalla dottoressa Silvia Carozzi. Al precipitare della situazione, si optò per il trasferimento al Niguarda di Milano, dove si pensava potesse essere finalmente realizzato il doppio trapianto. Da lì, però, sembra sia iniziata un'estate travagliata per la paziente, conclusasi con il suo trasferimento di nuovo a Savona lo scorso 14 settembre; «Quando è arrivata qui le condizioni erano disperate – racconta la dottoressa Carozzi – poche ore dopo è entrata in coma ed è morta, non abbiamo potuto fare nulla per salvarla» –:
   di quali elementi disponga in merito alla vicenda descritta in premessa.
(4-17906)


   GARAGNANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento alla situazione dell'Ospedale Maggiore di Bologna, principale nosocomio della città, e in particolare ad alcune disfunzioni organizzative che a parere dell'interrogante incidono in maniera molto significativa sull'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni;
   emerge in particolare la problematica di un utilizzo non sempre appropriato dei posti letto di degenza attraverso un meccanismo denominato «cruscotto» per sopperire alle croniche carenze di posti letto nei reparti di area medica;
   il «cruscotto» è un sistema che prevede il ricovero in reparti diversi da quello a cui il paziente dovrebbe essere destinato. Questo sistema determina l'occupazione di posti letto anche delle U.O. di chirurgia da parte di pazienti con altre patologie (non chirurgiche) provocando una sottoutilizzazione delle sale operatorie proprio per la mancanza di posti letto destinati ai pazienti in attesa di intervento;
   tutto questo comporta inevitabilmente un allungamento delle liste di attesa, talvolta anche per interventi chirurgici gravi e conseguente ricorso da parte dei pazienti a case di cura private ove per altro esercitano proprio alcuni dirigenti chirurghi del Maggiore;
   è importante sottolineare come l'allungamento delle liste di attesa discenda, secondo l'interrogante, da una cattiva organizzazione e da una particolare concentrazione di potere in capo al direttore di dipartimento che sostanzialmente avrebbe nelle proprie mani tutta la chirurgia ospedaliera (ottocento dipendenti tra medici e infermieri);
   si segnala che il dipartimento dell'AUSL comprende tutte le attività chirurgiche di tutti gli ospedali dell'AUSL, in pratica si tratta di 15 unità complesse e una unità semplice dipartimentale, che sono una enormità per un dipartimento, in nessuna altra azienda c’è una complessità simile;
   oltretutto, considerato che è evidente che per dirigere una struttura dipartimentale del genere ci vorrebbe un direttore di dipartimento dedicato a tempo pieno e che goda dell'incondizionato consenso e fiducia dei clinici che lavorano nelle varie strutture, suscita particolari perplessità che il citato direttore ricopra molteplici incarichi, anche svolgendo attività libero professionale, mentre risulta all'interrogante eh vi siano molte tensioni con i clinici e che sussistano rapporti conflittuali con chirurghi generali dell'AUSL;
   oltre alla problematica concernente l'allungamento delle liste d'attesa derivante dai problemi organizzativi sopra indicati, risultano all'interrogante casi di «malpractice» presso la chirurgia A del Maggiore piuttosto numerosi ma, sempre a quanto consta all'interrogante, sino ad ora non risulta sia stata fatta una sola segnalazione di evento avverso, come vorrebbero le disposizioni normative;
   il sottoscritto interrogante ha tra l'altro ritenuto di informare della situazione qui sommariamente descritta anche la Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali;
   la situazione sanitaria dell'Emilia Romagna, sotto il profilo del rispetto dei livelli essenziali di assistenza, va analizzata anche in considerazione degli investimenti importanti e significativi che hanno portato alla creazione ad esempio di un nuovo ospedale quale quello di Torretta (milioni e milioni di euro di spesa) per soddisfare le maggiori esigenze degli utenti e che da più di un anno si trova pressoché in stato di abbandono (il posto di primario in chirurgia è vacante da tempo con progressiva smobilitazione dei servizi ivi locati). Peraltro, la stessa chirurgia di Vergato destinata alla chiusura ha visto effettuare un solo ricovero in 6 mesi senza che una tale aspetto sia stato adeguatamente rilevato –:
   di quali elementi disponga il Governo con riferimento al possibile pregiudizio dei livelli essenziali di assistenza, in particolare in relazione alla situazione descritta in premessa relativa all'allungamento delle liste d'attesa per lo svolgimento di interventi chirurgici urgenti, e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (4-17911)
* * *

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del nuovo piano di riorganizzazione, la società Poste italiane spa, procederà a breve a un notevole ridimensionato del volume dei servizi offerti alla clientela, in particolare in Calabria. Il tutto non giustificato da alcuna motivazione di carattere tecnico o produttivo visto che la gran parte degli abitanti dei comuni interessati dai tagli affrontano i loro adempimenti finanziari quasi esclusivamente presso gli sportelli postali presenti nei loro territori;
   nella cinque province calabresi risulta che siano oltre 100 gli uffici postali interessati da una eventuale soppressione che, se attuata, costringerebbe i cittadini a spostarsi per diverse decine di chilometri, con notevoli disagi soprattutto per le fasce più deboli della popolazione, visto anche il fatto che molti di questi tagli riguarderebbero sportelli situati in zone montane, frazioni o piccoli comuni già penalizzati dalle carenze di collegamenti e da una scarsa distribuzione dei servizi;
   questa decisione di Poste spa, va poi ad aggiungersi alla situazione esistente, già grave, segnalata dall'utenza e dovuta alla riduzione dell'orario di ufficio in molte zone collinari o montane che prevede l'apertura degli stessi uffici solo a giorni alterni e che ha generato la drastica riduzione del servizio di distribuzione della posta;
   avverso tale decisioni l'unione dei comuni del versante Jonico che comprende 12 amministrazioni della provincia di Catanzaro (Badolato, Cardinale, Davoli, Guardavalle, Gasperina, Isca sullo Ionio, Montepaone, S. Andrea Jonio, Santa Caterina dello Jonio, Satriano, San Sostene, Soverato) hanno convocato il 31 agosto 2012 una seduta straordinaria ed urgente avente ad oggetto il mantenimento dei servizi Poste italiane spa nei comuni aderenti all'Unione, protestando contro ogni eventuale chiusura degli sportelli operativi nei loro territori e dichiarando di adottare eclatanti proteste, qualora emergesse la volontà di Poste spa di chiudere realmente i relativi uffici. Per di più i Sindaci dei comuni interessati, si sono dichiarati tutti disponibili a concedere in comodato gratuito i locali ubicati nei centri storici da poter destinare agli uffici postali per scongiurare qualsiasi tipo di soppressione;
   uno sportello costituisce uno dei pochi servizi essenziale per mantenere in vita paesi o frazioni e il continuo taglio di essi contrasta anche con l'approvazione – all'unanimità – da parte della Camera dei deputati del disegno di legge sulla valorizzazione dei piccoli comuni (AC 1174 e abb.) con meno di 5.000 abitanti;
   le poste, insieme alle farmacie, alle scuole e alle stazioni dei carabinieri, storicamente rappresentano l'avamposto dello Stato nei territori svantaggiati e svolgono una serie di servizi essenziali per i cittadini. Per cui non dovrebbero decidere da sole dove chiudere e dove tenere aperto ma queste valutazioni di tipo strategico dovrebbero essere frutto di un percorso che coinvolga anche le amministrazioni locali, sempre più indignate da tali scelte e già alle prese con i tagli della «spending review» e con gli accorpamenti decretati da recenti provvedimenti legislativi;
   l'eventuale soppressione di questi uffici metterebbe fortemente a rischio la salvaguardia dei connessi livelli occupazionali in una regione come la Calabria, da sempre alle prese con il problema drammatico della mancanza di lavoro, oltre ad alimentare il già diffuso fenomeno dello spopolamento dei piccoli comuni coincidendo, inevitabilmente, con un depauperamento culturale e sociale di queste piccole realtà;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa, e conseguentemente, quale siano le iniziative che intendano celermente adottare per garantire il proseguimento dell'attività degli uffici postali in Calabria e in particolare nei comuni del versante jonico catanzarese, la cui ipotetica chiusura secondo quanto previsto dal nuovo «Piano di riorganizzazione delle Poste italiane», determinerebbe una ulteriore penalizzazione per l'economia calabrese, già particolarmente colpita dalla crisi economica, e che provocherebbe gravissime conseguenze sociali per l'intera regione. (5-08026)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARMO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il servizio ferroviario nelle tratte Castagnole delle Lanze/Alessandria e Asti/Alba è di necessaria importanza in quanto investe un bacino di utenza notevole, soprattutto nelle ore di punta con studenti e lavoratori;
   la realizzazione di tali tratte, nel passato recente, è stato possibile grazie a notevoli investimenti da parte dello Stato, nelle sue varie articolazioni, sia direttamente che tramite sue aziende o enti territoriali, anche a scapito di una corretta salvaguardia paesaggistica, ma nell'interesse dei servizi integrati;
   queste linee ferroviarie congiungono città ritenute «eccellenze» della produzione enogastronomica italiana e internazionale, nonché mete del turismo, fulcri di investimenti di risorse locali e straniere e luoghi di lavoro per tante nostre maestranze;
   sono il legame tra il Monferrato e le Langhe e la via di collegamento per raggiungere le grandi città del nord e le linee ad alta velocità che collegano il Paese, quindi piccole parti di un sistema più complesso ma che ne danno il senso dell'articolazione;
   attualmente queste tratte sono state sospese dal Piano trasporti della regione Piemonte e sostituite con trasporto su gomma;
   tale trasporto su gomma evidenzia carenze organizzative, di qualità e quantità del servizio stesso, di maggior impatto negativo sull'equilibrio ambientale, di grave rischio in un'area dove per diversi mesi dell'anno si è in presenza di nebbie, gelo e freddo, di saturazione del traffico locale in strade collinari già congestionate dal trasporto merci per via di un'alta concentrazione di piccole e medie imprese;
   il ripristino della galleria Gherzi di Alba è la conditio sine qua non per la riattivazione di tali tratte attualmente sospese;
   RFI spa si è impegnata formalmente dal 2010 alla riattivazione e messa a norma di tale galleria, come testimonia il comitato di sindaci che da anni insiste per la realizzazione di tale opera;
   ad oggi i lavori di riattivazione della galleria Gherzi non sono stati avviati, ma da parte di RFI spa si è visto effettuare lavori di messa in sicurezza per la cifra di circa euro 700.000,00;
   interpellata RFI spa, si è avuta come risposta l'affermazione che i lavori non sono a bilancio, né si faranno per mancanza di fondi, e, che il peso ed il costo del trasporto su gomme è molto più vantaggioso;
   pare che solo l'Italia abbia costi industriali più vantaggiosi per il trasporto su gomma sia di merci che di persone, anche se anche in quel comparto emerge una grave crisi con centinaia di fallimenti di autotrasportatori a causa dell'aumento del prezzo dei carburanti che è fuori controllo, a differenza di quanto sostenga RFI spa;
   la regione Piemonte non cancellando tale tratta, ma sospendendola, di fatto, la considera utile ma nell'impossibilità di riattivarla –:
   se il Governo ed il Ministro competente non ritengano che le scelte industriali e finanziarie di RFI spa siano alquanto contraddittorie e pensino di intervenire adottando linee di indirizzo più congrue, più efficaci nell'utilizzo del denaro pubblico e ripristino di tali lavori. (4-17900)


   LANDOLFI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 18 settembre 2012 la RAI, senza alcun preavviso e contrariamente a quanto previsto, ha spento il trasmettitore in Onde Medie di Napoli-Marcianise sulla frequenza di 657 khz. L'impianto pur funzionando a potenza ridotta (circa 60 kw rispetto ai 100 kw del 1948 quando fu inaugurato dal Capo Provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola), serviva adeguatamente tutto il Sud Italia, diffondendo sulle frequenze OM il canale nazionale Radio 1, dopo la soppressione operata nel 2004 di Radio 2 e Radio 3 (reti spostate in FM e difficilmente ricevibili per le troppe interferenze);
   la soppressione dei trasmettitore (destinato a funzionare 24 ore su 24 anche per la diffusione del «Notturno dall'Italia») rende particolarmente problematica la diffusione della diffusione radiofonica della concessionaria del servizio pubblico nel Sud Italia in cui resta attivo e con qualità di segnale assolutamente mediocre, unicamente l'impianto di Caltanissetta (frequenza di 567 khz), peraltro ricevibile solo in Sicilia;
   tale tipo di radiodiffusione è l'unico che consente di raggiungere il maggior numero di utenti con il minor dispendio economico;
   Radio Rai ha eliminato dalla sua programmazione prima le frequenze in Onde Lunghe (altri Paese, tra cui la Francia, ne fanno largo uso perché consentono di raggiungere tutta la popolazione e varcare anche i confini nazionali), poi le Onde Corte, le uniche in grado di essere recepite dagli italiani non residenti con il «Servizio Estero», ed ora progressivamente il servizio in onde medie sull'unico canale lasciato a Radio 1;
   la fruizione del servizio radiotelevisivo è correlato al pagamento di un canone annuale obbligatorio da parte degli utenti;
   l'attuale situazione di disagio ad avviso dell'interrogante impone alla Rai, prima di procedere allo smantellamento del sito di Napoli-Marcianise, di riattivare le trasmissioni in onde medie;
   quanto sopra esposto in premessa potrebbe addirittura configurare l'ipotesi di interruzione di servizio pubblico, prevista e sanzionata dal codice penale –:
   come intenda intervenire in relazione a quanto scritto in premessa dal momento che una rilevantissima parte della popolazione meridionale è privata del diritto costituzionalmente garantito all'informazione o comunque della fruizione di un servizio rientrante a pieno titolo tra gli obblighi cui è tenuta la Rai nei confronti dei cittadini-utenti-contribuenti; (4-17907)

Apposizione di firme ad una mozione

  La mozione Goisis e altri n. 1-01151, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bossi, Caparini, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, D'Amico, Fava, Giancarlo Giorgetti, Lussana, Maggioni, Maroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Meroni, Reguzzoni, Rondini, Torazzi, Stucchi, Vanalli, Volpi.

Cambio di presentatori di interrogazioni a risposta orale.

  L'interrogazione a risposta orale n. 3-01961, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 dicembre 2011, è da intendersi presentata dall'onorevole Santagata, già cofirmatario della stessa.

  L'interrogazione a risposta orale n. 3-01997, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 gennaio 2012, è da intendersi presentata dall'onorevole Cuomo, già cofirmatario della stessa.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Porfidia n. 4-17781 del 25 settembre 2012.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Strizzolo n. 3-02232 del 26 aprile 2012 in interrogazione a risposta scritta n. 4-17889.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ANTONIONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 10 per cento della popolazione in Italia è affetta da acufene, una patologia che si manifesta con una fastidiosa sensazione uditiva, un suono continuo, costante (es. fischi, ronzii, e altro) percepito in un orecchio o in entrambi o nella testa; questa patologia interferisce negativamente sull'aspetto psicologico ed emozionale, sul ritmo sonno-veglia, sul livello di attenzione e concentrazione, sulla vita di relazione;
   questi fattori portano spesso ad uno stato di forte depressione, a volte con risvolti drammatici;
   appare necessaria una maggiore attenzione della sanità pubblica nei confronti di tale quadro nosologico –:
   se il Ministro intenda promuovere studi e ricerche riguardanti tale patologia per consentire di migliorare l'approccio terapeutico e, quindi, migliorare la qualità della vita delle numerose persone colpite. (4-15362)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico che consiste in disturbi, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altri rumori, percepiti in una o in entrambe le orecchie.
  L'acufene può incidere pesantemente sulla qualità della vita di chi ne soffre, soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente.
  La ricerca clinica ha dimostrato come, in una percentuale elevata dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia è parte integrante.
  Nella maggior parte dei casi, l'eziologia non è chiara. Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di «
neuroimaging», che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione delle cause della patologia. Inoltre, approcci sofisticati, quali la stimolazione magnetica transcranica, si stanno dimostrando potenzialmente efficaci nel ridurre la sintomatologia dell'acufene, il quale è un problema otologico assai frequente.
  In base a studi condotti negli ultimi 10 anni in Germania, presso l'Istituto tedesco per la ricerca e la cura dell'acufene, nel Regno Unito, presso l'università di Aberdeen, e in altre nazioni europee, mediamente circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente ne ha sofferto almeno una volta nella vita. Studi condotti in Italia dimostrerebbero (soprattutto per alcune realtà regionali per le quali sono disponibili dati relativamente recenti), come nel nostro Paese la prevalenza di questo disturbo sia analoga a quella europea.
  Sulla base di un attento studio dello stato delle conoscenze ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura scientifica disponibile e a seguito della disamina delle scoperte più recenti, si potrà valutare quali opportune iniziative adottare per gestire, da un lato, i problemi sanitari legati all'acufene e, dall'altro, la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'Istituto superiore di sanità, al fine di promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Per quanto riguarda la promozione di studi e ricerche concernenti la patologia dell'acufene, per consentire di migliorare l'approccio terapeutico e, quindi, migliorare la qualità della vita delle numerose persone colpite, si precisa che il finanziamento della ricerca finalizzata non comporta la preindividuazione, da parte del Ministero della salute di progetti di ricerca specifici, che sarà cura degli enti finanziati sviluppare.
  Tali enti (Irccs, regioni, Izs, Iss, eccetera) o i ricercatori, che a tali enti si affiliano, presentano progetti di loro interesse che vengono finanziati sulla esclusiva base di criteri meritocratici: i progetti, infatti, sono sottoposti al vaglio di referee anonimi (e stranieri) nel numero di tre (per ogni progetto), e solo i progetti migliori potranno accedere al finanziamento ministeriale.
  Se in Italia, quindi, sono presenti ricercatori interessati ad approfondire le tematiche e le implicazioni legate all'acufene, essi possono presentare, al momento della pubblicazione del bando di ricerca finalizzata, idonei progetti finalizzati: e tali progetti, qualora ottengano un adeguato punteggio dal sistema di valutazione previsto dal bando e dimostrino di avere ricadute non trascurabili sul Sistema sanitario nazionale, saranno sicuramente finanziati.
  È opportuno precisare che il piano nazionale di prevenzione per gli anni 2010-2012 (Intesa fra Governo, Regioni e Province Autonome del 29 aprile 2010), prevede un capitolo specifico sulla prevenzione dell'ipoacusia e della sordità.
  Nel gennaio 2011 si è costituito, presso la direzione generale della prevenzione del Ministero della salute, un tavolo di lavoro in materia, con rappresentanti delle società scientifiche e delle regioni.
  Detto tavolo ha il compito, nell'ottica di un piano articolato di specifiche azioni, di supportare le regioni nei loro programmi di prevenzione in materia di ipoacusia e sordità.
  È prevista anche la stesura di un documento, da presentare in sede di Conferenza Stato-Regioni, che comprenda sia «Linee di indirizzo sugli
screening audiologici in differenti età target» sia «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, in materia di prevenzione dell'ipoacusia e della sordità».
  Ad oggi, i lavori del tavolo hanno consentito la stesura delle «Linee di indirizzo per lo
screening neonatale uditivo».
  Il tavolo per finalizzare gli obiettivi deve ora definire le «Linee di indirizzo di prevenzione ipoacusia e sordità nell'adulto e nell'anziano» e il «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta».
  Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria e terapeutica nel caso di acufene, si segnala che i pazienti che accusano tale disturbo possono rivolgersi alle strutture del Servizio sanitario nazionale per usufruire delle prestazioni garantite dai livelli essenziali di assistenza (Lea) e vengono tutelati dalle disposizioni vigenti in materia di assenza per malattia dai luoghi di lavoro.
  Al riguardo, si precisa che per la patologia «
tinnitus», codice di malattia Icd9cm 388.3, in base ai dati delle schede di dimissione ospedaliera, risulta che nel 2010 sono stati trattati 2.350 pazienti in strutture di ricovero distribuite su tutto il territorio nazionale.
  Infatti, diversi enti universitari o ospedalieri hanno acquisito speciali competenze in materia.
  Inoltre, la maggior parte delle patologie che determinano gli acufeni sono individuate fra le condizioni di malattia croniche ed invalidanti, ai sensi del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329, e successive modifiche, per le quali è prevista l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
  Gli acufeni come tali non sono previsti fra le condizioni di malattia croniche e invalidanti, in quanto non rispondono a tutti i criteri previsti dal decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, quali la gravità clinica, il grado di invalidità e onerosità dalla quota di partecipazione derivante dal costo delle prestazioni utili al medico per effettuare un corretto
follow up della malattia.
  Per quanto riguarda, in particolare, lo sviluppo di campagne di prevenzione e sensibilizzazione concernenti l'acufene, si segnala che è attualmente in fase di definizione il Programma delle iniziative di comunicazione per l'anno 2012, che saranno realizzate dal Ministero della salute: in tale contesto verrà valutata l'opportunità di inserire la problematica in esame nell'ambito dei piani da sviluppare.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   BARBATO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da articoli di stampa locale e nazionale pubblicati nei giorni 30 giugno 2012 e 4 luglio 2012, il Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana dop (denominazione di origine protetta) di Caserta ha modificato il disciplinare di produzione della «mozzarella di bufala campana», introducendo la possibilità di produrla con cagliata congelata;
   tale modifica è stata attuata unilateralmente dal Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana in data 27 giugno 2012, senza alcuna intesa preventiva con le associazioni di categoria che, anzi, avevano opposto un rifiuto alla proposta;
   la notizia ha già provocato azioni legali da parte delle associazioni di categoria che annunciano ricorso al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali nella giornata del 5 luglio 2012 per fermare l’iter di approvazione del nuovo disciplinare;
   la modifica del disciplinare di produzione potrebbe provocare un abbassamento della qualità della mozzarella di bufala campana dop, con gravi ripercussioni economiche per il settore;
   la modifica del disciplinare, inoltre, così come denunciato dalle associazioni di categoria, potrebbe provocare anche il rischio della perdita del marchio «dop» –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere per evitare che tale modifica possa comportare la perdita del marchio dop ed il collasso di un settore che è motore dell'economia campana e nazionale. (4-16868)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame vorrei anzitutto precisare che la procedura con la quale è possibile richiedere la modifica del disciplinare di una denominazione di origine è disciplinata dal Regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari, nonché dal decreto ministeriale 21 maggio 2007.
  La predetta normativa, oltre a individuare i soggetti legittimati a presentare la suddetta richiesta, corredata della documentazione necessaria per verificare la condivisione dei soggetti titolari di tale diritto, dispone che ogni modifica sia ampiamente giustificata e in linea con quanto previsto dal Regolamento comunitario.
  Al fine di consentire all'amministrazione di acquisire tutti gli elementi necessari per un'attenta valutazione della proposta di modifica, la procedura riserva un ampio spazio al parere delle regioni competenti per territorio.
  Ciò premesso, informo l'interrogante che il 21 marzo è stata presentata una richiesta di modifica del disciplinare dalla denominazione origine protetta mozzarella di bufala campana onde ottenere, tra l'altro, che non sia previsto un limite temporale tra la produzione della cagliata e la fase della filatura.
  Tale richiesta non è stata ritenuta rispondente a quanto previsto dalla normativa nazionale e comunitaria. Pertanto, in data 5 maggio 2012, abbiamo chiesto al consorzio un'integrazione della documentazione presentata.
  Al momento, siamo in attesa dei pareri delle regioni competenti e dell'integrazione richiesta.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   BERTOLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Italia i casi di violenza da parte di stranieri, soprattutto di religione islamica, nei confronti delle mogli e dei figli, compiuti in nome del fondamentalismo e dell'oscurantismo religioso, sono sempre più numerosi;
   un'ennesima tragedia si è consumata nel trevigiano, come riporta un giornale locale del 3 novembre 2011, a danno di una donna marocchina che è stata picchiata, perseguitata e persino violentata dal marito di stessa nazionalità e responsabile di un centro di preghiera;
   l'imam di 32 anni era venuto in Italia da solo e, dopo aver trovato un buon posto come operaio specializzato nel trevigiano, aveva fatto arrivare la moglie dal Marocco;
   la donna, madre di due bambini uno di 6 e l'altro di 3 anni, laureata in giurisprudenza nel suo Paese, una volta arrivata in Italia, ha cercato di inserirsi socialmente, senza però abbandonare la religione e la cultura di origine;
   le violenze sono iniziate quando la donna ha iniziato a chiedere al marito di concederle quelle nuove libertà che le permettevano di vivere la sua nuova vita nel nostro Paese: guidare la macchina per accompagnare i figli a scuola, imparare l'italiano per comunicare con i genitori degli altri bambini, non indossare il velo integrale perché non lo sentiva più suo;
   percosse e litigi hanno costretto la donna ad andarsene di casa con i figli, a trovarsi un lavoro come cameriera e a lasciare il marito, a causa delle continue persecuzioni;
   l'uomo è accusato di maltrattamenti in famiglia, di violenza sessuale e di stalking a seguito della denuncia della donna, presentata ai carabinieri e successivamente ritirata per paura di ritorsioni da parte del marito;
   violenza fisica e imposizione del burqa sono solo alcune delle vessazioni a cui sono sottoposte ancora troppe donne di religione islamica in Italia;
   i tanti episodi di violenza compiuti nei confronti delle donne musulmane, oltre a suscitare indignazione e ferma condanna, devono anche far riflettere sul fatto che la maggior parte di essi sono compiuti da componenti dei loro nuclei famigliari e da persone del loro stesso credo religioso –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale episodio e quali siano i suoi intendimenti al riguardo;
   di quali eventuali altri elementi sia a conoscenza in merito a tale vicenda;
   se sia in grado di fornire dati relativi a vicende che vedono coinvolte donne islamiche vittime di violenze e soprusi all'interno dei propri nuclei famigliari, avvenuti nel nostro Paese negli ultimi cinque anni;
   se non ritenga necessario avviare, con la collaborazione degli enti locali, una indagine approfondita per verificare quante situazioni analoghe, non denunciate, ci siano nel nostro Paese e per verificare la reale situazione delle donne straniere che vivono in Italia;
   se risulti che l'attività svolta dal marocchino nel trevigiano fosse conforme alla normativa vigente con particolare riferimento alle modalità secondo le quali svolgeva la sua attività di guida religiosa. (4-13929)


   BERTOLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da un quotidiano locale del 21 febbraio 2012, che a Bologna un marocchino di 30 anni Mahfoud Bahi, ha tentato di decapitare la sua compagna, perché «si sentiva impuro» per la sua fede islamica quando aveva rapporti sessuali con lei, di fede cristiana;
   la vittima, un'ucraina di 45 anni, che frequentava da tre anni, accoltellata più volte alla gola, è stata operata presso l'ospedale Maggiore e si è salvata, ma rischia lesioni permanenti;
   il trentenne è stato riconosciuto dagli inquilini del palazzo dove viveva la vittima ed è stato arrestato per tentato omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione;
   al momento dell'arresto, il marocchino era convinto di aver ucciso la compagna ed ha spiegato il suo violento gesto utilizzando un episodio narrato dalla Bibbia, riconosciuto anche dall'Islam, dichiarando di aver voluto immolare la compagna così come aveva fatto Abramo con l'unico figlio maschio Isacco;
   nel nostro Paese i casi di violenza da parte di stranieri, soprattutto di religione islamica, nei confronti delle mogli o compagne, compiuti in nome del fondamentalismo e dell'oscurantismo religioso sono sempre più numerosi;
   i tanti episodi di violenza compiuti nei confronti delle donne musulmane e cattoliche, oltre a suscitare indignazione e ferma condanna, devono anche far riflettere sul fatto che la maggior parte di essi sono compiuti tra le mura domestiche, luogo dove invece si dovrebbe essere al sicuro –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale episodio;
   se sia in grado di fornire dati relativi a vicende che vedono coinvolte donne islamiche, vittime di violenze e soprusi all'interno dei propri nuclei famigliari, avvenuti nel nostro Paese negli ultimi cinque anni;
   se non ritenga necessario avviare, con la collaborazione degli enti locali, un'indagine approfondita per verificare quante situazioni analoghe, non denunciate, ci siano nel nostro Paese e per verificare la reale situazione delle donne straniere che vivono in Italia. (4-15440)

  Risposta. — Il Ministero dell'interno segue con particolare attenzione il fenomeno della violenza contro le donne sia sotto il profilo della prevenzione che del contrasto.
  In particolare, nel tempo, sono state adottare strategie specifiche che si sono poi rivelate in linea con gli orientamenti emersi in ambito europeo, quali le direttive impartite alle «Sezioni specializzate» delle squadre mobili delle Questure, aventi ad oggetto:
   la formazione professionale del personale impiegato sia per l'apprendimento di tecniche di approccio e di ascolto della vittima nonché di valutazione del rischio, sia per l'individuazione di idonee misure di protezione;
   la predisposizione di idonei locali riservati per l'ascolto delle denunce;
   l'intensificazione di iniziative di collaborazione con gli enti e tutte le associazioni non governative (ong) sensibili al problema, al fine di realizzare una «rete» di protezione per le vittime di violenza.

  I casi di violenza segnalati con l'interrogazione in esame, come osservato dall'interrogante, sono stati compiuti da stranieri in nome del fondamentalismo religioso e, come spesso avvenuto in analoghi casi di cronaca giudiziaria, si sono verificati all'interno delle mura domestiche, nei confronti delle mogli e dei figli.
  Nel caso di Treviso, la prefettura ha reso noto che, effettivamente, la cittadina marocchina A.M. era stata segregata per alcuni mesi dal marito B.H., che le proibiva qualsiasi comportamento «occidentale», quale l'uso del cellulare, la guida dell'auto, il lavoro fuori casa, obbligandola ad indossare l'abbigliamento islamico.
  Nel settembre 2011, a seguito dei maltrattamenti e delle minacce di morte subite, la signora ha presentato denuncia presso la stazione Carabinieri di Valdagno (Vicenza). La stessa ha trovato ospitalità presso l'abitazione di una sorella, nei pressi di Valdagno.
  Si precisa, altresì, che il marito non risulta ricoprire la carica di guida religiosa (Imam) presso il luogo di preghiera di Farra di Soligo (Treviso).
  È, tuttavia, probabile che il predetto, in assenza dell'Imam responsabile, abbia condotto saltuariamente la preghiera del venerdì presso la suddetta sede.
  Si specifica, inoltre, che nel biennio 2010/2011 nella provincia di Treviso, oltre al caso esaminato, sono stati rilevati – a seguito di denuncia – solo quattro episodi di violenza contro le donne per motivi religiosi. Ne consegue che, considerato l'elevato numero di famiglie musulmane residenti nella provincia di Treviso, il fenomeno della violenza tra le pareti domestiche da parte di stranieri, soprattutto di religione islamica, può essere definito di lieve entità, anche in relazione alla continua attività di controllo messa in atto dalle Forze dell'ordine.
  Per i fatti segnalati con l'interrogazione n. 4-15440, la prefettura di Bologna ha comunicato che il 20 febbraio 2012 militari del Nucleo investigativo dell'Arma dei Carabinieri hanno tratto in arresto per tentato omicidio Bahi Mahfoud, nato in Marocco e residente a Bazzano, in regola con la normativa sul soggiorno. Il cittadino marocchino nelle prime ore del mattino, verosimilmente spinto da motivi passionali, ha accoltellato la propria fidanzata, di origine russa, colpendola gravemente all'altezza del collo. La stessa, prontamente soccorsa, è stata sottoposta ad un delicato intervento chirurgico e successivamente ricoverata, con prognosi riservata, per «lesione midollare cervicale da trauma penetrante con tetraplegia completa».

Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   BOBBA, BINETTI, CALGARO e GRASSI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 46 del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito con legge n. 31 del 28 febbraio 2008, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 51 del 29 febbraio 2008, dispone che il diritto alla pensione ai superstiti disabili viene mantenuto anche in caso di attività lavorativa «svolta con finalità terapeutica dai figli riconosciuti inabili, secondo la definizione di cui al comma 1, con orario non superiore alle 25 ore settimanali, presso le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, o presso datori di lavoro che assumono i predetti soggetti con convenzioni di integrazione lavorativa, di cui all'articolo 11 della legge 12 marzo 1999, n. 68», con contratti di formazione e lavoro, con contratti di apprendistato o con le agevolazioni previste per le assunzioni di disoccupati di lunga durata;
   nel passato molti genitori di persone con sindrome di Down, per timore della perdita di una certezza economica, quale la pensione di reversibilità in favore del figlio, hanno rinunciato spesso ad occasioni di lavoro, importanti e decisive per la qualità della vita dello stesso, in termini di formazione professionale e di inserimento lavorativo e quindi anche sociale;
   tale scelta, oltre ai danni che può provocare al singolo individuo, determina notevoli costi sociali, trasformando potenziali contribuenti, quali i lavoratori con sindrome di Down, in assistiti permanenti, non solo sul piano pensionistico, ma anche per l'incremento di domanda che suscita rispetto alla fruizione di servizi assistenziali;
   tale fenomeno è destinato a crescere, visto l'allungamento della vita delle persone con sindrome di Down;
   il sopraccitato articolo 46 è particolarmente importante, perché consente a molte famiglie di affrontare con maggiore serenità il futuro dei propri figli, che non si trovano più, come accadeva in precedenza, nella condizione di dover rinunciare alla pensione di reversibilità dei genitori nel caso di svolgimento di attività lavorativa;
   nonostante il disposto dell'articolo in esame abbia finalmente risolto tale situazione, si evidenziano alcuni dubbi interpretativi a livello amministrativo, che rischiano un'applicazione riduttiva della normativa, riguardanti in particolar modo la finalità terapeutica e le modalità di assunzione;
   il riferimento all'articolo 11 della legge 12 marzo 1999, n. 68, nell'articolo 46 del decreto-legge, esclude tutti coloro che sono stati assunti prima della emanazione della stessa legge, quindi molti di coloro che lavorano da diversi anni e che sono stati assunti ai sensi della precedente normativa, che non disponeva dello strumento delle convenzioni;
   le agevolazioni fruibili dal datore di lavoro che assume con la convenzione non sempre sono convenienti, in quanto vengono erogate a volte con anni di ritardo, o possono non arrivare affatto, vista la natura instabile delle stesse, relative al Fondo per il diritto al lavoro dei disabili, che stabilisce annualmente con apposito decreto un riparto tra le diverse regioni –:
   se il ministro in indirizzo non intenda opportuno individuare quanto prima un criterio che assimili ai criteri di assunzione esplicitati tutti i rapporti analoghi per caratteristiche di beneficiari e tipologie contrattuali;
   se lo stesso ministro, nel definire i criteri e nell'individuare gli organi competenti al riconoscimento della finalità terapeutica, non ritenga questa implicita per tutti i casi di attività lavorativa svolta da persone affette da disabilità intellettiva. (4-16388)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede se si intendano individuare criteri che assimilino all'attività lavorativa svolta da persone affette da disabilità intellettiva tutti i rapporti analoghi per caratteristiche di beneficiari e tipologie contrattuali, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 8 della legge 12 giugno 1984, n. 222 («Definizione di inabilità ai fini delle prestazioni previdenziali»), introdotto dall'articolo 46 del decreto-legge 31 dicembre 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, prevede, al comma 1-
bis, che «L'attività svolta con finalità terapeutica dai figli riconosciuti inabili, secondo la definizione di cui al comma 1 con orario non superiore alle 25 ore settimanali, presso le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, o presso i datori di lavoro che assumono i predetti soggetti con convenzioni di integrazione lavorativa, di cui all'articolo 11 della legge 12 marzo 1999, n. 68, con contratti di formazione e lavoro, con contratti di apprendistato o con le agevolazioni previste per le assunzioni di disoccupati di lunga durata, non preclude il conseguimento delle prestazioni di cui al citato articolo 22, comma 1, della legge 21 luglio 1965, n. 903».
  La nuova normativa definisce le modalità di svolgimento dell'attività lavorativa che deve, peraltro, avere finalità terapeutica, l'importo del trattamento economico che deve essere corrisposto al soggetto inabile ed amplia il novero dei datori di lavoro presso cui la predetta attività può essere svolta da parte dei figli inabili maggiorenni superstiti, al fine del riconoscimento e/o permanenza del diritto alla pensione ai superstiti.
  L'articolo 22, comma 1, della legge 21 luglio 1965, n. 903, dispone, tra l'altro, che nel caso di morte del pensionato o dell'assicurato, sempreché sussistano, al momento della morte, le condizioni di assicurazione e di contribuzione previste, spetta una pensione «ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento della morte».
  Come precisato dalla circolare n. 15 del 6 febbraio 2009 predisposta dall'Inps al riguardo, in deroga al principio secondo cui le condizioni richieste dalla legge ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione indiretta o di reversibilità debbono sussistere alla data del decesso dell'assicurato o del pensionato, il figlio riconosciuto inabile al lavoro nel periodo compreso tra la data di morte dell'assicurato o del pensionato e quella di compimento del 18o anno di età conserva il diritto alla pensione ai superstiti anche dopo il compimento di tale età.
  Ai fini della concessione della pensione ai superstiti a favore di soggetti inabili aventi causa da assicurato o pensionato deceduto successivamente al 30 giugno 1984, trova applicazione la definizione di inabilità di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 12 giugno 1984, n. 222, secondo cui «si considerano inabili le persone che si trovino nella assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa».
  La prestazione previdenziale di cui alla citata legge n. 222 del 1984 è pertanto riconosciuta ai soggetti disabili che si trovano nella impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, anche se svolgono un'attività con finalità terapeutica. Per tali soggetti il concetto di lavoro assume una diversa connotazione rispetto a quella di prestazione d'opera retribuita atta a garantire un'esistenza libera e dignitosa.
  La finalità terapeutica, accertata da parte dell'ente erogatore della prestazione, andrà accertata in tutti i casi in cui il soggetto inabile richiedente la prestazione risulti collocato sia presso le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, sia, tramite la legge 12 marzo 1999, n. 68 presso datori di lavoro pubblici e privati che abbiano stipulato le convenzioni di integrazione lavorativa ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 68 del 1999.
  Le disposizioni di cui all'articolo 46 hanno effetto dal 31 dicembre 2007 e al riguardo l'Inps, con la circolare sopra riferita, ha previsto che per i decessi intervenuti anteriormente al 31 dicembre 2007, la nuova disciplina si rende applicabile a tutte le pensioni ai superstiti liquidate a favore di figli maggiorenni inabili per rapporti di lavoro avviati dopo il 30 dicembre 2007.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiCecilia Guerra.


   CARLUCCI, GALLETTI, ZINZI, TASSONE, ADORNATO, BOSI, BUTTIGLIONE, CAPITANIO SANTOLINI, ENZO CARRA, CASINI, CERA, CESA, COMPAGNON, DE POLI, DELFINO, LIBÈ, LUSETTI, MANTINI, MARCAZZAN, MEREU, RICARDO ANTONIO MERLO, MONDELLO, OCCHIUTO, PEZZOTTA, POLI, RAO, RIA, RUGGERI, NUNZIO FRANCESCO TESTA, VOLONTÈ, BONCIANI, LUONGO, BORDO e NARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese sono 56 mila le famiglie che, nel 2011, sono state colpite da un provvedimento di sfratto per morosità, un dato in linea con l'andamento del 2010 che, negli ultimi cinque anni, è aumentato costantemente, con un balzo complessivo – dal 2006 alle rilevazioni attuali – del 64 per cento;
   a pesare, inutile dirlo, è la crisi, che porta con sé la difficoltà ad arrivare a fine mese per un numero sempre maggiore di italiani;
   degli oltre 63 mila provvedimenti di sfratto del 2011, l'87 per cento sono dovuti all'impossibilità di pagare degli inquilini. A guidare la triste classifica c’è Roma dove, nel 2011 sono state emesse 4678 nuove sentenze, seguono Torino (2523 sfratti), Napoli (1557) e Milano (1115). Il dato è in aumento su tutto il territorio nazionale, e le associazioni che si occupano dei diritti degli inquilini sono in allarme e denunciano una situazione che non potrà che peggiorare;
   si tratta di una tendenza che non può che aggravarsi, stando agli allarmi lanciati dai sindacati degli inquilini, che denunciano la forte sofferenza sociale e auspicano, da parte delle istituzioni, adeguate misure di contrasto;
   l'unione inquilini prevede 250 mila nuovi sfratti nei prossimi tre anni, di cui 225 mila per morosità incolpevole, ossia per la reale impossibilità di pagare il canone per via di cause sopraggiunte;
   un intervento ordinato e coordinato per questo problema non c’è. Negli ultimi anni, le risorse per il sostegno agli affitti sono state tagliate dal Governo Berlusconi dell'85 per cento; la proroga sugli sfratti non comprende la morosità incolpevole, e le realtà locali si muovono un po’ ciascuna a modo proprio (tramite fondi o mettendo a disposizione alloggi popolari);
   oltre a mancare un coordinamento nazionale ed un progetto unico, si segnala che:
    il fondo per la non autosufficienza è stato azzerato da anni;
    il fondo nazionale per il contributo affitti è passato da 205 milioni di euro nel 2008 a 36 milioni di euro nel 2011, con una prospettiva di diminuzione del 70 per cento;
    il fondo sociale è diminuito del 55 per cento;
    il fondo contributo affitti non è stato solo tagliato dell'85 per cento dal Governo Berlusconi; il Governo Monti lo ha totalmente azzerato a partire dal 2012 per cui di 300 mila famiglie «borderline», che con questo contributo non andavano in morosità, un'alta parte sarà a rischio;
   la fiscalità è un elemento fondamentale della locazione. L'attenuazione del carico fiscale sugli immobili locati attraverso la cedolare secca, che aveva dato un po’ di respiro nel 2011, è stata quasi annullata dalla manovra di fine anno –:
   quali siano gli intendimenti del Governo rispetto a tale vicenda e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di evitare serie conseguenze e difficoltà alle famiglie interessate e realmente bisognose. (4-17195)

  Risposta. — Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è ben consapevole della problematica relativa al disagio abitativo, particolarmente grave in alcune aree metropolitane e che nel corso degli ultimi anni ha riguardato nuove categorie di cittadini non tradizionalmente interessati da tale fenomeno sociale.
  In particolare, l'incremento del numero dei procedimenti di rilascio soprattutto per morosità incolpevole, dovuto essenzialmente alla riduzione del reddito per perdita del posto di lavoro, quale conseguenza anche della attuale congiuntura economica non favorevole, sta assumendo dimensioni, in effetti, preoccupanti.
  Altro aspetto rilevante riguarda gli sfratti per finita locazione che interessano quei nuclei familiari che si trovano nelle condizioni di particolare disagio abitativo previste dalla legge 8 febbraio 2007, n. 9 (circa 1.700 famiglie), attualmente sospesi fino al 31 dicembre 2012.
  Al riguardo, è intenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti attivare un programma di recupero di alloggi di proprietà degli
ex Iacp, che risultano privi di assegnatari, da destinare ai soggetti beneficiari della citata sospensione.
  Per garantire la dotazione finanziaria di tale programma, per il quale si prevedeva di utilizzare risorse per circa 70 milioni di euro provenienti da economie realizzate su precedenti programmi edilizi non completati, è stato presentato, in sede di conversione del decreto legge 22 giugno n. 83, apposito emendamento con il quale veniva prevista la creazione di un fondo
ad hoc. Tuttavia, tale emendamento non ha trovato favorevole accoglimento in quella sede ma verrà valutata la possibilità di inserirlo nel primo strumento normativo utile.
  Vanno, inoltre, evidenziate le recenti iniziative assunte dal Ministero che possono concorrere a dare soluzione, seppure parziale, al disagio abitativo delle categorie sociali deboli sottoposte a procedura esecutive di rilascio.
  Si fa riferimento, essenzialmente, alle linee di attività contenute nel Piano nazionale di edilizia abitativa approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2009.
  In primo luogo si fa presente che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera
f), del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono stati attivati n. 480 interventi, per i quali sono state assegnate risorse pari a circa 200 milioni di euro, distribuiti sull'intero territorio nazionale e destinati ad incrementare il patrimonio di edilizia residenziale pubblica dei Comuni o degli ex Iacp comunque denominati. Verranno così realizzati 5.059 alloggi di cui 4.220 oggetto di recupero, 209 di nuova costruzione e 146 acquisiti.
  Per quanto concerne, poi, le attività del Fondo nazionale (Fondo investimenti per l'abitare) gestiti da CDP Investimenti sgr (società di gestione del risparmio) in attuazione del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 luglio 2009, si segnala che le prime iniziative deliberate svilupperanno oltre 1.500 alloggi a fronte di un investimento statale di 8 milioni di euro ed attiveranno investimenti per 311 milioni di euro. Inoltre, il Fondo ha già deliberato la partecipazione ad ulteriori iniziative grazie alle quali, fermo restando l'esito positivo dell'istruttoria tecnico-finanziaria, potranno attivarsi investimenti per oltre 1,1 miliardi di euro per un totale di 9 mila alloggi a fronte di una partecipazione statale di 31 milioni di euro.
  Si evidenzia, inoltre, che con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 luglio 2012, attualmente in fase di registrazione e successiva pubblicazione, al fine di facilitare l'operatività degli investimenti, è stato eliminato il vincolo del limite massimo del 40 per cento previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2009 per gli investimenti del Fondo nazionale ai fondi locali.
  Inoltre, sulla base degli accordi sottoscritti in attuazione dell'articolo 4, comma 2, del più volte richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2009 la linea di intervento del Piano nazionale di edilizia abitativa relativa agli accordi di programma consentirà la realizzazione, a livello nazionale, di 17.101 alloggi (di cui 13.737 di nuova costruzione, 3.168 da recupero/ristrutturazione e 196 da acquisto di immobili già esistenti). Del totale sopraindicato, 7.220 alloggi saranno destinati al mercato dell'affitto permanente o per almeno 25 anni; 6.587 a riscatto dopo 10 anni; 3.314 saranno destinati al libero mercato. Le risorse che complessivamente potranno essere investite sono pari a circa 2,9 miliardi.
  Per completezza d'informazione, per quanto concerne gli altri dicasteri destinatari dell'interrogazione in esame, si fa presente che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha evidenziato che fra gli strumenti di sostegno all'abitare è attivo il programma carta acquisti. Si tratta di una carta di pagamento elettronico, introdotta con il decreto-legge n. 112 del 2008 e relativa legge di conversione, per offrire un sostegno alle persone meno abbienti, tra l'altro, anche per il pagamento delle bollette domestiche di luce e gas.
  Con la carta acquisti le spese vengono addebitate entro i limiti stabiliti dal programma, direttamente allo Stato, alle Regioni e agli Enti territoriali che hanno erogato specifici contributi.
  La carta acquisti ha un valore di 40 euro mensili e viene caricata ogni due mesi con 80 euro sulla base degli stanziamenti via via disponibili; viene concessa agli anziani di età superiore o uguale a 65 anni e ai bambini di età inferiore ai tre anni (in questo caso il titolare della carta è il genitore) che siano in possesso dei requisiti previsti.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiCorrado Passera.


   CASSINELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'acufene è una malattia riferibile alla percezione di un rumore non dovuto ad onde sonore provenienti da una fonte esterna: si tratta di un disturbo caratterizzato da fischi, ronzii, fruscii, soffi, pulsazioni, e altro, che, se persistenti nel tempo, possono portare a stati di estrema depressione;
   l'incidenza del sintomo dell'acufene è piuttosto rilevante: si calcola che esso interessi il 10-14 per cento della popolazione mondiale. In Italia tale patologia, ancora scarsamente conosciuta, affligge il 10 per cento della popolazione priva di difetti uditivi e nell'1 per cento dei casi causa notevoli problemi come ansia, nervosismo e disturbi del sonno;
   le probabili cause dell'acufene sono i rumori troppo forti, infezioni all'orecchio, l'uso di farmaci che risultano essere tossici per l'orecchio e patologie delle articolazioni temporomandibolari, vertebrali, dell'apparato circolatorio e neurologiche;
   il paziente che soffre di tale patologia, apparentemente banale, può sviluppare uno stato invalidante che interferisce gravemente sulla qualità della vita, portandolo a gravi disturbi di attenzione e di concentrazione destinati a ripercuotersi sulla vita lavorativa e di relazione, alterando i ritmi di sonno e di veglia e influendo fortemente sull'assetto psicologico del malato nel potenziamento degli stati ansiosi e depressivi –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere sia al fine di incrementare e potenziare progetti e strutture per aiutare le persone colpite da tale patologia, sia per avviare una campagna di prevenzione e sensibilizzazione su questo grave tema. (4-15025)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico che consiste in disturbi, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altri rumori, percepiti in una o in entrambe le orecchie.
  L'acufene può incidere pesantemente sulla qualità della vita di chi ne soffre, soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente.
  La ricerca clinica ha dimostrato come, in una percentuale elevata dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia è parte integrante.
  Nella maggior parte dei casi, l'eziologia non è chiara. Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di «
neuroimaging», che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione delle cause della patologia. Inoltre, approcci sofisticati, quali la stimolazione magnetica transcranica, si stanno dimostrando potenzialmente efficaci nel ridurre la sintomatologia dell'acufene, il quale è un problema otologico assai frequente.
  In base a studi condotti negli ultimi 10 anni in Germania, presso l'istituto tedesco per la ricerca e la cura dell'acufene, nel Regno Unito, presso l'università di Aberdeen, e in altre nazioni europee, mediamente circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente ne ha sofferto almeno una volta nella vita. Studi condotti in Italia dimostrerebbero (soprattutto per alcune realtà regionali per le quali sono disponibili dati relativamente recenti), come nel nostro Paese la prevalenza di questo disturbo sia analoga a quella europea.
  Sulla base di un attento studio dello stato delle conoscenze ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura scientifica disponibile e a seguito della disamina delle scoperte più recenti, si potrà valutare quali opportune iniziative adottare per gestire, da un lato, i problemi sanitari legati all'acufene e, dall'altro, la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'Istituto superiore di sanità, al fine di promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Per quanto riguarda la promozione di studi e ricerche concernenti la patologia dell'acufene, per consentire di migliorare l'approccio terapeutico e, quindi, migliorare la qualità della vita delle numerose persone colpite, si precisa che il finanziamento della ricerca finalizzata non comporta la preindividuazione, da parte del Ministero della salute di progetti di ricerca specifici, che sarà cura degli enti finanziati sviluppare.
  Tali enti (Irccs, regioni, Izs, Iss, eccetera), o i ricercatori, che a tali enti si affiliano, presentano progetti di loro interesse che vengono finanziati sulla esclusiva base di criteri meritocratici: i progetti, infatti, sono sottoposti al vaglio di
referee anonimi (e stranieri) nel numero di tre (per ogni progetto), e solo i progetti migliori potranno accedere al finanziamento ministeriale.
  Se in Italia, quindi, sono presenti ricercatori interessati ad approfondire le tematiche e le implicazioni legate all'acufene, essi possono presentare, al momento della pubblicazione del bando di ricerca finalizzata, idonei progetti finalizzati: e tali progetti, qualora ottengano un adeguato punteggio dal sistema di valutazione previsto dal bando e dimostrino di avere ricadute non trascurabili sul Sistema sanitario nazionale, saranno sicuramente finanziati.
  È opportuno precisare che il piano nazionale di prevenzione per gli anni 2010-2012 (intesa fra Governo, regioni e province autonome del 29 aprile 2010), prevede un capitolo specifico sulla prevenzione dell'ipoacusia e della sordità.
  Nel gennaio 2011 si è costituito, presso la direzione generale della prevenzione del Ministero della salute, un tavolo di lavoro in materia, con rappresentanti delle società scientifiche e delle regioni.
  Detto tavolo ha il compito, nell'ottica di un piano articolato di specifiche azioni, di supportare le regioni nei loro programmi di prevenzione in materia di ipoacusia e sordità.
  È prevista anche la stesura di un documento, da presentare in sede di Conferenza Stato-Regioni, che comprenda sia «Linee di indirizzo sugli
screening audiologici in differenti età target» sia «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, in materia di prevenzione dell'ipoacusia e della sordità».
  Ad oggi, i lavori del tavolo hanno consentito la stesura delle «Linee di indirizzo per lo
screening neonatale uditivo».
  Il tavolo per finalizzare gli obiettivi deve ora definire le «Linee di indirizzo di prevenzione ipoacusia e sordità nell'adulto e nell'anziano» e il «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta».
  Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria e terapeutica nel caso di acufene, si segnala che i pazienti che accusano tale disturbo possono rivolgersi alle strutture del Servizio sanitario nazionale per usufruire delle prestazioni garantite dai livelli essenziali di assistenza (Lea) e vengono tutelati dalle disposizioni vigenti in materia di assenza per malattia dai luoghi di lavoro.
  Al riguardo, si precisa che per la patologia «
tinnitus», codice di malattia Icd9cm 388.3, in base ai dati delle schede di dismissione ospedaliera, risulta che nel 2010 sono stati trattati 2.350 pazienti in strutture di ricovero distribuite su tutto il territorio nazionale.
  Infatti, diversi enti universitari o ospedalieri hanno acquisito speciali competenze in materia.
  Inoltre, la maggior parte delle patologie che determinano gli acufeni sono individuate fra le condizioni di malattia croniche ed invalidanti, ai sensi del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329, e successive modifiche, per le quali è prevista l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
  Gli acufeni come tali non sono previsti fra le condizioni di malattia croniche e invalidanti, in quanto non rispondono a tutti i criteri previsti dal decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, quali la gravità clinica, il grado di invalidità e onerosità dalla quota di partecipazione derivante dal costo delle prestazioni utili al medico per effettuare un corretto
follow up della malattia.
  Per quanto riguarda, in particolare, lo sviluppo di campagne di prevenzione e sensibilizzazione concernenti l'acufene, si segnala che è attualmente in fase di definizione il Programma delle iniziative di comunicazione per l'anno 2012, che saranno realizzate dal Ministero della salute: in tale contesto verrà valutata l'opportunità di inserire la problematica in esame nell'ambito dei piani da sviluppare.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   CATONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'acufene è una sensazione uditiva, un suono costante, ad esempio ronzii, fischi e altro, percepito da un orecchio o da entrambi gli orecchi ovvero nella testa;
   questa patologia non è semplicemente un «disturbo fastidioso», come spesso a torto viene definito, ma una vera e propria malattia invalidante, ed in alcuni casi devastante, che affligge in Italia circa il 10 per cento della popolazione, ovvero circa 5 milioni di persone;
   l'acufene è un vero e proprio stillicidio, in quanto vuol dire vivere per mesi, anni o decenni sentendo nelle orecchie o nella testa rumori fastidiosi; esso provoca uno stato invalidante dal punto di vista dell'assetto psicologico ed emozionale, del ritmo sonno-veglia, del livello di attenzione e concentrazione;
   l'acufene porta spesso ad uno stato di forte depressione, a volte con risvolti drammatici, che arrivano alla morte per suicidio –:
   quali iniziative intenda intraprendere ovvero siano state avviate dal Ministero della salute per sostenere concretamente la ricerca e gli studi sull'acufene, una patologia devastante e invalidante che colpisce circa 5 milioni di persone in Italia. (4-14919)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico che consiste in disturbi, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altri rumori, percepiti in una o in entrambe le orecchie.
  L'acufene può incidere pesantemente sulla qualità della vita di chi ne soffre, soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente.
  La ricerca clinica ha dimostrato come, in una percentuale elevata dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia è parte integrante.
  Nella maggior parte dei casi, l'eziologia non è chiara. Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di «
neuroimaging», che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione delle cause della patologia. Inoltre, approcci sofisticati, quali la stimolazione magnetica transcranica, si stanno dimostrando potenzialmente efficaci nel ridurre la sintomatologia dell'acufene, il quale è un problema otologico assai frequente.
  In base a studi condotti negli ultimi 10 anni in Germania, presso l'istituto tedesco per la ricerca e la cura dell'acufene, nel Regno Unito, presso l'università di Aberdeen, e in altre nazioni europee, mediamente circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente ne ha sofferto almeno una volta nella vita. Studi condotti in Italia dimostrerebbero (soprattutto per alcune realtà regionali per le quali sono disponibili dati relativamente recenti), come nel nostro Paese la prevalenza di questo disturbo sia analoga a quella europea.
  Sulla base di un attento studio dello stato delle conoscenze ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura scientifica disponibile e a seguito della disamina delle scoperte più recenti, si potrà valutare quali opportune iniziative adottare per gestire, da un lato, i problemi sanitari legati all'acufene e, dall'altro, la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'Istituto superiore di sanità, al fine di promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Per quanto riguarda la promozione di studi e ricerche concernenti la patologia dell'acufene, per consentire di migliorare l'approccio terapeutico e, quindi, migliorare la qualità della vita delle numerose persone colpite, si precisa che il finanziamento della ricerca finalizzata non comporta la preindividuazione, da parte del Ministero della salute di progetti di ricerca specifici, che sarà cura degli enti finanziati sviluppare.
  Tali enti (Irccs, regioni, Izs, Iss, eccetera), o i ricercatori, che a tali enti si affiliano, presentano progetti di loro interesse che vengono finanziati sulla esclusiva base di criteri meritocratici: i progetti, infatti, sono sottoposti al vaglio di
referee anonimi (e stranieri) nel numero di tre (per ogni progetto), e solo i progetti migliori potranno accedere al finanziamento ministeriale.
  Se in Italia, quindi, sono presenti ricercatori interessati ad approfondire le tematiche e le implicazioni legate all'acufene, essi possono presentare, al momento della pubblicazione del bando di ricerca finalizzata, idonei progetti finalizzati: e tali progetti, qualora ottengano un adeguato punteggio dal sistema di valutazione previsto dal bando e dimostrino di avere ricadute non trascurabili sul Sistema sanitario nazionale, saranno sicuramente finanziati.
  È opportuno precisare che il piano nazionale di prevenzione per gli anni 2010-2012 (intesa fra Governo, regioni e province autonome del 29 aprile 2010), prevede un capitolo specifico sulla prevenzione dell'ipoacusia e della sordità.
  Nel gennaio 2011 si è costituito, presso la direzione generale della prevenzione del Ministero della salute, un tavolo di lavoro in materia, con rappresentanti delle società scientifiche e delle regioni.
  Detto tavolo ha il compito, nell'ottica di un piano articolato di specifiche azioni, di supportare le regioni nei loro programmi di prevenzione in materia di ipoacusia e sordità.
  È prevista anche la stesura di un documento, da presentare in sede di Conferenza Stato-Regioni, che comprenda sia «Linee di indirizzo sugli
screening audiologici in differenti età target» sia «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, in materia di prevenzione dell'ipoacusia e della sordità».
  Ad oggi, i lavori del tavolo hanno consentito la stesura delle «Linee di indirizzo per lo
screening neonatale uditivo».
  Il tavolo per finalizzare gli obiettivi deve ora definire le «Linee di indirizzo di prevenzione ipoacusia e sordità nell'adulto e nell'anziano» e il «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta».
  Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria e terapeutica nel caso di acufene, si segnala che i pazienti che accusano tale disturbo possono rivolgersi alle strutture del Servizio sanitario nazionale per usufruire delle prestazioni garantite dai livelli essenziali di assistenza (Lea) e vengono tutelati dalle disposizioni vigenti in materia di assenza per malattia dai luoghi di lavoro.
  Al riguardo, si precisa che per la patologia «
tinnitus», codice di malattia Icd9cm 388.3, in base ai dati delle schede di dismissione ospedaliera, risulta che nel 2010 sono stati trattati 2.350 pazienti in strutture di ricovero distribuite su tutto il territorio nazionale.
  Infatti, diversi enti universitari o ospedalieri hanno acquisito speciali competenze in materia.
  Inoltre, la maggior parte delle patologie che determinano gli acufeni sono individuate fra le condizioni di malattia croniche ed invalidanti, ai sensi del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329, e successive modifiche, per le quali è prevista l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
  Gli acufeni come tali non sono previsti fra le condizioni di malattia croniche e invalidanti, in quanto non rispondono a tutti i criteri previsti dal decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, quali la gravità clinica, il grado di invalidità e onerosità dalla quota di partecipazione derivante dal costo delle prestazioni utili al medico per effettuare un corretto
follow up della malattia.
  Per quanto riguarda, in particolare, lo sviluppo di campagne di prevenzione e sensibilizzazione concernenti l'acufene, si segnala che è attualmente in fase di definizione il Programma delle iniziative di comunicazione per l'anno 2012, che saranno realizzate dal Ministero della salute: in tale contesto verrà valutata l'opportunità di inserire la problematica in esame nell'ambito dei piani da sviluppare.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i servizi postali inerenti il recapito delle bollette di pagamento di diversi gestori di servizi essenziali, quali luce, gas, telefono, risultano viziati da alcune anomalie che danneggiano gli utenti;
   a questi ultimi, non potendo in alcun modo dimostrare il ritardo di ricezione degli avvisi di pagamento, a causa della mancanza del timbro postale sulle buste, sono comunque addebitati interessi di mora per il ritardato pagamento, a cui si aggiunge il costo di eventuali ed ulteriori solleciti di pagamento a mezzo raccomandata postale;
   è evidente che in questi casi il mero disservizio postale si ripercuote in maniera sperequata tra fornitori di servizi, a cui paradossalmente il ritardo postale di fatto giova, e utenza, costretta a sostenere costi aggiuntivi rispetto ai reali consumi –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, al fine di garantire maggior tutela ai consumatori, non ritenga opportuno assumere iniziative per ripristinare la timbratura della posta ordinaria, almeno limitatamente alla «posta massiva» inviata dai gestori di servizi essenziali. (4-12500)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si fa presente quanto segue.
  Dal mese di marzo 2002, analogamente a quanto avviene negli altri Paesi europei, la bollatura della corrispondenza con l'indicazione della data di arrivo viene apposta obbligatoriamente esclusivamente sulla posta cosiddetta «registrata», vale a dire sulla posta raccomandata, inclusi gli atti giudiziari, e sulla posta assicurata.
  Peraltro, la decisione di eliminare, presso i centri di recapito, l'apposizione dei timbri sulla corrispondenza, si inserisce in un più ampio contesto di misure volte proprio alla velocizzazione ed alla razionalizzazione dei processi lavorativi.
  Si evidenzia, in proposito, che il fornitore designato del servizio postale universale ha sviluppato una rete logistica integrata (articolata nelle fasi di accettazione, trasporto, smistamento e recapito) finalizzata al raggiungimento di obiettivi sempre più competitivi, nel rispetto dei crescenti standard di qualità del recapito imposti dall'Autorità di regolamentazione. La bollatura della corrispondenza, determinando un generale rallentamento di tutte le operazioni, vanificherebbe pertanto l'abbattimento dei tempi ottenuto attraverso la meccanizzazione delle fasi del processo di lavorazione.
  Questa Amministrazione, sentita la società Poste italiane, precisa quindi che per quanto concerne la corrispondenza in partenza, a tutt'oggi, il timbro viene apposto solamente sugli invii affrancati ai fini dell'annullo dei francobolli mentre la corrispondenza registrata accettata presso gli uffici postali è affrancata mediante l'apposizione di una speciale etichetta adesiva che riporta l'indicazione della tipologia di prodotto, l'importo, il cap, la data, l'orario della spedizione, nonché il frazionario identificativo dell'ufficio postale accettante. Tutte queste informazioni vengono replicate nel codice bidimensionale necessario per il trattamento della corrispondenza negli impianti di lavorazione.
  Non sono, invece, soggetti alla timbratura gli invii che rientrano nella categoria della cosiddetta «posta massiva», prodotto completamente aperto alla concorrenza, e che concerne le spedizioni effettuate da clienti i quali utilizzano su larga scala il servizio postale ed assolvono l'obbligo del pagamento di tariffe con modalità e tempi differenti, non necessariamente contestuali all'invio stesso (ad esempio tramite conto corrente, macchine affrancatrici, eccetera).
  Il prodotto «posta massiva», che non transita attraverso gli uffici postali, è dedicato alla clientela
business la quale ha necessità di spedire ai propri clienti invii in grandi quantità, generalmente composti da fatture commerciali o estratti conto.
  Peraltro, per tutti gli invii di corrispondenza, inclusa la posta massiva, Poste italiane Spa è tenuta comunque al raggiungimento di obiettivi di qualità determinati dall'organismo di regolamentazione del settore, attualmente rappresentato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ai sensi dell'articolo 21, comma 13, del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito con legge 22 dicembre 2011 n. 214.
  Il mancato raggiungimento di tali obiettivi, monitorati statisticamente da una società indipendente, determina controlli ed eventuali sanzioni da parte dell'Autorità di regolamentazione, secondo quanto previsto dalla Direttiva 97/67/CE (in particolare articoli 16 e 17) e dal relativo decreto legislativo di recepimento, n. 261 del 1999, ma ha anche l'effetto di limitare il meccanismo di adeguamento delle tariffe postali ai sensi della Deliberazione Cipe n. 77 del 29 settembre 2003, recante linee guida sulla regolazione del settore postale.
  L'azienda ha infine sottolineato che per quanto riguarda gli invii di posta massiva i risultati ad oggi conseguiti indicano valori in linea con gli obiettivi imposti dal regolatore considerato che oltre il 98 per cento degli invii viene recapitato in non più di cinque giorni, oltre quello dell'accettazione (cosiddetto J+5).
  Al riguardo, nelle more del perfezionamento del processo di organizzazione di Agcom previsto dalla citata legge n. 214 del 2011, il Mise garantirà, in un rapporto di collaborazione con la stessa l'Autorità, la continuità delle esigenze di interesse pubblico attinenti ai mercati postali, tramite i propri uffici territoriali affinché siano in ogni caso, rispettati gli obblighi connessi allo svolgimento del servizio universale.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   DI BIAGIO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'acufene è una patologia devastante, i cui aspetti non sono molto conosciuti dall'opinione pubblica. Si tratta di una disfunzione del sistema uditivo che porta alla percezione di un suono in assenza di una stimolazione sonora, che ha un impatto molto negativo sulla qualità della vita;
   chi è affetto da questa patologia percepisce i rumori sotto forma di fischi, ronzii, percependo i soffi o pulsazioni che si originano all'interno del corpo umano oppure dell'apparato uditivo stesso;
   l'acufene è uno dei disturbi più comuni della popolazione che può colpire in età pediatrica anche se il rischio di manifestazione aumenta con l'età, maggiormente dopo i 40 anni senza differenze tra i sessi;
   diversamente da quello che si crede, questa patologia non è semplicemente un «disturbo spiacevole», ma una vera e propria malattia invalidante che affligge in Italia il 10 per cento della popolazione, secondo i dati forniti per l'Associazione italiana Tinnitus-Acufene;
   gli affetti da questa malattia, oltre 5 milioni di cittadini italiani, sono obbligati a vivere sentendo ininterrottamente rumori irritanti, che provocano disturbi nel sonno, ed effetti negativi non solo sulla capacità di concentrazione e attenzione, ma anche nella vita di relazione;
   sebbene per il 60 per cento dei casi ancora non è possibile individuare lo specifico fattore scatenante, la persistenza nel tempo e la dimensione fortemente invalidante hanno portato a stati di estrema depressione che hanno avuto anche drammatiche conseguenze, come il suicidio;
   nei soggetti colpiti, questo disturbo provoca un cambio di abitudini, di condotte e sullo stile di vita (per esempio, non frequentano i locali affollati e rumorosi, e nei casi più gravi, richiede l'interruzione dell'attività lavorativa);
   l'associazione Italiana Tinnitus-Acufene (A.I.T. onlus) è composta ad oggi da circa 2.000 iscritti e riceve ogni giorno numerose telefonate da parte di persone affette da questa malattia per chiedere informazioni. Sono molti i social network che si occupano della questione e che riuniscono i pazienti affetti da tale disturbo;
   al momento la ricerca scientifica risulta molto limitata sul versante dell'approfondimento di questo disturbo –:
   quali siano i risultati della ricerca raggiunti fino ad ora sul versante della conoscenza del disturbo di cui in premessa;
   quali iniziative si intenda intraprendere al fine di dare la giusta attenzione alla suindicata patologia, anche attraverso ulteriori studi e ricerche al fine di riconoscere una maggiore consapevolezza scientifica e orientare in maniera adeguata le cure ai pazienti affetti. (4-15819)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico che consiste in disturbi, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altri rumori, percepiti in una o in entrambe le orecchie.
  L'acufene può incidere pesantemente sulla qualità della vita di chi ne soffre, soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente.
  La ricerca clinica ha dimostrato come, in una percentuale elevata dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia è parte integrante.
  Nella maggior parte dei casi, l'eziologia non è chiara. Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di
neuroimaging, che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione delle cause della patologia. Inoltre, approcci sofisticati, quali la stimolazione magnetica transcranica, si stanno dimostrando potenzialmente efficaci nel ridurre la sintomatologia dell'acufene, il quale è un problema otologico assai frequente.
  In base a studi condotti negli ultimi 10 anni in Germania, presso l'istituto tedesco per la ricerca e la cura dell'acufene, nel Regno Unito, presso l'università di Aberdeen, e in altre nazioni europee, mediamente circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente ne ha sofferto almeno una volta nella vita. Studi condotti in Italia dimostrerebbero (soprattutto per alcune realtà regionali per le quali sono disponibili dati relativamente recenti), come nel nostro Paese la prevalenza di questo disturbo sia analoga a quella Europea.
  Sulla base di un attento studio dello stato delle conoscenze ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura scientifica disponibile e a seguito della disamina delle scoperte più recenti, si potrà valutare quali opportune iniziative adottare per gestire, da un lato, i problemi sanitari legati all'acufene e, dall'altro, la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'Istituto superiore di sanità, al fine di promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Per quanto riguarda la promozione di studi e ricerche concernenti la patologia dell'acufene, per consentire di migliorare l'approccio terapeutico e, quindi, migliorare la qualità della vita delle numerose persone colpite, si precisa che il finanziamento della ricerca finalizzata non comporta la preindividuazione, da parte del Ministero della salute, di progetti di ricerca specifici, che sarà cura degli enti finanziati sviluppare.
  Tali enti (Irccs, regioni, Izs, Iss, eccetera o i ricercatori, che a tali enti si affiliano, presentano progetti di loro interesse che vengono finanziati sulla esclusiva base di criteri meritocratici: i progetti, infatti, sono sottoposti al vaglio di
referee anonimi (e stranieri) nel numero di tre (per ogni progetto), e solo i progetti migliori potranno accedere al finanziamento ministeriale.
  Se in Italia, quindi, sono presenti ricercatori interessati ad approfondire le tematiche e le implicazioni legate all'acufene, essi possono presentare, al momento della pubblicazione del bando di ricerca finalizzata, idonei progetti finalizzati: e tali progetti, qualora ottengano un adeguato punteggio dal sistema di valutazione previsto dal bando e dimostrino di avere ricadute non trascurabili sul sistema sanitario nazionale, saranno sicuramente finanziati.
  È opportuno precisare che il piano nazionale di prevenzione per gli anni 2010-2012 (intesa fra Governo, regioni e province autonome del 29 aprile 2010), prevede un capitolo specifico sulla prevenzione dell'ipoacusia e della sordità.
  Nel gennaio 2011 si è costituito, presso la direzione generale della prevenzione del Ministero della salute, un tavolo di lavoro in materia, con rappresentanti delle società scientifiche e delle regioni.
  Detto tavolo ha il compito, nell'ottica di un piano articolato di specifiche azioni, di supportare le regioni nei loro programmi di prevenzione in materia di ipoacusia e sordità.
  È prevista anche la stesura di un documento, da presentare in sede di Conferenza Stato-Regioni, che comprenda sia «Linee di indirizzo sugli
screening audiologici in differenti età target» sia «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, in materia di prevenzione dell'ipoacusia e della sordità».
  Ad oggi, i lavori del tavolo hanno consentito la stesura delle «Linee di indirizzo per lo
screening neonatale uditivo».
  Il tavolo per finalizzare gli obiettivi deve ora definire le «Linee di indirizzo di prevenzione ipoacusia e sordità nell'adulto e nell'anziano» e il «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta».
  Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria e terapeutica nel caso di acufene, si segnala che i pazienti che accusano tale disturbo possono rivolgersi alle strutture del servizio sanitario nazionale per usufruire delle prestazioni garantite dai livelli essenziali di assistenza (Lea) e vengono tutelati dalle disposizioni vigenti in materia di assenza per malattia dai luoghi di lavoro.
  Al riguardo, si precisa che per la patologia «
tinnitus», codice di malattia Icd9cm 388.3, in base ai dati delle schede di dimissione ospedaliera, risulta che nel 2010 sono stati trattati 2350 pazienti in strutture di ricovero distribuite su tutto il territorio nazionale.
  Infatti, diversi enti universitari o ospedalieri hanno acquisito speciali competenze in materia.
  Inoltre, la maggior parte delle patologie che determinano gli acufeni sono individuate fra le condizioni di malattia croniche ed invalidanti, ai sensi del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329 e successive modifiche, per le quali è prevista l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
  Gli acufeni come tali non sono previsti fra le condizioni di malattia croniche e invalidanti, in quanto non rispondono a tutti i criteri previsti dal decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, quali la gravità clinica, il grado di invalidità e onerosità dalla quota di partecipazione derivante dal costo delle prestazioni utili al medico per effettuare un corretto
follow up della malattia.
  Per quanto riguarda, in particolare, lo sviluppo di campagne di prevenzione e sensibilizzazione concernenti l'acufene, si segnala che è attualmente in fase di definizione il Programma delle iniziative di comunicazione per l'anno 2012, che saranno realizzate dal Ministero della salute: in tale contesto verrà valutata l'opportunità di inserire la problematica in esame nell'ambito dei piani da sviluppare.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   DI PIETRO e PALAGIANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 1974 il signor Bruno Pioli fu sottoposto a vaccinazione antivaiolosa, allora obbligatoria, dalla quale sono scaturite gravissime conseguenze neurologiche (ritardo neuromotorio e deficit intellettivo);
   nel 1999 la famiglia del signor Pioli viene a conoscenza dell'esistenza della legge 210 del 1992 che prevede un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati;
   nello stesso anno la famiglia decide di avviare la procedura per richiedere l'indennizzo che spetta al signor Pioli, essendo confermato da numerosi esami medici il legame tra i gravi problemi neurologici del paziente e la vaccinazione antivaiolosa del 1974;
   inizialmente la ASL competente rigetta la domanda del signor Pioli, in quanto risultano decaduti i termini previsti dalla legge per la richiesta di indennizzo;
   in particolare, la legge 210 del 1992 prevede, all'articolo 3, che la richiesta di indennizzo debba essere effettuata entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti post-trasfusionali o di dieci anni nei casi di infezioni da HIV, termine che decorre dal momento in cui l'avente diritto risulti essere a conoscenza del danno;
   nello stesso articolo 3, al comma 7, è stabilito che per coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, hanno già subito la menomazione prevista dall'articolo 1, il termine di cui al comma 1 del presente articolo decorre dalla data di entrata in vigore della legge stessa;
   in ogni caso il signor Pioli risulta aver presentato la richiesta di indennizzo fuori dai termini previsti dalla legge e per questo la sua domanda viene rigettata anche dal giudice del lavoro nel 2005;
   nel 2006, però, la corte d'appello di Milano accoglie la richiesta del signor Pioli e impone al Ministero della Salute di corrispondere la cifra relativa all'indennizzo da vaccinazione errata, integrata dall'ulteriore indennizzo previsto dalla legge 229 del 2005;
   il Ministero inizia a corrispondere quanto dovuto, ma, nel frattempo, presenta un ricorso alla corte di cassazione che, nel novembre 2009, ribalta il giudizio dei giudici d'appello e accoglie il ricorso ministeriale, condannando il signor Pioli a restituire la somma finora percepita;
   secondo la cassazione, sentenza n. 24549/09, non sarebbero stati rispettati i termini per la presentazione di richiesta di indennizzo ai sensi della legge 210 del 1992;
   allo stato attuale il Ministero attende dal signor Pioli, danneggiato dallo Stato nel 1974, la restituzione di circa 220 mila euro;
   i danneggiati da sangue infetto (vaccinazioni, trasfusioni, emoderivati...) in Italia sono oltre 70 mila e quasi 3000 i morti;
   ad oggi sono state censite 7.356 persone emodanneggiate, che attendono, da anni il giusto indennizzo da parte dello Stato;
   le diverse associazioni interessate al problema, ed in particolare dal CONDAV – Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino – hanno peraltro con forza posto la necessità che venga data soluzione positiva ai cosiddetti «fuori termine», ossia alle molte persone che, pur avendo subito un danno da vaccinazione o emotrasfusione, non hanno presentato nei tempi previsti la domanda in sede amministrativa. Si tratta spesso dei soggetti più deboli, che non si sono attivati per non conoscenza dei propri diritti, o per l'oggettiva difficoltà di ricondurre la patologia contratta alla pregressa vaccinazione, magari a distanza di decenni;
   per avviare tale procedura manca solamente il varo di un decreto-legge specifico da parte del Consiglio dei ministri. La bozza di tale provvedimento – «Misure urgenti in favore di soggetti emotrasfusi» – era stata presentata per l'approvazione al Consiglio dei ministri del 5 maggio 2011 e bloccata a causa di «tecnicismi» da superare, pur avendo in realtà tutta la copertura finanziaria. Da allora il provvedimento sembra essere caduto nel dimenticatoio;
   è sorprendente, agli occhi degli interroganti, constatare con quanta solerzia venga chiesto il rimborso ad un uomo che, come esposto in premessa, pur avendo presentato in ritardo la richiesta di indennizzo, ha, comunque, subito un grave danno alla salute il cui unico responsabile non può essere che lo Stato, e di quanto invece il Governo sia attendista e riluttante nel predisporre un decreto che risarcirebbe almeno una parte delle persone che hanno subito danni irreversibili alla propria salute a causa di vaccinazioni obbligatorie o trasfusioni infette;
   i lunghi tempi e i reiterati rinvii, motivati sempre da ragioni «tecniche», per l'emanazione del decreto-legge ormai non trovano più, secondo gli interroganti, alcuna scusante di fronte a migliaia di cittadini vittime del sangue infetto che da anni attendono il giusto indennizzo da parte dello Stato e che continuano ad ammalarsi e morire senza che venga loro riconosciuto un dirigo già sancito per legge –:
   se non intenda, sulla base di quanto esposto e considerando che la vicenda suddetta è purtroppo simile a moltissimi altri casi, avviare una iniziativa normativa urgente per rivedere i termini previsti dalla legge relativa agli indennizzi a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, in particolare a tutela di chi, essendo venuto a conoscenza troppo tardi della possibilità di indennizzo, ha presentato la domanda oltre i termini previsti dalla legge;
   in quali tempi intenda assumere le iniziative normative urgenti volte a garantire la doverosa transazione nei confronti dei cittadini contagiati a seguito di somministrazione di emoderivati o plasma infetti e delle loro famiglie. (4-14795)

  Risposta. — La legge 29 ottobre 2005, n. 229, recante «Disposizioni in materia di indennizzo a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie», riconosce ulteriori benefici economici ai soggetti di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210.
  Infatti, l'articolo 1 della legge n. 229 del 2005 prevede l'erogazione di un ulteriore indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, consistente in un assegno mensile vitalizio, di importo pari a sei volte la somma percepita dal danneggiato ai sensi dell'articolo 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210, per le categorie dalla prima alla quarta della tabella A annessa al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni, a cinque volte per le categorie quinta e sesta, e a quattro volte per le categorie settima e ottava.
  L'articolo 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992 prevede che i soggetti interessati ad ottenere l'indennizzo, di cui all'articolo 1, comma 1, presentano alla Usl competente le relative domande, indirizzate al Ministero della sanità, entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti post-trasfusionali e di dieci anni nei casi di infezioni da Hiv. I termini decorrono dal momento in cui l'avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno.
  Nel caso in esame, l'indennizzo era stato negato in via amministrativa in quanto la domanda venne presentata oltre i termini fissati dalla legge.
  Successivamente interveniva la sentenza della Corte di cassazione che, sancendo definitivamente la «non tempestività» della domanda, ribaltava le conclusioni cui era giunto il giudice di secondo grado, che aveva invece considerato la domanda «tempestiva».
  Alla sentenza della Suprema Corte questo Ministero ha dato ottemperanza, così come aveva fatto a seguito della sentenza del giudice in sede di appello.
  Il Ministero della salute valuterà con la dovuta attenzione le iniziative legislative rivolte ad intervenire sulla vigente disciplina dei termini di decadenza.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   DI PIETRO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'8 marzo 2012 nel corso di una conferenza stampa, il presidente della Corte dei conti del Molise – Michael Sciascia – ha affermato che il valore delle condanne inflitte nei confronti di amministratori pubblici è stato, in un anno, di un milione e 168 mila euro. Al primo posto, nell'elenco degli sperperi, c’è la sanità, ma anche il settore delle opere pubbliche e la gestione del personale; nella nota del presidente si legge, proprio riguardo quest'ultimo campo, «si denotano cedimenti all'illegalità con scarsi controlli sul rispetto dell'orario di servizio, corresponsione di incentivi a pioggia, compensi ed indennità speciali senza alcun collegamento all'effettivo svolgimento delle particolari mansioni che li giustificano o con il raggiungimento degli obiettivi, che spesso non sono stati nemmeno posti, e con il ricorso disinvolto alle consulenze esterne, peraltro molto gravose per l'Erario, pur in presenza di adeguate professionalità non valorizzate esistenti nell'apparato amministrativo»;
   il 9 marzo 2012 è stato inaugurato l'anno giudiziario 2012 con la relazione illustrata del procuratore della Corte dei conti del Molise – Francesco Paolo Romanelli – che riporta un elenco di casi di mala gestione messi in campo da enti locali e amministrazioni, ma soprattutto, dalle società pubbliche partecipate riconducibili alla regione Molise;
   Molise Acque – ente sub regionale le cui quote fanno capo alla regione Molise – è stata condannata a risarcire oltre 2 milioni di euro per avere affidato la costruzione di un acquedotto a 4 impiegati sprovvisti del titolo di studio necessario – laurea in ingegneria – per progettare le opere dell'appalto. Il Tar prima e il Consiglio di stato poi hanno condannato Mo lise Acque ad un risarcimento del danno di oltre 2 milioni di euro in favore dell'impresa seconda classificata determinando così un grave danno erariale di pari importo all'ente sub regionale;
   è stata evidenziata una mancanza di trasparenza nella gestione di risorse pubbliche all'interno dell'Arsiam – agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura in Molise – anch'esso ente sub regionale; la Corte dei conti ha appurato l'illecita liquidazione di indennità non dovute in favore del direttore regionale per un ammontare di circa 179.000 euro e rimborsi spese non dovuti in favore del presidente per un importo di circa 11.000 euro;
   la procura della Corte dei conti ha riscontrato un numero consistente di consulenze di dubbia utilità e trasparenza affidate dalle pubbliche amministrazioni: si passa dall'affidamento di consulenze che mascherano vere e proprie assunzioni di personale per l'espletamento di ordinarie attività istituzionali – ovvero di cui non sono ben chiari i contenuti e l'utilità – alla mancata osservanza dei tetti di spesa fissati dalla legge, all'attribuzione di compensi sproporzionati rispetto alla natura e all'oggetto dell'incarico, alla violazione del criterio di oggettiva trasparenza durante le specifiche operazioni di selezione; in questi casi, diversi e a più livelli, si incorre sistematicamente in sanzioni pari allo stesso importo dell'incarico affidato;
   la procura della Corte dei conti ha affrontato il caso di un soprintendente ai beni culturali della Regione Molise che ha autorizzato un'impresa privata a stendere del misto di cava su un antico tratturo di epoca sannitica e dal notevole interesse archeologico alterandone profondamente i caratteri originari così da consentire il passaggio degli automezzi in direzione dell'impianto eolico realizzato dalla stessa impresa; la Corte dei conti ha contestato al soprintendente una «macroscopica negligenza e imperizia, tradottasi in oggettivi e indebiti vantaggi ottenuti dall'impresa privata» richiedendo un risarcimento pari a circa 1.140.000 euro;
   le numerose indagini della magistratura contabile hanno ormai rivelato come, la struttura messa in piedi di assunzioni, attribuzioni di cariche sociali e favoritismi nei confronti dei privati, non si possa esattamente definire finalizzata a una più efficiente ed oculata gestione dei servizi pubblici bensì «strumentalmente diretta a sottrarsi alle stringenti regole del patto di stabilità, se non proprio ad esclusivi fini clientelari»;
   ad avviso dell'interrogante i fatti esposti, oltre alle responsabilità amministrative o penali, mettono in pregiudizio l'uso responsabile di denaro pubblico, con grave ricaduta sulla spesa e sui contribuenti –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati in ordine ai fatti indicati in premessa e con quali strumenti, per quanto di competenza, intendano porvi rimedio, anche in relazione a quanto disposto dall'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001. (4-15580)

  Risposta. — Con l'atto in esame, l'interrogante riporta le dichiarazioni rese l'8 marzo 2012 dal Presidente della Corte dei conti del Molise, Michael Sciascia, circa il «costo» delle condanne inflitte nei confronti degli amministratori pubblici che sarebbe pari a un milione e 168 mila euro e i settori coinvolti sono, oltre alla sanità, le opere pubbliche e la gestione del personale, ove in particolare «(...) si denotano cedimenti all'illegalità con scarsi controlli sul rispetto dell'orario di servizio, corresponsione degli incentivi a pioggia, compensi ed indennità speciali senza alcun collegamento all'effettivo svolgimento delle particolari mansioni che li giustificano o con il raggiungimento degli obiettivi, che spesso non sono stati nemmeno posti, e con il ricorso disinvolto alle consulenze esterne, peraltro molto gravose per l'Erario, pur in presenza di adeguate professionalità non valorizzate esistenti nell'apparato amministrativo».
  L'interrogante riferisce, poi, che il 9 marzo 2012 il Procuratore della Corte dei conti del Molise, Francesco Paolo Romanelli, in relazione a casi di mala gestione perpetrati da enti locali e amministrazioni, ma soprattutto dalle società pubbliche partecipate, riconducibili alla stessa regione Molise ha segnalato il caso dell'ente «Molise acque» «(...) condannata a risarcire oltre 2 milioni di euro per avere affidato la costruzione di un acquedotto a 4 impiegati sprovvisti del titolo di studio necessario – laurea in ingegneria – per progettare le opere dell'appalto» e quello dell'Agenzia regionale per lo sviluppo l'innovazione dell'agricoltura in Molise (Arsiam), per la quale la citata Procura della Corte dei conti avrebbe appurato l'illecita liquidazione, in favore del direttore generale, di indennità non dovute per un ammontare di circa euro 179 mila e rimborsi spese non dovuti, in favore del Presidente, per un importo di circa euro 11 mila.
  Ciò premesso, si rappresenta che, sulla base delle indicazioni contenute nella direttiva del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione 6 dicembre 2007, n. 8, al punto 5, concernente
«Omessa attivazione delle procedure sanzionatorie come danno all'immagine delle Amministrazioni», e tenuto conto delle disposizioni sul procedimento disciplinare di cui all'articolo 69 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, l'Ispettorato della funzione pubblica, con nota del 18 aprile 2012, ha chiesto all'Amministrazione regionale del Molise di fornire chiarimenti circa le iniziative intraprese e gli atti adottati a fronte delle accertate responsabilità di cui all'interrogazione in esame.
  Al riguardo, il riscontro del direttore generale della regione Molise, dottor Antonio Francioni, riporta le argomentazioni fornite sul caso dal Presidente dell'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura nel Molise, nonché dal Commissario straordinario dell'azienda «Molise acque».
  Relativamente alla citata Agenzia, stanti i giudizi instaurati dinanzi al tribunale di Campobasso, nonché i procedimenti avviati da parte della competente procura della Corte dei conti per l'accertamento e la quantificazione dei conseguenti danni erariali, non si può che rinviare alle definitive pronunce da parte dei predetti organi di giudizio. Infatti, come richiamato dal Presidente dell'Agenzia nella propria nota, il tribunale di Campobasso, con decreto del 29 marzo 2011, ha disposto il rinvio a giudizio dell’
ex direttore generale e dell’ex Presidente, comprovando, di fatto, l'estraneità dell'attuale compagine amministrativa rispetto ai fatti delittuosi richiamati dall'interrogante.
  Analogamente, sulla base degli elementi forniti dal direttore Generale della «Molise acque» e concernenti la condanna risarcitoria emessa a carico della citata azienda, si ritiene che gli aspetti rilevanti della questione possano essere valutati soltanto nella completezza degli atti di causa e nel rispetto dei termini procedimentali e del contraddittorio.
  Per quanto concerne, invece, la mancata attivazione ad oggi delle previste procedure sanzionatorie, si prende atto delle precisazioni fornite dal predetto dottor Trancioni, secondo cui
«(...) allo stato attuale non si è inteso attivare alcuna procedura sanzionatoria poiché le circostanze contestate risultano essere sottoposte al vaglio delle autorità competenti sia giurisdizionali che contabili e, pertanto, non sussistono ancora le sufficienti condizioni di certezza per attivare eventuali procedimenti di sorta».
  Il caso portato ad esempio dall'interrogante, al di là delle questioni specifiche di merito, orienta l'attenzione e l'interesse del Governo verso strategie che assicurino la prevenzione e il contrasto del fenomeno della corruzione e della cattiva gestione nella pubblica amministrazione.
  In proposito, si ricorda che il Ministro della giustizia e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, in continuità con gli obiettivi perseguiti dal precedente Esecutivo, stanno seguendo con particolare attenzione l’
iter parlamentare del progetto di legge in materia di prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, attualmente all'esame in terza lettura presso le Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia del Senato della Repubblica.
  Nel provvedimento in questione, con specifico riferimento alle iniziative sollecitate dall'interrogante, si segnala, in particolar modo, quanto previsto dagli articoli 1, comma 12, e 16 in materia di danno all'immagine della pubblica amministrazione.
  Il citato comma 12 stabilisce che, nel caso in cui, nell'ambito dell'amministrazione, si verifichi un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile per la prevenzione della corruzione, risponde di tale reato ai sensi di quanto previsto dall'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni. Tale responsabilità è accertata non solo sul piano disciplinare ma anche in relazione al danno erariale provocato alla pubblica amministrazione ed alla sua immagine.
  L'esclusione di tale responsabilità può esservi soltanto nel caso in cui il responsabile per la prevenzione della corruzione abbia predisposto il relativo piano di prevenzione prima della commissione del fatto contestato come reato e nel caso in cui abbia vigilato sul funzionamento e sull'osservanza del piano medesimo.
  L'articolo 16, invece, reca disposizioni in materia di danno all'immagine della pubblica amministrazione, mediante novella dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, che disciplina il giudizio di responsabilità amministrativa.
  Il danno all'immagine della pubblica amministrazione è istituto che trae origine dalla giurisprudenza, in specie contabile, volta a contrastare condotte che danneggiano l'immagine e la reputazione di un'amministrazione in cui si è consumato un reato di corruzione.
  In tal senso, la citata norma introduce una presunzione relativa alla quantificazione del danno all'immagine della pubblica amministrazione: si dispone infatti che, qualora sia stato commesso un reato contro la pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato, l'entità del danno all'immagine della amministrazione derivante da tale reato è valutata in via presuntiva, salvo prova contraria, in misura pari al doppio della somma di denaro, o del valore di altra utilità «patrimoniale», che sia stata indebitamente percepita dal dipendente.
  È di tutta evidenza, quindi, la ferma determinazione del Governo nell'affrontare il fenomeno della corruzione e della cattiva gestione da parte degli amministratori pubblici – di cui i casi segnalati dall'interrogante rappresentano soltanto alcuni tipologie – attraverso efficaci interventi normativi volti a prevenirne l'insorgere e a contrastarne la diffusione.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneFilippo Patroni Griffi.


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   risulta essere stata aperta un'inchiesta dalla procura della Repubblica di Roma, allo scopo di stabilire se sia dannoso per la salute l'utilizzo farmaceutico di una sostanza che, in quanto anoressizzante, viene usata per fabbricare medicinali che combattono l'obesità;
   detta sostanza dovrebbe essere la fendimetrazina, che nell'agosto scorso era stata vietata dai Ministero della salute che l'ha anche inserita nella tabella delle sostanze stupefacenti; a quanto riferisce l'agenzia «Adn-Kronos», si ipotizza il reato di omesso controllo sulla commercializzazione e l'utilizzo farmacologico di questa, sostanza, in quanto vi sarebbe il sospetto che, nonostante la proibizione da parte del Ministero della salute, la sostanza sia ancora adoperata per cure dimagranti e venduta in farmacia;
   in particolare, a provocare l'intervento della, procura di Roma sarebbe stato il sospetto che alla morte di tre persone avvenute in questi anni (un uomo e due donne) abbia contribuito proprio l'uso di questa sostanza, usata perché le persone decedute avevano problemi di obesità –:
   se il Ministro disponga di elementi con riferimento a quanto riferito dall'agenzia «AdN-Kronos» a proposito di una illecita commercializzazione della fendimetrazina nonostante la sostanza fosse stata vietata;
   quali iniziative di competenza si intendano promuovere, adottare, sollecitare nell'ambito delle proprie facoltà e prerogative, in ordine a quanto sopra esposto. (4-13938)

  Risposta. — La Fendimetrazina è una sostanza anoressizzante, preparata dal farmacista, usata per trattare l'obesità, ed è da tempo sottoposta a limitazioni di significativo rilievo perché considerata pericolosa per la salute pubblica.
  Nel merito delle questioni sollevate con l'interrogazione parlamentare in esame, si segnala che il Ministero della salute ha adottato il decreto 2 agosto 2011 concernente «Aggiornamento e completamento delle tabelle contenenti l'indicazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 e successive modificazioni ed integrazioni. Ricollocazione in tabella I delle sostanze amfepramone (dietilpropione), fendimetrazina, fentermina e mazindolo».
  In particolare, il decreto in questione ha ricollocato alcune sostanze, già sotto controllo ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (cosiddetto testo unico stupefacenti), dalla tabella II, che include sostanze usate in terapia, alla tabella I, che include sostanze con potere tossicomanigeno e suscettibili di abuso come le sostanze di tipo anfetaminico ad azione eccitante sul sistema nervoso centrale.
  Inoltre, il decreto ministeriale 2 agosto 2011 ha vietato in Italia la fabbricazione, l'importazione, il commercio anche attraverso la vendita via
internet, e l'uso delle seguenti sostanze: amfepramone (dietilpropione), fendimetrazina, fentermina e mazindolo.
  Ne consegue, pertanto, il divieto sia per i farmacisti di eseguire preparazioni magistrali contenenti le predette sostanze sia per i medici di prescrivere le medesime.
  Il Ministero della salute, a seguito dell'emanazione del decreto ministeriale 2 agosto 2011, al fine di fornire precise indicazioni agli operatori di settore ed alle autorità preposte alle funzioni di vigilanza e controllo, ha diramato circolari rivolte agli assessorati della sanità di regioni e province autonome, alle federazioni degli ordini professionali, alla Federfarma, alle forze di pubblica sicurezza, eccetera.
  Detti comunicati sono stati diffusi anche attraverso il sito
internet del Ministero della salute.
  Per quanto attiene al caso riferito ad un medico della provincia di Roma, questo Ministero ha interpellato l'ordine provinciale dei medici-chirurghi e odontoiatri di Roma. L'ordine ha comunicato che ogni ritenuto procedimento disciplinare, per sanzionare il medico, consegue o a un esplicito esposto del cittadino interessato o a specifica segnalazione del farmacista o di un congiunto.
  In merito all'attività sviluppata dal Comando Carabinieri per la tutela della salute-nucleo antisofisticazioni e sanità (Nas) per la problematica in esame, si precisa che i Nas hanno provveduto a sequestrare sia quantitativi della sostanza fendimetrazina sia preparati contenenti tale principio attivo, nonché numerose ricette mediche ed alcuni laboratori galenici.
  Inoltre, alcune persone sono state sottoposte a misura cautelare ovvero denunciate in stato di libertà.
  Le competenti autorità hanno emesso, in via giudiziaria e/o amministrativa, alcuni decreti di interdizione dall'esercizio della professione medica, decreti di interdizione dalla professione di farmacista, decreti di sospensione dell'esercizio di farmacia con conseguente perdita di titolarità.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la fondazione Maugeri nasce a Pavia nel 1965, per iniziativa di Salvatore Maugeri, uno dei padri della medicina del lavoro, allo scopo di sostenere le attività dell'università della città, come clinica del lavoro convenzionata con il Servizio sanitario nazionale, per aiutare i pazienti a recuperare le capacità funzionali dopo incidenti, malattie o interventi chirurgici;
   nel 1969 viene riconosciuta Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, entrando nel giro degli ospedali «di serie A»;
   nel 1995 avviene la trasformazione in «Fondazione Salvatore Maugeri, Clinica del lavoro e della riabilitazione»;
   negli anni la fondazione ha allargato le sue collaborazioni, oltre che in Lombardia, anche in Piemonte, Liguria, Veneto, Campania, Puglia e Sicilia. Ad oggi sono venti i centri e cinquanta i laboratori in Italia che lavorano con l'istituto pavese, con un totale di 770 medici, 2.351 letti in tutta Italia, di cui 1.300 in Lombardia, garantendo 30.000 prestazioni l'anno;
   l'indagine della magistratura tuttora in corso ha messo in luce, secondo quanto riferito dalla stampa, elementi che prefigurano una serie di reati che vanno dalla corruzione all'associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio, e altro. Inoltre sono stati eseguiti una serie di arresti tra cui quello dell'ex assessore regionale della Lombardia, Antonio Simone, e di Pierangelo Daccò, per presunte distrazioni dalle casse del S. Raffaele e della fondazione Maugeri, nonché del manager della Fondazione in questione Costantino Passerino (si veda, ad esempio, News24.it del 14 aprile 2012) –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare per avere maggiori elementi di chiarezza su quanto è accaduto, senza che questo rappresenti un ostacolo alle indagini che la magistratura sta svolgendo in autonomia, al fine di garantire ai tanti malati la continuità delle cure, di dare al personale sanitario la garanzia di poter svolgere la propria attività professionale in piena sicurezza e, infine, di salvaguardare le attività scientifiche e di ricerca della fondazione stessa. (4-16134)

  Risposta. — Per quanto riguarda le iniziative da adottare nei confronti della «Fondazione Salvatore Maugeri» di Pavia, Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) di diritto privato, si ritiene opportuno ricordare, in merito ai compiti di vigilanza e controllo di competenza di questo Ministero nei confronti degli Irccs, che la sentenza della Corte costituzionale n. 270 del 2005 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 288 del 2003, recante «Riordino della disciplina degli Irccs», limitatamente alle parole «e di controllo».
  Al riguardo la Corte ha ritenuto che, dato il riconoscimento degli Irccs come enti autonomi, dotati di propri statuti ed organi di controllo interni ed operanti nell'ambito della legislazione statale concorrente, appariva estranea alla natura e alla posizione giuridica degli Irccs, quali enti pubblici operanti in ambito regionale, la previsione di un vero e proprio controllo amministrativo di tipo preventivo sui loro atti fondamentali.
  Un controllo del genere potrebbe essere configurabile solo nell'ambito di una ricostruzione degli Irccs quali enti pubblici nazionali, che peraltro la Corte esclude.
  Quanto fino ad ora illustrato riguarda gli Irccs di diritto pubblico. I limitati poteri ministeriali trovano ulteriore limitazione nei confronti degli Irccs di diritto privato, per i quali l'articolo 12 del decreto legislativo n. 288 del 2003 esplicitamente stabilisce che «è fatta salva l'autonomia giuridico amministrativa degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto privato».
  Dalla sintetica ricostruzione sopra effettuata discende che i poteri ministeriali che sono previsti nei confronti degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto privato dalla normativa statale di riferimento, contenuta nel decreto legislativo n. 288 del 2003, sono limitati alla fondamentale ed esclusiva fase del riconoscimento e/o conferma del carattere scientifico degli stessi e della periodica rendicontazione dei contributi che questo Ministero assegna per l'attività di ricerca degli Irccs che, ovviamente, sono una minima parte rispetto ai fondi assegnati dalla competente regione per l'attività clinico-assistenziale degli stessi.
  Alla stessa regione, pertanto, compete l'attività di vigilanza sugli Irccs, come su tutte le altre strutture pubbliche o private che esercitano attività sanitaria in ambito regionale.
  Il Ministero della salute ha richiesto alla «Fondazione Salvatore Maugeri» di fornire rassicurazioni sul fatto che le presunte distrazioni dalle casse dell'Irccs, con indebiti trasferimenti di denaro all'estero – oggetto dell'inchiesta giudiziaria in corso – non riguardino i contributi ministeriali erogati per l'attività di ricerca.
  Questo Ministero ha ritenuto opportuno invitare la fondazione a porre particolare attenzione alle eventuali ripercussioni che tale situazione potrebbe avere sul perseguimento delle stesse attività di assistenza ospedaliera, ricerca scientifica e didattica.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   ANTONINO FOTI, GIAMMANCO e VINCENZO ANTONIO FONTANA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la delega «per la semplificazione» è stata accorpata a quella della pubblica amministrazione;
   al dipartimento della funzione pubblica afferisce l'ufficio per la semplificazione amministrativa (USA) che promuove e coordina le attività di semplificazione amministrativa finalizzate a migliorare la qualità della regolazione ed a ridurre i costi amministrativi, costituito da 1 dirigente generale e 2 dirigenti di II fascia;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 dicembre 2011 è stata confermata la struttura «Unità per la semplificazione» finalizzata agli stessi obiettivi e costituita di 1 dirigente generale, 4 dirigenti di II fascia, funzionari comandati da altre amministrazioni esperti di alta professionalità e collaboratori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa con una spesa di circa 1 milione di euro annui;
   alla luce della «spending review» da effettuare presso la presidenza del Consiglio dei ministri e la pubblica amministrazione in genere, i fatti in questione costituiscono – a giudizio degli interroganti – una spesa inutile e doppia da eliminare –:
   se, considerato questo doppione che comporta una spesa all'incirca di un milione di euro l'anno, quali iniziative intenda adottare. (4-17238)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'organizzazione, le funzioni delle due strutture – l'Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione e l'Ufficio per la semplificazione amministrativa – esistenti presso il Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione.
  In via preliminare, si rappresenta che l'Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione, con la relativa segreteria tecnica, è stata istituita, ai sensi dell'articolo 1, comma 22-
bis, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, quale struttura del Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, operante presso il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi. In seguito, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 novembre 2008, a capo dell'Unità, dipendente direttamente dal Presidente del Consiglio dei ministri, è stato posto il Ministro per la semplificazione normativa a cui è succeduto, nel dicembre 2011, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 dicembre 2011).
  Quanto alla specifica organizzazione della struttura, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 luglio 2011, il numero complessivo degli esperti è stato ridotto da venti a quindici unità; allo stato sono stati nominati solamente otto esperti per una spesa totale di 85 mila euro annui.
  Analogamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 dicembre 2011, il personale in servizio presso la Segreteria tecnica dell'Unità per la semplificazione ha subito una riduzione; tale provvedimento ha disposto il taglio di un posto di direttore generale, tre posti di funzionario e due posti di esperto ed ha, inoltre, ridotto ad otto unità il numero complessivo dei consulenti; attualmente ne sono stati nominati solamente sette per una spesa totale di 110 mila euro.
  Presso la medesima Segreteria non sono invece presenti, contrariamente a quanto affermato dall'interrogante, unità di personale con contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
  L'Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione ha poi subito un ulteriore ridimensionamento sulla base delle disposizioni contenute nel decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica» – convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135; l'articolo 7, comma 3, lettera
a), stabilisce infatti che: «a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono soppresse le seguenti strutture di missione istituite presso la Presidenza del Consiglio dei ministri: a) ”Segreteria tecnica dell'Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione” di cui all'articolo 1, comma 22-bis, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233; il Ministro delegato provvede al riordino della predetta Unità, integrandola se necessario con un contingente di personale inferiore di almeno il 30 per cento rispetto a quello previsto per la soppressa Segreteria tecnica».
  Infine, in merito al rilievo concernente il presunto perseguimento
«degli stessi obiettivi» da parte delle strutture in esame, si precisa che, nello svolgimento delle funzioni di supporto generale al Ministro, all'Unità per la semplificazione sono demandati, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 dicembre 2011, tra gli altri, «i seguenti compiti:
   istruire il piano annuale d'azione per la semplificazione d'intesa con i competenti uffici del Dipartimento della funzione pubblica;
   promuovere e coordinare la semplificazione dell'ordinamento giuridico; l'abrogazione di norme desuete o disapplicate; il riassetto della normativa vigente mediante la redazione di codici e testi unici, fornendo, altresì, criteri generali per l'attività di codificazione promossa dalle singole amministrazioni;
   collaborare con l'Ufficio legislativo del Ministro per le iniziative di riduzione dello stock normativo e per ogni altra iniziativa connessa alle attività dell'Unità;
   coordinare, riferendone al Ministro, le iniziative specifiche e i gruppi di lavoro costituiti da singole amministrazioni al fine di assicurare la coerenza degli interventi per la semplificazione e la qualità della regolazione;
   assicurare lo scambio di informazioni e la reciproca collaborazione ed assistenza con le amministrazioni statali al fine di garantire il perseguimento degli obiettivi di semplificazione e di qualità della regolazione;
   promuovere iniziative di semplificazione istituzionale anche in raccordo con il Dipartimento per le riforme istituzionali».

  Diversamente, l'Ufficio per la semplificazione amministrativa del Dipartimento della funzione pubblica, nell'ambito delle competenze istituzionali ad esso attribuite, svolge, in particolare, attività di promozione e di coordinamento della semplificazione amministrativa; tali attività sono finalizzate a migliorare la qualità della regolazione, nonché la riduzione dei costi amministrativi gravanti su cittadini e imprese, favorendo, attraverso interventi normativi, amministrativi, organizzativi e tecnologici un incremento della competitività della pubblica amministrazione.
  Da quanto esposto, non appare pertanto ravvisabile alcuna sovrapposizione tra le competenze e le funzioni attribuite alle suddette strutture.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneFilippo Patroni Griffi.


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   una recente ricerca presentata dalla Fidapa (Federazione italiana donne arti professionali affari) rivela che, in Italia, solo il 16 per cento delle strutture sanitarie è nelle condizioni strutturali e organizzative di offrire alle partorienti l'anestesia epidurale e che, anche ove essa è prevista, vi sono evidenti limitazioni per esempio durante la notte e i fine settimana;
   secondo la ricerca, inoltre, ad una donna su due (49 per cento) non viene offerta l'epidurale mentre il 43 per cento l'ha chiesta, ma senza possibilità di ottenerla, e il 40 per cento ha definito il parto come un'esperienza di dolore estremo;  
   il tema del cosiddetto «parto senza dolore» è di grande attualità ed importanza sul piano interno alla luce delle grandi differenze esistenti tra le varie regioni italiane in termini di standard qualitativi e sul piano europeo alla luce anche degli alti standard in proposito raggiunti negli altri maggiori Stati membri della Unione europea –:
   quali iniziative ritenga di assumere, nell'ambito della sue competenze, per favorire un sempre maggiore sviluppo, sull'intero territorio nazionale, dell'anestesia epidurale, anche valutando l'ipotesi di inserire il «parto senza dolore» nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502. (4-14265)

  Risposta. — In riferimento alla tematica esposta con l'interrogazione in esame, si fa presente che l'offerta attiva alle donne in gravidanza di interventi informativi e di supporto, standardizzati e validati, è raccomandata dal Ministero della salute in quanto efficace nel ridurre la paura del parto, l'ansia ed il conflitto decisionale e nel migliorare il livello delle conoscenze e la soddisfazione della donna rispetto a questa esperienza.
  Per questo motivo è doveroso che tutte le donne debbano ricevere informazioni, basate su prove scientifiche, che includano anche le diverse tecniche anestesiologiche.
  Le gestanti devono poter ricevere un'informazione adeguata sulle indicazioni, le controindicazioni ed i possibili rischi per la madre e per il bambino e sulle possibili modifiche temporali del travaglio e del parto. L'informazione deve comprendere l'illustrazione della metodica anestesiologica e delle altre tecniche di supporto per il controllo del dolore, anche di quelle non farmacologiche.
  Il 24 maggio 2001, per migliorare l'organizzazione di processi assistenziali, in funzione del controllo del dolore, in sede di Conferenza Stato-Regioni è stato siglato l'accordo «Linee guida per la realizzazione dell'Ospedale senza dolore», che ha definito gli indirizzi che consentono la realizzazione, a livello regionale, di progetti indirizzati al miglioramento del processo assistenziale, specificamente rivolto al controllo del dolore di qualsiasi origine.
  Successivamente, in accordo con quanto fin qui esposto, la «Commissione nazionale per la definizione e l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza» ha prodotto il documento «Controllo del dolore durante il travaglio ed il parto vaginale tramite procedure analgesiche», con il quale si sono volute definire le modalità operative per praticare l'analgesia nel quadro di un articolato programma di assistenza alla gravidanza.
  In sintonia con le strategie di intervento previste nei programmi ministeriali, è stato siglato il 16 dicembre 2010 l'accordo Stato-Regioni «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», in cui si propone un programma nazionale, articolato in 10 linee di azione, per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del ricorso al taglio cesareo.
  L'accordo prevede, tra gli aspetti di politica sanitaria e di accreditamento, la riorganizzazione (eventualmente comprendente una riduzione) dei punti nascita.
  Sono stati, inoltre, enunciati anche i modelli organizzativi, nei quali è prevista la figura dell'anestesista, presente in modalità organizzativa differenziata, nei diversi livelli di struttura.
  Al punto sette dell'accordo si fa specifico riferimento all'uso di procedure di controllo del dolore nel corso del travaglio e del parto, attraverso «la promozione di procedure assistenziali, farmacologiche e non per il controllo del dolore in corso di travaglio e parto e la definizione di protocolli diagnostico terapeutici condivisi per la partoanalgesia, dando assicurazione della derogabilità di tale prestazione con disponibilità/presenza di anestesista sulla base dei volumi di attività del punto nascita».
  La possibilità per la donna di essere informata e quindi fruire concretamente delle tecniche di controllo del dolore durante il travaglio/parto derivano poi anche dall'integrazione sinergica degli altri punti dell'accordo, in cui si prevede:
   la redazione di una Carta dei servizi specifica per il percorso nascita;
   la diffusione delle linee guida sulla gravidanza fisiologica e sul taglio cesareo;
   la predisposizione di un programma di implementazione delle linee guida;
   la formazione degli operatori.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'acufene è una patologia che consiste nella sensazione uditiva di un suono costante percepito in uno o in entrambi gli orecchi o nella testa;
   secondo TAI Onlus, l'associazione che raduna circa 2 mila iscritti, sono circa 5 milioni gli italiani che, dalla forma più lieve a quella più grave, soffrono di questa patologia;
   tale patologia appare ben poco considerata e viene in ogni caso vista, nell'immaginario collettivo, come nient'altro che un lieve e peraltro discontinuo disturbo uditivo, quando invece essa è motivo di forte impatto psicologico e sociale su chi ne soffre –:
   se e quali iniziative siano in corso o in programma rispetto alla necessità di sviluppare la ricerca nel campo della diagnosi e della cura dell'acufene. (4-15212)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico che consiste in disturbi, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altri rumori, percepiti in una o in entrambe le orecchie.
  L'acufene può incidere pesantemente sulla qualità della vita di chi ne soffre, soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente.
  La ricerca clinica ha dimostrato come, in una percentuale elevata dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia è parte integrante.
  Nella maggior parte dei casi, l'eziologia non è chiara. Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di «
neuroimaging», che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione delle cause della patologia. Inoltre, approcci sofisticati, quali la stimolazione magnetica transcranica, si stanno dimostrando potenzialmente efficaci nel ridurre la sintomatologia dell'acufene, il quale è un problema otologico assai frequente.
  In base a studi condotti negli ultimi 10 anni in Germania, presso l'Istituto tedesco per la ricerca e la cura dell'acufene, nel Regno Unito, presso l'Università di Aberdeen, e in altre nazioni europee, mediamente circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente ne ha sofferto almeno una volta nella vita. Studi condotti in Italia dimostrerebbero (soprattutto per alcune realtà regionali per le quali sono disponibili dati relativamente recenti), come nel nostro Paese la prevalenza di questo disturbo sia analoga a quella europea.
  Sulla base di un attento studio dello stato delle conoscenze ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura scientifica disponibile e a seguito della disamina delle scoperte più recenti, si potrà valutare quali opportune iniziative adottare per gestire, da un lato, i problemi sanitari legati all'acufene e, dall'altro, la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'Istituto superiore di sanità, al fine di promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Per quanto riguarda la promozione di studi e ricerche concernenti la patologia dell'acufene, per consentire di migliorare l'approccio terapeutico e, quindi, migliorare la qualità della vita delle numerose persone colpite, si precisa che il finanziamento della ricerca finalizzata non comporta la preindividuazione, da parte del Ministero della salute di progetti di ricerca specifici, che sarà cura degli enti finanziati sviluppare.
  Tali enti (Irccs, regioni, Izs, Iss, eccetera) o i ricercatori, che a tali enti si affiliano, presentano progetti di loro interesse che vengono finanziati sulla esclusiva base di criteri meritocratici: i progetti, infatti, sono sottoposti al vaglio di
referee anonimi (e stranieri) nel numero di tre (per ogni progetto), e solo i progetti migliori potranno accedere al finanziamento ministeriale.
  Se in Italia, quindi, sono presenti ricercatori interessati ad approfondire le tematiche e le implicazioni legate all'acufene, essi possono presentare, al momento della pubblicazione del bando di ricerca finalizzata, idonei progetti finalizzati: e tali progetti, qualora ottengano un adeguato punteggio dal sistema di valutazione previsto dal bando e dimostrino di avere ricadute non trascurabili sul Sistema sanitario nazionale, saranno sicuramente finanziati.
  È opportuno precisare che il Piano nazionale di prevenzione per gli anni 2010-2012 (intesa fra Governo, regioni e province autonome del 29 aprile 2010), prevede un capitolo specifico sulla prevenzione dell'ipoacusia e della sordità.
  Nel gennaio 2011 si è costituito, presso la Direzione generale della prevenzione del Ministero della salute, un tavolo di lavoro in materia, con rappresentanti delle società scientifiche e delle regioni.
  Detto tavolo ha il compito, nell'ottica di un piano articolato di specifiche azioni, di supportare le Regioni nei loro programmi di prevenzione in materia di ipoacusia e sordità.
  È prevista anche la stesura di un documento, da presentare in sede di Conferenza Stato-Regioni, che comprenda sia «Linee di indirizzo sugli
screening audiologici in differenti età target» sia «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, in materia di prevenzione dell'ipoacusia e della sordità».
  Ad oggi, i lavori del tavolo hanno consentito la stesura delle «Linee di indirizzo per lo
screening neonatale uditivo».
  Il tavolo per finalizzare gli obiettivi deve ora definire le «Linee di indirizzo di prevenzione ipoacusia e sordità nell'adulto e nell'anziano» e il «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta».
  Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria e terapeutica nel caso di acufene, si segnala che i pazienti che accusano tale disturbo possono rivolgersi alle strutture del Servizio sanitario nazionale per usufruire delle prestazioni garantite dai livelli essenziali di assistenza (Lea) e vengono tutelati dalle disposizioni vigenti in materia di assenza per malattia dai luoghi di lavoro.
  Al riguardo, si precisa che per la patologia «
tinnitus», codice di malattia Icd9cm 388.3, in base ai dati delle schede di dimissione ospedaliera, risulta che nel 2010 sono stati trattati 2350 pazienti in strutture di ricovero distribuite su tutto il territorio nazionale.
  Infatti, diversi enti universitari o ospedalieri hanno acquisito speciali competenze in materia.
  Inoltre, la maggior parte delle patologie che determinano gli acufeni sono individuate fra le condizioni di malattia croniche ed invalidanti, ai sensi del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329 e successive modifiche, per le quali è prevista l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
  Gli acufeni come tali non sono previsti fra le condizioni di malattia croniche e invalidanti, in quanto non rispondono a tutti i criteri previsti dal decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, quali la gravità clinica, il grado di invalidità e onerosità dalla quota di partecipazione derivante dal costo delle prestazioni utili al medico per effettuare un corretto
follow up della malattia.
  Per quanto riguarda, in particolare, lo sviluppo di campagne di prevenzione e sensibilizzazione concernenti l'acufene, si segnala che è attualmente in fase di definizione il Programma delle iniziative di comunicazione per l'anno 2012, che saranno realizzate dal Ministero della salute: in tale contesto verrà valutata l'opportunità di inserire la problematica in esame nell'ambito dei piani da sviluppare.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   GAROFALO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il percorso di risanamento del sistema sanitario siciliano, teso allo sviluppo di una programmazione più efficace e vincolata delle risorse disponibili, è certamente necessario ed improcrastinabile;
   ciò nonostante, il perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità nella gestione della sanità deve avvenire nella piena garanzia dei livelli essenziali di assistenza (LEA);
   all'atto pratico pare che, invece, la regione Sicilia stia procedendo con tagli indiscriminati, previsti dal piano di rientro dell'assessore alla Sanità, dalle profonde ricadute negative sulla qualità del servizio, fino a non assicurare in alcune zone l'erogazione dei LEA;
   i suddetti generalizzati tagli dimostrano l'insufficienza dell'utilizzo di indicatori meramente economici che non tengano in debita considerazione le peculiarità e le reali esigenze e condizioni di alcuni territori;
   il Ministro interrogato, in risposta ad un'interrogazione a risposta immediata del 18 maggio 2011 alla Camera, ha affermato che «sulla garanzia dei LEA pesa fortemente un'incognita rappresentata dalla recente decisione della regione di ridurre, sulla base di un'interpretazione discutibile, quanto meno discutibile, della normativa vigente, la compartecipazione al fondo sanitario regionale dal 49 per cento al 42,5 per cento. Questo significa che almeno 500 milioni di euro nel 2011 potrebbero essere sottratti alla sanità regionale, e quindi alla garanzia dei LEA, e destinati ad altre voci del bilancio regionale con possibili ripercussioni sulla tutela della salute dei cittadini siciliani»;
   le conseguenze negative paventate sembrano potersi verificare concretamente nel vasto nonché orograficamente vario territorio dei comuni della valle dell'Halaesa a causa della prevista soppressione dei reparti di ostetricia, e ginecologia, ortopedia, pediatria, otorinolaringoiatria e cardiologia dell'ospedale santissimo Salvatore di Mistretta, in provincia di Messina, prevista in base alle nuove strategie per il rientro della spesa sanitaria;
   la soppressione dei suddetti reparti e la conseguente attivazione del PIA (presidio territoriale di assistenza) che, secondo quanto stabilito dalla legge regionale di riforma del sistema sanitario, dovrebbe avere il compito di riqualificare i servizi territoriali, porteranno, invece, inevitabilmente all'aumento della spesa sanitaria del distretto poiché, a parità di costi il servizio ambulatoriale sarà garantito solo per 12 ore giornaliere, non potranno più essere eseguiti interventi chirurgici o ricoveri e, dunque, la conseguenza ultima sarà la migrazione sanitaria presso altre strutture;
   con particolare riferimento alla soppressione del reparto di ginecologia ed ostetricia, non si comprende la ragione di tale scelta in considerazione del fatto che, pur effettuandosi nella struttura un numero di parti, inferiore a quello stabilito per il mantenimento del punto nascita (500 all'anno), il piano della salute 2011-2013 prevede la salvaguardia dello stesso in relazione alla peculiarità dei territori montani, alla frammentazione territoriale e alle caratteristiche orografiche, pur al di sotto della suddetta soglia;
   il riconoscimento di una specificità geografica, in ragione del quale risulta che gli ospedali di Petralia (PA), di Miccia (EN) e di Partinico (PA) abbiano già ottenuto deroghe rispetto al piano delineato dell'assessorato alla sanità siciliano non può, certamente, essere valido solo per alcune strutture sanitarie e disatteso per altre;
   il punto nascita dell'ospedale di santissimo Salvatore di Mistretta, infatti, risponde alle caratteristiche di zona montana, disagiata, e con notevole distanza dalle strutture di riferimento ostetrico/ginecologiche di livello superiore più vicine: una donna in stato di gravidanza sarebbe costretta a subire enormi disagi nonché a vivere una condizione di insicurezza potendosi rivolgere solo alla più vicina struttura — l'ospedale di S. Agata di Militello — ubicata in media a 60 chilometri di distanza dai paesi della valle dell'Halaesa e raggiungibile mediante tortuose strade di montagna –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa riguardanti l'indiscriminata soppressione dei reparti dell'ospedale santissimo Salvatore di Mistretta e quali iniziative di competenza intenda assumere, nel rispetto dell'autonomia regionale e dei vincoli finanziari, per fare chiarezza sulla scelta del depotenziamento del suddetto ospedale affinché siano assicurati i livelli essenziali di assistenza, scongiurando lesioni del fondamentale diritto costituzionale alla salute. (4-12446)

  Risposta. — In riferimento ai quesiti formulati nell'interrogazione parlamentare in esame, si ritiene opportuno, preliminarmente, precisare che il programma operativo 2010-2012, presentato dalla regione siciliana come prosecuzione del Piano di rientro 2007-2009, prevede la riorganizzazione della rete materno infantile con la progressiva messa in sicurezza dei «punti nascita».
  Per le condizioni oro-geografiche del territorio, la regione ha ritenuto indispensabile valorizzare ulteriormente il collegamento funzionale dei punti nascita e delle neonatologie con la rete regionale di emergenza e potenziare il Servizio di trasporto per le emergenze neonatali (Sten) su base regionale, nonché attivare il Servizio di trasporto materno assistito (Stam), quali componenti essenziali di un piano di regionalizzazione delle cure perinatali.
  In attuazione di tale programma la regione ha adottato il decreto assessoriale n. 2536 del 2011, di riordino e razionalizzazione della rete dei punti nascita.
  Per quanto riguarda la riorganizzazione dell'ospedale «Santissimo Salvatore» di Mistretta (Messina), si segnala che la regione siciliana ha adottato il decreto assessoriale n. 392 del 7 marzo 2011, con il quale la azienda sanitaria provinciale (Asp) di Messina è stata autorizzata ad adottare la delibera definitiva relativa alle dotazioni organiche e di adeguamento dell'atto aziendale. In attuazione di tale decreto, la Asp di Messina, in data 24 marzo 2011, ha adottato la delibera n. 977.
  Dal confronto della delibera n. 977 del 2011 con il contenuto del decreto assessoriale n. 1868 del 22 luglio 2010, con cui sono state approvate le linee guida regionali per la rideterminazione delle piante organiche, non si evincono riduzioni o scostamenti.
  Entrambi gli atti prevedono una dotazione complessiva di 5.048 unità all'interno dell'Asp.
  Per quanto riguarda il presidio di Mistretta, non è a conoscenza del Ministero della salute il dato analitico relativo al personale precedentemente presente; la delibera n. 977 del 2011 sulla dotazione organica prevede 147 unità.
  Per ciò che attiene alla dotazione di posti letto, il numero complessivo degli stessi, che è di 92 posti letto, non varia rispetto alla delibera n. 1374 del 25 maggio 2010, recante il riordino della rete ospedaliera di Messina, e nel quale già non erano presenti posti letto per ginecologia ed ostetricia.
  I posti letto attualmente presenti sono così suddivisi:
   n. 14 area chirurgica;
   n. 16 area medica;
   n. 6 indistinti di area medica e chirurgica;
   n. 16 lungodegenza;
   n. 40 riabilitazione.

  Per quanto riguarda l'ostetricia-ginecologia, si precisa che il presidio ospedaliero di Sant'Agata, che dista 45 chilometri dal Presidio di Mistretta, e non 60 come indicato nell'interrogazione, è dotato di un reparto di ostetricia con 8 posti letto.
  La regione siciliana ha inviato a questo Ministero il 7 luglio 2011 lo schema di decreto assessoriale, recante «Riordino e razionalizzazione della rete dei punti nascita».
  Nello schema di decreto, a proposito della Asp di Messina, si legge che: «Il punto nascita di Mistretta ha effettuato nel quinquennio di riferimento un totale di 105 parti. Quest'ultimo dato colloca la struttura al di sotto degli standard previsti di 500 parti anno. Si rende quindi necessario procedere alla disattivazione del predetto punto nascita, prevedendo tuttavia soluzioni organizzative e gestionali per facilitare il trasferimento delle attività presso il presidio ospedaliero di riferimento di Sant'Agata di Militello, che nonostante sia al di sotto degli
standard previsti di 500 parti anno (395 nel quinquennio) viene mantenuto poiché dovrà accogliere anche i parti provenienti dal punto nascita dismesso di Mistretta, fermo restando tutta l'attività relativa al percorso nascita che verrà in ogni caso garantita con la sola esclusione dell'evento parto».
  Tale determinazione è stata riportata, senza modifiche ed osservazioni, nel citato decreto assessoriale n. 2536 del 2011.
  Rientra fra le prerogative regionali la competenza ad individuare quali siano le località montane isolate e disagiate per le quali è possibile derogare ai parametri di sicurezza e qualità stabiliti con l'accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2010, recante: «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo».

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   GIANNI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Governo Monti fin dal suo primo giorno di insediamento ha parlato di politiche di rigore ma anche di crescita ed equità sociale come i cardini di una politica complessiva in grado di affrontare la crisi economica;
   le fasce sociali più deboli sono colpite da una tassazione insostenibile in particolare subiscono gli effetti della forte tassazione i cittadini residenti nelle regioni sottoposte ai piani di rientro relativi al deficit sanitario in questo caso le famiglie e le imprese residenti in regioni come la Sicilia devono subire addizionali Irap e Irpef maggiorate;
   in un momento di crisi economica strutturale che già rende difficile la vita dei cittadini, è necessario procedere con l'assunzione di atti che si basino sulla equità sociale;
   i ticket sanitari in un contesto di crisi economica e di insostenibile tassazione diventano un ulteriore aggravio nei confronti non solo dei cittadini tutti ma in particolare per i cittadini costretti a rivolgersi al sistema sanitario nazionale;
   appare opportuno come misura di equità sociale procedere alla abolizione o perlomeno alla rimodulazione dei ticket sanitari almeno per i cittadini che appartengono alle fasce sociali più deboli sia per motivi economici che per patologie più gravi –:
   se non ritenga necessario in una fase di gravissima crisi economica e recessiva avviare misure di equità sociale che rappresentino segnali concreti di sostegno ai cittadini, in particolare per quelli residenti nelle regioni soggette ai piani di rientro, Sicilia, Lazio, Puglia, Campania e Calabria, e che per questo hanno applicato tassazioni locali di Irpef e Irap, maggiorate rispetto al resto delle regioni, assumendo iniziative normative per l'abolizione dei ticket sanitari o perlomeno la loro effettiva rimodulazione. (4-16493)

  Risposta. — La previsione di un intervento sul sistema di partecipazione alla spesa sanitaria è contenuta nell'articolo 17, comma 1, lettera d), della legge 15 luglio 2011, n. 111, di conversione del decreto-legge n. 98 del 2010, quale misura volta a garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, nel caso in cui il Governo non abbia individuato, tramite l'intesa Stato-Regioni, interventi alternativi tali da assicurare che la spesa del Servizio sanitario nazionale (Ssn) sia contenuta entro l'ammontare del finanziamento indicato dalla medesima disposizione normativa.
  La norma prevede, in particolare, che in assenza della predetta intesa, per l'esercizio 2014 gli interventi in materia di partecipazione alla spesa sanitaria dovranno garantire al Servizio sanitario nazionale maggiori entrate o minori spese per un importo di 2 miliardi di euro.
  Date le premesse, il Governo sta attentamente valutando quali interventi sulla vigente normativa in materia di ticket ed esenzioni possano essere adottati nel rispetto di alcuni principi generali che si ritengono imprescindibili:
   equità nella distribuzione dell'onere derivante dalla partecipazione alla spesa sanitaria sulle famiglie; a questo fine si terrà conto del reddito familiare complessivo e della composizione quantitativa e qualitativa dei nuclei familiari;
   maggiore omogeneità della disciplina sul territorio nazionale;
   adozione di strumenti e procedure di agevole applicazione.

  Le caratteristiche del nuovo sistema sono tuttora all'esame degli uffici del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze e le ipotesi da approfondire sono diverse: da una rimodulazione degli attuali ticket sulla base dei principi già richiamati, ad ipotesi alternative quale quella della «franchigia» di cui si è parlato nell'ultimo periodo e che anche la stampa ha riportato.
  Qualunque sia la scelta definitiva, sarà necessario evitare che l'obbligo di partecipare alla spesa sanitaria rappresenti per i cittadini, e in particolare i cittadini più deboli, un ostacolo tale da scoraggiare l'accesso a servizi e prestazioni necessarie o addirittura urgenti. Sarà indispensabile, quindi, individuare un punto di equilibrio tale che il ticket dovuto porti alla riduzione delle prestazioni inappropriate ma non rappresenti un onere eccessivo per gli assistiti e non comprometta i principi di universalità, solidarietà ed equità del Ssn.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   GIDONI, FORCOLIN, BITONCI e LANZARIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   risulta agli interpellanti che nei giorni delle vacanze di Natale a Cortina d'Ampezzo ci fossero non solo Fiorello e la Santanchè, ma anche il Ministro della giustizia Paola Severino, che ha una casa, e l'ex Sottosegretario alla giustizia, senatrice del Pdl, Maria Elisabetta Alberti Casellati;
   entrambe godono della scorta: il neo Ministro per il ruolo che ricopre e per una lettera di minacce con bossoli ricevuta all'inizio di dicembre; la senatrice Casellati perché ha ricevuto minacce, quando era Sottosegretario e conserva la scorta tuttora con la formula che «non sono venute meno le ragioni di sicurezza che l'avevano richiesta» –:
   se risponda al vero che per una quindicina di giorni, a Cortina d'Ampezzo, una ventina di agenti della polizia penitenziaria di Padova e Treviso si siano alternati alla scorta delle due personalità politiche, dormendo in alberghi di Cortina a circa 200 euro a notte, per un costo di 100 euro ad agente, tutti a carico dell'amministrazione penitenziaria e dunque dello Stato;
   se corrisponda al vero che gli agenti all'inizio erano stati sistemati in una caserma messa a disposizione del Corpo forestale dello Stato e quali siano i motivi che ne avrebbero consigliato lo spostamento in un ben più costoso albergo;
   se permangano nei confronti della senatrice Casellati i motivi che hanno permesso la concessione della scorta. (4-14497)

  Risposta. — Con riferimento ai fatti riferiti dall'interrogante, si comunica che il Ministro della giustizia è destinataria di una misura di protezione di 1o livello che prevede, nel minimo, per tutti gli spostamenti, l'impiego di una scorta ravvicinata di 5 unità di polizia penitenziaria a bordo di automezzi specializzati, nonché di un posto fisso di vigilanza giornaliera di 24 ore della residenza, fissa o temporanea, con turnazione di 2 unità di polizia penitenziaria ogni sei ore, oltre ad un coordinatore del servizio.
  Tale misura – anche alla luce delle recenti minacce rivolte al Ministro – per quanto riguarda la scorta è stata messa in atto a Cortina d'Ampezzo dal 25 al 27 dicembre 2011 e dal 29 dicembre 2011 al 1o gennaio 2012, mentre il posto fisso di vigilanza, terminate le esigenze di sicurezza, è stato ritirato il successivo 8 gennaio 2012.
  Le 5 unità di scorta ravvicinata sono state alloggiate fin dall'inizio in un albergo prospiciente la casa del Ministro, atteso il particolare compito di far fronte, con immediatezza, a tutte le esigenze dinamiche di protezione. Il costo dell'albergo è stato di 130 euro a persona, con applicazione dello specifico regime di convenzione praticato nei confronti del personale delle Forze di Polizia.
  Le 8 unità preposte al posto fisso di vigilanza e l'ispettore coordinatore del servizio – in considerazione delle peculiarità della loro attività di sorveglianza, indubbiamente più statica – sono stati inizialmente alloggiati presso una caserma del Corpo forestale dello Stato (unica struttura pubblica della zona dotata di ricettività) ubicata in Collato di Auronzo di Cadore, distante da Cortina d'Ampezzo circa 25 chilometri. Tuttavia, questa soluzione si è presto rivelata poco funzionale a causa dei molti chilometri che questi operatori erano costretti a percorrere ogni 6 ore, ad ogni cambio turno. Per tale motivo si è deciso di provvedere diversamente, avvalendosi di una struttura alberghiera di Cortina d'Ampezzo, il cui costo giornaliero si aggirava intorno ai 100 euro per una camera con due posti letto.
  Per quanto concerne la senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati, già Sottosegretario di Stato per la giustizia, si comunica che il 27 giugno 2012 è stata disposta, su proposta del Prefetto di Roma, la revoca del dispositivo di 3o livello «tutela su auto specializzata» di cui era destinataria. Il provvedimento avrà efficacia a decorrere dal prossimo 1o settembre 2012; data fissata per la dismissione della misura tutoria. Si informa infine che nella città di Cortina d'Ampezzo, dove la senatrice si trovava dal 28 dicembre 2011 al 7 gennaio 2012, le due unità di scorta erano alloggiate in un albergo convenzionato con le Forze di polizia (ad un costo di 130 euro a persona).

Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   MAGGIONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere premesso che:
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   il processo di razionalizzazione avviato negli ultimi anni dalla società Poste italiane spa ha portato alla chiusura di molti uffici e al ridimensionamento degli orari di apertura degli sportelli, causando quindi molte difficoltà nella gestione operativa degli uffici e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela;
   molti piccoli comuni della zona lombarda della Lomellina sono vittime di disagi dovuti alle decisioni unilaterali della società postale che ha previsto l'apertura a giorni alterni degli uffici e, notizia di questi giorni riferita dagli impiegati degli uffici postali coinvolti, anche gli sportelli nei comuni di Sant'Angelo e di Cergnago sono destinati alla stessa sorte;
   questa chiusura si tradurrebbe in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troverebbero a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali, quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per favorire una concertazione tra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, al fine di scongiurare la possibile chiusura di ulteriori uffici postali nella zona della Lomellina;
   come il Ministro intenda intervenire per evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste italiane spa arrechino disagi agli abitanti dei piccoli comuni della provincia di Pavia e quali iniziative intenda prevedere per garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto dell'accordo siglato fra le Poste italiane spa e lo Stato. (4-12506)

  Risposta. — L'interrogante chiede di conoscere quali iniziative il Ministero dello sviluppo economico intenda adottare al fine di scongiurare la possibile chiusura di ulteriori uffici postali nella zona della Lomellina; come intenda intervenire al fine di evitare che decisioni unilaterali assunte da Poste italiane Spa possano arrecare disagi agli abitanti dei piccoli comuni della provincia di Pavia ed infine quali iniziative il Ministero dello sviluppo economico intenda prevedere per garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto dell'accordo siglato fra le Poste italiane Spa e lo Stato.
  Il Ministero dello sviluppo economico anche sulla base degli elementi forniti dalla società Poste italiane, rappresenta quanto segue.
  La concessionaria del servizio postale universale ha informato sulle iniziative di rimodulazione adottate nei confronti degli uffici postali attivi nel territorio lombardo della Lomellina.
  Si premette che sul territorio sono presenti 57 comuni, tutti dotati almeno di un ufficio postale ad eccezione di Vigevano ove sono attivi ben tre uffici postali e dei comuni di Gallaviola e Villa Riscossi che invece ne sono privi.
  Dal mese di giugno 2011 (a causa degli esigui flussi di traffico) gli uffici di Cergnago e Sant'Angelo Lomellina, ubicati nei comuni omonimi, sono aperti quattro giorni a settimana. La Concessionaria del servizio postale ha fatto presente che tale provvedimento non ha generato disagio tra gli utenti in quanto i clienti titolari di pensione riscuotono i ratei nei giorni previsti.
  Si precisa inoltre, che a circa 3,4 chilometri dall'ufficio di Cergnago si trova l'ufficio di San Giorgio Lomellina aperto dal lunedì al venerdì con orario 8,30-14,00 ed il sabato con orario 8,30-12,30. Inoltre, in posizione limitrofa all'ufficio Sant'Angelo in Lomellina, si trova l'ufficio Cerreto Lomellina attivo il martedì ed il giovedì dalle 8,30 alle 14,00 ed il sabato dalle 8,30 alle 12,30.
  Si aggiunge, altresì, che i provvedimenti adottati sono stati regolarmente comunicati da parte di Poste italiane alla competente direzione generale per la regolamentazione del settore postale – ufficio II autorizzazioni e licenze.
  Peraltro, per come riferito dalla sopra citata Direzione generale. Poste italiane ha fatto sapere che la nuova articolazione delle giornate di apertura risulta rispondente all'effettiva domanda della clientela e che i provvedimenti adottati sono rispettosi della normativa in materia.
  Il Ministero dello sviluppo economico tiene, comunque, ad assicurare che, attraverso gli uffici competenti, compatibilmente con le risorse umane e finanziarie disponibili, non ha mancato e non mancherà, anche in futuro, nei limiti delle sue competenze, di vigilare sul rispetto degli obblighi connessi allo svolgimento del servizio postale universale, per assicurare alla cittadinanza un servizio in linea con i vigenti standard di qualità.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   MARCAZZAN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il termine acufene identifica un disturbo uditivo consistente in rumori percepiti da uno o entrambi gli orecchi sotto forma di ronzii, fruscii, fischi, crepitii, soffi e simili;
   questo tipo di disturbo, che secondo le ultime stime interessa oltre tre milioni di italiani, può determinare un vero e proprio stato invalidante, in quanto coinvolge l'assetto psicologico ed emozionale del malato, la sua vita di relazione, il ritmo sonno-veglia, le attitudini lavorative ed il livello di attenzione e concentrazione inducendo e potenziando anche stati ansioso-depressivi;
   secondo gli studi più recenti le cause dell'insorgenza di questo disturbo potrebbero derivare da traumi acustici o cranici, da processi patologici che colpiscono l'orecchio interno o dall'assunzione di farmaci ototossici, ma nel 60 per cento dei casi non è possibile individuarne uno specifico fattore scatenante;
   purtroppo oggi, la patologia dell'acufene, non è riconosciuta nella sua gravità né risulta oggetto di studi e di ricerche finalizzati a individuarne origini, cause ed eventuali cure –:
   se non ritenga di adottare iniziative finalizzate al riconoscimento dell'acufene quale patologia grave e alla programmazione di tutti gli interventi utili ad alleviare le sofferenze dei soggetti portatori di acufene. (4-14985)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico che consiste in disturbi, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altri rumori, percepiti in una o in entrambe le orecchie.
  L'acufene può incidere pesantemente sulla qualità della vita di chi ne soffre, soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente.
  La ricerca clinica ha dimostrato come, in una percentuale elevata dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia è parte integrante.
  Nella maggior parte dei casi, l'eziologia non è chiara. Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di «
neuroimaging», che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione delle cause della patologia. Inoltre, approcci sofisticati, quali la stimolazione magnetica transcranica, si stanno dimostrando potenzialmente efficaci nel ridurre la sintomatologia dell'acufene, il quale è un problema otologico assai frequente.
  In base a studi condotti negli ultimi 10 anni in Germania, presso l'Istituto tedesco per la ricerca e la cura dell'acufene, nel Regno Unito, presso l'Università di Aberdeen, e in altre nazioni europee, mediamente circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente ne ha sofferto almeno una volta nella vita. Studi condotti in Italia dimostrerebbero (soprattutto per alcune realtà regionali per le quali sono disponibili dati relativamente recenti), come nel nostro Paese la prevalenza di questo disturbo sia analoga a quella Europea.
  Sulla base di un attento studio dello stato delle conoscenze ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura scientifica disponibile e a seguito della disamina delle scoperte più recenti, si potrà valutare quali opportune iniziative adottare per gestire, da un lato, i problemi sanitari legati all'acufene e, dall'altro, la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'Istituto superiore di sanità, al fine di promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Per quanto riguarda la promozione di studi e ricerche concernenti la patologia dell'acufene, per consentire di migliorare l'approccio terapeutico e, quindi, migliorare la qualità della vita delle numerose persone colpite, si precisa che il finanziamento della ricerca finalizzata non comporta la preindividuazione, da parte del Ministero della salute di progetti di ricerca specifici, che sarà cura degli enti finanziati sviluppare.
  Tali enti (Irccs, regioni, Izs, Iss, eccetera) o i ricercatori, che a tali enti si affiliano, presentano progetti di loro interesse che vengono finanziati sulla esclusiva base di criteri meritocratici: i progetti, infatti, sono sottoposti al vaglio di
referee anonimi (e stranieri) nel numero di tre (per ogni progetto), e solo i progetti migliori potranno accedere al finanziamento ministeriale.
  Se in Italia, quindi, sono presenti ricercatori interessati ad approfondire le tematiche e le implicazioni legate all'acufene, essi possono presentare, al momento della pubblicazione del bando di ricerca finalizzata, idonei progetti finalizzati: e tali progetti, qualora ottengano un adeguato punteggio dal sistema di valutazione previsto dal bando e dimostrino di avere ricadute non trascurabili sul Sistema sanitario nazionale, saranno sicuramente finanziati.
  È opportuno precisare che il Piano nazionale di prevenzione per gli anni 2010-2012 (intesa fra Governo, regioni e province autonome del 29 aprile 2010), prevede un capitolo specifico sulla prevenzione dell'ipoacusia e della sordità.
  Nel gennaio 2011 si è costituito, presso la Direzione generale della prevenzione del Ministero della salute, un tavolo di lavoro in materia, con rappresentanti delle società scientifiche e delle regioni.
  Detto tavolo ha il compito, nell'ottica di un piano articolato di specifiche azioni, di supportare le Regioni nei loro programmi di prevenzione in materia di ipoacusia e sordità.
  È prevista anche la stesura di un documento, da presentare in sede di Conferenza Stato-Regioni, che comprenda sia «Linee di indirizzo sugli
screening audiologici in differenti età target» sia «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, in materia di prevenzione dell'ipoacusia e della sordità».
  Ad oggi, i lavori del tavolo hanno consentito la stesura delle «Linee di indirizzo per lo
screening neonatale uditivo».
  Il tavolo per finalizzare gli obiettivi deve ora definire le «Linee di indirizzo di prevenzione ipoacusia e sordità nell'adulto e nell'anziano» e il «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta».
  Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria e terapeutica nel caso di acufene, si segnala che i pazienti che accusano tale disturbo possono rivolgersi alle strutture del Servizio sanitario nazionale per usufruire delle prestazioni garantite dai livelli essenziali di assistenza (Lea) e vengono tutelati dalle disposizioni vigenti in materia di assenza per malattia dai luoghi di lavoro.
  Al riguardo, si precisa che per la patologia «
tinnitus», codice di malattia Icd9cm 388.3, in base ai dati delle schede di dimissione ospedaliera, risulta che nel 2010 sono stati trattati 2350 pazienti in strutture di ricovero distribuite su tutto il territorio nazionale.
  Infatti, diversi enti universitari o ospedalieri hanno acquisito speciali competenze in materia.
  Inoltre, la maggior parte delle patologie che determinano gli acufeni sono individuate fra le condizioni di malattia croniche ed invalidanti, ai sensi del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329 e successive modifiche, per le quali è prevista l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
  Gli acufeni come tali non sono previsti fra le condizioni di malattia croniche e invalidanti, in quanto non rispondono a tutti i criteri previsti dal decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, quali la gravità clinica, il grado di invalidità e onerosità dalla quota di partecipazione derivante dal costo delle prestazioni utili al medico per effettuare un corretto
follow up della malattia.
  Per quanto riguarda, in particolare, lo sviluppo di campagne di prevenzione e sensibilizzazione concernenti l'acufene, si segnala che è attualmente in fase di definizione il Programma delle iniziative di comunicazione per l'anno 2012, che saranno realizzate dal Ministero della salute: in tale contesto verrà valutata l'opportunità di inserire la problematica in esame nell'ambito dei piani da sviluppare.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   MARINELLO, VINCENZO ANTONIO FONTANA e LA LOGGIA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto assessoriale del 9 maggio 1997, n. 22073, la regione siciliana ha istituito la banca del sangue cordonale di Sciacca;
   un successivo decreto del 28 ottobre 1999, n. 30449, identifica il servizio di medicina trasfusionale degli «Ospedali Civili riuniti Giovanni Paolo II» di Sciacca quale centro di riferimento regionale per la banca di sangue cordonale;
   dopo un biennio di interruzione dell'attività, la banca ha ripreso il suo funzionamento nel 2008, dopo essere stata sottoposta ad ispezione da parte del centro nazionale sangue (CNS) il quale ha richiesto alcune azioni correttive al fine di inserire le unità di sangue cordonale nel registro internazionale, rendendole quindi disponibili per il trapianto;
   nel 2009 la regione siciliana ha stanziato 1.500.000 euro per finanziare due progetti tesi alla realizzazione delle azioni correttive indicate dal centro nazionale sangue e alla ripresa delle attività di raccolta, affidandone l'attuazione al responsabile facete funzione (ff), dell'unità operativa complessa (UOC) di medicina trasfusionale da cui dipende la banca di sangue cordonale;
   nel settembre 2010, il direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale di Agrigento è stato costretto a commissariare la banca di sangue cordonale di Sciacca, nominando un commissario ad acta, il dottor Attilio Mele (dirigente del Servizio 6 del dipartimento attività sanitarie e osservatorio epidemiologico dell'assessorato della salute) per la realizzazione del progetto di riqualificazione programmato dal CNS e non realizzato dal precedente responsabile;
   nel luglio 2011, a seguito dello svolgimento di un regolare concorso pubblico viene nominato direttore dell'unità operativa complessa di medicina trasfusionale e della banca di sangue cordonale il dottor Filippo Buscemi, il cui curriculum evidenzia notevole preparazione e competenza in materia di cellule staminali;
   tale nomina è perfettamente in linea con quanto previsto dalla vigente normativa in materia, di cui alla legge 21 ottobre 2005, n. 219 (la quale stabilisce, tra l'altro, che l'attività di caratterizzazione, crioconservazione e gestione delle cellule staminali da sangue cordonale sia realizzata nelle strutture trasfusionali) e di cui all'Accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano recante «Linee guida per l'accreditamento delle Banche di sangue da cordone ombelicale», sancito il 20 aprile 2011, il quale stabilisce che la Banca del cordone ombelicale è, una articolazione organizzativa del servizio trasfusionale e che il direttore del servizio trasfusionale sovrintende alle attività della banca ed è responsabile della sua organizzazione complessiva;
   dal luglio 2011 il dottor Buscemi ha avviato tutte le azioni correttive richieste dal centro nazionale sangue e funzionali alla realizzazione della riqualificazione della banca di sangue cordonale di Sciacca, svolgendo la sua opera in totale coerenza con le indicazioni espresse dallo stesso centro nazionale sangue e dal servizio 6 del dipartimento attività sanitarie e osservatorio epidemiologico (DASOE) dell'assessorato della salute, in modalità condivise con il dottor Attilio Mele, dirigente dello stesso servizio 6 del DASOE e commissario ad acta della banca di sangue cordonale;
   il decreto assessoriale n. 198 del 6 febbraio 2012, firmato anche dallo stesso dottor Mele, specifica all'articolo 3 punto 2 che «(...) riconosciuta l'esigenza di dover assicurare continuità gestionale al progetto di riqualificazione della Banca, il responsabile dei progetti finanziati da questo Assessorato nell'anno 2009 viene identificato come Responsabile della Banca cordonale di Sciacca ed opera in regime di autonomia gestionale e finanziaria al fine del raggiungimento degli obiettivi del presente decreto.»;
   come successivamente specificato con atto del 14 marzo 2012, firmato dal dottor Mele, si identifica il responsabile dei progetti già finanziati dall'ente regionale, «quale responsabile della Banca del sangue cordonale di Sciacca e della sua organizzazione complessiva»;
   il citato decreto assessoriale n. 198 del febbraio 2012 appare in palese contrasto con la normativa nazionale vigente in materia, la quale tra l'altro viene da esso richiamata;
   in Italia non esiste alcuna Banca del sangue cordonale in regime di autonomia gestionale e finanziaria, in quanto tutte appartengono ad una medicina trasfusionale e solo in pochi casi – per situazioni preesistenti al 2005 – appartengono ad altre unità operative e in tutte le banche il direttore del servizio trasfusionale è il direttore della banca che ad esso afferisce;
   nelle motivazioni del decreto assessoriale n. 198 non si rilevano inadempienze nell'operato del dottor Buscemi che possano giustificare l'esautoramento dalla direzione della banca, anzi è da sottolineare che dal luglio 2011 i costi di gestione della struttura sono diminuiti notevolmente;
   l'assessore alle politiche per la salute della regione siciliana, Massimo Russo, rispondendo allo specifico quesito postogli sul tema in sede di audizione della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi regionali, ha confermato il sostanziale «smembramento» della banca del sangue cordonale di Sciacca dal servizio trasfusionale a cui appartiene, motivandolo con la decisione di rilanciare le progettualità della banca cordonale stessa;
   l'azione dell'assessore alla sanità Massimo Russo, nominato quale assessore tecnico dal presidente della regione, si connota ad avviso degli interroganti sempre più per interventi dall'inequivocabile impulso politico –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti relativi alla banca del sangue cordonale di Sciacca e quali iniziative – nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle prerogative attribuite alle regioni in materia sanitaria dalla normativa vigente – intenda prendere per evitare una duplicazione degli incarichi che potrebbe essere in contrasto con gli obiettivi di razionalizzazione della spesa sanitaria regionale che la Sicilia si è formalmente impegnata a perseguire nell'ambito della realizzazione del piano di rientro dal deficit sanitario. (4-15531)

  Risposta. — In merito alle problematiche relative all'assetto organizzativo della banca del sangue cordonale di Sciacca (Agrigento), oggetto dell'interrogazione in esame, si precisa quanto segue.
  La banca di sangue cordonale di Sciacca fa parte della rete nazionale italiana delle banche di sangue cordonale (
Italian Cord Blood Network – Itcbn), istituita con decreto del Ministro della salute 18 novembre 2009.
  La rete è coordinata dal Centro nazionale sangue (Cns), in sinergia con il Centro nazionale trapianti (Cnt) per gli aspetti correlati al trapianto ematopoietico.
  La rete è attualmente formata da 19 banche operative, presenti in 13 regioni. Alle banche sono collegati circa 300 punti nascita sul territorio nazionale, dove è possibile effettuare la donazione di sangue cordonale.
  A completamento dell'assetto normativo relativo alla rete delle banche per la conservazione del sangue da cordone ombelicale, sono stati definiti i requisiti organizzativi, strutturali e tecnologici minimi per l'esercizio delle attività sanitarie delle banche, con l'accordo Stato-Regioni del 29 ottobre 2009, e definite le linee guida per l'accreditamento, con l'accordo Stato Regioni del 20 aprile 2011.
  In particolare, riguardo alla banca cordonale di Sciacca è necessario preliminarmente segnalare che, a seguito di pregresse vicende, la medesima è stata oggetto di provvedimenti, adottati dalla regione Sicilia, che hanno condotto alla sospensione della sua attività dal 2006 al 2008, a seguito di verifiche effettuate dalle autorità regionali e, congiuntamente, dal Cns e dal Cnt.
  Infatti, dall'esito delle visite ispettive è emersa: la necessità di apportare al sistema organizzativo della banca consistenti azioni correttive al fine di renderlo adeguato agli
standard vigenti e di consentire alla stessa di partecipare alla composizione dell'inventario nazionale delle unità di sangue cordonale; la necessità di operare una riqualificazione dell'inventario preesistente, composto da unità cordonali raccolte prima del 2006, in quanto patrimonio biologico di valenza nazionale.
  Pertanto, al fine di rimuovere le criticità segnalate, la regione siciliana ha posto in atto una serie di azioni correttive (oggetto di specifici finanziamenti), volte alla riqualificazione complessiva della struttura e a verificare progressivamente, secondo criteri di costo-efficacia, la qualità, la sicurezza e la tracciabilità delle unità cordonali.
  L'attività della banca è ripresa nell'aprile del 2008.
  Nel frattempo, ai sensi dell'articolo 8 della legge regionale n. 5 del 2009, recante «Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale», l'Azienda ospedaliera di Sciacca (nell'ambito della quale era allocato il servizio di medicina trasfusionale, quale centro di riferimento regionale per la banca di sangue cordonale), è stata soppressa per accorpamento nella neo istituita azienda sanitaria provinciale (Asp) di Agrigento (subentrata quindi nelle funzioni, attività e competenze dell'ex azienda ospedaliera di Sciacca).
  Da quanto emerge dalla lettura delle premesse del decreto assessoriale n. 2084 del 2010, il direttore generale della Asp di Agrigento non ha posto in essere alcuna delle azioni correlate al piano delle azione correttive, individuate e finanziate «
ad hoc» dalla regione siciliana, generando così costi ulteriori (altrimenti contenibili) e mettendo, fra l'altro, a repentaglio i fondi vincolati per il raggiungimento dell'obiettivo di carattere prioritario «biobanche di sangue cordonale», indicato al punto 5.1 dell'accordo Stato-Regioni del 25 marzo 2009, tramite il quale sono state assegnate (ed in buona parte già erogate) risorse vincolate ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-bis, della legge n. 662 del 1996, per il raggiungimento degli obiettivi di carattere prioritario contestualmente indicati.
  La banca cordonale di Sciacca è la struttura dedicata al perseguimento dell'obiettivo in questione, di rilevanza sia regionale che nazionale.
  I reiterati inadempimenti del direttore generale dell'Asp di Agrigento hanno indotto la regione, ai sensi dell'articolo 20 della citata legge regionale n. 5 del 2009, a nominare un commissario
ad acta, nella persona del direttore del centro regionale sangue, con il precipuo mandato di attuare il «progetto di riqualificazione della Banca cordonale di Sciacca» (articolo 1 del decreto assessoriale n. 2084 del 2010).
  Viene altresì demandato al commissario
ad acta «il compito di assicurare la realizzazione degli obiettivi espressi nei progetti già finanziati e di porre in essere, in aderenza alle possibilità espresse nello studio di fattibilità richiesto, le procedure tecniche per il recupero, ove possibile, delle unità già bancate e rispondenti a requisiti di qualità e sicurezza internazionalmente accettati» (articolo 2 del decreto assessoriale n. 2084 del 2010).
  Per consentire al commissario
ad acta di svolgere il compito assegnatogli, gli è attribuita la competenza a gestire le «risorse umane, strutturali, tecnologiche ed organizzative, anche attraverso l'acquisizione di beni e servizi, atte a garantire, a fronte del finanziamento erogato, il soddisfacimento degli obiettivi dei progetti finanziati» (articolo 3 del decreto assessoriale n. 2084 del 2010).
  Tenuto conto della peculiare situazione, anche organizzativa, in cui versava e versa tuttora la Banca cordonale di Sciacca, con il successivo decreto assessoriale n. 0198 del 2012, l'Assessore regionale per la salute, considerata l'esigenza di rendere conforme l'operatività della Banca del sangue di Sciacca alle linee guida per l'accreditamento delle banche del sangue cordonale (delineate nell'accordo Stato-Regioni del 20 aprile 2011), all'articolo 3 (requisiti organizzativi), comma 2, espressamente prevede che: «Nelle more dell'emanazione di un successivo provvedimento di definizione del nuovo assetto organizzativo della BSC, che farà seguito alla valutazione positiva all'atto dell'ispezione da parte delle autorità nazionali competenti, ritenuto di dover assicurare una continuità gestionale al progetto di qualificazione della banca, il Responsabile dei progetti finanziati da questo Assessorato nell'anno 2009 viene identificato come Responsabile della Banca cordonale di Sciacca ed opera in regime di autonomia gestionale e finanziaria al fine del raggiungimento degli obiettivi del presente decreto».
  Tale decreto n. 0198 del 2012 è quindi un provvedimento transitorio, adottato nelle more della definizione dell'assetto organizzativo della Banca ed in un contesto straordinario, quale quello che ha portato alla nomina di un commissario
ad acta per la riqualificazione della Banca e la sua riconduzione entro gli standard ed i requisiti di qualità e sicurezza internazionalmente accettati.
  Dalla suddetta determinazione regionale che identifica, quale responsabile della banca, il responsabile dei progetti finalizzati alla riqualificazione della banca medesima, emerge, fra l'altro, l'esigenza della regione di assicurare, in un'ottica di «continuità», la realizzazione del progetto di riqualificazione della banca del sangue cordonale di Sciacca.
  Le iniziative assunte dalla regione Siciliana risultano tese, da un lato, a riconoscere la valenza sovra aziendale dell'attività svolta dalla Banca e, dall'altro, ad implementare l'attività della Banca stessa, onde evitare di perdere i finanziamenti statali.
  Pertanto, la determinazione della regione, nella parte in cui prevede, in attesa dell'emanando provvedimento di definizione del nuovo assetto organizzativo, che l'incarico di direttore del servizio trasfusionale sia momentaneamente distinto dall'incarico di direttore della banca, appare coerente con le azioni fin qui intraprese dalla medesima regione che, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, ha ritenuto necessario affidare, con il decreto assessoriale n. 2084 del 2010, al responsabile del centro regionale sangue, l'incarico finalizzato a garantire che il processo di riqualificazione della banca fosse portato a termine e, quindi, con il successivo decreto assessoriale n. 0198 del 2012, ha affidato in via transitoria al medesimo responsabile del centro regionale sangue, anche la responsabilità della banca, attribuendogli l'autonomia gestionale e finanziaria necessaria al raggiungimento degli obiettivi indicati dalla stessa regione.
  Il provvedimento è finalizzato a rendere conforme l'operatività della banca di Sciacca alle linee guida per l'accreditamento delle banche di sangue cordonale, implementando le opportune azione correttive.
  Per quanto attiene all'aspetto relativo al finanziamento dei progetti, nel decreto assessoriale n. 2084 del 2010 risulta che il medesimo sia connesso ai fondi derivanti dalle risorse vincolate, ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-
bis della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per la realizzazione di obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale.
  Del resto, appare evidente l'impatto negativo sulla situazione economico-finanziaria della regione siciliana che potrebbe derivare dall'eventuale perdita dei finanziamenti vincolati di cui all'accordo Stato-Regioni del 25 marzo 2009, con cui sono state previste risorse anche per le biobanche di sangue cordonale.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   MORONI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 1° agosto 1990 i responsabili politici di oltre 30 Paesi adottavano a Firenze la dichiarazione degli innocenti sulla protezione, promozione e sostegno dell'allattamento materno che prevedeva, esplicitamente l'istituzione di un Comitato nazionale multisettoriale per l'allattamento al seno;
   l'Italia ha sottoscritto la dichiarazione citata ed il Ministero della salute ha istituito il Comitato nazionale multisettoriale per l'allattamento materno con il decreto 15 aprile 2008, integrato successivamente per permettere la partecipazione di due membri del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   il Comitato, nelle intenzioni del legislatore, ha la funzione di proposta e di orientamento allo scopo di facilitare il buon funzionamento di una rete nazionale di protezione, promozione e sostegno all'allattamento materno;
   il Comitato ha durata triennale, si è insediato per la prima volta a febbraio del 2009, presso la direzione generale della sicurezza degli alimenti e della nutrizione, e scadrà ad aprile del 2012;
   i membri del Comitato sono indicati dall'articolo 2 dell'integrazione del decreto ministeriale 15 aprile 2008 e il rinnovo del Comitato dovrà avvenire attraverso un nuovo decreto ministeriale che potrà essere di semplice proroga o di rinnovo;
   il tema dell'allattamento al seno riguarda aspetti molto delicati legati alla protezione della salute del bambino e della mamma ma anche alla libertà di scelta della donna. Nel nostro Paese evidenziare l'esistenza di criticità per l'allattamento al seno è un tabù. Se una madre decide di non allattare viene additata come una cattiva madre. Ma, così, viene taciuto, colpevolmente, il dolore di allattamenti difficili, il dolore dei sensi di colpa, il dolore di dover rinunciare a scegliere la propria indipendenza –:
   se si intenda prorogare o rinnovare il presente Comitato in considerazione di una valutazione dell'operato del Comitato in questi 3 anni, dei costi ad esso collegato, della politica che il Ministero della salute intende perseguire non solo in difesa dell'allattamento al seno ma anche della libertà di scelta per la donna che si trova in condizioni fisiche o psicologiche o in contingenze lavorative che non permettono l'allattamento;
   se si intenda aprire il Comitato nazionale multisettoriale per l'allattamento materno anche a uno o più rappresentanti del dipartimento delle pari opportunità per dare corretta rappresentanza alla posizione della libertà di scelta per la donna;
   se si intenda aprire il Comitato nazionale multisettoriale per l'allattamento materno anche a uno o più rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico per rappresentare il mondo dell'industria e ottemperare in modo più equilibrato ad uno degli obiettivi del Comitato di vigilare sulla corretta applicazione del «Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno» comprensivo delle successive pertinenti risoluzioni dell'assemblea mondiale della sanità, nonché delle norme nazionali pertinenti. (4-15438)

  Risposta. — La promozione dell'allattamento materno è considerata da tempo una priorità di salute pubblica e, a tale riguardo, è stato istituito il «Comitato Nazionale Multisettoriale per l'Allattamento Materno».
  Il Comitato, per il quale è previsto il rinnovo, è altamente rappresentativo poiché prevede esponenti Unicef, Istituto superiore di sanità, società di pediatria, neonatologia e ginecologia, associazioni e federazioni di professionalità sanitarie, nonché incaricati di vari dicasteri come il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Dipartimento politiche per la famiglia.
  A tale riguardo si fa presente che, nell'ambito del rinnovo, è stata già inviata al Dipartimento delle pari opportunità, una richiesta di designazione di un proprio rappresentante.
  La mancata presenza di rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico nasce da attente valutazioni legate alle funzioni, particolarmente delicate e complesse, di proposta e orientamento sulla promozione dell'allattamento al seno, che esulano da logiche di tipo strettamente industriali.
  Lo stesso compito di vigilare sulla corretta applicazione del «Codice Internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno», rientra esclusivamente nella strategia di tutela dell'allattamento al seno, nell'intento di coniugare l'affermazione di princìpi di indipendenza e trasparenza del Comitato con l'adozione di comportamento corretti da parte dell'industria.
  In ogni caso, il Comitato ha già ritenuto utile coinvolgere direttamente le aziende produttrici di alimenti per l'infanzia (marzo 2012), organizzando un incontro per condividere alcuni punti prioritari del Codice internazionale con l'obiettivo di sensibilizzare ulteriormente il settore produttivo e promuovere un dialogo teso a facilitare comportamenti eticamente corretti da parte dell'industria, a garanzia dell'utente.
  Analogamente, nel caso in cui in futuro si presentassero problematiche da condividere con altri ministeri, sarà premura del Comitato invitare le istituzioni competenti, quali il Ministero dello sviluppo economico.
  In conclusione, si rappresenta che in linea con quanto previsto dalle «Linee di indirizzo nazionale sulla promozione, protezione e sostegno dell'allattamento al seno», l'azione del Comitato si esplica attraverso azioni di informazione e divulgazione, senza intervenire o tantomeno stigmatizzare le mamme che non desiderano allattare al seno. Pur riconoscendo l'allattamento al seno come diritto fondamentale dei bambini e delle mamme, nel caso in cui, dopo aver ricevuto un'informazione completa e corretta sull'alimentazione della prima infanzia, la mamma decida di alimentare artificialmente il proprio figlio, deve essere rispettata e ricevere tutto il sostegno necessario per mettere in pratica questa scelta nel miglior modo possibile.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   PALAGIANO e MESSINA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto della regione Sicilia, n. 22073 del 9 maggio 1997, viene istituita la banca del sangue cordonale di Sciacca;
   un successivo decreto regionale, il n. 30449 del 28 ottobre 1999, identifica il servizio di medicina trasfusionale degli ospedali civili riuniti di Sciacca quale centro di riferimento regionale per la Banca suddetta;
   nel 2008 – dopo un'interruzione dell'attività, durata circa due anni – la banca viene sottoposta ad un'ispezione del centro nazionale sangue (CNS) che richiede nove azioni correttive per poter inserire le unità di sangue cordonale nel registro internazionale e quindi renderle disponibili per il trapianto;
   nel 2009 la regione Sicilia finanzia due progetti (1.500.000 euro) finalizzati alla realizzazione delle azioni correttive suddette e alla ripresa dell'attività di raccolta, affidando temporaneamente la realizzazione di tali progetti al dottor P. Gallerano, in quanto dirigente facente funzione di primario dell'unità complessa (UOC) di medicina trasfusionale dalla quale dipendeva la banca del sangue cordonale;
   dal febbraio 2009 al giugno 2011, l'attività del personale di ruolo e del personale volontario è pressoché completamente incentrata sull'attività di raccolta – dalla ripresa delle attività al 31 dicembre 2010, la banca ha raccolto 3.333 unità cordonali da donatrici volontarie e 282 unità cordonali dedicate – e non sono state messe in campo azioni correttive;
   nel luglio 2011, il dottor Buscemi è nominato direttore della UOC di medicina trasfusionale e, di conseguenza, della banca del sangue cordonale a seguito di un concorso pubblico;
   nell'agosto/settembre 2011 vengono assunti con contratto annuale otto dirigenti biologi, gli stessi che svolgevano l'attività di volontariato nel periodo precedente;
   in meno di sette mesi di attività, per quanto risulta agli interroganti il dottor Buscemi, dopo un'accurata quanto rapida analisi dell'esistente, ha avviato le azioni correttive indicate dal centro nazionale sangue in modalità condivise con il Centro regionale sangue diretto dal dottor A. Mele, nominato peraltro commissario ad acta della banca del sangue cordonale (decreto regionale 2084 del settembre 2010);
   il 7 febbraio 2012 viene trasmesso un nuovo decreto regionale, n. 0198, che nell'articolo 3 punto 2, specifica che «ritenuto di dovere assicurare una continuità gestionale al progetto di qualificazione della Banca, il responsabile dei progetti finanziati da questo assessorato nell'anno 2009 viene identificato come responsabile della Banca cordonale di Sciacca ed opera in regime di autonomia gestionale e finanziaria al fine del raggiungimento degli obiettivi del presente decreto»;
   nelle motivazioni del decreto regionale succitato non si rilevano inadempienze nell'operato del dottor F. Buscemi che possano giustificare l'essere esautorato dalla direzione della banca del sangue cordonale; peraltro nei sette mesi di attività non vi è mai stata una contestazione, né è mai stata fatta un'ispezione per verificare l'attività del direttore;
   in questo modo, di fatto, Il dottor Buscemi, regolare vincitore di un concorso viene destituito della responsabilità di direttore di un importante centro sanitario regime, a favore del responsabile dei progetti finanziati dalla regione nel 2009 (dottor P. Gallerano), senza apparenti ragioni a parere degli interroganti;
   è bene ricordare che, secondo l'accordo della Conferenza Stato-regioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 113, 17 maggio 2011, nella parte relativa alle linee guida per l'accreditamento delle banche di sangue da cordone ombelicale, si legge che «la Banca, in coerenza con la legge 21 ottobre 2005 n. 219 e fatte salve le situazioni esistenti, è una articolazione organizzativa del servizio trasfusionale». Infatti, in Italia non esiste alcuna banca cordonale in regime di autonomia gestionale e finanziaria e tutte le 18 strutture operative in Italia fanno capo ad una unità di medicina trasfusionale e solo in pochi casi, per situazioni preesistenti al 2005, appartengono ad altre UO, ad esempio ematologia;
   sempre secondo lo stesso accordo Stato-regioni «il direttore del Servizio Trasfusionale, presso cui insiste la Banca fatte salve le situazioni di afferenza esistenti, sovrintende alle attività della Banca ed è responsabile della sua organizzazione complessiva». In tutte le banche cordonali italiane, il direttore dell'unità di medicina trasfusionale è, dunque, il direttore della banca tranne in quelle poche che afferiscono ad ematologia;
   nonostante in questi cinque anni non siano stati realizzati trapianti allogenici non consanguinei con le unità di sangue cordonale provenienti da Sciacca, la banca ha un costo di 600.000 euro l'anno relativo all'azoto liquido e di 180,000 euro per il trasporto. Tali costi, negli ultimi mesi, durante la gestione del dottor Buscemi, sono stati notevolmente ridimensionati;
   la regione Sicilia, nel 2010 ha stanziato altri due finanziamenti di 650.000 euro, e di 900.000 euro, che non sono stati ancora attivati dalla regione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti relativi alla banca del sangue cordonale di Sciacca, se ritenga proporzionati i costi della banca in relazione ai benefici che finora non sono emersi anche alla luce delle esigenze di razionalizzazioni della spesa sanitaria in Sicilia e quali iniziative di competenza ritenga di assumere anche in forza delle attribuzioni del Centro nazionale sangue. (4-15020)

  Risposta. — In merito alle problematiche relative all'assetto organizzativo della banca del sangue cordonale di Sciacca (Agrigento), oggetto dell'interrogazione parlamentare in esame, si precisa quanto segue.
  La banca di sangue cordonale di Sciacca fa parte della rete nazionale italiana delle banche di sangue cordonale (Italian cord blood network – Itcbn), istituita con decreto del Ministro della salute 18 novembre 2009.
  La rete è coordinata dal centro nazionale sangue (Cns), in sinergia con il centro nazionale trapianti (Cnt) per gli aspetti correlati al trapianto ematopoietico.
  La rete è attualmente formata da 19 banche operative, presenti in 13 regioni. Alle banche sono collegati circa 300 punti nascita sul territorio nazionale, dove è possibile effettuare la donazione di sangue cordonale.
  A completamento dell'assetto normativo relativo alla rete delle banche per la conservazione del sangue da cordone ombelicale, sono stati definiti i requisiti organizzativi, strutturali e tecnologici minimi per l'esercizio delle attività sanitarie delle banche, con l'accordo Stato-Regioni del 29 ottobre 2009, e definite le linee guida per l'accreditamento, con l'accordo Stato Regioni del 20 aprile 2011.
  In particolare, riguardo alla banca cordonale di Sciacca è necessario preliminarmente segnalare che, a seguito di pregresse vicende, la medesima è stata oggetto di provvedimenti, adottati dalla regione Sicilia, che hanno condotto alla sospensione della sua attività dal 2006 al 2008, a seguito di verifiche effettuate dalle autorità regionali e, congiuntamente, dal Cns e dal Cnt.
  Infatti, dall'esito delle visite ispettive è emersa: la necessità di apportare al sistema organizzativo della banca consistenti azioni correttive al fine di renderlo adeguato agli
standard vigenti e di consentire alla stessa di partecipare alla composizione dell'inventario nazionale delle unità di sangue cordonale; la necessità di operare una riqualificazione dell'inventario preesistente, composto da unità cordonali raccolte prima del 2006, in quanto patrimonio biologico di valenza nazionale.
  Pertanto, al fine di rimuovere le criticità segnalate, la regione Siciliana ha posto in atto una serie di azioni correttive (oggetto di specifici finanziamenti), volte alla riqualificazione complessiva della struttura e a verificare progressivamente, secondo criteri di costo-efficacia, la qualità, la sicurezza e la tracciabilità delle unità cordonali.
  L'attività della banca è ripresa nell'aprile del 2008.
  Nel frattempo, ai sensi dell'articolo 8 della legge regionale n. 5 del 2009, recante «Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale», l'azienda ospedaliera di Sciacca (nell'ambito della quale era allocato il servizio di medicina trasfusionale, quale centro di riferimento regionale per la banca di sangue cordonale), è stata soppressa per accorpamento nella neo istituita azienda sanitaria provinciale (Asp) di Agrigento (subentrata quindi nelle funzioni, attività e competenze dell’
ex azienda ospedaliera di Sciacca).
  Da quanto emerge dalla lettura delle premesse del decreto assessoniale n. 2084 del 2010, il direttore generale della Asp di Agrigento non ha posto in essere alcuna delle azioni correlate al piano delle azione correttive, individuate e finanziate «
ad hoc» dalla regione Siciliana, generando così costi ulteriori (altrimenti contenibili) e mettendo, fra l'altro, a repentaglio i fondi vincolati per il raggiungimento dell'obiettivo di carattere prioritario «biobanche di sangue cordonale», indicato al punto 5.1 dell'accordo Stato-Regioni del 25 marzo 2009, tramite il quale sono state assegnate (ed in buona parte già erogate) risorse vincolate ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-bis, della legge n. 662 del 1996, per il raggiungimento degli obiettivi di carattere prioritario contestualmente indicati.
  La banca cordonale di Sciacca è la struttura dedicata al perseguimento dell'obiettivo in questione, di rilevanza sia regionale che nazionale.
  I reiterati inadempimenti del direttore generale dell'Asp di Agrigento hanno indotto la regione, ai sensi dell'articolo 20 della citata legge regionale n. 5 del 2009, a nominare un commissario
ad acta, nella persona del direttore del centro regionale sangue, con il precipuo mandato di attuare il «progetto di riqualificazione della banca cordonale di Sciacca» (articolo 1 del decreto assessoriale n. 2084 del 2010).
  Viene altresì demandato al commissario
ad acta «il compito di assicurare la realizzazione degli obiettivi espressi nei progetti già finanziati e di porre in essere, in aderenza alle possibilità espresse nello studio di fattibilità richiesto, le procedure tecniche per il recupero, ove possibile, delle unità già bancate e rispondenti a requisiti, di qualità e sicurezza internazionalmente accettati» (articolo 2 del decreto assessoriale n. 2084 del 2010).
  Per consentire al commissario
ad acta di svolgere il compito assegnatogli, gli è attribuita la competenza a gestire le «risorse umane, strutturali, tecnologiche ed organizzative, anche attraverso l'acquisizione di beni e servizi, atte a garantire, a fronte del finanziamento erogato, il soddisfacimento degli obiettivi dei progetti finanziati» (articolo 3 del decreto assessoriale n. 2084 del 2010).
  Tenuto conto della peculiare situazione, anche organizzativa, in cui versava e versa tuttora la banca cordonale di Sciacca, con il successivo decreto assessoriale n. 0198 del 2012, l'assessore regionale per la salute, considerata l'esigenza di rendere conforme l'operatività della banca del sangue di Sciacca alle linee guida per l'accreditamento delle banche del sangue cordonale (delineate nell'accordo Stato-Regioni del 20 aprile 2011), all'articolo 3 (requisiti organizzativi), comma 2, espressamente prevede che: «Nelle more dell'emanazione di un successivo provvedimento di definizione del nuovo assetto organizzativo della BSC, che farà seguito alla valutazione positiva all'atto dell'ispezione da parte delle autorità nazionali competenti, ritenuto di dover assicurare una continuità gestionale al progetto di qualificazione della banca, il Responsabile dei progetti finanziati da questo Assessorato nell'anno 2009 viene identificato come Responsabile della Banca cordonale di Sciacca ed opera in regime di autonomia gestionale e finanziaria al fine del raggiungimento degli obiettivi del presente decreto».
  Tale decreto n. 0198 del 2012 è quindi un provvedimento transitorio, adottato nelle more della definizione dell'assetto organizzativo della banca ed in un contesto straordinario, quale quello che ha portato alla nomina di un commissario
ad acta per la riqualificazione della banca e la sua riconduzione entro gli standard ed i requisiti di qualità e sicurezza internazionalmente accettati.
  Dalla suddetta determinazione regionale che identifica, quale responsabile della banca, il responsabile dei progetti finalizzati alla riqualificazione della banca medesima, emerge, fra l'altro, l'esigenza della regione di assicurare, in un'ottica di «continuità», la realizzazione del progetto di riqualificazione della banca del sangue cordonale di Sciacca.
  Le iniziative assunte dalla regione Siciliana risultano tese, da un lato, a riconoscere la valenza sovra aziendale dell'attività svolta dalla banca e, dall'altro, ad implementare l'attività della banca stessa, onde evitare di perdere i finanziamenti statali.
  Pertanto, la determinazione della regione, nella parte in cui prevede, in attesa dell'emanando provvedimento di definizione del nuovo assetto organizzativo, che l'incarico di direttore del servizio trasfusionale sia momentaneamente distinto dall'incarico di direttore della banca, appare coerente con le azioni fin qui intraprese dalla medesima regione che, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, ha ritenuto necessario affidare, con il decreto assessoniale n. 2084 del 2010, al responsabile del centro regionale sangue, l'incarico finalizzato a garantire che il processo di riqualificazione della banca fosse portato a termine e, quindi, con il successivo decreto assessoriale n. 0198 del 2012, ha affidato in via transitoria al medesimo responsabile del centro regionale sangue, anche la responsabilità della Banca, attribuendogli l'autonomia gestionale e finanziaria necessaria al raggiungimento degli obiettivi indicati dalla stessa regione.
  Il provvedimento è finalizzato a rendere conforme l'operatività della banca di Sciacca alle linee guida per l'accreditamento delle banche di sangue cordonale, implementando le opportune azione correttive.
  Per quanto attiene all'aspetto relativo al finanziamento dei progetti, nel decreto assessoriale n. 2084 del 2010 risulta che il medesimo sia connesso ai fondi derivanti dalle risorse vincolate, ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-
bis della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per la realizzazione di obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale.
  Del resto, appare evidente l'impatto negativo sulla situazione economico-finanziaria della regione Siciliana che potrebbe derivare dall'eventuale perdita dei finanziamenti vincolati di cui all'Accordo Stato-Regioni del 25 marzo 2009, con cui sono state previste risorse anche per le biobanche di sangue cordonale.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   PICCOLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'acufene è una patologia molto problematica, ingiustamente trascurata, che procura grossi problemi a chi ne è affetto: si tratta di una sensazione uditiva, un sibilo continuo e costante, un disturbo costituito da rumori (forme di fischi, ronzii, soffi o pulsazioni) che si originano all'interno dell'orecchio ma sono percepiti nella testa come fastidiosi suoni provenienti dall'ambiente esterno, provocando un grave e doloroso disagio;
   la predetta patologia, spesso, viene liquidata semplicisticamente ed incautamente come «un disturbo molto fastidioso» ma, in fin dei conti, sopportabile e, comunque, non tale da meritare un'adeguata e seria considerazione in campo sanitario;
   trattasi, invece, di una vera e propria malattia invalidante, che crea uno stato di acuta sofferenza fisica ed emotiva, coinvolgendo l'equilibrio psicologico del malato, la sua vita di relazione, il ritmo sonno-veglia, le attitudini lavorative, il livello di concentrazione e inducendo o accrescendo stati ansioso-depressivi, che si ripercuotono pesantemente sulla qualità della vita;
   l'Associazione italiana tinnitus-acufene-Ait Onlus da tempo si batte per la tutela dei diritti delle persone affette dall'acufene, nonché per la promozione della conoscenza di questa malattia presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica;
   in assenza di altri riferimenti, detta associazione, che conta alcune centinaia di aderenti, è diventata il solo interlocutore di una vasta platea di cittadini che richiedono insistentemente informazioni circa le strutture di cura specializzate, a conferma che la patologia è molto diffusa e preoccupa non poco la popolazione;
   ad oggi, in Italia, tale malattia non è ancora sufficientemente conosciuta, né adeguatamente approfondita in campo medico-sanitario, nonostante molteplici ricognizioni abbiano segnalato l'esistenza di oltre cinque milioni di persone affette da forme di acufene;
   reiterati appelli sono stati inoltrati ai parlamentari ed alle istituzioni competenti da parte della suddetta Associazione e da numerosi cittadini che sollecitano, con forza, iniziative ed interventi da parte delle autorità sanitarie per affrontare efficacemente il problema –:
   se il Ministero interrogato disponga di adeguate informazioni sull'entità e sulla valutazione degli effetti dell'anzidetta patologia, nonché sulla quantità dei casi accertati;
   se non ritenga di assumere idonee iniziative per incrementare gli studi e la ricerca scientifica su tale malattia al fine di definire un idoneo protocollo terapeutico e di riconoscere l'acufene come malattia fortemente invalidante. (4-15315)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico che consiste in disturbi, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altri rumori, percepiti in una o in entrambe le orecchie.
  L'acufene può incidere pesantemente sulla qualità della vita di chi ne soffre, soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente.
  La ricerca clinica ha dimostrato come, in una percentuale elevata dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia è parte integrante.
  Nella maggior parte dei casi, l'eziologia non è chiara. Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di «
neuroimaging», che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione delle cause della patologia. Inoltre, approcci sofisticati, quali la stimolazione magnetica transcranica, si stanno dimostrando potenzialmente efficaci nel ridurre la sintomatologia dell'acufene, il quale è un problema otologico assai frequente.
  In base a studi condotti negli ultimi 10 anni in Germania, presso l'istituto tedesco per la ricerca e la cura dell'acufene, nel Regno Unito, presso l'università di Aberdeen, e in altre nazioni europee, mediamente circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente ne ha sofferto almeno una volta nella vita. Studi condotti in Italia dimostrerebbero (soprattutto per alcune realtà regionali per le quali sono disponibili dati relativamente recenti), come nel nostro Paese la prevalenza di questo disturbo sia analoga a quella europea.
  Sulla base di un attento studio dello stato delle conoscenze ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura scientifica disponibile e a seguito della disamina delle scoperte più recenti, si potrà valutare quali opportune iniziative adottare per gestire, da un lato, i problemi sanitari legati all'acufene e, dall'altro, la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'Istituto superiore di sanità, al fine di promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Per quanto riguarda la promozione di studi e ricerche concernenti la patologia dell'acufene, per consentire di migliorare l'approccio terapeutico e, quindi, migliorare la qualità della vita delle numerose persone colpite, si precisa che il finanziamento della ricerca finalizzata non comporta la preindividuazione, da parte del Ministero della salute di progetti di ricerca specifici, che sarà cura degli enti finanziati sviluppare.
  Tali enti (Irccs, regioni, Izs, Iss, eccetera), o i ricercatori, che a tali enti si affiliano, presentano progetti di loro interesse che vengono finanziati sulla esclusiva base di criteri meritocratici: i progetti, infatti, sono sottoposti al vaglio di
referee anonimi (e stranieri) nel numero di tre (per ogni progetto), e solo i progetti migliori potranno accedere al finanziamento ministeriale.
  Se in Italia, quindi, sono presenti ricercatori interessati ad approfondire le tematiche e le implicazioni legate all'acufene, essi possono presentare, al momento della pubblicazione del bando di ricerca finalizzata, idonei progetti finalizzati: e tali progetti, qualora ottengano un adeguato punteggio dal sistema di valutazione previsto dal bando e dimostrino di avere ricadute non trascurabili sul Sistema sanitario nazionale, saranno sicuramente finanziati.
  È opportuno precisare che il piano nazionale di prevenzione per gli anni 2010-2012 (intesa fra Governo, regioni e province autonome del 29 aprile 2010), prevede un capitolo specifico sulla prevenzione dell'ipoacusia e della sordità.
  Nel gennaio 2011 si è costituito, presso la direzione generale della prevenzione del Ministero della salute, un tavolo di lavoro in materia, con rappresentanti delle società scientifiche e delle regioni.
  Detto tavolo ha il compito, nell'ottica di un piano articolato di specifiche azioni, di supportare le regioni nei loro programmi di prevenzione in materia di ipoacusia e sordità.
  È prevista anche la stesura di un documento, da presentare in sede di Conferenza Stato-Regioni, che comprenda sia «Linee di indirizzo sugli
screening audiologici in differenti età target» sia «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, in materia di prevenzione dell'ipoacusia e della sordità».
  Ad oggi, i lavori del tavolo hanno consentito la stesura delle «Linee di indirizzo per lo
screening neonatale uditivo».
  Il tavolo per finalizzare gli obiettivi deve ora definire le «Linee di indirizzo di prevenzione ipoacusia e sordità nell'adulto e nell'anziano» e il «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta».
  Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria e terapeutica nel caso di acufene, si segnala che i pazienti che accusano tale disturbo possono rivolgersi alle strutture del Servizio sanitario nazionale per usufruire delle prestazioni garantite dai livelli essenziali di assistenza (Lea) e vengono tutelati dalle disposizioni vigenti in materia di assenza per malattia dai luoghi di lavoro.
  Al riguardo, si precisa che per la patologia «
tinnitus», codice di malattia Icd9cm 388.3, in base ai dati delle schede di dismissione ospedaliera, risulta che nel 2010 sono stati trattati 2.350 pazienti in strutture di ricovero distribuite su tutto il territorio nazionale.
  Infatti, diversi enti universitari o ospedalieri hanno acquisito speciali competenze in materia.
  Inoltre, la maggior parte delle patologie che determinano gli acufeni sono individuate fra le condizioni di malattia croniche ed invalidanti, ai sensi del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329, e successive modifiche, per le quali è prevista l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
  Gli acufeni come tali non sono previsti fra le condizioni di malattia croniche e invalidanti, in quanto non rispondono a tutti i criteri previsti dal decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, quali la gravità clinica, il grado di invalidità e onerosità dalla quota di partecipazione derivante dal costo delle prestazioni utili al medico per effettuare un corretto
follow up della malattia.
  Per quanto riguarda, in particolare, lo sviluppo di campagne di prevenzione e sensibilizzazione concernenti l'acufene, si segnala che è attualmente in fase di definizione il Programma delle iniziative di comunicazione per l'anno 2012, che saranno realizzate dal Ministero della salute: in tale contesto verrà valutata l'opportunità di inserire la problematica in esame nell'ambito dei piani da sviluppare.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   SBAI, DI VIRGILIO, MINASSO, BECCALOSSI, CORSARO, SAGLIA, VALDUCCI, GELMINI, SAMMARCO, BACCINI, TOCCAFONDI, PORCINO, BRUNETTA, MELONI, MARSILIO, CANNELLA, DE NICHILO RIZZOLI, RAISI, MAZZOCCHI, CONTENTO, CASSINELLI, TORRISI, PIANETTA, LAZZARI, DIMA, GARAGNANI, LAFFRANCO, SISTO, BERNINI BOVICELLI, CALABRIA, BRUNO, CALDERISI, PRESTIGIACOMO, SALTAMARTINI, DI CENTA, DISTASO, TESTONI, BIANCOFIORE, FRATTINI, FAENZI, GOTTARDO, PELINO, BELLOTTI, GOLFO, LANDOLFI, VIGNALI, PILI, CENTEMERO, RENATO FARINA, LORENZIN, ROSSO, GALLI, BERARDI, RAZZI, ANTONIO PEPE, GIRO, DELFINO, BERRUTI, LO MORO, MANTOVANO, NICOLUCCI, MOLES, ORSINI, PESCANTE, ZAMPA, RAMPELLI, MENIA, PATARINO, TORTOLI, MORONI, PICCHI, BRIGUGLIO, GAROFALO, GIORGIO CONTE, CESA, CARLUCCI, RUGGERI, NUNZIO FRANCESCO TESTA, CAPITANIO SANTOLINI, LAINATI, BINETTI, OCCHIUTO, GALATI, PAGANO, DE CAMILLIS, LUPI, ROCCELLA, TORAZZI, BUONFIGLIO, LEHNER, ZAMPARUTTI, MILANESE, DEL TENNO, CATANOSO, LUNARDI, GIRLANDA, CROLLA, FRASSINETTI, DE CORATO, MURGIA, MINARDO, MAZZUCA, TOMMASO FOTI, GHIGLIA, CECCACCI RUBINO, MAZZONI, IANNACCONE, PALMIERI, GRANATA, DI BIAGIO, HOLZMANN, PROIETTI COSIMI, RIVOLTA, NEGRO, VANALLI, BOCCIA, OLIVERI, BERTOLINI, GIAMMANCO, CERONI, ALBINI, BERGAMINI, NIRENSTEIN e CICCIOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'infibulazione è pratica che nulla ha a che vedere né con l'Islam né con nessun altra religione;
   è una pratica barbara, estremista, abominevole, che causa la menomazione a vita di chi la subisce, oltre che rischi gravissimi per la salute, a volte anche la perdita della vita per infezioni o eccessiva perdita di sangue;
   l'infibulazione è reato in Italia ai sensi della legge 9 gennaio 2006, n. 7 (Consolo) che prevede la reclusione da 4 a 12 anni: pena aumentata di un terzo se la mutilazione viene compiuta su una minorenne, nonché in tutti i casi in cui viene eseguita per fini di lucro;
   il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero si ferma laddove esso propugni atti o fatti contrari a beni costituzionalmente tutelati, come lo è il diritto alla propria integrità fisica e morale (articolo 13 della Costituzione);
   il 15 giugno 2012 risulta essere prevista ad Albenga (Savona), una manifestazione di piazza a sostegno della famiglia;
   la manifestazione, organizzata dalla comunità islamica di Albenga in questo caso rappresentata dal signor Gamal Raslan, deriva dalla sospensione della patria potestà di due cittadini egiziani fermati dalle forze dell'ordine alcuni giorni fa, colti nel tentativo di portare la propria figlia in Egitto, per far praticare sulla stessa la pratica dell'infibulazione –:
   di quali elementi disponga il Governo, per i profili di propria competenza, sulla manifestazione di cui in premessa, che di fatto si svolge, a parere degli interroganti, per promuovere una violazione dei diritti umani;
   se sussistano i presupposti per vietarne lo svolgimento. (4-16606)

  Risposta. — Il problema della cosiddetta «infibulazione» segnalato dall'interrogante tocca aspetti che attengono alla tutela dei diritti umani per i quali l'Amministrazione dell'interno ha esercitato, unitamente ad altri organi di Governo, azioni di prevenzione e contrasto oltre che di informazione e sensibilizzazione.
  Ciò premesso, da diversi anni l'Amministrazione dell'interno, ai sensi dell'articolo 5, della legge 9 gennaio 2006, n. 7, recante «Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile» ha attivato un numero verde per la ricezione delle segnalazioni riguardanti l'effettuazione, sul territorio italiano, delle pratiche di cui all'articolo 583-
bis del Codice Penale.
  Tale utenza di pubblica utilità fornisce informazioni sulle organizzazioni di volontariato e sulle strutture sanitarie che operano presso le comunità di immigrati provenienti dai paesi dove sono effettuate tali pratiche.
  La gestione del numero verde è affidata al servizio centrale operativo della Polizia di Stato (sco), con l'ausilio di personale specializzato che assicura assistenza e tempestiva comunicazione delle eventuali notizie di reato alle squadre mobili competenti per territorio.
  Per quanto concerne più in generale episodi di violenza, abuso e vessazione di cui le donne, incluse quelle islamiche, possono essere vittime, la direzione centrale della Polizia di prevenzione monitora le diverse realtà associative islamiche presenti sul territorio nazionale attraverso le proprie articolazioni periferiche che, in presenza di reati, avviano le relative indagini d'intesa con le competenti Autorità giudiziarie.
  Si rappresenta, inoltre, che nell'ambito delle iniziative dedicate alle problematiche in oggetto, il 3 luglio 2009, l'Amministrazione dell'interno unitamente a quella delle pari opportunità hanno siglato un protocollo d'intesa al fine di rendere più efficace l'azione di prevenzione e contrasto di tutte le forme di violenza nei confronti delle donne.
  L'accordo, di durata triennale, stipulato anche in vista del futuro Piano d'azione nazionale
ad hoc, si basa per lo più su due punti fondamentali:
   sviluppo di iniziative volte a ottimizzare il servizio di pubblica utilità antiviolenza 1522», esteso anche alla nuova fattispecie penale degli atti persecutori con la realizzazione di un raccordo tra il
call center e le Forze di polizia;
   specifica formazione del personale delle Forze di polizia per uniformare le linee di comportamento nel rapporto con le vittime di violenza.

  Per quanto riguarda il caso specifico segnalato dall'interrogante si precisa che, il 13 giugno 2012, la Polizia municipale di Albenga (Savona) ha dato esecuzione all'ordinanza del Tribunale dei minori di Genova con la quale i figli minori del cittadino egiziano cui fa riferimento l'interrogante sono stati affidati – in via provvisoria ed urgente – al comune di Albenga per il collocamento in idonea struttura, con il divieto di riconsegnarli ai genitori senza preventiva autorizzazione e con contestuale sospensione del diritto di visita dei genitori in attesa di ulteriori approfonditi accertamenti.
  Il tribunale ha adottato questo tipo di provvedimento in quanto ha riscontrato una situazione familiare inadeguata a garantire ai minori il soddisfacimento dei bisogni primari, sottolineando inoltre il rischio che la figlia Saher Gamal Ibrahim venisse portata in Egitto per essere sottoposta ad un'operazione di infibulazione, risultanza che sarebbe emersa dalla segnalazione posta in atto dall'istituto scolastico frequentato dalla ragazza egiziana.
  In relazione alla vicenda descritta non risultano, comunque essere stati effettuati arresti di cittadini egiziani.
  Infine, per quanto riguarda l'intenzione espressa dalla comunità islamica di Albenga di indire una manifestazione di solidarietà per il 15 giugno 2012 volta a sostenere pacificamente i diritti del genitore in questione, si fa presente che il giorno precedente (14 giugno) lo stesso genitore comunicava al sindaco di Albenga la revoca dell'iniziativa.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   TOTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (I.N.P.D.A.P.) concede, su domanda e previa verifica di requisiti, agli iscritti alla «gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociale» istituita presso di esso, mutui ipotecari destinati all'acquisto di unità abitative da adibire a prima casa;
   i princìpi, le modalità e le condizioni praticate dall'Istituto per l'erogazione e l'ammortamento dei mutui ipotecari edilizi sono stabiliti in apposito regolamento, approvato dall'Istituto medesimo, la cui attuale versione vige dal 1° ottobre 2011;
   l'articolo 26, comma 1, di detto regolamento, stabilisce che il mutuatario deve acquisire, entro dodici mesi dalla di stipula del contratto, la residenza presso l'unità abitativa oggetto del finanziamento, pena la risoluzione del contratto medesimo; il successivo comma 3 pone in obbligo al mutuatario di mantenervi la residenza per cinque anni, fatte salve talune ipotesi esimenti, mentre l'ulteriore comma 4 dispone che il personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate ad ordinamento militare e quello di appartenenza alle Forze di polizia a ordinamento militare e civile non ha l'obbligo di acquisire la residenza presso l'unità abitativa oggetto del finanziamento; il comma 5, l'ultimo, statuisce, infine, che il mutuatario non può cedere in locazione o in comodato l'unità abitativa per un periodo di cinque anni dalla data di acquisizione della residenza, pena la risoluzione del contratto di mutuo;
   circa l'applicabilità anche al personale appartenente alle Forze armate a ordinamento militare e a quello di appartenenza alle Forze di polizia a ordinamento militare e civile del divieto di cessione in locazione o in comodato dell'immobile di cui si tratta, permangono, anche da parte di uffici dell'Istituto, come è sembrato di riscontrare, dopo il loro interpello, per le vie brevi, da parte di soggetti interessati, incertezze e dubbi sciolti da talune fonti interne all'Istituto, nell'irresolutezza, per via analogica; precisamente, non si esclude dal divieto di cessione in locazione o comodato i soggetti già non obbligati all'acquisizione della residenza, sul semplice assunto dell'assenza di un'espressa esenzione da quello stesso divieto, «analogamente» all'espressa esclusione dall'obbligo di acquisizione della residenza della categoria di personale alla quale è riservata;
   invero, così opinando, si desume una prescrizione inibitoria per il personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate ad ordinamento militare e quello di appartenenza alle Forze di polizia a ordinamento militare e civile che urta non solo con un criterio logico-letterale applicato alle disposizioni regolamentari in argomento ma anche con le evidenze emergenti da un superficiale approccio interpretativo sistematico dell'articolo 26 del citato regolamento;
   la circostanza conferma, preliminarmente, ancora una volta, quello che all'interrogante appare un deplorevole costume, dal quale traspare un'avvilente imperizia o, alternativamente supponendo, una disarmante sciatteria professionale nella confezione a giudizio dell'interrogante infelice, lacunosa, inadeguata e dequalificata di enunciati normativi e, comunque, di testi, nel caso di specie, regolamentari, le cui carenze costituiscono un rilevante problema non solo amministrativo ma, ormai, anche sociale, economico ed etico, per le implicazioni di ogni ordine ad esse conseguenti. Costituiscono, altresì, ad avviso dell'interrogante, la rappresentazione del preoccupante, sconsiderato e vieppiù irreparabile fallimento sostanziale dei vani tentativi sortiti sin dall'epoca della trasmissione al Parlamento del rapporto del Ministro per la funzione pubblica Massimo Severo Giannini, nel novembre 1979, in dipendenza del quale fu anche istituita la cosiddetta Commissione Barettoni Arleri, «Commissione di studio per la semplificazione delle procedure e la fattibilità e l'applicabilità delle leggi nonché l'approntamento dei conseguenti schemi normativi», elettivamente vocata ad approfondire, dunque, anche l'aspetto della «fattibilità» delle normative, in quanto un enunciato non intelligibile o scarsamente intelligibile costituisce un fattore di non «fattibilità»; la puntualità di tale iniziativa risiedeva nella banale considerazione della necessità di norme «concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e della intelligibilità dei termini impiegati, a garanzia della persona e della sua libertà»; infatti, a chiunque dovrebbe essere chiaro o agevolmente verificabile, in ogni momento, cosa gli è consentito e cosa gli è vietato e, per questo, sono decisivi testi legislativi, normativi, regolamentari, «precisi, chiari, contenenti direttive riconoscibili di comportamento»;
   il punto controverso evidenziato nel regolamento qui considerato è quello dell'eventuale divieto di cessione in locazione o in comodato, per il personale militare, e anche civile, se appartenente alle Forze di polizia, che, in realtà, non si evince dalla portata letterale del combinato disposto dei commi 1, 4 e 5; infatti, mentre è già letteralmente chiaro che detto personale non ha l'obbligo di «acquisire la residenza» presso l'unità abitativa oggetto del finanziamento, non altrettanto parrebbe esserlo l'esclusione dal divieto di locare o di cedere in comodato l'immobile che, pure, si appalesa, da un lato, coerente con l'esclusione dall'obbligo di «acquisire la residenza» e, dall'altro lato, conferente sul piano teleologico perché non si comprenderebbe la ratio di un'inibizione per soggetti che, notoriamente, possono essere trasferiti pure d'ufficio a una sede di lavoro ubicata in altra provincia o all'estero, determinando, in tal modo, un illogico pregiudizio sul bene che verrebbe, di fatto, posto in stato di «abbandono» per un periodo anche pluriennale, profilandosi per esso il rischio di degrado, com’è intuitivo; senza considerare, infine, che il supposto divieto opererebbe persino in danno dell'erario, posto che, sul corrispettivo della locazione, il locatore, verosimilmente, andrebbe a corrispondere un conguaglio di imposta sul reddito delle persone fisiche. Inoltre, se si accedesse alla tesi inibitoria, si aprirebbe la questione della individuazione, per il personale di cui si tratta, del termine di decorrenza del divieto di locazione o di comodato dell'immobile per il periodo di cinque anni che, per la generalità dei mutuatari, è fissato sotto la data di «acquisizione della residenza» dal cui obbligo, giustappunto, il personale considerato è, invece, escluso –:
   se il Ministro non ritenga di dover impartire all'ente vigilato raccomandazioni o direttive per assicurare la chiara e corretta formulazione dei testi normativi o regolamentari di cui abbia competenza che corrisponde a elementari princìpi di certezza del diritto;
   se, alla stregua di un'autorevole interpretazione del combinato disposto dei commi 1, 4 e 5 del citato regolamento dell'I.N.P.D.A.P., il Ministro sia in grado di confermare che per il personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate ad ordinamento militare e quello di appartenenza alle Forze di polizia a ordinamento militare e civile, escluso dall'obbligo di acquisire la residenza nell'unità abitativa oggetto del finanziamento, non operi il divieto, stabilito nell'articolo 26, comma 5, del richiamato regolamento, di cedere in locazione o in comodato l'unità abitativa oggetto del finanziamento e che, pertanto, esso ne abbia facoltà. (4-14375)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame concerne l'applicabilità dell'articolo 26, comma 5, del «Regolamento per l'erogazione dei mutui ipotecari edilizi agli iscritti alla Gestione Unitaria delle prestazioni creditizie e sociali» istituita presso l'Inpdap, ora Inps, al personale in servizio permanente appartenente alle Forze Armate ad ordinamento militare e a quello appartenente alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e civile.
  L'articolo 26 del Regolamento in questione prevede, al comma 1, l'obbligo per il mutuatario di acquisire, entro 12 mesi dalla data di stipula del contratto, la residenza presso l'unità abitativa oggetto del finanziamento e di darne prova all'istituto erogatore.
  Il comma 2 del medesimo articolo impone, inoltre, al mutuatario, pena la risoluzione del contratto, l'obbligo di comunicare all'istituto, nel termine di 30 giorni, ogni variazione di residenza o di domicilio eletto.
  Il comma 3 dispone in capo al mutuatario anche l'obbligo di mantenere la residenza presso l'unità abitativa oggetto di mutuo per cinque anni, salvo che il mutuo sia stato anticipatamente estinto e salvo che il mutuatario sia stato trasferito d'ufficio in una sede di lavoro ubicata in altra provincia.
  Tali disposizioni, quindi, nel loro complesso riguardano la residenza che il mutuatario deve acquisire e mantenere per un certo periodo di tempo presso l'immobile oggetto di finanziamento con l'obbligo di comunicare all'istituto ogni variazione in proposito.
  In deroga ai commi precedenti, il comma 4 prevede che il personale in servizio permanente delle Forze Armate ad ordinamento militare e quello appartenente alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e civile, in considerazione della particolarità dell'attività svolta, sia svincolato dagli obblighi relativi alla residenza.
  Il personale in questione non è, infatti, obbligato a risiedere presso l'unità abitativa il cui acquisto è stato finanziato tramite il mutuo e di conseguenza è esentato anche dagli obblighi di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 26 ovvero dall'obbligo di comunicare le variazioni di residenza o domicilio e di mantenere la residenza per cinque anni presso la stessa unità abitativa.
  Il testo dell'articolo 26 è, quindi, chiaro nella sua formulazione essendo la deroga di cui al comma 4 espressamente riferita esclusivamente «a quanto stabilito nei commi precedenti» e cioè nei commi 1, 2 e 3.
  Diversa e distinta è, invece, la disposizione di cui al comma 5 del medesimo articolo 26 che non ammette deroghe e concerne il divieto per il mutuatario di cedere in locazione o in comodato l'unità abitativa per un periodo di cinque anni dalla data di acquisizione della residenza, pena la risoluzione del contratto di mutuo.
  Tutto ciò posto, occorre evidenziare che l'erogazione di mutui ipotecari da parte della gestione unitaria autonoma istituita presso l’
ex-Inpdap risponde all'esigenza di consentire agli iscritti e alle loro famiglie di acquistare la prima casa, obiettivo che per molti iscritti non sarebbe realizzabile facendo ricorso al mercato finanziario.
  Infatti, si ricorda che la concessione di mutui da parte dell’
ex-Inpdap ha una funzione eminentemente sociale, consistente nel permettere agli iscritti l'accesso alla proprietà della casa di abitazione, obiettivo che viene perseguito tramite tassi di interesse fortemente agevolati.
  In quest'ottica, si comprende come il divieto di cedere in locazione o in comodato per un determinato periodo di tempo la prima casa è strettamente collegato alle finalità per le quali il mutuo viene concesso.
  L'istituto previdenziale ha, inoltre, evidenziato come i regolamenti per l'erogazione dei mutui ipotecari da parte della gestione unitaria hanno sempre previsto, fin dalla loro prima emanazione nel 2001, il divieto di locazione per un determinato periodo di tempo, mentre è solo a decorrere dal 1o luglio 2010 che è stata inserita, nel testo regolamentare, una deroga per quanto attiene all'acquisizione della residenza da parte del personale in servizio permanente delle forze armate e delle forze di polizia.
  In virtù dell'autonomia riconosciuta alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali dal Regolamento istitutivo della stessa (decreto interministeriale 28 luglio 1998, n. 463), l'istituto previdenziale ha ritenuto che la deroga in favore del suddetto personale dovesse riguardare soltanto gli obblighi connessi alla residenza e non anche il divieto di locare o concedere in comodato l'immobile.
  Ciò sul presupposto che il personale in parola, sebbene debba, per motivi attinenti all'attività svolta, risiedere in luoghi diversi, nel momento in cui presenta domanda di concessione del mutuo per l'acquisto della prima casa, mostra di voler eleggere tale abitazione quale centro principale dei propri interessi.
  A voler ritenere diversamente, il personale in questione, già all'indomani della concessione del mutuo, potrebbe, locando l'immobile, beneficiare di un canone di locazione in deroga a quanto consentito alla generalità degli altri iscritti alla gestione unitaria, a cui non è consentito locare l'immobile neanche nell'ipotesi in cui siano costretti a vivere vicende analoghe come nel caso di trasferimenti d'ufficio ad altra sede di lavoro, mobilità o altro.
  Quanto, poi, alla questione sollevata dall'interrogante circa la decorrenza del termine di cinque anni del divieto di locazione, che il comma 5 fissa nella data di acquisizione della residenza, si ritiene che per il personale in questione, esentato dall'obbligo della residenza, il termine decorra dalla data di stipula del contratto di mutuo e cioè dalla data in cui si beneficia del finanziamento agevolato.
  In conclusione, si ritiene che principi di equità e di parità di trattamento, oltre che il dato letterale dell'articolo 26, non consentono di escludere dall'applicazione del comma 5 dell'articolo 26 del Regolamento per l'erogazione dei mutui ipotecari edilizi il personale in servizio permanente appartenente alle Forze Armate ad ordinamento militare e quello appartenente alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e civile, per cui anche nei confronti di tale personale opera il divieto di locare e concedere in comodato l'immobile per cinque anni.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiCecilia Guerra.


   TOTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tra le patologie di cui si riscontra, con crescente espansione, una incidenza sempre maggiore e delle quali, tuttavia, non si ha proporzionata eco sui mezzi di comunicazione e, in generale, negli interventi anche volti a sensibilizzare istituzioni od opinione pubblica su malattie e problemi legati alla salute dell'individuo, si annovera quella denominata acufene;
   la sintomatologia di detta patologia consiste in una sensazione uditiva, in indistinti e persistenti rumori, in un suono continuo e costante percepito in uno o in entrambi gli orecchi o nella testa;
   la patologia acufenica non è riducibile a un «fastidioso disturbo», com’è nel convincimento superficiale e banalizzante di molti, trattandosi di una vera e propria malattia invalidante che colpisce, secondo stime attendibili, circa il dieci per cento della popolazione, dunque, milioni di individui;
   il profilo invalidante della patologia è riconducibile alla complessa e variegata fenomenologia che accompagna la sua manifestazione, giacché lo stillicidio dei rumori e suoni, anche multipli, percepiti negli orecchi nella testa provocano un vulnus grave all'equilibrio psicologico ed emozionale di un soggetto, al ritmo sonno-veglia, al livello dell'attenzione e della concentrazione, al normale svolgimento della vita di relazione, talché si genera, sovente, uno stato depressivo con esiti anche drammatici, con la morte per suicidio del paziente –:
   se il Ministro considerato che l'acufene è una malattia grave sul piano sanitario e rilevante su quello sociale e non ritenga di dover attivare ogni forma utile di osservazione epidemiologica che rilevi l'incidenza effettiva della patologia acufenica nella popolazione italiana;
   se il Ministro, una volta esperiti gli opportuni accertamenti e indagini e sulla scorta della loro positiva evidenza, non ritenesse di adottare provvedimenti e direttive volte a implementare ricerche e studi preziosi per la definizione di protocolli diagnostici e terapeutici relativi alla patologia acufenica e istruzioni atte a sensibilizzare l'articolata realtà del servizio sanitario nazionale, nelle sue componenti coinvolgibili, perché siano assunte le pratiche adeguate e le iniziative suscettibili di concorrere utilmente alla prevenzione della malattia e al contrasto di ogni potenziale o accertato fattore eziologico della medesima. (4-15217)

  Risposta. — L'acufene è un problema otologico che consiste in disturbi, sotto forma di fischi, ronzii, fruscii o altri rumori, percepiti in una o in entrambe le orecchie.
  L'acufene può incidere pesantemente sulla qualità della vita di chi ne soffre, soprattutto a livello psicologico, arrivando, nei casi più gravi, a compromettere seriamente il benessere del paziente.
  La ricerca clinica ha dimostrato come, in una percentuale elevata dei casi, questo disturbo debba essere affrontato mediante una strategia terapeutica di cui la psicoterapia è parte integrante.
  Nella maggior parte dei casi, l'eziologia non è chiara. Tuttavia, nuove tecniche e metodi di ricerca, come le tecniche di «
neuroimaging», che permettono di osservare l'attivazione delle aree del cervello deputate all'elaborazione dei segnali acustici, sembrano promettere importanti passi avanti per la comprensione delle cause della patologia. Inoltre, approcci sofisticati, quali la stimolazione magnetica transcranica, si stanno dimostrando potenzialmente efficaci nel ridurre la sintomatologia dell'acufene, il quale è un problema otologico assai frequente.
  In base a studi condotti negli ultimi 10 anni in Germania, presso l'istituto tedesco per la ricerca e la cura dell'acufene, nel Regno Unito, presso l'università di Aberdeen, e in altre nazioni europee, mediamente circa il 10-20 per cento della popolazione del nostro continente ne ha sofferto almeno una volta nella vita. Studi condotti in Italia dimostrerebbero (soprattutto per alcune realtà regionali per le quali sono disponibili dati relativamente recenti), come nel nostro Paese la prevalenza di questo disturbo sia analoga a quella Europea.
  Sulla base di un attento studio dello stato delle conoscenze ottenute tramite la revisione sistematica della letteratura scientifica disponibile e a seguito della disamina delle scoperte più recenti, si potrà valutare quali opportune iniziative adottare per gestire, da un lato, i problemi sanitari legati all'acufene e, dall'altro, la necessità di sviluppare ulteriormente la ricerca mirata alla comprensione delle basi fisiopatologiche del disturbo. Potranno anche essere messe a disposizione della comunità scientifica le competenze esistenti presso l'Istituto superiore di sanità, al fine di promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche relative all'acufene presso istituzioni, centri di ricerca e opinione pubblica.
  Per quanto riguarda la promozione di studi e ricerche concernenti la patologia dell'acufene, per consentire di migliorare l'approccio terapeutico e, quindi, migliorare la qualità della vita delle numerose persone colpite, si precisa che il finanziamento della ricerca finalizzata non comporta la preindividuazione, da parte del Ministero della salute di progetti di ricerca specifici, che sarà cura degli enti finanziati sviluppare.
  Tali enti (Irccs, regioni, Izs, Iss, eccetera) o i ricercatori, che a tali enti si affiliano, presentano progetti di loro interesse che vengono finanziati sulla esclusiva base di criteri meritocratici: i progetti, infatti, sono sottoposti al vaglio di
referee anonimi (e stranieri) nel numero di tre (per ogni progetto), e solo i progetti migliori potranno accedere al finanziamento ministeriale.
  Se in Italia, quindi, sono presenti ricercatori interessati ad approfondire le tematiche e le implicazioni legate all'acufene, essi possono presentare, al momento della pubblicazione del bando di ricerca finalizzata, idonei progetti finalizzati: e tali progetti, qualora ottengano un adeguato punteggio dal sistema di valutazione previsto dal bando e dimostrino di avere ricadute non trascurabili sul Sistema sanitario nazionale, saranno sicuramente finanziati.
  È opportuno precisare che il piano nazionale di prevenzione per gli anni 2010-2012 (intesa fra Governo, regioni e province autonome del 29 aprile 2010), prevede un capitolo specifico sulla prevenzione dell'ipoacusia e della sordità.
  Nel gennaio 2011 si è costituito, presso la direzione generale della prevenzione del Ministero della salute, un tavolo di lavoro in materia, con rappresentanti delle società scientifiche e delle regioni.
  Detto tavolo ha il compito, nell'ottica di un piano articolato di specifiche azioni, di supportare le Regioni nei loro programmi di prevenzione in materia di ipoacusia e sordità.
  È prevista anche la stesura di un documento, da presentare in sede di Conferenza Stato-Regioni, che comprenda sia «Linee di indirizzo sugli
screening audiologici in differenti età target sia «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, in materia di prevenzione dell'ipoacusia e della sordità».
  Ad oggi, i lavori del tavolo hanno consentito la stesura delle «Linee di indirizzo per lo
screening neonatale uditivo».
  Il tavolo per finalizzare gli obiettivi deve ora definire le «Linee di indirizzo di prevenzione ipoacusia e sordità nell'adulto e nell'anziano» e il «Materiale formativo/informativo per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta».
  Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria e terapeutica nel caso di acufene, si segnala che i pazienti che accusano tale disturbo possono rivolgersi alle strutture del Servizio sanitario nazionale per usufruire delle prestazioni garantite dai livelli essenziali di assistenza (Lea) e vengono tutelati dalle disposizioni vigenti in materia di assenza per malattia dai luoghi di lavoro.
  Al riguardo, si precisa che per la patologia «
tinnitus», codice di malattia Icd9cm 388.3, in base ai dati delle schede di dimissione ospedaliera, risulta che nel 2010 sono stati trattati 2350 pazienti in strutture di ricovero distribuite su tutto il territorio nazionale.
  Infatti, diversi enti universitari o ospedalieri hanno acquisito speciali competenze in materia.
  Inoltre, la maggior parte delle patologie che determinano gli acufeni sono individuate fra le condizioni di malattia croniche ed invalidanti, ai sensi del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329 e successive modifiche, per le quali è prevista l'esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni specialistiche.
  Gli acufeni come tali non sono previsti fra le condizioni di malattia croniche e invalidanti, in quanto non rispondono a tutti i criteri previsti dal decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, quali la gravità clinica, il grado di invalidità e onerosità dalla quota di partecipazione derivante dal costo delle prestazioni utili al medico per effettuare un corretto
follow up della malattia.
  Per quanto riguarda, in particolare, lo sviluppo di campagne di prevenzione e sensibilizzazione concernenti l'acufene, si segnala che è attualmente in fase di definizione il Programma delle iniziative di comunicazione per l'anno 2012, che saranno realizzate dal Ministero della salute: in tale contesto verrà valutata l'opportunità di inserire la problematica in esame nell'ambito dei piani da sviluppare.

Il Ministro della saluteRenato Balduzzi.


   VERINI. — Al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
   il Touring club italiano, con oltre 300.000 soci, è una delle istituzioni turistiche più importanti d'Italia;
   essa ha come scopo «lo sviluppo del turismo, inteso anche quale mezzo di conoscenza di Paesi e culture e di reciproca comprensione e rispetto fra i popoli. In particolare il Touring club italiano intende collaborare alla tutela e all'educazione a un corretto godimento del patrimonio italiano di storia, arte e natura, che considera nel suo complesso bene insostituibile da trasmettere alle generazioni future» e tutte le attività dell'associazione hanno come finalità «la promozione del turismo, la salvaguardia dell'ambiente e la diffusione delle conoscenze e di una cultura consapevole e responsabile del viaggio»;
   l'offerta editoriale del Touring Club, proponendo guide di ogni tipo e per qualsiasi esigenza, è la più ricca e differenziata d'Italia;
   le guide, come riportato anche da alcuni quotidiani nazionali che hanno trattato la vicenda, sono stampate da una società con sede in Cina;
   l'interrogante, senza voler rivendicare forme di protezionismo anacronistico, ritiene tuttavia singolare che una delle più importanti istituzioni turistiche del Paese decida di far stampare i propri prodotti all'estero anziché in una delle tante stamperie italiane: realtà presenti in tutto il territorio nazionale che costituiscono un patrimonio prezioso per il nostro tessuto economico e produttivo e che in questa difficile congiuntura economica si trovano, talora, in grave sofferenza –:
   se, anche in relazione a quanto riportato in premessa, il Touring club italiano riceva in forma diretta o indiretta contributi o fondi pubblici, per lo svolgimento della propria attività. (4-16261)

  Risposta. — In riferimento all'atto parlamentare di sindacato ispettivo indicato in oggetto, si rappresenta che gli Uffici del dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo non erogano alcun contributo sia in forma diretta sia indiretta nei confronti del Touring club italiano.
Il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sportPiero Gnudi.