XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 8 agosto 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    i recenti incidenti di inizio giugno 2012 al confine tra Armenia e Azerbaijan e sulla linea di contatto del conflitto del Nagorno Karabakh tra Armenia e Azerbaigian destano grande preoccupazione nella comunità internazionale. Alla luce della possibile recrudescenza del conflitto, l'8 giugno l'Alto Rappresentante UE Ashton ha emesso una dichiarazione in cui, rammaricandosi per la perdita di vite umane, manifesta «grande preoccupazione» per gli episodi di violenza e richiama le parti a «rispettare il cessate il fuoco e ad evitare ogni comportamento che possa portare ad una escalation della violenza sul terreno». I preoccupanti incidenti alla frontiera, che si registrano in maniera sempre più frequente negli ultimi mesi, evidenziano la necessità di continuare sulla strada del negoziato sulla base della nuova versione aggiornata dei Principi di Madrid (2009) e delle intese raggiunte dalle parti nell'ambito del gruppo di Minsk in ambito OSCE e sulle base delle risoluzioni ONU;
    dal punto di vista storico, le radici del conflitto risalgono al 1828, quando, dopo una guerra di lunga durata tra la Russia e Iran, l'Azerbaigian vene diviso in due parti. Nel trattato di Turkmenchay (2 febbraio 1828) la parte settentrionale fu annessa al territorio dell'Impero russo mentre la parte meridionale divenne territorio dell'Iran. L'articolo 15 del Trattato autorizzo inoltre lo spostamento degli Armeni dall'Iran verso i territori dell'Azerbaigian del Nord, al fine di creare una roccaforte nei tenitori appena occupati dell'Azerbaigian dalla Russia. Si pongono in tal modo inconsapevolmente le radici del conflitto armeno-azerbaigiano del Nagorno-Karabakh;
    con la dissoluzione dell'Impero russo, in seguito alla riduzione del 1917, l'Azerbaigian insieme con Armenia e Georgia crearono la Repubblica federativa democratica di Transcaucasia. Quando la Repubblica venne sciolta nel maggio del 1918, l'Azerbaigian dichiarò la propria indipendenza e fu creata la Repubblica democratica dell'Azerbaigian (RDA). La Repubblica federativa democratica fu la prima Repubblica parlamentare nell'Oriente musulmano, ma ebbe termine dopo solo qualche anno, quando l'Armata rossa invase Baku nell'aprile del 1920. Così l'Azerbaigian, unitamente all'Armenia e alla Georgia, divenne parte della RSSF Transcaucasica, uno stato federato nell'URSS de jure ma nei fatti nuovamente occupato dalla Russia. Nel 1921 venne decretato di lasciare il territorio del Nagomo-Karabakh all'Azerbaigian, sotto la condizione che gli fosse concesso un elevato grado di autonomia amministrativa all'interno del territorio azerbaigiano. Durante il periodo sovietico negli anni 48’ – 49’ circa centomila azerbaigiani dell'Armenia vengono forzati ad abbandonare le loro terre di origine spostandosi dall'Armenia in Azerbaigian;
    con l'avvio della perestroika gorbacioviana alla fine del 1987 l'Armenia ha rivendicato apertamente il territorio della provincia autonoma del Nagorno-Karabakh (PANK) appartenente alla Repubblica dell'Azerbaigian. Con il declino dell'Unione sovietica, infatti, si acuirono le spinte separatiste e gli armeni del Nagorno-Karabakh crearono un movimento per l'annessione del Nagorno-Karabakh all'Armenia ovvero la creazione di un stato indipendente. Il 1° dicembre 1989, il Parlamento armeno dichiarò l'annessione della regione del Nagomo-Karabakli all'Armenia;
    nel 1991 l'Azerbaigian dichiarò la propria indipendenza e lo stesso anno fu dichiarata unilateralmente l'indipendenza del Nagorno-Karabakh;
    i primi anni dell'indipendenza azerbaigiana, pertanto, furono funestati dall'inizio del conflitto armeno-azerbaigiano del Nagorno-Karabakh. Uno degli eventi più traumatici del conflitto fu il massacro di Kliojaly, una piccola città nel Nagomo-Karabakli situata 14 chilometri a nordest di Khankendi, capoluogo del Nagorno-Karabakh. Il 25 febbraio 1992, gli armeni attaccarono la città da tutte le direzioni con artiglieria pesante. Fonti ufficiali affermano che vennero uccise in questo massacro ben 613 persone, tra cui 106 donne, 83 bambini e 70 anziani; 56 persone vennero uccise con particolare crudeltà (bruciati vivi, decapitati, scalpati); 25 bambini rimasero orfani, 130 bambini hanno perso un genitore; 1275 civili, tra cui donne e bambini, furono presi come prigionieri subendo violenze ed umiliazioni; 150 di questi prigionieri sono spariti senza lasciare alcuna traccia. Altri drammatici scontri etnici si verificarono sino alla cessazione delle ostilità, provocando intensi scambi di accuse;
    sempre nel 1992 nacque in seno all'OSCE il gruppo di Minsk, co-presieduto sin dal 1997 da Francia, Russia e Stati Uniti con il mandato di negoziare una soluzione pacifica del conflitto del Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian;
    nel 1993 si mosse anche il consiglio di sicurezza dell'ONU adottando ben quattro risoluzioni (822, 853, 874, 884), ciascuna delle quali volta a ribadire l'integrità territoriale dell'Azerbaigian e a sottolineare l'inviolabilità dei confini internazionali. Nell'ambito delle risoluzioni venivano, inoltre, richiesti il ritiro immediato e incondizionato di tutte le forze armene ed il ritorno dei rifugiati e dei profughi interni alle loro case. Nella ministeriale OSCE di Madrid del 2007 i copresidenti del gruppo di Minsk enunciarono, sulla base dell'atto finale di Helsinki, i cosiddetti Principi di Madrid per la risoluzione pacifica del conflitto del Nagorno-Karabakh, menzionando fra quelli basilari il divieto di ricorso all'uso della forza, il rispetto dell'integrità territoriale ed il principio di autodeterminazione. Da allora i copresidenti del gruppo di Minsk hanno proseguito la loro attività negoziale con una costante elaborazione dei principi di Madrid, mediante le dichiarazioni dell'Aquila (2009), di Muskoka (2010) e di Deauville (2011), reiterati infine nell'ultimo statement pronunciato a Baku il 14 maggio 2012;
    il conflitto del Nagorno Karabakh tra Armenia e Azerbaigian ha causato fino ad oggi oltre 30 mila morti, un milione di rifugiati e profughi interni e circa il 20 per cento del territorio dell'Azerbaigian sotto l'occupazione dell'Armenia. Il cessate il fuoco, siglato il 1° maggio 1994, non ha risolto il problema di fondo, poiché continuano numerose violazioni ed i tentativi di pacificazione definitiva falliscono;
    anche l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha preso posizione sulla questione con la risoluzione A/RES/48/114 del 20 dicembre 1993, nella quale si esprime preoccupazione per la situazione umanitaria in Azerbaigian stimando in oltre un milione il numero di rifugiati provenienti dall'Armenia e i profughi dai territori azerbaigiani sotto occupazione;
    il 14 marzo 2008 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 62/243 che riafferma il rispetto della comunità internazionale per l'integrità territoriale dell'Azerbaigian e chiede il ritiro di tutte le forze annate dell'Armenia dai tenitori occupati e la possibilità per i rifugiati e profughi interni azerbaigiani di ritornare alle loro case;
    anche le istituzioni europee hanno espresso la loro posizione sul conflitto. L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha adottato il 25 gennaio del 2005 la risoluzione 1416, che ribadisce la richiesta del ritiro delle forze armene dai tenitori occupati per consentire il ritorno a casa dei rifugiati. L'Unione europea ha appoggiato questa posizione in due occasioni, nel 2002 e nel 2007, con delle dichiarazioni ad hoc;
    ancora più di recente la NATO con la dichiarazione del Vertice a Lisbona (20 novembre 2010), l'Unione europea ha adottato la risoluzione 2009/2216 (INI) (20 maggio 2010), e la risoluzione 2011/2316 (INI) (18 aprile 2012) con le quali conferma il supporto alla sovranità dell'Azerbaigian e alla sua integrità territoriale, e sancisce che il conflitto deve essere risolto nel pieno rispetto del diritto internazionale. L'Unione europea condanna inoltre fermamente la minaccia dell'uso della forza e l'inaccettabilità dello status quo;
    le conclusioni del Consiglio affari esteri dell'Unione europea del febbraio 2012 richiamano il sostegno alla nuova versione aggiornata dei Principi di Madrid e invitano l'Armenia and l'Azerbaigian ad aumentare gli sforzi per trovare un accordo su tali Principi quali base per una soluzione negoziata e condivisa. L'Unione europea ricorda inoltre la dichiarazione dei co-Presidenti del gruppo di Minsk al Vertice G8 di Deauville (26 maggio 2011) che afferma la necessità per le parti di compiere un «passo decisivo» per la risoluzione del conflitto nagornino e l'impegno assunto dal presidente armeno ed azerbaigiano nell'ambito del gruppo di Minsk volto a trovare una soluzione negoziata al conflitto,

impegna il Governo:

   a mantenere alta l'attenzione anche nelle opportune sedi dell'Unione europea ed internazionali sul perdurare delle tensioni e degli incidenti sulla frontiera tra Armenia e Azerbaijan e sulla linea di contatto del conflitto del Nagorno Karabakh tra Armenia e Azerbaigian;
   a valutare l'opportunità di promuovere o aderire a iniziative, in sede di Nazioni Unite, volte ad una effettiva applicazione delle risoluzioni adottate dall'ONU sul conflitto del Nagorno-Karabakh;
   a promuovere nelle sedi internazionali ed europee iniziative volte a stigmatizzare il massacro di Khojaly, identificare e condannare i crimini contro la popolazione e nel contempo promuovere la comprensione tra le società civili, al fine di superare le tragiche memorie storiche nella regione;
   a facilitare, nelle sedi internazionali, iniziative volte al miglioramento delle relazioni bilaterali tra l'Armenia e l'Azerbaigian e a sostenere gli sforzi della co-Presidenza del gruppo di Minsk.
(1-01120) «Del Tenno, Urso, Allasia, Abrignani, Abelli, Beccalossi, Berardi, Buonfiglio, Castiello, Ceroni, Crolla, De Camillis, De Corato, Di Caterina, Faenzi, Formichella, Fucci, Fugatti, Garagnani, Germanà, Gibiino, Gottardo, Iannaccone, Isidori, Lazzari, Mantovano, Mazzuca, Milanese, Minasso, Nastri, Nicolucci, Pelino, Pizzolante, Polledri, Pugliese, Ronchi, Luciano Rossi, Scalia, Scandroglio, Stradella, Testoni, Tortoli».

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    il settore della produzione di energia elettrica e termica da bioliquidi ha registrato negli ultimi anni una significativa crescita e rappresenta attualmente, in Italia, il circa del volume impiegato per la produzione di energia rinnovabile da biomasse, per una potenza complessiva installata superiore a 600 megawatt elettrici;
    in Italia vengono utilizzate circa 800.000 tonnellate di olio a scopi energetici, che rispecchiano un volume di affari di circa 500 milioni di euro, tra costi diretti della materia prima utilizzata e costi indiretti, più altri 100 milioni di costi operativi, cui corrispondono, in termini di volumi di energia venduta, circa 600 milioni di euro annui. Gli investimenti compiuti negli scorsi anni, per realizzare la potenza di 600 megawatt installati, corrispondono a circa 750 milioni di euro;
    bisogna tener conto quindi che negli ultimi dieci anni la produzione di energia da impianti alimentati a «biocombustibili» è cresciuta quasi del 18 per cento in Italia, portando tali risorse a coprire quasi l'1 per cento della produzione elettrica da fonti rinnovabili. Nello specifico la produzione da bioliquidi si è sviluppata principalmente negli ultimi anni, consentendo tuttavia il conseguimento di ottimi risultati;
    per quanto non siano ancora disponibili i dati relativi al 2011, i dati del gestore dei servizi elettrici sugli impianti attivi in Italia per la sola produzione di energia elettrica da bioliquidi – oli vegetali grezzi e altro – mostrano che il numero di impianti attivi di potenza superiore a 1 megawatt è più che raddoppiato dal 2009 al 2010, passando da 42 a 97. Tali impianti hanno conseguito, a fine 2010, una potenza di 601 megawatt e una produzione lorda di 3.078 gigawatt orari, raddoppiando la produzione rispetto al 2009 (1.447 gigawatt orari) e superando in tal modo la produzione energetica da biogas (2.054 gigawatt orari per il 2010);
    il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recepimento della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, nonché il decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 55, recepimento della direttiva 2009/30/CE per quanto riguarda le specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio e l'introduzione di un meccanismo inteso a controllare e ridurre le emissioni di gas a effetto serra, hanno tradotto in Italia i principi di sostenibilità per biocarburanti e bioliquidi definiti nella normativa europea, fissandone i criteri sul territorio nazionale;
    il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, del 23 gennaio 2012 n. 2 concernente il sistema nazionale di certificazione per biocarburanti e bioliquidi, è finalizzato a fornire le specifiche attuative per il nostro Paese relativamente a quanto previsto nei due decreti legislativi sopramenzionati;
    l'intero comparto produttivo è stato fortemente scosso dall'entrata in vigore del suindicato decreto ministeriale che reca previsioni tali da mettere fortemente a rischio gli investimenti effettuati dagli operatori;
    la citata direttiva 2009/28/CE del 23 aprile 2009 precisa che: «i criteri di sostenibilità dovrebbero applicarsi in generale a tutti i bioliquidi» evidenziando inoltre «indipendentemente dal fatto che le materie prime siano state coltivate all'interno o all'esterno del territorio della Comunità», per tale ragione prevede poi che gli Stati Membri debbano imporre agli operatori economici «l'obbligo di dimostrare che sono stati rispettati i criteri di sostenibilità»;
   il decreto 23 gennaio 2012 n. 2, fornisce specifiche indicazioni relative alla certificazione della sostenibilità di biocarburanti e bioliquidi, istituendo all'articolo 3 un sistema nazionale di certificazione che include la definizione di un organismo di accreditamento che accredita tutti gli organismi di certificazione ai sensi della norma UNI CEI EN 45011:1999, ai fini del rilascio di certificati di conformità e di sostenibilità dell'azienda;
    in particolare l'articolo 2 comma 3 del medesimo decreto nel definire gli «operatori economici» interessati dalla certificazione include «ogni persona fisica o giuridica stabilita nella Comunità o in un Paese terzo che offre o mette a disposizione di terzi contro pagamento o gratuitamente biocarburanti e bioliquidi destinati al mercato comunitario e ogni persona fisica o giuridica stabilita nella Unione Europea che produce biocarburanti e bioliquidi e li utilizza successivamente per proprio conto sul territorio nazionale, nonché ogni persona fisica o giuridica stabilita nella Unione europea o in uno Paese terzo che offre o mette a disposizione di terzi contro pagamento o gratuitamente materie prime, prodotti intermedi, rifiuti, sottoprodotti o loro miscele per la produzione di biocarburanti e bioliquidi destinati al mercato comunitario»;
    alla luce della suddetta disposizione, il coinvolgimento diretto di tutti gli attori della filiera, indipendentemente da come questa si struttura, evidenzia la sussistenza di vincoli stringenti sull'operatività e le possibilità della stessa legittimando una sorta di celato «protezionismo» suscettibile di alterare gravemente l'equilibrio della concorrenza e mortificare completamente il settore;
    il requisito di certificazione è, infatti, introdotto per tutti i biocarburanti, e bioliquidi che debbano essere impiegati ai fini di ottemperare agli obblighi di cui alla legge n. 81 del 2006 (miscelazione), agli obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra di cui all'articolo 7-bis, comma 5, del decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 66, come introdotto dal comma 6 dell'articolo 1 del decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 55, nonché ai fini di accedere ai meccanismi di incentivazione di cui agli articoli 24, 33, 38 e 39, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, per l'impiego nella produzione di energia da fonti rinnovabili;
    in pratica, per poter impiegare bioliquidi e biocarburanti nella produzione energetica e nel trasporto sul territorio nazionale, gli operatori economici, ad ogni stadio della filiera, dovranno essere in grado di certificarne la sostenibilità e la conformità secondo specifici criteri;
    gli operatori italiani impiegano prevalentemente oli di produzione provenienti da Paesi extra UE, non soltanto per i costi più ridotti della materia prima, ma anche in virtù dell'esistenza all'estero di un mercato più strutturato in questo comparto, spesso non legato alla stagionalità come i prodotti nazionali ed europei;
    in ragione di tali dinamiche di approvvigionamento, gli impianti italiani arrivano a produrre energia elettrica e calore con continuità, assicurando la produzione energetica a molte imprese come quelle manifatturiere;
    su questo versante occorre tener presente che la capacità di soddisfare la necessità di materie prime degli impianti energetici attivi, usufruendo delle sole colture oleaginose nazionali, è pressoché irrisoria. La superficie agricola utilizzata (SAU) in Italia nel 2010 ammontava a 12,7 milioni di ettari (dati Ispra). Uno studio dell'ente nazionale per la meccanizzazione agricola (ENAMA) relativo a fine 2010 riferiva che per alimentare i sopraccitati impianti sarebbero stati necessari 300.000 ettari/anno di superficie coltivata a oleaginose e interamente destinata alla produzione di oli per il settore energetico. Secondo la medesima fonte, alla fine del 2010 la superficie agricola italiana coltivata a oleaginose ammontava 280.000 ettari/anno – 2 per cento della SAU – di cui meno di un quinto erano destinati al settore energetico;
    i dati sopra citati evidenziano come nel settore considerato sia consistente la dipendenza italiana dai partner internazionali, per l'impossibilità di supplire al necessario quantitativo di materia prima con le sole produzioni interne. Le importazioni italiane in questo ambito provengono principalmente da partner afferenti i paesi del sud-est asiatico, prima fra tutte la Malesia per l'olio di palma. Una situazione analoga, sull'approvvigionamento delle materie prime, interessa altresì il settore dei biocarburanti;
    ferma restando la pur lodevole esigenza di privilegiare la filiera corta nella produzione di energia da fonte rinnovabile non si può non sottolineare quanto questa legittima ambizione sia poco sostenibile sul territorio nazionale dove le potenzialità produttive e colturali sono assai limitate;
    di conseguenza la configurazione stessa della certificazione in oggetto, mal concilia con le caratteristiche della filiera italiana e pone delle serie criticità in capo ai contratti di fornitura già in esercizio alla data di entrata in vigore dei menzionati decreti, all'inevitabile lievitazione dei costi di fornitura e alla struttura stessa del comparto interessato;
    nell'ottica di certificare la sostenibilità dell'intera filiera, dalla coltivazione alla distribuzione ed impiego, gli operatori italiani si troveranno inevitabilmente nella difficoltà di non poter sempre offrire le dovute garanzie sulle partite di materie prime interessate, nonché nella difficoltà di reperire effettivamente le stesse;
    è prevedibile che l'entrata in vigore delle indicate dinamiche di certificazione comporterà un incremento dei costi delle materie prime, una scarsa disponibilità delle stesse e l'impossibilità di accedere e materie prime provenienti da altre aree geografiche impedendo in tal modo agli operatori italiani di poter privilegiare una specifica qualità o un determinato costo, con la conseguenza di svilire le potenzialità ed il futuro del settore;
    in particolare la difficoltà operativa risulta assai maggiore per tutti i contratti di fornitura stabiliti in data precedente all'entrata in vigore delle direttive europee 2009/28/CE e 2009/30/CE e dei successivi decreti di recepimento nazionale;
    tutti gli operatori che avessero stabilito contratti di acquisto o fornitura di biocarburanti o bioliquidi prima dell'approvazione di tali norme, dunque senza la definizione dei richiesti parametri, incorreranno nell'impossibilità di proseguire la propria attività qualora non siano in grado di aggiornare ex post i contratti in essere, inserendo le clausole di certificazione per i produttori o di conformità per le partite di materie prime;
    tale circostanza è destinata a determinare gravi criticità per i circa 5.000 addetti impegnati attivamente nel settore – per non parlare degli ulteriori impianti ancora in via di attivazione che non potranno mai iniziare la produzione – sia per l'aumento dei costi a seguito delle necessità di adeguamento alla certificazione, sia per il rischio di chiusura del proprio mercato, con conseguente depressione dei diversi comparti interessati dalla filiera;
    difatti, sebbene il decreto interministeriale non faccia riferimento esplicito ad un divieto di vendita per i prodotti non sostenibili, a seguito delle disposizioni introdotte e del requisito di certificazione, questi non avranno più mercato, essendo di fatto inutilizzabili sia ai fini di ottemperare agli obblighi di miscelazione di cui alla legge n. 81 del 2006, sia ai fini di ottemperare agli obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra di cui all'articolo 7-bis, comma 5, del decreto legislativo n. 66 del 2005, come introdotto dal comma 6 dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 55 del 2011, sia ai fini dell'accesso agli incentivi di cui al decreto legislativo n. 28 del 2011;
    le norme transitorie di cui all'articolo 13 del decreto interministeriale prevedono delle deroghe alla certificazione dell'intera filiera solo per i biocombustibili prodotti nel 2011 o prodotti nel 2012 da materie prime coltivate nel 2011 e vendute al soggetto che paga la relativa accisa entro il 31 agosto 2012. In ogni caso la certificazione andrà fornita entro il 31 agosto 2012. Non viene fatta alcuna distinzione invece tra gli investimenti precedenti l'entrata in vigore delle direttive europee 2009/28/CE e 2009/30/CE e quelli successivi;
    quanto evidenziato, che configura una violazione del principio di legittimo affidamento e sembra contrastare con i principi comunitari di tutela della concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato istitutivo Comunità europea, crea i presupposti per la definizione di contenziosi tra gli operatori e l'amministrazione;
    un'ulteriore criticità emerge per quanto riguarda l'impiego, come materia prima, dei prodotti di risulta provenienti da altri comparti nazionali, come quello degli oli alimentari, non soggetti a certificazione: tali materiali, essendo privi della necessaria certificazione diverranno non più utilizzabili, nonostante il loro riutilizzo consenta di conseguire ottimi risultati sia sul versante della produzione, sia sul versante della riduzione di impatto ambientale degli stessi;
     la normativa sopracitata non rispecchia in alcun modo le specificità e le caratteristiche dei sistemi produttivi italiani nel settore, ignorando in maniera palese i limiti del potenziale produttivo italiano in termini di materia coltivata, rischiando di compromettere l'operatività, l'autonomia ed il mercato di migliaia di aziende italiane e di un intero settore legato alle fonti rinnovabili;
    nell'aprile 2012 alcune società – tra le più rappresentative del comparto – hanno presentato apposita istanza al Tar Lazio per l'annullamento, previa sospensione cautelare dell'efficacia, del citato decreto ministeriale;
    nello specifico le succitate società ricorrenti hanno motivato l'istanza evidenziando che si sono trovate nell'impossibilità di adeguarsi alle nuove disposizioni a causa dell'inadeguatezza del regime transitorio, con il rischio di trovarsi a subire la revoca del regime incentivante di cui attualmente beneficiano e con la conseguenza che gli investimenti effettuati potrebbero rimanere privi di un'adeguata remunerazione, risultando dunque finanziariamente insostenibili, con grave pregiudizio per gli interessi economici e imprenditoriali dei soggetti che avevano orientato le proprie scelte di investimento confidando nella stabilità del quadro normativo vigente al momento che le stesse sono state definite;
    in data 27 luglio 2012 il Tar del Lazio ritenendo che «sussistono i presupposti per la concessione della tutela cautelare ai fini del sollecito riesame, da parte dell'Amministrazione, della questione in relazione alle difficoltà evidenziate da parte ricorrente in ordine all'impossibilità di ottenere prescritta certificazione entro i tempi previsti dal regime transitorio, con riferimento al bioliquido prodotto da operatori stranieri», ha accolto le suindicate istanze;
    nell'ambito della discussione alla Camera dei deputati del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 recante misure urgenti per la crescita del Paese, il Governo si è impegnato a valutare l'opportunità di individuare idonei strumenti, anche normativi, per disciplinare le modalità di funzionamento del Sistema nazionale di certificazione della sostenibilità esclusivamente per il settore dei bioliquidi destinati alla produzione di energia elettrica e i dettagli e i nuovi termini di applicazione dei requisiti di sostenibilità per i bioliquidi;
    infatti – al di là delle evidenti criticità espresse in premessa – sarebbe auspicabile procedere alla pubblicazione di un apposito decreto ministeriale espressamente indirizzato al comparto della produzione di energia da bioliquidi da parte dei Ministeri competenti al fine di chiarire meglio i dettagli di applicazione dei requisiti di sostenibilità dei bioliquidi operando un distinguo tra biocarburanti e bioliquidi, anche alla luce delle difficoltà applicative del provvedimento e delle incongruenze in esso tracciate;
    non bisogna trascurare inoltre che la promozione dell'energia da fonti rinnovabili, oltre a configurarsi come un impegno assunto dal Paese attraverso la ratifica del Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici, rappresenta anche una specifica politica Europea a cui l'Italia deve dare attuazione alla luce di quanto disposto dalle direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE;
    quanto evidenziato in materia di esecuzione degli impegni contratti in sede europea non si traduce esclusivamente in un obbligo di risultato, connesso al raggiungimento entro il 2020 degli obiettivi vincolanti fissati per ciascuno Stato membro dalla direttiva 2009/28/CE, ma anche un obbligo relativo alle modalità con cui gli obiettivi sono perseguiti, vale a dire l'obbligo di affidare all'iniziativa economica privata lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili, in un contesto di mercato, che si rischia pesantemente di compromettere con quanto sancito dal decreto ministeriale illustrato,

impegna il Governo:

   a procedere in tempi celeri alla predisposizione di un nuovo decreto finalizzato a rivedere l'attuale configurazione del decreto ministeriale illustrato in premessa, al fine di disciplinare le modalità di funzionamento del tema nazionale di certificazione della sostenibilità esclusivamente per il settore dei bioliquidi destinati alla produzione di energia elettrica e i dettagli e i nuovi termini di applicazione dei requisiti di sostenibilità per i bioliquidi, conciliandoli con una nuova determinazione degli incentivi;
   a riconoscere in tempi celeri, in attesa della predisposizione di un nuovo decreto di cui all'impegno precedente, la proroga di cui al comma 1, dell'articolo 13 del suindicato decreto al 31 dicembre 2012;
   a rettificare quanto sancito dal decreto summenzionato, riconoscendo che le disposizioni in esso contenute in materia di sostenibilità si applichino ai bioliquidi impiegati a far data dal 1° gennaio 2013.
(7-00969) «Di Biagio, Raisi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la vicenda della ditta Comesa, una piccola industria meccanica di Pisciano in provincia di Salerno, appartenente alla famiglia Grimaldi, che ne era, e si spera, ne torni proprietaria, è esemplificativa della natura distruttiva della finanziarizzazione dei servizi bancari del nostro Paese e dimostra come ormai le banche e le società di servizi finanziari, con il conforto di norme nazionali e comunitarie, non creano ricchezza ma la distruggono;
   nel 2001 il signor Antonio Grimaldi stipula un muto di 413.00 euro con la banca nazionale del lavoro (BNL), iscrivendo, come garanzia un'ipoteca sul suo stabilimento, valutato oltre un milione di euro. Il finanziamento avrà la durata di 10 anni con n. 19 rate semestrale di circa 22.000 euro ciascuna. Grimaldi paga regolarmente le prime rate, ma poi si ammala. Ha un grave problema al cuore e deve subire un delicato intervento chirurgico, rimane fermo 8 mesi. Nel frattempo rimane indietro di alcune rate del mutuo. Certo, errore suo, ma da questo errore scaturiscono conseguenze aberranti;
   non appena si rimette in salute, Grimaldi corre in banca per pagare integralmente gli arretrati; il mutuo peraltro era stato assicurato con una polizza, richiesta (praticamente obbligatoria) dalla banca stessa a latere dell'atto di finanziamento;
   il Grimaldi si presenta alla BNL con un assegno circolare da 30.000 euro. Ma la banca non lo accetta; la banca si era venduta il credito per l'intero importo, senza detrarre nemmeno le rate pagate per ben 67.000 euro, alla Calliope srl, che a sua volta aveva dato incarico alla Pirelli Re Crediting quale procuratrice. Di questi «passaggi» il signor Grimaldi non ha mai saputo niente. Ha scoperto il giro soltanto quando ha proposto ufficialmente alla Banca nazionale del lavoro di rientrare dalla rate scadute dopo che la stessa BNL aveva proposto istanza di fallimento presso il tribunale di Salerno; l'istanza di fallimento viene respinta: la banca la stava proponendo anche avendo già ceduto il credito;
   a questo punto bisogna trattare; Grimaldi si reca presso la sede di Napoli della Pirelli Re Crediting per chiudere la vertenza, proponendo 367.000 euro. L'offerta è buona, ammettono alla Pirelli, ma va migliorata. Grimaldi passa a 380.000 euro, ma ancora non bastano; arriva la richiesta ufficiale: vogliono 410.000,00 euro. Il signor Grimaldi non ce la fa e deve rifiutare. Nel frattempo la Calliope srl propone il pignoramento di una parte dell'immobile, e, tramite la Pirelli Re, istanza di fallimento;
   il giudice di Salerno, che aveva già respinto l'istanza di fallimento avanzata dalla BNL, questa volta la accoglie, pur non avendo la Comesa alcun nuovo debitore; il motivo presumibilmente consiste nel fatto che la Calliope si insinua nel passivo della Comesa srl per ben 608.000 euro, cifra che è accolta dalla curatela fallimentare senza procedere ad alcuna verifica;
   nel frattempo viene promossa anche la vendita immobiliare dello stabilimento alla cui asta si presentava un unico offerente, che si avvale di un presupposto, che all'interrogante appare evidentemente falso, asserito dal professionista delegato alla vendita. Questi dichiara che gli immobili erano liberi, mentre al contrario negli stessi stabili operavano altre due società (la COMEG srl e FICM srl) sulla base di regolari contratti; nel giugno 2012, almeno una di queste due società, totalmente estranee ai fatti, ha subito l'estromissione dallo stabilimento, episodio questo riportato dai quotidiani locali, malgrado proponesse istanza di opposizione presa in nessuna considerazione dal tribunale di Salerno;
   il Grimaldi ha sporto denunzia penale contro la BNL e la Calliope srl per estorsione, appropriazione indebita, usura e altre illiceità su cui la Guardia di finanza sta indagando per incarico del pubblico ministero dottoressa De Angelis; nel contempo ha chiesto la sospensione dell'esecuzione anche ai sensi della legge, n. 3 del 2012, in materia di usura, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento;
   l'interpellante trova estremamente irritante che dei soggetti che non hanno mai svolto attività di impresa possano distruggere una vita di lavoro di un imprenditore, possano appropriarsi di un'azienda sana, smembrarla e farne liberamente uso; il Parlamento e il Governo peraltro, con la legge n. 3 del 2012 sulle crisi di sovraindebitamento e con l'articolo 33 del decreto-legge n. 83 del luglio 2012, hanno chiaramente mostrato l'ovvia propensione delle istituzioni per la tutela delle attività produttive, rispetto alle pretese della finanza, tuttavia occorre porre mano a norme più incisive, volte a contrastare la crescita artificiale ed arbitraria degli oneri del debito, prodotta dai passaggi di mano dello stesso;
   il combinato disposto degli articoli 1260 e 1264 prevede che il credito possa essere ceduto anche senza il consenso del debitore, ma anche che la cessione ha effetto nei confronti del debitore quando questa gli è stata notificata; questi, almeno in linea teorica, avrebbe anche il diritto, pagando, di liberarsi prima della notificazione; in questo caso è avvenuta una doppia cessione senza alcuna notifica, anzi ad avviso dell'interpellante si è tratto vantaggio dal tenere all'oscuro il debitore dai fatti che lo riguardano;
   inoltre un debito lievitato da 250.000 a 608.000 euro appare all'interpellante afflitto da un tasso usurario; i continui passaggi dei crediti, nel caso in questione, sembrano essere utilizzati per bypassare le norme sull'usura, grazie alla arbitraria ed incontrollata crescita dei «diritti» spettanti a ciascun nuovo acquirente del debito; perplessità devono essere sollevate anche sulla possibilità consentita alle società di recupero crediti, di svolgere un «gioco delle parti», nel quale il debitore si trova coinvolto (ma il termine esatto dovrebbe essere «palleggiato»), tra richieste e istanze giudiziarie emesse da soggetti diversi, nonostante l'unicità del debito; appare violato anche il principio generale della buona fede nell'esecuzione dei contratti (1375 c.c.);
   giova anche ricordare che nelle regioni meridionali accade assai spesso che le modalità sopra descritte siano utilizzate per espropriare gli imprenditori delle proprie aziende sane; prova ne siano le dichiarazioni del professionista delegato alla vendita all'asta, il quale, in tal modo, ha favorito l'acquirente che si è aggiudicato gli immobili per un valore di almeno quattro volte inferiore a quello reale –:
   quale sia l'orientamento del Governo sulla vicenda esposta in premessa;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per dettare regole più stringenti in materia di cessione di crediti, in particolare se il cedente è un soggetto del sistema finanziario e il ceduto è un'impresa produttiva, prevedendo innanzitutto che la cessione del credito debba essere notificata ed adeguatamente giustificata e che il debitore abbia diritto di esperire le procedure previste dalla legge n. 3 del 2012;
   se non si intendano assumere iniziative, anche normative, per chiarire che la legge sull'usura si applica anche nei casi in cui la cessione del credito aumenta esponenzialmente, ed arbitrariamente, a giudizio dell'interpellante, l'entità del debito;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per dettare ulteriori disposizioni di maggior favore nei confronti delle imprese per quel che riguarda i rapporti con il sistema delle banche, prevedendo l'introduzione di un principio generale in base al quale le aziende economicamente sane non possono essere liquidate né smembrate tramite operazioni finanziarie.
(2-01636) «Crosetto».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in Gran Bretagna dal 2004 è in vigore la legge sulle unioni civili, il civil partnership act 2004 e il civil partnership order del 2005 che regolamenta le unioni tra persone dello stesso sesso;
   la parte 5 del civil partnership act del 2004 (e successive integrazioni del civil partnership order del 2005), che disciplina la registrazione e la dissoluzione di unioni civili in territorio estero, indica la possibilità della registrazione presso i consolati britannici all'estero; in particolare la sezione 210 (Registration at British consulates), paragrafo 2, comma c) prevede che le autorità del Paese, o del territorio nel quale ci si propone di effettuare la registrazione dell'unione civile, non obbietti a tale registrazione;
   l'Associazione Radicale «Certi Diritti» ha ricevuto diverse segnalazioni di coppie miste, composte da persone britanniche e italiane, alle quali è stato negata la possibilità di accedere alla registrazione presso il Consolato britannico, perché le autorità italiane, interpellate in base alla sezione 210, paragrafo 2, comma c) del civil partnership act, si sarebbero opposte;
   tale forma di opposizione, evidentemente prevista per Paesi dove l'omosessualità è considerata un reato ed è perseguita penalmente, rientra ad avviso degli interroganti tra quelle forme di grave discriminazione che a parole il Governo italiano dice di voler combattere;
   e, sempre ad avviso degli interroganti, rientri tra quei casi di ingerenza negli affari interni di altri Paesi per i quali il nostro Paese dovrebbe, per lo meno, e in mancanza di una normativa equivalente nell'ordinamento italiano, mantenere una posizione di neutralità –:
   se e quante siano le richieste finora pervenute al Ministero degli affari esteri e/o al Governo da parte delle autorità consolari della Gran Bretagna relative alla possibilità di registrazione dell'unione tra persone dello stesso sesso;
   se esistono accordi scritti tra Gran Bretagna e Italia su questo argomento e in caso di risposta affermativa quali siano;
   se e per quali motivi il Governo italiano abbia espresso un parere negativo alla registrazione di un'unione civile che avviene negli uffici consolari e quindi in territorio britannico;
   come si concili la decisione di opporsi con quanto indicato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 138 del 2010 sulla necessità di riconoscere alle coppie gay conviventi diritti come per le coppie eterosessuali e con i Trattati europei di Nizza e di Lisbona sulla libera circolazione dei cittadini all'interno dell'Unione europea e sulla lotta alle discriminazioni. (5-07627)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

il 5 settembre sul sito online www.ilrestodelcarlino.it è apparsa la seguente notizia: «Modena, 5 settembre 2011 — Nuovo affondo di Vasco Rossi al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi. Il rocker di Zocca scrive su Facebook: “Giovanardi si è inventato uno spot tv (già on air) in cui una bella donna si trasforma in un vampiro che morde un ragazzo, con piccolo quantitativo di maria al collo, e rappresenta in questo modo “la droga che ti uccide”. Ma, prosegue il cantante: “Non è mai morto nessuno a causa di uso o abuso di maria !”. Quindi conclude: “I radicali a Venezia stanno manifestando contro questo spot oltretutto misogino, odia pure le donne Giovanardi se le vede come vampiri...”»;
   a distanza di pochi minuti dalla sopracitata notizia l'agenzia AGI riportava la seguente presa di posizione del Codacons: «VASCO ROSSI: CODACONS, POLIZIA POSTALE CHIUDA PROFILO FACEBOOK — (AGI) — Roma, 5 settembre — “Dopo la sparata odierna di Vasco Rossi, che su facebook avrebbe pubblicato un post nel quale si contesta una pubblicità contro la droga affermando che `non è mai morto nessuno a causa di uso o abuso di marjia’, il Codacons ha deciso di rivolgersi alla Polizia postale, chiedendo la chiusura della pagina Facebook dell'artista”. È quanto chiede il Codacons in una nota in cui spiega: “Non vogliamo essere né bigotti, né censori — spiega il presidente Carlo Rienzi — ma Vasco Rossi non è certo un intoccabile, e riteniamo eccessiva la sua ultima esternazione sulla droga”. Per l'associazione, “si tratta di una dichiarazione diseducativa e addirittura pericolosa, specie se si considera che il pubblico del cantante è composto in larga parte da giovanissimi. Un artista del suo calibro, proprio per l'elevato seguito di fan, non può abbandonarsi con tanta superficialità ad affermazioni a favore della droga, e soprattutto non può scrivere che l'abuso di marijuana non porta alla morte, perché così facendo lancia un messaggio sbagliato e pericoloso”» –:
   quanto sia costato e/o quanto si prevede costerà alle casse dello Stato lo spot in questione sia per quanto riguarda la sua produzione sia per la sua divulgazione/trasmissione;
   dove verrà proiettato/trasmesso lo spot in questione;
   quante persone siano morte in 2011 per abuso di marijuana;
   quante persone siano morte in Italia nel corso degli anni 2008, 2009, 2010 e ad oggi nel 2011 per abuso di alcool;
   quante persone siano morte in Italia nel corso degli anni 2008, 2009, 2010 e ad oggi nel 2011 per abuso di farmaci psicoattivi. (5-07628)


   ANTONINO RUSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con ordinanza n. 3887 del 9 luglio 2010, il presidente della regione siciliana Raffaele Lombardo è stato nominato commissario delegato per il superamento dell'emergenza nel settore dei rifiuti in Sicilia, subentrando come commissario delegato al prefetto di Palermo;
   in tale ordinanza, per la discarica di Bellolampo (Palermo), sono state assegnate al direttore del dipartimento della protezione civile regionale le funzioni stabilite dall'ordinanza n. 3875 del 2010 relative alla gestione e alla messa in sicurezza della discarica di Bellolampo;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 luglio 2010, è stato dichiarato – fino al 31 dicembre 2012 – lo stato di emergenza per lo smaltimento dei rifiuti urbani nel territorio della regione siciliana e nominato il presidente della medesima regione commissario delegato del Presidente del Consiglio dei ministri;
   in data 31 luglio 2012 Raffaele Lombardo ha ritenuto di doversi dimettere dal suo incarico di presidente della regione siciliana in seguito ad una azione intrapresa dalla magistratura in cui si prospetta la possibilità che Lombardo abbia commesso fatti di rilevanza penale;
   con le dimissioni del presidente della regione, l'assemblea regionale cessa di fatto le sue funzioni di controllo, in ragione del fatto che il Governo dimissionario può solo svolgere le funzioni di ordinaria amministrazione;
   nonostante i poteri straordinari concessi con l'ordinanza n. 3887, il bilancio della gestione è, ad avviso dell'interrogante, più che fallimentare come certificato dalla recente sentenza di Corte di Giustizia (settima sezione) del 19 luglio 2012 e come evidenziato dall'incendio di Bellolampo che dimostra in modo palese come siano state commesse gravi negligenze: dalla mancata realizzazione della dovuta messa in sicurezza alla mancanza di impianti presenti ordinariamente nelle discariche realizzate in anni recenti, quali impianti di selezione, impianti per la stabilizzazione della frazione organica, impianti di depurazione afferenti alla pulizia mezzi e per la costituzione della riserva antincendio;
   alla luce di quanto sopra appare all'interrogante molto grave e di dubbia legittimità che Raffaele Lombardo dimessosi dalla carica di presidente della regione non si limiti all'esercizio dell'ordinaria amministrazione ma continui ad esercitare poteri straordinari, contraddicendo a giudizio dell'interrogante quanto previsto dallo statuto siciliano –:
   quali siano i tempi in cui si intende provvedere alla rimozione del dottor Lombardo dall'incarico sopracitato e alla sua tempestiva sostituzione con un soggetto di altro profilo che garantisca la limpidezza necessaria allo svolgimento di questo importante incarico conformemente a quanto stabilito dalla legge. (5-07717)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 17 del decreto-legge, n. 95 del 2012 cosiddetto spending review, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, prevede anche interventi per il riordino delle province;
   il riordino dovrà avvenire sulla base di requisiti minimi, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia, che saranno determinati dal Consiglio dei ministri con propria deliberazione;
   in esito a tale deliberazione, i consigli delle autonomie locali delle singole regioni, nel rispetto della continuità territoriale della provincia, dovranno approvare una ipotesi di riordino relativa alle province ubicate nel proprio territorio di competenza e trasmetterla alla medesima regione che, a sua volta, trasmetterà al Governo, una proposta di riordino delle province ubicate nel proprio territorio;
   non si prevede la mera soppressione di alcune province, bensì una generale riorganizzazione delle stesse a livello delle singole regioni, che comporterà, evidentemente anche delle modifiche relative all'appartenenza dei comuni alle stesse province, con importanti conseguenze anche economiche e sociali;
   secondo il principio generale che ispira il presente provvedimento, il riordino delle province dovrebbe comunque garantire l'invarianza dei servizi ai cittadini;
   simili interventi rischiano di destabilizzare la popolazione in dubbio sul futuro della propria realtà territoriale e sul mantenimento dei presidi di legalità e sicurezza ad oggi presenti, nonché dei presidi istituzionali «classici» di cui una provincia necessita;
   nella provincia di Ragusa è nata una petizione cui hanno aderito oltre 5.000 persone che vogliono salvare la propria identità, la propria storia, «giovane» ma assolutamente di alto profilo;
   a fronte di una sempre maggiore pressione fiscale, i cittadini si vedono defraudati non solo dei presidi istituzionali ma soprattutto della propria identità e della propria storia –:
   se il Governo non intenda valutare, in ossequio al principio dell'invarianza dei servizi, che dipende, tra l'altro, da una distribuzione uniforme degli uffici e dei servizi provinciali, le iniziative di competenza finalizzante al mantenimento di taluni servizi e funzioni di sedi distaccate. In attesa che venga realizzato un efficiente servizio telematico ad uso dei cittadini;
   se non si ritenga opportuno, per quanto attiene alle denominazioni da attribuire alle nuove province, assumere iniziative volte a prevedere che le stesse siano stabilite dalle regioni, sentiti i consigli provinciali uscenti, e che non possano coincidere con quella di una delle province accorpate, ma possano consistere nella sommatoria delle precedenti denominazioni. (4-17352)


   BRUNETTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi la provincia di Roma ha fornito agli enti competenti un censimento tecnico dei siti idonei per allocare una nuova discarica;
   a seguito di tale comunicazione sono stati pubblicati diversi articoli sui quotidiani nazionali che indicano come probabili aree, per realizzare una nuova discarica in sostituzione di quella di Malagrotta, la Cecchignola ed in particolare la località Solfatara nel territorio di Roma Capitale – Municipio XII EUR;
   è recentemente apparsa sulla stampa la valutazione di un imprenditore del ramo tesa a localizzare, nella zona predetta, il sito di una nuova discarica;
   ad oggi, non sono state fornite comunicazioni ufficiali dagli enti preposti: provincia di Roma, regione Lazio, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, prefetto e comune di Roma;
   la medesima area, in passato, era già stata oggetto di studi per la realizzazione di una discarica, che si erano conclusi con una valutazione negativa; l'area si trova in una ex cava di zolfo con consistenti emissioni di gas dal sottosuolo;
   ciononostante, risulta all'interrogante che, il 31 luglio 2012, sia già stata depositata una richiesta di valutazione di impatto ambientale (VIA) presso il competente ufficio della regione Lazio, che ha per oggetto proprio la «realizzazione di un impianto di stoccaggio e trattamento rifiuti urbani speciali pericolosi e non, in località Zona Industriale Solfatara»;
   il luogo individuato è di notevole valore archeologico, posto che ospita la grotta del Fauno, sito dell'antico oracolo dei Latini e meta delle genti italiche, citato da Virgilio nell'Eneide;
   il sito individuato, inoltre, è compreso sia all'interno del vincolo paesistico tra la via Laurentina e la Via Ardeatina, sia all'interno della riserva naturale di Decima-Malafede e, quindi, rientra nel novero della aree vincolate considerate di pregio;
   peraltro, nella zona in cui si trova anche la località Solfatara sono già presenti numerose altre discariche: due a Porta Medaglia, due in Via Ardeatina, una a Fioranello, una in località Selvotta, oltre a diversi recuperi ambientali siti tra la Via Laurentina e Santa Palomba e una rilevante discarica di rifiuti pericolosi a Falcognana;
   in territorio limitrofo si trovano anche la discarica di Albano, il previsto inceneritore di Roncigliano e la discarica di amianto a Pomezia;
   la mobilità del quadrante, ed in particolare della via Ardeatina, risulta già al collasso per via del transito dei mezzi pesanti da e per le discariche e dalla zona industriale di Santa Palomba –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della notizia di cui in premessa e quale sia, in proposito, il loro orientamento;
   se i Ministri interrogati, in considerazione degli elementi di cui in premessa, intendano assumere iniziative per impedire l'ubicazione di una discarica in siti che presentano «sensibilità» plurime ed aspetti storico-culturali di massimo rilievo, che ne risulterebbero irrimediabilmente compromessi;
   se non ritengano opportuna, una valutazione congiunta della situazione, preventiva a che l'ipotesi predetta possa materializzarsi e destare forme di resistenza da parte di istituzioni ed associazioni culturali, nonché da parte di realtà ambientaliste territoriali. (4-17354)


   BELLOTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   presso le amministrazioni pubbliche, ogni 100 dipendenti, c’è un lavoratore in distacco sindacale;
   a detti dipendenti che svolgono attività per conto dei sindacati, le amministrazioni stesse assicurano il trattamento retributivo complessivo, e quindi anche previdenziale, che avevano nel momento del distacco;
   questo trattamento economico viene rimborsato dal Ministero dell'interno alle amministrazioni di spettanza;
   pur essendo applicabile anche ai dipendenti pubblici, in distacco sindacale, la disciplina delle incompatibilità, gli stessi, di fatto, sono svincolati da ogni controllo amministrativo;
   le amministrazioni, pur pagando, non sono a conoscenza delle attività svolta quotidianamente dai dipendenti in «distacco» né del luogo ove di fatto esercitano;
   i dipendenti in distacco sindacale rappresentano indubbiamente un costo per lo Stato –:
   quanti siano i dipendenti in distacco sindacale pagati dal Ministero dell'interno;
   a quanto ammonti l'importo complessivo annuo pagato dal Ministero dell'interno per i dipendenti in distacco sindacale;
   se ritenga opportuno, in un momento di crisi economica, che lo Stato si accolli il costo dei dipendenti in distacco sindacale, i quali di fatto svolgono attività al di fuori di ogni controllo. (4-17357)


   GREGORIO FONTANA. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio postale di Lizzola nel comune di Valbondione è stato inserito nella lista, realizzata recentemente da Poste italiane, di 1156 agenzie a bassa produttività a rischio chiusura;
   la chiusura di tale ufficio recherebbe grandissimo danno a una realtà ubicata in alta montagna e quindi già costretta ad enormi sacrifici ed alla lotta al fenomeno dello spopolamento –:
   se siano fondate le preoccupazioni per una possibile chiusura dell'agenzia in questione e se, come già auspicato dall'Anci, tale decisione verrà presa in collaborazione con le autorità locali. (4-17361)


   OLIVERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nel pomeriggio del 29 luglio 2012 è divampato un vasto incendio presso la discarica palermitana di Bellolampo che si è protratto per 10 giorni impegnando senza sosta i vigili del fuoco, la protezione civile e un plotone del 4o reggimento genio guastatori di Palermo;
   ad oggi l'incendio risulta tecnicamente spento ma resta da completare la fase di soffocamento della scarpata lato nord della quarta vasca di circa 5.000 metri quadrati e il lavoro per la completa messa in sicurezza delle aree interessate si protrarrà presumibilmente per i prossimi 15 giorni, impedendo di fatto per tale periodo il conferimento dei rifiuti in discarica;
   la città di Palermo ed il suo hinterland, a causa dell'incendio, sono già da diversi giorni sommersi dai rifiuti e la situazione, alla luce della considerazione precedente, non può che peggiorare, facendo aumentare in maniera esponenziale il già preoccupante fenomeno degli incendi dolosi di rifiuti che si accumulano in città con tutto ciò che ne consegue, anche e soprattutto in riferimento al rischio di emissioni velenose e cancerogene per la popolazione residente;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri con ordinanza n. 3887 del 9 luglio 2010 ha disposto immediati interventi per fronteggiare la situazione di emergenza determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti urbani nella regione Sicilia;
   a norma dell'articolo 1 «Il Presidente della regione siciliana è nominato Commissario delegato per il superamento della situazione di emergenza nel settore della gestione dei rifiuti»;
   a norma dell'articolo 7 della ordinanza sopra citata agli oneri derivanti dall'attuazione della presente ordinanza, si provvede nel limite massimo di euro 200.000.000,00 (duecento milioni) a valere sulle risorse FAS 2007/2013, assegnate alla Regione Siciliana con la delibera del CIPE n. 1 del 6 marzo 2009;
   per far fronte alla situazione di emergenza il nominato commissario delegato ha già disposto l'utilizzo di 8 milioni di euro per eventi trascorsi e 4 milioni di euro per fronteggiare l'emergenza determinatasi in seguito all'incendio presso la discarica di Bellolampo;
   nonostante il disposto dell'articolo 7 dell'ordinanza n. 3887 del 9 luglio 2010 del Presidente del Consiglio dei ministri, le somme stanziate non sono ancora state erogate, neanche in parte;
   con delibera n. 69 del 2009 il C.I.P.E. disponeva l'assegnazione di 150 milioni di euro favore del comune di Palermo nel periodo 2009-2011 prevedendo l'articolazione pluriennale delle risorse;
   il Comitato, con successiva delibera ha stabilito in 35 milioni di euro la disponibilità di risorse a favore del comune per l'anno 2010;
   la prima tranche di 35 milioni di euro non riguardante l'emergenza rifiuti) è stata erogata al comune di Palermo mentre la restante parte dello stanziamento di 150 milioni di euro, di cui 60 destinati all'AMIA, non è più stata erogata –:
   se e quando il C.I.P.E. darà seguito agli impregni presi con la delibera n. 69 del 2009 trasferendo alla città di Palermo la rimanente parte delle somme stanziate ma non ancora erogate;
   se sia intenzione della Presidenza del Consiglio, ed in quali tempi, dare seguito agli impegni urgenti assunti con l'ordinanza n. 3887 del 2010 attraverso l'erogazione delle somme assegnate alla regione Sicilia per il superamento della situazione di emergenza che, alla luce degli eventi esposti, si è notevolmente aggravata. (4-17367)


   DI PIETRO e ANIELLO FORMISANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dalla «determinazione e relazione della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA SpA per l'esercizio 2010» si riscontrano profili di criticità «primo fra tutti si pone il persistente sbilancio negativo tra ricavi e costi, le cui ripercussioni sulla situazione economico-patrimoniale e finanziaria della Società di proprietà pubblica stanno assumendo carattere strutturale e dimensioni preoccupanti»;
   «tutte le voci di entrata» – si legge nella sopracitata relazione – «evidenziano problematiche. L'incidenza percentuale delle entrate da canone sul totale dei ricavi aziendali, nel 2010 è stata pari al 0,6 per cento, contro il 34,4 per cento della pubblicità ed il 5 per cento degli altri ricavi. L'entrata da canone, peraltro, e notevolmente compromessa dalle crescenti dimensioni dell'evasione. Quest'ultima, nel 2010, si e attestata, per il canone ordinario, intorno al 26,7 per cento e per quello speciale intorno al 60 per cento; in termini economici l'effetto dell'evasione e quantificabile in una perdita di circa 450 milioni di euro l'anno per il canone ordinario e per 102 milioni di euro per quello speciale. L'efficace contrasto all'evasione contribuirebbe notevolmente a riequilibrare la posizione economico-finanziaria della società. Peraltro, come rilevato anche dal Collegio sindacale della società, al momento non sono state introdotte misure volte ad arginare il fenomeno. Anche il ricavo derivante dalla pubblicità ha evidenziato sostanziali flessioni rispetto agli esercizi pregressi. L'attuale congiuntura economica ha prodotto effetti estremamente negativi sul tessuto produttivo/imprenditoriale e, conseguentemente, sui consumatori finali; restringendo l'analisi al contesto in cui opera Rai, la crisi economica ha determinato una sostanziale riduzione degli investimenti pubblicitari. Per comprendere la dimensione del fenomeno, basti considerare che la raccolta pubblicitaria nel 2010 del Gruppo Rai e risultata inferiore di oltre 200 milioni di euro rispetto al 2007, differenziale negativo che si e ulteriormente incrementato nel corso dell'esercizio 2011 (-270 milioni di euro)»;
   la Corte dei Conti, inoltre, rappresenta la necessità di una significativa riduzione dei costi relativi alle consulenze esterne, che hanno inciso sul bilancio del 2010 per circa tre milioni di euro, limitandone il ricorso in casi eccezionali, per periodi limitati e sempre che le professionalità richieste non siano annoverate all'interno delle risorse umane della società;
   sempre dalla relazione emerge che «a determinare i risultati negativi della gestione, oltre il mancato rigoroso contenimento dei costi e la ridotta espansione di taluni ricavi, ha contribuito la inadeguatezza del contratto di servizio (stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico e la RAI), in tema di copertura dei costi che lo svolgimento del servizio pubblico comporta. Al riguardo si segnala che in sede di rinnovo del Contratto di servizio, vengono definite le attività di Servizio pubblico, ma non anche le risorse pubbliche aggiuntive da rapportare alla nuova entità dei compiti affidati e che dovrebbero derivare, sulla base della vigente normativa, dagli introiti da canone e dalla parte della raccolta pubblicitaria da esporre nell'aggregato»; si segnala, altresì, che «la società ha chiesto in più occasioni al Ministero dello sviluppo economico di provvedere a corrispondere gli importi alla stregua delle obbligazioni derivanti dal contratto di servizio, secondo cui i costi del servizio pubblico devono essere coperti dal gettito del canone (e dalla pubblicità residua). Di recente, poi, ha formalizzato atto di intimazione nei confronti del ministero stesso chiedendo il pagamento delle somme non erogate per compensare i costi del servizio pubblico. Queste ultime ammontano, nel periodo 2005 al 2009, secondo quanto rappresentato dal Collegio sindacale nella relazione sul bilancio di esercizio, a 1,3 miliardi di euro. In relazione a quanto preteso dalla società il Ministero dello sviluppo economico non ha, al momento, espresso alcuna considerazione»;
   da notizie stampa risulta all'interrogante che esiste un dossier relativo allo scorporo e alla vendita di Rai Way proprietaria della rete di trasmissione e diffusione del segnale RAI. Si legge, infatti, nella Relazione della Corte dei Conti che «nella prospettiva illustrata nel Piano Industriale della società 2010-2012, dell'insorgenza, nell'immediato futuro, di gravi difficoltà per il perseguimento dell'equilibrio di bilancio a causa soprattutto della prevista riduzione dei ricavi pubblicitari, la RAI ha valutato, in linea con quanto rilevato da questa Corte, al fine del contenimento dei costi della produzione, l'opportunità di porre in liquidazione o incorporare alcune società controllate, in rapporto al perseguimento dei propri scopi, trasferendo, alle sue strutture le attività svolte dalle società soppresse. Nel 2010 sono intervenute, quindi, talune modifiche organizzative dichiaratamente rivolte alla razionalizzazione ed ottimizzazione del modello organizzativo della società. Nello stesso periodo e stato portato a compimento il processo di fusione per incorporazione di RAISat S.p.A. in RAI S.p.A., avviato l'anno precedente; omologa iniziativa ha interessato Rai Trade S.p.A., e Rai Net S.p.A., società incorporate nel corso del 2011, Nell'esercizio in rassegna, inoltre, e anche chiusa la liquidazione di Sacis spa; conseguentemente le relative attività e risorse editoriali sono confluite nelle nuove Direzioni (RAI Gold, RAI Ragazzi, RAI4 e RAI5), mentre le attività amministrative e di supporto, sempre assieme alle relative risorse, sono confluite nelle competenti Direzioni di Staff della Capogruppo»;
   la Rai «sta affrontando un impegnativo piano di investimenti, stabilito per legge, per l'adeguamento impiantistico al sistema digitale terrestre (DTT), per il quale la Società lamenta l'insufficienza dei contributi pubblici sin qui stanziati»;
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) «per la inosservanza, da parte della RAI, dei principi generali in materia di informazione e di ulteriori compiti di pubblico servizio nel settore radiotelevisivo, nei programmi di informazione e di propaganda» ha inflitto nel 2010 «otto sanzioni che hanno gravato sul bilancio della società per oltre 0,5 milioni di euro» –:
   gli interroganti hanno presentato un atto anche alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi per sapere se si non ritenga opportuno ridare legittimità al servizio pubblico rendendolo rappresentativo di tutte le realtà sociali, culturali, territoriali e politiche del Paese per dare una solida base di consenso dei cittadini alle misure volte ad arginare il fenomeno dell'evasione, se non si intenda, in vista delle nomine dei nuovi direttore di rete e di testata, procedere all'utilizzo ed alla valorizzazione delle risorse interne invece di ricorrere, come sempre, a costose e lottizzate consulenze esterne che incidono pesantemente sul bilancio della Società, ed infine, se non si ritenga necessario procedere ad una drastica riduzione degli incarichi di direzione, procedendo ad una forte riduzione del numero delle direzioni, sul modello della BBC che ne prevede meno della metà della Rai –:
   quale motivo per il quale non sono state ancora pagate le somme atte a compensare i costi del servizio pubblico;
   se sia a conoscenza di un progetto volto alla vendita di Ray way ad una società privata collegata al gruppo Mediaset cosa che comporterebbe la perdita di un asset strategico, un patrimonio tecnico di knov how e di infrastrutture e centinaia di posti di lavoro qualificato, che potrebbero essere invece utilizzati e implementati nel nuovo scenario delle comunicazioni mobili. (4-17368)


   MANCUSO, BARANI, DE LUCA e CICCIOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
   con 5 milioni di abitanti e due piccole catene montuose (Madonie e Nebrodi-Peloritani), nonché le aree, non molto vaste, degli Iblei, degli Erei e del Comprensorio del Sosio, la regione Sicilia conta circa 29 mila forestali nel suo organico;
   la regione Lombardia, con il doppio della popolazione e l'arco alpino alle spalle, ne conta circa 3 mila;
   a Godrano, paesino di mille abitanti in provincia di Palermo, i forestali in servizio sono 190, più di quelli impiegati nell'intero Molise (dove i cittadini sono 160 mila e gli ettari boschivi 80 volte di più);
   compito di un operaio forestale è tenere in ordine le zone boschive, controllare lo stato di salute degli alberi e fare la manutenzione delle barriere tagliafuoco e delle zone di rispetto, al fine di contenere gli eventuali incendi;
   nel 2010 la Sicilia è stata la regione italiana più colpita dal fenomeno degli incendi dolosi, con 203 chilometri quadrati di vegetazione andati in fumo, quasi il 50 per cento tutto ciò che è bruciato quell'anno sul territorio nazionale;
   nel 2011 la Sicilia era la seconda regione per incendi, dopo la Sardegna;
   il 7 agosto 2012 a titolo di esempio, nell'isola sono stati almeno dodici gli incendi appiccati e una trentina nella giornata di lunedì 6 agosto 2012;
   i forestali siciliani sono operai chiamati a giornata, iscritti a graduatorie pubbliche, assunti direttamente dalla regione e suddivisi a seconda di quante giornate di lavoro vengono loro assegnate: 78,101 o 151 giorni l'anno;
   la stabilizzazione dei forestali non è mai stata concessa e nemmeno richiesta: anche 78 giorni di lavoro l'anno sono sufficienti a maturare i requisiti per l'indennità di disoccupazione, che tuttavia non impedisce a queste persone di svolgere, durante i giorni liberi, diverse attività in nero;
   il posto da forestale rischia di essere facile contropartita per un voto o un appoggio politico;
   a giugno 2012 i forestali siciliani avevano indetto diverse proteste, tra cui un blocco del traffico, perché la Regione Sicilia non riusciva a recuperare i 290 milioni necessari per pagarli;
   a maggio 2012 la giunta regionale aveva proposto di finanziare parte della spesa chiedendo alle banche un mutuo da 60 milioni di euro;
   il Commissario dello Stato, vigilante sulla costituzionalità e sulla copertura finanziaria dei provvedimenti dell'Assemblea siciliana, aveva bloccato la richiesta;
   anziché cogliere l'occasione per diminuire il numero dei forestali, i deputati siciliani hanno tentato la via di una legge ad hoc, il cui iter è stato poi bloccato dalle dimissioni del presidente Lombardo;
   per sanare i buchi in bilancio della regione Sicilia, lo Stato, e quindi tutti i cittadini italiani, ha versato nelle casse isolane ben 400 milioni di euro –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito alla vicenda di cui in premessa e, in particolare, in relazione ai motivi che hanno indotto il Commissario dello Stato ad intervenire sulla vicenda. (4-17373)


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la risposta fornita all'atto di sindacato ispettivo n. 5/07507 (già n. 4-05277) ad avviso degli interroganti non è risultata esauriente in relazione alla parte dell'interrogazione in cui si chiedeva quali provvedimenti fossero stati presi nei confronti del delegato nazionale del Cocer, Alessandro Rumore, che aveva dichiarato con un comunicato stampa che 120 carabinieri del nucleo scorte di Palermo avevano deciso di scortare a turno il colonnello De Caprio –:
   quali provvedimenti siano stati adottati nei confronti dell'appuntato scelto dell'Arma dei carabinieri Alessandro Rumore per i fatti narrati nell'interrogazione di cui in premessa e nel caso non sia stato adottato alcun provvedimento quali siano state le ragioni e se intenda adottarne;
   se abbia segnalato i fatti alla competente autorità giudiziaria militare e in caso contrario quali siano state le motivazioni. (4-17376)


   DI PIETRO, PALAGIANO e DI GIUSEPPE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il reparto di chirurgia maxillo facciale di Villa Betania, presidio del polo ospedaliero S. Spirito, facente capo alla ASL Roma-E, prima della sua inspiegabile chiusura aveva una tradizione di oltre 20 anni, inizialmente comunità della chirurgia ortopedica e poi autonomamente come unità organizzativa complessa (UOC) dal 1998;
   a causa dei tagli alla sanità, decisi dalla giunta Polverini nell'ambito del piano di rientro dal deficit della regione Lazio, con decreto del 29 settembre 2010 n. 273 il presidente della regione Lazio disponeva la chiusura del suddetto reparto alla data del 31 dicembre 2010; a seguito di tale provvedimento il direttore del reparto, dottor Domenico Scopelliti, chiedeva di essere trasferito nel medesimo ruolo dirigenziale, presso la UOC di chirurgia maxillo-facciale dell'azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini in Roma;
   dopo una serie di rinvii, il reparto di chirurgia maxillo-facciale è stato chiuso in via definitiva il 12 marzo 2011; a seguito della chiusura del suddetto reparto, non è stata data nessuna indicazione sul nuovo collocamento dei dirigenti medici, tre chirurghi maxillo-facciali ed un odontoiatra, oltre che del direttore del reparto, il dottor Domenico Scopelliti, lasciando, tra l'altro, nella totale incertezza i 500 assistiti in continuità di cura ed i 350 pazienti in lista d'attesa presso la UOC;
   il professor Domenico Scopelliti, è un chirurgo di fama internazionale, ambito dalle strutture sanitarie di mezzo mondo, primario del reparto; è anche rettore scientifico della fondazione umanitaria «Operation Smile Italia Onlus», l'organizzazione no-profit che dal 1982 opera in 64 Paesi per restituire il sorriso ai bambini affetti da deformità del volto; è stato l'unico italiano ad essere invitato, a maggio scorso al congresso mondiale di malformazioni cranio facciali;
   la sua equipe di Villa Betania, formata da medici con diverse specializzazioni, chirurgia maxillo-facciale, chirurgia ricostruttiva, ortognatodonzia, si occupa da dodici anni di pazienti provenienti da tutta Italia, ed inoltre anche i membri dell’equipe sono tutti volontari e consiglieri scientifici di Operation smile Italia, di cui il dottor Scopelliti è il presidente;
   dal 29 settembre 2000, dopo regolare concorso, il dottor Domenico Scopelliti, ha rivestito il ruolo di direttore della UOC e, grazie anche all'impegno di tutta l’equipe, in breve ha implementato le attività e i servizi della UOC, facendola diventare un modello di riferimento, non solo regionale ma anche nazionale, per il trattamento delle patologie malformative del viso; inoltre, grazie anche all'impegno profuso nell'aggiornamento e nella ricerca, il reparto aveva assunto anche un rilievo scientifico internazionale, partecipando a convegni e congressi in tutto il mondo con contributi scientifici di spessore;
   la scelta di chiudere un reparto d'eccellenza appare agli interroganti, alquanto controversa sotto molteplici aspetti; in primis la chiusura dell'UOC è avvenuta prima dell'assegnazione dei nuovi incarichi ai medici, tutti dipendenti del S. Spirito di Roma, provocandone l'inattività forzata e questo mentre in altri due ospedali romani, il S. Camillo e il S. Giovanni, non c'erano primari di chirurgia maxillo-facciale, ma degli aiuti con ruolo di facenti funzione, come risulta dagli organici; poi, la chiusura provocherà, come ha già provocato, gravi disagi per la salute fisica e la tranquillità psicologica dei pazienti, legati da un forte rapporto umano ai membri dell’equipe medica, data la particolare natura di questo tipo di interventi che possono richiedere lunghi periodi di trattamento chirurgico e terapeutico; come è noto, in molti casi si rendono necessarie intere serie di operazioni e lunghe convalescenze. Ad esempio, gli interventi di chirurgia ortognatica, in particolare, arrivano solitamente al termine di trattamenti preventivi prolungati; quindi, a seguito della chiusura dell'unità operativa, gli interventi chirurgici programmati nel periodo di attività dalla UOC, conseguentemente sospesi ha già colpito direttamente i pazienti, alcuni dei quali sottoposti ad anni di terapia pre-operatoria, a cercare, con urgenza e difficoltà, una nuova disponibilità presso altre strutture;
   oltre al cagionato danno sociale, si aggiunge il danno economico generale per il sistema sanitario, in primis per via della mole di richieste che si sono riversate su liste di attesa già molto lunghe, e poi per la questione delle retribuzione dei medici dell’equipe, come evidenziato dal direttore generale dell'Asl Roma-E al presidente della regione Lazio, con nota del 3 marzo 2011, nella quale si segnala testualmente la problematica inerente al mantenimento in servizio dei dipendenti dell'unità organizzativa «senza utilmente potersi avvalere delle loro prestazione lavorativa, con conseguente danno economico»;
   il professor Giuseppe Spata designato dal Ministero della Salute, nel marzo 2011, sub Commissario ad acta per la regione Lazio, è intervenuto nella vicenda, rilevando che sul territorio regionale esistevano due primariati vacanti di chirurgia maxillo-facciale: uno presso l'ospedale S. Camillo e l'altro presso l'ospedale S. Giovanni. In entrambi i luoghi infatti i ruoli erano temporaneamente coperti da facenti funzione, ex aiuti;
   atteso il decreto regionale relativo alla regolamentazione della mobilità dei dipendenti regionali del comparto sanitario, pubblicato nel maggio 2011, il dottor Spata dava formale comunicazione che l'intero personale della UOC di chirurgia maxillo-facciale della ASL Roma E, alla data del 1° settembre 2011 dovesse confluire per trasferimento presso l'Ospedale S. Camillo-Forlanini e che il medesimo, per tabulas, dovesse assumerne la direzione;
   in data 8 luglio 2011, la regione Lazio, a seguito di sollecito da parte dell'ASL Roma-E, comunicava di ritenere opportuna la data del 1° settembre 2011 per il trasferimento dei componenti del reparto maxillo-facciale, presso l'azienda ospedaliera San Camillo Forlanini;
   in data 31 agosto 2011, la regione Lazio, contrariamente a quanto precedentemente determinato, comunicava la decisione di voler riaprire la chirurgia maxillo-facciale presso l'ospedale S. Spirito, caratterizzandola maggiormente per il trattamento delle malformazioni del volto, il documento recita testualmente ritiene opportuno conservare le attività in essere presso la struttura con conseguente riattivazione dei posti letto e la riprogrammazione delle attività connesse; la ASL Roma-E incaricava, quindi, il dottor Scopelliti di elaborare un programma contenente una valutazione dei costi, tempi e modalità, finalizzato alla riapertura della UOC»;
   tale operazione, oltre a risolvere il problema dell’equipe medica, secondo gli interroganti metteva anche al riparo la regione Lazio da un'eventuale attribuzione di responsabilità amministrativa da parte della Corte dei Conti, che avrebbe potuto sollevare delle obiezioni sulla scelta di aver chiuso per sette mesi il reparto, continuando a pagare i dipendenti e creando un notevole disagio assistenziale, per poi riaprirlo con le medesime caratteristiche;
   il dottor Scopelliti provvedeva a redigere la relazione di cui sopra ed a trasmetterla tempestivamente all'ASL Roma-E in data 6 e 7 settembre 2011, di seguito l'ASL provvedeva a trasmettere la relazione alla regione Lazio; il piano per la riapertura del S. Spirito con questa nuova mission, dedicata anche alle malformazioni del volto, prevede, tra le altre cose, le seguenti necessità:
    a) assumere tre dirigenti medici maxillo-facciali, dato che ad uno era stato sospeso il contratto a termine dopo la chiusura ed un altro aveva chiesto il trasferimento presso l'ospedale di Terni; la terza assunzione si rendeva necessaria data la nuova ubicazione, per garantire guardie e reperibilità;
    b) ristrutturare un nuovo reparto;
    c) acquisire strumentario e attrezzature necessarie allo svolgimento dell'attività;
   nonostante i reiterati solleciti effettuai dalla direzione dell'ASL Roma-E, pervenuta risposta alcuna da parte della regione Lazio, di conseguenza il dottor Scopelliti e la sua equipe sono rimasti in una situazione di totale inattività, non essendo stato attivato né il reparto presso l'ospedale Santo Spirito, ne reso operativo il trasferimento precedentemente disposto presso l'ospedale San Camillo Forlanini;
   con nota del 1o settembre 2011, successivamente confermata con nota del 26 settembre 2011, la UOC di chirurgia maxilio-facciale risulta riattivata e tale dato è confermato dal fatto che presso l'agenzia di sanità pubblica risulta attivo anche il codice che consente la remunerazione delle prestazioni erogate dal servizio. Significa che, almeno sulla carta, l'UOC è presente ed è in carico alla ASL Roma-E, nonostante ciò non si mette in condizione l'UOC ne di funzionare ne di operare poiché, appunto, mancano il personale, il reparto e gli strumenti;
   a seguito di quello che agli interroganti appare un colpevole silenzio della regione Lazio, il dottor Scopelliti si è coraggiosamente auto-denunciato, nonostante percepisse puntualmente lo stipendio da primario praticamente senza lavorare e, proprio non volendo essere concausa dello sperpero di denaro pubblico oltre che volendo difendere la propria posizione professionale, lo stesso, prima ha fatto domanda di aspettativa per inattività forzata, poi ha inteso adire le vie legali per fare chiarezza sulla vicenda, ricorrendo al tribunale del lavoro di Roma;
   il giudice, con sentenza del 2 maggio 2012, depositata in cancelleria del Tribunale ordinario di Roma il 3 maggio 2012, ha emesso l'ordinanza di reintegro del dottor Scopelliti nelle mansioni precedentemente svolte (direttore UOC di chirurgia maxillo-facciale) o in altre equivalenti presso l'ASL Roma-E, ed ha condannato la Regione Lazio e l'ASL Roma-E al pagamento delle spese processuali, compensando le spese per l'ospedale San Camillo Forlanini;
   nell'ordinanza si rileva, tra l'altro, che «nessun dubbio sussiste in ordine alla illegittima condotta datoriale della regione Lazio», in quanto, come evidenziato dalla Suprema Corte, sentenza n. 17564 del 2 agosto 2006, il lavoratore ha «a fortiori» il diritto, sancito dall'articolo 2103 c.c. a svolgere le mansioni per le quali era stato assunto, a non essere lasciato in condizioni di forzata inattività e senza assegnazione di compiti ancorché senza conseguenze sulla retribuzione: e, dunque non solo il dovere, ma anche il diritto all'esecuzione della propria prestazione lavorativa, costituendo il lavoro non solo un mezzo di guadagno, ma anche un mezzo di estrinsecazione della personalità di ciascun cittadino;
   il giudice ha rilevato altresì l'obbligo del datore di lavoro a predisporre le condizioni minime necessarie per consentire la ripresa, sia pure nei limiti delle risorse disponibili, nel caso specifico con riferimento alla struttura ospedaliera del Santo Spirito, dell'attività lavorativa del dottor Scopelliti e della sua equipe;
   nell'ordinanza si rileva testualmente che l'inerzia della Regione Lazio appare ancora più grave considerando che l'UOC maxillo-facciale risulta riattivata ed inserita nel vigente atto aziendale dell'ASL Roma-E, come da nota aziendale del 20 gennaio 2012 presentato dalla stessa;
   le considerazioni del giudice, in merito al «periculum in mora» evidenziano che il prolungato stato di inattività in cui è stato posto il dottor Scopelliti potrebbe ledere irrimediabilmente non solo la professionalità dello stesso impoverendone le competenze tecnico professionali, ma potrebbe pregiudicare anche la possibilità di un rinnovo dell'incarico dirigenziale; infatti tenuto conto che il contratto del dottor Scopelliti scadrà a fine settembre 2012 e che la rinnovabilità e subordinata alla «previa verifica dell'espletamento dell'incarico, con riferimento agli obiettivi affidati e alle risorse attribuite», risulta palese al giudice, come agli interroganti, che il primario in questione potrebbe non essere in grado di redigere adeguata relazione e questo inciderebbe in modo negativo sulla possibilità di rinnovo del contratto;
   il 17 maggio 2012 la ASL Roma-E ha presentato reclamo avverso l'ordinanza emessa dal tribunale di Roma in data 3 maggio 2012, con la quale era stata ordinata la reintegra del dottor Domenico Scopelliti nelle mansioni precedentemente svolte di direttore UOC di Chirurgia maxillo-facciale o in altre equivalenti, con la condanna della ASL reclamante e della regione Lazio, in solido tra di loro, al pagamento delle spese processuali; nel ricorso la ASL sosteneva l'erroneità della decisione del giudice, ritenendo impossibile, per causa alla stessa non imputabile, reintegrare il dottor Scopelliti ed il suo staff, a seguito della disattivazione del reparto per il disposto della regione Lazio;
   l'8 giugno 2012, i magistrati dottor Sordi, dottoressa Pangia e dottor Selmi, riuniti in camera di consiglio per la prima sezione lavoro del tribunale di Roma, con ordinanza depositata in cancelleria il 13 giugno 2012, hanno ritenuto che il reclamo fosse infondato nel merito;
   nella premessa dell'ordinanza i magistrati hanno ribadito che; «l'obbligo di natura contrattuale del datore di lavoro di adibire il dipendente alle mansioni per le quali è stato assunto o comunque a mansioni equivalenti, obbligo sancito espressamente dall'articolo 2103 c.c., ricomprende il più generale obbligo di non lasciare il suddetto lavoratore in condizioni di forzata inattività e senza assegnazione di compiti, avendo il lavoratore non solo un obbligo ma anche il diritto all'esecuzione della propria prestazione lavorativa, costituendo il lavoro non solo un mezzo di guadagno, ma anche un mezzo di estrinsecazione della personalità di ciascun cittadino. La violazione di tale diritto del lavoratore all'esecuzione della propria prestazione è fonte di responsabilità risarcitoria per il datore di lavoro; responsabilità che, peraltro, derivando dall'inadempimento di un'obbligazione, resta pienamente soggetta alle regole generali in materia di responsabilità contrattuale: sicché, se essa prescinde da uno specifico intento di declassare o svilire il lavoratore a mezzo della privazione dei suoi compiti, la responsabilità stessa deve essere nondimeno esclusa – oltre che nei casi in cui possa ravvisarsi una causa giustificativa del comportamento del datore di lavoro connessa all'esercizio di poteri imprenditoriali, garantiti dall'articolo 41 Cost., ovvero di poteri disciplinari – anche quando l'inadempimento della prestazione derivi comunque da causa non imputabile all'obbligato, fermo restando che, ai sensi dell'articolo 1218 codice civile, l'onere della prova della sussistenza delle ipotesi ora indicate grava sul datore di lavoro, in quanto avente, per questo verso, la veste di debitore (Cass. n. 17564 del 2 agosto 2006)»;
   nuovamente, così come ritenuto dal giudice di primo grado, i collegio giudicante ha ritenuto che la ASL Roma-E, in questo caso reclamante, non può che ritenersi inadempiente a tale obbligo (obbligo di natura contrattuale del datore di lavoro) derivante dal rapporto di pubblico impiego tuttora vigente tra le parti, essendo chiaro che a partire dal 7 settembre 2011 il dottor Scopelliti risulta rimasto sostanzialmente privo di mansioni, avendo ricevuto solo in data 3 aprile 2012, un incarico, peraltro provvisorio, di direttore facente funzioni del Dipartimento di chirurgia, incarico quest'ultimo che peraltro, non sembra avere ad oggetto mansioni specificatamente mediche e il cui conferimento non può reputarsi idoneo adempimento degli obblighi della Asl;
   nell'ordinanza si evidenzia l'incongruenza tra le posizioni vantate dall'ASL Roma-E, subordinata alle decisioni della regione Lazio, ed i dati presenti nella documentazione agli atti, secondo i quali la UOC è da ritenersi effettivamente esistente presso la ASL Roma-E sin dal 31 agosto 2011, dato che, come rilevato dal tribunale, la regione Lazio dopo avere disposto con decreto n. 273 del 29 settembre 2010 la disattivazione della UOC (a decorrere dal 31 dicembre 2010, disattivazione poi resa concretamente operativa a partire dal 12 marzo 2011, data in cui è venuta meno anche l'attività ambulatoriale) e dopo avere condiviso, l'opportunità di trasferire la predetta unità presso l'ospedale San Camillo (nota in data 7 luglio 2011), con una successiva nota in data 31 agosto 2011, modificando le precedenti determinazioni, aveva comunicato al direttore generale della Asl la volontà di «conservare le attività in essere presso la struttura, determinazione poi ribadita dal suddetto ente locale con la successiva nota del 26 settembre 2011 con la quale veniva previsto «...il mantenimento dei posti letto dell'Unità Operativa di chirurgia Maxillo-Facciale...in virtù della proposta di riorganizzazione della rete Maxillo Facciale disposta con Decreto 78 del 2010 che prevedeva la possibilità di mantenere le Attività di Chirurgia Maxillo-Facciale presso il complesso del Santo Spirito...» (note del 31 agosto 2011 e del 26 settembre 2011);
   a parere del tribunale, queste determinazioni costituiscono una implicita revoca della precedente soppressione della UOC diretta dal dottor Scopelliti e risultano allo stato vigenti, tanto che la stessa ASL reclamante ha provveduto ad inserire la suddetta UOC nell'organigramma aziendale inviato alla regione con la nota del 20 gennaio 2012;
   la ASL Roma-E ha sostenuto che la regione Lazio avesse nuovamente soppresso la menzionata UOC, con la nota del 23 marzo 2012 nella quale la regione stessa richiamava il precedente provvedimento del 12 gennaio 2012 con cui era stata disposta «una ricognizione di tutte le posizioni apicali vacanti e coperte al fine della ricollocazione degli esuberi» affermando che «non appena saranno acquisiti i dati da tutte le maiuscole aziende del ssr, si procederà tempestivamente all'istruttoria del caso ed all'adozione degli atti conseguenti», ma anche in questo caso il tribunale ha chiarito che tale interpretazione non può ritenersi corretta;
   il tribunale ha riconosciuto l'esistenza della UOC, a cui era preposto il dottor Scopelliti, sin dal 31 agosto 2011, la struttura risulta quindi da tale data semplicemente inattiva, così come aveva rilevato anche il giudice di primo grado; questa circostanza ha portato ad attribuire alla responsabilità della ASL Roma-E, quanto meno in via concorrente con la regione Lazio, il lungo periodo di inattività del dottor Scopelliti;
   essendo certamente imputabile a tale ente il lungo periodo di inattività della struttura a cui il dottor Scopelliti era preposto come dirigente, e vista la conseguente sussistenza del fumus boni iuris in ordine ad un diritto di quest'ultimo, il tribunale, condividendo anche le considerazioni effettuate dal giudice di primo grado in ordine alla imputabilità all'amministrazione datrice di una condotta di inerzia protrattasi per circa sette mesi, e consistita nell'omessa adozione delle concrete misure necessarie per consentire la ripresa, eventualmente in misura ridotta e nei limiti delle risorse disponibili, della UOC in questione e, conseguentemente, dell'attività lavorativa del dottor Scopelliti e della sua equipe, ha ordinato la reintegra nelle mansioni precedentemente svolte o comunque equivalenti. Il tribunale ha altresì riconosciuto la sussistenza di una corresponsabilità, nell'inadempimento degli obblighi che gravavano quale datore di lavoro sulla ASL, della regione Lazio, la quale oltre a tenere una condotta incostante e contraddittoria non risulta avere dato adeguato riscontro alle reiterate richieste di risorse avanzate nei suoi confronti dalla ASL, complicando notevolmente a quest'ultima l'adempimento dei suoi obblighi datoriali;
   nell'ordinanza si legge che l'eventuale responsabilità della regione ben può essere suscettibile di essere fatta valere a livello risarcitorio in separato giudizio, considerazione questa che espone l'ente ad ulteriori procedimenti giuridici, forieri per la parte lesa, ovvero il dottor Scopelliti e la sua equipe, di positivi riscontri, ed invece per la regione Lazio di ulteriore sperpero di denaro pubblico;
   risultano, nell'ordinanza, pienamente condivise le considerazioni effettuate, sul periculum in mora, espresse dal giudice di prime cure in ordine ai pericoli di irreversibile lesione della elevata professionalità del dottor Scopelliti e della perdita della possibilità per quest'ultimo di vedersi rinnovato l'incarico alla naturale scadenza dello stesso;
   il reclamo, integralmente rigettato dal tribunale del lavoro, con conferma dell'ordinanza di primo grado, ha prodotto ulteriore condanna per l'ASL Roma-E a rifondere nuovamente le spese processuali;
   nel caso del dottor Scopelliti hanno parlato ampiamente i quotidiani e le televisioni, è stato fatto un servizio da Striscia la notizia su Canale 5, dalla trasmissione l'Aria Che Tira su La7, da trasmissioni RAI e sono apparsi numerosi articoli su quotidiani regionali e riviste –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   quali siano le motivazioni, anche in considerazione delle esigenze di razionalizzazione della spese di cui al piano di rientro della scelta di chiudere un reparto prima e di fare solo successivamente il piano di mobilità;
   se, in particolare alla luce della politica del risparmio caratterizzante questo Governo, e data la presenza di un subcommissario ad acta nominato presso la regione Lazio, non si ritenga consono dover far occupare le esistenti posizioni di ruolo mancanti, in questo caso primariale, utilizzando il personale in esubero;
   quali ulteriori iniziative di competenza si intendano assumere al riguardo. (4-17379)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   STRIZZOLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 aprile 2012 è stato revocato lo stato di emergenza nel territorio del Friuli Venezia-Giulia, in ordine alla situazione socio-economica ambientale determinatasi nella laguna di Grado e Marano Lagunare;  
   nell'ambito del sito di interesse nazionale «Laguna di Grado e Marano» era stata valutata, con un iter dedicato, la situazione dell'area industriale Caffaro e sue pertinenze;
   in data 2 luglio 2012, l'ente ha ricevuto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche), il decreto direttoriale concernente il provvedimento finale di adozione, ex articolo 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241, delle determinazioni conclusive della Conferenza di servizi decisoria, relativa al sito di interesse nazionale «Laguna di Grado e Marano», del 7 giugno 2012;
   nei verbali della stessa conferenza di servizi, non viene citata alcuna decisione presa per il sito industriale Caffaro di Torviscosa, ma nello stesso tempo si allegano documenti (Allegato F – 7 giugno 2012 prot. n. 0021959) in cui si legge, tra l'altro, «Pareri tecnici di ISPRA sui documenti:
    «Progetto Operativo di bonifica dell'area arginale compresa nella Macroarea 7 sito Caffaro», trasmesso dal C.S. di Caffaro Srl e Caffaro Chimica Srl in A.S. Con nota del 29 settembre 2011 e «Integrazioni al Progetto Operativo di bonifica dell'area arginale compresa nella macroarea 7 dello stabilimento Caffaro di Torvicosa» trasmessa con nota del 23 gennaio 2012;
    «Interventi di potenziamento della barriera idraulica» trasmesso dal C.S. di Caffaro Srl e Caffaro Chimica Srl in A.S. con nota del 29 settembre 2011 e «Chiarimenti alle osservazioni della COS istruttoria del 29 novembre 2011», trasmesso con nota del 12 gennaio 2012;
   nell'Allegato, sono incluse le osservazioni al fine della complessiva valutazione di fattibilità tecnica del progetto;
   nelle osservazioni contenute nel documento si evidenzia che – «in ogni caso, data l'incertezza sui dati analitici appena discussi, l'affermazione secondo cui “si può fondamentalmente escludere l'esistenza di uno stato di grave contaminazione” non è almeno per l'area a valle delle discariche, condivisibile»;
   inoltre, nei documenti preparatori alla conferenza di servizi istruttoria del 3 maggio 2011 venivano evidenziate varie prescrizioni e richieste di chiarimento con indicazioni precise che venivano poi fatte proprie dal decreto direttoriale di adozione della conferenza di servizi decisoria del 26 luglio 2011 (verbali trasmessi il 29 agosto 2011 prot. Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 1749/TRI/DI/B);
   nel documento presentato anche al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare titolato: «Accordo relativo ad un Programma di interventi di messa in sicurezza di emergenza ed eventuali interventi di bonifica di alcune aree della società Caffaro Srl in A.S. Nel sito di Torviscosa (Udine)», sottoscritto da: a) commissario delegato per l'emergenza socio economico ambientale per la laguna di Grado e Marano (Dott. Gianni Menchini); b) commissario straordinario delle società: Caffaro Srl e Caffaro chimica Srl in A.S. (Avv. Marco Cappelletto); c) Avvocatura dello Stato di Trieste (Avv. Daniela Salmini), in data 26 luglio 2011 venivano previsti interventi e scadenze temporali, nonché le specifiche tipologie d'intervento (Ambientale, economico o economico-ambientale);
   il documento dell'ARPA, protocollo n. 0002262-P del 20 marzo 2012 con oggetto: SIN-Caffaro Srl in AS, sito di Torviscosa (Udine) conferenza di servizi del 29 novembre 2011, contiene alcune note integrative ed osservazioni;
   il documento dell'ARPA, protocollo n. 0004842-P dell'8 giugno 2012, con oggetto: SIN-Caffaro Srl in AS, sito di Torviscosa (Udine) – monitoraggio acque e indagini vasche Peci Benzoiche, ricevuto personalmente dal sindaco di Torviscosa, Roberto Fasan, evidenzia la criticità della contaminazione, nonché l'importanza del proseguire con le azioni di controllo già programmate, allo scopo di acquisire elementi utili al completamento dei progetti di bonifica in corso;
   il documento dell'ARPA, protocollo n. 0004983-P del 13 giugno 2012, con oggetto: SIN-Caffaro Srl in AS, sito di Torviscosa (Udine), evidenzia una mancanza di riscontri operativi relativi alla conferenza di servizi istruttoria del 29 novembre 2011;
   il documento dell'ARPA, protocollo n. 0004984-P del 13 giugno 2012, con oggetto: SIN-Caffaro Srl in AS, sito di Torviscosa (Udine) illustra la valutazione dello stato di contaminazione di ciascuna delle 11 aree omogenee in cui è stata suddivisa la proprietà Caffaro nel comune di Torviscosa;
   il sindaco pro-tempore di Torviscosa, anche in qualità di custode giudiziale del «Canale Banduzzi», sottoposto a sequestro preventivo con decreto G.I.P. Udine n. 157/02 R.G. G.I.P. del 1o giugno 2005, come integrato il 9 giugno 2005, ha richiesto, ai Ministri interrogati e alle autorità competenti della regione Friuli Venezia-Giulia, con lettera formale del 16 luglio 2012 le opportune risposte e/o indicazioni, sul proseguimento delle procedure e sul comportamento operativo del comune, in quanto dopo la revoca dello stato di emergenza decretato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 aprile 2012 e l'ordinanza di protezione civile n. 10 del 22 giugno 2012, allo stesso sindaco nulla è stato comunicato in merito al passaggio di responsabilità nella gestione delle criticità socio economico ambientali che il territorio di competenza continua a soffrire;
   il sindaco di Torviscosa avrebbe, inoltre, reso noto di non ritenere vi siano più le condizioni per continuare ad operare quale custode giudiziale, avendo competenze di mero carattere formale e burocratico, senza peraltro essere messo a conoscenza delle azioni intraprese o che si intendono intraprendere in merito e, senza avere alcun potere decisionale sulle azioni necessarie alla rimozione del sequestro in atto, tenendo conto, tra l'altro, che tra le principali prerogative-doveri di un sindaco ci sono le funzioni legate alla tutela della salute dei cittadini nonché dell'ambiente del territorio amministrato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle gravi problematiche che sono presenti nel territorio del comune di Torviscosa (Udine) e nelle aree dei comuni circostanti quale conseguenza della crisi della Caffaro industrie chimiche in amministrazione straordinaria e quali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo, anche in collaborazione con le autorità locali. (4-17378)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


   DI PIETRO e FAVIA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 dicembre 2011 è stata presentata da parte della Società «4C» S.S. alla regione Marche una richiesta di autorizzazione per il potenziamento e l'esercizio di un impianto per la produzione di energia con l'utilizzo del biogas in comune di Castelbellino (AN);
   in data 17 gennaio 2012 si è tenuta la prima conferenza di servizi, conclusa con l'invito per la società ad integrare la documentazione così da acquisire i pareri mancanti degli enti e in particolare il parere della Soprintendenza – per l'aspetto architettonico e paesaggistico – e il parere del comando territoriale dei vigili del fuoco;
   la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici con nota del 28 febbraio 2012 ha espresso parere negativo all'esecuzione dell'intervento;
   in data 13 marzo 2012, si è svolta la seconda conferenza di servizi alla quale erano presenti due rappresentanti della società richiedente l'autorizzazione, due progettisti dell'impianto, il sindaco del comune di Castelbellino con altri due rappresentanti tecnici del comune e un funzionario della regione Marche delegato dal dirigente responsabile del procedimento; la conferenza di servizi si chiude con il «rilascio dell'autorizzazione previa acquisizione del parere favorevole da parte del comando provinciale dei vigili del fuoco e della Soprintendenza»;
   in data 11 giugno 2012, il sindaco di Castelbellino, dopo aver ricevuto il 9 giugno 2012 copia del verbale della conferenza di servizi, ha rilevato alcune inesattezze e ha chiesto con una lettera indirizzata alla regione Marche integrazioni e modifiche al verbale; il sindaco ha precisato che all'inizio del suo intervento (avvenuto dopo la relazione tecnica dei progettisti dell'impianto) chiese se fosse pervenuto il parere della Soprintendenza – necessario in quanto il territorio comunale è vincolato – e gli venne risposto che non era pervenuto alcun parere. Per questo motivo il sindaco non ha espresso il proprio parere, in assenza di quello della Soprintendenza. Nel verbale della conferenza, invece, è stato riportato che all'inizio di seduta era già presente – tra i pareri – quello negativo della Soprintendenza. Il sindaco ha rilevato che a seduta avanzata è stato consegnato un documento al funzionario regionale che, verso fine seduta, viene identificato quale parere della Soprintendenza. Contrariamente a quanto scritto a verbale, tutta la conferenza di servizi si è tenuta senza prendere in considerazione il parere della Soprintendenza (parere negativo) sicuramente già noto a molti perché recepito dalla regione in data 7 marzo 2012 (una settimana prima della conferenza), ma non al sindaco e ai tecnici del comune di Castelbellino. Sulla base di queste osservazioni, il sindaco, nella sua nota, ha dichiarato di esprimere un parere non favorevole all'impianto e ha chiesto la rettifica di quanto contenuto nel verbale dichiarando il suo parere «non sfavorevole» – così come riportato – non rispondente alla verità e lesivo della dignità;
   la regione ha risposto alla nota del sindaco in data 21 giugno 2012 – prendendo atto del parere formalmente contrario dell'amministrazione comunale ma facendo tuttavia presente che esso non appare sufficientemente motivato – ed ha ribadito che l'iter autorizzativo si è concluso favorevolmente;
   l'istruttoria, ad avviso dell'interrogante, non può considerarsi conclusa positivamente ai fini del rilascio dell'autorizzazione in assenza dei pareri positivi della Soprintendenza e dei vigili del fuoco e senza che si tenga conto del parere e delle obbiezioni del sindaco –:
   se il Governo non ritenga indispensabile verificare le notizie riportate in premessa e quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, nelle opportune sedi. (4-17345)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGANO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la marina militare americana ha avviato nella sua base di Niscemi, cittadina siciliana insistente nella provincia di Caltanissetta e sita all'interno della riserva naturale della Sughereta, attività di installazione di un nuovo sistema di telecomunicazioni satellitare, il cosiddetto Mobile user objective system (di seguito M.U.O.S.);
   il M.U.O.S. è un sistema radar satellitare di ultima generazione formato da: a) tre antenne paraboliche, dal diametro di 18 metri e alte all'incirca 50 metri; b) un'antenna elicoidale, alta 148 metri usata per le comunicazioni dei sottomarini; c) quattro stazioni di terra – Niscemi, Virginia, Hawaii, Australia – collegate tra loro grazie all'ausilio di cinque satelliti geostazionari, la cui funzione consiste nel raccogliere e smistare i dati inviati dalle apparecchiature militari sul campo di battaglia, con particolare riguardo agli «utenti mobili» (i droni). Il M.U.O.S. è stato concepito per sostituire la rete già presente nella base di Niscemi, la Naval Radio Trasmitter Facility-8, costituita da 41 antenne aventi una potenza di emissione nell'ordine dei 500-2000 Kw e utilizzate per le comunicazioni in superficie e sott'acqua;
   rilievi effettuati dall'Arpa Sicilia sulla stazione tra il 2008 e il 2010 hanno evidenziato che le emissioni di onde elettromagnetiche da essa generate si sarebbero poste al limite della soglia di attenzione di 6 V/m fissata dalla normativa vigente in materia di campi elettromagnetici (legge n. 36 del 2001; decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003). Le misurazioni, tuttavia, sarebbero avvenute in una fase in cui l'impianto non era pienamente funzionante e alla massima potenza;
   la pericolosità per la salute dei cittadini e per l'ambiente circostante viene ben rappresentata dal parere espresso sui citati rilievi dell'Arpa Sicilia per conto del comune di Niscemi dal professor Massimo Zucchetti, docente di impianti nucleari del dipartimento energia del politecnico di Torino e dal ricercatore Massimo Coraddu: «... per un principio di salvaguardia della salute della popolazione e dell'ambiente, non dovrebbe essere permessa alcuna installazione di ulteriori sorgenti di campi e.m. presso la stazione NRTF di Niscemi, e anzi occorre approfondire lo studio delle emissioni già esistenti e pianificarne una rapida riduzione, secondo la procedura di “riduzione a conformità” prevista dalla legislazione italiana in vigore». In un'intervista successiva rilasciata ai mezzi di informazione il professor Zucchetti avrebbe inoltre affermato che il Muos «prevede una copertura radar globale a scopo bellico e che contrariamente ai normali radar, che si trovano negli impianti civili, ha la caratteristica di essere molto più potente», tanto che «di solito questi impianti vengono posizionati in zone disabitate oppure in isolotti»;
   è ormai pacifico che le onde elettromagnetiche, in fase di «attività normale» di un'antenna, producano radiazioni, ma nel caso del M.U.O.S. la situazione è resa ancor più grave almeno da due circostanze. In fase di puntamento verso uno specifico bersaglio il sistema produce radiazioni che non si concentrano solo verso quella specifica direzione, ma si diffondono su ampio spettro. Inoltre il M.U.O.S., come pure le antenne NRTF, sarebbe posto a una distanza troppo esigua dal centro abitato con ripercussioni negative sulla salute degli abitanti, sia dirette (a causa dell'acclarata correlazione tra esposizione a onde elettromagnetiche e patologie tumorali) che indirette (interferenze con apparecchiature medicali elettroniche: pacemaker, defibrillatori, apparecchi acustici e altre attrezzature ospedaliere) anche a lungo termine;
   oltre a quanto testé esposto le radiazioni emesse dal M.U.O.S. rischiano di compromettere gravemente l'equilibrio dell'ambiente circostante. È, infatti, già stato specificato che la base militare americana di Niscemi sorge all'interno di uno dei pochi parchi naturali con alberi da sughero ormai rimasti in Italia. La riserva della Sughereta, che dal 2000 è annoverata a pieno titolo quale sito di importanza comunitaria, è già oggetto di protezione da parte di leggi che vietano di danneggiare o deturpare alberi e ambiente e ai sensi del Piano territoriale della provincia di Caltanissetta non è concesso realizzare nuove costruzioni e infrastrutture presso il parco. Al contrario, e in spregio di tali norme, i lavori propedeutici all'installazione del (M.U.O.S.) (comprensivi di attività di disboscamento e spianamento di una collina) hanno cambiato gli equilibri naturali del paesaggio circostante. Nel contempo si stima che la potenza emissiva della stazione elettromagnetica sarebbe in grado di produrre effetti biologici su esseri umani, flora e fauna in un raggio di 140 chilometri;
   altri dati possono essere citati a dimostrazione della pericolosità dell'installazione del M.U.O.S.: a) i vertici militari della base americana di Sigonella (SR), presso cui originariamente era prevista la creazione della stazione, hanno optato per lo spostamento a Niscemi dopo avere rilevato che le elevate emissioni elettromagnetiche avrebbero potuto determinare il rischio di innesco delle armi esplosive installate sui velivoli da battaglia; b) l'errato puntamento delle antenne o eventuali incidenti all'interno del M.U.O.S. potrebbero arrecare danni immediati e mortali ai civili residenti nelle zone limitrofe; c) in fase di puntamento delle antenne il fascio di onde emesse avrebbe ripercussioni sulle apparecchiature di bordo degli aeromobili, con conseguenze negative anche sul traffico aereo che ruota intorno al terminal catanese di Fontanarossa e al costruendo aeroporto di Comiso –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se il Governo non ritenga, in virtù del principio di cooperazione, di intervenire presso la marina militare statunitense affinché – anche in considerazione del fatto che recentemente l'Assemblea regionale siciliana ha espresso parere favorevole rispetto a due ordini del giorno miranti ad impegnare il governo regionale a bloccare qualsiasi installazione a fini di trasmissione, a revocare autorizzazioni già rilasciate per nuovi impianti e ad intervenire presso il Governo nazionale – non si realizzi il sistema MUOS nel comune di Niscemi. (4-17343)


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogazione n. 4-14408, con cui gli interroganti chiedevano iniziative volte a rendere omogenea la disciplina per l'impiego del personale nei servizi armati, il Ministro della difesa ha risposto in data 24 luglio 2012 affermando che «[...] essendo le normative pienamente rispondenti alle esigenze operative ed in linea con i criteri di impiego del personale non si ritiene necessario assumere iniziative di modifica al riguardo»;
   con fonogramma di STATESERCITO-DOTTRINA – numero protocollo 46698 datato 23 luglio 2012, sono state emanate nuove disposizioni relative al limite di età per svolgere i servizi armati in ambito Esercito prevedendo l'innalzamento del predetto limite a 50 anni di età anagrafica –:
   se sia a conoscenza dei fatti in premessa e quali siano le ragioni dell'azione intrapresa dal vertice militare dell'Esercito. (4-17344)


   BARBATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   c’è stato un concorso pubblico, per titoli ed esami per il 2012, per il reclutamento di 3.756 volontari in ferma prefissata quadriennale nell'Esercito, nella Marina militare, compreso il corpo delle capitanerie di porto, e nell'Aeronautica militare, indetto con decreto interdirigenziale n. 306 dell'11 ottobre 2011, emanato dalla direzione generale per il personale militare di concerto con il comando generale del corpo delle capitanerie di porto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – 4a serie speciale n. 82 del 14 ottobre 2011 riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP 1) in servizio, anche in rafferma annuale, o in congedo per fine ferma, così suddivisi: 2900 posti nell'Esercito ripartiti nella seguenti immissioni: 1450 posti nella 1a immissione, 1450 posti nella 2a immissione, 365 posti nella Marina Militare, di cui 314 per il Corpo equipaggi militari marittimi (CEMM) e 42 per il Corpo delle capitanerie di porto (CP) ripartiti nelle seguenti immissioni: 178 posti, di cui 157 per il CEMM e 21 per le CP nella 1a immissione 178 posti, di cui 157 per il CEMM e 21 per le CP nella 2a immissione, 500 posti nell'Aeronautica Militare ripartiti nella seguente immissione: 250 posti nella 1a immissione, 250 posti nella 2a immissione;
   lo svolgimento del concorso per ciascuna immissione prevedeva una prova di selezione culturale, accertamenti, nell'ambito di ciascuna Forza armata, dell'idoneità fisio-psico-attitudinale comprensiva delle prove di efficienza fisica, valutazione dei titoli;
   con il decreto n. 380 del 6 dicembre 2011 si ha l'aumento di circa 474 posti nella sola immissione dell'Esercito;
   la prova di selezione culturale relativa alla immissione del concorso inizia il 31 gennaio 2012 e termina il 13 febbraio 2012;
   con il decreto n. 34 del 14 febbraio 2012 è stato dato l'avviso riguardante la sessione di recupero delle prove di preselezione a causa delle eccezionali condizioni metereologiche avverse che hanno colpito l'Italia;
   la sessione di recupero della prova di selezione culturale avviene nei giorni 1-2 marzo 2012;
   il decreto n. 51 dell'8 marzo 2012 – esiti della selezione culturale Esercito Italiano, ha decretato idonei n. 3000 candidati alle fasi successive del concorso;
   il decreto n. 52 dell'8 marzo 2012 – esiti della selezione culturale Marina Militare, ha decretato idonei n. 463 candidati alle fasi successive del concorso;
   il decreto n. 53 dell'8 marzo 2012 – esiti della selezione culturale Aeronautica Militare, ha decretato idonei n. 500 candidati alle fasi successive del concorso;
   il 18 maggio 2012 è stato fissato calendario prove di selezione culturale per la 2a immissione del concorso, con inizio 20 giugno 2012 fino al 2 luglio 2012;
   il decreto n. 128 del 14 giugno 2012 ha approvato la graduatoria finale riguardante la 1a immissione della Marina militare, risultano vincitori n. 80 concorrenti per il CEMM (a fronte dei 157 posti previsti inizialmente dal bando) e n. 21 concorrenti per la CP (numero dei posti rimasto invariato come da bando);
   con il decreto n. 138 del 20 giugno 2012 – è stata approvata la graduatoria finale riguardante la 1a immissione dell'Esercito risultano vincitori n. 1375 concorrenti (a fronte dei 1924 posti previsti inizialmente dal bando e dal successivo aumento);
   con il decreto n. 139 del 21 giugno 2012 – è stata approvata la finale graduatoria la 1a immissione dell'aeronautica militare, risultano vincitori n. 250 concorrenti (posti previsti inizialmente dal bando);
   settantasette giovani sono risultati vincitori tra questi, ciò nonostante, per effetto dei tagli operati dalla cosiddetta Spending review non sono più idonei;
   l'articolo 11 di questo bando enuncia: «Resta impregiudicata per l'Amministrazione della difesa la facoltà di revocare il presente bando di concorso, modificare il numero dei posti, annullare, sospendere o rinviare lo svolgimento delle attività previste dal presente concorso o le ammissioni alla ferma prefissata quadriennale dei vincitori, in ragione di esigenze attualmente non valutabili né prevedibili, ovvero in applicazione di leggi di bilancio dello Stato o finanziarie o di disposizioni di contenimento della spesa pubblica. In tal caso, l'Amministrazione della difesa provvederà a dare formale comunicazione mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – 4a serie speciale»;
   la Gazzetta Ufficiale non ha dato comunicazione alcuna dei tagli effettuati in questo bando di concorso;
   i 77 giovani idonei vincitori sono venuti a conoscenza dei suddetti tagli solo ed esclusivamente leggendo la graduatoria;
   lo Stato italiano attraversa una profonda crisi economica ed è in atto una riorganizzazione/riduzione organico-amministrativa;
   nel corso delle procedure concorsuali si è incrementato il 6 dicembre 2012 di n. 474 posti circa la 1a immissione dell'Esercito, convocando di seguito n. 3000 persone alle altre fasi concorsuali (visite mediche, prove efficienza fisica ed eventualmente colloquio con lo psicologo) per dichiarare poi vincitori solo 1375 persone;
   risultano dunque 77 marinai vincitori perché collocati nei primi 157 posti della graduatoria finale (previsti dal bando) e pubblicata il 14 giugno 2012;
   ci sono pertanto 77 volontari idonei e vincitori pronti a partire, mentre il Ministero della difesa preferisce esaminare nuovi concorrenti, e sostenere altre spese per le procedure concorsuali, il tutto per assumere n. 80 volontari della stessa categoria ossia CEMM;
   tutto ciò appare all'interrogante contraddittorio e fuorviante;
   se i tagli sono stati fatti per motivi economici, non si comprende cosa si risparmierebbe con tale decisione del tutto «discriminante» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intenda assumere rispetto ad essi;
   se non intenda assumere iniziative per l'assorbimento/reclutamento come da bando anche di questi 77 giovani vincitori;
   per quali motivi gli stessi non siano stati raggiunti da alcun avviso o spiegazione rispetto all'epilogo del bando, posto che gli stessi hanno subito un dispendio economico e di tempo;
   se non si intenda seguire l'esempio dell'Aeronautica militare che dopo avere giudicato idonei e vincitori i primi 250 volontari (come previsto dal bando) per la 1a immissione, per i quali il Ministero ha sostenuto spese per le procedure concorsuali, per la 2a immissione ha previsto solo il reclutamento di n. 50 volontari, cosicché gli stessi al termine delle procedure concorsuali non subiranno tagli, perché già effettuati ed annunciati in precedenza, considerato che i giovani hanno diritto a ricevere spiegazioni, hanno diritto al lavoro e soprattutto meritano lealtà, trasparenza e democrazia. (4-17366)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   Ansaldo Energia s.p.a. è attualmente tra i primi gruppi al mondo produttore di energia e con una vasta offerta di prodotti e servizi copre l'intera gamma della produzione di energia con la fornitura di centrali elettriche e di turbine e generatori;
   la società è la prima delle aziende del gruppo Ansaldo, il settore civile di Finmeccanica, la quale ne detiene il controllo con il 55 per cento delle quote, mentre il restante 45 per cento e stato ceduto per 500 milioni di euro, nel marzo 2011, alla statunitense First Reserve, specializzata nel settore energia;
   nel 2011 Ansaldo Energia ha conseguito ricavi per 1,2 miliardi di euro ed ha acquisto ordini per 335 milioni dall'Italia, per 389 dall'Europa, per 479 dall'Africa, per 28 milioni dal Medio Oriente, per 15 dalle Americhe e per 3 milioni dall'Asia;
   secondo le associazioni di categoria, il gruppo, a livello italiano, genera un indotto di quasi 10 mila posti di lavoro;
   secondo organi si stampa, il gruppo tedesco Siemens è sul punto di finalizzare un'offerta da 1,3 miliardi di euro per l'acquisto dell'azienda;
   la vendita rientrerebbe nel disegno più volte confermato dal presidente del gruppo Finmeccanica Giuseppe Orsi, di alienare i comparti «civili» del gruppo, per puntare su tre settori strategici quali difesa e l'aerospazio;
   Ansaldo Energia opera in un settore strategico quale quello dell'energia rispetto al quale vi sono ampie potenzialità di crescita ed ha il più alto numero di brevetti (17 per cento) in Finmeccanica;
   secondo le associazioni di categoria, ma anche esperti e operatori del settore, con asset Finmeccanica starebbe tentando di sanare le perdite da 2,3 miliardi di euro vendendo un asset operante in un settore industriale in crescita a livello mondiale e concentrando il core-business su comparti che attualmente accusano contrazioni molto più forti, quali difesa e aerospazio;
   le sigle sindacali di Ansaldo Energia hanno preso posizione contro la cessione, che un'operazione con cui la Siemens tenterà di inglobare un concorrente importante e temono che tutto il settore ricerca e sviluppo dell'azienda sia smantellato;
   secondo esperti del settore l'interesse della Siemens risiede nel fatto che nel 2015 scadranno gli accordi di licenza firmati nel 2005 con Ansaldo Energia la quale nel frattempo ha sviluppato nel settore ricerca prodotti migliorati in grado di competere sul mercato e mettere in difficoltà l'azienda tedesca; appare chiaro ad avviso degli interpellanti quindi l'interesse ad acquisire un concorrente pericoloso, ancorché più piccolo, riducendone il peso sul mercato;
   nel corso dell'audizione alla X Commissione del Senato, il presidente di Finmeccanica ha sostanzialmente confermato la cessione di Ansaldo Energia giustificata dal fatto che si tratta di una scelta di tipo strategico perché tra 5 anni le risorse per la nuova generazione di turbine non saranno sufficienti e al contempo si è impegnato a garantire che sia mantenuta una quota di presenza in azienda, che il trasferimento di proprietà non comporti perdite di tecnologie e posti di lavoro e che l'indotto sul territorio non ne risenta;
   non si comprende quale sia la politica industriale che il Governo intenda perseguire e quale siano le strategie di Finmeccanica; per l'Italia, si concretizza il rischio di perdere un'azienda in salute, che produce reddito, e determina un cospicuo gettito per l'erario;
   non è possibile procedere con questa soluzione senza un'attenta discussione sulla politica il Governo intende adottare e senza una spiegazione circa i motivi per i quali non si ritenga mantenere un'azienda come questa –:
   se i Ministri non ritengano utile assumere ogni iniziativa di competenza al fine di salvaguardare l'interesse pubblico ed evitare quella che agli interpellanti appare una vera e propria svendita di un'azienda sana come Ansaldo Energia s.p.a. cosa che si configurerebbe con la cessione delle quote detenute da Finmeccanica alla concorrente tedesca Siemens, a tal fine anche considerando l'intervento, nella trattativa di offerta, di altre aziende di Stato.
(2-01637) «Boccia, Lulli, Vico, Quartiani, Colaninno, Marchioni, Martella, Mastromauro, Peluffo, Scarpetti, Federico Testa, Zunino, Boccuzzi, Boffa, Bordo, Cuomo, Dal Moro, De Micheli, Esposito, Garofani, Genovese, Ginefra, Graziano, Iannuzzi, Marantelli, Orlando, Portas, Rossa, Recchia, Vaccaro».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ESPOSITO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 luglio 2012 la direzione provinciale di Torino dell'Agenzia delle entrate con un comunicato stampa ha annunciato di aver scoperto un'evasione di 2,9 milioni di euro di imponibili non dichiarati a carico di una decina di notai torinesi;
   l'indagine ha accertato che i notai utilizzavano il meccanismo di trasformare i compensi tassati in rimborsi spese anticipati per conto del cliente;
   ovviamente il plauso ai funzionari dell'Agenzia delle entrate è totale, ma risulta anomalo, ad avviso dell'interrogante, che la comunicazione pubblica sia risultata monca in quanto i nomi dei notai evasori non sono stati resi noti;
   in un momento in cui l'azione del Governo è giustamente proiettata a colpire l'inaccettabile piaga dell'evasione fiscale, risulta all'interrogante quanto meno anomalo che i notai torinesi vengono preservati con l'anonimato, tenendo anche conto del delicatissimo ruolo di pubblici ufficiali che gli stessi svolgono per conto dello Stato e nei confronti dei cittadini –:
   se il Governo non ritenga di garantire la necessaria trasparenza sulla questione e quali iniziative intenda assumere, anche effettuando ispezioni e verifiche, qualora ritenga venuto meno il rapporto fiduciario tra Stato e notai evasori. (5-07712)

Interrogazioni a risposta scritta:


   STUCCHI e CONSIGLIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le sanzioni previste per le «manifestazioni a premio» sono disciplinate dall'articolo 124 del regio decreto-legge 19 ottobre 1938, n. 1933, convertito con modificazioni nella legge 5 giugno 1939, n. 973, così come modificato dall'articolo 19, comma 5, lettera c) della legge 27 dicembre 1997, n. 449, come in ultimo modificato dall'articolo 12, comma 1, lettera o) del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39 convertito con modificazioni nella legge 24 giugno 2009, n. 77;
   l'articolo 12, comma 1, lettera o) del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39 recita «(..) Conseguentemente in caso di concorsi ed operazioni a premio di cui è vietato lo svolgimento si applica la sanzione amministrativa da euro cinquantamila a euro cinquecentomila (...)»;
   l'applicazione di sanzioni amministrative elevatissime, a fronte di violazioni della normativa inerente manifestazioni a premio senza fini di lucro e/o con premi costituiti da piccole somme (poche migliaia di euro), sono ad avviso dell'interrogante di fatto sproporzionate rispetto alla multa richiesta dal Ministero dello sviluppo economico, e non sopportabili economicamente da qualsiasi privato cittadino o azienda, soprattutto in questo attuale contesto di grave crisi –:
   se intendano assumere iniziative al fine di riordinare la normativa in materia di «manifestazioni a premio», in modo da rendere conforme e proporzionata l'applicazione della sanzione amministrativa al merito della relativa violazione. (4-17346)


   CASSINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella maggioranza dei Paesi europei gli investimenti per l'istruzione sono rimasti pressoché immutati, circa il 5 per cento del prodotto interno lordo fino al 2008, ossia fino a poco prima della crisi economica. L'Italia è al 4,6 per cento. In risposta alla crisi, alcuni Governi hanno assunto specifiche misure per evitare di diminuire i fondi per l'istruzione e salvaguardare le riforme implementate nell'ultimo decennio, ma nel nostro Paese non è stato così;
   il decreto-legge n. 95 del 2012 «disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica», all'articolo 14, detta disposizioni in materia di riduzione di spesa di personale; In particolare, per quanto concerne i docenti a tempo indeterminato prevede: al comma 17, vi siano una serie di opzioni alternative finalizzate a consentire che possano esercitare la funzione docente coloro che siano in esubero nella propria classe di concorso e, invece, al comma 14 l'immediato transito forzato dei docenti delle classi di concorso C-999 e C-555 nei ruoli del personale non docente con la qualifica di assistente amministrativo o tecnico o collaboratore scolastico in base al titolo di studio posseduto. Quindi solo gli insegnanti in esubero delle classi C-999 e C-555 immediatamente sono adibiti a funzioni non docenti (comma 14), tutti gli altri insegnanti in esubero possono fruire di una serie di opzioni la cui priorità è garantire da parte loro l'esercizio della funzione docente (comma 17);
   in Italia i docenti, risorsa imprescindibile della nostra società, interessati da questo provvedimento sono 536;
   tale provvedimento non risponde neanche ad una logica di riduzione della spesa, perché il personale interessato continua ad essere pagato come docente –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per far sì che la situazione, che appare iniqua e discriminatoria, venga risolta, consentendo agli insegnanti delle classi C-999 e C-555 di essere ricollocati come personale docente, come prevede il comma 17. (4-17349)


   NARDUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 (decreto cosiddetto Salva-Italia) ha disposto all'articolo 26 la prescrizione, con decorrenza immediata, a favore dell'erario delle banconote, dei biglietti e delle monete in lire ancora in circolazione. Pertanto, dalla giornata del 7 dicembre 2011, la Banca d'Italia non effettua più le operazioni di conversione lira-euro;
   detta prescrizione opera abrogando di fatto il termine di prescrizione del 28 febbraio 2012, previsto per la conversione in euro delle lire in circolazione, ai sensi dell'articolo 3, comma 1-bis, della legge n. 96 del 1997 e dell'articolo 52-ter, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 213 del 1998;
   la disposizione, non preceduta da alcun preavviso, prevedendo la prescrizione immediata delle lire ancora in circolazione a beneficio dell'erario, ha colto di sorpresa molti cittadini che non erano organizzati per effettuare il cambio delle lire in euro, anche per mancanza di adeguata informazione in merito;
   la prescrizione anticipata della validità delle lire in circolazione, non essendo stata adeguatamente pubblicizzata, ha comportato, soprattutto da parte di anziani e residenti all'estero, una perdita di denaro consistente, frutto di risparmi accumulati per anni, essendo concretamente mancato il tempo per adeguarsi alle nuove disposizioni;
   in sede di conversione in legge del decreto-legge n. 216 del 2011, recante proroga di termini previsti dalle disposizioni legislative – il cosiddetto mille proroghe – il Governo ha accolto l'ordine del giorno 9/4865-B/24 a firma Narducci mirato a salvaguardare la possibilità dei cittadini di convertire in euro le lire di cui erano ancora in possesso, ignari del fatto che dal 7 dicembre 2011 la Banca d'Italia non avrebbe più effettuato le operazioni di conversione lira-euro. Infatti, in tale ordine del giorno si impegnava il Governo «a valutare la possibilità di riconoscere una proroga di termini nell'autorizzazione della Banca d'Italia in materia di conversione in euro delle lire ancora in circolazione, prevedendo allo scopo anche un'adeguata informazione nei confronti dei cittadini italiani residenti all'estero» –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito all'ordine del giorno summenzionato e come intenda procedere per mantenere fede all'impegno assunto e permettere, in tal modo, ai cittadini interessati di poter recuperare i propri risparmi. (4-17364)


   SCILIPOTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la signora Innocenza Maria Campo lamenta la sparizione di atti relativi ad operazioni finanziarie svolte sul suo conto presso la banca Generali;
   il 4 gennaio 2008, banca Generali solo a seguito dell'ulteriore richiesta datata 8 novembre 2007 della Guardia di finanza di Ragusa, riferisce di un borsino azionario BAV sottoscritto con Banca intesa con sede a Parma in via Langhirano 1;
   la procura di Ragusa il 31 luglio 2007 ordinava agli istituti di credito di comunicare entro dieci giorni, natura ed estremi di qualsiasi rapporto a partire dal 1° gennaio 2003. Banca Intesa invece nelle comunicazioni del 25 agosto, 14 e 20 settembre 2004, non aveva riportato nulla in merito al borsino azionario BAV;
   il 19 dicembre 2003 il medico neurologo, dopo attenta visita certificava che la signora Campo Innocenza non presentava deficit della memoria sia di fissazione che di rievocazione;
   non solo la signora Campo Innocenza Maria il 10 dicembre 2003 ricordava bene come attestano i certificati medici, ma nella denunzia-querela che produce il 22 dicembre 2003 chiede la ricostruzione dell'intera vicenda: «Chiede, altresì, che si provveda ad acquisire, eventualmente mediante provvedimento di sequestro, l'intera documentazione bancaria e non in possesso della signora Cappello Maria, a quanto pare custodita presso lo studio dell'Avvocato Carmela Nobile, nonché di tutta la documentazione in possesso di istituti di credito e uffici postali, finanziari ed uffici di promotori eventualmente coinvolti»;
   il magistrato della procura di Ragusa dottor Emanuele Diquattro, il 26 gennaio 2007 emette decreto di sequestro, il quale viene consegnato alla Guardia di finanza in sede per l'esecuzione, lo stesso 26 gennaio 2007: «... sequestrare in originale tutta la documentazione bancaria citata dalla Campo Innocenza nei suoi esposti. Raccomando l'urgenza»;
   rimane quindi il mistero sia sulle «delicate operazioni finanziarie» svolte da Campo Innocenza Maria e volatilizzatesi nel nulla e sia su chi prima del maggio del 2005, abbia svolto all'interno di Poste italiane una indagine ispettiva di cui le stesse Poste italiane ne sconoscevano l'esistenza e per cui non riportano nulla nella «Copia della relazione ispettiva – Fraud Management Report protocollo n. DCTA-FM-06-0666 dell'8 gennaio 2007»;
   che il direttore di filiale Fabio Piazza invia sia alla Guardia di finanza di Ragusa che alla procura della Repubblica di Ragusa;
   anche questo decreto di sequestro non viene eseguito –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra riportati e quali ulteriori elementi intendano fornire a riguardo. (4-17377)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un'agenzia AGI diramata lo scorso 22 agosto, Serghiei Dragan, 32enne moldavo, si è tolto la vita giovedì scorso nella sua cella del carcere di Opera;
   anche in passato l'uomo aveva più volte tentato di togliersi la vita in carcere tramite impiccagione, ciononostante non era considerato un detenuto a rischio e non era sottoposto nel regime dei sorvegliati a vista –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere vicentino siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto;
   se non ritenga che l'alto tasso di suicidi in carcere dipenda dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno, soprattutto per quanto riguarda le persone sottoposte al regime di isolamento o comunque ad altre forme di inasprimento del regime detentivo;
   quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere. (5-07620)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un'agenzia ANSA diramata il 2 settembre 2011, nel carcere di Maiano di Spoleto, a causa del sovraffollamento, molti detenuti sarebbero stati addirittura spostati in camerate improvvisate ricavate all'interno degli spazi ricreativi in cui sono state stipate brande di fortuna;
   quanto riportato dalla nota ANSA conferma il quadro allarmante rappresentato dalla prima firmataria del presente atto nell'interrogazione n. 4-12707 depositata a seguito di una visita nel carcere effettuata il 9 luglio 2011. Interrogazione che come molte altre ancora attende risposta;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto è intollerabile che in una struttura carceraria di massima sicurezza come quella di Spoleto continui ad aumentare il numero dei detenuti e a diminuire più che proporzionalmente quello degli agenti;
   in Umbria i detenuti sono cresciuti di più duemila unità e in particolare la situazione di Spoleto è al limite del collasso tanto che il Ministero, secondo quanto si apprende da fonti carcerarie, non è in grado di garantire neppure le scorte di carta igienica –:
   quali dati aggiornati siano a disposizione del Governo in relazione alla situazione riscontrata presso il carcere di Spoleto, con particolare riguardo al numero di detenuti effettivamente presenti nella struttura e al tasso di sovraffollamento in essa riscontrato, nonché al numero degli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio;
   quali urgenti iniziative intenda assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del carcere di Spoleto;
   in particolare, entro quali tempi preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti. (5-07621)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un'agenzia Andkronos diramata il 30 agosto 2011, il carcere di Sanremo, che potrebbe ospitare 209 detenuti, allo stato attuale ha nuovamente toccato il numero dei 370 detenuti;
   la vicenda è stata denunciata dal Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (SAPPE), secondo il quale il carcere di Sanremo «dopo quello di Marassi di Genova è il più colpito da sovraffollamento, con una carenza di organico spaventosa, nei turni notturni restano a coprire la vigilanza interna non più di 8/10 unità contro le 13/14 di qualche anno fa» –:
   se il Ministro sia informato sulle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria del carcere di Sanremo;
   se non ritenga opportuno acquisire ulteriori informazioni – anche attraverso un'ispezione – in merito alle disfunzioni segnalate che gettano un'ombra molto grave sulla capacità dell'Italia di conformarsi alle norme del rispetto dei diritti umani che ha sottoscritto;
   se non ritenga necessario adottare urgentemente ogni provvedimento idoneo a rimuovere le disfunzioni e carenze presenti nell'istituto di pena in esame, per garantire ai detenuti del carcere di Sanremo e anche al personale operante all'interno della struttura, le adeguate misure igienico-sanitarie e il rispetto degli standard di sicurezza, al fine di ristabilire un clima più adeguato al processo di rieducazione che e alla base dell'ordinamento carcerario italiano. (5-07622)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da una nota dell'organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (OSAPP), il 29 agosto 2011 presso la casa circondariale di Asti, in una delle due sezioni detentive AS3, in cui sono allocati 67 dei 170 detenuti ad alta sicurezza della struttura, per lo più appartenenti a clan di mafia, camorra e ’ndrangheta, il poliziotto penitenziario presente è stato accerchiato dai reclusi, nell'evidente tentativo di prenderlo in ostaggio ed impadronirsi del reparto;
   nell'occasione l'agente di polizia penitenziaria è riuscito a rinchiudersi nel gabbiotto della sezione e a dare l'allarme;
   il carcere di Asti è uno di quelli in cui il sovraffollamento è quasi del 100 per cento con 413 detenuti complessivamente presenti per 207 posti, mentre per quanto riguarda il personale, per un organico previsto di 245 unità ne risultano presenti solo 130 –:
    se non si reputi opportuno intervenire urgentemente al fine di potenziare il sistema di sicurezza dell'istituto;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per intervenire tempestivamente rispetto alle più drammatiche urgenze causate dal sovraffollamento e dalla carenza di organico che si registra nella casa circondariale di Asti;
   quali iniziative, più in generale, intenda assumere il Governo in relazione al complessivo fenomeno di sovraffollamento delle carceri italiane. (5-07623)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un articolo pubblicato sul quotidiano La Sicilia del primo settembre scorso, dal titolo: «Al carcere Petrusa da giorni manca l'acqua; 500 detenuti con i nervi a fior di pelle», nel carcere di Agrigento in cui da mesi convivono mediamente cinquecento detenuti, da alcuni giorni manca anche l'acqua;
   in pratica, a causa di un guasto a una pompa la casa circondariale sta vivendo un momento dal punto di vista igienico sanitario assai critico. I reclusi ovviamente non possono lavarsi, i servizi igienici sono di fatto impraticabili, anche lavarsi il viso è un privilegio che in pochi possono permettersi –:
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di garantire la corretta e puntuale fornitura di acqua corrente alle persone recluse nel carcere di Agrigento. (5-07624)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un'agenzia ANSA diramata 28 agosto 2011, nel carcere Don Bosco di Pisa la situazione sarebbe giunta al limite: 371 detenuti a fronte della capienza di 250; 147 agenti di custodia contro un organico previsto di 254;
   nella struttura toscana il quadro si conferma molto grave e in continuo deterioramento, date le carenze di ogni tipo: da quelle per i beni di uso comune, come saponi e carta igienica, a quelle di personale, per non parlare di quelle strutturali –:
    quali provvedimenti intenda adottare al fine di ridurre l'insopportabile sovraffollamento che si registra nel carcere Don Bosco di Pisa;
   se non si reputi opportuno intervenire in modo deciso per sopperire alla carenza dell'organico del personale di polizia penitenziaria assegnato al carcere di cui in premessa;
   quali iniziative e provvedimenti il Ministro intenda assumere con urgenza per dare attuazione agli impegni assunti davanti alla Camera con l'approvazione delle mozioni presentate sul problema delle carceri. (5-07625)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 8 settembre sul Corriere.it è apparso un articolo intitolato «Ciancimino ride della scorta e del Pubblico Ministero: in procura faccio quello che voglio»;
   nell'articolo si riportano stralci di intercettazioni ambientali risalenti rispettivamente al 16 novembre ed al 1° dicembre 2010: nei nastri è stata registrata la voce dell’ex testimone della procura di Palermo, poi arrestato lo scorso 21 aprile con l'accusa di calunnia aggravata;
   nelle intercettazioni – disposte dalla procura di Reggio Calabria che in quel momento teneva sotto controllo il commercialista Girolamo Strangi, indagato perché considerato vicino alla ’Ndrangheta – Massimo Ciancimino si rivolgerebbe al commercialista Strangi dicendo che «Negli uffici della procura di Palermo io faccio quello che (...) voglio»;
   in particolare, nelle trascrizioni delle intercettazioni pubblicate dal settimanale Panorama, si apprende che Ciancimino avrebbe detto a Strangi di avere quasi libero accesso agli uffici della procura di Palermo e che dal computer ivi ubicato può entrare nella banca dati del Viminale. In una intercettazione si sente il figlio dell’ex sindaco del comune di Palermo dire al suo interlocutore una frase del seguente tenore: «Negli uffici di Ingroia tu digiti un nome e gli puoi fare vita, morte e miracoli. Se ti serve qualcosa...» –:
   se al Ministro in indirizzo risulti quanto sopra riportato;
   se e come il Ministro della giustizia intenda attivarsi per verificare eventuali presupposti per l'esercizio dell'azione disciplinare.   (5-07629)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un articolo pubblicato sul quotidiano La Provincia, il carcere di Bassone sarebbe troppo affollato e in condizioni igieniche a dir poco precarie, al punto che ora si teme anche il pericolo di danno ambientale dovuto alle cisterne di gasolio della centrale termica del carcere in questione che, obsolete, minacciano di sversare il loro contenuto nella falda;
   la vicenda è stata denunciata dalla delegazione della Cisl-Fns che da tempo ha sollevato il velo sulla vita del carcere di Como dove a fronte di una capienza di 421 detenuti sono ospitate oltre 550 persone (ma in alcuni mesi dellanno gli ospiti sono stati più di 600, alcuni dei quali erano costretti a dormire senza materassi);
   secondo quanto dichiarato da Massimo Corti, segretario della Federazione nazionale sicurezza di Como, «la sovrappopolazione porta alla promiscuità e al degrado, esistono seri rischi per la salute dei detenuti e degli stessi agenti di polizia penitenziaria, oltre al rischio di diffusione di malattie infettive. Nelle celle manca l'acqua calda, i servizi igienici sono inadeguati e le docce comuni sono insufficienti per garantire a tutti i detenuti l'utilizzo quotidiano, con in più problemi di umidità e chiazze di muffa che minano molti locali della struttura» –:
   se sia a conoscenza di quanto scritto in premessa;
   in che modo intenda attivarsi e in quali tempi per superare gli evidenti problemi di sovraffollamento del carcere Bassone di Como;
   quali provvedimenti intenda adottare al fine di riportare le condizioni di vita delle persone recluse nel carcere di Como all'interno dei parametri di legalità sanciti a livello costituzionale, legislativo e regolamentare;
   a quando risalga e cosa vi sia scritto nella relazione semestrale della Asl sulle condizioni igienico-sanitarie dell'istituto;
   quali misure si intendano adottare al fine di evitare che le cisterne di gasolio della centrale termica del carcere in questione arrivino a sversare il loro contenuto nella falda acquifera provocando un serio danno ambientale. (5-07630)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere composto da Radicali italiani, A buon diritto, Ristretti orizzonti, Antigone, Il detenuto Ignoto e Radiocarcere, Narces Adrian Manole, romeno di 27 anni, si è suicidato lo scorso 6 settembre impiccandosi nella propria cella ubicata nel carcere di Agrigento;
   a scoprire l'accaduto è stato un agente di polizia penitenziaria, avvertito da altri detenuti. La salma dell'uomo è ora all'obitorio dell'ospedale «San Giovanni di Dio», per essere sottoposta a ispezione cadaverica. Momenti di tensione si sono vissuti all'arrivo all'obitorio dei familiari e amici del romeno. Un folto gruppo di connazionali del giovane ha protestato vivacemente e inveito contro le forze dell'ordine e il regime carcerario;
   il romeno morto suicida era stato arrestato una settimana fa dai carabinieri di Canicattì con le accuse di resistenza, violenza, oltraggio e lesioni a pubblico ufficiale. Avrebbe tentato di colpire un muratore e poi si sarebbe scagliato contro i militari ferendoli. Sarebbe dovuto comparire in tribunale per il processo l'8 ottobre 2011;
   sulla vicenda il segretario generale della Uil-Pa penitenziari, Eugenio Sarno, ha diramato il seguente comunicato: «Ad Agrigento da tempo denunciamo condizioni di grave sovraffollamento e di carenze logistiche. Alle otto di questa mattina, infatti, nell'istituto agrigentino risultano detenute 482 persone a fronte di una ricettività massima pari a 248. Da segnalare, inoltre, come la Direzione del carcere non possa più garantire ai detenuti nuovi giunti nemmeno la fornitura di primo ingresso (lenzuola, stoviglie, eccetera) avendo esaurito i fondi. Evidentemente il Presidente Napolitano aveva ben ragione a richiamare la prepotente urgenza di ridare costituzionalità e civiltà al nostro sistema penitenziario. Perché ciò sia possibile occorre che tutte le componenti politiche e sociali si impegnino sinergicamente per ricercare e individuare soluzioni possibili e condivise» –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   se intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
   se non si intendano adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e atti di autolesionismo;
   più in particolare quali iniziative, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, il tutto attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio suicidio. (5-07631)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal sito Polpen.it (la voce della polizia penitenziaria), un agente di polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Torino si è suicidato lo scorso 7 settembre sparandosi un colpo di pistola alla testa;
   sulla triste vicenda Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo polizia penitenziaria (Sappe), ha diramato il seguente comunicato stampa: «Siamo sgomenti e sconvolti. A pochi mesi dal suicidio di altri appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, in servizio a Mamone Lodè, Caltagirone e Viterbo, piangiamo la vittima di un'altra tragedia che ha sconvolto i Baschi Azzurri. Un agente di Polizia penitenziaria in servizio presso il carcere Lorusso e Cutugno di Torino si è suicidato con un colpo di pistola alla testa questa notte nel piazzale del cimitero di Foglizzo (Torino). Non sono ancora chiare le ragioni che hanno spinto l'uomo, 43 anni, a compiere il gesto estremo. Siamo impietriti per questa nuova immane tragedia. Ci stringiamo con tutto l'affetto e la solidarietà possibili al dolore indescrivibile dei familiari, degli amici, dei colleghi. Dal 2000 ad oggi si sono uccisi 90 poliziotti penitenziari, 1 direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e 1 dirigente regionale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). Quattro suicidi in pochi mesi sono sconvolgenti. Da tempo sosteniamo che bisogna comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l'attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere. L'Amministrazione penitenziaria, dopo la tragica escalation di suicidi degli scorsi anni – nell'ordine di 10 casi in pochi mesi !, accertò che i suicidi di appartenenti alla Polizia Penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, sono in taluni casi le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Proprio per questo il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria assicurò i Sindacati di prestare particolare attenzione al tragico problema, con la verifica delle condizioni di disagio del personale e l'eventuale istituzione di centri di ascolto. Ma a tutt'oggi non sono stati colpevolmente attivati questi importanti Centri di ascolto e questa colpevole superficialità su un tema tanto delicato quanto importante è imperdonabile, se in poco tempo 4 appartenenti alla Polizia Penitenziaria si sono tolti la vita. Ed è grave che su un tema tanto delicato quanto il disagio lavorativo dei Baschi Azzurri ci sia così tanta superficialità. Chiediamo al Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma di farsi carico in prima persona su questo importante problema. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: l'istituzione di appositi Centri specializzati in grado di fornire un buon supporto psicologico agli operatori di Polizia – garantendo la massima privacy a coloro i quali intendono avvalersene – può essere un'occasione per aumentare l'autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità spendibili in una professione davvero dura e difficile, all'interno di un ambiente particolare quale è il carcere, non disgiunti dai necessari interventi istituzionali intesi a privilegiare maggiormente l'aspetto umano ed il rispetto della persona nei rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano la Polizia penitenziaria. Su queste tragedie non possono e non devono esserci colpevoli superficialità o disattenzioni !» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della tragica morte dell'agente di polizia penitenziaria che prestava servizio nell'istituto penitenziario di Torino e delle cause che hanno determinato l'estremo gesto;
   a che punto si trova il preannunciato ripristino dell'organico, da tempo carente di almeno 6.000 unità, degli agenti di polizia penitenziaria e in che modo si intenda far fronte ai pensionamenti che ogni anno si verificano a centinaia del corpo dei baschi azzurri;
   in particolare, quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di sostenere concretamente, anche dal punto di vista psicologico, gli agenti di polizia penitenziaria impegnati nella gravosa attività di sorveglianza nelle strutture carcerarie del nostro Paese. (5-07633)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un lancio dell'agenzia di stampa ANSA del 7 settembre 2011, nella città di Viterbo vi sarebbe un altissimo contenuto di arsenico nell'acqua, addirittura oltre i 50 mg/litro. Una situazione che ha costretto il comune ad installare distributori pubblici di acqua depurata dove ogni giorno si affollano gruppi di cittadini;
   secondo il Garante dei diritti dei detenuti «i detenuti del Mammagialla non hanno questa opportunità e sono costretti o a bere l'acqua che esce dai rubinetti o a pagare di tasca propria bottiglie di acqua minerale per bere e cucinare al costo di circa tre euro al litro. Un sacrificio troppo grande per detenuti che, troppo spesso, non hanno i soldi neanche per i francobolli. La drammatica situazione che si vive a Viterbo è sotto gli occhi di tutti. Una situazione insostenibile che dovrebbe essere affrontata al massimo livello politico. (...) Credo sia necessario che si tenga un vertice con Prefettura, regione Lazio, Provincia e comune di Viterbo, i parlamentari locali, l'Amministrazione penitenziaria e le associazioni di volontariato»;
   dopo Viterbo, il problema delle forniture idriche inquinate da metalli pesanti sarebbe stato registrato anche nei penitenziari di Cosenza e di Porto Azzurro;
   a un anno dal provvedimento dell'Unione europea – che ha negato all'Italia la deroga ai limiti massimi di particolati nocivi consentiti nelle potabili di 128 comuni – poco o nulla è stato fatto, con l'aggravante che se in alcuni comuni ci si organizza come si può (forniture idriche tramite autobotti, depurazione «fai da te», cisterne alimentate esternamente), in carcere diventa tutto molto più complicato;
   l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Unione europea hanno dato indicazioni di ridurre al più presto la soglia massima di arsenico nelle acque erogate per il consumo umano atteso che l'arsenico è classificato dall'Agenzia internazionale di ricerca sul cancro come elemento cancerogeno certo di classe 1 e posto in diretta correlazione con molte patologie –:
   quali misure in generale intenda adottare il Governo per la potabilizzazione delle reti idriche;
   in particolare, cosa intendano fare i Ministri, negli ambiti di loro rispettiva competenza, al fine di sostenere le strutture penitenziarie coinvolte in questa fase emergenziale ed eliminare i problemi dovuti all'acqua avvelenata che esce dai loro rubinetti. (5-07634)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con un comunicato stampa del 14 settembre 2011, l'associazione EveryOne Group ha denunciato alla pubblica opinione italiana la mancata concessione dell'asilo politico a Tina Richard, cittadina nigeriana di 28 anni, originaria di Kanu, di religione e famiglia cristiana, rifugiatasi in Italia dopo essere fuggita dal suo Paese all'età di quindici anni a causa dell'assassinio dei suoi genitori da parte di un potente e facoltoso concittadino che la voleva in sposa ancora ragazzina;
   secondo quanto è dato leggere nel citato comunicato stampa, la donna, aiutata dal vescovo locale di Kanu, è approdata in Italia per la prima volta nel 1998, ma l'anno dopo è stata rimpatriata perché clandestina. Dopodiché, una volta tornata in Nigeria, è stata rapita da un uomo, che l'ha violentata, torturata e tenuta segregata in casa per mesi;
   dopo essere riuscita a evadere dall'abitazione del suo aguzzino, Tina ha iniziato un viaggio attraverso la Sierra Leone, passando dalla Liberia, raggiungendo il Marocco, poi la Spagna e infine, a bordo di un natante, il porto di Genova, nel settembre del 2003. Recatasi da sola a Roma in questura, per inoltrare la richiesta di protezione internazionale, le è stato chiesto di tornare dopo un mese, ma la donna, terrorizzata dal rischio di una nuova espulsione all'insegna di violenze e torture, non si è presenta in polizia, vivendo in clandestinità e lavorando in strada come prostituta per riuscire a sopravvivere;
   nel 2011, Tina, assistita dal legale Loredana Briganti, decide di presentare ufficialmente richiesta di asilo presso la questura di Teramo. Il 5 luglio 2011, la commissione di Caserta, composta da rappresentanze territoriali del Ministero dell'interno e dell'Alto commissario ONU per i rifugiati, le nega la protezione internazionale, motivando il diniego con il fatto che Tina può richiedere l'aiuto delle autorità nigeriane, nonostante la sua storia sia credibile e l'assassino dei suoi genitori – protetto dalle autorità locali – sia ancora in libertà, intenzionato a vendicarsi del rifiuto di Tina di sposarlo;
   nel comunicato stampa del 14 settembre 2011, Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell'organizzazione umanitaria EveryOne, hanno dichiarato quanto segue: «Negare la protezione internazionale a una cittadina che ha il fondato timore di subire ulteriori persecuzioni in Patria, e che per di più porta sul corpo i segni tangibili di torture e vessazioni, è un palese abuso, che contrasta con la Convenzione di Ginevra, con la nostra Costituzione e con i protocolli internazionali in materia di diritti fondamentali. Tina Richard è una ragazza che ha sofferto terribili abusi ed è dovere di uno Stato che si definisce civile proteggerla e assicurarle un'esistenza dignitosa. L'Italia ha già commesso l'errore di deportarla nel 1999, errore che a Tina è costato stupri, torture e privazioni. In Nigeria, questo genere di abusi nei confronti delle donne – così come i matrimoni forzati – è purtroppo all'ordine del giorno, e per altro il Codice Penale permette ai mariti l'utilizzo di mezzi di correzione fisici e altri maltrattamenti per “’redimere” le proprie mogli. Ricordiamo inoltre che in tutta la Nigeria sono praticate le mutilazioni genitali femminili, e che le autorità religiose – gli Imam – hanno creato una parità della donna de jure che non corrisponde assolutamente alla parità de facto: lo dimostra un recente studio pubblicato dall'African Studies Quarterly, cui hanno partecipato diverse ONG africane, che attesta chiaramente come in Nigeria sia in atto una pesante discriminazione e prevaricazione nei confronti della donna. Tale circostanza è confermata, nonostante le recenti negazioni delle autorità nigeriane e delle sue rappresentanze in Italia, dal caso di Kate Omoregbe, che ha ricevuto giorni fa l'asilo come rifugiata nel nostro Paese dopo la mobilitazione delle più alte cariche dello Stato»;
   Tina Richard presenterà ricorso contro la decisione della commissione asilo al tribunale di Napoli; nel frattempo il Gruppo EveryOne ha chiesto la mobilitazione della società civile contro il rimpatrio della ragazza appellandosi anche ad Antonio Guterres, Alto commissario ONU per rifugiati;
   non si comprende come possa essere stata assunta una decisione tanto grave quale quella del diniego dell'asilo politico ad avviso degli interroganti in aperta violazione della normativa nazionale e dei trattati internazionali in materia di diritto di asilo –:
   se quanto sopra esposto, corrisponda a verità e sulla base di quali ragioni sia stata assunta la decisione di diniego dell'asilo politico citata in premessa;
   se non si ritenga di non procedere alla espulsione di Tina Richard rilasciando alla donna un permesso di soggiorno per protezione sociale;
   in ogni caso, quali garanzie diplomatiche si intendano acquisire dalle autorità nigeriane circa il rispetto della incolumità della donna nel caso la stessa fosse costretta a far rientro nel proprio Paese di origine. (5-07635)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   su Ristretti Orizzonti del 23 settembre 2011, Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione «Socialismo Diritti Riforme», ha richiamato il testo dell'ordinanza inviata dal tribunale di sorveglianza di Perugia al responsabile della direzione generale detenuti e trattamento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria nella quale si invita quest'ultimo «ad adottare ogni provvedimento amministrativo necessario a tutelare l'esigenza di regolare svolgimento di colloqui con i propri familiari rappresentata da Mario Trudu»;
   Mario Trudu, ergastolano di Arzana, in carcere dal 1987, nello scorso mese di maggio aveva infatti presentato una domanda per ottenere un breve permesso per fare visita alla sorella, residente in Sardegna che non vede dal 2004 in quanto la donna, per motivi di salute, non è in condizione di affrontare un così lungo viaggio. Il magistrato di sorveglianza di Spoleto aveva però rigettato la domanda in quanto la possibilità di fruire dei cosiddetti permessi di necessità è riservata a «eventi familiari di particolare gravità»;
   l'uomo, che da anni lotta per il riconoscimento dei diritti, non si è perso d'animo e ha presentato reclamo contro la decisione del magistrato di sorveglianza. Il Tribunale, riunito in camera di consiglio, non accogliendo la richiesta ha tuttavia sottolineato quanto segue: «L'ordinamento prescrive in tema di trasferimenti di detenuti che si debba favorire il criterio di destinare le persone in espiazione di pena in Istituti prossimi alla residenza delle rispettive famiglie», in sostanza affermando che la territorialità della pena è un principio che deve essere sempre tenuto in considerazione e che qualora non possa essere rispettato deve essere consentito alla persona privata della libertà di disporre di periodi di avvicinamento alla famiglia per poter effettuare i colloqui con i parenti;
   sulla vicenda Maria Grazia Caligaris ha dichiarato: «In tempi nei quali i diritti dei cittadini detenuti sono scarsamente rispettati questa ordinanza, che segnala al Dap la situazione di Trudu affinché adotti conseguenti provvedimenti amministrativi, riapre uno spiraglio di giustizia verso chi sconta una pena in penitenziari distanti dagli affetti familiari. Un ulteriore chiarimento sul significato di norme esistenti e una rinnovata opportunità per tanti sardi che, spesso impossibilitati a raggiungere i parenti reclusi anche per motivi economici, hanno comunque il diritto di riabbracciarli»;
   la territorialità della pena sancita dalla legge sull'ordinamento penitenziario è un principio inderogabile. Vige per tutelare il diritto del cittadino privato della libertà di mantenere i rapporti affettivi con i familiari. Se esistono ragioni per le quali non è possibile rispettarla pienamente deve tuttavia essere consentito al detenuto di fruire di trasferimenti temporanei per rinsaldare i legami con i parenti –:
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere effettivo per il detenuto in questione il rispetto del principio della territorialità della pena in modo da poter garantire allo stesso il diritto di poter svolgere regolari colloqui con i propri familiari;
   se ed in che modo intenda dare piena attuazione all'ordinanza emessa dal tribunale di sorveglianza di Perugia citata in premessa. (5-07636)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano l'Unione Sarda del 13 settembre 2011 da un anno agli agenti penitenziari del carcere Buoncammino di Cagliari non vengono pagate le missioni mentre il contratto di categoria stabilisce che il pagamento debba avvenire entro i 30 giorni successivi l'espletamento della missione. Sul problema ha preso posizione la segreteria provinciale della Uil-pa penitenziari annunciando ricorsi all'autorità giudiziaria;
   secondo quanto riferito da Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione Socialismo Diritti Riforme, «le somme destinate alle missioni degli ultimi mesi per Buoncammino sono state quasi interamente utilizzate per il pagamento degli anticipi al personale del Provveditorato in servizio di scorta e tutela alle autorità del Dipartimento venute in vacanza in Sardegna»;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto, in un momento di così grave crisi economica è indispensabile garantire il dovuto a chi lavora. Il mancato riconoscimento delle missioni è un aspetto che agisce negativamente sul personale peraltro molto provato dal sovraffollamento e dalla pesantezza dei turni di servizio in un istituto dove mancano non meno di 70 agenti –:
   se sia vero quanto esposto in premessa, in particolare se corrisponda al vero il fatto che le somme destinate alle missioni degli ultimi mesi per Buoncammino siano state quasi interamente utilizzate per il pagamento degli anticipi al personale del provveditorato in servizio di scorta e tutela alle autorità del dipartimento venute in vacanza in Sardegna;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di garantire il tempestivo e puntuale pagamento delle missioni agli agenti penitenziari del carcere di Buoncammino. (5-07637)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa si apprende del suicidio per impiccagione avvenuto nel carcere di Como il 22 settembre scorso del quarantaquattrenne cittadino serbo Vitomir Bajic;
   che si tratti di suicidio non è convinto il suo avvocato difensore Borivoje Borovic che sulla Gazzetta di Como del 24 settembre dichiara: «Denunceremo le autorità italiane. Il mio cliente non aveva alcun motivo per togliersi la vita. Semmai qualcuno dovrà spiegarci come fosse possibile che si trovasse in cella con un membro della stessa organizzazione»;
   sempre sulla Gazzetta di Como del 24 settembre si legge: «Arrestato proprio in Montenegro dall'Interpol lo scorso mese di marzo in quanto sospetto membro di una organizzazione internazionale che importava cocaina dal Sud America all'Europa, Bajic avrebbe dovuto presentarsi, mercoledì prossimo, ai magistrati della Dda di Milano, che indagavano, e indagano, sull'attività del suo giro. L'avvocato sostiene che mai il suo cliente si sarebbe tolto la vita: «Era tranquillo, sicuro che mercoledì lo avrebbero rimesso in libertà. Non aveva problemi economici né di altro tipo». Sempre secondo il suo legale, però, era stato chiuso in cella con un coindagato, tale Srpko Klisura, circostanza che a detta dell'avvocato meriterebbe di essere approfondita. Borovic era stato trovato morto attorno alle 11 del mattino: aveva atteso che i suoi compagni di cella uscissero per l'ora d'aria poi si era impiccato con la cintura di un accappatoio. Questo, almeno, è quello che risulta agli atti della Procura. Il PM Giuseppe Rose ha disposto un esame autoptico, per sgomberare il campo dai sospetti. La cella era in ordine, senza segni di violenza o di colluttazione. Ma avvocato e familiari insistono: “Non c'era motivo per cui dovesse togliersi la vita. Siamo convinti che dietro ci sia dell'altro. Denunceremo le autorità italiane”. È probabile che nei prossimi giorni vengano sentiti anche i suoi compagni di cella»;
   che Bajic non fosse un «pesce piccolo» lo si apprende dall'osservatorio permanente delle morti in carcere (Radicali Italiani, Associazione «Il detenuto ignoto», Associazione «Antigone», Associazione A buon diritto, redazione «Radiocarcere», redazione «Ristretti Orizzonti») che il 24 settembre riprendeva una notizia del giornale onlineEtleboro del 20 novembre 2010 in cui si leggeva che Vitomir Bajic era stato nelle forze speciali della polizia serba e dopo la caduta di Milosevic sarebbe diventato guardia del corpo di Darko Saric, a capo con il fratello Dusko di un «cartello» di narcotrafficanti capace di trasferire ingenti carichi di droga dal Sud America al Montenegro (dell'ottobre 2009 il sequestro di 20 quintali di cocaina in partenza da un porto uruguaiano);
   sempre l'Osservatorio permanente delle morti in carcere, riprende dall'Agenzia Balcani 2011 gli estremi dell'arresto: Bajic fu arrestato a Budva (Montenegro) nel novembre 2010, sulla base del mandato d'arresto Interpol emesso dall'Italia, e successivamente estradato nel nostro Paese a marzo 2011 –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se corrisponda al vero che Vitomir Bajic si trovasse in cella nel carcere di Como con altro (o altri) coindagati e, se vero, quali ne siano state le ragioni;
   nel caso in cui i coindagati fossero stati messi appositamente nella stessa cella per disposizione dei magistrati al fine di eseguire intercettazioni ambientali utili alle indagini, se tali intercettazioni siano state messe al sicuro e consegnate all'autorità giudiziaria;
   nel rispetto e indipendentemente dalla inchiesta avviata dalla magistratura quali siano gli intendimenti del Governo e quali siano gli esiti, allo stato, dell'inchiesta avviata nell'ambito dell'amministrazione penitenziaria al fine di accertare modalità ed eventuali responsabilità in ordine al suicidio di Vitomir Bajic.
(5-07638)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI, un detenuto del carcere di Montacuto di Ancona, Eugenio Riccio, 46enne e di origini campane, in cella per scontare una pena per reati associativi, è morto in carcere nella tarda notte di venerdì 23 settembre 2011 dopo aver accusato un malore la mattina del giorno stesso;
   l'uomo, cardiopatico, da 11 giorni faceva lo sciopero della fame. Soccorso dagli uomini della polizia penitenziaria che hanno subito avvisato il 118, Riccio è accompagnato in ambulanza al pronto soccorso dell'ospedale regionale di Torrette per le visite e gli accertamenti del caso a seguito dei quali è stato dimesso poche ore più tardi. Nella notte, il detenuto ha però accusato ancora un malore che, questa volta, gli è stato fatale. Ad uccidere l'uomo è stato probabilmente un infarto; le condizioni di salute di Eugenio Riccio erano precarie e lo sciopero della fame lo aveva ulteriormente debilitato, tanto è vero che anche nei giorni scorsi l'uomo era dovuto ricorrere alle cure mediche del personale di Torrette, sempre per problemi di natura cardiaca. Per questo motivo il pubblico ministero Rosario Lioniello non ha disposto l'autopsia essendo considerata la morte di Riccio come di origine naturale;
   secondo il dossier «morire di carcere» di Ristretti Orizzonti nel carcere di Ancona Montacuto il 25 marzo 2011 è morto per malattia Giacomo Fabiani di 31 anni, il 22 ottobre 2010 si è suicidato Alberto Grande di 22 anni e il 25 settembre 2010 si è suicidato Ajoub Ghaz di 26 anni;
   sulle drammatiche condizioni detentive del carcere di Montacuto, verificate anche in occasione della visita effettuata con il leader radicale Marco Pannella il 20 giugno 2011, la prima firmataria del presente atto ha presentato diverse interrogazioni che non hanno ricevuto risposta;
   in occasione della visita del 20 giugno con l'onorevole Marco Pannella diversi detenuti hanno rappresentato all'interrogante lo stato di disagio nei rapporti con l'amministrazione dell'istituto per aver aderito allo sciopero della fame promosso dai radicali –:
   se nel carcere di Montacuto di Ancona siano garantiti i livelli essenziali di assistenza sanitaria;
   se sia noto quali fossero le cause della malattia del detenuto e a quali terapie il detenuto fosse sottoposto e per quali motivi il detenuto sia stato dimesso dall'ospedale regionale di Torrette;
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario avviare ispezioni e verifiche in merito alle cause che hanno provocato il decesso di Eugenio Riccio e se non intendano avviare una indagine amministrativa interna al fine di verificare l'esistenza di eventuale profili di responsabilità disciplinare in capo al personale;
   se si intenda verificare la sussistenza di eventuali comportamenti di ostilità dell'amministrazione del carcere di Ancona nei confronti dei detenuti che intraprendono l'iniziativa nonviolenta di sciopero della fame per denunciare le drammatiche condizioni di detenzione. (5-07639)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
    secondo quanto riportato dal quotidiano La Sicilia del 22 settembre 2011 Antonino Santapaola, fratello del capomafia ergastolano Benedetto detto «Nitto», detenuto da oltre 11 anni e da qualche anno anche in regime di 41-bis, è «affetto da una grave sindrome psico-organica ingravescente, con manifestazioni cliniche di demenza e disturbi correlati del comportamento», e per questo quattro processi in cui è imputato sono stati sospesi;
   secondo i medici «Antonino Santapaola non può essere considerato come persona socialmente pericolosa e le sue condizioni di salute non possono essere considerate compatibili con un regime carcerario duro e nemmeno con un regime carcerario ordinario» –:
   quali iniziative di competenza intendano assumere, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di garantire il diritto alla salute di Antonino Santapaola;
   se, alla luce della perizia medico-legale, il Ministro competente non intenda revocare il 41-bis nei confronti del detenuto Antonino Santapaola per motivi di salute. (5-07640)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI.Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 22 settembre 2011, sul sito della polizia penitenziaria, e apparso un articolo a firma «Il Conte di Montecristo» nel quale è dato leggere che nella sede del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, all'interno di un locale grande circa 40 metri quadri, è stata innalzata una cappella con pregiate lastre di marmo e dotata di mobili;
   secondo l'estensore dell'articolo l'opera sarebbe costata al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria circa 100 mila euro;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto non si comprende come l'Amministrazione possa aver deciso di destinare una somma così elevata per la costruzione di un'opera non certo indispensabile, per di più in un periodo in cui le risorse per i nostri istituti di pena sono gravemente deficitarie e in cui mancano i fondi perfino per provvedere alla manutenzione ordinaria delle carceri e al pagamento degli stipendi e degli straordinari degli appartenenti al corpo della polizia penitenziaria –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   a quanto ammonti il costo della realizzazione della cappella all'interno della sede del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. (5-07641)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo apparso su La Gazzetta del Sud del 23 settembre 2011, intitolato: «In cella sto perdendo la vista e non vengo curato in maniera adeguata», è dato leggere quanto segue: «La fine del mio calvario non è più lontanissima posto che nei primi mesi del nuovo anno avrò terminato di espiare la pena, ma tanti, troppi altri si trovano nella medesima tragica situazione (in più casi anche peggiori) e sono destinati a restarci per lungo tempo». Si conclude così la lettera del detenuto 46enne Sebastiano Destro, il quale sta scontando nel carcere di Gazzi una condanna definitiva ad 8 anni per traffico di sostanze stupefacenti. Una lettera che lancia ancora una volta l'allarme sulla gravissima situazione che si vive all'interno della struttura penitenziaria: «Scrivo la presente al fine di esporre la situazione di assoluta invivibilità che permane ormai da troppo tempo all'interno del carcere. La mia vicenda – scrive Destro –, è pari al quella di moltissimi altri detenuti che, sottoposti al massimo regime detentivo, chiedono soltanto di poter espiare la pena nel rispetto dei principali diritti e soprattutto senza pregiudizio alla salute e con trattamenti non contrari al senso di umanità». Destro, che in questa vicenda è assistito dall'avvocato Nunzio Rosso, racconta che soffre di una grave patologia agli occhi «con sensibile e repentina riduzione della vista (6/10 all'occhio destro; 1/20 all'occhio sinistro)» e con «andamento cronico evolutivo, con possibili repentini peggioramenti», motivo per cui ha «la assoluta necessità di continuo, programmato e puntuale monitoraggio, oltre la somministrazione, parimenti continua e puntuale di terapia altamente specialistica». Fino al passaggio in giudicato della sentenza è rimasto ai domiciliari a Catania e dal 23 gennaio di quest'anno è tornano in carcere, ma a Messina;
   in cella «le condizioni di salute risultano incompatibili con la detenzione e non si rivelano idonei i trattamenti disponibili e le terapie curative, come dimostrato anche dal peggioramento delle condizioni di salute dal momento del ripristino della detenzione carceraria». In carcere «trascorrono mesi per poter tentare di fruire di visite specialistiche esterne... e addirittura da ultimo non è mai stato eseguito il ricovero presso il Policlinico richiesto parecchio tempo addietro dagli stessi sanitari del carcere “per mancato riscontro delle strutture»;
   l'illegalità delle condizioni di detenzione nel carcere di Gazzi/Messina sono state oggetto di due interrogazioni parlamentari presentate a seguito di due visite ispettive della prima firmataria del presente atto –:
   se quanto contenuto nella citata lettera corrisponda a verità;
   in caso affermativo quali provvedimenti si intendano adottare e sollecitare perché all'autore della lettera sia assicurato e garantito l'elementare diritto alla salute e in particolare affinché allo stesso sia data la possibilità di curarsi la vista;
   cosa intenda fare il Ministro della giustizia per far rientrare nella legalità costituzionale e ordinamentale il carcere di Messina Gazzi. (5-07642)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Domenica 25 settembre il quotidiano irpino Ottopagine ha pubblicato un reportage sul carcere di Bellizzi Irpino in cui è scritto: «Provate a vivere in pochi metri quadri. Non da soli, ma in nove. Con un bagno proprio lì, nel centro della stanza. Niente acqua calda. Carta igienica razionata. Così come il sapone, il disinfettante, il detersivo e il dentifricio. E immaginate tutto questo in piena estate. Caldo torrido. Aria irrespirabile. E non potete uscire da li. Mai, o meglio: un'ora al giorno. Un'ora d'aria, a passeggio in un recinto di trenta metri quadrati. Ebbene, se avete messo fuoco quest'incubo, non pensiate di dover andare lontano per osservarlo. Migliaia di avellinesi lo vedono ogni giorno, mentre percorrono la variante. È il carcere di Bellizzi. Dall'esterno non sembra così minaccioso. Dentro è l'inferno. Proprio come altre case circondariali. (...) Già oggi è molto, molto al di là del sopportabile. Fino al punto di poter affermare che le carceri italiane sono illegali. Nel vero senso: non rispettano la legge, non rispettano i diritti umani. «Siamo allo stremo – racconta Cristina Mallardo, coraggiosa, è il caso di dirlo, direttrice del penitenziario avellinese. Ospitiamo oggi 535 detenuti. Ma il massimo previsto è di 350 unità. Andiamo avanti così da diversi mesi, in un clima che è sempre più difficile e inevitabilmente teso. Al sovraffollamento si aggiunge la carenza di fondi. Nel giro di qualche anno sono stati ridotti del sessanta, settanta per cento. Stiamo razionando tutto. A partire dai generi di pulizia personale. Anche la carta igienica. Sembra assurdo, ma non possiamo fare altrimenti»;
   «Le celle del carcere di Bellizzi – si legge ancora nell'articolo – sono piccole. Tra otto e dodici metri quadrati. Lì dentro sono stipati otto, nove detenuti. Se camminano i reclusi rischiano di pestarsi i piedi. «Con il caldo torrido di questa estate – continua la direttrice –, certe situazioni sono inevitabilmente peggiorate. Così come le condizioni igieniche. Si può parlare di allarme sanitario. Ma in quella assurda promiscuità anche un mal di testa diventa insopportabile. I controlli medici sono sempre più frequenti». Se quello che abbiamo descritto non vi sembra ancora simile all'inferno, è forse perché il pregiudizio per chi ha sbagliato ed è stato condannato ad una pena è più forte di un sentimento di umana solidarietà, beh allora sappiate che c’è di peggio. Perché questo dramma riguarda anche i bambini, quelli al di sotto dei tre anni. Reclusi anche loro, insieme alle mamme. Molti lo sanno, qualcuno ancora lo ignora: ma il carcere di Bellizzi ospita anche donne e bambini. In questo momento, trentatré mamme e sette piccoli, molti di loro neonati. In pochi metri quadri, due mamme e i bambini. Tutti insieme. Pochi servizi igienici. E quel caldo che molti di voi – nonostante l'aria condizionata – hanno mal sopportato in questi mesi d'estate. C’è anche un asilo, ma non pensate all'asilo dei vostri figli. Gli agenti di polizia penitenziaria fanno quello che possono per renderlo accogliente. Forse anche di più. Ma è difficile non pensare che si tratti di un carcere per bambini. Nonostante i giocattoli. Una mamma detenuta una volta ci ha raccontato: sono stata reclusa con il mio primo figlio. È stato due anni con me. Ora è fuori e piange ogni volta che sbatte una porta o sente il rumore delle chiavi. È il suono delle celle. Lo accompagnerà forse per tutta la vita. Ma la vita dietro le sbarre non è dura solo per i detenuti. C’è anche chi è recluso senza nessuna condanna. Sono gli agenti di polizia penitenziaria. «A loro devo solo dire grazie – dichiara convinta la direttrice Mallardo –. Siamo sotto organico. Mancano cento unità. In tanti sono andati in pensione in questi anni. C’è stata la possibilità e lo hanno fatto, il lavoro era diventato insostenibile. Chi è rimasto si sobbarca turni doppi, notti ripetute ed è costretto ad operare in condizioni difficili. Cerchiamo di svolgere al meglio il nostro lavoro, di rendere il meno dura possibile l'esistenza dei detenuti. Anche a costo di sacrifici enormi. Ma a volte anche i sacrifici non bastano»;
   nel carcere di Bellizzi Irpino, si legge ancora nell'inchiesta «Le condizioni di vita dei reclusi hanno amplificato i disagi psicologici e psichiatrici già connessi alla detenzione. “Un paio di volte alla settimana un medico specializzato è presente nel penitenziario. Ma non basta. Non è sufficiente. Ci sono spesso casi di autolesionismo, di proteste estreme. In questo periodo ci preoccupa molto un detenuto straniero. Vive nel nord, ma è stato trasferito qui, lontano dalla sua famiglia. Siamo costretti a intervenire di continuo. E francamente comprendo la sua frustrazione: che senso ha tenerlo lontano dai suoi affetti. Ma ci sono anche altre storie al limite – continua la Mallardo –. Come la ragazza costretta su una sedia a rotelle dopo un incidente stradale e che attende da tempo di essere sottoposta a intervento chirurgico. Di lei si prende cura la detenuta con la quale divide la cella. Non avevamo una soluzione diversa”. E poi ci sono i paradossi. È stato da tempo realizzato un nuovo padiglione nel penitenziario. Potrebbe ospitare un centinaio di detenuti. Ma mancano alcuni lavori e il ministero non dispone di fondi sufficienti per completarlo. “Sì, è così. Ma al momento non saremmo in grado di gestirlo – commenta amara la direttrice –. Non c’è personale sufficiente per l'attuale struttura, figurarsi per un altro padiglione. E poi...” Non completa la frase, ma la immaginiamo: e poi, in pochi mesi sarebbe sovraffollato anche l'altro padiglione. Risultato: la moltiplicazione dei problemi. Non c’è via d'uscita. Servirebbe un intervento parlamentare. Le tanto sbandierate misure alternative al carcere per i reati minori. La detenzione extramuraria. Ma si parla, si parla. E non si fa nulla. Occuparsi dell'inferno dietro le sbarre non crea consensi. Poco importa che le nostre prigioni violano tutte le leggi europee in materia (e anche quelle italiane). Che i più elementari diritti umani siano quotidianamente calpestati. Che il carcere dovrebbe rieducare e non solo punire. Ora lo sapete. E se in auto mentre percorrete la variante il vostro sguardo incrocia quel carcere, pensate a quello che accade li dentro. Magari provando solidarietà per le persone costrette a viverci. Per i detenuti, certo. Ma anche per gli agenti di polizia penitenziaria» –:
   se siano a conoscenza di quanto riportato dal quotidiano Ottopagine in merito alle condizioni del carcere di Bellizzi Irpino;
   cosa intenda fare il Ministro della giustizia per riportare il numero complessivo dei detenuti a quanto previsto dalla normativa;
   cosa intenda fare il Ministro della giustizia per rendere legali le condizioni di detenzione, per fornire gli strumenti necessari a mantenere l'igiene delle celle e quella personale di ciascun detenuto, per eliminare i wc a vista che tolgono ogni dignità all'essere umano, per assicurare la fornitura di acqua calda indispensabile per l'igiene personale;
   cosa intenda fare il Ministro della giustizia per assicurare la prevista territorializzazione della pena e per l'assistenza psicologica alla popolazione detenuta;
   cosa intendano fare i Ministri interrogati per garantire la dovuta assistenza sanitaria a tutta la popolazione detenuta e, in particolare, ai casi segnalati nell'inchiesta;
   se non si intendano effettuare per quanto di competenza le opportune verifiche in merito all'allarme sanitario lanciato dalla direttrice d'Istituto di Bellizzi Irpino;
   cosa intenda fare il Ministro della giustizia per coprire la gravissima carenza di agenti di polizia penitenziaria;
   che notizie intenda fornire in merito all'apertura del nuovo padiglione realizzato da tempo che potrebbe ospitare cento detenuti, previa assegnazione del personale necessario;
   se non ritenga contraddittoria la prevista costruzione di 20 nuovi padiglioni e 11 nuovi istituti in tutta Italia, quando per mancanza di fondi e di personale non si riescono ad aprire le strutture nuove, già pronte. (5-07643)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il carcere di Monza è allagato ed è parzialmente inagibile a causa di una grave lesione del tetto;
   la situazione è stata più volte denunciata al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria perlomeno dal 2008 ma da allora si è provveduto solo ad effettuare qualche intervento tampone e per nulla di risolutivo;
   nel carcere di Monza i detenuti, 834 persone a fronte di una capienza di 409 unità, oltre a patire il sovraffollamento sono costretti a convivere con parte dell'edificio allagato, nonché con l'impossibilità di usufruire della cappella e della palestra. La Asl locale ha già fatto i dovuti sopralluoghi e la situazione risulta essere in un evidente stato di emergenza –:
   se non intenda intervenire con urgenza affinché il tetto del carcere di Monza venga riparato definitivamente in modo da garantire la dignità delle persone in esso recluse. (5-07644)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il passaggio delle competenze tra il Ministero della giustizia e le Asl della Sardegna in materia di sanità penitenziaria è ancora in alto mare: mercoledì 5 ottobre infatti scadranno i termini per il passaggio alle aziende sanitarie locali dei beni e dei locali adibiti alle funzioni sanitarie, eppure ancora non risulta essere stato definito l'accordo tra il Ministero della giustizia e la regione Sardegna;
   fino ad ora infatti sono state rispettate dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e da quello per la giustizia minorile le procedure per il trasferimento al servizio sanitario della regione delle funzioni, afferenti il servizio medico-tecnico-infermieristico e veterinario, ma non è stato fatto alcun concreto passo per definire le questioni più delicate che riguardano il finanziamento e i livelli di assistenza;
   il Ministero della giustizia intende interrompere il suo impegno finanziario il 31 dicembre 2011 e se la regione non presenterà una propria proposta la scadenza diverrà definitiva;
   la riforma della medicina penitenziaria in Sardegna interessa direttamente oltre 2.200 persone private della libertà. La situazione più difficile è quella di Buoncammino dove a fronte di 30 posti letto nel centro diagnostico terapeutico si trovano in media detenuti con gravi patologie (neoplasie, cardiopatie, ischemie, esiti di infarto al miocardio). Nella struttura penitenziaria cagliaritana, con 530 detenuti (380 la capienza regolamentare), vivono oltre 200 pazienti tossicodipendenti e quasi altrettanti con malattie del fegato, una cinquantina di sieropositivi all'Hiv, e dove si trovano anche 210 pazienti psichiatrici, alcolisti e altri. È improcrastinabile un tavolo di concertazione per delineare un quadro oggettivo dei bisogni e delle necessità e per chiarire in che modo la regione intende organizzare questo delicato settore;
   in un momento così delicato per le strutture penitenziarie, con le celle superaffollate, è indispensabile far rispettare gli impegni altrimenti aumenteranno malcontento e disagio –:
   quali provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare al fine di dare completa attuazione, entro il 31 dicembre prossimo, al passaggio delle competenze tra il Ministero della giustizia e le aziende sanitarie locali della Sardegna in materia di sanità penitenziaria. (5-07645)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano La Provincia Pavese del 29 settembre scorso, è apparso un articolo intitolato: «Carcere di Voghera: per gli agenti di polizia penitenziaria una situazione insostenibile»;
   l'articolo dà conto del fatto che gli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Voghera lavorano in condizioni inadeguate e inaccettabili, ciò secondo quanto denunciato dalla delegazione della Cgil che ha effettuato una visita – ispezione all'interno della struttura di via Prati Nuovi;
   secondo gli esponenti della Cgil, Massimiliano Preti e Natale Minchillo, Calogero Lo Presti e Nicola Garofano, c’è innanzitutto da segnalare che il personale di polizia penitenziaria è in evidente carenza di organico, a fronte di un sovraffollamento di detenuti: gli agenti di custodia sono circa 120, i detenuti ormai quasi 240, al punto che in alcune celle vi sarebbero anche 12 detenuti;
   gli agenti di polizia penitenziaria operano in evidente stato di stress e lavorano in ambienti fatiscenti, con servizi igienici non idonei e strumentazioni non all'altezza della situazione; alcuni di loro hanno saltato per settimane il turno di riposo, accumulando turni su turni di presenza al lavoro –:
   quali iniziative intenda intraprendere per il potenziamento della dotazione organica della polizia penitenziaria assegnata presso la struttura penitenziaria indicata in premessa;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di diminuire il disagio degli agenti di custodia del carcere di Voghera in relazione ai turni, alla fruizione delle ferie, alla formazione e a un eccessivo carico di responsabilità;
   quali provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare per riportare il numero dei detenuti del carcere di Voghera entro la capienza regolamentare così da garantire agli stessi condizioni di detenzioni conformi al dettato costituzionale, alla legge e ai regolamenti penitenziari. (5-07646)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il signor Aristide Angelillo, dopo aver già scontato sedici anni di carcere (Opera, Secondigliano e Poggioreale), si trova da cinque anni in stato di detenzione domiciliare in quanto deve scontare ulteriori 23 anni di reclusione a causa di una serie di cumuli di pena per reati commessi tra dicembre 2000 e gennaio 2001;
   sullo stato di esecuzione della pena dell'uomo è competente la magistratura di sorveglianza di Napoli;
   Angelino pesa circa 300 chilogrammi al punto che nel 2006, quand'era in carcere, gli è stata riconosciuta con regolare decreto, ai sensi della legge n. 104 del 1992, la condizione di «persona handicappata». Lo stesso è stato classificato da tre commissioni medico legali della A.S.L. «malato terminale»;
   secondo quanto ha scritto lo stesso Aristide Angelillo sul blog della prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo (http://ritabemardini.it/un-carcere-funziona-il-ministero-della-giustizia-lo-chiude/), il suddetto: a) nel periodo in cui si trovava ristretto in carcere, è stato tenuto, per anni e senza la minima assistenza, sporco di feci e di urine, con alcune parti del corpo colpite da intertrigine florida; b) attualmente, il protrarsi della detenzione domiciliare sta avendo effetti devastanti sulla sua salute, posto che lo stesso è privato di ogni contatto con l'esterno e non riesce ad avere una adeguata assistenza medica, non potendo effettuare nemmeno delle radiografie né ricevere cure dentistiche (afferma di aver perso tutti i denti che gli si sono spezzati in bocca); c) si trova nell'impossibilità persino di ricevere gli assistenti volontari nel proprio domicilio;
   dalla consulenza medico-legale di parte redatta nel 2008 dal professor Antonio Mezzogiorno (II università degli studi di Napoli) si evince che A. Angelillo è affetto da obesità di III grado, scompenso cardiaco classe NYHA III, criptorchidismo bilaterale, sindrome da apnee ostruttive notturne, sindrome varicosa degli arti inferiori, cardiopatia ischemica;
   secondo il professor Mezzogiorno le condizioni del paziente non sarebbero compatibili con il regime detentivo in quanto l'uomo: a) presenta un elevato rischio cardio e cerebrovascolare per cui sarebbe costantemente in pericolo per infarto miocardio, ictus e fenomeni tromboembolici la cui evenienza costituisce un'emergenza medica che necessita di intervento sanitario qualificato immediato; b) è stato riconosciuto inabile al 100 per cento e richiede assistenza continua per compiere normali atti della vita quotidiana, oltre che presidi appositi ed adeguati alla mole; c) durante lo stato detentivo carcerario non ha minimamente ridotto il peso corporeo e presentava intertrigine diffusa oltre ad una serie di altre complicanze legate proprio alle difficoltà logistiche tipiche del regime carcerario, mentre durante la detenzione domiciliare ha ridotto il peso corporeo ed ha potuto curare l'igiene personale con un generale miglioramento dello stato di salute e dell'umore e la parziale riduzione delle potenziali complicanze; d) presenta deterioramento della funzionalità cardiaca e respiratoria dovuto in primis allo stato di obesità il che richiederà in futuro il ricorso più frequente a presidi specialistici diagnostici e terapeutici –:
   se quanto esposto in premessa, corrisponda al vero e quali iniziative urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di garantire ad Aristide Angelillo la tutela del suo inalienabile e primario diritto alla salute.
(5-07647)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 23 settembre 2011 personale della squadra mobile della questura di Verona ha proceduto all'arresto di una persona presso lo studio del suo avvocato difensore durante un colloquio fra gli stessi;
   le modalità dell'arresto sono state piuttosto movimentate con irruzione nella stanza del professionista da parte di cinque appartenenti alla polizia di Stato alcuni dei quali hanno chiuso la finestra in quel momento aperta, hanno appoggiato, con gesto di particolare spregio, le manette sul tavolo del difensore prima di stringerle ai polsi dell'arrestato chiedendo al difensore, con fare ironico, se avesse voluto una comunicazione scritta dell'avvenuta operazione;
   le concitate fasi dell'arresto sono state inoltre caratterizzate da movenze particolarmente rumorose tanto da far accorrere all'uscio varie persone e professionisti di altri studi dell'immobile;
   non si comprende la scelta di procedere all'arresto di una persona nella stanza del suo difensore invece che in altri luoghi: bene si sarebbe potuto attendere la persona da arrestare all'uscita dello studio del difensore, anche perché l'irruzione nel corso del colloquio defensionale, anche senza volontà da parte degli operanti, avrebbe potuto disgelare a questi circostanze, documenti, informazioni difensive coperte dal segreto professionale;
   le modalità dell'arresto, così come sopra descritte, esprimono, a giudizio degli interroganti, una mancanza di rispetto della funzione del difensore e della intangibilità del rapporto tra questo ed il proprio assistito al punto da riservare allo studio di un avvocato lo stesso trattamento di un covo di latitanza;
   la vicenda è stata segnalata dalla Camera penale veronese, in data 26 settembre 2011, alla giunta delle Unioni delle camere penali italiane la quale, il successivo 28 settembre, ha adottato una delibera con la quale, da un lato, ha espresso propria vicinanza all'avvocato coinvolto e, dall'altro, ha condiviso la protesta dei colleghi del foro di Verona, preannunciando fin d'ora di voler sostenere le iniziative che gli stessi dovessero, in ipotesi, intraprendere;
   secondo la giunta delle Unioni delle camere penali italiane, il procedere all'esecuzione di una sentenza di condanna definitiva – ovvero di una ordinanza applicativa della custodia cautelare – presso lo studio del difensore e durante un colloquio difensivo costituisce una gravissima interferenza nel rapporto tra difensore e condannato, il che presenta marcati profili di tensione con l'articolo 103 del codice di procedura penale ed è del tutto inaccettabile sotto il profilo della opportunità e del rispetto della funzione difensiva che trova nel colloquio tra imputato e difensore –interrotto ed impedito dall'irruzione degli agenti della polizia di Stato – un momento tipico ed imprescindibile –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se gli stessi corrispondano al vero;
   per quale motivo, una volta localizzato il catturando, gli appartenenti della squadra mobile di Verona che risultano essere stati impegnati nell'operazione, non abbiano controllato il fabbricato ed atteso la conclusione del colloquio con il difensore prima di procedere all'arresto;
   se non si intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di verificare se non siano ravvisabili profili di responsabilità disciplinare in capo agli appartenenti alle forze dell'ordine che hanno effettuato l'operazione descritta in premessa. (5-07648)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Dario Stefano Dell'Aquila, portavoce di Antigone Campania e componente dell'osservatorio nazionale sulle condizioni della detenzione, ha reso noto che sabato Luigi I., internato di 65 anni, è deceduto nel mese di settembre, per cause ancora da accertare, nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli;
   l'uomo era internato da questa estate nel manicomio giudiziario napoletano in esecuzione di una misura di sicurezza provvisoria;
   è il decimo decesso che avviene in un ospedale psichiatrico giudiziario nel 2011. Gli altri sono stati registrati ad Aversa (5), a Barcellona Pozzo di Gotto (2), a Castiglione delle Stiviere (1) e a Montelupo Fiorentino (1);
   complessivamente, in Italia, risultano presenti negli ospedali psichiatrici giudiziari circa 1.400 internati, 346 dei quali sono internati in Campania –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intendano, negli ambiti di rispettiva competenza e nel rispetto e a prescindere dalle inchieste avviate dalla magistratura, aprire un'indagine amministrativa interna volta a verificare, in ordine alla morte del signor Luigi I., eventuali responsabilità disciplinari del personale operante all'interno dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli;
   quali misure amministrative i Ministri interrogati intendano assumere, per quanto di loro competenza, in tempi immediati, per affrontare le condizioni di insostenibile degrado, di repressiva segregazione, anche laddove immotivata da diagnosi psichiatrica, di abbandono civile ed etico, cui sono sottoposti gli internati negli ospedali psichiatrici giudiziari;
   quali indirizzi il Governo intenda assumere o confermare, in riferimento ai lavori svolti a suo tempo dalla commissione Pisapia, in ordine agli articoli del codice penale che interessano l'adozione delle misure di sicurezza per i malati di mente, in conformità con le sentenze della Corte costituzionale. (5-07649)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI del 4 ottobre 2011, oltre 200 detenuti del carcere di Enna hanno inviato una lettera alle più alte cariche dello Stato, al Csm, al Garante per i diritti dei detenuti e al presidente del tribunale di sorveglianza di Caltanissetta;
   nella lettera i detenuti dicono di «accettare le pene inflitte, ma non di essere privati dei diritti e della dignità», nonché di «voler essere considerati esseri umani e non sentirsi vittime di logiche giustizialiste»;
   nella lettera gli scriventi denunciano che nel carcere di Enna in una cella di 21 metri quadrati vivono 7 persone con brande a 4 piani e sottolineano di non ottenere, pur avendone diritto, benefici riconosciuti dalla legge, per i ritardi del tribunale di sorveglianza di Caltanissetta –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo in relazione al grave sovraffollamento in cui versa la struttura penitenziaria di Enna;
   se con riferimento alla struttura penitenziaria in questione intenda verificare urgentemente: a) il rispetto degli spazi previsti per legge; b) lo stato in cui si trovano le celle, con specifico riferimento alla possibilità di cucinare e mangiare, ai servizi igienici, all'ingresso di luce naturale e artificiale, all'aerazione diurna e notturna, al riscaldamento, in rapporto anche al numero di soggetti ristretti in ciascuna cella; c) lo stato degli arredi posti nelle celle, ivi compresi letti e materassi;
   entro quali termini, in media, vengano evase dal tribunale di sorveglianza di Caltanissetta le istanze dei detenuti e qualora sussistessero ritardi a quali cause siano riconducibili gli eventuali ritardi nell'emissione dei provvedimenti. (5-07651)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 7 ottobre su La Gazzetta di Modena, è stato pubblicato un articolo intitolato: «I detenuti protestano: non possiamo farci inviare saponi e cibi dai parenti»;
   l'artico in questione dà conto di una lettera scritta dai detenuti del carcere Sant'Anna al Ministro della giustizia, al magistrato di sorveglianza di Modena, dottore Mazza, e a Marco Pannella, quest'ultimo da mesi in sciopero della fame per ridurre il sovraffollamento delle carceri; nella lettera i detenuti denunciano le condizioni di scarsa vivibilità all'interno del S. Anna, per quello che riguarda gli spazi e soprattutto il cibo: «Ogni giorno dobbiamo convivere con una situazione che è fuori dagli standard europei. Abbiamo due docce per 72 detenuti e l'acqua esce o gelida o tanto calda da ustionare. Ma non è questo il peggio perché dobbiamo fare anche i conti con la pulizia delle nostre celle: gli stracci sono stati soppressi per carenze di bilancio, come dice la direttrice, mentre i detersivi ci vengono consegnati così allungati con acqua da essere poco utilizzabili. E la carta igienica ? Un rotolo a settimana. Quando usciamo nel cortile per l'ora d'aria dobbiamo condividere 220 metri per 200 detenuti: la media è di 1,20 metri quadrati a testa. Ma quello che è peggio è che i nostri familiari non riescono più a portarci da casa né il cibo già preparato né i detergenti per le pulizie, a differenza di quanto avviene nelle altre carceri italiane. Il tutto, ovviamente, pagato dai nostri cari e che non costerebbe nulla all'amministrazione del carcere. Persino la frutta fresca è stata vietata: in compenso il sopravvitto da acquistare allo spaccio interno è aumentato di prezzo. A loro i prezzi non li tagliano mai ?»
   secondo l'articolo sopra citato, fonti ufficiose dalla direzione del carcere avrebbero spiegato che gli aumenti di prezzo sono previsti dai contratti d'appalto e che i controlli sono mensili. La regola prevede che i prezzi siano tarati su quelli del supermercato più vicino entro un raggio di 250 metri: di conseguenza i rincari innescati dall'aumento dell'iva sarebbero arrivati a valanga anche nello spaccio interno del carcere;
   per quanto riguarda, invece, il problema dell'arrivo dei cibi dall'esterno, un mese fa la direttrice del carcere di Modena si giustificò dicendo che «il regolamento prevede controlli per i cibi non confezionati e per igiene non si possono usare le stesse posate per controllare tutti i cibi portati» –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   cosa intenda fare il Ministro dell'interno per riportare il numero complessivo dei detenuti del carcere di Modena a quanto previsto dalla normativa;
   cosa intenda fare per rendere pienamente conformi alla legge le condizioni di detenzione delle persone recluse nel carcere S. Anna, per fornire loro gli strumenti necessari a mantenere l'igiene delle celle e quella personale, per assicurare la fornitura di acqua fredda o calda a temperature non eccessive e per aumentare il numero delle docce per detenuti presenti;
   per quali motivi i familiari dei detenuti non possano portare in carcere cibi e saponi per i loro familiari e se e quali provvedimenti intenda adottare affinché tutto ciò possa invece avvenire, ovviamente nel rispetto del regolamento e delle norme sulla sicurezza interna del carcere;
   quali siano le voci che compongono l'elenco del cosiddetto sopravvitto e se il relativo listino prezzi sia soggetto ad un qualche visto di congruità secondo le disposizioni vigenti;
   se ritenga che la procedura adottata negli istituti di pena italiani sia corretta sotto il profilo del controllo dei prezzi, della vendita dei prodotti, e del controllo delle merci sottoposte alla vendita;
   cosa intenda fare per controllare i prezzi praticati all'interno degli istituti di pena per la vendita ai detenuti di generi di varia natura. (5-07653)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – Premesso che:
   secondo quanto pubblicato da Vita il 4 ottobre 2011, in Sardegna sette carceri su dodici non hanno un direttore;
   secondo Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione «Socialismo Diritti Riforme»: «per le carceri sarde la condizione è insostenibile posto che da diversi anni l'Amministrazione Penitenziaria infatti non assume direttori»;
   più in particolare: Gianfranco Pala, direttore della casa circondariale di Cagliari, quella che ospita un quarto delle persone private della libertà in Sardegna, regge anche l'istituto di pena di Iglesias; Pierluigi Farci, responsabile di Oristano, anche la colonia penale di «Is Arenas»; Gabriella Incollu, oltre all'Istituto di Nuoro, dirige anche la colonia penale di «Mamone»; Marco Porcu, titolare a Isili, deve curare anche Lanusei, mentre Teresa Mascolo, oltre al «San Sebastiano» di Sassari dirige anche Tempio Pausania;
   non è possibile che un direttore debba reggere fino a quattro strutture, anche perché questa situazione porta gli amministratori dei penitenziari sardi a svolgere solo l'ordinaria amministrazione con grave nocumento di tutte quelle attività volte alla rieducazione e al reinserimento sociale dei detenuti;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto è paradossale che non sia stata prevista alcuna nuova assunzione di direttori, considerando che nell'isola in questione sono in costruzione quattro nuove strutture penitenziarie –:
   se intenda adottare iniziative urgenti al fine di garantire a tutti gli istituti di pena sardi i necessari direttori;
   cosa intenda fare, per quanto di competenza, per ridurre il numero dei detenuti presenti in Sardegna, per rafforzare gli educatori e gli psicologi nonché per rendere meno pesante il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria. (5-07654)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il sette ottobre 2011 l'agenzia di stampa Adnkronos ha diramato la seguente, preoccupante, notizia: il carcere di Sollicciano è infestato dalle zecche dei piccioni;
   a lanciare l'allarme sulla presenza delle zecche all'interno dell'istituto di pena fiorentino è stata la Uil-Pa Penitenziari che, tramite il suo segretario generale, Eugenio Sarno, ha prontamente sollecitato «vivamente le competenti autorità del Provveditorato e del Dipartimento, nonché le autorità sanitarie locali ad attivarsi con immediatezza per garantire le necessarie attività disinfestanti»;
   qualche settimana fa gli operatori giuridici-pedagogici di Sollicciano hanno direttamente rilevato la presenza di nidi, residui nidiacei e di escrementi di piccioni negli ambienti penitenziari, tanto che si è dovuto procedere alla chiusura preventiva e cautelare per la disinfestazione di una sala colloqui ubicata presso l'infermeria del carcere;
   gli escrementi, i nidi, i residui, le carcasse sono fattori veicolanti non solo di parassiti, ma anche di pericolose patologie infettive (alcune contagiose e persino mortali) tra le quali si ricordano salmonellosi, criptococcosi, istoplasmosi, ornitosi, aspergillosi, candidosi, clamidosi, coccidiosi, encefalite, tubercolosi. È necessario, quindi, non solo procedere a sistematiche disinfestazioni, quanto prevedere un piano di contenimento delle presenze dei volatili infestanti;
   l'installazione di sistemi di allontanamento dei volatili o l'apposizione di materiale anti-posatoio per i piccioni eviterebbero il pericolo della diffusione di malattie infettive e contribuirebbero al contenimento delle spese di disinfestazione;
   è del tutto evidente che in una situazione igienico-sanitaria all'interno dei nostri istituti di pena già compromessa dal sovraffollamento ogni ulteriore elemento critico potrebbe far precipitare la situazione in brevissimo tempo –:
   se, negli ambiti di competenza, il Governo intenda attivarsi con immediatezza al fine di garantire le necessarie attività disinfestanti all'interno del carcere di Sollicciano;
   se non si intenda prevedere quanto prima un piano di contenimento delle presenze dei volatili infestanti mediante l'installazione di sistemi di allontanamento degli stessi o l'apposizione di materiale anti-posatoio per i piccioni. (5-07656)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI la sera del 7 ottobre 2011, verso le 22.30, Fabrizio Piras, 23 anni, è morto in una cella del carcere di San Sebastiano di Sassari;
   l'uomo era stato arrestato il 14 aprile per rapina e si trovava in carcere in stato di custodia cautelare in attesa di essere processato;
   il fatto è avvenuto mentre Piras era da solo nella sua cella. Sul posto sono intervenuti il pubblico ministero di turno, dottor Gianni Caria, e il medico legale, dottor Francesco Lubinu, insieme ai carabinieri della sezione investigazioni scientifiche del reparto operativo di Sassari per i rilievi;
   a seguito dell'ispezione sul cadavere dell'uomo, il dottor Lubinu avrebbe attribuito la causa della morte a «soffocamento per dilatazione dell'epiglottide, causata da volontaria inalazione da gas da bombola», probabilmente di un fornelletto da campeggio –:
   di quali informazioni disponga il Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare, nel rispetto e indipendentemente dall'inchiesta che sulla vicenda ha aperto la magistratura, un'indagine amministrativa interna volta a verificare eventuali responsabilità amministrative o disciplinari dell'amministrazione penitenziaria, anche alla luce della forte carenza di personale che limita inevitabilmente le possibilità di vigilanza sui detenuti;
   se e quali urgenti iniziative di carattere normativo il Governo intenda adottare al fine di ridurre i tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, ed il conseguente potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale, così come previsto dalla mozione n. 1-00288 approvata dalla Camera dei deputati il 12 gennaio 2010. (5-07657)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere composto da Ristretti Orizzonti, Radiocarcere, Antigone, A Buon Diritto, Il Detenuto Ignoto e Radicali Italiani, Mohamed Nahiri, 35 anni, detenuto nel carcere Pagliarelli di Palermo, si è impiccato domenica notte alle sbarre del bagno della sua cella con un lenzuolo;
   intorno alle 3 di notte, Nahiri ha afferrato il lenzuolo della sua branda, l'ha bagnato e si è impiccato alle sbarre della finestra del bagno. I suoi sette compagni di cella si sono accorti di quanto accaduto solo quando ormai purtroppo non c'era più nulla da fare. Il magistrato di turno non ha ritenuto necessario disporre l'autopsia;
   Mohamed Nahiri era arrivato al Pagliarelli nel mese di maggio 2011. Ad Augusta, dove era rinchiuso dal 2007, l'uomo aveva avuto alcuni problemi con gli altri carcerati e con il personale penitenziario che avrebbe aggredito in più di un'occasione. Finito in cella per l'omicidio di un connazionale a Roma, il tunisino sarebbe uscito nell'ottobre del 2019. Neanche al Pagliarelli Nahiri aveva intrecciato buoni rapporti con i compagni, tanto da essere trasferito qualche settimana fa in un'altra cella, nella quale dormivano in otto;
   da inizio anno sale a 146 il totale dei «morti di carcere»: 50 detenuti si sono suicidati, uno è stato ucciso (il 24enne Abbedine Kemal, «pestato» nel carcere di Opera il 23 giugno 2011 da persone non ancora identificate e poi deceduto in ospedale per le ferite riportate), 29 sono morti per «cause da accertare» ed i restanti 66 per «cause naturali»;
   l'età media dei suicidi è di 35 anni, quella dei morti per cause diverse dal suicidio di 41 anni. Quarantadue dei «morti di carcere» sono stranieri, 104 italiani. Tre le donne: Loredana Berlingeri, 44 anni, morta per un'infezione il 4 marzo nel carcere di Reggio Calabria; Adriana Ambrosini, 24 anni, suicida nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione (Mn) il 3 aprile 2011 ed Elena D., 30enne deceduta il 12 luglio nel carcere di Trani (Ba) per cause non ancora accertate –:
   se e come al momento del suicidio di Nahiri fosse garantita la sorveglianza;
   se il tunisino suicida fosse seguito dallo psicologo del carcere; quanti colloqui e di che durata abbia fatto dall'inizio della detenzione nel carcere palermitano;
   quanti detenuti dovrebbe ospitare e quanti in effetti ospiti il carcere Pagliarelli di Palermo;
   quanti siano gli agenti di polizia penitenziaria e quanti, invece dovrebbero essere secondo le leggi e le disposizioni vigenti, e ciò anche in relazione alla possibilità di rendere disponibili, proprio perché sorvegliati, spazi di socializzazione e di lavoro, di formazione e di impegno del tempo in attività formative;
   quante siano le unità dell’equipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere Pagliarelli;
   se il Ministro non intenda intervenire, in questo come in altre carceri, perché siano garantite a chi sconta una pena tutte le condizioni previste dalla legge perché la pena sia tale evitando un aggravamento derivato da condizioni strutturali e ambientali del carcere stesso. (5-07658)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dal quotidiano Latina Oggi del 10 ottobre 2011, l'ex sindaco di Sperlonga, attualmente presidente della provincia di Latina, Armando Cusani, è stato rinviato a giudizio per abusi edilizi in merito alla realizzazione dell'Hotel Grotta di Tiberio sito nel comune di Sperlonga, di cui è proprietario insieme ad Erasmo Chiappi; il processo vede coinvolto anche il responsabile dell'ufficio tecnico del comune di Sperlonga, Antonio Faiola;
   nel processo i reati contestati (abusivismo edilizio e abuso d'ufficio) rischiano di essere dichiarati estinti per intervenuta prescrizione, atteso che, dalla cronaca locale, si apprende che l'ultima udienza si è tenuta il 23 settembre 2011, la prossima verrà celebrata a gennaio 2012, e tra i reati di cui al capo di imputazione il più recente risale al maggio 2006, mentre gli altri sono tutti riferibili alla data del 23 settembre 2005;
   la parte offesa ha denunciato pubblicamente, come riportato dal quotidiano Latina Oggi del 10 ottobre 2011, il rischio che la politica locale abbia intimorito la procura di Latina attraverso un «clima che umilia la giustizia», al punto che è stata chiesta l'avocazione delle indagini al procuratore generale presso la corte d'appello mediante una istanza trasmessa anche alla procura della Repubblica di Perugia ed al Consiglio superiore della magistratura –:
   se intenda disporre accertamenti preliminari presso la procura di Latina al fine di verificare se quanto denunciato nell'articolo pubblicato sul quotidiano Latina Oggi il 10 ottobre 2011 corrisponda al vero. (5-07659)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo informazioni di stampa il magistrato di sorveglianza di Spoleto ha, con un'ordinanza, dato indicazioni alla Asl di Terni di sostenere le spese necessarie a garantire le cure ormonali ad una persona transessuale detenuta nel carcere di Terni motivando la decisione perché la sua integrità psicofisica viene garantita unicamente dalle cure già intraprese prima della detenzione;
   il magistrato di sorveglianza ha altresì disposto che «in caso di qualsiasi inerzia» da parte della Asl sia il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria a supplire provvisoriamente, come sta già avvenendo per i detenuti transessuali della casa circondariale di Belluno;
   la Asl di Terni ha annunciato che farà ricorso contro questa ordinanza perché sostiene che la legge non include la prescrizione di ormoni sessuali femminili a soggetto maschile;
   a seguito del ricorso dovrà esprimersi la Corte di Cassazione –:
   se il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria abbia provveduto ad adempiere a quanto previsto dal giudice;
   se non si intendano assumere le necessarie iniziative di competenza, se del caso normative, dirette a riconoscere il diritto alle cure ormonali per le persone transessuali e per evitare, il ripetersi di casi come quello descritto in premessa. (5-07660)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 19 ottobre scorso, i sindacati di polizia penitenziaria hanno denunciato che nel carcere di Livorno i loro colleghi non possono usufruire della mensa, a causa di un cronico degrado strutturale della struttura, e lamentano la mancanza gravissima degli strumenti minimi per svolgere con dignità il proprio lavoro –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   se non si ritenga di dover richiedere alla direzione della amministrazione penitenziaria l'avvio di una immediata consultazione con le organizzazioni sindacali dei lavoratori della polizia penitenziaria al fine di valutare e concordare l'assunzione di immediati provvedimenti atti a risolvere i problemi denunciati ed a scongiurare il ripetersi di inconvenienti simili. (5-07661)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Il Velino diramata il 18 ottobre 2011, un ispettore capo della polizia penitenziaria di 47 anni, Sergio C., in servizio nel carcere di Regina Coeli, si è ucciso sparandosi con la pistola d'ordinanza;
   l'uomo, separato e padre di una bambina, era in servizio nella stazione di sorveglianza generale dello storico carcere romano. Il gesto sarebbe avvenuto per problemi di carattere familiare; sulla vicenda il garante regionale dei detenuti, avvocato Angiolo Marroni, ha dichiarato: «Anche se le circostanze sembrano far credere il contrario io credo che il carcere abbia gran parte di responsabilità nella tragica fine di quest'uomo. È evidente, infatti, che nel suo gesto hanno avuto un peso non indifferente le drammatiche condizioni di lavoro in cui gli agenti di polizia penitenziaria si trovano costretti ad operare. Il sovraffollamento degli istituti, ha causato un peggioramento della qualità di vita nelle carceri e, quindi, non solo dei detenuti ma anche di tutti coloro che vivono questo mondo, a partire dagli agenti di polizia. Questo clima di perenne emergenza e di precarietà contribuisce a creare, in capo a questi uomini, una pressione psicologica talmente forte che, in altri momenti e con in condizioni, poteva sicuramente essere gestita» –:
   se siano stati disposti accertamenti per risalire alle cause di questo suicidio;
   se ritenga esservi connessione diretta o indiretta di questo tragico gesto con le condizioni ambientali e lavorative in cui opera la polizia penitenziaria;
   se non si ritenga di dover richiedere alla direzione della amministrazione penitenziaria l'avvio di una immediata consultazione con le organizzazioni sindacali dei lavoratori della polizia penitenziaria al fine di valutare e concordare l'assunzione di immediati provvedimenti atti a scongiurare il ripetersi di tragedie simili. (5-07662)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano La Sicilia lo scorso 20 ottobre, sarebbero gravi le condizioni del 37enne catanese che due giorni prima, alle 13,30, nel carcere di Caltagirone in cui era detenuto, ha cercato di suicidarsi ingerendo del detersivo liquido e impiccandosi dopo avere legato un lenzuolo alle sbarre delle finestra del bagno;
   il detenuto è attualmente ricoverato nel reparto di rianimazione del «Gravina», dove i medici non hanno sciolto la prognosi. Il quadro clinico autorizza però un moderato ottimismo. Intanto, si chiarisce la dinamica: la tragedia è stata evitata per un soffio grazie anche all'intervento di un agente di polizia penitenziaria che, raccolto l'allarme del compagno di cella, è subito accorso, sorreggendo insieme a questi il corpo dell'uomo, tagliando il cappio, praticandogli il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca e chiamando i sanitari della struttura, che si sono adoperati per evitare il peggio;
   il tentato suicidio sembra riconducibile a uno stato di stress psichico. L'uomo, che deve ancora scontare 5 anni, era in attesa di conoscere l'esito di una sua richiesta di detenzione domiciliare –:
   quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il tentato suicidio;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Caltagirone;
   quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Caltagirone e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario. (5-07663)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA diramata il 21 ottobre 2011, nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, mercoledì 18 ottobre, si sarebbe verificato un nuovo tentativo di suicidio da parte di un internato, il quale avrebbe tentato di togliersi la vita impiccandosi con un lenzuolo legato alle sbarre della cella;
   l'episodio è stato reso noto dal Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) il quale riporta che sono stati gli agenti di custodia a salvare l'uomo intervenendo immediatamente;
   dopo esser stato soccorso dagli agenti e dal personale sanitario, il detenuto è stato trasferito all'ospedale di Empoli. Eseguiti i controlli medici, l'uomo è poi stato ricondotto all'interno della struttura –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   se intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti dell'internato che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
   se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti dell'internato dopo questo episodio;
   se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico agli internati, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
   più in particolare quali iniziative, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica agli internati malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora. (5-07664)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI diramata lo scorso 21 ottobre, qualche giorno fa, all'interno della casa circondariale di Matera si sarebbe registrato un tentativo di suicidio da parte di un detenuto;
   Giovanni Grippo, segretario lucano della Uil-Penitenziari, ha infatti riferito che un detenuto avrebbe cercato di impiccarsi allorquando alcune unità della Polizia penitenziaria, in servizio di controllo, sono riuscite a scongiurare il peggio liberando l'uomo e rianimandolo immediatamente e con efficacia, al punto tale da non essere stato necessario neanche il trasporto in ospedale;
   al momento il detenuto si trova sotto stretta osservazione da parte del personale penitenziario –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   se intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti del detenuto che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
   se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
   se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo. (5-07665)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Italpress diramata il 18 ottobre 2011, un agente della polizia penitenziaria di 46 anni, Salvatore Corrias, in servizio nella struttura protetta per detenuti dell'ospedale «Sandro Pertini» di Roma, è rimasto schiacciato dalla porta carraia che stava cercando di sbloccare per consentire ad una ambulanza di uscire;
   sulla vicenda Leo Beneduci, segretario generale dell'Osapp (organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), ha dichiarato: «Oltre al sentito cordoglio nei confronti dei familiari e dei colleghi dell'Assistente Capo scomparso in maniera così tragica e assurda, l'evento, che si aggiunge alla lunga catena di morti dal e per il carcere, ci spinge anche a considerare quanto pericolosi stiano diventando in tutta Italia gli ambienti di lavoro ove operano i poliziotti penitenziari. Dalle visite che stiamo effettuando come sindacato sui posti di servizio sul territorio nazionale e, quest'oggi, dopo le carceri di Bologna e di Ferrara, presso gli istituti di pena di Piacenza e Modena emerge un quadro del tutto desolante in strutture vetuste e spesso prive di manutenzione per carenza di fondi, dove frequenti sono le infiltrazioni di acqua dai tetti o anche provenienti dal sottosuolo. Ci auguriamo, quindi, che il drammatico evento di ieri sera spinga i responsabili dell'Amministrazione Penitenziaria a disporre per un'immediata verifica delle condizioni delle infrastrutture ove operano poliziotti penitenziari e il Ministro sia a sua volta indotto a ricercare con immediatezza, unitamente al Governo, misure urgenti intese a deflazionare il gravissimo sovraffollamento penitenziario che aumenta i pericoli degli ambienti detentivi» –:
   se il Ministro non intenda dare corso, per quanto di suo competenza, alle procedure ispettive per verificare cause ed eventuali responsabilità che hanno determinato questo drammatico incidente e se non intenda, inoltre, assumere iniziative per garantire condizioni di sicurezza per l'operato degli agenti penitenziari, troppo spesso costretti ad operare in condizioni non più sostenibili a causa dell'abbandono del sistema penitenziario dovuto a pesanti tagli subiti dal settore, dal degrado delle strutture e dalle carenze di organico. (5-07666)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 24 ottobre 2011 il quotidiano onlineCorriere.it riportava la notizia riguardante il carcere di Asti e intitolata «Detenuti denudati e picchiati»;
   secondo l'articolo di Corriere.it, 5 agenti di polizia penitenziaria sono stati rinviati a giudizio «con l'accusa di aver picchiato e sottoposto a vessazioni due detenuti»;
   in particolare i due detenuti, «sono stati lasciati per alcuni giorni, in isolamento, completamente nudi in una cella priva di vetri alla finestra, di materasso, di lavandino e di sedie; per vitto è stato fornito loro solo pane ed acqua. Ai due, inoltre – secondo l'accusa – veniva impedito di dormire. Il processo contro i cinque agenti penitenziari comincerà il 27 ottobre ad Asti»;
   «A denunciare gli agenti – si legge su Corriere.it – sono stati Claudio Renne e Andrea Cirino. Il primo – si legge negli atti dell'inchiesta – fu portato nel 2004 in una cella di isolamento, come punizione per aver cercato di placare un diverbio tra un agente e un altro detenuto. Secondo Renne, la cella è priva di materasso, sgabelli e acqua; la finestra priva di vetri. Il detenuto racconta di essere rimasto nella cella per due mesi, i primi due giorni completamente nudo. Il cibo, racconta, è limitato a pane e acqua, ma a volte gli agenti gli lasciano dietro la porta della cella il vitto del carcere che lui può vedere ma non prendere. Le botte si ripetono più volte al giorno, calci e pugni su tutto il corpo, tanto che gli sarà riscontrata la frattura di una costola oltre ad una grossa bruciatura sul volto causata da un ferro rovente. Tra il dicembre 2004 e il febbraio 2005 anche Andrea Cirino viene tenuto in isolamento, per 20 giorni. La notte, racconta, gli agenti gli impediscono di dormire battendo le grate della cella, il giorno viene picchiato ripetutamente, gli viene negata l'acqua. Cirino, in seguito, tenterà il suicidio per impiccagione»;
   «Dalle intercettazioni e dalla relazione di polizia giudiziaria emergono particolari inquietanti», afferma Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone, che ha chiesto di costituirsi parte civile al processo. «Nel carcere di Asti – aggiunge – vigeva una cultura diffusa di violenza da parte dei poliziotti e di indifferenza da parte di medici e direttore». Un assistente di polizia penitenziaria dello stesso carcere nel 2006 testimonia: «Nel caso in cui i detenuti risultino avere segni esterni delle lesioni, spesso i medici di turno evitano di refertarli e mandano via il detenuto dicendogli che non si è fatto niente o comunque chissà come si è procurato le lesioni. Inoltre lo convincono a non fare la denuncia dicendogli che poi vengono portati in isolamento e picchiati nuovamente». In una intercettazione ambientale tra uno degli imputati e un altro agente del carcere, il primo afferma: «Ma che uomo sei... devi avere pure le palle... lo devi picchiare... lo becchi da solo e lo picchi... io la maggior parte di quelli che ho picchiato li ho picchiati da solo...»;
   altri aspetti della vicenda vengono trattati in una dichiarazione all'Ansa di Leo Beneduci, segretario del sindacato penitenziario Osapp; secondo Beneduci almeno un paio di circostanze dovrebbero essere verificate: chi abbia disposto l'isolamento per così lungo tempo dei due detenuti che avrebbero subito violenze (l'articolo 14-bis è una misura che non dipende dalla polizia penitenziaria ma dal direttore dell'istituto, dal provveditorato e dal Ministero) e perché i detenuti in questione non siano stati trasferiti in un altro istituto, visto che li si riteneva responsabili di aggressione nei confronti di personale penitenziario –:
   se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se risulti dagli atti depositati se il Ministro della giustizia avesse predisposto un'indagine amministrativa interna per approfondire l'accaduto;
   se risultino al Ministro le ragioni per le quali fu ordinato un periodo così lungo di isolamento dei due detenuti e per quale motivo non fosse stato disposto il trasferimento dei detenuti o degli agenti in altri istituti;
   se da qualche documento risalente al periodo in cui si verificarono i fatti, sia oggi possibile evincere un particolare clima di violenza da parte di alcuni agenti nei confronti dei detenuti e di indifferenza da parte di medici e direttore che avrebbero dovuto vigilare sull'incolumità della popolazione detenuta;
   se i 5 agenti rinviati a giudizio siano ancora in servizio presso il carcere di Asti e, in caso affermativo, in quali ruoli di servizio;
   se sia mai stato fatto uno studio della portata degli episodi di violenza del corpo degli agenti di polizia penitenziaria nei confronti dei detenuti;
   quando il Governo abbia intenzione di assumere un'iniziativa normativa per introdurre nel nostro codice penale il reato di tortura così come previsto dall'ordine del giorno n. 9/1439-A/2 presentato dall'interrogante e accolto l'8 giugno 2011. (5-07667)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI diramata il 21 ottobre 2011, verso le 23.30 di giovedì 20 ottobre, Rahamani Jalel, 29 anni, detenuto per spaccio di stupefacenti con fine pena tra circa due mesi, si è suicidato mediante impiccagione con strisce di stoffa ricavate dalle lenzuola in dotazione nella sua cella della sesta sezione del carcere genovese di Marassi; la notizia del suicidio dell'uomo è stata data dal segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, il quale ha dichiarato: «Si tratta del 55° suicidio in cella di questo 2011. Aggiorniamo il pallottoliere per mera statistica avendo, oramai, la certezza che il dramma che ogni giorno si consuma all'interno delle nostre degradate carceri interessi solo agli addetti ai lavori e a pochi politici di buona volontà». Contrariamente non si sarebbe fatto cadere nel vuoto il monito proveniente dal più alto livello istituzionale circa la prepotente urgenza di restituire civiltà e costituzionalità al nostro sistema penitenziario. Un sistema penitenziario, è bene ricordare, che costituisce una vergogna dell'Italia in Europa. Su questo l'immobilismo del Governo e del Parlamento è un dato di fatto;
   la Uil-Pa Penitenziari ha ricordato come a Marassi siano attualmente ristretti 812 detenuti in luogo dei 456 posti disponibili. Nel carcere ligure quest'anno si sono registrati due suicidi, nove tentati suicidi, circa 85 atti di autolesionismo grave, dieci aggressioni perpetrate in danno di poliziotti penitenziari (con un complessivo di tredici feriti) e circa cento proteste soggettive, il che secondo il sindacato della polizia penitenziaria, non è dovuto solo al sovraffollamento della struttura, ma anche al depauperamento degli organici che non aiuta a gestire l'ordinario stato di emergenza che si appalesa quotidianamente –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
   se non si intendano adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
   se non ritenga necessario adottare misure urgenti volte a rimuovere il grave sovraffollamento del carcere Marassi di Genova, in modo da garantire l'esistenza di condizioni minime di vivibilità della struttura, il rispetto pieno degli standard di sicurezza e funzionalità e l'adeguatezza della stessa alle proprie finalità costituzionali. (5-07668)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tirreno dello scorso 25 ottobre 2011 il carcere della Dogaia di Prato starebbe letteralmente scoppiando, atteso che lo stesso versa in condizioni precarie, con carenza di personale ed esubero di detenuti;
   i pesanti tagli alle risorse destinate alla struttura, coniugati al blocco delle assunzioni per il personale di polizia penitenziaria, stanno alimentando la tensione sociale tra le mura del carcere, che potrebbe sfociare nei prossimi giorni, in forme di protesta clamorose e inaspettate;
   secondo quanto riferito dal delegato sindacale della Cgil per la polizia penitenziaria Donato Nolè, «venti giorni fa 173 membri (su 225) del personale della polizia penitenziaria hanno sottoscritto un documento di denuncia sulle condizioni della casa circondariale di Prato ma ad oggi, purtroppo, ancora non abbiamo riscontrato l'attenzione di nessuno, al punto che la situazione sta diventando esplosiva e se le cose non cambieranno, saremo costretti ad organizzare forme di protesta inusuali rispetto al tipo di ruolo che ricopriamo»;
   nel carcere di Prato sono 736 i detenuti presenti per una capienza massima di 476 unità, 24 sono invece le celle che ne ospitano 4, due in più rispetto alla capienza massima adibita alla superficie di 12 metri quadrati; 340 sarebbe il numero necessario di operatori della polizia penitenziaria se i detenuti fossero 476, ma il rapporto attuale sta a 225 operatori su 736 detenuti;
   a tutto ciò si sommano i problemi relativi alle condizioni igienico-sanitarie. Secondo Domenico Nolè, «per novanta giorni, praticamente tutta l'estate non vi è stata la possibilità di cambiare le lenzuola dei letti. Lascio solo immaginare la situazione di una cella piccola, nel periodo estivo, che ospita quattro detenuti in queste condizioni» –:
   se il Ministro sia informato sulle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria del carcere di Prato;
   se non ritenga opportuno acquisire ulteriori informazioni – anche attraverso un'ispezione – in merito alle disfunzioni segnalate che gettano un'ombra molto grave sulla capacità dell'Italia di conformarsi alle norme del rispetto dei diritti umani che ha sottoscritto;
   se non ritenga necessario adottare urgentemente ogni provvedimento idoneo a rimuovere le disfunzioni e le carenze presenti nell'istituto di pena in esame, per garantire ai detenuti del carcere di Prato e anche al personale operante all'interno della struttura, le adeguate misure igienico-sanitarie e il rispetto degli standard di sicurezza, al fine di ristabilire un clima più adeguato al processo di rieducazione che è alla base dell'ordinamento carcerario italiano;
   quali iniziative intenda intraprendere per il potenziamento della dotazione organica della polizia penitenziaria assegnata presso la struttura penitenziaria indicata in premessa;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di diminuire il disagio degli agenti di custodia del carcere di Prato in relazione ai turni, alla fruizione delle ferie, alla formazione e a un eccessivo carico di responsabilità;
   quali provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare per riportare il numero dei detenuti del carcere di Prato entro la capienza regolamentare così da garantire agli stessi condizioni di detenzione conformi al dettato costituzionale, alla legge e ai regolamenti penitenziari. (5-07669)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano La Repubblica del 26 ottobre 2011 è apparsa questa incredibile dichiarazione del provveditore dell'amministrazione penitenziaria in Toscana, Maria Pia Giuffrida: «Non abbiamo più nemmeno i soldi per pagare il riscaldamento delle carceri: per ora stiamo chiedendo aiuto alle ditte fornitrici. Qualcuna però ha già tagliato il servizio. Abbiamo chiesto alle Prefetture di attivarsi per il ripristino. Questi fornitori hanno ragione perché noi non abbiamo pagato, non avendo i fondi a disposizione. Ma non possiamo imporre ai detenuti e a coloro che vigilano su di loro anche il surplus di pena del freddo per mancanza di riscaldamento. È inaccettabile»;
   attualmente nelle carceri toscane ci sono circa 4.400 detenuti, mentre la capienza regolamentare complessiva è di circa 3.000. La percentuale di sovraffollamento è pari al 40 per cento mentre dall'organico mancano 800 persone, fra cui 18 dirigenti. Sette istituti ne sono del tutto scoperti –:
   quali iniziative urgenti intenda promuovere, sollecitare e/o adottare al fine di garantire l'immediato ripristino del servizio di riscaldamento;
   quali iniziative intenda intraprendere per il potenziamento della dotazione organica della polizia penitenziaria assegnata presso le strutture penitenziarie toscane;
   se non ritenga di dover urgentemente assegnare il necessario personale dirigenziale ai sette istituti di pena toscani che attualmente ne risultano sprovvisti;
   quali provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare per riportare il numero dei detenuti delle carceri toscane entro la capienza regolamentare così da garantire agli stessi condizioni di detenzione conformi al dettato costituzionale, alla legge e ai regolamenti penitenziari. (5-07670)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'agenzia di stampa Agenda Parlamento del 28 ottobre 2011 ha riportato la seguente dichiarazione di Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione «Socialismo Diritti Riforme»: «M.C., 33 anni, di Gonnosfanadiga (Mc), attualmente recluso nella Casa Circondariale di Buoncammino per un periodo di tre mesi concesso per poter effettuare i colloqui con i familiari, ha ottenuto dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria per ben due volte, dal 2002 al 2011, il trasferimento dal carcere milanese di Opera ad un istituto sardo, ma il dispositivo non è divenuto esecutivo. Non solo, la mancata regionalizzazione della pena non gli consente di conoscere il figlio che ha ormai 10 anni e che non ha mai visto. Una condizione che danneggia pesantemente la situazione di una famiglia senza alcuna colpa»;
   a proposito della incredibile vicenda che lo vede coinvolto, M.C. ha detto: «Non riesco a comprendere come sia possibile che mi venga riconosciuta dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria con due appositi provvedimenti l'assegnazione a un Istituto sardo senza che questa opportunità si concretizzi. Tra l'altro mi trovo in stato di detenzione da 10 anni e non ho mai potuto incontrare mio figlio nato quando ero in carcere perché insieme a mia moglie abbiamo ritenuto inopportuno fargli conoscere il padre attraverso i colloqui dentro una struttura penitenziaria, trattandosi di sporadici incontri proprio a causa della distanza. È assurdo che in attesa di una soluzione positiva per il mio trasferimento un gesto di responsabilità genitoriale si stia rivelando una punizione per tutta la famiglia. Gli anni stanno passando e mi sto convincendo dell'impossibilità di conoscere l'infanzia di mio figlio. Esiste poi un altro aspetto non secondario. In questo lungo lasso di tempo ho potuto usufruire di alcuni permessi di tre mesi per i colloqui e sono stato assegnato temporaneamente a Buoncammino, una condizione adeguata per le necessità familiari. Non riesco a capire perché non possa divenire definitivo in questo Istituto. Il dispositivo di assegnazione emesso dal D.A.P. scadrà a fine novembre. Farmi ritornare a Opera per la mia famiglia sarebbe una disgrazia. Vi prego aiutatemi»;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto dinanzi a situazioni di questo tipo non si può che fare appello al buon senso. L'umanizzazione della pena, non gravando sulla famiglia del cittadino privato della libertà, dovrebbe essere una buona prassi. La detenzione deve essere l'unica pena inflitta dai giudici, il resto sono secondo l'interrogante una sorte di torture aggiuntive non previste dalle norme e quindi non legalizzate –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare al fine di trasferire definitivamente all'interno di un istituto di pena sardo il detenuto in questione dando così finalmente piena e completa attuazione a quanto già stabilito dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in ben due circostanze. (5-07671)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 23 ottobre 2001 sul sito www.radiocarcere.com è apparsa la seguente lettera scritta da un gruppo di persone recluse nel carcere di Regina Coeli: «Carissima Radio Carcere, anche nel vecchio carcere romano di Regina Coeli siamo ormai arrivati allo stremo. Innanzitutto a causa del sovraffollamento. Infatti le celle del carcere di Regina Coeli non solo sono rovinate ma sono ormai piene zeppe di detenuti, tanto che per molti manca addirittura il letto e allora vuoi sapere come si arrangiano? Sono costretti a dormire per terra sul pavimento della cella. E guarda che non si tratta di casi eccezionali, bensì di realtà che riguardano tantissime celle e tantissimi detenuti di Regina Coeli. A questo proposito la cosa che ci infastidisce di più è che alla televisione sentiamo che fanno tante leggi che puniscono chi maltratta gli animali, ma non fanno nulla contro i tanti maltrattamenti che i detenuti subiscono in carcere, tanto che spesso ci domandiamo: ma non era meglio nascere animali? Inoltre dovete sapere che, aumentando i detenuti, diminuisce per tutti anche il quantitativo di cibo. Il vitto del carcere, se vitto si può chiamare, è oggi appena sufficiente per il 30 per cento dei detenuti di Regina Coeli, mentre agli altri non resta che soffrire la fame. Già la fame... una parola che è sempre più frequente tra i detenuti di Regina Coeli. Infatti, come sapete, noi potremo comprare dei beni alimentari in carcere, ma siccome i prezzi sono proibitivi molti di noi non possono acquistarli e si devono accontentare del poco e schifoso cibo che passa il carcere. Non a caso stiamo cercando di organizzare uno sciopero della spesa così che l'impresa che ha vinto l'appalto per venderci gli alimenti la smetterà di speculare sulla nostra pelle. Infine, quanto al diritto alla nostra salute, vi diciamo solo che qui a Regina Coeli viviamo sperando ogni giorno di non stare male, perché altrimenti sono guai seri» –:
   quali dati aggiornati siano a disposizione del Governo in relazione alla situazione riscontrata presso il carcere di Regina Coeli, con particolare riguardo al numero di detenuti effettivamente presenti nella struttura e al tasso di sovraffollamento in esso riscontrato, nonché al numero degli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio;
   quali urgenti iniziative intenda assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del carcere di Regina Coeli in particolare, entro quali tempi preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
   se ritenga che il vitto distribuito nel carcere di Regina Coeli corrisponda per quantità e qualità alle tabelle dei capitolati d'appalto e a quali tipi di controlli lo stesso venga sottoposto;
   quali siano le voci che compongono l'elenco del cosiddetto sopravvitto e se il relativo listino prezzi sia soggetto ad un qualche visto di congruità secondo le disposizioni vigenti;
   più in generale, quali urgenti provvedimenti si intenda adottare per porre rimedio all'acclarata impossibilità di fornire in termini «corretti» una giornata alimentare completa ai detenuti, costretti pertanto ad integrare la propria alimentazione con l'acquisto del noto «sopravvitto», a loro spese ed a costi di gran lunga superiori ai prezzi di aggiudicazione delle forniture, come può facilmente riscontrarsi dalla prassi in essere presso gli istituti di pena, ove le stesse ditte aggiudicantisi gli appalti per il vitto gestiscono gli spacci interni con un evidente – se dimostrato – e colpevole interesse a deprimere la qualità e la quantità del vitto assicurato per sviluppare un anomalo maggior consumo «libero» di prodotti alimentari a prezzi da esse stesse stabiliti, in un regime di assoluto monopolio;
   cosa intenda fare, negli ambiti delle proprie competenze, per controllare i prezzi praticati all'interno degli istituti di pena per la vendita ai detenuti di generi di varia natura. (5-07672)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, Agatino Filia, 56 anni, è stato trovato morto giovedì 27 ottobre 2011 per le scale, in una delle sezioni del carcere delle Sughere. Accanto al suo corpo, pezzi di stoffa legati, come a voler formare una corda artigianale. Inutili i tentativi di rianimarlo: quando la polizia penitenziaria s’è accorta del fatto, l'uomo era già morto. Il decesso è stato constatato dal medico del 118, giunto sul posto insieme a un'ambulanza della Misericordia;
   apparentemente il detenuto non presentava ferite evidenti sul corpo, ma solo le tipiche lesioni post mortem dovute al trauma al collo. Queste le prime indiscrezioni, ma solo l'autopsia potrà far luce sulle cause della morte. Del caso si occupa la polizia penitenziaria, che ha immediatamente avvisato il pubblico ministero di turno;
   Agatino Filia, 56 anni, lavorava in carcere come addetto alle pulizie. Proveniente da Porto Azzurro, era stato trasferito da poco nella casa circondariale di Livorno;
   forse si tratta di suicidio, ma è un suicidio che appare quanto meno «anomalo» per diverse ragioni: l'uomo stava per terminare la pena (sarebbe stato scarcerato nel volgere di due giorni); il luogo in cui è stato ritrovato il cadavere è «insolito», perché quasi sempre i detenuti si impiccano nel bagno della cella; il cappio «sembra» sia stato ritrovato a terra e non stretto intorno al collo;
   si tratta del diciassettesimo decesso avvenuto nel carcere di Livorno dal 2003 ad oggi (9 i suicidi accertati, 3 morti per «cause naturali» e 5 per «cause da accertare»). Alle «Sughere» i detenuti sono circa 450 e 17 morti in 8 anni per un carcere di medie dimensioni, rappresentano un dato eccezionalmente grave –:
   se non ritenga opportuno disporre un'ispezione presso il carcere delle Sughere di Livorno per fare luce sull'esatta dinamica dell'episodio e per appurare se vi siano state negligenze da parte della direzione penitenziaria;
   se sia noto in che modo era seguitò dal personale medico il detenuto in questione e a quando risale l'ultimo incontro che lo stesso aveva avuto con lo psicologo, con l'educatore, con gli assistenti sociali;
   se, in particolare, l'uomo fosse stato visitato dallo psichiatra del carcere e se quest'ultimo avesse riscontrato un rischio suicidario;
   come si intenda intervenire in tempi rapidi e con quali provvedimenti per superare questa grave situazione creatasi nelle carceri italiane per arginare l’escalation dell'autolesionismo, dei tentati suicidi e dei suicidi e, soprattutto, come si intenda tutelare i soggetti meno tutelati, «i senza niente» che, per paura del dopo carcere, ricorrono sempre più frequentemente al suicidio;
   quali misure si intendano attuare per limitare il sovraffollamento carcerario e affinché si creino situazioni più consoni alla salute, anche mentale, del detenuto e quali percorsi, alternativi alla detenzione, di reinserimento nel tessuto lavorativo e sociale si intendano intraprendere, già dall'interno, per arginare tali fenomeni degenerativi e di disagio. (5-07673)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto asserito dal comitato per la prevenzione della tortura (CPT) nel suo rapporto annuale pubblicato l'11 novembre la pratica italiana di punire con l'isolamento i carcerati condannati a più di cinque anni di detenzione, come previsto dall'articolo 72 del codice penale, è inaccettabile;
   ad asserirlo è il Comitato per la prevenzione della tortura, che nel rapporto annuale pubblicato oggi detta le regole che gli Stati devono adottare quando infliggono l'isolamento ai carcerati;
   secondo il presidente dell'organismo di monitoraggio del Consiglio d'Europa, l'azero Letif Huseynov, gli unici Paesi a ricorrere alla pratica dell'isolamento come parte della pena da scontare sono l'Italia e la Russia;
   il Comitato per la prevenzione della tortura ritiene che l'isolamento non debba mai essere imposto come parte della pena. Secondo i dati raccolti dal Comitato per la prevenzione della tortura isolamento è una pratica potenzialmente pericolosi che può avere effetti estremamente dannosi sulla salute mentale di coloro che vi sono sottoposti. Per questo, l'organismo chiede agli Stati membri del Consiglio d'Europa di ridurre al minimo indispensabile il ricorso a questa pratica, anche come misura disciplinare per proteggere il singolo carcerato;
   nel citato rapporto il Comitato per la prevenzione della tortura delinea tutti i principi che gli Stati membri devono applicare affinché le loro pratiche inerenti all'isolamento rispettino gli standard stabiliti al livello europeo e non rischino di trasformarsi in maltrattamento –:
   quali iniziative urgenti anche normative, intenda adottare e/o promuovere, al fine di adeguare il nostro sistema giuridico alle indicazioni contenute nel rapporto annuale del Comitato per la prevenzione della tortura richiamato in premessa;
   in che tempi intenda dare seguito all'ordine del giorno (n. 9/1439-A/2) della delegazione radicale all'interno del gruppo del PD, presentato e accolto l'8 giugno 2011, che impegna il Governo a predisporre con la massima urgenza un disegno di legge volto ad introdurre il reato di tortura nel codice penale italiano.
(5-07678)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 14 novembre, il segretario generale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe) ha diramato il seguente comunicato: «Il Sappe vuole porre l'attenzione dei vertici dell'Amministrazione penitenziaria sulle precarie condizioni strutturali in cui versa la Casa Circondariale di Potenza, la cui attivazione è risalente agli anni 50. Da tempo, infatti, si registrano numerose anomalie strutturali che destano forti preoccupazioni sotto il profilo della sicurezza. Da circa un mese, dopo che i tecnici preposti ne hanno dichiarato il rischio di crollo, è stato chiuso il Reparto penale, poiché, a causa di abbondanti infiltrazioni di acqua, è stata compromessa la consistenza strutturale di una parte del padiglione. Tale stato di fatto ha comportato l'immediata evacuazione del reparto in questione con il trasferimento di tutti i detenuti presso il Reparto giudiziario, il quale, anche quest'ultimo, non versa in condizioni del tutto ottimali. Al momento l'unico intervento, a parte l'immediata evacuazione del Reparto penale, è stato quello del Provveditorato Regionale di trasferire solo 5 detenuti in altro Istituto del distretto; nel frattempo l'Istituto di Potenza è stato destinatario di altri numerosi detenuti provenienti da altri istituti trasferiti per “sfollamento”. Lo stato attuale detentivo dell'Istituto potentino sta divenendo assai preoccupante in quanto i reclusi sono ristretti tutti presso il Reparto giudiziario, “stipati” in stanze anguste e assolutamente non adeguate a quello che prevede il decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, con negative ripercussioni sulla sicurezza del personale di Polizia Penitenziaria, costretto a escogitare quotidianamente soluzioni per “tamponare” le colossali inadeguatezze, A tal riguardo abbiamo chiesto urgentemente di attivare gli Uffici competenti affinché vengano posti in essere ulteriori idonei provvedimenti, anche di tipo deflattivo, nei confronti dei detenuti, finalizzati a riportare un regolare stato di vivibilità detentiva all'interno della struttura penitenziaria, al fine di evitare che la situazione possa determinare episodi di criticità a danno dell'Amministrazione e del personale che, allo stato, risulta essere assolutamente sotto organico e pertanto numericamente inidoneo a fronteggiare situazioni di notevole gravità. Oltre alla predetta situazione si è verificato, infatti, il continuo “scollamento” di pesanti lastre di marmo che rivestono il muro di cinta, ed anche se la parte interessata è stata parzialmente interdetta al passaggio di pedoni le barriere poste in essere per transennare la zona appaiono assolutamente inidonee e prive di sicurezza. Numerose infiltrazioni di acqua piovana provengono dai solai posti nelle due caserme (femminile e maschile) e nella porta carraia, soprattutto causate dal deterioramento degli impianti di canalizzazione dell'acqua, tanto da creare forti getti di acqua all'interno dei predetti locali, ponendo fondati dubbi sulla idoneità delle condizioni igienico sanitarie. Sarebbe più corretto porre tempestivi interventi di ripristino, evitando un disastroso deterioramento delle strutture, con l'aggravio di costi per le riparazioni. Per ultimo, e non per minore importanza, la parziale funzionalità dell'impianto termico, che determina ulteriori precarie condizioni di vivibilità sia per i detenuti che per il personale di Polizia Penitenziaria, quest'ultimo costretto a lavorare con temperature inidonee, in particolar modo nelle ore notturne e ancor di più se si pensi alle particolari condizioni climatiche della Regione» –:
   quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per far fronte ed eliminare le criticità denunciate dal SAPPE;
   quali motivi abbiano fino ad ora impedito di procedere in tal senso.
(5-07679)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferito dal Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) nel carcere di Monza sarebbe imminente lo sfollamento di 400 detenuti verso altri istituti penitenziari della Lombardia, atteso che i danni provocati dalle recenti e frequenti piogge è stato tale da avere reso inagibile parte delle celle e delle sezioni detentive;
   da giorni sulla città di Monza si ripetono pesanti acquazzoni che hanno reso inagibile la struttura penitenziaria, in particolar modo le sezioni ad alta sicurezza, dove vi è una capienza regolamentare di 100 detenuti su 50 camere, mentre attualmente, nelle due sezioni, sono presenti circa 120 detenuti, il che fa registrare un notevole stato di sovraffollamento. Fino a ieri le camere inagibili erano solo due, ma con il passar del giorni è divenuta inagibile più di mezza sezione;
   oltre alle infiltrazioni d'acqua piovana si sta verificando che alcune plafoniere risultano piene d'acqua al punto che nell'istituto di pena lombardo spesso viene a mancare l'energia elettrica, il che aggrava ancor di più la sicurezza sia del personale che dei reclusi;
   risulta inoltre che, sempre a causa delle piogge, sia saltato anche l'impianto di riscaldamento dell'intero istituto –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   con quali mezzi si intendano tradurre i circa 400 detenuti negli altri istituti di pena lombardi, visto che il reparto di polizia di Monza risulta non averne a sufficienza;
   se e quali urgenti interventi di manutenzione siano stati predisposti sul carcere di Monza, considerato che l'istituto di pena in questione – seppur parzialmente – rimarrà comunque funzionate, con diverse centinaia di poliziotti penitenziari e circa 500 detenuti. (5-07680)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Il Tirreno dello scorso 14 novembre è apparso un articolo intitolato: «Carcere di Via Saffi, l'igiene è un disastro»;
   la casa circondariale di Grosseto accoglie attualmente 25 detenuti, di cui il 60 per cento stranieri, ed altrettanti operatori delle forze dell'ordine. I carcerati provengono da qualunque tipologia di reato e passano dalla libertà alla detenzione in questa struttura in attesa di essere tradotti altrove;
   le celle del carcere di Via Saffi ospitano sino a cinque detenuti ognuna ed i servizi sanitari sono precari, atteso che, secondo quanto dichiarato dalla stessa direttrice dell'istituto di pena, la dottoressa Cristina Morrone, «nell'istituto di pena vi sono tre sciacquoni rotti da diverso tempo e non ci sono i soldi per aggiustarli. La carta igienica ed i detersivi poi, spesso, ci vengono donati dalla Caritas» –:
   se intenda dotare l'istituto penitenziario di Grosseto delle risorse economiche necessarie e sufficienti per far fronte quanto meno alla sua manutenzione e gestione ordinarla. (5-07681)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   su La Gazzetta del Mezzogiorno del 17 ottobre 2011 è apparso un articolo di G.L. intitolato «I genitori cercano un accordo Bimbe contese: l'uomo aveva inscenato una protesta davanti al Tribunale per i minorenni», nel quale viene raccontata la drammatica vicenda di S.S. 33 anni, al quale sono state tolte le figlie e che proprio per questo da diversi mesi sta portando avanti una pacifica e civile protesta davanti al tribunale per i minori di Bari. La stessa notizia è stata ripresa dal Quotidiano di Bari e Provincia lo scorso primo novembre 2011 in un articolo scritto da Francesco De Martino e intitolato «Porterò la mia croce davanti a istituzioni e tribunali baresi Continua la protesta, davanti al Tribunale per i minori di Bari, del commerciante all'ingrosso di Trinitapoli che rivuole le sue figliole»;
   la vicenda narrata negli articoli sopra citati può essere riassunta nel modo che segue: a seguito di una nota trasmessa dai servizi sociali di Trinitapoli, con la quale si denunciava la condizione di presunto pregiudizio in cui vivrebbero le minori A e F. S., è stato promosso dalla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Bari un procedimento sulla potestà, attesa l'incapacità della madre di prendersi cura delle figlie, e stante la presunta elevata conflittualità della donna con il padre delle due minori;
   il tribunale per i minorenni di Bari, con provvedimento del 24 novembre 2010, disponeva quindi l'affido delle medesime minori, di appena due anni e mezzo, ai servizi sociali di Trinitapoli e le collocava, unitamente alla madre signora L.C. presso una struttura comunitaria idonea alla realizzazione di interventi volti al recupero psicofisico della madre (a causa di un gesto autolesionistico compiuto dalla medesima), stabilendo altresì che gli incontri delle minori con il padre dovessero avvenire in forma protetta a scopo di cautela;
   dopo una serie di accertamenti, il tribunale per i minorenni di Bari, con provvedimento del 9 febbraio 2011, dopo aver affermato (testuale) che «Le minori hanno un ottimo rapporto con il padre e su questo non vi è dubbio», disponeva solo un percorso di deistituzionalizzazione della madre e delle bambine, prevedendo il loro graduale rientro a Trinitapoli da attuarsi entro e non oltre il mese di maggio 2011;
   successivamente, e del tutto incomprensibilmente, lo stesso tribunale per i minorenni, con provvedimento del 20 aprile 2011, nonostante avesse precedentemente accertato l'ottimo rapporto delle minori con il padre, disponeva (testuale): «la sospensione dei rientri delle minori nella città di Trinitapoli»;
   tale repentino cambiamento di indirizzo da parte del tribunale per i minorenni di Bari e, quindi, la decisione di sospendere il rientro delle minori a casa, veniva motivato dall'autorità giudiziaria sulla base di una richiesta della madre di anticipare il rientro a casa delle minori ed anche, incredibile a dirsi, sulla base di una civilissima e pacifica protesta attuata, davanti alla sede del tribunale, dal padre delle due minori al fine di rivendicare il proprio diritto alla genitorialità. Ed invero nel citato provvedimento del 20 aprile 2011 adottato dal tribunale per i minorenni di Bari è dato leggere quanto segue: «(...) considerato che il successivo giorno 4 aprile la Sig.ra C.L. ...inviava un fax al tribunale nel quale chiedeva di poter anticipare il rientro a casa... e considerato che nella stessa giornata S.S. inscenava innanzi al Tribunale per i Minorenni una manifestazione di protesta consistente nell'esposizione di un tabellone appeso alla recinzione apposta di fronte al Tribunale, nelle esposizione di due cartelli da lui indossati e nella distribuzione ai passanti di volantini, oltre che nella spiegazione ai passanti dei fatti, a mezzo megafono, lamentando l'allontanamento delle figlie da Trinitapoli e il loro collocamento in comunità (...)»;
   inoltre, con successivo provvedimento del 1o giugno 2011, il tribunale per i minorenni di Bari ordinava addirittura l'immediata sospensione degli incontri del padre con le minori (provvedimento poi tempestivamente impugnato dagli avvocati dell'interessato);
   in considerazione della gravità di quanto stava accadendo e, soprattutto, nell'interesse delle due minori, i legali di fiducia del padre e della madre delle bambine depositavano congiuntamente, in data 10 ottobre 2011, una istanza di affido condiviso rendendo sostanzialmente vano l'argomento del presunto – e mai provato – stato di litigiosità fra i genitori delle piccole A. e F. utilizzato dalle istituzioni per addivenire ai provvedimenti innanzi richiamati;
   il tribunale per i minorenni di Bari respingeva l'istanza di affido condiviso rinviando ogni decisione in merito all'esito del deposito dell'elaborato peritale;
   con successiva istanza d'urgenza del 20 ottobre 2011, sempre a firma congiunta dei legali del padre e della madre delle minori, le richieste di affido condiviso delle bambine venivano reiterate atteso lo stato di salute delle piccole A. e F. e stante il fatto che ormai le minori non potevano essere ulteriormente collocate presso la struttura che le ospita unitamente alla loro madre;
   il tribunale per i minorenni di Bari, rigettava nuovamente l'istanza rinviando ogni decisione in merito all'esito del deposito dell'elaborato peritale;
   nella presente vicenda non vi è mai stato alcun provvedimento di decadenza della potestà genitoriale nei confronti dei due genitori e tanto meno del signor S.S. il quale si è sempre preso cura delle minori ed è economicamente in grado di sostenere le stesse, essendo titolare di una azienda agricola e disponendo di una abitazione in grado di ospitare entrambe le figlie;
   l'articolo 1 della legge n. 184 del 1983 dà priorità all'esigenza del minore di crescere all'interno della famiglia naturale, così valorizzando il legame naturale del figlio con la famiglia d'origine. Il rilievo del legame di sangue è tanto forte da importare che la crescita del minore in seno alla famiglia naturale può essere sacrificata solo a fronte di una oggettiva situazione di mancanza di cure materiali e morali da parte dei genitori e dei prossimi congiunti, che possa gravemente pregiudicare lo sviluppo e l'equilibrio psico-fisico del minore (Corte di Cassazione Sezione I civile, 14 aprile 2006, n. 8877);
   in nessuno dei decreti emessi dal tribunale dei minori di Bari si ravvisa tale «oggettiva situazione di mancanza di cure materiali e morali da parte dei genitori delle minori»; il che fa sorgere il fondato sospetto che i provvedimenti finora assunti dall'autorità giudiziaria siano stati in qualche misura indotti o comunque condizionati dalla protesta pacifica del signor S.S.;
   ad avviso degli interroganti, tutto ciò rappresenta un danno per le due bambine che, anche in caso di separazione dei genitori, hanno tutto il diritto di mantenere, se non la famiglia, almeno relazioni positive con ciascun genitore, onde prevenire sofferenze psicologiche e danni allo sviluppo della loro personalità;
   peraltro il mantenimento delle due minori in comunità, ancorché immotivato, costituisce un aggravio di costi per gli enti pubblici locali, stimabile in almeno 8.000,00 euro mensili;
   sarebbe opportuno appurare:
    a) se siano stati garantiti nei confronti delle due minori citate la tutela dell'incolumità fisica e psicologica e l'ascolto delle loro ragioni, ed in generale i diritti garantiti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, e se ci siano eventuali ragioni amministrative che impediscano la loro permanenza nel contesto familiare in cui sono cresciute;
    b) se le minori siano state adeguatamente tutelate nel loro diritto di continuare a godere dell'affetto di entrambi i loro genitori che rappresentavano il loro unico punto di riferimento –:
   se il Ministro della giustizia non ritenga opportuno assumere, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative, con riferimento a quanto descritto in premessa, al fine di verificare l'eventuale sussistenza di presupposti idonei a promuovere un'azione disciplinare;
   se il Governo non ritenga necessario verificare quanti siano all'anno i collocamenti in casa famiglia o in comunità disposti dal tribunale dei minori di Bari nei casi in cui esista un genitore idoneo che abbia un forte legame affettivo con il figlio e se disponga di elementi in ordine all'importo annuale delle spese relative ai collocamenti in comunità o case famiglia disposti dal tribunale dei minori di Bari, considerando che il costo per lo Stato in media varia dai 70 ai 300 euro al giorno per ciascun minore. (5-07683)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa DIRE il 2 novembre 2011, all'interno del carcere di Rimini ci sarebbe un intero reparto che ancora non è stato ristrutturato e per il quale era stato già approvato il relativo progetto, con uno stanziamento di circa 900 mila euro; fondi che, al momento, la direttrice dell'istituto di pena in questione, dottoressa Maria Benassi, sostiene di non aver ricevuto;
   il segretario generale aggiunto del sindacato autonomo della polizia penitenziaria, Giovanni Battista Durante, riporta in una nota le seguenti considerazioni: «Il carcere di Rimini è una struttura caratterizzata da luci ed ombre, dove sono ristretti 205 detenuti (la capienza massima è pari a 208, ndr) i quali, d'estate, arrivano anche a 300, a causa dell'aumento della popolazione esterna e, quindi, dei maggiori arresti. Dei 205 detenuti presenti a Rimini, afferma il Sappe in una nota, 79 sono italiani e 126 stranieri. I tossicodipendenti sono 95» –:
   entro quanto tempo verrà ristrutturato il reparto ubicato all'interno del carcere di Rimini e cosa abbia impedito fino ad oggi l'avvio dei lavori di ristrutturazione;
   quale sia stata la destinazione dei 900mila euro stanziati a suo tempo per la ristrutturazione del predetto reparto;
   quali provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare per riportare il numero dei detenuti del carcere di Rimini entro la capienza regolamentare così da garantire agli stessi condizioni di detenzione conformi al dettato costituzionale, alla legge e ai regolamenti penitenziari. (5-07684)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 31 ottobre 2011, l'interrogante ha appreso la notizia della tragica morte di un altro agente di polizia penitenziaria;
   a fare la dolorosa comunicazione è stato il segretario della UIL penitenziari Eugenio Sarno che, in una nota stampa, affermava: «Questa mattina nella propria abitazione di Battipaglia (SA) l'Assistente Capo di Polizia Penitenziaria Luigi Corrado, 46 anni, si è suicidato mediante impiccagione. Il tragico evento si è verificato solo da pochi minuti e pertanto non è possibile fornire ulteriori dettagli. Luigi lascia la moglie ed un figlio in tenera età. Sono sconvolto e stravolto perché conoscevo personalmente Luigi di cui erano ben note le doti di cordialità, disponibilità e socialità. L'assistente capo Corrado era in servizio presso la Casa Circondariale di Bellizzi Irpino dove svolgeva le mansioni di addetto alle sale colloquio. Il Corpo di Polizia penitenziaria perde una figura di grande spessore morale e di grandi doti professionali. Sconosciamo le ragioni che hanno portato Luigi a questo atto estremo, ma di certo se una persona solare e tranquilla come Lui arriva al suicidio c’è molto, ma molto da preoccuparsi e da interrogarsi sulla genesi dei tanti, troppi suicidi tra gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria»;
   da parte sua, il segretario del SAPPE, Donato Capece, tramite il sito Polpen.it, dichiarava: «Siamo sgomenti e sconvolti. Un Assistente Capo di Polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Avellino si è suicidato a Battipaglia. Non sono ancora chiare le ragioni che hanno spinto l'uomo, 45 anni, a compiere il gesto estremo. Oggi piangiamo la vittima di un'altra tragedia che ha sconvolto i Baschi Azzurri, nell'indifferenza assoluta e colpevole dell'Amministrazione Penitenziaria che sottovaluta questa grave realtà. Noi ci stringiamo con tutto l'affetto e la solidarietà possibili al dolore indescrivibile della moglie, della figlia, dei familiari, degli amici, dei colleghi. Dal 2000 ad oggi si sono uccisi 100 poliziotti penitenziari, 1 direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e 1 dirigente regionale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). E sei suicidi in pochi mesi sono sconvolgenti. Da tempo sosteniamo che bisogna comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l'attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere. L'Amministrazione penitenziaria, dopo la tragica escalation di suicidi degli scorsi anni – nell'ordine di 10 casi in pochi mesi ! –, accertò che i suicidi di appartenenti alla Polizia Penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, sono in taluni casi le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Proprio per questo il Dap assicurò i Sindacati di prestare particolare attenzione al tragico problema, con la verifica delle condizioni di disagio del personale e l'eventuale istituzione di centri di ascolto. Ma a tutt'oggi non sono stati colpevolmente attivati questi importanti Centri di ascolto e questa colpevole superficialità su un tema tanto delicato quanto importante è imperdonabile, se in poco tempo 6 appartenenti alla Polizia Penitenziaria si sono tolti la vita. Ed è grave che su un tema tanto delicato quanto il disagio lavorativo dei Baschi Azzurri ci sia così tanta superficialità. Chiediamo al Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma di farsi carico in prima persona di questo importante problema. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: l'istituzione di appositi Centri specializzati in grado di fornire un buon supporto psicologico agli operatori di Polizia – garantendo la massima privacy a coloro i quali intendono avvalersene – può essere un'occasione per aumentare l'autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità spendibili in una professione davvero dura e difficile, all'interno di un ambiente particolare quale è il carcere, non disgiunti dai necessari interventi istituzionali intesi a privilegiare maggiormente l'aspetto umano ed il rispetto della persona nei rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano la Polizia penitenziaria. Su queste tragedie non possono e non devono esserci colpevoli superficialità o disattenzioni» –:
   se siano state avviate indagini per risalire alle cause di questo suicidio;
   se risulti esservi connessione diretta o indiretta di questo tragico gesto con le condizioni ambientali e lavorative in cui opera la polizia penitenziaria;
   se non si ritenga di dover assumere iniziative affinché la direzione della amministrazione penitenziaria avvii una immediata consultazione con le organizzazioni sindacali dei lavoratori della polizia penitenziaria al fine di valutare e concordare l'assunzione di immediati provvedimenti atti a scongiurare il ripetersi di tragedie simili. (5-07685)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano La Sicilia del 2 novembre 2011 gli istituti penitenziari di Caltanissetta e di San Cataldo starebbero letteralmente scoppiando, atteso che gli stessi versano in condizioni precarie, con carenza di personale ed esubero di detenuti;
   il vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, si è pubblicamente rivolto al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Franco Ionta, con la seguente nota: «A fronte dei quotidiani proclami che giungono da tutte le parti per fornire soluzioni al fine di risolvere il sovraffollamento delle carceri e le carenze di organico nei reparti di polizia penitenziaria, sentiamo il dovere di denunciare le pessime condizioni strutturali in cui versano gli Istituti Penitenziari di Caltanissetta e di San Cataldo. A parere di chi scrive, non dimenticando l'Istituto Penale per i Minorenni di Caltanissetta, non ha senso mantenere tre carceri nello spazio di pochi chilometri, non solo per evitare la frammentazione delle risorse, ma perché le condizioni strutturali dei predetti Istituti sono assolutamente al di fuori dai tempi. Noi crediamo che la realizzazione di un nuovo Istituto Penitenziario nell'area di Caltanissetta, dotato delle moderne tecnologie, non solo concentrerebbe le risorse economiche e di personale, ma garantirebbe a tutti, compresi i detenuti, condizioni di vivibilità migliori. Per questo le chiediamo di prendere in considerazione l'ipotesi che Le abbiamo segnalato invitandola, tra l'altro, a venire personalmente sul territorio per rendersi conto di persona che non ha senso tenere aperte tre strutture poco funzionali dove ne basterebbe una al passo con i tempi» –:
   se il Ministro sia informato sulle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria degli istituti di pena di Caltanissetta e di San Cataldo;
   se non ritenga opportuno acquisire ulteriori informazioni – anche attraverso un'ispezione – in merito alle disfunzioni segnalate dai sindacati della polizia penitenziaria che gettano un'ombra molto grave sulla capacità dell'Italia di conformarsi alle norme sul rispetto dei diritti umani che ha sottoscritto;
   quali provvedimenti intenda adottare in merito alle disfunzioni segnalate in premessa;
   quali iniziative intenda intraprendere per il potenziamento della dotazione organica della polizia penitenziaria assegnata presso le strutture penitenziarie indicate in premessa;
   quali provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare per riportare il numero dei detenuti delle carceri di Caltanissetta e di San Cataldo entro la capienza regolamentare così da garantire agli stessi condizioni di detenzione conformi al dettato costituzionale, alla legge e ai regolamenti penitenziari. (5-07686)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tempo del 2 novembre 2011 al carcere di Frosinone starebbe letteralmente scoppiando, atteso che lo stesso versa in condizioni precarie, con carenza di personale ed esubero di detenuti;
   in una nota congiunta le sigle sindacali unite hanno sostenuto che «a un anno dalla nostra ultima protesta siamo costretti a dichiarare che nulla è cambiato. Il carcere di Frosinone sta per scoppiare e la carenza di personale ormai è cronica. Sappiamo con certezza solo l'orario di inizio del nostro turno di lavoro, ma non la fine. Mancano oltre 60 unità, rispetto all'organico previsto di 260. Da tempo c’è una presenza media di 525 detenuti, rispetto alla capienza dell'istituto fissata in 325. Qualcosa bisognava pur fare» –:
   se il Ministro sia informato sulle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria del carcere di Frosinone;
   se non ritenga opportuno acquisire ulteriori informazioni – anche attraverso un'ispezione – in merito alle disfunzioni segnalate dai sindacati della polizia penitenziaria che gettano un'ombra molto grave sulla capacità dell'Italia di conformarsi alle norme in materia di rispetto dei diritti umani che ha sottoscritto;
   quali iniziative intenda intraprendere per il potenziamento della dotazione organica della polizia penitenziaria assegnata presso la struttura penitenziaria indicata in premessa;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di diminuire il disagio degli agenti di custodia del carcere di Frosinone in relazione ai turni, alla fruizione delle ferie, alla formazione e a un eccessivo carico di responsabilità;
   quali provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare per riportare il numero dei detenuti del carcere di Frosinone entro la capienza regolamentare così da garantire agli stessi condizioni di detenzione conformi al dettato costituzionale, alla legge e ai regolamenti penitenziari. (5-07687)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Agenparl dello scorso 5 dicembre, un detenuto di origine marocchina, Wadih Said, 34enne, arrestato nel luglio 2011, in attesa di essere processato per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti, è stato rinvenuto cadavere nella sua cella ubicata al terzo piano giudiziario del carcere bolognese della Dozza;
   sulla vicenda il segretario generale Uil Penitenziari, Eugenio Sarno, ha diramato la seguente nota: «Le cause del decesso sono in corso di accertamento, anche se pare che il detenuto negli attimi prima della morte avesse sniffato gas dalla bomboletta in dotazione per il fornellino da campo che aveva in cella. Il personale di polizia penitenziaria ed il personale sanitario allertati dal compagno di detenzione, pur essendo intervenuti con immediatezza, non hanno potuto fare nulla per salvare la vita allo sventurato. Purtroppo questa ennesima tragedia non solo allunga la lista delle morti in carcere quanto ripropone quella prepotente urgenza di soluzioni più volte richiamata a gran voce, e con autorevolezza, dal Capo dello Stato. Proprio la Dozza, con i circa 1.100 detenuti presenti in luogo dei 480 che potrebbe ospitare, è uno dei luoghi emblematici del sovraffollamento penitenziario. Così come il penitenziario bolognese rappresenta plasticamente la necessità di prevedere un piano straordinario di manutenzione degli edifici penitenziari attivi. Lo stato di fatiscenza strutturale e il pericolo costante rappresentato da alcuni luoghi di lavoro è stato più volte denunciato dalla Uil Penitenziari, ma dalla stessa Amministrazione Comunale. Tra l'altro l'Emilia Romagna è priva di un Provveditore Regionale effettivo e questo ritarda, se non impedisce, quelle attività di controllo e coordinamento, quanto mai necessarie ed indispensabili per indagare a fondo sui malesseri operativi e gestionali che si appalesano nella struttura di Via del Gomito. Proprio ieri a margine dell'incontro a Palazzo Chigi con il premier Monti, il Ministro Severino ci ha comunicato il suo intento di convocare i sindacati. Auspichiamo che tale incontro avvenga a breve perché le questioni sul tappeto, inerenti la prepotente urgenza, sono davvero tante: dalla necessità di implementare gli organici, alla indifferibile necessità di deflazionare le presenze detentive per finire agli stanziamenti utili alla funzionalità del sistema. Intendiamo porre a disposizione del Ministro Severino la nostra esperienza e competenza in materia, avendo anche qualche soluzione, a costo zero, da proporre. Il degrado strutturale può essere limitato destinando alla manutenzione quota parte dei 650 milioni di euro già stanziati per la costruzione di nuove carceri; una incisiva riforma ci alcune norme quali la 199 (la cosiddetta svuota carceri) e la Cirielli sulla recidiva consentirebbe un deflazionamento delle presenze; un ricorso meno sistematico alla custodia cautelare impedirebbe il fenomeno delle sliding doors (porte girevoli) per cui moltissimi detenuti sono ristretti solo per poche ore prima di essere rimessi in libertà; soprattutto bisogna riscoprire e recuperare l'alto senso della legge Gozzini con le alternative alle pene e alle sanzioni. Ovviamente bisogna rivedere gli organici del personale della polizia anche in relazione alle nuove esigenze ed alle nuove aperture, penitenziaria. Non si può continuare ad aprire padiglioni ed istituti nuovi senza assumere una sola unità in più» –:
   quali siano le informazioni del Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare, nel rispetto e indipendentemente dalla eventuale inchiesta che sulla vicenda aprirà la magistratura, un'indagine amministrativa interna volta a verificare le cause che hanno cagionato la morte del detenuto Wadih Said;
   se non ritenga urgente fornire elementi sulla reale consistenza delle morti in carcere in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle avvenute per cause sospette;
   se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una «detenzione giusta», rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui, se del caso, istituendo in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per prevenire il rischio-suicidi e le altre emergenze legate ai disagi psicologici delle persone recluse negli istituti di pena;
   quali provvedimenti ritenga opportuno e urgente adottare per ricondurre il carcere bolognese della Dozza – e, più in generale, le strutture penitenziarie emiliane – in condizioni rispettose della normativa, così da assicurare condizioni di vita dignitose sia ai detenuti che al personale di polizia penitenziaria;
   per quale motivo l'Emilia Romagna non disponga di un provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria e se non intenda provvedere urgentemente alla sua nomina effettiva;
   se, più in generale, intenda ovviare al degrado strutturale che contraddistingue i nostri istituti di pena, destinando alla loro manutenzione una quota parte dei 650 milioni di euro già stanziati per la costruzione di nuove carceri. (5-07688)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano La Nazione del primo dicembre scorso, una persona reclusa nell'ospedalepsichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino avrebbe tentato di togliersi la vita impiccandosi;
   la notizia è stata resa pubblica da una nota emessa dal sindacato di polizia penitenziaria Sappe;
   l'episodio è avvenuto lunedì 28 novembre, intorno alle 14: protagonista un cinquant'enne italiano rientrato da alcuni giorni in OPG dopo essere stato in una comunità della Romagna dove non era però riuscito a integrarsi;
   l'internato è stato trasportato all'ospedale San Giuseppe di Empoli e piantonato sul posto, dopodiché è stato dimesso ed è tornato nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Villa Ambrogiana –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   se intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti dell'uomo che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
   se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate nei confronti dell'internato dopo questo episodio;
   se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti e agli internati, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
   più in particolare quali iniziative, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti ed agli internati malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora. (5-07689)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Il Tirreno del 27 novembre 2011 è apparso un articolo intitolato: «Livorno: detenuto cade dal terzo piano del letto a castello e si ferisce alla testa»;
   secondo quanto riferito dal garante dei detenuti Marco Solimano un detenuto delle Sughere caduto mentre dormiva dal ripiano più alto di un letto a castello a tre di una cella procurandosi una ferita lacero contusa alla testa e sette punti di sutura;
   il detenuto, aggiunge Solimano, stava dormendo in cella sull'ultimo dei tre letti a castello di una cella che dovrebbe ospitare una sola persona, e sarebbe scivolato dalla branda e caduto a terra;
   in una nota, il garante sostiene che il carcere di Livorno versa in «un degrado strutturale ed ambientale, fino a toccare situazione di fatiscenza, cui non corrisponde alcun significativo intervento –:
   quali dati aggiornati siano a disposizione del Governo in relazione alla situazione riscontrata presso il carcere di Livorno, con particolare riguardo al numero di detenuti effettivamente presenti nella struttura e al tasso di sovraffollamento in essa riscontrato;
   quali urgenti iniziative intenda assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del predetto istituto di pena, in particolare, entro quali tempi preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
   quali iniziative siano state assunte o programmate e quali misure si intendano attuare per porre rimedio alle carenze del personale civile (educatori, psicologi e assistenti sociali) e della polizia penitenziaria assegnati presso il carcere di Livorno. (5-07690)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano La Sicilia del primo dicembre 2011, è stata pubblicata la seguente lettera spedita dal vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Franco Ionta, al direttore generale del personale e al provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria, nonché al direttore della casa circondariale di Enna, dottoressa Letizia Bellelli: «L'attuale ubicazione del carcere di Enna si scontra con tutti i parametri logici e normativi che ne garantirebbero la piena agibilità. Il paradosso è dettato dal fatto che da circa un anno, ad Enna, è pronto il nuovo padiglione penitenziario ed ancora, purtroppo, non si intravedono spiragli per la sua apertura. Per questo noi riteniamo improrogabile la necessità di dismettere gradualmente la struttura che ospita la vecchia casa circondariale facendo transitare, utenti e personale, all'interno dei nuovi locali che non solo sarebbero più funzionali, ma che anche, con il tempo, potrebbero subire dei problemi strutturali dovuti al mancato utilizzo» –:
   per quale motivo ad oggi non si sia ancora proceduto all'apertura del nuovo padiglione dell'istituto penitenziario di Enna;
   se non intenda dare immediato avvio alla dismissione della struttura penitenziaria ennese provvedendo, nel contempo, al trasferimento dei detenuti e del personale all'interno dei nuovi locali. (5-07691)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 novembre 2011 il sito internet riviera24.it ha reso noto che un detenuto recluso nel carcere di Sanremo ha ingoiato le punte di due forchette ed è stato ricoverato all'ospedale «Borea» in prognosi riservata dove è stato sottoposto ad un intervento chirurgico allo stomaco;
   secondo una prima ricostruzione, l'uomo avrebbe avvolto le punte in metallo nella mollica di pane, formando una pallina che poi ha ingoiato. Una delle punte ha però trapassato l'intestino –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro rispetto al grave fatto esposto in premessa;
   se sia stata avviata un'inchiesta al fine di accertare eventuali responsabilità rispetto a tale episodio;
   se ritenga di adottare misure urgenti, e di quale tipo, a tutela della salute e dell'integrità fisica del detenuto in questione. (5-07692)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il signor G.C. è attualmente sottoposto al regime carcerario di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario all'interno della casa circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso;
   in data 29 ottobre 2010 il direttore del predetto istituto di pena, uniformandosi ad una decisione emessa in pari data dal direttore generale dei detenuti e del trattamento, ha inibito al detenuto la visione dei canali televisivi «Rai Sport» e «Rai Storia», ciò sulla base di quanto stabilito dall'ordinamento penitenziario all'articolo 41-bis, comma 2-quater, lettera a), disposizione che prevede «l'adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna, con riguardo principalmente alla necessità di prevenire contatti del detenuto con l'organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento»;
   sulla base della citata norma, il diritto all'informazione delle persone detenute nel regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario può essere limitato in due casi:
    a) quando vi sia fondato motivo di ritenere che il canale inibito possa veicolare messaggi verso un detenuto o alcuni detenuti, anche a causa del carattere locale del canale;
    b) quando vi sia una necessità oggettiva, tecnica o logistica, in virtù della quale non sia possibile garantire la visione di un canale senza al contempo rendere visibile un altro canale per il quale vi sia fondato motivo di ritenere che esso possa veicolare messaggi verso un detenuto o alcuni detenuti;
   con ordinanza depositata in data 17 maggio 2011, il magistrato di sorveglianza di Roma, dottor Enrico della Ratta Rinaldi, investito della questione su reclamo del detenuto, ha stabilito che i provvedimenti con i quali l'amministrazione penitenziaria ha inibito al signor G.C. la visione dei canali «Rai Sport» e «Rai Storia» è illegittima in quanto in essi non si fa alcun riferimento né all'eventualità che i due menzionati canali televisivi possano veicolare messaggi all'esterno, né alle ragioni per le quali la visione dei due canali in questione potrebbe far trapelare messaggi all'esterno;
   nell'ordinanza citata è dato leggere quanto segue: «L'annullamento dei provvedimenti della Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento del 29 ottobre 2010 e della Direzione della Casa Circondariale Rebibbia Nuovo Complesso segue alla disapplicazione della circolare della Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento del 23 settembre 2010 emessa in violazione degli articoli 18, comma 6 ordinamento penitenziario e 21 della Costituzione. All'annullamento consegue il ripristino per il detenuto C., della situazione antecedente al 29 ottobre 2010, cioè la visione, oltre ai sette canali già oggi consentiti, anche dei canali «Rai Sport» e «Rai Storia»;
   il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, pur non impugnando il citato provvedimento, non ha inteso darvi esecuzione, di tal che il difensore del detenuto ha diffidato il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ad adempiere, ciò senza alcun esito, tanto è vero lo stesso magistrato di sorveglianza che ha emesso l'ordinanza citata ha intimato al diretti del carcere di Rebibbia di porre in esecuzione la decisione emessa;
   alla data odierna – ossia a distanza di quasi sette mesi – quel provvedimento non risulta ancora eseguito in quanto il Ministro della giustizia pro-tempore ha concordato con il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di non ottemperare al provvedimento giurisdizionale;
   a fronte dell'inerzia dell'amministrazione penitenziaria, il detenuto G.C. ha presentato ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio, mentre il magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento si è rivolto alla Corte costituzionale sollevando il conflitto di attribuzione;
   sulla vicenda, il 13 dicembre, la commissione carcerazione speciale e diritti umani istituita in seno all'Unione delle camere penali italiane ha diramato un duro comunicato intitolato: «Regime di detenzione speciale 41-bis: dalla tortura democratica, alla destabilizzazione dell'ordine costituzionale», nella quale è dato leggere il seguente passaggio: «Non può che essere sottolineato come in questa circostanza il Ministro della giustizia pro tempore si sia prestato a fare da schermo concordando con il DAP la mancata esecuzione di un provvedimento emesso da un magistrato della Repubblica: si tratta di comportamenti destabilizzanti dell'ordine costituzionale, bisogna che lo si dica con tutta la forza e la chiarezza possibile, poiché realizzano una illegittima interferenza tra poteri dello Stato. È importante notare come in questa occasione nessuna voce si sia levata in difesa della giurisdizione e di quel magistrato, né da parte della magistratura associata, né da parte del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma, sede con competenza nazionale per il 41-bis. In questa materia non è la prima volta che ciò accade. La battaglia per l'abolizione di questo regime di detenzione speciale finalizzato unicamente ad ottenere «collaboratori di giustizia» acquista, oggi, nuovi argomenti: la supina accettazione di questa inaccettabile legislazione produce danni devastanti per l'intero ordinamento fino ad arrivare al punto in cui i provvedimenti della magistratura, se sgraditi all'Amministrazione Penitenziaria, non vengono eseguiti con il consenso del Ministro di Giustizia (...) –:
   per quali motivi fino ad oggi non sia stata data esecuzione al provvedimento adottato dal magistrato di sorveglianza di Roma citato in premessa;
   se non intenda attivarsi con urgenza affinché, in ottemperanza a quanto stabilito dalla magistratura di sorveglianza, al detenuto G.C. sia consentita la visione dei canali televisivi «Rai Sport» e «Rai Storia». (5-07693)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, nel pomeriggio di domenica 18 dicembre 2011, un detenuto del carcere di Monza, di nazionalità italiana e poco più che quarantenne, si è tolto la vita inalando il gas contenuto nella bomboletta. Inutili i soccorsi della Croce rossa di Brugherio, giunta sul posto con un'ambulanza e un'automedica;
   sulla vicenda il segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, Donato Capece, ha dichiarato: «L'ennesimo suicidio di un detenuto morto dopo aver inalato il gas della bomboletta, avvenuto nel carcere di Monza, bomboletta che tutti i reclusi legittimamente detengono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande come prevede il regolamento penitenziario, impone a nostro avviso di rivedere la possibilità che i ristretti continuino a mantenere questi oggetti nelle celle. Ogni detenuto può disporre di queste bombolette di gas, che però spesso servono o come oggetto atto ad offendere contro i poliziotti o come veicolo suicidario. Riteniamo che sia giunto il momento di rivedere il regolamento penitenziario, al fine di vietare l'uso delle bombolette di gas, visto che l'Amministrazione fornisce comunque il vitto a tutti i detenuti»;
   nel corso del 2011, nel carcere di Monza, si sono registrati 11 i tentativi di suicidio, 87 episodi di autolesionismo, 2 aggressione subite dagli agenti della polizia penitenziaria e 84 scioperi della fame. Alla base di questa protesta continua, il sovraffollamento del carcere monzese, che conta oggi 713 detenuti a fronte di una capienza massima stimata in 405 unità –:
   se non ritenga opportuno disporre un'ispezione presso il carcere di Monza per fare luce sull'esatta dinamica dell'episodio e per appurare se vi siano state negligenze da parte della direzione, nonché per verificare, più in generale, quale sia la condizione dei detenuti e degli operatori della polizia penitenziaria;
   se risulti in che modo era seguito dal personale medico il detenuto in questione e a quando risale l'ultimo incontro che lo stesso aveva avuto con lo psicologo, con l'educatore, con gli assistenti sociali;
   se, in particolare, l'uomo fosse stato visitato dallo psichiatra del carcere e se quest'ultimo avesse riscontrato un rischio suicidario;
   quali misure più in generale il Ministro intenda adottare nell'immediato per arginare il fenomeno dei suicidi all'interno delle nostre strutture penitenziarie.
(5-07694)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 13 dicembre, V.A., 40enne originario di Bari, è morto nel carcere di Taranto per supposte cause naturali;
   la notizia è stata resa nota dal vicesegretario nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Domenico Mastrulli. Il detenuto in questione sarebbe un ex collaboratore di giustizia e sarebbe uscito dall'istituto di pena di Taranto nel 2024;
   sulla vicenda Domenico Mastrulli ha dichiarato: «Ecco ci risiamo, anche se si parla di una ennesima morte naturale, il decesso del detenuto evidenzia ancora una volta la situazione di disagio che si vive nelle carceri italiane. Nel carcere di Taranto i detenuti sono stipati, ammassati con letti a castello che raggiungono in alcuni casi il soffitto e in strutture che per l'Osapp sono da sottoporre ad urgenti lavori di ristrutturazione» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se intenda avviare un'indagine amministrativa interna al fine di appurare il modo in cui siano avvenuti i fatti e se nei confronti del detenuto V.A. siano state messe in atto tutte le misure di cura e assistenza che le sue condizioni fisiche richiedevano;
   cosa intenda fare il Ministro interrogato per riportare il numero complessivo dei detenuti del carcere di Taranto a quanto previsto dalla normativa;
   se non intenda procedere con urgenza ai lavori di ristrutturazione del predetto istituto di pena così come richiesto da tempo dalle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria. (5-07695)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa ANSA del 15 dicembre scorso, la procura della Repubblica di Civitavecchia ha ipotizzato l'omicidio colposo a carico di ignoti per il suicidio del detenuto greco di 30 anni che si è impiccato il 14 dicembre nel carcere di Civitavecchia, dove era detenuto per traffico internazionale di stupefacenti;
   l'ipotesi di reato è legata alle condizioni psichiche del giovane, che prima di suicidarsi versava in uno stato di profonda depressione legata al regime carcerario, motivo per il quale era sotto sorveglianza speciale –:
   di quali informazioni disponga in merito ai fatti descritti in premessa;
   se non ritenga opportuno avviare un'indagine amministrativa interna al fine di appurare, indipendentemente e nel rispetto dell'indagine avviata dalla magistratura, l'esatta dinamica dell'episodio e per appurare se vi siano state negligenze da parte della direzione e/o degli operatori della polizia penitenziaria;
   se risulti in che modo era seguito dal personale medico il detenuto in questione e a quando risalga l'ultimo incontro che lo stesso aveva avuto con lo psicologo, con l'educatore, con gli assistenti sociali;
   se e che tipo di provvedimenti cautelari fossero stati adottati dalla direzione carceraria nei confronti del detenuto morto suicida. (5-07696)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto dichiarato dal segretario generale della UIL penitenziari, Eugenio Sarno, Feres Chabachb, 25 anni, si è impiccato nella propria cella del centro clinico del carcere Buoncammino di Cagliari;
   si tratta del secondo suicidio, dopo quello di Monica Bellofiore, avvenuto a Cagliari nel 2011, mentre il totale nazionale dei suicidi in cella sale a 63;
   secondo Eugenio Sarno, «più volte i vari livelli della Uil Penitenziari hanno segnalato come l'istituto del capoluogo sardo non sia in grado di tollerare una grave situazione di sovraffollamento. Al Buoncammino sono presenti 540 detenuti, a fronte di una capienza di 324 (67 per cento indice di affollamento). Ad aggravare la situazione lo stato di degrado della struttura e la carenza organica del personale di Polizia Penitenziaria, con 54 agenti in meno rispetto alla tabella decretata»;
   sulla vicenda Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione «Socialismo Diritti Riforme», ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Il nuovo suicidio nel carcere cagliaritano di Buoncammino conferma, purtroppo, il profondo disagio e la grave difficoltà a far prevalere la speranza sulla disperazione nelle strutture penitenziarie. Il gesto di un ragazzo di 25 anni, extracomunitario, solo, con problemi psichici, trasferito dal Cpsa (Centro Primo Soccorso Accoglienza) di Elmas evidenzia palesemente le falle di un sistema non più accettabile. Un evento tragico che rischia, peraltro, di degenerare in una negativa sequenza. Neppure il gesto di umana solidarietà della Ministra della Giustizia Paola Severino e del Capo del Dipartimento Franco Ionta riservato a Cagliari possono frenare l'onda di insostenibile sfiducia nelle Istituzioni dei cittadini privati della libertà. Il peso di questo nuovo imprevedibile suicidio è particolarmente grave perché riguarda una persona senza famiglia, senza amici, senza nulla. Una persona simbolo della quotidiana esistenza di tanti immigrati giunti in Italia con la speranza di trovare un'esistenza dignitosa e finiti invece in una struttura non in grado di accogliere il loro vissuto. Chabachb Feres è il simbolo dell'Italia che non è capace di garantire i diritti» –:
   di quali informazioni disponga in merito ai fatti descritti in premessa;
   se non ritenga opportuno avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare, indipendentemente e nel rispetto dell'indagine avviata dalla magistratura, l'esatta dinamica dell'episodio e per appurare se vi siano state negligenze da parte della direzione e/o degli operatori della polizia penitenziaria;
   se risulti in che modo fosse seguito dal personale medico il detenuto in questione e a quando risalga l'ultimo incontro che lo stesso aveva avuto con lo psicologo, con l'educatore, con gli assistenti sociali;
   se e che tipo di provvedimenti cautelari fossero stati adottati dalla direzione carceraria nei confronti del detenuto morto suicida;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di contrastare il grave affollamento di detenuti e la pesante carenza di organico degli agenti penitenziari che da anni fanno sì che le condizioni di detenzione e lavorative che si registrano all'interno dell'istituto di pena cagliaritano siano al di sotto della soglia della tollerabilità. (5-07697)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un articolo apparso sul quotidiano Il Centro il 29 giugno 2012, un 32enne avrebbe tentato il suicidio nel carcere di Pescara, e ora sarebbe ricoverato nel reparto di rianimazione dell'ospedale cittadino. L'uomo, che avrebbe problemi di droga, avrebbe cercato di impiccarsi, dopodiché sarebbe stato tratto in salvo e condotto al nosocomio;
   a quanto sembra qualche ora prima, a margine di una udienza in tribunale, l'uomo avrebbe anche tentato la fuga ma sarebbe stato subito riacciuffato. Poi, rientrato in carcere, ha tentato il suicidio e sembra che in quei momenti fosse solo, in cella. Al momento non si conoscono altri dettagli. L'uomo, detenuto da pochi giorni, non sarebbe in pericolo di vita –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   se intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti del detenuto che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
   se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
   se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
   più in particolare, quali iniziative, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora.
(5-07698)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Aldo Tavola, detenuto nella casa circondariale di Castrovillari, è deceduto all'ospedale dell'Annunziata di Cosenza dopo una serie di visite e ricoveri. Sulla vicenda il sostituto procuratore, dottor Giuseppe Cava, ha aperto una inchiesta dopo aver ricevuto una denuncia da parte dei familiari detenuto disponendo l'autopsia sul corpo dell'uomo;
   Aldo Tavola era stato arrestato il 21 gennaio 2012, dalla polizia di Stato. Associato in un primo momento alla casa circondariale di Paola, a febbraio era stato trasferito a Castrovillari. Le condizioni di salute dell'uomo sono andate via via peggiorando fino a quando lo stesso non ha cominciato a mostrare problemi di deambulazione finendo sulla sedia a rotelle. A quel punto, il figlio Vincenzo ed i legali hanno sollecitato visite specialistiche per capire quali fossero le cause dei problemi dell'uomo. Successivamente Aldo Tavola è stato trasferito all'ospedale di Castrovillari fino allo spostamento, la scorsa settimana, all'ospedale dell'Annunziata. I familiari riferiscono di aver parlato con il loro prossimo congiunto. Tant’è che qualcuno avrebbe sollevato la possibile presenza di problemi neurologici;
   sulla vicenda il 27 giugno 2012 Emilio Quintieri — già consigliere nazionale dei Vas ed esponente dei Verdi — ha diramato il seguente comunicato. «È stata una morte assurda. Aldo Tavola non stava bene da oltre un mese. E nonostante le sue condizioni di salute peggioravano di giorno in giorno non è stato adeguatamente curato ed assistito. Neanche in seguito alle formali richieste del figlio Vincenzo e dei suoi avvocati difensori che diffidavano la Direzione della Casa Circondariale di Castrovillari a farlo ricoverare in una struttura sanitaria anche per fargli praticare tutti gli accertamenti specialistici necessari ad individuare di cosa soffriva perché neanche lui riusciva a spiegarlo. Ma quando l'hanno finalmente trasferito in Ospedale, prima a Castrovillari e poi a Cosenza, probabilmente era troppo tardi anche se il personale medico, nel tardo pomeriggio precedente al decesso, riferiva ai familiari che la situazione non era preoccupante e non c'era alcun pericolo di vita ritenendo si trattasse di problemi neurologici. Sta di fatto che il giorno successivo, dopo aver eseguito alcuni accertamenti, l'uomo è improvvisamente ed inspiegabilmente spirato in una camera di sicurezza vigilata dalla Polizia Penitenziaria. Ieri, quando sono stato informato della notizia, non ci potevo credere. Conoscevo personalmente Aldo Tavola; tra di noi c'era un grande rapporto di amicizia e sono rimasto veramente mortificato di non aver fatto abbastanza per poter soddisfare le sue “richieste di aiuto”. Ovviamente adesso è mia intenzione, oltre quella della famiglia distrutta dal dolore, di andare fino in fondo per conoscere tutta la verità perché se ci sono delle responsabilità, sia da parte del Carcere che dei Sanitari che lo avevano in custodia, debbono essere accertate e perseguite a termini di Legge. L'autopsia disposta dalla Procura della Repubblica di Cosenza mi auguro faccia piena luce, senza lasciare alcun dubbio, sulle reali cause della morte di Aldo Tavola e su ciò che è accaduto nei suoi ultimi giorni di vita. Ormai le carceri non sono più solo un luogo di privazione della libertà personale ma delle strutture dove si rischia la vita ogni giorno. Bisogna rendersi conto che quando si calpesta la dignità dell'uomo, ovunque ciò avvenga e chiunque sia quell'uomo, sono minacciati anche il fondamento dei nostri diritti e i valori della democrazia nel suo complesso. Ancora non si riesce a cogliere a livello di opinione pubblica quanto sia aberrante e pericoloso che lo Stato non riesca concretamente a garantire la vita e la dignità delle persone che ha in sua custodia. Siamo già ad 81 decessi in pochi mesi (di cui 27 suicidi), dove vogliamo arrivare ? Possibile che si continui imperterriti con questa politica penitenziaria criminale nonostante le migliaia di condanne inflitte allo Stato dalla Corte Europea dei Diritti Umani, i richiami e le raccomandazioni del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ? Proprio nei giorni scorsi la Corte Suprema di Cassazione ha respinto il ricorso dell'Avvocatura Generale dello Stato e confermato la condanna del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia per il trattamento inumano, crudele e degradante, al limite di condizioni di vera e propria “tortura”, a cui era stato sottoposto un detenuto tunisino nel Carcere di Lecce. Tutto quello che sta accadendo nelle carceri italiane è indegno per un Paese che voglia definirsi civile ! I detenuti vengono prima ammassati nelle celle e poi ignorati fino a quando alcuni di essi finiscono in gravissime condizioni di salute o, peggio ancora, vengono trovati morti. Ammazzati dall'incuria, dall'indifferenza, dalla solitudine e, purtroppo, in alcune occasioni, dalla violenza impunita dello Stato ! Solleciterò la presentazione di una specifica Interrogazione Parlamentare ai Ministri della Giustizia e della Salute per conoscere se e quale sia stata l'assistenza medica prestata al detenuto durante la sua permanenza in Carcere, se il ricovero in Ospedale sia stato tempestivo e, se lo stesso, avrebbe potuto effettuarsi prima che le condizioni del signor Tavola peggiorassero in modo tale da recare pregiudizio alla sua sopravvivenza nonché l'esatta dinamica del suo decesso. Inoltre chiederò al Gruppo Parlamentare dei Verdi in seno al Parlamento Europeo di chiedere ufficialmente alla Commissione Europea di aprire una procedura d'infrazione contro la Repubblica Italiana per ripetuta violazione del diritto dell'unione in materia di salvaguardia dei diritti umani fondamentali» –:
   quali iniziative intendano intraprendere, negli ambiti di rispettiva competenza, per fare piena luce su questo decesso, in particolare, chiarendo:
    a) quale sia stata l'esatta dinamica del decesso e la cause del decesso di Aldo Tavola;
    b) se e come sia stata prestata l'assistenza medica al detenuto durante la sua permanenza in carcere anche con riferimento all'opportunità e alla tempestività del ricovero;
   quali siano le condizioni umane e sociali della casa circondariale di Castrovillari e se, all'interno della stessa, sia garantita l'assistenza sanitaria ai detenuti; in particolare se non si ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, per quanto di competenza, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a garantire il rispetto della Costituzione, della legge e dei regolamenti.
(5-07699)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i detenuti della casa circondariale di Fuorni (Salerno) hanno diramato la seguente nota alla stampa: «In data 2 luglio 2012 inizieremo una protesta non violenta, con una durata di giorni tre, per chiedere l'attenzione del Tribunale di Sorveglianza di Salerno. Tale protesta si svolgerà secondo la seguente forma: vi sarà una totale astensione dal ritirare il vitto, che quotidianamente consegna questa amministrazione, il cosiddetto sciopero del carrello; si effettueranno tre serie di battiture delle inferriate con cadenza di trenta minuti ciascuna a partire dalle ore 7 e secondo la seguente modalità: 7.00-7.30, 15.00-15.30, 22.30 23.00. Questa decisione è stata presa col fine di ottenere l'attenzione del Tribunale di Sorveglianza di Salerno, affinché sia ripristinato l'uso delle misure alternative, applicando e rispettando i contenuti della “famosa” legge Gozzini che è puntualmente disattesa dal nostro Tribunale. Inoltre chiediamo l'applicazione della legge 26 novembre 2010 (cosiddetta legge salva-carceri). Tale norma in questo istituto non è assolutamente considerata nonostante sia stata appositamente concepita per far fronte al sovraffollamento, piaga che affligge l'intero “pianeta carcerario” ma che potrebbe in particolar modo risollevare l'istituto in cui ci troviamo ammassati in oltre 500, nonostante questa struttura sia in grado di ospitare meno della metà dei detenuti che effettivamente vi sono. Tutto ciò aggiunge alla pena che stiamo scontando un'ulteriore condanna che è quella di sopravvivere stipati in celle roventi, vedendo calpestati ogni giorno non solo i nostri diritti ma anche quello che è il Principio basilare della nostra Costituzione secondo cui: “La pena deve tendere alla rieducazione del condannato e non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” (articolo 27). Infine chiediamo al Magistrato di Sorveglianza un dibattito aperto con questa amministrazione affinché vi siano delle visite periodiche per un reale controllo delle condizioni in cui ci troviamo, solo in questo modo il magistrato potrà rendere Giusto e “Umano” (secondo l'articolo sopra citato) il suo operato, avendo ben presente lo stato in cui ci troviamo che ci costringe a vivere in condizioni disumane e degradanti, in un luogo così saturo in cui non vi è spazio sufficiente per ciascun detenuto. Fiduciosi che questa direzione comprenda appieno le motivazioni della nostra protesta e certi che appoggerà le nostre richieste» –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, non ritenga di disporre una ispezione ministeriale ad avviso dell'interrogante opportuna, quanto necessaria nei confronti del tribunale di sorveglianza di Salerno, e, se del caso, promuovere l'azione disciplinare nei confronti del citato organo giurisdizionale in relazione alla trattazione delle istanze avanzate dai detenuti;
   quale sia la situazione, a livello nazionale, dei tribunali di sorveglianza quanto a carenza di risorse, mezzi e personale;
   in quale maniera ed entro quali tempi intenda riportare il carcere di Fuorni all'interno dei perimetri della legalità costituzionale e del rispetto di quanto stabilito dall'ordinamento penitenziario. (5-07700)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA il 3 luglio 2012, un detenuto in attesa di essere giudicato con rito direttissimo, Michele Pavone, di 29 anni, si è suicidato nella caserma dei carabinieri di Sant'Anastasia (Napoli), impiccandosi con una maglietta. L'uomo era nella camera di sicurezza dopo l'arresto per evasione dai domiciliari;
   dopo l'arresto, il ragazzo era stato rinchiuso in una cella di sicurezza ubicata all'interno della caserma dei carabinieri in attesa del processo per direttissima atteso per il giorno dopo –:
   quali siano le cause che hanno provocato il decesso dell'uomo;
   se nel caso di specie siano state valutate – dalle forze dell'ordine e/o dal magistrato inquirente titolare delle indagini – le condizioni di salute della persona arrestata, al fine di una sua custodia presso un luogo alternativo alla camera di sicurezza;
   se nel caso di specie non vi fossero altre specifiche ragioni di necessità che imponevano la custodia del signor Pavone presso un luogo di custodia alternativo alla camera di sicurezza della caserma dei carabinieri e, in caso affermativo, per quali motivi le forze dell'ordine che hanno proceduto all'arresto non le abbiano valutate e prese in considerazione;
   quanto fosse grande la cella di sicurezza all'interno della quale l'uomo è stato trovato morto;
   se la cella di sicurezza in questione godesse di illuminazione (in particolare, di luce naturale) e di aerazione adeguata; se la stessa fosse attrezzata con mezzi di appoggio (per esempio sedie fisse o panche) e se nella stessa vi fossero un materasso e coperte pulite;
   se non si ritenga opportuno distribuire sistematicamente uno stampato alle forze dell'ordine con l'elenco chiaro dei diritti che spettano alle persone detenute dalla polizia fin dall'inizio della loro custodia;
   se non intenda avviare un programma urgente di potenziamento, ampliamento e ristrutturazione delle camere di sicurezza all'interno delle quali dovranno essere custodite le persone arrestate in flagranza di reato prima della convalida dell'arresto. (5-07701)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nelle prime ore della mattina del 29 giugno 2012 un detenuto 44enne, di origini italiane, si è suicidato impiccandosi nella cella del carcere di Teramo, dove era detenuto per reati vari, con le lenzuola in dotazione;
   il detenuto suicida avrebbe finito di scontare le pena nell'agosto del 2017. A nulla sono serviti i pur tempestivi soccorsi da parte dei poliziotti penitenziari in servizio, così come si è rilevato vano l'intervento del medico di turno nel carcere e il successivo intervento del 118 che hanno solo potuto constatare il decesso;
   sulla vicenda il segretario generale Uil penitenziari, Eugenio Sarno, ha dichiarato: «È il 24esimo suicidio in cella di questo 2012. Questa strage silenziosa non può non toccare e turbare le coscienze di tutta la società, politici, tecnici, cittadini, operatori della stampa hanno il dovere morale di interrogarsi sulla cause e chiedere conto ai responsabili politici e amministrativi del nostro sistema penitenziario. Pur essendo cosa nota a tutti l'inciviltà, il degrado, la bruttura, l'insalubrità che connota gran parte delle nostre prigioni assistiamo ad un assordante silenzio che offende la coscienza civile di una nazione civile. È del tutto evidente che le parole da sole non bastano più. Per quanto autorevoli ed accorati nemmeno gli appelli e le sollecitazioni dei più alti livelli istituzionali hanno sortito effetti concreti. Dobbiamo prendere atto di una sostanziale inerzia della politica a risolvere le criticità del sistema»;
   mentre la prima firmataria del presente atto redigeva il testo dell'interrogazione, è arrivata la notizia di un altro suicidio nello stesso carcere, il carcere Castrogno di Teramo; secondo l'AdnKronos a suicidarsi è stata una donna di 55 anni, che «si è impiccata in cella a un giorno di distanza dal suicidio di un detenuto pescarese. Doveva scontare 18 anni». Così riporta la tragica notizia la citata agenzia di stampa: «Teramo. Secondo suicidio nel giro di 24 ore nel carcere teramano di Castrogno, uno dei più sovraffollati d'Italia. Intorno alle 11, approfittando dell'assenza della compagna di cella, si è impiccata Tereke Lema Alefech, 55 anni, la badante etiope che nel marzo scorso è stata condannata a diciotto anni di reclusione con il rito abbreviato dalla Corte d'assise di Teramo per aver ucciso a sprangate, nell'ottobre del 2010, la collega eritrea Gabriella Baire, 62 anni, nel sottotetto di un condominio di via Pannella. L'avvocato dell'imputata, Maria Assunta Chiodi, aveva chiesto l'assoluzione per infermità mentale. Secondo la difesa, la perizia psichiatrica cui è stata sottoposta Tereke Lema Alefech – e che l'ha dichiarata capace di intendere e di volere – è stata inadeguata. Il suicidio della donna segue di un giorno quello del detenuto pescarese Mauro Pagliaro, 44 anni, che si è ucciso con le stesse modalità, impiccandosi alle inferriate della cella nella quale in quel momento si trovava da solo. Le due tragedie chiamano in causa i gravissimi problemi della casa circondariale teramana: il sovraffollamento (ci sono 430 reclusi a fronte di una capienza di 270), la carenza di personale (ci sono 178 agenti ma la pianta organica, vecchia di dieci anni, ne prevede 202) e l'inadeguatezza della struttura, che in questi giorni di grande caldo si trasforma in un autentico forno»;
   purtroppo la straordinaria situazione emergenziale del carcere di Teramo non si esaurisce con i drammatici fatti appena esposti perché nel frattempo giunge anche all'interrogante la seguente notizia: Carceri: sventato il terzo suicidio in tre giorni a Castrogno (ANSA) – Teramo, 2 luglio – Il terzo suicidio in tre giorni è stato sventato dagli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Castrogno. M.D.G., 43 anni, ha tentato di impiccarsi oggi, poco dopo mezzogiorno, con le stesse modalità con cui venerdì e poi sabato si sono tolti la vita un pescarese di 44 anni e una eritrea di 55, utilizzando le lenzuola del letto della propria cella per formare un cappio da appendere alle sbarre della cella. Stavolta il personale di custodia del penitenziario teramano è intervenuto tempestivamente: hanno soccorso l'uomo che, dopo le cure del caso, è stato trasferito in altro reparto e sottoposto a sorveglianza a vista. «Al momento non si conoscono le cause del gesto – ha affermato Giuseppe Pallini, segretario provinciale del sindacato Sappe –. Certo è che questa escalation di episodi gravissimi preoccupa non poco, anche perché, al momento nessuno ha delle soluzioni. Probabilmente, in attesa di interventi strutturali dell'intero sistema carcerario, trasferire un centinaio di detenuti in altri istituti di pena, solleverebbe dal disagio quello teramano» –:
   se il Governo intenda intervenire finalmente in modo adeguato per interrompere la mattanza delle morti e dei suicidi in carcere e, in particolare, per quel che riguarda il carcere di Teramo, se non ritenga di dover fornire urgentemente ulteriori approfondite informazioni – soprattutto in termini di responsabilità – sulla situazione che si è via via venuta a creare. (5-07702)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sulla rivista on-line Ristretti Orizzonti del 1° luglio è stata pubblicata una lettera scritta dagli internati della casa lavoro di Saliceta (Modena) e indirizzata alle seguenti autorità: tribunale di sorveglianza di Bologna, magistrato di sorveglianza di Modena, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino e Prap di Bologna;
   il contenuto della missiva, avente ad oggetto «richiesta di intervento urgente per violazione di legge in materia di misure di sicurezza», è il seguente: «I sottoscritti internati della Casa di Lavoro di Saliceta S. Giuliano Modena, attualmente “ristretti” presso il carcere di Parma per esigenze di emergenza sismica (Prap n. protocollo 995/12-13 del 6 giugno 2012). Premesso che gli internati sono consapevoli della straordinarietà dell'evento e della complessità della materia; che il trasferimento ha comportato di fatto un regime di detenzione restrittivo a tutti gli effetti, regime non contemplato in alcun modo ai provvedimenti cui si è sottoposti, creando un paradosso giuridico in materia di internamento: formalmente internati, in sostanza detenuti. Conseguenza diretta è una palese violazione della legislazione che disciplina la materia delle misure di sicurezza, essendosi formato un cortocircuito legale nell'individuazione dei diritti e dei doveri, nonché del trattamento e dell'osservazione... Chiedono alle S.V.ILL.me di intervenire urgentemente con provvedimenti ritenuti più opportuni al fine di ripristinare lo status di internati a cui si è sottoposti, annullando gli effetti creatisi di una “ingiusta detenzione” non essendo prevista nei c.d. Aggravamenti delle misure di sicurezza, la detenzione carceraria. Al contrario, per eventi ritenuti straordinari, la legislazione corrente prevede la sospensione o la tramutazione della misura stessa. Certi dell'attenzione e della celerità di sensibili riscontri, si porgono deferenti ossequi» –:
   quali iniziative urgenti ed immediate intenda adottare, sollecitare e/o promuovere al fine di garantire agli internati della casa lavoro di Saliceta – attualmente sottoposti ad un regime di vera e propria detenzione carceraria – condizioni di vita rispettose del dettato costituzionale e della normativa di cui all'ordinamento penitenziario. (5-07703)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato in una nota del 27 giugno 2012 da Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione «Socialismo Diritti Riforme»: «destano preoccupazione le condizioni di salute di un detenuto ricoverato nel Centro Diagnostico Terapeutico di Buoncammino. L'uomo, A.P. 66 anni, originario di Suelli, con un grave handicap motorio che lo costringe su una sedia a rotelle, si astiene dal cibo per protesta da oltre 1 mese. L'uomo che all'ingresso in carcere pesava 87 chilogrammi attualmente è sceso a 63 chili. Invalido dal 2008, A.P. affetto da vasculopatia cerebrale e da cardiopatia, è stato vittima di due successive cadute, per fortuna senza gravi conseguenze, in seguito al tentativo di alzarsi dal letto. La prima volta il 15 febbraio e la seconda il 10 marzo. Precedentemente alla detenzione aveva subito un T.I.A. (attacco ischemico transitorio) con perdita temporanea della memoria. Si tratta di una persona che aldilà dei reati per i quali sta scontando la pena manifesta una grande difficoltà a vivere dentro una cella per la evidente incompatibilità al regime detentivo dovuta alle sue gravi patologie»;
   l'istanza di differimento pena, presentata dal legale Amedeo Meloni al tribunale di sorveglianza di Cagliari, lo scorso mese di aprile, è ancora senza esito. Secondo i medici di Buoncammino, che hanno segnalato il caso, le condizioni del detenuto consiglierebbero una misura alternativa alla restrizione in ambiente carcerario. L'uomo, che si trovava in differimento pena da un anno, era tornato in carcere l'11 gennaio 2012 in seguito a una perizia con la quale si attestava il miglioramento delle condizioni di salute –:
   se non intenda assumere iniziative ispettive anche ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di competenza. (5-07704)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2012 l'agenzia di stampa Adnkronos diffondeva la notizia della presenza diffusa di vermi presso la scuola di Polizia Penitenziaria: «Brutta sorpresa per gli agenti che stanno frequentando il corso di formazione della polizia penitenziaria a Verbania. Al risveglio gli agenti hanno trovato l'ala nord della scuola infestata dai vermi. “Un altro preoccupante segnale della disorganizzazione penitenziaria e del disagio che il personale di polizia penitenziaria, in questo caso agenti in prova, deve subire – commenta Leo Beneduci segretario generale Osapp – ci si attendeva fatti e non parole dalla nuova amministrazione penitenziaria invece alla teoria di nuovi modelli detentivi del tutto inapplicabili corrispondono accresciuti problemi per chi in carcere lavora al servizio del Paese”, conclude» –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   chi assicuri la pulizia e l'igiene della scuola di polizia penitenziaria di Verbania e quanto costi all'amministrazione penitenziaria questo servizio;
   se l'accaduto sia stato prontamente segnalato alla ASL di riferimento e se il problema risulti positivamente superato;
   a quando risalga l'ultima visita della ASL alla scuola di polizia penitenziaria di Verbania e se sia stata presentata all'amministrazione penitenziaria una relazione sulle condizioni igienico-sanitarie della struttura. (5-07705)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI il 4 luglio 2012, un assistente capo della polizia penitenziaria, Gianfranco Mura di 37 anni, si è suicidato sparandosi con la propria pistola di ordinanza. L'uomo prestava servizio presso il nucleo traduzioni e piantonamenti della casa circondariale di Busto Arsizio e stava fruendo di un periodo di ferie nella sua regione di origine, la Sardegna;
   il cadavere dell'assistente capo è stato rinvenuto a bordo della nave traghetto, che da Genova lo aveva portato ad Olbia. Ne dà notizia Eugenio Samo, segretario generale della Uil-Pa penitenziari;
   in merito a questa drammatica notizia, Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa penitenziari, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «I colleghi di Busto Arsizio sono esterrefatti e costernati. Praticamente increduli. Descrivono Gianfranco come una persona solare, educata, disponibile e dallo stato di servizio irreprensibile. Di certo cinque suicidi in sei mesi e circa 90 negli ultimi dieci armi da parte di baschi blu dovrebbero ingenerare profonde riflessioni sul male oscuro che attraversa il Corpo di Polizia Penitenziaria. Per quanto ci riguarda non possiamo che ribadire la nostra motivata preoccupazione degli effetti che producono la solitudine e il senso di abbandono che pervade gran parte del personale» –:
   in quale modo siano state applicate, nel corso degli anni, le circolari contenenti misure di sostegno psicologico al personale della polizia penitenziaria, quali interventi siano stati realizzati, in quante realtà e quale efficacia abbiano comportato;
   a seguito della tragica morte, se e cosa si intenda aggiungere in termini di monitoraggio e di prevenzione, in modo da evitare gesti estremi;
   in particolare, quali azioni intenda adottare al fine di sostenere concretamente, anche dal punto di vista psicologico, gli agenti di polizia penitenziaria impegnati nella gravosa attività di sorveglianza nelle strutture carcerarie del nostro Paese. (5-07706)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ingegnere M.L. attualmente recluso nel carcere di Parma perché accusato di aver commesso una truffa informatica, soffre della seguente patologia: «hbv con spondiloartrite sieronegativa avanzata con artralgie intense alle estremità superiori e coxo femorali. Positiva scintigrafia ossea per accumuli polidistrettuali. Impotenza funzionale articolare, impossibilità di chiusura delle mani e limitazione funzionale delle gambe»;
   qualche mese fa, a causa delle sue gravi condizioni di salute, l'uomo era riuscito ad ottenere la detenzione domiciliare nella sua casa a Modena;
   trascorsi nove mesi, il Tribunale di sorveglianza ha però deciso che il detenuto può essere tranquillamente curato nel centro clinico ubicato all'interno della struttura-penitenziaria di Parma;
   successivamente al suo ritorno in carcere, l'ingegnere ha perso circa 20 chilogrammi e le sue condizioni di salute sono andate notevolmente peggiorando e, allo stato, la sua patologia rischia di provocargli una menomazione permanente;
   nella casa circondariale di Parma l'uomo ha infatti cominciato ad accusare altri disturbi, tra questi l'epilessia, che nei momenti di forte crisi gli verrebbe placata, a quanto consta all'interrogante, gettandogli addosso secchi di acqua gelata;
   a fronte di un quadro clinico che peggiora di giorno in giorno, l'ingegnere L. ha bisogno di essere sottoposto a tutti gli accertamenti del caso e di ricevere adeguata assistenza sanitaria, il che purtroppo non sta avvenendo all'interno del carcere di Parma;
   l'articolo 32 della costituzione italiana, che sancisce il diritto alla salute di ogni individuo, recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»;
   tale diritto deve essere garantito anche a coloro i quali sono stati privati della libertà personale, qualunque sia il reato commesso –:
   se Ministri interrogati negli ambiti di rispettiva competenza, siano a conoscenza di tutto quanto sopra riportato e, in caso affermativo, se e in che modo intendano intervenire, con urgenza, al fine di verificare le reali condizioni di salute del detenuto in questione ricoverato presso il centro clinico della casa circondariale di Parma;
   se e quali iniziative di competenza intendano intraprendere a tutela del diritto alla salute costituzionalmente sancito del detenuto. (5-07708)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo il quotidiano Cronaca qui del 4 luglio scorso, un ragazzo diciassettenne ristretto nel carcere minorile di Torino Ferrante Aporti è stato aggredito a bastonate, calci e pugni nel corso della finale calcistica fra Spagna e Italia tenutasi domenica 1o luglio 2012; il quotidiano, così riporta la notizia a firma del giornalista Stefano Tavagnone: «L'hanno preso a calci, pugni, colpito con un bastone, forse il manico di una scopa. Massacrato in una cella del Ferrante Aporti durante la finale tra Italia e Spagna. Marco, lo chiameremo così, 17 anni, è entrato nel carcere minorile qualche mese fa. «E da allora – spiega il suo avvocato, Ersilio Gavino – è già stato aggredito tre volte». La prima a maggio, «quando gli hanno anche spento una sigaretta sul corpo». La seconda all'inizio di giugno, «quando l'hanno “solo” pestato». La terza domenica scorsa, quando il giovane è stato aggredito nella cella in cui era ristretto con altri due. Per i primi due episodi, l'avvocato ha presentato altrettante segnalazioni in procura. Ma adesso è intenzionato ad andare oltre. «L'ho sentito soltanto oggi pomeriggio (ieri, ndr) – spiega Gavino – e mi ha detto che l'hanno picchiato. Non so molto di più, la telefonata è stata breve, ma posso dire fin da ora che questa volta procederò con una denuncia molto circostanziata, perché non è possibile che non venga protetto»;
   sempre secondo il quotidiano «Cronaca qui», sembra che quella domenica l'istituto minorile di Torino non fosse adeguatamente presidiato; le due sezioni dell'istituto erano infatti sorvegliate da un agente di polizia penitenziaria ciascuna, ma «la cella in cui Marco era detenuto – scrive Cronaca qui – durante la sfida tra Italia e Spagna non sarebbe stata controllata da nessuno. E durante l'intervallo sarebbe scattata l'aggressione. Calci, pugni. Addirittura botte «con un bastone che non so dove sia stato recuperato», dice l'avvocato. Dolorante, dopo il pestaggio. Marco si è rimesso a letto. E quando un agente è passato davanti alla cella, non ha detto niente. Forse per paura che l'aggressore lo sentisse e poi si vendicasse, forse perché semplicemente non era in condizioni di farlo. Perdeva sangue da un orecchio, da una ferita sull'arcata sopraccigliare, aveva il volto gonfio per le botte, lividi sul costato di cui ci si sarebbe resi conto soltanto il giorno dopo» –:
   se sia a conoscenza dell'episodio riportato in premessa;
   se corrisponda al vero il fatto che la cella in cui era ristretto il giovane non sia stata adeguatamente controllata dal personale in servizio;
   se le ferite e le lesioni riportate dal giovane siano state refertate dai sanitari dell'istituto;
   quali provvedimenti siano stati presi a seguito dell'episodio descritto;
   se corrisponda al vero che il giovane abbia subito in passato altre aggressioni e se, in generale, nell'istituto si siano verificati altri episodi analoghi;
   quante e di che tipo fossero le presenze del personale il 1o luglio 2012, giorno della finale degli europei fra le squadre Italia e Spagna;
   quante unità siano previste nell'organico degli agenti di polizia penitenziaria e quale sia la presenza effettiva;
   se, nell'istituto minorile di Torino, vi siano carenze di personale negli altri diversi settori, sanitario, amministrativo ed educativo-trattamentale. (5-07709)


   DELFINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in merito allo schema di decreto legislativo recante nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, il 1o agosto 2012 la Commissione giustizia ha espresso parere favorevole alla nuova proposta di parere dei relatori;
   in particolare, per la provincia di Cuneo è stato proposto «il mantenimento almeno di un tribunale subprovinciale attraverso l'attribuzione ad un attuale circondario di una ulteriore area limitrofa e omogenea che porti ad una estensione territoriale complessiva del nuovo circondario congrua rispetto al parametro di riferimento individuato dal legislatore delegato»;
   il consiglio dell'Ordine degli Avvocati e l'amministrazione comunale di Saluzzo hanno inviato una nota al Ministro della giustizia, nella quale richiedono l'individuazione del tribunale subprovinciale in quello di Saluzzo, proponendo, altresì, l'ampliamento della sua circoscrizione mediante l'accorpamento della sezione distaccata di Bra, già facente capo al tribunale di Alba di cui è prevista la soppressione, e dei comuni limitrofi (Carmagnola, Ceresole d'Alba, Cervere, Cherasco, La Morra, Narzole, Novello, Pocapaglia; Poirino, Sanfrè, Santa Vittoria d'Alba, Sommariva del Bosco, Sommariva Perno e Verduno), con il raggiungimento di un bacino di utenza di circa 250 mila persone;
   tale proposta è suffragata dall'assoluta coerenza del tribunale di Saluzzo con i principi di economicità e risparmio, di efficienza, di modernità e di specificità territoriale, richiesti dal legislatore stesso, dimostrati dall'integrale attuazione del processo civile telematico, dalla presenza di un'importante struttura carceraria in via di ampliamento, nonché dalla facile accessibilità da parte degli utenti;
   la fondatezza oggettiva di un presidio, quale il tribunale di Saluzzo con i migliori parametri di economicità, efficienza, produttività rispetto a quanti previsti in soppressione, non può non essere presa in considerazione nell'individuazione del tribunale subprovinciale da mantenere –:
   se non ritenga giusto e appropriato prendere in seria considerazione la proposta formulata dal consiglio dell'ordine degli avvocati di Saluzzo e dall'amministrazione comunale di individuare, per la provincia di Cuneo, il tribunale subprovinciale in quello di Saluzzo;
   nell'eventualità di un mancato accoglimento di tale proposta, se il Governo non ritenga doveroso accogliere la pressante indicazione di accorpamento con il tribunale di Cuneo, stante la posizione geografica di Saluzzo e il rapporto storico, sociale ed economico con la città capoluogo, a fronte di severi e ampi disagi che i cittadini e gli operatori dovrebbero sopportare per l'utilizzo di altre sedi. (5-07711)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SAGLIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il presunto «caso Clini» è scaturito indirettamente da un'informativa degli investigatori che conteneva le trascrizioni di alcune intercettazioni telefoniche consegnata dalla procura di Taranto ai giudici del tribunale del riesame;
   nell'informativa è trascritta un'intercettazione nella quale un dirigente dell'Ilva direbbe la frase «è un uomo nostro» parlando al telefono con un altro dirigente della necessità di ottenere dal Ministero dell'ambiente l'autorizzazione integrata ambientale (AIA);
   l'intercettazione è del 2010, quando il Ministro Clini all'epoca guidava la direzione generale per lo sviluppo sostenibile, il clima e l'energia;
   il procuratore della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, ha reso noto che in nessuna delle intercettazioni risulta direttamente o indirettamente il nome del Ministro Corrado Clini, riferendosi al contenuto dell'informativa consegnata al tribunale del riesame;
   il Ministro Corrado Clini ha smentito, informando immediatamente, tra gli altri, il Ministro della giustizia, ogni rapporto asserendo che nel 2010 era a capo di una direzione generale del Ministero che non si occupava del rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale e di non avere avuto di conseguenza rapporti con l'azienda Ilva e la sua dirigenza;
   il dirigente dell'Ilva che compare nelle intercettazioni è stato licenziato dal presidente dell'Ilva Bruno Ferrante ed è indagato per corruzione in atti giudiziari in un'inchiesta della Procura di Taranto riunita con il procedimento penale di cui si sta occupando ora il tribunale del riesame;
   appare grave all'interrogante la fuga di notizie non verificabili ed il conseguente danno che ha riguardato la persona del Ministro Clini a causa dell'uso di un'intercettazione priva del minimo indizio di rilevanza nel processo in corso, in quanto sfornita di qualsiasi supporto probatorio –:
   se il Ministro interrogato intenda intraprendere iniziative ispettive ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza.
(4-17341)


   BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla agenzia di stampa Adnkronos il 1o agosto, un detenuto albanese cinquantenne, in carcere ad Alba, nel cuneese, per omicidio, si sarebbe impiccato nella sua cella utilizzando un lembo di lenzuolo con il quale si è legato alle grate;
   appresa la notizia, Leo Benedici, segretario generale dell'OSAPP, ha dichiarato: «Tra suicidi di detenuti e suicidi di uomini della polizia penitenziaria, questi ultimi cinquemila in meno negli ultimi anni per blocco del turn over e spending review, conviene chiudere del tutto le carceri, e questo è quello che chiediamo al Governo e al ministro Severino»;
   il suicidio è la causa più comune di morte dei detenuti e nel nostro Paese, ha una frequenza 20 volte maggiore rispetto ai cittadini in stato di libertà;
   le prigioni italiane sono sovraffollate, con una popolazione di 68 mila detenuti, mentre la capienza regolamentare sarebbe solo di 43 mila;
   l'articolo 27, terzo comma, della Costituzione recita che «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» –:
   se e come il 1o agosto 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio dell'uomo non siano ravvisabili profili di responsabilità amministrativo disciplinare in capo al personale penitenziario;
   se, per la riduzione del numero di suicidi tra i detenuti, oltre ai naturali rapporti di valorizzazione e di rispetto della persona, non si ritenga opportuno incrementare la pratica dell'identificazione del «profilo» della persona ad alto rischio di suicidio;
   se non si ritenga importante l'aggiornamento del personale, onde facilitare la valutazione dei segnali precoci di rischio di suicidio;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere, ove sia necessario, per persone con gravi situazioni di salute, la possibilità di scontare la pena in misura alternativa in luoghi protetti, come piccole strutture socio-sanitarie o in comunità terapeutiche;
   se non si ritenga utile promuovere, per quanto di competenza e con il coinvolgimento delle regioni, convenzioni di collaborazione con ospedali, strutture psichiatriche, servizi di emergenza, per attuare programmi di salute mentale e di disintossicazione nonché facilitare colloqui mirati con mediatori culturali, per operare in maniera integrale a fini della prevenzione del suicidio in carcere. (4-17371)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla agenzia di stampa, Valentino Di Nunzio, 29 anni, ricoverato in un reparto ospedaliero di terapia intensiva, è morto a seguito dei gravi traumi riportati nella casa di reclusione di Teramo, dove il 14 febbraio 2012 aveva messo in atto un tentativo di suicidio in cella, buttandosi «di testa» dal secondo piano della branda a castello;
   nella caduta l'uomo aveva riportato gravissime lesioni midollari ed era paralizzato dal collo in giù, al punto che per respirare aveva bisogno di essere sempre collegato ad un «ventilatore meccanico»;
   nonostante la palese invalidità. Di Nunzio è rimasto in stato di detenzione fino all'ultimo istante di vita, sottoposto a custodia cautelare disposta dal giudice per le indagini preliminari di Teramo e piantonato dalla polizia –:
   se sia vero quanto esposto in premessa;
   se non si ritenga di acquisire elementi sui motivi che hanno spinto il detenuto al suicidio e se tale tragedia potesse essere evitata;
   se con riferimento al suicidio dell'uomo non siano ravvisabili profili di responsabilità amministrativa o disciplinare in capo al personale penitenziario;
   se il Ministro, per la riduzione del numero di suicidi tra i detenuti, oltre ai naturali rapporti di valorizzazione e di rispetto della persona, non ritenga opportuno incrementare la pratica dell'identificazione del «profilo» della persona ad alto rischio di suicidio;
   se il Ministro interrogato, nell'esercizio delle proprie facoltà, secondo il disposto del comma 2 dell'articolo 107 della Costituzione, non ritenga opportuno promuovere un'azione disciplinare nei confronti del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Teramo che – stando a quanto riportato dalla stampa – avrebbe mantenuto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo paralizzato dal collo in giù e ventilato meccanicamente. (4-17375)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   D'IPPOLITO VITALE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati dell'Asaps, 2 morti e 22 feriti a settimana è il bilancio della pirateria stradale in Italia nel primo semestre del 2012. Significa che gli episodi di pirateria sono aumentati del 33 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011;
   da ultimo, secondo quanto si apprende da organi di stampa, due ciclisti, uno a Milano ed un altro a Ladispoli, ed un pedone a Reggio Calabria, sono stati travolti ed uccisi da automobilisti che poi si sono dati alla fuga;
   nei primi sei mesi del 2012 le vittime sono state 57, due in più del 2011; secondo il presidente dell'Osservatorio «Il Centauro» – Asaps, Giordano Biserni, le vittime sono già 74, con 17 morti da pirateria solo dal 1o luglio al 5 agosto;
   le forze dell'ordine sono riuscite ad identificare i fuggitivi in 265 episodi su 461 casi (58 per cento), questo è purtroppo un dato in calo rispetto al 2011, quando gli inquirenti sono riusciti a dare un volto al pirata nel 66 per cento dei casi. Il 25,7 per cento dei pirati identificati era in stato di ebbrezza; se si considera, come afferma Biserni, che una buona parte dei pirati scoperti si è costituita in tempi successivi all'evento, è da ritenere che la presenza di alcol o di stupefacenti sia molto più diffusa;
   il pirata identificato è stato arrestato nel 30,6 per cento degli eventi; nel primo semestre del 2012 si sono registrati 81 arresti contro i 77 dello stesso periodo dell'anno passato; denunciato a piede libero, invece, il 69,4 per cento dei pirati. La denuncia scatta per coloro che si presentano da soli, consapevoli di essere ad un passo dall'identificazione e che così evitano la custodia cautelare;
   il rapporto dell'Asaps mette in evidenza che il numero dei pirati stranieri e dei pirati-donna è in continua crescita: nei primi sei mesi del 2012 i conducenti immigrati o turisti fuggiti dopo uno schianto sono stati 62 contro i 54 del 2011; nello stesso periodo, le donne coinvolte in casi di pirateria stradale sono state 34 contro le 21 dell'anno precedente;
   è in crescita, tra le vittime, il numero degli anziani e dei bambini;
   lo stesso Ministro interrogato, in occasione della conferenza nazionale sulla «Riforma dell'omicidio stradale» nel mese di giugno 2012, ha affermato che «la situazione di totale impunità per chi uccide sulla strada non può essere tollerata» –:
   se e quali iniziative il Ministro stia valutando per ridurre il drammatico fenomeno;
   se il fondo di garanzia per il risarcimento dei danni alle vittime o ai loro familiari risulti adeguato o se non si debbano predisporre adeguati correttivi;
   se la normativa vigente risulti adeguata alla tipologia e al diffondersi del fenomeno. (3-02441)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MORASSUT e META. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   RFI ha avviato studi e progetti per realizzare un nuovo tratto ferroviario tra la stazione di Roma-Casilina e il tratto della linea Roma-Formia che traccia il confine tra il IX ed il X Municipio del comune di Roma;
   tale opera si renderebbe necessaria ai fini di un migliore smistamento del traffico merci e passeggeri che per il tratto suddetto si svolge oggi su unico binario imponendo sempre più complesse azioni di gestione e segnalamento con inevitabili conseguenze sulla sicurezza dei convogli e sui tempi delle percorrenze; il progetto dell'opera ha messo in luce un forte impatto sui preziosi sistemi ambientali e sulle preesistenze archeologiche site nella zone di Tor Fiscale e del Mandrione e ricomprese nel sistema archeologico-naturalistico del Parco dell'Appia e del Parco degli Acquedotti;
   le aree interessate dai nuovi tracciati appartengono in larga parte ad RFI ed alla proprietà comunale per quelle porzioni di parco pubblico già citate di larga fruizione da parte di migliaia di cittadini dei municipi romani interessati, gestite da strutture cooperative sociali o direttamente da associazioni di cittadini che da anni si battono per la loro valorizzazione e che solo da poco tempo dopo anni di mobilitazione hanno ottenuto preziosi risultati recuperando aree agricole, di verde pubblico, casali antichi e percorsi archeologici che rappresentano un patrimonio assoluto di valore inestimabile;
   il progetto suddetto produce un impatto notevole anche sull'abitato avvicinando tracciati ferroviari nazionali al limite dell'abitato lungo tutto il tratto Mandrione-Tor Fiscale ed imponendo in alcuni casi espropri e abbattimenti di unità immobiliari private abitate da svariate famiglie;
   il Ministero per i beni e le attività culturali ha dato via libera alle sopraintendenze di Stato per autorizzare i primi sondaggi archeologici per realizzare i tracciati aggiuntivi e paralleli al tratto suddetto della Roma-Formia;
   le popolazioni locali chiedono una piena conoscenza preliminare e partecipativa alle scelte finali tali da salvaguardare il patrimonio di aree, di beni, di insediamenti civili e di paesaggio di una delle zone archeologiche più importanti dell'intero pianeta;
   l'ente regionale parco dell'Appia Antica ha nettamente e formalmente respinto tale progetto adducendo motivazioni sostenute da autorevoli esperti (professor Tamburrino) incaricati di esaminare cause ed impatto di tale opera che viene considerata di enorme danno ambientale non risanabile neanche con tutte le prescrizioni immaginabili dal momento che la linea di divisione esistente sul territorio già segnata dall'attuale ferrovia verrebbe rafforzata da questa nuova bretella a doppio binario che viaggiando in quota (circa 6 metri) per innestarsi sulla Roma-Formia altezza Tor Fiscale), annienta tutte le aspettative da anni e sino ad oggi auspicate dai cittadini, circa l'interramento dell'esistente tratto ferroviario;
   il Parco degli Acquedotti è il parco archeologico urbano più grande d'Europa con i suoi 240 ettari ricompresi integralmente nel più vasto Parco dell'Appia riconosciuto – quest'ultimo – per larghe porzioni patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO –:
   quali siano i tempi e lo stato di avanzamento delle procedure approvative del progetto di realizzazione della nuova tratta ferroviaria tra la stazione ferroviaria Roma-Casilina e il tracciato della Roma-Formia in premessa identificato;
   se intenda assumere iniziative presso Rete ferroviaria italiana per interrompere il percorso di definizione ed approvazione dei progetti e di avviare una fase di concertazione con il territorio e con i municipi VI, IX e X del comune di Roma per studiare una soluzione non invasiva e rispettosa dei beni comuni e delle popolazioni locali;
   se intenda assumere iniziative presso Rete ferroviaria italiana perché sia riconsiderato il progetto tenendo conto delle indicazioni del nuovo piano regolatore generale vigente di Roma e in modo particolare della necessità – da quest'ultimo evidenziata nei suoi documenti cartografici e allegati di mobilità – di risolvere il problema, cui risponderebbe il progetto RFI, nel quadro complessivo del progetto urbano San Lorenzo-Tuscolano e print di Tor Fiscale preservando le risorse ed i beni comuni sopra menzionati. (5-07619)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCECCO. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Pescara, da circa due anni, un buon numero di associazioni e comitati si batte contro un appalto per un sistema di trasporto pubblico denominato TPL, e composto di una filovia di soli 5,750 chilometri di percorso dal costo di 31 milioni di Euro;
   il sistema definito a tecnologia innovativa ha le medesime caratteristiche tecniche nei mezzi prescelti (Phileas) del «Civis» di Bologna, il cui clamoroso fallimento è stato diffusamente riportato dalla stampa nazionale e ha formato oggetto di altre interrogazioni parlamentari;
   tra le gravi criticità che caratterizzano l'appalto in corso d'opera, secondo i Comitati di protesta, ci sono le seguenti:
    a) il finanziamento disposto ai sensi della legge n. 211 del 1992, trova fondamento nel fatto che esso è stato accordato dal CIPE alla Stazione appaltante; mancherebbe, però, il prescritto parere favorevole della commissione di Alta Vigilanza (C.A.V.);
    b) una presunta inadeguatezza strutturale del tracciato riservato, dal momento che il sottofondo è privo del necessario basamento in calcestruzzo armato cui ancorare stabilmente i markers magnetici della guida automatica vincolata immateriale in dotazione al rotabile.
    c) il progetto non sarebbe mai stato mai assoggettato alla procedura V.I.A., ancorché dovuta, anche ai sensi della vigente normativa ambientale comunitaria.
    d) valutazioni di tipo trasportistico assunte dal Ministero competente, sono fondate sul presupposto paradossale che il percorso filoviario, ancorché fortemente ridotto dagli originari 26 chilometri agli attuali 8,170 di cui soltanto 5,750 chilometri elettrificati, potesse in ogni modo assorbire la domanda di mobilità proveniente dal 70 per cento del bacino d'utenza del progetto originario, corrispondente a oltre otto milioni di passeggeri/anno, a fronte delle 356 mila unità registrate per la linea 2/ che copre lo stesso percorso della filovia sull'adiacente lungomare;
    e) nelle condizioni date, all'ingente danno patrimoniale e ambientale procurato allo stato dei luoghi, si aggiungerebbe la beffa per un'opera che, nata col vincolo di utilizzare una tecnologia altamente innovativa, nei fatti non funzionante, si ridurrebbe a un tradizionale impianto filoviario, con l'aggravante dell'utilizzo di un mezzo sovradimensionato nella struttura, poiché in grado di marciare in modo autonomo rispetto all'inutile linea elettrificata in costruzione;
   le criticità sono state segnalate, dall'ottobre 2010, a tutti gli enti interessati alla procedura e persino alle autorità di controllo (Procura della Repubblica e Corte dei Conti), ciascuna per i rispettivi profili di competenza;
   dalle notizie in possesso all'interrogante, la Procura locale avrebbe conferito incarico a due CTU, che, recentemente, avrebbero consegnato la relazione conclusiva ove sono confermati tutti i significativi elementi di anomalia da tempo denunciati dai cittadini, tali da pregiudicare il buon esito dell'appalto a rischio tangibile di annullamento;
   nel frattempo, la procura ha nominato due nuovi periti, con l'incarico di analizzare le procedure seguite nel conferimento dell'appalto e la congruità economica tra i lavori affidati e le opere effettivamente realizzate, al fine ultimo di accertare eventuali episodi di malversazione;
   si va, pertanto, disegnando nei fatti il medesimo esito fallimentare registrato nella città di Bologna, laddove l'intervento riparatore è sopravvenuto fuori tempo massimo, con i conseguenti danni ambientali e patrimoniali a carico della Comunità;
   a Pescara sussisterebbe viceversa l'opportunità di limitare i danni, giacché l'elettrificazione del tracciato è appena iniziata ed è auspicabile che la regione disponga quanto prima la sospensione dei lavori, alla luce dei clamorosi sviluppi delle indagini penali in corso;
   su sollecitazione della procura, il comitato VIA – con giudizio n. 2019 del 3 luglio 2012 – ha messo in mora la stazione appaltante GTM dall'eseguire qualunque tipo d'intervento che configurerebbe il sistema TPL in esame tra quelli da sottoporre alla procedura VIA, tra i quali va ricompresa anche una filovia tradizionale, secondo l'autorevole interpretazione del Ministero dei Trasporti ripresa dai CTU della Procura;
   la GTM sta proseguendo ugualmente le opere;
   nel merito, è utile aggiungere che il 17 luglio 2012 la stampa locale ha dato ampio rilievo all'iscrizione nel registro degli indagati del Presidente della GTM Spa, e dei responsabili apicali della Balfour Beatty Rail e della Vossloh Kiepe di Milano, che partecipano all'ATI appaltatrice, unitamente all'APTS di Eindhoven, che produce il Phileas, con le ipotesi di reato di truffa aggravata, falso ideologico, frode in pubblica fornitura e turbativa d'asta;
   peraltro, benché il mezzo prescelto (Phileas) sia dotato all'origine della costosa trazione ibrida, innovativa per l'Italia e come tale finanziabile dalla legge n. 211 del 1992, a Pescara, paradossalmente, è stato previsto l'impiego dell'improbabile versione filobus del rotabile, al solo scopo di utilizzare l'intero finanziamento disponibile a beneficio esclusivo del primo lotto (l'elettrificazione del tracciato incide per il 65 per cento sul corrispettivo dell'appalto);
   non avendo mai circolato in tale versione, il rotabile Phileas è tuttora privo di omologazione e collaudo –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto, e se non ritenga, nell'ambito delle sue competenze, di intervenire al fine di fare chiarezza sull'opportunità di proseguire la realizzazione di un'opera controversa, che appare priva dei fondamenti tecnico-economici, ancorché destinataria di un cospicuo finanziamento pubblico che pesa sulle casse dello Stato. (4-17358)


   STRIZZOLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel periodo estivo si registra una intensificazione nello svolgimento dell'attività di trasporto aereo, soprattutto lungo le rotte delle vacanze in Italia e all'estero;
   negli ultimi tempi si è verificato un deciso aumento di collegamenti a livello europeo e mondiale operati, in particolare, da compagnie low cost che, spesso, spuntano come funghi per sfruttare, talvolta anche solo per brevi periodi, le opportunità di traffico per, poi, rapidamente scomparire con operazioni tecnico-economico-finanziarie di dubbia trasparenza e/o tracciabilità;
   si riscontra, inoltre, un contesto di alta competitività fra le compagnie, con interventi sui costi che suscitano anche delle perplessità sull'effettivo livello di garanzia e di sicurezza dei voli –:
   quali direttive e/o iniziative siano state assunte  al fine di operare tutte le verifiche e i controlli più stringenti sulle modalità operative di tutte le compagnie che hanno base o transitano negli aeroporti civili e militari dell'intero territorio italiano;
   se dalle eventuali verifiche e/o controlli già effettuati siano emersi elementi di criticità e quali misure – anche in via preventiva e/o precauzionale – siano state di conseguenza adottate. (4-17360)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — per sapere – premesso che:
   il 14 luglio 2011 il quotidiano online www.reggionline.com «http://www.reggionline.com/» al link http://www.reggionline.com/it/2011/07/14/sequestrato-un-litro-di-droga-dello-stupro-un-arresto- 5425 riportava un articolo dall'allarmante titolo «Sequestrato un litro di “droga dello stupro”: un arresto». Il pezzo riportava la notizia di un sequestro da parte della guardia di finanza di «un litro di gammabutirolattone» e dell'arresto di un cittadino reggiano di 30 anni che si era fatto spedire il prodotto dall'Olanda;
   il pacco contenente la droga – si legge nell'articolo – era stato intercettato all'aeroporto di Milano, ma la consegna è stata effettuata da un finanziere che ha bussato alla porta dell'acquirente – che risiede in centro a Reggio e non ha precedenti – indossando una «pettorina» di un noto corriere espresso. Una volta entrato, l'agente si è qualificato e ha proceduto a un'ispezione che ha consentito di rinvenire anche 15 grammi di metanfetamina suddivisa in 70 dosi. In casa dell'arrestato, al momento della «consegna» c'era anche un 41 enne sassolese amico del padrone di casa, che è stato denunciato a piede libero perché aveva fornito i propri dati per il pagamento della spedizione. Lo stupefacente, infatti, era stato ordinato tramite internet;
   il 10 agosto 2011 il quotidiano online www.055news.it«http://www.055news.it/» al link http://www.055news.it/notizia.asp?idn=53633 riportava una notizia simile alla precedente per fatti verificatisi a Pisa; «I militari del Gruppo Operativo Antidroga del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Firenze – si legge nell'articolo – hanno sequestrato, a Pisa, mezzo litro di Gamma-butirrolattone, meglio conosciuta come ecstasy liquida o «droga dello stupro». Il destinatario del pacco era un 42enne, disoccupato, residente a Cascina (PI). L'uomo aveva acquistato la sostanza stupefacente in Olanda tramite un sito internet. (...) Quando il 42enne si è presentato per ritirare il pacco, è stato arrestato in flagranza di reato, per possesso di sostanze stupefacenti. La droga sequestrata, acquistata ad un prezzo di 200 euro, avrebbe potuto portare alla composizione di oltre 1.000 dosi, con un valore commerciale di circa 12.000 euro. La perquisizione dell'appartamento ha portato al sequestro anche di 2.5 grammi di hashish. Il 42enne è stato condotto nel carcere di Pisa;
   notizie riguardanti casi simili sono del resto all'ordine del giorno: il quotidiano on line «La Repubblica Firenze – il 15 luglio 2011, per esempio, riportava la seguente notizia «Droga dello stupro, due flaconi sequestrati. Arrestato un pratese mentre ritirava il pacco contenente il GBL, una sostanza chiamata anche ecstasy liquida. Comprato tramite internet lo stupefacente poteva essere distribuito in oltre 3000 dosi. Due flaconi contenenti gamma-butirrolattone (Gbl), sostanza stupefacente chiamata anche «ecstasy liquida» o «droga dello stupro», sono stati sequestrati dal goa della guardia di finanza di Firenze che ha anche arrestato un pratese di 37 anni. L'uomo, che gestisce un laboratorio di informatica, è stato bloccato mentre stava ritirando il pacco contenente il Gbl in una ditta di spedizioni a Calenzano (Firenze). Processato per direttissima, spiega la Guardia di Finanza, è stato condannato a due anni, 10 mesi e 2 giorni. L'arresto dell'acquirente, spiegano sempre le fiamme gialle, è stato possibile grazie a un'indagine della guardia di finanza di Milano che ha individuato un traffico di Gbl dall'Olanda all'Italia, segnalando l'arrivo di una partita anche in Toscana. La droga sarebbe stata comprata, tramite internet, dal trentasettenne pratese. La sostanza sequestrata, acquistata ad un prezzo di 200 euro, poteva portare, secondo la Guardia di Finanza, alla composizione di oltre 3.000 dosi, con un valore commerciale di circa 35.000 euro;
   la prima firmataria del seguente atto di sindacato ispettivo ha ricevuto la testimonianza di P.B. che nella sua lettera scrive, tra l'altro:
    «sono un libero professionista, realizzato nel mio lavoro e negli affetti che divido con un imprenditore; sono benestante, ho sempre creduto nel rispetto per gli altri, nel dovere verso il mio lavoro, e nell'essere di aiuto per chi ne avesse bisogno (mi sono molto speso in operazioni di beneficenza non solo prestando il mio contributo lavorativo gratuito ma anche sostenendo economicamente la ricerca scientifica e chi ne aveva bisogno). Ho inoltre progetti molto interessanti in corso d'opera per la mia vita futura in un paese straniero. Ovviamente sono incensurato e ho una fedina penale immacolata; in data 18 luglio 2011 mi sono trovato ad ordinare sul sito www.gblstarcleaner.com una confezione da 1 litro di GBL (Gammabutirolattone, prodotto dalla multinazionale chimica tedesca BASF). Segnalo che il sito era liberamente accessibile dai provider italiani e che l'unico Paese per il quale veniva segnalato il divieto di vendita risultava essere il Regno Unito. Segnalo altresì che per completare l'ordine ho inserito sul form del sito i miei dati anagrafici e gli estremi della carta di credito. Precedentemente era già stato effettuato un acquisto con analoga procedura lo scorso anno (confezione da 500 ml). In data odierna (8 agosto 2011) il sito risulta tuttora operativo e senza alcuna segnalazione o divieto relativo allo Stato italiano. Nel pomeriggio di giovedì 21 luglio 2011 ricevo una chiamata sul mio cellulare (numero che ho inserito negli estremi dell'ordine) da parte dell'UPS nella quale mi si chiede una data disponibile per il ritiro del prodotto. L'incaricato, specificando che si trovava esattamente davanti al mio domicilio, richiedeva la mia presenza. Trovandomi vicino a casa ho concordato un appuntamento nel giro di pochi minuti. Giunto a casa, mi sono ritrovato 12 agenti della Finanza e tempo 12 ore rinchiuso nel carcere di Vigevano incriminato quale spacciatore. Dopo 4 giorni passati nel carcere di massima sicurezza mi sono state inflitte le seguenti misure di restrizione (in attesa di giudizio): doppia firma quotidiana (h 9.00 e h 19.00) C/O Carabinieri e ritiro dei documenti per l'espatrio;
   nella lettera P.B. precisa: “ 1) Utilizzo, come disinibitore sessuale con il mio partner, da alcuni anni lo stesso prodotto. L'acquisto lo attuo in media una volta l'anno dato che una confezione dura svariati mesi. 2) Tale consumo è sempre stato esclusivamente ad uso personale. 3) Non sospettavo minimamente che tale prodotto fosse catalogato in Italia come sostanza stupefacente (lo produce la BASF!) anche perché ho sempre pensato che le sostanze stupefacenti (eroina, cocaina, cannabis, etc. etc.) non si acquistano su internet fornendo le proprie generalità e pagando con carta di credito. Ho scoperto invece solo ora che le tabelle delle sostanze catalogate quali stupefacenti in Italia vantano 16 pagine!!! di prodotti dai nomi incomprensibili ai più (ovviamente è omesso l'alcool anche se l'Organizzazione mondiale della sanità lo considera stupefacente). 4) Il prezzo del prodotto è tale da non avermi mai fatto sospettare che fosse uno stupefacente venduto da spacciatori (1 litro costa 90 euro!). Inoltre non mi è mai successo che qualcuno mi abbia proposto di acquistare tale prodotto in discoteca o nei locali pubblici. 5) Le confezioni in vendita sul sito hanno una capacità di 500 ml, 1 litro, 2 litri, 5 litri, 10 litri. Non è pertanto possibile acquistarne un quantitativo inferiore. 6) Se il prodotto in Italia viene considerato uno stupefacente perché i potenti mezzi della finanza non bannano il sito oppure non gestiscono una segnalazione al fine di scoraggiarne l'acquisto e di informare delle conseguenze l'ignaro acquirente (Come viene fatto per il Regno Unito)? (A questa domanda fatta dal mio compagno e dall'avvocato penalista al comandante della Guardia di Finanza non è stata data alcuna risposta!) 7) Sono un libero professionista che gestisce la contabilità di varie aziende e non è assolutamente mio interesse guadagnare qualche centinaia di euro vendendo GammaButiroLattone!!! 8) 12 persone della guardia di Finanza sono state nel mio appartamento di 60 metri quadri (1 persona ogni 5 metri quadri) e nessuno ha trovato bilancini, bottigliette o alambicchi vari che potessero far presupporre una mia attività illecita di spaccio. 9) 12 persone pagate da tutti i contribuenti italiani oltre alle spese di custodia e quelle relative al tribunale! Non era forse preferibile pagare un esperto informatico per bannare siti illegali?”;
   la lettera di P.B. prosegue con alcune considerazioni che la prima firmataria ritiene utile riportare:
    “Io – scrive P.B. – vivo una certa situazione di stabilità. Con il mio compagno possiamo permetterci di mancare dal lavoro per quattro giorni e possiamo altresì permetterci di sostenere spese legali per svariate migliaia di euro. Se tutto questo fosse successo ad un ragazzo ventenne, privo di risorse economiche per pagarsi il miglior avvocato penalista, in un contesto sociale meno fortunato del nostro, magari più fragile caratterialmente... cosa sarebbe avvenuto di lui ? Avrebbe di sicuro perso il lavoro; avrebbe avuto rovinati i suoi rapporti sociali e/o famigliari; avrebbe passato un paio di mesi in prigione (come minimo). Tutto questo perché aveva, in buona fede, fatto un acquisto on-line senza che nessuno lo avesse informato che tale acquisto, in Italia, risultava essere illegale”;
   l'interrogante ha potuto effettivamente verificare che il 17 agosto 2011 – giorno della stesura della presente interrogazione – il sito citato dal signor P.B. (www.gblstarcleaner.com «http://www.gblstarcleaner.com/») è perfettamente in funzione; liberamente accessibile dall'Italia, senza alcuna avvertenza per gli acquirenti;
   in altri siti, come ad esempio http://cleanmagic.eu/ è espressamente segnalato che, per i residenti nel Regno Unito, il prodotto in questione non è disponibile perché vietato dalle disposizioni di quel Paese; nulla, invece, è possibile leggere su «divieti» derivanti dalla legislazione italiana le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella 1 allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 sono le seguenti: 2C-B; 2C-I; 2C-T-2; 2C-T-7; 4-metilaminorex; 4-MTA; Acetil-alfa-metilfentanil; Acetildietilammide dell'acido (+)-lisergico; Acetildiidrocodeina; Acetorfina; Acido gamma-idrossibutirrico (GHB); Alcaloidi totali dell'oppio; Alfacetilmetadolo; Alfameprodina; Alfametadolo; Alfametilfentanil; Alfametiltiofentanil; Alfaprodina; Allilprodina; Amfetamina; Amide dell'acido lisergico; Aminorex; Anileridina; Argyreia nervosa semi; Benzetidina; Benzilmorfina; Benzilpiperazina (BZP); Benzitramide; Betacetilmetadolo; Beta-idrossifentanil; Beta-idrossimetil-3-fentanil; Betameprodina; Betametadolo; Betaprodina; Buprenorfina; Butirrato di diossafetile; Catha edulis pianta; Catina; Catinone; Chetobemidone; Clonitazene; Coca foglie; Cocaina; Codossima; Delta-8-tetraidrocannabinolo (THC); Delta-9-tetraidrocannabinolo (THC); Desomorfina; Destroamfetamina; Destromoramide; Destromoramide intermedio; DET (N,N-dietiltriptamina); Diampromide; Dietiltiambutene; Dietilamide dell'acido(+)-1- metil-lisergico; Difenossilato; Difenossina; Diidroetorfina; Diidromorfina; Dimefeptanolo; Dimenossadolo; Dimetiltiambutene; Dipipanone; DMA (2,5-dimetossiamfetamina); DMHP(1-idrossi-3(1,2-dimetileptil)-7,8,9,10-tetraidro-6,6,9-trimetil-6H-dibenzo[b,d]pirano); DMT (N,N-dimetiltriptamina); DOB (4-bromo-2,5-dimetossiamfetamina); DOET(4-etil-2,5-dimetossiamfetamina); DOM (4-metil-255-dimetossiamfetamina); Drotebanolo; Ecgonina; Eroina; Etclorvinolo; Etifossina; Etilmetiltiambutene; Etilmorfina; Etonizatene; Etorfina; Etosseridina; Etriptamina; Fenadoxone; Fenampromide; Fenazocina; Fenetillina; Fenmetrazina; Fenomorfano; Fenoperidina; Flunitrazepam; Folcodina; Funghi del genere strofaria, conocybe e psilocybe; Furetidina; Gamma-butirrolattone (GBL); Idromorfinolo; Idrossipetidina; Ipomea violacea semi; Isometadone; JWH-018; JWH-073; Ketamina; Levoamfetamina; Levofenoacilmorfano; Levometamfetamina, Levometorfano, Levomoramide; Levorfanolo; Lophophora Williamsii pianta (Peyote); LSD (Dietilamide dell'acido lisergico); MBDB (N-metil-(3,4-metilendiossifenil)-2-butanamina; MDA (3,4-metilendiossiamfetamina); MDEA (3,4-metilendiossietilamfetamina); MDMA (3,4-metilendiossimetamfetamina); Mefedrone; Meclofenossato; Mescalina; Mesocarb; Metadone; Metadone intermedio; Metamfetamina; Metazocina; Metilcatinone; Metildesorfina; Metildiidrorfina; Metilfenidato; Metopone; Mirofina; MMDA (5-metossi-3,4-metilendiossiamfetamina); Monoetilamide dell'acido (+)-1-metil-lisergico; Monoetilamide dell'acido (+)-lisergico Morferidina; Morfina; Morfina metil bromuro ed altri derivati morfinici ad «azoto pentavalente» tra i quali i derivati N-ossimorfinici (quale la N-ossicodeina); Morfolide dell'acido (+) lisergico; MPPP; Nandrolone; N-etilamfetamina; Nicocodina; Nicodicodina; Nicomorfina; N-idrossi-MDA; Noracimetadolo; Norcodeina; Norlevorfanolo; Normetadone; Normorfina; Norpipanone; Oppio; Oripavina; Paglia di papavero; Paraesil; Para-fluorofentanil; PCE (eticiclidina); PCP (fenciclidina); Pemolina; PEPAP; Petidina; Petidina intermedio A; Petidina intermedio B; Petidina intermedio C; PHP (roliciclidina); Piminodina; Piritramide; Pirrolidide dell'acido (+) lisergico; PMA (para-metossiamfetamina); PMMA (para-metossiametamfetamina); Preparati attivi della Cannabis (hashish, marijuana, olio, resina, foglie e infiorescenze); Proeptazina; Prolintano; Properidina; Propiram; Psilocibina; Psilocina; Rivea corymbosa semi; Racemetorfano; Racemoramide; Racemorfano; Salvia divinorum pianta; Salvinorina A; TCP (tenociclidina); Tebacone; Tebaina; Tilidina; TMA (3,4,5-trimetossiamfetamina); TMA-2; Trimeperidina –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   per quale motivo i siti che vendono il GBL – ben conosciuti, come dimostrato in premessa, dalla Guardia di finanza – siano liberamente accessibili dall'Italia;
   come mai – a differenza di quanto ha stabilito il Regno Unito – nei siti citati (e in tanti altri che vendono liberamente il GBL) i competenti ministri interrogati non abbiano ritenuto quantomeno fino al 17 agosto 2011, di dover segnalare ad eventuali ignari acquirenti italiani che il prodotto in questione fa parte di quelli vietati in Italia e rientranti nella tabella I della legge cosiddetta «Fini-Giovanardi» (n. 49/2006);
   se e quali iniziative di competenza intendano assumere i ministri interrogati per informare i cittadini residenti sul territorio italiano che l'acquisto on line delle sostanze citate in premessa comporta per l'acquirente un illecito penale.
(5-07626)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere composto da Radicali italiani, A buon diritto, Ristretti orizzonti, Antigone, Il detenuto ignoto e Radiocarcere, M.K., 32 enne, di nazionalità marocchina, si è suicidato lo scorso 7 settembre impiccandosi all'interno della cella di sicurezza della questura di Lungadige Galtarossa;
   l'uomo, gravato da numerosi precedenti penali e arrestato per un tentato furto, si sarebbe impiccato utilizzando la fettuccia dell'interno dei pantaloni, quella che serve alle volte per rinforzare il punto vita, oppure in pezzetti più piccoli a proteggere la parte di orlo che batte sul tacco delle scarpe;
   arrestato in flagranza di reato e quindi in attesa del processo per direttissima, M.K. non era stato portato nel carcere di Verona, ma nelle celle di sicurezza della locale questura;
   per evitare estremi gesti, sia in cella di sicurezza, così come in carcere, è prassi che ai detenuti piuttosto che ai fermati vengano tolte le cinture, i lacci delle scarpe e persino gli orologi; nel caso in questione, però, l'uomo ha utilizzato la fettuccia di rinforzo dei pantaloni;
   il poliziotto di turno ha trovato l'uomo appeso alle inferriate della cella di sicurezza. Il corpo era ripreso anche dalle telecamere che il corpo di guardia tiene sotto controllo: ma pare che l'immagine della telecamera facesse apparire l'arrestato in piedi, vicino al cancello, come se fosse appoggiato a guardare fuori. In realtà era appeso;
   della vicenda è stato informato il magistrato di turno, il quale dovrà appurare eventuale responsabilità di terzi nella morte dell'uomo –:
   quali siano le modalità con le quali M.K. si è tolto la vita;
   se intendano avviare, negli ambiti di rispettiva competenza, una indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti della persona arrestata morta suicida nella cella di sicurezza della questura siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano state responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione delle forze dell'ordine. (5-07632)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il presente atto di sindacato ispettivo trae origine dalla delibera adottata dalla giunta dell'Unione delle camere penali italiane in data 28 settembre 2011 «interrogazione urgente dei penalisti italiani al Ministro dell'interno»;
   lo sbarco continuo dei clandestini a Lampedusa, provenienti dalle coste africane, ha assunto una dimensione drammatica e preoccupante, come testimoniato dai fatti, obiettivamente gravi, verificatisi nell'isola siciliana, attualmente al vaglio della procura della Repubblica competente per territorio;
   a seguito dei disordini accaduti a Lampedusa, da qualche giorno al porto di Palermo sono ormeggiati due traghetti «ospitanti» oltre 800 migranti irregolari, sbarcati nelle settimane precedenti a Lampedusa;
   in pratica si è deciso di «internare» i migranti in due navi appositamente noleggiate, per consentirne un più agevole rimpatrio;
   la Camera penale di Palermo «Conca D'Oro» ha segnalato che in tale circostanza sarebbero state messe in atto misure restrittive delle libertà personali, e del tutto atipiche, come il trattenimento in una nave, senza il vaglio dell'autorità giudiziaria e l'assistenza effettiva dei difensori;
   se quanto sopra denunciato rispondesse al vero, i motivi di allarme per tale procedura sarebbero molteplici e gravi –:
   se nella vicenda meglio illustrata in premessa sia stato rispettato il disposto dell'articolo 13, comma 5-bis, decreto legislativo n. 286 del 1998, che in applicazione dell'articolo 13, comma 3, della Costituzione, impone la convalida previa audizione dell'interessato, delle misure interdittive della libertà personale, quali i trattamenti e gli accompagnamenti coattivi alla frontiera disposti dal questore, in particolare:
    a) se il questore abbia notificato l'ordine di accompagnamento coattivo alla frontiera e l'ordine di trattenimento a tutti gli interessati, e poi trasmesso entro 48 ore i provvedimenti al giudice di pace competente per la convalida;
    b) se i giudici di pace abbiano, nelle 48 ore successive, provveduto alla convalida, eventualmente sentiti gli interessati;
    c) se sia stato garantito il diritto di difesa agli extracomunitari, informando adeguatamente questi ultimi della possibilità di essere sentiti da un difensore di fiducia, ovvero, in mancanza, da un difensore d'ufficio;
    d) se comunque vi sia stata la presenza, nelle eventuali udienze di convalida, di un difensore d'ufficio o di fiducia;
    e) se il trattenimento a bordo di una imbarcazione possa ritenersi conforme alla Costituzione, alla normativa europea ed alla disciplina interna dei rimpatri, in particolare nelle parti che obbligano lo Stato a garantire al migrante un trattamento che salvaguardi la dignità dell'individuo. (5-07650)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
    il 6 ottobre 2011 l'agenzia di stampa AGI ha diramato la notizia relativa alla morte di un detenuto rumeno che durante l'arresto si sarebbe tatto male da solo «sbattendo violentemente il viso sul pavimento»;
   Marcel Vitiziu, 30 anni, ristretto nella casa circondariale di Gazzi, a Messina, è morto lunedì 3 ottobre per arresto cardiaco, mentre in ambulanza veniva trasferito al policlinico;
   l'uomo era stato arrestato il venerdì precedente dai carabinieri in una rivendita di tabacchi di Camaro inferiore. Al momento, dell'arresto sarebbe stato ubriaco e si sarebbe scagliato contro i militari con calci e pugni, tanto è vero che, secondo alcuni, i carabinieri sarebbero riusciti a mettergli le manette con molta fatica e che, ciò nonostante, Marcel Vitiziu sarebbe riuscito ugualmente a divincolarsi perdendo l'equilibrio, cadendo e sbattendo il viso sul pavimento. Vista la situazione, per metterlo sull'ambulanza sarebbe stato addirittura necessario legarlo alla lettiga e ammanettarlo. Al pronto soccorso dell'ospedale «Piemonte» l'uomo viene sedato e giudicato guaribile in 30 giorni atteso che lo stesso presenta lesioni al naso ed all'arcata sopraccigliare. Viene trasferito in carcere poco dopo la mezzanotte;
   il giorno seguente, alle 11, sull'uomo, che nel frattempo era stato portato di nuovo in ambulanza al policlinico e sottoposto alla tac, è stato rilevato un trauma cranico-facciale, la rottura del setto nasale e un edema;
   condotto in carcere, le condizioni di Marcel Vitiziu peggiorano e domenica due ottobre, alle 8,18, viene sottoposto al policlinico ad un'altra tac che conferma la diagnosi precedente. Ma nonostante le sue precarie condizioni di salute, dopo gli esami di rito, viene riportato nuovamente in carcere;
   lunedì 3 ottobre, alle 9.30, il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Messina, dottor Massimiliano Micali, non riesce nemmeno a convalidare l'arresto a causa delle gravi condizioni psicofisiche in cui versa il detenuto portato al suo cospetto;
   nel corso della stessa giornata, alle 11,15, l'uomo ha un arresto cardiaco, mentre un'ambulanza corre verso il policlinico. Inutili i tentativi di rianimarlo: a mezzogiorno viene dichiarato il decesso;
   sulla vicenda la procura della Repubblica territorialmente competente ha avviato un'inchiesta –:
   di quali elementi dispongano in merito alle cause esatte del decesso dell'uomo;
   da dove eventualmente derivino e da che cosa siano state provocate le lesioni interne patite dal detenuto, se da traumi o da percosse;
   se la morte del detenuto sia stata provocata da lesioni interne non correttamente diagnosticate tra venerdì sera (momento dell'arresto) e lunedì mattina (momento del decesso);
   per quali motivi l'uomo – che al momento dell'intervento dei carabinieri stava dando in escandescenze, oltre ad essere ubriaco e visibilmente sovraeccitato – sia stato portato in carcere in stato d'arresto per resistenza a pubblico ufficiale e non invece sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio. (5-07652)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 2 ottobre 2011 è apparso un articolo su Il Corriere della Sera intitolato: «Rivolta nel CIE di Brindisi, fuggono 18 tunisini, 11 poliziotti feriti»;
   nell'articolo si dà conto della fuga in massa che si è verificata dal centro di identificazione ed espulsione di Restinco, alle porte di Brindisi: diciotto tunisini sono riusciti a dileguarsi nel corso di scontri con le forze dell'ordine che hanno provocato il ferimento di undici tra poliziotti, finanzieri e militari del reggimento San Marco;
   la rivolta si è protratta per alcune ore all'interno della struttura e ha visto coinvolti gli 84 ospiti, tutti provenienti da Lampedusa. I rivoltosi hanno sradicato le porte per utilizzarle come grimaldello per creare un varco nella recinzione attraverso cui sono fuggiti in diciotto. Quattro di loro sono stati rintracciati e ammanettati. Devono rispondere di violenza, resistenza, minacce, lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento del patrimonio dello Stato –:
   se intenda avviare un'ispezione ministeriale all'interno del centro di identificazione ed espulsione di Restinco;
   quale sia l'esatta dinamica di questo episodio e se intenda aprire una rigorosa inchiesta sui motivi della rivolta degli immigrati e sulla susseguente evasione di alcuni di loro;
   se non si reputi opportuno intervenire urgentemente al fine di migliorare le condizioni degli immigrati ristretti all'interno del centro di Restinco. (5-07655)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano La Repubblica dell'8 novembre 2011 è apparso un articolo scritto da Paolo Berizzi e intitolato: «L'agonia in una cella della caserma. Ecco come hanno lasciato morire Saidou»;
   l'articolo narra la triste vicenda del senagalese Alhdy Saidou Gadiaga, 37enne, morto dopo un attacco di asma in una cella della caserma Casotti, sede del comando provinciale dei carabinieri di Brescia;
   Alhdy, in Italia da 15 anni, l'11 dicembre 2010 camminava con un amico lungo il viale della stazione quando è stato fermato da una pattuglia dei carabinieri. Un controllo di routine. Il senegalese non aveva documenti, ma solo un certificato medico rilasciato dal pronto soccorso degli Ospedali Civili;
   secondo quanto si apprende dalle notizie di stampa, l'extracomunitario avrebbe spiegato ai militari di essere disoccupato, di avere per questo motivo il permesso di soggiorno scaduto e di essere rimasto in Italia perché ammalato di asma cronica come da certificato medico esibito alle medesime forze dell'ordine. Ciononostante l'uomo è stato comunque arrestato con l'accusa di violazione della legge n. 189 del 2002, cosiddetta «legge Bossi-Fini», in quanto considerato clandestino da rimpatriare, chiuso in una cella della caserma di piazza Tebaldo Brasato;
   l'uomo è rimasto chiuso in cella per 36 ore. Nelle «camere di sicurezza», come confermano i carabinieri, non esiste riscaldamento e in quei giorni il termometro a fatica superava i 5 gradi;
   dal verbale del comandante della stazione – inviato con una nota al consolato del Senegal – si legge quanto segue: l'arrestato è stato colto da malore alle 8 di domenica, nella camera di sicurezza. Veniva chiesto subito l'intervento di un'ambulanza del 118 che, constatata la gravità del caso, provvedeva al ricovero. Quaranta minuti più tardi i medici hanno constatato il decesso del 36enne per «arresto cardiocircolatorio». Una morte sulla quale la procura ha aperto un'inchiesta;
   la versione dei carabinieri pare smentita dalla ricostruzione fatta dal giornalista de La Repubblica, il quale, nell'articolo sopra citato, riassume così la vicenda: «Alle prime ore del mattino il senegalese ha una crisi. Lo conferma un testimone, Andrei Stabinger, bielorusso detenuto nella cella accanto. “Sono stato svegliato dal detenuto che picchiava contro la porta e chiedeva aiuto gridando. Aveva una voce come se gli mancasse il respiro. Dopo un po’ di tempo ho sentito che qualcuno apriva la porta della cella e lo straniero, uscito fuori, credo sia caduto a terra”. Quanto tempo è trascorso tra la richiesta di aiuto e l'intervento del militare “Penso 15-20 minuti – fa mettere a verbale il testimone – durante i quali l'uomo continuava a gridare e a picchiare le mani contro la porta”. Il video fissa la scena e i tempi. Da quando si vedono le dita di Gadiaga sporgere dallo spioncino (sono le 7.44, l'uomo sta chiedendo aiuto già da parecchi minuti) all'arrivo del carabiniere, passano due minuti e 35 secondi. Gadiaga, uscito finalmente dalla cella, cade a terra alle 7.52: otto minuti dopo essersi sporto dalla camera. Altri 120 secondi e arrivano i medici del 118. Gadiaga è già privo di conoscenza, per lui non c’è più niente da fare. L'autopsia conferma che la morte è avvenuta a causa di “un gravissimo episodio di insufficienza respiratoria comparso in soggetto asmatico”. E attesta, inoltre, che l'uomo “era clinicamente deceduto già all'arrivo dell'autoambulanza”»;

  il momento della triste morte di Alhdy Saidou Gadiaga è stato ripreso anche dalle telecamere di sicurezza della caserma dei carabinieri. Il video, pubblicato sul web, è stato consegnato alla procura della Repubblica e mostra l'uomo che si sente male, cerca aiuto e poi viene soccorso;

  il consolato del Senegal ha chiesto che venga fatta chiarezza sulla morte di Saidou;

  ai sensi dell'articolo 13, comma 4, della Costituzione, «è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà» –:
   se il Governo non intenda promuovere immediate modifiche della cosiddetta «legge Bossi Fini», per evitare il ripetersi di queste drammatiche vicende, in modo che il lavoratore extracomunitario in possesso del permesso di soggiorno per lavoro che, per cause indipendenti dalla sua responsabilità perde il lavoro, abbia diritto al rinnovo del permesso di soggiorno alla naturale scadenza per ulteriori 24 mesi, facendo sì che tale possibilità di accedere alla proroga di 24 mesi sia estesa anche a coloro che usufruiscono, ai sensi della normativa vigente, degli strumenti degli ammortizzatori sociali, cassa integrazione ordinaria o cassa integrazione straordinaria, mentre per i lavoratori con contratto stagionale potrebbe essere prorogato il permesso di soggiorno alla naturale scadenza per ulteriori 12 mesi;

   se non si intenda urgentemente assumere iniziative di competenza per supportare ed aiutare concretamente i detenuti, anche attraverso l'avvio di un'indagine amministrativa interna per capire di chi sono le responsabilità nella morte di Alhd Saidou Gadiaga;
   se non si ritenga oramai indifferibile riferire sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere, nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) e in tutti gli altri luoghi di privazione della libertà, in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette;
   se il Governo – anche alla luce di quanto disposto dall'articolo 13, comma 4, della Costituzione – non ritenga di dover urgentemente adottare le opportune iniziative normative al fine di estendere il potere di ispezione dei parlamentari oggi previsto per gli istituti penitenziari e i centri di identificazione ed espulsione, anche alle camere di sicurezza eventualmente esistenti presso le caserme dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza e presso i commissariati di pubblica sicurezza. (5-07676)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 14 novembre 2011 è apparso sul sito online di Repubblica.it un articolo intitolato: «Detenuto muore, aveva denunciato pestaggio. Il Garante: non sia un altro caso Cucchi». Sottotitolo: «L'uomo, residente alla Garbatella e arrestato a Termini, disse al Pronto Soccorso del Santo Spirito di essere stato picchiato dagli agenti della Polfer. Trasferito nella struttura protetta “Belcolle” di Viterbo, è deceduto il 12 novembre»;
   il nuovo caso di morte sospetta nelle carceri è stato denunciato in una nota dal Garante dei detenuti del Lazio, avvocato Angiolo Marroni, il quale sulla vicenda ha diramato il seguente comunicato stampa: «Invito la magistratura a fare al più presto chiarezza sulle circostanze che hanno portato a questo decesso, anche per sgomberare al più presto ogni nube e per evitare l'atroce sensazione di trovarsi davanti a un nuovo caso Cucchi. La vittima si chiama Cristian De Cupis, romano di 36 anni, residente nel quartiere Garbatella. Secondo le informazioni in possesso del Garante l'uomo – affetto da diverse problematiche di carattere sanitario – viene arrestato il 9 novembre alla Stazione Termini per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Condotto al Pronto Soccorso del Santo Spirito l'uomo, che aveva delle escoriazioni alla fronte, avrebbe riferito ai medici di essere stato percosso dagli agenti che lo hanno arrestato e, per questo, avrebbe anche sporto denuncia. Il 10 novembre, De Cupis viene trasferito – in ambulanza e scortato dalla polizia – nella struttura protetta dell'ospedale Belcolle di Viterbo, dove viene sottoposto a tutti gli esami di rito, compresa una TAC. Il giorno seguente sarebbe stato anche convalidato l'arresto e disposti gli arresti domiciliari non appena finito il ricovero. La mattina del 12 novembre, però, De Cupis muore. I familiari sarebbero stati avvertiti dell'arresto solo dopo l'avvenuto decesso. A chi lo ha incontrato nei giorni del ricovero l'uomo era parso a tratti agitato e a tratti lucido, comunque non in condizioni che potessero far immaginare una morte repentina. A conferma di ciò, la circostanza che l'uomo, solo due giorni prima dell'arresto, si era rivolto ad una struttura di orientamento per detenuti per cercare un lavoro. La salma è stata posta a disposizione dell'autorità giudiziaria e questa mattina si è svolta l'autopsia. Questa vicenda presenta dei lati non ancora chiariti, che necessitano di un approfondimento e, soprattutto, di chiarezza. Quella chiarezza che meritano i famigliari di quest'uomo e le centinaia di operatori della sicurezza che svolgono con correttezza e abnegazione il proprio lavoro» –:
   quali siano le cause esatte del decesso dell'uomo;
   se l'uomo presentasse lesioni e da che cosa queste siano state prodotte, se da traumi o da percosse;
   se la morte della persona arrestata sia stata provocata da lesioni interne non correttamente diagnosticate tra mercoledì sera (momento dell'arresto) e sabato (momento del decesso);
   se sia noto se e quali fossero le gravi problematiche di carattere sanitario di cui soffriva l'uomo prima dell'arresto;
   quali urgenti iniziative, anche di carattere ispettivo, intendano assumere, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di fare piena luce sulle dinamiche che hanno portato al decesso di Christian De Cupis.
(5-07677)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPARINI e VOLPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 3 agosto una circolare del dipartimento del Viminale ha disposto la partenza, per il 10 settembre, dei 32 capisquadra giunti in aprile alla caserma di via scuole per sopperire all'endemica mancanza di uomini. Brescia tornerà ai livelli di organico di quattro anni fa;
   «È una situazione frustrante per noi vigili del fuoco di Brescia. Non si può reggere a lungo in queste condizioni. Siamo in pochi. Chi ha scarsa esperienza è gettato sul campo. Siamo amareggiati e preoccupati» così Matteo Angeletti portavoce dell'Unione sindacale di base dei vigili del fuoco di Brescia «Abbiamo lottato, manifestato, organizzato scioperi e atteso 4 anni e ora si è al punto di partenza. Ci vorranno 4, se non 5 mesi, per avere rimpiazzi. Intanto si faranno salti mortali per garantire le emergenze. La partenza dei 32 capisquadra preclude per ora l'apertura del distaccamento nella Bassa dopo l'accordo con l'Amministrazione di Leno». Si resta sotto organico con mole di lavoro raddoppiata per i pompieri di Brescia. «Siamo costretti a sobbarcarci turni massacranti. A ricoprire ruoli non nostri e con lo stesso stipendio dato che gli straordinari non vengono pagati per via dei tagli e della spending review. Nonostante le carenze garantiamo il massimo dell'efficienza e sicurezza ai cittadini. È giusto che si sappia in che condizioni ci hanno messo» aggiunge Angeletti che snocciola alcuni numeri. «A Brescia i vigili del fuoco dovrebbero essere 300 e siamo in 260. I capisquadra dovrebbero essere 60 e sono la metà. I capoturno 20 e ne abbiamo solo uno a disposizione. E concludo con gli ispettori. Dovrebbero essere 19 e non ce ne è neppure uno. Così diventa difficile insegnare il mestiere ai più giovani» conclude Angeletti rammaricato «potrebbero esserci altre partenze». Presto verranno messe in campo iniziative di sensibilizzazione anche dalle altre organizzazioni sindacali (Bresciaoggi 6 agosto 2012);
   il vicesindaco e assessore alla sicurezza del comune di Brescia Fabio Rolfi alla notizia del mancato trasferimento di personale a Brescia ha dichiarato: «È veramente paradossale quanto accaduto. Dopo aver aspettato per 4 anni l'attuazione di un accordo difficilmente raggiunto con il ministero dell'interno, che prevedeva l'invio a Brescia di 32 capisquadra a corso concluso, per far fronte alle croniche e gravi carenze del comando bresciano, all'improvviso il nostro territorio viene ancora una volta scarificato dalle logiche romane. Oltre al danno la beffa, – prosegue il vicesindaco –. Un danno che si perpetua nel tempo e si fa sempre più grave, perché la carenza di personale con il tempo accresce e rende il nostro territorio particolarmente esposto in considerazione della sua estensione e della presenze di evidenti criticità ambientali e industriali che rendono una presenza adeguata dei vigili del fuoco non solo necessaria, ma direi vitale. Per di più i tagli lineari e ingiusti del Governo Monti, uniti all'effetto distorto del patto di stabilità, ci hanno imposto di chiudere il presidio di via Borgosatollo finanziato, di fronte all'insensibilità dello Stato, unicamente dal comune di Brescia. Oggi non è più rinviabile il tema di adeguare, in termini di professionalità previste dalla pianta organica, il comando di via Tirandi; l'impegno, la dedizione e la buona volontà degli agenti non possono colmare in eterno lacune evidenti e oggettive la cui responsabilità è solamente ascrivibile alle assurde scelte romane» (dichiarazioni pubblicate su il giornale di Brescia del 6 agosto 2012);
   il vicesindaco Fabio Rolfi ha tempestivamente informato il Prefetto di Brescia evidenziando chiedendo il massimo impegno dello Stato affinché questa situazione venga al più presto sanata, facendosi portavoce delle istanze bresciane –:
   quali iniziative intenda assumere con riferimento a quanto descritto in premessa. (4-17356)


   BARBATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la festa dei Gigli a Nola (Napoli) è documentata dalle prime fonti storiche al 1500, grazie allo storico nolano Ambrogio Leone;
   questa processione si svolgeva per le strade della città e ogni arte o professione vi prendeva parte realizzando il proprio «cereo» (fonte www.igigli.org); seguito dai monaci ed i sacerdoti chierici, per ultimo il vescovo con le reliquie della croce e del Santo (san Paolino) chiuse in una mano d'argento;
   il vescovo era accompagnato dal conte e dal «maestro di mercato», poi i nobili ed i primi cittadini (da pochi anni è stato inserito nel programma della festa «Il corteo storico» che rievoca questa processione);
   verso la metà del settecento il Remondini parla di nuove macchine chiamate «gigli» adornate di fiori che avevano la forma di globi o piramidi o navi. È probabile che la competizione tra le diverse corporazioni che partecipavano alla processione avesse portato a questa evoluzione, forse suggerita dall'architetto e scenografo Ferdinando Sanfelice che lavorò a Nola alla costruzione della chiesa «nuova» di S. Chiara nella prima metà del 1700;
   i cerei subirono una continua trasformazione fino a quando tra il 1866 e il 1885 la loro altezza fu fissata a 25 metri e così la fantasia degli artigiani nolani fu concentrata nell'arricchimento esteriore dell'obelisco con fiori, drappeggi, carte colorate, pupazzi di legno e di stoffa. I moderni rivestimenti sono dovuti all'introduzione della cartapesta da parte di artisti leccesi, che si trovavano in quel periodo a Nola per realizzare gli interni della Cattedrale;
   la prima notizia riguardante la «barca», che rievoca il ritorno in patria di S. Paolino, risale al 1747. Più tardi, quando tra il 1866 e il 1885 il numero dei gigli fu fissato ad otto più la barca, nacque l'esigenza d'introdurre una nuova corporazione che si occupasse della realizzazione di quest'ultima, di qui la corporazione dei «cuoiai» cioè dei conciatori di pelli, questo perché in quel periodo era fiorente a Nola quest'arte;
   un altro elemento fondamentale della festa è la «paranza»;
   era in origine composta da un gruppo di facchini che avevano il compito di trasportare prima i cerei e poi i gigli. Il termine «paranza», però, compare ufficialmente in un documento di cronaca nel 1891 nel quale si afferma anche che è composta da cinquanta uomini. Ogni paranza era guidata da un capo, chiamato tuttora «capo paranza», che con la voce guidava i facchini e ne ordinava il ritmo;
   da un documento del 1891, si evince che coloro che si assumevano l'onere di organizzare la festa e costruire i gigli venivano chiamati «maestri di festa» (come ancora oggi succede). Il lunedì della festa si provvedeva al sorteggio dei maestri di festa tra gli appartenenti alle corporazioni e tra coloro che desideravano diventarlo per voto;
   i sorteggiati erano due per ogni giglio, il più anziano della corporazione non ancora «maestro» faceva «vestire» il giglio, l'altro, più giovane, aveva l'onere di «svestirlo». Entrambi avevano l'onore di godersi per un giorno intero il giglio davanti la propria abitazione, organizzando «serate» e «tavolate» dove si mangiava e beveva fino all'alba;
   sempre nello stesso documento si parla di altre consuetudini come la «caparra» data ai costruttori dei gigli, la «questua», un pranzo sontuoso organizzato agli inizi di giugno dalle corporazioni per raccogliere contributi, i «comitati» che animavano la festa il sabato sera, l'arrivo la domenica mattina in piazza Duomo di ciascun obelisco, la successiva «sosta» in due colonne con la barca al centro per ricevere la «benedizione», la processione nel pomeriggio dello stesso giorno per le vie della città, il trasporto il lunedì mattina da parte del popolo dei gigli in piazza Duomo per allinearli davanti al comune con la barca al centro;
   fino alla metà del Ottocento la processione dei gigli si svolgeva unitamente alla processione del Santo il 21 giugno, ovvero alla vigilia del giorno di S. Paolino, poi fu spostata alla domenica successiva al 22 giugno;
   i gigli raggiunsero nel tempo i 25 metri di altezza;
   nell'aprile 2012 mesi è stata presentata la candidatura presso l'Unesco per il riconoscimento della Festa dei Gigli di Nola come Patrimonio dell'umanità;
   il 25 giugno 2012 articoli di stampa locali e nazionali riportavano la notizia di dodici feriti, tra cui una ragazza (che ha perso 4 denti), un giovane (che ha riportato frattura ad un piede), alcuni uomini delle forze dell'ordine contusi, come bilancio della rissa tra due paranze di cullatori che trasportano gli obelischi in occasione della ballata di Nola dedicata a San Paolino;
   l'episodio è avvenuto all'alba quando le macchine da festa erano allineate nel centro storico per il percorso stabilito dalla tradizione;
   tafferugli, lanci di bottiglie e spintoni per una rissa scattata – si legge – per futili motivi tra la paranza «Stella» di Nola e la barrese «Insuperabile»;
   a fare il resto è stato il panico, scatenato tra la folla che ha cominciato a scappare nelle strette stradine della città. In molti hanno trovato riparo nei negozi e nelle abitazioni del centro;
   coloro che seguivano le macchine da festa si sono sfilati le magliette di riconoscimento temendo di essere picchiati;
   stando alle fonti stampa (L'Impegno, n. 3 – maggio-giugno 2012) «L'Amministrazione – dice il consigliere Gianluca Napolitano – durante la rissa era totalmente assente, lo stop non è arrivato dal comune bensì dai capiparanza della Barca e del Beccaio che per buon senso si sono fermati»;
   all'indomani dei citati scontri il sindaco di Nola Geremia Biancardi, che aveva sospeso i festeggiamenti, ha commentato che «quanto avvenuto è quasi fisiologico in un contesto che richiama migliaia di persone come la nostra festa. Chiedo a tutti di non strumentalizzare né esagerare questo bruttissimo episodio»;
   inoltre, nella seduta consiliare del 26 giugno 2012 è stato approvato lo statuto in numero 30 articoli (licenziato in conferenza capigruppo l'11 giugno 2012) di una Fondazione che avrà il compito di gestire ed organizzare le future edizioni della Festa dei Gigli;
   nel citato statuto si legge che la Fondazione avrà un consiglio di amministrazione composto da: «due membri nominati dal Vescovo, tre membri nominati dal sindaco di Nola, Presidente della Regione o suo delegato/nominato, Presidente della Provincia di Napoli o suo delegato/nominato, un membro nominato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali»;
   nelle more della istituzione della fondazione ci sarà un fondo di gestione pari ad euro un milione e cinquecento e la dotazione patrimoniale composta dalla struttura dell'ex carcere mandamentale sito in via Merliano –:
   di quali notizie disponga il Ministro dell'interno circa la reale e definitiva versione dei fatti occorsi all'alba del giorno 26 giugno 2012 nel corso dei festeggiamenti ed a quali cause vadano addotti i tafferugli riportati dalla stampa e confermati dalla gente presente;
   se non si intendano assumere iniziative affinché, a tutela della pubblica incolumità, sia predisposto per le prossime edizioni un piano di sicurezza cittadina comprensivo di vie di fuga al fine di garantire l'assoluta serenità alla manifestazione millenaria;
   di quali informazioni disponga il Governo in merito a questa fondazione che appare all'interrogante l'ennesima «fucina» di carrozzoni politici con dispendio di denaro pubblico;
   tenuto conto della recente «spending review» che prevede la riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni, razionalizzazione del patrimonio pubblico e soppressione di enti e società, se non si ritenga di assumere iniziative, anche normative, per contenere la spesa pubblica nel rispetto dei sacrifici che ancora sono chiesti agli italiani, anche con riferimento a enti e fondazioni come quella di cui in premessa;
   se, proprio alla luce delle ultime revisioni di spesa, accorpamenti, modifiche in tema di «fondazioni» operata dalla «spending review» (articolo 6), il Ministro per i beni e le attività culturali intenda evitare di designare il proprio membro nella istituenda Fondazione per la Festa dei gigli di Nola, posto che il Sud Italia non può mantenere un andamento di controtendenza rispetto alle scelte parlamentari che impongono maggiore trasparenza ed efficienza. (4-17365)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BACHELET, COSCIA, DE PASQUALE, DE TORRE, PES, ANTONINO RUSSO e SIRAGUSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   per il reclutamento degli insegnanti nelle scuole secondarie italiane la legge vigente prevede che i posti siano coperti per metà dai vincitori di concorso e per metà attraverso il riassorbimento delle graduatorie a esaurimento;
   l'abilitazione all'insegnamento è condizione necessaria per partecipare ai concorsi;
   da cinque anni è preclusa ai neolaureati la possibilità di conseguire l'abilitazione, in conseguenza delle decisione, ad avviso degli interroganti non condivisibile, di sopprimere le SSIS senza che l'attivazione di un nuovo percorso abilitante fosse contestuale a tale soppressione;
   l'attivazione del corso di tirocinio, formativo attivo, pur con una limitata disponibilità di posti, e l'avvio, in questi ultimi giorni, delle relative procedure di ammissione, ha risposto perciò ad un'esigenza ormai improrogabile;
   le relative procedure attuative hanno peraltro provocato diverse preoccupazioni, espresse più di un mese fa in una interrogazione a risposta in VII Commissione (n. 5/07219 del 28 giugno 2012), stesso primo firmatario della presente interrogazione;
   su uno dei due punti sollevati in tale interrogazione, l'effettiva disponibilità dei tutor coordinatori, si attendono risposte;
   sull'altro punto, l'affidabilità dei test e il rischio di squilibrio nel numero degli ammessi, i fatti hanno nel frattempo dimostrato la validità delle preoccupazioni manifestate, e se riguardo alla formulazione errata di alcuni test il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha comunicato in data 5 agosto 2012 di aver preso adeguati provvedimenti, nessun provvedimento governativo risulta ad oggi assunto per rimediare alla mancata taratura dell'insieme dei test, che ha, come previsto dagli interroganti, determinato per qualche classe di abilitazione numeri irrisori di ammessi alla fase successiva, e, pressoché nella totalità delle altre classi di abilitazione, numeri di ammessi grandemente inferiori al numero dei posti disponibili in molte sedi universitarie, a fronte di ammessi in eccesso rispetto ai posti disponibili in altre sedi;
   qualora una parte del già limitato numero di posti risultasse inutilizzato a causa di errori dell'amministrazione ciò lederebbe non solo le legittime attese dei concorrenti, ma la stessa credibilità dell'implementazione di processi selettivi basati sul merito;
   si impone perciò un'iniziativa urgente che risolva le questioni che possono essere affrontate immediatamente, mentre vanno attentamente studiate le modifiche alla normativa che evitino analoghi problemi in futuro –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per consentire che, dalle sedi dove gli ammessi alle prove di selezione successive sono più numerosi dei posti disponibili, essi possano, su richiesta, essere dirottati, per le prove di selezione successive, verso qualcuna delle sedi dove gli ammessi sono invece in numero inferiore o molto inferiore ai posti disponibili.
(5-07617)


   SIRAGUSA e DE PASQUALE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) precario, con oltre tre anni di incarico annuale, vive una situazione di grave difficoltà professionale;
   per effetto del decreto ministeriale 9 febbraio 2012 n. 17, di convocazione per la «mobilità professionale del personale amministrativo, Tecnico ed ausiliario (ATA) delle istituzioni scolastiche ed educative – sequenza contrattuale 25 luglio 2008 – comparto scuola», il personale ATA collocato in una posizione utile ai fini dell'immissione in ruolo nel proprio profilo professionale ha perso la possibilità di ottenere tale immissione e quindi il posto di lavoro;
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca un con nota n. 6703 del 24 agosto 2011, ha poi disposto l'accantonamento dei posti vacanti negli organici degli istituti scolastici, siti nelle varie province destinati alla mobilità professionale;
   prima dell'entrata in vigore del sopra citato decreto, gli uffici scolastici regionali per le varie province non avrebbero proceduto alle regolari convocazioni annuali per il conferimento degli incarichi inerenti ai posti vacanti negli organici di diritto e in quelli di fatto;
   molti ATA sarebbero stati infatti convocati direttamente dai dirigenti dei vari istituti scolastici, necessitati a chiamare del personale per ricoprire i posti vacanti utilizzando le graduatorie d'istituto fino alla data di emissione del decreto cosiddetto «salva precari», ricoprendo così solo in via promissoria il posto vacante nell'organico di diritto dell'istituto interessato;
   il danno subito da questi lavoratori è evidente: non hanno stipulato i contratti di lavoro di durata annuale (incarico di diritto), bensì sono stati convocati dai vari dirigenti scolastici per ricoprire in via provvisoria i posti vacanti accantonati in attesa del parere della Corte dei Conti sulla legittimità contabile del decreto, parere reso soltanto a fine marzo 2012, ad avviso degli interroganti, con una lesione evidente degli interessi legittimi di questi lavoratori;
   in seguito alle convocazioni effettuate il 4 aprile 2012, alcuni ATA hanno perduto il proprio posto di lavoro;
   sembrerebbe altresì che i posti residuati ai docenti inidonei all'insegnamento che non hanno optato per il passaggio al profilo ATA non sono stati assegnati al personale ATA avente diritto, attraverso nuove convocazioni, ma sembrerebbe che tali posti siano stati nuovamente accantonati per una nuova mobilità verticale in attesa della formazione e del conseguente passaggio di profilo degli altri collaboratori scolastici;
   ci si chiede come mai, su base provinciale, il personale ATA dopo una serie di tre o più contratti a tempo determinato non sia stato ancora stabilizzato e se tale mancato adempimento della normativa comunitaria e nazionale non sia conseguenza delle procedure di mobilità professionale o dell'accantonamento dei posti per i docenti inidonei;
   le procedure di cui sopra potrebbero, di fatto, aver compromesso la realizzazione del piano triennale di assunzioni in ruolo e l'impegno assunto per la stabilizzazione del personale precario;
   la mancata stabilizzazione potrebbe anche configurarsi in un danno per l'erario derivante dai probabili risarcimenti che verosimilmente otterrà il personale precario non stabilizzato dopo anni di incarico annuale –:
   se il Ministro concordi con quanto esposto in premessa e se non intenda, al fine di porvi rimedio assumere iniziative per chiudere la graduatoria di prima fascia e trasformarla in graduatoria a esaurimento; riproporre la graduatoria prioritaria ai fini dell'attribuzione delle supplenze per l'anno scolastico 2012/2013; stabilire la possibilità di fare domanda di supplenza non in trenta istituti ma nei distretti così come avviene, nella graduatoria prioritaria; introdurre, così come previsto per il personale docente dal decreto ministeriale 31 marzo 2005, articolo 10, la facoltà di fare domanda di supplenza in una provincia e domanda di immissione in ruolo in una provincia diversa. (5-07618)


   SIRAGUSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel settembre del 2010 il Sole 24 ore ha dato notizia di casi di truffa per dichiarazioni mendaci rilasciate da alcuni candidati al momento della domanda di partecipazione al concorso del 2007 a titoli per incarichi e supplenze che ha dato origine alla graduatoria provinciale permanente del personale ATA di Catania;
   tale graduatoria da allora è stata aggiornata annualmente dagli iscritti attraverso la presentazione dei rispettivi titoli maturati;
   a seguito degli accertamenti condotti dalla Guardia di finanza tributaria di Catania si è scoperta una vera e propria truffa: un abile sistema di false certificazioni di servizio (mai svolto), le quali venivano rilasciate ed equiparate, a tutti gli effetti, a servizio realmente eseguito: con tanto di acquisizione di punti aggiuntivi nei concorsi pubblici nella scuola e nella pubblica amministrazione;
   si è giunti così all'emissione di diciotto decreti penali di condanna relativi a candidati assunti a tempo indeterminato e determinato;
   nelle more della definizione del procedimento penale, l'ufficio scolastico provinciale ha adottato i provvedimenti più vari e disparati che non trovano supporto nella normativa vigente;
   nell'emanazione della graduatoria provinciale provvisoria, in data 12 luglio 2010, l'Ufficio scolastico provinciale di Catania ha operato una decurtazione di punteggio dei candidati inquisiti (sanzione questa non pare prevista in nessuna norma che regola la procedura concorsuale di riferimento);
   l'ufficio scolastico provinciale con questa operazione ha riconosciuto la concretezza degli illeciti addebitati a questi candidati;
   tuttavia a luglio 2012, l'ufficio scolastico regionale si è pronunciato per la sospensione dei procedimenti disciplinari «in attesa della definizione del procedimento penale»;
   con la medesima motivazione il centro servizi amministrativi di Catania, dopo aver proceduto alla decurtazione dei punti acquisiti illecitamente, ha revocato la sanzione, ripristinando il punteggio originariamente autocertificato dagli imputati: la graduatoria definitiva emanata nell'agosto del 2010 reintegra il punteggio ottenuto con le false dichiarazioni;
   pertanto, al momento del conferimento degli incarichi a tempo indeterminato e determinato, il 27 agosto 2010, questi candidati hanno concorso come se nulla fosse accaduto e non sono stati nemmeno sospesi in via cautelare per tutelare, magari e più opportunamente, gli aspiranti che invece sono rimasti esclusi dalla possibilità di ricoprire i pochissimi posti di lavoro disponibili;
   due dei 18 imputati nel frattempo sono entrati di ruolo nell'amministrazione scolastica nonostante un primo accertamento sulla falsità dei titoli presentati;
   un gruppo di ATA, esclusi dalle posizioni utili in graduatoria poiché scavalcati dai presunti truffatori, ha deciso di farsi rappresentare dai legali di una associazione di consumatori e, nonostante le diverse istanze di accesso agli atti inoltrate all'ufficio scolastico provinciale di Catania (la prima delle quali presentata in data 17 agosto 2010 e ricevuta solo a seguito dell'intervento delle forze dell'ordine), ad oggi non ha ricevuto dall'ufficio scolastico le copie richieste. Ciò ha reso difficile, per i legali degli ATA, rappresentare i loro interessi in sede di ricorso al TAR: interessi che dovrebbero coincidere con quelli portati avanti dallo stesso ufficio scolastico provinciale –:
   se il Ministro sia al corrente della vicenda esposta in premessa e se non intenda, nell'ambito delle proprie competenze, intervenire affinché venga applicata la legge sull'accesso agli atti da parte degli uffici periferici dell'Amministrazione e venga applicata la normativa sulle dichiarazioni mendaci. (5-07718)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRANATA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, cosiddetto «spending review», l'articolo 14, comma 14, dispone il transito al ruolo ATA dei docenti delle classi di concorso C999 e C555 e vale a dire, ITP ex assistenti di cattedra assunti ex-lege dalle amministrazioni provinciali, con concorsi, e transitati allo Stato nel 2000, senza alcuna possibilità di scelta e con una sensibile penalizzazione salariale, già oggetto di condanna dalla Corte di giustizia europea;
   questi docenti hanno continuato la loro attività negli istituti di appartenenza e negli anni hanno acquisito diverse competenze tecnologiche tant’è che oggi molti di loro sono utilizzati nei laboratori, partecipano ai progetti ed alla didattica laboratoriale;
   in questi anni non è stata mai fatta una seria rilevazione delle funzioni svolte da questi docenti, per cui il transito ad ATA è solo un taglio lineare, che non tiene in debita considerazione i disagi che ciò potrà comportare nella vita scolastica;
   tale transito ad assistenti amministrativi o tecnici inoltre avverrebbe senza alcuna competenza specifica, con conseguente riduzione del monte ore portato a 36 ore e la diminuzione dello stipendio;
   l'applicazione dell'articolo 14 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, provocherà inevitabilmente problemi nella didattica oltre a penalizzare solo quel personale con classi di concorso C999 e C555; tale provvedimento, non riguarderebbe altre classi considerate in esubero per esempio la A075, la A076, e altre ancora a cui vengono date possibilità di utilizzazioni diverse, sempre nell'ambito dell'insegnamento;
   tale sottrazione di personale dai laboratori inciderebbe sulla corretta funzionalità della attività scolastica cancellando, di fatto, esperienza e professionalità maturate;
   di fatto l'articolo 14 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, comporta il passaggio obbligato in profilo e mansioni diverse, non consentito dal nostro ordinamento che prevede che «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione» (articolo 2103 cc e articolo 13 dello statuto dei lavoratori) –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per assicurare il rispetto dei diritti maturati da questi lavoratori.
(4-17348)


   MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (spending review), prevede il transito di personale docente ITP (insegnanti tecnico pratici) ex enti locali, transitati nel 2000 (ex legge n. 124 del 1999) dagli enti locali allo Stato, appartenenti alle classi di concorso C 999 e C 555, nei ruoli del personale non docente con la qualifica di assistente amministrativo, tecnico o collaboratore scolastico (personale ATA), senza possibilità di riconversione professionale;
   in questi dodici anni gli insegnanti tecnico pratici hanno continuato la loro attività negli istituti di appartenenza, acquisendo competenze a livello tecnologico e, ad oggi, molti di essi sono utilizzati nei laboratori, gestiscono gli uffici tecnici (ove previsti) e le reti informatiche e partecipano inoltre ai progetti ed alla didattica laboratoriale scolastica;
   il provvedimento penalizza figure professionali che da almeno vent'anni lavorano nella scuola e il previsto passaggio degli insegnanti tecnico pratici nei ruoli del personale ATA significherebbe danneggiare anche tale personale dopo anni di servizio;
   tale provvedimento provocherà inevitabilmente problemi a livello di didattica e la deprofessionalizzazione del personale, cancellando esperienza e professionalità maturate;
   il provvedimento non riguarderebbe altre classi di concorso considerate in esubero, come ad esempio la A075 e la A076, a cui vengono invece date possibilità di utilizzazioni diverse, sempre nell'ambito dell'insegnamento;
   inoltre si paventerebbe il passaggio obbligato in profili e mansioni diverse, non consentito dal nostro ordinamento il quale prevede che: «Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione (articolo 2103 del codice civile e articolo 13 dello Statuto dei lavoratori);
   è ipotizzabile, ad avviso dell'interrogante, una conseguente class action che comporterà effetti economici esattamente opposti alle finalità perseguite dalla spending review –:
   se i Ministri, alla luce di quanto descritto in premessa, non ritengano opportuno ed urgente assumere iniziative di carattere normativo al fine di impedire il transito dei docenti insegnanti tecnico pratici appartenenti alle classi di concorso C 999 e C 555 al personale non docente ATA, al fine di salvaguardarne l'esperienza e la professionalità maturate, impedendo che si verifichi una palese ingiustizia nei loro confronti. (4-17350)


   PAGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14, comma 13, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, relativo alla riduzione della spesa delle amministrazioni statali e degli enti non territoriali stabilisce che «Il personale docente dichiarato permanentemente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti (...) transita nei ruoli nel personale amministrativo, tecnico e ausiliario con la qualifica di assistente amministrativo o tecnico». L'accertamento della dichiarazione di non idoneità è affidato ad apposite commissioni mediche, le stesse che inquadrano, per altre patologie, il personale in pensione;
   a parere dell'interrogante una applicazione rigida di tale disposizione determinerebbe conseguenze gravissime sia sui diretti interessati che sulla qualità delle prestazioni;
   quanto ai docenti (attualmente sono circa 3.000 quelli che versano in gravi problemi di salute) si rileva che i soggetti interessati dalla norma, che tra le altre cose rappresentano il personale più prossimo alle soglie della pensione, sarebbero chiamati ad intraprendere una mansione, quella di assistente amministrativo, divenuta molto complessa e gravosa per effetto del decentramento e dei tagli agli organici. A ciò si aggiunga che specie nelle regioni del Sud, dove è maggiore la concentrazione degli inidonei e minore la disponibilità dei posti ATA, molti di tali docenti dovrebbero spostarsi in ambito provinciale, eventualmente anche per prestare le supplenze saltuarie nei casi di inidoneità temporanea;
   quanto invece alla qualità delle prestazioni nell'ambiente scolastico appare opportuno evidenziare che gli standard di funzionalità delle segreterie potrebbero essere compromessi dalla diminuzione di personale formato ed esperto nelle procedure amministrative, finanziarie e organizzative gestite dalle scuole per l'attuazione dell'offerta formativa. Il ricambio del personale ATA che via via andrà in pensione con personale affetto da problematiche di salute fisiche e/o anche psichiche, non solo farebbe venire a mancare la coesione lavorativa conseguita nel tempo e la capacità di lavorare con gli standard richiesti, ma porrebbe il personale amministrativo nella condizione di confrontarsi con colleghi non formati e di dover quotidianamente trasferire le complesse conoscenze maturate in materia di procedure, funzionamento delle rilevazioni da effettuare al SIDI, gestione delle graduatorie, nomine e assunzioni di personale supplente breve, gestione della didattica con conseguente spreco di tempo e perdita di efficienza;
   a ciò si aggiunga che il personale docente inidoneo ormai da tempo, in alcuni casi prossimo alla pensione, potrebbe anche essere demotivato e non psicologicamente disponibile a misurarsi con le nuove tecnologie e i sistemi con cui già si opera nelle segreterie scolastiche. A tal proposito potrebbe essere opportuno avviare una prima fase di supporto alle segreterie mirata a formare detto personale e favorire la sua piena integrazione rispetto alla nuova mansione o ancora impiegare i docenti non idonei sia per le supplenze orarie che per sostituire il personale ATA in caso di assenze giornaliere allo scopo di avere elementi per valutare se per loro possa aprirsi un nuovo percorso in segreteria o se possa essere più opportuno dirottarli verso altri ambiti;
   sotto il profilo organizzativo occorre rilevare che il dipendente affetto da gravi patologie (fisiche e/o psichiche) potrebbe necessitare di sempre nuove visite mediche o incorrere in aggravamenti delle proprie condizioni e sarebbe costretto ad assentarsi frequentemente per patologia, la qual cosa costringerebbe l'istituzione scolastica a ricorrere a figure supplenti;
   inoltre si consideri che l'ordinamento italiano prevede che «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione» (articolo 2103 del codice civile e articolo 13 dello statuto dei lavoratori). In virtù di ciò il passaggio obbligato in profilo e mansioni diverse dovrebbe considerarsi ad avviso dell'interrogante illegittimo senza contare che il disposto del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, senza una previa verifica della possibilità di un utilizzo dei docenti non idonei come assistenti senza un percorso professionale rappresenta un sicuro demansionamento che, portato davanti ai giudici, vedrebbe certamente soccombente il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con l'aggravio di spese legali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga che i «tagli lineari» decisi relativamente al comparto scolastico, a fronte di un risparmio finanziario immediato, compromettano la funzionalità dell'intero sistema, impedendo per i prossimi anni la prosecuzione dell'attività lavorativa di personale che ha accumulato in questi anni professionalità ed esperienze anche decennali, necessari per l'affermarsi della scuola dell'autonomia;
   se non ritenga opportuno valutare un ripensamento complessivo delle scelte adottate per garantire al personale docente non idoneo, al pari degli altri colleghi soprannumerari del pubblico impiego, di avere pari opportunità ed essere inseriti nella mobilità intercompartimentale, assumendo apposite iniziative normative eventualmente derubricando ad utilizzazione il passaggio nei ruoli del personale ATA, considerato che in tal modo si otterrebbero i risparmi previsti, ma con un processo flessibile e transitorio per il migliore utilizzo del personale interessato nel rispetto della funzionalità del sistema scolastico. (4-17351)


   CICU. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il tirocinio formativo attivo (TFA) è un corso abilitante all'insegnamento (previsto nel regolamento sulla formazione iniziale dei docenti ex decreto ministeriale n. 249 del 2010), istituito dalle università, con durata annuale e che attribuisce, all'esito di un esame finale sostenuto innanzi ad una commissione mista composta da docenti universitari, da un insegnante e da un rappresentante dell'ufficio scolastico regionale, il valore abilitante in una delle classi di concorso previste dal decreto ministeriale n. 39 del 1998 e dal decreto ministeriale n. 22 del 2005;
   l'avvio dei moduli aggiunti ai corsi TFA, riservati ai docenti non abilitati, con anzianità di servizio, ha richiesto una modifica del decreto ministeriale n. 249 del 2010 con un provvedimento di pari rango, la cui approvazione consentirà nella programmazione 2012-2013 un doppio percorso di TFA, l'uno che prevede la selezione, la formazione in aula, il tirocinio e l'esame finale, l'altro che permette ai docenti con tre anni di servizio di accedere direttamente alla formazione in aula e all'esame finale;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha adottato un regolamento di modifica agli articoli 5 e 15 del decreto ministeriale n. 249 del 2010, riguardanti le modalità di accesso ai TFA speciali, corsi abilitanti riservati ai docenti che hanno maturato rilevanti periodi di servizio presso le istituzioni scolastiche;
   i criteri stabiliti come titolo necessario ai corsi abilitanti determinano però l'esclusione di una gran parte di docenti non abilitati inseriti nella III fascia delle graduatorie di istituto. Vengono, infatti, richiesti tre anni di servizio (dal 1999 al 2012) suddivisi in 180 giorni per ciascun anno scolastico;
   tale suddivisione penalizza proprio i docenti appartenenti alla graduatoria di III fascia che, pur avendo maturato 540 giorni di servizio nel triennio di riferimento, non riescono però a soddisfare il requisito dei 180 giorni per anno scolastico;
   si tratta, infatti, dei supplenti che, come è ben noto, sono chiamati dalle scuole per sostituire i docenti titolari e che, nella maggior parte dei casi, svolgono un servizio caratterizzato da discontinuità e quindi raramente riescono a lavorare per un periodo di 180 giorni per anno scolastico;
   il 4 luglio 2012 il CNPI – Consiglio nazionale della pubblica istruzione, chiamato ad esprimere un parere sulle modifiche poste al regolamento suddetto, ha auspicato: «... il riesame riguardo al requisito di servizio necessario per accedere al TFA semplificato che era opportuno prevedere nei “tradizionali 360 giorni” ...»;
   dagli anni ’70 al 2005 i requisiti per l'accesso ai corsi riservati erano 360 giorni senza alcun limite relativo alla suddivisione –:
   se il Ministro non ritenga opportuno adottare le necessarie iniziative normative alla luce di quanto esposto in premessa, al fine di prevedere il ripristino delle condizioni sussistenti fino al 2005 o, qualora intendesse confermare quanto disposto dal suddetto regolamento, di prevedere l'eliminazione del vincolo dei 180 giorni per ciascuno dei tre anni scolastici, in modo da consentire ai docenti di III fascia delle graduatorie di istituto di accedere al tirocinio formativo attivo specifico per conseguire la relativa abilitazione. (4-17353)


   ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, recante la revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti, in attuazione della delega prevista dall'articolo 5, comma 1, lettere a), secondo periodo, e d), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti al comma 3, lettera f), e al comma 6, il Governo ha disposto un aumento sulla pressione fiscale studentesca;
   conseguentemente, sul sito A.D.I.S.U Puglia si comunica che «per effetto dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 68 del 2012, per l'A.A. 2012/2013 la tassa regionale per il diritto allo studio universitario è dovuta nella misura di 140 euro» ovvero è quasi raddoppiata;
   la preoccupazione per il sensibile aumento della tassa ha portato i rappresentanti degli iscritti all'università di Bari a chiedere la rateizzazione alla luce del generale periodo di crisi del Paese;
   lo stesso rettore dell'ateneo barese Corrado Petrocelli si è fatto portavoce della richiesta studentesca presso l'ADISU che ha precisato: «Questa agenzia condivide appieno gli intenti della proposta, tesi a lenire la situazione di difficoltà economica in cui gli studenti e le loro famiglie potrebbero trovarsi a causa dell'aumento della tassa. Tuttavia non è in nostro potere disporre delle modalità con cui viene corrisposta la tassa» (estratto da La Gazzetta del Mezzogiorno.it del 3 agosto 2012);
   la protesta degli studenti è stata molto forte, tanto che in un articolo pubblicato su report brindisi.it del 5 luglio 2012 hanno dichiarato attraverso la Rete della Conoscenza che «Dietro la retorica delle attenzioni per il futuro del Paese e dei giovani si nasconde la visione di una società profondamente segnata dalle disuguaglianze, nella quale lo Stato non ha più alcun ruolo, il diritto di accesso alla formazione universitaria, ad emanciparsi da una condizione di marginalità sociale, dettata dalla condizione economica, viene ulteriormente trasformato, dal governo vigente, in un vero e proprio “lusso”. Insomma, chi non si può permettere di pagare le tasse universitarie, non può permettersi di studiare. [...] Un genitore non si può sentire fallito se non riesce a sostenere le spese di studio del proprio figlio, perché la causa non è la sua. [...] In Puglia c’è una copertura borse di studio del 54 per cento di coloro che ne avrebbero diritto per merito e reddito, ciò comporta che la gente vada via non solo per andare verso didattica migliore ma anche verso regioni che danno maggiori opportunità di borse di studio. Questa è l'ulteriore prova di un complesso di riforme che smantellano sempre più il pubblico a favore del privato e impediscono a numerosi giovani di studiare» –:
   quali iniziative, anche normative, il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di evitare l'aggravio economico che gli studenti universitari dovranno subire per esercitare il diritto allo studio. (4-17370)


   ZAZZERA e DI GIUSEPPE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5, comma 8 del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, sulla spending review dispone che «Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché le autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile»;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con nota protocollo n. 4442 del 16 luglio 2012 ha comunicato alle scuole, agli uffici scolastici regionali e ai revisori dei conti, alcune indicazioni relative all'applicazione del decreto-legge n. 95 del 2012;
   in particolare, la nota reca che l'articolo 5, comma 8 del decreto succitato, «dispone che le ferie, i riposi e i permessi spettanti al personale sono obbligatoriamente fruiti e non danno luogo in alcun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostituivi. Detto disposto si applica anche al personale scolastico, sia con contratto a tempo indeterminato che determinato»;
   con nota del 24 luglio 2012 il Ministero dell'economia e delle finanze ha bloccato il pagamento delle ferie non godute ai docenti per l'anno scolastico appena trascorso;
   conseguentemente, tutti i docenti precari che, proprio a causa della precarietà, hanno deciso di non prendere le ferie perché venissero monetizzate, non avranno più diritto alla retribuzione sebbene abbiano anche garantito la continuità didattica degli istituti scolastici;
   secondo Sergio Sorella, segretario della FLC-CGIL Molise si tratta di «Una penalizzazione incostituzionale e vessatoria, unita al differimento di oltre sei mesi per il pagamento del TFR. Del resto la politica dei tagli e delle riduzioni prosegue anche con la vecchia logica dei tagli lineari senza portare alcun beneficio ai cittadini fruitori dei servizi pubblici. Tagliare i fondi alla ricerca, le piante organiche, aumentare le tasse universitarie, spostare docenti della scuola nei profili ATA, licenziare i precari che hanno acquisito professionalità ed esperienza decennali, significa rendere un pessimo servizio prima di tutto ai cittadini. Si tratta di una situazione inaccettabile contro la quale bisogna reagire» (orizzonte scuola del 28 luglio 2012) –:
   quali iniziative, anche normative, i Ministri interrogati intendano adottare al fine di garantire ai docenti la retribuzione per le ferie non godute per l'anno scolastico appena trascorso, evitando in tal modo anche le conseguenze derivanti dalle soccombenze giudiziarie cui dovrebbe far fronte per aver negato ai docenti diritti acquisiti. (4-17372)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   TASSONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   circa diciotto anni orsono, la direzione generale dell'Inail conferiva l'incarico ad un dirigente sanitario di una propria sede provinciale della Calabria di effettuare una indagine conoscitiva e di redigere, quindi, una relazione allo scopo di accertare se vi fossero o meno le condizioni per l'apertura di un centro protesi nell'ambito territoriale di Lamezia Terme;
   in seguito agli accordi del 1998 tra Inail e la regione è stata realizzata una struttura, nell'area di Lamezia, che avrebbe potuto rappresentare se resa funzionale, una vera svolta per la Calabria. Sia il presidente dell'Anmic (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili) di Catanzaro, Sergio Lucisano, sia il presidente dell'Anmil (Associazione nazionale fra mutilati ed invalidi del lavoro) di Catanzaro, sono fermamente convinti che l'apertura del centro sarebbe fondamentale per smuovere l'economia del territorio, richiamando pazienti da tutto il Sud Italia, ma anche dal Nord Africa;
   il centro protesi di Lamezia Terme, nel caso verrà aperto, avrà al suo interno una componente produttiva destinata alla costruzione di protesi e presidi personalizzati da fornire a decine di migliaia di infortunati sul lavoro o disabili civili provenienti dalle regioni del sud e del Mediterraneo, una componente sanitaria con riabilitazione funzionale e degenza ed una destinata ai servizi che integrano il trattamento protesico-riabilitativo e, quindi, con la sua realizzazione, l'impatto occupazionale sarà rilevante;
   il centro se messo in funzione darà lavoro a molti tra medici, tecnici ortopedici, terapisti della riabilitazione, psicologi, assistenti sociali, infermieri, OSA, impiegati amministrativi con una dotazione organica complessiva di circa 140-150 unità; inoltre, oltre ad accogliere giornalmente 60 persone, tra infortunati sul lavoro, invalidi civili assistiti dal S.S.N. privati, perché dispone di 60 posti letto, può ricevere quotidianamente altri 60-70 disabili a tempo parziale;
   nello specifico settore sanitario, come è stato più volte e da più parti evidenziato, non solo si invertiranno i flussi migratori dal Nord al Sud, con un notevole risparmio della spesa sanitaria, ma ne trarrà vantaggio l'intera economia della città di Lamezia Terme, ove si consideri che saranno presenti giornalmente 120-130 persone, accompagnate quasi sempre dai loro familiari con un incremento, pertanto, dell'attività delle strutture alberghiere e dei vari esercizi commerciali –:
   quali siano gli elementi a disposizione del Governo in merito al progetto citato in premessa. (3-02440)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARBATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   TeleControlli una società privata operante nel settore della tecnologia dei circuiti ibridi in film spesso con una esperienza consolidata nello sviluppo di circuiti custom, per tutti i campi dell'elettronica, trasmettitori e ricevitori RF, moduli dc/dc.;
   i prodotti TeleControlli sono usati in molte applicazioni nei diversi settori automotive, medicale, sensoristica, sicurezza, telecomunicazioni, domotica, automazione industriale e consumer;
   l'attività è iniziata nel 1982 e la sede produttiva occupa nel suo insieme un'area di 9.000 metri quadri comprensiva di 4.300 metri quadri superficie coperta e di una camera bianca di 430 metri quadri;
   la società occupa 85 persone (di cui il 60 per cento donne) altamente specializzate nella tecnologia dei circuiti ibridi in film spesso e moduli wireless;
   insieme a partners qualificati, TeleControlli è presente in tutti i Paesi europei, Sud Africa, Canada e Nord America, Sud America, Russia e Far East. TeleControlli ha un network di distributori che offre supporto in molti settori di mercato in tutto il mondo;
   l'11 luglio 2012 le sigle provinciali Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil comunicavano che «in seguito a una verifica fatta dai lavoratori sulla loro posizione amministrativa contabile, risulta:
    a) mancato pagamento spettanze retributive (restante mensilità maggio di cui è stato erogato diversi anticipi senza corrispondere l'importo dovuto: 50 per cento tredicesima mensilità anno 2011, liberalità natalizia che corrisponde in busta paga anni precedenti a quota di retribuzione acquisita, premio perequativo articolo 9 contratto nazionale lavoro);
    b) mancata consegni dei ticket mensa regolarmente citati in busta paga e non consegnati dal mese di gennaio 2012;
    c) mancato versamento dei contributi al fondo Cometa dal mese gennaio 2010, anche se regolarmente citati e contabilizzati nelle buste paga rilasciate ai lavoratori;
    d) mancato versamento dei contributi sindacali, anche se regolarmente citati e contabilizzati nelle buste paga rilasciate ai lavoratori;
   telecontrolli s.r.l. è l'ultimo baluardo dell'elettronica Campana, che un tempo comprendeva:
    a) Italtel di Santa Maria Vetere;
    b) Olivetti Pozzuoli;
    c) Alitec di Marcianise;
    d) Modinform di Marcianise;
    e) OCN Marcianise;
    f) OSAI Marcianise;
    g) Texas di Aversa;
    h) Alcatel Marcianise;
    i) GTE Marcianise;
    l) Marconi Marcianise;
    m) Gruppo IPM di Arzano (Meltem – Telecontrolli – IPM Data Com – Novatel – CELM);
   per non parlare dell'indotto ovvero di tante e tante micro realtà che ruotavano attorno a questi colossi;
   la campania era il secondo polo delle telecomunicazioni italiano;
   la telecontrolli srl è una realtà che produce microelettronica ad alto contenuto tecnologico spalmando su ceramica particolari paste che poi attraverso un processo termico e di taratura a speciali laser generano un microcircuito che racchiude in se determinate funzioni elettroniche predeterminate dal progetto;
   i lavoratori della Telecontrolli sono attualmente impegnati in una difficile lotta per raggiungere quantomeno i previsti ammortizzatori sociali;
   fonti di stampa riferiscono nel luglio 2012 che i vertici di «Telecontrolli» hanno avviato un piano di ristrutturazione e di riqualificazione aziendale con l'obiettivo di rilanciare le attività produttive attraverso una forte azione di marketing e l'acquisizione di nuove quote di mercato –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro del lavoro a tutela di questi lavoratori e per il benessere delle loro famiglie, se non disponga inoltre di eventuali fondi stanziati negli ultimi anni a favore dell'azienda e come sia stata condotta la gestione amministrativa del marchio.
(4-17359)


   BARBATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori e le lavoratrici (circa 429 unità) dediti alle mansioni di pulizia nelle scuole siciliane, cosiddetti «pulizieri», in particolar modo della provincia di Catania vivono una grave crisi lavorativa;
   le società appaltatrici Dussmann di Bergamo e Pfe di Milano nonostante gli accordi siglati presso la prefettura di Catania, che prevedevano un incontro all'ufficio provinciale del lavoro di Catania nel mese di Dicembre 2011 per predisporre la messa in cassa integrazione delle maestranze non si presentano a detto incontro;
   nel gennaio 2012 è stato comunicato ai lavoratori che avrebbero operato con orario ridotto (da 6 a 2 ore circa), con una riduzione salariale fino a toccare i 140 euro mensili –;
   di quali notizie dispongano i Ministri sulla situazione sofferta da questi lavoratori catanesi; in particolare se non si intenda approfondire il tema degli ammortizzatori sociali da impiegare nel contesto descritto e allargare il caso ai contratti di solidarietà; sulla base di quali criteri saranno selezionati i lavoratori da mettere in cassa integrazione e di quali elementi disponga sulle modalità di aggiudicazione all'epoca dei fatti degli appalti di pulizia da parte delle sopra citate società appaltatrici;
   se si intenda promuovere una verifica sulle condizioni economiche dell'appalto ovvero sulla disponibilità delle risorse nelle scuole per i servizi di pulizia;
   se a fronte della crisi del settore possa sussistere un rischio igienico-sanitario per le strutture scolastiche della provincia di Catania e se si intenda richiedere una verifica della situazione esposta all'immediata ripresa delle attività scolastiche. (4-17363)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MESSINA, DI GIUSEPPE e ROTA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dal 22 al 28 luglio 2012 si è tenuto nel comune di Scala (SA), piccolo paese di 1.551 abitanti della costiera amalfitana, il «1o Festival internazionale dei prodotti di qualità»;
   la manifestazione, organizzata dalla stessa amministrazione comunale con il concorso della regione Campania e con una partecipazione di altre regioni dell'Italia meridionale, è stata finanziata con un contributo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di euro 1.270.000,00 pari al 90 per cento circa del preventivo di spesa ammessa di euro 1.420.000,00, come da decreto del direttore generale dello sviluppo agroalimentare, qualità e tutela del consumatore del dipartimento delle politiche di sviluppo economico e rurale del 30 dicembre 2011 prot. n. 0027348 (prot. Ufficio centrale del bilancio del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali n. 320 del 4 gennaio 2012);
   al Festival in questione ad avviso dell'interrogante non è stata assicurata, nonostante l'abnorme stanziamento ministeriale, un'adeguata visibilità;
   della manifestazione non vi è notizia sul sito istituzionale del comune di Scala e le uniche informazioni possono essere rilevate, senza nessun risalto particolare su un sito di manifestazioni di tutta la costiera amalfitana (Positano news);
   il finanziamento ministeriale sembrerebbe essere stato accordato ad avviso degli interroganti senza adeguata ponderazione anche considerata la mancata esperienza da parte degli organizzatori nell'organizzazione di una manifestazione che viene definita di rilievo «internazionale»; dallo stesso direttore generale pro tempore della direzione generale citata è stato concesso un contributo alla provincia di Vicenza di euro 1.300.000,00 pari al 90 per cento circa del preventivo di spesa ammessa di euro 1.450.000,00 per la realizzazione dell'iniziativa «I migliori formaggi e vini d'Italia 2011», decreto dell'8 novembre 2011 prot. n. 0022187 (protocollo Ufficio centrale di bilancio del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali n. 27588 del 9 novembre 2011);
   dallo stesso direttore generale pro tempore della direzione generale citata è stato concesso un contributo, in fattore della società Meet Comunicazione a r.l. di Milano, di euro 350.000,00 pari al 50 per cento circa del preventivo di spesa ammessa di euro 700,000,00 per la realizzazione della manifestazione «Mille Miglia», decreto del 7 novembre 2011 prot. n. 0022011 (prot. Ufficio centrale di bilancio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali n. 27593 del 9 novembre 2011);
   la situazione di difficoltà finanziaria del nostro Paese, che ha richiesto sin dalla metà dello scorso anno numerose manovre correttive di bilancio fino al recente decreto-legge sulla spending review avrebbe assolutamente sconsigliato l'adozione di siffatti contributi e, quanto meno, ci sarebbe aspettata la revoca o rimodulazione degli stessi provvedimenti; appare agli interroganti assolutamente censurabile il comportamento di chi ha valutato positivamente un'iniziativa assolutamente irrilevante sotto il profilo comunicazionale e sotto quello della valutazione costi-benefici come quella organizzata dal comune di Scala, nonché gli enormi contributi concessi alla provincia di Vicenza e ad una società privata a fronte di decine di altre manifestazioni di importanza nazionale e internazionale che dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali non vengono sostenute –:
   se corrisponda al vero che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali abbia concesso finanziamenti per quasi 3 milioni di euro per iniziative che appaiono ad avviso degli interroganti chiaramente evanescenti, irrilevanti e di nessuna utilità sociale e commerciale per il sistema di promozione dell'agroalimentare italiano;
   se non ritenga di dare istruzioni per il ridimensionamento dei contributi ai soggetti citati in premessa, in linea con le esigenze prioritarie ed ineludibili delle norme sulla spending review;
   se non ritenga di avviare un'inchiesta interna per verificare se le istruttorie per affidare i finanziamenti di cui in premessa siano state operate con una valutazione di qualità e nel rispetto della normativa vigente e come siano state giustificate le spese per la realizzazione degli eventi da parte dei soggetti beneficiari;
   quali disposizioni intenda impartire in futuro per offrire procedure trasparenti nell'assegnazione di contributi per le attività di promozione dell'agroalimentare italiano. (5-07716)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAZZERA, DI GIUSEPPE e ROTA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in molti Paesi i limiti di diossina e pcb nei terreni di pascolo sono stati fissati con legge: in Olanda il limite è di 1 ngTE/kg, in Canada di 4 ngTE/kg, ed in Germania e in Svizzera di 5 ngTE/kg (fonte: OSPAR 2007);
   al contrario, in Italia manca una normativa specifica, pertanto per tali terreni si applica il limite di 10 ng/kg per la somma di diossine e pcb, prendendolo dal limite per le aree urbane;
   tuttavia il limite di 10 ng/kg non è idoneo, in quanto a Taranto pecore e capre si sono contaminate su terreni con valori inferiori a tale limite;
   risulta depositato presso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un parere dell'Istituto superiore della sanità che fissa a 4 ng/kg il limite della somma di diossine più pcb per i terreni di pascolo –:
   se il Governo intenda assumere iniziative volte ad adottare il limite di 4 ng/kg per la somma di diossine più pcb per i terreni di pascolo. (4-17374)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferito da agenzie di stampa, quotidiani e siti internet di informazione, non sarebbe stato assicurato il risarcimento delle ragazze dell'istituto «Morvillo-Falcone» di Brindisi, rimaste ferite nel corso dell'attentato del 19 maggio 2012;
   secondo la compagnia assicurativa «i segni permanenti che alcune ragazze della scuola Morvillo hanno subito per le ustioni riportate nell'attentato sono considerati dalla compagnia assicurativa dell'istituto soltanto ripercussioni di tipo estetico», e per questa ragione «non risarcibili»;
   tale motivazione appare agli interroganti assurda e biasimevole –:
   in considerazione del fatto che la richiesta di aiuto delle ragazze coinvolte e ferite nell'attentato e le loro famiglie è stato accolto dalla regione Puglia, che si è impegnata a dare aiuto e sostegno a tutte le giovani vittime del vile attentato, in quanto tutte bisognose di cure, e non solo le più gravi, se non si ritenga di dover assumere un'iniziativa normativa volta ad assicurare un indennizzo alle citate ragazze. (5-07614)


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da agenzie di stampa e siti internet di informazione, si apprendono notizie inquietanti in merito ai decessi di donne in conseguenza a parto;
   secondo i dati pubblicati dall'Istituto superiore di sanità, basati sui certificati di morte dell'Istat e sulle schede di dimissione ospedaliere, i decessi in questione sarebbero 11,8 ogni centomila metri vale a dire il 63 per cento in più, contro una media europea di 7-8;
   i dati raccolti dal 2000 al 2007 nelle regioni Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia, emergerebbe che hanno avuto luogo 260 morti materne, con un'età media di 33 anni;
   tra i fattori di rischio di mortalità, vi sarebbe l'età delle partorienti: oltre i 35 anni il pericolo di morire è doppio, ed è triplo per chi fa il taglio cesareo;
   anche il basso livello di istruzione e la cittadinanza straniera sarebbero associate a maggiori rischi per la vita delle partorienti;
   le cause più frequenti di mortalità sono emorragie e disordini ipertensivi in gravidanza in caso di complicazioni legate al parto, neoplasie, patologie cardiovascolari e, tra le cause indirette, suicidi causati da malattie preesistenti o insorte durante la gestazione e da essa aggravate –:
   se possa confermare i dati indicati in premessa e, in caso affermativo, a fronte di tale situazione, quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, si siano adottate o si intendano adottare o promuovere. (5-07615)


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel sito on-line del Corriere della Sera, in un articolo della giornalista Giovanna Corsetti, si citano passaggi di una lettera aperta redatta da alcuni dipendenti della società di navigazione Tirrenia, indirizzata il 25 giugno 2012 ai vertici della società, ad oggi rimasta senza risposta;
   in detta lettera si legge tra l'altro: «...Come portavoce dei miei colleghi ho il dovere di conoscere le condizioni di lavoro nelle quali siamo chiamati a svolgere la nostra attività, in merito alla presenza o meno di amianto a bordo, il tutto in rispetto della normativa vigente... e nell'interesse che attiene alla sfera della salute personale di ogni vostro dipendente»;
   l'eventuale presenza di amianto riguarderebbe una classe di vecchie navi della Tirrenia, indicate come le «Navi Consolari» o «Strade Romane» e in particolare la nave Clodia, Nomentana, Aurelia e Flaminia;
   la presenza dell'amianto a bordo di queste navi, a distanza di 20 anni dalla prima legge che nel 1992 ne vietava l'utilizzo e nelle successive integrazioni ne imponeva la dismissione e la bonifica, sarebbe testimoniata anche da alcuni filmati e documenti fotografici diffusi dall'Osservatorio nazionale sull'Amianto, e realizzate a bordo della nave Aurelia, nei mesi di giugno e luglio 2012;
   sempre secondo i dati dell'Osservatorio nazionale sull'amianto sarebbero molti i marittimi ad aver contratto il mesotelioma pleurico, malattia da amianto correlata;
   i dati a disposizione dell'Osservatorio ed in particolare il secondo e il terzo rapporto Renam (Registro Nazionale dei mesoteliomi) indicherebbero il settore marittimo come uno di quelli più a rischio amianto, per la salute dei lavoratori;
   sia i dati del Registro nazionale dei mesoteliomi che la documentazione medica di alcuni i marittimi affetti da mesotelioma attesterebbero un nesso causale tra le forme di mesotelioma e l'attività lavorativa svolta a bordo delle navi;
   in relazione a questa vicenda sono, stati presentati esposti, sia dai lavoratori della Tirrenia che dall'Osservatorio nazionale sull'amianto, presso le procure della Repubblica di Latina, Crotone, Civitavecchia e Napoli. Inoltre la procura della Repubblica di Padova starebbe indagando su alcuni casi di mesotelioma verificatisi tra i lavoratori della marina militare;
   lo scorso 20 luglio 2011 si è concluso il processo di privatizzazione della Tirrenia e la società è stata acquistata dalla Compagnia italiana di navigazione. Il nuovo amministratore delegato della Cin, Ettore Morace, avrebbe escluso che a bordo delle navi classe «Strade Romane» possa trovarsi amianto dannoso per i lavoratori in quanto a suo dire le navi avrebbero tutte le certificazioni necessarie e rilasciate a norma di legge;
   secondo quanto riferito dal presidente nazionale dell'Osservatorio nazionale sull'amianto, avvocato Ezio Bonanni, la società Tirrenia, come compagnia di navigazione statale, ha per anni vissuto una condizione in cui controllato ed enti controllori erano di fatto la stessa cosa, e questo ha impedito che ci fosse chiarezza. Inoltre il timore dei lavoratori ex Tirrenia, oggi Compagnia italiana di navigazione, è che la recente acquisizione della Tirrenia comporti un colpo di spugna su tutto il pregresso –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto e denunciato dall'osservatorio nazionale sull'amianto;
   quanti sarebbero i lavoratori della ex Tirrenia che hanno contratto il mesotelioma pleurico;
   quali iniziative di sua competenza si intendano promuovere, sollecitare, adottare in ordine a quanto sopra esposto e riferito. (5-07616)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in un comunicato stampa del 28 ottobre 2011, il vicesegretario del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria della Toscana, ha denunciato che nel Centro clinico di Sollicciano, K.A., un detenuto marocchino di circa 24 anni, ha tentato di aggredire con alcune lame di rasoio un sovrintendente della polizia penitenziaria;
   l'uomo si trova a Sollicciano in quanto nei suoi confronti l'autorità giudiziaria competente ha disposto l'osservazione psichiatrica per la durata di 30 giorni;
   l'intervento del personale in servizio unito ai doni della fortuna hanno scongiurato il peggio ed il ricorso all'uso contenuto della forza fisica ha ridimensionato la portata degli eventi. Si segnalano 15 giorni di prognosi al sovrintendente della polizia penitenziaria e 30 al detenuto che veniva posto all'attenzione dei sanitari nell'immediatezza dei fatti;
   l'episodio è avvenuto dopo che qualche giorno fa un altro detenuto con problemi psichici, sempre ristretto nel Centro clinico di Sollicciano, aveva tentato di uccidere un suo compagno di cella;
   i sindacati della polizia penitenziaria denunciano come a Sollicciano, a fronte di un'alta concentrazione di detenuti con problemi di natura psichica all'interno del Centro clinico, non sia prevista un'adeguata presenza di personale medico e specialistico per l'intero arco della giornata –:
   di quali elementi disponga il Governo con riferimento al carcere di Sollicciano e se non reputino opportuno, per quanto di competenza, assumere le necessarie iniziative per far congruamente fronte alle problematiche segnalate dai sindacati di polizia penitenziaria con specifico riferimento all'alta concentrazione di detenuti con problemi di natura psichica e all'insufficiente presenza di personale medico e specialistico. (5-07674)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda USL RMA è amministrata dal 24 novembre 2010 dal commissario straordinario dottor Camillo Ricci che – secondo quanto riportato nell'interrogazione del consigliere regionale del Lazio Rocco Berardo n. 153 – sarebbe assistito, in forme che non appaiono chiare, nella gestione da un suo cognato, marito della sorella della moglie, avvocato Luciano Crea;
   l'avvocato Crea opererebbe in ambito aziendale negli uffici della direzione generale a tempo pieno, nel senso che è pressoché presente ogni giorno per varie ore apparentemente avendo accesso a dati sensibili e questioni interne all'amministrazione, interloquendo con i dirigenti, nonostante sia persona totalmente estranea alla medesima;
   ad avviso degli interroganti tale situazione appare per molti versi anomala e contrasta certamente con i princìpi di imparzialità, buon andamento e legalità che devono ispirare l'azione dei direttori generali, come richiamati dal comma 6 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 502 del 1992, e comunque necessita di attenta valutazione da parte degli organi competenti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga indispensabile, anche per il tramite del commissario ad acta per il rientro dai disavanzi sanitari della regione Lazio, acquisire elementi in relazione a quanto esposto in premessa con riferimento all'azienda USL RMA al fine di verificare l'eventuale esistenza delle anomalie sopra descritte e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (5-07675)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 12 novembre 2011, un uomo di 40 anni, internato nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, si sarebbe impiccato nella sua stanza dopo il colloquio con i familiari;
   la vicenda è stata resa nota dal sindacato della polizia penitenziaria Sappe, in particolare dal suo segretario aggiunto, Giovanni Battista Durante, il quale ha riferito che l'uomo morto suicida era ristretto in uno dei cinque reparti gestiti esclusivamente da personale medico e paramedico, dove si svolge la sperimentazione sulla sanitarizzazione degli ospedali psichiatrici, cioè la gestione affidata al solo personale medico e paramedico, senza la presenza del personale di polizia penitenziaria;
   l'uomo si chiamava Omar Bianchera, aveva 45 anni e prima di essere arrestato faceva l'autotrasportatore. Il 25 aprile 2010 aveva ucciso nel mantovano – con due pistole e un fucile a pompa – l'ex moglie, una vicina di casa e un conoscente con cui in passato aveva avuto rapporti di affari. Appena due settimane fa, il 28 ottobre, Bianchera era stato condannato a vent'anni di carcere più cinque di cura in ospedale psichiatrico. La sentenza era stata pronunciata a porte chiuse dal gup di Mantova, Gianfranco Villani; il pubblico ministero aveva chiesto l'ergastolo. Sulla sentenza ha pesato la perizia psichiatrica che aveva dichiarato l'imputato seminfermo di mente –:
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative urgenti, se del caso normativo, per definire tempi certi per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, fornendo allo stesso tempo garanzie sul reinserimento e il sostegno agli internati nel loro percorso di recupero.
(5-07682)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzia di stampa, un internato si è impiccato il 1° luglio 2012 all'interno dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto;
   sulla triste vicenda Elvira Morana e Stefano Cecconi di «p.stopOPG nazionale» hanno diramato il seguente comunicato stampa: «L'uomo, nonostante potesse rientrare tra le persone che anche l'ultima legge sugli OPG (la n. 9 del 2012) dichiara “dimissibili senza indugio”, aveva subito due proroghe della misura di sicurezza. In molti casi ciò accade quando la Magistratura di Sorveglianza non riceve una proposta di reinserimento da parte dell'Asl di appartenenza. Così anziché essere liberato e assistito, com'era suo diritto, quell'uomo è rimasto rinchiuso fino alla morte. E allora innanzitutto bisogna accertare perché sono state disposte ben due proroghe. StopOPG denuncia i ritardi con cui si procede nella chiusura degli OPG e nella costruzione di percorsi davvero alternativi: in particolare bisogna che le Asl (Dipartimenti di Salute Mentale) organizzino la presa in carico delle persone internate, anche per consentirne le dimissioni dentro progetti terapeutico riabilitativi individuali. E per questo è inconcepibile che non sia ancora avvenuto il riparto tra le regioni dei finanziamenti che proprio a questo scopo l'ultima legge aveva stanziato (38 milioni disponibili già nel 2012 e 55 milioni dal 2013). Gli Opg si confermano luoghi di morte, di sofferenza e di privazioni: non è più possibile rinviare interventi risolutivi» –:
   se intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti dell'uomo morto suicida fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
   se e quali misure precauzionali e di vigilanza fossero in atto nei confronti dell'internato al momento dell'avvenuto suicidio;
   se si intendano assumere iniziative ispettive presso l'ufficio della Magistratura di sorveglianza che ha disposto la proroga della misura di sicurezza nei confronti dell'internato poi morto suicida;
   di quali elementi disponga il Governo in ordine al trattamento sanitario dell'internato con particolare riferimento al reinserimento dello stesso;
   se corrisponda al vero che non sia ancora avvenuto il riparto tra le regioni dei finanziamenti finalizzati alla presa in carico da parte delle ASL delle persone internate attraverso la predisposizione di progetti terapeutico riabilitativi individuali;
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro intenda adottare così da consentire alle ASL di prendere in carico le persone internate facendole dimettere all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi-individuali;
   quali siano i motivi per cui gli ospedali psichiatrici giudiziari non vengono ancora chiusi nonostante ciò sia espressamente previsto dalla legge n. 9 del 2012.
(5-07707)


   CARELLA. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in un periodo di forte austerità, di tagli e razionalizzazioni, l'unità sanitaria locale Asl RMG, ha bandito una procedura aperta per la fornitura di sistemi diagnostici, adeguamento e ristrutturazione dei locali laboratori, fornitura arredi e trasporto dei campioni biologici, per la durata di anni cinque rinnovabili di due per un valore di 27.392.000,00 euro annuali (iva esclusa), che per la durata della procedura 5 + 2 anni ammonta ad un impegno economico di 191.744.000 euro;
   la procedura sarebbe stata bandita senza il coinvolgimento dei responsabili dei laboratori al fine di recepirne le esigenze sia organizzative sia, soprattutto, di performance dei vari settori anche nell'ottica del progetto di riorganizzazione;
   inoltre, la gara all'interrogante non appare in linea con la normativa regionale (decreto n. 80 del 2010) riguardante la riorganizzazione della rete ospedaliera;
   nei capitolati si evidenzia un'attenzione molto particolareggiata riguardo alla pre-analitica, all'immunometria e alla chimica con requisiti molto selettivi e non sempre rispondenti a precise esigenze tecniche, limitando, di fatto, l'insieme delle attività e dei requisiti dai quali l'azienda potrebbe trarre solo vantaggi;
   in molti lotti della procedura le schede tecniche sembrano privilegiare le caratteristiche organizzative rispetto alle caratteristiche qualitative dei sistemi richiesti, scelta destinata a condizionare in modo preponderante la qualità dell'attività diagnostica;
   i sub-criteri di valutazione evidenzierebbero una modalità di assegnazione del punteggio non univoca e non chiaramente espressa come prevede la legislazione in materia, scelta dalla quale potrebbero derivare a giudizio dell'interrogante vari contenziosi –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai deficit sanitari, e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo, visto l'importante impegno economico della azienda ASL RMG, considerando che tali prestazioni sono già svolte all'interno della ASL medesima;
   se dall'esternalizzazione delle attività di cui in premessa possa derivare un ulteriore aggravio di spesa per la sanità regionale già soggetta ad un rigoroso piano di rientro dai disavanzi. (5-07710)


   MANCUSO, BARANI, DE LUCA e CICCIOLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 502 del 1992, all'articolo 6-ter, prescrive di tener conto, per la definizione del numero di specialisti da formare ogni anno e per l'assegnazione dei posti alle scuole di specializzazione delle esigenze di programmazione di regioni e province autonome con riferimento alle attività del Servizio sanitario nazionale;
   mettendo a confronto il trend degli specialisti medici negli ultimi anni e la distribuzione dei contratti 2011/2012 (decisa per decreto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca), viene in evidenza la mancata gestione di un progetto strategico che rimoduli e adegui fabbisogni, conoscenze e competenze professionali ai cambiamenti di contesto che caratterizzano il Servizio sanitario nazionale;
   tra il 2010 e il 2012 la specialità di geriatria ha perso 61 professionisti, ma ha guadagnato 134 posti nelle scuole di specializzazione;
   la specialità di pediatria, negli stessi anni, ha perso 507 professionisti, ma ha potuto contare su 315 contratti;
   specialità chiave come pediatria, ginecologia e ostetricia, chirurgia generale e cardiologia hanno perso dai 300 ai 500 professionisti;
   molti di questi, usciti dall'albo per pensionamento, non saranno rimpiazzati e creeranno dei vuoti nel Servizio sanitario nazionale;
   i tecnici della commissione regioni-Ministero, chiamata a fissare il fabbisogno delle professioni sanitarie, segnalano che spesso gli stessi medici del FnomCeo non prenderebbero parte alle riunioni in cui dovrebbero comunicare il proprio fabbisogno;
   le regioni sono quasi tutte molto distanti dal mettere a punto un piano per la formazione nelle singole branche che sia frutto di una raccolta di dati sistematica e di un'analisi dei dati «di zona», epidemiologici, di contesto, di popolazione, di andata in quiescenza dei professionisti, reali e utili alla definizione di una strategia;
   a tutt'oggi manca una banca dati puntuale ed esaustiva della popolazione medica con il dettaglio per disciplina;
   oggi il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, chiamato ad assegnare 5 mila contratti, (a fronte degli 8 mila posti su cui da anni si è attestato il fabbisogno espresso dalle regioni) dispone di statistiche ufficiali incomplete: il dato sulla specializzazione non è disponibile per circa il 16 per cento dei medici del Servizio sanitario nazionale e le stesse informazioni che provengono dalla FnomCeo scontano un margine di aleatorietà;
   la Federazione prevede, infatti, la non obbligatorietà della registrazione del titolo di specializzazione, la possibilità di indicare il doppio titolo e, comunque, copre il dato al 65/70 per cento;
   esiste tutta una classe di medici nati negli anni ’40 del secolo scorso che sta andando in pensione: i pediatri perdono 507 professionisti (1.456 tra 2000 e 2012), i chirurghi e i cardiologi rispettivamente 359 e 355, gli igienisti 385, i ginecologi 309, ortopedici, esperti in malattie dell'apparato respiratorio e radiodiagnostici saranno 200 in meno –:
   se il Governo intenda promuovere la costituzione di una base dati completa e affidabile dei fabbisogni medici nell'ambito del Servizio sanitario nazionale;
   se il Governo intenda promuovere una regolamentazione in maniera rigida ed efficace del lavoro della Commissione regioni-Ministero dedicata;
   se il Governo, nella programmazione del fabbisogno sanitario, intenda tener conto della «gobba pensionistica» prevista per il prossimo decennio. (5-07713)


   MANCUSO, BARANI, DE LUCA e CICCIOLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i dati ISTAT indicano che il 75 per cento degli italiani consuma alcool (l'87 per cento degli uomini e il 63 per cento delle donne);
   il primo bicchiere viene consumato all'età di 11/12 anni;
   quella dei primi bevitori italiani è l'età più bassa dell'intera Unione europea (media UE 14,5 anni);
   sono oltre 3 milioni i bevitori a rischio e 1 milione gli alcolisti;
   il 7 per cento dei giovani dichiara di ubriacarsi almeno tre volte la settimana ed è in costante crescita il numero di adolescenti che consuma alcol fuori pasto (dal 15,5 per cento del 2001 al 18,8 per cento del 2011);
   i rischi legati all'abitudine di bere e le possibili conseguenze che ne derivano possono coinvolgere, oltre a chi beve, i colleghi di lavoro, la famiglia e altre persone;
   i rischi possono coinvolgere anche persone terze, come nel caso di incidenti stradali, sul lavoro, episodi violenti;
   ogni anno sono attribuibili, direttamente o indirettamente, al consumo di alcool il 10 per cento di tutte le malattie, il 10 per cento di tutti i tumori, il 63 per cento di tutte le cirrosi epatiche, il 41 per cento degli omicidi, il 45 per cento di tutti gli incidenti, il 9 per cento delle invalidità o delle malattie croniche;
   aumenta la quota di quanti adulti dichiarano di bere alcolici fuori pasto (dal 24,9 per cento del 2001 al 27,7 per cento del 2011);
   cambia il tipo di bevande consumate: diminuisce la quota di chi consuma solo vino e birra e rimane invariata quella di chi consuma anche aperitivi alcolici, amari e superalcolici –:
   se il Governo intenda promuovere una campagna informativa sui media a livello nazionale;
   se il Governo intenda promuovere una campagna informativa nelle scuole, al fine di informare i giovani sui rischi da alcolismo. (5-07714)


   MANCUSO, BARANI, DE LUCA e CICCIOLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i trapianti sono, senza dubbio, campo in cui la ricerca e lo sviluppo vanno finanziati e implementati;
   soprattutto in questo periodo di crisi congiunturale, la spesa pubblica, anche in campo medico sanitario, deve essere razionalizzata e gestita con criteri ispirati all'oculatezza;
   il sistema trapianti in Italia prevede che il coordinamento dell'attività di donazione, prelievo e trapianto sia articolato su quattro livelli: nazionale (Centro nazionale trapianti), regionale e interregionale (Centri regionali trapianto e Centri interregionali trapianto) e locale (asl e centri trapianto);
   un alto numero di centri trapianto sul territorio nazionale, però, non sono diretto sinonimo di efficienza;
   su 22 centri italiani, infatti, solo 7 eseguono più di 50 trapianti l'anno, ovvero la soglia che garantisce economicità e sicurezza, altri 7 superano solo il limite minimo per assicurare ai pazienti trapianti sicuri, mentre 8 non rispettano alcun parametro e, secondo le linee guida della Conferenza Stato-regioni, andrebbero chiusi;
   naturalmente, qualsiasi intervento deve tener conto delle dimensioni del centro e della platea di utenti, attuali e potenziali, nonché della vicinanza geografica ad altri centri trapianti –:
   se il Governo abbia contezza della numerosità dei centri trapianto sul territorio nazionale e della loro effettiva efficienza;
   se e in che modo il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di razionalizzare la spesa relativa, pur senza intaccare i centri di eccellenza.
(5-07715)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCHIRRU, MELIS, CALVISI, PES e MARROCU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dalla stampa recente, nella cittadina sarda di Ittiri in provincia di Sassari è stato scoperto un vero e proprio lager sanitario nel quale venivano «curati» decine di ammalati di Alzheimer;
   la struttura residenziale sanitaria era amministrata dalla Aion, Associazione italiana operativa neuropsichiatrica, Onlus fondata nel 2011 dai due neurologi sassaresi Giuseppe Dore e Marinella D'Onofri;
   la Aion, come emerso dalle indagini, traeva profitti da «fantomatiche» visite specialistiche e diverse prestazioni professionali, dalle generose donazioni dei familiari dei pazienti e dai ricavati della vendita delle pubblicazioni della società editrice Saturno. E, non ultimo, pare, dall'azienda sanitaria locale di Sassari che sembra abbia stipulato con Aion convenzioni e collaborazioni;
   in alcuni appartamenti della struttura, i carabinieri del comando provinciale di Sassari hanno registrato le torture dei pazienti, prima di procedere all'arresto di 15 persone per associazione a delinquere finalizzata alla truffa, maltrattamenti di disabili mentali, sequestro di persona e lesioni personali;
   i pazienti venivano trattati secondo una «nuova terapia», del tutto priva di alcuna validazione scientifica, che sarebbe stata impartita dai neuropsichiatri e applicata sui pazienti dai collaboratori più stretti (non abilitati alla pratica medica) e dai familiari stessi dei pazienti, convinti della validità ed efficacia della cura;
   come documentato da diverse immagini delle forze dell'ordine, gli ammalati erano sottoposti a vere e proprie torture psico-fisiche, privati del sonno e del pasto, percossi se incapaci, per via della grave malattia, di rispondere anche alle richieste più semplici. Un vero e proprio inferno che, tra il novembre 2011 e il gennaio 2012, ha portato due pazienti a dover ricorrere alle cure del locale pronto soccorso, per le gravi lesioni riportate. Nessuna denuncia tuttavia da parte dei parenti;
   appaiono di estrema gravità le notizie e il drammatico trattamento che i malati hanno dovuto sopportare –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali informazioni possa fornire in merito;
   quali iniziative normative, ove possibile, si intendano avviare per dare indirizzi precisi circa le forme di convenzioni o collaborazioni da parte delle aziende sanitarie locali e/o degli enti locali con le associazioni per la gestione dei servizi sociosanitari nel campo della disabilità e non autosufficienza, materia ancora lasciata in capo alle famiglie. (4-17342)


   BARBATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera di rilievo nazionale e di alta specialità «San Giuseppe Moscati» di Avellino viene costituita con decreto del Presidente della giunta della regione Campania n. 12257 del 22 dicembre 1994;
   ha un bacino di utenza di 500.000 abitanti e un numero di visitatori al giorno di circa 5.000 unità;
   oggi: «Città Ospedaliera» sorge su una superficie di 140mila metri quadrati. È costituita da un grande plesso ospedaliero di cinque piani, da una palazzina che ospita la sede legale-amministrativa e da un altro fabbricato, in via di ultimazione, che andrà ad ospitare l'attività libero professionale;
   i posti letto della città ospedaliera sono 570 (481 per la degenza ordinaria, 60 per il day hospital e 29 per il day surgery). Ventuno, invece, le sale operatorie, due le sale parto e quattro le sale travaglio. Le camere di degenza sono singole o doppie, con predisposizione per il collegamento a internet. L'area verde esterna occupa una superficie di 2500 metri quadrati. L'interno del plesso ospedaliero ha una forma a raggiera che si estende attorno a una grande piazza, coperta da una lente concava. Nella struttura si trova anche un polo didattico, con aule e segreterie, a disposizione degli allievi che frequentano le lauree triennali nelle professioni sanitarie, nonché un'aula magna con 250 posti a sedere;
   al suo nascere l'azienda ospedaliera «San Giuseppe Moscati» era distribuita in 4 plessi ospedalieri allocati in diversi punti del territorio urbano ed extraurbano: l'entrata in funzione di un primo blocco del plesso ospedaliero, nel 2005, con il trasferimento del dipartimento materno-infantile, fino ad allora ubicato nel cosiddetto ospedale «Capone» di via Ferriera; nel 2008, il passaggio a contrada Amoretta del plesso «San Giacomo» di Monteforte Irpino. Nello stesso anno, l'apertura al pubblico dell'unità operativa di radioterapia, sistemata al pianoterra della città ospedaliera. Nell'agosto del 2010, il trasloco del plesso «Maffucci» di via Pennini, cui ha fatto seguito, tre mesi dopo, quello del plesso di viale Italia;
   la chiusura del plesso di viale Italia ha segnato la fine dello «smembramento» dell'azienda «San Giuseppe Moscati» in quattro plessi, accorpati in una vera e propria cittadella della salute, inaugurata ufficialmente il 18 dicembre 2010; una struttura che è diventata strategica nel contesto politico regionale sanitario;
   tuttavia, su Avellino in pochi anni sono giunti numerosi finanziamenti, per riparare le strutture obsolete del Moscati di viale Italia e del plesso Maffucci, oltre alla struttura ospedaliera di Monteforte;
   negli ultimi due anni si è avuta una brusca accelerazione dei lavori per la costruzione della città ospedaliera, apertasi quando le imprese impegnate nei lavori di ristrutturazione degli altri siti stavano ancora procedendo nei lavori, per poi essere chiusi;
   i lavori eseguiti si conteggiano per milioni di euro e ora queste strutture sono chiuse da un anno;
   «l'ex ospedale Moscati è ritornato sotto i riflettori, in maniera negativa, a causa del forte degrado in cui versa. Eppure ci sarebbe una proposta per il recupero della struttura, quella formulata dal Gruppo Malzoni-Neuromed per ottenerne l'uso. Il dottor Raffaele Ianuale, Amministratore delegato del Gruppo Malzoni-Neuromed, ci ha spiegato lo stato in cui si trova la trattativa con l'Azienda Moscati. In un'intervista televisiva rilasciata qualche giorno fa, il Direttore Generale dell'Azienda Moscati, Giuseppe Rosato, ha dichiarato che l'offerta formulata dal Gruppo, non era buona (19 luglio 2012 – Corriere quotidiano dell'Irpinia)»;
   in meno di un decennio di anni il Moscati ha usufruito di una quantità indefinita di finanziamenti, che, ad avviso dell'interrogante, lasciano ombre e dubbi;
   l'11 giugno 2011 sei persone, tra medici, infermieri e dirigenti dell'ospedale «San Giuseppe Moscati di Avellino, sono state arrestate e altre 22 indagate per truffa ai danni dello Stato perché spacciavano interventi di chirurgia estetica per operazioni salvavita rimborsate dal servizio sanitario nazionale. Secondo la Guardia di Finanza, che indagava sulla truffa dal 2007, le persone coinvolte truccavano le cartelle cliniche dei pazienti»;
   se c'era una precisa volontà di edificare la città ospedaliera, si poteva rallentare allora la mole dei consistenti investimenti economici sugli altri plessi;
   è del 21 luglio 2012 che il destino dell'ex ospedale Moscati è ancora avvolto nel mistero, mentre le strutture sanitarie private lo guardano con interesse;
   l'esperienza insegna che spesso, dietro alla cosiddetta edilizia pubblica, si celano interessi privati –:
   di quali notizie disponga il Ministro, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, in merito alla somma complessiva dei fondi già destinati ed ancora da destinarsi negli ultimi dieci anni alle singole strutture sanitarie presenti sul territorio di Avellino ed in particolare quelli interessanti l'azienda ospedaliera «Moscati»;
   quali siano le somme disposte e il loro utilizzo nei singoli capitoli di spesa, gli stipendi e gli investimenti effettuati;
   per quale motivo, considerate le esigenze di razionalizzazione della spesa sanitaria, nonostante i cospicui fondi di cui l'interrogante ha notizia non si è potenziato il versante della prevenzione sul vasto territorio in cui interagisce con l'ASL AV2 o aumentata l'offerta dell'ospedalizzazione domiciliare tenuto conto che Avellino e provincia hanno un imponente numero di anziani affetti anche da patologie per le quali occorre un tipo di assistenza che non tutti si possono economicamente permettere;
   se non si disponga di un monitoraggio capillare sul territorio delle strutture di proprietà privata nella disponibilità della sanità pubblica per le quali si corrispondano a soggetti privati canoni mensili o annuali per l'uso degli immobili.
(4-17362)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   DELFINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è stato recentemente presentato un piano di riorganizzazione aziendale da parte di poste italiane, il quale prevedrebbe la chiusura di numerosi uffici postali;
   nonostante la disponibilità degli enti locali al confronto, l'azienda ha comunque deciso di procedere con gli interventi di razionalizzazione presenti nel piano;
   nella provincia di Cuneo è prevista la chiusura di 14 uffici postali, in quanto non garantirebbero condizioni di equilibrio economico;
   nello specifico, si tratta di uffici ubicati in zone montane, la cui permanenza, in larga parte, è di vitale importanza soprattutto per le persone anziane, impossibilitate a gravosi spostamenti;
   per scongiurare la definitiva chiusura degli sportelli, gli amministratori locali hanno proposto come soluzione alternativa la riduzione dell'orario di apertura degli uffici, affinché a prevalere non sia solo la logica del profitto bensì anche le ragioni della cittadinanza;
   la ferma presa di posizione di poste italiane, se non verrà modificata al termine della stagione estiva, comporterà pesanti ripercussioni sia in termini occupazionali sia sulla fruibilità del servizio da parte dei cittadini;
   la decisone appare lontana dagli obiettivi di garantire un servizio pubblico di pari opportunità per le zone interessate, nonché con risultati modesti di sviluppo e di valorizzazione aziendale;
   va, altresì, considerato che l'azienda poste italiane, anche per le misure di sostegno garantite dallo Stato, ha presentato significativi utili di bilancio negli ultimi esercizi;
   alla luce di quanto premesso, sarebbe utile che poste italiane promuovesse con urgenza una revisione, a livello provinciale, del predetto piano di riorganizzazione, come più volte richiesto dagli amministratori locali e dalle organizzazioni sindacali –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito al piano di ristrutturazione organizzativa portato avanti da poste italiane;
   quali iniziative intenda assumere ai fine di avviare un tavolo di confronto a livello provinciale tra poste italiane, le amministrazioni locali e le organizzazioni sindacali per pervenire all'individuazione di soluzioni più adeguate a garantire un efficiente servizio di pari opportunità per tutti i cittadini e per tutelare i livelli occupazionali dell'azienda nella provincia di Cuneo. (3-02439)

Interrogazioni a risposta scritta:


   STUCCHI e CONSIGLIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti hanno presentato molti atti di sindacato ispettivo, sulla questione inerente le sempre più numerose chiusure degli uffici postali nella provincia di Bergamo;
   continuano a giungere agli interroganti lamentele da parte dei cittadini e degli enti locali bergamaschi sulle disfunzioni relative al servizio erogato da Poste italiane;
   in particolare si legge dai media che gli uffici postali di Crespi d'Adda nel comune di Capriate San Gervasio, quello di Lizzola nel comune di Valbondione e la filiale postale di Colere sono le tre agenzie bergamasche, delle 1156 che fanno parte della lista recentemente resa nota da Poste Italiane, in cui si possono leggere le succursali a rischio chiusura –:
   quali soluzioni intenda adottare per invitare Poste italiane ad assumere le decisioni relative ad eventuali riorganizzazioni aziendali in accordo con le autorità e le amministrazioni locali, al fine di poter assicurare l'erogazione di un servizio puntuale ed efficiente ai cittadini bergamaschi. (4-17347)


   MESSINA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 27 agosto 2012 i nuovi impianti fotovoltaici saranno incentivati con le regole del 5o conto energia;
   questo nuovo regolamento è studiato in modo che i proventi derivanti dall'immissione in rete della sovrapproduzione dell'energia elettrica prodotta dagli impianti fotovoltaici finiscano tutti al GSE, 100 per cento di proprietà del Ministero dello sviluppo economico;
   le nuove regole prevedono inoltre una elevata diminuzione degli incentivi al fotovoltaico, così disposte a seguito di un allarme lanciato in primis dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che lamentava l'eccessiva ricaduta che gli incentivi avevano sugli aumenti delle bollette per i cittadini;
   con il 5o conto energia la voce relativa al fotovoltaico diminuirà di molto, in percentuale, il suo peso sulla componente A3 della bolletta dell'energia elettrica, quella appunto relativa agli oneri dovuti agli incentivi per le energie rinnovabili e assimilate e, quindi, ci si dovrebbe aspettare una diminuzione per il cittadino dell'importo della bolletta stessa;
   ciò che si teme invece è che, sebbene il settore del fotovoltaico sia stato penalizzato, i cittadini non trarranno da ciò vantaggio alcuno in quanto gli importi delle bollette subiranno comunque aumenti di gran lunga superiori ai risparmi di oneri e che, in pratica, i risparmi di oneri rimarranno solo appannaggio del Ministero dello sviluppo economico senza alcun beneficio reale per i cittadini –:
   come si intenda indirizzare i risparmi dovuti alla drastica diminuzione degli incentivi per il fotovoltaico e come si intenda utilizzare l'incameramento da parte del GSE dei proventi della sovrapproduzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica. (4-17355)


   ROSATO. —Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'area della zona industriale che si estende in corrispondenza del popoloso rione di Servola a Trieste, è sito uno stabilimento siderurgico noto come la «Ferriera di Servola», di proprietà della Lucchini Severstal spa, impegnato nella produzione di ghisa, coke metallurgico ed alti prodotti da altoforno;
   la nascita di questo complesso siderurgico risale al 24 novembre 1897 e, dopo innumerevoli vicende che si intrecciano con la storia della città e del Paese, è stato acquistato nel 1995 dal gruppo Lucchini, il quale poi a sua volta, circa 6 anni or sono, ha ceduto il 79,82 per cento della proprietà al colosso dell'acciaio Severstal;
   l'impianto, inserito nel sito di interesse nazionale, non svolge un ciclo produttivo completo, con la produzione dell'acciaio, e svolge la propria attività in regime di autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla regione Friuli Venezia Giulia;
   lo stabilimento – che occupa 500 lavoratori più un indotto occupazionale di altrettanti lavoratori – sta, da molto tempo, attraversando uno stato di incertezza a causa dei dubbi che avvolgono il destino della proprietà della Ferriera e della sofferta e lunga vicenda connessa all'impatto ambientale e salutare dell'altoforno;
   il ciclo produttivo dell'impianto, infatti, genera emissioni di polveri sottili e benzoapirene, oltre che di altri contaminanti;
   inoltre, il gruppo Lucchini Severstal subisce le difficoltà connesse all'attuale contingenza economica, cosicché l'azienda ha avvertito che non è garantita la prosecuzione nella produzione di ghisa e coke metallurgico anche dopo la fine del regime di CIP6, previsto per il 2015;
   si segnala che nel 2003, per ordine del tribunale di Trieste, la Ferriera fu posta sotto sequestro, con conseguente blocco delle attività dello stabilimento siderurgico, e la restituzione dell'impianto alla proprietà avvenne solo a seguito della firma di un accordo d'intesa tra il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Friuli Venezia Giulia e gli enti locali, contenente alcune azioni per il miglioramento delle condizioni ambientali dell'area industriale in previsione della dismissione dello stesso a fine dell'anno 2009;
   nel luglio 2008, il presidente della regione aveva espresso la volontà di prescrivere la chiusura dell'impianto entro il 2009 e la riconversione dell'area;
   si segnala inoltre, che il comune di Trieste ha chiesto alla regione Friuli Venezia Giulia la revisione dell'autorizzazione integrata ambientale, nel luglio del 2008 e, da ultimo, nel luglio del 2011; ma risulta all'interrogante che a tale richiesta non sia mai seguita la convocazione della conferenza di servizi e la procedura non è stata mai conclusa;
   nel settembre 2008 la Commissione ambiente della Camera dei deputati aveva approvato una risoluzione (8/00009), in cui si impegnava il Governo «a favorire, nel rispetto delle proprie competenze e fatte salve le prerogative della regione Friuli-Venezia Giulia in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati di cui al titolo V della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, la messa in atto di ogni più utile misura che si renda necessaria per conseguire, con il consenso della popolazione del rione di Servola, il rapido avvio della procedura di riconversione, cui seguirà l'eventuale chiusura della ferriera di Servola, allo scopo anche valutando l'opportunità di procedere ai sensi dell'articolo 252-bis del predetto decreto legislativo n. 152 del 2006, all'attuazione di un programma di riconversione, da adottare entro sessanta giorni, contenente interventi mirati allo sviluppo economico produttivo nel quale vengano previste anche soluzioni intermedie e di lungo periodo per i lavoratori che nella riconversione dovranno trovare adeguata ricollocazione»;
   negli anni che hanno seguito l'approvazione della suddetta risoluzione, regione Friuli Venezia Giulia e Governo non hanno portato a termine nessuno degli impegni che erano stati assunti, al punto che il consiglio comunale di Trieste all'unanimità, nel 2011, ha dovuto sollecitare Governo regionale e Governo nazionale alla rapida elaborazione di un accordo di programma;
   il 19 gennaio 2012, in occasione di un vertice presso la prefettura di Trieste, la dirigenza aziendale ha annunciato la riduzione dei livelli produttivi e, quindi, occupazionali asseritamente a causa di difficoltà di liquidità dovute alla scarsità di fondi a disposizione del gruppo industriale per ottemperare al piano di asseveramento di un debito omologato dal tribunale di Milano;
   ulteriore motivo di ridotta disponibilità liquida era dovuta al contenzioso in corso fra l'azienda e la proprietaria dell'adiacente centrale di cogenerazione che produce energia sfruttando i gas di risulta dell'impianto siderurgico, per un credito vantato da Lucchini Severstal di 46 milioni di euro;
   il 14 marzo 2012 è stato firmato, presso la regione Friuli Venezia Giulia, il protocollo d'intesa presso tra le rappresentanze sindacali unitarie dello stabilimento, le associazioni di categoria e le istituzioni locali, con il quale si è dato avvio alla procedura di riconversione dell'area industriale della Ferriera per la creazione di un contesto favorevole per l'attrazione di nuovi investimenti privati e si è provveduto alla stesura di un cronoprogramma dettagliato degli interventi concordati;
   il protocollo ha disposto che la segreteria tecnica dei tavoli locali fosse affidata alla regione Friuli Venezia Giulia per il tramite di un ufficio speciale appositamente costituito, che, risulta all'interrogante, non è stato ancora istituito;
   a seguito della firma del protocollo è stato avviato a livello nazionale anche un tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico; il 3 maggio sarebbe dovuto partire il tavolo politico locale, mentre il 10 maggio avrebbe dovuto insediarsi il tavolo tecnico tra parti sociali e istituzioni;
   secondo l'allegato al protocollo, le analisi del contesto sarebbero poi state presentate a un tavolo politico nazionale entro il 17 maggio 2012;
   perdura, dopo la firma del protocollo da parte delle istituzioni e delle organizzazioni sindacali, lo stato di incertezza circa il rispetto degli impegni e delle tempistiche concordate nel protocollo;
   infatti, risulta all'interrogante che questo protocollo non sia al momento rispettato e che le attività concordate non siano state avviate come promesso in sede di firma, e in particolare emerge che non sono state ancora presentate al tavolo nazionale le analisi del contesto;
   da notizie di stampa è emerso il contenuto della dichiarazione d'intenti «Prospettive della filiera siderurgica di Servola» alla quale il Ministero dello sviluppo economico ha lavorato e ora passerà al vaglio di regione Friuli Venezia Giulia, provincia di Trieste, comune di Trieste e delle organizzazioni sindacali;
   il documento ministeriale auspica che «si creino le condizioni per una prospettiva industriale siderurgica anche per lo stabilimento Lucchini di Trieste ambientalmente compatibile e socialmente sostenibile», e nel contempo tiene comunque aperta la porta a possibili soluzioni alternative quali «nuove attività industriali e logistiche» e prevede a tal fine che parti concordino sulla necessità di avviare uno o più tavoli con i Ministeri competenti per approfondire e risolvere le questioni ambientali, industriali ed energetiche e «verificare ulteriori eventuali opportunità di sviluppo industriali e logistiche» –:
   come il Governo intenda promuovere la creazione di prospettive industriali ambientalmente compatibili e socialmente sostenibili e se intenda impegnarsi a supportare finanziariamente il processo di riconversione industriale e ambientale;
   se ai Ministri risulti che siano state presentate al tavolo nazionale le analisi di contesto e se siano a conoscenza dello stato di attuazione del cronoprogramma firmato in sede di protocollo. (4-17369)

Modifica dell'ordine dei firmatari di una mozione.

  La mozione Montagnoli n. 1-01078, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 giugno 2012, con il consenso dei sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Montagnoli, Beccalossi, Fogliardi, Moroni, Borghesi, Bragantini, Negro, Martini, Saglia, Dal Moro, Ferrari, Gelmini, Federico Testa, Brancher, Alberto Giorgetti, Molgora, Corsini».

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: risoluzione in Commissione Di Biagio n. 7-00804 del 5 marzo 2012.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13090 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07620;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13091 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07621;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13095 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07622;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13098 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07623;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13100 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07624;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13101 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07625;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13108 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07626;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13116 del 7 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07627;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13119 del 7 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07628;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13157 del 12 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07629;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13158 del 12 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07630;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13159 del 12 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07631;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13160 del 12 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07632;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13161 del 12 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07633;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13162 del 12 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07634;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13231 del 19 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07635;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13309 del 26 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07636;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13310 del 26 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07637;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13311 del 26 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07638;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13312 del 26 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07639;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13313 del 26 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07640;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13314 del 26 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07641;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13315 del 26 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07642;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13346 del 27 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07643;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13421 del 3 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07644;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13422 del 3 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07645;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13426 del 3 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07646;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13430 del 3 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07647;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13432 del 3 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07648;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13433 del 3 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07649;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13434 del 3 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07650;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13514 del 10 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07651;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13515 del 10 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07652;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13516 del 10 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07653;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13517 del 10 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07654;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13518 del 10 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07655;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13519 del 10 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07656;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13520 del 10 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07657;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13582 del 13 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07658;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13592 del 13 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07659;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13688 del 24 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07660;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13691 del 25 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07661;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13692 del 25 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07662;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13693 del 25 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07663;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13696 del 25 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07664;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13697 del 25 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07665;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13698 del 25 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07666;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13701 del 25 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07667;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13708 del 25 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07668;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13770 del 3 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07669;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13771 del 3 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07670;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13772 del 3 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07671;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13774 del 3 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07672;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13789 del 3 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07673;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13790 del 3 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07674;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13854 del 9 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07675;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13871 del 12 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07676;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13915 del 17 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07677;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13916 del 17 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07678;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13919 del 17 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07679;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13920 del 17 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07680;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13921 del 17 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07681;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13930 del 17 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07682;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13931 del 17 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07683;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13973 del 22 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07684;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13974 del 22 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07685;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13975 del 22 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07686;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-13976 del 22 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07687;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14151 del 6 dicembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07688;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14152 del 6 dicembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07689;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14153 del 6 dicembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07690;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14154 del 6 dicembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07691;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14155 del 6 dicembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07692;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14251 del 15 dicembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07693;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14271 del 20 dicembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07694;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14272 del 20 dicembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07695;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14277 del 20 dicembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07696;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14279 del 20 dicembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07697;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16809 del 3 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07698;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16823 del 3 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07699;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16833 del 3 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07700;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16856 del 4 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07701;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16857 del 4 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07702;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16858 del 4 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07703;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16859 del 4 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07704;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16897 del 9 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07705;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16902 del 9 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07706;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16904 del 9 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07707;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16907 del 9 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07708;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-16908 del 9 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07709.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   parlare con i propri figli dell'utilizzo del computer. Esplorare il web legale. Controllare il PC e la propria connessione wireless. Sono questi i tre consigli offerti a tutti i genitori italiani da Childnet, organizzazione internazionale per la tutela dei minori e la promozione di quello che viene definito un corretto utilizzo della rete;
   Musica, Film, TV e Internet è la nuova «guida per genitori e insegnanti», recentemente presentata nel corso di una conferenza stampa; un'occasione per promuovere «una serie di iniziative atte a sensibilizzare le scuole, le famiglie e i ragazzi, ad un corretto e legale utilizzo della musica digitale»;
   una guida per «restare connessi restando nella legalità», che ha approfittato del momento per annunciare un nuovo sito descritto come unica risorsa per la musica online legittima. Proprio su pro-music.it è possibile ottenere una lista aggiornata di siti legali dove scaricare o guardare in streaming i più svariati contenuti audiovisivi;
   si danno consigli per utilizzare il web in «maniera sicura e responsabile», in modo da non incappare nelle sanzioni previste per la condivisione illecita dei contenuti. «Ci sono possibili conseguenze penali e civili – si può leggere nella guida – la condivisione e il download non autorizzati possono condurre ad azioni legali e al pagamento dei danni e delle spese»;
   stando alle informazioni offerte da Childnet nella guida, chi scarica materiale non autorizzato potrebbe incorrere in una sanzione pari a 154 euro. «Nel caso di condivisione di materiale si rischia una sanzione penale e sanzioni amministrative per decine o centinaia di migliaia di euro»;
   agli ammonimenti hanno fatto seguito i consigli, alla luce delle iniziative di sensibilizzazione annunciate in conferenza stampa. Gli insegnanti dovrebbero discutere con i propri studenti, cercando di capire che valore assegnino al diritto d'autore;
   «Sapete come i vostri figli utilizzano il PC per accedere ai contenuti multimediali ? – si legge ancora nella guida (sezione genitori) – Invitateli ad utilizzare siti legali in maniera tale che tutti coloro che producono musica, cinema e televisione vengano ricompensati per il loro lavoro»;
   quanto contenuto nella guida consentirebbe non solo comportamenti consapevoli e conformi alla legge, ma, ove questa fosse ritenuta ingiusta, inutile o dannosa, sarebbe possibile organizzarsi politicamente al fine di pervenire ad una modifica normativa del diritto d'autore maggiormente in sintonia con le mutate condizioni culturali, tecnologiche, sociali, che la tecnologia offre. È necessario garantire la massima conoscenza del reale ordinamento giuridico vigente, non solo al fine di stimolarne naturalmente il rispetto, ma anche per stimolare una maggiore partecipazione attiva della cittadinanza al «gioco» democratico, che è fatto di cambiamento e progresso –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e, nell'eventualità positiva, se non ritenga necessario favorire la divulgazione nel più ampio modo possibile dei contenuti della guida, al fine di evitare che comportamenti percepiti come leciti dalla cittadinanza, soprattutto quella composta dai cittadini di più giovane età, possano essere svelati per la loro reale natura, ovvero come illeciti. (4-12274)

  Risposta. — Il Ministero dello sviluppo economico è ben a conoscenza dell'esistenza di «Childnet», organizzazione internazionale per la tutela dei minori e la promozione di un corretto utilizzo della rete. I contenuti, inseriti nel sito web della Onlus, reperibile all'indirizzo http://www.childnet-int.org, nella sezione «musica, film, TV e internet» rappresentano una guida offerta a genitori e ad insegnanti per favorire la conoscenza e la diffusione tra i giovani ed i minori di un uso corretto e legale della rete, con particolare riguardo all'utilizzo della musica digitale. Tali contenuti sono stati promossi in Italia nell'ambito di iniziative da parte di alcune amministrazioni locali, come l'amministrazione provinciale di Milano.
  La versione in lingua italiana della guida «musica, film, TV e internet» è stata promossa a livello internazionale dalla «Federazione internazionale dell'industria fonografica (IFPI), comprendente i principali produttori di musica spagnola (Promusicae) e sostenuta dalla società generale degli autori ed editori (SGAE) e dalla Federazione per la protezione della proprietà intellettuale (FAP).
  In un breve documento, si spiega l'importanza della protezione delle creazioni culturali e quali siano i principali pericoli connessi all'uso di reti di condivisione e al download diretto (ad esempio virus, pornografia, immagini violente, violazione di norme in materia di sicurezza e di privacy), nonché le conseguenze e le sanzioni nel caso in cui vengano utilizzati download non autorizzati.
  Alcuni di tali contenuti sono già presenti sul sito della polizia di Stato, nella sezione «polizia postale e delle comunicazioni» in cui è possibile consultare anche un manuale diretto ai genitori (sicurezza in rete: consigli per i genitori), dove sono raccolti preziosi suggerimenti e puntuali informazioni per guidare gli adolescenti nella navigazione internet ed evitare ogni genere di rischi.
  È condivisibile, quindi, l'opinione che i consigli divulgati dall'organizzazione Childnet, per un corretto utilizzo della rete, vengano segnalati e consigliati da siti istituzionali.
  Sicuramente una significativa azione di informazione indirizzata soprattutto alle fasce particolarmente sensibili, ovvero i giovani e i minori, volta a chiarire i confini del diritto d'autore concernenti uno specifico prodotto digitale e a renderli più consapevoli dei costi sociali della pirateria (in termini di deterioramento della qualità oppure di capacità innovativa del settore) può costituire un valido disincentivo alla violazione del copyright.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   CONTENTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da tempo sull'intero territorio nazionale si susseguono proteste e polemiche a causa delle continue interruzioni della linea interna che collega gli uffici postali periferici ai centri di raccolta dati;
   i disguidi vanno dalla temporanea quanto improvvisa interruzioni o carenza del segnale ad autentici blocchi del sistema, con ovvie ripercussioni negative per l'utenza di Poste Italiane e di Banco Posta;
   da notizie di stampa, nella giornata di lunedì 16 aprile 2012 l'intero comparto collegato all'azienda postale (corrispondenza ed operazioni bancarie) ha subito una sospensione delle attività per disservizi tecnici perdurata per varie ore –:
   da cosa dipenda la situazione evocata in premessa e quali iniziative di competenza abbia già intrapreso o intenda attivare al più presto per scongiurare il rischio che simili episodi abbiano ancora a verificarsi. (4-15746)

  Risposta. — In via preliminare si fa presente che il sistema di sportello cosiddetto SDP (Service delivery platform) utilizzato dalla società poste italiane, rappresenta uno dei principali canali di accesso ai servizi, su cui sono configurate più di 50.000 postazioni di lavoro presenti in tutti gli uffici postali distribuiti sul territorio nazionale. Ogni giorno vengono elaborate in media oltre 9 milioni di operazioni, con punte che hanno raggiunto circa 28.000 operazioni al minuto nelle ore di maggior traffico.
  L'attuale sistema Service delivery platform è il risultato di un progetto che trae le sue origini dall'esigenza di incrementare il controllo e la sicurezza dei dati, migliorando l'efficacia ed efficienza dei processi operativi presso gli uffici postali. Il progetto è parte dell'importante piano di innovazione tecnologica che la società ha attuato negli ultimi anni. La complessità, in termini di dimensioni, servizi e integrazione ha richiesto il diretto supporto dei laboratori di due importanti società di informatica, IBM e HP (facenti parte del raggruppamento di imprese che ha realizzato il sistema).
  Ciò posto, per quanto riguarda i disservizi segnalati nell'interrogazione in esame ed in particolare quelli registrati il giorno 16 aprile 2012, la società Poste italiane ha precisato che a partire dalle ore 9.00 il sistema di sportello ha evidenziato rallentamenti nell'operatività e blocchi temporanei che hanno interessato l'intero territorio nazionale. A seguito di interventi correttivi, eseguiti in raccordo con i laboratori informatici, è stata assicurata la ripresa del servizio selettiva e progressiva su base geografica che si è completata alle ore 14,30. Nelle giornate successive il servizio è stato erogato regolarmente.
  La società ha comunicato che nel giorno interessato dal disagio sono state comunque realizzate circa 5,9 milioni di operazioni tra cui sono stati trattati circa 731.000 bollettini, pagate 36.000 pensioni, eseguite 149.000 operazioni sui libretti, accettati 255.000 plichi di corrispondenza.
  La società ha evidenziato, inoltre, che attualmente sono in corso azioni di ulteriore ottimizzazione del sistema, che rientrano nel piano di «fine tuning» (messa a punto) di una piattaforma unica e dinamica. Ciò al fine di consentire un miglioramento dei processi operativi presso gli uffici postali.
  La stessa ha, infine, assicurato che, come già accaduto in passato, in caso di opportuni interventi correttivi tecnici ed operativi del sistema, disporrà il prolungamento dell'orario di apertura al pubblico degli uffici, fino ad esaurimento dei clienti in attesa.
  Il Ministero dello sviluppo economico, ha già segnalato all'Agcom, autorità a cui il decreto legge n. 201 del 2011 ha attribuito le funzioni di vigilanza nel settore postale, la necessità di raggiungere a breve la piena operatività dei controlli al fine di verificare l'effettiva funzionalità degli uffici postali.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   EVANGELISTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel «processo verbale di constatazione», redatto dall'Agenzia delle entrate nel luglio 2010, è stata contestata all'azienda Sigma Tau una presunta evasione fiscale attraverso una procedura chiamata «transfer pricing»;
   la procedura sospetta del «transfer pricing» consiste in un trasferimento illecito di valore da una società del gruppo a una consociata estera che pagherà le tasse al posto della prima. Ma se la consociata estera è collocata in un paradiso fiscale il guadagno è notevole;
   la Sigma Tau è il secondo operatore farmaceutico in Italia e ha consociate in Francia, Svizzera, Olanda, Portogallo, Spagna, Germania, Regno Unito, India, Stati Uniti e Sudan;
   secondo quanto trapela dalla citata relazione di 117 pagine fatta dall'Agenzia delle entrate, il trasferimento di valore sarebbe stato fatto a favore della Defiante, consociata portoghese della Sigma Tau, con sede a Madeira, paradiso fiscale di molti imprenditori nostrani; inoltre, gli ispettori del fisco contesterebbero alla Sigma Tau una procedura di evasione fiscale non solo particolarmente sofisticata, per quanto comunemente diffusa, ma tale da pregiudicare i bilanci del gruppo e giustificare, così, la cassa integrazione di 570 lavoratori;
   per la Defiante, la Sigma Tau avrebbe svolto anche l'attività di produzione e rivendita di prodotti (il Bentelan o il Betnesol per esempio) assumendosi costi e rischi che avrebbero dovuto essere adeguatamente compensati. Gli ispettori si sono chiesti se «le determinazioni dei prezzi di trasferimento siano conformi alla normativa in materia di transfer pricing» stabilite dalla legge. La risposta è stata negativa perché secondo i verbalizzanti «la Sigma Tau avrebbe erroneamente quantificato (...) i componenti di reddito derivante dalle transazioni intercorse con diverse società appartenenti al medesimo Gruppo». Facendo un confronto con società comparabili si è scoperto, per esempio, che mentre il livello medio di profittabilità dell'attività in questione è del 6,6 per cento, la Sigma Tau nel 2007 subisce una perdita del 16,1 per cento. «I prezzi di vendita applicati alla Defiante non permetterebbero di far fronte ai rilevanti costi di produzione» in contro tendenza rispetto ai risultati ottenuti con le altre consociate;
   dall'articolo de il Fatto Quotidiano del 19 febbraio 2012 e dalla trasmissione televisiva Presadiretta in onda lo stesso giorno, si evidenzia che: «facendo i raffronti con società analoghe e comparabili gli ispettori hanno quantificato in 11,55 milioni di euro i minori ricavi che la Sigma Tau ha contabilizzato in Italia evadendoli al fisco. I minori ricavi del 2007 sono già la metà delle denunciate da Sigma Tau nel 2010 pari a 20 milioni di euro. Defiante, inoltre, come mostrano gli approfondimenti fatti da Presadiretta, moltiplica tra il 2000 e il 2010 il suo patrimonio netto portandolo da 31 a 310 milioni di euro. Nello stesso periodo il patrimonio dell'azienda italiana, passa da 123 a 34 milioni di euro. Solo che a Madeira, sede della Defiante, praticamente non si pagano le tasse e solo recentemente sono state introdotte aliquote dell'1, 2 e 3 per cento. L'Iva è al 13 per cento, la più bassa d'Europa. In Italia, invece, Sigma Tau ha avviato una ristrutturazione pesante con la cassa integrazione e il ridimensionamento del centro di ricerca»;
   dai media sopra citati si evince ancora che: «a Madeira, sede della Defiante, praticamente non si pagano le tasse e solo recentemente sono state introdotte aliquote dell'1, 2 e 3 per cento. L'Iva, invece, è al 13 per cento, la più bassa d'Europa. In Italia, invece, Sigma Tau ha avviato una ristrutturazione pesante con la cassa integrazione e il ridimensionamento del centro di ricerca...risulta sia stata Banca Intesa, infatti a finanziare, con 300 milioni di euro, l'acquisto dalle attività statunitensi legate alle malattie rare della Enzon, acquisto che ai lavoratori è sembrato l'avvio di uno spostamento all'estero (negato decisamente dall'azienda). Banca Intesa possiede poi il 5 per cento di Sigma Tau Finanziaria Spa. –:
   quali iniziative intenda intraprendere volte a garantire un futuro all'azienda e ai lavoratori;
   quali chiarimenti intenda fornire soprattutto in riferimento a quanto riportato nel corso del servizio giornalistico citato in premessa. (4-15553)

  Risposta. — L'interrogante chiede di conoscere le iniziative che il Governo intende adottare sulla vicenda Sigma Tau, azienda farmaceutica multinazionale interessata da processi di riorganizzazione che coinvolgono gli stabilimenti italiani di Milano, Pomezia e Caserta, con particolare riferimento alle vicende societarie connesse a presunte illegalità fiscali (pratiche di cosiddetto «transfer pricing»), che interesserebbero la società e per le quali è in corso un'indagine da parte dell'agenzia delle entrate.
  Al riguardo, in relazione agli aspetti di specifica competenza inerenti la situazione aziendale, il Ministero dello sviluppo economico rappresenta quanto segue.
  In data 2 marzo 2012 è stata sottoposta all'approvazione dell'assemblea dei lavoratori l'ipotesi di accordo siglata in data 22 febbraio 2012 presso unindustria Roma tra organizzazioni sindacali, RSU ed Azienda; il referendum tra i lavoratori, nella medesima data ha portato alla ratifica della citata ipotesi di accordo nell'ambito del quale l'azienda si è impegnata, nel rispetto del mantenimento dei normali livelli di efficienza ed in coerenza con il modello organizzativo aziendale, ad introdurre un criterio di rotazione nella cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS); nel medesimo accordo è prevista altresì la mobilità incentivata i cui contenuti economici saranno preliminarmente discussi con le organizzazioni sindacali.
  In caso di assunzioni, l'azienda si è inoltre impegnata a riassumere in via prioritaria i dipendenti in Cassa integrazione guadagni straordinaria o in mobilità.
  Si segnala infine che a partire dal mese di ottobre 2012 le organizzazioni sindacali ed azienda si incontreranno per una verifica del piano di risanamento nonché per la presentazione di un nuovo piano industriale.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   GIANNI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Noto da molto tempo i residenti di piazza Bolivar e dintorni protestano perché non riescono a ricevere la corrispondenza;
   le difficoltà nel servizio di distribuzione della posta si presentano in particolare nel periodo estivo in relazione alla riduzione del personale a causa delle ferie in questo modo il servizio già carente di fatto si annulla;
   all'ufficio postale di zona viene detto ai cittadini di telefonare ad un numero al quale non risponde mai nessuno;
   appare evidente che si debba dare una risposta efficace ed efficiente ai cittadini del comune di Noto che comprensibilmente sono preoccupati dei rischi che si corrono con la consegna in forte ritardo dei bollettini e degli avvisi di pagamento, addirittura molti insegnanti ad esami quasi completati non hanno mai ricevuto le nomine alle varie commissione di esame;
   è, altresì, condivisibile la domanda che molti cittadini si fanno sul chi paga i disservizi relativa alla distribuzione della corrispondenza –:
   quali iniziative intenda intraprendere affinché nel comune di Noto si svolga un servizio di distribuzione della corrispondenza efficiente ed efficace;
   se non ritenga che l'onere derivante ai cittadini dal ritardato pagamento di bollettini e degli avvisi di pagamento relativi a more ed interessi non debba essere messo a carico dell'Ente Poste Spa e rimborsato dallo stesso ai cittadini.
(4-12802)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si fa presente quanto segue.
  La problematica sollevata dall'interrogante riguarda le difficoltà riscontrate nel comune di Noto, relative al servizio di distribuzione della posta, in particolare nel periodo estivo.
  In particolare, si fa presente che poste italiane, fornitore designato del servizio universale, con nota inviata in data 5 dicembre 2011, ha comunicato che, durante lo scorso periodo estivo, il portalettere titolare della zona, nella quale rientra anche Piazza Bolivar, citata nell'atto in esame, è stato assente dal 24 giugno al 1o agosto a causa di un infortunio e, dal 2 al 12 agosto, per usufruire delle ferie già programmate.
  Poste italiane ha evidenziato che, in questo arco di tempo, durante il quale lo svolgimento del servizio è stato assicurato applicando gli ordinari strumenti gestionali, quali il ricorso al personale di scorta e/o ai portalettere delle zone confinanti (cosiddetto abbinamento di zone), si sono effettivamente registrati sporadici rallentamenti, maggiormente avvertiti in concomitanza dei periodi di ferie delle maestranze.
  La società ha tuttavia assicurato che a partire dal 16 agosto, con la ripresa dell'attività da parte del portalettere titolare, il servizio ha ripreso la consueta regolarità ed ha precisato che i controlli appositamente condotti hanno confermato che il numero telefonico al quale si fa riferimento nell'atto in esame, corrispondente al centro di distribuzione di Avola, risulta normalmente presidiato da personale qualificato che, durante l'orario di apertura del centro, fornisce riscontro alle richieste di informazioni della clientela.
  Per quanto concerne poi il lamentato ritardo nel recapito di telegrammi, dei bollettini e degli avvisi di pagamento, di cui si fa cenno nell'atto in esame, poste italiane ha comunicato che l'assenza di precise indicazioni temporali e/o territoriali impedisce lo svolgimento di specifiche verifiche al riguardo ma che, in ogni caso, da parte dei responsabili territoriali dell'azienda, fin dal mese di settembre 2011, è stato avviato un attento monitoraggio su tutto il territorio provinciale, che coinvolge sia l'attività svolta presso i centri di meccanizzazione postale che presso gli uffici di recapito, finalizzato alla individuazione ed alla prevenzione di eventuali ulteriori cause di possibili ritardi.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   MICCICHÈ, MISITI, FALLICA, PITTELLI, GRIMALDI, TERRANOVA, BUONFIGLIO, RONCHI, SCALIA, URSO, IAPICCA, PUGLIESE, SOGLIA e STAGNO d'ALCONTRES. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la decisione unilaterale di Italcementi di chiudere i due stabilimenti di Porto Empedocle e Vibo Valentia determinerà la cessazione della produzione nonché la mobilità di 176 lavoratori, inoltre, considerando anche l'indotto si calcolano diverse centinaia di lavoratori a rischio;
   il provvedimento assunto da Italcementi andrebbe a infierire su due realtà particolarmente difficili dell'Italia meridionale, territori già duramente colpiti dalla crisi economica e con livelli di disoccupazione e di povertà molto alti;
   nonostante il calo della domanda di cemento, non è secondo gli interroganti giustificabile la scelta del gruppo di chiudere i due impianti storici da sempre punte avanzate delle attività produttive e industriali, mettendo in ginocchio l'economia delle due province e sacrificando operai che hanno sempre dimostrato alta professionalità e attaccamento all'azienda;
   occorre valorizzare le competenze esistenti, salvaguardando i posti di lavoro e individuando una strategia capace di fronteggiare e risolvere la difficile crisi del settore –:
   se il Governo intenda intervenire urgentemente affinché sia bloccata la chiusura degli stabilimenti Italcementi di Porto Empedocle e Vibo Valentia;
   se il Governo ritenga di organizzare un incontro immediato presso la Presidenza del Consiglio, con la convocazione delle parti interessate, affinché Italcementi ritorni sui suoi passi ristrutturando l'azienda e conservando l'occupazione in Calabria e Sicilia, due regioni già gravemente colpite dalla crisi economica e con livelli di disoccupazione e di povertà molto alti. (4-16553)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si fa presente quanto segue.
  Gli interroganti chiedono di sapere se il Governo intenda intervenire urgentemente affinché sia bloccata la chiusura degli stabilimenti Italcementi di Porto Empedocle e Vibo Valentia e se il Governo ritenga di organizzare un incontro immediato presso la Presidenza del Consiglio, con la convocazione delle parti interessate, affinché Italcementi ritorni sui suoi passi ristrutturando l'azienda e conservando l'occupazione in Calabria e Sicilia.
  Al riguardo si rappresenta che la produzione di cemento in Italia nel 2011 è stata di circa 33 milioni di tonnellate, confermando la posizione di primo produttore nell'area dell'Unione europea 27. La dinamica del mercato tuttavia evidenzia una situazione di difficoltà, con una diminuzione dei consumi interni del 29 per cento negli ultimi 4 anni e un eccesso di capacità produttiva installata stimata dall'associazione di categoria (AITEC) pari ai volumi prodotti da 12-15 cementerie a ciclo completo. Anche i dati congiunturali più recenti (gennaio-aprile 2012) mostrano una contrazione sia della produzione che dei consumi di circa il 25 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
  Fatta questa premessa, in relazione alla crisi della società Italcementi si evidenzia che, lo scorso 20 giugno, presso questa Amministrazione si è tenuta una riunione per discutere della Società Italcementi, alla presenza dell'Azienda, delle organizzazioni sindacali e delle istituzioni locali (Regione Calabria e Sicilia, provincia di Agrigento, provincia di Catanzaro) in cui insistono i siti produttivi per cui la Italcementi, nell'ambito del suo piano di ristrutturazione, ha avviato il ricorso agli strumenti di CIGS (Cassa integrazione guadagni straordinaria) per cessazione (Porto Empedocle e Vibo Marina).
  Durante la riunione l'azienda ha espresso i principali punti di criticità registrati nel settore negli ultimi anni, la riduzione della domanda, l'aumento delle importazioni e una sovraccapacità produttiva in continuo aumento, impongono alla stessa una riorganizzazione della propria presenza produttiva e per queste ragioni si è deciso, oltre alle misure già citate dagli interroganti, di chiudere i due siti produttivi.
  Il Ministero, anche alla luce di quanto dichiarato dalle istituzioni presenti, circa la volontà di porre in essere misure di carattere infrastrutturale al fine di rendere competitivi i due stabilimenti, ha confermato che continuerà a monitorare la situazione e a fornire il proprio contributo per cercare soluzioni di natura industriale che tutelino l'occupazione nelle due aree coinvolte.
  Il Ministro dello sviluppo economico ha quindi invitato l'azienda e le organizzazioni sindacali a trovare nelle sedi opportune, quindi alla Presidenza del Consiglio dei ministri, una soluzione per tutelare i lavoratori, a valle di tale confronto le parti verranno riconvocate per avviare la discussione di merito sul futuro produttivo dei due insediamenti anche con l'importante contributo offerto dalle istituzioni locali, dichiarando la piena disponibilità a partecipare ad un eventuale tavolo di confronto.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   VERINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 marzo 2012, Poste italiane ha comunicato all'amministrazione comunale di Castiglione del Lago la decisione di voler procedere alla chiusura dell'ufficio postale di Porto;
   la chiusura dell'ufficio postale è stata notificata con il preavviso di una sola settimana e senza garantire la necessaria informazione all'utenza;
   tale decisione, se venisse confermata, creerebbe enormi disagi alla comunità di questa frazione che si vedrebbe privata di un servizio essenziale;
   Porto è la frazione più distante dal Capoluogo ed è lontana da altri servizi analoghi, non ha a disposizione servizi pubblici di trasporto, ed è abitata da numerosi anziani;
   la località di cui sopra è interessata da progetti di rilancio e rivitalizzazione che potrebbero innescare processi produttivi di rilancio della vita sociale ed economica di questo territorio;
   in tale prospettiva, quindi, la presenza di un ufficio postale diverrebbe fondamentale;
   il Consiglio comunale di Castiglione del Lago in data 22 marzo 2012 ha approvato un ordine del giorno con il quale si chiede a Poste italiane di «soprassedere a tale decisione e di garantire il regolare funzionamento del servizio come effettuato ad oggi; quanto meno di posticipare tale decisione a fine anno per consentire ai cittadini ed alle istituzioni locali di confrontarsi in maniera approfondita e di valutare unitamente a Poste Italiane eventuali soluzioni per garantire la comunità del servizio stesso» –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire, per quanto di sua competenza, affinché Poste italiane sospenda la decisione di chiudere l'ufficio postale di Porto al fine di consentire il necessario confronto tra la società, il comune e i cittadini. (4-15581)

  Risposta. — Si risponde all'atto in esame sulla base delle informazioni fornite dalla società poste italiane.
  Nel comune di Castiglione del Lago sono presenti sette uffici postali, tutti attivi in modalità di turno unico.
  L'ufficio «Castiglione del Lago» è dotato di quattro sportelli, gli uffici «San Futacchio», «Macchie» e «Pozzuolo» mettono a disposizione della clientela due sportelli, gli uffici «Villastada Umbra», «Petrignano del Lago» e «Gioiella» dispongono di uno sportello ciascuno.
  Con riferimento all'ufficio postale «Porto», la società ha precisato che lo stesso è stato definitivamente chiuso con provvedimento inserito nel «Piano chiusure 2011» trasmesso al Ministero dello sviluppo economico, a causa dei ridotti flussi di traffico che, già in passato, avevano determinato la riduzione dei giorni di apertura. L'iniziativa della chiusura è stata anticipata, in via informale, al sindaco del comune di Castiglione del Lago e poi confermata mediante comunicazione scritta, mentre la clientela è stata avvertita attraverso l'affissione di appositi avvisi.
  La società ha assicurato, comunque, che le esigenze di servizio pubblico cui provvedeva l'ufficio «Porto» vengono soddisfatte senza difficoltà dal limitrofo ufficio «Gioiella».
  Il Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito delle proprie competenze, tenuto conto che le funzioni di regolazione e vigilanza del servizio postale sono state trasferite all'Agcom con il decreto legge del 6 dicembre 2011, n. 201, non mancherà, comunque, di svolgere un'azione di sensibilizzazione nei confronti della concessionaria poste italiane, al fine di garantire che nel territorio in esame sia assicurato un servizio in linea con i vigenti standard di qualità.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.