XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 26 luglio 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La VII Commissione,
   premesso che:
    i terreni e gli immobili di Cinecittà, complesso di teatri di posa di eccellenza e rilievo internazionale, sono di proprietà di Cinecittà Luce Spa;
    con la privatizzazione risalente al 1997 è stata costituita la Cinecittà Servizi spa divenuta successivamente Cinecittà Studios spa i cui soci sono: Luigi Abete, Diego e Andrea della Valle, Aurelio De Laurentis e la famiglia Haggiag, di cui il 20 per cento del pacchetto azionario è detenuto dallo Stato;
    nell'anno 2008 è avvenuta la scissione da Cinecittà Studios dell'area post-produzione con la nascita di Cinecittà Digital Factory S.r.l. di cui l'85 per cento del capitale appartiene a Cinecittà Studios, mentre il restante 15 per cento appartiene a Medusa;
    nell'anno 2010 è stato presentato un piano immobiliare su un'area di 7 ettari, mentre degli investimenti in Cinecittà Studios annunciati in precedenza non si hanno più notizie, nonostante l'utile conseguito di oltre 7 milioni di euro;
    il piano immobiliare prevede un albergo con 200 stanze, parcheggi, piscina, centro fitness, palestra di 6.000 metri quadri;
    nell'anno 2012 Cinecittà Studios ha presentato un piano di scissione societaria, con cessioni di ramo d'azienda e relativo trasferimento di tutti i lavoratori dell'area produzione, confermando il piano immobiliare di 400.000 mila metri cubi di cemento;
    la grave incertezza occupazionale per i lavoratori coinvolti nei progetti aziendali ed in accordi interaziendali; infatti, oltre al progetto della costruzione di un albergo all'interno di Cinecittà, secondo i lavoratori, ce ne sarebbe un altro, «una seconda parte», secondo il quale tutta la post-produzione, 90 dipendenti, affittati a Deluxe; 50 unità trasferite sulla Pontina; 6 lavoratori ceduti a Panalight; 45 in attesa di giudizio nel sito storico e 20 dipendenti licenziati;
    il 5 giugno 2012 dalle segreterie regionali di CGIL, CISL e UIL di Roma e del Lazio, hanno avanzato la richiesta di incontro urgente al sindaco di Roma in merito al progetto industriale più volte verbalmente annunciato dal presidente del gruppo I.E.G. dottor Luigi Abete, riguardante il sito e le attività riconducibili alla società Cinecittà Studios Spa ed alle sue controllate, che implicano notevoli ricadute sociali;
    il piano industriale presentato assume secondo i firmatari del presente atto di indirizzo le caratteristiche della rinuncia alla vocazione produttiva, per identificarne una legata alla rendita immobiliare; inoltre risultano ineludibili la riduzione del lavoro e delle attività, la tendenziale privatizzazione e la presumibile speculazione edilizia sui terreni, tenendo conto che il «piano casa» del Lazio consente la trasformazione in residenziale delle aree produttive dismesse;
    desta ulteriori preoccupazioni il decreto sulla vendita del patrimonio immobiliare pubblico presentato pochi giorni fa dal Governo, infatti sembra che in tale decreto, la società madre che ha il portafoglio di Cinecittà e Istituto luce, la Fintecna venga dismessa;
    il 21 giugno 2012 i lavoratori di Cinecittà hanno protestato con una grande manifestazione, organizzata da Sic Cgil di Roma e de Lazio, Fistel Cisl di Roma e del Lazio e Uilcom Uil di Roma e del Lazio;
    in seguito i lavoratori delle aziende Cinecittà Studios e Cinecittà Digital Studios hanno iniziato l'occupazione di parte della storica area per la produzione cinematografica e fatto uno sciopero di 5 giorni. Inoltre una cinquantina di addetti hanno trascorso notti intere arrampicati sulla pensilina che sovrasta l'ingresso principale;
    è divenuto ormai improrogabile per l'insieme delle istituzioni pubbliche l'investimento di risorse per rilanciare l'industria cinematografica nel nostro Paese, investita da un declino derivante da scelte politiche penalizzanti per l'intero settore, con conseguenze nefaste per l'occupazione e risvolti negativi sul piano socio-culturale;
    Cinecittà rappresenta un patrimonio cinematografico, storico, culturale e finanche economico da preservare,

impegna il Governo:

   a prendere urgenti provvedimenti, nelle sedi opportune, affinché sia evitato lo smembramento di Cinecittà e la cementificazione che ne seguirebbe, secondo il piano presentato dalla holding Ieg;
   ad intervenire al fine di garantire il mantenimento della destinazione d'uso originale di Cinecittà studios, valutando anche la possibilità che esso sia soggetto a vincolo di natura culturale, nonché ad individuare una soluzione condivisa, con comune e provincia di Roma, affinché gli Studios di Cinecittà tornino in mani pubbliche per realizzarne esclusivamente un luogo di produzione e formazione cinematografica;
   ad operare affinché si impedisca la delocalizzazione all'estero di produzioni cinematografiche ed audiovisive che, nelle diverse forme previste dalla legge, sono sostenute da risorse pubbliche.
(7-00960) «Zazzera, Di Pietro, Cimadoro».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    il sostegno pubblico all'editoria, che da sempre ha rappresentato un sostegno al pluralismo dell'informazione a livello locale e nazionale, è diminuito drasticamente negli ultimi anni passando da 414 milioni nel 2009 a 138 milioni nel 2012;
    i tagli apportati in maniera conseguente a tutte le testate hanno generato una situazione di grave crisi dell'intero settore, che, a fronte di un fabbisogno di 140 milioni, ha a disposizione il fondo editoria con soli 53 milioni di euro. È a rischio la sopravvivenza stessa di un centinaio di giornali di diverso orientamento politico e culturale che rispondono al diritto inalienabile di informare ed essere informati, previsto dall'articolo 21 della Costituzione;
    i contributi relativi al 2010 sono stati decurtati del 15 per cento e i contributi relativi all'anno 2011, che verranno erogati entro il 31 dicembre del 2012, subiranno un ulteriore taglio del 20 per cento, causando così una sopravvenienza passiva complessiva del 35 per cento per le aziende interessate;
    sono circa 4.000 i dipendenti che rischiano il proprio posto di lavoro a causa dei tagli all'editoria e alla conseguente chiusura delle testate, e i soldi pubblici (sicuramente molti di più di quelli necessari a pareggiare il Fondo editoria) dovranno essere utilizzati per gli ammortizzatori sociali per questi 4.000 dipendenti;
    i contributi pubblici all'editoria hanno avuto negli anni un andamento spesso dispersivo con finanziamenti a pioggia e senza criteri selettivi: la volontà di intervenire con decisione per limitare il contributo alle sole testate che veramente vendono le copie che stampano è quanto mai condiviso, soprattutto in questo momento di grave crisi in cui gli sprechi devono essere eliminati senza esitazione, ma l'attuale esiguità del Fondo editoria decreterà la chiusura proprio di quei giornali che hanno svolto per anni un'opera di pubblico interesse;
    in occasione dell'approvazione presso la Camera dei deputati dell'A.C. 5322, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale, è stato accolto l'ordine del giorno 9/5322/10 a firma Giulietti-Comaroli in cui il Governo si impegna ad integrare, fino alla copertura del fabbisogno, le risorse a disposizione del fondo editoria con 87 milioni di euro,

impegna il Governo

ad assumere tempestivamente ogni iniziativa di competenza per incrementare le risorse per l'editoria conformemente agli impegni assunti con l'ordine del giorno di cui in premessa.
(7-00961) «Rivolta, Giulietti, Barbieri, De Biasi, Comaroli, Renato Farina, Levi, Caparini, Frassinetti, Mazzuca, Gianni, Coscia, Lainati, Granata, Enzo Carra, Grimoldi».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    sin dai primi anni ’90 la Comunità europea ha individuato nell'aumento della mobilità in ambito continentale una delle principali strategie per il raggiungimento delle politiche di unificazione sociale ed economica. L'attuazione pratica di tali strategie ha individuato nella realizzazione e potenziamento delle reti di trasporto ferroviario (passeggeri e merci) lo strumento principe di attuazione, fissando sulla carta alcune direttrici denominate «Corridoi»;
    in questo senso l'Italia è fortemente coinvolta nell'infrastrutturazione dei sistemi trasportistici individuati da corridoi verticali e orizzontali che connettono il nostro Paese con l'intera Europa;
    questo processo è stato approvato dagli organismi comunitari e nazionali e rappresenta un fondamentale elemento di sviluppo delle relazioni sociali e economiche dell'Europa allargata;
    a seguito di tali decisioni si sono avviate anche nel nostro Paese le procedure per la realizzazione di tali sistemi identificati prevalentemente (ma non solo) nel sistema AV/AC;
    in molte aree del Paese i lavori sono già stati realizzati e alcune tratte sono già in funzione con soddisfazione dei cittadini e benefici dei sistema produttivo (si pensi all'asse del corridoio 1 tra Milano e Napoli ormai completato e al suo utilizzo da parte dell'utenza);
    non sfugge a nessuno che la realizzazione di queste infrastrutture in alcune parti del Paese ha creato e sta creando forti e accese contrapposizioni con i cittadini e con le Amministrazioni locali attraversate, con effetti devastanti sia sull'ordine pubblico che sulla credibilità delle istituzioni;
    all'origine di queste contrapposizioni c’è da un lato la legittima tutela degli interessi sociali, economici ed ambientali delle popolazioni interessate e dall'altro, spesso, la mancanza di chiarezza e di condivisione dei progetti e della loro utilità al sistema Paese;
    il caso più eclatante è rappresentato dalla Val di Susa, dove dopo un approccio iniziale non chiaro e con un progetto molto impattante, a seguito del lavoro fatto dal cosiddetto Osservatorio il progetto è stato modificato in maniera sostanziale (ribassando in modo significativo anche i costi);
    nonostante ciò, e proprio per la mancata chiarezza iniziale, si sono sviluppati movimenti di contestazione al progetto che nel tempo hanno travalicato i legittimi interessi degli abitanti e delle amministrazioni di quei territori per assumere una connotazione di contrarietà assoluta con gli interessi generali che sono alla base di questi interventi strutturali, sfociando in ripetute e gravissime violazioni dell'ordine pubblico in molte occasioni;
    il rischio che questi fenomeni si ripetano in altri prossimi scenari, quali ad esempio sul tratto Venezia Trieste dello stesso corridoio 5, è concreto e può compromettere il completamento di questo sistema infrastrutturale nel nostro Paese;
    infatti nell'ambito del corridoio V è stato definito il progetto prioritario 6, compreso fra Lione e Kiev, appartenente al sistema di rete TEN-T (Trans European Network – Transport), in cui ricade la nuova linea alta velocità/alta capacità Venezia-Trieste. L'obiettivo dichiarato della linea in oggetto è quello di dare risposta alla crescente domanda di trasporto merci da e per i Paesi dell’est europeo, mediante le seguenti strategie:
     a) trasferire sui nuovi binari parte del traffico merci attualmente circolante sulla linea storica;
     b) assorbire una quota significativa del traffico merci su gomma attualmente circolante sul corridoio autostradale;
    su questo corridoio sono in corso di costruzione i sistemi di infrastrutturazione della linea ferroviaria alta velocità/alta capacità con tratti già realizzati (Padova-Venezia, Milano-Torino), altri all'inizio dei lavori (Torino-Lione) altri in fase di finanziamento e/o progettazione definitiva);
    la definizione del tracciato spetta alle regioni interessate dall'attraversamento di tale opera;
    in Veneto e in Friuli Venezia Giulia è in corso di definizione il tracciato della Linea Venezia-Trieste fino al confine con la Slovenia che prevede nel tratto friulano, dal confine tra Veneto e Friuli Venezia Giulia fino a Trieste, il parallelismo con il sistema autostradale dell'A4, mentre il progetto presentato da Italferr il 20 dicembre 2010 presso la regione Veneto nel tratto della provincia di Venezia da Venezia a Portogruaro sposta il tracciato più a sud per poi riaffiancarsi all'A4 da Portogruaro in poi (cosiddetto «tracciato litoraneo»);
    solo dopo interrogazioni parlamentari e solo dopo la predetta presentazione formale sono state coinvolte le amministrazioni comunali e la stessa provincia di Venezia, che hanno potuto esprimere la loro posizione solo successivamente alla progettazione, posizione prevalentemente contraria al tracciato presentato, espressa con ordini del giorno dei rispettivi consigli e con le osservazioni formulate alla commissione nazionale per la valutazione impatto ambientale per il parere di competenza;
    i motivi di contrarietà vanno ricondotti al gravissimo impatto ambientale che l'opera (di solo attraversamento va ricordato) avrebbe su un sistema ambientale e idrogeologico molto delicato, essendo l'area interessata territorio di bonifica a rischio ricorrente di esondazioni e con gravi problemi di subsidenza;
    di conseguenza recentemente la regione Veneto ha nominato commissario alla TAV l'architetto Bortolo Mainardi con l'obiettivo di rivedere il progetto depositato e di studiare soluzioni alternative;
    il Commissario Mainardi ha presentato un progetto di affiancamento all'attuale linea ferroviaria in data 23 aprile 2012 e, pur in assenza di elementi di approfondimento ancora da fornire, ha chiesto un parere di massima alle amministrazioni coinvolte, la maggior parte delle quali si sono già espresse anche formalmente;
    con lettera datata 13 luglio 2012 il commissario Mainardi ha informato i sindaci dei comuni interessati che «in questa prima fase semestrale di utile confronto ho registrato la conferma quasi unanime del dissenso dei Vs. Comuni al Tracciato “Litoraneo” del Progetto Preliminare dicembre 2010 mentre, rispetto all'ipotesi alternativa delineata dallo Studio di Fattibilità illustrato/consegnatovi in aprile u.s. che prevede il futuro corridoio “AV/AC” lungo l'attuale Linea Ferroviaria nella Tratta da Mestre/Carpenedo a Portogruaro, pur con tutte le Vostre comprensibili/legittime richieste di ulteriori chiarimenti/approfondimenti, ho registrato la Vostra essenziale preferenza e condivisione»;
    pertanto il commissario ha così dato atto di aver acquisito il parere favorevole di massima della maggior parte delle amministrazioni interessate salva la richiesta da parte delle stesse di ulteriori approfondimenti e modifiche (analisi domanda, analisi costi-benefici, verifica delle possibili varianti) che però non modificherebbero il corridoio impegnato;
    va altresì considerato che la soluzione prospettata ha costi minori e prevede prioritariamente l'ammodernamento e potenziamento della linea esistente, garantendo in prospettiva – con l'ipotesi da verificarsi del quadruplicamento – al sistema economico nazionale la realizzazione di una fondamentale opera infrastrutturale per il collegamento rapido con l'Europa dell'est;
    appare quindi evidente che, oltre ai problemi di natura ambientale e progettuale sottolineati sopra per il cosiddetto tracciato litoraneo, diventa fonte di ulteriore spreco di risorse e di conflitto con il territorio la prosecuzione della procedura di valutazione di impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sul progetto litoraneo, considerata la volontà contraria a detto progetto già espressa dalle amministrazioni locali interessate e la stessa indicazione progettuale alternativa proposta dal Commissario Mainardi;
    tale procedura, infatti, ove proseguisse, permetterebbe al cosiddetto «tracciato litoraneo» di avanzare nell’iter di approvazione in netto contrasto con quanto fino a qui espresso dalle comunità locali, dal Commissario e dalla stessa RFI,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di competenza per interrompere immediatamente e in via definitiva la procedura di valutazione di impatto ambientale in corso presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sul cosiddetto tracciato litoraneo, considerate le volontà espresse dalle amministrazioni comunali interessate, dallo stesso commissario Mainardi nonché da Rete ferroviaria italiana, proseguendo nei necessari approfondimenti tecnici nonché nella consultazione e nel coinvolgimento, anche nelle forme della progettazione partecipata, delle comunità ed amministrazioni locali, al fine di realizzare le soluzioni progettuali alternative di cui in premessa che limitano gli impatti ambientali e paesaggistici e riducono al minimo gli effetti derivanti dall'attraversamento dei centri abitati.
(7-00959) «Viola, Rubinato».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    in esito ai lavori del «tavolo di vertice» istituito presso il Ministero della difesa, per l'applicazione dell'articolo 693 del codice della navigazione, con decreto del Ministro della difesa del 3 agosto 2007, di concerto con il Ministro dei trasporti, il Ministro delle infrastrutture ed il Ministro dell'economia e delle finanze – pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 60 dell'11 marzo 2008 – provveduto alla dismissione dell'aeroporto militare di Brescia Montichiari ed alla riconversione in aeroporto civile, con l'assegnazione dello stesso al demanio pubblico dello Stato – ramo trasporti (aviazione civile);
    il citato decreto interministeriale di passaggio di status ha individuato nell'Enav il fornitore dei servizi di navigazione aerea, con costi a carico del gestore aeroportuale fino all'inserimento dell'aeroporto di Brescia Montichiari nel contratto di programma Stato – Enav;
    in base al disposto dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 250/1997, l'ENAC ha trasmesso la deliberazione del Consiglio di amministrazione n. 70/2005, del 5 settembre 2005, unitamente allo schema di convenzione per l'affidamento in concessione della gestione totale dell'aeroporto di Brescia Montichiari alla Società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca s.p.a, per la durata di anni quaranta;
    in seguito alla conversione dello scalo aeroportuale in argomento in aeroporto civile, l'ENAC, in data 30 aprile 2008, ha trasmesso copia conforme della convenzione dallo stesso stipulata con la società di gestione in argomento, in data 30 aprile 2008 per l'affidamento in concessione della gestione totale dell'aeroporto di Brescia Montichiari;
    ai sensi dell'articolo 7 del regolamento n. 521 del 1997, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha provveduto alla predisposizione dello schema di decreto interministeriale approvativo dell'affidamento in concessione della gestione totale dell'aeroporto di Brescia Montichiari alla società aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa, per la durata di anni quaranta, da sottoporre alla controfirma del Ministro dell'economia e delle Finanze;
    l’iter amministrativo relativo al predetto decreto è rimasto in sospeso in attesa di conoscere l'esito del ricorso in appello presentato al Consiglio di Stato dall'ENAC e dalla società aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa, per la riforma della sentenza n. 853 del 2009 con la quale il TAR della Lombardia, in accoglimento del ricorso presentato dalla società Aeroporto di Brescia e Montichiari (ABeM spa), aveva invalidato la convenzione stipulata dall'ente per l'affidamento in oggetto indicato;
    il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con dispositivo di decisione n. 88/2010 del 18 febbraio 2010, e con sentenza n. 1250/2010 del 3 marzo 2010, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto in primo grado dalla Società Aeroporto di Brescia e Montichiari spa (ABeM spa);
    tra le motivazioni addotte dal Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 1250/2010 si legge tra l'altro che: ...Evidente appare che la convenzione non acquista efficacia in conseguenza della sola sottoscrizione, la produzione dei suoi effetti essendo subordinata al rilascio del successivo provvedimento ministeriale...»;
    in seguito all'intervenuto dispositivo di decisione, l'ENAC, in data 26 febbraio 2010, ha rappresentato che «...in data 16 u.s. il Consiglio di Stato ha accolto l'appello e dichiarato inammissibile il ricorso proposto in primo grado dalla AbeM, di fatto facendo rivivere la deliberazione a suo tempo adottata dal Consiglio di amministrazione dell'ENAC in merito alla concessione sull'aeroporto di Brescia» ed ha quindi chiesto al Ministero delle infrastrutture e trasporti «di voler riattivare la procedura di affidamento della concessione totale dell'aeroporto di Brescia Montichiari alla Società Catullo, a suo tempo interrotta presso codesto Ministero proprio a seguito della sentenza di primo grado del TAR Lombardia;
    con successiva nota del 10 marzo 2010, il Ministero delle infrastrutture e trasporti ha chiesto all'ENAC di accertare, preliminarmente alla stipula della nuova convenzione, se il programma di intervento (il piano degli investimenti ed il piano economico-finanziario), presentato dalla suddetta società di gestione in data 9 maggio 2005, impostato per il periodo 2005-2045 e confermato per il periodo 2008-2048, potesse essere ritenuto valido anche per il successivo periodo 2010-2050;
    l'ENAC, in data 5 luglio 2010, ha trasmesso copia conforme della nuova convenzione stipulata con la società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa in data 23 giugno 2010 – registro contratti ENAC protocollo n. 10 del 23 giugno 2010 – per l'affidamento in concessione per anni 40 (quaranta), della gestione totale dell'aeroporto di Brescia Montichiari che sostituisce la precedente convenzione n. 10 del 30 aprile 2008, unitamente alla seguente documentazione:
   attestazione della società aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca S.p.A del 26 marzo 2010, con la quale la Società di gestione dichiara il proprio capitale sociale;
   attestazione della società di gestione del 26 marzo 2010, con la quale la società di Gestione rappresenta che: «Considerato il tempo trascorso, tenuto conto che il periodo di quaranta anni decorre ora dal 2010 e quindi sino al 2050, si rappresenta che, ad una analisi del periodo in esame, tale traslazione non comporta variazioni significative delle previsioni di traffico ipotizzate, degli investimenti programmati e, conseguentemente, del piano economico-finanziario, che vengono con la presente confermati»;
    con la suddetta nota del 5 luglio 2010 l'ENAC inoltre:
     ribadisce che «l'istruttoria effettuata è stata condotta nel rispetto delle disposizioni normative che riconoscono la Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca s.p.a unico soggetto legittimato a presentare, ai sensi del decreto ministeriale n. 521 del 1997, istanza di concessione per la gestione totale degli scali di Verona e Brescia;
     conferma «la validità della traslazione al periodo 2010-2050 del programma d'intervento già presentato (dalla Società di gestione) e positivamente valutato da questo Ente nel corso dell'istruttoria effettuata», come rappresentato dalla società aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa con la suddetta dichiarazione del 26 marzo 2010;
    il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha provveduto ad apportare le necessarie modifiche al testo dello schema di decreto approvativo dell'affidamento in concessione dell'aeroporto in questione inoltrandolo, in data 4 ottobre 2010, al Ministero dell'economia e delle finanze per la controfirma;
    il Ministero dell'economia e delle finanze, in data 31 marzo 2011 ha chiesto l'inserimento di una clausola che prevedesse il subentro della regione nel rapporto concessorio qualora i beni demaniali dell'aeroporto di Brescia Montichiari fossero oggetto di trasferimento ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85;
    il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in data 25 maggio 2011, ha trasmesso il suddetto decreto riformulato al dicastero finanziario, per l'acquisizione della controfirma del Ministro dell'economia e delle finanze;
    alla data odierna manca ancora la controfirma del più volte citato decreto interministeriale;
    il mancato assentimento della concessione di gestione totale inibisce qualsivoglia tipo di sviluppo dell'aeroporto, ivi inclusa l'attuazione dei piani di investimento e l'eventuale ricerca di soci privati;
    il costo dei servizi di navigazione aerea, ancora a carico della società di gestione, costituisce una anomalia che, peraltro, ha ingenerato un gravoso contenzioso, tuttora irrisolto, tra Enav e gestore aeroportuale,

impegna il Governo:

   ad adottare, in tempi rapidi, un piano nazionale degli aeroporti che con contempli un processo di razionalizzazione del sistema;
   ad inserire l'aeroporto di Brescia Montichiari tra quelli di competenza dell'Enav nello stipulando Contratto di programma Stato-Enav, relativo al periodo 2010-2012;
   a procedere al rilascio della concessione di gestione totale quarantennale che avverrà previo accordo con gli enti istituzionali bresciani per il rilancio dell'aeroporto di Brescia.
(7-00958) «Biasotti, Saglia, Molgora, Beccalossi, Romele, Gelmini, Volpi, Bergamini, Brancher, Ferrari».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri del 30 aprile 2012 ha conferito al professor Francesco Giavazzi l'incarico di fornire al Presidente del Consiglio e al Ministro dello sviluppo economico analisi e raccomandazioni sul tema dei contributi pubblici alle imprese;
   secondo il comunicato stampa del Consiglio dei ministri, le risorse ricavabili degli interventi dovranno consentire di realizzare gli obiettivi di finanza pubblica indicati nel Documento di economia e finanza a favorire l'alleggerimento della pressione fiscale sui cittadini;
   a quanto si apprende da fonti di stampa, il 23 giugno il professor Giavazzi ha trasmesso al Presidente del Consiglio e al Ministro dello sviluppo economico la versione finale del rapporto contenente «Analisi e raccomandazioni sul tema di contributi pubblici alle imprese»;
   sempre secondo anticipazioni fornite dagli organi di comunicazione, incrociando diverse stime e dati, il rapporto stima in un valore pari a circa 10 miliardi di euro annui l'ammontare dei contributi eliminabili nel lungo periodo, considerando esclusivamente i contributi alle imprese in senso stretto ed eliminando dall'oggetto del rapporto sia gli incentivi finanziabili con fondi europei sia quelli diretti a compensare l'adempimento di obblighi di servizio pubblico (trasporto, sanità, istruzione);
   tuttavia, alcune voci che in linea di principio sono eliminabili prevedono impegni pluriennali delle amministrazioni, i quali dovranno esaurirsi prima di poter essere eliminati, pertanto non sarebbe possibile stimare la quota di spesa immediatamente liberabile;
   il Rapporto, inoltre, conterrebbe anche uno schema di decreto-legge abrogativo di norme agevolative, alcune delle quali puntualmente elencate, mentre per altre si rinvia a successivi regolamenti;
   le norme elencate corrispondono largamente a quelle espressamente abrogate dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, che prevede il riversamento delle risorse da esse rivenienti all'entrata del bilancio dello Stato e la riassegnazione alla contabilità speciale del Fondo per la crescita sostenibile, istituito dall'articolo 23 del medesimo decreto legge;
   secondo la relazione tecnica «gran parte delle disposizioni inserite nell'elenco, sebbene tuttora formalmente vigenti, sono di fatto da lungo tempo non operative e, pertanto, essendosi conclusi i relativi procedimenti amministrativi, non vi sono stanziamenti di risorse finanziarie né vi è la necessità di erogare somme, salvi gli effetti dei contenziosi pendenti. Nondimeno, alcune delle leggi abrogande presentano tuttora un'attività di gestione connessa a procedimenti in essere che proseguirà, regolata dalle norme abrogate e dalle disposizioni di semplificazione introdotte dal decreto»; tuttavia, si consente «il reimpiego delle economie rivenienti da interventi agevolativi in via di esaurimento o abrogati dal presente decreto allo scopo di finanziare nuovi interventi in ambiti strategici della politica di incentivazione dell'attività imprenditoriale»;
   in sostanza, sempre secondo la relazione tecnica del decreto-legge n. 83 del 2012, il nuovo Fondo avrà una consistenza iniziale pari solo «alle disponibilità presenti sul FIT, al netto degli impegni, alla data di entrata in vigore del presente decreto legge: si tratta, attualmente, di circa 300 milioni di euro»;
   in sostanza, il rapporto consegnato dal professor Giavazzi e la relazione tecnica allegata al decreto sviluppo, offrono un'immagine molto diversa tra loro delle risorse reperibili nel bilancio dello Stato, e quindi mobilitabili per altri obiettivi, in particolare per sostenere nel modo migliore l'attività economica –:
   quale sia effettivamente l'ammontare delle possibili risorse derivanti dall'eliminazione dei contributi pubblici alle imprese e se non ritenga opportuno trasmettere alle Camere il rapporto elaborato dal professor Giavazzi.
(2-01621) «Boccia, Albonetti, Bocci, Calvisi, Marco Carra, Colaninno, Gianni Farina, Ferranti, Fiorio, Gasbarra, Gentiloni Silveri, Ghizzoni, Giacomelli, Ginefra, Iannuzzi, Levi, Marchioni, Merloni, Meta, Orlando, Peluffo, Rubinato, Sani, Tocci, Touadi, Vaccaro, Vassallo, Zaccaria, Zamparutti, Zunino».

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCILIPOTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il recupero delle navi naufraghe come la nave da crociera «Costa Concordia», un gigante di 110.000 tonnellate lungo 290 metri posato su un fianco e parzialmente immerso, è sempre oggetto di discussioni e ipotesi, fantasiose o realistiche, ma pur sempre ipotesi, purtroppo quasi mai confortate da esempi o risultati concreti, in quanto i naufragi in mare avvengono per cause e circostanze sempre diverse che non consentono quasi mai di recuperarle; quindi si esclude un metodo prevedibile;
   il caso Concordia è inusuale, affiora per buona parte dal mare ed è visibile. È staticamente una gigantesca trave che attualmente è appoggiata per buona parte della sua lunghezza sul fondo del promontorio delle «Scole» dell'Isola del Giglio. Ogni azione che tenti di modificare questo attuale vincolo e determinare appoggi diversi per spostarla o sollevarla, potrebbe danneggiarne il fasciame e aprire nuove lesioni e falle;
   l'acqua imbarcata dalla nave è per circa metà dello scafo, quindi il suo peso facendo un rapido calcolo è di molto superiore alla stazza della nave in «ordine di marcia», e in questa situazione considerato il basso pescaggio della stessa a carena piatta, è dell'ordine di 200.000 tonnellate Pertanto nessun insieme di forze faraoniche sarebbe in grado di spostarla di un metro senza provocare altri dissesti –:
   se il metodo scelto per recuperare la Concordia preveda o meno che essa possa muoversi da «sola» sfruttando il principio di Archimede, con un sistema per farla galleggiare di nuovo mediante lo svuotamento dello scafo dall'acqua che lo ha riempito fino al pelo libero della superficie del mare, dopo completa ed ermetica sigillatura della falla in vista sulla carena sinistra e tamponatura anch'essa ermetica delle finestrature immerse, o se invece si pensi ad altri metodi che non includono questa ipotesi;
   se, per consentire lo svuotamento dell'acqua dallo scafo, sia stato previsto di realizzare lungo la parte immersa della nave, fino al livello delle «finestre» più basse, un sistema di sigillatura totale delle varie aperture e oblò con piastre in poliuretano rigido saldate e rese ermetiche con resine idrauliche reoplastiche e ovviamente sigillatura con saldatura di piastre d'acciaio per tamponare la falla sulla fiancata sinistra;
   se sia stata fatta un'accurata analisi dei rischi per l'ambiente dal punto di partenza dove è incagliata la nave fino al punto di arrivo, il cantiere dove la nave dovrà essere demolita, con opportuni piani di emergenza, nel caso che qualcosa durante queste operazioni non dovesse corrispondere alla pianificazione effettuata. (4-17138)


   OSVALDO NAPOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   durante una conferenza stampa tenuta, in data odierna, dai vari movimenti No-Tav sono state preannunciate una serie di iniziative in prossimità dei cantieri aperti in Val Susa, una prima iniziativa pacifica e senza slogan seguita da una seconda iniziativa più incisiva nei modi fino a prefigurare l'occupazione dei cantieri medesimi –:
   se ritengano di rafforzare le misure atte a garantire l'ordine pubblico nell'area e tutelare l'incolumità dei suoi abitanti;
   se ritengano di procedere al divieto di ogni e qualsiasi manifestazione, in via permanente e definitiva, in prossimità dei suddetti cantieri;
   se ritengano di far sì che si proceda all'identificazione e al fermo delle stesse pedone che preannunciano azioni di violenza in considerazione del fatto che le stesse persone si sono già rese protagoniste di azioni violente e sono dunque da prendere nella dovuta considerazione le rinnovate minacce di nuovi disordini.
(4-17140)


   STRIZZOLO, ROSATO e MARAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri, con l'articolo 1, comma 1, dell'ordinanza 5 settembre 2008, n. 3702, ha nominato il presidente della regione Friuli Venezia Giulia «commissario delegato per l'emergenza determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nell'area interessata dalla realizzazione della terza Corsia del tratto autostradale della A4 compreso tra Quarto d'Altino e Villesse nonché dell'adeguamento a sezione autostradale del raccordo Villesse-Gorizia»;
   contestualmente, soggetti attuatori sono stati nominati l'assessore ai trasporti e mobilità della regione Friuli Venezia Giulia, Riccardo Riccardi e il commissario per la Pedemontana Veneta, Silvano Vernizzi;
   con nuova ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 maggio 2009, alle competenze del commissario delegato per la terza corsia che già prevedevano i poteri sostitutivi rispetto a quelli del CIPE e, nel settore ambientale, quelle del ruolo di arbitro della procedura di VIA, sono stati aggiunti quelli della possibilità di adottare procedure abbreviate anche per la realizzazione delle opere di viabilità ordinaria per agevolare l'apertura più rapida dei cantieri di lavoro;
   il commissario delegato e i due soggetti attuatori (vice-commissari), sono stati affiancati da una struttura composta da cinque persone, da due consulenti e da un comitato tecnico-scientifico preposto all'istruttoria per la valutazione dei progetti, compresi quelli definitivi;
   alla struttura commissariale sopra descritta viene garantito da Autovie Venete Spa il supporto tecnico, logistico ed operativo in un quadro di competenze e di responsabilità, soprattutto per ciò che attiene le coperture finanziarie, contraddittorio dovuto, in particolare, a quanto previsto dall'articolo 6, comma 1 dell'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3702 del 2008 che attribuisce «poteri straordinari» al commissario che si concentrano sulla definizione di quadri economici delle opere, sulla stesura dei cronoprogrammi e sulla gestione delle fasi propedeutiche e realizzative delle opere, con lacune vistose circa gli aspetti connessi alla reale sussistenza e alla ricerca delle necessarie coperture finanziarie;
   durante il 2009, il 2010 e nel primo semestre del 2011, si è assistito ad una serie di dichiarazioni fatte agli organi di stampa in relazione all'attività svolta, da cui emergono difficoltà in particolare per il reperimento delle risorse necessarie alla realizzazione della terza corsia della A4, opera considerata indispensabile dai soggetti istituzionali, economici e sociali del Friuli Venezia Giulia per lo sviluppo dei traffici e degli scambi economici tra il Nord-est, l'Italia e l'Europa Centrale e balcanica;
   nel corso del mese di luglio del 2011, nuovo commissario delegato viene nominato, con ordinanza del 22 luglio, l'architetto Riccardo Riccardi, già soggetto attuatore e assessore regionale alle infrastrutture, mobilità, pianificazione territoriale e lavori pubblici che, sempre da notizie di stampa, conferma la struttura commissariale;
   nonostante i notevoli poteri straordinari assegnati al commissario delegato e alla struttura commissariale, si riscontrano ritardi nella attuazione dell'opera della terza corsia ed, inoltre, appare non efficace e trasparente – in una affievolita distinzione di ruoli, funzioni e responsabilità – il rapporto economico, tecnico-amministrativo e giuridico tra la struttura commissariale, la società Autovie Venete spa, Friulia Holding Spa e l'assessorato regionale cui è preposto l'architetto Riccardi che, in un complesso scambio di reciproche attribuzioni di responsabilità, complicano e ritardano ulteriormente le procedure per il reperimento delle risorse necessarie all'avvio della realizzazione della infrastruttura della terza corsia;
   appaiono sulla stampa locale diverse prese di posizione di soggetti politici, istituzionali e di rappresentanti di associazioni di categoria e di componenti sindacali che mettono in evidenza una situazione sempre più confusa e conflittuale;
   in più occasioni, viene fatto riferimento dai rappresentanti della regione Friuli Venezia Giulia e dallo stesso commissario ad una particolare condizione posta dalla Cassa depositi e prestiti e necessaria per la concessione del finanziamento e cioè la indispensabilità della proroga della durata del commissario straordinario che, invece, alla luce di quanto approvato dalla Camera dei deputati in sede di conversione del decreto-legge n. 59 del 2012, decadrebbe – assieme a tutti i commissari straordinari attualmente in funzione – il 31 dicembre 2012;
   sugli organi di informazione locali è recentemente apparsa la notizia che è stata effettuata una ispezione presso la struttura commissariale da parte di un funzionario del Ministero dell'economia e delle finanze su disposizione della Presidenza del Consiglio dei ministri al fine di verificare costi, procedure e stato di fatto e di diritto degli atti assunti dal Commissario e dai soggetti attuatori in relazione alla realizzazione della terza corsia della A4 e delle altre opere pubbliche interessate dall'attività commissariale –:
   quali siano i risultati della ispezione disposta presso la struttura commissariale;
   se il funzionario preposto alla ispezione abbia avuto, da tutti i soggetti interessati, la piena collaborazione nella esibizione di documenti e atti utili allo svolgimento della sua attività;
   quali siano i costi effettivi della struttura commissariale e da chi siano stati sostenuti;
   se tutti gli affidamenti di lavori abbiano la totale copertura finanziaria;
   quali criteri siano stati seguiti dal commissario per la nomina dei componenti del Comitato tecnico-scientifico;
   detto Comitato vi siano dei soggetti in passato in attività presso l'Anas e coinvolti a suo tempo nelle vicende di «tangentopoli»;
   quali e quante assunzioni, anche a tempo determinato, e quali incarichi e consulenze, con i relativi costi sostenuti, siano stati effettuati dal commissario dal 2008 ad oggi;
   se il Governo abbia già svolto o intenda svolgere una compiuta e approfondita valutazione sulla efficacia della struttura commissariale, anche alla luce del sovrapporsi di ruoli e di responsabilità tra i vari soggetti a diverso titolo coinvolti nella realizzazione della terza corsia;
   se il commissario, nell'affidamento di incarichi e di consulenze a vario titolo, abbia sempre valutato le possibili situazioni di incompatibilità o di conflitto di interesse in particolare per quanto attiene il coinvolgimento di amministratori o di dipendenti di Autovie Venete Spa, di Anas Spa, di Friulia Holding Spa, della regione FVG e della regione Veneto, di soggetti impegnati a qualunque titolo nella struttura commissariale o comunque di altri soggetti pubblici e privati interessati direttamente o indirettamente alle opere soggette alla attività del commissario;
   se sia stata effettuata una valutazione circa il rapporto tra i costi complessivi – sostenuti da e per la struttura commissariale – e i risultati fin qui ottenuti;
   se corrisponda al vero il fatto che la Cassa depositi e prestiti abbia richiesto, verbalmente o per iscritto, la proroga della durata del commissario quale condizione sine qua non per procedere con il proprio sostegno finanziario alla compartecipazione nel finanziamento dell'opera della terza corsia della A4;
   se non ritengano, ove possibile giuridicamente, più opportuno ed efficace, attribuire direttamente i poteri e le funzioni della struttura commissariale ad Autovie Venete spa, società a capitale largamente pubblico e controllata dalla regione Friuli Venezia Giulia tramite la finanziaria Friulia spa, superando o semplificando così diversi passaggi burocratici e amministrativi, diminuendo i costi gestionali e rendendo più chiaro e trasparente il percorso e le responsabilità del reperimento delle risorse necessarie alla realizzazione della terza corsia della A4;
   se il Governo, considerato che la realizzazione della terza corsia della A4 è un'opera di rilevanza strategica non solo regionale ma nazionale ed internazionale, intenda intervenire a sostegno dell'opera stessa anche attraverso una rinegoziazione dei rapporti finanziari oggi esistenti tra lo Stato e la regione Friuli Venezia Giulia così come si era impegnato a fare – in alternativa ad una possibile proroga della concessione autostradale che scade nel 2017 – con l'accoglimento dell'ordine del giorno n. 9/04612/165, a prima firma del sottoscritto, nel corso della seduta della Camera dei deputati del 14 settembre 2011. (4-17154)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
   diversi organi di stampa e reti televisive hanno dato notizia di un episodio che ha visto protagonisti 200 ragazzi e ragazze liguri, di 14/18 anni nella giornata del 19 luglio 2012, nel Canton Grigioni in Svizzera;
   i ragazzi accompagnati da docenti e accompagnatori di diverse parrocchie liguri, hanno soggiornato per una settimana a St. Moriz e il 19 luglio 2012 il gruppo si è recato in escursione al valico Fuorcla Surlej, a 2755 metri d'altitudine;
   giunti sul posto i gestori del rifugio alpino «Berghaus Restaraunt Fourcla Surlej» hanno rifiutato ai nostri nazionali l'accesso alla terrazza dove poter consumare il pranzo a sacco e la possibilità per chi non era provvisto di generi alimentari di acquistare cibo e bevande e soprattutto non è stato consentito l'uso dei servizi igienici;
   uno dei professori Pierluigi Castagneto ha dichiarato al Secolo XIX che, alla gravità di quanto accaduto, si aggiungerebbe che tra le motivazioni addotte dai gestori del rifugio, si sia fatto riferimento alla nazionalità del gruppo di escursionisti –:
   se non si ritenga d'intervenire presso le autorità competenti svizzere per verificare l'accaduto e l'eventuale e assurda motivazione, relativa alla nazionalità del gruppo e degli accompagnatori, che sarebbe alla base dell'episodio quali iniziative possano essere assunte perché quanto accaduto non abbia più a verificarsi. (5-07556)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANNI FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'anno europeo delle lingue 2001 ha messo in evidenza molti modi di promuovere l'apprendimento delle lingue e la diversità linguistica. Una risoluzione del Parlamento europeo del 13 dicembre 2001 ha invitato all'adozione di misure per promuovere l'apprendimento delle lingue e la diversità linguistica. Il Consiglio istruzione del 14 febbraio 2002 ha invitato gli Stati membri a prendere provvedimenti concreti per promuovere la diversità linguistica e l'apprendimento delle lingue ed ha invitato la Commissione europea a presentare proposte in questo campo. Nel marzo 2002, a Barcellona, i Capi di Stato e di Governo hanno affermato la necessità di un'azione dell'Unione europea e degli Stati membri per migliorare l'apprendimento delle lingue ed hanno auspicato un'ulteriore azione per migliorare le capacità fondamentali, in particolare tramite l'insegnamento di almeno due lingue straniere impartito a tutti da un'età molto precoce;
   la politica linguistica è diventata in Europa una delle priorità dell'Unione europea, degli Stati aderenti all'Unione europea degli altri Paesi dell'area europea. Lo studio di una lingua straniera è imposto agli alunni fin dal primo livello primario in quasi tutti i Paesi. Addirittura in alcuni Paesi inizia nella scuola materna come in Spagna e in Belgio (comunità tedesca). In media, la percentuale degli alunni che studiano almeno due lingue straniere a livello secondario inferiore arriva al 58 per cento dell'Ue-27, pur se le differenze tra i Paesi è ancora rilevante. Nel gennaio 2007 l'Unione europea ha riconosciuto 23 lingue ufficiali che godono dello status di lingua di Stato nei diversi Stati membri;
   ad accrescere il numero delle lingue in Europa hanno contribuito i fenomeni migratori e la costituzione di minoranze nazionali, che hanno portato nei venti Paesi alla creazione di strutture educative di vari tipi e con differenti obiettivi. In diversi Paesi i programmi didattici per le minoranze etniche nazionali possono offrire a certi alunni immigrati la possibilità di seguire la loro scolarizzazione nella propria lingua materna;
   in rapporto dell'Eurydice del 2009 si fa riferimento a circa venti Paesi che hanno emesso normative o raccomandazioni sull'attivazione di corsi di lingua materna rivolti agli alunni immigrati. Nei restanti Paesi, l'offerta formativa nella lingua di origine per gli alunni immigrati è legata principalmente a iniziative private e volontarie, talvolta sostenute da autorità educative centrali e/o locali;
   nei Paesi europei le politiche attuate per quanto riguarda l'insegnamento della lingua materna degli alunni stranieri rientrano in due grandi tipologie. Uno consiste nell'offerta formativa sulla base di accordi bilaterali conclusi tra il Paese ospitante e i Paesi d'origine delle principali comunità immigrate presenti sul territorio. Per esempio in Polonia, Slovenia e Liechtenstein (la Svizzera, pur non essendo paese membro dell'Unione europea, rientra tra questa categoria) i corsi di lingua materna per alunni immigrati sono finanziate dalla ambasciate, dai consolati, dalle associazioni culturali del Paese d'origine degli alunni e si svolgono negli edifici scolastici; il secondo approccio, il più comune, è quello che adotta il principio che tutti gli alunni immigrati hanno diritto ad un'offerta formativa nella loro lingua materna, a patto che un numero di alunni ne faccia richiesta e siano disponibili risorse necessarie, messe a disposizione dal sistema scolastico nazionale;
   tutti i Paesi che hanno stipulato accordi bilaterali li hanno siglati sia con gli Stati membri dell'Unione europea sia con i Paesi extracomunitari, in funzione del fenomeno dell'immigrazione sul loro territorio (la Germania attraverso i Lander ha stipulato accordi bilaterali con Croazia, Grecia, Croazia, Italia, Turchia, Portogallo, Marocco (...); la Francia con Algeria, Italia, Marocco, Portogallo, Serbia, Spagna, Tunisia, Turchia; il Lussemburgo con il Portogallo). I corsi tenuti in base ad accordi bilaterali comprendono anche elementi di cultura d'origine. Queste lezioni si svolgono nella maggior parte dei casi al di fuori del normale orario scolastico. Fanno eccezione Spagna e Lussemburgo poiché nella maggior parte dei casi integrano questi corsi nel normale curriculum scolastico;
   in circa metà dei paesi dell'Unione europea (tra cui l'Italia) organizzare e finanziare i corsi di lingua materna spetta al Paese ospitante. Nella maggior parte dei casi, documenti ufficiali raccomandano alle scuoce di offrire corsi di lingua materna a tutti gli alunni di origine immigrata indipendentemente del loro status (richiedenti asilo, alunni appena arrivati) e dalla loro nazionalità. Questi corsi in linea di massima possono coprire una vasta gamma di lingue. Negli ultimi anni alcuni Paesi (Danimarca, Norvegia, Repubblica Ceca) hanno definito specificatamente le categorie di alunni immigrati che possono usufruire dei corsi di lingua materna;
   generalmente, nei Paesi dell'Unione europea i corsi di lingua straniera vengono organizzati e finanziati dalle autorità educative nazionali e si tengono al di fuori del normale orario scolastico. Una menzione particolare merita l'Austria, dove l'insegnamento della lingua materna degli alunni immigrati è stato incluso nel programma di istruzione obbligatoria: sono almeno 19 le lingue materne, ivi comprese quelle europee. Nel Regno Unito invece (Inghilterra e Galles), dal 2008, dopo la cancellazione della normativa che faceva riferimento ad una lingua dell'Unione, le scuole possono offrire l'insegnamento di una lingua internazionale, tenendo conto degli interessi delle comunità locali;
   recentemente molti Paesi europei hanno messo a punto strategie politiche globali riguardanti il modo di affrontare il fenomeno migratorio nel sistema d'istruzione. Misure che considerano la diversificazione linguistica dovuta alle lingue materne degli alunni immigrati come una ricchezza;
   tuttavia, uno studio recente pubblicato la metà di maggio 2012 «Europa ricca di lingue», condotto dal Consiglio Britannico e il Centro Babylon dell'università di Tilburg (Olanda) circa l'apprendimento dell'uso delle lingue in Europa, nelle scuole, c’è il rischio che le lingue nazionali subiscano la concorrenza della lingua inglese. Secondo la ricerca – che ha analizzato l'uso della lingua nei settori formazione, media, servizi pubblici e imprese in 24 Paesi europei e regioni, tra questi anche il canton Ticino, Ginevra e Zurigo (Svizzera) – il meno riconosciuto, protetto e implementato, è lo studio della lingua dei migranti nonostante essi siano molto presenti nella vita pubblica;
   in Svizzera i cantoni godono di ampia autonomia in ambito di educazione. Esistono così 26 sistemi scolastici diversi, uniti da alcuni elementi comuni, come la durata della scuola dell'obbligo. L'obbligo scolastico in Svizzera dura nove anni. In tutti i cantoni la scuola dell'obbligo è suddivisa in livello primario e livello secondario I. La scuola è obbligatoria e gratuita per tutti i bambini svizzeri e stranieri. I comuni garantiscono che ogni bambino possa frequentare una scuola pubblica. Nella maggior parte dei cantoni la scuola primaria dura sei anni, la scuola secondaria I tre anni. In più della metà dei cantoni anche la scuola per l'infanzia è obbligatoria (uno o più anni). La stragrande maggioranza dei bambini frequenta una scuola pubblica dell'infanzia;
   in Svizzera per i bambini di lingua straniera, l'EDK o la CDPE – Conferenza dei direttori cantonali della pubblica educazione – in diversi momenti si è interessato dell'insegnamento della lingua e cultura d'origine dei giovani migranti (nel 1972, nel 1974, 1976 e 1985). Le attuali raccomandazioni risalgono al 24-25 ottobre 1991 e sono state di recente riconfermate dalla Conferenza dei direttori cantonali;
   in generale l'EDK richiama e ribadisce il principio di ammettere alla frequenza delle scuole pubbliche svizzere ogni bambino di origine straniera, di eliminare ogni discriminazione, nel rispetto del diritto del bambino di conservare la lingua e la cultura del Paese d'origine. Inoltre presenta alcuni importanti raccomandazioni da tener presente nel processo di scolarizzazione del bambino d'origine straniera; favorire l'integrazione dei bambini sin dall'inizio della scuola dell'infanzia e per due anni scolastici, con una frequenza gratuita dei corsi di lingua d'origine, incoraggiando la loro partecipazione nei diversi ordini di scuola; integrare nell'orario di insegnamento scolastico, se possibile, almeno due ore settimanali dei corsi di lingua e cultura d'origine, sostenendo tale insegnamento nelle forme più adeguate (controllo della frequenza, valutazioni periodiche);
   successivamente, i direttori cantonali dell'istruzione pubblica decidono di sviluppare in modo coordinato l'insegnamento delle lingue con i seguenti obiettivi comuni: promuovere precocemente l'insegnamento della prima lingua, insegnamento a tutti gli allievi di due lingue straniere introdotte non più tardi a partire dal 3o e dal 5o anno scolastico. Al repertorio linguistico appartengono obbligatoriamente una seconda lingua locale ed un'altra lingua straniera, in genere l'inglese. Per un Paese plurilingue, l'apprendimento precoce delle lingue rappresenta una strategia – elaborata tenendo conto anche dei programmi dell'Unione europea – che permetterà agli svizzeri di essere competitivi sul mercato del lavoro rispetto agli europei;
   pur in vigore il principio delle quattro lingue ufficiali, nella politica scolastica non se ne tiene adeguatamente conto. Alcuni Cantoni della Svizzera hanno, nel recente passato, ipotizzato la soppressione dell'insegnamento del francese come seconda lingua nella scuola primaria. La decisione, annullata, di tagliare i finanziamenti per l'insegnamento dell'italiano nei licei del cantone di San Gallo, avrebbe leso una norma di legge e viene meno al rispetto dei diritti sanciti dall'ordinamento elvetico;
   l'articolo 5 della legge federale del 5 ottobre 2007 sulle lingue nazionali e la comprensione tra le comunità linguistiche, allo scopo di «rafforzare l'insegnamento delle lingue nazionali, quale elemento essenziale della cultura elvetica e per consolidare la coesione interna del Paese», stabilisce che «le lingue ufficiali della Confederazione sono il tedesco, il francese e l'italiano. Il romancio rimane la lingua ufficiale nei rapporti con le persone di lingua romancia». L'articolo 6 prevede l'importante principio che permette a chiunque di rivolgersi ad «un'autorità federale nella lingua ufficiale di sua scelta». Si stabilisce altresì che la pubblicazione dei testi normativi della Confederazione avviene «simultaneamente in tedesco, francese e italiano»;
   l'importante e innovativa legge elvetica, oltre a stabilire le lingue ufficiali, permette ai Cantoni dei Grigioni e del Ticino di usufruire di «aiuti finanziari della Confederazione per il sostegno di misure destinate a salvaguardare e promuovere le lingue e la cultura romancia e italiana». Da sottolineare l'articolo 22 che permette al Canton Ticino di intervenire in vari modi per sostenere la lingua italiana –:
   se il Ministro intenda assumere le iniziative di competenza affinché:
    a) nell'ambito della politica dell'Unione europea, tutti i Paesi ospitanti partecipino all'organizzazione e al finanziamento dei corsi di lingua materna degli allievi immigrati;
    b) nell'ambito degli accordi bilaterali UE-Svizzera, l'Unione europea solleciti il Governo elvetico a un maggiore impegno circa l'organizzazione e il finanziamento dell'insegnamento della lingua materna degli allievi stranieri;
    c) nell'ambito delle trattative bilaterali Italia-Svizzera, il Governo italiano chiami la Confederazione Elvetica ad un impegno diretto a sostegno dell'insegnamento della lingua italiana nelle scuole elvetiche sia come lingua materna degli allievi italiani che frequentano le scuole svizzere sia come lingua nazionale nelle scuole superiori (licei ed università);
    d) nell'ambito delle proprie funzioni di rappresentante dello Stato italiano, l'ambasciatore d'Italia in Svizzera si impegni ad avviare incontri bilaterali con i Governi cantonali e le autorità scolastiche locali per favorire il loro sostegno pieno all'insegnamento della lingua italiana nelle scuole dell'obbligo e nelle scuole superiori (licei ed università);
    e) nell'ambito della rispettiva autonomia e sovranità, si avvii con il Governo del Canton Ticino ad una collaborazione al fine di sviluppare iniziative e azioni per la promozione e sostegno della lingua italiana nella Confederazione elvetica, essendo l'italiano anche la propria lingua ufficiale. (4-17141)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LAGANÀ FORTUGNO, MARIANI e BRATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Motta San Giovanni (Reggio Calabria) da anni insistono forti criticità ambientali legate alla presenza di una ex discarica non bonificata, in località Lazzaro, da un impianto di compostaggio, ad essa limitrofo, che più volte è risultato non conforme alle prescrizioni legislative e da un impianto di depurazione delle acque anch'esso risultato non conforme alla prescrizioni legislative e che in più di un occasione ha causato forte inquinamento del torrente Oliveto del quale ne riceve lo scarico;
   tutti gli organi di governo locale, quali amministrazione comunale, provinciale e regionale, la prefettura e le agenzie di controllo quali ARPACAL e ASP di Reggio Calabria, finanche il commissario delegato dell'emergenza rifiuti, sono a conoscenza dell'emergenza sanitaria-ambientale che si è venuta a creare in quel territorio, e nonostante i vari solleciti effettuati gli uni verso gli altri, in una situazione grottesca la situazione continua a permanere in condizione di stallo;
   l'ex discarica è stata oggetto di indagine della Commissione parlamentare d'inchiesta sul traffico illecito dei rifiuti poiché in essa sono stati smaltiti irregolarmente i rifiuti speciali prodotti dalla centrale elettrica di Brindisi, e dovrebbe essere sottoposta a bonifica, mentre l'impianto di depurazione ricade tra quegli impianti per i quali è stata aperta una procedura d'infrazione europea nei confronti dell'Italia per la non conformità alla direttiva 91/271/CEE inerente il cattivo funzionamento di depuratori comunali e lo scarico di acque fognarie non depurate negli alvei fluviali e nel mare;
   l'Arpacal in più di un'occasione ha rilevato forti criticità di gestione dell'impianto di compostaggio, sottoposto tra l'altro a sequestro e successivo dissequestro giudiziario su segnalazione del Corpo forestale dello Stato, ponendo la necessità di dar vita ad un tavolo tecnico, previo assenso del pubblico ministero che conduce le indagini, in grado di affrontare l'emergenza;
   è notizia di qualche giorno fa il nuovo sequestro delle società Ecoservices e Taurus, proprietari e gestori dell'impianto di compostaggio in seguito ad indagine avviata nel 2007 dove è emerso che l'impianto, oltre a trattare fanghi di depurazione provenienti da altre regioni, non era in grado di attuare l'idoneo processo di compostaggio tale da abbattere il carico inquinante;
   numerose sono le fotografie e le denunce da parte della popolazione locale che attestano il forte degrado ambientale dell'area e le rischiose implicazioni di salute a cui sono sottoposti, ma nulla di ciò è valso a migliorare la situazione –:
   se il Governo intenda acquisire elementi, attraverso gli organi competenti, sull'effettivo stato di bonifica della discarica e sulla situazione sia dell'impianto di depurazione sia di quello di compostaggio e se non ritenga opportuno considerare per quanto di competenza l'azione degli enti preposti per risolvere tale gravissima situazione. (5-07555)

Interrogazione a risposta scritta:


   CASTIELLO. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   tutta l’«Area Metropolitana» di Napoli, con maggiore incidenza nella Zona-Nord, specificatamente nell'area di confine tra Acerra, Caivano, Afragola e Casalnuovo di Napoli, è interessata da anni dal dilagante fenomeno dei roghi tossici i quali generano evidenti colonne di fumo nocivo e ceneri le quali, poi, ricadono su una più vasta zona comprendente sia i centri urbani che i terreni spesso a vocazione agricola evidenziando, al suolo, la successiva presenza di mercurio, piombo ed alluminio oltre che di altro materiale inquinante e tossico;
   in questa parte di territorio, fortemente antropizzata, ricade anche uno dei più grandi impianti di trattamento di rifiuti solidi urbani ed industriali il termovalorizzatore di Acerra, nonché diverse centrali a biomasse e lo STIR di Caivano, già di per sé fonte di forte inquietudine nelle popolazioni;
   è già a conoscenza della competente prefettura di Napoli che proprio su queste aree insistono, inoltre, anche i più popolosi campi nomadi di tutta la Campania come quello, ad esempio, pur autorizzato, nel territorio di Caivano a confine con Afragola, oltre che innumerevoli altri nel raggio di pochi chilometri;
   all'interno del sopra citato Campo-Nomadi di Caivano (Napoli), più che altrove, sono frequenti e da sempre riscontrati dalle forze dell'ordine chiamate ad intervenire, incendi di natura dolosa di materiale plastico di sconosciuta provenienza, di rifiuti speciali e, incontrollatamente, di scarti vari rinvenienti da non determinati centri di lavorazione di smaltimento di rifiuti di tipo ingombranti o RAEE (lavatrici, frigoriferi ed altri elettrodomestici dismessi), con la conseguente produzione di fumi ed odori che rendono irrespirabile l'area circostante su una estesissima parte di territorio comunale;
   i programmi varati dai diversi Ministeri e coordinati dalle stesse U.T.G., di concerto con la provincia ed i comuni interessati, tesi a creare nuovi e più razionali campi residenziali a favore delle famiglie nomadi e rom, per questioni contingenti e a volte anche culturali, non hanno ancora generato alcun concreto risultato pratico nel creare più consone condizioni di vita alle già menzionate popolazioni che affollano la periferia metropolitana in maniera spesso incontrollata;
   è consuetudine, acclarata e verificata, di queste popolazioni generare anche loro ripetuti roghi utili a bruciare sia i loro stessi rifiuti prodotti che materiali di ogni altro genere (pneumatici, residui di industrie tessili ed artigiane, plastica e altro) tanto da rendere ricorrente per la loro assoluta frequenza, spesso vano il reiterato intervento di vigili del fuoco e forze dell'ordine nel controllarne, prevenirne e sedarne i fenomeni;
   sembra ormai accertato che sia in uso un mercato parallelo ed illegale dello smaltimento di rifiuti speciali e nocivi che verrebbero raccolti da vere e proprie organizzazioni non autorizzate, che alimentano discariche abusive ed il fenomeno della «terra dei fuochi»; alimentando, in tal modo, una diffusione nociva e pericolosa di fumi e sostanze tossiche che stanno allarmando le popolazioni della zona e diffondendo, il giusto timore, di un grave pericolo sanitario, confermato da un aumento esponenziale di fenomeni di intolleranze varie;
   permane una situazione di elevata criticità ambientale in Campania, caratterizzata in maniera evidente dal fenomeno dello sversamento abusivo di rifiuti di ogni genere (speciali, industriali, urbani e altro) ed i relativi roghi che, particolarmente nella stagione estiva, generano problemi igienici e sanitari divenendo dei veri e propri, potenziali, focolai di epidemie;
   ad oggi, non si registrano azioni volte ad estirpare in maniera definitiva tale fenomeno;
   anche gli enti locali interessati territorialmente al problema, spesse volte, nonostante anche il continuo monitoraggio delle aree, non hanno le risorse umane, economiche e strumentali sufficienti ed utili ad arginare tale fenomeno;
   molti cittadini, riunitisi anche in comitati spontanei come nel caso di Caivano (Napoli), hanno più volte chiesto l'intervento delle istituzioni le quali, in regime ordinario, non riescono a fronteggiarne il dilagante problema ed in altri, invece, risultano quantomeno poco attenti alle legittime rimostranze dei residenti. Anche attraverso la rete informatica, si verifica una grande mobilitazione su tale tematica, evidenziando una generale esasperazione che ha determinato la richiesta «dell'invio dell'esercito per fermare il dilagante fenomeno dei roghi tossici»;
   tale fenomeno è di pressante attualità, verificata la grande preoccupazione e in generale la paura che è indotta anche per il modo in cui la rete racconta gli accadimenti: «Tutti i giorni sono costretti a convivere con colonne di fumo nocivo, ceneri che entrano nei polmoni causando tumori. Fumo nero e denso da cumuli di copertoni mischiati a stracci, scarti di industria tessile, rifiuti speciali. La Campania brucia, e le istituzioni non intervengono»;
   talmente è grave la situazione che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in un intervista di recente pubblicata su Avvenire lo scorso 20 luglio, ha annunciato che «prenderà i primi provvedimenti per frenare la follia assassina nella terra dei roghi». Lo stesso, ha sostenuto che: «... gli effetti sono drammatici. Nel disastro territoriale, nella crisi economica, soprattutto sulla salute delle persone. Effetti che non sono acuti, non un'improvvisa epidemia di colera per intenderci. Riguardano malattie dalle origini lontane e che conseguentemente ci si può aspettare che non finiscano nel giro di qualche anno» –:
   quali celeri ed oramai improcrastinabili iniziative i Ministri interrogati vorranno adottare al fine di promuovere ogni utile e, vista la gravità e quotidianità degli eventi sopra descritti, straordinaria iniziativa tesa ad arginare quanto più possibile i fenomeni di abbandono incontrollato dei rifiuti, i roghi che in maniera dolosa sono provocati ed un più efficace controllo delle strutture autocostruite da nomadi e rom presso le quali, è noto, certi fenomeni risultano essere frequenti;
   nel caso specifico di Caivano (Napoli), se intenda intervenire, sollecitando tutte le istituzioni competenti nel territorio ad una maggiore attenzione e vigilanza degli insediamenti, ad una più efficace attività di contrasto e repressione dei fenomeni e per quanto di competenza all'auspicabile operazione di caratterizzazione dei rifiuti bruciati sì da individuarne, si auspica, anche l'illecita provenienza, utilizzando nella doverosa opera di prevenzione e contrasto tutti i livelli istituzionali presenti e le forze dell'ordine con competenze in tema di ambiente;
   se non sia, infine, il caso di avviare tutte le più necessarie iniziative di monitoraggio e censimento dei punti critici sì da prevenire, già nell'immediato futuro, i fenomeni descritti ed istituire un'adeguata e trasparente campagna informativa sulle conseguenze che tali condotte criminali comportano sulla salute umana generando anche nuove forme di neoplasie sempre più ricorrenti nelle popolazioni residenti oltre che, ovviamente, ad ulteriori malattie cui possono essere esposte le stesse comunità nomadi e rom, soprattutto tra i bambini. (4-17151)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 31 luglio 2012 scadrà il termine per la presentazione in via telematica, da parte dei sostituti d'imposta, direttamente o tramite un intermediario abilitato, del modello 770;
   l'imminenza di tale scadenza sta generando numerose preoccupazioni e proteste da parte dei contribuenti interessati e degli intermediari professionali, i quali hanno evidenziato la sostanziale impossibilità di rispettare la predetta scadenza, chiedendo, con forza, una proroga di tale termine;
   infatti, il sovrapporsi, nel periodo estivo, di numerosi adempimenti fiscali, resi sempre più complessi dalle continue modifiche alla disciplina tributaria, i ritardi con i quali sono spesso predisposti i sistemi informatici per la compilazione e trasmissione delle dichiarazioni, nonché i frequenti inconvenienti e disservizi che si registrano nel collegamento telematico con l'amministrazione finanziaria, rende estremamente problematico rispettare le scadenze fiscali;
   a testimonianza di tale difficoltà occorre ricordare che, negli anni precedenti, era stata sempre disposta una proroga del termine di presentazione del modello 770, appunto al fine di alleviare le difficoltà dei sostituti d'imposta e degli intermediari;
   finora il Governo è rimasto dei tutto sordo alle legittime richieste di proroga avanzate, a testimonianza di quella che all'interrogante appare la colpevole indifferenza dell'Esecutivo nei confronti delle reali esigenze dei cittadini;
   appare particolarmente grave che nell'attuale, gravissima fase di recessione economica, il Governo non senta la necessità di dare un, sia pur minimo, segnale di attenzione nei confronti degli imprenditori onesti, i quali, oltre a dover subire gli effetti rovinosi di una politica fiscale orientata unicamente ad aumentare la pressione tributaria sul lavoro e sulla produzione, salvaguardando invece gli interessi delle banche e del mondo finanziario, si trovano costretti a far fronte ad un numero sempre più ampio e complesso di adempimenti burocratici, con conseguente aggravio di costi e di tempo;
   a tale quadro, già di per sé preoccupante, occorre aggiungere il fatto che quest'anno, per la prima volta, i contribuenti, e dunque anche le imprese, si sono dovuti confrontare, per la prima volta, con l'IMU, le cui modalità di calcolo e versamento risultano assai più complesse di quelle dell'ICI;
   in tale contesto, appare evidente l'opportunità che, anche quest'anno, il Governo provveda a prorogare il predetto termine di presentazione del modello 770, dimostrando in tal modo di non ignorare del tutto la drammatica condizione in cui versa ormai da tempo il mondo produttivo nazionale;
   tale proroga, peraltro, non comporterebbe alcuna riduzione di gettito per l'erario, mentre costituirebbe un primo, sebbene tardivo, segnale di attenzione del Governo nei confronti dei contribuenti, nell'obiettivo di instaurare finalmente un rapporto di collaborazione e buona fede tra i cittadini ed il fisco –:
   se intenda assumere urgenti iniziative per disporre la proroga del termine, attualmente fissato al 31 luglio 2012, per la presentazione dei modelli 770, venendo in tal modo incontro alle pressanti, legittime esigenze dei contribuenti interessati e degli intermediari professionali. (4-17142)


   NICOLA MOLTENI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il direttore dell'Agenzia delle entrate il 13 giugno 2012 ha disposto la chiusura di 17 uffici territoriali, alcuni dei quali con decorrenza 1o luglio e 1o agosto 2012;
   dalle motivazioni si legge che «l'Agenzia delle entrate ha avviato un piano di revisione dell'assetto organizzativo degli uffici territoriali, volto a razionalizzare l'impiego del personale in funzione della effettiva richiesta di servizi da parte dell'utenza e a economizzare i costi di gestione delle predette strutture, prevedendo la chiusura di quelli con carichi di lavoro esigui per i quali non si giustificano gli oneri»;
   tra gli uffici destinati alla chiusura rientra quello di Menaggio, che attualmente serve l'area del medio lago di Como, zona con poche vie di comunicazione, altamente trafficate, soprattutto nel periodo estivo; la chiusura dell'ufficio sicuramente provocherà quindi pesanti disagi ai contribuenti;
   oltre alla chiusura dell'ufficio di Menaggio, si paventa la chiusura anche dell'ufficio di Cantù, con conseguenti ulteriori disagi e problemi per i contribuenti di una zona densamente abitata, con molte piccole e medie imprese che hanno frequenti rapporti con l'amministrazione finanziaria;
   nell'ottica di un rapporto contribuente/fisco positivo, improntato alla collaborazione reciproca, non appare opportuno, a parere dell'interrogante, chiudere le sedi territoriali di Menaggio e di Cantù e risulta doveroso procedere ad una riorganizzazione degli uffici centrali dell'Agenzia –:
   se trovino conferma l'intenzione di procedere alla chiusura dell'ufficio di Menaggio e le voci di una prossima chiusura dell'ufficio territoriale di Cantù ed, in caso affermativo, quali siano le ragioni di tale decisione;
   se il Ministro non ritenga opportuno, nell'ottica di un rapporto contribuente/fisco positivo, improntato alla collaborazione reciproca, secondo i principi federalisti, mantenere le sedi territoriali e procedere al contempo ad una drastica riduzione di spesa presso gli uffici centrali dell'Agenzia. (4-17144)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   BOSI e RAO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la casa di reclusione di Porto Azzurro sta attraversando profondi disagi per un'altissima presenza di detenuti (attualmente circa 550 unità) superiore al doppio delle proprie capacità;
   tale situazione si è ulteriormente aggravata dopo il terremoto dell'Emilia Romagna per il trasferimento dalle carceri di quei territori, fortemente colpiti dal sisma, di altri detenuti;
   attualmente non si può più indicare la casa di reclusione di Porto Azzurro come struttura adibita a lunga detenzione, in quanto vi è la presenza di detenuti ancora in attesa di giudizio o che debbono scontare pene brevi;
   inoltre i progetti di recupero attraverso una serie di mansioni che qualificavano professionalmente i detenuti e garantivano la loro occupazione quotidiana, sia all'interno del carcere che all'esterno per coloro che godevano di alcuni benefici di leggi (semilibertà od altro), oramai non sono più attuabili sia per il sovraffollamento della struttura che per la mancanza di fondi;
   il personale di custodia oramai è ridotto ai minimi termini nonostante l'altissima presenza di detenuti e negli orari notturni si riduce a poche unità (8 per circa 550 detenuti);
   anche il personale paramedico è limitatissimo ed a parte la presenza costante di un medico nell'arco delle 24 ore, la notte non vi è nessun infermiere di supporto, nonostante la presenza attuale di circa 550 detenuti con problematiche di ogni genere e soprattutto in condizioni difficilissime, dato il sovraffollamento;
   quotidianamente si verificano episodi spiacevoli (risse, tentativi di suicidio, aggressioni a personale di custodia e non, danneggiamenti alle strutture di supporto al servizio carcerario ed altro) che mettono seriamente a rischio l'incolumità dei detenuti ed ancor più del personale di custodia e delle figure professionali di supporto all'attività carceraria;
   la casa di reclusione di Porto Azzurro è stata per anni uno degli esempi per l'organizzazione e per le attività qualificanti svolte dai detenuti, allo stato attuale è nelle stesse condizioni, se non peggiori (in quanto non organizzata per le funzioni che sta svolgendo), di qualsiasi casa circondariale di una grande città;
   alla luce del profondi disagi che si stanno verificando nella casa di reclusione di Porto Azzurro ed a fronte di una serie di difficoltà che stanno mettendo a dura prova la comunità locale, per i riflessi che tale situazione produce, è opportuno che ci sia un intervento da parte degli organi competenti, in particolare per garantire una maggiore efficienza e sicurezza perlomeno negli orari notturni (aumento personale di custodia ed un infermiere di supporto al medico di turno) –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere atte a garantire che la situazione della casa di reclusione di Porto Azzurro non degeneri e nel contesto in particolare migliorare la qualità dello svolgimento delle mansioni del personale di custodia e del personale di supporto (in particolare medico e paramedico), nonché la sicurezza generale all'interno della struttura.
(3-02418)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SAMPERI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 della legge n. 148 del 2011 contiene una delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa ed incremento di efficienza;
   in attuazione della delega, il Governo ha presentato uno schema di decreto legislativo recante la nuova organizzazione dei tribunali ordinari;
   tra i tribunali soppressi c’è anche quello di Nicosia che è stato accorpato al tribunale di Ernia;
   la revisione delle circoscrizioni elimina in molti casi impegno di risorse e sotto occupazione, ma va applicata in maniera ragionata e senza automatismi, tenendo nel debito conto le dinamiche sociali delle comunità locali e senza sacrificare i diritti di cittadinanza e di paritario accesso alla giustizia;
   particolare attenzione andava prestata alle isole che, oltre ad avere una insufficiente dotazione infrastrutturale, presentano anche specificità rispetto al tasso di criminalità organizzata;
   ad avviso dell'interrogante la delega, nello specifico, non è stata esercitata correttamente ed è stato disatteso il criterio della specificità territoriale del bacino di utenza anche con riguardo alla situazione infrastrutturale; il tribunale di Nicosia è stato accorpato a quello di Enna da cui dista, secondo la relazione, 59 chilometri, mentre in effetti il comune del circondario di Nicosia più decentrato rispetto al tribunale di Enna dista 80 chilometri, con una frequenza di autobus definita impropriamente scarsa, visto che il tempo di percorrenza è elevato e i collegamenti rari, e una frequenza di treni definita impossibile da rilevare per la semplice ragione che non esiste nessuna tratta ferroviaria;
   il consiglio giudiziario della corte d'appello di Caltanissetta ha ribadito la necessità del mantenimento ed anzi del potenziamento del tribunale di Nicosia, rilevando l'assoluta inidoneità dei locali accorpanti a ricevere gli uffici del tribunale di Nicosia, nonché la notevole incidenza dei costi da sopportare in questa eventualità, costi che si porrebbero in contrasto con la clausola di invarianza finanziaria di cui all'articolo 9 dello schema di decreto legislativo in questione;
   la contestuale previsione della soppressione del tribunale di Mistretta lascerebbe privo di qualsiasi presidio giudiziario un vastissimo ambito territoriale di circa 3.600 chilometri quadrati, ricadente nell'ambito dei circondari dei tribunali di Nicosia e Mistretta;
   la sede del tribunale di Nicosia è ospitata in un moderno edificio al quale è stato aggiunto un corpo di fabbrica consegnato qualche anno fa. Nel corso dei lavori si è proceduto all'integrale, straordinaria manutenzione del plesso già esistente –:
   per quali ragioni, alla luce delle considerazioni suesposte, non si sia ritenuto di escludere il tribunale di Nicosia dalla soppressione, in quanto la sua chiusura, oltre a non rispondere alle esigenze di maggior efficienza e di riduzione della spesa, produrrebbe un negativo impatto socio economico e costituirebbe un segnale gravissimo nella lotta alla criminalità organizzata. (5-07546)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOCCAFONDI, VELLA, GIOACCHINO ALFANO e DI CATERINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con una visita al carcere milanese di San Vittore effettuata il giorno 24 luglio 2012 da alcuni deputati, gli stessi hanno potuto osservare direttamente condizioni di reclusione assolutamente non accettabili;
   a fronte di una capienza di 780 posti alla data della visita risultavano recluse quasi 1.590 persone. Nella visita parlamentare è stata registrata in particolare la condizione del sesto raggio di cui è stato visitato il primo, il secondo ed il terzo piano. In ogni cella è stato constatato che devono vivere e convivere per almeno 22 ore al giorno sei persone in pochi metri quadrati; i servizi igienici sono in pessime condizioni e a volte le celle sono senza doccia; alcune sono senza finestre; questi sono i casi più eclatanti ma più in generale la struttura presenta problemi strutturali ed igienici complessi;
   critica è di conseguenza anche la situazione di chi lavora all'interno della struttura. Gli agenti della polizia penitenziaria risultano essere sotto organico di quasi 200 unità rispetto alla capienza consentita di 780 detenuti. I quadri dirigenti della direzione sono sottostimati, i corsi e le attività rivolte ai detenuti risultano deficitario in molti raggi;
   della Costituzione afferma «... le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
   il Consiglio dei ministri già nel 2010 ha delineato la strada per affrontare la problematica, attraverso la creazione di nuovi padiglioni in alcune strutture già esistenti aumentando così la disponibilità di posti e l'assunzione di nuovi agenti di polizia penitenziaria –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa circa le condizioni di vita dei detenuti e, di conseguenza, anche della situazione di chi lavora all'interno della struttura del carcere milanese di San Vittore;
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo affinché sia rispettato quanto affermato dall'articolo 27 della Costituzione. (4-17148)


   TOCCAFONDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da notizie di stampa che, nella notte tra martedì 24 e mercoledì 25 luglio 2012, dal nuovo palazzo di giustizia di Firenze si sarebbe staccata una lastra di pietra che si è frantumata a terra;
   è il terzo blocco di pietra che si stacca precipitando nel vuoto, negli ultimi venti giorni, dal nuovo palazzo di giustizia inaugurato alla presenza del Ministro interrogato, nel mese di gennaio 2012;
   altri danni alla struttura erano nelle scorse settimane già stati evidenziati dagli organi di stampa;
   il nuovo palazzo di giustizia era stato inaugurato dal Ministro in data 12 gennaio 2012;
   il nuovo palazzo di giustizia di Firenze, progettato oltre 30 anni fa, è stato inaugurato, dopo molte difficoltà che ne hanno rimandato per anni l'apertura;
   per la costruzione e l'apertura della nuova struttura sono stati spesi oltre 137.893.992 euro, pagati dallo Stato, ai quali vanno aggiunti altri 10 milioni di euro necessari per il sistema integrato di sicurezza e per gli arredi;
   il controllo su tutti gli edifici del tribunale è di competenza del comune, proprietario della cosiddetta «cittadella della giustizia»;
   l'amministrazione comunale, da quanto riportano i giornali locali, avrebbe intenzione di chiedere i danni, per quanto accaduto, alle imprese costruttrici;
   si apprende da notizie di stampa che secondo quanto rilevato dai tecnici del comune, si è verificato in particolare un distacco di formelle dall'edificio rivestito in gres porcellanato –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere per garantire la massima sicurezza a tutti coloro che transitano all'interno e all'esterno della struttura;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere il Ministro interrogato per accertare le cause dei cedimenti del rivestimento esterno, visto anche l'impegno economico che il Ministero della giustizia ha preso per l'apertura del nuovo palazzo di giustizia di Firenze. (4-17149)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 giugno 2011 la Commissione trasporti della Camera ha approvato la risoluzione n. 7-00527 riguardante le problematiche dell'autotrasporto nella regione Siciliana che ha sancito, in particolare, l'impegno per il Governo di promuovere, presso i competenti organi comunitari, una proposta di deroga alla disciplina in materia di guida e di riposo, secondo la procedura stabilita dall'articolo 14 del Regolamento 2006/561/CE, al fine di sterilizzare, relativamente al trasporto di prodotti agroalimentari, i tempi di attesa agli imbarchi per l'attraversamento dello stretto di Messina, fino all'ultimazione dei lavori di adeguamento dell'approdo di Tremestieri;
   in base all'articolo 14 del citato regolamento comunitario, gli Stati membri, previa autorizzazione della Commissione, possono derogare all'applicazione delle disposizioni degli articoli da 6 a 9 (tempi di guida e di riposo) per i trasporti effettuati in circostanze eccezionali, purché la deroga non pregiudichi gli obiettivi indicati all'articolo 1 relativi al miglioramento delle condizioni di lavoro e della sicurezza stradale;
   nel caso di specie risulta necessario considerare che l'utilizzo dei traghetti da parte delle imprese di autotrasporto siciliane, che deriva dall'insularità della regione in cui tali imprese hanno sede, è assimilabile ad una condizione eccezionale, stanti le insormontabili difficoltà derivanti dalle inefficienze logistiche e dalle carenze infrastrutturali che compromettono la fluidità e la regolarità della catena del trasporto e della consegna delle merci, soprattutto con riguardo ai prodotti della filiera agroalimentare;
   risulta che fra le autorizzazioni finora concesse dalla Commissione europea risultano solo sospensioni e modificazioni parziali e temporanee delle regole sui tempi di guida e riposo, con beneficiari circoscritti come per il caso in oggetto poiché si richiederebbe una deroga riferita a settori ristretti – come quello del trasporto dei prodotti ortofrutticoli, per i quali la celerità del trasporto può rappresentare un'esigenza più sentita – e ad un numero limitato di veicoli, con conseguente minore incremento dei rischi per la sicurezza;
   nel corso di un'audizione svoltasi in Commissione trasporti nel mese di febbraio 2012 il Vice Ministro Ciaccia ha confermato l'intenzione di portare avanti tale intervento, insieme ad altre necessarie ed improcrastinabili azioni per la risoluzione delle innumerevoli problematiche del settore dell'autotrasporto in Sicilia, in coordinamento con le autorità della regione Siciliana, al fine della predisposizione di un dossier, a corredo dell'istanza, contenente informazioni puntuali riguardo alla tempistica per l'ultimazione lavori in corso per l'approdo di Tremestieri, utile a definire i limiti temporali della deroga, nonché al numero esatto delle imprese di autotrasporto coinvolte, al fine di circoscrivere la platea dei beneficiari –:
   se il Governo abbia provveduto ad inoltrare l'istanza di deroga alla disciplina in materia di guida e di riposo, secondo la procedura stabilita dall'articolo 14 del regolamento (CE) n. 2006/561, al fine di sterilizzare, relativamente al trasporto di prodotti agroalimentari, i tempi di attesa agli imbarchi per l'attraversamento dello stretto di Messina ed, in caso affermativo, quali siano i tempi previsti per l'ottenimento della risposta da parte dei competenti organi comunitari;
   se e quali ulteriori iniziative il Governo abbia intrapreso, d'intesa con la regione Siciliana, al fine di ottimizzare il sistema logistico della filiera agroalimentare, dato il rilievo strategico e il carattere di priorità rivestito dal comparto nell'intera economia regionale. (4-17143)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZAMPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino in data 24 maggio 2012 ha negato, con protocollo n. 016362/2012, lo status di rifugiato al signor S. M. nato in Mali il 2 febbraio 1994 e giunto minorenne in Italia dalla Libia nell'agosto 2011;
   nello stesso atto la Commissione suddetta indica: «tenuto conto di quanto è emerso nel corso dell'audizione individuale tenuta il giorno 1o marzo 2012 ed alla luce di quanto in precedenza dichiarato dal richiedente al momento della presentazione della sua istanza; udito il relatore; considerato che il richiedente giunto minorenne in Italia ma non segnalato come tale, proviene dalla Libia da dove si sarebbe allontanato forzatamente a causa della guerra civile»;
   a parere dell'interrogante si ravvisa una violazione degli articoli 32 e 33 del testo unico immigrazione, dell'articolo 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo, del decreto del 18 maggio 2011 (rep. n. 2436), nonché degli articoli 403 e 343 e seguenti del codice civile;
   come appurato dalla commissione e come evidentemente già verificato anche dalle questure di Agrigento e Catania, il signor S. M. è giunto in Italia non ancora maggiorenne e non è stata quindi rispettata la procedura per il collocamento dei minori stranieri non accompagnati, indicata nel decreto 18 maggio 2011 (rep. 2436), in cui si prevede che il minore arrivato sul territorio dello Stato italiano a seguito di uno sbarco connesso con l'emergenza umanitaria del Nord Africa, deve essere preliminarmente identificato dalle autorità di pubblica sicurezza le quali provvedono ad un primo accertamento dell'età e procedono a segnalarne la presenza come da direttiva, anche ai fini del collocamento in luogo sicuro e della tempestiva apertura della tutela;
   ai minori stranieri non accompagnati infatti si applicano le norme previste dalla legge italiana in materia di assistenza e protezione dei minori, in particolare quelle riguardanti il collocamento in luogo sicuro (codice civile articolo 403) e l'affidamento del minore temporaneamente privo di un ambiente familiare ad una comunità o famiglia (legge n. 184 del 1983, articolo 3);
   l'articolo 32 del testo unico immigrazione prevede inoltre il rilascio di un permesso di soggiorno e l'attuazione di un progetto di integrazione sociale e civile per i minori non accompagnati;
   tali violazioni hanno leso gravemente i diritti fondamentali del minore ricorrente, giunto in Italia in minore età e non sottoposto a tutela. Egli infatti è stato costretto a formulare la sua richiesta di protezione senza il necessario ausilio del tutore. Tale mancanza di tutela non può che aver inficiato tutta la procedura e, a parere dell'interrogante, il diniego potrebbe essere illegittimo –:
   se non reputi doveroso effettuare le opportune verifiche al fine di accertare come sia stato possibile che un minore straniero non accompagnato seppure identificato da varie questure non sia stato segnalato al comitato per i minori stranieri e non sia stato sottoposto a tutte le procedure previste ex lege per la sua tutela. (5-07549)


   FADDA, CALVISI, MARROCU, MELIS, PES, ARTURO MARIO LUIGI PARISI e SCHIRRU. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nonostante sia compito dello Stato assicurare la sicurezza dei cittadini e, conseguentemente, sia uno specifico dovere provvedere a tutto ciò che occorre per assicurare tale assoluta garanzia, il comune di Pula facendosi interprete delle pressanti richieste – provenienti non solo dai suoi cittadini ma dalla popolazione di un territorio più vasto che raggruppa numerosi altri comuni – volte a far sì che la caserma dei carabinieri fosse allocata in uno stabile più consono e più funzionale rispetto a quello esistente, che oltre ad essere fatiscente era gravato da un procedimento di sfratto, ha contratto un mutuo di euro 1.100.000,00 con la Cassa depositi e prestiti per la realizzazione di una nuova stazione dei carabinieri, garantito da un accordo che prevedeva dopo sei anni di locazione gratuita che il Ministero dell'interno dovesse corrispondere al comune un canone annuo di euro 97.000,00, cifra stabilita dall'UTE;
   l'amministrazione comunale di Pula confidando negli impegni, formalmente, assunti dal Ministero dell'interno all'esito delle trattative precontrattuali, apparentemente, improntate alla buona fede e correttezza interistituzionale, ha realizzato lo stabile e lo ha assegnato all'Arma, perché, in esso, venisse allocata la nuova stazione dei carabinieri;
   alla sensibilità mostrata dall'amministrazione comunale di Pula verso la tutela di un inalienabile diritto dei suoi cittadini e alla sua legittima richiesta del rispetto degli accordi presi con il Ministero dell'interno non deve, assolutamente, rispondersi con atteggiamenti coercitivi da parte dello Stato;
   dall'incontro svoltosi di recente tra i sindaci dei territori interessati, i parlamentari e i consiglieri regionali è emersa la piena condivisione, solidarietà e gratitudine verso l'amministrazione comunale di Pula che con proprie risorse ha risolto un problema strutturale che da anni condizionava negativamente la sicurezza delle popolazioni dell'intera zona che circoscrive Pula;
   gli interventi predisposti dall'amministrazione comunale per perseguire gli interessi della comunità rischiano ora, se non definiti secondo gli accordi, di essere oggetto di un procedimento da parte della Corte dei conti;
   con nota prot. 89228/ASGAC dell'11 dicembre 2008, la prefettura di Cagliari ha trasmesso lo schema di contratto di comodato gratuito per un periodo di sei anni a decorrere dalla data di occupazione dei locali e con lo stesso atto si prevedeva l'impegno alla sottoscrizione di un contratto di locazione in base al canone annuo di euro 97.000,00, predisposto dall'Agenzia del demanio di Cagliari con nota n. 10877/08 del 21 luglio 2008;
   con delibera della giunta comunale n. 7 del 22 gennaio 2009, esso veniva approvato e venivano accettate le clausole e lo schema del contratto di comodato gratuito dello stabile da adibire a nuova sede della stazione dei carabinieri di Pula e con successiva delibera del maggio dello stesso anno si autorizzava la consegna anticipata dell'immobile;
   il prefetto di Cagliari, con la nota del 27 settembre 2011 prot. N. 0060269, comunicava all'amministrazione comunale di Pula la volontà del Ministero dell'interno di prendere in carico lo stabile solo alla condizione di non assumere «obblighi od oneri estranei allo stretto rapporto di utilizzazione gratuita», escludendo l'assunzione di impegni in ordine alla stipula di un contratto di locazione alla scadenza del contratto di comodato;
   tale decisione unilaterale del Ministero dell'interno non tiene, evidentemente, in considerazione il pluriennale percorso amministrativo condiviso dagli enti e, per tale motivazione, l'amministrazione comunale con nota prot. n. 22292 del 7 ottobre 2011, inviata al Prefetto di Cagliari, evidenziava come la proposta dovesse considerarsi inaccettabile;
   in data 18 aprile 2012, presso la sala nuova stazione dei carabinieri di Pula il prefetto di Cagliari, alla presenza del comandante regionale dei carabinieri, ha, formalmente, comunicato all'amministrazione comunale l'impossibilità per il Ministero di assumere qualsivoglia impegno, alla scadenza dei sei anni di comodato gratuito, in ordine alla futura locazione e, nel contempo, ha riportato la disponibilità del Ministero dell'interno all'immediata stipula di un contratto di locazione della durata di sei anni (rinnovabile tacitamente per altri sei anni) proponendo, a titolo di canone locatizio, l'importo di euro 14.275,00, pari all'importo corrisposto per la vecchia sede, a fronte dell'importo concordato, e dichiarato congruo dall'Agenzia del demanio, di euro 97.000,00;
   nella stessa occasione il prefetto e i vertici dell'Arma hanno preannunciato, qualora il comune non avesse accolto la proposta, il trasferimento dei militari nelle stazioni dei paesi vicini lasciando la cittadina priva di un presidio stabile;
   le proposte formulate dal Ministero non prendono minimamente in considerazione gli impegni, formalmente, assunti e le realtà socio-economiche del territorio e gli interroganti ritengono irragionevole che le conseguenze della politica dei tagli alle spese statali ricadano su una piccola comunità, quella appunto del comune di Pula, con meno di 7.500 abitanti;
   invero, il comune di Pula, stanti le nuove disposizioni contenute nelle manovre finanziarie nazionali, oggi in forza del mutuo contratto per la realizzazione dello stabile adibito a nuova caserma dei carabinieri è fortemente penalizzato in quanto si trova nell'impossibilità di ricevere ulteriori finanziamenti per il completamento di importanti opere pubbliche incompiute;
   è assolutamente necessario che lo Stato non faccia gravare sui comuni i costi di proprie primarie competenze, quali appunto quelle relative alla sicurezza dei cittadini –:
   quali iniziative urgenti e indilazionabili intenda adottare il Governo affinché siano rispettati gli accordi tra l'amministrazione comunale di Pula e il Ministero dell'interno evitando qualsiasi tipo di contenzioso e soprattutto che le popolazioni di quei territori siano private dell'indispensabile servizio oggi assicurato dall'Arma dei carabinieri. (5-07550)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALADINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano «La Repubblica» del 28 giugno 2012, sono state riportate dichiarazioni del Ministro dell'interno, prefetto Anna Maria Cancellieri relative la spending review con particolare riferimento al blocco delle assunzioni di 1.500 tecnici della Polizia di Stato cui, a dire del prefato Ministro, conseguirebbe un risparmio di circa 56 milioni di euro;
   ad avviso del Comitato nazionale tecnici istituito in seno alla segreteria nazionale UGL Polizia di Stato ad una siffatta determinazione conseguirebbe una violazione del diritto costituzionalmente riconosciuto al miglioramento delle condizioni di lavoro ed economiche degli appartenenti al ruolo tecnico-scientifico e professionale della polizia di Stato che, allo stato attuale, è composto da circa 6.000 persone suddivise nelle diverse qualifiche e forniscono continue dimostrazioni di professionalità contribuendo anche al contenimento della spesa pubblica mediante lo svolgimento di talune attività senza alcun apporto proveniente da ditte esterne;
   il progetto del Ministro dell'interno finalizzato alla revisione dei capitoli di spesa comprende la revisione ordinamentale del dianzi indicato ruolo della polizia di Stato, in relazione al quale in passato il cartello delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative di cui fa parte l'UGL polizia di Stato ha espresso il proprio fermo parere sfavorevole atteso che la valutazione effettuata dimostra di essere scissa da una reale conoscenza del panorama di professionalità specifiche di cui l'amministrazione della pubblica sicurezza beneficia grazie al ruolo tecnico della polizia di Stato;
   al blocco dei concorsi per il ruolo tecnico-scientifico e professionale consegue una palese violazione dei diritti del personale tecnico della polizia di Stato –:
   quale sia la motivazione in funzione della quale il Ministero dell'interno si sia determinato a disporre il blocco dei concorsi per l'accesso al ruolo tecnico-scientifico e professionale della polizia di Stato e, così facendo, impedisca loro di accedere alle qualifiche professionali superiori.
(4-17139)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIRAGUSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi i giornali siciliani hanno raccontato la storia di A.G. un bambino di Aragona affetto da Nbia Pank 2, una patologia neurodegenerativa estremamente rara, che produce un quantitativo sempre maggiore di ferro nel cervello e che costringe A. su una sedia a rotelle e a nutrirsi esclusivamente con l'ausilio di sondini: soffre di distonie ed è tracheotomizzato, resta vittima di moltissime crisi, che lo costringono a sottoporsi a inusuali risonanze magnetiche, a lunghi ricoveri in rianimazione e a viaggi negli ospedali del nord Italia che la famiglia raggiunge tra mille difficoltà;
   ad oggi, purtroppo, non esistono cure risolutive per la malattia di A. che ha un'invalidità pari al 100 per cento;
   la Nbia Pank 2, patologia rara e di difficile diagnosi, non è inserita tra quelle riconosciute dal Ministero della salute;
   tra i tanti problemi affrontati dalla famiglia di A. vi sono anche quelli lavorativi. La madre del bambino, insegnante di scuola elementare a Catania, da tempo chiede di poter rientrare ad Aragona, ma in graduatoria è sempre superata dai colleghi che rientrano in quanto previsto dall'articolo 21 della legge n. 104, circa i casi di disabilità personale –:
   se alla luce della vicenda esposta in premessa, che certamente riguarderà anche altri docenti, il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per modificare i criteri che regolano la precedenza nei movimenti di trasferimento, passaggio di ruolo, assegnazioni provvisorie e utilizzazioni sulla base della gravità delle patologie riscontrate nei figli minori o comunque se non intenda far valere alcune deroghe sulla base dell'urgenza del ricongiungimento con i figli minori con patologie di particolare gravità. (5-07553)

Interrogazione a risposta scritta:


   RONDINI, LAURA MOLTENI e FABI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il corso di laurea magistrale in odontoiatria e protesi dentale è un corso a numero programmato: ogni anno il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca determina il numero dei posti disponibili per le immatricolazioni (cosiddetto contingente nazionale);
   ogni anno mediamente il numero dei posti del contingente nazionale per l'odontoiatria è di circa 800, suddivisi tra le più di 30 università italiane. L'accesso a tale corso di laurea è subordinato alla prova di ammissione, che per l'anno accademico 2012/2013 si svolgerà il 4 settembre 2012;
   l'università Vita-Salute S. Raffaele di Milano offre due corsi di laurea di area odontoiatrica: corso di laurea magistrale in odontoiatria e protesi dentaria (6 anni); corso di laurea in igiene dentale (3 anni);
   i docenti universitari di ruolo, che possono insegnare in tali corsi di laurea le materie specialistiche odontoiatriche, appartengono solo ai seguenti settori scientifici disciplinari (SSD): MED/28 (malattie odontostomatologiche), MED/29 (chirurgia maxillo-facciale), MED/50;
   l'università Vita-Salute S. Raffaele di Milano attualmente ha solo 3 docenti: Gherlone: ordinario MED/28, Bollero: ricercatore non confermato MED/28, Dagna: associato non confermato MED/50 (non dentista, ma specialista in medicina interna);
   il professor Gherlone è stato referente per l'odontoiatria presso il Ministero della salute nell'ultimo Governo Berlusconi, quando Ministro era il professor Ferruccio Fazio, anch'egli docente presso l'università Vita-Salute S. Raffaele di Milano. Attualmente è Gherlone il presidente eletto del collegio dei docenti di odontoiatria. È l'unico docente di ruolo di area odontoiatrica dell'università;
   il dottor Bollero risulterebbe coinvolto in un contenzioso relativo al suo concorso, come si evince da notizie di stampa apparse su la Repubblica del 4 gennaio 2012;
   il bando di concorso per l'ammissione al corso di laurea magistrale in odontoiatria e protesi dentale per l'anno accademico 2012/2013 prevede 40 posti con una retta di 30.000 euro all'anno (180.000 euro per il corso di studi di 6 anni);
   il bando di concorso per l'ammissione al corso di laurea in igiene dentale per l'anno accademico 2012/2013 prevede 25 posti con una retta di 4.800 euro all'anno (14.600 per il corso di studi di 3 anni);
   i suddetti corsi prevedono, a pieno regime, 240 studenti di odontoiatria (40 per 6) e 75 studenti di igiene (25 per 3): in tutto 315 studenti all'anno nei vari anni dei 2 corsi di laurea, di cui in 240 pagheranno complessivamente 180.000 euro ciascuno e 75 pagheranno 14.600 euro ciascuno;
   all'interrogante non appare congruo che un numero di docenti così esiguo (uno solo per ogni corso di laurea) possa formare un così elevato numero di studenti;
   ci si chiede nel caso in cui venissero coinvolti docenti non di ruolo a contratto, quale qualità della formazione si garantirebbe a fronte di un esborso di 180.000 euro per l'intero corso di studi di odontoiatria) –:
   se si ritenga congruo che i 40 posti all'anno per la laurea in un ateneo italiano non statale, l'odontoiatria dell'università Vita-Salute S. Raffaele di Milano, possano far parte del contingente nazionale (circa 800 posti all'anno). (4-17153)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GNECCHI, SCHIRRU e BOCCUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comma 2-quater dell'articolo 6 della legge 24 febbraio 2012, n. 14, recita: «Le disposizioni dell'articolo 24, comma 10, terzo e quarto periodo, del citato decreto-legge n. 201 del 2011, in materia di riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici, non trovano applicazione, limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora la predetta anzianità contributiva ivi prevista derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria»;
   la suddetta norma che prevede le penalizzazioni in caso di pensione anticipata con un'età inferiore a 62 anni, non ha incluso fra i periodi calcolabili come prestazione effettiva di lavoro: i periodi riconosciuti per l'esposizione all'amianto, la disoccupazione indennizzata, le giornate di permesso previste dalla legge n. 104 del 1992 concesse per l'assistenza di famigliari disabili gravi e l'aspettativa facoltativa per maternità, gli attuali congedi parentali; in sostanza ha voluto escludere la contribuzione figurativa, senza tener conto della motivazione che la produce;
   è quantomeno singolare che benefici previsti da leggi dello Stato, quale parziale risarcimento, per situazioni di particolare pericolosità, come l'attività lavorativa con l'esposizione all'amianto, anziché essere debitamente considerati, vengano esclusi e quindi ulteriormente penalizzati con la norma sopra richiamata;
   lo stesso dicasi per coloro, soprattutto donne, che si fanno maggiormente carico dei lavori di cura e assistenza in famiglia ma che non trovano, nella norma richiamata, il dovuto riconoscimento per le giornate di permesso di cui alla legge n. 104 del 1992 e per le assenze connesse alla maternità facoltativa –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, per evidenti ragioni di equità sociale, di promuovere una modifica della norma richiamata, al fine di considerare prestazione di effettivo lavoro le fattispecie sopra richiamate. (5-07547)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUONANNO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato sul quotidiano Italia Oggi del 12 luglio 2012, il voto che il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, dà alla riforma del mercato del lavoro da poco approvata dal Parlamento è un bel 5 in pagella;
   per Giampiero Proia, professore ordinario di diritto del lavoro presso la facoltà di giurisprudenza dell'università Roma Tre e docente di diritto della previdenza sociale presso la Luiss di Roma, intervenuto alla due giorni organizzata dalla Confprofessioni il 6 e 7 luglio a Castelbrando di Cison di Valmarino, in provincia di Treviso, nota dolente della riforma è il trade off tra flessibilità in entrata ed in uscita «che non può essere configurabile per le piccole imprese e per gli studi professionali», perché a suo parere «la possibilità di assumere un lavoratore con un contratto a tempo indeterminato con la chance di poterlo poi licenziare senza reintegra non è sufficiente a compensare la minor possibilità di assunzione flessibile»;
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ASCA del 12 luglio 2012, per il direttore generale di Confcommercio, Francesco Rivolta, la riforma del lavoro «non ha colto nel segno (...) l'Unione europea ci ha chiesto più flessibilità in uscita ed un riordino degli ammortizzatori sociali; al contrario con la riforma è stata ridotta la flessibilità in entrata, sono aumentati gli oneri a carico delle imprese ed il costo del lavoro»;
   è evidente il coro unanime di critiche alla riforma del mercato del lavoro, ostinatamente voluta dal Ministro interrogato; giudizi negativi, peraltro, sono stati espressi dalla stessa maggioranza parlamentare che sostiene l'attuale compagine governativa, tant’è che la riforma medesima è stata approvata con voto di fiducia ed un accordo sottostante di accettarla così come era giunta all'esame della Camera dei deputati, per vararla entro il 27 giugno 2012, in cambio di un impegno del Governo a modificarla subito dopo la riunione del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012;
   si ricorda, infatti, che la sera del 20 giugno 2012 la Presidenza del Consiglio ha diffuso una nota nella quale – è il caso di citarla testualmente – «Il Governo ha chiesto al Parlamento di accelerare l'esame sulla riforma del mercato del lavoro contenendolo entro tempi compatibili con l'esigenza che la legge sia approvata entro il 27 giugno, affinché il Consiglio Europeo del 28 giugno possa prendere atto del varo di questa importante riforma strutturale. Il Governo si impegna a risolvere tempestivamente, con appropriate iniziative legislative, altri problemi posti dai gruppi parlamentari: la questione dei cosiddetti esodati e alcuni aspetti della flessibilità in entrata e degli ammortizzatori sociali»;
   al momento in entrambi i rami del Parlamento è in corso l'esame di ben sei decreti-legge, tutti in scadenza entro il mese di agosto 2012 (decreto-legge proroga di termini del codice degli appalti; decreto-legge proroga termini in materia sanitaria; decreto-legge crescita e sviluppo; decreto-legge vigili del fuoco; decreto-legge dismissione del patrimonio pubblico e decreto-legge razionalizzazione della spesa pubblica), ma non c’è alcuna traccia di decreti correttivi alla legge n. 92 del 2012 –:
   se ed entro quali tempi il Governo intenda mantenere gli impegni assunti, tenuto conto che le misure restrittive in materia di flessibilità in entrata e di assicurazione sociale per l'impiego contenute nella legge n. 92 del 2012 – come da più parti evidenziato – necessitano di urgenti interventi correttivi al fine di evitare drammatici effetti di disoccupazione, e di lavoro sommerso con soggetti privi di copertura reddituale. (4-17152)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI, BRANDOLINI, ZUCCHI, TRAPPOLINO, OLIVERIO, SERVODIO e FIORIO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da organi di informazione sono «in tutto 2.300 i prosciutti Dop (Parma, San Daniele e Modena) sequestrati dai Nas di Cremona in una quarantina di stabilimenti di stagionatura emiliani e friulani perché provenienti da maiali nutriti con rifiuti speciali, cioè scarti dell'industria alimentare che dovevano essere smaltiti negli impianti di biogas. Il proprietario dell'allevamento è stato denunciato per frode in commercio e vendita di prodotto non genuino, e anche per traffico illecito di rifiuti in concorso con il titolare di due aziende alimentari (una nel mantovano e una nel parmense) che gli vendeva gli scarti di produzione;
   nel corso di tale operazione denominata «trash food» sono stati sequestrati 900 prosciutti di Parma e di Modena e 400 San Daniele, per un valore di circa 300 mila euro, oltre a 750 maiali e 30 mila tonnellate di scarti di lavorazione;
   i prodotti DOP ed IGP sono obbligati a specifiche regole di etichettatura disciplinati dal Regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari e dal Regolamento (CE) n. 628/2008 della Commissione del 2 luglio 2008 che modifica il regolamento (CE) n. 1898/2006 recante modalità di applicazione del Regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari. Le norme obbligatorie previste riguardano:
    gli acronimi «Denominazione di origine protetta» e «Indicazione geografica protetta» (oppure i relativi simboli comunitari);
    la dicitura «Garantito dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali ai sensi dell'articolo 10 del Reg. (CE) n. 510/2006»;
   l'utilizzo di mangimi per animali da reddito, da pelliccia e da compagnia è disciplinato, a livello comunitario, dal «Reg (CE) 767/2009 – Immissione sul mercato e uso dei mangimi»;
   le frodi a tavola sono quelle più temute dagli italiani con sei cittadini su dieci (60 per cento) che le considerano più gravi di quelle fiscali e degli scandali finanziari, poiché possono avere effetti sulla salute: è quanto afferma la Coldiretti sulla base di una indagine Swg. Sempre secondo la Coldiretti le frodi e le falsificazioni sottraggono «all'agroalimentare nazionale ben 164 milioni al giorno che potrebbero invece generare reddito e occupazione»;
   per la Cia «l'Italia è al primo posto in Europa per segnalazioni di cibi contraffatti. Una piaga che colpisce soprattutto i prodotti a denominazione, che dovrebbero offrire un'assoluta garanzia di sicurezza, il primo criterio di scelta d'acquisto per otto italiani su dieci». «L'Italia – sottolinea la Cia – è leader europeo per numero prodotti a denominazione (242) con 153 DOP e 89 IGP. Nel nostro Paese i sequestri di prodotti alimentari sofisticati superano il valore di un miliardo di euro l'anno, con cifre in crescita. Nel 2011 sono infatti state portate a termine 13.867 operazioni, un numero più che triplicato rispetto all'anno precedente»;
   questa situazione allarmante, che penalizza il Paese sia dal punto di vista economico e produttivo, viene confermata dai risultati della recente indagine promossa dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della contraffazione e della pirateria in campo commerciale e agroalimentare;
   è palese il danno di immagine che le nostre imprese subiscono ogni volta che vicende come quella in oggetto si verificano;
   risulta evidente ed importante come il sistema dei controlli di cui il Paese si è dotato sta consentendo di portare alla luce importanti situazioni;
   risulta altrettanto evidente come la volontà del legislatore, delle amministrazioni pubbliche con competenza in materia di agricoltura e di sicurezza alimentare si siano espressi chiaramente in direzione di norme certe in materia di tracciabilità ed etichettatura dei prodotti –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga urgente ed opportuno intraprendere ulteriori provvedimenti utili per prevenire e contrastare le frodi alimentari e tutelare la salute del consumatore ed il benessere animale, anche attraverso un più efficace coordinamento degli attori deputati ai controlli, e verificando anche unitamente al Ministro competente, iniziative normative per l'inasprimento delle pene previste per tali reati;
   se non ritenga utile promuovere, sia a livello comunitario che nazionale, l'utilizzo di una etichettatura che preveda, soprattutto per i prodotti tipici certificati, anche informazioni complete e chiare sulla modalità di alimentazione degli animali allevati, le cui carni sono utilizzate per preparare i prodotti stessi. (5-07551)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURER, BOSSA e FARINA COSCIONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con circolare del 15 febbraio 1999 dell'allora Ministro della sanità, inviata agli assessori alla sanità delle regioni e delle province autonome, si stabilivano le linee di indirizzo circa le pratiche della cosiddetta terapia elettroconculsivante (TEC) sottolineando come «nonostante la grande quantità di ricerche condotte negli ultimi decenni, non è stato ancora chiarito in maniera precisa il meccanismo d'azione della TEC. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto in passato, si ritiene oggi che la convulsione generalizzata sia insufficiente a spiegare l'efficacia terapeutica del metodo, e che siano fondamentali altri fattori, al di là della convulsione (Sackeim, 1994)»;
   il contesto in cui si è andata sviluppando ed affermando l'intera esperienza territoriale italiana nel campo della psichiatria pubblica e la cospicua legislazione nazionale e regionale, oltre che il sapere diffuso che è maturato in oltre trent'anni, in questo settore, non lasciano alcuno spazio a un ritorno al passato: questa pratica non può che essere in fortissima dissonanza con quanto fin qui realizzato. È doveroso continuare a contrastare la semplificazione delle risposte – che di norma producevano, prima della legge n. 180 del 1978, la costrizione e la chiusura del paziente – più che farsi carico della complessità dei bisogni e dei diritti inalienabili di quanti esprimono disagio e sofferenza, così come avviene oggi in tante realtà;
   la TEC risente in tutte le sue modulazioni di vecchie pratiche di violenza e di abusi, trattandosi comunque di una pratica finalizzata allo «spegnimento» piuttosto che al potenziamento e alla valorizzazione delle risorse personali del paziente. La TEC non cambia nei fatti la sua natura, e resta, pertanto, un trattamento che faceva dire già nel 1995 al Comitato nazionale per la bioetica che «la psichiatria attualmente dispone di ben altri mezzi per alleviare la sofferenza mentale...»; un trattamento indissolubilmente legato alla pratica manicomiale molto di più di qualunque altro trattamento biologico; nel manicomio l'intervento era sempre sul corpo del paziente ridotto ad oggetto dell'internamento. La TEC interviene sul corpo (oggettivato, passivizzato, anestetizzato) negando qualunque spazio alla relazione col paziente, che è il vero fondamento del lavoro territoriale, mentre altri interventi, per esempio quelli farmacologici, la consentono. Questo aspetto sarebbe sufficiente, ad avviso degli interroganti, a suscitare una riserva etica sull'uso della cosiddetta terapia elettroconvulsivante, tanto più che, sia in passato che ancora oggi, alla luce delle più recenti revisioni della letteratura scientifica (vedi anche in Read e Bentall), resta assolutamente controindicata, in ragione della sua inesistente incidenza risolutiva rispetto a trattamenti terapeutici quali la riabilitazione, gli psicofarmaci e le psicoterapie, e che rimane del tutto avulsa da qualsivoglia contesto comunicativo essendo chiaramente antiterapeutica;
   i dati, consegnati dal Ministro della salute Renato Balduzzi alla Commissione di inchiesta sul sistema sanitario nazionale, indicano che nel 2008 i pazienti con indicazione di trattamento di elettroshock sono stati 521, 480 nel 2009 e 405 nel 2010, per un totale di 1406;
   sarebbe opportuno conoscere se, tenuto conto del numero esorbitante degli elettroshock praticati nel triennio, siano state rispettate le indicazioni contenute nella circolare 15 febbraio 1999 e precisamente quelle indicate al punto 5 circa il monitoraggio, la sorveglianza e la valutazione, e specificamente quelle relative all'attivazione di un sistema di sorveglianza per monitorare e valutare indicazioni, frequenze, procedure ed esiti delle applicazioni, come il ricorso alla peer review (revisione fra professionisti alla pari) o ad un'apposita commissione composta da professionisti esterni alla struttura ove si effettua il trattamento, tenendo altresì conto che «la TEC non costituisce un presidio terapeutico a se stante, ma deve necessariamente essere considerata all'interno di un programma terapeutico personalizzato integrato con altri interventi;
   occorre verificare se prima di effettuare la TEC sia stata sempre istituita ed attivata la commissione tra pari o, come recita la circolare del 1999, l’«apposita commissione composta da professionisti esterni alla struttura dove si effettua il trattamento», al fine di vagliare scrupolosamente se persistevano tutte le condizioni ovvero:
    a) la congruità della diagnosi, atteso che restano assai poco chiare le verifiche scientifiche circa l'efficacia del trattamento TEC relativamente ai pazienti affetti da episodio depressivo grave con sintomi psicotici e rallentamento psicomotorio (classificazione ICD 10), quando non possono attuarsi terapie farmacologiche, ovvero nei casi di vera ed accertata farmacoresistenza e nei casi nei quali è controindicato l'uso di psicofarmaci e di documentati precedenti e gravi effetti collaterali imputabili agli antidepressivi;
    b) la verifica di tutta la documentazione clinica del paziente e della sua storia, con riferimento specifico ai precedenti trattamenti, alla durata degli stessi come anche gli eventuali fallimenti, compresi i trattamenti TEC ed i loro esiti;
    c) i criteri di valutazione indicati dal comitato di consulenza e verifica circa la risposta terapeutica, come la valutazione clinica dei risultati dei trattamenti prima e dopo ogni trattamento TEC –:
   se in tutte le regioni siano state istituite ed attivate le commissioni di valutazione e verifica e se siano in atto, da parte del Ministero della salute, verifiche, per quanto di competenza, puntuali nelle strutture pubbliche e private dove viene praticata la TEC, al fine di stabilire se ci si è rigorosamente attenuti, prima dell'effettuazione di interventi di TEC, a quanto espressamente previsto dalla circolare 15 febbraio 1999;
   se non ritenga di assumere iniziative, anche normative, per eliminare del tutto e definitivamente l'uso della TEC – che continua a mantenere il funesto mito della inguaribilità della malattia mentale e che le pratiche territoriali hanno definitivamente ed inequivocabilmente affossato nel nostro Paese – in ragione del rispetto dovuto ai sofferenti psichici, alla loro soggettività mortificata da tali pratiche, alle inesistenti evidenze scientifiche del trattamento. (5-07554)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come riferito dal quotidiano «La Repubblica» del 25 luglio 2012, nel servizio «E un'altra madre chiede la verità sul figlio. Lo hanno fatto cadere dopo il parto», della giornalista Angela Maria Erba, una giovane mamma, la signora Regina Trovalusci, ha denunciato di aver partorito prematuramente, il 24 gennaio 2012, all'ospedale San Giovanni di Roma un piccolo;
   in questo caso, a uccidere il nascituro sarebbe stata, secondo quanto si legge, «la totale mancanza di assistenza da parte dei medici»; quando infatti il piccolo venne al mondo, la madre «era completamente sola in sala parto. Abbandonata dal personale sanitario, avrebbe visto il piccolo scivolare a terra e sbattere la testa nell'indifferenza generale»;
   tutto sarebbe cominciato il 19 gennaio 2012, quando la donna, alla ventunesima settimana di gravidanza, preoccupata per alcune perdite ematiche, ha effettuato un controllo all'ospedale di Genzano di Roma; dopo poche ore viene mandata al San Giovanni per «più approfonditi accertamenti medici»; qui sarebbe stata dimessa nel giro di poche ore con la diagnosi di «gravidanza in evoluzione»; i test avevano rilevato che la placenta era integra e che il liquido estratto con il tampone era muco;
   ciò nonostante, appena tre giorni dopo, la signora Trovalusci lamenta altre perdite, ritorna all'ospedale, dove viene ricoverata per essere condotta, il 24 gennaio 2012, in sala parto; qui ad attenderla ci sono medico, ostetrica e infermiera. La donna sarebbe stata sistemata per il parto e alla base del corpo avrebbero alloggiato una bacinella. Forse, si legge nella cronaca della giornalista Erba, «convinti che la nascita non sarebbe stata immediata, lasciano la signora sola. Poi, all'improvviso, il neonato esce dall'utero e cade nella bacinella, sbattendo la testa. La donna sente un tonfo sordo. E a quel punto arriva l'infermiera che taglia il cordone ombelicale. Ma dopo pochi istanti torna, annunciando la morte del piccolo» –:
   di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'accaduto;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze intenda adottare per contribuire a fare piena luce sulla vicenda. (4-17145)


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come hanno riferito agenzie di stampa, quotidiani e siti internet di informazione, all'ospedale Careggi di Firenze è stata effettuata una trasfusione di sangue a un uomo ricoverato in gravi condizioni a causa di una cardiopatia, che però non aveva alcuna necessità di un simile trattamento;
   dopo alcuni giorni da quella trasfusione il paziente è deceduto;
   la trasfusione doveva essere fatta ad un altro paziente, un uomo con problemi vascolari che si trovava nello stesso reparto;
   per cause ancora da accertare, il personale dell'unità operativa si è diretto verso il letto sbagliato; il sangue iniettato era di un gruppo diverso da quello della persona a cui è stato effettivamente trasfuso, cosa che ha scatenato una sorta di reazione allergica; le condizioni già precarie di salute del paziente sono così precipitate e l'uomo è morto nel giro di pochi giorni;
   sembrerebbe che l'ospedale non abbia inviato una relazione sull'accaduto alla procura della Repubblica –:
   di quali elementi disponga in merito alla dinamica di quanto accaduto e, in particolare, sui motivi che abbiano portato a un simile, tragico errore;
   quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare in ordine a una vicenda che oltre che gettare nella disperazione i parenti della vittima, ha comprensibilmente scosso il Careggi e l'opinione pubblica. (4-17147)


   PEDOTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è trascorso più di un anno e mezzo da quando è stato approvato l'accordo tra Stato e regioni del 2010 sul percorso nascita, che prevede sia una riorganizzazione dei punti nascita, non solo sulla base del numero dei nati, ma anche del contesto geografico in cui si trovano, sia l'istituzione presso il Ministero della salute di un comitato per il percorso nascita con il compito di monitorare l'attuazione dell'accordo, raccogliendo i report che le regioni devono inviare (anche se non obbligatoriamente) ogni 6 mesi;
   l'applicazione di tale accordo prevedeva la chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti l'anno e stando all'ultimo rapporto del Cedap (certificati di assistenza al parto) del 2009, i punti nascita con tali caratteristiche in Italia sono 153, tra pubblici, privati accreditati, ma ad oggi ne sono stati chiusi solo 57;
   l'accordo prevedeva, inoltre, come data ultima il 30 giugno 2012 per l'invio dei dati al Ministero da parte delle regioni sul riordino dei punti nascita, ma a tale data solo otto regioni hanno comunicato i loro dati. Si tratta del Molise, che è passato da 5 a 3 punti nascita, la Sardegna da 23 a 21, il Veneto da 42 a 40, la Liguria da 13 a 11, la Basilicata da 8 a 5. La Calabria ha chiuso 7 punti nascita pubblici e 2 cliniche private, mentre la Sicilia ha programmato la chiusura di 27 punti, dando tempo fino al 1o ottobre per presentare piani di riconversione, adeguamento e rimodulazione, e rimarrà complessivamente con 42 punti nascita aperti. La Puglia ha stabilito di doverne disattivare 10. La Campania invece, con il 62 per cento di tagli cesarei, effettuati soprattutto nelle strutture private e più piccole, non ha chiuso neanche un punto nascita, secondo quanto si è appreso;
   in Italia, come riferisce il comitato per il percorso nascita, l'8,9 per cento delle nascite avviene in strutture con meno di 500 parti l'anno, che però rappresentano il 28,2 per cento dei punti nascita italiani;
   quello di chiudere queste strutture è un obiettivo da raggiungere entro tre anni dall'accordo, dunque entro fine 2013, ma tornato d'attualità con la spending review e il taglio previsto di 15-18mila posti letto. Per arrivarci, tra le unità operative «ridondanti» e troppo piccole da sforbiciare sono stati considerati proprio i punti nascita con meno di 500 parti l'anno. Si tratta di un'opera di razionalizzazione il cui principale obiettivo è quello di offrire maggiore sicurezza a madre e nascituro;
   secondo sempre i dati del Cedap, nel 2009 il 66,7 per cento dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui, che rappresentano il 37,2 per cento dei punti nascita totali. In Piemonte, Valle d'Aosta, Veneto ed Emilia Romagna circa il 90 per cento dei parti si svolge in punti nascita di grandi dimensioni, mentre l'opposto avviene nelle regioni del Sud, come Molise e Sardegna, dove oltre il 20 per cento dei parti si svolge in strutture con meno di 500 parti annui. In generale, nelle altre regioni meridionali si osserva una prevalenza dei parti nelle strutture con meno di 800 nascite annue, in particolare in Calabria oltre il 56 per cento dei parti ha luogo in punti nascita con meno di 800 parti annui –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per acquisire dati anche da parte delle regioni fino ad oggi inadempienti e se non ritenga opportuno predisporre ulteriori iniziative affinché questo processo di razionalizzazione dei punti nascita si concluda effettivamente entro il 2013, assicurando così una reale tutela della salute del nascituro e della partoriente. (4-17150)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARGIOTTA e LUONGO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane ha nei mesi scorsi presentato un ulteriore piano di ristrutturazione organizzativa del servizio postale (dopo quello del 2010, il cosiddetto progetto «8venti») che prevede pesanti effetti sugli organici e sulla regolarità del servizio in 5 regioni, tra cui la Basilicata;
   nei giorni scorsi, Poste Italiane ha presentato all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) un piano di razionalizzazione degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono l'equilibrio economico e che quindi, dovrebbero essere soppressi;
   detti tagli e chiusure interesseranno la Basilicata con la soppressione di 50 zone di recapito, il declassamento del CP di Potenza a centro di distribuzione master, la chiusura di 17 uffici postali e la razionalizzazione (ovvero apertura a giorni alterni) di altri 21, con la conseguente soppressione di un totale di 100 posti di lavoro in organico;
   nel mese di febbraio 2012 le organizzazioni sindacali e i sindaci di numerosi comuni lucani hanno segnalato gravi disservizi sia nella distribuzione del recapito sul territorio che negli uffici postali, denunciando un sottodimensionamento dell'organico in Basilicata di circa 100 unità; le stesse organizzazioni sindacali e i sindaci ancora oggi denunciano gravi disservizi sia sul recapito che sui servizi di sportello;
   in concomitanza con la cosiddetta campagna «bonus idrocarburi» di cui Poste Italiane ha gestito – con ricavi stimabili tra i 3 e i 5 milioni di euro – la distribuzione e l'attivazione, si sono rilevate, in particolare, per tutto il periodo della campagna (luglio-settembre 2011 e ottobre-dicembre 2011) lunghe code agli sportelli che – in alcuni casi – hanno determinato anche problemi di ordine pubblico e sicurezza;
   al disagio sopra descritto, sia nel recapito sia nella sportelleria, che hanno vissuto i cittadini lucani corrisponde altresì lo stress a cui sono sottoposti i lavoratori sulle cui spalle pesa la mole di lavoro esorbitante scaturita dalle carenze di personale e dalle attività straordinarie che vengono loro richieste;
   risulta, inoltre, che – in ambito recapito – l'azienda faccia un utilizzo abituale improprio e non consentito dagli accordi tra le parti del cosiddetto «abbinamento» (viene cioè assegnata al portalettere una porzione di territorio – cosiddetta «zona» – aggiuntiva a quella da lui normalmente servita a copertura delle eventuali scoperture); l'abbinamento verrebbe infatti utilizzato anche per sopperire alle assenze del personale in ferie (gli accordi prevedono invece che nel caso in ispecie vengano effettuate assunzioni), con la conseguenza di un sovraccarico di lavoro per gli addetti in servizio e di una gestione non efficiente del servizio recapito;
   in particolare sul recapito, inoltre, i ridimensionamenti previsti lasciano intendere una volontà di progressivo abbandono del servizio, con conseguente compromissione di una delle funzioni più importanti della società, la sua stessa missione iniziale, e il concetto stesso del servizio universale – di cui Poste è ancora nei fatti gestore in monopolio per ulteriori 15 anni almeno – per il quale lo Stato riconosce i relativi contributi proprio per assicurare là capillarità e la qualità del recapito postale; nel nuovo progetto preoccupa, assieme alla diminuzione degli organici, l'assenza di concrete azioni ed idee di sviluppo: questo è, ad avviso degli interroganti, un progetto fittizio, elaborato unicamente per giustificare un ulteriore ridimensionamento di personale e aumento di guadagno a discapito del servizio già oggi inefficiente;
   la Basilicata – in considerazione delle sue caratteristiche orografiche, della distribuzione della popolazione in numerosi piccoli e piccolissimi centri, delle carenze strutturali e del problema della desertificazione – ottenne nel 2005, in conseguenza della cosiddetta «vertenza Basilicata», sostenuta allora con forza da sindacati, amministratori locali, parlamentari e cittadini, un accordo con l'amministratore delegato di Poste Italiane, Massimo Sarmi che riconosceva la specificità territoriale della regione e il diritto alla apertura di un tavolo istituzionale ogni qualvolta se ne presentasse l'esigenza per problemi legati all'erogazione dei servizi di Poste; la convocazione di detto tavolo è stata già richiesta a febbraio dalle organizzazioni sindacali, in conseguenza delle questioni sopra descritte; a detta richiesta l'azienda non ha sino ad oggi dato risposta;
   Poste Italiane, nell'incontro del 25 luglio 2012, con le organizzazioni sindacali regionali di Basilicata, ha annunciato l'avvio dei primi tagli già dal 31 luglio 2012, nonostante l'ANCI e gli stessi sindacati abbiano formalmente richiesto all'amministratore delegato Massimo Sarmi la sospensione degli interventi;
   Poste Italiane è una società per azioni, con il Governo come socio unico, con fiorenti bilanci posto che per l'anno 2011 l'utile netto è a quota 846 milioni di euro e si registra un risultato operativo di 1,641 milioni di euro, che conferma come la leadership mondiale di Poste Italiane tra gli operatori postali per redditività –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito ai tagli annunciati dalla società Poste Italiane nell'ambito recapito e alle chiusure degli uffici postali in Basilicata e se ritenga che questi siano compatibili con la salvaguardia del principio dell'universalità del servizio e con le politiche di sviluppo del territorio, in particolare quello della Basilicata;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per evitare che servizi di interesse generale ed essenziale gestiti praticamente in monopolio da un'azienda di cui il socio azionista unico è il Governo vengano – essendo già gravemente carenti – ulteriormente ridotti in termini di qualità e quantità in una regione come la Basilicata, già sofferente per carenze infrastrutturali e per problemi economici e di desertificazione del territorio;
   quali iniziative intenda assumere al fine di accelerare l'apertura del richiesto tavolo di confronto istituzionale tra le organizzazioni sindacali, la regione, le amministrazioni locali, e l'azienda, così come previsto nel citato accordo tra le parti del 2005. (5-07548)


   FADDA, CICU, CALVISI, MARROCU, MELIS, MEREU, ARTURO MARIO LUIGI PARISI, PES e SCHIRRU. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   permangono forti le preoccupazioni per i lavoratori dello stabilimento di Alcoa in quanto, stando alle ultime notizie apprese dalla stampa locale, se entro il 31 agosto 2012 il gruppo tedesco Aurelius non dovesse siglare la lettera di intenti finalizzata oltre che a garantire – secondo le precise richieste di Alcoa – la continuità della produzione nella fabbrica di Portovesme e la stabilità occupazionale degli stessi lavoratori quasi certamente inizieranno le operazioni di fermata;
   in un clima di estrema incertezza come quello che si sta determinando, emergono segnali di allarmismo e di tensione sociale che con forza e determinazione gli enti locali del territorio e i sindacati stanno cercando di contenere, portando tale disagio all'attenzione del Ministero dello sviluppo economico affinché si affronti urgentemente la questione relativa al futuro di questo stabilimento;
   con la risoluzione conclusiva di dibattito n. 8-00170, presentata in Commissione nella seduta n. 636 dell'11 aprile 2012, la Commissione ha impegnato il Governo a:
    a confermare la valenza strategica nazionale del settore dell'alluminio e, conseguentemente, dello stabilimento di Portovesme e ad avviare le opportune azioni, a livello nazionale per individuare le soluzioni strutturali necessarie per la continuità produttiva dell'impianto di Portovesme;
    a proporre alla Commissione europea, al fine di elaborare un piano strategico di rilancio dell'industria dell'alluminio primario in Italia, un vertice dei Ministri competenti per definire con sollecitudine una strategia che scongiuri la delocalizzazione dall'Europa dell'industria primaria di alluminio, attivando le azioni indispensabili per favorire il mantenimento degli asset produttivi in Europa;
    a promuovere, compatibilmente con le attuali condizioni di finanza pubblica, un apposito contratto di programma per la filiera dell'alluminio primario con un ammontare adeguato a consentire la razionalizzazione del processo produttivo per quanto riguarda sia la produzione elettrica sia la ripresa produttiva dello stabilimento Eurallumina;
    a verificare la fattibilità di una proroga, per un periodo contenuto, delle misure finalizzate alla sicurezza di approvvigionamento di energia elettrica nelle isole maggiori, tenendo conto delle esigenze di sicurezza del sistema elettrico e aprendo a tal fine un'interlocuzione anche a livello europeo;
    ad assumere al più presto iniziative normative per la ridefinizione delle tariffe elettriche applicate alle attività produttive, con particolare riguardo alle imprese energivore;
    a promuovere, attraverso opportune iniziative con le società di produzione elettrica, il contenimento dei costi dell'energia al fine di riequilibrare il mercato che risulta distorto da posizioni dominanti e monopoliste;
    a valutare se sussistano le condizioni tecniche per riconoscere in un'unica rete interna di utenza la centrale elettrica e lo stabilimento Alcoa in modo da esentare l'acquirente dal pagamento degli oneri di sistema;
    a contribuire, insieme alla regione Sardegna, alla realizzazione delle infrastrutture necessarie, in particolare quelle portuali, per superare i costi dell'approvvigionamento della materia prima, intervenendo velocemente affinché inizino i lavori dell'infrastruttura del gasdotto Algeria-Italia;
    a esercitare tutte le iniziative necessarie a garantire la continuità produttiva del sito di Portovesme, anche individuando una nuova compagine imprenditoriale che prosegua e consolidi l'attività produttiva;
    ad assumere le iniziative di competenza affinché Alcoa provveda al ripristino ambientale e al pagamento della sanzione di 300 milioni di euro comminata dall'Unione europea, nell'eventualità in cui l'azienda, nonostante gli impegni assunti per risolvere il problema del costo dell'energia e delle infrastrutture, dovesse confermare la chiusura dello stabilimento;
    ad adoperarsi, con il concorso dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas e Terna, per la piena operatività degli strumenti introdotti dalla legge n. 99 del 2009 i cui meccanismi che possono contribuire a ridurre il costo dell'energia per gli utenti energivori produttori;
   si ritiene necessario valutare attentamente la notizia stampa secondo la quale, nonostante sia evidente una criticità del gruppo Alcoa ascrivibile soprattutto al prezzo dell'alluminio che, complici la scarsa domanda dall'Europa, l'incertezza globale e una eccessiva produzione, è sceso al minimo degli ultimi due anni, lo stesso gruppo ha firmato con Airbus, il gigante dell'aeronautica controllato da Eads, un contratto pluriennale dal valore complessivo di 1,4 miliardi di dollari con il quale si prevede la fornitura di alluminio e altri prodotti in lega di ultima generazione, per il settore aerospaziale –:
   quali iniziative siano state intraprese dal Governo in ordine agli impegni definiti dalla risoluzione sopra citata e se ritenga, vista la drammaticità della crisi che investe la Sardegna, determinare tutti gli atti necessari affinché sia definito con Alcoa, anche alla luce delle nuove necessità produttive, un piano di continuità industriale che assicura la permanenza di tale realtà nel territorio del Sulcis Iglesiente;
   se il Ministro intenda accogliere in tempi stretti la richiesta di incontro con i sindacati e gli enti locali per verificare le reali intenzioni del gruppo tedesco Aurelius e scongiurare il rischio immediato della fermata dello stabilimento Alcoa.
(5-07552)


   BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico.— Per sapere – premesso che:
   autorevoli organi di stampa riportano, sempre più frequentemente, allarmanti notizie circa l'indiscriminata politica di ristrutturazione del mercato assicurativo del settore della responsabilità civile auto messa in atto dalla maggior parte delle compagnie che, violando il principio dell'obbligo a contrarre l'assicurazione, negano la copertura assicurativa ai cittadini di alcune aree del Sud Italia, con particolare frequenza in Puglia ed in alcune sue province, a partire da quella di Foggia;
   la disdetta di numerosissimi contratti di responsabilità civile auto da parte delle società di assicurazioni in taluni casi sarebbe prodotta con il dichiarato ed esclusivo intento di negoziare condizioni finanziarie più favorevoli alla compagnia;
   sono numerose le agenzie assicurative che, in provincia di Foggia, hanno chiuso e licenziato i propri dipendenti, mentre il mercato si va strutturando in una sorta di oligopolio di fatto esercitato da un numero molto ristretto di compagnie che alterano le regole della concorrenza;
   tra le conseguenze indotte di questi comportamenti da parte delle compagnie c’è l'acuirsi del fenomeno dell'evasione dell'obbligo assicurativo, che ormai interessa circa 3 milioni di veicoli circolanti in Italia;
   l'aumento dell'evasione dell'obbligo assicurativo costituisce una delle ragioni dell'incremento delle frodi assicurative e, di conseguenza, delle tariffe, ormai giunte a livelli insopportabili per i cittadini –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere al fine di contrastare tale fenomeno e di snellire le procedure burocratiche per garantire meglio la tutela dei consumatori. (5-07557)

Interrogazione a risposta scritta:


   BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'ENEA, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, è vigilata dal Ministero dello sviluppo economico;
   fra gli undici centri di ricerca ENEA diffusi sul territorio nazionale vi è il centro di ricerca di Brasimone, sito in provincia di Bologna a metà strada fra il capoluogo emiliano e Firenze;
   il centro, di totale proprietà dell'ENEA, è la più grande area dell'Agenzia nel nord Italia con la ragguardevole superficie di circa 410 ettari di cui circa 100 urbanizzati;
   il centro possiede 17 edifici principali di grandi dimensioni, 4 grandi aree sperimentali, 18.000 metri quadrati di superficie coperta, 31.000 metri quadrati di superficie utile di cui 18.550 per attività sperimentali e 12.550 per servizi e accessori;
   in termini di collegamenti fisici e telematici il centro possiede tutti i collegamenti informatici interni ed i collegamenti esterni, ad alta velocità, necessari per un moderno centro ricerche ed è fisicamente collegato a Bologna e Firenze mediante l'autostrada A1 e la ferrovia Bologna-Firenze (stazione di San Benedetto Val di Sambro-Castiglione dei Pepoli);
   il personale dipendente nel 2012, inclusi ricercatori, tecnici e amministrativi, ammonta a 90 unità ed era di 144 nel 2000 e di 237 nel 1987;
   i costi di gestione del centro sono già stati ridotti dai circa 3,2 milioni di euro del 2005 ai poco meno di due milioni di euro del 2012 con numerosi tagli sulle attività di mantenimento e funzionalità sino ad arrivare ad un limite critico di sostenibilità;
   è evidente che date le sue dimensioni la struttura del Brasimone ha capacità, ed è idonea ad accogliere un numero di ricercatori e di attività tecnico-scientifiche assai superiore all'attuale ed i suoi elevati costi fissi possono rendere anti economico uno sfruttamento parziale o marginale;
   nel contempo l'ENEA ha subito e sta subendo numerosi tagli, ultimo del quali quello previsto nel decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 «Disposizioni urgenti per la revisione e della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», per un valore di poco inferiore al quindici milioni e seicentomila euro nel triennio 2012-2014;
   la somma dei tagli già apportati, e di quelli in via di definizione, ha già reso il contributo ordinarlo dello Stato all'Agenzia di molto inferiore alle sue spese di funzionamento e di mantenimento;
   gli impegni assunti dal precedente Governo, fra cui l'ordine del giorno presentato dall'interrogante 9/4086/105, per iniziative normative tese a recuperare il taglio al contributo ordinario dello Stato ad ENEA già per il 2011 non hanno avuto riscontro;
   ad oggi è assai plausibile che tagli ulteriori debbano essere affrontati dall'Agenzia con un ampio plano di ristrutturazione funzionale che limiti al massimo i costi anche in funzione di una focalizzazione dell'ENEA ormai non più rinviabile;
   l'ENEA sta attraversando una fase commissariale –:
   quale sia il piano tecnico economico dell'Agenzia per raggiungere gli obbiettivi delineati dalla nuova situazione finanziaria e, in questo quadro, quale siano nello specifico le iniziative in essere, o prospettiche, che riguardano il centro di Brasimone, al fine di avere garanzie non solo di sostenibilità ma anche di valorizzazione di questa importante realtà nell'ambito del sistema di ricerca industriale e tecnologica nazionale. (4-17146)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta immediata in commissione Fugatti ed altri n. 5-07536, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 luglio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fedriga.

  L'interrogazione a risposta immediata in commissione Lanzarin e Togni n. 5-07540, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 luglio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Alessandri.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Della Vedova n. 2-01612, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 671 del 24 luglio 2012.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro della salute, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   in data 14 febbraio 1995 è stato presentato un esposto agli organi militari della Sanità di Caserta e in data 6 aprile 1995 alla Procura della Repubblica di Salerno, con il quale si segnala la presenza di campioni di fiale di immunoglobuline antitetaniche infette da virus hcv tra le forniture sanitarie in uso al personale delle Forze armate; in data 26 giugno 1997 è stato depositato un esposto alla procura di Trento che riassume alcuni esposti inviati alle procure di Salerno e di Caserta ed ai quali, a quanto consta agli interpellanti, non è mai stato dato seguito alcuno;
   a seguito del decesso del maresciallo M., avvenuto in data 13 giugno 1995 e riportato da diversi organi di stampa, è stato presentato un ulteriore esposto alla procura di Trento, in data 23 maggio 1998 rel. 43, in cui si sollecitano ulteriori indagini atte a stabilire la correlazione tra la somministrazione di immunoglobuline antitetaniche infette da hcv e la conseguente patologia sviluppata dal maresciallo M. e dall'estensore degli esposti;
   in data 23 maggio 1998 è stato depositato, come ulteriore sollecito, un esposto alla procura di Trento su fatti ed atti intimidatori nei confronti del firmatario degli esposti sopra citati;
   il 31 maggio 2002 sono stati presentati 34 esposti presso tutte le procure italiane riguardo alla circolazione ed al conseguente uso di immunoglobuline antitetaniche infette negli ospedali civili, militari e nelle farmacie. Vi si segnalano casi di contagio, con riferimento al numero dei lotti degli emoderivati ed immunoglobuline somministrate, la lista di tutti gli ospedali che hanno ricevuto tali lotti, con la richiesta di controllo di quelli commercializzati;
   in tali esposti si segnala anche la massiccia infezione di epatite C all'interno delle forze armate, ma che, non vi è stata la possibilità di verificare con certezza i dati riguardanti le somministrazioni, in quanto dei relativi registri alcuni sono spariti, altri sono risultati contraffatti, ed altri ancora riportavano registrate delle somministrazioni di sostanze delle quali non risultava alcun acquisto;
   il firmatario degli esposti di cui ai precedenti capoversi, anch'egli maresciallo dell'esercito in congedo, infettato dopo somministrazione di immunoglobuline durante il servizio militare, denunciava l'immissione in commercio di un prodotto chiamato «Tetuman Berna» lotto n. 12373 contenente 61.600 fiale di immunoglobulina antitetanica, risultate positive al virus dell'epatite C, fornito alle forze armate;
   i controlli su tale lotto furono effettuati dalla CRI di Roma in data 4 gennaio 1996 e 2 aprile 1996, dagli ospedali riuniti di Bergamo il 6 novembre 96 ed in tutti i casi gli esiti furono positivi al virus dell'hcv;
   prima del 1993 tutti i lotti di immunoglobuline erano potenzialmente a rischio in quanto non venivano effettuati i controlli, tant’è che il 4 novembre 1993 il Ministro della salute pro tempore Garavaglia, ne chiese l'immediato ritiro, ma nel ’94 i Nas riscontrarono essere ancora in commercio (come si evince da loro relazione del 24 gennaio 1994 e del 14 settembre 1994). Inoltre risulterebbe ulteriormente confermato dalla polizia giudiziaria G.F. di Trento nel 1998, quanto riscontrato dai N.A.S. nel 1994;
   risulterebbero commercializzate negli anni 1990-91-92 oltre 6.380.000 fiale di immunoglobuline (con scadenza 1995-96) e ne furono ritirate dal mercato a quanto consta agli interpellanti soltanto circa il 3 per cento a causa dell'esaurimento scorte attraverso la loro somministrazione;
   da un controllo a ritroso effettuato dall'Istituto superiore di sanità (dottor Gentile) nel 1995 sulle suddette immunoglobuline prodotte da 8 ditte farmaceutiche, tutte risultarono positive al 100 per cento al virus dell'epatite C, (controllo pubblicato su «Trasfusion» volume 37 settembre 1997 pagina 986-987 «Hepatitis C in tetanus intramuscular immunoglobulin» I.S.S. Gentili G-Pisani G);
   in ogni esposto il sopra citato maresciallo chiedeva di controllare e rintracciare persone contagiate, denunciando l'esistenza soltanto del controllo cartaceo sulla conformità degli emoderivati (con autocertificazione) e non un controllo microbiologico effettivo a campione sul prodotto: questo avrebbe evitato la massiccia diffusione del virus;
   in data 27 dicembre 2007 il giudice per le indagini preliminari Maria Vittoria De Simone del tribunale di Napoli ha emesso una ordinanza nella quale disponeva che, nei termini previsti dall'articolo 409 c.p.p., il pubblico ministero formulasse l'imputazione per il delitto di omicidio colposo plurimo (articolo 589 c.p.) nei confronti di tutti gli indagati –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare affinché sia fatta piena luce su quanto esposto;
   se, con riferimento a tutti i fatti riportati in premessa, siano state avviate indagini.
(2-01612) «Della Vedova, Patarino».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Morassut n. 5-07161 del 20 giugno 2012;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Barbato n. 5-07538 del 25 luglio 2012.

ERRATA CORRIGE

  L'interpellanza urgente Coscia e altri n. 2-01613 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 671 del 24 luglio 2012.
  Alla pagina 33221, prima colonna, dalla riga trentatreesima alla riga trentaquattresima deve leggersi: «utile per l'avvio dell'anno scolastico 2012-2013.» e non «utile per l'avvio dell'anno scolastico 2013-2014.», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BITONCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata di sabato 9 aprile 2011, alcuni sostenitori della Lega Nord di Padova organizzavano e predisponevano, previa autorizzazione, un banchetto presso piazza Garibaldi (Padova) allo scopo di informare i cittadini sull'attività politica da loro svolta in città;
   alle ore 16.45 alcuni attivisti, successivamente identificati e denunciati, del centro sociale «Pedro», dopo aver attaccato verbalmente e fisicamente alcuni sostenitori, senza che questi peraltro reagissero a tali provocazioni, distruggevano il banchetto medesimo, appropriandosi di materiale propagandistico e colpendo alcuni dei sostenitori;
   a seguito di tale assalto e per il clima di panico ad esso conseguente, le associazioni sindacali che avevano organizzato e previsto un corteo in favore dei giovani e che si sarebbe dovuto svolgere in prossimità del luogo dell'attacco, si sono viste costrette ad annullare tale manifestazione, condannando apertamente, come riportato sui giornali locali, la violenza politica perpetrata;
   l'attacco perpetrato rappresenta solo l'ultimo episodio di una lunga serie di violenze eseguite dagli attivisti del centro sociale «Pedro» ai danni di liberi cittadini, evidenziando come nella città di Padova la libertà di parola o di credo politico sia limitata da persone che, a quanto consta all'interrogante, nella maggioranza dei casi, dopo l'identificazione e la denuncia, rischiano di restare impunite;
   l'area che gli attivisti del centro sociale «Pedro» occupano abusivamente è sita in via Ticino a Padova ed è un ex magazzino di proprietà dell'amministrazione comunale la quale non si è mai attivata, nonostante le numerose lamentele dei residenti e delle varie forze politiche locali, a realizzare il piano previsto per l'edilizia residenziale pubblica –:
   se, a seguito dei fatti esposti, non ritenga di assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, in particolare in ragione dell'esigenza di garantire la pubblica sicurezza in occasione di manifestazioni pubbliche o politiche. (4-11594)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si informa l'interrogante che dagli elementi acquisiti dalla prefettura di Padova e dal dipartimento della pubblica sicurezza risulta che, per il pomeriggio di sabato 9 aprile 2011, era stata regolarmente preavvisata dal responsabile organizzativo del Partito democratico una manifestazione dal titolo «Comitato 9 aprile – la nostra vita è adesso», per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla problematica dei lavoratori precari, che si sarebbe dovuta svolgere a Padova, in piazza Garibaldi, a partire dalle ore 18.30.
  Nella stessa giornata, il partito della Lega nord aveva predisposto un'articolata presenza di banchetti per la raccolta di firme di protesta contro alcuni provvedimenti della giunta comunale di Padova, con numerose postazioni in tutto il centro storico e nei quartieri, tra cui uno nei pressi di piazza Garibaldi.
  Al fine di evitare possibili tensioni o contrapposizioni tra le due iniziative, la questura aveva concordato preventivamente con i responsabili della Lega nord che la raccolta di firme cessasse già alle ore 17.00, con largo anticipo rispetto alla manifestazione successiva.
  Alle ore 16.30 circa, nei pressi del citato banchetto della Lega nord, si sono radunate una ventina di persone aderenti al centro sociale occupato Pedro ed al collettivo di scienze politiche, che hanno minacciato con atti intimidatori i militanti leghisti, che non hanno reagito evitando ulteriori intemperanze.
  È prontamente intervenuto il personale della questura che è riuscito a respingere il gruppo degli antagonisti nella parte opposta della piazza, in attesa di ulteriori rinforzi distaccati da altri servizi.
  Una nuova ed accesa contestazione da parte degli antagonisti si è innescata in occasione del transito nella piazza, in compagnia del figlio, di un noto consigliere comunale di area Pdl. Poco dopo, è giunto sul posto il personale di rinforzo del 2° reparto mobile ed è stato attuato un deciso e risolutivo respingimento dei facinorosi fuori dalla piazza, ponendo fine alle turbative.
  I promotori della manifestazione dei precari – preso atto dell'azione posta in essere dai militanti delle formazioni antagoniste, da cui si sono espressamente dissociati – hanno comunicato di rinunciare alla iniziativa programmata.
  Per l'episodio sopra esposto, in esito all'immediata attività d'indagine avviata dalla questura di Padova, sono stati identificati e deferiti all'autorità giudiziaria dieci attivisti del centro sociale occupato Pedro e dei collettivi per violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni ed ingiurie contro il consigliere comunale ed il figlio.
  La magistratura inquirente ha riunito le posizioni processuali di attivisti antagonisti indagati anche per altri analoghi reati commessi nel capoluogo, e nei confronti di sei di essi ha emesso misure cautelari consistenti nell'obbligo di dimora presso l'abitazione di residenza per cinque residenti in altre province, e nella presentazione quotidiana presso la polizia giudiziaria per il solo residente in Padova.
  Nell'ambito di detto procedimento penale, il 7 maggio 2012, dinanzi al tribunale di Padova in composizione monocratica, si è svolta la prima udienza, ma il processo è stato aggiornato alla data del 20 settembre 2012 per difetto di notificazione.
  Il centro sociale Pedro ha sede in un ex magazzino situato a Padova, in via Ticino, di proprietà dell'amministrazione comunale, considerato punto di riferimento anche organizzativo di numerose iniziative della compagine.
  L'occupazione dell'immobile, effettuata abusivamente nel 1987, è stata successivamente regolarizzata nel 1995, con la stipula di un contratto triennale di concessione a titolo oneroso tra l'amministrazione comunale ed un comitato di gestione, che non è stato più rinnovato.
  Le iniziative del centro sono puntualmente seguite dalla questura di Padova che segnala all'autorità giudiziaria qualsivoglia elusione di norme.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   BRAMBILLA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dal 1° gennaio 2012, in forza della direttiva CE 1999/74, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 267 del 2003, è illegale detenere in gabbie di batteria convenzionali le galline ovaiole;
   la ferma volontà di applicare il bando delle batterie convenzionali è stata ribadita a Bruxelles il 19 gennaio 2011 durante il «multi-stakeholder meeting» organizzato dalla Commissione europea, al quale hanno partecipato rappresentanti degli Stati membri e dei vari portatori d'interesse;
   la Commissione europea ha già chiesto al nostro Paese di stimare il numero degli allevamenti che alla data del 1° gennaio 2012 non risultavano conformi alla direttiva;
   ad agosto, secondo notizie di stampa, sarebbero state ancora 28 milioni, in Italia, le galline ovaiole allevate fuori norma;
   i media, da ultimo la trasmissione Striscia la notizia e il quotidiano Il Corriere della sera, denunciano frequentemente casi di allevamenti-lager –:
   con quale frequenza e con quale esito vengano effettuati controlli sugli allevamenti di polli e galline sotto il profilo del «welfare» animale;
   quanti allevamenti in Italia, alla data del 1° gennaio, risultassero ancora fuori norma e quanti polli e galline vi siano allevate;
   quali provvedimenti, anche sanzionatori, si intendano adottare per favorire l'adeguamento agli standard europei degli allevamenti che ancora non abbiano provveduto ad adeguarsi;
   quali iniziative si intendano assumere per garantire che sul mercato italiano siano immediatamente riconoscibili le uova prodotte in allevamenti conformi alle disposizioni di cui alla citata direttiva.
(4-14666)

  Risposta. — Relativamente alla richiesta di indicare con quale frequenza e con quale esito vengano realizzati controlli negli allevamenti di pollame dal punto di vista del welfare animale, si fa presente che tali incombenze rientrano nella competenza dei servizi veterinari della aziende sanitarie locali, che svolgono una vigilanza costante inerente non solo il benessere animale, ma anche il rispetto dei requisiti sanitari sia per quanto concerne la sanità animale che la sanità pubblica, sugli allevamenti di tutte le specie animali presenti sul proprio territorio.
  In merito alle iniziative intraprese dal Ministero della salute per ottenere dagli allevatori di galline ovaiole gli adeguamenti degli impianti ai criteri stabiliti dalla direttiva 1999/74/CE, si precisa quanto segue.
  Con l'emanazione del piano nazionale benessere animale, avvenuta nel 2008, sono stati imposti alle regioni degli standards minimi inerenti il numero e la tipologia di controlli sul benessere delle diverse specie animali, comprese le galline ovaiole; su tali controlli le regioni devono rendere conto annualmente al Ministero della salute.
  Sempre a partire dal 2008, questo Ministero ha intrapreso numerose attività volte a garantire il rispetto della normativa in vigore da parte degli allevatori; infatti, oltre all'emanazione di diverse note indirizzate alle regioni, nelle quali si sottolineava la necessità di aumentare il numero e l'efficacia dei controlli a cura dei veterinari ASL nel settore in questione, questo Ministero ha fatto presente alle associazioni di categoria la non procrastinabilità della data del 1° gennaio 2012 per la messa al bando delle gabbie non modificate.
  Inoltre, il Ministero della salute ha emanato un programma ispettivo per il controllo da parte dei veterinari ASL, nel periodo tra il 1° gennaio ed il 29 febbraio 2012, di tutti gli allevamenti che utilizzano gabbie: gli eventuali allevamenti non conformi verranno sottoposti alle sanzioni previste dal decreto legislativo 29 luglio 2003, n. 267.
  Inoltre, negli allevamenti trovati non conformi e per i quali il proprietario non abbia intenzione di modificare le strutture si provvederà, in accordo con quanto prescritto dall'articolo 54 del regolamento 882/2004/CE, alla sospensione dell'attività.
  Il Ministero ha programmato un secondo ciclo ispettivo, che sarà effettuato a partire dal 1° luglio 2012.
  Relativamente ai dati su quanti allevamenti in Italia, alla data del 1° gennaio 2012, risultassero ancora fuori norma, nonché quanti animali vi fossero allevati, si precisa che quelli a disposizione di questo Ministero sono dati in parte presuntivi, estrapolati con criteri statistici da fonti diverse.
  Dati più certi potranno essere disponibili dopo che sarà completato il programma ispettivo sopraindicato, condotto proprio al fine di censire quanto effettivamente realizzato sul territorio nazionale entro il 1° gennaio 2012.
  Allo stato attuale, risulta a questo Ministero che almeno 369 allevamenti (il 30 per cento), con 18.000.000 di animali (il 36,2 per cento) su un totale complessivo di circa 1228 allevamenti con 49.600.000 animali, non siano in regola con quanto richiesto dalla normativa vigente.
  Relativamente ai provvedimenti che questo Ministero intende intraprendere per favorire l'adeguamento agli standard europei dei nostri allevamenti di galline ovaiole, si segnala la proposta di emendamento alla legge comunitaria 2011, già approvata dalla Camera dei deputati (AC 4059), concernente la richiesta di conferimento di delega al Governo per la revisione e, più in generale, il riordino della disciplina sanzionatoria sancita dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 267 del 2003, anche al fine di adeguare il sistema sanzionatorio ai principi di effettività, proporzionalità e dissuasività, nonché per inibire la condotta di alcuni allevatori, che preferiscono pagare le sanzioni previste piuttosto che affrontare gli investimenti necessari per l'adeguamento degli impianti.
  In merito ai quesiti concernenti le iniziative che si intende assumere per la commercializzazione e separazione delle uova prodotte in strutture non conformi, le quali in ogni caso non hanno alcun problema di tipo sanitario, occorre precisare che la regolamentazione sulla commercializzazione delle uova rientra nella competenza esclusiva del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
  Il Ministero della salute, tuttavia, dovendo fornire, nell'ambito di un piano d'azione presentato alla Commissione europea, garanzie circa la non immissione sul mercato comunitario delle uova non conformi, con nota del 18 febbraio 2012 ha richiesto a detto dicastero di voler mettere in opera idonei meccanismi atti ad assicurare una tracciabilità di tali uova, nonché, ove possibile, di limitarne il commercio garantendo che le stesse non vengano spedite verso altri Paesi comunitari.
  Per gli aspetti di propria competenza, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha precisato di aver avviato l’iter per inasprire le sanzioni previste dal decreto legislativo n. 267 del 2003, al fine di renderle maggiormente dissuasive nei confronti delle aziende irregolari.
  Lo stesso dicastero, con il decreto ministeriale 15442 del 3 agosto 2011, ha delineato le «modalità attuative per la presentazione dell'istanza di adesione volontaria al programma di adeguamento degli impianti di allevamento delle galline ovaiole», con cui è possibile monitorare e gestire la fase di adeguamento alle disposizioni comunitarie.
  Per quanto concerne la commercializzazione delle uova provenienti da allevamenti non a norma, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, al fine di non creare distorsioni di concorrenza, intende provvedere ad applicare nel territorio nazionale ogni iniziativa e decisione presa ufficialmente a livello comunitario.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteAdelfio Elio Cardinale.


   DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'operazione «strade sicure» prende il via ufficialmente il 4 agosto 2008, quando circa 3.000 militari delle quattro Forze armate, di cui 2.600 dell'Esercito, affiancano le forze di polizia nel controllo del territorio nelle principali città italiane, grazie al «piano d'impiego del personale delle Forze armate nel controllo del territorio», piano varato il 29 luglio 2008 con un decreto a firma dei Ministri dell'interno e della difesa;
   con il decreto di proroga del 3 agosto 2009, si è passati alla fase 2 dell'operazione «strade sicure». Quest'ultima ha visto l'incremento del numero dei militari impegnati di 1.250 unità è l'aumento delle città in cui vengono svolti servizi di perlustrazione e pattuglia;
   l'articolo 1, comma 28, della legge n. 220 del 13 dicembre 2010 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)» ha sancito l'ingresso nella fase 3 dell'operazione, che a partire dal 7 febbraio 2011 ha subito una rimodulazione del dispositivo che prevede anche la sorveglianza di alcuni cantieri sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria senza alterare il numero complessivo di militari partecipanti;
   attualmente, pertanto, secondo quanto risulta anche nel sito dell'Esercito italiano sono oltre 4.300 i militari impegnati a presidiare centri di accoglienza per immigrati, obiettivi sensibili nelle principali città e a svolgere compiti di pattugliamento;
   l'operazione che è stata, ed è, oggetto di forti polemiche è costata circa 7 milioni di euro l'anno;
   il personale delle forze di polizia è già stato fortemente penalizzato e ridotto a lavorare con scarse risorse e male investite –:
   se il Governo non ritenga di dover terminare immediatamente l'operazione «strade sicure» al fine di conseguire un risparmio totale di circa 72,8 milioni di euro da investire per pagare gli straordinari alle forze di polizia e per migliorare le condizioni lavorative, unico modo per garantire in maniera efficace e concreta la sicurezza dei cittadini. (4-14243)

  Risposta. — Come rappresentato dall'interrogante il concorso delle Forze armate nell'attività di controllo del territorio (cosiddetta «Operazione Strade Sicure») ha avuto inizio il 4 agosto 2008, in base al disposto dell'articolo 7-bis del decreto-legge n. 92 del 2008 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2008) che ha autorizzato – per un periodo di sei mesi, rinnovabile per una volta – il piano di impiego di un contingente di personale militare non superiore alle 3.000 unità, individuato preferibilmente tra Carabinieri impiegati in compiti militari o comunque volontari delle stesse Forze armate specificatamente addestrati per i compiti da svolgere.
  La predetta norma, inoltre, nel fissare i principi di tale impiego «per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità», ha stabilito che il personale militare venga posto a disposizione dei prefetti delle province comprendenti aree metropolitane e comunque aree densamente popolate, precisando altresì la specifica tipologia di servizio cui destinare i militari, ossia servizi di vigilanza a siti e obiettivi sensibili (compresi i centri per immigrati), nonché di perlustrazione e pattuglia in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia.
  Il piano di impiego dei 3.000 militari è stato adottato con decreto del Ministro dell'interno del 29 luglio 2008, emanato di concerto con il Ministro della difesa, per una durata di sei mesi a decorrere dal 4 agosto 2008, secondo la seguente suddivisione:
   1.000 unità per la vigilanza ai centri per immigrati;
   1.000 unità per la vigilanza a siti e obiettivi presenti a Milano, Roma e Napoli;
   1.000 unità per i servizi di perlustrazione e pattuglia.
  Con il predetto decreto interministeriale, sono state individuate le varie province interessate dal piano, con le rispettive aliquote di militari poste a disposizione dei prefetti, e stabilite le modalità operative per ciascuna tipologia di servizio.
  Con ulteriore decreto interministeriale, il piano di impiego è stato successivamente rinnovato, per ulteriori sei mesi, sino al 3 agosto 2009.
  Dopo tale data, la prosecuzione del concorso delle Forze armate è stata espressamente autorizzata dall'articolo 24, comma 74, del decreto-legge n. 78 del 2009 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009).
  Tale norma nel consentire la proroga del piano di impiego per ulteriori due semestri, cioè sino al 3 agosto 2010, ha incrementato di ulteriori 1.250 militari il contingente impiegato (portandolo così a complessive 4.250 unità) prevedendo inoltre specifici stanziamenti per il personale delle forze di polizia impiegato congiuntamente ai militari.
  L'attuazione del piano di impiego dei 4.250 militari è stata disposta con decreto interministeriale del 3 agosto 2009, che ha definito modalità operative e province di impiego, con le rispettive aliquote.
  Le successive proroghe del concorso delle Forze armate del citato contingente, sino a quella attuale in scadenza il 31 dicembre 2012, sono state disposte con analoghi provvedimenti (da ultimo dall'articolo 33 delle legge 12 novembre 2011 n. 183).
  Quanto ai risultati dell’«operazione strade sicure», si osserva che l'utilizzo dei militari nei servizi di vigilanza a obiettivi sensibili e centri per immigrati ha consentito il recupero delle aliquote delle forze di polizia precedentemente impiegate in tali attività.
  Infine, considerando i vari periodi di impiego, sono stati raggiunti importanti risultati attraverso l'attività di perlustrazione e pattuglia, rilevando, peraltro, che la sola presenza di pattuglie miste di operatori di polizia e militari comporta, come del resto ogni forma di prevenzione generale e controllo del territorio, anche un effetto deterrente non quantificabile.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   DIMA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011 n. 151 recante «Regolamento di semplificazione della disciplina dei provvedimenti relativi alla prevenzione degli incendi a norma dell'articolo 49, comma 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78 convertito con modificazione dalla legge 30 luglio 2010 n. 122» fissa le modalità di adeguamento alla normativa antincendio da parte delle strutture turistiche e ricettive attraverso l'individuazione di un preciso protocollo di attuazione;
   la normativa in materia prevede come termine ultimo per l'adeguamento delle suddette attività il prossimo mese di ottobre 2012 e ciò ha determinato la preoccupazione, per la scadenza ormai imminente, di molte associazioni di settore tra cui l'Assocamping che è l'Associazione nazionale imprenditori di strutture turistico-ricettive all'aria aperta aderente a Confesercenti che, attraverso interventi sulla stampa nazionale ed interlocuzioni istituzionali, ha chiesto l'adozione di una proroga in materia di applicazione di questa nuova normativa anche e soprattutto perché non esistono norme di prevenzione incendi o linee guida di sicurezza specifiche per i campeggi e gli interventi da attuare ai fini dell'adeguamento antincendio possono variare a seconda dei pareri dei funzionari incaricati;
   i timori rappresentati dagli addetti a questo importante comparto produttivo sono sostanzialmente legati alla difficoltà di provvedere all'adeguamento delle proprie strutture nei termini previsti che, vista l'ormai prossima scadenza, non consentono una programmazione anche economica degli interventi, obbligando di fatto gli stessi imprenditori ad operare investimenti concentrati in un brevissimo lasso di tempo, tra l'altro con l'aggravante rappresentata dalla difficoltà di accedere al credito offerto attualmente dal sistema bancario;
   gli stessi titolari delle strutture ricettive, che sono soprattutto di medie e piccole dimensioni e svolgono la propria attività all'aria aperta ed in forma stagionale, sarebbero costretti ad attuare questi interventi durante il periodo di apertura con conseguente forte limitazione all'esercizio dell'attività e con notevoli problematiche, anche di sicurezza, per gli ospiti dei campeggi;
   la mancata presentazione della SCIA, che è la segnalazione certificata di inizio attività, entro il termine del 6 ottobre 2012, comporta sanzioni di carattere penale indipendentemente dal fatto che le misure di sicurezza siano state rispettate con la conseguenza che le nuove strutture dovranno acquisire il parere favorevole sui progetto e, prima dell'avvio dello stesso, presentare la SCIA mentre quelle esistenti dovranno completare le procedure che portano alla regolarizzazione dell'attività entro la scadenza prevista dalla legge;
   la crisi economica e finanziaria in atto sta determinando una contrazione degli investimenti ed un calo di domanda nel settore turistico e ricettivo nonché un'evidente difficoltà nell'accedere al credito al fine di operare gli opportuni investimenti per ampliare le attività di impresa –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano porre in essere per quanto di competenza per accogliere le richieste degli operatori del settore e la relativa programmazione degli interventi da compiere in esecuzione del dispositivo di legge.
(4-15333)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede se è possibile accogliere le richieste degli operatori delle strutture turistico alberghiere in merito alle modalità di adeguamento alla normativa antincendio da parte delle strutture turistiche e ricettive.
  A tale proposito, il decreto del Presidente della Repubblica 1° agosto 2011 n. 151 ha innovato semplificandole le disposizioni che disciplinano le procedure di prevenzione incendi, materia affidata al Ministero dell'interno che la esercita in via esclusiva per il tramite del dipartimento dei vigili del fuoco.
  Le regole tecniche che fissano, nello specifico, le modalità di adeguamento alla normativa antincendio da parte delle strutture ricettive turistico-alberghiere sono state adottate con decreto del Ministro dell'interno del 9 aprile 1994.
  Tale decreto prevedeva un termine di 5 anni entro il quale le strutture esistenti avrebbero dovuto adeguarsi. Il termine è stato più volte prorogato e da ultimo l'articolo 15, commi 7 e 8, del decreto legge 29 dicembre 2011, n. 216 ha individuato la data del 31 dicembre 2013 per il definitivo adeguamento antincendio delle strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre venticinque posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del predetto decreto del Ministro dell'interno, da conseguire attraverso l'ammissione ad un piano straordinario biennale di adeguamento.
  Il 16 marzo 2012 il Ministro dell'interno ha emanato un decreto che disciplina le modalità ed i requisiti che consentono l'ammissione al suddetto piano di adeguamento.
  Il predetto decreto, all'articolo 3, prevede il termine di trenta giorni, dalla data di entrata in vigore, entro il quale gli enti e i privati responsabili delle strutture ricettive turistico-alberghiere devono presentare domanda di ammissione al piano, corredata dell'attestazione del possesso dei requisiti di sicurezza antincendio indicati all'articolo 5.
  L'articolo 1, comma 2 prevede, altresì, che l'ammissione al piano sia consentita alle strutture ricettive in possesso, alla data di entrata in vigore del decreto stesso, dei predetti requisiti di sicurezza antincendio.
  Quanto alle preoccupazioni manifestate da alcune associazioni di categoria, sulla normativa relativa alle strutture turistico-ricettive all'aria aperta, attualmente sono applicati i criteri generali di prevenzione incendi e sono, comunque, in corso di predisposizione le linee guida di sicurezza specifiche per i campeggi.
  La questione dell'adeguamento delle strutture turistiche ricettive è stata anche esaminata – a seguito della presentazione delle risoluzioni Marchioni, Abrignani, Dal Lago – presso le Commissioni riunite VIII (Ambiente, territorio e lavori pubblici) e X (Attività produttive, commercio e turismo) della Camera dei deputati. L'8 maggio 2012, la discussione delle risoluzioni è terminata con l'approvazione, da parte delle Commissioni di un testo unificato.
  Il 15 maggio 2012, in considerazione di quanto rappresentato in sede parlamentare, il Ministro dell'interno ha adottato un provvedimento che – fermo restando il termine ultimo del 31 dicembre 2013, entro il quale le attività ricettive, che ancora non hanno provveduto, dovranno procedere all'adeguamento – ha differito al 31 ottobre 2012 il termine entro il quale gli interessati possono presentare la domanda di ammissione al piano straordinario di adeguamento ed il termine entro il quale le strutture devono attestare il possesso dei requisiti minimi di sicurezza antincendio indicati nel decreto del Ministro dell'interno del 16 marzo 2012.
  Il differimento dei predetti termini, si ritiene, possa costituire un equilibrato punto di sintesi tra le esigenze rappresentate dal mondo degli albergatori e delle strutture ricettive in generale, e la necessità di assicurare, comunque, un idoneo livello di sicurezza, sia ai cittadini utenti, che agli stessi operatori del settore.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGiovanni Ferrara.


   GIRLANDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un dirigente della polizia di Stato, in un'intervista televisiva presente anche sul sito Youtube mostra alle telecamere il corridoio degli uffici della polizia a Roma, dove sono esposti ritratti fotografici incorniciati di personaggi come i capi della criminalità organizzata, serial killer ed altri malviventi condannati con sentenze molto pesanti e passate in giudicato;
   il dirigente in questione mostra anche tra i successi del Servizio centrale operativo, subito dopo le immagini del capo della mafia, Bernardo Provenzano, un ritratto fotografico incorniciato della studentessa americana Amanda Knox, per la quale come è noto è appena iniziato il processo d'appello;
   da quanto è dato vedere nelle immagini dell'intervista, non vi è traccia di foto riguardanti l'altro imputato nello stesso processo e non vi è traccia dell'unico imputato recentemente condannato in via definitiva nell'ambito di tale procedimento giudiziario;
   sembra, pertanto, che si sia scelto di rappresentare unicamente l'imputata a più alto valore mediatico, che infatti diviene l'oggetto di interviste televisive da parte di dirigenti della polizia di Stato che hanno partecipato alle indagini;
   il video in questione è stato tradotto e diffuso anche negli Stati Uniti, alimentando, non senza ragione, le accuse verso il nostro Paese di aver raffigurato tra i tre imputati nel processo di Perugia unicamente una cittadina americana, in attesa di giudizio, affiancandola peraltro ai più noti capimafia destinatari di condanne in via definitiva a numerosi ergastoli;
   tale ritratto è stato affisso presso gli uffici della polizia di Stato, a quanto consta all'interrogante, prima ancora dell'inizio del processo di primo grado, ed accompagnato da discutibili dichiarazioni alla stampa del suddetto dirigente, presenti anche nel video citato, dove egli sostiene che un'investigazione unicamente «psicologica», e senza nessun altro ausilio tecnico-scientifico, avrebbe consentito di arrivare in brevissimo tempo all'individuazione dei colpevoli;
   va doverosamente ricordato, anche sulla base delle dichiarazioni rilasciate alla stampa dal suddetto dirigente, che in base ai principi giuridici del nostro Paese un imputato può essere eventualmente definito colpevole al termine di tre gradi di giudizio da parte della magistratura, e non al termine degli interrogatori di polizia;
   come è noto infatti, la magistratura conferisce agli organi di polizia giudiziaria specifica delega alle indagini, e non certo delega al ruolo giudicante;
   appare invero piuttosto curioso ed inquietante per uno Stato di diritto che, malgrado quanto espressamente prescritto dal codice di procedura penale all'articolo 530 circa la necessità di prove assolutamente certe ed inequivocabili, sia possibile giudicare un cittadino colpevole solo su base «psicologica» e dopo un interrogatorio di polizia;
   nel caso questo precedente venisse accettato, ciò potrebbe autorizzare in futuro ad affiggere presso le sedi della polizia di Stato, tra le immagini dei criminali condannati, anche le foto di qualsiasi cittadino, studente, imprenditore, giornalista, docente, politico, per il quale siano state svolte indagini e sia stato richiesto un rinvio a giudizio –:
   chi abbia formalmente autorizzato le riprese televisive all'interno degli uffici in una sede della polizia di Stato nonché l'intervista a tale dirigente, in che data e con quale motivazione;
   quali iniziative sul piano amministrativo ed disciplinare si intenda assumere in relazione alla grave violazione del principio di presunzione di innocenza da parte del dirigente della polizia di Stato di cui in premessa, che definisce pubblicamente «colpevoli» degli imputati a quanto pare prima ancora dell'inizio del processo di primo grado in un filmato purtroppo diffuso e tradotto anche all'estero;
   chi abbia deciso, con un'iniziativa che all'interrogante pare presentare un profilo diffamatorio e comunque in violazione del principio giuridico della presunzione di innocenza, di affiggere insieme a quelli dei più efferati criminali il ritratto di una studentessa americana soltanto imputata e per la quale all'epoca non era neppure iniziato il giudizio in primo grado;
   se non si intenda disporre l'immediata rimozione di tale ritratto, almeno fino al completamento della vicenda processuale ed in attesa di una sentenza definitiva da parte della magistratura giudicante, unico organo in questo Paese a cui è attribuita la decisione sulla colpevolezza di un imputato. (4-10296)

  Risposta. — Il 23 gennaio 2008 un giornalista britannico, accreditato presso la stampa estera di Roma, chiedeva all'Ufficio relazioni esterne e cerimoniale del dipartimento della pubblica sicurezza l'autorizzazione a intervistare un funzionario del servizio centrale operativo della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, in relazione alle indagini condotte sull'omicidio di Meredith Kercher, avvenuto a Perugia nel 2007, al fine di realizzare un documentario per le emittenti televisive «Channel four» (britannica) e «CBS» (statunitense).
  Successivamente, la richiesta veniva accolta dall'Ufficio relazioni esterne – in osservanza dei criteri costantemente adottati per le attività investigative che sono già state oggetto di pubblico dibattimento – in quanto l'intervista si sarebbe riferita all'attività di indagine già svolta e il cui esito era già stato discusso in sede processuale nell'ambito di udienze pubbliche.
  L'intervista venne effettuata il 18 febbraio 2008.
  Al riguardo, soltanto nella trasmissione realizzata da «Channel four», andata in onda in Gran Bretagna verso la fine del 2008, erano inquadrate fotografie esposte nel corridoio della sede del servizio centrale operativo e, tra queste, il funzionario di polizia intervistato aveva commentato esclusivamente quelle relative alla cattura di Bernardo Provenzano ed Angelo Izzo, spiegando che tali immagini rappresentavano i successi operativi del servizio.
  In tale occasione, l'operatore riprendeva altre fotografie, tra cui quelle riproducenti l'arresto di due imputati per il delitto di Perugia – non soltanto Amanda Knox, ma anche l'indagato di nazionalità ivoriana poi condannato in via definitiva – poste in una parte del medesimo corridoio dove si stava svolgendo l'intervista.
  Le fotografie inquadrate, comunque, sono le stesse ampiamente diffuse, anche a livello internazionale, da tutti gli organi di informazione sin dai primi sviluppi dell'indagine.
  I servizi integrali realizzati dalle citate emittenti sono presenti, dal 2008, sul sito web «youtube», nel quale sono stati immessi subito dopo la messa in onda della trasmissione televisiva.
  In seno all'intervista, peraltro, il funzionario di pubblica sicurezza si è limitato a fare riferimento ai gravi indizi di colpevolezza emersi a carico degli imputati soltanto dopo che gli arresti erano stati convalidati da due sentenze del tribunale del riesame di Perugia.
  Il diritto di cronaca, peraltro, viene esercitato mediante interviste, conferenze e riprese televisive anche in relazione a fatti e persone sottoposte a procedimenti penali sui quali non si sia ancora formata la res iudicata.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   GIRLANDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferito dalla questura di Perugia, nel periodo compreso tra il 1° maggio 2010 ed il 30 aprile 2011 la polizia di Stato della provincia di Perugia ha sequestrato circa 55 chilogrammi di sostanze stupefacenti – di cui 3,63 chilogrammi di eroina, 14,65 di hascish, 8,56 chilogrammi di marijuana e 28,56 chilogrammi di cocaina – compiendo ben 638 arresti, di cui 297 per possesso e detenzione di sostanze stupefacenti;
   la squadra mobile ha arrestato 335 persone, denunciandone 65 a piede libero; mentre 61 sono stati invece gli indagati in stato di libertà da parte della Digos;
   la divisione anticrimine ha notificato 23 «Daspo», i divieti di assistere alle manifestazioni sportive, mentre sono 416 i narcotest eseguiti dalla polizia scientifica;
   la divisione amministrativa ha rilasciato 14.494 passaporti, mentre l'ufficio preposto alle pratiche per l'immigrazione ha rilasciato 20.580 permessi di soggiorno, mentre i clandestini espulsi sono stati 460 con ordine del questore, 66 con accompagnamento alla frontiera e 48 ai centri di accoglienza;
   nell'ultimo anno vi sono state inoltre 65.160 richieste di intervento al 113 e sono state ben 4.320 le pattuglie impiegate nei servizi ordinari dalla squadra volante;
   la polizia di frontiera dell'aeroporto di San Francesco ha controllato 175mila persone, 180 mila bagagli a mano e 2.200 aerei, sequestrando 1.100 armi bianche o improprie;
   la Polfer è stata impegnata in 585 servizi di vigilanza dello scalo, identificando 812 persone, scortando inoltre 76 treni;
   la polizia stradale di Perugia ha contestato 37.045 infrazioni al codice della strada con 37.472 punti decurtati e 878 patenti ritirate; le pattuglie impegnate nella vigilanza stradale sono state 6.368;
   la polizia postale ha invece monitorato 200 siti pedopornografici, arrestato quattro persone e denunciato 1.204 soggetti per reati tipici del settore, quali il phishing o la compravendita tramite internet;
   questa attività necessita di un ulteriore supporto, viste le proporzioni sempre più ampie che assunte dal fenomeno delle infiltrazioni mafiose nella provincia di Perugia e dalla carenza di uomini e mezzi per garantire un'ottimale copertura del territorio, nonché l'implementazione dei presidi in realtà urbane, come quella di Perugia, particolarmente sensibili a fenomeni quali risse e spaccio di sostanze stupefacenti a cielo aperto, come previsto anche nel «patto per Perugia sicura», siglato dal Ministro dell'interno e dai vertici istituzionali locali il 14 gennaio 2011 –:
   se, a fronte degli ottimi risultati conseguiti nell'attività ordinaria e straordinaria della polizia di Stato della provincia di Perugia nell'ultimo anno, saranno fornite alla questura di Perugia ulteriori risorse umane, logistiche e strumentali, per implementare le attività sul territorio e fare fronte alle varie emergenze che stanno interessando il territorio, con particolare riferimento al capoluogo. (4-13643)


   GIRLANDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'attività degli uffici della polizia di Stato della provincia di Perugia nell'anno 2011 ha prodotto risultati più che soddisfacenti, facendo registrare l'arresto di 527 persone, 1.447 denunce all'autorità giudiziaria in stato di libertà, il sequestro di un notevole quantitativo di sostanze stupefacenti con l'arresto di 248 tra corrieri e spacciatori;
   più di 200 mila sono le persone identificate nel corso di servizi di controllo del territorio, e oltre 80 mila sono stati gli automezzi controllati; l'attività di prevenzione è stata integrata dall'adozione di 180 avvisi orali e da 19 daspo; 130 sono state le persone allontanate dai comuni della provincia con foglio di via obbligatorio e rimpatriate nei luoghi di residenza, mentre in numero di 9 sono state le proposte per l'applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obblighi vari;
   sono stati espulsi dal territorio dello Stato italiano 536 cittadini stranieri risultati irregolari e/o sprovvisti di qualsiasi titolo; tra questi 69 sono stati espulsi con accompagnamento alla frontiera, mentre 150 sono stati i cittadini extracomunitari irregolari sul territorio nazionale rintracciati e di seguito accompagnati presso C.I.E. con un incremento rispetto all'anno precedente pari al 180 per cento;
   prendendo in esame la situazione del solo capoluogo di regione, nel 2011 nonostante gli ottimi risultati sopra espressi, che vanno sommati alle premesse del mio atto di sindacato ispettivo del 19 ottobre 2011, numero 4-13643, si è verificato un aumento del 45 per cento dei reati di percosse, +103 per cento della ricettazione, +36 per cento dei furti, +16 per cento di possesso e contrabbando di stupefacenti, +25 per cento di denunce, +13 per cento di arresti e +200 per cento di denaro sequestrato a seguito delle attività di contrasto allo spaccio ed al consumo di sostanze stupefacenti;
   va sottolineato come nel 2011 il 49 per cento dei soggetti denunciati ed arrestati sia extracomunitario, raggiungendo punte del 70 per cento tra gli arrestati nelle attività antidroga e del 64 per cento tra le persone denunciate a piede libero ed i primi dati resi noti in relazione al 2012 indicano un innalzamento di tale percentuale, con particolare riferimento alle etnie nigeriane, albanesi e magrebine, che hanno monopolizzato il mercato locale di stupefacenti;
   nelle ultime settimane nel capoluogo umbro si è registrata una degenerazione degli episodi di violenza e guerra tra bande, che ha portato a sparatorie ed accoltellamenti in diverse aree del centro storico in orari in cui le vie del centro città sono popolate di giovani e turisti, portando anche il Ministro dell'interno ad incontrare il sindaco di Perugia in data 16 maggio 2012;
   la città di Perugia, già capitale europea delle morti per overdose, si sta trasformando sempre più in un mercato a cielo aperto dello spaccio di stupefacenti, provocando danni irreparabili al tessuto economico e sociale della città, tra cui spicca il dato di 4 mila iscritti in meno all'università negli ultimi cinque anni, nonché l'inesorabile spopolamento del centro storico e la chiusura della maggior parte delle attività commerciali che da decenni ne costituivano il tessuto connettivo;
   il Ministero dell'interno già nel gennaio 2011 aveva siglato con le istituzioni locali il «Patto per Perugia sicura» le cui disposizioni e misure si sono evidentemente rivelate insufficienti o non del tutto adeguate a fronteggiare la gravità del fenomeno, purtroppo trascurato in modo particolare dall'amministrazione comunale, che anche a fronte degli ultimi drammatici episodi di cronaca ha minimizzato l'accaduto lamentando la carenza di mezzi e risorse, nonché sostenendo la necessità di legalizzare le droghe leggere come rimedio al fallimento del contrasto all'assunzione di sostanze stupefacenti ed attivare una più stretta collaborazione con le istituzioni accademiche, vietando al contempo la vendita di alcolici a partire dalle ore 1.30 –:
   quali iniziative siano state avviate dal Ministero, in collaborazione con le istituzioni locali, per fronteggiare l'emergenza sicurezza nella città di Perugia e dotare le forze dell'ordine dei mezzi necessari per le attività di contrasto ai fenomeni criminosi;
   quale sia la situazione che si vive negli ultimi due anni nella città di Perugia e quali attività siano state messe in campo per porvi rimedio. (4-16243)

  Risposta. — Nell'analisi dello stato dell'ordine e della sicurezza pubblica nella provincia di Perugia, una particolare attenzione viene riservata alla presenza sul territorio di immigrati irregolari e al loro frequente coinvolgimento in attività criminose, a cominciare dallo spaccio di sostanze stupefacenti.
  Più in generale, va, comunque, precisato che in un contesto tradizionalmente accogliente e cosmopolita come quello perugino, il legame fra sicurezza ed immigrazione non può essere approfondito prescindendo da una valutazione differenziata delle diverse tipologie di presenze straniere sui territorio.
  Accanto ai tradizionali flussi immigratori di lavoratori provenienti dal sud e dall'est del mondo – con caratteristiche non dissimili dal resto del Paese – vi è, infatti, una consistente immigrazione di tipo studentesco, essenzialmente legata al forte richiamo degli atenei ed istituti di perfezionamento presenti sul posto.
  La presenza nel capoluogo di studenti – specie stranieri e fuori sede – pur non avendo ovviamente alcuna intrinseca valenza criminogena, comporta, tuttavia, un oggettivo ampliamento del mercato potenziale dei giovani consumatori di droghe ed anche un inevitabile impatto sui reati tipici dei contesti ad elevata aggregazione e socializzazione.
  Per quanto riguarda, in particolare, il mercato degli stupefacenti, i dati indicano che Perugia rappresenta per gli spacciatori un riferimento logistico privilegiato verso cui affluiscono acquirenti provenienti anche da province limitrofe e, conseguentemente, anche un luogo nel quale si concentrano morti per overdose.
  Lo spaccio della droga pare concentrato principalmente nel centro storico perugino e nei quartieri ad esso contigui, dove è più presente la comunità degli studenti universitari (ben 30 mila nelle due università).
  Il consistente flusso di droga diretto al capoluogo umbro viene alimentato da numerosi canali, facenti capo a soggetti di diverse nazionalità.
  Le risultanze investigative evidenziano che i sodalizi di matrice tunisina hanno di recente conseguito una posizione di predominio rispetto ai gruppi provenienti dall'area balcanica, in particolare dall'Albania, da altri paesi nordafricani e dalla Nigeria.
  In tale contesto, le Forze di polizia, la magistratura, la prefettura e le istituzioni locali non abbassano la guardia e mantengono alto e costante l'impegno.
  A fronte di un incremento della delittuosità, associato all'accresciuta presenza di cittadini extracomunitari dediti al traffico ed allo spaccio al minuto di droga, è proporzionalmente aumentata anche l'attività repressiva delle forze di polizia. Nel 2011, infatti, sono state arrestate, per attività legate allo spaccio di stupefacenti, 248 persone ( + 13 per cento rispetto al 2010) e già 49 nell'anno in corso (+ 19 per cento rispetto al 2011).
  Nel corso del 2012, in particolare, i quantitativi di eroina sequestrati hanno registrato un incremento rispetto al biennio precedente (chilogrammi 3,647 nel 2010, chilogrammi 4,532 – + 24,27 per cento – nel 2011 e chilogrammi 2,298 ad aprile 2012).
  Sono state condotte complessivamente, 224 operazioni antidroga nel 2009, 167 nel 2010, 174 nel 2011 e 39 da gennaio ad aprile 2012.
  Ricordo le più importanti che hanno interessato l'area di Perugia:
   l'operazione «Enrico IV»: iniziata nel febbraio 2010 dalle squadre mobili delle questure di Roma e Perugia nei confronti di un'organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti si è conclusa, nel maggio 2011, con il sequestro di chilogrammi 2,3 di cocaina e l'arresto di tre persone;

   l'operazione «Arcobaleno 2007»: stralcio dell'operazione «Sweet baby», condotta dal nucleo polizia tributaria della Guardia di finanza di Perugia nei confronti di soggetti nordafricani dediti al traffico di sostanze stupefacenti nel capoluogo umbro. Sono state deferite all'autorità giudiziaria 25 persone, di cui 21 in stato d'arresto e sono stati sequestrati chilogrammi 48 di hashish e 659 autovetture. L'operazione si è conclusa nel novembre 2009;
   l'operazione «Fentanest» condotta dal giugno 2009 dai Carabinieri Nas di Perugia e rivolta al contrasto dello spaccio di stupefacenti e farmaci inseriti nelle tabelle di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. L'attività trae origine dall'arresto di un medico ospedaliero per spaccio di sostanze stupefacenti, in particolare hashish e fiale di Fentanest. Nel corso dell'indagine sono state deferite all'autorità giudiziaria 17 persone, di cui una in stato di arresto, e sono stati sequestrati grammi 350 di hashish ed altre sostanze, nonché due confezioni di farmaci ospedalieri.

  Nella consapevolezza, poi, della necessità di associare alle specifiche attività antidroga anche un'efficace azione di contrasto all'immigrazione clandestina, nel corso del 2011 la questura perugina ha provveduto ad allontanare 219 clandestini irregolari, in gran parte tunisini, di cui 145 solo negli ultimi quattro mesi dell'anno. Dall'inizio del 2012, sono stati espulsi 163 stranieri irregolari; tra questi, 35 – in prevalenza albanesi – con accompagnamento alla frontiera, e 54 – soprattutto tunisini – presso i Centri di identificazione ed espulsione.
  Un apposito protocollo operativo riguarda, inoltre, l'allontanamento dal territorio nazionale degli stranieri degli istituti di pena di Perugia e Spoleto.
  Già da qualche mese sono in atto servizi straordinari di controllo dei luoghi di aggregazione della popolazione clandestina in città, degli appartamenti sovraffollati, nonché verifiche e bonifiche degli stabili abbandonati.
  Ancora, in attuazione degli orientamenti emersi in seno al comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica – immediatamente convocato ogni volta che episodi di cronaca abbiano consigliato di acquisirne le valutazioni – si è resa più visibile ed attenta la presenza degli operatori di polizia nei luoghi critici della città, impiegando in modo coordinato anche agenti della polizia municipale e di quella provinciale. Ciò con il duplice obiettivo di contrastare meglio e scoraggiare lo spaccio della droga e la criminalità diffusa che ad esso si intreccia nonché di incrementare la percezione di sicurezza dei cittadini.
  Nell'ottica del dialogo e del coordinamento tra prefettura e comune di Perugia, rientra anche il «patto per Perugia Sicura», rinnovato il 14 gennaio 2011 – alla presenza del Ministro dell'interno pro tempore – dal prefetto, dal sindaco del capoluogo e dai presidenti della regione e della provincia.
  L'accordo ha inteso perfezionare lo sviluppo di sinergie tra tutti i soggetti coinvolti prevedendo, tra l'altro, attività di monitoraggio e pattugliamento coordinato tra forze di polizia statali e locali nelle zone nevralgiche e più sensibili della città, nonché la predisposizione di specifici progetti in materia di sicurezza urbana integrata su aree di intervento ritenute prioritarie.
  Per quanto riguarda lo stato di attuazione degli obiettivi del «Patto», si segnala che il comune di Perugia ha presentato alla regione due progetti a valere sul bando «progetti volti a migliorare la sicurezza dei cittadini», finanziato in base alla legge regionale 14 ottobre 2008. Entrambi sono stati co-finanziati dalla regione Umbria per un importo complessivo di euro 121.897,15, cui vanno ad aggiungersi ulteriori euro 45.000,00 destinati al secondo stralcio di uno dei progetti denominato «Perugia sicura».
  Nel marzo 2012 si è svolto in prefettura un vertice interforze. L'incontro ha testimoniato la vicinanza e l'attenzione del Governo ai problemi del territorio ed è stato, anche, l'occasione per sottolineare l'efficacia del lavoro di coordinamento e di sinergia tra l'autorità giudiziaria e quella di pubblica sicurezza e tra le autorità centrali e quelle locali, ai fini del contrasto ai fenomeni di criminalità.
  Nel corso della riunione è stato deciso l'invio temporaneo di reparti di rinforzo della polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri per il potenziamento del sistema di controllo del territorio attraverso la disposizione di ulteriori servizi di pattugliamento, nella fascia oraria 20.00/02.00, in aggiunta a quelli già previsti nel relativo piano coordinato.
  I risultati finora conseguiti hanno avuto il consenso della cittadinanza e degli stessi ambienti istituzionali.
  Lo stesso Ministro dell'interno Cancellieri, in un recente intervento all'assemblea dell'Anci Umbria a Perugia, ha evidenziato la necessità di tenere alta la guardia affinché «i livelli di sicurezza non vengano scalfiti, ma se possibile migliorati». A Perugia è stato già dato un forte contributo con i reparti prevenzione crimine che, ha ricordato il Ministro, stanno lavorando egregiamente.
  Non può, tuttavia, non rilevarsi che le risorse umane a disposizione della polizia di Stato nella provincia sono sottodimensionate rispetto alle previsioni organiche.
  Relativamente ai mezzi, attualmente la questura di Perugia dispone di 17 vetture per il controllo del territorio, 38 vetture con i colori di serie, di cui 3 in giudiziale custodia, 16 vetture in colore di istituto per servizi ordinari.
  È prevista, altresì, la prossima assegnazione alla questura di un'auto con i colori di istituto, per i servizi ordinari.
  Con le prossime distribuzioni di «volanti», pianificate tra la fine del 2012 e l'inizio dell'anno successivo, si provvederà a ripianare la carenza di autovetture per il controllo del territorio e a sostituire, ove necessario, quelle con maggior carico chilometrico.
  Per le autovetture con i colori di serie, invece, stante l'attuale soprannumero, non è stato previsto alcun potenziamento per l'anno in corso, salvo che vengano avviate al fuori uso una cospicua aliquota di auto in dotazione.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle prime ore dell'8 febbraio 2012 tre giovani militanti della Lega Nord intenti a scrivere sul muro dell'ippodromo di Varese pensieri concernenti la figura del Presidente del Consiglio sono stati fermati da una squadra volante della Polizia, che li ha identificati e tradotti negli uffici di Piazza Libertà, sede della Questura;
   stando a quanto ha affermato la Questura, i giovani sarebbero stati raggiunti in seguito ad una segnalazione proveniente dalla cittadinanza e quindi trasferiti negli uffici della Questura varesina per regolare una serie di incombenze procedurali collegate al sequestro dei materiali usati per vergare la scritta;
   i giovani risultano essere stati trattenuti negli uffici della Polizia per un arco di tempo che il loro avvocato, Attilio Fontana, ha giudicato lungo;
   fatto più grave, uno dei giovani sarebbe stato inoltre sottoposto a perquisizione personale, conclusasi con esito negativo, pratica di per sé umiliante, ancorché «eseguita nel rispetto della dignità personale e del pudore», e comunque ingiustificata in rapporto agli addebiti contestati;
   le forze di polizia dovrebbero intervenire a tutela del pubblico decoro evitando che la loro condotta possa essere interpretata come una forma di intimida- zione politica o peggio come una gratuita umiliazione di chi manifesta il proprio pensiero –:
   su quali basi si giustifichino le modalità di intervento prescelte dalla polizia e descritte nella premessa. (4-15141)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede di conoscere le motivazioni che hanno indotto il personale dell'ufficio prevenzione della questura di Varese ad effettuare perquisizioni personali sui tre giovani fermati il 18 febbraio 2012, alle ore 1.00 circa, a seguito di una segnalazione effettuata da alcuni cittadini.
  Il personale di polizia intervenuto ha individuato tre giovani nelle vicinanze del muro dove vi erano scritte riguardanti il Presidente del Consiglio dei ministri. Gli stessi, in possesso di pennelli e secchi di vernice, hanno ammesso di essere gli autori del gesto.
  Gli operatori della polizia di Stato hanno sequestrato il materiale utilizzato, effettuando le perquisizioni personali.
  La permanenza dei tre fermati negli uffici della questura è durata il tempo strettamente necessario alla redazione, per ciascuno dei tre, dei prescritti atti di polizia giudiziaria, quali i verbali di identificazione, di perquisizione e di sequestro.
  A tale riguardo si rappresenta, inoltre, che ciascuno dei tre fermati, in forma separata, ha inteso rendere spontanee dichiarazioni.
  L'intera attività di polizia giudiziaria si è svolta in piena conformità agli ordinari parametri giuridici ed operativi e nel totale ed assoluto rispetto della dignità delle persone fermate, in un contesto del tutto avulso da valutazioni diverse da quelle inerenti le attività istituzionali da compiere.
  Le perquisizioni personali sono state effettuate nell'immediatezza dei fatti in ottemperanza all'articolo 113 disposizioni di attuazione codice di procedura penale attesa la necessità ed urgenza determinata dalla flagranza del reato e la possibilità che i fermati potessero essere in possesso di altri oggetti pertinenti al fatto.
  Il rispetto della dignità personale e del pudore, è stato garantito dall'intervento di operatori di polizia dello stesso sesso, come disposto dell'articolo 79 disposizioni di attuazione codice di procedura penale.
  La questura di Varese ha tempestivamente informato dei fatti l'autorità giudiziaria.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   HOLZMANN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le informazioni sulla conservazione e cottura e le principali caratteristiche dei prodotti alimentari costituiscono indicazioni importanti per i consumatori;
   la maggior parte degli alimenti riporta queste indicazioni fondamentali con caratteri che sovente non vengono neppure stampati sulle confezioni, come nel caso della data di scadenza del prodotto, ma semplicemente incise e sono quindi poco visibili;
   spesso le confezioni dei prodotti riportano in grande evidenza informazioni pubblicitarie, foto, disegni ed altri elementi grafici allo scopo di attirare l'attenzione del consumatore ma assai poca attenzione viene riservata alla corretta lettura delle informazioni più importanti e fondamentali;
   molti consumatori sono anziani e comunque anche coloro che hanno un'età minore non sempre hanno una vista eccellente e quindi sono particolarmente esposti ad una non corretta conservazione e consumo dei prodotti alimentari –:
   se il Ministro intenda intervenire su questa delicata materia assumendo ogni iniziativa, anche normativa, di competenza per costringere i produttori ad adottare un codice di comportamento al fine di prevedere uno spazio specifico sulle confezioni per le indicazioni fondamentali dei prodotti alimentari: peso, data di scadenza, modalità di conservazione, indicazioni sulla cottura o il consumo e valori energetici e, qualora le superfici delle confezioni di determinati prodotti non fossero sufficienti, abbinando dei fogli integrativi da contenere all'interno così come viene fatto per i farmaci. (4-15264)

  Risposta. — L'etichetta nei prodotti alimentari rappresenta uno strumento indispensabile per aiutare i consumatori nel fare scelte informate alimentari e dietetiche più consapevoli.
  Una buona leggibilità costituisce un elemento importante per far sì che l'informazione contenuta in etichetta possa influenzare al massimo il pubblico. Le informazioni illeggibili sul prodotto sono una delle cause principali dell'insoddisfazione dei consumatori.
  La questione, che è della massima importanza, è stata affrontata e riportata nel regolamento n. 1169 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori, votato dal Parlamento europeo il 6 luglio 2011 e formalmente adottato dal Consiglio dell'Unione europea il 29 settembre 2011.
  Tale regolamento prevede, all'articolo 13 concernente la presentazione delle indicazioni obbligatorie sui prodotti alimentari, che le etichette siano facilmente visibili, chiaramente leggibili ed eventualmente indelebili e in alcun modo nascoste, oscurate, limitate o separate da altre indicazioni scritte o grafiche.
  Inoltre, viene aggiunto un criterio misurabile di leggibilità che non era previsto dalla normativa precedente. Tale criterio corrisponde ad una dimensione dei caratteri pari o superiore a 1,2 millimetri. Nel caso di imballaggi con superficie maggiore inferiore a 80 centimetri quadrati, la dimensione dei caratteri è pari o superiore a 0,9 millimetri.
  Si segnala che ulteriori criteri di leggibilità (esempio tipo di testo, formato, layout, eccetera) verranno stabiliti successivamente dalla Commissione europea.
  I criteri introdotti dal Regolamento n. 1169 del 2011 permetteranno non solo un migliore approccio del consumatore nei confronti del prodotto alimentare, ma anche di elevarne le conoscenze, a tutto vantaggio della tutela della salute.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteAdelfio Elio Cardinale.


   LARATTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del 7 gennaio 2011, in un agguato nel centro di Reggio Calabria, è stato ucciso il giovane parrucchiere Giuseppe Sorgonà, 25 anni, incensurato. Il giovane è stato ucciso a colpi di arma da fuoco mentre in auto rientrava a casa. Nella stessa auto era presente un bambino di due anni rimasto illeso;
   le indagini hanno accertato che l'automobile di Giuseppe Sorgonà, in via Nava è stata affiancata da uno scooter. Il killer ha esploso più colpi di pistola all'indirizzo del giovane che, raggiunto in diverse parti del corpo e alla testa, è morto immediatamente;
   questo barbaro assassinio ha gettato nel più completo sconforto i parenti, gli amici e i conoscenti del giovane parrucchiere, che è risultato del tutto estraneo a qualsiasi ambiente malavitoso, e mai è rimasto coinvolto in azioni illecite. Anche nei confronti della famiglia del giovane si nutre un generale apprezzamento, e mai in nessun caso è stata accostata ad ambienti criminali o sfiorata da qualsiasi sospetto;
   proprio per questa ragione, il brutale assassinio appare del tutto incomprensibile. E le indagini non hanno dato finora alcuna risposta;
   la gente del posto vive nello sconforto il verificarsi di fatti di questo genere, e sente il bisogno di avere risposte che facciano chiarezza su un atto così drammatico;
   la Calabria degli onesti, che è la grande parte di questa terra, ha organizzato in questi giorni manifestazioni di solidarietà e vicinanza alla famiglia Sorgonà. Nel contempo ha chiesto allo Stato di mettere in atto tutti gli strumenti per fare luce su questo episodio –:
   se sia a conoscenza del mortale agguato al giovane Giuseppe Sorgonà;
   quali iniziative intenda promuovere per assicurare adeguate forze e strumenti necessari per garantire un pronto svolgimento delle indagini per identificare gli assassini del povero Giuseppe Sorgonà. (4-10440)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame la prefettura di Reggio Calabria ha comunicato che il 7 gennaio 2011, verso le ore 19.00, il signor Giuseppe Sorgonà, al termine della quotidiana attività lavorativa nel negozio di parrucchiere ed estetista «Distinguo», si poneva alla guida della propria autovettura insieme al figlio di tenera età. Percorse alcune centinaia di metri, il veicolo veniva affiancato da una moto dalla quale ignoti esplodevano due colpi di pistola, uno dei quali colpiva il conducente al capo provocandone il decesso.
  La ricostruzione della matrice dell'episodio criminoso non è agevole, in quanto dai primi approfondimenti il Sorgonà e la sua famiglia risultano estranei ad ambienti della malavita e non coinvolti in attività illecite di alcun genere.
  Le indagini riguardanti l'omicidio, coordinate dalla locale procura della Repubblica – direzione distrettuale antimafia sono, comunque, tuttora in corso, al fine di individuare il movente e i responsabili di questa grave azione delittuosa che ha profondamente scosso la cittadinanza di Mosorrofa e l'intera comunità reggina.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   MANCUSO, DE LUCA, GIRLANDA e BOCCIARDO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea in vista dell'applicazione della direttiva (CE) 1999/74, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 267 del 2003, aveva richiesto a tutti gli Stati membri di fornire dati ufficiali relativamente alle consistenze di galline destinate alla produzione di uova e allevate in gabbie di batteria convenzionali alla data del 1o aprile e la stima del numero di galline ovaiole che alla data del 1o gennaio 2012 sarebbero state detenute in gabbie di batteria convenzionali, che da quella data sono illegali secondo il disposto della direttiva (CE) 1999/74, come è illegale la vendita delle uova prodotte in tali allevamenti;
   secondo i dati forniti dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, relativi alla consistenza degli animali detenuti in gabbie di batteria convenzionali al 1° aprile 2011, il nostro Paese non rispetta il divieto di allevamento delle galline in gabbie di batteria convenzionali dal 1° gennaio 2011. Inoltre il nostro Paese non ha fornito alla Commissione europea nessun dato sulla stima di non conformità dei sistemi di allevamento alla data del 1° gennaio 2012 come espressamente richiesto da Bruxelles;
   gran parte del mondo degli allevatori, nonostante tredici anni di tempo per adeguarsi, non ha rispettato quanto previsto dalla norma ed oggi afferma che preferiranno pagare le sanzioni irrisorie previste dal decreto legislativo n. 267 del 2003, piuttosto che adeguare i propri impianti –:
   quali iniziative siano state intraprese per:
    a) ottenere dai produttori gli adeguamenti degli impianti alle previsioni normative, eliminando quindi le gabbie di batteria convenzionali dal il 1° gennaio 2012;
    b) assicurare che tutte le uova prodotte negli allevamenti illegali dal 1° gennaio 2012, cioè in gabbie convenzionali, non vengono immesse sul mercato italiano ed estero;
    c) evitare che negli allevamenti registrati con entrambi i sistemi di gabbie presenti, convenzionali e arricchite, le uova derivanti da sistemi illegali non siano immesse sul mercato mescolando queste uova con quelle derivanti dai sistemi di gabbie arricchite o da sistemi alternativi. (4-14665)


   MANCUSO, BOCCIARDO, BARANI, DE LUCA e GIRLANDA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   il 26 febbraio 2012 la Commissione europea, con lettera di costituzioni in mora, ha aperto una procedura di infrazione (n. 2011/2231), nei confronti dell'Italia e di altri 12 Stati membri a causa del ritardato adeguamento alla normativa dell'Unione europea sull'allevamento delle galline ovaiole;
   nel provvedimento si chiedono solleciti interventi per ovviare alle carenze nelle garanzie di benessere animale che tale ritardo sta causando e, in particolare per il rispetto del divieto di utilizzo delle gabbie «non modificate», già stabilito con la direttiva 1999/74/CE (recepita con il decreto legislativo n. 267 del 2003);
   in base alla normativa vigente le galline ovaiole devono essere tenute nelle cosiddette «gabbie modificate» e avere a disposizione maggiore spazio per nidificare, razzolare e appollaiarsi;
   gli stati membri interessati hanno due mesi per rispondere;
   spesso gli allevatori preferiscono pagare le sanzioni previste, ritenute irrisorie, piuttosto che affrontare gli investimenti necessari ad adeguare gli impianti;
   l'Italia non è stata in grado di fornire alla Commissione europea alcun dato sulla stima di non conformità dei sistemi di allevamento alla data del 1° gennaio 2012 –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per assicurare il rispetto delle direttive europee sull'allevamento delle galline ovaiole. (4-15233)

  Risposta. — In merito alle iniziative intraprese dal Ministero della salute per ottenere dagli allevatori di galline ovaiole gli adeguamenti degli impianti ai criteri stabiliti dalla direttiva 1999/74/CE, si precisa quanto segue.
  Con l'emanazione del piano nazionale benessere animale, avvenuta nel 2008, sono stati imposti alle regioni degli standards minimi inerenti il numero e la tipologia di controlli sul benessere delle diverse specie animali, comprese le galline ovaiole; su tali controlli le regioni devono rendere conto annualmente al Ministero della salute.
  Sempre a partire dal 2008, questo Ministero ha intrapreso numerose attività volte a garantire il rispetto della normativa in vigore da parte degli allevatori; infatti, oltre all'emanazione di diverse note indirizzate alle regioni, nelle quali si sottolineava la necessità di aumentare il numero e l'efficacia dei controlli a cura dei veterinari ASL nel settore in questione, questo Ministero ha fatto presente alle associazioni di categoria la non procrastinabilità della data del 1° gennaio 2012 per la messa al bando delle gabbie non modificate.
  Inoltre, il Ministero della salute ha emanato un programma ispettivo per il controllo da parte dei veterinari ASL, nel periodo tra il 1 ° gennaio ed il 29 febbraio 2012, di tutti gli allevamenti che utilizzano gabbie: gli eventuali allevamenti non conformi verranno sottoposti alle sanzioni previste dal decreto legislativo 29 luglio 2003, n. 267.
  Inoltre, negli allevamenti trovati non conformi e per i quali il proprietario non abbia intenzione di modificare le strutture si provvederà, in accordo con quanto prescritto dall'articolo 54 del regolamento 882/2004/CE, alla sospensione dell'attività.
  Il Ministero ha programmato un secondo ciclo ispettivo, che sarà effettuato a partire dal 1° luglio 2012.
  Si segnala, altresì, la proposta di emendamento alla legge comunitaria 2011, già approvata dalla Camera dei deputati (AC 4059), concernente la richiesta di conferimento di delega al Governo per la revisione e, più in generale, il riordino della disciplina sanzionatoria sancita dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 267 del 2003, anche al fine di adeguare il sistema sanzionatorio ai principi di effettività, proporzionalità e dissuasività, nonché per inibire la condotta di alcuni allevatori, che preferiscono pagare le sanzioni previste piuttosto che affrontare gli investimenti necessari per l'adeguamento degli impianti.
Relativamente ai quesiti concernenti le iniziative che si intende assumere per la commercializzazione e separazione delle uova prodotte in strutture non conformi, le quali in ogni caso non hanno alcun problema di tipo sanitario, occorre precisare che la regolamentazione sulla commercializzazione delle uova rientra nella competenza esclusiva del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
  Il Ministero della salute, tuttavia, dovendo fornire, nell'ambito di un piano d'azione presentato alla Commissione europea, garanzie circa la non immissione sul mercato comunitario delle uova non conformi, con nota del 18 febbraio 2012 ha richiesto a detto dicastero di voler mettere in opera idonei meccanismi atti ad assicurare una tracciabilità di tali uova, nonché, ove possibile, di limitarne il commercio garantendo che le stesse non vengano spedite verso altri Paesi comunitari.
  Per gli aspetti di propria competenza, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha precisato di aver avviato l’iter per inasprire le sanzioni previste dal decreto legislativo n. 267 del 2003, al fine di renderle maggiormente dissuasive nei confronti delle aziende irregolari.
  Lo stesso dicastero, con il decreto ministeriale 15442 del 3 agosto 2011, ha delineato le «Modalità attuative per la presentazione dell'istanza di adesione volontaria al programma di adeguamento degli impianti di allevamento delle galline ovaiole», con cui è possibile monitorare e gestire la fase di adeguamento alle disposizioni comunitarie.
  Per quanto concerne la commercializzazione delle uova provenienti da allevamenti non a norma, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, al fine di non creare distorsioni di concorrenza, intende provvedere ad applicare nel territorio nazionale ogni iniziativa e decisione presa ufficialmente a livello comunitario.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteAdelfio Elio Cardinale.


   MANCUSO, GIRLANDA e DE LUCA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i posti di ispezione transfrontaliera (PIF) sono degli uffici veterinari, riconosciuti su base comunitaria, che effettuano i controlli igienico sanitari su animali vivi e prodotti di origine animale, provenienti da Paesi extracomunitari e destinati sia all'Italia che all'Unione europea, o anche solo in transito;
   i posti di ispezione transfrontaliera investono un'importanza fondamentale per la salute e la sicurezza alimentare pubblica;
   l'aeroporto di Caselle è un importante snodo commerciale per le merci, anche quelle alimentari e/o di origine animale;
   in particolare, il posto di ispezione transfrontaliera dell'aeroporto di Caselle è abilitato al controllo degli animali che viaggiano con passeggeri e provengono da Paesi extra comunitari;
   si apprende che il Ministero della salute ha deciso di chiudere il posto di ispezione transfrontaliera dell'aeroporto di Caselle –:
   se il Governo intenda rivalutare l'intervento di chiusura di questo importante avamposto di sicurezza pubblica. (4-15311)

  Risposta. Il posto d'ispezione frontaliero (PIF) di Torino Caselle aeroporto è stato abilitato e inserito, nell'anno 2009, nell'elenco dei PIF europei autorizzati dalla Commissione europea per le attività di controllo all'importazione esclusivamente dei prodotti di origine animale destinati al consumo umano e per quelli non destinati al consumo umano (decisione della Commissione n 2009/821/CE). L'abilitazione per il controllo degli animali vivi è stata esclusa, in quanto ritenuta dalla società di gestione dell'Aeroporto non di interesse per i traffici dello scalo, come comprovato dai dati degli ultimi 3 anni, che confermano l'assenza di qualsiasi richiesta di importazione di animali vivi attraverso il PIF di Caselle.
  Per quanto concerne l'attività espletata dal PIF di Torino Caselle nel settore dei controlli dei prodotti di origine animale, si fa presente che, a causa dell'esiguo traffico commerciale di tale tipologia di merce in provenienza da Paesi terzi, l'intervento del PIF si è reso necessario in limitati casi (5 partite di prodotti nel 2011, meno di 1 partita ogni 2 mesi), rappresentati tutti da «collezioni ed esemplari per collezioni di zoologia, di botanica, eccetera», prodotti che non rivestono rilievo sanitario sia per gli aspetti di sanità animale che di sanità pubblica.
  Pertanto, dalla valutazione complessiva dell'attività svolta dal PIF nei precedenti anni e delle altre condizioni che rendono necessario il mantenimento di un PIF, attivo presso l'aeroporto di Torino Caselle, ne è conseguita la richiesta alla Commissione europea di sospendere temporaneamente il PIF, in attesa del ripristino delle condizioni che ne rendono necessaria la riapertura.
  La scelta della misura di sospensione temporanea, in alternativa alla chiusura del PIF, è stata effettuata con l'intento di garantire alla Società di gestione dell'aeroporto di Torino Caselle un ulteriore periodo utile per mettere in atto tutte le azioni ritenute opportune per la realizzazione di un flusso consolidato di traffici commerciali di merci d'interesse veterinario in provenienza da Paesi terzi.
  Qualora nel corso del 2012 venisse evidenziata l'effettiva e documentata possibilità di nuovi e adeguati traffici commerciali da Paesi terzi, si potrà immediatamente procedere alla revoca della sospensione che, sulla base della normativa comunitaria di riferimento, non prevede un'ulteriore missione in loco da parte della Commissione europea.
  In riferimento, infine, a quanto riportato nell'interrogazione in esame parlamentare circa l'abilitazione del PIF di Torino Caselle per il controllo degli animali da compagnia al seguito dei viaggiatori, si precisa che questo tipo di abilitazione non è prevista da nessuna norma comunitaria o nazionale. Infatti, sulla base della normativa di riferimento comunitaria (regolamento (CE) n. 998 del 2003) e nazionale (decreto del Ministero della salute del 20 aprile 2005 di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze), le introduzioni di animali da compagnia al seguito dei viaggiatori possono avvenire attraverso qualsiasi punto d'ingresso doganale anche non sede di PlF e la competenza dei controlli, pertanto, è stata affidata alle dogane territorialmente competenti. Queste ultime, sulla base di quanto disposto dal citato decreto interministeriale, possono avvalersi, in caso di necessità di carattere sanitario, del personale degli uffici veterinari periferici del Ministero della salute, sia attraverso consulenze che attraverso richieste di controlli sanitari in loco, in situazioni eccezionali.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteAdelfio Elio Cardinale.


   MENIA, PERINA, BRIGUGLIO, GRANATA, PROIETTI COSIMI e TOTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, l'Associazione italiana difesa animali & ambiente (Aidaa) ha denunciato una situazione estremamente sconvolgente e allarmante;
   ogni anno in Italia almeno 6-7 mila gatti sarebbero allevati, cacciati o semplicemente uccisi a scopo alimentare: si tratterebbe, in sostanza, di circa il 10 per cento di tutti i gatti scomparsi ed abbandonati che verrebbero «cucinati prevalentemente in umido con la polenta o arrosto»;
   tale dato impressionante – elaborato sulla base delle numerose segnalazioni raccolte, nel 2011, dall'Aidaa – non si discosterebbe molto da quello degli anni precedenti e confermerebbe, purtroppo, resistenza di una vera e propria abitudine culinaria che, sebbene vietata, sembra, invece, fortemente radicata in alcune zone specifiche del centro-nord (in particolare, in Veneto con epicentro nelle zone di Vicenza e Verona);
   ai sensi della normativa vigente, il nostro Paese promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti, il loro abbandono, nonché il loro impiego in combattimenti clandestini o in competizioni non autorizzate, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente;
   l'articolo 544-bis del codice penale punisce addirittura con la reclusione chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale;
   la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987 e ratificata in Italia con la legge 4 novembre 2010, n. 201 stabilisce: – «Nessuno causerà inutilmente dolori, sofferenze o angosce ad un animale da compagnia» (articolo 3); – «Solo un veterinario o altra persona competente deve procedere all'uccisione di un animale da compagnia». (articolo 11); – «Le eccezioni ai principi stabiliti nella presente Convenzione relative alla cattura, al mantenimento ed all'uccisione degli animali randagi saranno accolte solo se sono inevitabili nell'ambito dei programmi governativi di controllo delle malattie». (articolo 13);
   in attuazione di tali principi, le disposizioni nazionali (anche regolamentari) hanno precisato che i cani e i gatti randagi, di proprietà o ricoverati nelle apposite strutture possono essere soppressi solo se gravemente malati, non più curabili o di comprovata pericolosità e comunque, esclusivamente da parte delle autorità sanitarie competenti;
   in particolare, va tenuto presente che, nel nostro Paese, la macellazione è regolata da tutta una serie di norme sanitarie e legislative stringenti ed è soggetta a rigorosi controlli sanitari soprattutto al fine di garantire la sicurezza e l'idoneità della carne all'alimentazione umana –:
   se sia a conoscenza di quanto denunciato in premessa e se non ritenga doveroso, per quanto di competenza, acquisire ogni elemento utile a verificare e chiarire la situazione nonché intensificare le attività di ispezione, vigilanza e controllo;
   quali iniziative, anche di carattere normativo, il Governo intenda assumere al fine di prevenire e contrastare una pratica che sembra essere ampiamente diffusa in alcune zone del Paese e se, a tale scopo, non ritenga, altresì, opportuno promuovere – eventualmente in collaborazione con i servizi veterinari delle aziende sanitarie competenti per territorio, le istituzioni scolastiche e le associazioni di volontariato animalista – lo sviluppo di programmi d'informazione e di sensibilizzazione sui temi dell'allevamento, dell'addestramento, del commercio e della custodia di animali da compagnia. (4-14778)

  Risposta. — Dai dati in possesso del Ministero della salute non risultano elementi attestanti il fenomeno denunciato dall'Associazione italiana difesa animali & ambiente (Aidaa) e la quantificazione numerica dello stesso.
  Tuttavia, l'unità operativa per la tutela degli animali da affezione e la lotta al randagismo, operante in seno al Ministero della salute, che finora non ha ricevuto segnalazioni specifiche in merito, effettuerà le opportune verifiche in collaborazione con il comando Carabinieri per la tutela della salute – nuclei antisofisticazioni in sanità (Nas) e con i servizi veterinari territorialmente competenti.
  A tal proposito, si ritiene utile l'acquisizione dei dati in possesso all'Associazione denunciante e che si provvederà a richiedere.
  Circa le iniziative finalizzate alla prevenzione ed al contrasto del fenomeno descritto nell'interrogazione, è opportuno evidenziare che la legislazione vigente in materia già prevede la promozione di programmi di informazione e di sensibilizzazione sui temi dell'allevamento, addestramento, commercio e custodia degli animali da compagnia.
  In particolare, la legge 14 agosto 1991, n. 281, «Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo», all'articolo 3, comma 4, stabilisce che le regioni attuino iniziative di informazione, da svolgere anche in ambito scolastico, al fine di ottenere un corretto rapporto di rispetto della vita animale e la salvaguardia del suo habitat.
  Inoltre, l'accordo 6 febbraio 2003 tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy (recepito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 febbraio 2003), prevede, tra l'altro, la promozione di programmi di informazione e di educazione, con l'obiettivo di favorire una corretta convivenza tra le persone e gli animali da compagnia nel rispetto delle esigenze sanitarie, ambientali e del loro benessere.
  Questi programmi sono rivolti a coloro che sono interessati alla custodia, all'allevamento, all'addestramento, al commercio e al trasporto di animali da compagnia.
  Specifici corsi di formazione o di aggiornamento sul benessere animale rivolti ai medici veterinari, al personale di vigilanza e alle associazioni di volontariato sono altresì promossi dalle regioni e province autonome.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteAdelfio Elio Cardinale.


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 aprile 2011 – durante lo svolgimento di una manifestazione in solidarietà dei lavoratori precari, in piazza Garibaldi a Padova – una ventina di appartenenti al centro sociale occupato «Pedro» ha aggredito un gruppo di militanti della Lega Nord intenti a distribuire volantini, danneggiando il loro banchetto;
   solo grazie al tempestivo intervento degli agenti della Digos e della questura di Padova si è potuto evitare che l'aggressione ad opera dei militanti del centro sociale «Pedro» comportasse conseguenze più gravi;
   nei confronti degli aggressori è in corso un'indagine per i reati di violenza privata e violenza e resistenza a pubblico ufficiale;
   in seguito alla sopra descritta aggressione i promotori dell'iniziativa a favore dei precari, in particolare la Cgil e il Partito democratico, hanno deciso immediatamente di ritirare la propria adesione alla manifestazione, al fine di prendere le distanze dal gruppo di violenti;
   non è la prima volta che i militanti del centro sociale «Pedro» si rendono protagonisti di simili episodi –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative di sua competenza il Ministro intenda assumere per prevenire e contrastare il ripetersi e il diffondersi di episodi di violenza politica come l'aggressione al presidio della Lega Nord a Padova da parte di un gruppo di aderenti al centro sociale «Pedro». (4-11591)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione indicata in esame, si informa l'interrogante che dagli elementi acquisiti dalla prefettura di Padova e dal dipartimento della pubblica sicurezza risulta che, per il pomeriggio di sabato 9 aprile 2011, era stata regolarmente preavvisata dal responsabile organizzativo del Partito democratico una manifestazione dal titolo «Comitato 9 aprile – la nostra vita è adesso», per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla problematica dei lavoratori precari, che si sarebbe dovuta svolgere a Padova, in piazza Garibaldi, a partire dalle ore 18.30.
  Nella stessa giornata, il partito della Lega nord aveva predisposto un'articolata presenza di banchetti per la raccolta di firme di protesta contro alcuni provvedimenti della giunta comunale di Padova, con numerose postazioni in tutto il centro storico e nei quartieri, tra cui uno nei pressi di piazza Garibaldi.
  Al fine di evitare possibili tensioni o contrapposizioni tra le due iniziative, la questura aveva concordato preventivamente con i responsabili della Lega nord che la raccolta di firme cessasse già alle ore 17.00, con largo anticipo rispetto alla manifestazione successiva.
  Alle ore 16.30 circa, nei pressi del citato banchetto della Lega nord, si sono radunate una ventina di persone aderenti al centro sociale occupato (Pedro) ed al collettivo di scienze politiche, che hanno minacciato con atti intimidatori i militanti leghisti, che non hanno reagito evitando ulteriori intemperanze.
  È prontamente intervenuto il personale della questura che è riuscito a respingere il gruppo degli antagonisti nella parte opposta della piazza, in attesa di ulteriori rinforzi distaccati da altri servizi.
  Una nuova ed accesa contestazione da parte degli antagonisti si è innescata in occasione del transito nella piazza, in compagnia del figlio, di un noto consigliere comunale di area Pdl. Poco dopo, è giunto sul posto il personale di rinforzo del 2o reparto mobile ed è stato attuato un deciso e risolutivo respingimento dei facinorosi fuori dalla piazza, ponendo fine alle turbative.
  I promotori della manifestazione dei precari – preso atto dell'azione posta in essere dai militanti delle formazioni antagoniste, da cui si sono espressamente dissociati – hanno comunicato di rinunciare alla iniziativa programmata.
  Per l'episodio sopra esposto, in esito all'immediata attività d'indagine avviata dalla questura di Padova, sono stati identificati e deferiti all'autorità giudiziaria dieci attivisti del centro sociale occupato Pedro e dei collettivi per violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni ed ingiurie contro il consigliere comunale ed il figlio.
  La magistratura inquirente ha riunito le posizioni processuali di attivisti antagonisti indagati anche per altri analoghi reati commessi nel capoluogo, e nei confronti di sei di essi ha emesso misure cautelari consistenti nell'obbligo di dimora presso l'abitazione di residenza per cinque residenti in altre province, e nella presentazione quotidiana presso la Polizia giudiziaria per il solo residente in Padova.
  Nell'ambito di detto procedimento penale, il 7 maggio 2012, dinanzi al tribunale di Padova in composizione monocratica, si è svolta la prima udienza, ma il processo è stato aggiornato alla data del 20 settembre 2012 per difetto di notificazione.
  Il centro sociale Pedro ha sede in un ex magazzino situato a Padova, in via Ticino, di proprietà dell'amministrazione comunale, considerato punto di riferimento anche organizzativo di numerose iniziative della compagine.
  L'occupazione dell'immobile, effettuata abusivamente nel 1987, è stata successivamente regolarizzata nel 1995, con la stipula di un contratto triennale di concessione a titolo oneroso tra l'amministrazione comunale ed un Comitato di gestione, che non è stato più rinnovato.
  Le iniziative del centro sono puntualmente seguite dalla questura di Padova che segnala all'autorità giudiziaria qualsivoglia elusione di norme.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   PALAGIANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Catania, il 7 febbraio del 2006, dopo aver ingerito una polpetta adulterata da una concertazione altissima di solfiti, una ragazza di 22 anni è entrata in coma in seguito ad uno shock anafilattico. Oggi, purtroppo, si trova in stato vegetativo permanente;
   i solfiti, usati nei cibi come conservanti, su alimenti come la carne, hanno un effetto subdolo: non bloccano il processo di putrefazione, ma mantengono il colorito delle carni fresche per un periodo più lungo. Queste carni si presentano, quindi, di aspetto più invitante, ingannando i consumatori sulla loro qualità;
   in Sicilia, i campioni sospettati di adulterazione pervengono, da tutte le aziende sanitarie provinciali, all'Istituto zooprofilattico di Palermo – Area Chimica e tecnologie alimentari – per essere sottoposti alle necessarie analisi;
   l'IZS di Palermo, così come tutti gli altri istituti zooprofilattici sperimentali italiani, ha il compito, tra gli altri, di assicurare puntuali verifiche per la salute degli alimenti e dell'ambiente, al fine di tutelare la salute dell'uomo;
   a seguito del grave episodio del 2006 e di alcune denunce da parte della famiglia, i consulenti tecnici della procura di Catania hanno appurato che presso l'istituto zooprofilattico sperimentale di Palermo si utilizzava, per la ricerca dei solfiti nelle carni, un metodo obsoleto e non idoneo;
   in particolare, essi riferivano che «laddove invece l'IZS (Istituto Zooprofilattico Sperimentale) di Palermo era pervenuto ad esiti negativi quanto alla presenza di solfiti, i consulenti del P.M. spiegavano ciò con il fatto che gli operatori dell'IZS avevano utilizzato un metodo non idoneo (cromatografia ionica, secondo il rapporto di prova n. 12374 del 14.2.06), che operando in fase acquosa ed alla presenza di aria, consente il passaggio del solfito di sodio ad anidride solforosa, con la conseguenza che l'anidride solforosa – volatile già in fase di estrazione – tende a disperdersi senza che le apparecchiature siano in grado di rilevare i solfiti»;
   secondo i consulenti tecnici dell'università di Catania che hanno effettuato gli approfondimenti del caso, nella carne ingerita dalla giovane donna i solfiti erano presenti in grande quantità: circa 10.700 mg/chilogrammo e cioè un valore oltre mille volte superiore alla soglia critica di 10 mg/chilogrammo che scatena la reazione allergica. Il caso si è chiuso con la condanna del macellaio;
   i solfiti, dunque, non sono stati rilevati nelle carni a causa dell'inadeguatezza dei metodi utilizzati dall'IZS, nonostante fossero realmente presenti, ed anche in notevoli quantità, nei campioni analizzati;
   dal 2006, inoltre, la giovane donna, vittima dell'avvelenamento, è assistita esclusivamente dalla sua famiglia presso il proprio domicilio, a causa della mancanza di posti letto nelle, già poche, strutture presenti nella regione, che siano in grado di garantire assistenza ai pazienti che si trovano in stato vegetativo permanente e alle loro famiglie. Una mancanza, questa, che colpisce maggiormente le regioni del Sud rispetto al Nord, ma che di certo interessa tutto il sistema sanitario nazionale, il quale, per lo più a causa dell'assenza di fondi adeguati e di continui tagli, non riesce a garantire assistenza a chi ne avrebbe più bisogno –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti suesposti e se non intenda verificare, al fine di tutelare la salute dei cittadini e per quanto nelle sue competenze, se il metodo per l'analisi delle carni utilizzato dall'IZS di Palermo sia stato modificato a seguito del grave episodio del 2006, al fine di svolgere adeguatamente quel controllo della salute e qualità degli alimenti di origine animale di cui è responsabile nel Sistema sanitario nazionale. (4-11900)

  Risposta. — Gli Istituti zooprofilattici sperimentali (II.ZZ.SS.) rappresentano importante strumento operativo dello Stato e del Servizio sanitario nazionale per assicurare la sorveglianza epidemiologica, la ricerca sperimentale, la formazione del personale, il supporto di laboratorio e la diagnostica nell'ambito del controllo ufficiale degli alimenti, garantendo con la loro attività la salute del consumatore.
  Detti istituti sono enti sanitari di diritto pubblico e operano quale strumento tecnico scientifico del Servizio sanitario nazionale e, in particolare, del Servizio veterinario. Inoltre, hanno laboratori di eccellenza chiamati Centri di referenza nazionale (decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270) che, per aree specialistiche ben definite, sono al servizio del Ministero della salute e delle più importanti organizzazioni internazionali.
  In particolare, l'istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia «A. Mirri» dispone di un laboratorio di chimica analitica, che effettua analisi per la determinazione di solfiti nei prodotti carnei dal 1999, con metodica accreditata e validata secondo la norma UNI CEI EN ISO IEC 17025.
  Il metodo attualmente utilizzato, identificato come POS CHIM 52 «Determinazione dei solfiti negli alimenti carnei», è stato aggiornato in data 10 febbraio 2010.
  Inoltre, si segnala che con il decreto interministeriale 22 dicembre 2009, l'Associazione senza scopo di lucro «Accredia» è stata designata quale organismo nazionale italiano di accreditamento, in applicazione del Regolamento (CE) n. 765 del 2008. Come tale, ad «Accredia» spetta l'accreditamento dei laboratori di prova e degli organismi di certificazione e ispezione, fermo restando che i laboratori già accreditati non hanno bisogno di un ulteriore accreditamento.
  Per quanto riguarda la presenza di solfiti negli alimenti, la vigente normativa comunitaria sugli additivi consente l'uso dei solfiti in diverse tipologie di prodotti e tale uso deve essere riportato in etichetta, nella lista degli ingredienti.
  Al contempo, anche le attuali disposizioni in materia di etichettatura degli alimenti hanno inserito l'anidride solforosa ed i solfiti nell'elenco degli allergeni alimentari che devono essere obbligatoriamente indicati in etichetta, proprio al fine di evitare potenziali reazioni allergiche.
  Il Ministero della salute avrà cura di sensibilizzare gli assessorati alla sanità delle regioni ad intensificare il monitoraggio concernente i solfiti nell'ambito dei piani di controllo organizzati da ciascuna regione, in quanto, ai sensi del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 193 «Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore, ai fini dell'applicazione dei regolamenti (CE) 852 del 2004, 853 del 2004, 854 del 2004 e 882 del 2004, le autorità individuate sono il Ministero della salute, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e le aziende unità sanitarie locali, nell'ambito delle rispettive competenze.
  Per quanto concerne la particolare vicenda oggetto dell'interrogazione in esame, si risponde sulla base degli elementi pervenuti a questo Ministero dalla prefettura – ufficio territoriale del Governo di Catania.
  Essa è maturata nel mese di febbraio del 2006, ed era già nota al dipartimento regionale per le attività sanitarie e osservatorio epidemiologico servizio 4 «Igiene degli alimenti», essendo stata trattata nel corso del 2010.
  In quella occasione erano state richieste informazioni alla Azienda sanitaria provinciale di Catania con l'acquisizione della documentazione concernente il caso.
  Successivamente, a seguito dell'inoltro da parte di uno studio legale ragusano di una richiesta di indennizzo per i danni patiti dalla paziente, erano stati sentiti i vertici dell'istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia e anche in quella occasione venivano acquisiti ulteriori documenti che arricchivano il dossier già formato in precedenza.
  La prefettura di Catania ha precisato che la richiesta di indennizzo muove dagli esiti del procedimento giudiziario a suo tempo avviato dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Catania e dalle considerazioni espresse dai consulenti tecnici nominati da quella procura.
  In merito alla problematica era stato investito l'istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia in relazione, anche, all'interessamento della Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario nazionale. Ed a tale proposito era stata elaborata, da parte del medesimo istituto, una relazione che il citato dipartimento ha acquisito nel corso di una apposita riunione tenutasi in data 2 maggio 2010.
  Nella relazione, l'istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia descrive la metodica utilizzata, confermando che la stessa, sin dal 1999, risulta accreditata e validata secondo la norma UNI CEI EN ISO IEC 17025, rispettando, quindi, i requisiti previsti dagli articoli 11 e 12 del Regolamento (CE) n. 882 del 2004 per ciò che concerne anche le modalità di caratterizzazione del metodo secondo i criteri previsti per il controllo ufficiale, allorquando questo si basa sul controllo materiale con campionamenti per le analisi.
  Con riferimento alla necessità di garantire adeguata assistenza ai pazienti in stato vegetativo permanente, la prefettura di Catania ha segnalato che il competente servizio del dipartimento per la pianificazione strategica ha in corso l'avanzata definizione del processo di costruzione della rete regionale siciliana delle unità di stato vegetativo e delle speciali unità di accoglienza permanente.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteAdelfio Elio Cardinale.


   PIFFARI e CIMADORO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo n. 300 del 1999 («Riforma dell'organizzazione del Governo») all'articolo 11, si stabilisce che la prefettura-UTG, assicura l'esercizio coordinato dell'attività amministrativa degli uffici periferici dello Stato e garantisce la leale collaborazione di tali uffici con gli enti locali. Nell'esercizio di queste funzioni di coordinamento, il prefetto può richiedere ai responsabili delle strutture amministrative periferiche dello Stato l'adozione di provvedimenti volti a evitare un grave pregiudizio alla qualità dei servizi resi alla cittadinanza, anche ai fini del rispetto della collaborazione con le autonomie territoriali;
   il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, reca all'articolo 16, comma 8: «le amministrazioni pubbliche... istituiscono una casella di posta certificata per ciascun registro di protocollo e ne danno comunicazione al Centro Nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, che provvede alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica»;
   da un comunicato del 27 ottobre 2011, pubblicato sul sito del Ministero dell'interno, si è appreso che il dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie ha diramato una circolare dove vengono evidenziate le principali misure da assumere per il contenimento dei costi. Il testo recita: «Gli assi di questa direttiva riguardano: le spese postali, di missione, per le utenze, di manutenzione ordinaria, quelle per acquisto di beni e di rappresentanza». Nel dettaglio, si stabilisce che: «... per la corrispondenza dovranno essere utilizzati solo mezzi informatici quali posta elettronica e messaggistica certificata»;
   con prot. N. 162, cat. 2, cl. 1, dell'UTG della prefettura di Lecco del 19 gennaio 2012, avente in oggetto l’«Istituzione del servizio di fermo posta presso la Prefettura», l'autorità citata dispone, con decisione unilaterale, la fine del servizio di posto ordinaria tra gli uffici prefettizi e le amministrazioni e la polizia locale dello provincia di Lecco, con decorrenza a partire dal 23 gennaio 2012;
   da numerosi articoli di stampa e quotidiani on linelibero.it», «Il Giorno.it», il «Corriere di Lecco.it» eccetera), si è appreso, altresì, che, con il piano di razionalizzazione delle risorse economiche seguite alle disposizioni governative, la prefettura di Lecco ha attivato un apposito servizio di fermo posta destinato allo corrispondenza normalmente inviato per posta ordinaria e indirizzata agli uffici, che dovrà essere ritirato presso la prefettura negli orari di apertura al pubblico;
   è opinione degli interroganti che, in virtù del ruolo che l'ordinamento dello Stato assegna alle prefetture, ovvero di coordinamento dell'attività amministrativa degli uffici periferici dello Stato, volto ad evitare un grave pregiudizio alla qualità dei servizi resi alla cittadinanza, e pur riconoscendo l'importanza di interventi mirati a ridurre o contenere i costi a carico dell'amministrazione pubblica, il risparmio di risorse non può attuarsi alterando la natura stessa di tali organi dello Stato, al punto da diventare prioritario rispetto alla stessa funzione assegnata loro dal legislatore;
   quanto messo in atto dalla prefettura di Lecco, che ha applicato tale direttiva a tutti gli atti senza distinzione e indipendentemente dalla natura della comunicazione, non solo supera abbondantemente quelli che potrebbero essere considerati i ragionevoli ambiti entro cui applicare gli interventi per la riduzione dei costi della pubblica amministrazione ma, a parere degli interroganti, rischia di arrecare un sostanziale pregiudizio, sia ai cittadini in qualità di utenti sia agli stessi enti locali nello svolgimento delle funzioni delegate dallo Stato, contravvenendo a quanto stabilito dall'ordinamento –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire affinché la prefettura di Lecco riveda tale misura assicurando un maggiore coinvolgimento degli stessi enti territoriali coinvolti;
   se non reputi necessario assumere iniziative, anche valutando l'adozione di una direttiva specifica in merito all'organizzazione interna degli uffici territoriali del Governo, privilegiando criteri oggettivi di riduzione della spesa pubblica che tengano in considerazione l'efficienza del servizio svolto, nonché la capacità finanziaria degli enti locali coinvolti, in modo da garantire una riduzione dei costi che non produca aggravio di bilancio a carico dei cittadini. (4-14868)

  Risposta. — L'interrogante sollecita un intervento da parte di questa amministrazione affinché la prefettura di Lecco riveda le decisioni adottate in tema di utilizzo degli strumenti elettronici come sistema prioritario di comunicazione e di istituzione del servizio di fermo posta presso gli uffici della prefettura stessa (con conseguente cessazione del servizio di posta ordinaria con le amministrazioni locali della provincia di Lecco).
  A tal proposito va innanzitutto ricordato che l'iniziativa della prefettura è finalizzata al raggiungimento di livelli ottimali di informatizzazione sia all'interno degli uffici che nei rapporti con le altre amministrazioni, in primo luogo gli enti locali, e si inserisce nel contesto degli obiettivi di riduzione della spesa pubblica fissati dalla circolare del Ministero dell'interno dell'11 ottobre 2011.
  L'intento è quello di promuovere, coerentemente con le potenzialità offerte dal decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 325 (nuovo codice dell'amministrazione digitale), soluzioni tecnologiche e procedure di scambio delle informazioni a livello istituzionale. In particolare, l'adozione di tecnologie di comunicazione telematica nei rapporti tra pubbliche amministrazioni è espressamente prevista dagli articoli 9, 10 e 32, che pongono in capo al dirigente la responsabilità dell'attuazione delle disposizioni ivi contenute.
  È in tale contesto normativo che il 16 maggio 2011 la prefettura di Lecco – avendo riscontrato che la maggior parte degli enti locali della provincia ricorreva solo occasionalmente alla posta certificata – ha emanato una circolare nella quale si invitavano i comuni della provincia a considerare la posta elettronica certificata come un mezzo di comunicazione prioritario nei rapporti tra pubbliche amministrazioni (e, ove possibile, tra queste e il cittadino) e, per meglio favorirne la conoscenza e la diffusione, ha pubblicato sul proprio sito gli indirizzi comunali di posta elettronica certificata, chiedendo ai rispettivi sindaci di inviarli all'indice nazionale delle pubbliche amministrazioni.
  Con circolare del 19 gennaio 2012 ha, infine, comunicato ai sindaci la determinazione di usare esclusivamente lo strumento elettronico per le sue comunicazioni con gli enti locali, istituendo contestualmente un fermo posta dedicato alla corrispondenza residuale (che, per ragioni inerenti alla tipologia dell'atto e per l'eventuale obbligo di notifica, non può essere oggetto di trasmissione per via telematica). Va evidenziato che tale decisione è stata preceduta da un'approfondita analisi dei flussi di corrispondenza, riconducibili in percentuale superiore al 90 per cento all'utilizzo della posta elettronica ordinaria, di quella certificata e, per le tematiche afferente alla depenalizzazione, al programma SAN.A (Sistema informativo sanzionatorio amministrativo delle prefetture). È stato valutato, pertanto, che il nuovo sistema non avrebbe comportato alcun aggravio per gli enti locali.
  Circa le perplessità espresse da una parte della stampa locale, si rappresenta che la prefettura di Lecco ha fornito al riguardo ulteriori delucidazioni e indicazioni con la circolare del 27 gennaio 2012. Ai sindaci, inoltre, è stata garantita la piena disponibilità – a fronte di eventuali difficoltà che, però, non sono state rappresentate finora da nessun ente locale – al mantenimento dei canali tradizionali nella trasmissione della corrispondenza destinata al fermo posta.
  Si assicura infine che il sistema, istituito in via sperimentale, risulta attualmente operativo con esiti positivi sia in termini di funzionalità del servizio che di risparmio di risorse economiche e che, in ogni caso, sarà oggetto di costante monitoraggio da parte di questa.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGiovanni Ferrara.


   SCHIRRU, PES, CALVISI, OLIVERIO, FADDA e MELIS. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i recenti casi di nuovi focolai di peste suina riscontrati in Sardegna hanno portato al blocco per gli allevatori sardi delle concessioni di autorizzazioni all'esportazione di carni suine fresche e prodotti a base di carne;
   le mancate concessioni incidono ogni giorno più gravemente sull'economia dell'isola, con gravi perdite in termini di immagine e di quote di mercato che verranno difficilmente recuperate e con l'aggravante che i divieti imposti non impediscono tuttavia l'importazione di carni suine nell'isola;
   tale situazione penalizza fortemente tutti gli allevatori, in particolar modo le oltre 400 aziende certificate che producono ed esportano i propri prodotti verso il continente e all'estero;
   il blocco delle concessioni, inoltre, non ha contemplato in parallelo nessun intervento profondo da parte delle istituzioni competenti nel rafforzamento del controllo e nel monitoraggio dell'allevamento abusivo, vero responsabile del perpetuarsi dei focolai della malattia;
   diversi consiglieri regionali del Pd sardo hanno recentemente presentato – con una interrogazione alla regione – una proposta articolata in sei interventi, per debellare la peste suina, a cominciare da provvedimenti per sradicare il fenomeno dell'allevamento abusivo e per rilanciare il comparto della filiera del suino allevato in Sardegna, ferma restando la denuncia di una troppo superficiale gestione della materia da parte delle autorità preposte;
   per uscire dall'emergenza ciclica sul tema dell'allevamento suinicolo e della profilassi, diviene sempre più necessaria la valorizzazione del suino autoctono di razza sarda nonché estendere la procedura della filiera HBLH, con verifica a tappeto su tutti i capi, certificando l'assenza della peste suina africana;
   gli operatori del settore chiedono maggiore responsabilità da parte delle istituzioni e collaborazione tra le autorità sanitarie nazionali e quelle comunitarie, nonché l'assenso da parte del Ministero della salute su un corridoio sanitario che consenta alle aziende virtuose di esportare carni suine o insaccati certificati –:
   se i Ministri siano a conoscenza di tale difficile situazione;
   quali iniziative urgenti si intendano mettere in campo per salvaguardare il settore suinicolo, nell'economia dell'isola già fortemente compromessa, e per tutelare, in accordo con l'Unione europea, le aziende virtuose; quali procedure intenda avviare – in accordo con la regione Sardegna – per un rafforzamento rigoroso dei controlli sugli allevamenti e sulla tracciabilità dei prodotti, promuovendo insieme una determinante campagna di informazione che coinvolga tutti i soggetti della filiera, dagli allevatori ai macellatori e trasformatori, alle popolazioni rurali.
(4-14120)

  Risposta. — Gli allevamenti di origine animale possono essere veicolo di agenti patogeni responsabili di malattie infettive degli animali.
  Nel caso della peste suina africana le carni ed i prodotti a base di carne suina possono costituire veicolo di trasmissione del virus, agente eziologico della malattia. Pertanto, le norme europee e gli accordi internazionali in materia di commercializzazione internazionale dei prodotti di origine animale vietano la spedizione di carni e prodotti a base di carne da aree a rischio.
  In tal senso, la presenza di focolai di peste suina africana in Sardegna comporta l'individuazione dell'isola quale area a rischio e determina la necessità di escludere la possibilità di spedizione di carni e prodotti a base di carne fuori dal suo territorio.
  Il raggiungimento dell'eradicazione della malattia dal territorio della regione potrebbe consentire di rimuovere i provvedimenti restrittivi relativi alla commercializzazione delle carni e dei prodotti a base di carne suina.
  La situazione epidemiologica della peste suina africana (PSA) in Sardegna è seguita costantemente dal Centro nazionale di lotta ed emergenza contro le malattie animali di questo Ministero: negli ultimi sei mesi del 2011 si sono verificati ben trentacinque focolai che hanno interessato l'intero territorio regionale, fatta eccezione della provincia di Carbonia-Iglesias.
  Inoltre, per la prima volta è stato rilevato, nel mese di settembre 2011, un focolaio della malattia in un'azienda a carattere intensivo presso la località di Lanusei (Nuoro), da sempre considerata un'eccellenza del settore zootecnico regionale, per la struttura e per la gestione sanitaria.
  La PSA, infatti, fin dalla sua comparsa in Sardegna nel 1978, ha interessato esclusivamente l'allevamento di tipo tradizionale e non intensivo, senza coinvolgere direttamente le aziende che commercializzano carni e prodotti suini nel circuito extra-regionale.
  Il sistema suinicolo è in Sardegna per lo più caratterizzato da allevamenti a conduzione familiare, destinati alla produzione del suinetto da latte per il consumo tal quale, tipico della Sardegna e, per il resto, prevalentemente da allevamenti bradi e semibradi situati soprattutto nelle zone interne. Tale situazione sfugge al controllo delle autorità competenti, favorendo movimentazioni incontrollate di popolazioni di suini non censiti e non sottoposti ad adeguata sorveglianza sanitaria.
  Altro fattore critico è l'utilizzo a uso agricolo-zootecnico di vasti territori comunali non coltivati. La regolamentazione dell'utilizzo di detti pascoli non ha dato i risultati sperati per il comportamento degli allevatori legato ad antiche tradizioni ed al contesto socio-culturale. Questo ha determinato notevoli difficoltà sia per quanto attiene alla delimitazione dei pascoli mediante recinzioni sia per la realizzazione dell'anagrafe suina e, di conseguenza, per la conoscenza dello stato epidemiologico degli allevamenti insistenti su detti pascoli.
  L'attuale situazione di emergenza è un'inequivocabile indicazione che il sistema dei controlli è costituito da una rete a maglie larghe, attraverso le quali molte situazioni a rischio, come già indicato, sfuggono alle azioni di contrasto delle autorità sanitarie locali e regionali, tanto da indurre la Commissione europea ad estendere la qualifica di «zona ad alto rischio», storicamente localizzata alla sola zona della Provincia di Nuoro, all'intero territorio regionale, di fatto, bloccando il commercio di carni e prodotti a base di carni suine al di fuori della regione Sardegna.
  Nel mese di novembre 2011, il Ministero della salute ha svolto un'ispezione in Sardegna per valutare la congruità e la capacità di gestione della malattia sulla base della normativa vigente, evidenziando e segnalando difformità procedurali e di comportamento.
  Il Ministero, nel corso dell'unità di crisi del 26 settembre 2011, così come durante l'ispezione, ha più volte evidenziato le predette criticità e carenze e si sta facendo promotore da mesi affinché vengano messe in atto misure finalizzate, in modo particolare, alla repressione del pascolo abusivo e irregolare, nonché alla corretta implementazione dell'anagrafe suina, ivi compresa l'erogazione delle sanzioni previste, nonché all'adozione di una efficiente regolamentazione per l'utilizzo dei terreni comunali che tenga conto, almeno, delle coordinate geografiche di tali terreni, dell'individuazione chiara e inequivocabile del soggetto fruitore del pascolo e del censimento di tutti i suini allevati con tali modalità.
  In tale quadro è evidente che dovrebbe essere rafforzata l'azione di controllo da parte delle autorità locali, in pascolare raccomandando ai sindaci di far applicare, in modo cogente ed efficace, la normativa sull'uso civico dei pascoli comunali in vigore.
  È in programma la realizzazione di un piano straordinario di controllo in loco, avvalendosi anche del personale del comando Carabinieri – nuclei antisofisticazione e sanità (NAS), per il quale si auspica la necessaria collaborazione delle Autorità locali, in primis la Regione – assessorato alle politiche sociali e delle aziende sanitarie locali – servizi veterinari.
  La regolare attuazione delle norme già esistenti, sia a tutela del settore suinicolo sia a garanzia di una rigorosa applicazione dei controlli, potrà permettere una riduzione dei fattori di rischio che hanno determinato il recente peggioramento della situazione epidemiologica e consentire di iniziare un valido ed efficace percorso, con la collaborazione di tutti gli attori del sistema, per il raggiungimento dell'eradicazione della malattia dal territorio.
  La prefettura – ufficio territoriale del Governo di Cagliari ha segnalato che la grave situazione ha indotto la regione autonoma della Sardegna ad elaborare un piano contenente misure straordinarie, finalizzate ad intensificare la vigilanza ispettiva dei propri servizi veterinari e del Corpo forestale e di vigilanza ambientale, allo scopo di pervenire ad un più intensivo controllo degli allevamenti e ad un'efficace azione di contrasto al pascolo brado ed abusivo.
  Il piano è stato illustrato dall'Assessore regionale all'igiene e sanità nel corso di un apposito incontro al quale è stata invitata a partecipare anche la prefettura.
  In particolare, gli organismi regionali hanno previsto l'intensificazione dei controlli e dell'attività di vigilanza che, nei prossimi mesi, saranno particolarmente implementati e mirati alla verifica di tutti gli allevamenti della Sardegna, ivi compresi quelli condotti in aziende accreditate.
  Sono state programmate le seguenti attività:
   prevedere, nella zona ad alto rischio, misure di sostegno che favoriscano la regolarizzazione e, conseguentemente, l'emersione degli allevamenti non censiti;
   reprimere immediatamente tutte le forme di allevamento irregolare al di fuori della zona ad alto rischio, con le seguenti, ulteriori attività:
    1. segnalazione di suini irregolari al pascolo brado;
    2. controlli dei mezzi di trasporto su strada, per reprimere il commercio clandestino di suini vivi, carni e prodotti suini;
    3. controlli nei focolai per l'accertamento della corretta applicazione delle misure vigenti da parte dei soggetti interessati;
    4. controlli presso ristoranti, agriturismo ed altre strutture ricettive.
  Il piano regionale prevede, inoltre, lo svolgimento da parte degli uffici sanitari, delle seguenti, ulteriori iniziative:
   obbligo di confinamento dei suini per almeno 4 mesi;
   identificazione e registrazione individuale dei suini;
   risanamento degli allevamenti con l'abbattimento dei capi risultati sieropositivi;
   contenimento dei casi di indennizzo;
   una consistente azione di contrasto al pascolo brado e abusivo;
   intensificazione delle attività ispettive dei servizi veterinari, con il Supporto del Corpo forestale e del nucleo antisofisticazioni dell'Arma dei carabinieri.
  L'Assessore regionale all'igiene e sanità ha chiesto la collaborazione dei prefetti della regione Sardegna e delle forze di polizia dello Stato, qualora, per le particolari condizioni di intervento o per l'aggravarsi di talune specifiche situazioni, sia necessario prevedere il supporto della forza pubblica.
  Attesa la delicatezza della problematica e l'esigenza di assicurare un tempestivo supporto all'attuazione del piano regionale, anche allo scopo di prevenire l'ulteriore diffondersi dell'epidemia e scoraggiare il persistere di comportamenti illeciti nel settore, in data 10 novembre 2011 si è tenuta presso la prefettura una riunione di coordinamento delle forze di polizia, per esaminare, congiuntamente con la regione, le possibili forme di collaborazione da realizzare al riguardo.
  Nel corso della riunione di coordinamento, è emersa la possibilità di attivare un'unitaria strategia di sostegno all'attuazione del piano, tramite:
   una generale azione di supporto, mirata a fronteggiare l'insorgere di eventuali forme di protesta;
   forme di tutela del personale veterinario impegnato nelle attività ispettive, determinate da comprovate situazioni di resistenza all'espletamento del servizio, soprattutto in particolari aree geografiche dell'isola ove, anche per ragioni di natura culturale, risulta più difficoltoso condurre un'efficace azione di contrasto al pascolo brado ed abusivo;
   attivazione di controlli su strada, per consentire, con l'ausilio degli organi di polizia stradale, lo svolgimento di ispezioni sui veicoli adibiti al trasporto di animali;
   attivazione di canali informativi privilegiati tra servizi veterinari e forze di polizia dello Stato.
  In data 16 novembre 2012 si è svolta un'ulteriore riunione di coordinamento, che ha coinvolto anche le aziende sanitarie locali ed il Corpo forestale regionale, per l'assunzione di apposite intese operative nel contesto della collaborazione istituzionale.
  Nel corso dell'incontro, si è stabilito di affidare ai competenti servizi delle aziende sanitarie locali la programmazione delle attività ispettive e di controllo e la loro calendarizzazione, ferma restando la possibilità di dare preventiva notizia al competente ufficio/comando di polizia delle visite sul territorio del personale veterinario, qualora si ritenga che il loro svolgimento possa generare tensioni negli ambienti interessati.
  Ulteriori emergenze connesse alla cattura, al sequestro e al trasporto di animali infetti o non allevati nelle prescritte condizioni igienico-sanitarie, nonché al ricovero dei capi sequestrati ed allo smaltimento delle carcasse, secondo quanto emerso dall'esame collegiale, potranno trovare riscontro nelle intese del servizio veterinario delle A.S.L. interessate con il comando territoriale del Corpo forestale e con il competente sindaco che, nella circostanza, opera come autorità sanitaria locale.
  Anche in questo caso, l'espletamento delle operazioni in condizioni di sicurezza potrà essere assicurato dall'assistenza delle forze di polizia.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteAdelfio Elio Cardinale.


   SCHIRRU, VIOLA e VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i servizi veterinari del Servizio sanitario nazionale rappresentano da sempre un presidio fondamentale nella prevenzione del rischio delle malattie trasmissibili all'uomo dagli animali, direttamente o attraverso il consumo di alimenti di origine animale e per il determinante contributo scientifico e professionale a una più moderna visione del rapporto uomo animale nella nostra società;
   tale attività ha permesso al nostro Paese di affrontare con successo le ricorrenti crisi legate ad eventi quali l'influenza aviaria, la BSE, la blue tongue, la west nile disease e così via, e, in anni più lontani, l'afta e altre epidemie che tanto hanno preoccupato l'opinione pubblica. Ma soprattutto ha garantito nel tempo un efficace (e spesso silenzioso) sistema di controllo sull'intera filiera degli alimenti di origine animale a tutela della salute pubblica;
   i dipartimenti di prevenzione della maggior parte delle ASL della Sardegna sono strutturati con il livello minimo organizzativo previsto dall'articolo 7-quater del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni, e sono stati previsti i tre servizi medici e i tre servizi veterinari dotati di autonomia, sia tecnico-funzionale, sia organizzativa così come previsto dalla norma;
   tali servizi fanno infatti riferimento a specifiche discipline, cui deve accedersi mediante pubblico concorso, previo possesso di specifici e infungibili diplomi di specializzazione post-laurea, fatte salve le equipollenze dei titoli di studio e dei servizi prestati, utili ai fini del solo accesso; il personale dirigente di tali servizi è dunque infungibile al pari delle altre specialità mediche;
   arrivano segnali preoccupanti di una volontà di realizzare anche in Sardegna, al pari di quanto proposto in altre regioni, e già attuato nella sola Liguria, accorpamenti dei servizi del dipartimento di prevenzione, e in particolare dei servizi veterinari;
   appare evidente inoltre la volontà di ridimensionare i servizi del dipartimento di prevenzione in talune ASL che trasformano i posti di medici e veterinari del dipartimento di prevenzione, in posti di medici ospedalieri o delle professioni sanitarie;
   alcuni servizi veterinari territoriali, inoltre, sono fortemente sottodimensionati, come evidenziato anche nei report delle ispezioni del Food and veterinary office (FVO) svolti nell'isola;
   la Sardegna, potrebbe quindi, invocando la propria autonomia organizzativa in campo sanitario, procedere a realizzare un ulteriore impoverimento delle attività di prevenzione primaria, riducendo le già scarse risorse ad essa destinate negli anni, con una riduzione della dotazione organica e l'accorpamento dei servizi;
   se ciò si avverasse, si determinerebbero una diminuzione della qualità dei servizi erogati e una minore efficacia delle attività di prevenzione, a scapito della sicurezza alimentare e del futuro stato di salute della popolazione umana e animale, e negli anni, si realizzerebbe non un risparmio, ma una esacerbazione della spesa pubblica a causa dei danni che potrebbero sopraggiungere per l'insufficiente livello di controlli –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di promuovere iniziative, anche normative, ivi compresa la definizione di linee guida in sede di Conferenza Stato-regioni, da applicare su tutto il territorio nazionale, per assicurare che gli assetti organizzativi dei dipartimenti di prevenzione – come attualmente definiti dalla norma quadro nazionale, dimostratisi efficaci in quasi 20 anni di esperienza applicativa – vengano uniformemente garantiti e mantenuti in tutte le aziende sanitarie dell'intero Paese, quale livello essenziale e minimo di organizzazione, per la corretta, uniforme e sufficiente erogazione dei servizi che, su tutto il territorio nazionale, devono essere assicurati. (4-15058)

  Risposta. — Il Ministero della salute condivide le preoccupazioni degli interroganti ed esprime parere favorevole al mantenimento dell'attuale assetto organizzativo dei dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali, in particolare dei servizi veterinari, in quanto un eventuale loro accorpamento comporterebbe una riduzione della qualità dei servizi e una minore incisività dell'attività di prevenzione, con ripercussioni negative sulla sicurezza alimentare e, conseguentemente, sullo stato di salute della popolazione umana ed animale.
  Questo Ministero condivide pienamente anche la proposta di promuovere iniziative di carattere normativo, comprensive della definizione di linee guida, da approvare in sede di conferenza Stato-regioni, allo scopo di assicurare uniformemente, sull'intero territorio nazionale, gli attuali apparati organizzativi dei dipartimenti di prevenzione, i quali hanno garantito, finora, una uniforme e corretta erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteAdelfio Elio Cardinale.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 22 luglio 2011, l'Asl di Taranto con l'ordinanza 1989 ha vietato la pesca e la vendita dei mitili allevati nel golfo interno della città – il Mar Piccolo – dopo il ritrovamento al loro interno di tracce troppo elevate di composti altamente tossici come PcB (policlorobifenili) e diossine;
   il 25 luglio 2011, si è riunito un tavolo tecnico, che ha preso atto della situazione;
   secondo analisi condotte dall'Istituto zooprofilattico di Teramo è infatti emersa una contaminazione da PCB-diossine pari a 10,5 picogrammi; già nel mese di gennaio 2011, analisi effettuate dal fondo antidiossina rilevarono una presenza di PCB e diossine superiore ai limiti previsti dalla legge;
   in particolare le analisi di Fabio Matacchiera e Alessandro Marescotti rivelavano 13,5 picogrammi di PCB e diossine nelle cozze pescate sui fondali, a fronte di un limite di 8 picogrammi;
   come si legge nell'articolo a firma Maurizio Bolognetti «Riva, le cozze tarantine e il pasticcio vendoliano» il Ministro della salute aveva dato rassicurazioni sul fatto che si escludevano «rischi per la salute dei consumatori», mentre per la Confcommercio «le cozze di Taranto erano sane e non c'era rischio contaminazione» perché i mitili sono al riparo dal rischio di contaminazione, in quanto allevati in sospensione e le cozze cattive sono solo quelle proibite prelevate sui fondali;
   il 13 gennaio 2011, intervenivano anche gli assessori della regione Puglia, Lorenzo Nicastro, assessore all'ambiente e Tommaso Fiore, assessore alla sanità, con parole rassicuranti;
   in un intervista pubblicata sul sito Galileo la dottoressa Catherine Leclercq, nota ricercatrice e responsabile del programma di «Sorveglianza del rischio alimentare» presso l'Inram (Istituto nazionale per la ricerca sugli alimenti e la nutrizione) sostiene che i PCB sono sostanze cancerogene per l'essere umano anche se assunte in piccolissime quantità e che inoltre, i Pcb sono interferenti endocrini (vedi Galileo: Infertilità, attenti all'inquinamento), cioè si comportano come se fossero ormoni;
   nell'intervista si legge inoltre che «in Europa, per quanto riguarda le diossine e i Pcb diossina-simili, il livello di inquinamento è sceso a partire dagli anni Settanta, in seguito all'adozione di una serie di provvedimenti speciali. Gli allarmi sono diventati più frequenti anche perché la trasmissione dell'informazione è sempre più efficace, e il sistema di allerta rapida ci permette di essere messi al corrente di situazioni anomale che si verificano in qualsiasi paese dell'Unione. Un fatto molto positivo per la tutela della salute dei consumatori, perché possiamo far ritirare immediatamente dal commercio i prodotti alimentari potenzialmente dannosi» –:
   sulla base di quali elementi il Ministro della salute abbia escluso, nel gennaio 2011, rischi per la salute dei consumatori, nonostante i valori di diossine e i Pcb riscontrate nei mitili e quali iniziative si intendano assumere a tutela della salute dei consumatori a fronte della nuova emergenza mitili a Taranto;
   di quali informazioni disponga il Governo in merito alle cause dell'innalzamento dei valori di diossine e pcb riscontrate nei mitili e quali conseguenti provvedimenti si intendano adottare per evitare il ripetersi di simili fenomeni;
   se e come il Governo intenda assicurare piena informazione sulla situazione sanitaria, alimentare e ambientale di Taranto affinché sia sempre più efficace e rapido il sistema di allerta. (4-12904)

  Risposta. — Il Ministero della salute ha da sempre seguito con attenzione l'evoluzione della situazione richiamata nell'interrogazione in esame, richiedendo costantemente aggiornamenti sugli esiti del monitoraggio che l'assessorato alla sanità della regione Puglia – servizi veterinari – ha intrapreso dal 2008.
  La regione ha prontamente avviato i necessari controlli sulle matrici alimentari, attraverso la predisposizione di «piani straordinari di monitoraggio e di sorveglianza nelle aziende zootecniche della provincia di Taranto», estendendo il monitoraggio fino a 20 chilometri dall'area industriale, fonte di inquinamento ambientale.
  L'attività è stata mirata al controllo della contaminazione da diossina e DL-PCB ed ha interessato gli animali produttori di alimenti per l'uomo e gli alimenti da essi derivati (latte, prodotti a base di latte, carni, uova, pesci e molluschi), i mangimi ad essi destinati, gli alimenti di origine vegetale (in particolare olive ed olio di oliva), nonché le matrici ambientali.
  I risultati ottenuti hanno portato all'abbattimento di oltre 2.000 animali, al divieto di commercializzazione di fegati e reni di agnelli e capretti provenienti da allevamenti nei quali sono stati riscontrati preoccupanti livelli di tali composti e, da ultimo, all'emanazione di un'ordinanza di divieto di commercializzazione di mitili di taglia commerciale provenienti dal mar Piccolo – 1o seno.
  Tali misure hanno permesso, quindi, di escludere l'immissione sul mercato di alimenti di origine animale non sicuri. Da qui la dichiarazione del Ministro della salute
pro tempore.
  In merito alla richiesta di assicurare piena informazione sulla situazione sanitaria, alimentare ed ambientale, questo Ministero è stato informato dall'assessorato regionale alla salute che un apposito banner denominato «Monitoraggio Pcb e diossine mitili-provincia di Taranto» è presente sul sito istituzionale della regione Puglia – aree tematiche, per la divulgazione sia delle informazioni inerenti le attività in corso sia delle risultanze emerse.
  Inoltre, ampia diffusione è stata data alle ordinanze della ASL di Taranto n. 1989 e n. 2138, rispettivamente del 22 luglio 2011 e del 10 agosto 2011, riferite al blocco del prelievo e della movimentazione dei mitili allevati nel 1° seno del mar Piccolo di Taranto, resesi necessarie al fine di tutelare la salute pubblica.
  Per completezza, si segnala che la prefettura – ufficio territoriale del Governo di Taranto ha comunicato che è stato costituito anche un tavolo tecnico, con rappresentanti della ASL di Taranto, dell'agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell'ambiente, del Consiglio nazionale delle ricerche, dell'Istituto zooprofilattico di Foggia e dell'università di Bari.
  Tra le decisioni assunte dal tavolo tecnico, alcune riguardano l'approfondimento sulle possibili fonti inquinanti e la rigorosa attività di controllo per contrastare eventuali rischi di immissione in commercio di mitili non idonei.
  Ulteriori analisi su campionature di prodotti prelevati in data 19 luglio 2011 hanno consolidato la presenza, nei mitili, di valori di diossina e PCB anche più elevati rispetto a quelli del precedente campionamento, tanto che il tavolo tecnico, riunitosi d'urgenza nella giornata del 9 agosto 2011, ha disposto che il prodotto in questione fosse al più presto prelevato e distrutto.
  Pertanto, l'ASL di Taranto ha emanato la citata ordinanza n. 2138 del 10 agosto 2011, di «Raccolta e distruzione dei mitili di taglia commerciale – 1° seno Mar Piccolo».
  Sono proseguite, inoltre, le attività di controllo sulla vendita dei mitili: la Guardia di finanza e la ASL hanno disposto alcuni consistenti sequestri di cozze vendute senza certificazioni.
  L'ASL di Taranto ha promosso, altresì, la diffusione di messaggi diretti all'opinione pubblica per l'acquisto di cozze esclusivamente in pescherie autorizzate.
  È stata anche rafforzata da parte dell'ASL l'azione di monitoraggio e sorveglianza e sono state individuate delle stazioni fisse, sia in mar Piccolo che in mar Grande, per le quali è fissata una frequenza di campionamento quindicinale, rimanendo inalterata la frequenza mensile per i campioni randomizzati.
  Dal mese di agosto in poi, l'ASL ha provveduto al campionamento ed alle analisi del novellame, al fine di valutarne l'eventuale spostamento in acque idonee all'allevamento e di salvaguardare la produzione mitilicola dei prossimi anni, nel rispetto dei parametri imposti dalla normativa comunitaria.
  Da ultimo, si segnala che l'amministrazione comunale di Taranto, impegnatasi a mappare il mar Grande, per individuare nuove possibili aree da utilizzare per lo spostamento del novellame dalle zone contaminate, ha indetto una serie di riunioni operative, tra gli altri, con la Marina militare e l'autorità portuale, ed ha in corso attività istruttorie per il trasferimento degli impianti di mitilicoltura.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteAdelfio Elio Cardinale.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse su Il Quotidiano della Basilicata del 23 settembre 2011, si apprende che la moria di pesci – carpe, carassi, cavedani, barbi, alborelle ed anguille – avvenuta la settimana scorsa è dovuta ad un massiccio sversamento di sostanze inquinanti sicuramente imputabili a scarichi industriali nel fiume Basento in un lungo tratto a cavallo fra i territori di Ferrandina e Pisticci;
   sull'inquinamento dell'area vi sono anche l'inchiesta di M. Bolognetti sulla Val Basento e suoi numerosi reportage pubblicati su www.fainotizia.it;
   le analisi condotte dall'Arpab sui campioni prelevati sabato 17 settembre 2011 confermerebbero la presenza eccessiva di sostanze chimiche e batteriologiche alle quali, stando alla tipologia di inquinanti rinvenuti, sarebbe possibile risalire in relazione alle attività svolte da qualche opificio nella zona industriale di Ferrandina;
   tuttavia per avere un quadro ancora più completo del grave episodio che ha fulminato praticamente tutte le specie ittiche presenti in quel tratto del principale fiume lucano, bisogna attendere gli esiti delle analisi sulle carni dei pesci prelevati a campione ed inviati alla sede materana dell'istituto zooprofilattico sperimentale di Puglia e per gli esami microbiologici, ed a quella foggiana del medesimo istituto, per gli esami chimico tossicologici;
   il potenziale inquinante delle sostanze immesse nel fiume è stato notevole e letale tanto che, anche dalle analisi delle acque prelevate negli ulteriori rilievi, il Basento in quel tratto è risultato ancora inquinato e sembra da escludere, l'ipotesi dello sversamento da singola autobotte perché è troppo estesa l'entità dell'inquinamento, che occupa oltre due chilometri di fiume e, con tutta probabilità, capace di provocare delle alterazioni della qualità dell'acqua anche più a valle, nonostante la diluizione naturale abbia mitigato l'avvelenamento in maniera direttamente proporzionale alla distanza dal luogo di immissione degli scarichi chimici;
   la documentazione, si legge nell'articolo, sarà trasmessa ai carabinieri di Ferrandina ed al Corpo forestale di Potenza, e la procura di Matera deciderà se aprire una inchiesta –:
   di quali ulteriori informazioni dispongano i Ministri interrogati in merito ai fatti di cui in premessa e quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano adottare a tutela della salute e dell'ambiente nella zona interessata all'inquinamento e per il ripristino di condizioni di legalità ambientale e sanitaria. (4-13308)

  Risposta. — Sebbene la tutela della salute rientri nella competenza concorrente affidata alle regioni e province autonome, il Ministero della salute mantiene uno stretto contatto con la regione Basilicata, al fine di conoscere l'evoluzione della situazione descritta nell'interrogazione parlamentare in esame e di individuare idonee modalità di intervento a tutela della sicurezza alimentare.
  Le informazioni fornite dall'assessorato alla sanità della regione Basilicata riferiscono di un'attività di monitoraggio effettuata dai servizi veterinari dell'azienda sanitaria locale di Matera, competente per territorio, sulle specie ittiche maggiormente presenti nel fiume Basento.
  Nello specifico, sono stati prelevati esemplari di carpa, cavedano e alborella, sottoposti ad indagini microbiologiche e chimico-tossicologiche.
  I risultati delle analisi, condotte dall'istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e Basilicata, hanno escluso la presenza di microrganismi patogeni (Aeromonas spp., Pseudomonas spp., Vibrio spp.) e di composti tossici, rilevando tracce di alcuni metalli pesanti (piombo e mercurio) molto al di sotto dei tenori massimi stabiliti dalla normativa comunitaria.
  Per quanto riguarda lo stato delle acque del fiume Basento, la prefettura-ufficio territoriale del Governo di Matera ha comunicato che l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Basilicata (ARPAB) ha provveduto, nel settembre 2011, ad effettuare campionature d'acqua in più punti del corso del fiume.
  Le conseguenti analisi permettevano di accertare che gli agenti chimici determinanti l'inquinamento fluviale risultavano gli stessi contenuti nello scarico dello stabilimento della ditta Mythen.
  La ditta riferiva alla provincia di Matera di aver effettuato interventi tecnici per migliorare l'efficienza del depuratore dello stabilimento.
  Pertanto, in data 16 dicembre 2011, la Provincia richiedeva all'ARPAB di effettuare periodici prelievi presso lo scarico del depuratore dello stabilimento, al fine di valutare il rispetto dei limiti delle concentrazioni di sostanze prestabiliti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
  La provincia di Matera ha segnalato che, in esito alle analisi dei prelievi effettuati dall'ARPAB il 10, 17 e 31 gennaio 2012, presso lo scarico del depuratore dello stabilimento della ditta, le concentrazioni di sostanze esaminate rientrano nei limiti prestabiliti di cui alla parte III, allegato 5, tabella 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
  È tuttora vigente l'ordinanza 23 novembre 2011, n. 115, con cui il sindaco del comune di Ferrandina (Matera) ha disposto il divieto di attingere le acque fluviali per irrigazione, per dissetare mandrie e greggi o per qualunque altro scopo.
  Le attività investigative svolte in merito alla vicenda riportata nell'atto ispettivo, risultano all'esame della procura della Repubblica presso il tribunale di Matera.
  Per completezza, la prefettura di Matera ha segnalato che il 21 febbraio 2012 nei pressi dello stesso stabilimento si è verificato uno sversamento sul terreno di reflui contaminati da acque e residui derivanti da lavorazioni.
  In data 24 febbraio 2012, la provincia di Matera ha ordinato alla ditta di adottare urgentemente le misure di prevenzione, riparazione e messa in sicurezza più idonee ad eliminare il deflusso dei reflui provenienti dallo stabilimento.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteAdelfio Elio Cardinale.