XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 12 giugno 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il decreto legislativo n. 261 del 1999, adottato in attuazione della direttiva 97/67/CE, concernente «regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità dei servizi», ha previsto un regime transitorio per i titolari delle concessioni di cui all'articolo 29 del decreto del Presidente della Repubblica n. 156/1973 (codice postale) al fine di consentire agli operatori del settore postale la possibilità di adeguarsi al nuovo regime giuridico, delineatosi a seguito del passaggio dai principi di monopolio a quelli di libera concorrenza;
    a partire dal 1999 e fino al 2003 sono stati, quindi, stipulati accordi di collaborazione, ai sensi degli articoli 4 e 23 del decreto legislativo n. 261 del 1999, con le agenzie di recapito ex concessionarie operanti sul territorio nazionale;
    la maggior parte di tali accordi prevedeva un termine di scadenza al 31 dicembre 2005 che, a seguito di un accordo integrativo del 2004, è stato prorogato dalla concessionaria pubblica al 31 dicembre 2006, anno nel quale la normativa europea fissava la liberalizzazione del mercato;
    alla fine del 2006, nelle more dell'emanazione di un apposito bando di gara, si è provveduto a rivedere gli accordi in scadenza e a rimodularli con efficacia fino al 31 dicembre 2007. Ciò al fine di consentire a Poste italiane, anche dopo la scadenza del 31 dicembre 2006, di avvalersi di operatori postali privati, al fine di ottimizzare i servizi di recapito anche attraverso l'utilizzo delle professionalità già esistenti;
    in tale contesto, in data 15 settembre 2006 è stato siglato un accordo tra poste italiane e le organizzazioni sindacali di categoria, con l'obiettivo di reinternalizzare in toto il servizio di recapito della posta raccomandata, consentendo una gestione transitoria per l'anno 2007, con una riduzione graduale dei volumi affidati a concessionari esterni;
    lo scopo di tale accordo, diretto ad internalizzare l'80 per cento della posta registrata, era quello di creare condizioni tali da riassorbire il contenzioso con il personale precario dell'azienda;
    al fine di minimizzare eventuali impatti negativi nei confronti dell'occupazione delle agenzie di recapito private, la società Poste italiane, dopo aver realizzato una riorganizzazione della rete di Recapito, dividendola in tre articolazioni: universale, dedicata e consegne speciali, avrebbe dovuto affidare quote di attività aziendali, diverse dalla consegna delle raccomandate, alle agenzie di recapito;
    a seguito di interventi istituzionali e sindacali che avevano impegnato il Governo a intervenire nei confronti di Poste italiane, al fine di prorogare i contratti in essere (ossia lasciando alle agenzie il 100 per cento del servizio di consegna delle raccomandate) sino al 30 giugno 2007, è stato promosso un tavolo di concertazione fra le parti interessate, Poste italiane, imprese e organizzazioni sindacali, presieduto dall'ex Ministero delle comunicazioni, al fine di individuare soluzioni idonee per salvaguardare i livelli occupazionali;
    al riguardo, occorre rammentare, inoltre, che in data 22 novembre 2006 l'ex Ministero delle Comunicazioni ha chiesto al Consiglio di Stato di esprimersi in merito alla possibilità di ritenere ancora in vigore il periodo transitorio di cui al decreto legislativo n. 261 del 1999, al fine di valutare se gli accordi di collaborazione tra Poste italiane e le Agenzie private potessero essere rinnovati dopo la scadenza del 31 dicembre 2006, evitando il ricorso a procedure concorsuali;
    il Consiglio di Stato con parere dell'11 dicembre 2006 ha, tuttavia, espresso avviso contrario alla proroga dei menzionati contratti oltre la data della loro naturale scadenza, precisando che l'affidamento dei servizi a terzi potesse avvenire solo attraverso le procedure ad evidenza pubblica previste dal decreto legislativo n. 163 del 2006;
    nel mese di maggio 2007, Poste italiane ha emesso, quindi, un bando di gara, con chiamata da albo, avente per oggetto «il servizio di distribuzione raccolta di corrispondenza e posta non indirizzata ed espletamento di servizi ausiliari in ambito urbano». A tale gara una significativa percentuale di agenzie ha ritenuto di non dover partecipare, contestando le modalità della stessa. Conseguentemente dei 61 lotti sono stati aggiudicati solo il 30 per cento;
    nello stesso mese di maggio 2007, si sono svolti presso il Ministero delle comunicazioni incontri tra Poste italiane spa, organizzazioni sindacali, e rappresentanti delle agenzie di recapito, finalizzati alla sottoscrizione di un apposito memorandum;
    successivamente, il 3 agosto 2007, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato – su istanza di alcune associazioni di categoria delle agenzie di recapito – ha avviato presso Poste italiane un'istruttoria per presunto abuso di posizione dominate, sia con riguardo agli accordi di fornitura stipulati dalla stessa con le agenzie di recapito, nel periodo dicembre 2000-gennaio 2007, sia con riguardo al bando di gara emanato nel maggio 2007;
    a seguito di ciò, la società Poste italiane ha presentato, in data 26 ottobre 2007, alla menzionata autorità, una serie di impegni che sono, successivamente, confluiti nel citato memorandum sottoscritto in data 11 dicembre 2007, presso l'ex Ministero delle comunicazioni, tra Poste italiane e le agenzie di recapito, a cui ha fatto seguito l'avvio, in data 12 dicembre 2007, di un «tavolo tecnico» i cui partecipanti hanno provveduto a regolamentare il periodo intermedio, fino all'espletamento della seconda gara;
    nel 2008 la società Poste Italiane, nell'avviare la ristrutturazione del sistema postale, ha ridotto, di fatto, il contenuto del bando gara per l'anno 2008, comprendendovi non solo il servizio raccomandate ma anche trasporti ed altro ed escludendo di fatto le piccole imprese di recapito ex concessionarie a favore di nuovi soggetti;
    in netta controtendenza con l'auspicato processo di liberalizzazione del servizio postale, nell'arco di quasi dieci anni, il valore degli appalti affidati da Poste italiane si è profondamente ridotto, passando da un valore di circa 70 milioni di euro all'anno nel 2000, a 58 milioni di euro nel 2008, a meno di 40 milioni di euro nel 2011;
    tale riduzione, pari a circa il 40 per cento del valore complessivo degli appalti affidati da Poste Italiane, ha provocato immediate ripercussioni negative, anche in termini di occupazione, nei confronti delle agenzie di recapito che oggi si trovano, di fatto, ad operare ai limiti della sopravvivenza;
    con riferimento alla drammatica situazione in cui versano le agenzie di recapito, il gruppo dell'Italia dei Valori è intervenuto attraverso la presentazione di appositi atti di sindacato ispettivo, e segnatamente l'interrogazione a risposta scritta n. 4/15729 presentata in data 17 aprile 2012 dall'Onorevole Fabio Evangelisti e altri, con cui si chiedeva al Governo di intervenire con provvedimenti volti a tutelare la posizione giuridica dei dipendenti dell'agenzia partner di Poste Italiane Transystem: agenzia che il 2 aprile 2012 si è vista diminuire in modo imponente il proprio carico di lavoro esternalizzato con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Nel testo dell'interrogazione si legge: «I dipendenti della Transystem godono di una certificazione degli stessi ispettori di Poste italiane in quanto “fiore all'occhiello” nel settore recapito per la competenza e la professionalità dimostrate; ciò nonostante Poste italiane ha deciso in maniera unilaterale di ridurre il carico di lavoro esternalizzato (nella sede di Pistoia si tratta di una riduzione pari a circa il 40 per cento del carico di lavoro) creando un vicolo cieco per le agenzie appaltatrici che hanno dovuto ricorrere gioco forza a tagli al personale, ferie forzate, contratti di solidarietà, e altro in tutte le sedi della Transystem (Pistoia, Prato, Forlì, Modena, Trieste, La Spezia, Genova e Mantova) e in tutte le altre agenzie partner delle Poste italiane»;
    da un comunicato diffuso il 20 aprile 2012 dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle agenzie di recapito private si evince chiaramente che la mancata prosecuzione degli appalti con tali agenzie, provocherà 3.000 nuovi lavoratori disoccupati in tutta Italia;
    il 16 maggio 2012 anche la CNA (Confederazione nazionale dell'artigianato e delle piccole e medie imprese) ha annunciato che ben 60 imprese di recapito italiane rischiano di chiudere ed oltre 1.500 lavoratori di essere licenziati. La CNA ha, infatti, chiesto al Governo un rapido intervento sia in relazione alla liberalizzazione del mercato del recapito sia nei confronti di Poste italiane per future ma urgenti scelte di politica industriale. «Poste Italiane – si legge nel testo dove si spiegano i motivi dell'annuncio – con i nuovi bandi di gara, vuole destrutturare l'unica rete di operatori postali reali, strutturati ed efficienti. Le agenzie di recapito sono state sin dal 1920 il fiore all'occhiello del sistema postale. Nel 1999 il Governo ha revocato le concessioni invitando nel contempo Poste Italiane a stringere accordi di collaborazione con le Agenzie di recapito. Le Agenzie hanno accettato di collaborare rinunciando di fatto a tutta la clientela storica ed hanno aiutato le Poste ad aumentare il livello qualitativo grazie alla loro professionalità»;
    a seguito del processo di liberalizzazione del mercato postale, sono aumentati notevolmente i soggetti che possono operare nell'ambito di tale mercato;
    pur tuttavia, detti soggetti non sempre garantiscono un adeguato livello di qualificazione e di professionalità, essendo sufficiente per accedere al mercato il semplice versamento di una quota pari a 290 euro. E ciò avviene senza che vi sia alcun controllo sui requisiti di solidità, tecnico-organizzativi, imprenditoriali delle imprese e degli addetti al servizio in un settore, come noto particolarmente delicato, che prevede in particolare la sicurezza e la riservatezza della corrispondenza e degli utenti del servizio;
    nel settore postale, inoltre, si trovano oggi ad operare numerose imprese in regime di sub-appalto che non applicano il contratto collettivo nazionale di settore,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa necessaria a garantire elevati livelli di efficienza e di qualità dei servizi postali resi all'utenza;
   ad assumere provvedimenti urgenti volti a salvaguardare i livelli occupazionali delle agenzie di recapito;
   a porre in essere ogni atto di competenza volto a prevedere specifici bandi di gara per l'affidamento a piccole imprese di servizi di recapito, di distribuzione e raccolta della corrispondenza e della posta, nonché per i servizi ausiliari in ambito urbano;
   ad intervenire presso Poste italiane spa affinché le gare di appalto per l'assegnazione dei servizi postali vengano avviate sempre e comunque in modo tale da assicurare la partecipazione alle stesse delle piccole imprese, nel rispetto dei principi sanciti dalla legge 11 novembre 2011, n. 180, recante la disciplina dello statuto delle imprese, nonché al fine di salvaguardare i livelli occupazionali del settore;
   ad avviare quanto prima un tavolo di concertazione presso il Ministro dello sviluppo economico tra Poste italiane spa, agenzie di recapito e ogni altro soggetto interessato, per individuare nell'immediato soluzioni tese allo sviluppo del mercato postale e prevedere azioni dirette a tutelare le piccole imprese del recapito ed i lavoratori del settore;
   ad adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a garantire che tutti i soggetti che operano sul mercato postale siano dotati di precisi requisiti di professionalità e di qualificazione;
   ad avviare una indagine nei confronti di tutte le imprese attive sul mercato postale, al fine di individuare quelle che operano in regime di subappalto e che non applicano il contratto collettivo nazionale di settore.
(7-00902) «Monai, Evangelisti».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    la Cassa depositi e prestiti (partecipata al 70 per cento dal tesoro e beneficiaria della garanzia pubblica sul risparmio postale) sta portando avanti un progetto con Metroweb a fianco del fondo F2i per lo sviluppo della rete in fibra ottica, con l'obiettivo di portarla all'interno delle case dei cittadini delle 30 principali città italiane, attraverso l'utilizzo della tecnologia FTTH (Fiber-to-the-home);
    Telecom sta pianificando investimenti sullo sviluppo della banda larga per 2 miliardi di euro per portare la fibra a ridosso delle case degli utenti, attraverso l'utilizzo della tecnologia FTTC (Fiber-to-the-cabinet), puntando a utilizzare la rete in rame che termina nelle case/aziende;
    Metroweb dovrebbe portare avanti il progetto entro il 2015 grazie all'apporto determinante dei capitali della Cassa depositi e prestiti, diventando quindi un concorrente di Telecom sulla cosiddetta rete Ngn (next generation network) ad alta velocità, debellando così il monopolio sull'ultimo miglio. Telecom, d'altra parte, sostiene la superiorità del proprio progetto per l'abbattimento dei costi e la tempistica più rapida, assicurando entro il 2014 la presenza in almeno 100 città;
    gli investimenti a livello europeo per le reti ultraveloci, che dovrebbero coprire circa la metà del continente europeo con una navigazione a 100 megabit, ammontano a circa 270 miliardi di euro, ma l'Unione europea ha ribadito negli ultimi giorni che l'impiego di fondi pubblici deve essere complementare, e non sostitutivo, rispetto a quello da parte dei privati;
    la diatriba in corso fra gli operatori del settore si riflette in una situazione di stallo che deve essere sbloccata a livello istituzionale, con una cabina di regia ministeriale in grado di coinvolgere i soggetti interessati in una programmazione seria e celere per lo sviluppo della rete in fibra ottica;
    il piano di distribuzione territoriale degli interventi deve prediligere le zone caratterizzate da importanti insediamenti demografici ed industriali, come le aree nelle quali si collocano distretti industriali in quanto maggiormente sollecitati nell'agone competitivo globale. In tali aree l'assenza di un'adeguata capacità di banda costituiscono un grave svantaggio competitivo che potrebbe essere colmato sviluppando una domanda di servizi innovativi che poggiano le basi sulle reti di nuova generazione a banda «ultralarga», anche per contrastare l'erosione della competitività attraverso innovazioni di processo;
    su un universo di circa un milione di piccole e medie imprese, circa 300 mila sono dislocate in aree che necessitano di banda ultralarga, di queste, 100 mila si trovano in aree con la più elevata priorità, in quanto corrispondenti a zone ad alta densità di aziende. Sviluppare moderne infrastrutture di nuova generazione, con un'alta capacità di trasmissione nelle suddette aree è tale da consentire l'interconnessione di tutte le 100 mila aziende in aree con una maggiore priorità mediante un'infrastruttura di rete di nuova generazione a banda ultra larga;
    aprire il mercato alla concorrenza nel settore delle nuove tecnologie sarebbe un'opportunità per i cittadini, le imprese e l'intero sistema Paese, inseguendo il duplice obiettivo di creare centinaia di migliaia di posti di lavoro ad alto valore aggiunto e, al contempo, di recuperare per il nostro Paese il ruolo storico come esempio di imprenditorialità e leadership nella produzione di ricerca, sapere e innovazione;
    l'Italia ha firmato un impegno europeo assicurando la diffusione della banda larga sull'intero territorio nazionale entro il 2013 e una connessione generalizzata in banda ultralarga, cioè 50-100 megabit entro il 2020. L'obiettivo di raggiungere il 100 per cento della popolazione con 100 megabit è sicuramente molto ambizioso, ma forse anche dei valori di molto inferiori potrebbero soddisfare le esigenze del nostro Paese, che deve rispondere non solo alle indicazioni dell'Europa, ma anche, e in primo luogo, alle esigenze territoriali economiche e finanziarie interne,

impegna il Governo

a farsi promotore di un tavolo di concertazione fra tutti gli operatori di telecomunicazioni coinvolti in progetti di sviluppo e realizzazione della rete in fibra ottica, al fine di arrivare ad una soluzione condivisa volta a massimizzare le potenzialità dei servizi di banda ultralarga e a supportare i nuovi servizi del futuro in forma integrata, assicurando così la competitività delle aziende, la continuità operativa dei servizi essenziali e un'offerta sempre più evoluta.
(7-00903) «Crosio».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il settore del tabacco rappresenta una realtà agricola ed industriale importante per l'Italia. Dal punto di vista della produzione agricola, infatti, l'Italia rappresenta il primo produttore europeo di tabacco e il decimo a livello mondiale (il Paese leader è la Cina, con il 38 per cento dell'intera produzione mondiale). Le coltivazioni italiane di tabacco coprono circa 27.000 ha, principalmente in Campania, Umbria, Veneto e Toscana, mentre le esportazioni di tabacco greggio dall'Italia si assestano su 218 milioni di euro annui. Le sigarette prodotte in Italia sono 6.000 miliardi all'anno, e gli addetti nell'intera filiera sono 204.000 (53.000 nella tabacchicoltura, 5.500 nella prima trasformazione, 740 nella manifattura, 2.700 nella distribuzione dei prodotti da fumo e 140.200 nelle rivendite di tabacchi). Nel complesso il valore totale della filiera supera i 18,4 miliardi di euro;
    dal 2010, nelle regioni storicamente vocate alla tabacchicoltura, il 50 per cento della dotazione finanziaria messa a disposizione dalla Pac per sostenere il settore è stato trasferito dal I pilastro (pagamento unico aziendale) al II pilastro (fondi del PSR). In queste regioni, infatti, ai produttori di tabacco è stata concessa la possibilità di accedere ad una misura agroambientale straordinaria (finora accordata dall'Unione Europea solo alla regione Umbria). Per accedere a questa misura agroambientale i tabacchicoltori devono impegnarsi ad assumere comportamenti produttivi rigorosi e virtuosi dal punto di vista ambientale. Ad oggi sono ancora in corso i negoziati su tale misura tra la commissione Europea e le altre regioni agro ambienta;
    nel 2010, la Commissione europea ha avviato un processo di revisione della direttiva 2001/37/CE sui prodotti del tabacco. Nel dettaglio, il riesame della normativa ha riguardato sei aree di modifica: a) l'ambito di applicazione della legge, b) i prodotti del tabacco non da fumo, c) l'informazione ai consumatori, d) la comunicazione e la registrazione degli ingredienti, e) la regolamentazione degli ingredienti, f) l'accesso ai prodotti da fumo;
    per ciascuna delle sei aree, sono state indicate specifiche proposte di modifica. Le modifiche hanno contenuti più o meno radicali e prospettano diverse ricadute, dirette ed indirette, per gli operatori il settore. In ciascuna area tematica, indipendentemente dagli interventi che saranno materialmente realizzati, le proposte di modifica genereranno inevitabili conseguenze economiche e sociali (ad esempio sui livelli del gettito erariale, su quelli dell'occupazione e altro);
    a titolo esemplificativo, si consideri che l'eventuale introduzione del «pacchetto generico», potrebbe favorire la diffusione di prodotti contraffatti alla luce delle minori difficoltà che i «contraffattori» potrebbero incontrare nel fabbricare in maniera illecita un packaging molto più semplice da copiare. In questo caso, il danno maggiore ricadrebbe sulle casse dello Stato, per il mancato introito;
    le conseguenze dell'adozione di tali misure troverebbe spazio per una crescita esponenziale dei fenomeni di vendita illegale (contrabbando e contraffazione) correlata alla maggior facilità di riproduzione delle confezioni di prodotti da fumo. Tale crescita del consumo illecito favorirebbe senza dubbio fenomeni di elusione fiscale significativa, con gravi perdite erariali e possibili incrementi delle patologie legate al consumo di prodotti non sottoposti a rigorosi controlli e composti da tabacco trattato con pesticidi spesso vietati nell'Unione europea;
    altre conseguenze socio-economiche si potrebbero verificare nell'ambito del divieto di utilizzo degli ingredienti. Tra le proposte di modifica avanzate, infatti, vi è la possibilità di divieti sull'utilizzo di ingredienti, anche senza evidenza scientifica della dannosità degli ingredienti stessi. Un'eventualità che porterebbe un danno considerevole all'intera filiera del tabacco;
    la maggior parte delle sigarette consumate in Europa appartengono alla categoria cosiddetta american blend, una miscela realizzata con varietà di tabacchi flue cured, light air cured (burley) ed orientali, con le ultime due varietà che per loro caratteristica necessitano di essere combinate con ingredienti. Qualsiasi divieto o restrizione sull'utilizzo di ingredienti usati per realizzare prodotti american blend avrebbe come effetto immediato l'esclusione dal mercato delle varietà burley ed orientali;
    in effetti, nei Paesi dove sono prodotte (soprattutto Bulgaria, Grecia ed Italia), le varietà burley ed orientali sono coltivate primariamente da piccoli imprenditori, spesso su aziende agricole di dimensioni di poco superiori all'ettaro. L'Italia rappresenta in tal senso un esempio da tenere in considerazione. La Campania produce il 93,2 per cento del burley italiano in un'area dove la percentuale di disoccupazione è molto più alta della media nazionale. A ciò si aggiunga il fatto che l'ipotesi di sostituire il burley con altre varietà (ad esempio il bright) che non corrono il rischio di subire restrizioni da parte della nuova formulazione della direttiva prodotto, non rappresenta un'alternativa facilmente percorribile dalle aziende italiane del comparto. Le aziende dedite alla coltivazione del tabacco in Italia, infatti, hanno dimensioni medie molto contenute; dimensioni che rendono economicamente insostenibile l'adozione di sistemi colturali meccanizzati che, al contrario, ben si adatterebbero alla coltivazione di varietà tipo bright. Tale limitazione non metterebbe le aziende italiane nelle condizioni di operare con i livelli di efficienza e competitività adeguati a quelli del mercato «globale» del tabacco;
    il punto di forza della tabacchicoltura italiana, infatti, è stato fino ad oggi rappresentato dall'elevata qualità di produzioni ottenute grazie all'ampio ricorso ad operazioni manuali, sia nelle fasi di coltivazione che nelle fasi di raccolta/prima trasformazione. L'accuratezza e l'economicità di queste operazioni manuali si è storicamente basata sulla conduzione familiare delle aziende e dal diffuso ricorso alla manovalanza familiare. Elementi, questi, che hanno fatto della tabacchicoltura un settore forte dell'agricoltura, specie nelle aree più interne e marginali della nostra penisola. Elementi che oggi, per diverse ragioni, iniziano a venire meno privando il settore dei suoi tradizionali e consolidati elementi di forza. Anche per queste ragioni oggi, molto più che in passato, si rende necessaria la messa a punto di scelte politiche e settoriali che sappiano guidare il difficile periodo di transizione che sta caratterizzando l'intera tabacchicoltura nazionale e la competitività dei territori rurali vocati a questo comparto,

impegna il Governo:

   ad attivare presso le istituzioni europee tutte le opportune iniziative al fine di salvaguardare un comparto di eccellenza che realizza un tabacco di qualità e che ha il merito di fregiare l'Italia quale primo produttore europeo e tra i primi esportatori mondiali, anche per tutelare sia la salute del cittadino, sia l'interesse generale del Paese;
   a monitorare e facilitare, per quanto di competenza, il processo di adozione da parte delle regioni di misure di ristrutturazione del comparto nell'ambito dei piani di sviluppo regionale;
   a monitorare i ritardi che si registrano nell'attivazione di misure dei piani di sviluppo regionale potenzialmente utili a sostenere il comparto (esempio misure agroambientali, 214, e misure per il sostegno all'agricoltura di semisussistenza, 1.4.4), e a facilitare il processo di attivazione di dette misure;
   ad attivarsi al fine di stipulare accordi pluriennali con le manifatture internazionali operanti in Italia ed ottenere adeguati impegni circa gli acquisti di tabacco italiano, come già fatto con Philip Morris Italia.
(7-00901) «Di Giuseppe, Rota, Messina».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   al dicembre 2005 il signor Francesco Palmiro Mariani sta svolgendo ininterrottamente il ruolo di vertice dell'autorità portuale di Bari, sia in qualità di commissario che di presidente;
   a seguito di gravi irregolarità accertate durante la sua gestione, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con decreto del 17 giugno 2009, ha provveduto alla rimozione del signor Mariani ed al contestuale commissariamento dell'autorità portuale di Bari;
   all'adozione del suddetto decreto, il Ministro competente era pervenuto sulla scorta delle conclusioni rassegnate da un'apposita Commissione ministeriale, istituita con decreto del direttore, generale dei porti n. 20/08 del 19 dicembre 2008, la quale, nella relazione conclusiva del 4 maggio 2009, aveva stigmatizzato che «il Presidente dell'autorità portuale ha posto in essere iniziative ed atti quanto meno discutibili, in contrasto con le funzioni d'ufficio che postulerebbero la serena ed efficiente gestione, sotto il profilo istituzionale ed operativo, del Porto di Bari», evidenziando che «Alla luce dell'accertamento svolto, vi è ragione di ritenere che la situazione del porto di Bari, già molto grave, sia destinata a peggiorare ulteriormente, proprio per effetto delle improvvide iniziative dell'Autorità portuale destinate a compromettere irreversibilmente lo sviluppo futuro dello scalo barese»;
   il Tar Puglia, con sentenza 8 luglio 2009, n. 1803, pronunciandosi sul commissariamento dell'autorità portuale di Bari, ha affermato in modo espresso che, in presenza di «indizi di grave e comprovata mala gestio», è legittimato «l'esercizio del potere straordinario di commissariamento da parte del Ministero, sulla base di documentate perdite finanziarie»;
   la «mala gestio» del porto di Bari da parte del signor Mariani, come preconizzato nella sopra citata relazione della commissione ministeriale del 4 maggio 2009, è venuta a realizzarsi pienamente nei due anni successivi e continua, secondo gli interpellanti, tutt'ora a degenerare verso un irreversibile tracollo finanziario, operativo e gestionale;
   la dimostrazione di quanto predetto è confermata dalla revoca nei riguardi della medesima autorità portuale di 85 milioni di euro di finanziamenti, previsti dal decreto ministeriale n. 357 del 13 ottobre 2011, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, a causa dell'incapacità programmatoria e gestionale del medesimo ente portuale, che non è stato in grado di progettare o bandire gare, per opere infrastrutturali né tantomeno proporre al Ministero interpellato progetti alternativi immediatamente cantierabili;
   risulta agli interpellanti in particolare che, durante i sei anni di gestione del signor Francesco Palmiro Mariani, sia in qualità di Presidente, che di commissario dell'autorità portuale di Bari, nonostante siano intervenuti ben dieci decreti ministeriali di variazione delle opere e dei programmi proposte dalle diverse autorità portuali ed accettate dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l'autorità portuale di Bari non ha programmato, progettato e tanto meno reso cantierabile alcun intervento infrastrutturale, nonché proposto alcuna variazione del programma, che avrebbero consentito di ottenere facilmente dal suddetto Ministero il mantenimento dello stanziamento in questione;
   solo nel 2010, addirittura oltre cinque anni dall'assegnazione dei finanziamenti revocati, l'ente portuale barese ha richiesto al medesimo Ministero una rimodulazione del programma d'investimenti, proponendo tuttavia interventi di non immediata cantierabilità, tanto che, a tal proposito, la nota del 14 ottobre 2010, la direzione generale per i porti ha comunicato alla stessa autorità portuale di Bari che «a seguito della non immediata cantierabilità dei progetti ... rilevata in sede istruttoria, non si ritiene possibile al momento procedere alla richiesta rimodulazione/modifica ...»;
   a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011, serie generale, della legge n. 10 del 2011 di conversione del cosiddetto «Milleproroghe», il signor Mariani, inoltre, con nota del 31 marzo 2011, inviata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha tentato, in un modo che gli interpellanti giudicano assai poco credibile, di elaborare giustificazioni ai ritardi accumulati dalla stessa Autorità Portuale, non ritenute plausibili dal medesimo Ministero interpellato;
   il signor Mariani in definitiva si è ritrovato, unico esempio nel panorama della portualità nazionale, a perdere la totalità dei finanziamenti che erano stati assegnati all'autorità portuale di Bari per la realizzazione delle infrastrutture portuali;
   con riferimento alle altre autorità portuali infatti, quella di Genova ha subìto una revoca di risorse pari a circa 52 milioni di Euro, ma ha ottenuto una contestuale riassegnazione di 50 milioni di euro per la realizzazione di un'altra opera resa cantierabile, mentre le restanti autorità portuali hanno perso complessivamente appena 6 milioni di euro; inoltre, con il medesimo e precedentemente esposto decreto, i fondi revocati all'autorità portuale del Levante, sono già stati totalmente riassegnati per circa 68 milioni di euro all'autorità portuale di Savona e per circa 12 milioni di euro a quelle di Cagliari, Taranto e Gioia Tauro, oltre ai 50 milioni di euro di cui si è già detto per Genova;
   l'autorità portuale di Bari ha dunque conseguito la «maglia nera» perdendo definitivamente, da sola, quasi il 95 per cento dei fondi complessivamente revocati alle autorità portuali italiane, senza più alcuna possibilità di riassegnazione;
   in questo modo, come si evince dalla relazione annuale, approvata nella seduta del Comitato portuale del 5 ottobre 2011, e dalla citata nota del 31 marzo 2011, l'autorità portuale di Bari ha perso l'occasione di poter realizzare importanti opere strategiche quali il nuovo sporgente per le grandi navi da crociera nella Darsena di ponente per 8 milioni di euro, la riqualificazione del Molo Pizzoli per 30 milioni di euro, l'ampliamento del Molo San Cataldo per 18 milioni di euro, nonché il prolungamento del molo di Tramontana nel porto di Barletta per 17 milioni di euro;
   l'effetto «devastante» della disposta revoca dei finanziamenti, peraltro, era stato preannunciato dallo stesso signor Mariani, laddove, nella citata sua nota del 31 marzo 2011, il medesimo comunicava al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che «è di tutta evidenza che, qualora la ricognizione mettesse in discussione i fondi necessari alla realizzazione dei piani triennali delle opere, che formano parte integrante dell'avanzo di amministrazione, ci troveremmo, di fatto, dinanzi ad una profonda alterazione degli equilibri finanziari stabiliti con bilanci già approvati dal Ministero competente compromettendo così la funzionalità dell'ente»;
   in tal modo, il signor Mariani, a giudizio degli interpellanti, ha sostanzialmente «autocertificato» il dissesto finanziario e la conseguente impossibilità di funzionamento dell'ente;
   quanto suesposto, a giudizio degli interpellanti, evidenzia in maniera inconfutabile la «mala gestio» realizzata dallo stesso signor Mariani e l'impellente necessità di intervenire con la revoca del suo mandato di presidente;
   di fronte a questa situazione evidenziata, che gli interpellanti giudicano disastrosa, determinata dal medesimo signor Mariani, ed alla certificata incapacità di avviare l'apertura di un solo cantiere nel porto di Bari in ormai oltre sei anni di gestione dell'autorità portuale, appare incredibile che il signor Mariani, nel piano operativo triennale 2011/2013, approvato nella seduta del comitato portuale del 7 settembre 2011, nonché nel bilancio di previsione 2012, approvato nella seduta del comitato portuale del 31 ottobre 2011, abbia previsto la realizzazione, nel triennio, di investimenti infrastrutturali per complessivi euro 182.824.490,30, senza avere alcuna copertura finanziaria, non possedendo ormai più alcuna risorsa per poter realizzare nemmeno un metro lineare di banchina od un metro cubo di escavo;
   a giudizio degli interpellanti la condotta discutibile ed arrogante del signor Mariani si è spinta poi fino all'inverosimile allorché, in occasione della perdita degli 85 milioni di euro di finanziamenti, ha ritenuto dichiarare sul quotidiano la Repubblica edizione di Bari del 21 ottobre 2011: «Meglio così, sapevamo della revoca e posso dire che non avrà ripercussioni sul nostro Piano Triennale»;
   le documentate e gravissime perdite finanziarie procurate dal signor Mariani durante la sua gestione dell'autorità portuale di Bari, a giudizio degli interpellanti, non sono soltanto quelle suesposte;
   occorre rilevare, infatti, che entrambi i bilanci 2009 e 2010 dell'autorità portuale di Bari sono stati chiusi in disavanzo di gestione (quello del 2010 per 622.665,73 euro) ed in essi sono facilmente rilevabili discutibili operazioni contabili in quanto l'autorità portuale, nel quadro della «guerra», che gli interpellanti giudicano assai negativamente, contro la Bari Porto Mediterraneo, società partecipata per il 30 per cento dalla medesima autorità portuale, ha iscritto presunti crediti nei confronti della Bari Porto Mediterraneo, derivanti da una presunta rideterminazione del canone di concessione demaniale, pur in mancanza di un effettivo titolo giuridico, nonostante che le più elementari regole di contabilità impongano che un credito possa essere imputato in bilancio solo ed esclusivamente se esso è «certo ed esigibile»;
   i presunti crediti suesposti sono stati contabilizzati per circa 600.000 euro nel bilancio 2010 e per circa 1.400.000 euro nel bilancio 2009, per cui il conto economico consuntivo del 2009, approvato con un avanzo di gestione di circa 900.000 euro, presenta effettivamente un disavanzo di circa 500.000 euro, mentre il conto economico consuntivo del 2010, approvato con un disavanzo di gestione di 622.665,73 euro, presenta effettivamente un disavanzo di circa 1.200.000 euro;
   in merito a tali presunti crediti, l'ordinanza del TAR Puglia-Bari n. 147 del 25 febbraio 2010 nulla ha disposto in merito al reale accertamento del presunto credito inerente la rideterminazione del canone concessorio posto a carico della Bari Porto Mediterraneo per l'anno 2009; anzi, al contrario, ha invitato le parti a cercare un accordo, con correttezza e lealtà, per la definizione dei rapporti pendenti;
   a tale prima Ordinanza hanno fatto seguito due successive disposizioni del TAR Puglia-Bari nn. 552 e 553 del 21 luglio 2010, che hanno sospeso l'efficacia dei provvedimenti dell'autorità portuale nei confronti della Bari Porto Mediterraneo anche in ordine alle pretese dell'autorità portuale relative agli anni precedenti, dal 2005 al 2008;
   la sospensione è stata confermata dalla VI sezione del Consiglio di Stato, con ordinanze nn. 5126 e 5127 del 10 novembre 2010, che l'ha subordinata alla prestazione di una cauzione da parte di Bari Porto Mediterraneo, ma che nulla ha stabilito in ordine all'accertamento del presunto credito vantato dall'autorità portuale;
   è intervenuta successivamente la definitiva pronuncia del TAR Puglia-Bari con le due sentenze nn. 687 e 688 del 9 maggio 2011, in base alle quali è stata affermata la nullità delle pretese dell'autorità portuale nei confronti della «Bari Porto Mediterraneo»;
   il Consiglio di Stato, infine attraverso la recente sentenza del 19 gennaio 2012, nel dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, ha rinviato al giudice ordinario la cognizione della questione e, in particolare, la verifica della sussistenza e la quantificazione dei presunti crediti rivendicati dall'autorità portuale;
   conseguentemente, ne è uscita confermata l'assoluta «incertezza» ed «inesigibilità» di tali presunti crediti, illegittimamente appostati nei bilanci 2009 e 2010 dal signor Mariani e la cui attuale inesistenza ai fini contabili rende ora ancora più drammatico il dissesto finanziario della medesima autorità portuale;
   dal citato bilancio di previsione 2012 si rileva inoltre, in maniera del tutto incontestabile, la definitiva disfatta finanziaria della gestione del signor Mariani, derivante da una crescita esponenziale delle perdite finanziarie; si evince infatti un risultato di amministrazione presunto, al termine dell'esercizio 2011, di euro 5.522.292,89, a fronte di un risultato di amministrazione a fine 2010 di euro 26.325.342,55, nonché la previsione di un disavanzo di competenza per l'anno 2012 pari ad euro 4.108.523;
   dalle variazioni al bilancio di previsione per l'esercizio 2011, approvate nel comitato portuale del 30 novembre 2011, si desume per di più, un ulteriore incremento delle spese correnti per euro 1.200.000, un incremento delle spese per la security portuale di oltre euro 600.000 ed un incremento delle spese per «Missioni del Presidente» del 100 per cento, queste ultime passate da 25.000 euro previste inizialmente a 50.000 euro, a causa dell'appostamento di ulteriori 25.000 euro di spese per «Missioni del Commissario» signor Mariani dal 19 gennaio al 7 giugno 2011;
   la gravissima situazione economica in cui versa l'autorità portuale di Bari avrebbe consigliato di non procedere ad un aumento di tale rilevanza anche qualora esistessero ragioni giuridiche che giustificassero tale decisione;
   in definitiva, il signor Mariani ha prodotto, durante la sua gestione, perdite finanziarie che sono divenute di entità così rilevante da ridurre l'attuale presidenza Mariani ad una gestione «nemmeno ordinaria», essendo ormai del tutto azzerati i finanziamenti disponibili per la realizzazione delle infrastrutture, le risorse necessarie per lo sviluppo futuro dell'area portuale barese e quelle per far fronte alle più banali esigenze operative dell'area portuale, come d'altra parte sostanzialmente ammesso dallo stesso signor Mariani nella citata nota del 31 marzo 2011;
   la predetta situazione, già di per sé, dovrebbe condurre come peraltro precedentemente riportato, all'immediata rimozione del signor Mariani, considerato che, come già evidenziato, il T.A.R. Puglia-Bari, con sentenza n. 1803 dell'8 luglio 2009, in tema di commissariamento dell'autorità portuale di Bari, ha affermato espressamente che in presenza di «indizi di grave e comprovata «mala gestio» è legittimato «l'esercizio del potere straordinario di commissariamento da parte del Ministero, sulla base di documentate perdite finanziarie»;
   a giudizio degli interpellanti, occorre segnalare nuovamente, la dissennata «guerra» condotta dal signor Mariani contro la società «Bari Porto Mediterraneo», partecipata per il 30 per cento dalla stessa autorità portuale ed a suo tempo costituita per gestire le stazioni marittime ed i servizi di supporto ai passeggeri di navi traghetto e da crociera nel porto di Bari, che dal 2005 in poi ha dato un apporto determinante alla crescita dei traffici portuali;
   l'assurdità di tale conflitto è evidenziata dal fatto che l'annullamento della concessione, che come dichiarato dallo stesso signor Mariani, avrebbe dovuto determinare ingenti profitti per le casse dell'autorità portuale, ha prodotto al contrario quale effetto, il disastro nei bilanci della stessa autorità proprio a partire dal 2010, anno in cui per pervicace volontà del signor Mariani la Bari Porto Mediterraneo ha cessato le proprie attività che sono state assorbite direttamente dall'autorità portuale e poi da questa per la gran parte affidate ad una miriade di nuovi soggetti con conseguenti maggiori costi, a differenza di quanto avvenuto nei bilanci degli anni dal 2005 al 2009, in cui le stazioni marittime ed i servizi di supporto ai passeggeri del porto di Bari sono stati gestiti dalla Bari Porto Mediterraneo;
   con l'uscita di scena della Bari Porto Mediterraneo inoltre, le stazioni marittime sono state abbandonate dall'autorità portuale al loro degrado, poiché il medesimo ente, per aver dissipato le proprie risorse economiche, le ha private della pur minima manutenzione ordinaria, abbattendo duramente quell'elevato standard di qualità dei servizi sempre garantito e migliorato nel corso degli anni dalla Bari Porto Mediterraneo;
   a giudizio degli interpellanti, occorre inoltre evidenziare che, nonostante la società Bari Porto Mediterraneo, attualmente in liquidazione, abbia una situazione creditoria nettamente migliore di quella debitoria, a seguito della scelta del presidente dell'autorità portuale essa si è finita per trovare in una situazione pre-fallimentare;
   a ciò ha contribuito, ad avviso degli interpellanti, anche la mancata corresponsione di tariffe portuali da parte degli agenti marittimi;
   la gestione evidentemente fallimentare del signor Francesco Palmiro Mariani, risulta, a giudizio degli interpellanti, ulteriormente aggravata da altre discutibili azioni da egli stesso compiute, successivamente alla sua riconferma di presidente dell'autorità portuale di Bari, avvenuta con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 7 giugno 2011;
   sono state effettuate infatti, all'interno della dotazione organica dell'ente portuale, circa 20 assunzioni a giudizio degli interpellanti in modo clientelare, senza l'espletamento di alcuna procedura concorsuale di evidenza pubblica e, quindi, in spregio ai principi di trasparenza e alle vigenti norme in materia;
   quanto suesposto, è confermato anche dal direttore generale per i porti, il quale nella nota del 16 settembre 2010 inviata all'autorità portuale di Bari, raccomandava «l'espletamento di procedure concorsuali selettive di evidenza pubblica nel rispetto del principio di trasparenza e delle vigenti norme in materia»;
   a giudizio degli interpellanti, occorre altresì segnalare la recente costituzione di una nuova società, interamente detenuta dall'autorità portuale, denominata «Porti Levante Security», di cui lo stesso presidente dell'autorità portuale di Bari risulta contestualmente al vertice della gestione della medesima società che si occupa di sicurezza nell'ambito portuale; tale «operazione» ha consentito l'assunzione a tempo indeterminato, senza alcuna procedura pubblica di selezione (il cui espletamento, come già detto, era stato raccomandato dalla direzione generale per i Porti nella citata nota del 16 settembre 2010), di diverse unità di personale;
   nel complesso, all'interno dell'autorità portuale e nella «Porti Levante Security» il presidente Mariani ha effettuato un numero, secondo gli interpellanti, abnorme di assunzioni a tempo indeterminato, per chiamata diretta, in evidente contrasto, secondo gli interpellanti, con le vigenti norme in materia e con quanto raccomandato dal direttore generale per i porti, i cui profili morali e professionali, per alcuni degli assunti appaiono discutibili, in considerazione del condanne penali certificate;
   la suesposta situazione evidentemente grave che necessita chiarezza, era peraltro già stata rilevata dalla citata commissione ministeriale, la quale, nella relazione conclusiva del 4 maggio 2009, aveva evidenziato che il presidente dell'autorità portuale di Bari privilegiava direttamente per le assunzioni, la cooperativa multiservizi portuali, società alla quale era stato affidato dalla stessa autorità portuale «con una procedura che desta forti perplessità, un appalto di svariati milioni di euro per lo svolgimento di servizi» tanto che tale affidamento è stato censurato sia dal Tar Puglia che dal Consiglio di Stato – che avevano stigmatizzato – «la presenza di “soggetti discutibili” (con riferimento a trascorsi penali certificati per molti componenti) nella stessa Cooperativa, che, con sprezzo di ogni dovere d'ufficio, sono stati dal Presidente dell'Autorità portuale utilizzati addirittura come addetti di security per la sicurezza e la prevenzione nei confronti di eventuali attacchi terroristici internazionali»;
   a ciò si aggiunge quanto espressamente denunciato dalla Corte dei conti, la quale, con determinazione n. 73 del 2010, nella «Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Autorità Portuale per gli esercizi 2007 e 2008» ha evidenziato «un rapporto non proporzionato tra posizioni apicali e semiapicali e posizioni impiegatizie, accentuato dalle presenze effettive registrate nel periodo considerato (13 tra dirigenti e quadri a fronte di 9 impiegati nel 2007, addirittura 18 posizioni apicali e semiapicali – pari al doppio del numero degli impiegati presenti (9) – nel 2008). Tale sproporzione non è estranea al sensibile incremento che, nell'arco di tempo considerato, ha registrato il costo medio del personale, passato da euro 74.237 nel 2006 a euro 91.488 nel 2008»;
   tale notevole incremento dei costi del personale dal 2006 al 2008, è diventato ancor più clamoroso nei successivi esercizi 2009 e 2010, tanto che, come stigmatizzato nelle Relazioni del collegio dei revisori dei conti, esso ha contribuito in maniera determinante ai disavanzi registrati nei bilanci 2009 e 2010;
   la gestione dei servizi portuali e delle conseguenze assunzioni avvenute, a giudizio degli interpellanti, in maniera tutt'altro che limpida ha suscitato anche l'attenzione della Commissione Parlamentare Antimafia, la quale ha dedicato alla questione una specifica seduta ascoltando in quella sede anche il Ministro pro tempore delle infrastrutture e dei trasporti;
   gli interpellanti infine hanno notizia che recentemente, in data 24 febbraio 2012, l'autorità portuale di Bari, in contrasto con quanto deliberato dal Comitato portuale nella seduta del 30 ottobre 2009, ha proceduto all'affidamento diretto e senza alcuna gara a evidenza pubblica, ad un ulteriore nuova società denominata: «Port Parking & Services srl uni personale», per le aree destinate a parcheggio di fronte alla sede stessa dell'ente portuale, con un canone, ad avviso degli interpellanti non proporzionale al valore delle aree, stante la valenza di ubicazione delle aree stesse di proprietà della medesima autorità portuale;
   risulta importante evidenziare a giudizio degli interpellanti, che il Tar Lazio (Sez. III ter, 23 giugno 2011, n. 5623) ha ritenuto legittimo il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che disponeva il commissariamento dell'Autorità portuale di Civitavecchia per «mala gestio» operata dal presidente, affermando che «il Ministro ha infatti ritenuto che la scarsa attenzione alla gestione dei beni demaniali fosse in grado di generare notevoli pregiudizi all'economia regionale e nazionale, in quanto l'Autorità Portuale non ha potuto godere delle risorse finanziarie da destinare a nuove opere infrastrutturali finalizzate allo sviluppo o, quantomeno, al mantenimento delle capacità operative dell'ente» e che «Il provvedimento impugnato dà, in definitiva, adeguato conto, non solo di una comprovata inadeguata gestione del settore demaniale, ma evidenzia, altresì, il conflitto creatosi tra il Presidente dell'A.P. ed il Ministro vigilante, attribuibile esclusivamente al comportamento del primo, che, nonostante i ripetuti rilievi amministrativi (dell'IGF prima, e del Ministero poi) in ordine alla illegittimità del comando di personale in sovrannumero, ha ritenuto di insistere con tale condotta» e conclude che «i presupposti posti a base del provvedimento legittimano il ricorso al potere straordinario di commissariamento da parte del Ministro vigilante, quale unico rimedio possibile per eliminare gli effetti pregiudizievoli di una ormai radicata non corretta gestione delle attività proprie dell'Autorità Portuale e ad assicurare, attraverso il commissariamento, il regolare funzionamento dell'Autorità, nelle more del rinnovo dell'organo di vertice»;
   pertanto, con riferimento a questioni palesemente molto meno gravi di quelle verificatesi nella gestione dell'autorità portuale di Bari da parte del signor Mariani, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha provveduto al commissariamento dell'autorità portuale di Civitavecchia, con decreto ritenuto pienamente legittimo dal Tar Lazio;
   in definitiva a giudizio degli interpellanti, la situazione complessiva precedentemente esposta evidenzia uno scenario generale preoccupante all'interno del porto di Bari, a causa della dissennata gestione operata dall'attuale Presidente, per cui, in considerazione degli elementi riportati, appare evidente che non esiste, nel contesto nazionale, situazione peggiore di quella creata dal signor Mariani nell'autorità portuale di Bari, evidentemente sottoposta ad un decadimento amministrativo e finanziario, che ha determinato una pericolosa condizione di insicurezza e di illegalità, nonché compromesso l'immagine e la credibilità in ambito locale, nazionale ed internazionale, di un ente portuale che svolge un ruolo preminente nel tessuto economico della città e della regione Puglia, nonché riguardo alle relazioni commerciali con l'area balcanica;
   per quanto fin qui argomentato, il presidente Mariani ha dato compiuta dimostrazione di essere assolutamente inadeguato alla gestione di un ente pubblico, quale l'autorità portuale di Bari, da egli stesso colpevolmente condotto verso un disfacimento amministrativo e gestionale;
   a giudizio degli interpellanti, occorre fra l'altro rilevare, come la gestione dell'autorità portuale di Bari risulti in evidente contrasto con gli indirizzi e le linee programmatiche dell'attuale esecutivo che, proseguendo coerentemente gli obiettivi di contenimento della finanza pubblica rispettati dal precedente Governo Berlusconi, di risanamento dei conti pubblici, che hanno prioritariamente richiesto sforzi e sacrifici economici a tutti i cittadini italiani, ha impostato la propria politica economica e finanziaria sul massimo rigore nella gestione del pubblico denaro –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se la gestione amministrativa e finanziaria dell'ente portuale indicato in premessa, sia o meno in totale contraddizione con gli indirizzi e le misure di corretta e rigorosa gestione del bilancio, introdotte dal Governo Berlusconi e confermate da quello attuale, per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica;
   se non ritengano altresì che, in analogia con il commissariamento dell'autorità portuale di Civitavecchia disposta dal Ministro pro tempore, come peraltro riportato in premessa, per avvenimenti giudicati di minore gravità, rispetto alla sconsiderata e negativa gestione finanziaria ed amministrativa, nonché delle numerose indagini in corso presso la procura della Repubblica di Bari, occorra intervenire urgentemente, nell'ambito delle prerogative previste dalla legge, a tutela dell'ente portuale barese;
   in particolare, se non intendano conseguentemente provvedere al commissariamento dell'autorità portuale del Levante al fine di evitare che l'ente portuale possa proseguire una tendenza nel complesso negativa e penalizzante compromettendo ulteriormente lo sviluppo e la crescita del porto di Bari, determinando in tal modo l'avvio del risanamento del bilancio, il ripristino delle condizioni di correttezza, rigore e legalità del funzionamento dell'ente portuale, consentendo il necessario rilancio dello scalo marittimo barese e restituendolo al ruolo competitivo nell'ambito della portualità mediterranea.
(2-01540) «Di Cagno Abbrescia, Baldelli, Savino, Lisi, Antonio Pepe, Fucci, Lazzari, Antonino Foti, Nastri, Mannucci, Vitali, Sbai, D'Alessandro, Sisto».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere – premesso che:
   il Nuovo IMAIE, nato per effetto dell'articolo 7 della legge 29 giugno 2010, n. 100, tutela i diritti degli artisti interpreti o esecutori, salvaguardando gli interessi mutualistici dell'intera categoria artistica, costituita per la maggior parte da comprimari del settore musicale e audiovisivo, ovvero da artisti commercialmente meno noti, rappresentati dall'Istituto indipendentemente dal conferimento di un mandato diretto;
   per effetto del disposto normativo suddetto, e in linea con quanto previsto dagli ordinamenti degli Stati membri l'Istituto opera sotto la vigilanza congiunta della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per l'informazione e l'editoria, del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che, nel settembre 2010, ne hanno approvato lo statuto e, a novembre 2011 i regolamenti di iscrizione e di ripartizione e che sono tenuti, altresì ad approvare il regolamento elettorale e il regolamento di attuazione dell'articolo 7 della legge n. 93 del 1992 e ogni eventuale successiva modifica;
   il Nuovo IMAIE, in data 4 aprile 2012, è stato eretto ente morale con iscrizione nel registro delle persone giuridiche della prefettura di Roma ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 2000;
   la legge attribuisce al Nuovo IMAIE un ruolo di stampo pubblicistico e mutualistico, di ampia tutela della categoria, a cominciare dalla protezione degli artisti meno fortunati, dalla determinazione dei compensi spettanti agli artisti in relazione alla diffusione di opere audiovisive (articolo 84 della legge n. 633 del 1941), alla gestione dei fondi destinati al sostegno della categoria (articolo 7 della legge n. 93 del 1992), nonché alla gestione collettiva dei compensi spettanti agli artisti per la copia privata (articolo 71-septies e seguenti della legge n. 633 del 1941);
   in meno di due anni dalla sua costituzione, il Nuovo IMAIE ha finalizzato oltre 80 accordi con altrettanti enti utilizzatori di opere cinematografiche e assimilate, volti a determinare e riscuotere i compensi spettanti agli artisti del settore audiovisivo e ha stipulato accordi quadro con l'AFI (Associazione dei fonografici italiani) e con l'SCF (Società consortile fonografici), che regolano le modalità di erogazione al Nuovo IMAIE dei compensi spettanti agli artisti del settore musicale (pari al 50 per cento di quanto incassato dai produttori);
   in ambito internazionale, il Nuovo IMAIE ha stipulato accordi di reciprocità con le principali società di collecting omologhe presenti in Europa e nel mondo (AISGE Spagna, ADAMI Francia, VDFS Austria, GVL Germania, STOART Polonia, NORMA Inghilterra, RAAP Irlanda, SAMI Svezia, ABRAMUS Brasile, CPRA Giappone, ARTISTI Canada) che consentono agli artisti aventi diritto italiani di ricevere i compensi da essi maturati all'estero e viceversa;
   il Nuovo IMAIE ha pubblicato sul proprio sito web, il repertorio video (pari a oltre 850.000 opere cinematografiche e assimilate) e audio (circa 7.000.000 di registrazioni musicali) oggetto di tutela, al fine di garantire la massima trasparenza, consentendo a tutti gli artisti interessati di poter conoscere la propria posizione (se di artista primario o comprimario), di verificare i passaggi e gli utilizzi delle opere cui hanno preso parte e di chiedere la correzione di eventuali dati errati od incompleti;
   tenuto conto della difficoltà a disporre dei dati di utilizzo delle opere e del volume delle verifiche da effettuare su ogni opera, i tempi dell'attività di ripartizione attuata dal Nuovo IMAIE sono decisamente significativi oltre che considerevolmente più brevi rispetto al passato (settore audiovisivo: ripartiti i compensi maturati nel secondo semestre 2009 e in corso di ripartizione i compensi del 2010; settore musicale: in corso di ripartizione le quote dei compensi maturati nel secondo semestre 2009);
   grazie ad una riduzione dei costi di gestione, il Nuovo IMAIE, in piena osservanza del proprio ruolo mutualistico, ha destinato una quota dell'avanzo di gestione dell'anno 2011 all'istituzione di un fondo di solidarietà destinato agli artisti, interpreti ed esecutori indigenti;
   con il decreto-legge n. 1 del 2012 articolo 39, commi 2 e 3, l'attività di amministrazione e intermediazione dei diritti connessi degli artisti è libera; il decreto-legge n. 1 del 2012 prevede entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto-legge l'adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, per stabilire «nell'interesse dei titolari aventi diritto, i requisiti minimi necessari ad un razionale e corretto sviluppo del mercato degli intermediari di tali diritti connessi»;
   risulta evidente che l'intervento normativo sui diritti connessi non incide sulle funzioni di legge riguardo al ruolo pubblicistico del Nuovo IMAIE, che esula dall'obiettivo della nuova disciplina e che non potrebbe mai essere posto in un regime di libera concorrenza; le finalità della riforma, e quindi oggetto di libera concorrenza, sono le attività riferibili ai diritti spettanti al singolo artista che avrà dato mandato ad una specifica società di collecting e quindi i costi, tempi e modalità di corresponsione dei diritti individuali;
   siffatto intento riformatore è stato esplicitato, ad avviso degli interpellanti, nel corso dell’iter di conversione del decreto-legge n. 1 del 2012 al Senato in quanto si è soppressa la seguente disposizione: «Tutte le disposizioni incompatibili con il presente articolo sono abrogate», inducendo a ritenere il legislatore abbia appunto inteso far salve tutte le norme vigenti, non incompatibili con il principio liberalizzatore, e volte a garantire le funzioni mutualistiche e pubblicistiche previste dal decreto-legge n. 64 del 2010;
   in ossequio al Nuovo scenario giuridico, introdotto dal decreto-legge n. 1 del 2012, risulta giocoforza necessario, a tutela degli artisti interpreti esecutori, definire nell'emanando decreto del Presidente del Consiglio dei ministri un quadro regolamentare certo ed esaustivo al fine di ingenerare incertezza normativa presso la categoria, penalizzare l'azione di riscossione e distribuzione dei compensi per gli aventi diritto e penalizzare gli artisti che non conferiranno mandato ad alcun intermediario;
   risulta infine agli interpellanti che i sindacati confederali abbiano sottoscritto all'unanimità un documento per evidenziare i requisiti prioritari del decreto attuativo a tutela della categoria, vale a dire la salvaguardia delle prerogative riconosciute per legge al Nuovo IMAIE in ordine all'attività mutualistica, la garanzia per tutte le collecting di competere sul mercato su basi eque e trasparenti, la tutela dei diritti legittimamente acquisti sino all'entrata in vigore del Nuovo regime –:
   se nella fase di istruttoria dell'atteso decreto del Presidente del Consiglio siano stati opportunamente valutati gli elementi tratteggiati in premessa e condivisi da tutte le organizzazioni sindacali;
   quali siano le linee guida che il Governo sta seguendo per adottare il Nuovo quadro regolatorio in materia di diritti connessi e se la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia opportunamente diviso i piani – pubblicistico e privatistico in capo a Nuovo Imaie – per garantire il funzionamento del sistema mutualistico e le attività solidaristiche a sostegno delle fasce più deboli della categoria;
   per quali motivi il decreto di riordino dell'intera materia del diritto connesso, previsto dall'articolo 7 del decreto-legge n. 64 del 2010 è ancora in attesa di essere adottato con grave pregiudizio dell'assetto organizzativo posto a tutela degli artisti interpreti esecutori.
(2-01543) «Carlucci, Galletti».

Interrogazione a risposta scritta:


   GARAGNANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento all'audizione in Commissione attività produttive della Camera dei deputati, delle associazioni imprenditoriali interessate ai territori toccati dal sisma in Emilia Romagna (Ferrara-Modena-Bologna) nella quale sono state affrontate le drammatiche condizioni dei comuni terremotati, che riguardano indubbiamente in modo gravissimo le realtà comunali di Modena e Ferrara ma anche, per quanto riguarda Bologna e la provincia, Crevalcore, Pieve di Cento, parzialmente San Giovanni in Persiceto, Galliera e San Pietro in Casale, e i danni derivati all'economia ed ai beni artistici e culturali della «bassa bolognese»;
   di fronte ad una emergenza regionale che richiede l'impegno di tutti, a difficoltà evidenti del sistema creditizio nell'erogare finanziamenti (risultano erogazioni revocate a persone che hanno avuto la casa distrutta o gravemente lesionata come è stato riportato nel corso dell'audizione), ad ostacoli burocratici che pure esistono ed a competenze che rischiano di sovrapporsi (è di oggi 11 giugno la notizia di 40 aziende del ferrarese, comune di Sant'Agostino, ancora agibili in cui gli imprenditori hanno manifestato il desiderio di riprendere l'attività e ne sono stati impediti da un ordinanza, come pure i tentativi di abitanti a Reno Centese che hanno chiesto di riaprire negozi e bar non lesionati) è, a parere dell'interrogante, quanto mai opportuno un coinvolgimento di coloro che, a livello istituzionale, hanno precise responsabilità ai vari livelli ed il dovere di aiutare in qualche modo le popolazioni terremotate, cominciando dall'assicurare alle aziende in difficoltà un rilancio immediato della loro attività superando vincoli e obblighi finanziari nei confronti dello Stato che possono essere procrastinati ulteriormente, anche rispetto alle scadenze di settembre stabilite dal Governo –:
   se non ritenga necessario snellire efficacemente e senza indugio, ovviamente non nelle situazioni particolarmente rischiose, le procedure stabilite dall'esecutivo medesimo ed in particolare che il presidente della regione, giustamente nominato commissario ad acta dal Governo, individui periodiche occasioni di incontro e verifica per fare il punto della situazione non solo con i sindaci, ovviamente primi interessati e i consiglieri regionali e rappresentanti delle categorie ma anche con le minoranze e con i parlamentari che per la possibilità di interloquire quotidianamente con il Governo possano essere utili. (4-16540)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BARBI e TEMPESTINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha presentato il 28 settembre 2011 una proposta di direttiva del Consiglio [COM(2011)594] concernente un sistema comune d'imposta sulle transazioni finanziarie da applicare in tutti gli Stati membri dell'Unione europea a partire dal 1° gennaio 2014 e tale proposta è da alcuni mesi al vaglio degli Stati membri e del Consiglio dell'Unione europea;
   il Parlamento europeo ha adottato il 23 maggio 2012, con schiacciante maggioranza, una risoluzione legislativa [P7_TA(2012)0217)] favorevole all'introduzione della direttiva COM(2011)594;
   il Parlamento italiano si è più volte, nel corso degli ultimi anni, occupato del tema della tassazione sulle transazioni finanziarie (TTF) riconoscendo i numerosi vantaggi derivanti dall'introduzione di questa tassa così sintetizzabili: a) pur applicata con un coefficiente minimo, rappresenterebbe un concreto strumento a sostegno dei conti pubblici degli Stati che a causa della crisi hanno subito un forte aumento del loro debito; b) assicurerebbe il giusto contributo del settore finanziario alla copertura dei costi dei piani di salvataggio e dei programmi di stimolo e di rilancio delle economie, nonché una più giusta parità di trattamento con gli altri settori produttivi sempre soggetti a prelievi fiscali; c) garantirebbe la riscossione di un gettito prevedibile permettendo di stabilire politiche di medio-lungo periodo sia per far fronte alle conseguenze sociali della crisi sia per sostenere programmi di aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri e di contrasto dei cambiamenti climatici; d) frenando la speculazione, diminuirebbe l'instabilità dei mercati con ricadute positive anche per le imprese, in termini di minor rischio valutario, minori incertezze sui prezzi delle materie prime e minori rischi degli investimenti esteri;
   si segnala che, nel corso della presente legislatura, sono stati presentati alle Camere numerosi atti di sindacato ispettivo, atti di indirizzo al Governo e alcune proposte di legge, tra cui rilevano: le risoluzioni n. 7-00333 a prima firma dell'onorevole Barbi, n. 7-00328 a prima firma dell'onorevole Zacchera, n. 7-00346 a prima firma dell'onorevole Evangelisti approvate nella seduta del 16 giugno 2010 della III Commissione della Camera; le mozioni n. 1-00817 a prima firma dell'onorevole Volontè e n. 1-00850 a prima firma dell'onorevole Tempestini approvate in Assemblea il 7 febbraio 2012; l'interrogazione n. 5-04529 presentata dall'onorevole Barbi, cui si è data risposta nella seduta del 4 maggio 2011 della III Commissione della Camera; l'AC-3740 a prima firma dell'onorevole Sarubbi presentato il 30 settembre 2010 e l'AC-4389 a prima firma dell'onorevole Bersani presentato il 27 maggio 2011;
   l'attuale Governo, fin dai primi giorni del suo mandato, si è espresso favorevolmente per l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie con applicazione anche solo in ambito europeo; posizione confermata successivamente in occasione dell'Ecofin del 13 marzo 2012 in cui il Presidente del Consiglio ha sostenuto l'argomentazione per cui l'auspicabile applicazione su scala globale non deve essere la ragione per paralizzare l'introduzione dell'imposta su scala europea;
   la consultazione pubblica condotta a fine 2011 dal Ministero dell'economia e delle finanze sul testo della direttiva COM(2011)594 ha confermato che una netta maggioranza (il 63 per cento) dei partecipanti alla consultazione è a favore dell'introduzione di una tassa nelle transazioni finanziarie tassa sulle transazioni finanziarie in Europa;
   i sondaggi condotti nel 2011 dimostrano che la maggioranza dell'opinione pubblica italiana è a favore dell'introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie, e la campagna italiana «ZeroZeroCinque» con le sue oltre 50 organizzazioni della società civile promotrici, ne è l'espressione più evidente;
   tra gli Stati membri dell'Unione europea la strenua opposizione del Governo britannico all'introduzione di tale imposta fa fortemente temere che un'eventuale votazione della direttiva COM(2011)594, al prossimo Ecofin del 22 giugno 2012, possa decretare la bocciatura di tale proposta; in considerazione di tale rischio, è necessario che un gruppo di Stati membri favorevoli alla tassa sulle transazioni finanziarie ne promuova l'introduzione attraverso la procedura della cooperazione rafforzata così come previsto dal Trattato di Lisbona;
   alla luce della lettera che 9 Stati membri, tra cui anche l'Italia, hanno inviato alla Presidenza danese il 7 febbraio 2012 per richiedere l'accelerazione del processo di introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie in Europa, si ritiene che vi siano le condizioni per perseguire con successo la procedura di cooperazione rafforzata, opzione che la Germania e la Francia sembrano già orientate a perseguire, secondo le recenti dichiarazioni pubbliche dei rispettivi Governi;
   la procedura di cooperazione rafforzata in tema di tassa sulle transazioni finanziarie e la destinazione delle risorse derivanti dal gettito – la cui metà sarebbe destinata a realizzargli obiettivi interni degli Stati membri che la applicano e l'altra metà per gli obiettivi internazionali di lotta alla povertà e contrasto ai cambiamenti climatici – darebbe un segnale politico importante anche agli altri Governi, soprattutto nelle sedi internazionali in cui si discute da anni della necessità di una sua introduzione –:
   non ritenga di doversi attivare affinché il tema della tassa sulle transazioni finanziarie sia affrontato e inserito a pieno titolo nell'agenda del prossimo vertice a Los Cabos in Messico dei leader, del G20, incoraggiando l'estensione di tale tassa su scala globale, e se non ritenga contemporaneamente di dover favorire in tempi brevi una sua introduzione, anche solo insieme ad altri 8 Stati membri dell'Unione europea, mediante il ricorso alla procedura di cooperazione rafforzata prevista dal Trattato di Lisbona, al fine di assicurare la destinazione del gettito per politiche sociali interne agli Stati che la applicano (50 per cento), e per programmi di lotta alla povertà nel mondo (25 per cento) e di contrasto ai cambiamenti climatici (25 per cento). (5-07057)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   la scorsa stagione in considerazione anche dell'aumento della produzione dei rifiuti dovuta all'incremento della popolazione turistica presente nel territorio, sono state innumerevoli le situazioni di black-out del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani in larga parte delle città calabresi, ed in particolare nelle località turistiche costiere che hanno portato ad una totale congestione dell'intero ciclo di gestione dei rifiuti dalla raccolta allo smaltimento nell'intero territorio regionale;
   l'insieme del sistema di smaltimento dei rifiuti calabrese composto da sei impianti oltre un termovalorizzatore, si è rivelato ampiamente deficitario nel trattamento della totalità dei rifiuti solidi urbani prodotti annualmente nella regione e che ammontano a circa 800.000 tonnellate;
   dopo circa un anno e innumerevoli sollecitazioni a porre rimedio ad una situazione divenuta insostenibile, nessuna azione concreta è stata posta in essere per rafforzare il sistema di smaltimento dei rifiuti in Calabria e in prospettiva dell'imminente stagione turistica si ripropone lo spettro delle gravi inefficienze riscontrate durante la passata stagione estiva;
   sono ormai più di quattordici anni che la regione Calabria vive una fase emergenziale continua e mai risolta della gestione del ciclo di raccolta e smaltimento rifiuti, malgrado le ingenti risorse umane ed economiche impegnate nel tempo nel tentativo di giungere ad una reale risoluzione di questa emergenza ormai annosa del territorio calabrese;
   una mancata efficace programmazione degli interventi da porre in essere, la disattenzione, ad avviso degli interpellanti colpevole, da parte delle istituzioni locali, l'utilizzo di risorse umane poco professionali hanno portato oggi la regione Calabria sull'orlo del collasso nella gestione del ciclo dei rifiuti, ponendola in condizioni di criticità evidenti anche sotto il profilo dell'immagine del territorio;
   è noto che la TEC spa gestore del sistema di smaltimento rifiuti in Calabria, composto da cinque dei sei impianti regionali di trattamento dei rifiuti solidi urbani più un termovalorizzatore, ha rescisso nel dicembre del 2011 il contratto concessorio;
   continuare ad affidare a gestioni commissariali che si succedono senza soluzione di continuità, la risoluzione della problematica dei rifiuti nella regione Calabria, costituisce una ostinazione, ad avviso degli interpellanti per sfuggire a precise responsabilità politiche e gestionali. Tutto questo rappresenta un «alibi» per non affrontare in termini organici una «anomalia» che in una congiuntura economica grave come quella che sta attraversando il nostro Paese rischia di deprimere ancora di più lo sviluppo economico di un territorio già fortemente provato;
   è necessario mettere in atto azioni rapide ed efficaci che assicurino una serie di controlli ed un attento monitoraggio dell'intero processo di gestione integrata del ciclo dei rifiuti, nonché la redazione di un piano strutturale mirato a superare le numerose inefficienze del sistema di gestione dei rifiuti nel territorio calabrese e a chiamare tutti gli attori interessati all'assunzione di responsabilità –:
   con quali strumenti si intenda operare al fine di avviare a soluzione vera e definitiva i problemi sopra esposti;
   se non si ritenga sia giunto il momento di porre fine alla fase di gestione commissariale dell'emergenza rifiuti in Calabria, che ha mostrato limiti gravissimi e che non ha raggiunto nessuno dei risultati prefissi.
(2-01542) «Tassone, Galletti».

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   presso alcuni enti delle Forze armate sono in funzione delle strutture adibite a soggiorni marini e montani;
   sulle coste della regione Lazio insistono numerosi stabilimenti balneari ad uso esclusivo del personale militare e dei loro familiari che vi accedono previo pagamento di un biglietto di ingresso giornaliero, o previo abbonamento per il turno di soggiorno autorizzato, che comprendono l'uso delle strutture e delle attrezzature (ombrellone, sedia a sdraio e lettino);
   all'interno del distaccamento aeroportuale di Furbara (Roma), sede del 17o stormo, è situata un'area riservata a soggiorno marino. Il complesso dispone di confortevoli bungalow di 50 metri quadrati, oltre 100 piazzole per campeggio, spiaggia, due bar di cui uno in spiaggia, una pizzeria, un mini market, un'area attrezzata per bambini. La spiaggia è attrezzata con cabine, ombrelloni, lettini e sdraio. Gli impianti sportivi sono costituiti da due campi di tennis, una piscina, un campo da beach-volley, un campo di basket, un campo di calcetto ed un tavolo da ping-pong. Durante il soggiorno, a cura di uno staff animazione, sono organizzati giochi, tornei ed altre attività sportivo-ricreative, nonché serate musicali e cene conviviali;
   la struttura risulta essere gestita da molti anni dall'associazione «L'Isola Azzurra Club»;
   risulta agli interroganti che al personale in servizio e in quiescenza che presenti al comando dell'ente militare la domanda per il solo permesso di accesso giornaliero allo stabilimento balneare (spiaggia) sia richiesto il pagamento anticipato di 30 biglietti di ingresso –:
   quando sia stata bandita la gara per l'affidamento per il corrente anno delle strutture indicate in premessa, quali siano state le associazioni o le ditte invitate a parteciparvi e quale sia stato l'esito;
   se la richiesta di pagamento anticipato rivolta agli utenti dello stabilimento balneare sia stata espressamente prevista nelle condizioni di affidamento della gestione del servizio e delle strutture, quali ne siano le ragioni e quale sia il costo unitario del biglietto di ingresso da porre a carico dei frequentatori;
   se alla gestione delle strutture in affidamento alla associazione in premessa partecipi anche il personale militare in servizio permanente effettivo, con quale mansioni e in quali orari;
   se esista una regolamentazione unica e in caso contrario quali iniziative intenda intraprendere per uniformare su tutto il territorio nazionale le modalità di gestione delle strutture di cui in premessa.
(4-16544)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   «Eur spa» è una società per azioni detenuta per il 90 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e per il 10 per cento dal comune di Roma capitale che si occupa della gestione e della valorizzazione di alcuni beni patrimoniali di cui è titolare dislocati nel quartiere Eur di Roma;
   secondo lo statuto della società, il consiglio di amministrazione è composto da un minimo di tre ad un massimo di sette membri nominati dall'assemblea sulla base di liste presentate dagli azionisti. Alla lista che ottiene la maggioranza dei voti – quindi, alla lista del Ministero dell'economia e delle finanze – spettano i quattro quinti degli amministratori da eleggere, i restanti membri sono divisi tra le altre liste;
   in base alle vigenti normative, in funzione del patrimonio dell'azienda e dell'ampiezza del suo bilancio, la numerosità del consiglio di amministrazione è fissata in cinque unità;
   l'assemblea ordinaria degli azionisti di Eur spa, riunitasi il 7 giugno 2012, ha confermato alla carica di presidente Pierluigi Borghini, a quella di amministratore della società Riccardo Mancini, a quelle di consiglieri di amministrazione Roberto Sergio e Stefano di Stefano, mentre è stato nominato un nuovo consigliere di amministrazione, nella persona di Fabrizio Criscuolo, che subentra a Luigi Lausi;
   si ricorda che l'amministratore delegato Riccardo Mancini nel 1988 ha riportato una condanna ad un anno e nove mesi per violazione della legge sulle armi;
   a quanto si apprende da fonti di stampa, sembrerebbe che lo stesso Riccardo Mancini sia coinvolto negli atti dell'inchiesta sulla corruzione nella Selex: si tratterebbe di «una fornitura di 40 bus Atac che nel 2009 il Campidoglio avrebbe ordinato alla Breda-Menarini, del gruppo Finmeccanica. Una partita del valore di 20 milioni di euro che avrebbe dovuto fruttare 800 mila euro a Lorenzo Borgogni e a Lorenzo Cola, il primo ex dirigente, l'altro ex consulente di Finmeccanica. Intermediario della mazzetta l'amministratore delegato di Eur spa, Riccardo Mancini. Nel racconto di Iannilli l'Atac all'inizio rifiuta di pagare la tangente. Mancini viene tirato in ballo per convincere l'azienda e, stando al commercialista, chiede come contropartita la poltrona di amministratore delegato di Eur spa. L'accordo va in porto: la nomina arriva nel 2009, mentre la tangente, decurtata a 600 mila euro, viene pagata in parte in contanti e in parte con una fattura falsa» (Il Corriere della sera, 29 aprile 2012);
   in merito ai profili gestionali, si sottolinea che, nonostante l'ingente esposizione debitoria, Eur spa ha costituito recentemente tre nuove società controllate, la Eur Congressi Roma srl, la Eur Tel srl e la Eur Power srl, per l'erogazione di servizi al comune di Roma capitale le cui finalità ad avviso degli interpellanti non sono del tutto chiare e le cui strutture hanno portato ad un aumento esponenziale del numero di incarichi e personale, con ciò contravvenendo palesemente ai reiterati indirizzi del Governo, del Parlamento e della normativa volti a ridurre il numero di società ed enti nel perimetro della pubblica amministrazione;
   poiché il Governo ha sempre sostenuto che le nomine a incarichi pubblici debbono essere ispirate ai requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, prescritti dallo stesso statuto, all'articolo 14, stupisce che il Ministero dell'economia e delle finanze, in qualità di azionista di maggioranza, abbia proceduto a tali nomine sia in merito all'adeguatezza di alcuni componenti del consiglio di amministrazione rispetto ai requisiti sopra citati sia con riferimento alla valutazione dei risultati gestionali –:
   quali criteri e quali valutazioni siano alla base delle scelte che hanno determinato le nomine nel consiglio di amministrazione di Eur spa da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e, in particolare, quella di Riccardo Mancini.
(2-01544) «Causi, Ventura, Argentin, Bachelet, Coscia, Gasbarra, Gentiloni Silveri, Giachetti, Madia, Meta, Morassut, Pompili, Recchia, Tocci».

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCHIRRU e GIOVANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'imposta municipale propria (IMU) è stata istituita in via sperimentale in tutti i comuni del territorio nazionale a decorrere dal primo gennaio 2012, sostituisce l'imposta comunale sugli immobili (ICI), ed ha per presupposto il possesso di immobili (fabbricati, aree edificabili e terreni agricoli), ivi comprese l'abitazione principale e le relative pertinenze. I comuni possono approvare o modificare la deliberazione relativa alle aliquote e alla detrazione di imposta entro il 30 settembre 2012. Conseguentemente i calcoli relativi al pagamento in acconto 2012 devono essere effettuati utilizzando le aliquote base e la detrazione previste dal decreto-legge n. 201 del 2011. Entro il 17 dicembre 2012 il contribuente verifica la propria situazione imponibile in relazione all'intero anno 2012, calcola l'imposta applicando le aliquote e le detrazioni deliberate dal comune ed effettua il versamento a saldo con conguaglio sulla prima rata;
   il citato decreto-legge n 201 del 2011 stabilisce in particolare che il pagamento dell'IMU sulla prima casa sia subordinato alla residenza effettiva e non tiene in considerazione alcune categorie di lavoratori soggette a continui trasferimenti, come gli appartenenti alle forze dell'ordine e al comparto sicurezza, che sono obbligati, come da regolamento e pena una sanzione disciplinare con eventuale decurtazione dello stipendio, a trasferire la residenza dal loro luogo di origine al luogo dove prestano servizio;
   con il decreto-legge n. 201 del 2011 tanti di questi si ritrovano ora vittime di un paradosso: oltre a pagare l'affitto nel comune ove prestano servizio (e devono risiedere), si vedono costretti a pagare la tassa imposta municipale propria sulla casa nel paese d'origine, acquistata spesso dopo anni di sacrifici e mutui, con una tassazione da «seconda casa»;
   già nel 2008 con la delibera s23/2008 del COCER – Consiglio centrale di rappresentanza comparto difesa, sulle detrazioni/esenzioni ICI prima casa, per il personale appartenente alle forze armate e di polizia, si era sollevata la problematica relativa alle discriminazioni economiche cui il personale militare è sottoposto proprio in relazione alla sua specificità abitativa e di residenza: «allo stato attuale (2008) solo alcuni Comuni, attraverso i propri regolamenti tributari, considerano abitazione di persona residente anche l'unità immobiliare posseduta dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze Armate e alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e civile, che per motivi connessi con l'incarico svolto, sono trasferiti in sede diversa da quella dove sorge l'abitazione di proprietà e sono qui costretti a dimorare con la propria famiglia fissando la propria residenza presso caserme o altra struttura abitativa temporanea; e sempre a condizione che l'immobile stesso sia l'unica abitazione di proprietà e non risulti locata;
   che dall'articolo 66 della L. 342/2000, inerente le modifiche al regime di agevolazione fiscale per l'accesso alla prima casa a favore del personale appartenente alle Forze Armate e alle Forze di Polizia, si evince che, per la determinazione di aliquote d'imposta e detrazioni fiscali, non sono richieste le condizioni di residenza nel Comune dove sorge l'unità abitativa, prescindendo dal requisito della dimora abituale»;
   e si era già chiesto al capo di stato maggiore della difesa – con riscontro positivo da parte di esso e successivo inoltro all'ufficio legislativo del Ministero della difesa «di voler porre in essere tutte le azioni necessarie affinché il personale in servizio permanente del Comparto Difesa e sicurezza, che per motivi di servizio risieda o sia costretto ad avere dimora abituale in altra sede rispetto a quella ove sia collocato l'unico immobile di proprietà, sia esentato dal pagamento dell'ICI su quest'ultimo»;
   ci sono oggi casi paradossali, come evidenziati dalla stampa e dal Movimento associazioni operatori per la sicurezza & D.D.D., di alcuni operatori delle forze dell'ordine che per servizio hanno la residenza al nord e la casa di proprietà a l'Aquila, che devono pagare l'Imu come seconda casa, il mutuo e le spese di ristrutturazione dello stabile semidistrutto dal terremoto di tre anni orsono;
   oppure casi limite di lavoratori di famiglie monoreddito che, vivendo con uno stipendio base di euro 1.200, non riescono a far fronte al pagamento della tassa, già gravati dalle spese familiari, dal mantenimento dei figli, dall'affitto nel luogo di servizio e, spesso, dal mutuo ancora in corso per la prima casa;
   alcuni comuni – come disposto dalla circolare del Ministero dell'economia e delle finanze n. 3/DF del 18 maggio ultimo scorso – possono approvare una delibera che riduce l'aliquota per l'abitazione principale e proprie pertinenze «al minimo consentito dalla legge», elevando altresì l'importo della detrazione «fino a concorrenza dell'imposta dovuta» –:
   se il Governo sia a conoscenza della problematica esposta in premessa;
   quali iniziative normative urgenti intenda avviare per avanzare una rettifica del provvedimento relativo all'Imu per quelle tipologie di lavoratori che, per motivi di lavoro e di servizio, sono obbligati ad avere la residenza in luogo diverso da quello di origine e ove si trova di fatto la prima ed unica casa. (4-16541)


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il recente piano di «salvataggio dell'Eurogruppo» elaborato dalla Commissione europea, in relazione al settore bancario spagnolo, attraverso un finanziamento pari a 100 miliardi di euro, evidenzia come l'Italia sia l'unico Paese, fra quelli maggiormente in difficoltà e ad elevato debito pubblico, che non ha al momento, dovuto chiedere un intervento di sostegno, a differenza della Spagna;
   secondo quanto pubblicato da un articolo del quotidiano Il Corriere della Sera il 10 giugno 2012, se i tassi d'interesse sul prestito del Paese iberico, si stabilizzeranno dopo la concessione del prestito effettuato a favore delle banche spagnole, anche i tassi d'interesse calcolati sul prestito, pagati dal nostro Paese, potranno scendere;
   il medesimo articolo, descrive inoltre che un accordo europeo imminente sul sistema bancario potrebbe rassicurare la situazione finanziaria a livello europeo e conseguentemente i mercati; in caso contrario, l'incertezza rimarrebbe molto elevata e l'attenzione a livello europeo si rivolgerebbe esclusivamente nei confronti dell'Italia;
   l'agenzia di rating americana Moody's, sebbene a giudizio dell'interrogante abbia in più occasioni affermato giudizi negativi parziali e improvvidi sull'affidabilità economica e finanziaria, del nostro Paese, ha sottolineato i rischi di contagio in arrivo dalla Spagna, rappresentati dalla possibilità che i problemi insorti a livello finanziario del Paese iberico possano in concreto, compromettere la stabilità dell'eurozona incrinandone la fiducia dei mercati finanziari;
   l'analisi della Citigroup Inc, che rappresenta una delle più grandi banche d'affari a livello mondiale, ha pubblicato un rapporto sferzante, secondo cui, con gli attuali tassi d'interesse, la posizione dell'Italia, con particolare riguardo ai bilanci, è probabilmente indirizzata su un percorso a lungo termine insostenibile;
   il medesimo rapporto della banca d'affari statunitense, così come rileva il Corriere della Sera, evidenzia che a causa della crescita cronicamente assente, il rapporto tra debito e prodotto interno lordo dell'Italia, tende a salire per un periodo prolungato;
   i rilevamenti trimestrali di quest'anno pubblicati dall'ISTAT sul prodotto interno lordo, che è diminuito dello 0,8 per cento rispetto al trimestre precedente e dell'1,4 per cento con riferimento al 2011, confermano i timori e le preoccupazioni sullo stato dell'economia nazionale, la cui fase di recessione complica i tentativi di uscire dalla crisi in corso;
   lo stesso Corriere della Sera, in considerazione di quanto riportato, sostiene che per fermare l'eventuale contagio finanziario proveniente dalla Spagna ed evitare ulteriore instabilità nel nostro Paese si ipotizza una manovra economica ulteriore da parte del Governo, al fine di rassicurare i mercati finanziari e accelerare le riforme strutturali del nostro Paese –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intenda confermare quanto esposto in premessa, secondo cui in base alle valutazioni riportate all'interno del rapporto economico della banca americana Citigroup, sia possibile ipotizzare un ulteriore intervento di correzione dei conti pubblici, che si rende necessario a causa dell'evoluzione tendenziale della finanza pubblica dovuta sia al ribasso delle prospettive di crescita dell'economia italiana sia alle recenti tensioni sui mercati finanziari, che rendono difficile il raggiungimento del pareggio di bilancio previsto per il 2013. (4-16543)

INTERNO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il comma 562 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), recante la disciplina in materia di assunzioni e contenimento dei costi del personale per gli enti locali non soggetti al patto di stabilità, ha stabilito che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, non debba superare il corrispondente ammontare dell'anno 2004;
   questa disposizione è stata da poco modificata dall'entrata in vigore della legge n. 44 del 2012, di conversione del decreto-legge 2 marzo 2012 n. 16, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento», che ha inasprito ulteriormente tali limiti di spesa, per gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno, stabilendo che le spese di personale non devono superare il corrispondente ammontare dell'anno 2008;
   tale modifica crea notevoli difficoltà per i piccoli comuni nel caso di assunzione dei segretari comunali, obbligatoria per legge, tenendo conto dell'ulteriore limitazione dei 3000 abitanti per le assunzioni dei nuovi segretari comunali di prima nomina, gli attuali COA III, come previsto dall'articolo 31 del Contratto collettivo nazionale di lavoro siglato il 16 maggio 2001; vi è da precisare che la materia in precedenza era disciplinata dall'articolo 1 della legge 8 giugno 1962 n. 604, che prevedeva un criterio ordinario in base alla popolazione residente (comma 1). L'articolo 35 del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997 n. 465 ha abrogato l'articolo 1 della citata legge n. 604 del 1962 e la classificazione delle sedi di segreteria è, attualmente, esclusivamente su base demografica, in base alla citata disposizione del Contratto collettivo nazionale di lavoro del 2001. Per cui, abrogata la normativa generale, rimane solo quella del Contratto collettivo nazionale di lavoro, che distingue la categoria dei segretari comunali individuandoli in determinate fasce di appartenenza secondo questo schema:
    Classe del Comune 4a, (abitanti fino a 3.000), qualifica del segretario (segretario capo);
    Classe del Comune 3a, (abitanti da 3.001 a 10.000) qualifica del segretario (segretario capo);
    Classe del Comune 2a, (abitanti da 10.001 a 65.000) qualifica del segretario (segretario generale di cl. 2a);
    Classe del Comune 1a/B, (abitanti dal 65.001 a 250.000 (1)) qualifica del segretario (segretario generale di cl. 1aB);
    Classe del Comune 1a/A, (oltre 250.000) qualifica del segretario (segretario generale di cl. 1aA);
   in alcune regioni del nostro Paese, come in Piemonte, Lombardia e Liguria, costituite per la maggior parte da comuni di piccole, se non piccolissime dimensioni, che non sono dunque tenuti al rispetto delle regole relative al patto di stabilità (nel caso specifico del Piemonte i comuni inadempienti sono stati sollecitati e diffidati dalla prefettura di Torino a procedere a nomina di segretari titolari di sede di segreteria comunale) si è di fatti creata una situazione insostenibile;
   per risolvere tale questione nei comuni piemontesi di Pomaretto, Inverso Pinasca e Porte si era pensato di assumere un segretario di prima nomina mediante una convenzione di segreteria comunale tra i tre comuni, riducendo di fatto i costi, ma con le nuove regole entrate in vigore, l'ipotizzata divisione di spesa per la segreteria in 1/3 per ciascun comune è divenuta impossibile in quanto, se si procede alla convenzione di IV classe, le spese per il personale, per quanto contenute rispetto ad una di III, supererebbero il limite imposto dalla normativa su citata, che vede il calcolo della spesa relativa al personale da effettuarsi non più al 2004 ma al 2008 e se invece si volesse rispettare il limite previsto, sarebbe necessario far entrare in convenzione un quarto comune e tuttavia ciò porterebbe a superare il tetto massimo dei 3000 abitanti;
   dal 2004 in poi in alcuni casi non si è proceduto a nuove assunzioni ma, al contrario, ci sono stati casi di cessazione di rapporti di lavoro e quindi diminuzione di spesa per personale, la spesa nel 2008 era stata riconsiderata in misura inferiore rispetto a quella relativa al 2004, per cui detti enti si trovano oggi nella condizione di non poter procedere alla nomina per non sforare il tetto relativo al nuovo anno di riferimento il 2008, ma così facendo, contravvengono quanto previsto dal Testo unico enti locali, che espressamente prevede l'obbligo, per tutti gli enti locali, di avvalersi di un segretario titolare di sede di segreteria comunale, anche in convenzione con altri enti, escludendo lo strumento dello scavalco;
   nei piccoli comuni, dove le spese di personale sono al minimo non ci sono funzionari e quindi non si pagano indennità di responsabilità, per cui sarebbe auspicabile ottenere un sostegno e un supporto ulteriore, che può ben essere garantito da un segretario comunale che opera continuativamente all'interno dell'ente, pena la dequalificazione dell'attività stessa –:
   se, alla luce dei fatti sopra menzionati il Ministro interrogato non ritenga opportuno affrontare tale questione, intervenendo con iniziative, anche normative, che possano da un lato evitare che i piccoli comuni incorrano in violazioni di legge, come la mancata nomina del segretario comunale, e dall'altro offrire ai sindaci la possibilità di nominare il segretario comunale in deroga ai limiti imposti ai vincoli di spesa per il personale riferito all'anno 2008 oppure innalzando a 5000 abitanti il limite per le nuove assunzioni degli stessi.
(2-01541) «Rossomando, Capano».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VICO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sin dagli anni novanta, con la liberalizzazione delle telecomunicazioni e grazie alle incentivazioni regionali ed agli sgravi fiscali, la Puglia è stata la meta di numerose iniziative imprenditoriali nel campo dell'assistenza ai clienti che ha vissuto in questi anni una intensa crescita;
   sarebbero oltre 30 le società che gestiscono call center in Puglia, occupando oltre 8 mila operatori telefonici, degli oltre 30 mila su tutto il territorio nazionale;
   a causa del basso salario, delle scarse possibilità di carriera, del bassissimo turn over, che ha provocato un innalzamento dell'età media dei lavoratori dei call center, un impiego nato come occupazione di passaggio verso una carriera migliore, in tempi di crisi, si è spesso trasformato nel lavoro di una vita;
   nel comparto outbound, in cui sono gli operatori a contattare gli utenti, le condizioni dei lavoratori sono anche peggiori: i contratti più diffusi sono di 3 mesi e non superano i 300 euro mensili: in Puglia, secondo quanto denunciato dalle organizzazioni sindacali, sarebbero circa 3 mila i lavoratori di questo sistema;
   con la fine degli sgravi fiscali e delle agevolazioni è iniziato un lento trasferimento delle sedi dei call center verso località estere, economicamente più convenienti;
   ad oggi sarebbero circa 12.000 i posti di lavoro persi e circa 3.000 le richieste di ammortizzatori sociali, numeri che il prossimo anno potrebbero aumentare ulteriormente se si seguisse l'attuale trend di delocalizzazioni;
   le destinazioni sono soprattutto l'Albania, la Romania, la Croazia, la Tunisia e l'Argentina, dove gli aspiranti operatori vengono scelti in base alla conoscenza dell'italiano;
   tali Paesi sono contraddistinti da tutele sindacali minime o inesistenti e da bassissimi salari, lo stipendio medio per un operatore in Albania sarebbe di soli 80 euro al mese;
   il trasferimento di tali attività verso l'estero ha comportato una grave crisi occupazionale, specie in città come Taranto, già fortemente segante dalla crisi economica;
   tale pratica di delocalizzazione rischia soprattutto di indebolire complessivamente il sistema Paese a causa del trasferimento di quantità indefinite di dati personali sensibili di cittadini (codice fiscale, dati bancari, numeri di carte di credito) in Paesi che non garantiscono un'adeguata tutela dei dati sensibili e che sono tra i primi al mondo per tasso di pirateria informatica;
   in riferimento a tale rischio, la prefettura di Catania ha richiesto un parere al Ministero dell'interno, dal quale emergerebbe che potrebbero essere effettuate delle verifiche sui casi di cui la prefettura venisse a conoscenza;
   considerata l'importanza dei dati e delle procedure di cui si occupano i call center, vengono periodicamente sottoposti ad ispezione da parte enti istituzionali come AGICOM e Guardia di finanza in merito alle varie attività contrattuali –:
   se, in ottemperanza al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, gli ordinamenti di Albania, Romania, Croazia, Tunisia, l'Argentina, in cui aziende italiane hanno delocalizzato attività di call center assicurino livelli di tutela dei dati delle persone adeguati ovvero se tali trasferimenti siano stati autorizzati dal Garante per la protezione dei dati personali;
   se i Paesi su menzionati adottino presso i call center che gestiscono dati personali e sensibili procedure di strong autentication, come avviene in quelli italiani;
   quali iniziative intenda assumere, ai fini della tutela dei dati personali e sensibili dei cittadini italiani e per evitare che tali dati vengano trasferiti all'estero, specie in Paesi non appartenenti all'Unione europea;
   quali provvedimenti intenda assumere al fine di instaurare un sistema di controlli volti a verificare la piena attuazione del Codice in materia di protezione dei dati personali decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 in merito al trasferimento di ingenti dati personali e sensibili di cittadini italiani all'estero;
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative anche normative affinché le aziende di cui detenga partecipazioni azionarie, ovvero controllate da esse, le aziende che gestiscano reti pubbliche gli operatori assegnatari di licenze nazionali, non possono ricorrere a società outsourcing, con localizzazione all'estero, per la gestione dei customer care o dei servizi in outbound;
   se non ritenga che la pratica di delocalizzazione, specie nei Paesi non appartenenti all'Unione europea, dei call center possa favorire un'elusione delle norme contrattuali, penalizzando gli utenti/consumatori italiani che si troverebbero privi delle necessarie tutele. (5-07055)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DAL LAGO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   troppo spesso i treni fermi in stazione sono presi d'assalto da più o meno piccoli delinquenti che borseggiano i passeggeri o che addirittura sottraggono i bagagli posizionati già all'interno del convoglio, rendendo pericoloso allontanarsi anche per pochi minuti dal proprio posto;
   con altrettanta frequenza capita di imbattersi, a bordo dei treni in movimento, in questuanti, presumibilmente senza regolare titolo di viaggio, che chiedono l'elemosina;
   spesso questi gravi e spiacevoli episodi si verificano a causa dell'assenza di controlli in stazione e a bordo dei treni da parte del personale della compagnia ferroviaria e di agenti di polizia;
   la polizia ferroviaria è una specialità della Polizia di Stato, preposta alla prevenzione ed alla repressione dei reati, nonché alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica in ambito ferroviario. In particolare, si legge sul sito del Ministero dell'interno, è presente sui treni in corsa, assicura la vigilanza nelle stazioni ed il pattugliamento delle linee ferroviarie, persegue i reati che pregiudicano l'esercizio ferroviario, la sicurezza e la regolarità dei trasporti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, al fine di migliorare le condizioni di viaggio e di sicurezza dei cittadini che scelgono di viaggiare in treno, intensificare i controlli da parte della polizia ferroviaria per i treni fermi in stazione, anche attraverso azioni coordinate con il personale delle compagnie ferroviarie, assicurandosi che salgano a bordo dei treni (sia in movimento, sia in sosta) esclusivamente i passeggeri muniti di regolare titolo di viaggio. (4-16536)


   GIRLANDA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, ha sottolineato il rischio di infiltrazioni mafiose nel processo di ricostruzione nelle zone terremotate dell'Emilia Romagna, così come accaduto in analoghe occasioni in Umbria e in Abruzzo;
   la procura nazionale antimafia, d'accordo con la direzione distrettuale di Bologna, metterà a disposizione risorse uomini ed informazioni per vigilare tempestivamente sul fenomeno e impedirne l'insorgere;
   è assolutamente necessario favorire l'immediata ricostruzione e ripresa della normale attività del tessuto economico e sociale di una delle zone più ricche e operose del nostro Paese, soprattutto nell'attuale momento di crisi, evitando sprechi di risorse pubbliche e l'intrusione di organizzazioni criminali in un territorio già duramente colpito –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano attuare, per quanto di competenza, per supportare le attività della procura nazionale antimafia. (4-16539)


   GALLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 giugno 2012 alcuni quotidiani, tra cui la Stampa, edizione di Torino, pagina 57, riportavano la notizia di come il procuratore aggiunto della procura di Torino, Paolo Borgna, abbia richiesto l'archiviazione dell'inchiesta aperta nei confronti di una donna islamica, denunciata a Chivasso da un privato cittadino, in quanto la stessa frequentava un luogo pubblico coperta dal vestiario denominato «burka» che ne nascondeva completamente la fisionomia, tranne che per una fessura per gli occhi;
   negli articoli, reperibili anche in internet, si fa riferimento a motivazioni quali: «L'uso del burka in luogo pubblico non viola la legge Reale, a patto che la persona che l'indossa sia pronta a scoprire il volto in caso di controllo da parte delle forze di polizia», rilevando che «la donna, di origine egiziana, indossa il burka in ossequio ai principi della religione islamica e non per rendere difficoltoso il riconoscimento della sua persona» e quindi «il divieto di circolare a capo scoperto deve coniugarsi con il diritto di manifestare la propria fede e appartenenza religiosa», a questo proposito citando una circolare del Ministero dell'interno del 1995;
   è necessario ricordare la normativa di pubblica sicurezza: in particolare l'articolo 85 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 secondo il quale «È vietato comparire mascherato in luogo pubblico», l'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, che proibisce «l'uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo», nonché la circolare n. 4/95 del 14 marzo 1995, con la quale il Ministero dell'interno ha autorizzato l'uso del copricapo nelle fotografie destinate alle carte di identità di cittadini professanti culti religiosi che impongano l'uso di tali copricapo, e l'altra circolare del 24 luglio 2000 del Ministero dell'interno che ha precisato che il turbante, il chador e il velo, imposti da motivi religiosi, «sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono, nel loro insieme, ad identificare chi li indossa, naturalmente purché mantenga il volto scoperto» e che, pertanto, tali accessori sono ammesse, anche in ossequio al principio costituzionale di libertà religiosa, purché i tratti del viso siano ben visibili;
   va inoltre ricordata la definizione di ordine pubblico resa in modo magistrale dalla Corte costituzionale, con sentenza 16 marzo 1962 n. 19: l'ordine pubblico è un valore costituzionalmente protetto, quale patrimonio dell'intera collettività; sono pertanto costituzionalmente legittime le norme che effettivamente, ed in modo proporzionato, siano rivolte a prevenire e a reprimere i turbamenti all'ordine pubblico (intesi come insorgere di uno stato concreto ed effettivo di minaccia all'ordine legale mediante mezzi illegali idonei a scuoterlo) eventualmente anche mediante la limitazione di altri diritti costituzionalmente garantiti;
   è altresì da ricordare come la stessa Costituzione riconosca come la libertà religiosa sia tutelata attraverso il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano; all'interrogante non risultano statuti di organizzazioni di associazioni di religione islamica che univocamente impongano l'uso di tale abbigliamento atto a nascondere completamente il volto delle sole donne, e pertanto: a) se non si tratta di obbligo religioso (come tra l'altro sostengono autorevoli imam quali il Grande Imam dell'università egiziana Al Azhar del Cairo, Muhammad Tantawi, una delle più autorevoli figure religiose dell'intero mondo musulmano, che ha di recente chiesto a una ragazza del secondo anno di liceo di togliersi il niqab perché «è un'usanza tribale che non ha niente a che vedere con l'islam») verrebbe meno il «giustificato motivo» di non osservanza delle norme di pubblica sicurezza; b) se tale obbligo fosse effettivamente previsto in modo univoco dai precetti religiosi islamici, esso sarebbe, ad avviso dell'interrogante, in palese contrasto con le norme di rango decisamente superiore alle circolari ministeriali relative alle caratteristiche delle foto da esibire sui documenti di identificazione, fonti normative quali la Costituzione italiana, laddove garantisce pari diritti a uomini e donne, la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e le stesse leggi nazionali sull'ordine pubblico;
   non va da ultimo dimenticato come l'interpretazione più disumana e fondamentalista della cultura islamica abbia prodotto delle vittime innocenti, tra le ragazze giudicate colpevoli di vestirsi all'occidentale e di rifiutare un abbigliamento simbolo di inferiorità della donna rispetto all'uomo/padrone, uccise dai loro stessi familiari –:
   come si concilino le disposizioni delle circolari ministeriali relative alle caratteristiche delle fotografie da apporre sui documenti di identificazione con le previsioni costituzionali e legislative vigenti;
   se non si intenda prevedere, nell'ambito delle intese tra lo Stato italiano e le rappresentanze del culto islamico da definire ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, una specifica regolamentazione di tale aspetto;
   se si intendano assumere iniziative anche normative per chiarire la portata e l'ambito di applicazione dell'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, con particolare riferimento a casi come quello descritto in premessa;
   se non si ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per garantire anche alle donne di religione islamica, cittadine italiane o meno, l'effettiva dignità e libertà che si riconosce ad ogni essere umano e la pari opportunità di scelta e di comportamento, anche tenendo conto delle altre situazioni che da tale medioevale concezione della donna derivano, quale ad esempio il contratto di matrimonio stipulato dai genitori anche di ragazze minorenni, all'insaputa e senza un ragionato e libero consenso delle stesse.
(4-16545)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alle elezioni amministrative dell'aprile 2012 nel comune di Castiglion Fiorentino, in provincia di Arezzo, è stato eletto alla carica di sindaco il signor Bittoni Luigi, presidente dell'ente Serristori, azienda pubblica comunale di servizi alla persona, con sede nello stesso comune;
   il signor Bittoni ha accettato la candidatura a sindaco del comune di Castiglion Fiorentino pur ricoprendo ininterrottamente dal 2005 ad oggi presso il suddetto ente l'incarico di presidente, con pienezza di funzioni dirigenziali ed amministrative;
   il comune esercita la vigilanza ed il controllo sull'ente Serristori, adotta atti di indirizzo per il perseguimento degli scopi e degli obiettivi di programmazione nelle specifiche aree di intervento, anche in materia di organizzazione e contabilità;
   il ruolo e le funzioni del presidente Bittoni ed i compiti istituzionali dell'ente risultano dagli atti pubblici comunali e dell'azienda stessa citata;
   il presidente non si è dimesso prima di accettare la candidatura a sindaco, né è cessato dalle proprie funzioni, né ha rinunciato all'incarico, come sarebbe stabilito dalla normativa di legge vigente, trattandosi di amministratore di azienda pubblica, con funzioni di rappresentanza legale e rilevanza gestionale e amministrativa;
   risulta evidente la posizione di incandidabilità/ineleggibilità del signor Bittoni alle elezioni comunali del 6 e 7 maggio 2012 per il comune di Castiglion Fiorentino;
   la natura dell'azienda e la continuità dello svolgimento delle funzioni di presidente sembrano infatti confermare l'ipotesi di ineleggibilità/incompatibilità di cui alla legge regionale n. 43 del 2004, oltre che la fattispecie di ineleggibilità/incandidabilità prevista dagli articoli 60, comma 1, n. 11, e 58 del testo unico degli enti locali, che comporta la decadenza dalla carica di sindaco, nelle modalità previste dall'articolo 68 del testo unico degli enti locali e, comunque, impone l'avvio della procedura ex articolo 69, ovvero l'esercizio dell'azione popolare ex articolo 70 del Tuel;
   lo svolgimento degli adempimenti della prima seduta del consiglio comunale di Castiglion Fiorentino, a norma del regolamento comunale dei lavori del consiglio, ha comportato l'esame della condizione degli eletti e tuttavia l'approvazione, a maggioranza, della delibera relativa alla condizione di eleggibilità del sindaco Bittoni;
   sulla vicenda è stato presentato esposto-reclamo al prefetto di Arezzo da un cittadino candidato a sindaco per una lista concorrente, al fine di chiedere se siano valutate e verificate, ad ogni effetto di legge, le condizioni di eleggibilità e candidabilità del soggetto in premesse indicato, con conseguente adozione dei provvedimenti di competenza, anche ai fini dell'eventuale avvio del procedimento di cui all'articolo 69 del testo unico degli enti locali;
   ad oggi non risulta esservi stata alcuna risposta a tale esposto-reclamo da parte del prefetto –:
   se intenda assumere le opportune iniziative per accertare i fatti rappresentati e l'effettiva sussistenza delle condizioni di legge e verificare i motivi di ritardo della determinazione dell'autorità prefettizia, affinché l'amministrazione e i cittadini del comune di Castiglion Fiorentino possano avere quanto prima contezza della verifica delle eventuali cause di ineleggibilità ed incandidabilità dei propri eletti ovvero delle diverse condizioni di incompatibilità, con conseguente adozione dei provvedimenti necessari ed opportuni di competenza delle autorità interessate e possano vedere così risolta una situazione di stasi nell'assolvimento dei compiti amministrativi. (4-16546)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   MARINELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori socialmente utili o Lsu sono nati come una politica attiva del lavoro nel nostro Paese, basati sulla partecipazione ad iniziative di pubblica utilità limitate nel tempo per soggetti svantaggiati nel mercato del lavoro. I lavori socialmente utili nacquero nei primi anni Novanta per utilizzare i lavoratori espulsi dalle medie e grandi imprese ai quali veniva erogata la CIGS (Cassa integrazione guadagni straordinaria) dalle casse statali (all'epoca circa 850.000 lire mensili). Si decise quindi di adibire tali lavoratori ad attività rivolte alla collettività presso i comuni di residenza, utilizzandone le professionalità e capacità lavorative. In seguito i lavori socialmente utili sono stati estesi anche ai lavoratori in mobilità ed ai disoccupati di lunga durata;
   con il decreto legislativo del 1o dicembre 1997, n. 468 si introdussero i concetti di «stabilizzazione» al fine di «svuotare» il bacino dei lavoratori socialmente utili che, nel frattempo, si era notevolmente accresciuto;
   la normativa, nell'ottica di un stabilizzazione, prevedeva due alternative: l'assunzione diretta attraverso una percentuale di riserva obbligatoria in caso di avviamenti a selezione presso gli enti utilizzatori; l'assunzione in società private (cooperative e convenzionate in deroga alle leggi di evidenza per le gare di appalto che ottenevano la gestione dei servizi sui quali operavano i lavoratori socialmente utili che venivano così esternalizzati e privatizzati). Su questa opzione si sono distinte le amministrazioni pubbliche e le organizzazioni sindacali confederali, preferendo in generale la strada dell'esternalizzazione dei servizi in appalto protetto;
   si sono create così situazioni per cui i lavoratori socialmente utili venivano utilizzati non come lavoratori di supporto, bensì per sopperire a vere e proprie carenze di organico, percependo un esiguo assegno erogato dallo Stato;
   ciò ha favorito l'avvento degli appalti di pulizia nelle scuole: si è infatti preferito concedere sgravi fiscali e contributivi e contributi economici tramite affidamento, in spregio a qualsiasi normativa europea e nazionale, a quattro consorzi di ditte e coop, in nome della stabilizzazione, mai avvenuta, dei lavoratori socialmente utili;
   occorre inoltre ricordare che una parte di lavoratori socialmente utili si è vista costretta ad accettare contratti precari (co.co.co) a termine, che hanno reso ancora più difficile la loro situazione;
   tra il marzo e il maggio del 2000, a seguito e per effetto del trasferimento di competenze, i lavoratori lavoratori socialmente utili che operavano nelle scuole sono stati «spostati» dagli enti locali (sino ad allora enti utilizzatori) ai provveditorati agli studi (oggi uffici scolastici provinciali) che hanno gestito fino al luglio 2001 il servizio di pulizie ed attività ausiliare inquadrando il personale lavoratori socialmente utili con le qualifiche di «collaboratore scolastico»;
   il trasferimento di competenze avrebbe potuto aprire una strada privilegiata per l'assunzione diretta negli organici statali consentendo di sanare una situazione divenuta inaccettabile e di stabilizzare realmente gli organici uniformando il regime delle assunzioni;
   la stabilizzazione non si è realizzata nonostante l'articolo 45, comma 8, della legge n. 144 del 1999, infatti, prevedesse che ai lavoratori socialmente utili assoggettati alla disciplina di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, è riservata una quota del 30 per cento dei posti da ricoprire mediante avviamenti a selezione di cui all'articolo 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, e successive modificazioni;
   il persistere dell'esternalizzazione comporta in realtà sprechi di denaro pubblico –:
   se il Ministro non ritenga opportuno prevedere l'effettiva stabilizzazione degli ex lavoratori socialmente utili attraverso il riconoscimento del servizio e l'inserimento nelle graduatorie e negli organici ATA;
   se non ritenga opportuno predisporre un tavolo tecnico, con la partecipazione delle parti interessate, al fine di addivenire alla internalizzazione del servizio, con il riconoscimento delle professionalità acquisite e le mansioni effettivamente svolte in tanti anni dagli ex lavoratori socialmente utili in qualità di collaboratori scolastici. (4-16535)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   GIRLANDA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i dati Istat del primo trimestre 2012 indicano un incremento positivo congiunturale del 4,9 per cento sul trimestre precedente del settore primario, con un +0,4 per cento incremento tendenziale;
   nel solo mese di aprile, secondo quanto riportato dai dati Ismea, i prezzi alla produzione di alcuni prodotti del settore primario si sono sensibilmente ridotti, tra cui l'olio d'oliva (–30 per cento), il riso (–26 per cento), il grano tenero (–15 per cento) e la frutta (–10 per cento);
   con riferimento particolare all'olio extravergine d'oliva il calo del prezzo alla produzione deriva dalla concorrenza sleale, dagli inganni e dalle frodi che colpiscono produttori e consumatori a causa della sofisticazione degli oli con sostanze come clorofilla e betacarotene, come testimoniato da una recente operazione dei Nas dei Carabinieri, che hanno svelato complicità con diversi oleifici sul territorio nazionale;
   nel 2012 i consumi di olio extravergine delle famiglie sono cresciuti del 4,2 per cento tuttavia, a fronte di una contrazione della produzione del nazionale del 6 per cento nell'ultima raccolta, i produttori italiani hanno risentito della riduzione dei ricavi, anche a seguito della massiccia importazione di olio d'oliva straniero, che ha raggiunto il massimo storico di 584 mila tonnellate, superando la produzione nazionale, in calo nel 2011 a 483 mila tonnellate, tali da sommergere la produzione nazionale, essendo queste ultime quasi triplicate negli ultimi vent'anni;
   la maggioranza delle bottiglie d'olio d'oliva provengono dunque da olive straniere, senza che questo sia sempre chiaro ai consumatori, malgrado le disposizioni contenute nel regolamento comunitario numero 182 del 6 marzo 2009, tanto che si può registrare a tutt'oggi una mancanza di trasparenza, dal momento che in Italia quattro bottiglie su cinque contengono miscele di diversa origine, per le quali è difficoltosa se non impossibile la lettura della provenienza delle olive impiegate;
   l'Italia è il primo importatore mondiale d'olio, che per il 74 per cento viene dalla Spagna, il 15 per cento dalla Grecia ed il 7 per cento dalla Tunisia, le cui olive sono spesso mescolate a quelle nazionali e vendute con marchi italiani, riportando esternamente con grande evidenza immagini, frasi o nomi che richiamano all'italianità, di carattere spesso ingannevole;
   la Coldiretti ha sottolineato più volte il rischio per la produzione di quella che è un'eccellenza italiana nel mondo, che vede un patrimonio ambientale di 250 milioni di piante, un fatturato di 2 miliardi di euro l'anno ed un impiego pari a circa 50 milioni di giornate lavorative, con ben 43 oli italiani a denominazione di origine riconosciuti dall'Unione europea –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendono attuare per venire incontro alle necessità del settore e della tutela dell'olio extravergine d'oliva italiano. (4-16534)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la Croce rossa italiana (CRI) è un'associazione che si configura come ente di diritto pubblico non economico con prerogative di carattere internazionale, avente per scopo l'assistenza sanitaria e sociale sia in tempo di pace che in tempo di conflitto;
   nello specifico l'articolo 7 del decreto-legge 20 settembre 1995, n. 390, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 1995, n. 490, definisce la Croce rossa italiana come ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico soggetta pertanto alla disciplina normativa e giuridica degli enti pubblici;
   la natura giuridica pubblica è ulteriormente definita dall'articolo 5 dello statuto dell'associazione approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 maggio 2005, n. 97;
   il ruolo svolto negli anni dalla Croce rossa italiana, dalle donne e uomini che con abnegazione svolgono il loro compito a servizio dell'assistenza sociale, è stato di indiscussa capacità ed operatività come tra l'altro i recenti eventi calamitosi hanno confermato;
   attualmente le strutture della Croce rossa italiana, coinvolgono circa 145 mila soci attivi sul territorio nazionale, circa 4 mila dipendenti, suddivisi in lavoratori civili e militari, di cui oltre 1500 risultano precari anche da un decennio;
   un elemento non trascurabile della struttura della Croce rossa italiana, va ricercato nell'ammontare degli immobili: da una ricognizione del patrimonio immobiliare aggiornata al 2008 ammonterebbero a circa 35 milioni di euro i beni immobili a disposizione di Croce rossa italiana per lo più inutilizzati;
   le risorse destinate alla Croce rossa italiana dai Ministeri vigilanti ammontano a circa 180 milioni di euro annui, in buona parte destinati al sostentamento delle risorse umane, in particolar modo del corpo dirigenziale, a cui si aggiungono i fondi di provenienza privata configurabili in donazioni e lasciti di beni mobili ed immobili;
   appare opportuno evidenziare che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del novembre 2010 la Croce rossa italiana è stata commissariata «considerate le gravi carenze e irregolarità di gestione dell'Associazione, in particolare emerse dalla verifica amministrativo-contabile effettuata dall'ispettorato generale di Finanza della Ragioneria generale di Stato (...)» e «considerata (...) la necessità di nominare un commissario straordinario con il compito di garantire una corrente ed efficiente gestione anche in vista della riorganizzazione dell'ente»;
   malgrado il commissariamento si configuri come procedimento straordinario appare di fatto come una pratica gestionale particolarmente frequente presso la Croce rossa italiana: per buona parte della sua storia recente l'ente è stato gestito da commissari straordinari designati dall'esecutivo piuttosto che da presidenti eletti;
   il commissariamento ha avuto luogo dal 1980 e ha previsto lo spostamento delle competenze degli organi ordinari ai commissari straordinari di nomina governativa fino al 1998, anno in cui è stato emanato un nuovo statuto dell'Ente che prevedeva la possibilità di svolgere l'elezione degli organi di governo interni che ha di fatto condotto al superamento del commissariamento e all'elezione di un Presidente ordinario;
   la seconda fase di commissariamento avviene nel 2003, interrotta successivamente nel 2005, anno in cui avviene l'emanazione di nuovo statuto, e la successiva elezione di un presidente nazionale in carica fino all'ottobre 2008. A decorrere da tale data è stata inaugurata l'attuale fase commissariale;
   malgrado la ventennale esperienza commissariale della Croce rossa italiana, reiteratamente prevista per far fronte al risanamento del bilancio, paradossalmente – stando ad un documento riassuntivo del disavanzo di cassa della Croce rossa italiana apparso on line – il disavanzo totale di cassa della Croce rossa italiana ammonterebbe a 335,7 milioni di euro;
   ne emerge di fatto una gestione alquanto complessa dell'ente che ha suscitato non poche perplessità tanto da condurre alla formulazione nel corso degli anni di diversi atti di sindacato ispettivo finalizzati a fare chiarezza sulle reali dinamiche operative dell'ente oltre che ad un'indagine conoscitiva presso la Commissione sanità del Senato della Repubblica ancora non conclusa;
   in questo scenario di complessità finanziaria ed organizzativa si inserisce il portato dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183 che dispone la delega al Governo per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute, prevedendo anche il riordino della Croce rossa italiana secondo i criteri e principi direttivi della semplificazione, razionalizzazione amministrativa e delle risorse e della ridefinizione del rapporto di vigilanza;
   ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183, la scadenza della citata delega era prevista per il 24 novembre 2011 ma il comma 2, ultimo periodo del citato articolo 2 ha previsto un meccanismo di scorrimento della delega disponendo che «qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l'adozione dei decreti legislativi di cui al comma 1, quest'ultimo è prorogato di due mesi», prorogando di fatto la scadenza della delega al 24 gennaio 2012. Proroga legittimata da una nota del dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   lo schema di decreto legislativo recante riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce rossa (atto Governo 424) è stato sottoposto all'esame della commissioni competenti di Camera e Senato nel novembre 2011;
   successivamente ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 24 febbraio 2012, n. 14, il termine dell'esercizio della suddetta delega è stato differito al 30 giugno 2012, operando di fatto un differimento di un termine già scaduto in data 24 gennaio 2012, non essendo originariamente previsto nel decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito in legge 24 febbraio 2012, n. 14;
   risulta che il Ministero interpellato starebbe lavorando a un nuovo schema di decreto legislativo di riorganizzazione dell'Associazione italiana di Croce rossa di cui all'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183, che dovrebbe sostituire l'atto del Governo n. 424 precedentemente sottoposto all'esame delle competenti Commissioni del Senato e della Camera dei deputati già discusso anche alla presenza dei rappresentanti del Governo attuale, e in merito al quale le Commissioni si erano già pronunciate;
   stando alle informazioni a disposizione degli interpellanti il suddetto schema dispone la costituzione di un'associazione privata, nella quale confluiranno, a decorrere dal 1o gennaio 2014, le funzioni esercitate dalla Croce rossa italiana «pubblica», a cui si andrebbe ad affiancare in funzioni di supporto tecnico e logistico, un ente pubblico non economico denominato «ente di pronto intervento umanitario»; dal 1o gennaio 2017 si dovrebbe verificare la soppressione dell’«Ente» e successiva messa in liquidazione;
   le disposizioni contenute nel nuovo schema differirebbero sostanzialmente da quanto già sottoposto alle Commissioni parlamentari a partire dal 2011;
   in considerazione dei nuovi termini di delega di cui alla legge 24 febbraio 2012, n. 14, risulta alquanto complessa l'ipotesi che il «rinnovato» schema di decreto possa nuovamente essere sottoposto alle Commissioni parlamentari, alla conferenza unificata Stato-regioni e del Consiglio di Stato;
   alla luce dell'opacità che condiziona i termini di delega, emerge – secondo gli interpellanti – il rischio di violazione del termine di cui al combinato disposto di cui agli articoli 76 della Costituzione e 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183;
   per quanto riguarda il portato del «rinnovato» schema di decreto, è opportuno ulteriormente evidenziare che «l'innovativa» riformulazione organizzativa, consentirebbe alla dirigenza di poter operare scelte discutibili sul versante della gestione delle risorse economiche ed umane legittimate dall'esigenza di riordino;
   sul versante immobiliare, appare immaginabile che la nuova configurazione privatistica possa facilmente incorrere in una gestione affaristica di beni che sono il frutto soprattutto di lasciti e donazioni della società civile;
   sul versante della gestione delle risorse umane risulterebbero a rischio circa 4500 posti di lavoro di cui 1400 precari entro dicembre 2013 e 3100 lavoratori verranno messi in mobilità per 24 mesi;
   inoltre il suindicato schema di provvedimento prevede che i militari della Croce rossa permanentemente in servizio transitino in un ruolo civile ad esaurimento e che il Corpo militare sia costituito solo da personale volontario in congedo, andando completamente a sfaldare la struttura dell'ente inficiandone le potenzialità e l'immagine;
   sebbene tale provvedimento rechi una rivoluzionaria riorganizzazione dell'ente, non risulta agli interpellanti alcun tipo di coinvolgimento o confronto – sulle questioni di nuova introduzione – con le parti sociali rappresentative del personale attualmente operativo presso la Croce rossa italiana;
   sarebbe auspicabile consentire almeno il superamento della gestione commissariale consentendo l'elezione democratica degli organi collegiali, come condizione propedeutica all'avvio delle dinamiche di riordino dell'ente;
   quanto evidenziato sul versante delle dinamiche di riordino, unito alle discutibili quanto ancora poco chiare dinamiche di gestione decennale della Croce rossa italiana dovrebbero indurre il Governo ad operare un controllo di quanto posto in essere – con conseguenti riconoscimenti di responsabilità – oltre a favorire un procedimento di riorganizzazione della Croce rossa italiana oltre che di rimodulazione delle risorse ad essa destinate senza che ne venga intaccata l'attuale struttura pubblicistica, anche in considerazione del ragguardevole patrimonio di risorse umane, mobiliari ed immobiliari che, se correttamente utilizzate ed investite, rappresenterebbero un valore aggiunto per l'ente oltre che per il Paese –:
   se alla luce delle criticità espresse in premessa – intenda fare chiarezza sull'esercizio della delega di cui all'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183, e sulla gestione complessa e deficitaria della Croce rossa italiana negli ultimi anni;
   se – alla luce delle criticità evidenziate in premessa – intenda rivedere l'attuale progetto di riordino della Croce rossa italiana e quali iniziative intenda intraprendere al fine di tutelare l'attività ed il futuro dei lavoratori attualmente operativi nella Croce rossa italiana.
(2-01545) «Di Biagio, Paglia, Muro, Barbaro, Della Vedova».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAURIZIO TURCO, FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sul sito dell'Unione sindacale di base (USB) è pubblicato il seguente comunicato stampa «PRIVATIZZAZIONE CRI: USB P.I., AGGREDITO RESPONSABILE NAZIONALE USB CROCE ROSSA – La USB ha deciso, nei giorni scorsi, di rappresentare il disagio di oltre 4000 lavoratori/ici della Croce Rossa con forme di lotta compatibili con l'evolversi della trattativa ministeriale in corso in questi giorni; in virtù della proclamazione dello stato di agitazione di tutto il personale, sono stati invitati tutti i lavoratori/ici a “commemorare” la scomparsa dell'Ente Pubblico attraverso l'esposizione dell'emblema della C.R.I. listato a lutto (utilizzando cartoncini, lenzuola o qualsiasi altro materiale e non bandiere ufficiali) in TUTTI i posti di lavoro. “Nella tarda mattinata di oggi, dichiara Sabino Venezia del Coordinamento Nazionale USB P.I., dopo aver riposizionato uno striscione con l'effige CRI listata a lutto, già strappato in mattinata, il nostro Dirigente Nazionale Massimiliano Gesmini, infermiere in servizio presso l'autoparco, ha subito una vile aggressione da parte del Responsabile Amministrativo nonché ufficiale del Corpo Militare della CRI”. “L'inaudito episodio ci costringe ad assumere i toni formali della risposta legale, amministrativa e sindacale, prosegue Venezia, chiederemo immediatamente conto al Commissario CRI di quanto successo a Gesmini, con l'auspicio di verificare che simili episodi da caserma sono frutto di singole culture”. “I lavoratori possono stare tranquilli, conclude Venezia, quanto successo non modifica la nostra posizione sull'intera vicenda: siamo e restiamo contrari a qualsiasi trasformazione dell'Ente Pubblico Croce Rossa in una realtà che non tenga conto del legittimo diritto occupazionale di tutti i lavoratori, stabili e precari e non ci faremo certo intimidire da atteggiamenti polizieschi messi in atto da sceriffi di turno”. Roma, 4 giugno 2012 - USB, Coordinamento Nazionale P.I.»;
   ad avviso degli interroganti l'episodio narrato nel comunicato dell'organizzazione sindacale rappresenta un fatto di estrema gravità che si colloca come un pericoloso precedente nel contesto del particolare momento di difficoltà che sta attraversando la Croce rossa italiana, che potrebbe essere emulato da altri o generare ulteriori episodi di violenza gratuita e di comportamenti contro esponenti sindacali o le loro attività –:
   quali siano gli immediati provvedimenti che abbiano posto in essere i vertici della Croce rossa e del Corpo militare nei confronti del responsabile amministrativo nonché ufficiale del Corpo militare della Croce rossa italiana autore della «vile aggressione»;
   se i Ministri non ritengano di dover fornire dettagliati elementi sui fatti in premessa. (5-07056)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VINCENZO ANTONIO FONTANA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che;
   l'Italcementi ha comunicato che la situazione del mercato in Italia è «la peggiore da molti anni a questa parte» e che ha registrato nei primi mesi del 2012 una forte diminuzione nelle vendite di cemento;
   tale situazione comporterà la chiusura dello stabilimento di Porto Empedocle nei prossimi mesi;
   i sindacati, hanno preannunciato battaglia al fianco dei circa 100 lavoratori che saranno posti in mobilità;
   i lavoratori hanno organizzato un presidio mentre all'interno dello stabilimento si procede alla messa in sicurezza dell'altoforno;
   la protesta si è anche spostata sulla strada dove sono state poste in essere delle azioni per rallentare il traffico veicolare;
   la paventata chiusura dell'impianto Italcementi di Porto Empedocle introduce elementi di grave preoccupazione in un territorio che sconta una situazione di per sé molto difficile dal punto di vista economico ed occupazionale;
   questa sciagurata eventualità, che dovrebbe verificarsi entro il terzo trimestre dell'anno in corso, aggraverebbe un quadro socialmente drammatico che interessa tutto l'hinterland empedoclino e la stessa provincia;
   la perdita di tanti posti di lavoro diretti e dell'indotto comporterebbe gravi tensioni difficili da disinnescare a causa della pesantezza del contesto socio-economico locale;
   le motivazioni ufficiali dell'azienda non convincono se è vero che poche settimane fa l'azienda si parlava di una ristrutturazione dell'impianto produttivo;
   la gravità delle conseguenze della decisione è seguita costantemente dal prefetto di Agrigento che segue da vicino l'evolversi della vertenza –:
   quali iniziative immediate il Governo intenda intraprendere per bloccare la decisione dell'Italcementi e, nello stesso tempo, se non ritenga di attivare subito un tavolo istituzionale al Ministero dello sviluppo economico per trovare quelle soluzioni idonee a scongiurare tale nefasta ipotesi e a ridare tranquillità a tante famiglie e all'intera popolazione locale. (5-07054)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURGIA, PILI e PORCU. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   all'inizio del 2012 Terna ha dato corso a modifiche rilevanti nella gestione della rete elettrica in Sardegna e nell'attribuzione della qualifica di essenzialità degli impianti produttivi ivi localizzati ed in particolare includendo l'impianto EON di Fiume Santo che si andava ad aggiungere a quello, già considerato essenziale, di Enel Sulcis;
   a seguito di tali cambiamenti la centrale termoelettrica di Ottana Energia ha subito modifiche nel proprio assetto produttivo che possono causare lo spegnimento con la conseguente chiusura delle aziende del sito di Ottana ivi inclusa la produzione di PET da parte di Ottana Polimeri con una perdita di 500 posti di lavoro ed un impatto sulla filiera chimica nazionale;
   la Comunità europea nel luglio del 2008 stabiliva che «Ottana Energia è di fatto l'unico fornitore alternativo di energia rispetto ai fornitori dominanti Enel ed Endesa (ora E.ON) che complessivamente detengono più del 95% del mercato. Pertanto, l'ingresso di Ottana Energia sul mercato dei servizi di dispacciamento accentuerà ulteriormente la concorrenza di questo mercato particolarmente concentrato»;
   risulterebbe che Terna ha chiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di derogare, in forza di necessità di potenza necessaria in futuro, al limite ambientale di emissione relativi ai gruppi ad olio della centrale di Fiume Santo che sono previsti in dismissione per il 2013;
   nel codice di rete emesso da Terna stessa al capitolo 4.4.3 si legge che «normalmente l'approvvigionamento di fabbisogno di riserva secondaria di potenza in zona Sardegna avviene localmente»;
   nel sistema elettrico sardo attualmente quasi il 90 per cento della potenza elettrica installata è sotto il regime di essenzialità fatta eccezione per la centrale di Ottana Energia e per gli impianti da fonti rinnovabili e assimilabili alle rinnovabili con una distorsione del libero mercato;
   il consiglio regionale della regione Sardegna con mozione n. 173/12 ha approvato di «chiedere ad E.ON che proceda alla demolizione dei gruppi 1 e 2 ad olio combustibile, in quanto dichiarati fuori norma e ad attivare immediatamente la costruzione del V gruppo e vincolare ad esso le restanti concessioni del fotovoltaico» –:
   se il Ministero dello sviluppo economico non ritenga opportuno richiamare Terna all'adempimento di quanto stabilito all'interno del codice di rete in merito all'approvvigionamento locale in Sardegna in condizioni normali di fabbisogno di riserva;
   se il Ministero dello sviluppo economico non ritenga opportuno che vengano dati indirizzi di gradualità a Terna nell'applicazione di qualsivoglia nuovo assetto elettrico fino a quando non verrà rimosso il vincolo che fa della Sardegna l'unica regione d'Europa priva di gas naturale;
   se il Governo non ritenga utile che Terna, anziché richiedere una deroga ambientale sugli impianti ad olio di Fiume Santo, contraria anche alla mozione approvata dal consiglio regionale sardo, non dia un parere tecnico positivo all'eventuale inclusione sotto regime di essenzialità agli impianti di Ottana Energia per l'anno 2013. (4-16537)


   RUVOLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dopo la chiusura delle linee di produzione del Petrolchimico di Gela in provincia di Caltanissetta, adesso anche Italcementi ha deciso di chiudere lo stabilimento di Porto Empedocle;
   le motivazioni sarebbero legate alla grave crisi del settore che sta pagando le conseguenze della crisi economica e finanziaria che colpisce l'intero Paese;
   in merito allo stabilimento di Porto Empedocle la direzione ha avviato la procedura di mobilità per i quasi cento lavoratori dello stabilimento;
   i lavoratori hanno risposto con la mobilitazione immediata, ma quanto sta succedendo, se non si troverà con urgenza una soluzione, rischia di gettare benzina sul fuoco in una condizione sociale ed economica che sta colpendo duramente l'intera provincia di Agrigento che è tra le ultime in Italia in quanto a reddito pro capite;
   nello stabilimento di Porto Empedocle, oltretutto, la maggior parte dei lavoratori ha un'età media di quaranta anni e quindi anche in caso di utilizzo di tutti gli ammortizzatori sociali possibili e immaginabili non si riuscirebbe ad accompagnare alla pensione la totalità dei lavoratori che sono ancora troppo giovani e che, allo stesso tempo, non possono sperare di trovare un'occupazione alternativa in un territorio già gravato da alti indici di disoccupazione;
   la situazione che si è creata appare ancora più incomprensibile se si pensa che, da parte dell'Azienda, vi era, sino a pochi mesi fa, un impegno a nuovi investimenti per rendere ancora più competitivo lo stabilimento di Porto Empedocle;
   ancora una volta si sta attuando, da parte di un'azienda che opera in Sicilia, il solito cliché di investire sull'isola quando ci sono i soldi per le opere pubbliche e di abbandonare il territorio nel momento in cui questi soldi non vengono più elargiti;
   in tutto ciò si deve registrare, oltre a quella di Italcementi, la responsabilità della regione Sicilia che, pur avendo attivato da circa due anni bandi per opere infrastrutturali per oltre 650 milioni di euro non ha ancora firmato un solo decreto di finanziamento che avrebbe dato un po’ di respiro alle imprese e all'economia siciliana che si sta avviando a grandi passi verso una situazione di crisi irreversibile –:
   quando e se si intenda, con la dovuta urgenza, attivare un tavolo negoziale presso il Ministero che veda la presenza, oltre che delle rappresentanze dei lavoratori e dell'azienda, anche dei responsabili del settore della regione Sicilia, al fine di trovare soluzione alternative alla chiusura dello stabilimento di Porto Empedocle. (4-16538)


   VELO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il patto territoriale di Piombino-Val di Cornia è stato approvato dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica con decreti n. 992 e n. 996 del 1999;
   a seguito delle rinunce, revoche ed economie conseguite in fase di attuazione del patto territoriale il soggetto responsabile, sulla base di quanto stabilito dalla vigente normativa in materia (deliberazioni CIPE n. 31/2000 e n. 69/2000; circolari ministero attività produttive n. 1.178.517 del 18 febbraio 2002 e n. 1.187.946/GC del 24 luglio 2003), ha provveduto ad attivare la procedura di rimodulazione delle risorse;
   in data 2 ottobre 2001 è stata trasmessa al Ministero dell'economia e delle finanze e successivamente all'allora Ministero delle attività produttive, la prima istanza di riassegnazione delle risorse;
   da ultimo, con nota del 18 dicembre 2002, è stato definito un progetto di rimodulazione ai sensi della circolare del Ministero attività produttive del 18 dicembre 2002, individuando una precisa destinazione dei fondi disponibili, così come comunicato nell'ambito dell'incontro con i soggetti sottoscrittori del 19 dicembre 2002;
   tale progetto è stato accolto dalla competente direzione generale del Ministero delle attività produttive che, con decreti n. PT001585 del 30 luglio 2003 e n. PT001609 dell'8 agosto 2003, ha formalmente autorizzato il riutilizzo della somma complessiva di euro 10.617.598,00 per la realizzazione di nuove iniziative imprenditoriali e nuovi interventi infrastrutturali così ripartiti:
    nuovi interventi infrastrutturali euro 7.332.741,45;
    nuove iniziative imprenditoriali euro 3.284.856,55;
   per quanto riguarda le nuove iniziative imprenditoriali, le istituzioni, le parti sociali e gli altri soggetti sottoscrittori del progetto di rimodulazione hanno concordato di assegnare le risorse disponibili per le nuove iniziative imprenditoriali sulla base di uno specifico bando;
   il predetto bando, per la presentazione delle domanda, si è chiuso il 31 dicembre 2004, mentre l'istruttoria condotta dalla banca concessionaria (MPS Banca per le Imprese S.p.A) ai fini della determinazione della graduatoria finale dei progetti da ammettere a finanziamento si è conclusa in data 30 agosto 2005;
   in data 19 ottobre 2005, infine, l'allora Ministero delle attività produttive comunicava al soggetto responsabile, con decreto PT004817 del 7 ottobre 2005 n. 1.136.628, l'approvazione degli esiti istruttori della prima rimodulazione del patto territoriale di Piombino-Val di Cornia;
   attualmente i finanziamenti del patto territoriale di Piombino-Val di Cornia e la loro rimodulazione giacciono a vario titolo presso gli uffici ministeriali, impedendo agli operatori interessati, nell'attuale profonda crisi economica e dopo anni di paziente attesa, di poterne usufruire –:
   quali misure intenda assumere al fine di sbloccare con sollecita urgenza i finanziamenti descritti in premessa. (4-16542)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Antonino Russo e altri n. 7-00867, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Torre n. 5-07048, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Siragusa, De Pasquale.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Ciccanti n. 1-00970, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 611 del 26 marzo 2012.

   La Camera,
   premesso che:
    sebbene sia stata innescata dai crack finanziari di soggetti privati internazionali prima e dai rischi di insolvenza dei debiti sovrani in seguito, la crisi che sta attraversando l'Italia ha origini più antiche ed interne poiché l'Italia registrava bassi tassi di sviluppo già dall'inizio degli anni 2000;
    le piccole e medie imprese rappresentano un patrimonio di fondamentale importanza per l'economia italiana e uno dei principali elementi di vitalità del nostro Paese, ma rappresentano altresì il settore che sta maggiormente soffrendo dell'attuale contingenza economica;
    nell'attuale scenario, oltre al calo della domanda interna ed estera, le difficoltà incontrate dalle piccole e medie imprese sono di ordine finanziario e possono essere principalmente ricondotte a due ordini di problemi: le difficoltà di accesso al credito e di rientro dei prestiti ricevuti dalle banche; i ritardi dei pagamenti dei crediti vantati nei confronti sia della pubblica amministrazione, sia dei clienti privati;
    in tema di credito non ha certo giovato l'introduzione dei nuovi requisiti patrimoniali per gli istituti bancari, previsti dall'accordo «Basilea3» per garantire la stabilità del sistema che ha determinato effetti restrittivi nell'erogazione del credito alle piccole e medie imprese;
    oltre agli effetti derivanti dall'accordo «Basilea3» le banche italiane devono scontare anche le conseguenze derivanti dalla richiesta dell'Autorità bancaria europea alle banche europee di aumentare la propria capitalizzazione, al fine di rafforzare la fiducia dei mercati nella capacità degli istituti di credito di fronteggiare gli shock provenienti dal fronte dei debiti sovrani;
    la seconda long term refinancing operation (Ltro) della Banca centrale europea ha assegnato 529,53 miliardi di euro in asta a 36 mesi al tasso dell'1 per cento e segue quella di 489 miliardi di euro collocati a dicembre 2011, entrambe finalizzate a stimolare la concessione di prestiti da parte delle banche;
    in questa delicata fase, i consorzi di garanzia collettiva dei fidi hanno continuato a svolgere un'importante funzione e a rappresentare uno strumento efficace nel migliorare le condizioni di accesso ai prestiti e nell'aumentare la qualità del credito bancario alle imprese, soprattutto di minore dimensione, consentendo, in particolare, a quelle associate a consorzi di garanzia di ottenere linee di credito a tassi d'interesse più bassi rispetto a quelle non associate;
    in tal senso, infatti, l'Italia rappresenta un caso di successo in termini di penetrazione della garanzia sul totale dei finanziamenti concessi alle imprese;
    tuttavia, mentre i Paesi esteri si caratterizzano per la presenza di schemi di filiera della garanzia semplici e strettamente correlati alle politiche economiche e industriali «centrali», nonché per l'assenza di capillarità distributiva e contribuzione privata alla formazione delle risorse a sostegno della filiera stessa, l'Italia, al contrario, presenta un modello distributivo molto sviluppato e con forti legami sul territorio, basato essenzialmente sul soggetto confidi quale attore principale della garanzia diretta e di primo livello, ma, al contempo, la filiera è lunga e complessa, con molte sovrapposizioni tra i diversi attori, istituzionali e non, e una minore focalizzazione di politica economica;
    i diversi accordi denominati «moratoria», concordati tra le organizzazioni di impresa, l'Abi e i Ministeri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico hanno consentito a tutte le piccole e medie imprese di attenuare gli effetti della carenza di liquidità attraverso la sospensione delle rate di mutui e di leasing;
    la nuova «moratoria», resa possibile anche grazie alla liquidità messa a disposizione dalla Banca centrale europea, riguarda un'ampia gamma di linee di credito aperte dalle imprese, così da consentire ad un gran numero di piccole e medie imprese di beneficiare della sospensione delle rate di mutui e di leasing o dell'allungamento delle anticipazioni bancarie;
    in tema di ritardo nei pagamenti dalla pubblica amministrazione in Italia (che costano alle piccole e medie imprese 3,7 miliardi di euro di oneri finanziari), è stato stimato che, al termine contrattuale di 90 giorni, si somma un ritardo medio di altri 90 giorni, per un totale di 180 giorni, il che rende la pubblica amministrazione italiana il peggiore pagatore d'Europa. Tuttavia, sebbene nel Mezzogiorno il cliente prevalente delle imprese è la pubblica amministrazione, nel Nord e nel Centro, invece, i clienti sono soprattutto privati e anche qui la situazione è difficilissima, anche perché le azioni legali sono costose per la lunghezza dei tempi della giustizia e spesso inefficaci;
    su questo tema sono stati emanati recentemente appositi decreti attuativi da parte del Governo per agevolare la certificazione dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione, nonché per rendere possibile la compensazione tra posizioni creditorie e debitorie delle stesse imprese nei confronti dello Stato. Inoltre, è stato sottoscritto un nuovo accordo tra l'Abi e le rappresentanze delle imprese, che mira ad agevolare e rendere più conveniente per le imprese le operazioni di «smobilizzo», dei crediti che queste ultime vantano nei confronti della pubblica amministrazione, in linea con quanto previsto dagli stessi decreti attuativi;
    la scarsa liquidità e l'insolvibilità non spiegano da sole la crisi che sta attraversando il mondo delle piccole e medie imprese;
    esistono anche altri fattori che hanno determinato questa situazione legati alla redditività e alla capacità delle imprese di restare competitive,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative presso le competenti sedi europee al fine di mitigare gli effetti, in particolare con riferimento all'accesso al credito delle piccole e medie imprese, derivanti dall'applicazione delle nuove regole stabilite dall'Unione europea in materia di coefficienti patrimoniali e di capitalizzazione delle banche italiane (come, ad esempio, il supporto all'iniziativa promosso dall'Abi e dalle altre rappresentanze di impresa per l'applicazione di uno specifico coefficiente che sterilizzi gli effetti avversi di «Basilea 3», sui prestiti alle piccole e medie imprese);
   ad adottare iniziative volte a rafforzare il ruolo e l'operatività dei consorzi di garanzia collettiva fidi;
   a ridefinire e semplificare la filiera italiana delle garanzie oggetto di finanziamento ai privati (retail), preservandone la natura fortemente sussidiaria e basata sullo strumento dei confidi;
   a vigilare, per quanto di competenza, affinché la nuova normativa in tema di compensazione tra i crediti commerciali verso la pubblica amministrazione e i debiti tributari venga applicata correttamente, producendo così i risultati sperati;
   a recepire tempestivamente, nell'ambito della delega contenuta nell'articolo 10 della legge n. 180 del 2011, cosiddetto statuto delle imprese, la direttiva comunitaria sui ritardi di pagamento, anche per ridurre il rischio di far accumulare nuovi debiti da parte della pubblica amministrazione e dei clienti privati.
(1-00970)
«Ciccanti, Galletti, Anna Teresa Formisano, Ruggeri, Pezzotta, Occhiuto, Compagnon, Naro, Volontè, Poli, Libè».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato del presentatore: interpellanza Di Cagno Abbrescia n. 2-01401 del 7 marzo 2012.