XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 31 maggio 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la sentenza della VI sezione della Corte di giustizia europea del 19 marzo 2002, nella causa C224/anno 2000, ha condannato la Repubblica italiana per violazione degli obblighi di cui all'articolo 6) del trattato CE (divenuto, in seguito a modifiche, articolo 12 Comunità europea);
    la Corte, in quella causa, condanna la Repubblica italiana «che mantiene in vigore l'articolo 207 del codice della strada applicando in tal modo un trattamento differenziato e non proporzionato per i trasgressori del codice della strada esclusivamente a fronte del luogo di immatricolazione del veicolo»;
    la Corte mette in evidenza che l'articolo 207 del codice della strada italiano, introduce una disparità di trattamento a scapito dei trasgressori in possesso di un veicolo immatricolato in un altro Stato membro;
    l'articolo 6 del trattato, di cui sopra, è espressione specifica del principio generale di uguaglianza di tutti i cittadini comunitari e vieta quindi ogni discriminazione tra di loro;
    le norme relative alla parità di trattamento fra cittadini di uno Stato membro con i cittadini di altri Stati membri vietano non soltanto le discriminazioni palesi in base alla cittadinanza, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, basandosi su altri criteri di distinzione, pervenga di fatto al medesimo risultato discriminatorio;
    l'articolo 207 del citato codice riserva ai trasgressori (alla guida di un veicolo) un trattamento differenziato in funzione del luogo di immatricolazione della autovettura: in particolare, in caso di violazione commessa con un veicolo immatricolato in Italia, il conducente ha tempo 60 giorni per pagamento della multa o per ricorrere al prefetto; se invece l'infrazione al codice della strada viene commessa in Italia da una vettura con targa straniera, il trasgressore, in questo caso, deve versare immediatamente l'importo della multa, oppure – se intende contestare l'infrazione – deve versare una cauzione pari al doppio del minimo edittale, altrimenti gli viene ritirata subito la patente oppure gli viene bloccato subito l'automezzo (fermo amministrativo del veicolo);
    è quindi evidente come l'articolo 207 del codice introduca una disparità di trattamento a scapito dei trasgressori in possesso di un veicolo immatricolato in un altro Stato membro: tale disparità di trattamento comporta, di fatto, il medesimo risultato di una discriminazione basata sulla cittadinanza;
    la Corte dunque censura e condanna il comportamento della Repubblica italiana che mantiene in vigore quella normativa nella parte in cui differenzia le sanzioni in base alla targa del veicolo;
    il Governo italiano, nella causa citata, sostanzialmente ha riconosciuto il carattere discriminatorio della norma, anche se si è giustificato con il fatto che andare a recuperare all'estero le somme a titolo di multa, è molto difficile e quindi si rende necessaria tale previsione di legge;
    tali giustificazioni – peraltro datate nel tempo, risalenti a ben 8 anni addietro – non sono oggi più di attualità sol che si pensi alla molteplicità degli accordi (a livello comunitario come anche con Paesi non aderenti alla Comunità) per l'assistenza, in campo amministrativo, per il recupero delle multe eventualmente non versate;
    numerosi nostri connazionali, residenti all'estero, hanno più volto manifestato il loro dissenso per la discriminazione a cui sono sottoposti quando ritornano in Italia con autoveicoli immatricolati all'estero,

impegna il Governo

a recepire, nell'ordinamento giuridico italiano, il principio stabilito dalla Corte di Giustizia europea assumendo le necessarie iniziative per la modifica dell'articolo 207 del codice della strada nella parte in cui prevede soluzioni differenziate e discriminatorie di sanzioni per veicoli con targa straniera che circolano in Italia rispetto a veicoli con targa nazionale, riconoscendo così pieno titolo alle proteste di quei milioni di cittadini italiani emigrati all'estero che, con periodicità rientrano in patria e che si sentono ingiustamente penalizzati rispetto ai loro connazionali che guidano una vettura a targa italiana.
(1-01063) «Razzi, Moffa».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 116 della Costituzione italiana prevede: «Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale»;
    la legge n. 42 del 2009 al Capo IX dispone obiettivi di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano;
    l'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 dispone: «Coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome:
   1. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine di ventiquattro mesi stabilito per l'emanazione dei decreti legislativi di cui all'articolo 2 e secondo il principio del graduale superamento del criterio della spesa storica di cui all'articolo 2, comma 2, lettera m).
   2. Le norme di attuazione di cui al comma 1 tengono conto della dimensione della finanza delle predette regioni e province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri, anche in considerazione degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, dei costi dell'insularità e dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi, rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e, per le regioni e province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali. Le medesime norme di attuazione disciplinano altresì le specifiche modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale, ferma restando la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, conformemente a quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera b), della presente legge.
   3. Le disposizioni di cui al comma 1 sono attuate, nella misura stabilita dalle norme di attuazione degli statuti speciali e alle condizioni stabilite dalle stesse norme in applicazione dei criteri di cui al comma 2, anche mediante l'assunzione di oneri derivanti dal trasferimento o dalla delega di funzioni statali alle medesime regioni a statuto speciale e province autonome ovvero da altre misure finalizzate al conseguimento di risparmi per il bilancio dello Stato, nonché con altre modalità stabilite dalle norme di attuazione degli statuti speciali. Inoltre, le predette norme, per la parte di propria competenza:
    a) disciplinano il coordinamento tra le leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi regionali e provinciali in materia, rispettivamente, di finanza regionale e provinciale, nonché di finanza locale nei casi in cui questa rientri nella competenza della regione a statuto speciale o provincia autonoma;
    b) definiscono i princìpi fondamentali di coordinamento del sistema tributario con riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti alle regioni a Statuto speciale e alle province autonome in materia di tributi regionali, provinciali e locali;
    c) individuano forme di fiscalità di sviluppo, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera mm), e alle condizioni di cui all'articolo 16, comma 1, lettera d).

   4. A fronte dell'assegnazione di ulteriori nuove funzioni alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano, così come alle regioni a statuto ordinario, nei casi diversi dal concorso al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ai sensi del comma 2, rispettivamente le norme di attuazione e i decreti legislativi di cui all'articolo 2 definiranno le corrispondenti modalità di finanziamento aggiuntivo attraverso forme di compartecipazione a tributi erariali e alle accise, fatto salvo quanto previsto dalle leggi costituzionali in vigore.
   5. Alle riunioni del Consiglio dei Ministri per l'esame degli schemi concernenti le norme di attuazione di cui al presente articolo sono invitati a partecipare, in conformità ai rispettivi statuti, i Presidenti delle regioni e delle province autonome interessate.
   6. La Commissione di cui all'articolo 4 svolge anche attività meramente ricognitiva delle disposizioni vigenti concernenti l'ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano e della relativa applicazione. Nell'esercizio di tale funzione la Commissione è integrata da un rappresentante tecnico della singola regione o provincia interessata.
   7. Al fine di assicurare il rispetto delle norme fondamentali della presente legge e dei princìpi che da essa derivano, nel rispetto delle peculiarità di ciascuna regione a statuto speciale e di ciascuna provincia autonoma, è istituito presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collaborazione, un tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale e ciascuna provincia autonoma, costituito dai Ministri per i rapporti con le regioni, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa, dell'economia e delle finanze e per le politiche europee nonché dai Presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome. Il tavolo individua linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome agli obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente all'entrata in vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i princìpi di cui alla presente legge e con i nuovi assetti della finanza pubblica. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è assicurata l'organizzazione del tavolo»;

    il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, che reca disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, all'articolo 8, prevede: «imposta municipale propria – 1. L'imposta municipale propria è istituita, a decorrere dall'anno 2014, e sostituisce, per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati, e l'imposta comunale sugli immobili. 2. L'imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili diversi dall'abitazione principale»;

    all'articolo 14, comma 2, dello stesso decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, si dispone: «Ambito di applicazione del decreto legislativo, regolazioni finanziarie e norme transitorie (...) 2. Al fine di assicurare la neutralità finanziaria del presente decreto, nei confronti delle regioni a statuto speciale il presente decreto si applica nel rispetto dei rispettivi statuti e in conformità con le procedure previste dall'articolo 27 della citata legge n. 42 del 2009, e in particolare:
   a) nei casi in cui, in base alla legislazione vigente, alle regioni a statuto speciale spetta una compartecipazione al gettito dell'imposta sul reddito delle persone fisiche ovvero al gettito degli altri tributi erariali, questa si intende riferita anche al gettito della cedolare secca di cui all'articolo 3;
   b) sono stabilite la decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 2 nei confronti dei comuni ubicati nelle regioni a statuto speciale, nonché le percentuali delle compartecipazioni di cui alla lettera a); con riferimento all'imposta municipale propria di cui all'articolo 8 si tiene conto anche dei tributi da essa sostituiti»;

    al comma 3 dell'articolo 14 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, si dispone:
   «Nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, le modalità di applicazione delle disposizioni relative alle imposte comunali istituite con il presente decreto sono stabilite dalle predette autonomie speciali in conformità con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione; per gli enti locali ubicati nelle medesime regioni e province autonome non trova applicazione quanto previsto dall'articolo 2, commi da 1 a 8; alle predette regioni e province autonome spettano le devoluzioni e le compartecipazioni al gettito delle entrate tributarie erariali previste dal presente decreto nelle misure e con le modalità definite dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione per i medesimi tributi erariali o per quelli da essi sostituiti»;

    il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come modificato dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» ha previsto, al Capo II, disposizioni in materia di maggiori entrate e all'articolo 13 l’«anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria» di cui al decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23;
    la Corte Costituzionale con sentenza n. 64 del 7 marzo 2012 in riferimento all'impugnativa del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, che istituisce l'IMU ha affermato che: «la potenziale sussistenza del denunciato contrasto,... rende operante la clausola di “salvaguardia” degli statuti speciali contenuta nel parimenti censurato comma 2 dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 23 del 2011, secondo cui il decreto “si applica nei confronti delle regioni a statuto speciale” solo “nel rispetto dei rispettivi statuti”. Ne consegue l'inapplicabilità alla Regione ricorrente dei censurati commi dell'articolo 2, in quanto “non rispettosi” dello statuto d'autonomia»;
    la Corte Costituzionale nella predetta sentenza afferma «tale conclusione è coerente con i princìpi contenuti nella legge di delegazione 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), la quale, essendo assunta a fondamento del decreto legislativo n. 23 del 2011, ne definisce anche i limiti di applicazione. Detta legge, nel suo articolo 1, comma 2, al fine di garantire la peculiare autonomia statuto d'autonomia finanziaria riconosciuta alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome, limita la propria applicazione alle regioni a statuto ordinario, precisando che agli enti ad autonomia differenziata “si applicano [...] esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27”, purché “in conformità con gli statuti” (sentenza n. 201 del 2010)»;
    la stessa Corte Costituzionale ribadisce che «una siffatta generale clausola di “salvaguardia” delle autonomie speciali è ribadita dal richiamato articolo 27 della stessa legge di delegazione, il quale stabilisce che il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome al “conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno ed all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario”, deve avvenire, appunto, nel “rispetto degli statuti speciali” e secondo “criteri e modalità” stabiliti da “norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi”»;
    ad affermare l'inapplicabilità del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, alle regioni a Statuto speciale è la stessa Avvocatura generale dello Stato che sostiene: «la clausola di salvaguardia contenuta nell'impugnato comma 2 dell'articolo 14 – in base alla quale il decreto legislativo n. 23 del 2011 si applica nei confronti delle Regioni a statuto speciale “nel rispetto dei rispettivi statuti e in conformità con le procedure previste dall'articolo 27 della [...] legge n. 42 del 2009” – rende “evidente” che ”l'ingresso delle disposizioni del decreto legislativo [...] nell'ordinamento delle Regioni speciali in tanto potrà avvenire in quanto le stesse siano recepite nelle fonti di attuazione dello statuto, ovvero si addivenga ad una revisione di quest'ultimo, secondo le forme previste” e garantisce, perciò, il rispetto delle attribuzioni delle autonomie speciali»,

impegna il Governo:

   ad applicare le procedure previste per l'attuazione del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, con particolare riferimento all'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 che costituisce clausola di salvaguardia delle prerogative statutarie costituzionali delle regioni a statuto speciale;
   ad assumere iniziative per escludere l'applicazione dell'IMU in quelle regioni a statuto speciale in cui vige la norma di salvaguardia di cui all'articolo 27 della legge n. 42 del 2009;
   ad assumere iniziative normative per assicurare le necessarie esenzioni relativamente alle competenze delle regioni a statuto autonomo che hanno competenze esclusive per l'agricoltura e concorrenti sulla fiscalità;
   ad assumere le iniziative di competenza per sospendere con immediatezza l'applicazione dell'imposta municipale unica per le regioni a statuto speciale;
   a procedere, così come richiamato in premessa, ad una nuova procedura di concertazione, costituzionalmente obbligatoria, per l'intera partita fiscale relativa alle competenze in materia;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per individuare immediata copertura finanziaria per il mancato gettito per l'anno 2012 a favore degli enti locali delle regioni a statuto speciale;
   a promuovere un indispensabile e urgente confronto tra Governo e regioni, volto ad individuare criteri alternativi di applicazione dell'imposta municipale unica senza pregiudicare la sussistenza del settore agricolo italiano e di quello sardo in particolar modo.
(1-01064) «Pili, Murgia, Nizzi, Porcu, Vella, Germanà, Giammanco, Gibiino, Vincenzo Antonio Fontana, Misuraca».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione europea si fonda sul principio dello Stato di diritto. Ciò significa che tutte le azioni intraprese dall'Unione europea si fondano su trattati approvati liberamente e democraticamente da tutti i Paesi membri dell'Unione europea;
    un trattato è un accordo vincolante tra i Paesi membri dell'Unione europea. Esso definisce gli obiettivi dell'Unione europea, le regole di funzionamento delle istituzioni europee, le procedure per l'adozione delle decisioni e le relazioni tra l'Unione europea e i suoi Paesi membri;
    i trattati vengono modificati per ragioni diverse: rendere l'Unione europea più efficiente e trasparente, preparare l'adesione di nuovi Paesi ed estendere la cooperazione a nuovi settori, come la moneta unica;
    il cosiddetto «fiscal compact», noto anche come patto di bilancio, è il trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell'Unione economica e monetaria che è stato firmato da 25 Capi di Governo dell'Unione europea, ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica ceca, il 2 marzo 2012. Il trattato entrerà in vigore il 1o gennaio 2013 a condizione che almeno 12 Stati membri della zona euro lo ratifichino. Se tale condizione dovesse verificarsi prima di tale data, il trattato entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo al deposito del dodicesimo strumento di ratifica;
    ogni Paese, dopo la ratifica del trattato, ha tempo fino al 1o gennaio 2014 per introdurre la regola che impone il pareggio di bilancio nella legislazione nazionale. L'obiettivo, dopo l'entrata in vigore, è quello di incorporare, entro cinque anni, il nuovo trattato nella vigente legislazione europea;
    il fiscal compact è un nuovo insieme di regole, chiamate «regole d'oro», concertate tra Paesi dell'Unione europea che sono vincolanti e prevedono criteri stringenti sulla disciplina di bilancio e di fatto segnano un primo passo verso la rinuncia a parte della sovranità nazionale su questo versante;
    ai fini dell'osservanza del trattato, gli Stati membri s'impegnano ad introdurre nelle legislazioni nazionali il pareggio di bilancio con disposizioni vincolanti e di natura permanente, preferibilmente di tipo costituzionale;
    il trattato stabilisce: la regola del pareggio di bilancio (con un margine massimo di scostamento consentito per il deficit strutturale pari allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo) che le parti contraenti dovranno recepire a livello costituzionale o equivalente; la regola della riduzione del debito pubblico secondo le condizioni e le modalità previste dalla vigente normativa dell'Unione europea, la competenza della Corte di giustizia a monitorare il corretto recepimento della regola del pareggio di bilancio; l'istituzionalizzazione dei «vertici euro» che dovranno essere convocati almeno due volte l'anno;
    il motivo che ha suggerito ai 25 Capi di Governo di non inserire l'obbligo della modifica costituzionale nel trattato, è stato quello di evitare il rischio costituito dalle consultazioni referendarie che in alcuni Stati membri sono obbligatorie per le modifiche costituzionali;
    l'Irlanda ha deciso di sottoporre a referendum popolare l'accordo sul rafforzamento della governance economica cosiddetta «fiscal compact». L'Irlanda ha indetto per ben due volte, nel 2001 e nel 2008, referendum sui trattati europei;
    la ratifica di trattati da parte degli Stati membri è necessaria per l'entrata in vigore del trattato stesso ed avviene secondo le rispettive norme costituzionali. Nel nostro ordinamento la Costituzione prevede (articolo 80 cost.) che le Camere procedano alla ratifica dei trattati tramite legge e che (articolo 75 cost.) non è ammesso il ricorso a referendum per leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali. Questa norma fu concepita quando i trattati e le modifiche ai trattati erano un'eccezionalità;
    risulta doveroso e quanto mai opportuno rimediare all'esclusione dei cittadini dalla partecipazione al processo normativo e decisionale comunitario, permettendo di indire referendum ad hoc sull'adesione o modifica di trattati internazionali che sono per loro natura vincolanti per il Paese membro;  
    non passare attraverso la «voce del popolo sovrano» sarebbe, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ai limiti della legalità costituzionale, da parte di un Governo non legittimato da un'elezione popolare che firma un trattato che di fatto riduce per i prossimi decenni la sovranità dello Stato italiano e riporta il Paese in condizioni di povertà;
    essendo posta sempre più in discussione la sovranità dello Stato, appare urgente e necessario prevedere che la rinuncia di parte della sovranità statale che si accompagna alla ratifica di trattati comunitari sia sottoposta a forme di consultazione popolare, mediante referendum. Ciò consentirebbe peraltro di rimediare a quel «deficit di democraticità» che continua a caratterizzare le istituzioni comunitarie;
    sulla base delle ragioni illustrate la Lega Nord intende presentare una proposta di legge costituzionale per l'indizione di un referendum consultivo sull'adesione al trattato sulla stabilità,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative di competenza per promuovere l'indizione di un referendum consultivo sulla adesione al trattato sulla stabilità cosiddetto «fiscal compact» al fine di dare ai cittadini la libertà di decidere sul proprio futuro economico e sociale.
(1-01065) «Dozzo, Bossi, Maroni, Fugatti, Fedriga, Fogliato, Montagnoli, Lussana, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Forcolin, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».


   La Camera,
   premesso che:
    la mattina di domenica 20 maggio 2012, alle ore 4.03, un terremoto devastante, di magnitudo 5,9 e con ipocentro alla profondità di circa 6 chilometri, ha colpito l'Emilia-Romagna, nella zona tra Modena e Ferrara, e alcune province della Lombardia, provocando 7 morti, oltre 50 feriti e migliaia di sfollati; San Felice sul Panaro, Sant'Agostino, Mirandola, Bondeno, Buonacompra, Finale Emilia sono stati i comuni maggiormente colpiti;
    a seguito di circa 800 ulteriori scosse di intensità minore accadute nei successivi 8 giorni, alle ore 9 del 29 maggio, si è verificata una nuova scossa tellurica nella stessa zona, di magnitudo 5.8 ed alla profondità di 10,2 chilometri, nell'area epicentrale compresa tra Medolla, Mirandola e San Felice sul Panaro, che ha provocato ulteriori 17 morti e oltre 200 feriti;
    sono stati distrutti, edifici pubblici e privati e sono crollate chiese e monumenti; sono ingenti i danni agli edifici storici e di culto e alle case coloniche; sono state devastate una serie di aziende agricole e sono crollati molti edifici industriali e capannoni, provocando morti e feriti tra gli operai;
    l'accavallarsi delle due scosse ha provocato circa 14 mila sfollati, l'evacuazione di ospedali e ha generato il terrore nella popolazione;
    sono ingenti i danni registrati sulle infrastrutture ferroviarie e sulle reti elettriche e del gas. Sono in corso verifiche da parte dell'ANAS a gallerie, ponti e viadotti stradali;
    ad aggravare i disagi della popolazione colpita dal terremoto sono aggiunte le avverse condizioni climatiche e la pioggia incessante;
    la stima provvisoria di danni già del primo sisma del 20 maggio ha raggiunto cifre dell'ordine di centinaia di milioni di euro; è in corso la rendicontazione dei danni al patrimonio artistico e al mondo produttivo;
    perplessità e sgomento tra i cittadini ha provocato il crollo di una serie di stabilimenti industriali, che ha comportato la morte di operai e dimostrato la necessità di controlli stringenti sulla sicurezza degli edifici, che vada al di là della semplice verifica sull'agibilità;
    in particolare, sono ingenti i danni provocati alle aziende agricole nelle campagne di Modena e Ferrara. Nel crollo di rimesse, fienili, capannoni sono andati perduti bestiame, macchinari agricoli, attrezzature, fertilizzanti, impianti fotovoltaici e altro; molte abitazioni rurali sono lesionate;
    pesanti danneggiamenti si sono verificati anche ai magazzini e ai depositi di stoccaggio di Parmigiano Reggiano e Grana Padano e alle acetaie dell'aceto balsamico tradizionale; ad essere colpita è una parte vitale del sistema agroalimentare italiano;
    il totale dei danni stimati dalle associazioni di categoria, a causa del primo sisma del 20 maggio, ammonta a circa 200 milioni di euro, tra crolli e lesioni degli edifici rurali (case, stalle, fienili e serre), danni ai macchinari, agli ammali imprigionati sotto le macerie e alle oltre 400 mila forme di Parmigiano Reggiano e Grana Padano cadute a terra per il crollo delle «scalere»; ad essere colpite sono soprattutto le forme fresche (sei mesi di stagionatura), ormai irrimediabilmente danneggiate, ma il danno è aggravato anche dalla difficile individuazione di nuove strutture per la stagionatura delle forme rimaste integre e dallo shock subito dalle mucche che minaccia la produzione del latte;
    nella sola provincia di Mantova si è certificato il danneggiamento di 178.450 forme di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, per un danno di circa 50 milioni di euro;
    occorre adottare provvedimenti urgenti per sospendere qualsiasi tipo di adempimento di carattere fiscale, tributario, contributivo e creditizio, a carico dei cittadini e degli imprenditori dell'area terremotata, in attesa di una verifica e quantificazione dei danni effettivi, e comunque fino alla ripresa delle attività economiche e sociali nella zona;
   è necessario adottare un programma di controlli mirati sulla sicurezza degli edifici, che vada al di là del semplice controllo sull'agibilità, prima di permettere il rientro dei cittadini e degli operai negli immobili;
    sono indispensabili alleggerimenti burocratici e semplificazioni amministrative per fronteggiare rapidamente le situazioni emergenziali e procedere nel minor tempo possibile alla ricostruzione e alla messa in sicurezza delle aree colpite;
    occorre stanziare immediatamente le risorse finanziarie per fronteggiare l'emergenza e individuare già da ora le fonti di finanziamento per la ricostruzione;
    occorre identificare i soggetti istituzionali cui affidare il potere di derogare alle norme in materia ambientale e di beni culturali, ed in particolare in materia di rifiuti, allo scopo di permettere la celere rimozione delle macerie e dei materiali generati dal sisma, anche dopo il periodo dell'emergenza;
    occorre rivedere le disposizioni del decreto-legge n. 59 del 2012, di riordino della protezione civile, ed in particolare la durata dell'emergenza, stabilita in soli 60 giorni, più eventuali ulteriori 40 giorni;
    occorre provvedere ad attuare serie misure di prevenzione e di manutenzione degli edifici, secondo le nuove norme tecniche sulle costruzioni, di cui al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 14 gennaio 2008, e la nuova carta sismica del Paese;
    è necessario che il Governo provveda immediatamente all'emanazione del decreto di finanziamento degli interventi per la messa in sicurezza antisismica degli edifici scolastici, per il quale è stato già approvato l'atto di indirizzo dal Parlamento ai sensi dell'articolo 2, comma 239, della legge n. 191 del 2009,

impegna il Governo:

   ad adottare nell'immediato le opportune iniziative normative d'urgenza per far fronte all'emergenza e alla ricostruzione delle aree colpite dal sisma, stanziando, immediatamente, le risorse finanziarie necessarie e provvedendo ad individuare, già da ora, le fonti di finanziamento per la ricostruzione;
   a prevedere, in particolare, lo stanziamento delle risorse finanziarie occorrenti per il sostegno delle famiglie le cui abitazioni sono state colpite dal sisma, affinché possano procedere con le opere di ricostruzione;
   ad attivare le iniziative di competenza volte ad impedire severamente il rientro dei cittadini e degli operai negli immobili situati nelle zone colpite dal sisma, prima dell'effettuazione di controlli seri e mirati sulla sicurezza degli edifici che vadano al di là della semplice verifica dell'agibilità, assumendo, nel contempo, le iniziative necessarie ad accelerare il ritorno a casa in sicurezza degli sfollati e la ripresa delle attività economiche;
   ad assumere iniziative per la sospensione immediata dei pagamenti delle imposte e dei contributi da parte delle famiglie e delle aziende colpite dalle calamità, la sospensione della data della presentazione della dichiarazione dei redditi, la sospensione del pagamento dell'IMU per le famiglie e le aziende, la sospensione dei pagamenti dei mutui e dei prestiti contratti dalle imprese con il sistema bancario;
   ad assumere le necessarie iniziative, anche presso le competenti sedi dell'Unione europea, volte a concedere la deroga dal patto di stabilità per spese relative alla ricostruzione e alla messa in sicurezza del territorio, nonché per i conseguenti investimenti, disposti da parte sia dello Stato sia degli altri enti territoriali, per mettere gli enti locali nella condizione di agire rapidamente anche con le risorse proprie;
   a predisporre ammortizzatori sociali per le imprese danneggiate dal sisma ed in particolare la cassa integrazione straordinaria per gli operai oltre che misure di salvaguardia del reddito per imprenditori industriali, artigiani, imprenditori agricoli e relativi lavoratori;
   ad adottare le opportune iniziative per le imprese dei territori dell'Emilia-Romagna e della Lombardia colpiti dal terremoto che hanno un peso significativo nei mercati internazionali affinché non perdano quote di mercato, che potrebbero diventare perdite definitive, a seguito della mancata produzione causata dal sisma;
   ad assumere iniziative per prevedere misure di sostegno e indennizzi per gli imprenditori agricoli, in particolare quelli della filiera dei prodotti a denominazione d'origine (Parmigiano Reggiano, Grana Padano e aceto balsamico) e ad attivarsi presso le sedi dell'Unione europea per la destinazione di fondi a sostegno del comparto agricolo pesantemente danneggiato;
   ad adottare alleggerimenti burocratici e semplificazioni amministrative per fronteggiare rapidamente le situazioni emergenziali e procedere nel minor tempo possibile alla ricostruzione e alla messa in sicurezza delle aree colpite;
   ad assumere le opportune iniziative volte a rivedere le disposizioni del decreto-legge n. 59 del 2012, di riordino della protezione civile, ed in particolare il periodo di durata dell'emergenza ritenuto troppo breve, e a procedere all'identificazione dei soggetti istituzionali cui affidare il potere di derogare alle norme in materia ambientale e di beni e attività culturali, ed in particolare in materia di rifiuti, allo scopo di permettere la celere rimozione delle macerie e dei materiali generati dal sisma, anche dopo il periodo di emergenza;
   ai fini della prevenzione e limitazione dei rischi futuri, a promuovere serie misure di manutenzione degli edifici, secondo le nuove norme tecniche sulle costruzioni, di cui al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 14 gennaio 2008, e la nuova carta sismica del Paese, approvando, a tal fine, un programma straordinario di consolidamento e miglioramento della sicurezza sismica degli edifici pubblici e privati, che possa diventare volano per il rilancio dell'edilizia, per il conseguente rilancio dell'economia e per l'incremento dell'occupazione, nell'attuale momento di crisi economica.
(1-01066) «Dozzo, Bossi, Maroni, Rainieri, Alessandri, Polledri, Pini, Fava, Torazzi, Comaroli, Bitonci, Bragantini, Goisis, Martini, Montagnoli, Munerato, Negro, Callegari, Dal Lago, Dussin, Fabi, Forcolin, Gidoni, Lanzarin, Stefani, Allasia, Bonino, Buonanno, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Fedriga, Fogliato, Follegot, Fugatti, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Isidori, Lussana, Maggioni, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Paolini, Pastore, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stucchi, Togni, Vanalli, Volpi».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    con l'allegato VIII del trattato di pace del 1947 venivano costituite nel porto di Trieste alcune aree all'interno delle quali era consentito il traffico ed eventualmente la trasformazione delle merci in regime di esenzione doganale;
    va ribadita la necessità di mantenere queste aree per favorire le operatività in essere e possibilmente svilupparne delle nuove;
    appare necessario modificare tali zone spostandole e o accorpandole all'interno delle strutture portuali e o retroportuali che consentano una loro ottimizzazione economica e commerciale;
    secondo alcune interpretazioni giuridiche nessuno può modificare o spostare i cosiddetti «punti franchi» senza l'esplicito consenso di tutte le nazioni che hanno sottoscritto il Trattato di Pace del 1947;
    tale interpretazione è, ad avviso dei firmatari del presente atto, totalmente errata anche alla luce di numerosi e ripetuti episodi che hanno visto il prefetto di Trieste e commissario di Governo disporre sospensioni e spostamenti di tali aree con un semplice decreto prefettizio;
    l'interpretazione corretta è quella che vede attribuire la piena disponibilità di tali zone alla potestà governativa così come più volte affermato dal Ministro degli affari esteri e dai funzionari dell'ufficio del contenzioso diplomatico;
    l'amministrazione comunale tramite il sindaco ha ripetutamente sollecitato una puntuale definizione della questione al fine di elaborare le opportune strategie di sviluppo della città e del suo porto;
    vanno considerate le nuove esigenze operative legate anche a particolari vincoli architettonici insistenti su alcune importanti infrastrutture localizzate in particolare nel «punto franco» del porto vecchio di Trieste;
    è indispensabile che a tale scopo siano gli enti locali ad assumere autonomamente le scelte più idonee d'intesa con le linee strategiche di sviluppo nazionale;
    è essenziale per lo sviluppo economico della città di Trieste della regione Friuli Venezia Giulia e più in generale per il nostro Paese una ridefinizione di tali superfici,

impegna il Governo

a chiarire la corretta interpretazione dei trattati internazionali sulle questioni di cui in premessa e ad impartire le conseguenti disposizioni agli uffici competenti.
(7-00886) «Antonione, Menia, Rosato».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    i medici iscritti ai corsi di formazione specifica di medicina generale sono titolari di una borsa di studio pari a circa solo 11.600 euro annui lordi;
    la predetta borsa di studio è assoggettata, ai sensi dell'articolo 17 del decreto del Ministro della salute 7 marzo 2006, sia all'imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF), sia all'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP): conseguentemente l'importo mensile netto della predetta borsa percepito da ogni medico corsista si attesta intorno agli 800 euro mensili;
    tale regime fiscale contrasta con quello giustamente applicabile ai medici iscritti a corsi di specializzazione o a corsi di dottorato di ricerca universitari, ai quali sono riconosciuti emolumenti, a titolo di contratti di formazione o di borse di studio, esenti da tassazione ai sensi dell'articolo 41, comma 1, del decreto legislativo n. 368 del 1999 e dell'articolo 6, comma 4, della legge n. 398 del 1989;
    durante il corso di formazione, che si articola in tre anni, agli iscritti è inibita qualsiasi attività professionale o lavorativa, incluso l'esercizio della libera professione, pena l'esclusione dal corso stesso;
    i medici corsisti sono inoltre gravati integralmente delle spese per la copertura assicurativa obbligatoria sui rischi professionali e sugli infortuni;
    in considerazione della figura professionale e dell'attività di formazione svolta, la non prevista esenzione in favore dei medici iscritti ai corsi di formazione specifica di medicina generale appare del tutto ingiustificata, e potrebbe risolversi in un contenzioso giurisdizionale potenzialmente pericoloso per la stessa amministrazione finanziaria;
    alla luce delle considerazioni appena esposte appare dunque necessario intervenire per eliminare tale anomalia dell'ordinamento tributario,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative volte ad estendere il regime tributario di esenzione, ai fini delle imposte sui redditi, alle borse di studio riconosciute ai medici iscritti ai corsi di formazione specifica in medicina generale.
(7-00885) «Antonio Pepe, Fluvi, Distaso, Fucci».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 5-octies, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, prevede che «i redditi dei fabbricati, ubicati nelle zone colpite dal sisma del 6 aprile 2009, purché distrutti od oggetto di ordinanze sindacali di sgombero in quanto inagibili totalmente o parzialmente, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell'imposta sul reddito delle società, fino alla definitiva ricostruzione e agibilità dei fabbricati medesimi. I fabbricati di cui al periodo precedente sono, altresì, esenti dall'applicazione dell'imposta municipale propria di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni, fino alla definitiva ricostruzione e agibilità dei fabbricati stessi»;
   la citata norma va meritevolmente incontro alle popolazioni abruzzesi colpite dal sisma di tre anni fa, che ancora devono convivere con le difficoltà di una lunga ricostruzione; costituisce però una palese discriminazione rispetto ad altre situazioni, per le quali non vige alcuna agevolazione; è il caso del comune di Nocera Umbra, colpito nel 1997 da un forte terremoto, che ha provocato ingenti danni all'80 per cento del patrimonio edilizio e del comune di Marsciano e altri comuni limitrofi colpiti da analogo dramma il 15 dicembre 2009;
   il recentissimo sisma in Emilia e le prime dichiarazioni del Presidente del Consiglio sulle agevolazioni in tema di IMU ed IRPEF testimoniano dell'importanza di tenere in uguale considerazione tutte le popolazioni colpite da calamità naturali;
   i comuni di Nocera Umbra e di Marsciano, nonostante gli sforzi compiuti in questi anni, hanno ancora parecchi immobili privati non ancora restaurati, per i quali vige ancora lo stato di inagibilità e sui quali ci sarebbe l'obbligo di pagare la nuova IMU introdotta con il decreto-legge 201/2011 –:
   se, al pari di quanto stabilito per le popolazioni abruzzesi colpite dal sisma del 6 aprile 2009, il Governo non ritenga opportuno assumere, iniziative per introdurre l'esenzione IMU anche per gli immobili dei comuni di Nocera Umbra e di Marsciano, oltre che dei comuni limitrofi, ancora inagibili a seguito dei terremoti verificatisi nel 1997 e nel 2009. (4-16355)


   GUZZANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere:
   quali siano le ragioni per cui le popolazioni di Modena e del ferrarese lamentano a viva voce la totale invisibilità fisica dello Stato e dei rappresentanti del Governo;
   se si intenda fornire la più pronta documentazione sui gravissimi crolli dei capannoni industriali, che hanno provocato una strage di fronte ad un evento sismico di grande intensità;
   quali misure immediate siano state prese per le analoghe strutture minacciate da nuove scosse, affinché non siano messe a rischio altre vite di lavoratori imprenditori. (4-16358)


   MURGIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, ha approvato lo statuto speciale della regione autonoma della Sardegna;
   con la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 4 marzo 1998, è stato approvato il decreto legislativo, che prevede – in attuazione dell'articolo 12 dello Statuto speciale della Sardegna – l'istituzione di zone franche nella regione individuate nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax ed in altri porti ed aree industriali ad essi funzionalmente collegati o collegabili;
   la delimitazione territoriale delle zone franche e la determinazione di ogni altra disposizione necessaria per la loro operatività viene effettuata su proposta della regione, con separati decreti del Presidente del Consiglio dei ministri;
   tale delimitazione non è stata ancora eseguita;
   la provincia di Nuoro, non avendo porti industriali, è fuori dagli indubbi benefìci che una zona franca apporterebbe ad un territorio in crisi economica –:
   se il Governo, per venire incontro alle legittime aspirazioni del territorio nuorese, non ritenga idoneo assumere iniziative per «allargare» le maglie del decreto suddetto ed estenderlo proprio alla provincia di Nuoro, in modo che tutti i territori abbiano pari opportunità di crescita;
   se il Governo, in accordo con la regione Sardegna e facendo leva sull'articolo 12 dello Statuto sardo, intenda assumere iniziative per prevedere, in alternativa, una «free zone» anche per il nuorese, contrattando con le amministrazioni locali e la regione ogni aspetto riguardo il fisco per ciò che riguarda singoli investimenti, costo del lavoro e abbattimento di tasse di varia natura, che oggi appaiono come un freno allo sviluppo. (4-16368)


   REALACCI, GRANATA, MARIANI, MARGIOTTA, BRATTI, BRAGA, MORASSUT, SARUBBI, BOBBA, SIRAGUSA, BERRETTA, STRIZZOLO, IANNUZZI e CENNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 marzo 2011 la Società italiana Dragaggi spa – controllata del gruppo belga DEME, ha incaricato la Waterfront Engineering (gruppo Anthos Consulting Srl) a redigere apposito studio di fattibilità per il «Progetto per la salvaguardia del sistema costiero negli ambiti a rischio R4 delle coste siciliane»;
   in data 11 maggio 2011 è stata emanata la legge regionale n. 7 che, all'articolo 11, prevede che la regione siciliana è autorizzata a programmare, in coerenza con il piano nazionale per il Sud di cui alla delibera CIPE 11 gennaio 2011, n. 1, un «piano straordinario per la conservazione, la messa a reddito e la valorizzazione dei beni culturali, dei beni forestali e del patrimonio costiero di proprietà regionale»;
   in data 12 agosto 2011, il soggetto proponente Società italiana Dragaggi-Gruppo DEME ha presentato alla regione siciliana lo studio di fattibilità concernente il «progetto per la salvaguardia del sistema costiero negli ambiti a rischio R4 delle coste siciliane» da realizzare in project financing e proporre per l'inserimento nella lista delle infrastrutture di cui all'articolo 175 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni;
   lo studio di fattibilità riguarda la proposta di una concessione (per 30 anni dal 2012 al 2041) sul complessivo patrimonio demaniale costiero della regione siciliana, prevedendo come corrispettivo dei lavori, oltre al diritto di gestire le opere, anche l'erogazione di un prezzo a valere su risorse pubbliche;
   il quadro economico degli interventi da realizzare pari complessivamente a oltre 1,5 miliardi di euro (1.546.014.560 al netto dell'IVA) prevede sinteticamente la costruzione di:
    consolidamenti, ripascimenti e barriere di difesa costiere per circa 700 milioni di euro;
    pontili, ormeggi e realizzazione di approdi per circa 550 milioni di euro;
    porti a secco per circa 20 milioni di euro;
    parcheggi per 6,6 milioni di euro;
    stabilimenti balneari per 5,4 milioni di euro;
    strutture rimovibili per bar-tavola calda per 3,6 milioni di euro;
    strutture rimovibili adibite a commercio per circa 4,5 milioni di euro;
    strutture per servizi portuali (50.000 posti in approdi e 30.000 in posti a secco) per 2,8 milioni di euro;
    opere impiantistiche per oltre 10 milioni di euro;
    ed addirittura spese di progettazione per oltre 240 milioni di euro;
   il piano di finanziamento contenuto nello studio di fattibilità prevede:
    un mutuo per il 31 per cento pari a euro 479.264.513;
    un contributo pubblico per il 49 per cento pari a euro 757.547.134;
    mezzi propri per il 10 per cento pari a euro 154.601.455;
    mezzi di terzi per il 10 per cento pari a euro 154.601.455;
    il TOTALE è pari a euro 1.546.014.559;
   al fine di tentare di conferire alla proposta una utilità collettiva si afferma che gli interventi saranno in prima istanza tesi alla salvaguardia dei sistemi costieri, individuati coerentemente alle perimetrazioni del piano per l'assetto idrogeologico, ma anche allo sfruttamento sostenibile delle risorse territoriali disponibili, perseguendo l'incremento economico e produttivo delle attività ad esse connesse;
   come è noto il 42 per cento delle spiagge italiane è in forte erosione e la Sicilia, con il 28 per cento circa delle spiagge esposte al rischio, non rappresenta certamente una delle regioni più colpite;
   nello studio di fattibilità si dà atto che le principali cause dell'erosione delle coste sono riconducibili, per lo più, ad azioni antropiche dissennate, quali la realizzazione di sbarramenti lungo i principali corsi fluviali, l'estrazione di inerti in alveo, la cementificazione dei corsi fluviali, che producono una drastica riduzione degli apporti solidi al mare e, quindi, il progressivo arretramento della linea di costa;
   in contrasto con le premesse, il progetto proposto, ad avviso degli interroganti, non incide minimamente su tali cause, perché si tratta di interventi da realizzare in aree non interessanti per le operazioni finanziarie, di valorizzazione fondiaria e speculazione edilizia delle società proponenti;
   in sostanza, gli interventi previsti dal progetto non sono risolutivi delle stesse cause di dissesto, perché non incidono su di esse ma intervengono sugli effetti provando, nel migliore dei casi, a tenerli sotto controllo e a mitigarli. Quindi nel caso della tanto enfatizzata difesa costiera si tratterebbe di un intervento tampone di enormi dimensioni e di manutenzioni limitate alla durata della concessione finalizzate a giustificare la «valorizzazione della fascia costiera»;
   nello studio di fattibilità si dà atto che un'altra causa del dissesto costiero è la realizzazione massiccia di insediamenti turistici che ha prodotto l'alterazione dell'assetto naturale di ampie fasce litorali, creando così le condizioni favorevoli per l'azione erosiva del mare;
   in contrasto con le premesse dello studio, l'intervento previsto è, secondo gli interroganti, addirittura peggiorativo. Infatti, per quanto i progetti di porti o di barriere frangiflutti possano essere realizzati con maggiore attenzione rispetto a quanto non sia avvenuto in passato, producono comunque inevitabili alterazioni dell'equilibrio delle correnti litoranee che quasi sempre innescano processi di erosione costiera. Se è quindi vero quello che gli stessi progettisti dichiarano, l'effetto sarebbe paradossale;
   va soprattutto evidenziato che il piano dei ricavi contenuto nello studio di fattibilità prevede:
    oltre 57 milioni di euro da cessione di posti barca, box nautici e parcheggi ad altro partner;
    38 milioni di euro l'anno da locazioni immobiliari di aree demaniali (581.000 metri quadrati), opere su aree demaniali (522.000 metri quadrati), stabilimenti balneari (68.000 metri quadrati);
    78 milioni di euro l'anno della gestione e locazione di 13.700 posti barca;
    12 milioni di euro l'anno dalla locazione di 7.000 posti in porto a secco;
    0,3 milioni di euro l'anno per locazione di 6.000 posti auto;
    3,5 milioni di euro l'anno da locazione da servizi di accesso wireless a oltre 15.000 posti barca;
    14,5 milioni l'anno da locazione di spazi pubblicitari;
    0,6 milioni di euro l'anno da noleggio di 72 strutture bar;
   il piano finanziario stima, a regime, in 250 milioni di euro l'anno i ricavi ed in oltre 150 milioni di euro l'anno i saldi di cassa;
   nella bozza di convenzione per l'affidamento in concessione proposta da Società Italiana dragaggi spa – Gruppo Deme si legge, tra l'altro, che:
    a) la regione siciliana rilascerà alla società concessionaria, senza oneri a carico di quest'ultima, i provvedimenti amministrativi relativi all'occupazione degli spazi e delle aree pubbliche, che si rendano necessari per l'esecuzione e la gestione delle opere;
    b) la regione siciliana si impegna a riconoscere alla società concessionaria, a fine concessione, la quote di investimento fatte non ammortizzate così come risulta dal libro degli ammortamenti, oltre alle opere non previste dal progetto che si dovessero necessariamente realizzare a causa di eventi non previsti ed imprevedibili da parte del concessionario;
    c) spetteranno alla società concessionaria per tutta la durata della concessione i proventi derivanti:
     dalla vendita in concessione di alcune opere realizzate;
     dalla concessione in uso a rotazione nelle ore diurne e notturne di parcheggi;
     dalla gestione delle opere portuali, in particolare la concessione e l'affitto dei posti barca disponibili;
     i proventi derivanti dalla concessione dei locali adibiti ad uso commerciale – direzionale;
     i proventi derivanti dalla gestione diretta o indiretta di altri manufatti all'interno dell'area in concessione;
   d) per garantire un congruo equilibrio economico finanziario dell'investimento proposto e approvato, nell'ipotesi in cui il totale dei ricavi della gestione annuale del parcheggio, del porto e delle strutture annesse rispetto a quanto previsto nel piano economico finanziario approvato, la regione siciliana dovrà riconoscere alla società concessionaria un contributo gestionale per tutta la durata della concessione, annualmente, tale da poter assicurare l'equilibrio economico-finanziario dell'investimento;
   in data 7 dicembre 2011 il soggetto proponente Società italiana dragaggi spa – Gruppo Deme ha presentato alla regione siciliana un ulteriore documento integrativo concernente l'individuazione di partner operanti nel settore turistico interessati alla proposta progettuale ed una nuova proposta, ampliando a dismisura quella originaria, prevedendo azioni in tre macro aree (difesa costiera, sviluppo turistico, servizi complementari) per un complessivo importo di oltre 3 miliardi di euro (3.166.536.160 senza IVA, il doppio dell'originaria proposta) così articolato: consolidamenti, ripascimenti e barriere di difesa costieri per circa 700 milioni di euro; opere turistiche, ricettive e commerciali per circa 1,5 miliardi di euro; pontili, ormeggi e realizzazione di approdi per circa 350 milioni di euro; porti a secco per circa 35 milioni di euro; parcheggi per 26 milioni di euro; stabilimenti balneari per 9,4 milioni di euro; strutture rimovibili per bar-tavola calda per 7,2 milioni di euro; strutture rimovibili adibite a commercio per oltre 14,5 milioni di euro; strutture rimovibili per servizi portuali per oltre 7,6 milioni di euro; opere impiantistiche per oltre 35,5 milioni euro;
   addirittura le spese di progettazione ammontano a circa 500 milioni di euro;
   in tale nuova proposta si prevede come impegni di parte pubblica, tra gli altri:
    a) la durata della concessione elevabile a 50 anni;
    b) l'utilizzo delle risorse del fondo Jessica per investimento su coste e porti;
    c) la permuta di eventuali beni demaniali in disuso da riconvertire;
    d) l'utilizzo di risorse a valere su FEASR/BEI per interventi sul patrimonio forestale e costiero;
   in tale nuova proposta il soggetto proponente Società Italiana Dragaggi-Gruppo DEME propone e chiede la regione siciliana eroghi un contributo a fondo perduto del 20 per cento dell'intero investimento e pari a oltre 633 milioni di euro (all'incirca lo stesso importo del costo delle opere di consolidamento e ripascimento della costa quantificato in 698.100.000 euro);
   in tal modo la regione sosterrebbe comunque il costo delle opere di difesa costiera, alla cui realizzazione non concorrerebbero di fatto i privati che invece incasserebbero tutti i proventi delle locazioni dei beni demaniali assegnati, così privando il pubblico erario regionale di rilevantissimi introiti;
   è importante tenere presente che in Sicilia la gran parte del patrimonio messo a rischio dall'erosione costiera è costituito da case abusive insanabili o infrastrutture costruite in luoghi non adatti. Se la regione siciliana avesse davvero da investire oltre 600 milioni di euro, come richiesto dal progetto, farebbe bene, ad avviso degli interroganti, a spenderli per provare ad eliminare le cause dell'erosione o, dove ciò non fosse possibile, per la delocalizzazione dei beni «non abusivi» a rischio;
   appare agli interroganti con tutta evidenza che un aspetto peculiare del progetto in esame è il sostanziale affidamento ad un unico soggetto (senza oneri) di tutti i litorali siciliani che poi verrebbero dati in concessione a terzi incamerando i relativi canoni di uso o locazione;
   al di là della qualificazione nominalistica dell'intervento data dai progettisti, sulla base della consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia Europea lo stesso pare configurarsi sostanzialmente come una gigantesca fornitura di servizi dai quali ricavare il capitale impegnato ed un margine di guadagno;
   la direttiva europea 2006/123/CE cosiddetto Bolkestein, si pone l'obiettivo di eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri nonché garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica necessaria all'effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del trattato;
   tra i settori che coinvolgono detta direttiva si parla di «servizi ai consumatori, quali i servizi nel settore del turismo, compresi i servizi ricreativi, i centri sportivi, i parchi di divertimento», ricomprendendosi fra i destinatari della normativa anche le imprese turistico-balneari esistenti nel nostro territorio;
   nel gennaio 2009 la Commissione europea ha trasmesso al Governo italiano un documento di infrazione in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime;
   in particolare si contesta all'Italia in ordine alle concessioni demaniali delle spiagge:
    la compatibilità del diritto preferenziale di insistenza di cui all'articolo 37 codice navale con i principi di cui all'articolo 43 Trattato Ce e dell'articolo 12 di cui alla direttiva servizi n. 2006/123/CE;
    la compatibilità del rinnovo automatico della concessione alla scadenza sessennale di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 400 del 1993, convertito dalla legge 494 del 1994, successivamente modificato dall'articolo 10 legge 88 del 2001;
   a parere della Commissione europea detti due aspetti contrastano con i principi di libertà di stabilimento delle imprese comunitarie (articolo 43 Trattato CE) e di imparzialità, trasparenza e pubblicità delle procedure di selezione dei concessionari (articolo 12, direttiva 2006/123/CE);
   per effetto della «direttiva servizi», le concessioni sul demanio marittimo non potranno più essere rinnovate automaticamente, non valendo più il diritto di insistenza, ma anzi dovranno essere oggetto di un bando con procedura di evidenza pubblica alla scadenza temporale di ogni concessione;
   nello studio di fattibilità presentato dalla Società Italiana Dragaggi Spa – Gruppo Deme si afferma che «La proposta progettuale presentata affronta la problematica secondo una innovativa metodologia. Tale soluzione costituirebbe un progetto pilota, esportabile in altre regioni, che qualificherebbe e distinguerebbe la Regione Sicilia nel panorama nazionale ed europeo, quale proposta di assoluta e massimamente integrata metodologia risolutiva del problema generato dai disastri ambientali per effetto dell'erosione costiera;
   la direttiva Bolkestein recentemente recepita dallo Stato italiano dopo un lungo contenzioso con l'Unione europea, vieta tassativamente il formarsi di una situazione di monopolio di dimensioni mai viste sino ad oggi come discendente dalla proposta della Società Italiana Dragaggi Spa – Gruppo Deme;
   il dipartimento della programmazione della regione siciliana con nota protocollo 19937 dell'11 novembre 2011 ha sollevato una serie di obiezioni ed evidenziato alcune criticità sul merito dei contenuti del piano e sul piano procedurale;
   sarebbe opportuno assumere iniziative per evitare lo sconvolgimento del paesaggio e dell'intero sistema costiero siciliano e per garantire la tutela dei «beni comuni» interessati evitando quella che agli interroganti appare una mega privatizzazione dell'intera fascia costiera demaniale siciliana –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se la procedura in corso sia compatibile con i principi e le norme del diritto comunitario in materia di affidamenti di servizi, concessione di opere pubbliche e contratti pubblici, anche al fine di evitare procedure di infrazione da parte dell'Unione europea. (4-16369)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta orale:


   MOGHERINI REBESANI, BOSSA, BRANDOLINI, CENNI, CILLUFFO, CODURELLI, D'INCECCO, GARAVINI, LUCÀ, MATTESINI, MOTTA, STRIZZOLO e VERINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni è stata annunciata la presentazione ufficiale del programma della XXXIII edizione del meeting per l'amicizia fra i popoli, in programma dal 19 al 25 agosto a Rimini;
   la presentazione del meeting di Rimini avrà luogo mercoledì 6 giugno 2012 all'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede a Roma alla presenza del Ministro degli affari esteri;
   l'appuntamento annuale del meeting di Rimini ha sempre grande rilevanza e eco mediatica, essendo promosso da un movimento ecclesiale che partecipa direttamente al dibattito politico e al confronto tra partiti, con prese di posizione molto esplicite e con l'impegno pubblico diretto in partiti e nelle istituzioni di suoi esponenti;
   le attività delle ambasciate dello Stato italiano dovrebbero mantenere un profilo espressamente istituzionale e non politicamente caratterizzato, proprio per la loro funzione di rappresentanza diplomatica e di tutela degli interessi politici ed economici generali dell'Italia in un Paese estero –:
   se non ritenga inopportuna la decisione di ospitare presso una sede diplomatica dello Stato italiano la presentazione ufficiale di un evento non istituzionale e se non valuti la possibilità di considerarne l'annullamento. (3-02306)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSATO. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   riconosciuta la contaminazione derivante dalle infiltrazioni di mercurio nella foce dei fiumi Aussa e Corno dagli stabilimenti industriali presenti, nel 2002 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva proceduto alla definizione del perimetro del sito di interesse nazionale;
   successivamente, al fine di avviare i progetti di bonifica e di intervento nelle aree della laguna di Marano Lagunare (Udine) e di Grado (Gorizia), il Ministero aveva nominato un commissario delegato per la riscontrata emergenza socio economico ambientale;
   al commissario sarebbe dovuta andare la responsabilità per il disinquinamento della laguna, per la programmazione delle attività e la gestione degli interventi soprattutto di dragaggio dei canali;
   la gestione commissariale, protratta dal 2002 con esiti assolutamente non positivi, è terminata lo scorso aprile con la revoca dell'emergenza socio economico ambientale da parte del Governo, sebbene la situazione non sia risolta;
   si è riscontrata, negli anni, una sostanziale inerzia da parte dei soggetti istituzionali preposti a fornire una risposta rapida e complessiva a favore della ripresa produttiva e occupazionale, che ha rischiato di compromettere definitivamente la possibilità di promuovere e sostenere nuovi investimenti privati per la crescita occupazionale;
   la conclusione della gestione commissariale potrebbe rappresentare l'occasione per porre in essere tutte le attività di bonifica e dragaggio attese dalle istituzioni locali e dagli attori economici del territorio;
   gli interventi programmati nel sito di interesse nazionale, ma che sono rimasti incompiuti, hanno l'obiettivo di realizzare il recupero dell'area, necessaria alla ripresa delle attività anche di tipo portuali;
   il mancato dragaggio dei fondali e il mancato intervento di approfondimento del canale di accesso alle banchine portuali, in particolar modo nella zona di Porto Nogaro, crea, invece, notevoli disagi e danni economici alle imprese che non riescono ad operare nel porto;
   tra l'altro, una ripresa di investimenti privati nell'area, auspicata a più riprese anche dallo stesso Governo, può essere successiva solo alla messa in atto delle opere di bonifica;
   i sindaci dei comuni di Marano, San Giorgio di Nogaro, Carlino e Torviscosa hanno manifestato preoccupazioni relative al rischio che questo passaggio di consegne possa bloccare le opere programmate da realizzare: i dragaggi del Corno, le bonifiche del sito di Torviscosa e la realizzazione della banchina del porto di Marano; la situazione irrisolta dei dragaggi sta bloccando lo sviluppo dell'area e l'insediamento di nuove imprese ed investitori che avrebbero già manifestato il loro interesse ad intervenire nel sito con progetti industriali;
   non è più possibile attendere ancora ulteriore tempo prima che si realizzino le opere di cui il sito necessita –:
   se il Governo intenda intensificare le attività per il dragaggio e le attività di approfondimento dei fondali del canale di accesso alle banchine portuali dal fiume Corno, e in genere quali iniziative il Governo intenda promuovere per il rilancio economico del sito, compresa la realizzazione delle bonifiche e delle infrastrutture progettate;
   ravvisata la necessità di una risposta urgente alle esigenze economico ambientali dell'area del sito di interesse nazionale, se il Governo non intenda creare i presupposti per giungere ad una soluzione dell'emergenza ancora irrisolta anche in collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia, emanando l'ordinanza necessaria per trasferire alla Regione le competenze che erano della struttura commissariale. (4-16366)


   DI PIETRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 ottobre 2011 un'alluvione si è abbattuta sulla provincia di La Spezia provocando ingenti danni a famiglie, aziende ed attività produttive;
   oltre ai ben noti comuni delle Cinque Terre, anche i comuni della Val di Vara si trovano a fronteggiare una grave situazione di dissesto idrogeologico;
   gli importi di somma urgenza, per i comuni della Val di Vara – come da decreto del commissario delegato per il superamento dell'emergenza derivante dagli eventi alluvionali che hanno colpito il territorio Ligure nell'ottobre 2011 3973 n. 6 prot. n. 15 del 23 dicembre 2012 allegato C – localizzazione risorse OPCM 3973/2011 – sono stati quantificati per un ammontare di euro 57.526.700;
   la prima assegnazione di euro 11 milioni agli enti locali maggiormente danneggiati è ben poca cosa rispetto alle urgenze degli stessi;
   in data 18 aprile 2012 una delegazione di sindaci della Val di Vara è stata ricevuta dal Ministro interrogato che si è mostrato disponibile a reperire ulteriori finanziamenti presso il CIPE, nonostante la somma assegnata alla Liguria fosse «stata già impiegata per far fronte ad altre necessità diverse da quelle della Val di Vara» –:
   se non ritenga utile destinare anche alla ricostruzione dei comuni della Val di Vara parte dei risparmi di spesa derivanti dalla riduzione del finanziamento pubblico ai partiti. (4-16370)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   SIRAGUSA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   circa 350 carabinieri ausiliari in congedo, pur avendo prestato servizio nell'Arma per 3 anni con abnegazione e spirito di sacrificio, si ritrovano oggi tra le fila del precariato, non avendo potuto, al termine della ferma contratta, sviluppare una carriera nelle forze armate o nelle forze di polizia ad ordinamento militare o civile;
   la maggior parte degli ausiliari, al termine del percorso nell'Arma, nonostante sia risultata idonea al proseguimento di carriera, non è stata prescelta per la ferma quadriennale, venendo congedata per esubero ed esclusa, di fatto, dall'immissione nei ruoli del servizio permanente delle forze armate;
   l'Arma dei carabinieri, ai fini di completamento dell'organico, ha più volte indetto concorsi pubblici, ai quali hanno avuto accesso sia ex appartenenti alle forze armate sia privati cittadini;
   in tal senso, il decreto legislativo n. 198 del 1995, nel dettare norme relative al reclutamento dei carabinieri, ha richiamato la legge n. 537 del 1993. Tale legge prevedeva che il Governo emanasse uno o più regolamenti per «incentivare il reclutamento di cui alla legge 24 dicembre 1986, n. 958, e successive modificazioni, riservando ai volontari congedati senza demerito l'accesso alle carriere iniziali nella Difesa, nei Corpi armati e nel Corpo militare della Croce rossa»;
   le quote di cui sopra non sono però state rispettate, tanto che nei recenti concorsi banditi dall'Arma dei carabinieri per gli ausiliari in congedo non è stata prevista alcuna riserva di posti, essendo questi ultimi esclusivamente destinati agli altri Corpi delle Forze armate;
   uguale discriminazione si è verificata con l'approvazione della legge 226 del 2004 per i volontari dei vigili del fuoco, che ha trovato giusta risoluzione con l'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, il quale ha permesso nell'anno 2008 bandire un concorso con riserva di posti a favore dei volontari ausiliari dei vigili del fuoco in congedo –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per favorire l'istituzione di quote di riserva, a vantaggio dei carabinieri ausiliari in congedo, nei concorsi banditi dall'Arma. (4-16362)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   secondo quanto previsto da un rapporto economico della banca d'affari svizzera Ubs, predisposto nel mese di settembre 2011, ma pubblicato dal quotidiano «Il Corriere della Sera» il 19 maggio 2012, nel caso d'uscita da parte della Grecia dall'Unione monetaria europea, la capacità di ripagare il proprio debito sarebbe fortemente compromessa e il costo complessivo per i cittadini dell'eurozona, aumenterebbe di 4 volte, determinando un aggravio stimato in 225 miliardi di euro;
   l'analisi effettuata dalla suddetta banca d'affari internazionale indica inoltre che nel caso la Grecia non abbandonasse l'area euro, attraverso un'altra ristrutturazione del proprio debito, giudicata inevitabile, si configurerebbe comunque un aggravio per i cittadini europei di 60 miliardi di euro;
   la fuoriuscita del Paese ellenico dall'area euro, a giudizio del medesimo rapporto, causerebbe inevitabili conseguenze di perdite finanziarie attribuibili all'intero capitale dell'eurosistema da parte della Banca centrale europea, attualmente pari a 83 miliardi di euro, che con le banche centrali nazionali sarebbero costrette ad essere ricapitalizzate;
   il suesposto scenario numerico, sostiene il rapporto della Ubs, considera soltanto le svalutazioni dei titoli del debito pubblico greco, ma il rischio maggiore consiste nei cosiddetti effetti secondari e in particolare nella potenziale fuga dei depositi dalle banche degli altri Paesi europei che il Grexit (crasi dall'inglese greek exit) provocherebbe, determinando conseguenze gravi e penalizzanti per i contribuenti europei;
   per salvare le banche, suggerisce il rapporto della Ubs, gioverebbe una garanzia europea sui depositi, così come la Commissione europea l'anno scorso inizialmente era intenzionata ad introdurre e poi abbandonò per evitare che i contribuenti dell'Olanda o della Germania, diventassero garanti dei depositi di Portogallo o Spagna;
   a giudizio dell'interrogante quanto prospettato dal rapporto della Ubs svizzera, ove fosse considerato realistico, aumenterebbe i rischi per il nostro Paese di essere nuovamente colpito da attacchi speculativi da parte dei mercati finanziari, determinando un peggioramento sia dello scenario economico e finanziario nazionale, già costretto a fronteggiare una fase recessiva particolarmente difficile e critica, che dell'economia reale, con prevedibili conseguenze di ulteriori interventi di correzione dei conti pubblici per assicurare la stabilità finanziaria e rassicurare i mercati;
   il suesposto e inquietante scenario, prospettato da Ubs, a giudizio dell'interrogante, si ricollega a un ulteriore documento secondo cui esisterebbe un piano segreto per difendere l'Italia dal rischio fallimento della Grecia e dalla fuoriuscita dall'euro così come pubblicato dallo stesso quotidiano, «Il Corriere della Sera» sabato 19 maggio;
   secondo quanto pubblicato dal suesposto quotidiano, il piano discusso al recente G8 a sostegno dell'Italia, coincide con ciò che ha prospettato il rapporto della Ubs, ovvero l'introduzione di un sistema europeo di garanzie sui depositi bancari;
   ogni Governo attualmente offre ai risparmiatori sui loro conti in banca fino ad un certo limite (in Italia fino a 103 mila euro); l'obiettivo di queste coperture è prevenire il rischio di una corsa agli sportelli bancari in considerazione che i ritiri della clientela potrebbero determinare gravissime ripercussioni sul sistema bancario; al riguardo, l'interpellante evidenzia che in media i depositi di famiglie e imprese finanziano la metà degli istituti di credito;
   la finalità del suddetto piano segreto dell'Italia in caso di fuoriuscita della Grecia dall'euro è conseguentemente dettata dal timore che le garanzie nazionali potrebbero non essere sufficienti, qualora la crisi greca degenerasse improvvisamente all'ultimo stadio;
   in Europa infatti le garanzie sui depositi bancari non sono tutte uguali, in considerazione del fatto che alcune sono offerte da Stati con bilanci molto solidi e credibili altri da Governi con conti pubblici fragili;
   se la corsa ai ritiri dei fondi accelerasse in Grecia, evento che peraltro sembrerebbe già avviato, per l'Europa e l'Italia in particolare si avvierebbe una fase delicatissima dagli esiti imprevedibili –:
   quale orientamento intenda esprimere, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se sia a conoscenza del contenuto del rapporto pubblicato dalla banca d'affari elvetica Ubs e, in caso affermativo, se ritenga possa essere considerato realistico e imminente;
   in caso affermativo, quali iniziative intenda intraprendere al fine di tutelare e salvaguardare il sistema economico e finanziario nazionale, già influenzato da una crisi preoccupante probabilmente la peggiore del dopo guerra, tenendo conto che l'azione di risanamento dei conti pubblici e delle riforme strutturali, sebbene condivisibile non deve aggravare ulteriormente il tessuto economico e sociale del Paese;
   se siano stati inoltre quantificati i costi per l'Italia derivanti dalle conseguenze dell'uscita della Grecia dall'euro e come si configurerebbero eventuali interventi da parte del Governo per sostenere l'ulteriore aggravio;
   se intenda confermare quanto pubblicato dal quotidiano esposto in premessa, secondo cui esisterebbe l'esistenza di un piano segreto per sostenere l'Italia in caso di fuoriuscita della Grecia dall'area euro, attraverso un sistema europeo di garanzie sui depositi bancari;
   se ritenga infine concreta l'eventualità che a seguito degli effetti derivanti dall'uscita della Grecia dall'euro, come riportato dal rapporto della Ubs, si possano determinare degli effetti di panico nei contribuenti italiani, con una potenziale fuga dei depositi di risparmio e dei capitali giacenti presso gli istituti di credito nel nostro Paese.
(2-01520) «Nastri».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI BIAGIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della sentenza del 2 ottobre 2009, n. 5987 del Consiglio di Stato i dipendenti delle Poste italiane spa, anche dopo cessata attività, possono accedere agli atti di organizzazione interna della società;
   la suindicata decisione, riprende il tema dell'applicazione soggettiva del diritto di accesso, ai sensi della legge n. 241 del 1990, di cui, l'articolo 23, da ultimo modificato con la legge n. 15 del 2005 definendo l'ambito dei soggetti nei cui confronti è esercitabile tale diritto, e ricomprende non solo tutte le pubbliche amministrazioni, ma altresì le aziende autonome e speciali, nonché gli enti pubblici e i gestori di pubblico servizio;
   nello specifico nei confronti degli enti pubblici e i gestori di pubblico servizio si è già espresso il Consiglio di Stato per l'applicabilità del diritto di accesso, ai sensi dell'articolo 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990, che ha ricomposto la questione stabilendo che l'imprenditore privato, quando svolge, in base a tale titolo, un pubblico servizio, poiché è tenuto a soddisfare gli interessi pubblici, rispettando l'articolo 97 della Costituzione, è assoggettato al diritto di accesso di cui alla legge n. 241 del 1990;
   in base alla copiosa giurisprudenza amministrativa in materia, il diritto di accesso, oltre all'attività di diritto amministrativo, comprende anche quella di diritto privato, posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi, quando, anche indirettamente, è collegata alla gestione del servizio da un nesso di strumentalità derivante anche, sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica e la gestione del rapporto di lavoro con i propri dipendenti, da parte delle Poste è da considerarsi strumentale al servizio gestito, tale da incidere potenzialmente sulla qualità del servizio, il cui rilievo pubblicistico va valutato sia riguardo alla dimensione oggettiva, che anche di quella propriamente soggettiva dell'ente;
   alla luce dei suindicati aspetti stando alla pronuncia del Consiglio di Stato, la società Poste italiane spa è soggetta alla disciplina in tema di accesso in relazione all'attività di organizzazione delle forze lavorative e, quindi, del servizio postale, per tale ragione negli ultimi dieci anni Poste italiane spa è stata richiamata a rispettare l'applicazione della legge n. 241 del 1990 sulla trasparenza amministrativa;
   in data 23 giugno 2011 il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ha condannato Poste italiane al pagamento delle spese processuali ed ha nominato per l'ottemperanza il Commissario ad acta nella persona del prefetto di Torino o in funzione da questi delegato per l'esecuzione della sentenza del TAR Piemonte n. 655 del 2009 depositata il 6 marzo 2009, ritualmente notificata l'8 luglio 2009 e confermata dal Consiglio di Stato in data 25 gennaio 2010 con sentenza n. 252 del 2010 notificata a Poste italiane spa in data 24 maggio 2010, per il rilascio al dipendente/ricorrente la documentazione riguardante le promozioni relative al progetto leadership della Unità produttiva di Torino CMP – centro di meccanizzazione postale – e la pianta organica della U.P. di Torino CMP dopo il progetto leadership;
   nonostante l'ordine già impartito dal TAR del Piemonte e dal Consiglio di Stato, ancora a tutt'oggi, la società Poste italiane spa non ha ottemperato all'esibizione dei documenti richiesti dal dipendente e indicati nella sentenza n. 655 del 2009, di fatto frustrando il diritto alla tutela giurisdizionale del dipendente/ricorrente;
   con decreto del Ministero delle comunicazioni del 24 agosto 1999, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 211 del 8 settembre 1999, è stato fatto l'atto di determinazione dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti della società per azioni Poste Italiane, come previsto dall'articolo 24 della legge n. 241 del 1990 per tutte le amministrazioni pubbliche, i concessionari e i gestori di pubblico servizio;
   con verbale n. 5 del 1999 il consiglio di amministrazione delle Poste italiane spa ha adottato il regolamento di attuazione dell'articolo 24, quarto comma, della legge n. 241 del 1990 e sono state sottratte al diritto di accesso, come deliberato all'articolo 3 del suddetto verbale, le seguenti categorie di documenti formati da Poste italiane spa: a) documenti ispettivi riguardanti provvedimenti disciplinari e giurisdizionali in corso; b) giudizi diagnostici riguardanti i dipendenti; c) documenti relativi all'iscrizione ed alle contribuzioni dei singoli dipendenti alle organizzazioni sindacali;
   sebbene Poste spa abbia adottato il suindicato regolamento ai sensi della legge sulla trasparenza, la medesima società nei fatti sembra non intenda adeguarsi a quanto sancito dalla medesima legge ed indicato in premessa, al fine di poter gestire in modo del tutto privatistico il personale dipendente, facendo riferimento a risorse pubbliche nel contenzioso amministrativo giurisdizionale e civile;
   ne emerge dunque un comportamento discutibile in capo a Poste italiane spa che nei fatti si rifiuta di ottemperare alle sentenze dei tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato –:
   quale iniziativa concreta immediata ed efficace si intenda assumere per sanare definitivamente il suindicato comportamento di Poste italiane spa. (5-06972)


   CAPARINI, CONSIGLIO e COMAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'inchiesta della Corte dei conti che ha accertato irregolarità per oltre 80 miliardi di euro di danno erariale lo Stato, grazie alla condanna dei monopoli e delle società concessionarie del cosiddetto gioco legale, potrà recuperare 2 miliardi e mezzo di euro;
   una operazione senza precedenti frutto delle attività tecnico-investigative del colonnello Umberto Rapetto della Guardia di finanza che, con i suoi collaboratori del nucleo, speciale frodi telematiche, ha conseguito un risultato senza precedenti;
   immediatamente dopo la sentenza di condanna di monopoli e concessionari alla multa miliardaria il protagonista dell'operazione è stato rimosso dal comando del nucleo;
   il colonnello Rapetto, noto mediaticamente come «lo sceriffo del web», è stato per circa dieci anni (di cui otto consecutivi) il comandante del reparto speciale per la tutela dei cittadini dai rischi e pericoli su internet, meritando la stima della collettività ed è stato proposto per una progressione di carriera per meriti eccezionali di servizio con lettere del procuratore generale della Corte dei conti dottor Ribaudo;
   il nucleo speciale, sotto la guida del colonnello Rapetto, ha conseguito in questi anni numerosi successi investigativi come la condanna in via definitiva degli hacker che avevano violato i siti web del Pentagono, della NASA, di moltissimi governi stranieri, del Senato della Repubblica e di numerosi enti pubblici italiani, guadagnandosi consolidata stima e sincero rispetto professionale a livello internazionale;
   il colonnello Umberto Rapetto è stato l'interlocutore di numerose procure della Repubblica che gli hanno affidato gli incarichi di maggiore delicatezza e di estrema difficoltà come la scoperta delle irregolarità commesse con il sistema informatico del comune di Roma per le pratiche di condono edilizio, l'accertamento di responsabilità dell'esplosione dello stabilimento di Paderno Dugnano, l'identificazione di infiltrazioni camorristiche nei sistemi di telefonia mobile al centro direzionale di Napoli, il recupero e all'analisi dei dati memorizzati nella scatola nera e nei computer di bordo della nave Costa Concordia;
   l'ufficiale Rapetto è da tanti anni docente universitario e attualmente insegna alla Facoltà di Ingegneria di Genova, è autore di oltre 50 libri, scrive ed ha scritto per i più importanti quotidiani e periodici nazionali meritando con altissima frequenza la prima pagina o il pezzo di copertina, ha insegnato nelle stesse scuole la cui semplice frequenza si tramuta in vantaggio di carriera (Scuola di guerra, Scuola di polizia tributaria, Istituto superiore degli stati maggiori interforze, Istituto alti studi difesa, Scuola di perfezionamento delle forze di polizia, NATO School di Oberammergau), è stato consulente di Commissioni parlamentari di inchiesta e consigliere per la sicurezza tecnologica persino del presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR);
   il 30 marzo 2012 su Italia Oggi a firma di Stefano Sansonetti si legge che sono stati encomiati il capitano Daniele Tino perché «interpretando con intelligenza le direttive ricevute, svolgeva con elevatissima perizia e professionalità l'incarico di speaker ufficiale della parata militare in occasione della cerimonia celebrativa del 237o annuale di fondazione del corpo», il maggiore Piergiuseppe Cananzi, il quale, «sostenuto da eccezionale senso di responsabilità e straordinarie qualità relazionali, ha personalmente seguito e coordinato la regia televisiva della Rai al fine di assicurare, sapendone cogliere e risaltare i momenti fondamentali, massimo risalto e pregio all'evento legato all'insediamento del nuovo Comandante generale» il maresciallo aiutante Vitaliano Roberto perché «quale conduttore dell'automezzo adibito al trasporto del Capo dello Stato e delle massime cariche istituzionali presenti, dimostrando eccezionale perizia e capacità di autocontrollo, eseguiva con assoluta perfezione i delicati compiti a lui assegnati in occasione della cerimonia militare»;
   l'ufficiale Rapetto oltre a non aver mai conseguito alcun riconoscimento per l'attività svolta è stato inviato dal Comando generale alla frequenza di un corso al centro alti studi difesa dove lo stesso colonnello, già docente nei corsi di aggiornamento del Consiglio superiore della magistratura, insegna da oltre quindici anni con il ruolo di conferenziere nelle iniziative seminariali di maggiore importanza di quell'istituto militare;
   a conferma dell'attaccamento alle istituzioni e del profondo rispetto del Corpo in cui ha militato il colonnello Rapetto di fronte all'esito sfavorevole alla richiesta di avanzamento non ha presentato alcun tipo di ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale e si è congedato;
   gli interroganti ritengono l'intera vicenda paradigmatica dell'inefficienza del sistema premiale e delle progressioni di carriera nella pubblica amministrazione oltre che dello svilimento di qualsiasi principio meritocratico mortificando la capacità e l'impegno dimostrati;
   l'imminente congedo del colonnello Rapetto è senza dubbio da considerare un depauperamento della pubblica amministrazione che perde un esponente che per spirito di abnegazione, professionalità, capacità e dedizione ha conseguito risultati senza precedenti al servizio della comunità e delle istituzioni –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per sanare la palese ingiustizia riconoscendo al colonnello Rapetto e alla sua squadra il lavoro svolto. (5-06982)

Interrogazione a risposta scritta:


   PICIERNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   lo storico Palazzo degli Esami, esteso in un intero isolato del rione di Trastevere, è un edificio del 1912 di proprietà dello Stato, progettato dall'ingegner Edmondo Del Bufalo, ed è stato sede fino a dieci anni fa circa di concorsi ed esami di Stato per funzionari pubblici, insegnanti, giornalisti e altro nonché di scrutini elettorali;
   il direttore generale dell'ufficio centrale per i beni archeologici architettonici artistici e storici il 3 giugno 2000 ha apposto il vincolo monumentale sul Palazzo degli Esami, dichiarando che l'immobile ha interesse particolarmente importante ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), per i motivi contenuti nell'apposita relazione storico-artistica;
   nel 2002 sono iniziati, con procedure ad avviso dell'interrogante prive di qualsiasi trasparenza e pubblicità, i progetti ed i lavori di ristrutturazione del Palazzo per inserirvi una sede dei «servizi segreti», e quattro anni dopo, nel 2006, i lavori si sono fermati senza alcuna giustificazione ufficiale. Dalla fine del 2008 risulta che il cantiere ed i relativi lavori siano stati «desegretati»;
   i lavori sono ripresi dalla metà del 2011, ad opera dell'impresa IMAC spa, secondo il progetto originario dell'architetto Mario Occhiuto, e i lavori dovrebbero concludersi nell'ottobre del 2012, con successivo collaudo;
   il destino del Palazzo degli Esami, sia per il suo valore architettonico che per gli effetti che la sua utilizzazione potrebbe avere sull'intero quartiere in cui è situato, sta a cuore a tutta la cittadinanza;
   il consiglio del municipio centro storico di Roma ha approvato all'unanimità la risoluzione n. 22 dell'11 dicembre 2009, con cui, in considerazione dell'ubicazione dell'edificio nell'ambito del territorio di propria competenza, si richiedeva al comune di acquisire il Palazzo degli Esami e di metterlo a disposizione della cittadinanza;
   il comune di Roma ha richiesto all'Agenzia del demanio nel 2011 di prendere possesso dell'immobile, senza peraltro indicarne l'utilizzo, nei termini e secondo le procedure del cosiddetto «federalismo demaniale», ai sensi del decreto legislativo n. 85 del 28 maggio 2010;
   l'assessore alla cultura ed al centro storico Dino Gasperini, d'altra parte, ha smentito sulla stampa di essersi interessato alla questione e di aver fatto richiesta all'Agenzia del demanio o ad altri soggetti istituzionali per l'assegnazione al comune di Roma del Palazzo;
   le associazioni locali attive a Trastevere propongono che l'edificio sia utilizzato non già da non meglio identificate «forze dell'ordine», ma per finalità culturali secondo un progetto che comprenda anche il vicino edificio dell'ex GIL, di proprietà comunale e regionale, progettato dall'architetto Luigi Moretti;
   il professor Ernesto Galli Della Loggia, membro del comitato dei garanti per le celebrazioni del 150o anniversario dell'Unità nazionale, in un editoriale del Corriere della Sera, uno dei principali quotidiani nazionali, ha scritto il 20 luglio 2009, mai smentito da alcuno, che «il Comune di Roma [...] con 40 milioni promette di sistemare a nuovo il Palazzo degli esami di via Induno»;
   l'imprenditore Pierfrancesco Murino, titolare dell'IMAC spa al momento dell'appalto dei lavori, è stato rinviato a giudizio nel settembre 2011 per corruzione ed associazione a delinquere, con altri 17 tra cui Diego Anemone, Angelo Balducci (ex provveditore alle opere pubbliche del Lazio), Fabio De Santis (suo successore), Guido Bertolaso, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti del G8 e i «Grandi eventi» che si è estesa ad alcuni dei maggiori appalti degli ultimi anni, dai Mondiali di nuoto a Roma del 2009 al G8 della Maddalena, fino alle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia ed agli appalti del SISDE (giornalisticamente riportata come «inchiesta sulla cricca») –:
   se il Governo sia a conoscenza delle situazioni di fatto in premessa; se, dal momento che i lavori risultano non più «segretati» dal 2008, si intenda chiarire chi abbia deciso l'intervento, per quale finalità e per quale importo, e quale ruolo vi abbiano svolto da un lato i responsabili pro tempore del provveditorato interregionale per le opere pubbliche di Lazio-Abruzzo-Sardegna e dall'altro Pierfrancesco Murino titolare pro tempore della ditta IMAC spa, tutti rinviati a giudizio dal tribunale di Perugia nell'ambito della citata inchiesta;
   se siano a conoscenza di chi abbia fatto la richiesta dei 40 milioni di euro, citata in un editoriale del Corriere della Sera, al Comitato interministeriale per le celebrazioni del 150o dell'Unità d'Italia, ovvero alla «struttura di missione» per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia, ovvero al comitato dei garanti per le celebrazioni del 150o anniversario dell'Unità nazionale;
   con quale tipologia di contratto si sia proceduto ai lavori e a cosa sia dovuto il blocco del cantiere nel corso dei lavori per carenza di fondi rispetto alle somme inizialmente stanziate per l'intervento;
   quali siano le risorse già utilizzate, nonché le risorse ed i tempi ancora necessari per il completamento dei lavori di adeguamento e ristrutturazione oggi in corso, parziali rispetto a quelli inizialmente previsti;
   se si intenda intervenire perché allo storico immobile nel cuore di Trastevere, a metà strada tra le sedi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) e del Ministero per i beni e le attività culturali (MIBAC), sia assegnata un'adeguata funzione culturale e/o scientifica, anche in considerazione della circostanza che altre destinazioni (come gli uffici per le «forze dell'ordine»), per il loro carico urbanistico, potrebbero gravemente aumentare la congestione da traffico nel rione. (4-16375)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RUBINATO e FOGLIARDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, in tema di liberalizzazioni e ristrutturazione degli ordini professionali, stabilisce che la durata massima del tirocinio per i praticanti non può essere superiore a 18 mesi;
   il parere reso dall'ufficio legislativo del Ministero della giustizia il 14 maggio 2012, con riferimento alla durata del tirocinio, in risposta al quesito che molti ordini professionali, come gli avvocati ed i commercialisti, avevano posto, ossia se la durata dei 18 mesi si dovesse applicare anche ai praticanti che hanno iniziato anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto, è stata negativa; il Ministero ha affermato che «non sembra che vi siano margini interpretativi per ritenere che le nuove disposizioni sulla durata del tirocinio possano essere applicate retroattivamente»;
   secondo l'interpretazione data dal Ministero della giustizia, per fare un esempio, i praticanti iscritti dal 24 gennaio 2012 terminano il praticantato professionale prima di un collega iscrittosi all'ordine dei dottori commercialisti in data 16 febbraio 2011 – nel periodo in cui vigeva la vecchia normativa della durata del praticantato di tre anni – e possono dunque sostenere prima l'esame di stato, creando una disparità di trattamento;
   se la volontà del Governo e del legislatore è infatti di favorire l'accesso dei giovani al mondo del lavoro, quale elemento che caratterizza la straordinarietà e l'urgenza dell'intervento normativo, appare logico che l'intenzione fosse quella di estendere a tutti i giovani, da subito, la riduzione del periodo di preparazione all'accesso alla professione, anche in ossequio all'articolo 12 delle preleggi, che impone un'interpretazione letterale della norma;
   per questo una delibera del consiglio dell'ordine degli avvocati di Firenze in merito all'applicazione del tirocinio dei 18 mesi ha rilevato che «una interpretazione restrittiva della norma, rappresenterebbe dei profili di dubbia costituzionalità sotto il profilo della disparità di trattamento perché si vengono a determinare casi di praticanti iscritti dopo il 24 gennaio 2012 che riuscirebbero a sostenere l'esame di avvocato con un anno di anticipo rispetto a chi invece si è iscritto, anche solo di pochi giorni, prima di tale data, provocando quindi una discriminazione per l'acquisizione del titolo e conseguentemente per l'entrata nel mondo del lavoro»; ed inoltre che «la mancanza di una norma transitoria che disciplini i casi di quei praticanti già iscritti alla data del 24 gennaio 2012 ma che completino la pratica in data successiva e la scelta legislativa della decretazione in via d'urgenza, depongono per una applicazione immediata della legge a tutti i tirocini in corso»;
   dello stesso avviso il segretario generale dell'Associazione Nazionale Forense, Ester Perifano, che ha dichiarato: «Un'interpretazione formalistica, che più che spiegare, contraddice un provvedimento che era stato annunciato per facilitare il percorso di inserimento nel mondo del lavoro e che invece rischia di essere l'ennesima beffa per migliaia di giovani. Questi giochini nei riguardi dei giovani professionisti sono inaccettabili ci auguriamo che il Ministro della giustizia faccia al più presto un passo indietro, e restituisca alla norma il suo intento originario che era a favore dei giovani e del lavoro»;
   la cosiddetta pianificazione delle attività del tirocinio è un elemento assai labile a sostegno della tesi contenuta nel parere del Ministero della giustizia per la non applicazione della norma citata ai praticanti in corso, sia perché non tutti i dominus stilano un piano di formazione professionale del praticante, mentre risulta essere più spesso presente la situazione in cui lo stesso praticante è adibito a svolgere mansioni legate solo marginalmente all'attività professionale o più spesso di segreteria; sia perché la formazione e l'acquisizione degli elementi professionali si acquisiscono in ogni momento, anche durante l'attività professionale magari anche quando è consolidata da anni di esperienza;
   si rileva altresì che fino al 1995 i laureati in discipline economiche potevano sostenere l'esame di stato di dottore commercialista e revisore legale senza svolgere alcun tirocinio: allo stato attuale il praticantato ha una durata di 3 anni, l'esame di stato consiste in quattro prove nella quale solo una percentuale bassa che oscilla tra il 10-13 per cento per ogni singola sessione d'esame lo supera. In sintesi, l’iter si è dimostrato e si dimostra ancora lungo e molto impegnativo sia sull'aspetto lavorativo e di studio sia quello economico, ritardando l'accesso al mondo lavorativo –:
   se non ritenga, per facilitare il percorso di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e per evitare di dare luogo a una disparità di trattamento, di modificare l'interpretazione formalistica e restrittiva data alla citata norma di legge, eventualmente anche attraverso un'iniziativa normativa urgente di modifica del dato letterale dell'articolo 9, comma 6, del decreto-legge n. 1 del 2012, come convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, in ossequio alla ratio del complesso delle disposizioni normative del pacchetto in materia di liberalizzazioni. (5-06977)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento stradale Salerno-Avellino, nel tratto fra Mercato San Severino e Salerno, svolge una funzione di indubbia valenza nazionale;
   infatti, tale arteria collega le autostrade A30 Caserta ed A3 Salerno-Reggio Calabria, fungendo, quindi, da raccordo autostradale;
   di conseguenza, questa rete stradale è interessata da un enorme volume di traffico che, spesso, determina veri e propri ingorghi con code chilometriche di veicoli che paralizzano per ore la circolazione e che rappresentano un pericolo per gli utenti;
   il potenziamento e l'adeguamento di tale strada sono necessari per alleggerire e per rendere scorrevoli il traffico e le comunicazioni verso il Sud e dal Sud, attraverso il collegamento fra le autostrade A30 e A3;
   il raccordo Salerno-Avellino, allo stato, presenta condizioni di sicurezza assolutamente inadeguate, proprio per la ristrettezza e l'insufficienza della sede stradale — due sole corsie per ogni senso di marcia – e per l'elevato livello del traffico;
   il potenziamento del raccordo è una priorità assoluta nella politica infrastrutturale del Paese, essendo parte integrante dell'asse autostradale Roma-Caserta-Salerno-Reggio Calabria;
   dopo anni di discussioni in merito alla soluzione progettuale più idonea, l'Anas, ha indetto nel 2002 una gara pubblica per la progettazione dell'adeguamento dell'attuale tracciato stradale, ampliando da due a tre corsie per ogni direzione di marcia, oltre alla striscia dell'emergenza ed alla messa in sicurezza dell'intero raccordo;
   l'incarico di progettazione è stato aggiudicato alla società Bonifica Core di Roma, per il tratto da Salerno fino alla galleria di Solfora, e ad un libero professionista per il tratto ulteriore fino ad Avellino;
   da tempo la società Bonifica ha consegnato gli elaborati del progetto preliminare, unitamente alla valutazione di impatto ambientale;
   l'accelerazione dell'iter progettuale è indispensabile, attesa la rilevanza straordinaria dell'opera;
   il finanziamento del primo lotto del raccordo «Mercato San Severino-Fratte», il cui costo complessivo è stato stimato in 246 milioni di euro, venne inserito dal Governo Prodi nel piano regionale della mobilità 2007-2013 per l'importo di 190 milioni di euro; la quota residua di 56 milioni di euro avrebbe dovuto ricadere sulle risorse della legge obiettivo;
   tale finanziamento è stato tuttavia revocato e cancellato dal Governo Berlusconi con il decreto-legge n. 112 del 2008 promosso dal Ministro pro tempore Tremonti. Il Cipe, solamente nella seduta del 3 agosto 2011, ha riassegnato parzialmente il finanziamento del 1o lotto, destinando all'ammodernamento del tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino 123 milioni di euro; in seguito nessuna ulteriore risorsa è stata assegnata a questa opera di tanta rilevanza strategica per l'intero sistema autostradale italiano; né il Governo Monti ha provveduto a completare il finanziamento del 1o lotto di questa infrastruttura;
   è indispensabile acquisire tale finanziamento, tenuto conto che il progetto può essere realizzato in fasi e stadi diversi e graduali, iniziando proprio dal tratto di massima rilevanza nazionale Mercato San Severino-Fratte, la cosiddetta «barriera»;
   è necessario adeguare il raccordo per garantire che il traffico veicolare dalle tre corsie della A30 raggiunga la A3 con tre corsie nel tratto salernitano, attraverso un collegamento Mercato San Severino-Salerno anche esso dotato delle necessarie tre corsie ed in regola con una moderna e funzionale messa in sicurezza –:
   in quali tempi e con quali provvedimenti il Governo intenda assegnare le ulteriori risorse (123 milioni di euro), occorrenti per finanziare integralmente la realizzazione del 1o lotto dell'accordo, nel tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino, che costituisce una sorta di «lotto zero», di «porta di accesso» all'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, che assolve alla funzione, così essenziale e di assoluta valenza nazionale, di raccordare le autostrade A30 ed A3 e che, come tale, è parte integrante del sistema autostradale italiano e provvede a collegare il Nord ed il Centro con il Sud del Paese. (5-06973)

Interrogazione a risposta scritta:


   COSENZA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 157, comma 7-bis, del codice della strada afferma: «È fatto divieto di tenere il motore acceso, durante la sosta del veicolo, allo scopo di mantenere in funzione l'impianto di condizionamento d'aria nel veicolo stesso; dalla violazione consegue la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 205 a euro 410»;
   una norma certamente positiva e utile come questa, al contrario di quanto avviene in altri Paesi dove pure essa è prevista, è di fatto sconosciuta a tutti gli automobilisti italiani, né risultano esserci mai stati controlli e sanzioni in merito in Italia;
   eppure la lotta all'inquinamento e alla bassa qualità dell'aria nelle città italiane (tema per il quale il nostro Paese è inoltre a rischio infrazione da parte dell'Unione europea) passa anche attraverso il rispetto di questa norma tanto importante;
   è recente la notizia di come in due delle maggiori capitali europee, Londra e Madrid, siano state introdotte nuove misure per rendere più vincolante tale divieto, per esempio inasprendo i controlli da parte dei vigili urbani locali e le sanzioni per chi mantenga il motore acceso stando in sosta, con le quattro frecce, vicino a un marciapiede;
   se è giusto riconoscere all'Italia di avere introdotto nel proprio codice della strada tale divieto già nel 2007, quindi in anticipo rispetto alla media degli altri maggiori Paesi della UE, altrettanto necessario è far sì che esso non rimanga solo sulla carta –:
   quali iniziative intenda assumere in merito a quanto esposto in premessa, in particolare al fine di rendere realmente applicato e vincolante il dettato dell'articolo 157, comma 7-bis, del Codice della strada sul divieto di mantenere acceso il motore nei veicoli in sosta. (4-16359)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   al termine della competizione elettorale per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale di Piacenza del 20 e 21 maggio 2012 (al ballottaggio), alla coalizione vincente è stato attribuito il 60 per cento dei seggi ai sensi dell'articolo 73, comma 10, del decreto legislativo n. 267 del 2000;
   la percentuale del 60 per cento corrisponderebbe in realtà alla cifra di 19,2 consiglieri, la quale è stata poi arrotondata per eccesso (20 consiglieri) riconoscendo pertanto alla lista o gruppo di liste collegate al sindaco vincente una percentuale superiore al 60 per cento;
   la sentenza del Consiglio di Stato, n. 01197/2012, che giustificherebbe un arrotondamento per eccesso è stata sostanzialmente contraddetta da una successiva sentenza dello stesso Consiglio di Stato, n. 2928/2012, la quale statuisce che la percentuale del 60 per cento dei seggi esprime il numero massimo dei seggi attribuibili a titolo di piena governabilità e che quindi non si può procedere ad alcun arrotondamento dei decimali all'unità superiore, in quanto la soglia del 60 per cento dei seggi attribuibili alla coalizione legata al sindaco vincente non deve essere superata –:
   se il Governo non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa di competenza, anche normativa, al fine di giungere ad un chiarimento sulla materia, in modo da garantire nel miglior modo possibile il principio della rappresentanza alla luce della recente sentenza del Consiglio di Stato n. 2928/2012 sopra citata, così evitando la possibile proliferazione di ricorsi ai competenti organi di giustizia.
(2-01521) «Polledri, Fogliato, Comaroli, Tommaso Foti, Cazzola, Toccafondi, Nizzi, Palmieri, Simonetti, Isidori, Minardo, Lussana, Muro, Iannarilli, Aracri, Pili, Di Vizia, Garofalo, Stradella, Vella, Briguglio, Gidoni, Meroni, Molgora, Callegari, Miserotti, Romele, Follegot, Fabi, Nola, Fugatti».

Interrogazione a risposta orale:


   PELUFFO e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi si è appreso da alcuni organi d'informazione che la guardia di finanza ha fatto visita nella sede di Metropolitana Milanese, al centro dell'interesse dei magistrati la gara per l'affidamento dei lavori di ripulitura dell'area destinata all'esposizione;
   nei giorni scorsi è apparsa la notizia che sul primo appalto di Expo 2015, quello per la «rimozione delle interferenze» sull'area di Rho-Pero, la procura ha aperto un fascicolo con l'ipotesi di reato di turbativa d'asta;
   i finanzieri del nucleo di polizia tributaria si sono presentati nella sede di Metropolitana Milanese con un decreto di esibizione firmato dai pm Paolo Filippini e Antonio D'Alessio, del pool specializzato in reati contro la pubblica amministrazione guidato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo, e hanno chiesto copia di tutta la documentazione relativa alla gara; subito dopo la società ha voluto precisare che: «Metropolitana milanese in merito alla gara riguardante la rimozione per le interferenze nel terreno dove si svolgerà l'Expo ha solo fornito supporto tecnico alla società. La stazione appaltante è Expo spa. Noi stiamo preparando tutta la documentazione che ci è stata richiesta dagli inquirenti»;
   l'interesse degli investigatori, come risulta dalla stampa, sarebbe quello di capire se l'appalto, il primo e unico svolto per l'Esposizione del 2015, sia stato assegnato — lo scorso ottobre — in maniera regolare; il procedimento in questione, nel quale risulterebbero indagati anche funzionari pubblici, è nato dalle dichiarazioni dell'imprenditore bergamasco Pierluca Locatelli, coinvolto nell'inchiesta che ha portato in carcere a novembre l'ex assessore regionale Franco Nicoli Cristiani, all'epoca vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia;
   secondo quanto risulta, Locatelli avrebbe pagato al politico PdL una tangente da centomila euro, attraverso l'intermediazione del funzionario dell'Arpa Giuseppe Rotondaro per sbloccare il progetto di una discarica di amianto nel Cremonese, successivamente nei suoi interrogatori Locatelli avrebbe fatto cenno anche a presunte irregolarità nella gara da 97 milioni di euro per la pulizia e lo sgombero dell'area di Rho-Pero;
   l'ipotesi della procura disegnerebbe un «cartello» di imprese che si spartisce gli appalti pubblici concordando offerte e strategie, la Locatelli Lavori spa partecipò alla gara e arrivò terza (con un ribasso del 41,341 per cento) preceduta dal gruppo pugliese Dec dei fratelli De Gennaro (che offrirono un ribasso del 42,357 per cento) già arrestati, precedentemente per tangenti a Bari;
   a vincere l'appalto è stata la cooperativa Cmc (Cooperativa muratori e cementisti) di Ravenna, con un ribasso vicinissimo a quello dei De Gennaro (pari al 42,83 per cento) e un'offerta di 65 milioni;
   la «soglia di anomalia» stabilita dalla società Expo 2015 consente ribassi fino al 38,396 per cento;
   la procura sospetta che l'accordo sia stato favorito da fughe di notizie – in comune, Expo 2015 o metropolitana milanese — su elementi della gara che dovevano restare riservati, per questo, non viene escluso che siano state pagate tangenti, e che per questo emergano gli estremi per contestare il reato di corruzione a qualche indagato;
   nell'elenco delle società in sub-appalto risultano il consorzio Stabile Litta, il cui vicepresidente Nicola Di Rosario, è indagato con quattro imprenditori del settore florovivaistico per una tangente di 30.000 euro al consigliere regionale PdL Giammario, per un appalto sul verde pubblico in Brianza; lo stesso dirigente, che nell'area della Fiera di Rho ha avuto l'appalto per un parco di 24.000 metri quadri, è accusato di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d'asta per pilotare gli appalti insieme a 18 imprenditori dello stesso settore»; ci sono inoltre «Engeco srl, coinvolta in un episodio di corruzione di funzionari dell'Anas, per eludere le normali procedure di gara per l'appalto di lavori sulla Statale 340 in provincia di Como, il cui processo penale si è concluso nel 2005 e la Omegna Scavi di Scaramozza, che fa parte dell'Ati Elios, sembra risulti indagata per scavi e trasporto di rifiuti senza autorizzazioni in un cantiere in provincia di Verbania»;
   il 13 febbraio 2012 in prefettura, alla presenza del Ministro dell'interno Anna Maria Cancellieri, il prefetto Gian Valerio Lombardi e l'amministratore delegato di Expo, Giuseppe Sala, è stato firmato il «Protocollo di legalità per il contrasto ai fenomeni di infiltrazione criminale negli appalti concernenti le opere essenziali» dell'evento, la cosiddetta «White list»;
   nelle dichiarazioni risultava, dalla stampa, che la società avrebbe collaborato con la prefettura nel controllo dei contratti di appalto e subappalto (quelli più esposti al rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata), dell'impiego di manodopera, della provenienza dei flussi di denaro e sarebbe stata la prefettura, in base alle informazioni raccolte, a rilasciare le indispensabili certificazioni antimafia;
   nel gennaio 2010 il Ministro dell'interno pro tempore aveva insediato due comitati per la sorveglianza dalle infiltrazioni mafiose: il Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere e il Gruppo interforze centrale per l'Expo 2015;
   dal 2008 in molti atti di sindacato ispettivo e interventi in Parlamento e sulla stampa abbiamo fatto presente il pericolo vero che la ‘ndrangheta si potesse infiltrare nei ricchi appalti di Expo 2015 –:
   se siano state attivate le cosiddette white list e quali siano le caratteristiche per essere inseriti nella lista da parte della prefettura e se non si ritenga opportuno pubblicare, sul sito della prefettura, la lista completa delle aziende che possono partecipare agli appalti e ai subappalti con la pubblicazione di un curriculum vitae e di un modello di tracciabilità della serietà delle aziende;
   se i comitati di controllo e la commissione di valutazione delle aziende rientranti nelle White list abbiano svolto tutti i controlli necessari al fine di garantire la trasparenza e l'effettiva correttezza delle aziende, anche nei confronti di quelle che sembrano essere indagate;
   se non ritenga opportuno attivare un controllo particolare in prefettura per accertare che non esistano responsabilità nel controllo preventivo delle aziende che avrebbero l'autorizzazione a lavorare negli appalti e nei sub-appalti per Expo 2015.
(3-02307)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CONTENTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lungo l'autostrada A4, a cavallo tra le regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto, si starebbero verificando vari episodi di criminalità ai danni di turisti stranieri, avvicinati da finti agenti di polizia in borghese e, poi, derubati da complici degli stessi;
   l'ultimo caso risale a qualche giorno fa ed è stato denunciato da alcuni automobilisti di nazionalità spagnola, sottoposti ad un finto controllo dei documenti nell'area di servizio di Fratta Sud, in comune di Portogruaro (Venezia) –:
   di quali dati disponga in merito all'effettiva incidenza dei fenomeni di cui in premessa lungo l'autostrada A4 e se non ritenga di dover intensificare il monitoraggio delle stazioni di servizio in vista dell'imminente stagione turistico-balneare.
(4-16363)


   ZAZZERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 24 aprile 2012 a Massafra (Taranto) si è verificato un attentato incendiario ai danni del tenente Giuseppe Beltempo, comandante del nucleo operativo radiomobile della compagnia dei carabinieri di Massafra. Secondo gli inquirenti, si tratterebbe di un gesto intimidatorio della malavita nei confronti del tenente impegnato in indagini contro la criminalità organizzata;
   durante la notte del 27 aprile 2012 a Cerignola (Foggia) una bomba è stata fatta esplodere all'interno dell'automobile del maresciallo dei carabinieri Sabino Natale in servizio presso la stazione di Trinitapoli;
   la deflagrazione ha scaraventato i resti della vettura in fiamme a centinaia di metri dal luogo dell'esplosione, danneggiando anche le automobili parcheggiate nella zona;
   la polizia e i vigili del fuoco hanno tardato ad arrivare sul posto in quanto impegnati in un concomitante incendio doloso probabilmente legato al primo;
   gli inquirenti non escludono che si tratti di una ritorsione della criminalità contro l'attività del maresciallo, già vittima di un episodio simile;
   il 18 marzo 2012 infatti, ignoti hanno esploso colpi di pistola contro la caserma di Trinitapoli (BT), colpendo sempre la macchina del maresciallo;
   il procuratore della Repubblica di Foggia Vincenzo Russo ha dichiarato che sono in corso le indagini per tentata strage, evitata soltanto per puro caso;
   nel cuore della notte del 5 maggio 2012 a Mesagne (Brindisi), una bomba con detonatore a miccia ha completamente distrutto l'automobile di Fabio Marini, presidente dell'associazione antiracket della città –:
   quali iniziative e provvedimenti di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine di garantire l'ordine pubblico. (4-16364)


   ANGELA NAPOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che, nel dicembre 2011, ha portato all'operazione «Terminator 4» contro la cosca cosentina Lanzino-Ruà, ha evidenziato la capacità della ’ndrangheta nel controllo del voto e la conseguente determinazione dei risultati elettorali;
   nelle stessa operazione giudiziaria sono risultati coinvolti, quali indagati, l'ex sindaco Umberto Bernaudo e l'ex assessore Pietro Paolo Ruffolo del Comune di Rende (Cosenza);
   Bernaudo e Ruffolo, secondo l'ipotesi dei pubblici ministeri, all'epoca in cui occupavano le posizioni di sindaco e assessore di Rende, avrebbero finanziato la cooperativa «Rende 2000» che sarebbe in mano a Michele Di Puppo, arrestato e ritenuto elemento di spicco della cosca;
   in cambio avrebbero ottenuto il sostegno in occasione delle elezioni provinciali di Cosenza nel 2009, concluse con la vittoria di entrambi; Ruffolo era anche diventato assessore nel nuovo esecutivo, ma si è autosospeso dopo essere stato rinviato a giudizio, nell'ottobre 2010, per usura nell'ambito di un'altra inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro nella quale è coinvolto come ex consulente di piccole imprese dell'Agenzia Unicredit di Belvedere Marittimo (Cosenza);
   nei confronti dei due politici sono stati ipotizzati il concorso esterno in associazione mafiosa, il voto di scambio e la corruzione;
   carte che gli inquirenti hanno acquisito presso il comune di Rende ci sarebbero addirittura le prove dell'assunzione del superboss latitante Ettore Lanzino e di Michele Di Puppo nella cooperativa «Rende 2000»;
   Ettore Lanzino, latitante dal settembre del 2008, è ritenuto il «capo dei capi» della ’ndrangheta di Cosenza;
   il 13 aprile 2012 è stato catturato Franco Presta, il boss della Valle dell'Esaro, affiliato alla cosca Lanzino, responsabile di numerosi omicidi; Presta si nascondeva in un alloggio universitario ad Arcavacata in Rende;
   nell'occasione, il procuratore della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, ha dichiarato: «il fatto che Presta sia stato trovato a Rende dimostra che poteva contare sulla protezione di un'organizzazione efficiente»;
   nel rapporto dei ROS dei Carabinieri di Cosenza alla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, del giugno 2010, vengono descritti i rapporti tra alcuni politici di Rende e la cosca Lanzino, della quale Di Puppo (ex presidente della cooperativa sociale «Rende 2000»), sarebbe figura di primo piano;
   sempre nel rapporto i carabinieri scrivono: «Michele Di Puppo non si è limitato a organizzare, in favore di Umberto Bernaudo e Pietro Ruffolo la campagna elettorale in Rende ed hinterland ma, mediante l'uso del mezzo telefonico, ha controllato le operazioni di scrutinio dei seggi del comune e delle varie frazioni di altri centri a quest'ultimo vicini, effettuando varie telefonate a persone che avrebbero potuto riferire gli esiti parziali e finali» –:
   se non ritenga necessario ed urgente, alla luce degli incarichi di sindaco e di assessore tenuti all'epoca della tornata elettorale del 2009, rispettivamente da Umberto Bernaudo e Pietro Ruffolo, avviare le procedure per autorizzare l'invio di una commissione d'accesso presso il comune di Rende. (4-16371)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CODURELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da diversi anni, a causa dei mancati trasferimenti di fondi a livello centrale e delle politiche di rigore attuate in numerosi istituti scolastici, sia a livello regionale che nazionale, gli insegnanti supplenti, che hanno ricevuto incarico direttamente dal dirigente scolastico, vengono pagati con enormi ritardi, addirittura dopo diversi mesi oppure sono ancora in attesa di essere pagati;
   l'interrogante in data 12 dicembre 2008 presentava un atto di sindacato ispettivo (5-00768) nel quale interrogava il ministro interessato sulla grave situazione finanziaria degli istituti scolastici della provincia di Lecco e sulla relativa impossibilità da parte dei dirigenti scolastici di poter procedere alla nomina dei supplenti e al pagamento di quelli in servizio;
   dal 2008 la situazione sembra essere rimasta identica: le risorse destinate al funzionamento delle istituzioni scolastiche sono sempre più insufficienti a fronte anche dei tagli al settore imposti dal precedente Governo;
   in Lombarda, in alcuni istituti scolastici della provincia di Lecco già da diversi mesi ad esempio non si sta procedendo al pagamento degli stipendi dei supplenti di 3a fascia che hanno appunto ricevuto incarico direttamente dal dirigente scolastico;
   l'ufficio di presidenza dell'ASAL (Associazione delle istituzioni scolastiche della provincia di Lecco) in occasione della visita del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca Profumo a Lecco il 16 febbraio 2012 ha consegnato al ministro una lettera nella quale ha posto all'attenzione del Governo la questione dei residui attivi di cui le scuole sono creditrici nei confronti dello Stato con l'auspicio che finalmente arrivi un segnale di inversione di tendenza affinché le scuole che hanno, con difficoltà e senso del dovere, fatto fronte a tutti i loro impegni, vengano finalmente valorizzate anziché essere penalizzate con mancati versamenti;
   in particolare in alcune scuole la situazione è maggiormente acuita. Si registrano infatti ritardi nei pagamenti, pur facendo fronte grazie agli anticipi di cassa dei singoli istituti a partire da: ISS Bertacchi di Lecco, ISS Badoni di Lecco (da pagare dicembre 2011 e aprile 2012), IPS Fumagalli di Casatenovo (febbraio e marzo verranno pagato a fine maggio, restano da pagare aprile e maggio 2012), liceo artistico Merdardo Rosso di Lecco (da pagare novembre e dicembre 2010, marzo, aprile e maggio 2012, mentre settembre, ottobre, novembre 2011 e gennaio, febbraio e marzo 2012 sono stati pagati a fine maggio 2012), ISS Rota di Calolziocorte (da pagare dicembre 2011, marzo e aprile sono stati pagati a maggio 2012);
   in altri istituti (liceo Agnesi di Merate, ISS Bachelet di Oggiono, ISS Parini di Lecco, ISS Vigano di Merate, ISS Villa Greppi di Ponticello Brianza) nella sola provincia di Lecco il fabbisogno relativo ai residui attivi delle scuole ad oggi ammonta a oltre 2 milioni di euro;
   il mancato trasferimento delle risorse rischia di acuire i contenziosi tra gli istituti scolastici e i supplenti in servizio e di interrompere l'attività didattica per mancate nomine di supplenti;
   da notizie di stampa si apprende che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con una nota (protocollo 3142 del 23 giugno 2012) del direttore generale per la politica finanziaria, Elisabetta Davoli, dovrebbe erogare un primo saldo dei fondi per retribuire i supplenti assunti nel 2011 –:
   a fronte di tale situazione se non ritenga urgente e indispensabile che il Governo assicuri agli istituti scolastici le risorse necessarie per il pagamento delle competenze dei supplenti al fine di assicurare in tal mondo un normale e dignitoso proseguimento delle attività didattiche. (5-06974)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAGIANO. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
   il panorama scolastico della città di Sorrento, in provincia di Napoli, è caratterizzato dall'inutilizzabilità del principale plesso scolastico del paese, l'edificio storico «Vittorio Veneto», a seguito del sequestro giudiziario preventivo disposto il 2 dicembre 2009 dalla Compagnia dei Carabinieri di Sorrento, su delega della Procura della Repubblica di Torre Annunziata;
   il plesso scolastico, che ospitava circa seicento alunni, tra scuola materna ed elementare, è stato sequestrato poiché, dalla consulenza tecnica, disposta dalla Procura di Torre Annunziata, è emersa una persistente condizione di precarietà statica dell'edificio, nonostante una serie di interventi tampone di manutenzione straordinaria, realizzati dall'ente comunale nel 2009 (come la chiusura, con un'impalcatura di servizio, dell'ingresso principale a causa dell'instabilità dei cornicioni e dei balconi);
   a causa di questa importante e grave misura cautelare, gli alunni del plesso scolastico «Vittorio Veneto» sono attualmente ospitati in altri edifici, con notevoli disagi per le famiglie e con un conseguente aggravio di spesa per il bilancio comunale (spese di locazione di altri immobili da adibire temporaneamente a sede scolastica, ampliamento temporaneo e d'emergenza di altre strutture scolastiche esistenti sul territorio, ecc.);
   il bando di gara per la ristrutturazione dell'edificio, pubblicato sul sito ufficiale del Comune di Sorrento (www.comune.sorrento.na, Sezione concorsi e gare on line) e conclusosi il 14 gennaio 2011, prevedeva un appalto del valore di 2 milioni e 497 mila euro;
   il sindaco di Sorrento, come si apprese da alcuni quotidiani locali di quei giorni, dichiarò, a seguito della chiusura della gara d'appalto, che sarebbe stata restituita «alle famiglie una scuola aperta entro settembre 2011, in tempo per l'inizio dell'anno scolastico»;
   allo stato attuale, dopo circa 2 anni e mezzo dal sequestro, i lavori relativi alle opere appaltate non sono ancora iniziati e non è concluso neanche il travagliato iter per l'affidamento dei lavori di ristrutturazione del plesso «Vittorio Veneto» a causa, come si evince da diversi organi di stampa regionali e locali, di inspiegabili inerzie dell'anione amministrativa che hanno portato alle dimissioni dell'assessore ai lavori pubblici;
   sono inoltre in corso diversi procedimenti presso il T.a.r. Campania e il Consiglio di Stato da parte delle ditte edili partecipanti al bando di aggiudicazione; ricorsi che stanno posticipando l'inizio dei lavori di ristrutturazione;
   è inevitabile, in vista dell'inizio del prossimo anno scolastico, il clima di apprensione e preoccupazione di tanti genitori che, dapprima rassicurati dall'amministrazione comunale sulla certa e sicura fine dei lavori entro il mese di settembre dell'anno 2011, si trovano tutt'oggi in una situazione di totale incertezza in merito all'inizio dei lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza del plesso che sembrano pregiudicarne anche la riapertura per il mese di settembre del 2012;
   nell'ultimo decreto-legge in materia di semplificazione e di sviluppo (9 febbraio 2012 n. 5) il Governo ha dedicato ampio spazio all'edilizia scolastica, in particolare allo scopo di riqualificare e razionalizzare il patrimonio immobiliare scolastico e per ridurre le spese correnti di funzionamento. Il decreto prevede la realizzazione di un Piano nazionale di edilizia scolastica;
   in attesa della definizione di quanto previsto dal decreto succitato, il 20 gennaio 2012, il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) ha avviato un Piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici esistenti e di costruzione di nuovi edifici scolastici, sbloccando 556 milioni di euro. Tale somma prevedeva il trasferimento di 456 milioni destinati a specifici interventi di messa in sicurezza delle scuole di tutto il territorio nazionale (due terzi al Sud) così come definito nel Programma straordinario di interventi urgenti finalizzati alla prevenzione e riduzione del rischio connesso alla vulnerabilità degli elementi, anche strutturali, negli edifici scolastici, già approvato in seno al tavolo tecnico istituito presso la Conferenza Stato-Regioni –:
   se il plesso scolastico «Vittorio Veneto» di Sorrento possa essere inserito nel Piano di messa in sicurezza per gli edifici scolastici attuato dal CIPE, al fine di assicurare agli oltre seicento alunni sorrentini un luogo sicuro e adeguato in cui esercitare quel diritto all'istruzione che è sancito loro dalla Costituzione. (4-16367)


   ZAZZERA e DI GIUSEPPE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), dispone che il collegio dei docenti ha potere deliberante in materia di funzionamento didattico del circolo o dell'istituto. In particolare, cura la programmazione dell'azione educativa anche al fine di adeguare, nell'ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare. Esso esercita tale potere nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a ciascun docente;
   secondo quanto previsto dall'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, «Le istituzioni scolastiche sono espressioni di autonomia funzionale e provvedono alla definizione e alla realizzazione dell'offerta formativa, nel rispetto delle funzioni delegate alle regioni e dei compiti e funzioni trasferiti agli enti locali, ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. A tal fine interagiscono tra loro e con gli enti locali promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione. L'autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento»;
   con l'introduzione delle prove nazionali INVALSI, secondo molti docenti, studenti, genitori e associazioni sindacali il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avrebbe provocato delle distorsioni nei percorsi didattici, attribuendo peraltro alle istituzioni scolastiche un carico di lavoro aggiuntivo e non previsto nelle attività già programmate;  
   la direttiva del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 88 del 3 ottobre 2011, sulle rilevazioni nazionali INVALSI per l'anno scolastico 2011/2012, nella parte relativa alla somministrazione delle prove, dispone che l'INVALSI fornirà alle istituzioni scolastiche entro il 15 ottobre 2011, con apposita nota tecnica, tutte le necessarie informazioni circa le date e le modalità di svolgimento e correzione delle prove. Ciò per consentire alle scuole di predisporre per tempo le necessarie misure organizzative e ai dirigenti scolastici di assumere le opportune iniziative contrattuali finalizzate a compensare il personale scolastico coinvolto nelle attività di rilevazione;
   l'articolo 51, comma 2 del decreto-legge n. 5 del 9 febbraio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 35 del 2012 recita testualmente: «le istituzioni scolastiche partecipano, come attività ordinaria d'istituto, alle rilevazioni nazionali degli apprendimenti degli studenti, di cui all'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2007, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2007, n. 176»;
   considerato che il succitato dettato normativo non sembra obbligare espressamente gli istituti scolastici e i docenti a gestire le rilevazioni nazionali INVALSI, né il contratto collettivo nazionale comparto scuola fa riferimento a tali prove, per fare chiarezza sulla questione è stato presentato un ordine del giorno (G/3194/107/1) con cui il Governo ha preso l'impegno, affinché, ai fini di un adeguato potenziamento del sistema nazionale di valutazione delle istituzioni scolastiche, siano assicurati adeguati criteri, tra cui la previa individuazione con metodo statistico del campione su cui effettuare le rilevazioni, nonché la somministrazione delle prove mediante rilevatori esterni adeguatamente formati e la diffusione dei risultati alle istituzioni scolastiche coinvolte;
   con tale ordine del giorno, frutto di una petizione sottoscritta da migliaia di docenti e genitori, si è voluto assegnare alla prova INVALSI la caratteristica della ricerca da realizzarsi su campione statistico, rendendo al contempo l'adesione delle scuole volontaria;
   ciononostante, il Ministero continua a considerare obbligatorie le prove INVALSI senza peraltro chiarire se siano previste eventuali sanzioni disciplinari a carico dei docenti che rifiutino di partecipare a tale attività –:
   se il Ministro intenda fornire alle istituzioni scolastiche le opportune indicazioni in merito allo svolgimento delle rilevazioni nazionali INVALSI;
   se, alla luce dell'impegno assunto con l'ordine del giorno (G/3194/107/1), la partecipazione di tutti i docenti alle prove INVALSI debba considerarsi obbligatoria;
   se siano previste sanzioni disciplinari in caso di mancata partecipazione degli insegnanti all'attività di rilevazione di cui in premessa. (4-16372)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOCCUZZI, SCHIRRU, BERRETTA, MATTESINI, CODURELLI, GNECCHI e GATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in materia di tutela del lavoratore, il sistema normativo prevede che «sul datore di lavoro gravano sia il generale obbligo di neminem laedere, espresso dall'articolo 2043 del codice civile, la cui violazione è fonte di responsabilità extra-contrattuale, sia il più specifico obbligo di protezione dell'integrità psico-fisica del lavoratore sancito dall'articolo 2087 del codice civile ad integrazione ex lege delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, la cui violazione è fonte di responsabilità contrattuale;
   l'integrità psicofisica e morale dell'individuo trova riconoscimento giuridico non solo quale interesse tutelato da leggi ordinarie (si pensi agli articoli 581, 582, 590 e 185 del codice penale o all'articolo 5 del codice civile) e da leggi speciali (come l'articolo 9 dello statuto dei lavoratori), ma finanche da norme di rango costituzionale, quali quelle contenute nell'articolo 32 della Costituzione che garantisce la salute come fondamentale diritto dell'individuo, nell'articolo 41 che pone precisi limiti alla esplicazione dell'iniziativa economica privata stabilendo, peraltro, che la stessa non può svolgersi «in modo da arrecare danno alla dignità umana», e nell'articolo 2 che tutela i diritti inviolabili dell'uomo anche «nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità» e richiede l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale. L'articolo 2087 del codice civile è «cristallino e preciso» nell'intimare all'imprenditore un impegno per la sicurezza del lavoratore;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con il decreto interministeriale n. 19 del 24 gennaio 2011, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ha emanato il regolamento sulle modalità di applicazione del pronto soccorso aziendale in ambito ferroviario. Tale regolamento dà attuazione a quanto disposto dal decreto legislativo n. 81 del 2008, che, con l'articolo 45, al comma 3, definisce le modalità di applicazione in ambito ferroviario del decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 e successive modificazioni;
   il decreto interministeriale n. 19 del 2011 nel tentare di regolamentare la materia del soccorso in ambito ferroviario ha trasformato tout court circa 20.000 ferrovieri in lavoratori isolati, cancellando inspiegabilmente le precedenti tutele di prevenzione in tema di sicurezza sino ad oggi riconosciute;
   in ambito ferroviario le aziende esercenti il trasporto applicano un equipaggio di condotta ad agente solo, ovvero un solo agente alla guida dei treni;
   la condizione di assoluta precarietà e pericolosità di questo lavoro che incide sulla sicurezza deve essere supportato dai contenuti del decreto interministeriale n. 19 del 2011 che ritiene si debba garantire ai lavoratori in oggetto un «soccorso qualificato» che, in analogia ai contenuti del decreto presidenziale 27 marzo 1992, debba avvenire, come per tutti i cittadini italiani, in 20 minuti;
   ad oggi numerose denunce di una organizzazione sindacale, in tutto il territorio nazionale, e denunce di numerosissimi RLS/RSU, ritengono assolutamente inesigibile tale determinazione del soccorso, configurando grave nocumento per la sicurezza dei lavoratori e dei passeggeri;
   a tali denunce sono seguite delle «simulazioni» delle aziende ferroviarie che hanno confermato la preoccupazione dei rappresentanti dei lavoratori; il soccorso ai lavoratori ed ai viaggiatori, infatti, in caso di malore dell'unico macchinista alla guida, non rispetta minimamente tali limiti imposti dai decreti attestando i soccorsi a 60 minuti circa;
   una procura piemontese, intervenuta sull'argomento, ha già rinviato a giudizio un datore di lavoro di Trenitalia per «non aver assicurato idonee ed effettive procedure per il pronto intervento»;
   recentemente le ASL di Savona, a seguito di esposti dei lavoratori, hanno contestato, sempre a Trenitalia, l'adozione di un equipaggio di condotta ad agente solo senza garantirne il soccorso. A tal proposito è stato «prescritto» a Trenitalia l'adozione di un equipaggio con 2 agenti di condotta al fine di garantire l'esigibilità dei soccorsi ai lavoratori ed ai viaggiatori in tempi congrui con la normativa ministeriale vigente;
   le aziende ferroviarie, ad oggi, persistono ad utilizzare alla guida dei treni, nel territorio italiano, un solo agente di condotta omettendo le predette sicurezze e di fatto contravvenendo al rispetto dei decreti ministeriali menzionati, condizione reale di rischio per molti lavoratori e utenti del trasporto ferroviario –:
   quali iniziative si intendano assumere affinché venga comunque assicurato anche al personale viaggiante e agli equipaggi dei treni un «soccorso qualificato», in analogia, per quanto riguarda i termini e i tempi, a quanto previsto per la generalità dei cittadini e dei lavoratori;
   se non si ritenga che l'organizzazione del lavoro con un solo agente alla guida dei treni non assicuri una piena tutela della salute e dell'integrità dei lavoratori, così come previsto dall'articolo 2087, rappresentando un potenziale motivo di rischio anche per i viaggiatori/utenti delle Ferrovie italiane. (5-06981)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MISEROTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si registrano spesso casi di notevoli ritardi con cui l'INPS risponde alle richieste avanzate dai cittadini relative a specifiche situazioni personali riguardanti le loro posizioni nei confronti dell'Ente, come nei vari casi di seguito descritti:
    la signora I. A., residente a Scafa (Pescara), titolare di pensione di vecchiaia categoria VOCOM/36025051, in data 1o aprile 2011 ha presentato ricorso all'INPS (protocollo INPS.6000.21/09/2011.0090340), sede di Pescara, per il mancato aumento della perequazione automatica dell'1,4 per cento prevista dal 1o gennaio 2011 e ad oggi non ha ancora ottenuto risposta;
    la signora C. B., residente a Cavarzere (Venezia), in data 28 febbraio 2012 (posizione n. 200400401313PE, n. determinazione DT011201100508811), con raccomandata a/r del 9 marzo 2012), inoltrava richiesta all'INPDAP (oggi confluita nel nuovo ente denominato «super Inps»), sede di Padova, per la ricongiunzione dei contributi previdenziali da INPS a INPDAP, prevista dalla legge n. 29 del 7 febbraio 1979 e, ad oggi, non ha ricevuto alcuna risposta;
    il signor A. P. A., residente a Varese, titolare della pensione INVCIV n. 07015179 e della pensione categoria VO n. 10096429, non ha ricevuto alcuna comunicazione da parte dell'INPS relativamente alla mancata corresponsione, dal mese di gennaio 2012, dell'indennità parziale percepita regolarmente fino a tale data;
    la signora L. R., residente a Cavallermaggiore (Cuneo), titolare di pensione categoria SOART n. 35011474 e di pensione di vecchiaia categoria VO n. 10028046 (Vecchiaia dei lavoratori dipendenti), in data 15 ottobre 2011 presentava all'INPS, sede di Cuneo, richiesta di aumento previsto per le pensioni per i lavoratori dipendenti e ad oggi non ha ricevuto alcuna risposta in merito;
    la signora F. G., residente a Gioia Sannitica (Caserta), inabile al 100 per cento in data 20 gennaio 2012 presentava ricorso all'INPS (n. protocollo INPS.2000.27/01/2012.0016962) avverso il silenzio-rifiuto da parte dell'ente sulla richiesta di assegno nucleo familiare, presentata in data 26 giugno 2011 e degli arretrati di cinque anni e ad oggi non ha ancora ottenuto risposta;
    il signor U. B., residente a Roma, titolare di pensione n. 12968422 cat. VO, invalido al 100 per cento, in data 22 gennaio 2012 ha inoltrato domanda all'INPS (con raccomandata a/r del 27 gennaio 2012), sede di Roma, di assegno nucleo familiare ed ha fatto richiesta anche degli arretrati al 1o aprile 2012 e ad oggi non ha ancora ricevuto risposta;

   a giudizio dell'interrogante questi casi particolari sono, non soltanto molto frequenti, ma rappresentano un modello negativo che pare all'interrogante ormai essere l'unico seguito dall'INPS nell'interfacciarsi con i cittadini nell'intero territorio nazionale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente sollecitare l'INPS, anche al fine di evitare l'insorgere di nuovo contenzioso che nella maggior parte dei casi vede l'ente soccombente. (4-16361)


   DI PIETRO, PALADINI, ANIELLO FORMISANO, MONAI e CIMADORO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori ex Alitalia LAI posti in cassa integrazione/mobilità secondo gli accordi convenuti a seguito della liquidazione della compagnia di bandiera italiana usufruiscono di ammortizzatori sociali come definito dalla legge n. 291 del 2004 e dalla legge n. 166 del 2008;
   il periodo di cassa integrazione si concluderà il 12 ottobre 2012, cui farà seguito il periodo di tre anni di mobilità;
   in particolare, per il personale di condotta, non sussistendo concrete opportunità di lavoro nel nostro Paese – ferma restando la necessità di mantenere in validità licenze di volo e abilitazioni e soprattutto di effettuare un adeguato allenamento e aggiornamento sull'aeromobile d'appartenenza al fine essenziale di poter conservare la propria capacità di collocamento nel mercato del lavoro – l'opzione offerta dalle compagnie straniere risulta essere la più consistente e praticabile nella prassi consolidata di contratti a tempo determinato;
   la tipologia dei contratti offerti all'estero consente quanto meno di mantenere in essere la currency tecnico-professionale;
   il lavoratore impiegatosi all'estero deve comunque dare opportuno preavviso al fine di interrompere opportunamente la corresponsione della retribuzione di cassa integrazioni guadagni straordinaria e mobilità, con un conseguente alleggerimento dei costi di welfare;
   stanti le vigenti disposizioni che regolano l'impiego di lavoratori in mobilità (legge n. 223 del 1991), ai lavoratori del comparto del trasporto aereo, nella fattispecie facenti parte di personale navigante, in applicazione della specifica normativa (circolare INPS n. 94 dell'8 luglio 2011) qualora impiegati anche temporaneamente al di fuori del territorio nazionale, presso compagnie aeree comunitarie ed extracomunitarie, «il trattamento di mobilità – giustamente sospeso nel periodo di impiego a tempo determinato – non è più erogabile» al termine del periodo di impiego all'estero differentemente da quanto previsto per i lavoratori temporaneamente impiegati nel territorio nazionale cui viene invece concesso il rientro in mobilità –:
   se il Governo non ritenga opportuno intervenire presso l'ente regolatore (INPS) affinché venga opportunamente corretta l'interpretazione fornita attraverso la circolare n. 94 dell'8 luglio 2011, capo A), normativa, capoversi 8 e 11, al fine di consentire al personale navigante di potersi rioccupare all'estero senza le penalizzazioni che da detta interpretazione immotivatamente derivano. (4-16365)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MAGGIONI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'eccezionale ondata di maltempo che ha interessato il territorio dell'Oltrepò pavese nel periodo compreso tra il 31 maggio e il 10 giugno 2011, causando ingenti danni all'agricoltura e in particolare alla viticoltura, la giunta regionale della Lombardia ha attivato la procedura necessaria all'attuazione degli interventi compensativi a carico del fondo di solidarietà nazionale a sostegno delle imprese agricole danneggiate da calamità naturali e da eventi climatici avversi, di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 102 del 2004;
   come disposto dalla procedura, con delibera di giunta del 20 luglio 2011, la regione Lombardia ha provveduto alla delimitazione dei territori danneggiati, all'accertamento dei danni conseguenti, alla specificazione delle provvidenze concedibili e alla relativa richiesta di spesa;
   con nota della direzione generale agricoltura n. M1.2011.10451 del 26 luglio 2011 la regione Lombardia ha trasmesso al Ministero la suddetta delibera al fine del riconoscimento dell'eccezionalità dell'evento e dell'adozione del decreto di declaratoria delle crisi in agricoltura;
   con nota n. 0018729 del 1o settembre 2011 il Ministero ha richiesto informazioni aggiuntive in merito agli eventi segnalati, informazioni e chiarimenti trasmessi con nota della direzione generale agricoltura M1.2012.00614 del 19 settembre 2012;
   ad oggi, come comunicato agli enti locali interessati dalla direzione generale della protezione civile, polizia locale e sicurezza della regione Lombardia, non risultano iscritte, nel bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 2012 e bilancio pluriennale 2012-2014, risorse economiche per interventi compensativi dei danni causati da calamità naturali relative all'anno 2011 –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione ai fatti espressi in premessa e se non ritenga opportuno, in considerazione della eccezionalità degli eventi calamitosi avvenuti, provvedere con urgenza all'adozione del decreto ministeriale necessario ad attivare la procedura di trasferimento alle regioni delle disponibilità del fondo di solidarietà nazionale e consentire la ripresa dell'attività produttiva. (5-06976)


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 157 del 1999 per la protezione della fauna selvatica e la disciplina della caccia, in recepimento delle normative comunitarie, prevede all'articolo 19-bis che le regioni disciplinino l'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, conformandosi alle prescrizioni dell'articolo 9, ai principi e alle finalità degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva ed alla stessa legge 157/1992;
   il citato articolo 19-bis è stato oggetto di procedura di infrazione da parte della Commissione europea e di successiva condanna da parte della Corte di giustizia europea, con la sentenza C-753/08 del 15 luglio 2010;
   tra i motivi della condanna comunitaria c’è il carente potere di controllo e intervento dello Stato sulle deroghe concesse dalle regioni e la carenza di elementi che circoscrivano le deroghe alle stringenti previsioni dell'articolo 9 della direttiva «Uccelli»;
   tra i motivi della condanna c’è l'utilizzo costante, anziché eccezionale, dello strumento delle deroghe e più precisamente il loro l'utilizzo come espediente per autorizzare la caccia ordinaria su specie verso le quali la caccia è vietata;
   le regioni italiane, in assenza di un intervento strutturale e definitivo da parte dello Stato italiano, hanno seguitato e verosimilmente seguiteranno a concedere deroghe in modo illegittimo;
   a fronte della grave situazione italiana, la Commissione europea ha proceduto a nuova messa in mora dell'Italia, ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   se l'Italia non dovesse adeguare la propria normativa con grande urgenza e in modo da interrompere definitivamente il regime illegittimo di deroghe regionali, si giungerebbe alla seconda e definitiva condanna in sede europea, ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, con conseguenti sanzioni economiche;
   questa situazione, oltre ad aver generato e continuare a generare un grave danno di immagine per il nostro Paese, e porre la Repubblica italiana e i suoi cittadini di fronte al rischio ormai concreto di ripercussioni economiche, sta causando gravi danni alla fauna selvatica protetta, patrimonio indisponibile della collettività nazionale e internazionale;
   il caso è ormai al limite del nuovo deferimento alla Corte di giustizia e dunque richiede un'azione assolutamente urgente, decisa e risolutiva –:
   quali iniziative urgentissime di competenza il Ministro interrogato stia adottando o intenda adottare, per porre fine al sistema illegittimo delle deroghe di caccia, per sanare la grave situazione di infrazione comunitaria in cui l'Italia attualmente versa e per evitare la condanna definitiva da parte della Corte di giustizia europea, che comporterebbe per lo Stato italiano e di conseguenza per i suoi cittadini, il pagamento di ingenti sanzioni economiche. (5-06978)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   MARINELLO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante segnala i diversi atti di sindacato ispettivo presentati nel corso della presente legislatura e più specificatamente le interrogazioni a risposta scritta nn. 4-05167, 4-01858 e 4-01310, all'interno delle quali si evidenzia, la situazione di rilevante criticità in cui si trova la regione Sicilia, con particolare riferimento al funzionamento degli ambiti territoriali ottimali (ATO) in base ai quali è organizzata, ai sensi dell'articolo 200 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice ambientale), la gestione dei rifiuti urbani;
   la situazione fallimentare sia sul piano del funzionamento che gestionale si evidenzia, sia dall'inefficienza e dai ritardi dell'attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, che dalla scarsa capacità delle società d'ambito siciliane nel rispetto della regolarità dei contributi previdenziali nei confronti dei lavoratori che operano all'interno delle cosiddette società d'ambito (ATO rifiuti);
   l'interrogante evidenzia, in particolare, l'attività della società Belice Ambiente Spa ATO TP2, situata nel comune di Castelvetrano in provincia di Trapani, che è stata oggetto di precedenti atti di sindacato ispettivo, la cui condotta gestionale si è contraddistinta negativamente sia con riferimento al mancato rispetto delle norme previste per la tutela e la salute dei cittadini residenti nell'area, che per la gestione amministrativa e contabile di esigua trasparenza;
   un esposto denuncia di presunto danno erariale, con abuso d'ufficio e falso in atto pubblico, nei riguardi della suesposta società, è stato recentemente presentato da parte della provincia regionale di Trapani, attraverso un consigliere in carica dell'ente, in cui si evidenziano irregolarità nell'ambito delle modalità con le quali sono avvenute una serie di assunzioni e dei livelli di inquadramento del personale all'interno della stessa società, nonché dell'affidamento diretto e in maniera fiduciaria nei confronti di una società interinale, «Manpower», per l'assunzione di operatori ecologici, la cui procedura risulta in evidente contraddizione con quanto previsto dalla normativa regionale n. 2 del 2007, che impone le procedure di evidenza pubblica per le società e le ATO, per le assunzioni di nuovo personale;
   il medesimo esposto-denuncia riporta, inoltre, che l'affidamento diretto alla suesposta società «Manpower», attraverso diversi contratti di somministrazione per un ammontare di oltre 3 milioni di euro ed un costo orario aggiuntivo pari a 4,77 euro più IVA, ha determinato alla società Belice Ambiente, il cui capitale sociale è interamente pubblico, un presunto danno di 1 milione di euro;
   ulteriori aspetti poco nitidi e pertanto meritevoli di approfondimento, da parte delle autorità giudiziarie, a giudizio dell'interrogante, si evidenziano dalla situazione complessiva della medesima società Belice Ambiente, di estrema gravità finanziaria come si evince dai bilanci societari, causata sia da un aumento, vertiginoso del numero di personale all'interno della struttura, sia dalla pregressa gestione deficitaria conclusasi con un'indagine giudiziaria a seguito dell'emissione di fatture false per circa 12 milioni di euro;
   i mancati controlli da parte delle autorità preposte all'interno della società Belice Ambiente, come evidenziato dall'esposto denuncia, chiamano in causa i seguenti soggetti: sindaci, presidenti dell'assemblea di coordinamento intercomunale, collegio dei revisori dei conti e amministratore unico, che avrebbero dovuto vigilare sulla regolarità amministrativa e contabile, definiscono a giudizio dell'interrogante, un quadro generale della medesima società attualmente in liquidazione, di estrema precarietà che desta inquietudine per il futuro proseguimento dell'attività stessa –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa e quali iniziative intendano tempestivamente adottare, nell'ambito delle proprie competenze, in relazione alle garanzie previste dall'ordinamento con specifico riguardo al controllo di costi e al buon andamento della pubblica amministrazione. (4-16374)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSENZA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il gioco d'azzardo, negli ultimi anni, ha avuto in Italia un incremento sorprendente, con il nostro Paese che detiene il primato europeo per la maggior cifra giocata ai tavoli da gioco: una media di circa 2.000 euro a persona;
   è dunque comprensibile come si siano moltiplicate le occasioni di gioco e come si cerchi di «reclutare» più giocatori possibili attraverso campagne pubblicitarie sempre più allettanti; nelle ultime settimane è diventato di sempre maggiore attualità, come dimostrato dal risalto che la stampa gli sta dando e dalle numerose iniziative parlamentari provenienti da tutti i gruppi politici in materia, la tematica attinente alla cosiddetta ludopatia, cioè la patologia derivante dalla dipendenza dal gioco d'azzardo che nella maggior parte dei casi porta il giocatore e la sua famiglia alla rovina socio-economica;
   il gioco legale conta circa 31 milioni di persone di cui, secondo il Censis, almeno 100 mila sono colpite da ludopatia grave e, secondo il CNR, circa tre milioni sono ad alto rischio;
   non bisogna cadere nel rischio di demonizzare a priori un intero settore, quale è quello dei giochi, che oggettivamente ha molta importanza nel nostro Paese sia per le sue ricadute occupazionali che per i generosi proventi fiscali garantiti all'erario, ma prendere atto che in Italia stanno crescendo situazioni di rischio e di dipendenza patologica dal gioco –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in merito a quanto esposto in premessa. (4-16356)


   COSENZA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'11 maggio scorso il Ministro interrogato ha pubblicamente dichiarato che è allo studio del Governo l'ipotesi di «un limitato prelievo di scopo di 3 centesimi sulle bottigliette da 33 ci che porterebbe 250 milioni di euro l'anno»;
   si tratterebbe di una sorta di «tassa sul cibo spazzatura» da applicare solo alle «bevande zuccherate e gassate» e non anche ai cibi. Le risorse, riportano le dichiarazioni del Ministro interrogato sulle agenzie di stampa, sarebbero «finalizzate a iniziative di rafforzamento di campagne di prevenzione e di promozione di corretti stili di vita e ad alcuni interventi mirati in campo sanitario»;
   in attesa di una sua concreta attuazione, a parere dell'interrogante una misura come quella sopra annunciata andrebbe certo nella direzione di intervenire su un fenomeno in preoccupante crescita in Italia, ovvero quello della cattiva alimentazione tra i giovani e anche tra i bambini, come dimostrano i tassi in crescita di minori in stato di sovrappeso o addirittura di obesità;
   è tuttavia necessario andare anche oltre dando vita a un piano organico e più complessivo, andando al di là di misure positive ma comunque episodiche, che consenta un nuovo e più moderno approccio al tema della sana alimentazione dei nostri bambini e adolescenti, andando inoltre a incidere sugli stili di vita che paiono sempre più all'insegna della sedentarietà;
   in tal senso appare necessario, secondo l'interrogante, individuare, al fianco della misura già annunciata della tassa sulle bevande zuccherate e gassate, altre misure molto specifiche quali:
    a) la possibilità di ulteriori gravami sulle bevande che contengano anche sostanze coloranti e allergeniche la cui scarsa sicurezza minaccia i minori;
    b) la previsione di una tassa anche sulla vendita dei cosiddetti «cibi spazzatura», che sono un pericolo per la sana crescita dei nostri minori;
    c) l'attuazione sull'intero territorio nazionale (mentre oggi essa avviene a macchia di leopardo e senza risorse certe) del programma «frutta nelle scuole» ai sensi dei regolamenti europei n. 1234/2007 e n. 288/2009;
    d) il divieto della presenza di distributori di «junk food» e di «bevande zuccherate e gassate» nelle scuole e negli impianti in cui si praticano attività sportive;
    e) l'introduzione di meccanismi incentivanti e premiali, per esempio tramite l'attribuzione di un «bollino» di qualità alle scuole che sanno distinguersi su questo piano, in favore degli istituti scolastici che nei servizi di mensa adottino menu che prevedano ingredienti naturali provenienti dai rispettivi territori e centrifugati e spremute di frutta –:
   se siano già previsti tempi e modalità per dare concreta attuazione alla misura annunciata dal Ministro interrogato in merito alla tassa sulle bevande zuccherate e gassate;
   se la misura annunciata, nei piani del Governo, debba inserirsi all'interno di un più ampio spettro di azioni finalizzate alla salute e alla sana alimentazione dei bambini e degli adolescenti;
   se le ulteriori auspicabili misure ipotizzate in premessa dall'interrogante possano entrare a far parte di questa azione organica e, in particolare, quali siano le priorità del Governo per quanto riguardo in modo specifico il terreno più delicato, cioè quello dell'alimentazione nelle scuole. (4-16360)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARELLA, GASBARRA, MORASSUT e META. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dal comunicato delle organizzazioni sindacali, la Key Safety Systems (KSS), azienda produttrice di dispositivi di sicurezza passiva installati all'interno delle auto, quali airbag ed inflator, di proprietà di una multinazionale statunitense, con stabilimento a Colleferro, dove impiega circa 440 persone, ha iniziato un piano di ristrutturazione, che prevede la delocalizzazione progressiva verso la Romania delle proprie linee di produzione che terminerà entro la metà del 2014;
   la prospettata delocalizzazione fa sorgere il timore di drastici tagli occupazionali nello stabilimento di Colleferro;
   la chiusura dello stabilimento aggraverebbe la situazione occupazionale e industriale dell'area della Valle del Sacco già provata dalla chiusura di altri importanti stabilimenti tra i quali quelli dell'ARC Automotive Italia Srl e dell'Alstom, determinando una emergenza sotto il profilo economico e sociale;
   è opportuno e necessario intervenire con decisione al fine di contrastare la politica di delocalizzazione decisa dalla Key Safety Systems indicare una soluzione diversa che porti al rilancio del sito di Colleferro e al mantenimento dei livelli occupazionali –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo al fine di salvaguardare il livello occupazionale e scongiurare la perdita di ulteriori posti di lavoro in una realtà, quella della Valle del Sacco, che già risulta essere in piena emergenza sociale, a tal fine anche prevedendo l'apertura di un tavolo di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico tra l'azienda, le organizzazioni sindacali e le istituzionali locali. (5-06975)


   VICO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ormai da alcuni mesi la Vestas Wind System, leader mondiale nella vendita, installazione e manutenzione di aerogeneratori per energia eolica, ha annunciato la procedura di mobilità per ben 41 dipendenti (tre nella sede di Roma, 38 in quella di Taranto);
   il provvedimento assunto dall'azienda danese giunge in assenza di uno svelato piano industriale reso alle parti sociali, in un settore che, malgrado la crisi economica, mantiene livelli di mercato considerevoli sia in Europa che oltreoceano;
   la vertenza che rischia di scompaginare una importante fetta di economia e occupazione specie nella sede di Taranto con 729 dipendenti e un indotto di oltre 2.000 persone, sinora non ha registrato sostanziali avvicinamenti tra le parti, con l'azienda ferma sulle posizioni dei tagli occupazionali e i sindacati di categoria che ancora una volta contestano il provvedimento sulla base dei fatturati registrati in costante aumento dal 2006 ad oggi e delle possibilità di ulteriore crescita del comparto;
   si tratta di un settore che rischia di lasciare con Taranto non solo il Sud Italia ma l'intero Paese, considerate le sempre più pressanti intenzioni di delocalizzazione in Spagna alcuni dei segmenti chiave delle produzioni e del management del grande colosso danese;
   il taglio degli incentivi al settore delle energie rinnovabili, così come introdotto dal testo di decreto legislativo «sulle rinnovabili», rischia di compromettere ulteriormente la presenza di Vestas in Italia e con essa il futuro di tutti i suoi dipendenti –:
   se i Ministri interrogati intendano aprire un tavolo di confronto con l'azienda e le organizzazioni sindacali coinvolte nella vertenza al fine di individuare un percorso che escluda i licenziamenti ed affronti il piano industriale della azienda, alla luce del decreto legislativo «sulle rinnovabili» e dello schema di decreto ministeriale concernente le «fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico», in modo da poter valorizzare le produzioni di energia da fonte eolica e preservare una fetta di mercato e occupazione che riguarda il Sud e l'Italia in generale. (5-06979)


   VICO e LO MORO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   con più atti di sindacato ispettivo si sollecitava il Governo ad intervenire per superare alcune significative criticità che non consentono il completamento di consistenti investimenti produttivi, già finanziati con i patti territoriali ed i contratti d'area, o la chiusura dell'istruttoria amministrativa per mancanza: delle istruttorie finali da parte degli istituti bancari, delle relazioni finali da parte delle Commissioni ministeriali, dei decreti finali da parte del competente Ministero e dell'erogazione del contributo finale a favore delle imprese;
   con diverse segnalazioni sia da parte di soggetti responsabili di patti territoriali che dall'Associazione ANPACA si evidenziavano le difficoltà dei soggetti responsabili locali a svolgere la loro funzione, anche per la mancanza di risposte alle richieste di erogazione del «contributo globale» ed alle richieste di rimodulazione delle risorse rivenienti da rinunce e revoche, così come previsto, da ultimo, dalla legge n. 99 del 2009;
   fino alla data odierna non è stata intrapresa nessuna iniziativa concreta in merito all'ordine del giorno n. 9/4086/185 accolto il 25 febbraio 2011, che impegnava il Governo in particolare su tre obiettivi strategici:
    a valutare l'opportunità di predisporre gli interventi necessari per il superamento delle problematiche rilevate (in ordine agli obiettivi occupazionali e al tasso di attualizzazione finale degli investimenti) al fine di rendere possibile la conclusione positiva delle iniziative e non disperdere il lavoro svolto in questi anni su tutto il territorio nazionale;
    a mettere in atto azioni immediate finalizzate alla riassegnazione delle risorse finanziarie rivenienti da rinunce e revoche ed oggetto di istanze di rimodulazione, su progetti immediatamente cantierabili, presentate dai soggetti responsabili ai sensi della legge n. 99 del 2009 e attualmente in perenzione amministrativa anche mediante il parziale utilizzo delle cosiddette «risorse liberate» legate alla Programmazione 2000-2006 o nell'ambito del decreto di riforma degli incentivi alle imprese e di quanto previsto nel Piano per il Sud in fase di definizione;
    a valorizzare, anche nell'ambito della prevista riforma della programmazione negoziata, il lavoro svolto in questi anni sul territorio nazionale dai soggetti responsabili dei patti territoriali e contratti d'area che ha ottenuto importanti risultati anche in termini di coinvolgimento del partenariato locale, crescita sociale, coesione istituzionale tra tutti i soggetti protagonisti dello sviluppo, enti locali, forze sociali, associazioni imprenditoriali e di categoria;
   con circolare n. 0018556 del 29 maggio 2012 il Ministero dello sviluppo economico direzione generale per l'incentivazione delle attività produttive divisione IX patti territoriali stigmatizza la messa in liquidazione di alcuni soggetti responsabili, costituiti in forme societarie ai sensi della delibera CIPE 21/03/1997 n. 29 punto 2.5 –:
   quali azioni immediate si intendano porre in essere per dare attuazione a quanto previsto dall'ordine del giorno ricordato in premessa, considerato che, stante l'attuale grave crisi economica ed occupazionale, ulteriori ritardi normativi provocherebbero fallimenti aziendali e creerebbero ulteriore disoccupazione;
   come si intenda aiutare a risolvere le difficoltà, già segnalate nel passato, dei soggetti responsabili, costituiti in forme societarie, che sono stati posti in liquidazione o che stanno per esserlo;
   se si intenda aiutare a risolvere le difficoltà, che impediscono una corretta attività, presentate anche dalla compilazione, da parte di alcuni soggetti responsabili, della «relazione semestrale», considerate anche le consistenti risorse finanziarie assegnate a Promuovitalia per l'attività di monitoraggio dei patti territoriali e contratti d'area, che avrebbe dovuto portare all'attenzione degli organismi competenti le difficoltà e quindi evitare le problematiche operative, da parte di alcuni soggetti responsabili locali, così come stigmatizzato nella richiamata circolare ministeriale. (5-06980)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSENZA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha prorogato per tutto il 2012 il regime delle detrazioni fiscali pari al 55 per cento degli importi spesi per lavori di efficientamento energetico degli edifici;
   allo stato attuale, dopo il 31 dicembre 2012, però, tale regime verrà sostituito da uno meno favorevole che abbassa al 36 per cento l'incentivazione per questo tipo di interventi;
   nel parere espresso al Documento di economia e finanza per il 2012 nella seduta del 24 aprile scorso, la Commissione ambiente della Camera ha tra l'altro posto la seguente condizione: «si impegni il Governo, modificando quanto previsto dall'articolo 4 del decreto-legge n. 201 del 2011, a stabilizzare all'attuale livello del 55 per cento le agevolazioni fiscali per gli interventi di efficientamento energetico degli edifici, compresi quelli di edilizia residenziale pubblica, nonché ad estendere il sistema delle medesime agevolazioni fiscali anche agli interventi per la messa in sicurezza degli edifici dal rischio sismico»;
   è evidente, a parere dell'interrogante, che mantenere un più favorevole e conveniente sistema di detrazioni è essenziale per incentivare il nostro Paese ad essere protagonista di una svolta in favore della tutela dell'ambiente e della qualità della vita, soprattutto nei centri urbani, attraverso un'edilizia sempre più efficiente e quindi ecocompatibile;
   bisogna inoltre considerare come, nell'ambito dello sviluppo della cosiddetta «green economy», la messa in efficienza a livello energetico del patrimonio edilizio italiano sia anche una grande occasione di sviluppo per il mondo delle imprese e per il mondo del lavoro –:
   quali iniziative il Governo ritenga di assumere per poter dare seguito alla richiesta, fatta propria dalla Commissione Ambiente della Camera, di stabilizzare il regime di detrazioni in favore dell'efficientamento energetico degli edifici. (4-16357)


   RAMPI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la divisione exploration & production di ENI ha presentato nel mese di marzo 2012 presso i competenti uffici della regione Piemonte, della provincia di Novara e del comune di Carpignano Sesia gli atti relativi alla realizzazione di un progetto denominato «Carpignano Sesia 1» che prevede la perforazione di un pozzo esplorativo per la ricerca e lo sfruttamento del petrolio;
   le attività previste dal progetto sono le seguenti: allestimento della postazione del pozzo Carpignano Sesia 1 per ricevere l'impianto di perforazione; perforazione del pozzo di ricerca, completamento, spurgo e prove di produzione; ripristino territoriale parziale (in caso esito positivo) e messa in sicurezza del pozzo; chiusura mineraria del pozzo e ripristino territoriale totale (in caso di esito negativo);
   in base alla normativa nazionale vigente (decreto legislativo n. 152 del 2006 e s.m.i. «Norme in materia ambientale»), della legge regionale n. 40 del 1998 e della delibera della giunta regionale 63–11032–09 il progetto è assoggettato a procedura di valutazione di impatto ambientale;
   in sede di conferenza dei servizi, tenutasi in data 24 aprile 2012 per la valutazione del progetto, il sindaco del comune di Carpignano Sesia ha espresso preoccupazione in merito alla localizzazione e al possibile impatto ambientale dell'opera succitata; il sindaco del comune di Ghemme ha espresso parere negativo motivato; l'ASL ha rilevato l'opportunità di una valutazione circa la localizzazione dell'impianto e le possibili alternative; l'ARPA Piemonte ha richiesto chiarimenti in relazione ai parametri ambientali e all'area interessata;
   la popolazione locale ha presentato al sindaco del comune di Carpignano Sesia una raccolta di firme per indire un referendum sul progetto e in data 17 aprile ha costituito ufficialmente un comitato, denominato DNT (difesa nostra terra) finalizzato al contrasto del progetto –:
   quale sia la posizione dei Ministri interrogati in relazione al progetto denominato «Carpignano Sesia 1» e come intendano intervenire, per quanto di competenza, a tutela dei cittadini, dell'integrità territoriale e della produzione agroalimentare della zona, in relazione alla quale l'interrogante segnala la produzione vinicola quale eccellenza che conferisce al territorio una sua unicità. (4-16373)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Moffa n. 1-01034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dall'onorevole Paladini e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Moffa, Antonino Foti, Damiano, Fedriga, Poli, Paladini, Pelino, Razzi, Siliquini, Lehner, Gianni, D'Anna, Scilipoti, Taddei».

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Antonino Russo e Siragusa n. 7-00867, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Mazzarella, Melandri, Levi, Lolli, Pes, Tocci, Schirru.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta orale Binetti n. 3-02290, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Farinone.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Di Pietro n. 1-00975, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 612 del 27 marzo 2012.

   La Camera,
   premesso che:
    nel marzo del 2011, le proteste sono giunte anche in Siria, dopo aver interessato i Paesi del Maghreb e del Mashrek (avvenimenti ormai noti come «primavera araba»);
   tutto è iniziato a Daraa, città nel sud del Paese, quando i residenti si sono riversati in piazza in quello che venne poi ribattezzato il «giorno della rabbia», per chiedere il rilascio di circa 15 studenti arrestati e presumibilmente torturati dopo aver scritto su un muro slogan che riprendevano gli stessi apparsi nel corso delle rivolte in Tunisia ed Egitto;
    attualmente è ancora in atto una dura rivolta contro il regime alawita di Bashar Al Assad, presidente dal luglio 2000, succeduto al padre, Hafez Al Assad presidente ininterrottamente dal 1971 al 2000 (la famiglia Al Assad appartiene alla minoranza islamica degli Alawiti, di orientamento sciita, che fornisce la maggior parte dei quadri dirigenti del Ba'ath siriano);
    il Governo di Damasco sta, purtroppo, rispondendo a queste legittime richieste di cambiamento con un uso sproporzionato della forza militare; stando agli ultimi dati diffusi dalle Nazioni Unite, infatti, tale violenta reazione avrebbe provocato finora la morte di oltre 10.000 persone; non è ovviamente possibile avere esatta contezza del numero dei morti ma l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), al 4 aprile 2012, parla di 10.281 persone di cui 7.432 civili (tra cui 1.110 tra bambini e adolescenti e 232 donne), 2.281 forze militari governative e 568 disertori documentati finora; le persone attualmente arrestate sarebbero circa 21.000, di cui 482 minorenni e 237 donne; il Consiglio nazionale siriano invece parla di oltre 12.000 morti, di cui 11.188 civili (870 minori, 761 donne) e 1.081 soldati che si sono rifiutati di eseguire gli ordini;
    si tratta in ogni caso di numeri inaccettabili, ancor più se si pensa che parliamo di cifre destinate a crescere giorno per giorno: proprio lo scorso 27 maggio, infatti, hanno perso la vita 108 persone, fra cui 49 bambini, in un nuovo, efferato massacro a Hula; il portavoce dell'Alto commissariato ONU per i diritti umani (UNHCR), Ruper Colville, ha spiegato che solo una ventina dei siriani morti in questo ennesimo eccidio sono stati causati dai colpi dell'artiglieria e dei carri armati; lo stesso, ha anche denunciato che «la mancanza di un accordo nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU sulla Siria sembra aver incoraggiato le autorità di Damasco a portare avanti un massacro ancora più indiscriminato di dissidenti e crimini contro l'umanità»; ma l'ultimo bilancio delle violenze in Siria è del 30 maggio, quando a Deir Ezzor si è verificato un altro massacro con 98 morti, tra cui 61 civili, nove ribelli e 28 soldati governativi; secondo il presidente dell'Osservatorio siriano per i diritti umani con sede a Londra, Rami Abdel Rahman «Le vittime sono state giustiziate con un proiettile nella testa, secondo le prime informazioni provenienti dalla regione»;
    la Lega Araba, nel corso di riunione del 12 febbraio 2012 al Cairo, attraverso i suoi Ministri degli affari esteri, aveva chiesto al Consiglio di sicurezza dell'ONU l'avvio di una missione, in sostituzione di quella fallita il 28 gennaio 2012, che prevedesse l'invio in Siria di una forza di pace internazionale mista composta da rappresentanti arabi e rappresentanti scelti dalle Nazioni Unite, finalizzata a porre fine ai massacri che insanguinano, da ormai un anno, il Paese arabo; nel corso della stessa riunione era stato chiesto ai Paesi arabi di sospendere ogni forma di cooperazione diplomatica con il regime di Damasco, e di intensificare le sanzioni economiche e l'apertura di canali di comunicazione con le opposizioni, ancorché divise;
    l'11 aprile 2012 il Governo siriano, dopo un trionfalistico annuncio sulla sconfitta dei «terroristi» e la ripresa totale di controllo del territorio, si era detto pronto ad attuare la tregua a partire dal giorno successivo, mantenendo peraltro le truppe pronte a nuovi interventi, ma la stessa veniva rispettata solo parzialmente poiché nelle 36 ore successive le forze governative uccidevano una trentina di persone come sempre dopo il consueto venerdì di preghiera;
    dopo l'ennesimo massacro, il 14 aprile 2012 veniva approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza ONU la risoluzione 2042 in cui si consentiva l'invio immediato di una missione esplorativa in Siria, composta da non più di trenta osservatori militari non armati, allo scopo di controllare il rispetto del cessate il fuoco, ma anche degli altri punti del piano di pace sottoposto ad Assad da Kofi Annan, con particolare riguardo al ritiro delle forze militari e degli armamenti pesanti dai centri abitati;
    dopo l'inizio della missione di osservatori dell'ONU, la situazione nel Paese è rimasta difficile e l'ONU ha preso atto che la tregua è stata rispettata solo parzialmente dal regime, il quale, dal canto suo, sempre appoggiato dalla Russia, ne addossava la responsabilità ai combattenti definiti terroristi; di qui la decisione di approvare il 21 aprile una seconda risoluzione, la 2043, la cui urgenza era stata particolarmente sostenuta dalla Russia, votando all'unanimità l'invio progressivo di un contingente di non più di trecento osservatori militari disarmati, oltre alla necessaria componente civile; dopo l'eccidio di Hula, anche Russia e Cina hanno infatti poi sottoscritto la ferma condanna del Consiglio di sicurezza, dopo che per due volte avevano esercitato il potere di veto;
    la missione deliberata (UNSMIS l’United nations supervision mission in Syria), della durata iniziale di 90 giorni e sulla quale già in precedenza le Nazioni Unite avevano firmato un protocollo d'intesa con il governo siriano, sarà soggetta a una frequente periodica valutazione da parte del Segretario generale dell'ONU che riferirà al Consiglio, soprattutto in ordine all'effettivo rispetto – finora solo parziale – del cessate il fuoco;
    gli attivisti dei comitati di coordinamento che si oppongono in Siria al regime non hanno nascosto la propria delusione, sostenendo che la missione fallirà il proprio obiettivo, in quanto insufficiente a coprire il vasto territorio siriano, e si risolverà solo in un'ulteriore concessione di tempo al regime di Assad; la perdurante repressione in atto nel Paese e i già menzionati massacri sembrano dare loro ragione;
    il 23 aprile 2012, stante la violazione dell'impegno a cessare il fuoco, nuove sanzioni europee e americane hanno colpito la Siria: in particolare, quelle decise dal Presidente USA Obama rivolte soprattutto verso una serie di tecnologie con le quali il regime sarebbe in grado di rintracciare e colpire gli oppositori mediante il controllo dei telefoni cellulari e dei social network della rete Internet;
    nelle stesse ore la Turchia, preoccupata soprattutto degli effetti destabilizzanti a catena che un'eventuale partizione della Siria potrebbe provocare, ha ventilato la possibilità di portare in sede NATO la situazione di tensione del proprio confine con la Siria;
    nemmeno le elezioni legislative del 7 maggio 2012 hanno segnato una qualche ricomposizione dei contrasti: piuttosto, esse sono state boicottate anche da forze di opposizione moderata non colpite finora dalla repressione, in quanto giudicate solo un'operazione cosmetica del regime che invece le ha ritenute democratiche, in realtà, come poi è stato acclarato, si è trattato di elezioni-farsa;
    l'8 maggio, Kofi Annan ha rilevato come gran parte del suo piano per il cessate il fuoco non sia stato finora attuato, ma ha espresso fiducia nell'azione dei trecento osservatori che entro la fine di maggio dovrebbero essere tutti al lavoro in Siria, e tra loro vi sono 17 militari italiani (dei quali 5 sono partiti il 15 maggio alla volta di Damasco), come deciso dal Governo con comunicazione al Parlamento in un'informativa alle Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera il 9 maggio;
    il 13 maggio 2012, il Ministro degli esteri Giulio Terzi ha ricevuto a Roma il capo del Consiglio nazionale siriano, Burhan Ghalioun, ma le sue successive e improvvise dimissioni non rappresentano certamente un segnale positivo;
    di fronte alle violenze e alla crisi diplomatica internazionale, il nostro Paese, a lungo uno dei principali partner commerciali della Siria, il 14 marzo 2012 aveva iniziato con la sospensione dell'attività della propria ambasciata a Damasco, rimpatriandone lo staff della sede diplomatica; altri Paesi si erano mossi in tale direzione;
    con l'aggravarsi della situazione, a seguito delle efferate violenze contro la popolazione civile di Hula, ascrivibili alle responsabilità del Governo siriano, e a fronte del fallimento di quanto messo in campo sinora in sede ONU con le risoluzioni 2042 e 2043, è stato concordato da Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Spagna di provvedere all'espulsione degli ambasciatori della Siria dal territorio nazionale, provvedimento esteso anche ad alcuni funzionari dell'ambasciata; anche gli Stati Uniti, l'Australia, il Giappone, il Canada e la Turchia hanno provveduto in tal senso mentre la Russia ha invece criticato l'espulsione degli ambasciatori siriani, definendola una mossa «controproducente»;
    il premier turco Recep Tayyip Erdogan, nel condannare l'eccidio di Hula, ha sottolineato che «la pazienza del mondo si sta esaurendo» e ha anche fatto sapere di essere disposto e preparato a ricevere profughi siriani per proteggerli dalle forze armate lealiste e a ospitare le forze armate libere della Siria, escludendo in maniera assoluta un coinvolgimento militare;
    a conferma, comunque, che il conflitto potrebbe estendersi pericolosamente, si è avuta notizia di spari dell'esercito siriano al confine con il Libano che hanno causato la morte di un contadino libanese; intanto l'opposizione siriana fa sapere di essere pronta a prendere il controllo degli arsenali chimici di Assad non appena il regime crollerà;
    al di là delle inevitabili ripercussioni sugli assetti politico-istituzionali dell'intera area geografica, tale situazione sta generando un forte allarme umanitario per i violenti massacri che da mesi continuano a perpetrarsi ai danni della popolazione civile e che rischia di provocare delle inevitabili e gravi ripercussioni sui già delicati equilibri dell'intero territorio mediorientale, per cui risulta quanto mai urgente e prioritario un decisivo e unanime intervento della comunità internazionale;
    alla luce di una crisi economica e finanziaria che si aggrava sempre più a livello globale, i Governi occidentali restano ancora molto riluttanti a intervenire, avendo anche ben presente il complesso quadro regionale e internazionale in cui si colloca la crisi siriana; inoltre, va tenuto in debita considerazione il fatto che in Siria una delle principali incognite è caratterizzata dalla frammentarietà dell'opposizione al regime, dominata da una maggioranza sunnita sostenuta dai Fratelli musulmani e da Paesi arabi del Golfo e rappresentata da un insieme di gruppi in esilio che si fa chiamare Consiglio nazionale siriano (Cns), con una prevalenza sempre più consistente di movimenti e partiti islamisti sunniti a fronte della presenza sciita di matrice iraniana; proprio l'Iran ovviamente ha dimostrato di essere particolarmente attento a quel che accade in Siria, offrendo innanzitutto l'appoggio alle forze del regime e alla repressione della rivolta nel Paese;
    quella in atto in Siria appare ormai sempre più una guerra civile ampiamente iniziata piuttosto che qualcosa in procinto di accadere, con conseguenze ancora più devastanti per la popolazione,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, nelle opportune sedi internazionali, di iniziative volte a:
    a) favorire un deciso intervento diplomatico, di concerto con le istituzioni europee, per rafforzare la pressione internazionale sul regime siriano, far cessare qualsiasi atto di violenza nei confronti della sua popolazione, assicurare un forte sostegno politico alla già fragile e composita opposizione siriana nella direzione di evitare un'ulteriore degenerazione della situazione;
    b) far sì che il Consiglio di sicurezza dell'ONU si pronunci nel più breve tempo possibile nel senso di:
     1) fornire una più stringente e decisa risposta all'inaccettabile susseguirsi di violenze e repressione in Siria attraverso l'adozione di misure più rigorose, tra cui sanzioni economiche, contro il regime siriano;
     2) valutare la possibilità di avviare una missione di peacekeeping congiunta ONU-Paesi arabi nell'estremo tentativo di dissuasione nei confronti del presidente siriano;
     3) prevedere l'aumento del numero degli osservatori militari delle Nazioni Unite già previsti dalla risoluzione 2043 e rafforzare il mandato della missione UNSMIS;

   ad adoperarsi nelle sedi internazionali per sostenere con forza che la Commissione internazionale indipendente d'inchiesta, istituita dal Consiglio ONU dei diritti umani, possa entrare in Siria e verificare le denunce di violazioni commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto.
(1-00975)
(nuova formulazione) «Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Leoluca Orlando, Di Stanislao».

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
   interrogazione a risposta scritta Di Biagio n. 4-12789 del 21 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06972.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ANGELI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel giugno 2009 l'allora Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Luca Zaia propose di destinare i terreni demaniali inutilizzati a favore dei giovani che volessero intraprendere l'attività imprenditoriale nel campo agricolo, attraverso un censimento da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, per verificare il numero di ettari di terreni inutilizzati e coltivabili, su tutto il territorio nazionale;
   proposta che si è parzialmente realizzata con l'articolo 4-quinquies introdotto dalla legge n. 102 del 2009 di conversione nel decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante «provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali» che prevede che l'Agenzia del demanio, d'intesa con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, individui i beni liberi di proprietà dello Stato aventi destinazione agricola non utilizzabili per altri fini istituzionali per favorire il ricambio generazionale e lo sviluppo dell'imprenditorialità agricola giovanile anche attraverso interventi di ricomposizione fondiaria;
   misura che è stata adottata con successo a Rosario, Argentina. Si chiamano Parques Huertas (parchi orti) e sono degli spazi pubblici metropolitani recuperati e nei quali si lavora la terra;
   un'ordinanza garantisce che si trattino unicamente produzioni biologiche mediante tecniche ecologiche. Ognuno di questi spazi ha finalità sociali e di utilizzazione socio-produttiva, quindi che contemplino servizi paesaggistici, urbanistici e ambientali;
   la situazione economica impone l'adozione di misure che mirano ad affrontare la crisi con serietà, utilizzando al meglio delle nostre possibilità, le risorse a disposizione –:
   se si stia applicando la disposizione prevista dall'articolo 4-quinquies della legge n. 102 del 2009;
   se i terreni recuperati dalla confisca dei beni delle organizzazioni criminali e i terreni facenti parte del demanio statale e non sfruttati, possano essere destinati ad un utilizzo sociale come quello dei parques huertas. (4-14292)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, vorrei anzitutto evidenziare che il ricambio generazionale, accanto allo sviluppo dell'imprenditoria giovanile in agricoltura, rappresentano per la mia amministrazione tematiche di prioritaria importanza.
  Infatti, in applicazione di quanto previsto dalla legge n. 102 del 2009, abbiamo tempestivamente attivato, tramite Ismea, la ricognizione dei possibili terreni demaniali da destinare ai giovani intenzionati a intraprendere un'attività imprenditoriale nel settore agricolo.
  Tuttavia, dai primi rilevamenti condotti per ciascuna provincia italiana, sono emerse una serie di problematiche che, rendendo necessari ulteriori approfondimenti, hanno prolungato i tempi di attuazione (mi riferisco, in particolare, al fatto che non tutte le province dispongono di terreni demaniali, molti terreni demaniali non sono più agricoli, alcune aree con destinazione agricola sono già coltivate da persone fisiche o giuridiche e che le superfici di maggiori dimensioni sono occupate da boschi, prati pascolo oppure si tratta di superfici di difficile recupero dal punto di vista agricolo).
  Peraltro, sebbene l'articolo 7 della legge n. 183 del 12 novembre 2011 (cosiddetta legge di stabilità 2012) abbia previsto l'individuazione (a cura del mio Ministero, d'intesa con quello dell'economia e delle finanze) di terreni a vocazione agricola di proprietà dello Stato o di enti pubblici nazionali da alienare (non utilizzabili per altre finalità istituzionali), nonché il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli nelle procedure di alienazione, anche in questo caso sono emerse una serie di difficoltà applicative derivanti dalle modalità di esecuzione nonché dal rischio di possibili speculazioni (in quanto la norma prevedeva come vincolo di destinazione d'uso un periodo di cinque anni, giudicato troppo breve).
  Pertanto, con l'articolo 66 del decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), abrogando il citato articolo 7, è stato introdotto un vincolo agricolo ventennale all'uso dei terreni dismessi, confermato il diritto di prelazione ai giovani imprenditori (offrendo, al contempo, la possibilità di incidere sul problema della ricomposizione fondiaria che da sempre costituisce un grave «handicap» strutturale dell'agricoltura italiana) e disposta l'adozione di un decreto (a cura del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze e su segnalazione dell'Agenzia del demanio), da emanarsi entro il 30 giugno di ogni anno, che individui i terreni a vocazione agricola da alienare.
  L'amministrazione si sta già attivando per la predisposizione degli atti necessari per individuare i possibili terreni da dismettere.
  Per quanto riguarda, invece, l'assegnazione dei terreni confiscati alla criminalità, ricordo che la gestione e la destinazione di tali beni sono demandate ad un commissario straordinario nominato dal Governo.
  Colgo l'occasione, infine, per far presente che alcuni programmi di sviluppo rurale (PSR) regionali attribuiscono, per alcune misure, ai progetti presentati da giovani assegnatari di terreni confiscati un punteggio maggiore in graduatoria (decisione, peraltro, sostenuta anche dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali).
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   ARACRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i tempi medi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni per somministrazioni, prestazioni, forniture e appalti raggiungono nel Paese livelli intollerabili sia in termini comparativi che in termini di sostenibilità per le imprese fornitrici e prestatrici di opere e servizi;
   il ritardo nel pagamento di fatture scadute è diventato presso talune amministrazioni una regola fissa e in certi casi il ritardo nei pagamenti si misura in anni;
   secondo la stima del Ministro dello sviluppo economico, riportata anche in un'intervista al Corriere della Sera dell'8 gennaio, lo scaduto dei pagamenti privati e pubblici raggiunge ormai la cifra di 60-80 miliardi di euro di debito forzoso;
   il fenomeno del ritardo nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni appare intollerabile in primo luogo dal punto di vista dei principi liberali di tutela della buona fede, dell'affidamento e della certezza delle relazioni giuridiche;
   le amministrazioni mettono in pratica politiche di rigore sul versante degli adempimenti fiscali e del recupero dei tributi non pagati mentre, nello stesso tempo e contro gli stessi soggetti, sono più o meno disattente nel rispetto di regole contrattuali, mettendo in dubbio la loro onorabilità, legittimità e in ultima analisi la credibilità dell'intero sistema statale;
   tutto ciò nel contesto dell'attuale crisi economico-finanziaria internazionale assume una importante valenza per la politica economica poiché si è verificata una forte e preoccupante stretta creditizia nei confronti delle imprese che sono sempre più spesso in difficoltà nell'accesso al credito bancario o chiamate a rientrare della propria esposizione creditizia;
   nonostante la tendenziale eterogeneità, in alcuni casi anche molto consistente, dei dati relativi ai tempi medi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni nelle diverse aree del Paese, la capillare distribuzione delle piccole e medie imprese sul territorio e i drammatici eventi succedutisi nell'ultimo periodo impongono di considerare il fenomeno un problema di indubbia portata nazionale –:
   se ritenga di elaborare misure di carattere strutturale che impediscano l'accumularsi di ulteriori debiti da parte delle pubbliche amministrazioni nei confronti di privati, mediante la fissazione di termini di pagamento la cui inderogabilità sia resa effettiva da prescrizioni efficaci in termini di deterrenza;
   se non intenda assumere le iniziative necessarie per recepire e dare sollecita attuazione alla direttiva 2011/7/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce termini rigorosi e non derogabili per l'adempimento delle obbligazioni monetarie delle pubbliche amministrazioni, prima del termine di recepimento, fissato al 16 marzo 2013;
   se intenda rendere pienamente operative mediante l'adozione dei relativi decreti attuativi le disposizioni di cui all'articolo 28-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, introdotto dall'articolo 31, comma 1-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che prevedono la compensabilità dei crediti non prescritti certi, liquidi ed esigibili nei confronti delle regioni, degli enti locali e degli enti del servizio sanitario nazionale per somministrazione, forniture e appalti, con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo;
   se ritenga di valutare la passibilità di introdurre ulteriori meccanismi di compensazione dei crediti vantati dai privati nei confronti delle pubbliche amministrazioni con le obbligazioni di natura fiscale, per consentire un rientro dello stock di debiti delle pubbliche amministrazioni accumulato sino ad oggi;
   nell'ambito dell'attuazione del federalismo fiscale, se intenda valorizzare gli strumenti di responsabilizzazione delle amministrazioni locali e i meccanismi di premio e sanzione al fine di incentivare le pratiche virtuose nelle aree del Paese in cui il ritardo nei pagamenti assume dimensioni medie più consistenti;
   quando ritenga di mettere in atto le iniziative sopra ricordate. (4-14525)

  Risposta. — Il decreto-legge n. 1 del 2012, convertito con modificazioni in legge n. 27 del 24 marzo 2012, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, dispone all'articolo 35 una serie di misure per la tempestività dei pagamenti, per l'estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni statali, nonché disposizioni in materia di tesoreria unica.
  Tra le misure volte ad accelerare il pagamento dei crediti commerciali, esistenti alla data di entrata in vigore del citato decreto, per fornitura di beni e servizi alla pubblica amministrazione esistenti alla data di entrata in vigore di tale provvedimento, si riportano sinteticamente le seguenti:
   a) i fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti di parte corrente e di conto capitale, di cui all'articolo 37 della legge n. 196 del 2009 «legge di contabilità e finanza pubblica», vengono integrati rispettivamente di euro 2.000 milioni e 700 milioni, per l'anno 2012;
   b) è prevista la possibilità di estinzione dei crediti maturati alla data del 31 dicembre 2011, anche mediante assegnazione di titoli di Stato entro il limite di 2.000 milioni di euro.

  Lo stesso articolo 35 prevede una integrazione del fondo per l'estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni centrali, pari a 1.000 milioni di euro per l'anno 2012, derivanti da spese relative a consumi intermedi, maturati nei confronti dei Ministeri alla data del 31 dicembre 2011, il cui pagamento rientri tra le regolazioni debitorie pregresse.
  Per quanto concerne, poi, l'attuazione della direttiva 2011/7/Unione europea del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi nelle transazioni commerciali, già la legge n. 180 del 2011 recante «norme per la tutela della libertà di impresa. Statuto delle imprese», contenente disposizioni finalizzate a stabilire i diritti fondamentali delle imprese, all'articolo 10 prevede la delega al Governo per il recepimento di detta direttiva, da attuarsi come modifica al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, di recepimento della precedente direttiva in materia, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:
   contrasto degli effetti negativi della posizione dominante di imprese sui propri fornitori o sulle imprese sub-committenti, in particolare nel caso in cui si tratti di micro, piccole e medie imprese;
   possibilità per l'autorità garante della concorrenza e del mercato di procedere ad indagini ed intervenire in prima istanza con diffide e comminare sanzioni relativamente a comportamenti illeciti messi in atto da grandi aziende.

  Si rende noto, inoltre, che l'atto Senato n. 3129 recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 2011», prevede all'articolo 12 la delega al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per dare attuazione alla suddetta direttiva, sulla base dei principi e criteri direttivi generali della delega legislativa previsti all'articolo 2 dello stesso disegno di legge.
  Lo stesso articolo 12 prevede tra i principi e i criteri direttivi, l'individuazione di modalità applicative della menzionata direttiva, con riferimento ai contratti conclusi tra pubbliche amministrazioni e imprese prima del 16 marzo 2013 (termine previsto al paragrafo 4 della medesima direttiva), l'individuazione, sempre per i contratti conclusi prima di detto termine, di una disciplina transitoria relativa ai pagamenti delle imprese, che vantano crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni, per quanto concerne i relativi contratti per subfornitura, nonché l'adeguamento delle procedure contabili in materia di flessibilità di bilancio e programmazione dei flussi di cassa.
  In ogni caso è intenzione del Governo sostenere con efficacia la rapida attuazione della direttiva 2011/7/Unione europea, cooperando in sinergia con il Parlamento, nell'ambito del rafforzamento di una cultura di correttezza e buona fede tra amministrazioni e imprese e tra imprese.
  Fermo restando, infine, l'impegno da parte delle singole amministrazioni per affiancare alle predette iniziative di carattere normativo, misure specifiche rivolte ad assicurare maggiore efficienza di azione, attraverso la semplificazione delle procedure e l'introduzione di processi automatizzati di spesa, idonei a consentire tempestività e sicurezza delle transazioni, nel rispetto dei termini stringenti previsti dalla richiamata normativa comunitaria.
Il Ministro dello sviluppo economicoCorrado Passera.


   ASCIERTO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi anni si è registrata una crescita costante del fenomeno della contraffazione di prodotti alimentari e agroalimentari nel nostro Paese;
   annualmente le categorie del settore analizzano, attraverso numerosi rapporti specifici sull'argomento, i dati sulla commercializzazione di prodotti fraudolentemente venduti per italiani, che rappresentano un grave danno, economico e d'immagine, per il cosiddetto made in Italy alimentare;
   le azioni, di controllo e d'intervento da parte dell'ispettorato centrale della tutela e della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, sebbene apprezzabili e incisive, a giudizio dell'interrogante, appaiono tuttavia importanti ma non risolutive al fine di debellare i numerosi fenomeni di illegalità che incidono sul sistema agroalimentare, con particolare riferimento alla contraffazione dei prodotti agroalimentari del made in Italy;
   la falsa identità merceologica, la mistificazione dell'azienda, l'ingannevole identità geografica o, più semplicemente, la contraffazione delle scadenze, rappresentano i principali elementi distorsivi ed ingannevoli nei riguardi dei consumatori, che penalizzano notevolmente la maggior parte delle imprese agroalimentari, che invece rispettano i disciplinari ed i regolamenti previsti per la produzione e la commercializzazione dei propri prodotti;
   le politiche di prezzo aggressive da parte di coloro che propongono la vendita, in particolare nel circuito della grande distribuzione organizzata, di prodotti dal marchio similari che spingono il consumatore a scegliere l'imitazione, costituiscono inoltre un ulteriore fattore negativo e penalizzante nei confronti della qualità della tradizione italiana della nostra agricoltura e dei prodotti enogastronomici;
   l'introduzione di una specifica norma per l'etichettatura di origine dei prodotti alimentari, approvata nel corso della presente legislatura, su iniziativa del Governo Berlusconi, contenuta all'interno del disegno di legge recante «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari», rappresenta certamente un valido strumento legislativo, per contrastate la lotta alla contraffazione e alla concorrenza sleale nel comparto agroalimentare, mentre l'Unione europea si è attivata in ritardo sulla materia, prospettando una disciplina meno incisiva, non solo nei contenuti, rispetto a quanto disposto invece dal Parlamento italiano;
   occorrono pertanto, a giudizio dell'interrogante, ulteriori iniziative volte a definire maggiori controlli sulla qualità, genuinità ed identità dei prodotti agroalimentari italiani e dei mezzi tecnici di produzione agricola, finalizzati alla prevenzione e repressione delle frodi e degli illeciti, di carattere essenzialmente merceologico, unitamente ad interventi in sede di Unione europea, al fine di rivedere le disposizioni in tema di etichettatura, in particolare nei tempi di introduzione della norma che scatterà solo nei prossimi tre anni –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano opportuno prevedere, iniziative normative ad hoc, volte a potenziare ulteriormente, i compiti svolti dall'organo ufficiale di controllo, l'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, al fine di prevenire e reprimere gli illeciti nei vari settori del comparto agroalimentare e tutelare l'immagine dei prodotti sui mercati nazionali ed internazionali;
   se non ritengano opportuno infine, intervenire in sede comunitaria, al fine di rivedere i tempi previsti per l'effettiva introduzione delle norme previste in tema di informazione ed etichettatura alimentare, per consentire al comparto agroalimentare italiano di essere maggiormente tutelato dal commercio fraudolento di falsi alimenti made in Italy sul territorio nazionale. (4-14182)

  Risposta. — Il settore agroalimentare riveste un ruolo strategico, non solo per l'economia dell'Unione europea, ma anche per il nostro Paese (secondo esportatore mondiale nel settore).
  È per questo che tra le linee programmatiche d'intervento della amministrazione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, particolare attenzione è dedicata alla promozione e valorizzazione dei prodotti agroalimentari italiani, nonché all'intensificazione delle attività di contrasto alle contraffazioni.
  In tale contesto, ritengo determinante l'attività svolta dagli organi di controllo del dicastero da me diretto che, con il loro costante impegno, contribuiscono sempre di più ad affermare quell'immagine «positiva» che contraddistingue i prodotti agroalimentari italiani anche fuori i confini nazionali.
  In particolare, l'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, costantemente impegnato a garantire il rispetto delle regole nelle diverse fasi della filiera produttiva e a tutelare i consumatori da eventuali commercializzazioni di alimenti contraffatti o falsamente etichettati come italiani, pone particolare attenzione alle produzioni di qualità più rappresentative del made in Italy.
  Tuttavia la globalizzazione dei mercati, che comporta anche un accrescimento dei fenomeni fraudolenti, ha reso necessario un coordinamento tra gli organi preposti ai controlli ufficiali. In quest'ottica, per meglio monitorare i flussi d'introduzione dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi terzi, sono infatti state intraprese misure di collaborazione con l'Agenzia delle dogane e le capitanerie di porto.
  Con l'occasione vorrei far presente che sono state presentate alcune proposte normative che, estendendo la disciplina riservata alle forze di polizia alle attività di vigilanza, controllo e repressione delle frodi nel settore agricolo, alimentare e forestale, sono dirette anche ad implementare i livelli di efficienza ed efficacia dell'Icqrf.
  Al momento, nonostante le scarse risorse finanziarie, ho dato disposizione affinché, attraverso un migliore coordinamento tra degli organi di controllo del Ministero da me diretto, siano potenziati gli interventi ed evitate inutili sovrapposizioni di verifiche ispettive a carico degli stessi operatori.
  Ritengo che queste misure, accanto alla tracciabilità, all'indicazione dell'origine dei prodotti e all'attività svolta dall'osservatorio permanente antifrode presso l'ispettorato (che ha il compito di fornire indicazioni utili all'individuazione dei fattori che aumentano il rischio di commissione frodi nei vari comparti merceologici), possano egregiamente contribuire a rendere sempre più efficace l'azione degli organi di controllo garantendo, in tal modo, consumatori e operatori di settore.
  Ritengo inoltre utile evidenziare che, nell'ambito della negoziazione dell'Anti Counterfeiting Trade Agreement (ACTA), che l'Unione europea e i Paesi membri devono sottoscrivere, di concerto con il Ministero degli affari esteri ci siamo attivati per rafforzare la protezione dei prodotti tutelati da denominazione d'origine ed indicazioni geografiche.
  Tuttavia, considerati i risultati inizialmente non completamente soddisfacenti (con particolare riferimento al rapporto comparativo tra tutela delle denominazioni d'origine e indicazioni geografiche e tutela dei marchi nei Paesi terzi) l'Italia, con la presentazione di una riserva d'esame, ha sospeso il procedimento di approvazione e sottoscrizione dell'Anti Counterfeiting Trade Agreement da parte dell'Unione europea e dei Paesi membri, condizionandolo alla modifica del regolamento (UE) n. 510/2006 sulla tutela dei prodotti di qualità. Ciò, al fine di parificare la tutela UE dei prodotti protetti da denominazioni d'origine ed indicazioni geografiche a quella già esistente per i marchi.
  La nostra richiesta di modifica è stata accolta con l'approvazione dell'emendamento n. 3, concernente l'obbligo per ogni Paese membro dell'Unione europea di predisporre procedure amministrative e giudiziarie per prevenire e bloccare l'uso scorretto delle denominazioni d'origine e delle indicazioni geografiche prodotte o commercializzate nel proprio territorio (similmente a quanto lo stesso regolamento già prevedeva per i prodotti tutelati da marchi).
  Informo, infine, gli interroganti che è mia intenzione promuovere, a breve, un disegno di legge per lo sviluppo del settore agroalimentare nel cui ambito un'attenzione specifica sarà dedicata ad interventi per incrementare ulteriormente gli strumenti per la tutela delle denominazioni di qualità e il contrasto alla criminalità organizzata.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   BARBIERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.) consente agli ufficiali e agli agenti di pubblica sicurezza la facoltà di accedere in qualunque ora nei locali destinati all'esercizio di attività soggette ad autorizzazioni di polizia e di assicurarsi dell'adempimento delle prescrizioni imposte dalla legge, dai regolamenti o dall'autorità;
   secondo l'articolo 100 del regio decreto 18 giugno 1931 n. 773 (T.U.L.P.S.), «oltre i casi indicati dalla legge, il Questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini...».;
   tale disposizione consente la sospensione della licenza di un esercizio pubblico, qualora rappresenti comunque un pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini in presenza di elementi che configurino la situazione di pericolo da prevenire;
   inoltre l'articolo 100 del TULPS prevede la sospensione della licenza anche, nel caso in cui l'operatività dell'esercizio stesso possa, comunque, costituire «un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini». È infatti sufficiente il solo pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini, restando irrilevante l'assenza di responsabilità del titolare della gestione dell'esercizio;
   l'articolo 54 del decreto legislativo 267 del 2000 attribuisce ai Sindaci, in quanto ufficiali di Governo, il potere di sovrintende su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone preventivamente il prefetto. Il Sindaco concorre infatti ad assicurare anche la cooperazione della polizia locale con le forze statali, nell'ambito delle direttive di coordinamento impartite dal Ministero dell'interno;
   a quanto consta all'interrogante in tal senso, il locale «Arci-tunnel», in via del Chionso, a Reggio Emilia ha già ottenuto numerose segnalazioni;
   i gravi fatti di cronaca registratisi, legati all'attività del circolo ArciTunnel e le segnalazioni di numerosi cittadini rischiano di compromettere la sicurezza e l'ordine pubblico di Reggio Emilia –:
   se non ritenga di accertare l'esistenza dei presupposti del concreto pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, e di adottare eventualmente i provvedimenti conseguenti atti ad evitare il verificarsi di ulteriori avvenimenti pregiudizievoli per l'ordine e la sicurezza pubblica. (4-06116)

  Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si osserva innanzitutto che i circoli privati possono liberamente esercitare le attività utili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali senza necessità di alcuna autorizzazione.
  Recentemente, peraltro, il decreto legge del 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla legge del 4 aprile 2012, n. 35, ha abrogato il comma secondo dell'articolo 86 Tulps che prevedeva la necessità della licenza per la somministrazione di alimenti e bevande anche presso circoli privati. Conseguentemente è venuta meno la facoltà per gli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza di accedere, ai sensi dell'articolo 16 Tulps, nei locali di tali circoli per esercitare la vigilanza sul rispetto degli adempimenti di legge in materia di somministrazione.
  Per quanto riguarda lo specifico quesito riguardante il circolo «Arci Tunnel» di Reggio Emilia – affiliato all'Arci nazionale, ente riconosciuto dal Ministero dell'interno – si comunica che il suo presidente presentò, in data 5 gennaio 2006, la denuncia di inizio attività, ottenendo anche l'autorizzazione – prescritta dalla normativa allora vigente – alla somministrazione di alimenti e bevande.
  Dalle verifiche svolte dalla questura e dal comando provinciale carabinieri non emersero situazioni tali da giustificare l'adozione di provvedimenti sanzionatori.
  Le uniche segnalazioni al riguardo erano riferite a una richiesta di aiuto – risultata poi infondata – effettuata da un avventore ubriaco e ad alcuni furti compiuti nell'area del parcheggio.
  Successivamente sono stati registrati isolati episodi di liti o alterchi, tutti avvenuti in strada o comunque in spazi esterni al locale, scaturenti da futili motivi e non degenerati in risse o in situazioni di turbativa accertate dagli operatori di polizia intervenuti sul posto.
  Tali episodi, attentamente valutati, non consentivano l'adozione, per mancanza di riferimenti e presupposti giuridici, di provvedimenti interdittivi ai sensi dell'articolo 100 Tulps.
  Il questore, tuttavia, con nota del 27 dicembre 2010, ha sensibilizzato i sindaci della provincia a verificare l'effettiva attività sociale svolta da tutti i circoli privati.
  In relazione a tale iniziativa, il comune di Reggio Emilia, adottava, in data 29 aprile 2011, un'ordinanza di chiusura del circolo tunnel per tre giorni, avendo accertato, nel corso di un controllo effettuato dalla polizia locale, lo svolgimento di attività a scopo di lucro che avrebbe richiesto specifiche autorizzazioni.
  In questa direzione, prosegue l'impegno e l'attenzione delle autorità provinciali di pubblica sicurezza per impedire, attraverso una mirata e coordinata attività di controllo, che si verifichino episodi che possano destare allarme sociale o preoccupazioni per l'ordine pubblico.
Il Ministro dell'internoAnna Maria Cancellieri.


   BARBIERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sabato 13 febbraio 2010 in località Montecavolo di Quattro Castella (Reggio Emilia) sono apparsi dei manifesti, senza alcuna sigla o rivendicazione, raffiguranti il viso del Presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, nell'atto di aggiustarsi la cravatta, con la dicitura «appuntamento a piazzale Loreto»;
   già negli anni scorsi si erano registrate nel territorio reggiano minacce e ingiurie nei confronti di alte personalità pubbliche, come il cardinale Bagnasco –:
   se non ritenga di intensificare l'attività di monitoraggio nella provincia di Reggio Emilia su questo tipo di attività presumibilmente svolte da persone o organizzazioni sovversive. (4-06203)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede che venga intensificata l'attività di monitoraggio rispetto ad alcuni episodi minacciosi che hanno interessato personalità pubbliche in provincia di Reggio Emilia.
  In particolare l'interrogazione fa riferimento al foglio – rinvenuto il 13 febbraio 2010 dall'arma dei carabinieri in via Nuova Circonvallazione della località Montecavolo del comune Quattro Castella – contenente minacce nei confronti dell'onorevole Silvio Berlusconi, all'epoca Presidente del Consiglio dei ministri.
  Sulla base degli accertamenti disposti, il questore di Reggio Emilia ha riferito che l'episodio risulta essere un fatto isolato e che non sono stati segnalati ulteriori analoghi rinvenimenti in provincia.
  L'autorità giudiziaria è stata informata direttamente dai carabinieri che nell'immediatezza hanno svolto i primi accertamenti.
  Quanto alle minacce e ingiurie registrate nel Reggiano nei confronti di altre personalità, si segnala che carabinieri della stazione di San Polo d'Enza hanno rinvenuto in località Grassano, nel mese di agosto del 2007, due scritte nei confronti del cardinale Bagnasco. La prima su un muro laterale della chiesa di Grassano; la seconda (riportante un simbolo mai precedentemente riscontrato nella provincia di Reggio Emilia) su un muretto al margine di una strada.
  All'epoca, tali espressioni offensive erano state segnalate in varie province del territorio e messe in relazione alle prese di posizione dell'alto prelato sulle coppie di fatto.
  Anche in questo caso l'autorità giudiziaria è stata informata dai militari dell'Arma.
  In merito a questi fenomeni viene svolta una costante attività di monitoraggio ed è sempre alta l'attenzione delle forze di polizia, sia sul piano della prevenzione, sia sotto il profilo investigativo, come testimoniato dai casi in cui sono stati sorpresi e denunciati all'autorità giudiziaria giovani militanti intenti ad imbrattare muri o manifesti elettorali.
  Resta, tuttavia, l'obiettiva difficoltà di prevenire in assoluto condotte illecite quali quelle descritte, alcune delle quali, per la loro estemporaneità, non richiedono particolari capacità organizzative, né rilevante impegno per la loro esecuzione.
  In ogni caso, le forze di polizia rivedono periodicamente, in sede di coordinamento tecnico, le strategie per assicurare, da un lato, un più capillare controllo del territorio con priorità ai servizi di sorveglianza sugli obiettivi maggiormente esposti a rischio e, dall'altro, l'intensificazione dei servizi di informazione preventiva per il monitoraggio delle attività svolte dagli aderenti ai gruppi politici estremisti e frange più radicali.
Il Ministro dell'internoAnna Maria Cancellieri.


   BARBIERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 97 della Costituzione recita «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvi i casi stabiliti dalla legge»;
   con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008 è stato bandito un concorso pubblico, per titoli ed esami, a ottocentoquattordici posti per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco del ruolo dei vigili del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   nel bollettino ufficiale del personale del Ministero dell'interno, supplemento straordinario n. 1/25 del 16 luglio 2010 è stata pubblicata la graduatoria finale del concorso pubblico, per titoli ed esami, a ottocentoquattordici posti per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco del ruolo dei vigili del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco registrato all'ufficio centrale del bilancio presso il Ministero dell'interno in data 14 luglio 2010 con il nr. 7458;
   per quanto sopra riportato e come dichiarato dallo stesso Ministro dell'interno, tale graduatoria rappresenta, ad oggi, l'unico «serbatoio» utile cui attingere per l'assunzione di vigili del fuoco nei prossimi anni;
   dalla data di pubblicazione della graduatoria del concorso sono stati già avviati due corsi di formazione professionale, il 70° ed il 71° corso per allievi vigili del fuoco, che hanno complessivamente coinvolto, all'incirca, 1.600 individui;
   infatti, fino alla data del 7 febbraio 2011 sono stati chiamati a visita circa 2.900 soggetti, di cui 2.700, circa, sono risultati idonei;
   rimangono in attesa di chiamata quindi circa 1.100 soggetti risultati idonei;
   è ormai trascorso più di un anno dalla visita medica di idoneità;
   permane una forte carenza di organico per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco –:
   se alla luce della manifesta carenza di organico in cui versa il comparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il Ministro non intenda avviare, quanto prima, un ulteriore corso di formazione professionale, attingendo a tutti coloro che sono rimasti tra gli idonei al 7 febbraio 2011, onde evitare che decorra ulteriore tempo dalla verifica di idoneità e ottimizzando così le risorse già impiegate per l'espletamento del concorso e delle stesse visite di idoneità. (4-15189)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede che venga avviato un ulteriore corso di formazione professionale, per incrementare l'organico dei vigili del fuoco, attingendo dalla graduatoria del concorso a 814 posti per l'accesso alla medesima qualifica.
  Al riguardo, si assicura che il Ministero dell'interno è impegnato affinché le misure di contenimento della spesa pubblica non incidano negativamente sulla missione e i compiti affidati al corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In particolare, per l'anno in corso, al fine di colmare le carenze di organico derivanti dal turn over del 2011 e di garantire l'efficienza funzionale del Corpo Nazionale, è in fase di programmazione l'assunzione di 680 unità.
  Pertanto l'attività di ripianamento dell'organico, svolta già da tempo da questa amministrazione, proseguirà anche nei prossimi anni.
  L'avvio di un nuovo corso di formazione per il personale appartenente al ruolo di vigile del fuoco potrà avvenire soltanto dopo l'emanazione, da parte del dipartimento della funzione pubblica, del decreto di autorizzazione all'assunzione delle unità di personale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGiovanni Ferrara.


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il tremendo terremoto che ha colpito il Giappone, a cui è seguito uno tsunami, ha causato danni gravissimi in una terra che comunque è particolarmente abituata a situazioni di questo genere, trovandosi stretta tra quattro importanti faglie;
   oltre che verso l'emergenza umanitaria, l'attenzione della comunità internazionale è focalizzata sull'evolversi della situazione nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi, l'impianto che è stato interessato dal cataclisma. Le zone limitrofe sono state evacuate e pare che i sistemi di sicurezza abbiano provveduto a spegnere automaticamente la maggior parte dei reattori, ma, dalle poche e spesso contrastanti informazioni che trapelano, sembra che i reattori n. 4, n. 2 e soprattutto n. 1 siano a rischio fusione;
   soprattutto in Italia, in cui il dibattito sul nucleare è più che mai acceso, questi accadimenti sono seguiti con apprensione dalla cittadinanza, preoccupata per la reintroduzione delle centrali. Come regolarmente accade quando si tratta di incidenti di questo tipo, le informazioni che ci arrivano dal paese del Sol Levante sono spesso carenti in trasparenza ed esaustività: si mantengono anzi su un «vago e indefinito» tenore;
   effettivamente la breve e travagliata storia di questa tecnologia mostra come, in caso di guasti o incidenti, non sia mai stata scelta una politica di corretta e responsabile informazione: Chernobyl ne è l'emblema. Ai tempi del disastro (tuttora irrisolto) del reattore ucraino, infatti, fu scelto di tenere (ad avviso degli interroganti irresponsabilmente) segreto l'incidente, che fu «scoperto» dalla Unione europea a causa della nube radioattiva che si era ormai già estesa fino alla Scandinavia;
   il dibattito sul piano tecnologico relativo agli sviluppi futuri delle tecnologie energetiche, costi e rischio di obsolescenza anticipata delle centrali che si potrebbero costruire sul suolo italiano, è carente o fazioso;
   nel nostro Paese, sul nucleare, è aperto un dibattito fondamentalmente «finto»: si vuole a tutti i costi presentare come energia pulita una tecnologia che effettivamente non lo è e non lo può essere, facendo credere che i problemi da risolvere siano solo quelli riguardanti una piccola, ma centrale, parte della filiera produttiva necessaria a questo tipo di energia. Nei dibattiti che vengono frequentemente proposti si parla sempre in maniera piuttosto miope della questione: ci si limita infatti a un discorso sulla sicurezza delle centrali, discutendo solo dei rischi dovuti ai possibili incidenti, dato che questa è la preoccupazione che più fa demagogicamente presa sull'opinione pubblica. Tali discorsi non possono essere, a giudizio degli interroganti, intellettualmente onesti, perché il problema della sicurezza delle centrali è solo una parte dell'intera questione che è composta inevitabilmente da problemi realmente insolubili: l'estrazione e la raffinazione della materia prima, che è una procedura assolutamente non banale e non priva di rischi (in poche parole, «non pulita»), e lo smaltimento delle scorie sono questioni tuttora senza soluzione;
   guardando in faccia la realtà, nessuno Stato che utilizzi il nucleare ha la benché minima idea di cosa fare delle scorie ottenute. Migliaia di tonnellate di materiali estremamente tossici che manterranno la loro nocività per periodi di migliaia di anni vagano per l'Europa e il mondo su treni merci in attesa di una sistemazione che per forza di cose non potrà mai essere definitiva: la nostra civiltà esiste da circa un quinto del periodo che tali scorie impiegheranno per esaurire il loro potenziale tossico. La maturità tecnologica che ci si illude di aver conquistato risale a un centesimo del tempo di decadimento di tali materiali radioattivi e nessun manufatto è in grado di resistere intatto per un simile periodo –:
   quali elementi di informazione intendano fornire in relazione a quanto esposto in premessa e quali provvedimenti intendano assumere, soprattutto per ciò che riguarda la sicurezza generale degli impianti e più specificamente la sicurezza in ordine alla fase a monte relativa all'estrazione e lavorazione di materie prime necessarie alla produzione del combustibile necessario alla fusione nucleare e, a valle del procedimento, in ordine alle tecniche di smaltimento dei residui radioattivi di tali fusioni, soprattutto alla luce delle determinazioni prese in funzione della predisposizione del programma per il rientro dell'Italia all'uso della tecnologia nucleare per la produzione di energia, al fine di evitare ai cittadini e al Paese conseguenze che non è semplice neppure rappresentare, tanto appaiono gravi.
(4-11296)

  Risposta. — Si risponde su delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base degli elementi forniti dalla competente direzione generale si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente occorre precisare che i temi sollevati dagli interroganti con la richiesta in esame, concernente i provvedimenti che il Governo intende assumere in ordine alla sicurezza della fase di estrazione e «raffinazione» delle materie prime utili alla fabbricazione degli elementi di combustibile necessari alla «fusione» nucleare, nonché alle tecniche di smaltimento dei residui radioattivi di tali «fusioni», sono stati ampiamente superati dal cambio di rotta nella definizione della politica energetica italiana, determinato, dapprima dalla decisione assunta dal Governo con il decreto legge 31 marzo 2011, n. 34, di interrompere il programma di ritorno al nucleare e poi dall'esito del referendum abrogativo del giugno u.s..
  Premesso quanto sopra, per completezza di informazione, comunque si precisa che:
   il programma di ritorno al nucleare prevedeva la realizzazione sul suolo italiano di impianti di terza generazione avanzata che, tra gli altri requisiti, avrebbero vantato già al momento dell'approvazione del progetto, da parte dell'autorità di sicurezza nucleare, esperienze significative di costruzione in altri Paesi industrializzati, o ad alto tasso di sviluppo, come previsto nello schema di delibera Cipe, già discusso in sede di tavolo tecnico e politico presso la conferenza unificata e presso le competenti commissioni parlamentari. Pertanto, le nuove centrali nucleari sarebbero appartenute a due generazioni successive rispetto alle centrali presenti a Fukushima;
   la procedura di estrazione della materia prima e quella di preparazione dei materiali per un successivo trattamento di arricchimento – e non di «raffinazione» come citato dagli interroganti – non presentano problematiche particolari, in quanto concernenti materiali naturali;
   l'estrazione del minerale necessario alla fissione – e non alla fusione come indicato dagli interroganti – necessita di minori misure di sicurezza rispetto alle estrazioni di carbone e di petrolio, in quanto molti giacimenti di uranio sono di tipo superficiale;
   lo smaltimento delle scorie ha trovato soluzione nei Paesi industrializzati in cui l'energia nucleare è già presente. Tra l'altro la relativa attività di trasporto si svolge sotto il controllo di organizzazioni internazionali quali la Iaea e l'Euratom, che stabiliscono, tra gli altri, anche i criteri di sicurezza ai fini del trasporto.

  Come segnalato in premessa, le problematiche che il nostro Paese deve oggi affrontare sono cambiate rispetto a quelle cui facevano riferimento gli interroganti.
  In ottemperanza all'esito referendario infatti il Governo ha rinunciato al programma di rilancio della produzione di energia elettrica da fonte nucleare. Gli obiettivi che, per il loro rilevante significato in termini di sicurezza per la salute e l'ambiente, oggi il Governo persegue sono l'accelerazione dell'attività di decommissioning dei siti nucleari dismessi e la realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi che costituisce una priorità per il Paese.
  Il poter disporre in tempi ragionevoli di un sito centralizzato per lo smaltimento a titolo definitivo di tali rifiuti, infatti, corrisponde al soddisfacimento di una triplice esigenza: 1) onorare i tempi previsti dagli accordi stipulati dall'Italia con Gran Bretagna e Francia per il rientro in Italia del combustibile esaurito derivante dalla pregressa stagione «nucleare» ed inviato all'estero per il riprocessamento; 2) realizzare la bonifica dei territori soggetti alla pregressa servitù nucleare; 3) dare sistemazione idonea ai rifiuti radioattivi di origine non elettronucleare (medico-ospedalieri, industriali e da ricerca) in continuo corso di produzione.
  La disciplina relativa alla localizzazione e costruzione del deposito nazionale, definita con il decreto legislativo n. 31 del 2010 e successive modifiche e integrazioni contenente una procedura trasparente e partecipativa nei suoi vari passaggi, è in grado di garantire il rispetto dei requisiti tecnico-ambientali richiesti e, di conseguenza, un elevato livello di sicurezza per i cittadini ed i lavoratori addetti.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione comunale di Manfredonia, al pari di molte altre amministrazioni comunali della provincia di Foggia, ha raccolto numerosissime lagnanze dei cittadini utenti della società Poste italiane S.p.A. circa disservizi e disagi subiti pressoché quotidianamente;
   nel caso di Manfredonia — comune con 58.000 residenti ed un'elevata percentuale di pensionati, studenti universitari fuori sede e lavoratori immigrati — si rileva l'insufficienza del numero di sportelli e dell'organico addetto alle funzioni di sportello, mai adeguato all'espansione urbanistica della città;
   peraltro, secondo fonti sindacali, nell'ultimo decennio, il personale addetto alle funzioni di sportello in provincia di Foggia è diminuito del 25-30 per cento a fronte di un costante e progressivo aumento dei servizi offerti al pubblico –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per rimuovere le cause che impediscono l'organizzazione e la fornitura di un servizio adeguato alla finalità del pubblico interesse da parte di una società che, di fatto, opera in regime di monopolio. (4-13112)

  Risposta. — In merito ai disservizi postali registrati nel comune di Manfredonia, la società Poste Italiane ha rappresentato quanto segue.
  Il servizio postale nel comune di Manfredonia è garantito dalla presenza di tre uffici postali: Manfredonia; Manfredonia 1 e Manfredonia 2 e da un ufficio poste impresa.
  L'ufficio postale «Manfredonia» è dotato di nove sportelli, un'area prodotti finanziari ed un cash dispenser fruibile h 24; è aperto dal lunedì al venerdì, con orario 8.00/18.30, ed il sabato con orario 8.00/13.00.
  L'ufficio «Manfredonia 1» è dotato di sette sportelli, un'area prodotti finanziari ed un cash dispenser fruibile h 24; è aperto dal lunedì al venerdì, con orario 8.00/18.30, ed il sabato con orario 8.00/12.30.
  L'ufficio «Manfredonia 2», infine, è dotato di cinque sportelli, un'area prodotti finanziari ed un cash dispenser fruibile h 24; è aperto dal lunedì al venerdì, con orario 8.00/13.30, ed il sabato con orario 8.00/12.30.
  La società ha fatto presente, altresì, che l'offerta dei servizi erogati sul tale territorio risulta idonea a soddisfare le richieste della clientela nel rispetto degli standard di qualità previsti. Tuttavia appositi monitoraggi dei flussi di traffico e dei volumi di produzione potranno permettere la tempestiva adozione, in caso di necessità, di eventuali interventi correttivi.
  Il Ministero dello sviluppo economico non mancherà di verificare, nell'ambito delle proprie competenze, che siano rispettati gli obblighi connessi allo svolgimento del servizio universale, onde assicurare alla cittadinanza della provincia di Foggia un'assistenza sempre efficiente e di qualità.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   BOSSA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dal 1° gennaio 2012 è entrato in vigore il nuovo sistema per il contrasto alla pesca illegale che prevede l'istituzione di una licenza a punti per i pescatori;
   il nuovo sistema, simile ma non uguale a quello della patente a punti per gli automobilisti, prevede che ogni volta che un soggetto titolare di licenza di pesca commetta un'infrazione riceva dei punti di demerito sulla licenza, fino al raggiungimento di alcune soglie che faranno scattare sanzioni gravi, che si aggiungono a quelle già previste in sede pecuniaria e amministrativa;
   le circostanze che determinano assegnazione dei punti di demerito sono dodici; tra le più importanti c’è il divieto di pescare esemplari sottotaglia (5 punti); mancato rispetto della distanza minima dalla costa (6 punti); divieto di utilizzare reti o attrezzi non regolamentari (4 punti);
   a quota 18 punti la licenza viene sospesa per 2 mesi, mentre se si raggiunge quota 90 la licenza di pesca verrà ritirata definitivamente e inderogabilmente, con la successiva cancellazione del peschereccio dall'archivio licenze;
   il sistema va sicuramente nella direzione di una maggiore serietà dei controlli, a favore degli stessi pescatori onesti, che rispettano le regole, e che così non devono subire la concorrenza di chi commette abusi e illegalità; tuttavia, agire sulla licenza, e non sulla patente, mette a rischio più l'attività economica, il suo valore, i posti di lavoro che non chi commette materialmente l'infrazione; questo dato crea apprensione e preoccupazione nel settore;
   gli oltre 13 mila pescherecci della flotta italiana sono chiamati, del resto, già al rispetto di molte norme, spesso onerose, come uno stringente regolamento che per i pescherecci superiori ai quindici metri prevede un doppio sistema di controllo, come il controllo satellitare (blue box) e un sistema di identificazione automatica (A.I.S.); due sistemi che hanno le medesime funzioni e che però determinano un doppio carico di oneri finanziari a carico dei pescatori;
   per i pescherecci superiori ai 12 metri, inoltre, è previsto l'obbligo di trasmettere con cadenza giornaliera determinate informazioni (giornale di bordo elettronico), prima dell'ingresso in porto. Operazione particolarmente gravosa per le imbarcazioni sotto i 15 metri che difficilmente possono tenere a bordo computer. Inoltre c’è il problema di notificare preventivamente, quattro ore prima dell'ingresso in porto, il proprio arrivo. Ciò, per le imbarcazioni impegnate in zone poco distanti dalla costa, significherebbe il doversi fermare in prossimità dei porti per attendere che trascorrano le quattro ore di tempo dall'invio dei dati. Inoltre il regolamento moltiplica inutilmente gli adempimenti con l'obbligo di notificare più volte le stesse informazioni ai medesimi soggetti;
   a fronte di norme così stringenti manca da tempo una strategia di rilancio dell'intero comparto, con un progetto di conversione, di misure di sostegno, di pulizia del mare, di valorizzazione di nuovi segmenti come il pesca turismo;
   mancano da molti anni investimenti e politiche mirate per sostenere un settore che crea lavoro e ricchezza –:
   se sia a conoscenza delle problematiche esposte in premessa;
   se, e come, intenda intervenire in merito;
   se e come il Governo intenda affrontare i nodi strutturali che rallentano la crescita del settore pesca nel nostro Paese, e mettono a rischio il lavoro e le attività dei 13mila pescherecci della flotta italiana.
(4-14661)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, concernente gli adempimenti cui sono soggetti i pescatori professionali marittimi ai fini dei controlli e della prevenzione di illeciti, vorrei anzitutto evidenziare che la mia amministrazione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali è già presente presso tutti i tavoli tecnici istituiti dalla Commissione europea a tutela degli interessi del settore ittico nazionale.
  Al riguardo, pur avendo già provveduto a richiedere tutte le proroghe previste dal «regolamento Mediterraneo», nonché dagli altri regolamenti in materia di controllo, i competenti uffici comunitari hanno, tuttavia, ribadito la necessità di attendere un periodo significativo di tempo dall'applicazione delle nuove misure, al fine di poterne valutare compiutamente gli effetti ed, eventualmente, prevedere delle misure correttive.
  Peraltro, ad oggi, i piani di gestione di cui al regolamento (Ce) n. 1967/2006 sono stati adottati e sono in fase di esecuzione. In particolare, si tratta di 22 piani, riferibili a diverse aree di pesca italiana, che consentiranno di ottimizzare l'applicazione del citato regolamento adeguandolo alle specificità dei mari italiani.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 4 novembre 2010, n. 183, relativa al beneficio pensionistico per i lavoratori dipendenti che risultano avere svolto lavori particolarmente faticosi e pesanti, e il decreto legislativo del 21 aprile 2011, n. 67, emanato a norma dell'articolo 1 della citata legge, obbligano le aziende, a richiesta dei lavoratori interessati, a rilasciare certificazione attestante lo svolgimento di lavori usuranti effettuai dai loro dipendenti nell'ultimo decennio;
   a quanto consta all'interrogante, l'azienda Poste italiane Spa, in molte realtà territoriali del Paese, ha disatteso e tutt'ora disattende quanto disposto dalla legge in questione, con conseguenze negative per i lavoratori postelegrafonici aventi diritto;
   tale anomala situazione ha assunto aspetti paradossali soprattutto al Centro rete postale C.M.P. di Catania, laddove, nonostante le reiterate richieste dei lavoratori applicati nella predetta realtà produttiva, la dirigenza aziendale continua ad eludere le legittime aspettative degli interessati, con motivazioni che, sovente, paiono poco credibili –:
   quali urgenti iniziative il Ministro intenda assumere affinché Poste Italiane Spa di Catania rispetti pienamente la legge 4 novembre 2010, n. 183. (4-14119)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, concernente il rilascio da parte di poste italiane spa della certificazione attestante lo svolgimento di lavori usuranti ad unità applicate presso il CMP di Catania, sulla base degli elementi forniti dalla direzione generale competente, si rappresenta quanto segue.
  Com’è noto, il decreto legislativo n. 67 del 2011, in attuazione dell'articolo 1 della legge n. 183 del 2010 (cosiddetto «collegato lavoro») ha introdotto la possibilità di beneficiare di un accesso anticipato al pensionamento in favore degli «addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti» individuati nell'articolo 1 dello stesso decreto. A tal fine il datore di lavoro è tenuto a rilasciare al lavoratore che gliene faccia richiesta la documentazione da allegare alla domanda di pensionamento anticipato tenuto conto degli obblighi di conservazione della medesima.
  Al riguardo, giova precisare che sia il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con circolare n. 22 del 10 agosto 2011, che l'Inps con il messaggio n. 16762 del 25 agosto 2011, hanno fornito precise indicazioni relative alla documentazione minima che il datore di lavoro è tenuto a rendere disponibile al lavoratore che ne faccia richiesta, ai fini della procedibilità della domanda di accesso al beneficio di pensionamento anticipato.
  Orbene, il citato dicastero, distinguendo nettamente gli obblighi del datore di lavoro privato da quello pubblico, ha precisato che grava esclusivamente su quest'ultimo l'obbligo di consegnare la certificazione attestante lo svolgimento e la durata delle attività usuranti svolte dai propri dipendenti, unitamente alla documentazione prevista dalla legge.
  Pertanto, poste italiane spa, quale concessionaria del servizio universale, in quanto datore di lavoro privato, non è tenuta a rilasciare ai propri dipendenti la certificazione attestante lo svolgimento del lavoro usurante, alla quale sono tenute invece le amministrazioni pubbliche, ma deve provvedere esclusivamente alla consegna al lavoratore interessato della documentazione avente la finalità di attestare la sussistenza del rapporto di lavoro e l'applicazione del dipendente allo svolgimento di mansioni considerate usuranti per i periodi indicati dal decreto legislativo n. 67/2011.
  Sarà poi l'ente pensionistico competente ad accertare sulla base della documentazione prodotta dal lavoratore le modalità di svolgimento del lavoro usurante riconoscendogli, qualora ne sussistano i presupposti, i conseguenti benefici di legge.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   CARLUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il personale non direttivo e non dirigente del Corpo forestale dello Stato (forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile), ai sensi del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 201, come modificato dal decreto legislativo 28 febbraio 2001, n. 87, è composto da:
    a) personale che espleta funzioni di polizia, suddiviso nei ruoli degli agenti ed assistenti, dei sovrintendenti e degli ispettori;
    b) personale che espleta attività tecnico-scientifica, tecnico-strumentale ed amministrativa, suddiviso nei ruoli degli operatori e collaboratori, dei revisori e dei periti;
   tali categorie, ad eccezione delle funzioni, sono equiparate;
   la decorrenza giuridica degli agenti e operatori, personale di prima nomina nel Corpo forestale dello Stato, coincide con la data di assunzione nell'amministrazione;
   la decorrenza giuridica dei vice sovrintendenti, personale interno al Corpo forestale, è dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento, quella dei vice revisori provenienti da concorso esterno, quindi personale di prima nomina nel Corpo forestale dello Stato, coincide con la data di assunzione nell'amministrazione, mentre la decorrenza giuridica dei vice revisori provenienti da concorso interno è dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento;
   la decorrenza giuridica dei vice ispettori provenienti da concorso esterno, personale di prima nomina nel Corpo forestale dello Stato, coincide con la data di assunzione nell'amministrazione, mentre la decorrenza giuridica dei vice ispettori provenienti da concorso interno non è specificata da legge;
   oltre quindi al «vulnus» legislativo si contrasta in tal modo la ratio della norma, ossia la continuità nella progressione di carriera e nella riqualificazione del personale già in forza all'amministrazione che accede ad un ruolo sovraordinato a quello di appartenenza –:
   quali iniziative normative ritenga opportuno prendere al fine di sanare una palese difformità di trattamento che lede sensibilmente gli interessi di questi lavoratori. (4-14608)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente la diversa decorrenza giuridica delle nomine in alcuni ruoli del personale non direttivo e non dirigente del corpo forestale dello Stato, ritengo opportuno premettere che la vigente normativa impone di correlare il singolo concorso a vice sovrintendente ai posti disponibili al 31 dicembre del singolo anno di riferimento. Analoga disposizione è prevista per i concorsi interni ad ispettore superiore. Per ogni anno, dunque, è previsto il concorso.
  La decorrenza giuridica dal 1o gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento per il calcolo dei posti, già prevista per i concorsi ad ispettore superiore, è stata introdotta anche per i concorsi a vice sovrintendente dal decreto legislativo n. 87 del 2001 che ha modificato l'originaria versione dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 201 del 1995.
  Per i concorsi a vice ispettore invece, la normativa di riferimento non ha mai previsto una cadenza annuale degli stessi ma, come per i concorsi pubblici in genere e per i concorsi pubblici a vice ispettore del corpo forestale dello Stato, in particolare, lascia alla singola amministrazione il compito di valutare, di volta in volta, la necessità di un nuovo bando.
  Coerentemente, dunque, per i concorsi a vice ispettore del corpo forestale dello Stato, pubblici o interni che siano, non è prevista la decorrenza retroattiva della nomina dei vincitori, né tale decorrenza risulta correlabile ad una specifica data antecedente alla fine del corso.
  Peraltro, altrettanto coerentemente, l'articolo 19 del decreto legislativo n. 201 del 1995 disciplina unitariamente i vice ispettori da concorso interno e quelli da concorso pubblico prevedendo, per la successiva promozione a ispettore, due anni di effettivo servizio «oltre al periodo di frequenza del corso».
  In particolare, l'articolo 17, comma 6, del citato decreto n. 201 dispone che, durante il corso, i vincitori del concorso interno mantengono la qualifica rivestita a inizio corso, mentre i vincitori da concorso pubblico sono qualificati «allievi vice ispettori».
  D'altra parte, l'introduzione di un'ipotetica decorrenza retroattiva per i vincitori del concorso interno in favore dei viceispettori del corpo forestale dello Stato porterebbe un disallineamento, non solo, con i viceispettori del corpo forestale dello Stato da concorso pubblico, ma anche, con i vice ispettori e i marescialli (da concorso interno o pubblico) delle altre forze di polizia.
  Pertanto, fermo restando la corrispondenza della normativa prevista per il corpo forestale dello Stato con quella stabilita per i vice ispettori o marescialli delle altre forze di polizia, ritengo che un'eventuale modifica della normativa in parola, oltre ad essere concertata con il «comparto sicurezza e difesa» dovrebbe essere realizzata nell'ambito del complessivo riordino delle carriere delle forze di polizia.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con nota regionale unitaria del 5 dicembre 2012 le organizzazioni sindacali siciliane hanno denunciato le criticità venutesi a determinare in Sicilia, in conseguenza della mobilità dei vigili del fuoco qualificati operata con decorrenza 31 ottobre;
   il provvedimento ha determinato al comando di Catania una carenza di 40 unità capi squadra a fronte di una insistente carenza cronica di capi reparto;
   era stato, altresì, segnalato che, con l'avvio del corso a capo squadra quota 40 per cento 2008, si sarebbero venute a determinare, sempre al comando di Catania, con decorrenza 12 dicembre 2011, ulteriori 10 carenze di vigili permanenti;
   questa situazione, già grave di per sé, sarà ulteriormente aggravata nei prossimi mesi e sarà molto difficile gestire le emergenze;
   con nota del 2 gennaio indirizzata alle organizzazioni sindacali rappresentative è stato comunicato che con decorrenza 5 marzo 2012, saranno mobilitati i capi squadra con decorrenza 1° gennaio 2008, quota 60 per cento, e con decorrenza a partire dal 2 aprile 2010 si procederà all'anticipazione dei movimenti dei vigili permanenti assunti entro il 31 dicembre 2005 oltre che quelli beneficiari delle misure di cui alla legge n. 104 del 1992 e decreto legislativo n. 267 del 2000;
   in conseguenza delle succitate mobilità, si verrà a determinare una carenza di ulteriori 23 unità vigile permanente rispetto a un percorso, del quale non si conoscono i tempi previsti, a conclusione del quale si garantirà l'incremento nel profilo da vigile permanente di 38 unità (100 in ingresso e 62 in uscita) con il recupero dei 10 vigili permanenti avviati al corso di formazione a capo squadra;
   naturalmente non sono state considerate nuove carenze in conseguenza dell'applicazione dei trasferimenti dei soggetti tutelati dalle procedure di salvaguardia (legge n. 104 del 1992 e decreto legislativo n. 267 del 2000) poiché i nomi non sono attualmente comunicati per privacy;
   considerati i provvedimenti di cui sopra, il comando di Catania, si troverà a sostenere a partire dal 2 aprile 2012 una fortissima carenza organica quantificata in circa 80 unità che certamente determinerà disservizi e disfunzioni nella già difficile gestione dei servizi istituzionali –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-14471)

  Risposta. — L'interrogante pone all'attenzione del Governo la situazione di criticità del comando dei vigili del fuoco di Catania, determinata dalla procedura di mobilità del personale.
  Si assicura che è all'attenzione del Governo la prospettiva del rilancio del ruolo del corpo nazionale dei vigili del fuoco che ha subìto, in termini di riduzione degli organici, gli effetti delle misure di contenimento della finanza pubblica.
  Fin dall'inizio della legislatura è stato, infatti, avviato un percorso per assicurare un aumento delle risorse umane a garanzia della funzionalità e dell'efficienza del sistema di soccorso pubblico del Paese.
  Sono stati adottati, infatti, diversi provvedimenti legislativi che hanno, fra l'altro, destinato apposite risorse alle assunzioni del corpo; da ultimo, la legge finanziaria per il 2010, che per il triennio 2010-2012 prevede stanziamenti per assunzioni di personale a copertura del 100 per cento del turn over.
  Misure confermate, del resto, anche dalla manovra economico-finanziaria, introdotta dalla legge 122 del 2010.
  Lo sblocco del turn over consente al corpo nazionale dei vigili del fuoco di operare le assunzioni sulla base del 100 per cento delle cessazioni dell'anno precedente.
  Nel 2010 è stato, pertanto, espletato un concorso per 814 vigili del fuoco attraverso un complesso processo selettivo che ha coinvolto circa 11.000 candidati, la cui graduatoria costituisce, sulla base dell'ordinamento vigente, il serbatoio per le assunzioni dei prossimi anni.
  Nel 2011, a copertura dei 100 per cento del turn over, sono state assunte 1.008 unità ripartite tra i diversi ruoli operativi ed amministrativi.
  Per l'anno 2012, invece, si prevede di colmare le carenze di organico derivanti dalle cessazioni del 2011, con l'assunzione di 680 unità, appartenenti ai vari ruoli.
  In questo quadro di riferimento, le carenze del comando provinciale dei vigili del fuoco di Catania sono determinate da una mobilità del personale programmata a livello nazionale e attuata in due diverse fasi: la prima interessa i vigili del fuoco più anziani (iniziata ad aprile) e la seconda quelli meno anziani (con inizio previsto nel mese di giugno).
  Per sopperire alle suddette carenze di tipo transitorio, il Ministero dell'interno intende agire su due fronti: far permanere in sede i neo capo squadra (decorrenza 2008) fino al completamento della mobilità dei vigili e colmare le ulteriori carenze di organico, compatibilmente con le risorse disponibili, richiamando in via temporanea alcune unità di vigili del fuoco volontari.
  A conclusione delle procedure di mobilità, il comando di Catania potrà contare su un aumento di circa 30 unità.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGiovanni Ferrara.


   CODURELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con il passaggio delle televisioni al digitale terrestre in molte zone del Paese, in particolar modo in Lombardia, nelle province di Lecco, Sondrio e Como, il segnale delle reti Rai e del canale La 7 si presenta discontinuo e con un'immagine che si sgrana ogni 3-4 minuti;
   in alcune zone addirittura la ricezione manca del tutto e in altre la perdita di segnale comporta la scomparsa per brevi momenti della ricezione di un determinato canale televisivo;
   questo malfunzionamento non solo arreca danni notevoli al sistema di divulgazione dell'informazione, ma soprattutto impedisce ai telespettatori di fruire della nuova tecnologia e anche dei contenuti in generale. Quest'ultimo aspetto è ancora più grave se si considera che nel caso delle reti Rai si tratta di servizio pubblico e pertanto ad essere direttamente danneggiati sono tutti quei cittadini/abbonati che pagano il canone di servizio –:
   se non ritenga urgente procedere ad una immediata verifica dei motivi per i quali perdura il disservizio e quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire ai cittadini delle aree interessate di poter usufruire dei tre canali RAI per cui pagano regolarmente un canone annuale e con esso il diritto ad una corretta ricezione. (4-14424)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base degli elementi forniti dalle competenti direzioni generali del Ministero dello sviluppo economico, si rappresenta quanto segue.
  Com’è noto in Italia, ai sensi dell'articolo 2-bis, comma 5, della legge 29 novembre 2007, n. 222, le trasmissioni televisive su frequenze terrestri dovranno, entro l'anno 2012, essere irradiate esclusivamente in tecnica digitale su tutto il territorio nazionale. A tal fine, anche sulla base del lavoro propedeutico svolto dal comitato nazionale Italia digitale, costituito con decreto dell'ex Ministero delle comunicazioni del 4 agosto 2006, il territorio nazionale è stato suddiviso, con decreto ministeriale 10 settembre 2008, in 16 aree tecniche per stilare un calendario di transizione al digitale, con una sequenza degli switch off tale da ottimizzare progressivamente la compatibilità degli impianti e assicurare altresì la continuità con aree limitrofe.
  Ciò nonostante, anche attuando tutte le opportune cautele, il cambiamento della diffusione del segnale televisivo dalla tecnologia analogica a quella digitale potrebbe provocare interferenze, intrinseche a qualsiasi mutamento di tecnologia trasmissiva che, durante la fase di passaggio (switch off), si è cercato di ridurre al minimo.
  Laddove si verifichino a seguito dello switch off problematiche relative alla ricezione del segnale digitale terrestre, gli utenti, i gestori televisivi o chiunque altro interessato al fenomeno possono far presente detta situazione agli ispettorati territoriali competenti o all'apposito dipartimento del Ministero dello sviluppo economico, che provvederà ad attivare i suddetti organi periferici. Gli ispettorati territoriali interpellati verificheranno quanto denunciato, individuando le eventuali cause del disservizio, cercando possibilmente eventuali soluzioni, se l'origine del problema fosse tecnico.
  Per quanto concerne la specifica situazione rappresentata dall'interrogante nella regione Lombardia, ed in particolare nelle province di Lecco, Sondrio e Como, il Ministero dello sviluppo economico ha già attivato il competente ispettorato territoriale della Lombardia.
  Dalle verifiche effettuate è stato riscontrato che, dopo alcuni iniziali inconvenienti conseguenti all'attivazione degli impianti delle reti RAI e del canale La 7, non vi sono problemi di emissione del segnale e che i problemi di ricezione da parte degli utenti appaiono superati.
  Si evidenzia, infatti, che talvolta i disagi segnalati dagli utenti possono essere attribuiti sia all'utilizzo di impianti d'antenna inadeguati a ricevere il segnale digitale terrestre, sia alla non corretta sintonizzazione dei decoder stessi.
  Ove dovessero verificarsi ancora gli inconvenienti segnalati, va da sé che il Ministero dello sviluppo economico è disponibile a effettuare ulteriori monitoraggi affinché gli utenti residenti nella zona oggetto di segnalazione possano compiutamente usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   CONTENTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli autisti di mezzi pubblici del pordenonese hanno recentemente lanciato l'allarme su un netto aumento degli episodi di bullismo a bordo dei veicoli da loro guidati;
   si tratta di uno dei vari esempi che giungono da varie località del territorio nazionale;
   in tal senso si va dal semplice atto di vandalismo e di sopraffazione nei confronti di altri studenti ad autentiche minacce, intimidazioni e violenze rivolte financo agli stessi autisti e controllori;
   non è la prima volta che a bordo di mezzi pubblici, durante i viaggi di andata e ritorno dalle lezioni mattutine, si verificherebbero persino fenomeni legati al consumo di stupefacenti tra i giovanissimi –:
   quali iniziative intendano assumere, anche a livello di prevenzione e di sensibilizzazione nei vari istituti, per arginare il fenomeno indicato in premessa;
   se sia ipotizzabile la soluzione prospettata da più parti di far salire a bordo delle tratte maggiormente a rischio agenti delle forze dell'ordine in borghese, utili anche a individuare i responsabili di eventuali illeciti più gravi, come lo smercio di stupefacenti e le estorsioni. (4-14190)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si informa che gli episodi, denunciati dagli autisti del trasporto pubblico locale di Pordenone e riferiti al comportamento assunto da alcuni ragazzi che frequentano un locale centro di formazione professionale, non sembrano riconducibili a manifestazioni di cosiddetto bullismo.
  Su tali fatti, che hanno avuto risalto anche sulla stampa locale nel mese di novembre 2011, il comando provinciale dell'arma ha svolto specifici servizi di prevenzione e vigilanza lungo il percorso segnalato. È stata anche prevista – sulla base di intese con l'azienda di trasporto – la presenza saltuaria sui mezzi di militari in uniforme.
  Successivamente il predetto comando ha proposto al personale docente dell'istituto di formazione professionale la realizzazione di specifici incontri nell'ambito del ciclo di conferenze organizzato annualmente dall'arma presso le scuole secondarie di primo e secondo grado, nell'ambito di progetti per il sostegno della cultura della legalità.
  A seguito di un episodio verificatosi lo scorso ottobre, la questura di Pordenone ha provveduto a segnalare all'autorità giudiziaria un minorenne di cittadinanza marocchina per il reato di resistenza ad incaricato di pubblico servizio. Dalle attività poste in essere non è emersa, al momento, la necessità di interventi di rilevanza penale.
  Anche la questura, in stretta collaborazione con la locale società di trasporto pubblico, assicura specifici servizi di vigilanza presso le fermate degli autobus e servizi a bordo dei mezzi pubblici con operatori di polizia in abiti civili.
  A parte le specifiche iniziative formative realizzate dall'ufficio scolastico regionale, anche la prefettura, sin dall'ottobre 2009, ha avviato, d'intesa con i dirigenti scolastici, l'azienda sanitaria e la provincia, un progetto di prevenzione contro le devianze giovanili, con particolare riferimento all'uso di droga ed alcool.
  Nel corso delle varie riunioni, l'ultima delle quali tenutasi il 13 dicembre 2011 con tutti i dirigenti scolastici, non sono mai stati evidenziati, come fenomeno emergente o particolarmente significativo, episodi di bullismo in ambito provinciale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   CONTENTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da qualche settimana le forze dell'ordine del Pordenonese sono in stato di agitazione a seguito dell'emanazione di nuova prassi secondo cui un clandestino individuato sul territorio non può più essere affidato all'ufficio immigrazione della questura;
   stando a quanto riferito alla stampa da parte delle maggiori sigle sindacali, secondo le nuove procedure interne l'immigrato deve essere preso letteralmente in consegna dagli agenti che lo hanno fermato sino a completa definizione dell’iter di identificazione e di successiva espulsione;
   quanto sopra sta evidentemente creando delle oggettive difficoltà per gli organi di pubblica sicurezza che dispongono di un numero minore di uomini e mezzi, quali presidi periferici o pattuglie notturne;
   la situazione riverbera i propri effetti negativi anche sull'effettivo controllo e monitoraggio del territorio, atteso che gli operanti si vedono costretti ad abbandonare il servizio fuori sede e a seguire personalmente le pratiche relative al soggetto individuato in precedenza –:
   se quanto rappresentato in premessa corrisponda al vero e, in caso di risposta affermativa, quali iniziative intenda assumere con la massima solerzia al fine di scongiurare ulteriori tensioni all'interno dei singoli corpi delle forze dell'ordine.
(4-14215)

  Risposta. — In riferimento alla problematica sollevata dall'interrogante, si comunica che la questura di Pordenone ha diramato disposizioni di servizio con le quali ha ribadito che, in caso di accompagnamento per accertamenti di cittadini presso la questura, il personale operante, come del resto già avviene anche in tutte le altre province, deve provvedere alla vigilanza fino al completamento dell'identificazione e degli accertamenti inerenti la loro posizione giuridica.
  Con cadenza quasi giornaliera presso la questura di Pordenone vengono accompagnati da tutte le forze di polizia presenti nella provincia, cittadini, soprattutto stranieri, per i quali si rende necessario verificare la loro posizione giuridica. Al riguardo, il personale dell'ufficio immigrazione, composto sia da dipendenti dell'amministrazione civile dell'interno che da personale appartenente alla polizia di Stato, svolge compiti prettamente amministrativi volti prevalentemente al rilascio e rinnovo dei titoli di soggiorno.
  L'identificazione delle persone avviene attraverso il sistema informatico del dipartimento della pubblica sicurezza (AFIS). In attesa di tali riscontri, gli agenti operanti hanno la responsabilità di vigilare e tutelare l'incolumità personale dei cittadini, provvedendo altresì alla consequenziale redazione degli atti connessi con gli stessi accertamenti.
  Il citato provvedimento della questura di Pordenone ha incontrato le critiche di una parte dei rappresentanti di base presso il locale posto di polizia ferroviaria e di alcune sigle sindacali provinciali. La contestazione ha avuto una certa eco anche sulla stampa locale.
  Le indicazioni contenute nella disposizione di servizio criticata – peraltro preesistenti alla stessa disposizione – sono solo state ribadite per iscritto dal questore di Pordenone ed hanno la funzione di garantire la vigilanza dei cittadini fermati consentendo, allo stesso tempo, al personale dell'ufficio immigrazione della questura di svolgere le relative verifiche giuridiche in condizioni di sicurezza e massima celerità.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   DI BIAGIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo FIAT-Iveco si appresta a cedere lo stabilimento Irisbus di Flumeri (Avellino) alla società Itala spa, di proprietà della DRG Motor Company, produttrice di autoveicoli modello Suv;
   i circa 700 lavoratori dello stabilimento irpino, unico sito italiano di produzione di bus, vivono ormai da tempo in una situazione di totale precarietà e di incertezza sulle future sorti dell'attività e del proprio posto di lavoro;
   a queste si aggiungono le perplessità dell'intero territorio della Valle Ufita, il cui indotto è quasi interamente legato alle attività dello stabilimento Irisbus;
   la cessione dello stabilimento di Flumeri comporterà la riconversione delle finalità produttive con conseguente cessazione dell'attuale produttività specifica e perdita delle eccellenze acquisite anche in termini di attrezzature. È opportuno ricordare che lo stabilimento è attrezzato di un impianto di cataforesi altamente sofisticato e unico in Italia;
   le criticità che hanno condotto alla decisione di vendita attengono, in prima istanza, al drastico calo dei volumi produttivi, riconducibili alla crisi degli ultimi anni;
   referenti locali attestano tuttavia la sussistenza di ulteriori elementi aggravanti. In primo luogo, il graduale restringimento dell'offerta, che all'apice della produzione vantava una gamma diversificata di autobus – interurbani a medio e lungo raggio, urbani, turistici e autotelai da carrozzarsi – oggi ridotta ad una sola tipologia;
   in secondo luogo, si registra la mancanza di un piano di rifinanziamento del trasporto pubblico nazionale, con conseguente calo delle immatricolazioni di autobus, nonostante gli autoveicoli circolanti necessitino in moltissimi casi di un'opportuna sostituzione, trattandosi di modelli euro 0 o euro 1;
   l'operazione di vendita è stata condotta con modalità e tempistiche che le associazioni a tutela dei lavoratori ritengono inconcepibili e inaccettabili. Basta considerare che il capitale sociale del gruppo acquirente ammonta a 120 mila euro e dunque sarebbe difficilmente in grado di fornire le opportune garanzie a tutti lavoratori attualmente in servizio;
   la trattativa incontra l'ostacolo deciso di tutto il territorio, dai lavoratori alle aziende dell'indotto locale, dai referenti del mondo politico alle istituzioni, per le implicazioni negative dell'operazione in ambito sociale ed economico, su un territorio già gravato da un elevato tasso di disoccupazione;
   la situazione dell'azienda di Flumeri è stata più volte oggetto di atti di sindacato ispettivo, non ultima l'interrogazione a prima firma Di Pietro, n. 3-01762;
   nel rispondere in Assemblea, nella seduta del 20 luglio 2011, il Ministro per i rapporti con il Parlamento ha riferito che il Ministero dello sviluppo economico segue «con impegno la delicata situazione dello stabilimento» ed è a conoscenza della situazione dei 690 lavoratori dell'azienda «di cui oltre 500 in cassa integrazione straordinaria a rotazione». Nella medesima sede ha evidenziato l'eventualità che «entro la fine dell'anno circa 90 lavoratori possano essere interessati da procedure di mobilità e dal successivo pensionamento»;
   a fronte della grave situazione di criticità delineata, gli interventi finora promessi in sede parlamentare, per lo più in termini di integrazioni salariali straordinarie, non sembrano in grado di risolvere un problema che è di natura strutturale per il territorio;
   le parti pervenute ai tavoli di concertazione sulla vertenza Irisbus-Iveco, tenutisi il 20 luglio 2011 e il 3 agosto 2011, riferiscono l'impressione condivisa che manchi una significativa progettualità governativa su una questione delicata, che coinvolge gravemente i lavoratori e le loro famiglie –:
   quali iniziative urgenti abbiano intenzione di intraprendere per consentire un'uscita dall’impasse che sia condivisa da tutte le parti sociali coinvolte, tutelando i posti di lavoro;
   quali iniziative di competenza abbiano intenzione di pianificare per favorire la crescita e lo sviluppo del polo Irisbus di Flumeri, che costituisce un'unicità a livello nazionale. (4-13005)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  La vertenza Irisbus ha coinvolto uno stabilimento storico del Mezzogiorno, la cui chiusura può comportare pesanti riflessi occupazionali e sociali.
   Il Ministero dello sviluppo economico, pertanto, ha seguito, fin da luglio 2011, la difficile situazione che si è creata territorio in seguito alla decisione del Gruppo Fiat Industrial di cedere il ramo di azienda Irisbus di Flumeri. L'azienda, come noto, è attiva nella produzione di autobus-Granturismo e per trasporto urbano.
  Le ragioni dell'annunciata chiusura sono state attribuite agli effetti della grave crisi che ha colpito il mercato degli autobus urbani in Italia, le cui immatricolazioni hanno registrato un forte calo.
  Lo stesso Ministero si è impegnato convocando degli incontri con le parti interessate, azienda ed organizzazioni sindacali, offrendo il proprio contributo di mediazione.
  Lo scorso dicembre rappresentanti del Ministero hanno partecipato alle riunioni tenutesi presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che si sono concluse con un accordo per il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria, per cessazione di attività.
  Il suddetto accordo, firmato il 14 dicembre 2011, prevedeva tra l'altro la convocazione di un tavolo di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico, al fine di avviare la discussione sulla reindustrializzazione del sito.
  Tale tavolo si è di conseguenza tenuto in data 16 gennaio 2012 e si è concluso con la stesura di un verbale di riunione, sottoscritto dai rappresentanti del Ministero, da Confindustria, da Fiat Industrial e dalle organizzazioni sindacali. L'intesa ha previsto l'impegno di Fiat Industrial a favorire la continuità produttiva nel sito, anche in caso di manifestazione di interesse da parte di aziende del settore dell’automotive. A tal proposito l'azienda ha istituito una specifica task force per la valutazione delle offerte eventualmente pervenute.
  Il Ministero dello sviluppo economico, da parte sua, si è attivato per far conoscere le opportunità di investimento ad eventuali nuovi imprenditori.
  La Fiat, a seguito degli impegni presi, ha avviato il piano di ricollocazione dei dipendenti in altri siti del gruppo e nel frattempo l'Irisbus sta mantenendo i contatti con possibili imprenditori interessati. Tale attività è stata rallentata tuttavia dal provvedimento di sequestro giudiziario del sito, come peraltro noto all'interrogante, di cui allo stato non è possibile conoscerne gli esiti.
  Il Ministero dello sviluppo economico continuerà a seguire la vicenda e riconvocherà il tavolo di confronto nelle prossime settimane.
  Per quanto concerne invece il ripristino delle risorse da attribuire alle regioni per il trasporto pubblico locale e, secondo quanto comunicato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, tale problematica è stata oggetto di numerosi dibattiti in sede di Conferenza unificata Stato-regioni, al fine di pervenire ad una soluzione che limiti gli effetti delle criticità del settore, conseguenti alla riduzione dei trasferimenti statali operata dalle ultime manovre finanziarie.
  Tale soluzione è stata riscontrata nel disposto dell'articolo 30, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011, con il quale è stato elevato a 1.200 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2012, la disponibilità sul fondo di cui all'articolo 21, comma 3, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni dalla legge n. 111 del 2011.
  Si fa inoltre presente che, con il decreto-legge n. 216 del 2011, convertito dalla legge n. 14 del 2012, è stata introdotta una modifica al già citato articolo 21, comma 3, del decreto-legge n. 98, con la quale si prevede un'intesa tra il Governo e la conferenza unificata Stato-regioni, per la definizione degli obiettivi di efficientamento e di razionalizzazione del trasporto pubblico locale, delle misure da adottarsi nel primo trimestre dell'anno, nonché dei criteri di riparto del fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale tra le regioni a statuto ordinario.
  La medesima disposizione di legge, così modificata demanda all'osservatorio nazionale sul trasporto pubblico locale, istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il compito di monitorare l'attuazione della predetta intesa e di predisporre il piano di riparto delle risorse del fondo in parola.
  È stata, infine, concordata tra Governo, regioni e comuni l'apertura di un tavolo sui temi della razionalizzazione e dell'efficientamento del trasporto pubblico locale, con particolare riferimento alle azioni più urgenti da intraprendere a partire dall'anno corrente.
  Infine si rende noto che il 1o marzo 2012, presso il Ministero per gli affari regionali, il Governo è intervenuto nuovamente sulla problematica in esame, al fine di garantire una maggiore efficienza del trasporto pubblico locale, assicurando che a breve si terranno, al riguardo, ulteriori incontri sul tema.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   DI BIAGIO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   il 12 ottobre 2011 la Commissione europea ha emanato un progetto di riforma della politica agraria comune (PAC) 2014-2020, all'interno di un quadro di proposte relative al piano di indirizzamento delle risorse finanziarie;
   gli obiettivi della nuova Pac sono quelli di fornire una risposta adeguata alle future sfide della produzione alimentare, in un'ottica di sostenibilità e di sviluppo equilibrato su tutto il territorio dell'Unione europea. Va infatti evidenziato il fatto che la programmazione per il periodo di 2014-2020 prevederà una redistribuzione delle risorse disponibili per i piani di finanziamento (la cosiddetta «convergenza»), dovuto all'allargamento dell'Unione da 15 a 27 membri;
   tra le proposte legislative varate dalla Commissione le principali novità interessano le dinamiche relative ai pagamenti diretti e la volontà di ispirare la politica comunitaria a principi di «inverdimento» (greening);
   nel corso della recente audizione del 18 novembre 2011 il commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, Dacian Ciolos, ha evidenziato come le strategie di lavoro della Commissione siano ispirate in primo luogo dalla volontà di andare incontro alle problematiche reddituali degli agricoltori. In secondo luogo si è voluto premiare «il loro ruolo, il contributo che danno, lavorando la terra, alla buona gestione della risorsa naturale da essa rappresentata [...] un bene pubblico»;
   il commissario ha altresì ribadito la volontà di «far sì che la PAC rimanga una politica di bilancio europea forte per il futuro, credibile e accettata da tutta la società europea», evidenziando inoltre la predisposizione di un capitolo specifico per la ricerca e l'innovazione relativamente al quale ha espresso la persuasione che «le imprese agro-alimentari italiane, che spesso sono molto avanti sul piano tecnologico, riusciranno a valorizzare tutto ciò»;
   di fronte a questi obiettivi che rappresentano senz'altro una volontà altamente condivisibile, non si può fare a meno di evidenziare che, nella traduzione dei principi, le misure proposte risultano di fatto altamente penalizzanti per l'Italia, che subirà una riduzione complessiva dei finanziamenti pari a circa il 18 per cento delle attuali disponibilità, di cui un 12 per cento è dovuto alla contrazione delle risorse disponibili complessivamente, mentre un 6 per cento dovuto al calcolo della convergenza;
   le cifre evidenziate testimoniano che l'Italia è il più penalizzato tra i Paesi contributori netti. È evidente che si assiste ad una generale contrazione delle risorse, che interessa tutti gli Stati e mette in luce la necessità di sollecitare una maggiore attenzione in sede comunitaria alle problematiche del settore agricolo. Ma d'altro canto, il calcolo della cosiddetta «convergenza» risulta altamente penalizzante per il nostro Paese per via dei criteri di riferimento adottati per il calcolo stesso, che determinano un evidente squilibrio, in negativo, a discapito del nostro Paese;
   allo stato attuale si è infatti utilizzato come unico parametro di riferimento la sola Sau (superficie agricola utilizzata), senza tener conto di altri importanti elementi, quali, ad esempio, il valore aggiunto delle produzioni o la presenza effettiva di manodopera impiegata nelle aziende;
   inoltre, il metodo di calcolo utilizzato, con la specifica della sola Sau ammissibile ai premi della PAC 2009 determina un'ingiusta penalizzazione del nostro Paese. Nel calcolo si considera, infatti, solo il 70 per cento e non il 100 per cento delle superfici coltivate. Ciò determina una distorsione dei risultati a totale svantaggio del nostro Paese che pagherà una quota molto elevata dell'intero ammontare delle risorse spostate dalla convergenza. Secondo quanto riferito dalla stampa di settore, la diminuzione degli aiuti diretti destinati agli agricoltori italiani ammonterà a circa 285 milioni di euro tra il 2013 e il 2019;
   alcune perplessità sorgono inoltre sui parametri di accesso alle contributo per il greening, previsto nella nuova suddivisione dei pagamenti diretti, nonché sul rischio che tale suddivisione determini un incremento degli impegni burocratici a carico degli agricoltori, che renderebbero più complesso l'accesso ai finanziamenti;
   in particolare, i parametri di accesso al contributo per il greening, che rappresenta uno degli elementi chiave della nuova PAC, non sembrano molto adeguati alla realtà agricola dell'Italia e, più in generale, alle specificità agricole dell'Europa mediterranea;
   in tal senso il nostro Paese – in particolare le piccole aziende difficilmente in grado di diversificare la produzione – si troverebbe ulteriormente penalizzato, di fronte ai Paesi del nord Europa, nonostante la consolidata e rinomata tradizione agricola, che contempla anche numerose pratiche «virtuose» a tutela dei terreni, quali ad esempio l'inerbimento, le colture intercalari, le pratiche antierosione o la stessa coltura di uliveti, vigneti e alberi da frutta;
   ulteriori perplessità sono state sollevate dalle associazioni di categoria circa la definizione di «agricoltore attivo» utilizzata per rispondere all'esigenza, pur condivisibile, di garantire gli aiuti unicamente a coloro che ne sarebbero effettivamente titolati in quanto impegnati attivamente nel settore. Anche in questo caso i parametri adottati si adatterebbero con difficoltà alle specificità della realtà italiana, che contempla diverse tipologie di agricoltura multifunzionale, pluriattiva e part time a conduzione familiare o meno, di fondamentale importanza per il nostro Paese, come testimoniato dallo studio dell'ISPRA 128/2010 «Multifunzionalità dell'azienda agricola e sostenibilità ambientale»;
   a preoccupare sono altresì le stime relative alle aziende agricole che vedrebbero seriamente compromesso il proprio futuro: si parla di imprese agricole che garantiscono l'occupazione a circa un milione di dipendenti, per produzioni che interessano 17 milioni di ettari di terreno coltivato e sono destinate a garantire il primato e il prestigio del marchio made in Italy nel mondo –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere affinché le misure proposte nella nuova PAC siano ispirate ad un reale equilibrio tra le realtà nazionali rappresentate in sede di Unione europea, tenendo anche conto delle specificità della realtà mediterranea, in particolare italiana, e della sua lunga e consolidata tradizione agricola;
   quali iniziative si assumeranno al fine di evitare che, dalle nuove misure, derivino maggiori impegni e oneri burocratici per gli attori coinvolti;
   quali misure, in particolare, si intenderà proporre al fine di un'opportuna ed
equilibrata definizione del concetto di «agricoltore attivo» e dei parametri di accesso al contributo per il greening, affinché essi siano resi compatibili con le caratteristiche ambientali e settoriali della agricoltura italiana. (4-14532)

  Risposta. — L'interrogazione in esame riguarda le iniziative da intraprendere per raggiungere una maggiore equità tra i diversi Stati membri nelle nuove misure previste dalla riforma della politica agricola comune nonché per ottenere parametri di accesso al contributo per il greening, compatibili con le caratteristiche dell'agricoltura italiana.
  Al riguardo, mi preme anzitutto evidenziare che la redistribuzione delle risorse per il periodo 2014/2020 è stata seguita dalla mia Amministrazione con estrema attenzione a tutti i livelli istituzionali, comunitari e nazionali, ancor prima che la commissione europea rendesse difficile la comunicazione sul futuro della Pac nel novembre 2010.
  Già da tempo, infatti, nel corso di incontri presso la Commissione europea con le altre delegazioni degli Stati membri dell'Unione europea, abbiamo espresso l'assoluta contrarietà all'utilizzo di criteri di redistribuzione basati esclusivamente sul parametro della superficie aziendale evidenziando, invece, la necessità di considerare parametri oggettivi, in grado di esprimere al meglio le potenzialità produttive e il peso del lavoro nelle diverse realtà agricole europee (come, ad esempio, la produzione lorda vendibile o il valore aggiunto, che rispecchiano anche la qualità delle produzioni ottenute).
  Anche grazie agli interventi della mia Amministrazione, nelle proposte della Pac è prevista la redistribuzione del budget tra Paesi in modo progressivo e graduale.
  Tuttavia, nel corso del negoziato, continueremo a seguire la questione e a sostenere, in tutte le sedi competenti, la necessità di una revisione complessiva degli orientamenti comunitari per garantire una più equilibrata ripartizione delle risorse tra gli Stati membri, che tenga anche conto delle specificità dell'agricoltura mediterranea e di quella italiana in particolare.
  Per quanto concerne la definizione di «agricoltore attivo» proposta dalla Commissione (che ha recepito solo in minima parte le richieste avanzate dalla Corte dei conti europea nell'ultima relazione speciale sui pagamenti diretti) non ritengo che sia appropriata per esplicitarne equamente lo status. In particolare, il rapporto tra i pagamenti diretti e il reddito non agricolo (proposto nella bozza di regolamento) non appare un buon indicatore per definire la figura dell'agricoltore attivo.
  L'argomento è stato dibattuto presso le istituzioni europee e si è avuto anche un primo confronto con le organizzazioni professionali. In ogni caso, l'obiettivo è di includere nella definizione quanto già esistente nella normativa nazionale.
  Riguardo i requisiti di accesso ai contributi del greening, reputo necessario ricordare che gli agricoltori avrebbero diritto a questa tipologia di pagamento a condizione di percepire il pagamento di base e di rispettare, sui loro ettari ammissibili, le pratiche agricole benefiche per il clima e l'ambiente (diversificazione delle colture; mantenimento dei prati permanenti; presenza del 7 per cento di aree di interesse ecologico).
  Al riguardo, tra i primi risultati ottenuti nel pertinente negoziato, vorrei segnalare l'esclusione dal greening per gli agricoltori con superfici a seminativi inferiori ai 3 ettari, per coloro che praticano l'agricoltura biologica, per le aziende ricadenti nelle cosiddette zone «Natura 2000» e per i piccoli agricoltori. Peraltro, su richiesta della mia Amministrazione, sono state escluse dall'obbligo di assolvere al greening alcune colture specifiche per il nostro Paese (come le foraggere erba medica e il riso) e ci stiamo adoperando in tal senso anche per le colture legnose permanenti, ampiamente coltivate nei Paesi mediterranei e in Italia in particolare (vite, olivo e frutteti), in quanto assolvono all'importante funzione di stoccaggio della CO2 e di conservazione del paesaggio alla stessa stregua dei prati permanenti.
  Per quanto riguarda l'obbligo del rispetto del 7 per cento di aree ecologiche nell'ambito della superficie aziendale, informo che sono in corso trattative a livello comunitario per limitare il campo di applicazione della norma e ridurre la percentuale da destinare a tali aree, inserendo al loro interno tutti gli elementi che già caratterizzano il paesaggio rurale italiano (muretti a secco, siepi, alberate eccetera). Inoltre, abbiamo già avanzato richiesta alla Commissione per ridurre a 2 le colture da praticare per la diversificazione colturale e permettere la monocoltura in caso di colture miglioratrici della fertilità del suolo (come le leguminose).
  Tutto ciò, in definitiva, nell'ottica di semplificare e alleggerire oneri e adempimenti burocratici per le aziende agricole italiane e rendere più semplici le attività di controllo.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   DI PIETRO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la razionalizzazione dei costi portata avanti da qualche tempo dal Governo italiano, si è abbattuta come una scure sugli enti locali;
   proprio in quest'ottica, nel 2010, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha predisposto la chiusura di molte caserme facenti capo al Corpo forestale dello Stato, lungo tutto il territorio nazionale;
   in Molise si è deciso di tagliare quattro caserme, la metà nella provincia di Isernia;
   designate all'eliminazione sono state, in un primo momento, le stazioni di Pescopennataro e Capracotta; successivamente, la seconda è stata sostituita dalla caserma di San Pietro Avellana;
   questa decisione non è stata, naturalmente, accolta con favore dall'amministrazione sanpietrese che si è subito attivata, attraverso l'allora sindaco Antonio Di Ludovico, per chiedere un incontro con il Ministro Zaia (sostituito nell'aprile del 2011 dal Ministro Francesco Saverio Romano), purtroppo senza esito;
   a giugno del 2011 è stata la volta di Francesco Lombardi, nuovo sindaco di San Pietro Avellana, che ha sollecitato una risposta alla lettera scritta dal suo predecessore, attraverso un'altra missiva recante in allegato la delibera n. 68 del 25 giugno 2011 della giunta comunale sanpietrese nella quale si azzeravano i costi di affitto, di smaltimento rifiuti e di acqua alla caserma della forestale, onde superare il pretesto della riduzione della spesa, portato avanti a giustificazione della soppressione;
   purtroppo, però, nemmeno questo lodevole tentativo ha sortito effetto alcuno poiché il capo del Corpo forestale dello Stato, Cesare Patrone, ha emesso ugualmente il decreto di chiusura, sulla base delle indicazioni scaturite dal tavolo tecnico regionale, in forte difficoltà nel giustificare le scelte adottate, tanto da non rispondere alle lettere di protesta dei sindaci dei Paesi coinvolti dalla chiusura della caserma;
   va sottolineato che la chiusura della caserma di San Pietro Avellana rischia di risolversi in uno spreco, anziché un risparmio per le casse pubbliche;
   infatti il sindaco Lombardi ha dichiarato in un comunicato stampa ripreso dai quotidiani regionali nel mese di luglio: «Il caso sanpietrese è un esempio di come, sotto la bandiera dei tagli e dei ridimensionamenti, si nascondano sprechi e costi esponenzialmente maggiori a quelli attualmente sostenuti»; «la caserma di San Pietro Avellana ha subito, non più di quattro anni fa, interventi di adeguamento igienico-strutturali per circa duecentomila euro. Ora lo stabile è in ottime condizioni e risponde a tutti gli standard di conformità richiesti, mentre la caserma di Capracotta – che dovrebbe rimanere aperta e accorpare il nostro comando – è attualmente ospitata in una stanza del Comune di quel paese; dovrà perciò cambiare sede e spostarsi in uno stabile, sempre comunale, il quale però necessita di interventi per circa duecentomila euro, già stanziati, che pare possano diventare addirittura trecentocinquantamila ! Ricapitolando, in nome di una del tutto ipotetica riduzione dei costi, si buttano a mare i duecentomila euro spesi qui a San Pietro e se ne sprecano dai duecento ai trecentocinquantamila in un altro comune per adeguare uno stabile fatiscente. Oltre mezzo milione di euro... non pare un'operazione molto furba né vantaggiosa per la collettività !»;
   fondate ragioni di ordine ambientale e paesaggistico dimostrano l'errore compiuto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
   il territorio dei Paesi di San Pietro Avellana e Vastogirardi, i due comuni sui quali il comando-stazione da sopprimere ha competenza, ha una superficie complessiva di 10.564 ettari, quasi doppia rispetto a quella di Capracotta e Castel del Giudice; la superficie forestale, indicatore fondamentale nel caso in esame, è addirittura quasi il triplo (3.523 ettari contro 1.270 ettari); le superfici di «area protetta nazionale» e di «area protetta regionale» ricadenti sul territorio sanpietrese sono, rispettivamente, pari a 291 e a 755 ettari, mentre quelle del territorio capracottese sono pari a zero;
   inoltre, nello stesso territorio ricadono ben undici chilometri di tratturo, il Celano-Foggia, che richiede un'opera costante di tutela e prevenzione, portata avanti proprio dagli agenti del Corpo forestale; infine San Pietro Avellana, insieme ad altri sei comuni (ai quali sarà fatta firmare l'ennesima lettera di protesta e tra i quali non figura Capracotta) fa parte del consorzio ASSOMaB che sta promuovendo presso l'Unesco una candidatura per l'allargamento della riserva MaB da 600 a ben 25.000 ettari, con un alto valore turistico e pedagogico che avrà necessariamente bisogno di presidi Corpo forestale dello Stato sul territorio; inoltre va detto che San Pietro Avellana è una delle pochissime città del Tartufo, e che la vigilanza del Corpo forestale dello Stato è di importanza fondamentale per la tutela del tartufo bianco;
   vi è inoltre anche un dato storico da sottolineare, in quanto il comando di stazione a San Pietro Avellana esiste dagli anni venti del secolo scorso, mentre a Capracotta solo da 1996;
   gli enti locali stanno appoggiando questa battaglia al fianco dei piccoli comuni alto molisani: la provincia di Isernia ha disapprovato la chiusura delle caserme con la delibera n. 49 del 17 maggio 2011, mentre l'assessore all'ambiente della regione Molise, Muccilli, ha inviato una lettera di protesta al Ministero, firmata congiuntamente ai sindaci, spingendosi ad annunciare perfino che, se i tagli avvengono per una mera questione economica, la regione è pronta ad accollarsi le eventuali spese in esubero e minacciando azioni eclatanti in caso di risposta negativa da parte del Ministero. Ma ad oggi nessuna risposta è ancora pervenuta –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti e dati riportati, non ritenga con urgenza di assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia revocato il decreto di chiusura firmato dal capo del Corpo forestale dello Stato. (4-13529)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame concernente la chiusura di talune stazioni forestali nel Molise, premetto che la razionalizzazione dell'assetto organizzativo del Corpo Forestale dello Stato, operata nel corso degli anni 2010-2011 su scala nazionale, ha portato a prevedere la disattivazione di alcune strutture.
  Infatti il contenimento della spesa pubblica, in uno con l'esiguità delle dotazioni organiche stabilite per legge, ha reso necessario ottimizzare l'intera organizzazione tramite l'accorpamento e la soppressione di alcuni presidi non strategici per l'azione del Corpo sul territorio.
  Pertanto, in linea coi principi direttivi fissati dalla legge 6 febbraio 2004, n. 36 (recante il nuovo ordinamento del Cfs.), con decreto 27 giugno 2011 sono state ridefinite le piante organiche di tutti gli Uffici (centrali e periferici) e delle relative strutture dipendenti.
  Le tabelle allegate al citato provvedimento (redatte, tenendo conto anche delle indicazioni pervenute dagli uffici periferici, da un'apposita commissione tecnica cui hanno partecipato i rappresentanti del personale) non costituiscono, però, un assetto immodificabile in quanto è prevista, nel 2013, un'attività di verifica che potrà sfociare in un'eventuale revisione di tutte le strutture.
  Ciò premesso, desidero precisare che la decisione di accorpare le stazioni forestali di Pescopennataro e San Pietro Avellana con un presidio limitrofo è stata determinata anche dalla considerazione che trattasi di un'area omogenea (per caratteristiche ambientali, paesaggistico-forestali e socio-economiche), comprensiva di solo 6 comuni di ridotta estensione territoriale e di esigua popolazione.
  In particolare la scelta di Capracotta, quale centro di riferimento, è derivata da una serie di argomentazioni: anzitutto, il suo posizionamento al centro dell'area individuata i (che riduce il raggiungimento di alcune località periferiche della circoscrizione), cui si sommano ragioni di carattere economico, avendo il relativo Comune offerto in comodato al Corpo forestale dello Stato uno stabile rispondente alle esigenze dell'amministrazione, che il provveditorato regionale alle opere pubbliche è disposto a ristrutturare.
  Al riguardo, tengo a precisare che il comune di San Pietro Avellana (nelle cui strutture, concesse a titolo oneroso, è stata a lungo allocata la relativa stazione forestale) ha deciso di azzerare i costi di locazione solo quando le piante organiche (poi approvate con il ricordato decreto del 27 giugno 2011) erano state già definite.
  Peraltro, non va dimenticato che nell'area considerata sussistono, ad oggi, anche altri reparti del Corpo forestale dello Stato. Infatti, nell'attuale circoscrizione della stazione di San Pietro Avellana, ove ricade la riserva naturale di Montedimezzo, è presente l'omonimo posto fisso del Corpo forestale dello Stato (dipendente dall'ufficio territoriale della biodiversità di Isernia e che conta, al momento, cinque unità) e che a pochi chilometri, seppur in territorio abruzzese, c’è il posto fisso di Feudozzo.
  La nuova pianta organica prevede, quindi, nell'ambito della provincia Isernia, ben 11 stazioni, cui si devono aggiungere il comando provinciale, il posto fisso di Montedimezzo e l'ufficio territoriale della biodiversità di Isernia.
  Grazie alla formazione di reparti più consistenti e al permanere in zona, per quanto possibile, del personale che attualmente vi presta servizio, ritengo che il controllo del territorio non subirà alcun decremento dal riordino in atto.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   DI PIETRO, ANIELLO FORMISANO, PALADINI e CAMBURSANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Alpitour è un'azienda nata a Cuneo nel 1947, costruita e ampliata grazie al lavoro e alla professionalità di tante e tanti lavoratori di quella realtà territoriale che oggi è diventata l'impresa di viaggi e turismo più importante in Italia;
   il 13 settembre 2011 la direzione dell'Alpitour ha comunicato, alle organizzazioni sindacali e agli enti locali senza alcun confronto preventivo, la chiusura della sede di Cuneo e il trasferimento dei 300 lavoratori a Torino;
   la decisione è stata presa adducendo come motivazione un miglioramento dell'efficacia dell'attività aziendale anche se gli ultimi dati relativi alla Alpitour segnalano un aumento del fatturato nel primo trimestre 2011 del 1,7 per cento, per un totale di 368,5 milioni, quindi a parere degli interroganti non esistono ragioni tali da giustificare un trasferimento al fine di migliorare la stabilità dell'azienda, anzi, un eventuale trasferimento non rappresenterebbe altro che la perdita di 300 posti di lavoro in città non considerando l'indotto che lavora intorno all'azienda;
   molti dei dipendenti coinvolti sono donne, alcune anche in part-time e quindi il trasferimento a Torino comporta nei fatti, l'impossibilità per loro di continuare a svolgere il proprio lavoro con l'azienda, inoltre significherebbe «condannare» trecento lavoratori ad un'esistenza da pendolari a vita, proprio quando svariati studi in materia dimostrano come il pendolarismo incida negativamente sulla salute della persona e sulla qualità del lavoro prestato;
   gli interroganti sono seriamente preoccupati per la decisione di delocalizzare un'importante azienda per la città di Cuneo e per le ricadute occupazionali ed economiche che si abbatterebbero sulla città, specialmente in una fase di crisi economica;
   a parere degli interroganti, vista la tipologia del lavoro in oggetto, prevalentemente basato sull'utilizzo del computer e del telefono, può essere svolto da qualsiasi luogo, da Cuneo come da Torino, come da casa. In alternativa al «trasferimento coatto» che ha sempre avuto come risultato un peggioramento della qualità del lavoro, della vita dei lavoratori e della perdita di posti di lavoro si potrebbe pensare anche all'utilizzo del telelavoro –:
   se il Governo intenda intervenire per farsi promotore di un tavolo istituzionale che coinvolga l'azienda, le organizzazioni sindacali e gli enti locali, al fine di aprire un confronto sull'annunciato trasferimento a Torino della sede dell'Alpitour di Cuneo;
   quali misure e provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare per scongiurare tale trasferimento al fine di garantire la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali presenti in azienda. (4-13596)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si richiama l'attenzione sulle conseguenze occupazionali derivanti dal trasferimento a Torino della sede di Cuneo della società Alpitour spa.
  Al riguardo, si ricorda che il 30 gennaio 2012 – presso il Ministero dello sviluppo economico – si è tenuto un incontro cui hanno preso parte – oltre alle competenti istituzioni locali – i vertici aziendali e le rappresentanze sindacali dei lavoratori.
  Nel corso dell'incontro, il management aziendale – nel confermare la scelta di trasferire a Torino tutte le attività presenti in Cuneo – ha ribadito la piena disponibilità a trattare con le organizzazioni sindacali sulle modalità di gestione del trasferimento, al fine di attenuarne le difficoltà connesse.
  I vertici aziendali hanno, inoltre, confermato la decisione di procedere alla vendita del gruppo Alpitour che dovrà essere definita, in ogni suo elemento prossimamente.
  I rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico (Mise) intervenuti all'incontro hanno ribadito l'importanza per il territorio e per l'economia cuneese del – gruppo Alpitour e – relativamente all'operazione di vendita – hanno evidenziato l'importanza che la nuova proprietà presenti un dettagliato piano industriale soprattutto in considerazione del forte impatto sociale conseguente al processo di riorganizzazione.
  Presso il medesimo Ministero prossimamente verrà convocato un ulteriore tavolo di confronto tra gli attori istituzionali coinvolti nella vicenda e la nuova proprietà. Nell'ambito del predetto tavolo, in particolare, si provvederà sia ad individuare soluzioni idonee ad attenuare il disagio provocato dal trasferimento sia a garantire il mantenimento di adeguati presidi presso l'attuale sede di Cuneo ove poter espletare attività facilmente correlabili con la direzione generale del gruppo.
Il Ministro dello sviluppo economicoCorrado Passera.


   DI PIETRO, DI GIUSEPPE, MESSINA e ROTA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Italia il bracconaggio è un fenomeno molto diffuso, e causa uccisioni di specie faunistiche importanti per gli equilibri della biodiversità;
   il Corpo forestale dello Stato è la prima e più importante polizia ambientale del Paese;
   il nucleo operativo antibracconaggio (Noa) del Corpo forestale dello Stato è da sempre in prima linea nella lotta al bracconaggio;
   tra le operazioni più importanti per il contrasto alla caccia illegale si può annoverare la cosiddetta «operazione pettirosso», tenutasi nel bresciano, finalizzata alla lotta all'uccellagione con reti, archetti e altri strumenti di morte;
   la suddetta operazione, iniziata anni fa, finora ha portato alla denuncia di oltre 1.500 persone per bracconaggio, alle quali sono stati contestati, tra l'altro, i reati venatori di abbattimento della fauna protetta, utilizzo dei richiami elettromagnetici, detenzione di fauna protetta, uccellagione, porto abusivo d'arma, utilizzo di mezzi di caccia non consentiti (insiemi di trappole serie di «schiacce» – pietre o mattonelle tenute in bilico con esche –, una o più reti, gabbia/e trappola con richiami di varie specie per la cattura di anatidi vivi, sequenze di taglioline a scatto tipo «sep») nonché il maltrattamento di animali;
   in questi anni il corpo forestale dello Stato e le guardie venatorie volontarie delle associazioni ambientaliste come il WWF e la LIPU, hanno sequestrato, solo nel Bresciano, centinaia di migliaia gli archetti e altri mezzi di cattura illeciti, tutti in palese violazione della legge n. 157 del 1992;
   solo in queste ultime tre settimane, grazie all'invio del Noa di Roma in rafforzamento del contingente Corpo forestale dello Stato presente a Brescia, risultano già fermate e denunciate decine di persone per vari reati legati al bracconaggio;
   sono sempre maggiori le notizie ed i servizi stampa che denunciano fenomeni di bracconaggio, come ad esempio le due puntate della trasmissione tv Striscia la Notizia, trasmessa su Canale 5;
   alcuni giorni fa, un assistente del Corpo forestale dello Stato è rimasto vittima di un incidente venatorie, fortunatamente non grave, causato da un cacciatore che, sparando, lo ha ferito alle gambe;
   la caccia illegale è un fenomeno esteso che coinvolge anche reati più gravi come quelli legati all'uso di armi clandestine e al porto abusivo d'arma da fuoco, come dimostrato dalle denunce e dai recenti sequestri operati da personale dell'Arma dei carabinieri in tutta Italia, dal Bresciano a Lampedusa ed Ischia;
   a Brescia è in atto, da parte di rappresentanti del partito politico della Lega nord, il tentativo di sminuire l'attività del Nucleo antibracconaggio del Corpo forestale dello Stato attraverso una raccolta di firme per impedire la loro attività in difesa del patrimonio faunistico italiano;
   appare necessario rafforzare il Noa e la presenza dello Stato in queste realtà dove la caccia illegale è ancora fortemente presente;
   occorre garantire fondi pluriennali per il Noa affinché possa proseguire con assoluta tranquillità il lavoro quotidiano di difesa dell'ambiente e della fauna selvatica –:
   se i Ministri interrogati non intendano potenziare i controlli antibracconaggio sui territorio;
   se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, non intenda valorizzare il Nucleo operativo antibracconaggio del Corpo forestale dello Stato, in modo da consolidarne sempre di più l'azione di presidio della legalità e da contrastare, al tempo stesso, i tentativi operati da più parti per delegittimare e, in prospettiva, smantellare questo decisivo strumento di lotta al bracconaggio.
   (4-13815)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, concernente l'opportunità di potenziare i controlli antibracconaggio e di valorizzare il nucleo operativo antibracconaggio del corpo forestale dello Stato devo purtroppo far presente che, considerate le limitazioni delle risorse finanziarie disponibili che hanno interessato anche il Corpo forestale dello Stato, non è previsto allo stato attuale alcun potenziamento del predetto nucleo che, nell'ambito dell'ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato, coordina l'attività di antibracconaggio avvalendosi di personale proveniente dalle diverse strutture territoriali del Corpo.
  Assicuro, tuttavia, il mantenimento degli standard operativi e l'efficienza dei servizi antibracconaggio già garantiti dal Corpo forestale dello Stato soprattutto attraverso la cosiddetta «operazione pettirosso» che, organizzata nella provincia di Brescia e nelle aree maggiormente colpite dal fenomeno del bracconaggio, viene espletata anche nelle zone ove sono maggiormente presenti le rotte di migrazione dell'avifauna.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   EVANGELISTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 28 novembre 2011, nel corso dell'inaugurazione della stazione Tiburtina a Roma, si è verificato un episodio increscioso che ha coinvolto i familiari delle vittime del disastro ferroviario del 29 giugno 2009 occorso, come è noto, nella stazione di Viareggio, poiché risulta all'interrogante, ma è documentato anche da immagini televisive, che gli stessi siano stati caricati e sostanzialmente «presi in consegna» dalle forze dell'ordine;
   i familiari, i rappresentanti dell'Associazione «Il mondo che vorrei» e dell'Assemblea 29 giugno, ivi presenti, erano 38 e intendevano semplicemente ricordare, anche a tutti gli altri partecipanti, la strage di Viareggio;
   alla luce dei fatti, così non è stato, poiché una volta giunti sulla tangenziale per Roma il pullman proveniente dalla Toscana è stato scortato da due volanti della polizia e «accompagnato» nei pressi della stazione Tiburtina. Ad aspettarli vi erano poliziotti e blindati allo scopo di impedire il «contatto» con le autorità che inauguravano la nuova e bella stazione. A questa rappresentanza toscana se ne è poi unita una dei lavoratori della Wagon Lit in difesa del posto di lavoro;
   si sono naturalmente verificati vivaci corpo a corpo con i poliziotti per la contesa di un metro e soprattutto per impedire che gli striscioni, i cartelli, e soprattutto le foto (delle vittime) appese al collo dei familiari, potessero rischiare di disturbare l'inaugurazione –:
   quali siano le informazioni in suo possesso in relazione a quanto esposto in premessa e a quanto lamentato dai partecipanti e se non ritenga vada maggiormente tutelato e garantito il diritto a manifestare. (4-14216)

  Risposta. — In merito alla situazione verificatasi il 28 novembre 2011, nel corso dell'inaugurazione della stazione Tiburtina a Roma alla presenza, tra gli altri, del Capo dello Stato, si informa che all'esterno della medesima stazione si erano radunati circa 150 manifestanti. Tra questi vi erano appartenenti ai collettivi universitari, gruppi anarchici, comitati No Tav, comitato «Vittime di Viareggio», nonché lavoratori della «Wagon Lits», che manifestavano il loro dissenso contro l'alta velocità ed i costi delle grandi opere.
   Il presidente ed il vice presidente del Comitato «Vittime di Viareggio», unitamente alla senatrice Graziola, hanno chiesto di essere ricevuti dal Capo dello Stato.
  Agli appartenenti al comitato veniva riferito che avrebbero potuto consegnare un documento con le loro rimostranze, che sarebbe stato poi recapitato al Capo dello Stato.
  Verso le ore 12.30 i manifestanti – che avevano in due occasioni tentato di superare il cordone di sicurezza formato dalle forze dell'ordine – ottenuta l'autorizzazione, hanno raggiunto l'ingresso principale della stazione e, dopo brevi interventi con il megafono, si sono diretti in largo Mazzoni e, successivamente si sono allontanati.
  Al termine della cerimonia di inaugurazione, mentre il Presidente della Repubblica lasciava in auto la zona dell'evento, una anziana signora, superando il cordone di sicurezza, si è avvicinata alla vettura presidenziale con l'intento di consegnare una lettera, relativa alla grave situazione di ricovero del figlio presso il reparto di terapia intensiva dell'ospedale Sandro Pertini.
  Mentre gli agenti bloccavano la donna, il marito – che si sorreggeva con l'ausilio di un bastone – è riuscito ad avvicinarsi e a toccare l'auto del Capo dello Stato con lo stesso bastone.
  Ne scaturiva uno stato di allarme comunque immediatamente rientrato.
  Non sono state segnalate particolari turbative all'ordine pubblico.
  Nella circostanza, le forze di polizia hanno agito con il massimo della professionalità e dell'equilibrio, contemperando in modo soddisfacente l'esigenza della libertà di manifestare pacificamente con quella della tutela dell'ordine e dell'incolumità pubblica.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   EVANGELISTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con il trattato di amicizia con la Libia, sottoscritto con il precedente Governo Berlusconi nel 2008, si è inteso normalizzare i rapporti tra i due Paesi ma anche avviare accordi di natura economica imprenditoriale; relativamente al contrasto all'immigrazione clandestina, uno degli obiettivi previsti dal citato accordo, va sottolineato che, nell'attuazione di una politica di respingimento indiscriminato, non controllando lo stato dei centri di detenzione libici, si è dovuto constatare il venir meno della tutela dei diritti umani dei migranti e dei richiedenti asilo, come si è avuto modo di rilevare tragicamente in questi anni;
   dopo la sospensione di tale Trattato, a seguito gli avvenimenti ben noti che hanno sancito la fine della lunga dittatura culminata con la morte del rais Gheddafi, il Presidente del consiglio dei ministri, Mario Monti, si è recato in Libia per riattivare i rapporti di amicizia e partenariato e rafforzare l'amicizia e la cooperazione nella cornice di una nuova visione dei rapporti bilaterali attraverso il coinvolgimento di tutte le competenze rilevanti: interno, esteri, difesa, sviluppo economico, cooperazione, università, sanità;
   le parti hanno preso atto, nel corso di tale incontro, dei cambiamenti avvenuti e degli esiti della rivoluzione del 17 febbraio 2011 che hanno interessato anche altri Paesi della sponda sud del Mediterraneo, ma anche del permanere di un vuoto di potere e di organizzazione nel Paese, che rende oggettivamente fragile e debole la struttura governativa della Libia;
   con la Libia il nostro Paese ha mantenuto interessi economici fortissimi (nel settore petrolifero, in quello dei trasporti, delle costruzioni e degli armamenti) che hanno retto negli anni scorsi, pur con fasi alterne, anche in presenza di tensioni e di sanzioni internazionali;
   nel corso di questo mese è stata annunciata una missione tecnica del Ministro interpellato in Libia con la presenza di una nutrita delegazione di imprenditori italiani interessati alle opportunità di investimento e alle future collaborazioni che ne possano eventualmente nascere –:
   se la citata missione tecnica del Ministro interrogato, con la presenza di una delegazione di imprenditori italiani, risulti confermata;
   nel caso, da chi sarà composta, con quali criteri e quali siano gli obiettivi e le strategie economiche;
   se non ritenga, in caso di stipula di importanti accordi, di valutare la possibilità di legare tale eventualità alla garanzia del rispetto dei diritti umani. (4-14912)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  In seguito alla sospensione del Trattato di amicizia con la Libia, verificatosi nel periodo culminato con la morte de dittatore Gheddafi, era stata annunciata una missione tecnica del Ministero dello sviluppo economico per riallacciare i rapporti di amicizia e di cooperazione economica e commerciale tra i due Paesi.
  La suddetta missione è stata rinviata con data da definirsi. Al suo posto si è svolta il 27 e 28 febbraio 2012, una missione preparatoria del Vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Mario Ciaccia, senza delegazione al seguito. Nel corso della stessa, sono state toccate oltre alla città di Tripoli anche quelle di Bengasi Misurata, ove ha incontrato, tra gli altri, i Vice Ministri dell'economia e del commercio, delle finanze, delle infrastrutture, dell'elettricità e delle energie rinnovabili, dei trasporti, il Ministro dell'industria, il Presidente del Consiglio locale della città di Bengasi oltre ad alcuni imprenditori italiani.
  Nel corso della visita sono stati sottoscritti tre verbali di incontro concernenti o scambio di prospettive per la ripresa della collaborazione nei settori delle infrastrutture, energia e industria.
  Inoltre il Ministero dello sviluppo economico ha approvato tre progetti di formazione dedicati a 150 giovani libici nei settori delle costruzioni, del management aziendale e della pesca che saranno avviati a breve.
  Tutto ciò premesso si fa presente che la Libia sta attraversando una inevitabile fase di transizione post conflitto, contrassegnata da elementi positivi e negativi. Fra i primi si possono indicare ad esempio, l'azione svolta dal primo Ministro Al-Kiib che è riuscito ad ottenere lo sblocco dei fondi congelati all'estero, ridare liquidità al sistema creditizio, far ripartire le attività economiche oltre a riportare grazie all'azione dell'Eni produzione di oil & gas ai livelli precedenti la rivoluzione.
  Fra gli elementi negativi si ricorda la debolezza del Governo designato e non eletto, la cui legittimità riposa sul Consiglio nazionale di transizione autoformatosi durante la rivoluzione, la difficoltà di dialogo fra a i Ministri: tecnici ed ingegneri esiliati all'estero negli anni settanta che si confrontano con rappresentanti delle milizie locali, l'impossibilità di assumere decisioni di grande rilievo, una diffusa instabilità che nasce dalla presenza di milizie sul territorio e della sostanziale assenza di un esercito libico e le spinte palingenetiche di una parte dell'opinione pubblica che vorrebbe fare tabula rasa del passato e condannare o isolare tutti coloro che hanno avuto un ruolo non solo politico ma anche di alta amministrazione durante il regime.
Il Ministro dello sviluppo economicoCorrado Passera.


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'insieme delle normative vigenti in materia di pesca e acquacoltura, nonché di commercio di prodotti ittici, impone alle aziende operanti nel settore una lunga serie di adempimenti e di controlli che comportano un eccessivo aumento dei costi tale da rendere difficile, soprattutto nelle attuali difficili contingenze economiche, la vita di numerose imprese che operano in tale settore;
   in particolare, in materia di controlli nei luoghi di vendita finale dei prodotti ittici, si verificano inutili e dispendiose sovrapposizioni di enti di verifica che ostacolano eccessivamente il lavoro delle imprese, senza portare vantaggi pratici alla clientela –:
   se, nell'ambito delle politiche di semplificazione normativa riguardante tutte le attività produttive e commerciali che il Governo sta attuando, si intendano assumere iniziative per semplificare drasticamente e chiarire le regole ed i controlli sul comparto del commercio di prodotti ittici, senza ridurre la tutela della salute pubblica dei cittadini e senza abbassare la guardia rispetto alla qualità e alla salubrità dei prodotti messi in vendita al pubblico. (4-13756)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, relativa ai controlli nei luoghi di vendita finale dei prodotti ittici al fine di evitare sovrapposizioni, ritengo opportuno evidenziare che i diversi organi a ciò deputati per la filiera della pesca agiscono, ciascuno, nell'ambito di specifiche e individuate aree di competenza.
  In particolare, per quanto attiene la mia amministrazione i controlli vertono prevalentemente sull'applicazione della prevista etichettatura necessaria, non solo, per fornire al consumatore finale una corretta informazione sull'identificazione del prodotto acquistato, il luogo di provenienza e il metodo di produzione, ma anche, per scongiurare le frodi alimentari e tutelare la risorsa biologica in generale e il prodotto nazionale in particolare.
  Altri organi di controllo, in particolare quelli operanti in seno alle amministrazioni decentrate del Ministero della salute, svolgono analoghe attività dirette, invece, alla tutela della salute pubblica.
  Pertanto, considerati gli specifici obiettivi, le attività poste in essere dagli organi preposti ai controlli in parola non possono ritenersi coincidenti e sovrapposte.
  Tengo ad evidenziare, inoltre, che la mia Amministrazione, per cercare di ridurre al minimo il disagio per gli operatori di settore, ha sempre favorito il coordinamento tra i diversi organi deputati alle verifiche senza, tuttavia, perdere di vista l'obiettivo primario di garantire un prodotto certificato, tracciato e sicuro.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   GALATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministero dello sviluppo economico, adottato di concerto con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, n. 455 del 30 ottobre 2006, il dottor Luigi Bussi era nominato commissario liquidatore unico del consorzio Agrario provinciale di Sassari;
   nel corso della sopra detta gestione commissariale, il consorzio agrario provinciale di Sassari vedeva passare la propria perdita di esercizio dai circa 300.000 euro del 2007 a soli 75.000 euro del 2009;
   il medesimo consorzio, inoltre, depositava già in data 28 dicembre 2007 proposta di concordato, positivamente vagliata e, quindi, omologata – nel 2010 – dal tribunale di Sassari;
   in generale, nel corso della gestione commissariale ascrivibile al dottor Bussi, l'adeguata tutela della massa creditoria e le necessarie razionalizzazioni della struttura sono state opportunamente contemperate con la salvaguardia e la valorizzazione della realtà economica storica rappresentata dal consorzio, che ha peraltro garantito sino ad oggi il sostentamento di oltre venti famiglie sassaresi;
   tutta l'attività commissariale è stata sempre vagliata e validata dal comitato di vigilanza, espressione dei Ministeri vigilanti;
   con decreto del Ministero dello sviluppo economico, adottato di concerto con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, n. 605 dell'11 novembre 2011, in concomitanza con l’iter di formazione del nuovo esecutivo, veniva nondimeno disposta «Revoca del dottor Luigi Bussi dall'incarico di commissario Liquidatore del Consorzio Agrario Provinciale di Sassari»;
   tale provvedimento di revoca si pone in stridente contrasto con i positivi (se non lusinghieri) risultati gestionali sopra ricordati, e la motivazione sottesa al provvedimento di revoca appare all'interrogante illogica, contraddittoria e frutto di una carente istruttoria sotto vari profili, pertanto suscettibile di censura da parte del giudice amministrativo e, per altro verso, dalla magistratura contabile;
   in particolare, il decreto n. 605 del 2011 pone a carico della gestione commissariale vicende processuali successive all'omologazione della proposta di concordato da parte del tribunale di Sassari (in particolare, annullamento del decreto di omologazione da parte della corte di appello di Cagliari, a causa di riscontrati vizi di procedura nell'operato del giudice di primo grado, ferma restando la piena legittimità ed adeguatezza della proposta di concordato) certo non imputabili al commissario liquidatore;
   parimenti, si censura la circostanza che la relazione semestrale 1o luglio-31 dicembre 2009 «evidenzia una perdita di esercizio pari ad Euro 73.315,00» senza considerare che tale risultato d'esercizio sopravviene rispetto ad una perdita che nel 2007 era pari a circa 300.000 euro;
   peraltro, il predetto decreto di revoca è stato adottato in data 11 novembre 2011 – proprio in concomitanza con l'avvicendamento dei Ministri interrogati con i rispettivi predecessori – laddove evidenti ragioni di opportunità avrebbero consigliato, a giudizio dell'interrogante, che una vicenda di tale rilievo venisse adeguatamente vagliata dai nuovi titolari dei due dicasteri –:
   se i Ministri interrogati siano informati in ordine alla sopra descritta vicenda;
   se i Ministri interrogati ritengano di dover promuovere iniziative per verificare il provvedimento di revoca adottato ed eventualmente ritirarlo e se, parimenti, non ritengano di tutelare i risultati gestionali e di salvaguardia sociale conseguiti dalla gestione commissariale. (4-14311)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  In data 7 marzo 2002 il consorzio agrario provinciale di Sassari è stato posto in liquidazione coatta amministrativa con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali.
  Con un ulteriore decreto del Ministro dello sviluppo economico, sempre di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, n. 455 del 2006 del 30 ottobre 2006, il dottor Bussi è stato nominato Commissario liquidatore del consorzio agrario.
  Dall'esame dei dati contabili relativi alle relazioni semestrali dell'ultimo periodo, corredate dai relativi verbali del comitato di sorveglianza, l'autorità di vigilanza ha riscontrato una notevole riduzione dell'attivo consolidato, una sensibile contrazione dell'utile d'esercizio nonché una consistente, progressiva diminuzione del valore della produzione. Dall'esame delle relazioni semestrali sono emersi eccessivi costi di gestione non più giustificabili, dal momento che tutti i dipendenti erano stati sottoposti alla procedura di mobilità. Tali costi hanno anche comportato l'aumento dell'esposizione debitoria in prededuzione del consorzio. Questa situazione è stata, per altro verso, costantemente evidenziata anche nei verbali del comitato di sorveglianza.
  Le risultanze contabili negative hanno evidenziato anche una carente gestione delle attività consortili e una mancata riorganizzazione della struttura consortile.
  La mancata concessione di linee di credito da parte degli istituti bancari e la difficoltà di riscossione dei crediti vantati nei confronti di agenti e di clienti, risultano anch'esse imputabili alla mancata riorganizzazione gestionale della struttura consortile: Infatti, una ristrutturazione che avesse mantenuto, ad esempio, le sole agenzie con maggior potenziale, valorizzato i clienti e i fornitori rispetto alla concorrenza e che avesse ridotto i costi di gestione, avrebbe ingenerato negli istituti stessi la fiducia necessaria per la concessione di fidi ad un ente, al contrario, in evidente situazione debitoria e con una gestione assai deficitaria.
  La competente direzione generale del Ministero dello sviluppo economico ha, inoltre, rilevato che il commissario liquidatore non ha delineato un'univoca strategia nella gestione della procedura liquidatoria. Al contrario, mantenendo un comportamento oscillante fra l'ipotesi di liquidare l'azienda e quella di riorganizzarne i rami ancora produttivi, ha dato luogo ad un triennio di gestione in costante perdita.
   Il commissario, infatti, ha proposto una riorganizzazione dell'attività consortile e della rete agenziale successivamente smentita dalla decisione di chiedere la revoca della continuazione dell'esercizio d'impresa. Peraltro il piano di riorganizzazione ipotizzato dal dottor Bussi, finalizzato a sostituire la rete agenziale con una rete di franchising, si rivelava concretamente impraticabile in quanto comma 3, della legge 6 maggio 2004, n. 129, recante «Norme per la disciplina delle affiliazioni commerciali», prevede che un contratto a tempo determinato debba avere una durata almeno triennale; tutto ciò non risultava compatibile con un consorzio agrario sottoposto ad una procedura concorsuale con autorizzazione all'esercizio provvisorio d'impresa, revocabile in ogni momento.
  L'ipotesi, peraltro, di stipulare con gli agenti dei contratti temporanei di affitto delle agenzie avrebbe comportato un'attività imprenditoriale di gestione delle agenzie concesse in affitto incompatibile con l'intenzione – dichiarata dal commissario – di richiedere la revoca dell'autorizzazione alla continuazione dell'esercizio d'impresa.
  La citata direzione generale rappresenta, infine, l'estrema contraddittorietà dell'atteggiamento del commissario rispetto al concordato. Il dottor Bussi ha dichiarato, infatti, di non poter dare attuazione alla proposta di concordato in quanto la sentenza di omologa del tribunale di Sassari è intervenuta tre anni dopo il deposito della proposta medesima, rendendola non più rispondente alla situazione economica, finanziaria, immobiliare, organizzativa e commerciale del consorzio. Contemporaneamente, in data 6 ottobre 2010, ha proposto un giudizio di legittimità avverso la sentenza del giudice territoriale di secondo grado che aveva dichiarato nullo il concordato e successivamente, con delibera n. 252 del 6 febbraio 2011, il dottor Bussi comunicava l'intenzione di rinunciare all'azione.
  Tali contraddittori atteggiamenti hanno comportato inutili spese processuali con indubbio danno alla massa creditoria. Sulla base dei suesposti fatti, il Ministero dello sviluppo economico ha inviato al dottor Bussi la comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, per l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 37 della legge fallimentare nonché dell'articolo 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (rispettivamente, revoca del curare e revoca del provvedimento).
  Il dottor Bussi ha formulato le proprie controdeduzioni nelle quali ha imputato la contestata diminuzione del valore della produzione alla mancanza di affidamenti bancari ed alla crisi economica globale.
  In data 3 ottobre 2011 dottor Bussi ha fatto pervenire un'ulteriore nota recantedelle integrazioni alle proprie controdeduzioni, dove asserisce di aver conseguito, durante la propria gestione, una riduzione delle perdite d'esercizio rispetto alla situazione economica gestita dai precedenti commissari liquidatori. In realtà, l'asserita riduzione delle tuttora perduranti perdite d'esercizio risulta ininfluente laddove riferita ad un ente autorizzato allo svolgimento di attività d'impresa che, invece di conseguire utile, ha continuato ad accumulare negli anni ulteriori debiti prededucibili.
  Il dottor Bussi dichiara, inoltre, di aver introdotto un miglioramento nella organizzazione delle agenzie operando una scrematura, riducendo il costo del personale, selezionando la clientela ed i fornitori.
  In realtà, nella relazione ex articolo 205 l.f. relativa al primo semestre 2010, lo stesso dottor Bussi ha dichiarato che i problemi organizzativi e finanziari del consorzio, uniti alla crisi economica, hanno reso pressoché nullo qualsiasi intervento riorganizzativo che il commissario avesse inteso porre in essere, che l'organizzazione del Consorzio era risultata assolutamente sovradimensionata rispetto alle potenzialità di mercato e che la gestione era rimasta lenta e pesante rispetto alla propria produttività.
  Dunque, mentre nella nota di integrazione alle proprie controdeduzioni il dottor Bussi dichiarava di aver riorganizzato il consorzio e l'attività consortile, nella propria relazione semestrale del 23 novembre 2010 comunicava che la situazione organizzativa ed economica del consorzio era tale che il commissario stesso aveva avviato una serie di valutazioni contabili, strategiche ed organizzative miranti a valutare l'opportunità di chiedere la chiusura dell'esercizio d'impresa.
  Il contenuto della relazione semestrale citata smentisce, di fatto, quanto comunicato dal dottor Bussi nella nota di integrazione alle proprie controdeduzioni.
  Per le motivazioni suesposte, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, n. 605, dell'11 novembre 2011, il dottor Luigi Bussi è stato revocato dall'incarico di commissario liquidatore del consorzio.
  Tale provvedimento di revoca è stato impugnato dal dottor Bussi con ricorso proposto inizialmente avanti il Tar del Lazio e, successivamente, riassunto con motivi aggiunti (con i quali ha impugnato anche il decreto del direttore generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi, di concerto con il direttore generale dei servizi amministrativi del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali n. 1/2012 del 12 gennaio 2010 con il quale il dottor Enrico Gaia è stato nominato commissario liquidatore del consorzio agrario provinciale di Sassari) dinnanzi al Tar per la Sardegna.
  Al riguardo, si evidenzia che il dottor Bussi:

   1. ha visto respingere la domanda di concessione di misure cautelari da parte del consigliere delegato – Tar Lazio sulla richiesta di concessione di misure cautelari urgenti al presidente del Tar con decreto n. 05001 in data 29 dicembre 2011;
   2. ha visto declinare la competenza a decidere sul ricorso in favore del Tar per la Sardegna con ordinanza n. 00344/2012 del 14 gennaio 2012 del Tar per il Lazio;
   3. in seguito alla riassunzione del giudizio davanti al Tar Sardegna ha visto respingere la domanda di concessione di misure cautelari urgenti da parte del presidente del Tar Sardegna con decreto n. 00064 del 10 febbraio 2012;
   4. ha visto respinta la domanda cautelare collegiale fissata dal presidente del Tar Sardegna in data 7 marzo 2012 con decreto n. 00087;
   5. ha visto respinta la domanda di concessione di misure cautelari presidenziali urgenti con decreto n. 01087 del 15 marzo 2012 del Tar Sardegna;
   6. da ultimo, in data 4 aprile 2012, con ordinanza n. 1329, ha visto respingere dal Consiglio di Stato l'appello avverso l'ordinanza cautelare n. 87 del 2012 del Tar Sardegna – Cagliari di reiezione della domanda cautelare presentata dal ricorrente.

  L’excursus delle pronunce della magistratura amministrativa sembrerebbe confermare, allo stato, la correttezza delle scelte operate dall'amministrazione nello svolgimento del ruolo, irrinunciabile, di vigilanza sulle procedure di competenza e ad essa affidate da leggi dello Stato.
Il Ministro dello sviluppo economicoCorrado Passera.


   GIRLANDA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da qualche settimana l'associazione Greenpeace Italia ha diffuso via internet i risultati di una campagna di monitoraggio sulle etichette di oltre duemila scatolette di tonno dei marchi più diffusi in Italia, presso 173 punti vendita;
   i risultati dimostrano, a detta dell'associazione, un ridotto grado di trasparenza da parte dell'industria del tonno in razione alla scarsità di dati relativi all'area di pesca indicata sulle etichette, presente solo nel 7 per cento dei casi;
   l'inchiesta evidenzia anche come nel 97 per cento dei casi non sia indicato nemmeno il metodo di pesca utilizzato, sottolineando i rischi di una pesca eccessiva o indiscriminata, che minaccia cinque delle otto specie di tonno di interesse commerciale;
   l'associazione dichiara che spesso nelle scatolette finisce tonno pescato con metodi distruttivi, come i palamiti e le reti a circuizione con «sistemi di aggregazione per pesci», che causano ogni anno la morte di migliaia di esemplari giovani di tonno, squali, mante e tartarughe marine;
   sempre a detta dell'associazione non esiste ancora una scatoletta di tonno al 100 per cento sostenibile, sottolineando così l'inconsapevole complicità dei consumatori del nostro Paese nella distruzione dei mari –:
   se il Ministro intenda avviare un'indagine conoscitiva in materia o altro genere di iniziative volte ad appurare la veridicità delle affermazioni suindicate riferite dall'associazione Greenpeace Italia. (4-14121)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente le indicazioni presenti sulle etichette delle scatolette di tonno, ricordo che la pertinente normativa comunitaria sulle informazioni obbligatorie da riportare in etichetta (quali la denominazione scientifica e/o commerciale del prodotto ittico, il metodo di produzione – inteso se allevato, pescato ovvero pescato in acqua dolce – e il luogo di provenienza), attuata in Italia con il decreto ministeriale 27 marzo 2002 e successive modificazioni ed integrazioni, non è applicabile ad alcuni prodotti ittici quando questi siano stati cotti, preparati o conservati con procedimenti diversi da quelli previsti nel capitolo 3 del Regolamento (CE) 2031/2001.
  Infatti il regolamento (CE) 104/2000 esclude dal campo di applicazione della citata normativa i prodotti confezionati, non soggetti ad etichettatura al dettaglio, quali i preparati di pesci e/o molluschi cotti, i crostacei sgusciati cotti e i prodotti marinati come, ad esempio, i preparati di pesce sott'olio o al naturale (tonno – sardine), vasetti di vongole o gamberetti sgusciati.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   GIULIETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la recente «Legge di stabilità» ha ridotto da 12 a 2 milioni di euro il «Fondo di rotazione per i familiari delle vittime di mafia e dell'usura (...)»;
   il fondo aveva consentito non solo di manifestare la concreta solidarietà alle vittime della criminalità, ma anche di favorire un più efficace contrasto al fenomeno;
   decine e decine di associazioni impegnate nella lotta contro la mafia, camorra e usura, hanno rivolto un appello al nuovo Governo affinché il fondo sia ripristinato nella sua interezza –:
   se e come il Governo intenda recepire questa richiesta, non solo ripristinando il fondo, ma anche dando un rinnovato sostegno a tutti coloro che non hanno mai smesso di contrastare le mafie e le organizzazioni criminali. (4-14167)

  Risposta. — L'interrogante ha chiesto di conoscere se sia possibile incrementare il «Fondo di rotazione per i familiari delle vittime di mafia e dell'Usura», offrendo un rinnovato sostegno a coloro che contrastano le mafie e le organizzazioni criminali.
   L'articolo 2, comma 6-sexies, del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, ha previsto l'unificazione nel «Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura» dei preesistenti «Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura» e «Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso».
  L'unificazione dei fondi è stata voluta e sostenuta per fronteggiare la cronica incapienza del fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, dovuta alla sistematica riduzione del contributo statale destinato ad alimentare il Fondo ai sensi della legge 22 dicembre 1999, n. 512, e all'esiguità delle somme derivanti dalla vendita dei beni confiscati ex articolo 2 della stessa legge.
  Va, infatti, rilevato che il fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura in quanto alimentato, ai sensi dell'articolo 18, comma 1 (lettera a) della legge 23 febbraio 1999, n. 44, da un contributo sui premi assicurativi raccolti nel territorio dello Stato, ha sempre goduto di disponibilità finanziarie considerevoli.
  La sistematica insufficienza delle risorse finanziarie del fondo vittime della mafia, a fronte delle rilevanti disponibilità del fondo vittime dell'estorsione e dell'usura, ha reso necessario un intervento normativo (articolo 1-bis della legge n. 512 del 1999, introdotto dall'articolo 2 della legge n. 186 del 2008, e ora abrogato dalla legge n. 10 del 2011) che prevedeva la possibilità di assegnare annualmente al fondo per le vittime della mafia, con decreto del Ministro dell'interno, una quota del contributo devoluto annualmente al fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura, sui premi assicurativi raccolti nel territorio dello Stato, ai sensi del citato articolo 18, comma 1 della legge n. 44 del 1999.
  Per effetto della citata norma è stato quindi realizzato, negli anni più recenti, uno storno delle risorse dedicate al fondo antiracket e antiusura in favore del mondo per le vittime della mafia.
  Va a tale proposito osservato che tale contributo ha costituito, negli ultimi anni, la principale fonte di finanziamento del fondo per le vittime della mafia.
  La costituzione di un unico sfondo e la correlata unificazione contabile dei distinti capitoli di spesa, realizzata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 3 maggio 2011, ha reso possibile nell'immediato (ancor prima dell'adozione del previsto regolamento chiamato a disciplinare, coordinare ed armonizzare le disposizioni dei regolamenti dei previgenti fondi) una gestione comune delle risorse, consentendo di attingere a quelle più cospicue originariamente destinate alle sole vittime del racket e dell'usura e di corrispondere più sollecitamente alle richieste delle vittime della mafia.
  Un primo positivo riflesso di questa azione è dato cogliere nel recente accoglimento di domande presentate da vittime della mafia, riguardanti casi di particolare delicatezza ed importanza in relazione al quantum.
  Più in generale, la suddetta unificazione contabile si sta traducendo in una accelerazione dell'esame di tutte le richieste ed ha consentito, altresì, di riportare a livelli di maggior favore il meccanismo di rotazione, finora attestato su criteri percentuali di devoluzione delle somme, in modo da assicurare un più agevole riscontro alle aspettative delle vittime della mafia.
  Per effetto dell'unificazione dei fondi, dal mese di maggio 2011 al dicembre dello stesso anno, sono state deliberate dal comitato somme per un importo complessivo di euro 41.698.612. In particolare, nell'anno 2011 è stato deliberato un importo di euro 55.702.385, corrispondente ad un aumento del 116 per cento rispetto all'importo deliberato nell'anno 2010, pari ad euro 25.733.378, ed un incremento del 17 per cento rispetto alle somme deliberate nell'anno 2009 (euro 47.762.868).
  Per quanto sopra esposto, si ritiene di poter assicurare che la riduzione degli stanziamenti previsti dall'articolo 1 della legge n. 512 del 1999 e dall'articolo 14, comma 11, della legge 7 marzo 1996, n. 108, disposta con la «Legge di Stabilità» 2012 – già oggetto negli ultimi anni di una sistematica e progressiva contrazione – rappresentando una percentuale esigua rispetto alle altre fonti di finanziamento del Fondo, non inciderà sulla sollecita soddisfazione delle legittime aspettative delle vittime della mafia, dell'estorsione e dell'usura.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie, il gruppo Volkswagen Italia di Verona, da tempo sta attuando pratiche anticoncorrenziali, le quali stanno causando la fuori uscita dal mercato di oltre quattrocento aziende italiane della rete di assistenza Audi;
   gli accordi per i servizi di riparazione e manutenzione delle autovetture sono disciplinati da regolamenti comunitari i quali prevedono che il costruttore emani gli standard di natura prettamente qualitativa da applicarsi nei confronti dei riparatori autorizzati che richiedano di entrare nella rete di assistenza;
   i suddetti regolamenti prevedono inoltre, nell'interesse del consumatore, che le officine autorizzate non siano obbligate ad utilizzare ricambi originali per i servizi a pagamento di riparazione e manutenzione, i cui costi sono notevolmente superiori rispetto a quelli praticati sui ricambi alternativi;
   le regole introdotte dal gruppo, relativamente alle attività svolte dalle concessionarie, sembrano non rispettare pienamente la disciplina imposta dai regolamenti comunitari, avendo come reale obiettivo quello di favorire soltanto la vendita di ricambi originali;
   il gruppo Volkswagen Italia ha infatti intrapreso una politica di riduzione della rete che lascia operativi in ogni comparto territoriale uno o pochi riparatori, i quali, potendo praticare prezzi più alti, sono in grado di acquistare e rivendere soltanto ricambi originali a danno della concorrenza e del consumatore finale;
   le strategie attuate dal gruppo rappresentano un danno per l'economia e l'occupazione, costringendo molti imprenditori italiani a dover procedere ad una politica di tagli degli investimenti e del personale che potrebbe comportare il ritiro dei mandati di concessione dei marchi Volkswagen e Audi;
   la vicenda è stata denunciata all'autorità garante della concorrenza e del mercato e presso il tribunale civile di Verona dove è in corso un procedimento giudiziario nei confronti del Gruppo Volkswagen di Verona, anche per verificare se ci siano state violazioni delle norme sulla concorrenza; su quest'ultimo aspetto c’è stata anche una segnalazione alla commissione europea –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato voglia prendere in merito alla vicenda segnalata al fine di scongiurare le negative ripercussioni che la stessa avrebbe sulle piccole imprese italiane, sull'occupazione e sui consumatori. (4-11828)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Il settore automotive sconta una annosa crisi di sovraccapacità produttiva strutturale, che ha determinato a livello mondiale un calo del grado di utilizzo degli impianti dall'83 per cento del 2007 al 64 per cento del 2009.
  L'eccesso di capacità si aggira intorno ai trenta milioni di vetture ed è uniformemente distribuito su tutti i mercati: 40 per cento e 35 per cento in nord America ed Europa occidentale, ma anche 35 per cento nei mercati emergenti (Cina, India, est Europa).
  La gravissima crisi finanziaria ed economica internazionale esplosa nel 2008 ha ulteriormente inasprito, in generale, uno squilibrio che resta strutturale per il comparto.
  Per quanto riguarda, in particolare, l'Europa, i rapporti pubblicati nell'ultimo decennio dalla Commissione Europea – direzione generale concorrenza, testimoniano di un ambiente decisamente competitivo, contraddistinto da una vivace concorrenza – sia tra i produttori che all'interno della marca – da un'innovazione costante, dal calo dei prezzi reali, dall'apertura del mercato ai competitors extraeuropei.
  Della forte pressione concorrenziale hanno fatto le spese in particolare i concessionari, in genere piccole e medie imprese – probabilmente il vero anello debole della filiera – sempre più stretti nella morsa generata da un composito mix di fattori:
   l'inasprimento, imposto dalle case, degli standard contrattuali legati alla vendita e al servizio, che ha determinato un aumento dei costi fissi di struttura a livello distributivo (numero minimo di vetture da esporre, superficie minima espositiva, numero minimo di vetture per la prova, contribuzione economica alle campagne pubblicitarie/promozionali, indice minimo di capitalizzazione, numero minimo di venditori con relativi oneri di formazione, indice minimo di customer satisfaction...);
   la riduzione complessiva del margine lordo anche a seguito di una struttura provvigionale sempre più basata sulla quota variabile e su fattori non sempre oggettivi (si pensi al grado di soddisfazione della clientela). A questo proposito è significativo il dato emerso da uno studio di Mc Network, secondo cui il margine operativo netto (Ebit) medio realizzato da un concessionario italiano nel 2005 era di circa l'1,5 per cento per le marche estere e, tra l'1,5 per (Fiat) e l'1,2 per cento (Lancia, Alfa Romeo), per i brand nazionali. Peraltro, tale realtà spiega come oggi i dealers siano sempre più indotti a ricercare nuovi e più remunerativi margini nei servizi finanziari ed assicurativi nonché nell'assistenza postvendita;
   il fenomeno delle prassi commerciali forzose (vendite a chilometri 0; incremento del parco vetture dimostrative e aziendali);
   l'erosione del potenziale di mercato a seguito delle vendite dirette effettuate dai costruttori – alle flotte aziendali, alle società di noleggio a lungo termine e alle società di leasing – e delle importazioni parallele che portano a circa il 31 per cento del mercato italiano la percentuale di mercato sottratta alle reti ufficiali (dati Federauto al luglio 2007);
   la concorrenza esercitata da talune società di noleggio/leasing che, talvolta, rivendono le auto acquistate a chilometri 0, anziché trattenerle per uso proprio – senza peraltro, essere sottoposte agli stessi vincoli vigenti in capo ai concessionari, in termini di standard contrattuali, obiettivi di vendita e soddisfazione del cliente.

  La direzione generale concorrenza della Commissione europea, nella elaborazione della propria politica di concorrenza, di fatto, non è riuscita ad offrire una soluzione a problemi del tipo sopra accennato.
  Peraltro, con l'ultima riforma varata dalla stessa nel 2010 (Regolamento Unione europea n. 461 del 2010), la condizione dei concessionari non ne esce propriamente rafforzata sia per effetto di un intervento di semplificazione/deregulation dell'intero impianto normativo, sia per la scelta, in discontinuità rispetto al passato, di stralcio delle previgenti disposizioni relative alla tutela minima contrattuale dei concessionari, rinviata alle rispettive legislazioni nazionali di diritto commerciale, in quanto ritenute non pertinenti alla tutela della concorrenza.
  Al riguardo, comunque, si ritiene utile evidenziare che l'azione combinata del Ministero dello sviluppo economico, della rappresentanza permanente d'Italia a Bruxelles e degli operatori interessati è riuscita ad ottenere una proroga di tre anni della previgente disciplina relativa alla vendita.
  Tale proroga è utile agli operatori – in primis ai concessionari – per adeguarsi al nuovo regime e, soprattutto, per ammortizzare gli investimenti specifici a lungo termine effettuati in ottemperanza alla vecchia normativa.
  La direzione generale concorrenza della Commissione, sulla base dell'esperienza acquisita nel frattempo, non ritiene più che la tutela dell'indipendenza dei concessionari abbia incidenza, seppure indiretta, sulla concorrenza e, pertanto, è da vedersi se la segnalazione effettuata dai concessionari Volkswagen di Verona possa sortire gli effetti attesi, a meno di violazioni specifiche particolarmente significative.
  In merito alla questione, il Ministero dello sviluppo economico, nelle sedi competenti, ha partecipato al dibattito sul progetto normativo della Commissione, anche esprimendo preoccupazione per le possibili ripercussioni negative per il futuro del comparto in generale, per le imprese della distribuzione e, in definitiva, per lo stesso consumatore. Tuttavia, la procedura di approvazione prevedeva un ruolo solo consultivo degli Stati membri, per cui la Commissione, nella propria autonomia, ha ritenuto di confermare sostanzialmente l'impianto normativo, fatta salva la proroga triennale sopra accennata.
Il Ministro dello sviluppo economicoCorrado Passera.


   LIBÈ e GALLETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Piacenza, in strada Valnure, è in costruzione la nuova caserma dei vigili del fuoco;
   in base a quanto riportato da notizie di stampa di questi giorni, si apprende che il progetto, basato su standard ministeriali, assegnerebbe alla struttura un'autorimessa delle stesse dimensioni di quelle di Lodi e Rimini;
   nel caso in questione, però, tale autorimessa risulta essere sottodimensionata, in quanto a Piacenza i vigili del fuoco, oltre alla dotazione di mezzi ordinari, dispongono, tra l'altro, anche di squadre addette al movimento terra ed alla radiometria –:
   se sia a conoscenza della vicenda;
   se non intenda assumere iniziative volte a far si che si proceda all'ampliamento dell'autorimessa in questione al fine di poter procedere al ricovero di tutti i mezzi a disposizione. (4-12866)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante pone la questione dell'ampliamento dell'autorimessa della nuova caserma dei vigili del fuoco di Piacenza.
  Il progetto della sede centrale del comando vigili del fuoco di Piacenza risale a metà degli anni novanta ed è stata oggetto, nel tempo, di una serie di aggiornamenti.
  In particolare nel 2001 è stata prevista la realizzazione di autorimesse per i mezzi di soccorso ordinari, nonché di due aree per il parcheggio dei mezzi speciali e della colonna mobile.
  Gli stanziamenti disponibili tuttavia avrebbero permesso la realizzazione della sede centrale rimandando ad anni successivi il finanziamento delle due autorimesse aggiuntive. Di ciò si tenne conto inserendo detta realizzazione nelle programmazioni triennali degli anni successivi.
  Tuttavia, la nota situazione finanziaria dei capitoli di spesa del dipartimento dei vigili del fuoco non ha permesso di inserire nella programmazione esecutiva annuale tale ulteriore esigenza, anche in considerazione degli sforzi finanziari compiuti per portare a completamento l'opera principale a causa di varianti e contenziosi con l'impresa, oggi completamente risolti.
  Il comando provinciale di Piacenza ha comunque sempre avuto soluzioni alternative, seppur non definitive, per collocare i mezzi della colonna mobile.
  In vista dell'ultimazione dei lavori principali, perdurando la carenza di disponibilità di fondi da parte del dipartimento dei vigili del fuoco, è stato richiesto al provveditorato interregionale alle opere pubbliche dell'Emilia Romagna e Marche di valutare la possibilità di inserire la realizzazione delle autorimesse aggiuntive e di altre piccole opere complementari nella propria programmazione dei lavori, prevedendone il finanziamento.
  Il provveditorato ha manifestato la disponibilità a valutare l'inserimento del finanziamento nella programmazione triennale dei lavori.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGiovanni Ferrara.


   MANCUSO, NASTRI, BARANI e DE LUCA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da qualche mese, nel paese di Borgolavezzo, in provincia di Novara, la consegna della posta ai cittadini subisce numerosi ritardi e contrattempi;
   il sindaco di Borgolavezzo, Gianluigi Lovati, ha contattato il responsabile dei portalettere zonale, chiedendo e non ottenendo alcuna spiegazione, se non che trattasi di anomalia zonale e non solo comunale;
   lo stesso primo cittadino e l'amministrazione comunale hanno subito disagi causati dall'anomalia del servizio di consegna posta presso il municipio;
   alcuni cittadini hanno ricevuto delle bollette oltre la loro data di scadenza –:
   se il Governo intenda assumere iniziative nei confronti della società Poste Italiane per avere chiarimenti sulla situazione e rassicurazioni sulla sua risoluzione entro breve. (4-14156)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame riguardante le modalità della consegna della corrispondenza nel comune di Borgolavezzo, in provincia di Novara, sulla base degli elementi forniti dalla direzione generale competente e dalla società Poste italiane, si rappresenta quanto segue.
  Poste italiane ha precisato che il comune di Borgolavezzo è servito da due zone di recapito, dipendenti dal presidio decentrato di distribuzione di Trecate, entrambe affidate ad altrettanti portalettere titolari.
  Nel mese di novembre 2011 uno dei portalettere si è assentato per malattia ed è stato sostituito da un altro operatore, esperto del servizio, che ha garantito la copertura del territorio.
  L'azienda ha reso noto che al momento non si registrano giacenze e i risultati dei monitoraggi interni, effettuati per verificare l'esatta rispondenza del servizio agli standard di qualità, hanno confermato l'assenza di qualsivoglia anomalia.
  Da tali accertamenti è emerso, altresì che la consegna delle bollette oltre la data di scadenza, avvenuta durante il mese di gennaio 2012, è stata determinata da un ritardo di spedizione da parte dell'ente erogatore del servizio, che ne ha tempestivamente informato la clientela, comunicando, al contempo, che le bollette in argomento non sarebbero state gravate da interessi di mora.
  Tanto risulta dalle informazioni pervenute dalla società Poste italiane, appositamente interpellata.
  Comunque, il Ministero dello sviluppo economico non mancherà di tenere nel dovuto conto la segnalazione degli interroganti, continuando, attraverso gli uffici competenti, compatibilmente con le risorse umane e finanziarie disponibili, a vigilare sul rispetto degli obblighi connessi allo svolgimento del servizio postale universale, per assicurare alla cittadinanza un servizio in linea con i vigenti standard di qualità.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   NASTRI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ennesimo sequestro avvenuto recentemente a Milano, effettuato dal nucleo antisofisticazioni e sanità dei carabinieri, di ingenti quantitativi di pesce congelato e scaduto, di provenienza cinese e destinati ai supermercati del Nord Italia, ripropone nuovamente il grave problema della tutela della salute dei prodotti agroalimentari in Italia ed in particolare della qualità e rintracciabilità dei cibi che quotidianamente viene venduta più specificatamente da parte della grande distribuzione organizzata;
   nel nostro Paese, secondo quanto denuncia la Coldiretti, sono stati importati nel primo semestre del 2001, 7,1 milioni di chili ittici congelati, provenienti dall'area asiatica e in particolare dalla Cina, con un aumento record del 24 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
   i suddetti dati, costituiscono un fenomeno allarmante, a giudizio dell'interrogante, che accresce fortemente il rischio di inganni nei confronti dei consumatori;
   nei ristoranti, occorre ricordare che, la provenienza del pesce consumato a tavola, non deve essere indicata, a differenza dell'obbligo dell'etichetta d'origine nelle pescherie o nei supermercati, senza dimenticare che il prodotto proveniente dall'estero, ha certamente meno garanzie rispetto a quello del cosiddetto made in Italy;
   dal pangasio del Mekong, venduto come cernia, al polpo vietnamita, spacciato per nostrano, all'halibut atlantico venduto per sogliola, al dentice della Mauritania, fino ai gamberetti della Cina o del Vietnam, dove peraltro è consentito un trattamento con antibiotici, vietati in Europa in quanto pericolosi per la salute, vi è la conferma di come in Italia, giunga una quantità smisurata di pesce e di molluschi di dubbia qualità con estrema facilità e senza alcun tipo di controllo rivolto alla tutela della salute dei consumatori;
   a giudizio dell'interrogante, occorre estendere l'obbligatorietà dell'etichetta d'origine, già vigente per il prodotto che si acquista nelle pescherie o direttamente dagli imprenditori ittici, anche all'interno dei menu di ristorazione, stabilendo una vera e propria «carta del pesce», con l'indicazione di dove è stato pescato quanto si porta in tavola –:
   quali iniziative intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quale sia il livello dei controlli sanitari, per il pesce importato dall'estero e in particolare dall'area asiatica e soprattutto se dalle verifiche effettuate, sussistano pericoli per la salute dei consumatori;
   se non ritengano opportuno infine, estendere l'obbligatorietà dell'etichetta d'origine, anche all'interno della carta dei cibi di ristorazione, come peraltro esposto in premessa, al fine di rendere più sicura e trasparente la provenienza del pesce consumato nel nostro Paese. (4-13472)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, concernente i controlli sui prodotti ittici congelati provenienti soprattutto dalla Cina, vorrei chiarire che l'aumento delle frodi alimentari in questo specifico settore è determinato, principalmente, dal minore costo del prodotto estero rispetto a quello nazionale, benché superiore sotto il profilo della qualità.
  Al riguardo premetto che la mia Amministrazione, già da tempo, ha avviato diverse iniziative per contrastare il fenomeno.
  Ricordo, anzitutto, l'attività svolta dal Corpo delle capitanerie di Porto – Guardia costiera – che opera ormai da anni, in virtù della delega conferitagli, come Autorità nazionale di controllo della pesca lungo l'intera filiera ittica. In particolare, nell'ottica di tutelare il consumatore, sono state intraprese specifiche operazioni a garanzia della qualità e della correttezza dell'etichettatura dei prodotti ittici posti in vendita, ponendo particolare attenzione sulle grandi società di import/export, soprattutto nelle regioni del nord Italia, in considerazione della distribuzione geografica degli insediamenti produttivi nel Paese.
  In ogni caso, ricordo che le verifiche vengono eseguite, prevalentemente, in stretta sinergia con i servizi veterinari delle aziende sanitarie locali per la massima tutela del consumatore finale.
  Peraltro, nell'ambito dell'accordo quadro di collaborazione scientifica siglato il 27 giugno 2011 tra il comando generale del Corpo delle capitanerie di porto e l'Istituto zooprofilattico delle Venezie, è stato formalmente presentato un progetto diretto alla messa a punto di protocolli analitici per l'identificazione di specie ittiche, tramite prove di isoelettrofocalizzazione (Ief) e di biologia molecolare (Pcr).
  Si tratta di una metodologia di identificazione innovativa che, oltre a fornire al personale deputato al controllo un efficace mezzo di contrasto alle frodi alimentari poste in essere nell'ambito della commercializzazione del prodotto ittico, inciderà proficuamente sulla qualità dei controlli a tutela, non solo, del consumatore finale ma anche dell'intero comparto.
  Al momento, in attesa della disponibilità di cassa delle somme necessarie (quantificate, dal predetto Corpo, in 74.280 euro) per rendere operativo questo strumento di contrasto alle frodi alimentari nella commercializzazione del prodotto ittico, la competente direzione generale della pesca e dell'acquacoltura sta predisponendo gli adempimenti necessari.
  Faccio altresì presente che il Corpo delle capitanerie di porto partecipa all'attuazione del piano nazionale integrato relativo ai controlli per la sicurezza alimentare con un'apposita sezione per i prodotti ittici che sintetizza ed analizza gli esiti delle ispezioni effettuate dal personale dipendente, evidenzia le violazioni riscontrate di carattere igienico-sanitario (alimenti scaduti, in cattivo stato di conservazione, nocivi, violazioni delle norme del «pacchetto igiene»), nonché quelle relative alla tracciabilità ed etichettatura dei prodotti ittici.
  Ritengo che le iniziative intraprese possano contribuire a circoscrivere il rischio di frodi e contraffazioni a garanzia, non solo, della qualità dei prodotti in termini di tracciabilità e sicurezza alimentare, ma anche a tutela dei pescatori italiani e dell'intero comparto.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   NASTRI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto è emerso dalla prima indagine sulla qualità degli oli di oliva in vendita in Italia, effettuata dalla Coldiretti, Symbola e Unaprol, attraverso l'analisi organolettica su campioni di olio acquistati ed esaminati da parte del panel, ovvero il campione rappresentativo costituito dall'Agenzia delle dogane, in oltre il 40 per cento delle bottiglie di olio extravergine di oliva in vendita nei supermercati e nella grande distribuzione, sarebbero presenti muffe, mentre il 16 per cento delle bottiglie conterrebbe olio derivante da olive alterate e l'8 per cento addirittura rancido;
   più della metà delle bottiglie di olio esaminate dovrebbe pertanto, secondo quanto denunciano le suesposte associazioni agricole, essere declassato in quanto non potrebbe essere venduto come extravergine;
   dall'analisi effettuata, prosegue il rapporto della Coldiretti, sono stati esclusi quelli a denominazione di origine (Dop) e quelli ottenuti al 100 per 100 da olive italiane, ma compresi oli di grande diffusione;
   risulta pertanto inammissibile, a giudizio dell'interrogante, ove fosse confermato quanto suesposto, che in Paese come l'Italia, che produce ed esporta olio extravergine di oliva la cui qualità è riconosciuta a livello internazionale, come simbolo d'eccellenza del made in Italy nel settore agroalimentare, possa essere venduto olio di oliva vergine ed extravergine con muffa, che potrebbe provocare anche danni alla salute dei consumatori, nonché all'immagine di tanti olivicoltori colpiti duramente dalla contraffazione;
   la Coldiretti inoltre, ha evidenziato come in quattro bottiglie di olio extravergine su cinque in vendita in Italia, che contengono miscele di diversa origine, risulta praticamente illeggibile la provenienza delle olive impiegate, nonostante sia obbligatorio indicarla per legge nell'etichetta, dal 1° luglio 2009, in base al regolamento comunitario n. 182 del 6 marzo 2009;
   sulle bottiglie di extravergine ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati infatti, è quasi impossibile, nella maggior parte dei casi, leggere le scritte: «miscele di oli di oliva comunitari», «miscele di oli di oliva non comunitari» o «miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari», obbligatorie per legge nelle etichette dell'olio di oliva;
   quanto suesposto, a giudizio dell'interrogante, richiede iniziative urgenti, volte a sostenere la filiera interessata, a tutela sia dei consumatori, che delle numerose imprese del settore, gravemente colpite dal fenomeno della contraffazione –:
   quali iniziative urgenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano intraprendere al fine di salvaguardare un settore agroalimentare strategico e fondamentale per l'economia italiana, quale quello esposto in premessa;
   se non ritengano opportuno avviare specifici controlli, al fine di verificare che all'interno delle bottiglie di olio di oliva ed extravergine di oliva, attualmente in vendita, non sussistano pericoli per la salute dei consumatori;
   se non ritengano infine opportuno, in prossimità del Natale durante il quale l'olio extravergine di oliva è particolarmente venduto ed apprezzato, predisporre ulteriori controlli, per contrastare la concorrenza sleale e le sofisticazioni che insidiano l'olio italiano, al fine di garantire che la qualità e i metodi di produzione e commercializzazione siano conformi a quanto previsto dal disciplinare vigente. (4-14008)

  Risposta. — In merito a quanto rappresentato dall'interrogante, vorrei anzitutto evidenziare il costante impegno rivolto dalla mia Amministrazione, mediante i propri organi di controllo, alla tutela dei prodotti agroalimentari italiani.
  Mi riferisco, in particolare, all'attività di vigilanza esercitata, sull'intero comparto agricolo e su tutto territorio nazionale, dall'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari che dedica proprio al settore oleario una parte considerevole delle visite ispettive.
  Nello specifico, i controlli in tale settore sono diretti ad accertare la corrispondenza dei parametri chimico-fisici agli standard previsti dalla normativa vigente, la corretta etichettatura degli oli immessi in commercio nonché l'origine geografica dell'olio d'oliva (onde evitare che oli di provenienza Unione europea o extracomunitari vengano commercializzati fraudolentemente nel territorio nazionale con l'indicazione dell'origine italiana).
  Al riguardo evidenzio che, per assicurare il rispetto delle norme di commercializzazione dell'olio di oliva, l'attività dell'Ispettorato nel settore in parola viene svolta in esecuzione dello specifico «piano di controllo» di cui all'articolo 6 del decreto ministeriale 10 novembre 2009, recante disposizioni nazionali relative alle norme di commercializzazione dell'olio di oliva.
  I controlli, costantemente effettuati presso frantoi, imprese di condizionamento, esercizi commerciali all'ingrosso e al dettaglio nonché nella ristorazione, riguardano i processi produttivi adottati, il regolare assolvimento degli obblighi documentali, la verifica delle indicazioni obbligatorie e facoltative riportate nel sistema di etichettatura, la conformità degli imballaggi e delle caratteristiche merceologiche dei prodotti campionati, nonché, presso gli esercizi di ristorazione, le modalità di offerta al consumatore dell'olio di oliva in confezioni etichettate a norma di legge.
  Peraltro, per migliorare l'azione di controllo e di contrasto all'illecita importazione di prodotti agro alimentari sul territorio nazionale, l'Ispettorato ha intrapreso da tempo un'efficace collaborazione con l'Agenzia delle dogane e le capitanerie di porto che permette di monitorare al meglio i flussi d'introduzione dei prodotti alimentari provenienti dall'estero (tra cui gli oli d'oliva) e di evitare l'introduzione in Italia, per la successiva commercializzazione, di prodotti non conformi alle disposizioni vigenti.
  Evidenzio infine che, accanto alle attività ordinarie, l'Ispettorato esegue anche controlli «straordinari» che scaturiscono da particolari situazioni contingenti di mercato che richiedono una specifica attenzione investigativa.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   PALOMBA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con il referendum regionale del 15 e 16 maggio 2011 e, successivamente con quello nazionale del 12 e 16 giugno 2011, la Sardegna ha dato il suo definitivo e inconfutabile parere negativo alle centrali nucleari e allo stoccaggio di qualsivoglia tipo di scorie nucleari nel suo territorio;
   secondo quanto riporta il quotidiano locale Sardegna Quotidiano del 6 febbraio 2012 in un articolo dal titolo «L'allarme. Il deposito unico di scorie nucleari L'Isola a rischio», la Sogin spa, la società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi provenienti dalle attività nucleari industriali, mediche e di ricerca, deve realizzare un grande deposito di stoccaggio per la raccolta nazionale, ma non smentisce la possibilità che tale deposito venga realizzato in Sardegna;
   attualmente i siti ritenuti idonei per la costruzione di tale deposito di stoccaggio nazionale sono 53 ma non è un mistero che la Sardegna, per le sue caratteristiche naturali di terra priva di rischi sismici e circondata dall'acqua, sia stata per lungo in tempo tra le regioni accreditate maggiormente ad ospitarlo nonostante la netta opposizione dei residenti. Nel 2011 infatti sembrava essere più di un'ipotesi la costruzione di una centrale in provincia di Oristano, nella piana del Cirras tra Santa Giusta e Arborea;
   l'articolo 25 del decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012 sulle cosiddette «liberalizzazioni» – sotto il titolo apparentemente rassicurante «Accelerazione delle attività di disattivazione e smantellamento dei siti nucleari» – prevede che le scorie nucleari possano essere stoccate ovunque nel territorio italiano senza il parere preliminare delle amministrazioni locali, parere che invece era stato necessario fino ad ora;
   in particolare, il comma 4 di tale articolo semplifica oltremodo l'autorizzazione di nuovi depositi nucleari, in deroga alle procedure ordinarie. L'autorizzazione del Ministero dello sviluppo economico oltrepassa infatti qualsiasi norma urbanistica, ambientale e amministrativa: secondo la norma in questione, infatti i nullaosta rilasciati «valgono anche quale dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza, costituiscono varianti agli strumenti urbanistici e sostituiscono ogni provvedimento amministrativo, autorizzazione, concessione, licenza, nulla osta, atto di assenso e atto amministrativo, comunque denominati, previsti dalle norme vigenti costituendo titolo alla esecuzione delle opere»;
   come ha recentemente spiegato il suo amministratore delegato Giuseppe Nucci, la Sogin Spa deve realizzare un grande deposito di stoccaggio per la raccolta nazionale;
   il deposito di stoccaggio delle scorie nucleari viene definito nell'articolo 24 «Parco Tecnologico» con all'interno il «Deposito nazionale». Secondo il sito della Sogin Spa «il deposito sarà una struttura di superficie, progettata sulla base delle migliori esperienze internazionali, che consentirà la sistemazione definitiva di circa 80 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e la custodia temporanea per circa 12.500 metri cubi di rifiuti di alta attività». Inoltre: «Degli oltre 90 mila metri cubi di rifiuti il 70 per cento proverrà dalle operazioni di bonifica ambientale degli impianti nucleari mentre il restante 30 per cento dalle attività di medicina nucleare, industriali e della ricerca. Il trasferimento dei rifiuti in un'unica struttura garantirà la massima sicurezza per i cittadini e la salvaguardia dell'ambiente»;
   in base alla nuova normativa, come sottolineato dal quotidiano locale summenzionato, se il Governo deciderà di installare un deposito di scorie nucleari in Sardegna la Sogin Spa avrà completamente carta bianca e a nulla servirà la decisione popolare contraria espressa sulla materia attraverso i referendum; nello stesso modo saranno poste nel nulla le scelte in merito della regione e dei comuni che hanno espressamente deliberato contro il nucleare: in base al decreto-legge sulle cosiddette «liberalizzazioni» gli enti locali possono infatti esprimere solo un parere non vincolante. La norma recita inoltre: «la regione competente può promuovere accordi tra il proponente e gli enti locali interessati dagli interventi, per individuare misure di compensazione e riequilibrio ambientale senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». In pratica sarebbero permessi accordi con la Sogin Spa per ripagare il danno ambientale, ma a patto che non siano previsti nuovi esborsi da parte dello Stato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del parere negativo espresso dalla popolazione della Sardegna attraverso i referendum della scorsa primavera contro il nucleare e se, nonostante la Sogin spa abbia astrattamente il potere di stoccare ovunque le scorie radioattive con il solo parere del Ministero e senza il parere preliminare delle amministrazioni locali, intenda fugare ogni preoccupazione della popolazione sarda ed escludendo categoricamente la realizzazione di qualsivoglia deposito di stoccaggio di scorie nucleari in terra sarda. (4-14925)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto concerne la localizzazione e costruzione del deposito nazionale centralizzato per la sistemazione definitiva dei rifiuti a bassa e media attività e all'immagazzinamento, a titolo provvisorio, di lunga durata dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari, la stessa costituisce un'esigenza riconosciuta, da tempo e da più parti, come necessaria e indifferibile; tanto più che i rifiuti radioattivi in questione afferiscono, oltre che alle pregresse attività di produzione elettronucleare, anche alle passate, presenti e future attività di ricerca, industriali e medico-sanitarie, evidentemente non eliminabili.
  Ciò premesso, si precisa che, mentre il referendum consultivo popolare regionale del 15 e 16 maggio 2011, indetto dal presidente della regione autonoma della Sardegna con decreto n. 26 del 21 marzo 2011, concerneva il pronunciamento popolare sull'installazione in Sardegna sia di centrali nucleari sia di «siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti», il referendum nazionale del 12 e 13 giugno 2011 si è tenuto sul quesito riguardante l’«abrogazione di norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare», secondo la formulazione stabilita dalla Corte suprema di Cassazione con ordinanza del 1o giugno 2011.
  Pertanto, la consultazione nazionale – richiamata dall'interrogante – concerneva esclusivamente il consenso al programma del Governo che prevedeva il ritorno dell'Italia alla costruzione di nuove centrali nucleari, e non anche il consenso alla realizzazione nel territorio nazionale di strutture dedicate alla sistemazione dei rifiuti radioattivi.
  Per quanto concerne la So.G.I.N., società per azioni a capitale pubblico incaricata, tra l'altro, del decommissioning degli impianti nucleari, si precisa che la stessa non è titolata a smentire o meno la possibilità che il deposito nazionale sia localizzato in Sardegna, mentre nelle sue linee essenziali, la procedura di localizzazione del parco tecnologico, comprensivo del deposito nazionale, così come definita dal decreto legislativo n. 31 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni attribuisce alla stessa società il compito di proporre una Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee. Tale Carta dovrà essere redatta sulla base di criteri tecnico-ambientali formulati da organismi tecnici nazionali e sovranazionali, e successivamente aggiornata sulla base delle risultanze di una consultazione pubblica (sede di osservazioni e proposte da parte di regioni, enti locali e di soggetti portatori di interessi qualificati) e di una valutazione di impatto ambientale.
  La localizzazione del Parco tecnologico sarà, quindi, il risultato di una procedura ampiamente partecipativa e includente la valutazione concertata di ogni elemento radiologico, territoriale ed ambientale utile a selezionare il sito in modo ottimale.
  Quanto al riferimento al disposto di cui al comma 4 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 1 del 2012 ed alla deroga – menzionata dall'interrogante – alle procedure ordinarie per l'autorizzazione alla costruzione di nuovi depositi nucleari, per cui «le scorie nucleari» potrebbero «essere stoccate ovunque nel territorio italiano senza il parere preliminare delle amministrazioni locali», si osserva preliminarmente che una attenta lettura del disposto di legge in questione individua l'oggetto delle autorizzazioni in parola in quei progetti globali di disattivazione (di cui all'articolo 55 del decreto legislativo n. 230 del 1995) ed in quelle specifiche attività propedeutiche alla disattivazione stessa (di cui all'articolo 6 della legge n. 1860 del 1962 e all'articolo 148, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 230 del 1995) riguardano il decommissioning delle installazioni (centrali e impianti) insistenti sui siti nucleari del Paese. Per quanto esposto, oggetto di possibili autorizzazioni alla costruzione, secondo la procedura in parola sono, non già depositi definitivi da localizzare ovunque nel territorio nazionale, bensì depositi provvisori insistenti all'interno di siti già adibiti ad area industriale nucleare, da costruire – ove ve ne fosse la necessità – per stoccare in via temporanea e in condizioni di maggior sicurezza rispetto allo status quo i rifiuti radioattivi, già presenti sui siti stessi, oggetto di successivo trasferimento al deposito nazionale al momento in cui questo risulterà disponibile.
  Lo stesso comma 4 prevede, inoltre, che «per il rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione o allo smantellamento di opere che comportano modifiche sulle strutture impiantistiche (quali, ad esempio, i depositi provvisori, ndr) è fatto obbligo di richiedere il parere motivato del comune e della regione nel cui territorio ricadono le opere di cui al presente comma». Pertanto, la nuova disciplina esclude affatto il parere delle amministrazioni locali, come lamentato dall'interrogante ma, viceversa, lo introduce proprio laddove precedentemente venivano esclusi i pareri del comune e regione (articolo 6 della legge 1860 del 1962 e articolo 148, comma 1-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995) o del solo comune (articolo 55 del decreto legislativo n. 230 del 1995).
  Si evidenzia che tra i pareri richiesti per l'esecuzione delle opere in questione figura quello dell'Autorità di controllo, che non viene citata nell'interrogazione attribuendo al solo Ministero dello sviluppo economico la competenza in materia di autorizzazione alla costruzione di depositi di rifiuti radioattivi. Pertanto, l'affermazione dell'interrogante, secondo la quale Sogin ha «astrattamente il potere di stoccare ovunque le scorie radioattive con il solo parere del Ministero» non trova alcun riscontro nella normativa vigente.
  In definitiva, il territorio della regione Sardegna non può essere interessato dalle procedure di cui al comma 4 sopra citato per la costruzione di depositi provvisori, in quanto le stesse procedure afferiscono ad interventi sui preesistenti siti nucleari, preliminari od attinenti alla disattivazione delle installazioni ivi insistenti, prima del rilascio dei siti stessi senza vincoli di natura radiologica. Viceversa, le procedure per la localizzazione del parco tecnologico non escludono a priori alcuna porzione del territorio italiano, ma tuttavia conducono ad una valutazione finale che, partendo da oggettivi dati tecnico-ambientali formulati dall'autorità di sicurezza nucleare e includendo passaggi ampiamente partecipativi, garantiscono l'effettiva idoneità del sito prescelto alla localizzazione del parco tecnologico.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   PORCU. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Sardegna, negli ultimi anni, il servizio assicurato da Poste italiane, è diventato assai lacunoso, specie a seguito delle drastiche riduzione operate in ogni settore dagli uffici, al personale ai mezzi, eccetera;
   da tempo si verificano ritardi nella consegna della corrispondenza — persino delle bollette di luce e gas le quali ovviamente producono oggettivi disagi a larghe fasce dell'utenza (problemi molto probabilmente legati alla lavorazione effettuata fuori regione tra Roma Fiumicino e Bologna);
   la riorganizzazione del recapito in regione Sardegna, a fronte dell'impegno aziendale di equilibrare il settore, ha subito invece una battuta di arresto. Anzi, l'azienda Poste italiane, avrebbe programmato la soppressione dei centri secondari di distribuzione Ales, Bono, Bosa Seui, Giba, Villaputzu. Nel contempo e stata comunicata la volontà di accorpare i punti di distribuzione PDD (portalettere) nord dell'Isola, da Pattada a Buddusò, da Villanova Monteleone ad Alghero, con un aumento dei costi e un notevole disagio per i lavoratori che dovranno persino raggiungere a proprie spese le nuove sedi di lavoro –:
   cosa il Ministro intenda fare per garantire alla regione Sardegna un più adeguato livello del servizio postale;
   quali iniziative intenda adottare per la verifica dell'attuazione del piano di organizzazione del recapito nella regione Sardegna. (4-14713)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante i disservizi postali nella regione Sardegna, sulla base degli elementi forniti dalla direzione generale competente e dalla società concessionaria del servizio postale universale, si rappresenta quanto segue.
  Al riguardo la società Poste italiane ha segnalato che le disfunzioni registrate nello svolgimento del servizio di recapito della corrispondenza contenente fatture e bollette prossime alla scadenza nel territorio in questione non sono imputabili all'azienda, in quanto riconducibili prevalentemente alle difficoltà incontrate dagli enti gestori dei servizi essenziali nella fase di produzione di alcuni lotti di fatture impostate presso il Centro di meccanizzazione postale di Milano Borromeo.
  Il disguido, infatti, ha comportato inevitabili conseguenze negative sui tempi di recapito della suddetta corrispondenza nel territorio in esame, determinando, altresì, notevoli danni all'immagine di Poste italiane dal momento che il suddetto disservizio è stato comunemente associato dalla clientela a carenze nello svolgimento del servizio postale.
  A tal proposito la società ha provveduto a interpellare gli enti gestori delle utenze interessate dai ritardi, uno dei quali, nel confermare l'esistenza delle riferite criticità, risalenti soprattutto all'ultima decade del mese di dicembre 2011, ha reso noto di aver provveduto, al fine di evitare agli utenti il pagamento degli interessi di mora, alla proroga delle date di scadenza delle fatture consegnate in ritardo.
  In altri casi, invece, i ritardi nella consegna postale delle bollette relative ad un altro ente gestore dei servizi essenziali sono da ricondursi alle conseguenze dello sciopero attuato dagli autotrasportatori nello stesso periodo.
  Poste italiane, nel rendere noto che attualmente nel territorio di interesse non emergono particolari problemi, ha comunicato di aver adottato tutte le misure necessarie al fine di accelerare lo svolgimento delle relative consegne, nonostante l'assenza di alcuna responsabilità.
  Per quanto concerne, inoltre, la riorganizzazione dei centri di distribuzione di Ales, Bono, Bosa Seui, Giba, Villaputzu, la società concessionaria del servizio universale ha precisato che, per ottimizzare la struttura di recapito ed il riequilibrio dei presidi sul territorio in esame, nel rispetto della rete logistica esistente e degli standard di recapito richiesti, alcuni centri secondari di distribuzione sono stati trasformati in presidi decentrati di distribuzione.
  In merito, infine, ai timori che emergono dall'atto in esame circa eventuali disagi per i lavoratori conseguenti all'accorpamento dei punti distribuzione del nord dell'isola, da Pattada a Buddusò, da Villanova Monteleone ad Alghero, si evidenzia che tale operazione non comporta variazioni di rilievo nello svolgimento delle prestazioni da parte degli operatori, la cui attività rientra pienamente nelle previsioni dell'accordo di riorganizzazione dei servizi postali sottoscritto con le organizzazioni sindacali il 27 luglio 2010.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoMassimo Vari.


   PUGLIESE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni mesi i lavoratori della Irisbus Spa (Gruppo FIAT Industrial) stanno conducendo una battaglia dignitosa contro la dismissione della produzione di autobus nel complesso industriale sito in Valle Ufita (Avellino) ed in difesa del posto di lavoro;
   in questi ultimi giorni l'ipotesi di chiusura è divenuta sempre più concreta, tant’è che si sono avviate, da parte della Fiat, le procedure di mobilità per i lavoratori Irisbus;
   l'azienda oggetto dell'interrogazione conta 690 dipendenti, con un indotto che supera i 1.500 addetti e rappresenta il fulcro dell'intero tessuto socio-economico della provincia di Avellino –:
   quale sia il reale stato dei fatti che riguardano la vertenza dell'Irisbus Spa e se ci siano trattative in essere che possano garantire la continuità della produzione e la tutela del lavoro;
   se non si ravvisi la necessità di assumere ogni iniziativa, anche normativa, di competenza, al fine di trovare la migliore soluzione possibile a salvaguardia dell'occupazione. (4-13494)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  La vertenza Irisbus ha coinvolto uno stabilimento storico del Mezzogiorno, la cui chiusura può comportare pesanti riflessi occupazionali e sociali.
  Il Ministero dello sviluppo economico pertanto, ha seguito, fin da luglio scorso, la difficile situazione che si è creata sul territorio in seguito alla decisione del gruppo Fiat industrial di cedere il ramo di azienda Irisbus di Flumeri. L'Azienda, come noto, è attiva nella produzione di autobus-granturismo e per trasporto urbano.
  Le ragioni dell'annunciata chiusura sono state attribuite agli effetti della grave crisi che ha colpito il mercato degli autobus urbani in Italia, le cui immatricolazioni hanno registrato un forte calo.
  Lo stesso Ministero si è impegnato convocando degli incontri con le parti interessate, azienda ed organizzazioni sindacali, offrendo il proprio contributo di mediazione.
  Nel dicembre 2011 rappresentanti del Ministero hanno partecipato alle riunioni tenutesi presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che si sono concluse con un accordo per il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria, per cessazione di attività.
  Il suddetto accordo, firmato il 14 dicembre 201, prevedeva tra l'altro la convocazione di un tavolo di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico, al fine di avviare la discussione sulla reindustrializzazione del sito.
  Tale tavolo si è di conseguenza tenuto in data 16 gennaio 2012 e si è concluso con la stesura di un verbale di riunione, sottoscritto dai rappresentanti del Ministero, da Confindustria, da Fiat industrial e dalle organizzazioni sindacali. L'intesa ha previsto l'impegno di FIAT industrial a favorire la continuità produttiva nel sito, anche in caso di manifestazione di interesse da parte di aziende del settore dell’automotive. A tal proposito l'Azienda ha istituito una specifica task force per la valutazione delle offerte eventualmente pervenute.
  Il Ministero dello sviluppo economico, da parte sua, si è attivato per far conoscere le opportunità di investimento ad eventuali nuovi imprenditori.
  La FIAT, a seguito degli impegni presi, ha avviato il piano di ricollocazione dei dipendenti in altri siti del gruppo e nel frattempo l'Irisbus sta mantenendo i contatti con possibili imprenditori interessati. Tale attività è stata rallentata tuttavia dal provvedimento di sequestro giudiziario del sito, come peraltro noto all'interrogante, di cui allo stato non è possibile conoscerne gli esiti.
  Il Ministero dello sviluppo economico continuerà a seguire la vicenda e riconvocherà il tavolo di confronto nelle prossime settimane.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   ROSATO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Alcatel Lucent ha in Italia diversi centri di ricerca, produzione ed amministrazione e segnatamente a Vimercate (Milano), Rieti, Battipaglia (Salerno), Trieste, Genova, Bari, Napoli, Roma e Sesto Fiorentino (Firenze) per un totale di 3.000 lavoratori;
   il 18 gennaio 2012 l'azienda nella riunione del comitato aziendale europeo ha fornito un quadro negativo e annunciato, contestualmente, un significativo piano di riorganizzazione della multinazionale che prevede una riduzione dei costi ammontante a 500 milioni di euro;
   l'Italia risulta essere, insieme al Belgio, la nazione più colpita dai tagli del personale con un esubero di 500 dipendenti di cui 360 nel settore dell'attività di ricerca & sviluppo 65 nelle aree pre-sales, sales, funzioni centrali della region, 25 nella global custom delivery, 25 in supply chain, delivery operations e ingegneria industriale, 15 nelle altre funzioni centrali (HR, finance, marketing e comunicazione);
   ai tagli del personale dipendente si devono aggiungere il taglio di 200 contratti di lavoro somministrato per quanto riguarda il solo stabilimento di Trieste nel corso del 2012, personale che ha acquisito negli anni una grande professionalità e per il quale erano attese procedure di graduale stabilizzazione e non la rescissione del contratto;
   lo stabilimento di Trieste è impegnato in produzioni manifatturiere di alta qualità e rappresenta uno dei presidi tecnologicamente più avanzati ancora presenti nel nostro Paese;
   lo stabilimento di Vimercate (Milano), che da solo impegna 1.240 lavoratori, sarà interessato da quasi 400 dei 500 esuberi rappresentando il caso più grave, e paga anche il mancato collegamento della zona con Milano attraverso adeguate infrastrutture;
   il 24 gennaio 2012 l'azienda ha confermato la volontà di procedere con tale piano di ridimensionamento e con i licenziamenti al Ministero dello sviluppo economico;
   il rischio maggiore è che questo primo passo intrapreso dalla multinazionale rappresenti un vero e proprio disimpegno dal nostro Paese che, se attuato, avrebbe gravissime ricadute occupazionali –:
   se al Ministro consti, anche a seguito dell'incontro con i vertici aziendali del 24 gennaio 2012, quanto presentato in premessa;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda mettere in campo a fronte di questo piano di riorganizzazione di Alcatel Lucent che prevede l'esubero di 500 dipendenti e il taglio di 200 contratti di lavoro somministrato. (4-14920)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dello sviluppo economico sta seguendo con grande attenzione le vicende relative al polo Ict di Vimercate.
  Più in particolare per quel che riguarda l'Alcatel è stato attivato, a seguito di un confronto diretto avvenuto tra il Ministro dello sviluppo economico e il Ceo dell'azienda, un tavolo tecnico al fine di verificare le possibili misure che consentano il mantenimento in Italia di un importante centro di ricerca nel settore delle Tlc. Il tavolo di confronto con i sindacati si è già riunito la scorsa settimana e sarà riconvocato per illustrare anche alle parti sindacali, gli esiti del confronto tra Ministero e azienda.
  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali comunica ai riguardo che in data 15 aprile 2011, presso l'Assolombarda è stato sottoscritto un accordo tra Alcatel Lucent Italia spa e le organizzazioni sindacali componenti, a conclusione di una procedura di mobilità attivata dall'azienda il giorno 8 aprile 2011.
  L'accordo ha previsto la possibilità per la citata società di licenziare 47 lavoratori, entro il 31 dicembre 2011, dando priorità a coloro che abbiano maturato il possesso dei requisiti per la percezione di un tratta- mento di quiescenza (pensione di anzianità e/o vecchiaia) entro il periodo di percezione del trattamento individuale di mobilità o al termine del medesimo.
  È, altresì, evidente che il tavolo di crisi è anche affrontato nell'ottica di una più ampia politica di rilancio del settore Ict definita dal Governo nell'ambito dell'agenda digitale italiana.
  L'impegno del Governo è, quindi, di puntare su tali investimenti, al fine di realizzare infrastrutture materiali e immateriali, optando per un mercato più innovativo che promuova benessere sociale.
  Si evidenzia al riguardo che il Ministero dello sviluppo economico ha definito il «Progetto Strategico Agenda Digitale Italiana» che, sottoposto a consultazione pubblica, ha riscosso grande interesse da parte del mercato, delle associazioni di categoria, delle regioni e degli enti locali. Tale progetto, che s'inserisce nell'ambito della più ampia strategia EU2020, è attualmente all'attenzione della Commissione europea e definisce le misure per dotare l'Italia dell'infrastruttura necessaria a realizzare uno dei più importanti obiettivi dell'agenda digitale europea.
  Il progetto, infatti, mediante l'azione di una cabina di regia per l'agenda digitale nazionale, ha come obiettivo quello di garantire a tutta la cittadinanza l'accesso alla banda larga entro il 2013 e l'accesso a internet, con velocità superiore a 30 Mbps o più entro il 2020, assicurando che almeno il 50 per cento delle famiglie italiane si abboni a connessioni internet di oltre 100 Mbps.
  Il Progetto Strategico si sostanzia in due ambiti di intervento, il primo riguarda lo sviluppo della «banda ultralarga» e il secondo la realizzazione di «data center».
  Tali attività, si auspica, contribuiranno a rilanciare il settore delle telecomunicazioni, favorendo l'incremento della domanda di servizi digitali con dirette ricadute positive su tutto il comparto.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   ANTONINO RUSSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legge n. 4 del 4 febbraio 2010 è stata istituita l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata con sede principale a Reggio Calabria;
   l'individuazione della sede è stata la risposta del Governo nazionale alla recrudescenza dei fenomeni di criminalità organizzata che avevano visto in quel periodo un attacco, forse senza precedenti, alle istituzioni locali, che sono culminate a gennaio del 2010 nella collocazione di una bomba, per fortuna non esplosa, alla sede della procura generale di quella città;
   la norma istitutiva all'articolo 3, punto i., ha previsto la possibilità di aprire sedi secondarie;
   in tal senso, il consiglio direttivo dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, nella seduta di giovedì 25 novembre 2010, ha deliberato l'istituzione delle sedi secondarie dell'agenzia a Palermo, Napoli e Milano;
   il quadro generale dei beni confiscati al 1° novembre 2011, secondo i dati estrapolati dal data base dell'Agenzia del demanio, indica che sul totale beni confiscati (beni immobili e aziende) di n. 11.705 ben 5.125 (pari al 43,8 per cento del totale è collocato in Sicilia e di questi 5.125 n. 3.403 (29,1 per cento) del totale si trovano a Palermo;
   l'oggettività del dato statistico, la disponibilità di immobili definitivamente confiscati, anche di pregio, i maggiori collegamenti di cui è servita la città di Palermo, la maggiore disponibilità ed operatività della comunità scientifica (l'università di Palermo è leader negli studi e nei progetti per l'utilizzo dei beni confiscati) fanno assolutamente propendere per la modifica della sede principale dell'Agenzia nazionale;
   inoltre, la sede di Reggio Calabria è ubicata in una zona periferica a nord della città, in un immobile non idoneo, per dimensioni e prestigio, messo a disposizione, nell'immediatezza dell'apertura, in comodato d'uso gratuito, dal comune di Reggio Calabria e risulta difficile individuare ulteriori immobili maggiormente confacenti all'uso;
   in Sicilia – inoltre – hanno avuto vita, si sono sviluppate e sono state sperimentate le forme e le esperienze più avanzate di gestione dei patrimoni confiscati, anche grazie all'impegno dell'associazionismo antimafia ed alla costituzione di consorzi di comuni che hanno visto il coinvolgimento di più istituzioni. Tali esperienze, oltre ad avere un grande significato, devono rappresentare un punto di riferimento nelle politiche contro le mafie e per il riutilizzo e la gestione dei beni confiscati –:
   se non ritenga opportuno, alla luce dei dati sopraindicati concernenti l'ammontare dei beni definitivamente confiscati e la loro collocazione territoriale riconsiderare l'ubicazione della sede principale spostandola dal comune di Reggio Calabria a quello di Palermo. (4-14164)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in esame, l'interrogante chiede di conoscere l'orientamento del Governo in relazione alla proposta di spostare da Reggio Calabria a Palermo la sede principale dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
  Al riguardo si osserva innanzitutto che con la recente entrata in vigore (il 16 marzo 2012) dei tre regolamenti che, ai sensi dell'articolo 113 del codice antimafia, dettano la disciplina dell'attività dell'agenzia, il Governo ha inteso porre fine ad una fase transitoria, conferendo all'istituzione un assetto definitivo in grado di consentire il pieno esercizio di tutte le sue funzioni.
  Senza dubbio, nella fase di start up potrà rivelarsi utile l'apporto fornito dagli appositi nuclei di supporto istituiti presso le singole prefetture, soprattutto nel velocizzare l'attività istruttoria volta a liberare i beni confiscati dai gravami ipotecari. Si dovrà tuttavia attendere una fase più avanzata per poter comprendere a fondo l'incidenza e l'efficacia delle nuove disposizioni di legge.
  Per quanto riguarda la sede principale dell'agenzia nazionale, ricordo che la sua collocazione nel territorio del comune di Reggio Calabria è stata prevista dal decreto legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito dalla legge 31 marzo 2010, n. 50 – successivamente trasfuso nell'articolo 110 del «codice antimafia» – in seguito ai gravi episodi intimidatori che avevano interessato gli uffici giudiziari di quella città.
  Ogni eventuale nuova collocazione della sede principale dell'Agenzia non potrebbe che discendere da un intervento correttivo dello stesso codice.
  Come ha dichiarato il Ministro dell'interno nel rispondere in Aula alla Camera ad un recente atto di sindacato ispettivo, «al momento una scelta in tal senso non è all'attenzione del Governo, anche perché il quadro esigenziale dell'Agenzia pone in evidenza, com’è noto, altre necessità che richiedono un prioritario impegno».
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   SANTORI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il problema dell'attribuzione all'Associazione italiana allevatori con la legge n. 30 del 1991, concernente la disciplina della riproduzione animale, delle attività di tenuta dei libri genealogici e di realizzazione dei controlli funzionali del bestiame iscritto a tali registri, è stato, nel marzo 2010, oggetto di un apposita segnalazione indirizzata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   con tale segnalazione il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, auspicava una revisione della vigente normativa al fine di garantire condizioni di accesso a tali attività non discriminatorie e concorrenziali;
   il sistema allevatori composto da 29 Associazioni nazionali di razza o specie (ANA); da oltre 90 Associazioni provinciali o regionali allevatori (APA/ARA); dall'Associazione italiana allevatori (AIA) ha fino ad oggi usufruito, per lo svolgimento delle attività attribuitele dalla legge n. 30 del 1991, di appositi e finalizzati finanziamenti pubblici;
   la vigente normativa europea prevede che, all'interno di un definito e controllato quadro operativo, si debbano realizzare diffuse situazioni di concorrenza operativa;
   il finanziamento delle attività attribuite al sistema allevatori continua a gravare complessivamente sulla finanza pubblica per oltre 50 milioni di euro all'anno;
   tale sostegno è esclusivamente finalizzato a contribuire alla tenuta dei libri genealogici ed alla copertura dei costi per lo svolgimento dei controlli funzionali;
   permanendo l'attuale situazione normativa, l'operatività del sistema dell'Associazione italiana allevatori può essere assicurata solo con ingenti finanziamenti pubblici;
   le azioni ed iniziative di ristrutturazione operativa sollecitate dal Ministro per le politiche agricole, alimentari e forestali e portate avanti dal sistema dell'Associazione italiana allevatori appaiono finalizzate più a salvaguardare l'attuale struttura operativa che a realizzare auspicate innovazioni gestionali ed a rispondere a innovativi criteri di economicità funzionale, malgrado sia noto che, a far data dal 2013, la normativa europea in materia di aiuti di stato non autorizzerà più tali sovvenzioni;
   pur manifestando apprensione per l'impossibilità di mantenere attivo e funzionale il sistema, l'Associazione italiana allevatori sembrerebbe intenzionata a contribuire al ripianamento delle passività accumulate da strutture partecipate o detenute dal sistema ma aventi caratteristiche ed obbiettivi esclusivamente di carattere economico commerciale –:
   quali iniziative si intendano assumere per dar corso alle ricordate sollecitazioni formulate dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di liberalizzazione dei servizi;
   se si intenda liberalizzare, ferma restando la necessità di mantenere un controllo pubblico sull'unicità e la gestione dei libri genealogici e dei registri anagrafici del bestiame, tutte le attività di controllo funzionale sul bestiame iscritto a detti registri;
   se si intenda verificare l'utilizzo per le finalità previste delle disponibilità messe negli anni a disposizione del sistema allevatori. (4-14685)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, concernente la richiesta di liberalizzazione delle attività di controllo funzionale sul bestiame iscritto nei pertinenti registri anagrafici, al fine di garantirne l'accesso non discriminatorio anche alle aziende non socie del sistema associativo allevatoriale, premetto che i servizi in questione sono sempre stati garantiti a tutti gli allevatori, soci o meno delle associazioni provinciali allevatori.
  Infatti, sia in occasione della modifica del disciplinare dei controlli dell'attitudine produttiva per la produzione del latte (approvato dalla commissione tecnica centrale e formalizzato con decreto ministeriale n. 12148 del 28 maggio 2010), che nell'ambito del programma dei controlli funzionali (annualmente predisposto dallo stesso Ministero, d'intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni) reso operativo con decreto ministeriale n. 15822 del 14 luglio 2010, è stato esplicitato che i controlli dell'attitudine produttiva, nonché gli strumenti tecnici e informatici necessari sono assicurati, alle stesse condizioni, a tutti gli allevatori richiedenti (a prescindere dall'essere associati o meno all'organizzazione degli allevatori territorialmente competente) e che le associazioni di allevatori sono tenute a garantire a tutti gli allevatori richiedenti i medesimi servizi relativi al libro genealogico e ai controlli funzionali.
  Riguardo alla selezione animale, disciplinata dalla legge n. 30 del 1991 (modificata dalla legge n. 280 del 1999), mi preme sottolineare che le relative disposizioni sono conformi a tutte le direttive comunitarie vigenti che regolamentano la materia relativa agli animali riproduttori di razza pura delle diverse specie (nn. 2009/157/CE che ha abrogato n. 77/504/CEE, 90/427/CEE, 89/361/CEE 88/661/CEE relative, rispettivamente, a bovini e bufalini, equidi, ovini e caprini, suini) e alle relative decisioni applicative.
  Al riguardo, ricordo che la decisione n. 86/130/CEE (che fissa i metodi di controllo dell'attitudine e di valutazione del valore genetico degli animali riproduttori di razza pura della specie bovina) richiede, tra l'altro, che le registrazioni della produzione di latte utilizzate per la misurazione del valore genetico degli animali siano effettuate secondo un sistema di controllo ufficiale conforme ai criteri definiti dal Comitato internazionale per il controllo della produttività lattiera degli animali (Icar) e attribuisce agli Stati membri il riconoscimento degli organismi incaricati del controllo e dell'elaborazione e pubblicazione dei risultati.
  Pertanto, in linea con la predetta decisione, l'articolo 3, comma 2, della legge n. 30 del 1991 ha individuato tale organismo nell'AIA (che opera, fin dagli anni ’60, sulla base di un disciplinare approvato con decreto ministeriale 24 maggio 1967, modificato da ultimo con decreto ministeriale del 5 febbraio 2010). Il medesimo articolo 3, al comma 1, dispone inoltre che i libri genealogici siano tenuti da Associazioni nazionali allevatori dotate di personalità giuridica e gestiti sulla base di disciplinari approvati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
  Ai fini dell'attuazione del predetto articolo 3, il decreto ministeriale, 26 luglio 1994, in conformità alle pertinenti decisioni comunitarie, ha quindi individuato i criteri di approvazione o di riconoscimento delle associazioni di allevatori che tengono od istituiscono libri genealogici delle diverse specie.
  Per quanto concerne la richiesta di liberalizzare tutte le attività di controllo sul bestiame, faccio presente che, dal punto di vista tecnico, ossia con riferimento ai programmi e agli obiettivi di selezione, le attuali conoscenze scientifiche consentono un processo di selezione solo in presenza di un cospicuo numero di animali controllati, di cui il nostro Paese, come gli altri Paesi europei, non dispone. In ogni caso, un frazionamento dei programmi di selezione tra diverse organizzazioni impedirebbe il raggiungimento di risultati utili.
  Pertanto, l'esigenza imprescindibile di garantire l'unicità e l'uniformità dell'attività di selezione su tutto il territorio nazionale può essere assolta, come nell'intento della legge n. 30 del 1991, solo affidandone lo svolgimento ad un unico organismo che vi provveda mediante le proprie articolazioni territoriali.
  In tale ottica, del resto, anche le citate decisioni n. 84/247/CEE, n. 90/254/CEE, n. 92/353/CEE, n. 89/501/CEE consentono allo Stato membro, con l'avvio di un apposito procedimento, di non riconoscere una nuova organizzazione o associazione di allevatori, qualora ciò metta in pericolo la conservazione della razza o comprometta il programma zootecnico di un'organizzazione o associazione esistente.
  Peraltro, l'attuale struttura organizzativa (che gestisce una banca dati dei controlli funzionali, banche dati dei libri genealogici, 11 centri genetici, 1 laboratorio di genetica molecolare e, per il latte, 22 laboratori di analisi e 1 laboratorio standard di riferimento) appare difficilmente riproducibile presso altre organizzazioni, se non a costo di maggiori risorse economiche e organizzative, rispetto a quelle più contenuti e comunque facilmente sostenibili dal Sistema nel suo complesso (soprattutto nella prospettiva di riduzione dei finanziamenti pubblici).
  Infatti, fin dagli anni ’90, il rapporto costo/beneficio del contributo pubblico per l'attività di selezione animale è stato stimato, con riferimento ad esempio al bovino da latte, come rendimento reale del 2,5 per cento su base annua, e già allora costituiva uno dei rendimenti più alti tra quelli ottenuti dai trasferimenti di risorse pubbliche in tutti i settori.
  Gli elevati livelli di investimento pubblico annuo nell'attività (che ammontano complessivamente a 70-75 milioni di euro circa) hanno, comunque, già imposto una revisione del sistema.
  In particolare, dal punto di vista organizzativo, stiamo assistendo alla concentrazione, su base regionale, del sistema delle associazioni allevatori operanti sul territorio e alla concentrazione dei servizi delle associazioni nazionali allevatori, mentre, dal punto di vista tecnico, si stanno predisponendo aggiornamenti e adeguamenti tecnologici alle modalità di controllo funzionale.
  Per quanto concerne, infine, la verifica sulle risorse messe a disposizione del sistema, faccio presente che i programmi di attività presentati dalle associazioni allevatori, esaminati, approvati e finanziati dalle amministrazioni pubbliche competenti territorialmente (Ministero e regioni), sono oggetto di rendicontazione con appositi collaudi. Peraltro, presso ogni commissione tecnica centrale (relativa ai controlli funzionali, registri anagrafici o libri genealogici) un funzionario del Ministero svolge attività di vigilanza con carattere di continuità e che, a livello amministrativo, i collegi sindacali di ciascuna associazione sono partecipati da almeno un componente nominato dall'Amministrazione competente.
  In conclusione, considerato il livello raggiunto dal nostro Paese nel settore del miglioramento genetico (soprattutto nei comparti bovino da latte e suino) non ritengo utile né opportuno proporre, a livello nazionale o comunitario, alcun cambiamento sostanziale della normativa di riferimento.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   SBAI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'UCOII (Unione delle comunità islamiche italiane) non ha firmato la carta di intenti dell'Islam italiano, promossa dal Ministro Amato nel 2009, per la presenza all'interno della stessa della parola «uguaglianza» fra uomo e donna;
   il 6/7 e 8 gennaio 2012 a Bellaria (Rimini), si svolgerà il Convegno «Musulmani in Italia: “Essere per testimoniare”»;
   al detto convegno, come risulta dalla relativa locandina, parteciperà Sawfat Hijazi, telepredicatore egiziano;
   l'articolo di Andrea Morigi su Libero-News del 2 gennaio 2012, documenta analiticamente come Sawfat Hijazi sia stato inserito nel 2009 dal Ministero dell'interno britannico «nella lista nera, fra le 22 personalità indesiderate sul territorio del Regno Unito» per il suo odio verso Israele;
   sarà presente anche Rachid Ghannouchi, leader del partito An Nahda, costola tunisina dei Fratelli musulmani;
   stando alla locandina del convegno, sarà presente anche Tariq Ramadan, intellettuale di punta dei Fratelli musulmani;
   per partecipare al convegno, i partecipanti sono soggetti al pagamento di una quota di iscrizione di 110 euro a persona;
   nell'articolo di Morigi si evidenziano con chiarezza documentata i riferimenti al pensiero estremista dei relatori del suddetto convegno –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in relazione a quanto esposto in premessa;
   se il Governo intenda, per quanto di competenza, valutare la possibilità di verificare le modalità di ingresso in Italia di Sawfat Hijazi, personaggio bandito da altri Paesi per estremismo islamico;
   se il Governo intenda far sì che venga eseguita, per quanto di competenza, un'azione di controllo sulla destinazione dei fondi dal detto convegno ricavati;
   se il Governo intenda far sì che venga eseguita un'azione di controllo sull'attività proselitistica jihadista e qaedista messa in atto dai detti personaggi nel nostro Paese. (4-14391)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante pone alcune questioni connesse con l'organizzazione del convegno curato dall'U.c.o.i.i. (Unione delle comunità islamiche italiane) sul tema «Musulmani in Italia-Essere per testimoniare», che si è tenuto nel gennaio 2012 a Bellaria Igea Marina (Rimini).
  Al riguardo si informa che al convegno hanno partecipato alcune centinaia di persone provenienti da diverse regioni italiane, alloggiate in quattro strutture alberghiere.
  La prefettura di Rimini ha riferito che i fondi ricavati sono stati presumibilmente impiegati per coprire i costi dell'organizzazione dell'evento.
  I lavori hanno visto la partecipazione di vari relatori, tra i quali il cittadino egiziano Safwat Hijazi, imam presso una moschea del Cairo, nonché leader del movimento islamista «Rabetat Ahl Al-Sunna».
  Al convegno romagnolo, diversamente da quanto preannunciato, non ha preso parte Rachid Ghannouchi, leader del movimento islamista tunisino «Ennahda» (che, peraltro, ha recentemente riassunto la denominazione originaria di «Movimento della Tendenza Islamica»).
  Tariq Ramadan, docente, scrittore e giornalista svizzero – nipote di Hasan Al-Banna, fondatore dei «Fratelli Musulmani» e figlio di Said Ramadan, fondatore della «Lega Islamica Mondiale» – ha effettuato un intervento in videoconferenza da Londra.
  Tra i tenni affrontati nel convegno vi è stato quello avente ad oggetto «Rivolte arabe e politica europea», cui hanno fornito contributi, tra gli altri, anche parlamentari italiani.
  L'evento, seguito attentamente dalle autorità di pubblica sicurezza, si è concluso nel pomeriggio dell'8 gennaio 2012 senza che siano state registrate turbative dell'ordine pubblico o momenti di tensione.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   SBAI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'UCOII è un'associazione non rappresentativa di tutto l'Islam italiano;
   Mohamed Nour Dachan è stato presidente dell'UCOII (Unione delle comunità islamiche in Italia), che non ha firmato la Carta d'intenti dell'Islam italiano nel 2009;
   la mancata firma veniva dalla motivazione che nella Carta si faceva riferimento «all'uguaglianza fra uomo e donna»;
   l'esclusione avveniva per volontà del Ministro dell'interno pro tempore Amato a seguito di detta controversia di natura etica e giuridica;
   Mohamed Nour Dachan è stato protagonista di parecchie cause intentate contro giornalisti italiani e stranieri che lo hanno additato di appartenenza ai Fratelli musulmani;
   il detto Nour Dachan si sarebbe autoproclamato «delegato per l'Italia della Coalizione Nazionale di Sostegno alla Rivolta Siriana», e comunque fonti di stampa così lo qualificano;
   la rivolta Siriana a Damasco, parrebbe, anche da fonti di stampa, guidata dall'organizzazione dei Fratelli musulmani, come testimoniato nell'articolo http://www.liberoquotidiano.it/blog/1896/Attenti ai-compagni-di-strada-sulla-via-di-Damasco-.html;
   Mohamed Nour Dachan sembra così fornire conferma della sua appartenenza ai Fratelli Musulmani;
   su questa affermazione sono stati querelati e condannati giornalisti e testate che avevano fatto riferimento all'appartenenza di Nour Dachan ai Fratelli musulmani;
   testate come l'Opinione e giornalisti come Andrea Morigi di Libero, hanno subito querele e processi molteplici intentati dal detto Nour Dachan, alcuni peraltro da lui vinti;
   risulta l'apertura di una web radio a cura dei Giovani Musulmani d'Italia, legati a Nour Dachan e all'UCOII, che, a giudizio dell'interrogante, praticano proselitismo in rete (web radio);
   con il partito radicalista tunisino An Nahada è stato eletto in Tunisia anche l'ex presidente dei Giovani musulmani in Italia, Osama al-Saghir, che tentò di presentarsi anche alle elezioni in Italia;
   Khalid Chaouki è ex presidente dei Giovani musulmani italiani (sezione giovanile UCOII), è ad oggi responsabile della segreteria della Federazione Islamica Lombarda (organizzazione sui cui, a giudizio dell'interrogante, sarebbe opportuno indagare), nata per creare una eventuale intesa con lo Stato, pur essendo non rappresentativa;
   peraltro, l'Islam non prevede una gerarchia e non è pensabile stipulare un'intesa solo con l'Islam marocchino, che non tenga conto di tutte le centinaia di Paesi e di varianti rappresentate dalla religione islamica in Italia;
   solo la Consulta potrebbe pensare ad un accordo a livello complessivo con tutte le associazioni componenti l'Islam italiano –:
   se intenda il Governo, per quanto di competenza, andare a fondo sulla vicenda di Mohamed Nour Dachan e sulla sua appartenenza all'organizzazione dei Fratelli Musulmani, bandito da tutti i Paesi arabi prima delle rivoluzioni per estremismo islamico;
   se il Governo intenda effettuare attività di controllo e prevenzione del fenomeno estremistico, anche non permettendo a taluni personaggi di esercitare, in virtù della loro appartenenza a organizzazioni come la Fratellanza e UCOII, attività di proselitismo in Italia tramite anche attività politica ed elettorale in organi decisionali o anche meramente rappresentativi;
   se il Governo intenda predisporre iniziative di competenza affinché la comunità musulmana in Italia viva e professi serenamente in pace e senza estremisti e organizzazioni esterne che ne controllino la vita quotidiana in tutti i suoi aspetti, come scuole, ospedali e carceri. (4-14695)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede che venga intensificata l'attività di controllo e di prevenzione dell'estremismo islamico, nonché di conoscere le iniziative intraprese a tutela della comunità musulmana in Italia.
  L'interrogazione fa anche riferimento al caso del cittadino italiano Mohamed Nour Dachan, medico chirurgo, presidente onorario dell’«Unione delle Comunità islamiche in Italia-U.Co.I.I.» e attuale presidente della «Comunità islamica delle Marche». Lo stesso è anche il delegato della sezione italiana della «Coalizione nazionale per il sostegno alla rivolta siriana», costituita nel 2011 in tutta Europa per sostenere le rivendicazioni del popolo siriano.
  La predetta Coalizione ha promosso e organizzato il 19 febbraio 2012, a Roma, la manifestazione nazionale contro il governo del presidente Assad.
  L’«U.Co.I.I.» è stata tra le prime associazioni islamiche costituitesi in Italia a opera di alcuni cittadini siriani residenti nel nostro Paese; il sodalizio, durante la presidenza di Dachan, ha ricevuto spesso critiche da vari organi di stampa per la contiguità ideologica con l'organizzazione egiziana dei «Fratelli Musulmani».
  All’«Unione» risultano direttamente collegati l’«Associazione donne musulmane in Italia-A.D.M.I.», l’«Alleanza islamica d'Italia» e i «Giovani musulmani d'Italia-G.M.I.», sodalizi aventi tutti sede a Milano.
  Per quanto concerne l'apertura di una web-radio da parte del sodalizio «giovani musulmani d'Italia», risulta che, effettivamente, dal mese di gennaio 2012 sul sito internet www.giovanimusulmani.it è presente un settore radiofonico gestito da tre attivisti dell'associazione. Secondo quanto comunicato dal portavoce dei «G.M.I.» la web-radio è rivolta ai giovani di ogni confessione religiosa e parla alle generazioni giovanili con un linguaggio diretto e familiare che alterna momenti in cui i musulmani si raccontano a quelli in cui ascoltano.
  In merito ai menzionati Osama Al Saghir e Khalid Chaouki si rappresenta che il primo, già segretario e presidente dei «G.M.I.», è componente della «Consulta giovanile per il pluralismo religioso e culturale» (organismo costituito presso il Ministero dell'interno nel 2006), mentre il secondo, anch'egli già presidente del citato sodalizio, è stato componente, nel 2005, della «Consulta per l'islam italiano» (parimenti istituita presso il Ministero dell'interno), nonché tra i promotori del «Manifesto contro il terrorismo e per la vita» pubblicato il 2 settembre 2004 sul «Corriere della Sera».
  Si assicura, infine, che i competenti uffici del Ministero dell'interno seguono con particolare attenzione, anche attraverso le articolazioni periferiche, le diverse realtà associative islamiche presenti sul territorio nazionale, al fine di prevenire la radicalizzazione e l'estremismo violento.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferito dal quotidiano ambientalista Terra la guerra in Libia ha consentito a pescherecci di varie nazionalità, soprattutto europee, di pescare illegalmente nelle acque libiche. La preda più pregiata di queste battute di pesca all'ombra della Nato è stata il tonno pinne blu, una delle specie più ambite sul mercato internazionale del pesce, nonché una di quelle più colpite dall'eccesso di catture;
   i dati sulla presenza di pescherecci nelle acque libiche sono stati ricavati dall'analisi delle tracce delle scatole nere dei vascelli e dai rilevamenti satellitari e sono contenuti in un rapporto presentato a Istanbul in apertura della conferenza annuale dell'Iccat, la Commissione internazionale per la conservazione del tonno atlantico;
   stando alle indiscrezioni filtrate sui media internazionali, nell'assalto ai banchi di tonni nelle acque libiche potrebbero essere implicati anche pescherecci italiani, colpiti dal 2010 dal divieto di pescare il tonno pinna blu nelle acque territoriali italiane –:
   di quali informazioni disponga il Governo in merito ai fatti riferiti in premessa;
   quali azioni si intendano promuovere per contrastare il fenomeno e quale posizione abbia tenuto anche sulla base degli atti depositati il Governo italiano alla conferenza annuale dell'Iccat. (4-13963)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, concernente la pesca illegale di tonno rosso nelle acque territoriali libiche da parte di pescherecci italiani durante la campagna di pesca 2011, informo che i dati tracciati del sistema di controllo satellitare dei pescherecci – VMS Vessel monitoring system (forniti dal centro di controllo nazionale pesca, istituito presso il comando generale del corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera) hanno evidenziato come la quasi totalità delle nostre imbarcazioni, autorizzate allo svolgimento di attività di supporto (e, quindi, non di cattura diretta) alla pesca del tonno rosso, abbia solo temporaneamente rasentato le acque ricadenti nell'ambito delle cosiddetta zona di pesca esclusiva (ZPE) libica (il cui riconoscimento, giova ricordare, non risulta ufficialmente cristallizzato in alcuna norma di diritto internazionale).
  In particolare, una sola delle suddette imbarcazioni, per motivi di forza maggiore connesse al persistere di avverse condizioni meteo marine, ha effettivamente oltrepassato i limiti delle acque territoriali libiche.
  In ogni caso, nessuna fattispecie concreta riconducibile ad ipotesi di catture illecite tonno rosso e/o di altre irregolarità è emersa tanto dall'attività di osservazione condotta nel corso della stessa campagna di pesca, a livello nazionale ed internazionale (regional observer programme dell’International commission for the conservation of atlantic tunas), quanto dalle attività di vigilanza e controllo poste in essere non solo dalla Guardia costiera (in mare ed in porto), ma anche e, soprattutto, dalle unità navali della Marina militare italiana che, per motivi di «security» e «force protection» riconnessi al noto scenario bellico, hanno sempre avuto a disposizione i dati per il monitoraggio satellitare delle predette imbarcazioni.
  Evidenzio, infine, che le argomentazioni di cui sopra sono state ampiamente supportate e valorizzate dalla delegazione italiana che ha preso parte ai lavori della recente sessione ordinaria dell'Iccat tenutasi ad Istanbul.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestaliMario Catania.


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione 4-06580 si richiamava l'attenzione del Governo sullo stato della ricerca applicata alla fusione fredda;
   da allora, come segnala il sito http://www.pagina.to.it/index.php?method=section- &action=zoom&id=10444 sono avvenute alcune novità nell'ultimo scorcio del 2011 e nelle due settimane del 2012. In particolare l'ingegner Andrea Rossi e il fisico professor Sergio Focardi nel mese di ottobre hanno tenuto una pubblica dimostrazione di un dispositivo chiamato E-Cat basato sulla teoria della fusione fredda. Il sistema sarebbe in grado di erogare circa mezzo megawatt di potenza termica senza consumare che pochi grammi (1-2 g) di idrogeno e nichel che equivale alla potenza di un grosso motore diesel o della caldaia di un grosso condominio;
   inoltre l'ingegner Rossi ha dichiarato di essere pronto a vendere 1 milione di questi reattori ad uso riscaldamento domestico della potenza di 10 kilowatt a partire dall'autunno del 2012. Il sistema di controllo è fornito da National instruments (colosso americano della strumentazione scientifica), la distribuzione sarebbe affidata alla catena Home Depot (mancano conferme ufficiali), leader del bricolage americano, la produzione sarebbe verosimilmente localizzata in USA;
   alcuni membri della Royal Swedish Accademy of Sciences (l'istituzione più importante per la decisione dell'assegnazione del premio) erano presenti ai test di Rossi e hanno riportato commenti molto positivi;
   l'ingegner Rossi è stato ricevuto dal governatore del Massachussets Bruce Tarr e al MIT (la più prestigiosa università tecnologica del mondo) con l'idea di avviare in quello stato la produzione del suo E-Cat;
   anche il fisico italiano Francesco Celani è intervenuto sullo stato delle ricerche sulla fusione fredda alla conferenza dell'ISEO-WSEC (ONU) tenutasi il 10-12 gennaio a Ginevra, dove ha criticato la NASA per aver nascosto per oltre vent'anni i risultati ottenuti nel 1989;
   successivamente sul sito della NASA è comparso un video che conferma l'interesse dell'ente spaziale a questa tecnologia e prevede un applicazione a breve per il riscaldamento domestico con sistemi nichel idrogeno molto simili all’E-Cat di Rossi che peraltro non viene mai citato;
   per spiegare i fenomeni stanno emergendo due teorie: la teoria della coerenza che si basa sulle ricerche di Giuliano Preparata e che riconosce questi fenomeni come fusione fredda (si è svolto un congresso a dicembre sull'argomento) e la teoria degli americani Widom & Larsen abbastanza complicata, ma che esclude esplicitamente che si tratti di processi di fusione nucleare. La Widom & Larsen è preferita dalla NASA, poiché, a detta dei più maliziosi, costituirebbe un ottimo alibi per giustificare ex post l'ostracismo verso la fusione fredda condotto da tutta la comunità scientifica negli ultimi 20 anni –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto sopra esposto e quali iniziative intenda assumere in merito allo stato della ricerca sulla fusione fredda anche in vista della definizione di una strategia energetica nazionale. (4-14595)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente le novità relative al fenomeno fisico della «fusione fredda» e in particolare sul dispositivo denominato E-Cat., sulla base degli elementi forniti dalla direzione generale competente, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente occorre evidenziare che ad oltre vent'anni di distanza dall'esperimento di Fleishmann e Pons, la ricerca sulla cosiddetta «fusione fredda» oggi nota come studio di reazioni nucleari a bassa energia, ha compiuto consistenti passi in avanti, sia sul fronte sperimentale che teorico, costituendo un settore della fisica nucleare della materia condensata. Attualmente, tuttavia, non esiste ancora una teoria universalmente condivisa, idonea a spiegare il fenomeno delle reazioni nucleari a bassa energia rendendosi, pertanto, necessari ancora molti studi per chiarirne gli aspetti teorici e garantire livelli standard di riproducibilità degli esperimenti e poterne ricavare energia utilizzabile.
  Infatti, la fase di ingegnerizzazione del processo è alquanto lontana nel tempo, dal momento che manca una completa definizione del fenomeno fisico che costituisce la base del processo di cui la riproducibilità è un fattore essenziale. Allo stato attuale della ricerca sulle reazioni nucleari a bassa energia, la riproducibilità, pur se migliorata rispetto agli ultimi anni del secolo scorso, risulta ancora insoddisfacente. Inoltre, la ricerca sui fenomeni in questione è tuttora circoscritta a livello di laboratorio dal momento che gli esperimenti di maggior successo finora condotti hanno rilevato sviluppi di calore soltanto per potenze pari a poche frazioni di watt.
  Il lavoro di studio e di ricerca finora condotto in questo campo anche nel nostro Paese da posizioni di eccellenza, costituisce lo strumento che ha consentito di identificare le linee di attività in grado di produrre risultati consistenti e interessanti dal punto di vista scientifico. Infatti gli studi di settore, sia teorici che sperimentali, condotti nel campo della scienza dei materiali hanno consentito di accrescere il controllo sul fenomeno in parola creando le premesse per una sua completa comprensione.
  Tali risultati, unitamente all'indubbio interesse che la ricerca sulla fusione fredda assume rispetto a potenziali future applicazioni energetiche del fenomeno – seppure, presumibilmente, non su vasta scala – suggeriscono di cogliere ogni opportunità per garantire la continuità delle iniziative intraprese nel settore.
  Per quanto concerne il catalizzatore di energia denominato E-Cat, – invenzione dell'ingegnere italiano Andrea Rossi che potrebbe rivoluzionare l'intero sistema energetico globale dal momento che sarebbe in grado di produrre energia ad un livello economico e pulito rispetto ad altre fonti sul mercato – deve evidenziarsi che sul dispositivo emergono molteplici perplessità dovute alla circostanza che le modalità di funzionamento non sono state rese note dall'inventore. Infatti sia gli aspetti sostanziali della composizione del combustibile, che la struttura interna del catalizzatore sono tuttora coperti dal segreto industriale.
  Attualmente non si dispone di alcuna spiegazione, né tantomeno di esperimenti o articoli su riviste scientifiche internazionali idonei a dimostrare come sia stata ottenuta l'energia rilevata dai sistemi di misura, permettendo così a terzi di replicare i medesimi esperimenti. Inoltre, tranne il brevetto rilasciato per l'Italia, non tutti gli opportuni brevetti sono stati riconosciuti all'inventore, in particolare mancherebbe la concessione di quello a livello europeo. Tra l'altro, occorre evidenziare al riguardo, che poiché la descrizione dell'invenzione presentata dall'ingegner Rossi finalizzata ad ottenere i predetti brevetti non contiene il «catalizzatore segreto» che consentirebbe al dispositivo di produrre energia, il brevetto risulta intrinsecamente affetto da nullità.
  Tra l'altro, infatti, sebbene, come riferito dagli interroganti, il fisico Francesco Celani nel corso della conferenza dell'Iseo-Wsec (Onu), tenutasi a Ginevra nel periodo 10-12 gennaio 2012, abbia criticato la Nasa per aver nascosto per oltre vent'anni i risultati ottenuti dagli esperimenti sulla fusione fredda condotti già nell'anno 1989, tuttavia nella medesima occasione, ha precisato che le dichiarazioni dell'ingegner Rossi riferite all’E-cat dovrebbero essere valutate con estrema attenzione e cautela, in attesa di una verifica indipendente, da effettuare nei tempi più brevi possibile.
  Per quanto concerne, inoltre, commercializzazione dell’E-cat, occorre accertare se il dispositivo sia in grado o meno di produrre radioattività.
  Sull'argomento, infatti, sussistono diverse e contrastanti dichiarazioni da parte dell'inventore. In alcune occasioni l'ingegnere Rossi avrebbe affermato che all'interno del suo apparecchio «non si producono reazioni nucleari», escludendo implicitamente, che il dispositivo possa essere considerato un reattore nucleare.
  In altre, invece, l'ingegnere avrebbe affermato che l’E-cat produce soltanto dei deboli raggi gamma che possono essere facilmente schermati con uno strato di piombo.
  Ciò comunque non basterebbe a rendere il dispositivo un prodotto di facile commercializzazione. Occorre infatti considerare che sia la normativa internazionale che quella nazionale (decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230) stabiliscono regole molto rigide relative all'uso e la detenzione di apparecchi che generano radiazioni ad alta energia. Ne consegue che la procedura relativa all'ottenimento delle necessarie certificazioni ai fini della commercializzazione di un prodotto ad uso privato che dovrebbe emettere raggi gamma (sia pure schermati) si presenta complessa e duratura, e con esito incerto (presumibilmente negativo).
  Alla luce delle suesposte considerazioni, pertanto, si ritiene che soltanto nel momento in cui si potranno disporre di risultanze tecnico-scientifiche maggiormente affidabili, sarà possibile valutare le possibili concrete applicazioni del dispositivo in argomento ed in generale delle cosiddette «fusione fredda» su piccola scala.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   ZAZZERA e BARBATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta all'interrogante, l'abitazione a Calolziocorte (Lecco) dell'onorevole Michela Vittoria Brambilla ex Ministro del turismo sarebbe sottoposta alla vigilanza delle forze dell'ordine;
   davanti all'ingresso della villa dell'onorevole Brambilla, attualmente semplice deputato, continuerebbe ad esserci una pattuglia di carabinieri o della polizia, con almeno due agenti in servizio;
   nel novembre 2010 al Ministro Brambilla era stato recapitato un pacco contente una zampa di capra, atto qualificato intimidatorio dagli investigatori;
   l'onorevole Brambilla attualmente riveste la carica di deputato, non ricopre incarichi di Governo e, ad avviso dell'interrogante, il già carente personale delle forze dell'ordine potrebbe essere diversamente impegnato –:
   qualora tali fatti fossero confermati se e quali motivazioni il Ministro interrogato ritenga che sussistano in ordine al mantenimento del servizio di vigilanza permanente presso l'abitazione dell'onorevole Brambilla. (4-14419)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si assicura che nei confronti dell'onorevole Michela Brambilla, già Ministro del turismo, attualmente non risulta disposto alcun dispositivo di «vigilanza permanente» presso l'abitazione di Calolziocorte (LC).
  Dal giugno 2007 al giugno 2010 l'onorevole Brambilla è stata destinataria di un dispositivo di vigilanza generica radiocollegata presso la sua abitazione.
  Nel giugno 2010, a seguito di altre minacce ricevute, il dispositivo fu rafforzato.
  Nel luglio del 2010, in relazione al permanere della situazione di rischio, il prefetto, sentite le forze dell'ordine in sede di coordinamento interforze, dispose, presso l'abitazione dell'onorevole, un dispositivo di vigilanza fissa rimasto attivo fino al mese di ottobre 2011.
  In tale data, essendo emerso in sede di riunione di coordinamento interforze il sostanziale affievolimento della situazione di pericolo, il prefetto di Lecco dispose una rimodulazione del dispositivo adottato, avviandone il graduale e progressivo disimpegno.
  Infatti dal 18 marzo 2012, nell'ottica di un progressivo calo di tensione e in assenza di elementi nuovi circa l'esposizione a eventuali rischi dell'onorevole Brambilla, l'unico dispositivo adottato è quello della vigilanza generica radiocollegata.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoCarlo De Stefano.