XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 8 maggio 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il movimento meglio noto come rivoluzione arancione si è affermato in Ucraina all'indomani delle elezioni presidenziali del 21 novembre 2004, poi annullate dalla Corte suprema per brogli elettorali contestati da Juscenko nei confronti del rivale Janukovyc; le successive, nuove elezioni vennero fissate per il 26 dicembre 2004 e confermarono la vittoria di Juscenko e della cosiddetta rivoluzione arancione;
    Yulia Tymoshenko è stata una delle anime di questa rivoluzione e fu scelta come Primo ministro proprio dal Presidente Juscenko;
    la coalizione arancione al potere, però, ben presto entrò in crisi. L'8 settembre 2005 la stessa Tymoshenko fu costretta a dimettersi dalla sua carica per dissidi con altri membri dell'Esecutivo e con il Presidente stesso;
    a questo avvenimento seguirono due elezioni parlamentari, nel 2006 e nel 2007, caratterizzate da continue risse politiche e anche da una clamorosa coabitazione tra Juscenko e il rivale Janukovyc come Premier dal 10 agosto 2006 al 18 dicembre 2007. Le elezioni presidenziali del 17 gennaio 2010 hanno poi segnato la definitiva fine di questo periodo con la vittoria di Janukovyc che ha rappresentato una chiara virata di Kiev rispetto alla rotta intrapresa negli anni precedenti con la rivoluzione arancione, rinnegata in seguito dagli stessi ucraini. Il Paese, spaccato in due politicamente, si apprestava in tal modo rientrare nell'orbita russa dopo il fallito obiettivo strategico, tentato da Juscenko, di orientare il Paese verso le principali istituzioni euro-atlantiche;
    la Tymoshenko, essendo stata di nuovo Primo ministro negli anni dal 2007 al 2010, firmò nel 2009 un accordo con la Russia di Putin sul gas, decisione che, in seguito, le costerà una denuncia per abuso d'ufficio per il prezzo ritenuto troppo alto e per altri due capi d'accusa riguardanti la vendita delle quote di gas serra che l'Ucraina non usava e l'acquisto di alcune ambulanze;
    il processo nei suoi confronti si è aperto il 24 giugno 2011 e il 5 agosto 2011 l'ex Premier veniva incarcerata per oltraggio alla Corte per le affermazioni della stessa, la quale continuava a sostenere che si trattasse di un processo-farsa e che la Corte fosse alle dipendenze del presidente Viktor Yanukovich, suo avversario politico;
    l'11 ottobre 2011 viene diffusa la notizia della condanna a sette anni di carcere inflitta alla Tymoshenko, ampiamente ripresa dalla stampa europea; altri esponenti dell'ex Governo sono stati anch'essi incarcerati con motivazioni pretestuose; nei giorni scorsi la Tymoshenko ha cominciato uno sciopero della fame e ha denunciato le violenze fisiche nel corso del suo trasferimento dalla prigione all'ospedale (come dimostrano le foto fatte circolare in questi giorni);
    non è accettabile che, per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nella prospettiva di un'effettiva e convincente creazione di uno Stato di diritto, si possa derogare nel percorso di avvicinamento all'Europa comunitaria dell'Ucraina;
    lo stesso Consiglio d'Europa ha adottato il 26 gennaio 2012 una risoluzione, la n. 1862, nella quale si denunciano, tra le altre, le deficienze e le manchevolezze del sistema giudiziario, la mancanza d'indipendenza della magistratura e l'eccessivo ricorso alla custodia cautelare;
    la figlia dell'ex Premier ucraino, Eugenia, si è appellata nei giorni scorsi al Governo tedesco affinché questi si interessasse alla vicenda che coinvolge la madre e la reazione della Germania non si è fatta attendere: il Presidente tedesco Joachim Gauck ha annullato una visita in Ucraina per protestare contro la mancata autorizzazione all'ex Premier Yulia Tymoshenko a farsi curare in Germania; questa decisione, discussa con la Cancelliera Angela Merkel, come si apprende da agenzie stampa, «è legata alla profonda preoccupazione del Governo tedesco per la sorte dell'ex Premier ucraina», sofferente per problemi alla schiena; la stessa Cancelliera ha più volte ipotizzato, quando non minacciato, di non partecipare all'apertura dei prossimi Europei di calcio, previsti appunto in Polonia e in Ucraina;
    da un lancio di agenzia stampa si apprende che: «la leader dell'opposizione ucraina, Yulia Tymoshenko, sarebbe disposta a far curare l'ernia al disco di cui soffre da mesi anche in Russia, accettando l'invito del Premier russo, Vladimir Putin. Lo sostiene la figlia dell'eroina della rivoluzione arancione, Evgenia, parlando al telefono con l'Ansa»;
    il presidente della Commissione europea Barroso ha affermato che non si recherà in Ucraina per l'evento sportivo mentre i rappresentanti politici di altri principali Paesi europei si interrogano sull'opportunità di recarvisi;
    in linea con le decisioni che vanno maturando le autorità tedesche, anche a Vienna si sta valutando l'ipotesi di non inviare alcun rappresentante agli imminenti Europei di calcio,

impegna il Governo:

   ad attivarsi tempestivamente presso le autorità ucraine al fine di ottenere l'immediata scarcerazione non solo di Yulia Tymoshenko, ma anche degli altri esponenti politici incarcerati;
   ad attivarsi, di concerto con le istituzioni europee, affinché sul tema della democrazia e dei diritti umani si adottino nei confronti dell'Ucraina, verso la quale forti sono le critiche e le perplessità della comunità internazionale, criteri uniformi volti ad assicurare una concreta azione di deterrenza in favore del rispetto dei diritti umani fondamentali e a garantire la democrazia e lo Stato di diritto;
   a verificare che il processo di partenariato in corso tra l'Unione europea e l'Ucraina contempli precise garanzie in tal senso e sia pienamente conforme alle norme e ai valori europei, e a prevedere che, anche nel corso della stipula di eventuali accordi bilaterali con l'Ucraina, si proceda in tale direzione;
   a valutare concretamente la possibilità di manifestare la propria indignazione attraverso il diniego a presenziare all'apertura ufficiale dei prossimi campionati europei di calcio che si tengono in Polonia e in Ucraina.
(1-01025) «Evangelisti, Donadi, Di Pietro, Borghesi, Leoluca Orlando, Di Stanislao, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione Europea è in procinto di sottoscrivere con l'Ucraina un accordo di associazione, primo passo sul cammino dell'adesione di Kiev all'Unione europea. Tuttavia, nel popolo ucraino è forte la sensazione che l'Unione europea abbia mantenuto nei suoi confronti un atteggiamento ambiguo che non ha certo contribuito a favorire una stabilizzazione democratica di un Paese segnato da profonda conflittualità interna, a metà strada tra Occidente e Russia, impegnato in una transizione difficile;
    gli ucraini rimproverano all'Unione europea di non avere appoggiato con compattezza e prese di posizione forti la rivoluzione arancione del 2006 e di non avere usato con Kiev quelle aperture di credito verso l'adesione che hanno, ad esempio, rafforzato molto la posizione europea ed internazionale della Turchia, pur partendo da situazioni interne non dissimili per quel che riguarda le garanzie sullo Stato di diritto ed il rispetto dei diritti fondamentali;
    dopo il fallimento della rivoluzione arancione, il nuovo Governo del Presidente Viktor Yanukovich pare abbia usato tutti gli strumenti previsti dal codice penale ucraino per annientare i propri oppositori politici: sono stati incarcerati con l'accusa di «abuso d'ufficio» ed «abuso di poteri pubblici» l'ex Ministro dell'interno Yuriy Lutsenko, l'ex Ministro della difesa ad interim Valeriy Ivashchenko e l'ex Primo viceministro della giustizia Yevhen Korniychuk; il 5 agosto 2011 il tribunale di Kiev, nel corso del processo che vedeva imputata Yulia Tymoshenko per aver stipulato un contratto per la fornitura di gas russo all'Ucraina senza aver avuto il preventivo consenso del Governo, ha ordinato l'arresto del ex Primo ministro ucraino, poi condannata ad una pena di 7 anni;
    la Tymoshenko, che è accusata anche di reati che esulano dalla sua funzione politica, in particolare di evasione fiscale, si trova ora in sciopero della fame per denunciare le violenze di cui sarebbe stata vittima nel carcere in cui è detenuta;
    è chiaro che il sistema giuridico e giudiziario ucraino può essere utilizzato come strumento di lotta politica da parte di un Governo in carica contro gli avversari e ciò non pare essere compatibile con il sistema di diritti su cui si basa la costruzione dell'Unione europea con la quale Kiev chiede di collaborare;
    l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, con la risoluzione n. 1862 del 26 gennaio 2012 relativa al «Funzionamento delle istituzioni democratiche in Ucraina», ha evidenziato come in Ucraina è evidente «la mancanza di indipendenza della magistratura, l'eccessivo ricorso alla custodia cautelare, l'eccessiva durata della medesima e (...) la disparità degli strumenti a disposizione dell'accusa e della difesa e gli argomenti giuridici non pertinenti addotti dai magistrati inquirenti e giudicanti nei documenti e nelle decisioni ufficiali»;
    nelle ultime settimane si aggiungono a tutto questo le preoccupazioni per lo stato di salute di Yulia Tymoshenko, che pare necessiti di cure mediche appropriate e che probabilmente, grazie anche alle pressioni internazionali, sarà curata in Ucraina da medici tedeschi, se il Governo di Kiev, come si auspica, darà la sua autorizzazione;
    il rispetto dei diritti umani fondamentali, per i quali un sistema giudiziario efficace, equo e trasparente è indispensabile, rappresenta uno dei pilastri fondamentali tra i criteri politici di partenariato con l'Unione europea che devono essere rispettati da tutti i Paesi candidati ed associati, ed è l'elemento fondamentale sul quale la stessa Unione europea deve esercitare tutta la sua persuasione nel percorso di associazione e di dialogo con questi Paesi;
    la collaborazione culturale ed economica fra Italia ed Ucraina è consolidata da anni ed in prospettiva può essere ulteriormente ampliata con ritorni positivi per i due Stati,

impegna il Governo:

   a sostenere presso le istituzioni comunitarie, come condizione necessaria per procedere ad ulteriori accordi di associazione con tutti quei Paesi che si candidino ad un partenariato più stretto con l'Unione europea, l'assoluta necessità di richiedere ai Governi ed ai parlamenti di questi Paesi di accelerare le riforme dello Stato di diritto atte a garantire il pieno rispetto dei diritti umani, civili e politici, riforme peraltro già in corso di valutazione ed approvazione nel Parlamento dell'Ucraina, come confermato dalla delegazione parlamentare in visita alla Camera dei deputati nel mese di aprile 2012;
   a sostenere, insieme agli altri partner europei, la necessità di monitorare le condizioni di detenzione in generale nei Paesi che si candidano ad una più stretta collaborazione economica con l'Unione europea e, in particolare, di verificare le condizioni degli esponenti della rivoluzione arancione detenuti in carcere in Ucraina e di pretendere da Kiev la tutela delle loro condizioni di salute;
   ad assumere ogni iniziativa utile al fine di fare piena luce sui fatti denunciati dall'ex Premier Yulia Tymoshenko e relativi alla sua detenzione, in particolare alla denuncia di percosse subite in carcere;
   a valutare se sussistano i presupposti per deferire l'Ucraina alla Corte europea dei diritti dell'uomo, ai sensi dell'articolo 33 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in relazione alle procedure giuridiche adottate nei confronti di Yulia Tymoshenko, che appaiono in contrasto con i principi e le disposizioni della Convenzione medesima;
   ad attivarsi per mantenere e possibilmente migliorare le relazioni fra Italia e Ucraina al di là del caso Tymoshenko, caso sicuramente grave se venisse accertata la violazione dei diritti umani e da risolvere al più presto, in modo che esso non debba precludere il proficuo partenariato tra i due Paesi.
(1-01026) «Allasia, Stefani, Togni, Lussana, Montagnoli, Fugatti, Fedriga, Fogliato, D'Amico, Maggioni».


   La Camera,
   premesso che:
    la leader dell'opposizione in Ucraina, Yulia Tymoshenko, il 5 agosto 2011 è stata arrestata e, successivamente, nel mese di ottobre 2011, condannata da tribunale di Kiev a sette anni di carcere per presunto abuso di potere a fini criminali;
    la storia è iniziata nel 2009, quando la Tymoshenko da Premier stipulò contratti per la fornitura del gas con il colosso russo Gazprom;
    attualmente, oltre all'ex Primo ministro e al suo Ministro dell'interno, in carcere si trovano anche l'ex Ministro della difesa Ivashchenko e l'ex Primo Viceministro Korniychuk;
    la Tymoshenko ha sempre rivendicato la sua innocenza accusando l'attuale Presidente dell'Ucraina, Viktor Yanukovich, di avere orchestrato l'intera vicenda per eliminarla dalla scena politica in vista delle elezioni parlamentari del 2012 e di quelle presidenziali del 2015;
    i processi, per come sono stati condotti, al di là del merito delle accuse, hanno suscitato non poche perplessità in diversi organismi internazionali che hanno evidenziato come il sistema penale in Ucraina presenti evidenti lacune e carenze, a partire da una sospetta mancanza di indipendenza da parte della stessa magistratura;
    nelle ultime settimane le condizioni di salute dell'ex Ministro dell'interno, dell'ex Ministro della difesa e della stessa Yulia Tymoshenko sono particolarmente peggiorate, tanto che il 16 marzo 2012 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha intimato alle autorità ucraine di fornirle le necessarie cure mediche;
    subito dopo, però, il Parlamento ucraino ha votato contro il ricovero della Tymoshenko in una clinica specializzata, ignorando, di fatto, la richiesta avanzata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo;
    le condizioni di salute dell'ex Premier e degli altri membri del suo Governo, attualmente in carcere, e i maltrattamenti denunciati dalla stessa Tymoshenko hanno prodotto un'ondata di giuste critiche in Europa e nel mondo;
    la stessa magistratura ucraina, in merito agli ematomi mostrati in alcune foto dalla Tymoshenko, non ha osato smentire quelle immagini, ma ha dichiarato che probabilmente quelle contusioni sarebbero state determinate dal fatto che la Tymoshenko sarebbe andata a sbattere contro un oggetto appuntito;
    l'ex Premier dell'Ucraina ha dichiarato, al contrario, che sarebbe stata picchiata da tre secondini e il 20 aprile 2012 ha cominciato uno sciopero della fame;
    i Governi di Austria e Belgio hanno annunciato ufficialmente che boicotteranno i prossimi Europei di calcio che si svolgeranno a breve in Ucraina e la stessa Cancelliera tedesca, dopo avere espresso una netta condanna per quanto sta avvenendo il quel Paese, ha annunciato che valuterà attentamente se partecipare o no all'inaugurazione dei campionati europei 2012 di calcio;
    il Ministro italiano per gli affari regionali, il turismo e lo sport, Piero Gnudi, secondo notizie riportate dai giornali, ha giustamente dichiarato che «quando vengono violati i diritti soggettivi e i principi democratici lo sport non può voltarsi dall'altra parte»,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, presso le competenti autorità a livello internazionale e direttamente nei confronti dell'attuale Governo ucraino, di una forte iniziativa atta a determinare la liberazione, quanto meno per ragioni umanitarie viste le precarie condizioni di salute di Yulia Tymoshenko e degli altri membri, attualmente agli arresti, della precedente compagine governativa;
   a porre la questione, in tutte le sedi internazionali, della salvaguardia dei diritti umani fondamentali in Ucraina come condizione indispensabile e auspicata per proseguire nella strada del confronto e della collaborazione economica e commerciale;
   a sollecitare le autorità ucraine affinché vengano consentite, senza precondizioni, visite in carcere agli esponenti del precedente Governo da parte di equipe mediche indipendenti, nonché delle delegazioni del Consiglio d'Europa, dell'Unione europea, dell'Osce e dei Parlamenti nazionali che ne faranno richiesta;
   a prevedere, in caso di rifiuto da parte delle autorità ucraine di «affrontare» le questioni poste, la possibilità di non inviare alcun rappresentante del Governo, durante le cerimonie che accompagneranno la prossima edizione dei campionati europei di calcio, come atto concreto a difesa dei diritti umani e delle libertà democratiche che così palesemente sono, attualmente, violate in Ucraina.
(1-01027) «Guzzanti, Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 201 del 2011, cosiddetto «Salva Italia», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, all'articolo 21, ha disposto la soppressione dell'Inpdap e dell'Enpals a decorrere dal 1o gennaio 2012 e l'attribuzione all'Inps delle relative funzioni;
    le finalità sottese a tale provvedimento vanno ricercate nell'esigenza di armonizzare il sistema pensionistico e migliorare l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa in ambito previdenziale, pervenendo alla riduzione dei costi complessivi di funzionamento e assicurando, nel contempo, livelli elevati ed omogenei di servizio a tutti gli utenti, compresi quelli degli enti previdenziali incorporati; le citate finalità, pertanto, rappresentano l'obiettivo strategico cui fare riferimento per potenziare l'efficacia ed il livello dei servizi pubblici di welfare, migliorando nel contempo l'economicità dell'azione amministrativa ed i risparmi di gestione; tale esigenza appare tanto più rilevante ove si consideri che l'Inps, a seguito dell'attribuzione delle funzioni riguardanti la previdenza dei dipendenti pubblici e dei lavoratori dello spettacolo e, quindi, quale ente gestore di tutto il sistema pensionistico pubblico, delle prestazioni a sostegno del reddito e di molte delle prestazioni assistenziali, è chiamata ad amministrare, nel complesso, 21 milioni di assicurati, 1,5 milioni di aziende e 23 milioni di pensionati per oltre 700 miliardi di euro di masse amministrate, con un costo di circa 4,6 miliardi di euro di spese di funzionamento; a seguito di tale incorporazione l'Inps, peraltro, ha ulteriormente incrementato l'entità delle proprie partecipazioni che, pertanto, attualmente comprende: il 49 per cento della holding di Equitalia che amministra, attraverso le sue società operative Equitalia Nord, Equitalia Centro ed Equitalia Sud, il sistema delle riscossioni dei contributi previdenziali ed erariali dello Stato; un rilevante patrimonio immobiliare nato dalla fusione dei patrimoni immobiliari dei tre enti la cui gestione, tanto per gli immobili da reddito che per quelli strumentali, è effettuata, in parte direttamente dall'Inps (per il patrimonio di provenienza ex Inpdai), in parte attraverso l'Igei spa, società in liquidazione da 17 anni di cui l'Inps possiede il 51 per cento del valore azionario (per il patrimonio cosiddetto «storico» dell'Inps e per quello di provenienza ex Ipost) e, in parte, attraverso la Idea Fimit sgr di cui l'Inps, per effetto dell'incorporazione di Inpdap ed Enpals, detiene ora circa il 30 per cento delle azioni; il 100 per cento di Sispi (Società italiana di servizi per la previdenza integrativa). In sintesi, il valore complessivo delle attività in carico all'Inps, rappresentativo di circa il 25 per cento del prodotto interno lordo nazionale, evidenzia il gigantesco perimetro rappresentato dall'operazione di incorporazione, nonché il rilievo che le modalità di governo dei compiti affidati all'Inps può assumere sull'intero «sistema Paese»; a questo riguardo – poiché il sistema di governance dell'organo di indirizzo politico dell'istituto è stato più volte rivisitato negli ultimi tre anni (oltre al citato articolo 21, si richiama l'articolo 7, comma 8, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78), prevedendo di fatto la trasformazione di una gestione commissariale in una gestione monocratica, mediante il trasferimento delle competenze del consiglio di amministrazione degli enti al presidente dell'Inps, seppur nell'invarianza del quadro ordinamentale vigente, circa le attribuzioni agli altri organi di gestione e controllo, come confermato dalle direttive ministeriali del 29 novembre 2010 e del 28 aprile 2011; è essenziale verificare se un così rilevante coacervo di interessi pubblici possa essere gestito da un organo di indirizzo politico a carattere monocratico, perpetuando ex lege nei fatti una gestione commissariale a carattere straordinario;
    l'attuale governance del nuovo istituto è affidata ad una carica monocratica nella figura del presidente dell'Inps, il cui incarico è stato prolungato fino al 31 dicembre 2014, nonostante la Corte dei conti nella sua relazione del novembre 2011 avesse già espresso perplessità circa la concentrazione dei poteri determinatisi a seguito delle disposizioni del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale aveva trasferito al solo presidente le attribuzioni del soppresso consiglio di amministrazione. La relazione sottolineava «il potenziamento del tutto singolare dell'organo monocratico di vertice dell'istituto cui vengono riconosciute, oltre a quelle di rappresentanza, le attribuzioni di indirizzo gestionale e tutte le competenze non conferite ad altri organi che non trova riscontri nell'assetto degli enti pubblici non economici e neanche nel modello societario»;
    perplessità che, a fronte dell'annessione di Inpdap ed Enpals, risultano ulteriormente rafforzate;
    si è in attesa di una più generale riflessione che possa verificare che l'attuale modello di governance – basato sulla concentrazione delle funzioni di indirizzo politico in un organo monocratico – sia pienamente consono con le finalità di assicurare il miglior governo di compiti rilevanti, articolati e complessi come quelli affidati all'Inps in seguito all'incorporazione dell'Inpdap e dell'Enpals, le cui modalità di attuazione finiscono, di fatto, per incidere sulla vita di tutti i soggetti residenti ed operanti sul territorio nazionale;
    si è preso atto delle comunicazioni del Ministro del lavoro e delle politiche sociali Fornero, fornite in Commissione lavoro della Camera dei deputati circa la presentazione di un modello di governance nuovo per gli istituti previdenziali e assistenziali entro il 30 giugno 2012,

impegna il Governo:

   a intervenire, soprattutto in questa fase così delicata e impegnativa, anche con iniziative di carattere normativo, al fine di garantire una governance dell'ente equilibrata, collegiale e trasparente, che preveda la compresenza di un organismo di vertice costituito da personalità di comprovata esperienza, autonomia e indipendenza, affiancato da un comitato di indirizzo e vigilanza dai poteri rafforzati, così superando l'attuale fase di gestione straordinaria e riportando la stessa ad un assetto più appropriato per un ente pubblico, come autorevolmente indicato dalla Corte dei conti;
   nell'ambito dei poteri di vigilanza sull'Istituto, a garantire, anche mediante proprie direttive, atti e iniziative di verifica e controllo diretto:
     a) il rispetto del principio di separazione fra indirizzo politico e gestione della cosa pubblica, assicurando anzitutto la distinzione di ruoli fra le competenze del presidente e le competenze del direttore generale;
     b) una puntuale vigilanza in ordine:
      1) al rispetto delle garanzie amministrative di trasparenza, correttezza, buon andamento ed economicità nell'adozione degli atti finalizzati alle procedure di incorporazione, nonché di un adeguato ruolo delle parti sociali interessate, ripristinando, altresì, il consiglio di amministrazione riducendo il costo complessivo per i compensi degli appartenenti agli organi amministrativi;
      2) alla correttezza, trasparenza e buon andamento amministrativo della gestione degli interessi pubblici a carattere previdenziale nelle società partecipate dall'Inps e relativa, in particolare, al sistema di amministrazione e riscossione dei crediti previdenziali affidati ad Equitalia e alle strutture organizzative ad essa connesse;
      3) alla correttezza, trasparenza e buon andamento amministrativo nella gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare.
(1-01028) «Moffa, Lenzi, Cazzola, Fedriga, Poli, Paladini, Muro, Misiti, Fabbri, Santori, Brugger, Gioacchino Alfano, Damiano, Antonino Foti, Vincenzo Antonio Fontana».


   La Camera
   premesso che:
    nuovi gravissimi episodi di violenza che hanno di mira le comunità cristiane hanno sconvolto nei giorni scorsi l'Africa. Infatti, in una serie di attentati – due in Nigeria e un terzo in Kenia – sono stati uccisi nei giorni scorsi più di venti pacifici fedeli in preghiera. La violenza più grave è stata perpetrata nella seconda città della Nigeria, Kano, dove uomini armati hanno attaccato un gruppo di cristiani che celebravano la Messa in una delle aule della Bayero University. Il raid ha provocato almeno 16 vittime ed una ventina di feriti, dei quali vari sono in gravi condizioni;
    in un secondo attacco, effettuato sempre nel nord della Nigeria, un commando ha aperto il fuoco contro un gruppo di fedeli radunati per la liturgia nella cappella Church of Christ in Nigeria di Maiduguri. Secondo le fonti, almeno cinque persone hanno perso la vita nell'attacco nella città, una roccaforte del gruppo estremista islamico Boko Haram. Il gruppo, che nel gennaio 2012 aveva ucciso in un altro attacco almeno 160 persone a Kano, viene ritenuto responsabile degli attacchi del 29 aprile 2012, che portano infatti entrambi il «marchio» della fazione prossima ad Al Qaeda;
    «La Chiesa, specie quella cattolica, è un obiettivo perché, agli occhi dei fanatici di Boko Haram, rappresenta quella cultura e quei valori occidentali che essi affermano di combattere, in particolare l'istruzione occidentale», ha detto il presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, monsignor Ignatius Ayau Kaigama;
    dall'altro lato del continente, nella capitale del Kenia, Nairobi, un uomo ha lanciato il 29 aprile una granata all'interno della God's House of Miracle Church, uccidendo il celebrante. Anche se l'attacco non è stato rivendicato, si ritiene possa essere una nuova rappresaglia da parte dei combattenti islamici di Shabaab per l'intervento dell'esercito keniano in Somalia;
    a questi casi eclatanti si somma in Paesi del vicino e medio Oriente nonché dell'Asia profonda la quotidiana e progressiva pratica silenziosa di omicidi confessionali e l'induzione all'espatrio dei fedeli delle antiche Chiese apostoliche, determinata oltre che dallo stillicidio cruento, dalla compressione crescente degli spazi di presenza e libertà per le minoranze cristiane in numerosi Paesi dell'Asia;
    non si tratta di episodi isolati, ma di un'aggressione sistematica alla libertà religiosa, «madre di tutte le libertà», come già affermato nella Risoluzione unitaria Mazzocchi ed altri del 12 gennaio 2011. In essa si denunciava la «cristianofobia» e si chiedeva l'intervento ad ogni livello del Governo e delle istanze internazionali per garantire i diritti umani e tra essi specificamente quello della libertà di religione;
    da allora la pratica di omicidi singoli o di massa di cristiani lungi dall'essere abbandonata, è cresciuta di intensità e di qualità. Basti solo segnalare l'omicidio di Shabhaz Bhatti, Ministro per le minoranze in Pakistan, assassinato da un commando di terroristi islamici a Islamabad il 2 marzo del 2011, per la sua strenua difesa in particolare di Asja Bibi, una donna condannata a morte per «blasfemia»;
    in Iraq è in corso una vera e propria pulizia etnica, che si attua con rapimenti e assassini selettivi, così da indurre alla diaspora una comunità che preesisteva all'Islam. Lo stesso rischia di accadere alla comunità copta in Egitto;
    la persecuzione ai danni dei cristiani e ogni persecuzione religiosa sono intollerabili non solo da un punto di vista confessionale, ma soprattutto in ragione della garanzia e della tutela della giustizia e della libertà di tutti;
    occorre assumere iniziative perché queste vittime, come ha sostenuto il Cardinale Scola, non siano oltraggiate, oltre che dalla barbara uccisione, anche con il silenzio e l'indifferenza,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché la persecuzione contro i cristiani sia considerata un'emergenza internazionale gravissima in ogni consesso e diventi oggetto di condanna esplicita, e di interventi coordinati ed efficaci da parte delle autorità e delle organizzazioni sovranazionali e internazionali.
(1-01029) «Renato Farina, Pianetta, Baldelli».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII e la X Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 15, commi 7 e 8, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, prevede disposizioni in materia di prevenzione incendi delle strutture ricettive turistico-alberghiere;
    in particolare, si dispone la proroga al 31 dicembre 2013 del termine fissato per completare gli adempimenti relativi alla messa a norma delle strutture ricettive con oltre 25 posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale 9 aprile 1994, che non abbiano completato l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi e siano ammesse, a domanda, al piano straordinario biennale di adeguamento antincendio, approvato con decreto del Ministro dell'interno;
    detto adeguamento, se non sostenuto da mirati interventi, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, rischia di compromettere l'esercizio di numerose attività (circa 14 mila strutture) in un settore di assoluto rilievo per il Paese;
    sul punto si segnala che un'eventuale ennesima proroga del termine di scadenza fissato al 31 dicembre 2013 non sarebbe più percorribile, tenuto conto della procedura di infrazione per il non corretto recepimento della direttiva 89/391/CE, avviata il 29 settembre 2011 dalla Commissione europea che, tra l'altro, ha censurato le proroghe che si susseguono nel nostro Paese ormai dal 2001 e che hanno procrastinato all'infinito l'applicazione delle disposizioni di sicurezza antincendio;
    si ritiene, dunque, assolutamente necessario definire un piano straordinario che, nell'individuare le progressive modalità di adeguamento antincendio, consenta di ultimare entro il 31 dicembre 2013 la messa in sicurezza di circa 14 mila strutture, salvaguardando attività di impresa e relativo «indotto», unitamente all'incolumità delle persone;
    l'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011, recante la semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, introduce, peraltro, il sistema della SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) e connesse verifiche in tempi stretti;
    si impone dunque la necessità di pervenire ad una soluzione «ponte», da individuare in un piano straordinario, che accompagni, con la gradualità necessaria, le strutture verso il vigente regime di semplificazione antincendio per tutti gli adempimenti relativi ai successivi rinnovi e alle verifiche periodiche;
    nella Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il decreto del Ministro dell'interno 16 marzo 2012, recante il piano straordinario biennale, adottato ai sensi del citato articolo 15, commi 7 e 8, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012 n. 14, concernente l'adeguamento delle disposizioni di prevenzione incendi delle strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre venticinque posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell'interno 9 aprile 1994, che, come si è detto, non abbiano completato l'adeguamento alle suddette disposizioni di prevenzione incendi;
    il piano straordinario decorre dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto ministeriale, fissata nel trentesimo giorno della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ed indica il programma di adeguamento alle norme antincendio da realizzare entro il 31 dicembre 2013;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, nel caso in cui le norme contenute nel decreto ministeriale 16 marzo 2012 dovessero essere applicate con le date di decorrenza per essere ammessi al piano straordinario come oggi fissate, ovvero il 29 aprile 2012, si correrebbe il rischio di provocare la chiusura o la riduzione delle attività di numerosissime imprese a carattere di stagionalità che proprio in questi mesi si accingono a lavorare a regime e si comprometterebbe il loro esercizio nella stagione estiva quando vi è il massimo accesso dei turisti in Italia;
    quello della prevenzione incendi rappresenta un tema di particolare importanza e complessità che coinvolge non solo la sicurezza dei clienti delle strutture turistiche, ma anche di tutti gli operatori che vi svolgono la loro attività;
    occorre, dunque, trovare una soluzione concretamente percorribile in modo da risolvere l'annosa problematica dell'adeguamento alle disposizioni antincendio che si protrae da oltre 18 anni. Con una modulazione ragionevole degli interventi di adeguamento, infatti, tutte le strutture interessate dal citato decreto potrebbero rispettare il termine del 31 dicembre 2013;
    le proroghe succedutesi in questi ultimi anni non hanno consentito un'efficace programmazione degli investimenti e degli interventi, considerato che gli oneri per l'adeguamento sono molto rilevanti, in particolare per le piccole attività. Inoltre, la realizzazione dei dispositivi antincendio nelle strutture situate nei centri storici spesso contrasta con la normativa per la tutela dei beni artistici e architettonici, risultando di fatto impossibile ottenere i relativi permessi;
    occorre, quindi, individuare soluzioni che non penalizzino ulteriormente il settore turistico, già gravemente colpito dalla pesante crisi economica in atto;
    già in occasione dei provvedimenti di proroga termini che hanno rinviato l'adeguamento delle strutture turistico-ricettive alla normativa antincendio, il Gruppo Parlamentare dell'IDV aveva chiesto che lo Stato potesse erogare specifici finanziamenti in favore dei gestori delle strutture ricettive, trattandosi come noto di interventi molto onerosi;
    il rispetto della normativa sulla prevenzione incendi determina, infatti, un costo elevatissimo a carico delle imprese e pretendere un'immediata applicazione delle regole del decreto del Ministero dell'interno 16 marzo 2012 significherebbe, di fatto, affossare la crescita e la competitività di un settore già particolarmente provato in un momento di grave crisi economica come quello che si sta vivendo, in spregio al rispetto di qualsiasi principio di realtà e proporzionalità;
    per rispettare il termine del 31 dicembre 2013, sarebbe opportuno che il Governo riveda i contenuti del decreto del Ministro dell'interno 16 marzo 2012 al fine di non penalizzare eccessivamente le imprese operanti nel settore turistico, fissando una data entro l'anno 2012 che non superi la fine della prima settimana del prossimo mese di ottobre, in cui obbligatoriamente iniziare i lavori di adeguamento alla normativa antincendio;
    il decreto in questione prevede che l'ammissione al piano straordinario di adeguamento antincendio che consente la prosecuzione dell'esercizio dell'attività, sia consentita alle strutture ricettive, in possesso al 29 aprile 2012, dei requisiti di sicurezza antincendio indicati dall'articolo 5 del decreto medesimo, il quale reca numerose innovazioni in materia di requisiti di sicurezza;
    tale articolo dispone, in particolare, che le strutture ricettive debbano attivare – quali misure integrative di gestione della sicurezza – anche un servizio interno di sicurezza, permanentemente presente durante l'esercizio e ricompreso nel piano di emergenza, composto da addetti con attestato di idoneità tecnica, previa frequentazione del corso di cui all'allegato IX del decreto ministeriale 10 marzo 1998, il cui numero va stabilito sulla base della valutazione dei rischi, in misura non inferiore ad 1 unità, fino a 100 posti letto e 2 unità, oltre 100 posti letto e fino a 300 posti letto, con l'aggiunta di 1 ulteriore unità per ogni incremento della capacità ricettiva di 150 posti letto;
    tale previsione appare, con tutta evidenza, oltre che concretamente inapplicabile, comunque particolarmente gravosa per le imprese turistico ricettive che sarebbero costrette a pagare del personale aggiuntivo anche nei periodi in cui le strutture risultano prive di clientela. Dette imprese dovrebbero così procedere alla riduzione del numero dei posti letto anche quando hanno già assunto specifici obblighi contrattuali per la prossima stagione estiva per il mantenimento di un certo numero di posti letto, la cui diminuzione comporterebbe il pagamento di penali da parte degli operatori;
    si evidenzia, infine, che la scelta fatta a suo tempo di mantenere in capo ai comandi dei vigili del fuoco la competenza in materia di controllo sulla prevenzione incendi non facilita – a causa dell'allungamento dei tempi dell'istruttoria per carenza di personale – il perseguimento dell'obiettivo dell'adeguamento delle strutture alberghiere alle disposizioni in materia;
    sul punto si rammenta che l'articolo 14 del decreto legislativo n. 139 del 2006 recante «Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'articolo 11 della Legge n. 229 del 2003» prevede espressamente che la prevenzione incendi sia affidata alla competenza esclusiva del Ministero dell'interno, che esercita le relative attività attraverso il dipartimento e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Le attività di prevenzione incendi riguardano, in particolare:
     «b) il rilascio del certificato di prevenzione incendi, di atti di autorizzazione, di benestare tecnico, di collaudo e di certificazione, comunque denominati, attestanti la conformità alla normativa di prevenzione incendi di attività e costruzioni civili, industriali, artigianali e commerciali e di impianti, prodotti, apparecchiature e simili;
     c) il rilascio a professionisti, enti, laboratori e organismi di atti di abilitazione, iscrizione e autorizzazione comunque denominati, attestanti la sussistenza dei requisiti necessari o l'idoneità a svolgere attività di certificazione, ispezione e prova nell'ambito di procedimenti inerenti alla prevenzione incendi»;

    stando a quanto previsto dal citato articolo 14 del decreto legislativo n. 139 del 2006 le suddette attività di prevenzione incendi dovrebbero essere esercitate in armonia con le disposizioni sugli sportelli unici per le attività produttive e per l'edilizia: cosa che, di fatto, purtroppo non accade e le cui conseguenze si ripercuotono inesorabilmente a danno imprese che si vedono costrette ad affrontare un iter burocratico particolarmente pesante e farraginoso per la presentazione della documentazione richiesta dalla legge in materia di prevenzione antincendi. E ciò nonostante l'articolo 11 della legge n. 229 del 2003 recante «Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. – Legge di semplificazione 2001» preveda espressamente in materia di riassetto delle disposizioni vigenti concernenti il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il rispetto del principio di delega legislativa relativo all'armonizzazione delle disposizioni sulla prevenzione incendi alla normativa sullo sportello unico per le attività produttive,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative urgenti volte a sospendere l'entrata in vigore del decreto del Ministro dell'interno del 16 marzo 2012, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 30 marzo 2012, n. 76, considerata l'obiettiva impossibilità da parte degli operatori del settore di adeguarsi ai nuovi requisiti ivi previsti nei tempi eccessivamente brevi indicati;
   a rivedere i contenuti del decreto medesimo, prevedendo tempi maggiormente congrui per l'adeguamento delle strutture ricettive fissando una data entro l'anno 2012 che non superi la fine della prima settimana del mese di ottobre 2012 in cui obbligatoriamente iniziare i lavori di adeguamento alla normativa antincendio;
   a rivedere i contenuti del decreto in questione con particolare riferimento all'articolo 5 al fine di evitare che le imprese turistico ricettive siano costrette ad assumere personale aggiuntivo anche nei periodi in cui le strutture risultano prive di clientela, oppure a ridurre il numero dei posti letto a loro disposizione;
   ad assumere iniziative normative per introdurre in favore dei gestori delle strutture ricettive interessate, agevolazioni e finanziamenti tesi a facilitare le operazioni di adeguamento alle norme prevenzioni incendi;
   ad adottare iniziative, anche normative, volte a semplificare la citata disciplina sopra esposta in materia di prevenzione incendi garantendone la massima armonizzazione con quella afferente al funzionamento dello sportello unico per le attività produttive.
(7-00854) «Piffari, Cimadoro».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    in molte parti d'Italia gli impianti di depurazione delle acque reflue non funzionano, come dimostrato dalla procedura d'infrazione europea per violazione della direttiva comunitaria 91/271/CEE;
    la situazione è particolarmente grave nel Mezzogiorno e soprattutto nella regione Campania (come peraltro più volte denunciato dall'interrogante con gli atti di sindacato ispettivo e di indirizzo al Governo n. 3/00618, n. 5/02141, n. 5/01460 e n. 7/00336);
    il malfunzionamento dei depuratori causa danni enormi alla salute dei cittadini, all'ambiente e all'economia visti i mancati afflussi turistici verso tratti di mare rovinati dallo scarico di acque non depurate e liquami;
    nonostante l'approvazione della risoluzione conclusiva n. 8/00153, accolta dal Governo e approvata dalla Commissione ambiente della Camera nella seduta del 26 ottobre 2011, ancora oggi mancano indirizzi per attuare azioni specifiche e organiche;
    bisogna prendere atto dell'insussistenza degli accordi di programma che pure lo Stato ha stipulato con le regioni in materia di depurazione (si pensi, per restare al caso della Campania, ai risultati inesistenti seguiti all'accordo-quadro sulla «tutela delle acque e gestione integrata delle risorse idriche» del 30 dicembre 2003 e al relativo atto integrativo del 20 dicembre 2007),

impegna il Governo:

   ad adottare un piano nazionale sulla depurazione delle acque che metta l'Italia nelle condizioni di adempiere agli obblighi comunitari e di dare reale attuazione all'articolo 117 della Costituzione sulla tutela dell'ambiente;
   a presentare al Parlamento,  una relazione annuale recante l'aggiornamento del piano nazionale di trattamento e gestione delle acque reflue, contenente anche l'indicazione dei risultati raggiunti e delle eventuali criticità registrate nel perseguimento degli obiettivi;
   a valutare le ulteriori iniziative di carattere normativo necessarie a dare una soluzione definitiva e concreta al delicato problema in questione.
(7-00853) «Cosenza».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere premesso che:
   il 28 dicembre 2011 l'agenzia di stampa ADNKRONOS ha diramato la notizia di un arresto operato dai carabinieri di Orte Scalo a seguito di una perquisizione in una cantina all'interno della quale veniva coltivata sostanza stupefacente di tipo marijuana;
   nella cantina è stato rinvenuto un sistema di irrigazione e di lampade per riscaldare l'ambiente in modo da favorire la crescita rapida di qualche piantina di marijuana;
   il proprietario del locale, un trentenne, è stato arrestato con l'accusa di produzione e detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio ed ora si trova nel carcere di Viterbo in attesa di giudizio;
   nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali sarebbe inconcepibile una destinazione al mercato del ricavato;
   anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato con il decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
   il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
   la prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo ha già depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
   l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73, comma 1-bis, che nell'articolo 75 del testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
   è opinione degli interroganti che, solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana, mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza –:
   se il Governo sia a conoscenza di quante siano, nell'ultimo anno, le persone arrestate per coltivazione di piante stupefacenti, di quante di queste coltivazioni siano riconducibili ad attività meramente domestica e di quale sia stato l'andamento del fenomeno negli ultimi 5 anni;
   se il Governo non ritenga necessario un urgente ripensamento della politica fino ad oggi adottata per combattere il problema legato al consumo delle sostanze stupefacenti, in particolare assumendo iniziative volte a prevedere che anche l'attività di coltivazione di sostanza stupefacente il cui ricavato sia destinato ad un uso esclusivamente personale venga depenalizzata ed assuma quindi una rilevanza meramente amministrativa in conformità a quanto previsto dal referendum del 1993. (5-06708)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   all'inizio del 2007 la signora A.V.I., nata a Botosani (Romania) il 31 dicembre del 1969, separata e madre di un ragazzo oggi sedicenne, decide di venire a svolgere l'attività di badante in Italia;
   nel primo anno la donna cambia un paio di posti di lavoro, fino a che, nel dicembre del 2007, viene assunta dal signor L.R. per assistere la madre, signora P.I., vedova ottuagenaria che vive in Albano Laziale. L'anziana è cardiopatica, in pessime condizioni di salute generali, al punto da aver spesso necessità dell'ausilio di un respiratore ad ossigeno, e quindi non può vivere da sola;
   la signora P.I. desidererebbe abitare con il figlio Luciano, e quindi non gradisce la presenza della badante, con la quale è invece obbligata a vivere a stretto contatto, in una casa di soli 40 metri quadrati, dividendo la stessa camera da letto. Questo provoca qualche screzio tra le due donne ed una situazione non felice per la signora A.V.I., che già affronta con depressione la lontananza dal figlio (all'epoca dodicenne) e la mancanza di rapporti sociali, dato che il nuovo lavoro la allontana dai pochi amici/conoscenti che si è fatta durante la precedente permanenza a Roma. Tanto che alla fine, nonostante le necessità economiche, è decisa a risolvere il rapporto di lavoro non appena la famiglia troverà una persona per la sua sostituzione;
   nel contesto sopra descritto, la sera del 7 gennaio 2008, la I. viene colta da un malore mentre è intenta a fare le proprie abluzioni, attività che vuole svolgere assolutamente sola, senza l'ausilio della badante, la quale sente un tonfo e un lamento, si reca subito in bagno e trova l'anziana in terra con una ferita al mento che sanguina copiosamente. L'aiuta a rialzarsi, la tampona con una spugnetta e la conduce, sia pure con fatica, nella loro camera, adagiandola sul letto in posizione seduta, al fine di facilitarne la difficoltosa respirazione. Prende la bombola dell'ossigeno e glielo somministra. Nel frattempo la signora I. le chiede di cambiarsi le mutandine, poiché si è sporcata, e Adriana l'aiuta per farla rasserenare e sentire a suo agio. La situazione sembra sotto controllo quando, durante l'operazione di cambio, l'anziana inizia improvvisamente a perdere sangue dal naso. A questo punto, vincendo le resistenze manifestate dalla donna, A.V.I. decide di avvisare il figlio, ma mentre si allontana dal letto per porsi al telefono, questa perde i sensi e scivola in terra. A.V.I. si dispera, la chiama ripetutamente e alla fine, in stato di agitazione, allarma il figlio della donna, il quale giunge sul posto circa 15 minuti dopo e a breve distanza, alle ore 22,40 circa, giungono i medici del 118, i quali ritrovano la signora P.I. in terra, immobile. Il corpo, dislocato orizzontalmente fra i due letti della piccola camera, privo di vesti ad eccezione di una mutandina calata alle ginocchia, presenta alcune ecchimosi ed una evidente ferita al mento;
   il personale paramedico, in particolare l'infermiere A.M., tenta di rianimare l'anziana con il defibrillatore (risultato inutilizzabile per assenza di attività cardiaca) e poi praticandole un massaggio cardiaco per circa un minuto. Constatato l'esito negativo delle prime manovre, gli infermieri caricano il corpo sull'ambulanza, dove, per tutta la durata del tragitto (cinque minuti circa), A.M. continua a praticare il massaggio cardiaco. Anche questo secondo prolungato intervento si rivela inutile e, giunti presso l'ospedale di Albano Laziale, viene dichiarata la morte della signora P.I.;
   nel frattempo, il figlio L. e la sua compagna, da poco sopraggiunta sul posto, iniziano una sorta di interrogatorio nei confronti della badante, la quale, in evidente stato confusionale (tanto per lo shock quanto per il fatto che, come poi si accerterà, aveva bevuto qualche bicchiere di troppo, tenta senza successo di chiarire i loro dubbi. Interpellata sulla presenza di alcune macchie di sangue in terra, spiega come la signora I. lo abbia perso dal naso e dalla ferita, e si accinge a pulirle. Quasi contemporaneamente intervengono i carabinieri di Albano, i quali compiono i primi rilievi e, constatando lo stato confusionale e l'alito vinoso di Adriana, la accompagnano presso l'ospedale locale dove le viene rilevato un elevato tasso alcolemico nel sangue;
   A.V.I. viene immediatamente sospettata di aver malmenato la signora P.I. e posta in stato di fermo. A questa ricostruzione giungono senza dubbi i carabinieri di Albano Laziale, sollecitati dalle dichiarazioni del figlio e della sua compagna, e dalla circostanza che l'anziana avesse diversi lividi sul corpo. Ancor prima di iniziare le indagini la badante viene bollata nel verbale di fermo come «scontrosa e violenta» e, data l'ubriachezza, certamente colpevole; a dimostrazione del frettoloso assunto si indica anche il fatto che abbia ripulito il sangue da terra, gesto che, per quanto compiuto dinanzi al figlio della defunta, è ritenuto indice dell'intento di celare il reato;
   la tesi dell'omicidio si insinua quindi da subito negli inquirenti, ancor prima che il medico legale abbia chiarito le cause della morte. A rafforzare il quadro arrivano le prime conclusioni dell'autopsia (che dovranno poi confermate e approfondite con il deposito della consulenza) effettuata dal dottor Gian Luca Marella, dell'università di Tor Vergata, il quale – in perfetta corrispondenza con quanto descritto nel verbale di fermo – ricostruisce le cause della morte come conseguenza di un quadro «fratturativo costale e lesivo cardiaco» provocato da una serie ripetuta di colpi cagionati da una «superficie di ridotte dimensioni compatibile con calci e pugni». I carabinieri, a questo punto, sentono a sommarie informazioni i paramedici intervenuti e fra questi l'infermiere professionale A.M., il quale a domanda degli inquirenti risponde: «Con il massaggio cardiaco che gli ho praticato sono sicuro di non aver provocato lesioni di alcun genere»;
   lo stesso giorno, il pubblico ministero presso il tribunale di Velletri, dottor Patrone, competente per territorio, avanza richiesta di custodia cautelare in carcere nei confronti della badante, dopodiché la donna viene condotta dinanzi al giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Velletri, dottoressa Nicotera, per la convalida del fermo e per decidere sulla richiesta di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero;
   A.V.I., assistita da un avvocato d'ufficio che incontra per la prima volta al momento della convalida dell'arresto, viene interrogata e reclama la sua innocenza. Sostiene di non aver picchiato la povera signora I., ma, al contrario, di averla soccorsa e di aver fatto tutto il possibile per aiutarla. Il giudice non le crede e, con una manciata di pagine scritte a penna, stila un'ordinanza di custodia cautelare che la ritiene gravemente indiziata di omicidio volontario, sancendone la pericolosità sociale, nonostante sia incensurata e priva di precedenti penali; peraltro l'indagata è straniera, «senza fissa dimora e senza fisso lavoro» e, quindi, non c’è altra misura adeguata se non il carcere atteso che certamente ricorre anche il pericolo di fuga;
   la prosecuzione delle indagini, effettuate con diverse metodiche scientifiche, accerta la presenza di diverse macchie ematiche fra il bagno, la cucina e la camera da letto della piccola casa, tutte appartenenti alla deceduta, nonché una spugnetta ed uno straccio sporchi di sangue. Inoltre si trova una mutandine intrisa di feci all'interno del lavabo, a conferma di quanto spiegato da A.V.I. circa la sostituzione dell'indumento;
   le ulteriori investigazioni effettuate dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria non aggiungono molto al quadro, a parte accertare che fra l'imputata e l'anziana donna vi fossero rapporti insoddisfacenti per entrambe, tanto che sia l'una che l'altra avevano deciso di interrompere il rapporto di lavoro dopo solo due settimane. Viene sentita l'unica testimone (sia pure non oculare) della vicenda, la signora M., vicina di casa, che narra di aver sentito attraverso le sottili pareti solo i lamenti flebili di una voce quasi infantile;
   a fronte di questo quadro complessivo, A.V.I. resta in carcere e dopo tre mesi viene trasferita nell'istituto penitenziario di Lecce. Completamente isolata da tutti, perde i contatti anche con quei pochi conoscenti che avrebbero potuto visitarla a Roma. La famiglia è lontana, il figlio non sa nulla e la donna non riceverà mai una visita che non sia di un legale;
   dopo circa un anno si arriva al rinvio a giudizio dinanzi la corte di assise di Frosinone, competente per territorio. Il processo ha inizio veramente solo nell'aprile del 2009 e si protrae con vari rinvii per sei mesi in cui vengono sentiti tutti i testimoni d'accusa. Adriana non ha testimoni a discarico ad eccezione di se stessa e di un consulente medico legale che però non si presenterà mai in udienza, probabilmente perché non ci sono i soldi per pagarlo. L'avvocato di fiducia nominato nel frattempo sembra non riesca a fare di più. La corte di assise, nonostante l'assenza di un consulente della difesa, non ritiene di dover incaricare una perizia medico legale. Le cause della morte indicate dal dottor Marella, per quanto poco convincenti, accontentano pienamente il collegio giudicante. Anche i dubbi circa la possibilità che le fratture costali siano state provocate dal massaggio cardiaco sono definitivamente fugati: lo ribadisce in aula l'infermiere M. e lo esclude il dottor Marella il quale dichiara che non vi sono casi di frattura alle costole simili a quelle riscontrate sulla vittima;
   nel frattempo la donna ribadisce inutilmente la propria innocenza, spiegando con maggiore precisione quanto accaduto, anche grazie alla migliore comprensione della lingua italiana sviluppata nell'oltre anno e mezzo passato nelle nostre carceri. [Ma questo non cambia il risultato, anzi, il presidente sembra aver fretta di chiudere il processo];
   il 14 ottobre 2009 A.V.I. viene condannata dalla corte di assise di Frosinone a 14 anni di reclusione per omicidio volontario. La motivazione depositata il 31 dicembre 2009 ricostruisce così la vicenda: l'imputata, dati i rapporti deteriorati con la vittima, si adira senza freno in preda all'ebbrezza e la picchia selvaggiamente per alcuni minuti fino a giudizio dell'interrogante a provocarne la morte. L'assenza di un serio movente è superata con la mancanza di controllo a cagione dell'alcool; l'assenza di lesioni mortali è superata con lo stratagemma del dolo eventuale, formula giuridica che consente alla Corte di superare gli evidenti problemi che la consulenza del pubblico ministero ha lasciato aperti: Adriana, conoscendo il precario stato di salute della I., picchiandola ha accettato il rischio che morisse nonostante nessuna delle lesioni inferte fosse di per sé mortale;
   nonostante la condanna, A.V.I. non perde la forza di andare avanti. Nomina un nuovo avvocato disponibile a difenderla con il patrocinio a spese dello Stato e lo incarica di proporre appello. Il nuovo legale Adriana riesce a reperire un consulente tecnico di parte, professor Francesco Raimondo, [disposto ad interessarsi al caso malgrado l'asseta di denaro immediato (anche il consulente sarà pagato con il patrocinio a spese dello Stato)]; il quale condivide subito i dubbi sollevati dal difensore dell'imputata è approfondisce la questione;
   il consulente tecnico di parte, dopo aver studiato il caso, stila un elaborato peritale dai risultati dirompenti: la signora P.I. non può essere morta per le lesioni alle costole e al cuore, poiché sia le prime che le seconde sono avvenute post mortem. Il dato è testimoniato con tutta evidenza dal fatto che tanto dall'elaborato quanto dalle fotografie scattate in sede autoptica si evince che le fratture costali sono prive di infiltrazione (sanguinamento): la responsabilità della rottura è quindi da ascriversi al massaggio cardiaco;
   alla luce delle nuove risultanze medico legali e di un esame più approfondito delle prove raccolte, la difesa stila il suo atto di appello, nel quale si chiede l'assoluzione dell'imputata o, quantomeno, la riapertura del dibattimento per effettuare una seconda, più approfondita, perizia medico-legale;
   il 28 ottobre 2010 ha inizio il processo di appello. Il procuratore generale, in pochi minuti, avanza richiesta di conferma della sentenza; la difesa insiste per la riapertura del dibattimento ai fini dell'espletamento di una nuova perizia; richiesta che viene accolta dalla Corte;
   la perizia viene affidata al professor Giulio Sacchetti, ordinario di anatomia patologica all'università di Tor Vergata. La mattina del 23 novembre successivo vengono sentiti il consulente della difesa ed il perito della Corte. Il risultato della perizia è sconvolgente: non solo si accerta che le fratture costali patite dalla vittima sono state provocate dal massaggio cardiaco, ma il perito è in grado di dire con certezza che la signora P.I. è morta di infarto del miocardio, come testimoniano i vetrini dei tessuti raccolti dal consulente del pubblico ministero in sede autoptica. La prova dell'innocenza dell'imputata era già a disposizione del dottor Marella tre anni prima, ma era stata ignorata o comunque il consulente non era stato in grado di interpretare elementi scientifici certi e chiari. Inoltre, contrariamente a quanto affermato dal dottor Marella, emerge che i lividi imputati al pestaggio non sono di formazione coeva – e quindi non possono essere ricondotti ad una violenza esercitata sull'anziana il giorno dei fatti – e che la maggior parte di essi è stata determinata dalla caduta e da manovre di afferramento, compatibili con le operazioni di sollevamento da terra della signora I.;
   dinanzi al risultato lapidario della perizia, la pubblica accusa cambia atteggiamento e chiede l'assoluzione dell'imputata. Dopo una breve discussione riassuntiva della difesa della donna, la Corte si ritira in camera di consiglio e dopo meno di cinque minuti esce con il verdetto assolutorio con la formula «il fatto non sussiste»;
   la notizia dell'assoluzione di A.V.I. dall'accusa di omicidio viene ampiamente diffusa dalla stampa italiana e romena;
   il 6 luglio 2011, A.V.I. presenta istanza di riparazione per l'ingiusta detenzione patita chiedendo la corresponsione di una somma che tenga conto sia del cosiddetto «parametro statico» (ricavato dagli articoli 314 e 315 codice procedura penale), rappresentato dalla considerazione del tempo effettivo di compressione della libertà (2 anni, 11 mesi, 15 giorni), sia del cosiddetto «parametro dinamico» (ex comma 1 codice di procedura penale), che impone di procedere ad adeguamenti del dato aritmetico, valorizzando le conseguenze personali e familiari scaturite dalla limitazione della libertà personale; somma che equitativamente viene quantificata dal suo legale in 398.000,00 euro totali (248.000,00 euro dovuti, secondo un calcolo puramente aritmetico, a titolo di ristoro per la privazione della libertà di circa tre anni ed euro 150.000,00 a titolo di riparazione dell'ulteriore pregiudizio morale e materiale);
   l'udienza di riparazione viene fissata per il giorno 3 novembre 2011, dinanzi la corte di appello di Roma, sezione quarta penale. Il procuratore generale chiede l'accoglimento della domanda «nei limiti di legge», rimettendosi cioè per il computo del «quantum» al giudice della riparazione. La Corte si riserva e, a distanza di pochi giorni, con ordinanza depositata in data 8 novembre 2011, pur riconoscendo pacificamente l'esistenza del diritto di A.V.I. ad ottenere l'indennizzo, liquida la minor somma di 210.000,00 euro in quanto la donna, a parere dei giudicanti, pur essendo evidentemente vittima di un errore giudiziario, avrebbe contribuito con colpa lieve a cagionare la sua carcerazione. Ed invero, per la corte di appello di Roma, il fatto che la donna avesse bevuto e poi ripulito il sangue da terra davanti a tutti, avrebbe indotto i giudici di primo grado a credere che fosse colpevole, il che è motivo di riduzione dell'indennizzo. Su tutto il resto, ossia sulla circostanza che tali tanto criticate condotte siano state interpretate dai giudici sulla base (e solo sulla base) dell'esistenza di un omicidio mai avvenuto, il giudice della riparazione nulla dice;
   A.V.I. decide di accettare l'indennizzo senza ricorrere in Corte di Cassazione, atteso che tale somma le consente perlomeno di tornare a casa da suo figlio e di non dover più lavorare all'estero per garantirgli una vita dignitosa. Attendere mesi, forse anni, per affrontare un giudizio di cassazione e, in caso di vittoria, un giudizio di rinvio, le provocherebbe un pregiudizio maggiore del contenuto dell'ordinanza;
   al contrario della donna, però, l'Avvocatura dello Stato, non appena ricevuta la notifica formale della condanna al pagamento, propone ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza di riparazione, chiedendo che la decisione della corte di appello venga annullata per errore di diritto ed illogicità della motivazione: secondo il Ministero dell'economia e delle finanze, infatti, A.V.I. non avrebbe diritto a nulla, avendo indotto, con colpa grave, i giudici in errore a cagione della sua condotta; o al massimo dovrà essere indennizzata in maniera assai minore;
   il ricorso, peraltro tutto basato sulla più restrittiva e datata (primi anni ’90) giurisprudenza della Corte di Cassazione, è inficiato da un dato fondamentale: il Ministero dell'economia e delle finanze, o meglio l'Avvocatura dello Stato che lo rappresenta, tace in ogni sua parte la vicenda dell'omicidio inesistente e di un'assoluzione per insussistenza del fatto. Anzi, di fatto ribalta la questione e arriva a sostenere la prevalenza di un comportamento doloso di Adriana sul marchiano errore medico legale, che non viene tenuto in alcuna considerazione. In buona sostanza lo Stato, ad avviso degli interroganti in violazione dei più elementari doveri di correttezza ed imparzialità cui deve essere improntata ogni azione della pubblica amministrazione, omette di indicare le cause della detenzione di Adriana, invocando, però, la presunta violazione della «lealtà civica» da parte della signora A.V.I. stessa. Una lealtà che sembra non conoscere, vista la redazione di un ricorso infondato e dilatorio, teso ad ostacolare o comunque ritardare il pagamento di chi ingiustamente ha patito tre anni di detenzione per l'incuria – o peggio il pregiudizio – di magistrati e consulenti;
   visto il comportamento processuale della controparte, anche la signora A.V.I. si convince a proporre ricorso per Cassazione, chiedendo l'integrale accoglimento della domanda originaria;
   ad oggi la Corte di Cassazione non ha ancora comunicato alle parti la data di trattazione dei ricorsi –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati e quali passi siano stati compiuti per avere piena consapevolezza dell'intera vicenda;
   se non si ritenga doveroso esaminare favorevolmente l'istanza rivolta da A.V.I. volta ad ottenere un congruo indennizzo proporzionato al danno subito per un acclarato errore giudiziario costato anni di immotivata detenzione e un incontestabile danno materiale e morale;
   se il Governo non intenda intervenire per correggere la linea di condotta processuale fin qui tenuta nel procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione promosso dalla signora A.V.I. in particolare se non si intenda rinunciare al ricorso in Cassazione presentato avverso l'ordinanza n. 637/11 emessa dalla corte di appello di Roma in data 3 novembre 2011 con la quale è stato riconosciuto il diritto di A.V.I. ad ottenere l'indennizzo per il periodo di ingiusta detenzione intercorso tra l'8 gennaio 2008 e il 23 novembre 2010. (5-06780)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Potenza è proprietario del palazzo di giustizia costruito a tale scopo e così fino ad oggi utilizzato;
   l'immobile, dalla superficie complessiva di circa 40.000 metri quadrati, considerata la sua ubicazione, ha un valore di mercato di circa 50.000.000 di euro;
   il comune di Potenza ha deciso di ridurre il proprio indebitamento vendendo l'immobile al prezzo di euro 32.000.000;
   poiché quel palazzo ha una destinazione vincolata ad uffici giudiziari, tra il comune venditore e l'acquirente società immobiliare Maya si stipulerebbe un contratto di locazione per 30 anni, rinnovabile; il prezzo di locazione che il comune si accollerebbe (per legge rimborsabile dal Ministero) sarebbe pari ad euro 3.290.340 annui, oltre indicizzazione ISTAT ed IVA;
   il canone di locazione, in generale, non dovrebbe mai superare il 5 per cento del valore dell'immobile e, in tale evenienza, il canone non dovrebbe essere superiora ad euro 1.600.000,00 all'anno; non si comprende pertanto perché vi sia un maggior costo di euro 1.690.34, con un'incidenza complessiva del 10 per cento sul valore dell'immobile;
   a giudizio dell'interrogante, un comune cittadino o un imprenditore avrebbe preso in considerazione l'ipotesi di contrarre un mutuo estinguendo il debito (capitale più interessi) in 20 anni; rivolgendosi ad una banca avrebbe potuto contrarre un mutuo di euro 32.000.000 alle seguenti condizioni: in caso di mutuo ventennale a tasso variabile al 4,30 per cento, la rata di ammortamento sarebbe pari a euro 2.440.960; in questa ipotesi il comune risparmierebbe euro 849.380 all'anno oltre l'adeguamento ISTAT e al ventesimo anno sarebbe proprietario dell'edificio e senza debito; nel caso invece in cui il comune non voglia correre rischi col tasso variabile, potrebbe assumere un mutuo al tasso fisso del 5,40 per cento; in questa ipotesi il comune pagherebbe una rata annuale di euro 2.673.920 con un risparmio anno di euro 616.420, oltre l'adeguamento ISTAT conservando la proprietà ed estinguendo il debito al ventesimo anno;
   sarebbe opportuno scongiurare o – in caso di contratto concluso – cercare di limitare le deleterie conseguenze di un'operazione così sconsiderata per le già magre casse pubbliche –:
   se siano a conoscenza della vicenda sopra esposta;
   se si sia già concretizzata la vendita del palazzo di giustizia da parte del comune di Potenza e, in tal caso, quali siano gli orientamenti e le eventuali possibili iniziative del Ministro della giustizia.
(5-06783)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CONSIGLIO e STUCCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in ottemperanza al comma 2, dell'articolo 1 della legge delega n. 148 del 2011 il Governo «dovrà riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza»;
   in base ai criteri stabiliti dalla legge delega il legislatore dovrebbe ridurre i cosiddetti piccoli tribunali e le sezioni distaccate dei tribunali maggiori, procedendo ad accorpamenti territoriali;
   lo schema di decreto legislativo recante «Nuova distribuzione sul territorio degli uffici del giudice di pace, in attuazione dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148» sembra prevedere la soppressione di alcune sezioni distaccate del tribunale di Bergamo, presso taluni comuni siti nella provincia di Bergamo, tra i quali la Sezione distaccata di Clusone (Bergamo);
   il territorio servito dalla sezione distaccata di Clusone (Bergamo) del tribunale di Bergamo comprende 52 comuni e 3 comunità montane, per un totale di circa 125 mila abitanti;
   geograficamente la sezione si colloca al centro di un esteso comprensorio che ricomprende, per competenza territoriale, oltre al vasto altipiano di Clusone, la media e l'alta Valle Seriana, la sponda bergamasca del lago di Iseo e la valle di Scalve;
   Clusone dista 40 chilometri circa da Bergamo, ma alcuni paesi del comprensorio della circoscrizione distano dal capoluogo circa 100 chilometri e le vie di comunicazione non sono velocemente percorribili, in considerazione del carattere orografico delle vallate;
   parimenti al disagio per gli utenti, ci sarebbe quello del personale operante presso il capoluogo orobico, che ogni giorno dovrebbe raggiungere località distanti ore ed ore per una semplice notifica –:
   se si intenda conservare la sezione distaccata di Clusone (Bergamo) del tribunale di Bergamo, al fine di evitare disagi e lungaggini burocratiche per gli utenti, nonché scongiurare il rischio di chiusura degli uffici collegati, con la conseguenza che un bacino di utenza di circa 125 mila abitanti, in un'area già spesso trascurata ed in gravissime difficoltà economiche, si troverebbe privata di essenziali servizi pubblici. (4-15926)


   SCILIPOTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11, comma 7, del decreto-legge n. 1 del 2012 disciplina i criteri per l'espletamento del concorso straordinario per l'assegnazione delle sedi farmaceutiche e prevede che gli interessati, di età non superiore a 40 anni, possono concorrere per la gestione associata, sommando i titoli posseduti, ampliando poi dai 60 a 65 anni il limite di età dei concorrenti;
   l'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 298 del 1994 disciplina il meccanismo di attribuzione dei punteggi ai titoli, prevede che il punteggio massimo attribuibile ai titoli relativi di parte di ciascun commissario sia pari a 10 punti di cui 7 per i titoli relativi all'esercizio professionale e 3 per i titoli di studio e di carriera;
   il comma 2 dell'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 298 del 1994, prevede, inoltre, che non siano valutati i periodi di esercizio professionale superiore a 20 anni;
   il combinato di quanto finora esposto farà si che le farmacie saranno assegnate a coloro che conseguiranno il punteggio massimo ed il massimo del punteggio potrà essere conseguito unicamente da coloro che abbiano almeno venti anni di esercizio professionale, avendo necessariamente un età superiore ai 44 anni, ipotizzando che siano laureati in corso e siano stati immediatamente abilitati all'esercizio, e da coloro che potranno associarsi sommando complessivamente un esercizio professionale di almeno 20 anni;
   la fascia di età di concorrenti tra i 40 e i 44 anni è esclusa, pertanto, di fatto da ogni possibilità di vincere il concorso;
   le modalità di assegnazione risultano assai inique, in quanto l'espletamento del concorso sarà fatto solo sulla valutazione dei titoli senza la prova di esame, stravolgendo di fatto quanto previsto sia dalla legge n. 362 del 1991, articolo 4, sia dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 298 del 1994 che dal decreto originario in cui è previsto che i concorsi vengano banditi per titoli ed esami;
   da quanto esposto risulta che i concorrenti in età tra 40 e i 44 anni non potranno neanche sopperire alla mancanza dei titoli, in quanto, non essendo prevista la prova di esame, non sarà loro possibile dimostrare la propria competenza e preparazione, risultando matematicamente impossibilitati ad aggiudicarsi una sede farmaceutica;
   tale stato di cose favorisce i farmacisti ormai in età pensionabile e coloro i quali potranno partecipare in forma associata sommando i titoli;
   è necessario eliminare tali disparità tra farmacisti, intervenendo prima che sia bandito il concorso straordinario da parte delle regioni e dalle province autonome, affinché sia possibile bandire un concorso per titoli ed esame e allargare la possibilità di partecipare in forma associata senza discriminazione di età «farmaceutica» –:
   se il Governo non ritenga necessario e improcrastinabile promuovere modifiche del decreto-legge di cui in premessa o avviare altre iniziative normative volte a sanare le incongruenze sopra esposte.
(4-15953)


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 36 del decreto di conversione 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», ha istituito l'autorità per la regolazione dei trasporti, le cui competenze prevedono la piena autonomia e l'indipendenza nel giudizio e nella valutazione del suo operato;
   la suesposta disposizione prevede fra i diversi compiti attribuiti, quelli di assicurare attraverso metodologie che incentivino la concorrenza, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e consumatori, le condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, alle reti autostradali;
   in attesa della sede principale dell'autorità che sarà definita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro interrogato, è prevista in sede di prima attuazione l'istituzione del collegio dell'Autorità che sarà costituito entro il 31 maggio 2012;
   nell'ambito del panorama del settore dei trasporti e dell'intermodalità, in un contesto territoriale nazionale, figura tra le città più rappresentative e maggiormente sviluppate, quella di Novara;
   le città piemontese infatti, situata nel cuore della pianura padana, in una posizione strategica, all'intersezione di linee stradali e ferroviarie che collegano Torino a Milano, da ovest verso est, e il Mediterraneo alla Svizzera, da sud verso nord, rappresenta un nodo fondamentale per i trasporti internazionali e anche intercontinentali;
   Novara dista infatti solo 20 chilometri dall'aeroporto di Malpensa ed è collegata da apposite strade, autostrade e linee ferroviarie, la cui valenza infrastrutturale determina rilevanti opportunità di sviluppo economico-produttivo e commerciale di grande importanza, non soltanto nell'ambito territoriale derivante dalla sua particolare localizzazione, ma soprattutto dal rapido incremento dei volumi di merci movimentate e dalla capacità dello stesso di assicurare, con il vicino scalo ferroviario, per il trasporto degli autotreni sui vagoni ferroviari destinati ad attraversare il territorio svizzero;
   di assoluto livello d'importanza inoltre è l'interporto di Novara, particolarmente efficiente e sviluppatosi negli ultimi anni in maniera considerevole e di grande attrattività;
   lo sviluppo del Centro intermodale merci – CIM di Novara unitamente alla realizzazione della stazione in linea dell'Alta capacità, anche in vista dell'Expo 2015, rappresenta pertanto un notevole punto di forza per l'economia novarese, in considerazione fra l'altro che proprio il novarese ha una funzione di baricentro logistico sulla direttrice dei traffici est-ovest e nord-sud dell'Europa, con un indice di dotazione infrastrutturale pari a 119,2 punti contro una media italiana pari a 100;
   a giudizio dell'interrogante, in considerazione di quanto suesposto la città di Novara, possiede ogni requisito ed elemento qualitativo per aspirare alla sede dell'autorità indipendente di regolazione dei trasporti di imminente individuazione –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritenga opportuno, valutare positivamente, la città di Novara quale sede dell'autorità indipendente di regolazione dei trasporti, che come esposto in premessa, rappresenta un bacino economico e commerciale fra i più importanti a livello nazionale e sostenute anche da un polo logistico e intermodale autorevole che determina crescita e competitività non solo in tutta la regione Piemonte, ma nei confronti dell'intera area geografica del Nord Italia. (4-15957)


   DI PIETRO. —Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   Roberto Formigoni è stato nominato commissario generale dell'Expo Milano 2015 con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 agosto 2011;
   l'Expo non intende essere solo un volano per l'economia del territorio lombardo ma una vera e propria sfida nazionale che necessita della direzione di un esperto indipendente, affidabile, imparziale;
   da indiscrezioni apprese attraverso internet, sembra che il Presidente della regione Lombardia abbia inviato a don Verzé una lettera riservata in cui avrebbe elencato, in modo dettagliato e inconfutabile, tutti i favori fatti al San Raffaele; inoltre, lo stesso presidente ha manifestato recentemente, a parere dell'interrogante, con offese e maltrattamenti alla stampa, un comportamento non consono per un rappresentante delle istituzioni destando non poche preoccupazioni;
   il consiglio regionale della Lombardia vede la presenza di 10 indagati su 80, a cui si aggiungono altre vicende che hanno visto coinvolti membri di Giunta, e persone vicine all'amministrazione regionale come Pierangelo Daccò accusato di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, appropriazione indebita, frode fiscale, fatture false –:
   se non intenda revocare per tempo la carica commissariale a Roberto Formigoni e scegliere un altro commissario che assicuri maggior indipendenza e imparzialità consentendo così al nostro Paese di sfruttare l'opportunità in termini di rilancio economico offerta dall'Expo 2015, garantendo, al contempo, la trasparenza della sua gestione. (4-15968)

AFFARI ESTERI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il prossimo vertice G20 dei Ministri del lavoro avrà luogo il 17 e 18 maggio 2012 a Guadalajara (Messico) in un momento in cui la disoccupazione ha raggiunto in molti dei Paesi membri, tra cui l'Italia, livelli preoccupanti per effetto della crisi economica internazionale (complessivamente secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro dal 2008 ad oggi il numero dei disoccupati è cresciuto di 27 milioni) e le previsioni economiche, almeno per quanto riguarda l'Europa, non lasciano sperare in un'inversione di tendenza ha tempi ravvicinati;
   in particolare, un'intera generazione di giovani è costretta a confrontarsi in molti Paesi con un'inaccettabile e pericolosa combinazione di fenomeni che comprendono un'elevata disoccupazione, una diffusa occupazione precaria e una crescente condizione di inattività. Questo drammatico scenario è chiaramente confermato dai dati che riguardano l'Italia, dove la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 30 per cento ed esiste una vasta area di precariato e di giovani in età 15-24 anni che non studiano, non lavorano e non sono coinvolti in altre modalità di formazione (i così detti «neet»);
   il vertice G20 dei Capi di Stato e di Governo a Cannes nel novembre 2011 ha fatto della creazione di maggiore e migliore occupazione un obiettivo prioritario, costituendo un'apposita task force incaricata di identificare le soluzioni e le politiche più efficaci per combattere la disoccupazione, in particolare giovanile, e promuovere il «lavoro dignitoso» (decent work) –:
   quale sia stato il contributo del Governo italiano ai lavori di questa task force;
   con quali orientamenti e proposte il Governo italiano intenda contribuire al prossimo vertice G20 dei Ministri del lavoro in Messico, nel quale la questione della disoccupazione giovanile dovrebbe essere centrale;
   se e come il Governo abbia coinvolto o intenda coinvolgere le organizzazioni sindacali e imprenditoriali nella definizione di questi orientamenti e di queste proposte.
(2-01481) «Mogherini Rebesani, Sereni, Castagnetti, Brandolini, Bratti, Coscia, Fontanelli, Garofani, Lucà, Marchi, Melandri, Motta, Picierno, Rosato, Schirru, Servodio, Zampa, Marchignoli, Marchioni, De Biasi, Giovanelli, Pistelli, Damiano, Pierdomenico Martino, Villecco Calipari, Vaccaro, Mariani, Codurelli, Braga, Bossa, Porta, Rampi».

Interrogazione a risposta immediata:


   RAZZI, MOFFA e CESARIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   i rinnovi degli organismi dei Comitati degli italiani residenti all'estero (Comites) e del Consiglio generale degli italiani all'estero (Cgie) non sono stati effettuati dal 2005;
   i fondi già stanziati per le operazioni di rinnovo ammontano a sette milioni di euro;
   i Comitati degli italiani residenti all'estero e il Consiglio generale degli italiani all'estero non sono più operativi per mancanza di fondi che consentano loro di proseguire nell'opera di soccorso e aiuto nei confronti degli italiani residenti all'estero;
   se si procedesse, in questo momento, al rinnovo di tali organismi, gli stessi non potrebbero, in ogni caso, adempiere ai loro compiti in quanto la cifra stanziata sarebbe appena sufficiente allo svolgimento e all'organizzazione delle operazioni di voto –:
   se non si ritenga necessario, stante la situazione di cui sopra e la più volte evidenziata mancanza di risorse, assumere le iniziative di competenza dirette a prorogare, in via del tutto eccezionale, la validità delle attuali rappresentanze dei Comitati degli italiani residenti all'estero e del Cgie, al fine di evitare sperperi di denaro per il loro rinnovo, destinando, di conseguenza, i fondi disponibili e ristabilire la piena operatività degli stessi organismi che potrebbero finalmente tornare a svolgere la loro funzione naturale di servizio a favore degli italiani residenti all'estero. (3-02255)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RENATO FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   riporta l'agenzia di stampa AsiaNews il 2 maggio che migliaia di persone che in occasione del 1o maggio hanno marciato a Manama e per le strade dei villaggi sciiti del Bahrain sono state vittime di lancio di gas lacrimogeni e bombe assordanti. Essi chiedono il reintegro nel posto di lavoro da cui sono stati espulsi per aver partecipato alle proteste della Primavera araba. Negli scontri la polizia ha arrestato decine di dimostranti. Le manifestazioni sono state organizzate dal movimento dei giovani del 14 febbraio. Secondo il Bahrain Labaour Union, quasi 600 lavoratori protagonisti delle rivolte sono stati espulsi dalle aziende e dagli uffici pubblici;
   continua lo sciopero della fame di Abdulhadi al-Khawaja, attivista per i diritti umani tenuto da quasi un anno in cella di isolamento e a tutt'oggi secondo alcune fonti le autorità non hanno presentato alcuna prova a conferma delle accuse di sovversione dello Stato e legami con il terrorismo;
   di tutta risposta agli appelli, le autorità hanno annunciato che in questi giorni metteranno sotto processo 20 medici, accusati di aver occupato un ospedale durante le manifestazioni. In realtà essi sembra abbiano aperto le sale operatorie per curare i manifestanti feriti negli scontri violenti con le forze dell'ordine;
   il Bahrain è un Paese a maggioranza sciita, ma governato da una famiglia reale sunnita alleata dell'Arabia Saudita. Da oltre un anno la popolazione chiede riforme costituzionali e l'allontanamento del premier, lo sceicco Khalifah ibn Salman al-Khalifah, al potere dal 1971. Nel marzo 2011 l'opposizione sciita ha organizzato una sollevazione popolare, sull'onda della «Primavera araba». Per reprimere le manifestazioni il Governo ha chiesto aiuto all'alleato saudita, che è intervenuto inviando le forze speciali autorizzate a sparare sui dimostranti. Negli scontri sono morte 24 persone, tra cui 4 poliziotti. Le rivolte sono ricominciate con forza lo scorso 18 aprile in vista del gran premio di Formula 1. Per giorni migliaia di manifestanti hanno occupato le strade della capitale e dei villaggi a maggioranza sciita. Il Governo ha risposto con la forza imponendo il coprifuoco e arrestando centinaia di persone;
   l'interpellante aveva già presentato l'atto numero 5-05530 richiedendo l'attenzione del Governo su altri avvenimenti nel Barhein –:
   se i fatti citati corrispondano al vero e il Governo ne sia a conoscenza;
   come siano le relazioni diplomatiche con il Governo del Bahrain;
   come intenda il Governo muoversi a livello internazionale presso le sedi opportune per promuovere la difesa dei diritti umani nello stato del Bahrain. (5-06790)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nonostante l'annuncio del Governo giapponese, alla fine del 2011, che i liquidatori della Tokyo electric power company (Tepco) erano riusciti ad ottenere l'arresto a freddo dei tre reattori danneggiati, i bacini di stoccaggio delle scorie sono ancora a rischio, in particolare per l'instabilità della piscina di raffreddamento del reattore 4, dove il combustibile esaurito ha 10 volte più cesio-137 radioattivo di quello scaricato nell'atmosfera dalla tragedia nucleare di Chernobyl nel 1986; come riferisce anche il sito www.greereport.it la piscina di stoccaggio del combustibile esaurito del reattore 4 è stata danneggiata da due incendi e il livello dell'acqua era calato così tanto da mettere a nudo le barre stoccate al suo interno. Nessuno sa ancora quali siano i veri livelli di radiazione e di perdita di acqua ma molti esperti temono che un'ulteriore esposizione e il contatto con l'aria portino l'acqua della piscina in ebollizione, con una nuova minaccia di esplosioni di idrogeno del tipo di quelle che hanno già distrutto gli edifici del reattore, per non parlare dei danni ai rivestimenti delle barre di combustibile e dei rilasci di radiazioni;
   il senatore statunitense Roy Wyden, dopo la sua visita alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi il 6 aprile 2012, in un comunicato stampa ha denunciato il rischio catastrofico dell'unità 4 di Fukushima Daiich, chiedendo un intervento urgente del governo Usa ed ha anche inviato una lettera ad Ichiro Fujisaki, ambasciatore del Giappone negli Usa, chiedendo al Giappone di accettare l'aiuto internazionale per affrontare la crisi;
   esperti nucleari statunitensi e giapponesi come Arnie Gundersen, Robert Alvarez, Hiroaki Koide, Masashi Goto e diplomatici giapponesi come Mitsuhei Murata, ex ambasciatore giapponese in Svizzera e Akio Matsumura, un ex diplomatico Onu, insieme a 73 Ong giapponesi hanno rivolto un appello al Segretario Generale dell'Onu Ban Ki-moon per denunciare, da un lato, la gravità della situazione e la mancanza di informazione alla cittadinanza da parte del Governo giapponese e per proporre, dall'altro, che le Nazioni Unite organizzino un vertice per la sicurezza nucleare che si occupi del problema della piscina del combustibile nucleare esaurito dell'unità 4 di Fukushima Daiichi ed istituiscano un team indipendente di valutazione relativo all'unità 4 di Fukushima Daiichi coordinando l'assistenza internazionale al fine di stabilizzare il combustibile nucleare esaurito dell'unità ed evitare conseguenze radiologiche, con conseguenze potenzialmente catastrofiche; a giudizio degli interroganti, anche di fronte alla reticenza del Governo giapponese si rende necessario un intervento tecnico-scientifico internazionale per prevenire un le conseguenze irreversibili di una catastrofe che potrebbe influenzare le generazioni a venire –:
   quali iniziative si intendano intraprendere nei confronti del Governo giapponese perché accetti una collaborazione internazionale nella soluzione delle persistenti problematiche dell'impianto di Fukushima Daiichi. (4-15937)


   GOZI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Governo ha adottato importanti misure per poter fronteggiare la crisi, condanna giustamente la speculazione, si impegna per il recupero dei capitali esteri;
   il Governo ha più volte affermato di volersi impegnare nel riscrivere le regole della finanza internazionale;
   l'Argentina non rispetta quelle stesse regole internazionali che il G20 – dove siede – dovrebbe rivedere, né le sentenze dei tribunali internazionali (detiene il record di ricorsi al CSID) né nazionali (oltre 400 sentenze di condanna nella sola Germania);
   secondo analisti internazionali e fonti politiche interne, i dati economico-finanziari che l'Argentina presenta alla comunità internazionale non corrisponderebbero alla realtà e dal 2006 l'Argentina nega l'accesso ai propri dati al Fondo monetario internazionale, di cui è membro;
   l'ultimo concambio inverosimilmente dilazionato al 2038 proposto dal Governo argentino a parziale riparazione del debito, è insoddisfacente, poiché decurta circa del 75 per cento il valore dell'investimento, è inferiore a quello proposto nel 2005 e già rifiutato da una larga parte degli investitori;
   il debito che il Governo argentino ha maturato nei confronti dei risparmiatori italiani con il default del 2002, è di oltre 4 miliardi e mezzo di dollari americani, ai quali si aggiungono gli interessi passivi e il mancato gettito erariale per un importo che al 2007 superava gli 11 miliardi di dollari americani, pari, secondo alcune stime, all'1 per cento del prodotto interno lordo;
   in altri Paesi sono state promosse iniziative a sostegno dei propri connazionali per consentire loro di riottenere le somme investite in Argentina;
   il Governo di Buenos Aires ha di recente intrapreso una politica di nazionalizzazione delle imprese straniere presenti sul territorio argentino, come nel caso della spagnola Ypf –:
   quale atteggiamento il Governo intenda assumere in merito alla richiesta spagnola e americana di espulsione dell'Argentina dal G20 e all'iniziativa spagnola di bloccare il credito della World Bank;
   quali iniziative si intendano prendere a protezione degli investimenti italiani in Argentina;
   quali iniziative si intenda assumere il Governo per riscuotere il debito che l'Argentina ha nei confronti degli investitori italiani e dell'erario pubblico in quanto a mancato gettito fiscale. (4-15942)


   GIANNI FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'apertura della delegazione di Metz della camera di commercio Italiana di Parigi veniva decisa diversi anni orsono non usufruendo così così di un consistente contributo aggiuntivo da parte del Ministero del commercio estero;
   da anni oramai la CCIF di Parigi sia commissariata in gravissima difficoltà sommersa da debiti, anche a livello fiscale;
   ci si domanda per quali motivi si mantenga in vita l'ente (che è sempre stato un duplicato dell'ICE, oggi risorto dalle sue ceneri) e questo malgrado il fatto che l'ipotesi di chiusura definitiva sia stata portata a più riprese all'ordine del giorno delle Assemblee generali delle Camere di commercio;
   la delegazione di Metz in questi ultimi anni non risulta aver registrato alcun genere di attività significativa, eccezion fatta per l'organizzazione del padiglione italiano alla fiera di Metz;
   gli espositori, sempre gli stessi, risultano essere in gran parte commercianti in salumi o venditori di capi di abbigliamento di basso costo taluni con etichette all'interno «made in Taiwan», cosa che ad avviso dell'interrogante arreca un serio nocumento di immagine nazionale, specie in un paese attento come la Francia;
   risulta che per l'edizione 2011 l'ente fiera abbia escluso la partecipazione della Delegazione dall'organizzazione del padiglione italiano a seguito delle proteste di diversi espositori che lamentavano che la delegazione intendeva rivendere loro lo spazio espositivo messo a disposizione dalla Fiera a prezzo consistentemente maggiorato;
   risulta che la delegazione non abbia mai organizzato presenze italiane alle fiere di Nancy e Strasburgo, iniziative forse meno importanti di Metz, ma comunque aventi luogo in città di primaria importanza nell'Est della Francia, la delegazione risulterebbe del tutto sconosciuta in queste città;
   la delegazione di Metz per anni ha organizzato corsi di «italiano commerciale», rilasciando sino a non molto tempo addietro un vero e proprio «diploma», il cui fondamento normativo non è noto all'interrogante. Sarebbe legittimo parlare di attestato;
   non è altresì noto che tipo di controllo venisse effettuato sulla didattica e sulla qualità dell'insegnamento;
   la delegazione di Metz rappresenta un ulteriore e gravoso passivo nel bilancio generale della Camera di Parigi e gran parte di questo passivo è rappresentato dalle retribuzioni –:
   in un momento di serie ristrettezze di bilancio, che colpiscono l'operatività degli enti gestori dei corsi di italiano, in Francia e in Europa, dei Comites, il cui funzionamento, anche per le chiusure delle loro sedi, è, unicamente, legato al volontariato degli eletti per non parlare della drastica riduzione del personale e della persistente minaccia di ulteriori chiusure di uffici consolari, fatti che mettono in dubbio la stessa organizzazione delle prossime elezioni politiche e il rinnovo degli organismi elettivi della comunità italiana, come si concili, a Parigi come a Metz, quello che all'interrogante appare un sostanziale spreco di risorse e quali disposizioni il ministro interrogato intenda assumere per ovviare ad una situazione che all'interrogante appare incresciosa e insostenibile agli occhi della nostra collettività.
(4-15961)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSENZA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in molte parti d'Italia gli impianti di depurazione delle acque reflue non funzionano, come dimostrato dalla procedura d'infrazione europea per violazione della direttiva comunitaria 91/271/CEE;
   la situazione è particolarmente grave nel Mezzogiorno e soprattutto nella regione Campania (come peraltro più volte denunciato dall'interrogante con gli atti di sindacato ispettivo e di indirizzo al Governo n. 3/00618, n. 5/02141, n. 5/01460 e n. 7/00336);
   il malfunzionamento dei depuratori causa danni enormi alla salute dei cittadini, all'ambiente e all'economia visti i mancati afflussi turistici verso tratti di mare rovinati dallo scarico di acque non depurate e liquami;
   nonostante l'approvazione della risoluzione conclusiva n. 8/00153, accolta dal Governo e approvata dalla Commissione ambiente della Camera nella seduta del 26 ottobre 2011, ancora oggi mancano specifici indirizzi per attuare azioni specifiche e organiche;
   bisogna prendere atto dell'insussistenza degli accordi di programma che pure lo Stato ha stipulato con le regioni in materia di depurazione (si pensi, per restare al caso della Campania, ai risultati inesistenti seguiti all'accordo-quadro sulla «tutela delle acque e gestione integrata delle risorse idriche» del 30 dicembre 2003 e al relativo atto integrativo del 20 dicembre 2007) –:
   quali iniziative intenda assumere per l'adozione di un piano nazionale sulla depurazione delle acque che metta l'Italia nelle condizioni di adempiere agli obblighi comunitari e di dare reale attuazione all'articolo 117 della Costituzione sulla tutela dell'ambiente;
   se si ritenga opportuno presentare al Parlamento, una relazione annuale recante l'aggiornamento del piano nazionale di trattamento e gestione delle acque reflue, contenente anche l'indicazione dei risultati raggiunti e delle eventuali criticità registrate nel perseguimento degli obiettivi;
   quali iniziative, in generale, il Ministro interrogato intenda assumere per dare una soluzione definitiva e concreta al delicato problema in questione. (4-15933)


   MARGIOTTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9, comma 11, della legge quadro sulle aree protette (legge 6 dicembre 1991, n. 394), come modificato dall'articolo 2, comma 25, della legge n. 426 del 1998, prevede che «Il direttore del parco è nominato, con decreto, dal Ministro dell'ambiente, scelto in una rosa di tre candidati proposti dal consiglio direttivo tra soggetti iscritti ad un albo di idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco istituito presso il Ministero dell'ambiente, al quale si accede mediante procedura concorsuale per titoli»;
   il testo originario della norma citata prevedeva che il direttore del parco fosse nominato dal Ministro dell'ambiente previo concorso pubblico per titoli ed esami di dirigente superiore del ruolo speciale di «direttore di parco» istituito presso il Ministero dell'ambiente ovvero con contratto di diritto privato stipulato per non più di cinque anni con soggetti iscritti in un elenco di idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco, istituito e disciplinato con decreto del Ministro dell'ambiente. In sede di prima applicazione, inoltre, la norma in questione, consentiva l'affidamento dell'incarico anche a soggetti particolarmente esperti in materia naturalistico-ambientale, anche se non iscritti nell'elenco;
   con decreto del Ministro dell'ambiente in data 28 giugno 1993, è stato istituito l'elenco degli idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco, prevedendo quali requisiti per l'iscrizione il diploma di laurea e la «specifica ed elevata competenza in materia naturalistico-ambientale», valutata da una commissione appositamente costituita, sulla base di «qualsiasi titolo scientifico, di studio o di servizio» atto a dimostrarla. Con altro provvedimento il Ministro avrebbe, poi, fissato il termine per la presentazione delle domande;
   con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 14 aprile 1994 venivano individuati i soggetti in possesso dei requisiti per lo svolgimento delle funzioni di direttore di parco ai fini della loro iscrizione nell'elenco, mentre con successivo decreto, in data 3 luglio 1995, veniva assegnato un termine per «presentare ulteriori domande di partecipazione al giudizio di idoneità di cui all'articolo 3 del decreto ministeriale del 28 giugno 1993». La Commissione nominata per la valutazione delle domande pervenute a seguito del decreto del 1995, peraltro, non è mai divenuta operativa, neppure a seguito di nuovo atto di nomina emanato dal Ministro dell'ambiente in data 3 novembre 1997. Anche per questo la citata legge n. 426 del 1998, che ha istituito l'albo in luogo dell'elenco, oltre a dettare la nuova disciplina per l'accesso all'albo medesimo, disponeva l'iscrizione di diritto per tutti i direttori di parco in carica alla data di entrata in vigore della legge stessa;
   vale la pena a tal punto constatare che dal 1991, anno di approvazione della legge quadro sulle aree protette, fino al 1998, anno della citata riforma, l'accesso all'elenco o albo che dir si voglia degli idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco è stato consentito in virtù della norma transitoria contenuta nella prima versione dell'articolo 9, comma 11, della legge n. 349 del 1991, per coloro che erano stati nominati direttori sulla base della particolare esperienza in materia naturalistico-ambientale, anche se non iscritti nell'elenco, e a seguito della procedura concorsuale avviata dalla norma transitoria contenuta nell'articolo 4 del più volte citato decreto ministeriale 28 giugno 1993, per coloro che avessero presentato domanda «in sede di prima applicazione». Sostanzialmente, non volendo escludere che per alcuni una valutazione di titoli e competenze sia avvenuta, fino al 1998 buona parte degli idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco non è stata sottoposta ad alcuna seria e non discriminatoria procedura concorsuale, come sarebbe dovuto avvenire in base alla legislazione speciale vigente o secondo i principi e le norme generali del pubblico impiego;
   con il decreto del Ministro dell'ambiente del 10 agosto 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 novembre 1999, emanato in attuazione dell'articolo 2, comma 25, della richiamata legge n. 426 del 1998, viene istituito l'Albo degli idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco, comprendendovi tutti gli iscritti al cancellato elenco, e si stabilisce che «il Ministro dell'ambiente, con cadenza biennale, provvede ad indire, con proprio decreto, il bando di concorso per titoli per l'iscrizione all'albo...». Il decreto ministeriale del 2 novembre 2000, che annulla l'infruttuoso decreto del 3 luglio 1995, all'articolo 5 stabilisce che con successivo decreto sarebbe stato indetto il suddetto bando di concorso, cosa che avviene, dopo quasi due anni, con il decreto 2 luglio 2002, pubblicato nel mese di ottobre dello stesso anno. La procedura attivata con il decreto del novembre 2000 si conclude, finalmente, con la pubblicazione nel gennaio del 2004 dell'elenco dei soggetti risultati idonei;
   l'unica altra procedura concorsuale per l'iscrizione all'albo degli idonei all'attività di direttore di parco di cui si abbia notizia, è quella attivata con il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 25 luglio 2007, conclusasi con la pubblicazione della lista degli idonei, avvenuta con nuovo decreto in data 19 marzo 2010;
   da quanto finora esposto sembra possibile trarre alcune evidenti conclusioni:
    a) l'elenco è stato costituito, in fase di prima attuazione, sanando una situazione di fatto, quindi, per alcuni, senza un'approfondita valutazione di requisiti, e grazie alla procedura concorsuale avviata nel 1993;
    b) successivamente, con la riforma del 1999 che ha sostituito l'elenco con l'albo, sono stati effettuati soltanto due concorsi invece dei sei che si sarebbero dovuti tenere in base al decreto ministeriale medesimo;
    c) in oltre venti anni sono state effettuate solo tre procedure per l'accesso all'albo, con evidente pregiudizio di tutti coloro che, pur ritenendo di averne i requisiti, non hanno potuto partecipare alle numerose selezioni promosse dai parchi nazionali nei lunghi intervalli di tempo tra un bando e l'altro;
    d) le uniche due procedure svolte dopo il 1999 hanno richiesto in media oltre tre anni dal bando alla pubblicazione della graduatoria, circostanza che rende inutile la previsione della «cadenza biennale» del bando di concorso, contenuta nella normativa vigente;
    e) l'accesso all'albo, ancorché disciplinato in modo da garantire imparzialità, trasparenza, parità di trattamento e selettività, è stato realizzato secondo l'interrogante in modo discriminatorio, parziale, poco selettivo, com’è dimostrato dall'incertezza e dall'arbitrarietà sui tempi e dalla variabilità (se non addirittura carente valutazione) dei requisiti –:
   se non ritengano opportuno i Ministri interrogati, alla luce di quanto esposto in premessa, anche al fine di evitare gli inevitabili ricorsi contro i bandi che saranno prossimamente emanati per il rinnovo dei direttori di alcuni importanti parchi nazionali, promuovere la revisione delle richiamate norme di legge e regolamentari, aprendo, nelle more della citata riforma, e senza porre limiti temporali, l'accesso all'albo, a tutti coloro che abbiano svolto le funzioni di direttore in una delle aree protette di cui all'elenco pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31 maggio 2010, e a quanti siano in possesso dei pochi requisiti realmente idonei a garantire attitudini, competenze e capacità specifiche, facilmente dimostrabili con titoli di studio e stati di servizio e agevolmente valutabili anche in sede ministeriale. (4-15944)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta orale:


   RAO, DIONISI e ENZO CARRA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il centro storico di Roma e le principali zone turistiche della Capitale sono quotidianamente invase da camion bar, bancarelle di souvenir e persino banchi di frutta;
   si tratta di una situazione che si protrae ormai da circa venti anni senza che si sia mai attuato un vero controllo sulle licenze e sulle più banali regole di sicurezza e di tutela della salute per quanto riguarda i punti ristoro;
   secondo i dati forniti dal municipio, solo nel centro storico si contano 323 postazioni: 73 fisse; 23 cosiddette «anomale»; 39 stagionali e 188 a rotazione (in questo caso si alternano 69 camion bar e 112 venditori ambulanti di gadget, souvenir ma non mancano le bancarelle che espongono di tutto, dalla frutta alle mutande);
   oltre a ragioni di decoro urbano, l'attività di camion bar e bancarelle nel centro storico andrebbe monitorata dal punto di vista fiscale in quanto il rilevante giro di affari spesso sfugge a qualsiasi tipo di controllo;
   la metà delle postazioni occupate a rotazione dai camion bar sono state autorizzate con una delibera del 12 luglio 1989 (la n. 4828) che, tuttavia, prevedeva un parere vincolante e preventivo della soprintendenza dei beni ambientali e architettonici di Roma che non è mai arrivato, per cui la medesima presenterebbe un vizio di forma;
   successivamente, il 7 giugno 1990, in vista dei mondiali di calcio, la giunta emise una nuova delibera che consentiva lo svolgimento delle attività di vendita di bibite e sorbetti «fino al 15 luglio 1990» e su tale delibera la sovrintendenza emetteva un parere favorevole ma temporaneo in quanto legato alla scadenza del 15 luglio 1990;
   nel corso degli anni si è realizzata un tacita estensione del parere, temporaneo, reso dalla sovrintendenza alla delibera del 1990, a quella precedente che di fatto non è stata mai impugnata per il vizio di forma che presentava;
   nel 1999, inoltre, la regione Lazio è intervenuta con la legge n. 33 contenente il «principio di equivalenza» che prevede l'obbligo di garantire una collocazione di «equivalente rilevanza economica» nel caso di spostamenti di ambulanti, offrendo così ai sindaci il pretesto per non liberare le aree di pregio della Capitale dall'invasione di camion bar e bancarelle;
   sollecitato da una lettera del 19 marzo 2012 dalla Soprintendente dell'area archeologica di Roma, che ha dichiarato abusive le postazioni prive del preventivo e vincolante nulla osta della soprintendenza, il sindaco Alemanno ha fatto presente l'impossibilità di procedere allo sgombero di camion bar e bancarelle in vigenza della legge regionale n. 33 del 1999;
   è superfluo rimarcare che tale situazione rappresenta un unicum e che nelle principali capitali europee l'attività commerciale degli ambulanti è rigidamente disciplinata soprattutto nei pressi dei più importanti siti di interesse storico-artistico –:
   quali urgenti e concrete iniziative, d'intesa con l'amministrazione comunale, intendano adottare al fine di tutelare il patrimonio demaniale ed il decoro urbano della città di Roma e per realizzare i necessari controlli sull'attività commerciale delle postazioni presenti nelle aree di maggior pregio della Capitale, al fine di colpirne l'eventuale evasione fiscale.
(3-02249)

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E INTEGRAZIONE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, per sapere – premesso che:
   in merito alle dichiarazioni del Ministro Riccardi il quale, ad avviso dell'interpellante, ha introdotto oggettivamente un ulteriore elemento di divisione e conflittualità quale quello del diritto di cittadinanza ai bambini nati in Italia;
   per sua esplicita ammissione il multiculturalismo è entrato in crisi in Francia e Gran Bretagna è dubbio se sia opportuno introdurre tale multiculturalismo in Italia;
   in un momento in cui l'Italia e l'Europa sono in crisi di identità ed una certa cultura di orientamento laicista e protestante in nome della presunta laicità deliberatamente emarginando ogni riferimento alla tradizione culturale Giudaico-Cristiana che è l'elemento fondante e costitutivo del nostro essere italiani ed europei, occorrerebbe, da parte del Governo, la consapevolezza della problematicità delle affermazioni del suddetto Ministro Riccardi ed un'accentuazione nelle scuole della caratterizzazione culturale cristiana, pur nel rispetto di tutti, ma senza dimenticare che il nostro Paese ha una propria storia e tradizione che non può essere abbandonata;
   una corretta integrazione presuppone da parte di chi viene da altri Paesi l'accettazione dell'ordinamento giuridico del paese ospitante e la condivisione della sua storia ed identità ma diventa difficile che tutto questo possa avvenire quando bambini nati in Italia o non frequentano le scuole italiane o crescono in famiglie (tipo mussulmane) ancora profondamente estranee se non ostili alla nostra civiltà;
   si ha riprova di quanto sopra costantemente nella cronaca italiana soprattutto per la condizione femminile –:
   se intenda verificare ed eventualmente procedere alla modifica ed integrazione della normativa già esistente per favorire una completa integrazione che comprenda pure l'accettazione piena dell'ordinamento giuridico del Paese ospitante e la condivisione, senza ambiguità di sorta, della sua storia e tradizione.
(2-01479) «Garagnani».

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   PAGLIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 18 aprile 2001 il comune di Pisa, la Presidenza del Consiglio dei ministri, l'Agenzia del demanio, il comando generale della Guardia di finanza, il Ministero del tesoro, la soprintendenza regionale per i beni culturali, la regione Toscana e l'azienda regionale per il diritto allo studio universitario hanno sottoscritto un accordo (ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 241 del 1990) per procedere alla riqualificazione della città di Pisa, attraverso la valorizzazione del patrimonio storico-artistico, la razionalizzazione della presenza nel centro urbano degli uffici economico-finanziari, specificamente della caserma della guardia di finanza (oggi realizzata) e la delocalizzazione dal centro urbano di Pisa delle funzioni militari che avrebbero consentito il recupero alla città delle caserme «Curtatone e Montanara», «Artale» e «Bechi Luserna», a fronte della costruzione – a cura e a spese del comune – della nuova caserma nell'area di Ospedaletto, da realizzarsi secondo i nuovi canoni di sicurezza (espresse secondo le esigenze del Ministero della difesa) con studio di fattibilità realizzato dal comune pari a 494.618,40 euro;
   il 13 luglio 2007 è stato sottoscritto l'accordo di programma previsto dall'intesa del 2001, volto a dare concretezza agli impegni a suo tempo assunti tra le parti (comune di Pisa, agenzia del demanio e ministero della Difesa) per definire tempi e modalità per la realizzazione degli interventi in esecuzione con le necessarie susseguenti varianti agli strumenti urbanistici e studi di progetto con apposito gruppo di lavoro, per una spesa complessiva di 965.762 euro;
   il comune di Pisa, fin dal 2007, ha proposto di modificare l'accordo di programma anticipando il passaggio di proprietà della caserma «Curtatone e Montanara», inutilizzata dal 1995, vincolato alla realizzazione della nuova caserma di Ospedaletto per ben 77 milioni di euro assommabili ai 105 milioni di euro necessari al ripristino ad usi civili delle caserme da recuperare in centro; per tali realizzazioni il comune ha già speso 1.500.000 euro cui dovrebbero aggiungersi altri 5.000.000 per provvedimenti espropriativi;
   il comune di Pisa ha sottolineato come i beni in permuta consegnabili dalla Difesa abbiano un valore determinato dall'Agenzia del demanio di 68.000 euro, a fronte di una determinazione di progetto di una nuova caserma pari a 77.159.560 euro (valore determinato dal ministero della difesa): è evidente che tale valore comporta uno scostamento dal principio fondamentale dell'accordo di programma del 2007 che parlava di cambio di beni immobili di «valore equipollente»; ciò ha finito col determinare molti ripensamenti e rallentare, quindi, notevolmente le fasi attuative ed esecutive dell'accordo;
   il comune di Pisa, impegnato nella ricerca di una soluzione condivisa, ha proposto, in una riunione tenutasi a Roma tra i suoi rappresentanti del Geniodife, dello Stato maggiore della difesa e dello Stato maggiore dell'Esercito, una modifica dell'accordo di programma nel senso di prevedere l'anticipo di cessione in proprietà delle caserme a stato di avanzamento dei lavori per la nuova caserma con una suddivisione del progetto per lotti funzionali per valori equipollenti alle tre caserme in cessione con tutte le garanzie del caso, al fine di avviare un lavoro che ormai vede impegnati tutti i sovraindicati enti da ben 12 anni, vincolando l'ente attuatore comune a ricevere la proprietà di ciascuna caserma susseguentemente alla realizzazione di lotto equipollente –:
   a che punto sia, ad oggi, la questione relativa alla realizzazione della caserma di cui in premessa, che oltre a rappresentare un'importante occasione di sviluppo per l'intera comunità pisana, in una fase di profonda trasformazione della città, di forte rilancio urbanistico e turistico della stessa, costituisce un'opera attesa, oramai da anni, soprattutto dalle forze armate di stanza a Pisa della Brigata Folgore che necessitano di una sicura e più efficace base operativa, più funzionale, per posizione, all'attività operativa di Ospedaletto, all'aeroporto militare «San Giusto» e alla sede generale di Livorno. (5-06798)


   ROSATO, RUGGHIA, GAROFANI, VILLECCO CALIPARI, GIACOMELLI, GIANNI FARINA, LA FORGIA, LAGANÀ FORTUGNO, MOGHERINI REBESANI, RECCHIA e VICO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   i debiti arretrati che la pubblica amministrazione ha accumulato nei confronti delle imprese fornitrici di beni e servizi ammontano, sulle basi di stime da tutti riconosciuti valide, a circa 70-90 miliardi di euro;
   una parte significativa dei beni e servizi necessari allo svolgimento delle attività delle Forze armate viene assicurata da imprese private sulla base di contratti diretti o in sub-appalto;
   il ritardo dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, in una fase segnata da una difficile congiuntura economica e da politiche di rigore sul versante degli adempimenti fiscali e di recupero dei tributi non pagati, pesa ancora di più sui bilanci delle aziende fornitrici;
   notizie di stampa hanno riportato alcune situazioni, quali ad esempio quella dell'azienda Mectex, fornitrice di tute mimetiche, che chiamano in causa il Ministero della difesa come debitore nei cui confronti l'azienda vanterebbe crediti che contribuiscono ad aggravare una situazione non facile in cui si è venuta trovare l'azienda –:
   prescindendo dal caso particolare sopracitato esclusivamente a titolo esemplificativo, quante siano le aziende fornitrici che vantano debiti con l'Amministrazione della difesa e a quanto ammonti il debito totale per beni e servizi già forniti.
(5-06799)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BITONCI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane, in alcuni comuni della Saccisica compresi tra Piove di Sacco, Codevigo, e Correzzola (Padova), si sono verificati alcuni furti di vario tipo che hanno procurato preoccupazione nella cittadinanza delle zone interessate dal fenomeno;
   il contrasto di questo fenomeno criminoso è effettuato principalmente dalle forze di polizia locale e dei carabinieri, i quali, nonostante la grande estensione del territorio e anche grazie alla collaborazione con le amministrazioni comunali, si stanno adoperando affinché venga garantito un controllo sempre maggiore per i cittadini;
   la tensione nell'area è particolarmente cresciuta nei giorni passati, dopo che nel corso di un tentativo di rapina operato da alcuni malviventi di origine moldava ai danni di un tabaccaio di Civè di Correzzola, lo stesso tabaccaio, per sottrarsi al tentativo di rapina e successivamente alla colluttazione scaturita con i malviventi, ha colpito a morte uno dei componenti della banda, mentre i rimanenti sono stati successivamente arrestati dalle forze dell'ordine;
   la preoccupazione dei cittadini dell'area è estremamente elevata, tanto che, nel corso di un consiglio comunale convocato d'urgenza dall'amministrazione comunale di Correzzola, tutti i rappresentanti politici locali, i sindaci del territorio, oltre che i cittadini presenti all'incontro, hanno ribadito a gran voce come si renda necessario potenziare le forze dell'ordine presenti sul territorio, così da poter fornire strumenti e adeguate risorse umane per controllare efficacemente il vasto territorio;
   tra la caserma dell'Arma dei carabinieri di Piove di Sacco e la caserma dell'Arma di Codevigo, comune limitrofo, operano oggi meno di venti unità, laddove, in relazione alle tabelle del comando generale dei carabinieri, il dato dovrebbe essere nettamente superiore a quello attuale, tanto che l'amministrazione comunale di Piove di Sacco, già nell'aprile del 2010, aveva richiesto al comando regionale dei carabinieri la possibilità di poter aumentare le unità in forza alla compagnia di Piove di Sacco –:
   se, considerati i gravi fatti occorsi e in ragione dell'elevata preoccupazione evidenziata dai residenti dell'area, non si ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza allo scopo di favorire un rafforzamento delle risorse umane a disposizione dell'Arma di carabinieri di Piove di Sacco e Codevigo. (4-15921)


   ROSATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   non risulta ancora presentata in Parlamento la «Nota aggiuntiva», che così come previsto dagli articoli 12 e 548 del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010 deve illustrare, tra l'altro:
    a) lo stato di attuazione dei programmi di costruzione, acquisizione e ammodernamento di mezzi, impianti e sistemi, di cui ai pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero della difesa;
    b) l'indicazione, per ciascun programma dell'esigenza operativa, della quantità, dell'onere globale, dello sviluppo pluriennale e della percentuale di realizzazione –:
   quali siano le ragioni del ritardo nella presentazione della «Nota aggiuntiva»;
   se il Ministro interrogato intenda, nelle more della presentazione del documento sopracitato, che si auspica sia depositato con ogni possibile sollecitudine, anticiparne alcuni elementi essenziali, al fine di rendere noto al Parlamento:
    a) l'elenco dei programmi di investimento per sistemi d'arma, già sottoscritti, relativi alla costruzione, acquisizione e ammodernamento di mezzi, impianti di sistemi e i relativi costi;
    b) gli impegni di spesa e lo sviluppo temporale previsto per ciascun programma;
    c) l'ammontare complessivo degli impegni finanziari pluriennali già sottoscritti. (4-15936)


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Governo con la spending review ha deciso di intervenire sulle voci di spesa delle pubbliche amministrazioni, per evitare inefficienze, eliminare sprechi e ottenere risorse da destinare allo sviluppo e alla crescita;
   il 10 maggio 2012 avranno luogo i festeggiamenti per l'anniversario della costituzione delle prime unità dell'Aviazione leggera dell'Esercito avvenuto nel 1951 –:  
   quale sia per il corrente anno l'importo della spesa complessiva destinata ai festeggiamenti di cui in premessa e se per il futuro non ritenga opportuno eliminarla e restituire i fondi stanziati al bilancio dello Stato. (4-15938)


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   una nota di agenzia ha diffuso la notizia «ANSA/URANIO: QUIRRA; PM LANUSEI CHIEDE 20 RINVII A GIUDIZIO FRA INDAGATI SINDACO, GENERALI ED EX COMANDANTI POLIGONO SARDO (ANSA) — NUORO, 5 MAGGIO — Sono 20 i rinvii a giudizio chiesti dal procuratore della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi, al termine delle indagini per disastro ambientale nell'area del Poligono sperimentale interforze del Salto di Quirra in Sardegna. Fra i nomi eccellenti vi sono i generali e gli ex comandanti che si sono avvicendati negli anni sia a Perdasdefogu sia nel distaccamento a mare di San Lorenzo (Villaputzu): i generali Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Carlo Landi e Valter Mauloni, i colonnelli Gianfranco Fois e Francesco Ragazzon, il tenente Walter Carta, i professori, ricercatori e tecnici universitari Francesco Riccobono, Giuseppe Prolano, Fabio Baroni, Luigi Antonello di Lella. E ancora il sindaco di Perdasdefogu, Walter Mura, il generale Giuseppe di Donato, il maggiore Vincenzo Mauro e il dottor Vittorio Sabbattini, oltre a due tecnici della società Sgs, organismo che si occupa di ispezioni, verifiche e analisi, Gilberto Nobile e Gabriella Fasciani. Le accuse vanno da omissioni dolose, favoreggiamento, falso ideologico in atto pubblico e addirittura ostacolo aggravato alla difesa del disastro ambientale nel Poligono interforze di Quirra, Sardegna sud orientale. Secondo il magistrato le morti sospette per tumori e leucemie fra i civili sono da ricondurre all'inquinamento prodotto dagli esperimenti di armi e munizioni, nonché allo “smaltimento illecito di rifiuti”, ossia “brillamenti o interramenti di materiale bellico (bombe e munizioni), senza nessuna cautela per l'ambiente”. Dopo la decisione del Pm Fiordalisi, che martedì prossimo riferirà alla Commissione del Senato che si occupa di uranio impoverito, è intervenuta la società Sgs che ritiene nulla la richiesta di rinvio a giudizio per i suoi tecnici. “In questo procedimento i chimici della Sgs non dovrebbero esserci — ha spiegato la società — perché oltre a non essere in alcun modo colpevoli dei fatti addebitati, non sono nemmeno pubblici ufficiali, come assume invece l'accusa”. Per la Sgs, quindi, “la richiesta di rinvio a giudizio, che peraltro non è ancora stata notificata, conferma un atteggiamento prevenuto da parte del procuratore Fiordalisi nei confronti della società ed è inoltre gravemente lesiva dei diritti della difesa in quanto, a norma del codice di procedura penale, dalla messa a disposizione degli atti d'indagine devono trascorrere 20 giorni per consentire agli indagati di esercitare il proprio diritto alla difesa. Al contrario l'ultimo atto è stato notificato ai chimici Sgs soltanto nove giorni fa, il 26 aprile. Questa richiesta di rinvio a giudizio è nulla e gli indagati chiederanno l'annullamento»  –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e circostanze rappresentati in premessa e quali urgenti iniziative intenda assumere in merito. (4-15939)


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano la Nuova Ferrara del 4 maggio scorso è pubblicato un articolo dal titolo «Poche auto per i carabinieri – Troppi tagli, esplode il caso: ”Siamo costretti a restare di più a casa, ma la gente chiede sicurezza”» a firma di Davide Bonesi;
   nell'articolo si legge «La gente chiede maggiore sicurezza, la risposta è il taglio delle auto e dei turni di lavoro per ragioni di bilancio». A lanciare l'allarme è un carabiniere che lavora nella nostra città, preoccupato per la situazione presente già da diverso tempo, ma acuitasi negli ultimi giorni. Ovviamente il carabiniere rimane anonimo, lo scopo è quello di denunciare una situazione non più tollerabile, ovviamente non dipendente da decisioni del comando provinciale, quanto legate ai tagli decisi dallo Stato in tutti i settori. «Ma la sicurezza è più importante – spiega –, ad esempio senza auto funzionanti è difficile lavorare. Non parlo solo degli interventi effettivi, bensì anche dell'opera prevenzione che si fa, visto che la circolazione di mezzi delle forze dell'ordine è sempre un ottimo deterrente». Ma qual è la situazione attuale dei vostri reparti? «Il problema è generale, anche alle altre forze dell'ordine. Faccio un esempio pratico parlando del radiomobile, che forse sta sentendo in misura maggiore questa difficoltà. In teoria dovrebbero esserci in strada tre auto per ogni turno, di prassi ne circolano due ma negli ultimi giorni sono arrivati ad una sola autovettura e tanti colleghi a casa in un numero maggiore di turni. I motivi? Innanzitutto non ci sono auto: il nostro parco macchine è di dieci vetture, tre delle quali hanno meno di tre anni. Le altre sono più vecchie e hanno percorso ormai tantissimi chilometri, di recente ad una si è fuso il motore e nelle ultime settimane ne sono state rottamate diverse, non ancora sostituite. E lo stesso vale per i ricambi: se andiamo tramite la nostra officina si aspetta troppo, così spesso ci affidiamo ad altre officine con tempistiche lunghe per gli appalti e ci tocca stare ad aspettare dei mesi la riparazione di un mezzo». Non è un problema solo del vostro corpo però... «Vero, ma per i carabinieri è più pesante, perché il nostro lavoro è soprattutto in strada, non in ufficio. I tagli sono generalizzati e da un certo punto di vista comprensibili, ma è proprio in un periodo difficile come questo per la sicurezza che bisogna rispondere con tutte le nostre forze ed anche con la prevenzione». E visto che avete poche auto adesso cosa state facendo? «Capita di sbrigare la burocrazia in ufficio, però il più delle volte veniamo forzatamente messi in turno a casa. Questo ci danneggia per due motivi, perché cala la busta paga e perché non possiamo neppure organizzarci i nostri giorni di riposo. Alcuni miei colleghi si sono arrabbiati pesantemente per questa situazione. Qualche altro li ha sostituiti, stando a casa a propria volta, ma ovviamente non si potrà fare sempre così»;
   «il fatto – continua – è che non sappiamo a chi rivolgerci: è ovvio che i nostri superiori conoscono la situazione, però possono fare ben poco, non dipende da loro. Ognuno di noi così si muove per proprio conto, io ho deciso di rivolgermi al giornale per far conoscere la situazione ai cittadini, in un momento nel quale chiedono maggiori risposte da parte delle forze dell'ordine» –:
   se siano a conoscenza di quanto narrato nell'articolo in premessa;
   se i fatti corrispondano al vero e quali immediate azioni intendano intraprendere in merito. (4-15941)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'Accademia Britannica srl, con sede legale a Campobasso, si occupa di soggiorni di studio all'estero, in particolare in Gran Bretagna e Irlanda;
   su di essa sono stati presentati, in questi ultimi anni, diversi atti di sindacato ispettivo (n. 5-00051, n. 4-00491, n. 4-01632, n. 4-05004, n. 4-05885 e n. 4-07505) nei quali si evidenziavano fatti di evasione fiscale, violazioni delle regole di concorrenza, false attestazioni e falsità in atto pubblico anche in relazione al possibile danno all'erario per quel che riguarda il mancato versamento dell'imposta sul valore aggiunto;
   il 20 gennaio 2010 il tribunale di Roma ha richiesto il rinvio a giudizio degli amministratori della società Accademia Britannica srl, in concorso tra loro, per truffa, falsità ideologica e false attestazioni;
   il tribunale ha proposto, altresì, il rinvio a giudizio di taluni funzionari dell'INPDAP, con l'imputazione di abuso di ufficio e concussione, per aver tentato di arrecare ingiusti vantaggi patrimoniali alla società in titolo;
   precedentemente, sia l'Agenzia delle entrate di Roma, sia l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, avevano ampiamente chiarito all'INPDAP l'errata applicazione del regime IVA agevolato da parte di Accademia Britannica, in relazione ai contratti sottoscritti per le vacanze di studio in Gran Bretagna e in Irlanda di studenti italiani figli di dipendenti INPDAP;
   in sostanza, le prestazioni di servizio relative ai cosiddetti «pacchetti turistici tutto compreso» sono disciplinate dall'articolo 74-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e non dal regime agevolato di cui all'articolo 10, comma 1, n. 20, dello stesso decreto del Presidente della Repubblica, per il quale l'accademia Britannica ha erroneamente o dolosamente optato –:
   quali iniziative abbia adottato l'Agenzia delle entrate per la verifica della regolarità fiscale delle fatture emesse dalla Accademia Britannica nei riguardi di INPDAP nel periodo 2007-2012 e per il recupero delle somme IVA indebitamente non evidenziate in fattura;
   per quali motivi l'Agenzia delle entrate, che abitualmente segnala con estrema sollecitudine ad Equitalia ogni minimo errore negli adempimenti fiscali dei cittadini, non abbia adottato eguale solerzia nel caso esposto in premessa;
   se non ritenga necessario predisporre una verifica nei riguardi Agenzia delle entrate di Campobasso che per lungo tempo ha omesso di attivarsi sulla vicenda.
(2-01480) «Grassano, Lehner, Mazzuca, Pisacane, Mario Pepe (Misto-R-A), D'Alessandro, Garagnani, Stradella, Rosso, Marinello, Germanà, Fugatti, Fucci, Cesario, Giro, Pescante, Palumbo, Taddei, Versace, Mottola, Iapicca, Misiti, Scalera, Iannarilli, Stracquadanio, Angeli, Sisto, Mannucci, Catone, Gianni, Di Virgilio, Bernardo, Ossorio, Nucara, De Luca, Barani, Guzzanti, Sardelli».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il comma 1011 della legge finanziaria 2007 dispose che: «Ai soggetti destinatari dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 10 giugno 2005, n. 3442, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 17 giugno 2005, interessati dalla proroga dello stato di emergenza nella provincia di Catania, stabilita per l'anno 2006 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 dicembre 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2005, è consentita la definizione della propria posizione entro il 30 giugno 2007, relativamente ad adempimenti e versamenti, corrispondendo l'ammontare dovuto per ciascun tributo e contributo a titolo di capitale, al netto dei versamenti già eseguiti a titolo di capitale ed interessi, diminuito al 50 per cento, ferme restando le vigenti modalità di rateizzazione»;
   molti contribuenti si avvalsero della possibilità di definire la propria posizione versando al 50 per cento in unica soluzione o a rate, le imposte dirette, indirette e contributi sospesi, ritenendo che tale versamento, essendo per disposto di legge definitorio della propria posizione, avesse carattere definitivo e cioè che l'Amministrazione finanziaria nulla avesse più a che pretendere in relazione all'annualità chiusa col versamento e alle imposte rinunciate a fronte del versamento stesso: considerato ciò logico e plausibile, visto il carattere speciale dell'agevolazione in quanto consentita in relazione ed in contrapposizione ai danni subiti dall'economia della zona colpita in conseguenza di eventi calamitosi eccezionali (sismi e fenomeni vulcanici);
   pare che gli uffici locali dell'Agenzia delle entrate intendano sminuire la portata dell'agevolazione chiedendo di assoggettare ad imposizione le sopravvenienze derivanti dalle insussistenze sorte in seguito alla riduzione del debito fiscale o contributivo; con ciò volendo paragonare l'intervento di sostegno per danni subiti per calamità, costituenti generiche ed eccezionali sopravvenienze passive non riconosciute fiscalmente quali costi deducibili, ai contributi statali in conto esercizio o su specifiche spese, che, avendo l'obiettivo di abbattere costi d'impresa deducibili, sono regolarmente tassabili;
   di fatto la rinuncia ad una quota di credito da parte dell'erario, disposta dalla norma, nasce dalla volontà del legislatore di «indennizzare» forfettariamente i soggetti colpiti dall'evento calamitoso per le perdite eccezionali ad esso conseguenti: pertanto la tassazione delle sopravvenienze conseguenti alla riduzione del suddetto debito risulterebbe contrastare sia con la logica propria dell'intervento che con quella esegetica della norma stessa, e ciò per ogni tipologia di agevolazione prevista, sia essa un contributo statale o un abbattimento di un credito erariale, sia esso relativo a imposte dirette, ritenute non versate, imposte indirette, contributi e quant'altro. A tal proposito si veda per prassi il quinto capoverso della risoluzione n. 247/e dell'Agenzia delle Entrate del 17 giugno 2008 che evidenzia, con riferimento ad un intervento a soggetti colpiti da calamità naturale (sisma 13.12.2000 Sicilia Orientale), «(...) che la primaria finalità della legge in commento è stata quella di assicurare un sostegno economico alle imprese delle province colpite dal terremoto»;
   l'agevolazione concessa dal comma 1011 della legge finanziaria per il 2007 è analoga a quella concessa ai soggetti colpiti dal sisma del 1990 in Sicilia orientale che però beneficiarono della possibilità di definire la propria posizione con il versamento del 10 per cento dei debiti (articolo 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002); già in quella occasione si era chiarita l'intassabilità di tali sopravvenienze attive, in quanto derivanti da insussistenze di debiti in seguito ad una norma agevolativa conseguente a calamità naturale avente la finalità di sostenere economicamente i soggetti colpiti da evento calamitoso: era stata confermata dall'Agenzia delle entrate come riportato nella risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-01986 del 14 maggio 2003 oltre che nella risoluzione prot. 2003/56255 dell'Agenzia delle entrate direzione regionale per la Sicilia, con cui è stata riconosciuta l'assoluta non componibilità ed irrilevanza fiscale delle sopravvenienze attive costituite dal 90 per cento dei tributi non dovuti per effetto della predetta definizione;
   la tassazione degli importi agevolati darebbe luogo a gravosi contenziosi creando ulteriori oneri su un sistema economico già ai limiti della sopravvivenza ed incidendo irrimediabilmente in modo negativo sulla stabilità economica di un'innumerevole quantità di famiglie; contenziosi che per lo più potrebbero vedere soccombente sia l'amministrazione finanziaria, che nella gran parte dei casi è decaduta dal potere di accertamento di nuova base imponibile per l'anno 2006, anno in cui si è avuta certezza e determinabilità dell'insussistenza del debito con la pubblicazione della relativa norma, sia il contribuente che si vedrebbe intanto tartassato da un contenzioso economicamente e moralmente comunque dannoso –:
   se il Ministro interpellato non intenda intervenire per evitare queste eventuali pregiudizievoli situazioni e al contempo interessare la competente direzione dell'Agenzia delle entrate per ribadire, per quanto affermato in precedenza, che costituendo un sostegno economico, l'agevolazione emanata a favore di soggetti colpiti da eventi territoriali eccezionali dannosi, non può, con ragione, subire, né logicamente né sistematicamente, una qualsivoglia riduzione e, pertanto, non può soggiacere ad imposizione alcuna in nessun caso.
(2-01483) «Corsaro, Catanoso».

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la Cassa depositi e prestiti è un'istituzione finanziaria controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze (70 per cento) e da fondazioni bancarie (30 per cento), è partner di riferimento degli enti locali italiani. Dovrebbe svolgere un ruolo chiave nel finanziamento degli investimenti pubblici in Italia. La sua missione include, tra l'altro, lo sviluppo di infrastrutture per i servizi pubblici a carattere locale;
   controllata dallo Stato, è nata per finanziare gli enti locali, ma dall'analisi della realtà fattuale pare si comporti come un comune fondo d'investimento alla ricerca di profitti;
   la Cassa depositi e prestiti è in realtà una banca, presieduta da Franco Bassanini, più volte titolare del dicastero della Funzione pubblica, ed è oggi la più «liquida» d'Italia;
   dispone di risorse messe a disposizione da clienti ignari: tutti i cittadini italiani che sottoscrivono un libretto alle Poste o un buono fruttifero postale, e che magari pensano che la raccolta della Cassa depositi e prestiti serva ancora, ed esclusivamente, a garantire i mutui per gli investimenti che gli enti locali sono chiamati a realizzare;
   ma la Cassa è cambiata nella sua funzione. Come detto, oggi è una società per azioni partecipata al 70 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e per il 30 per cento da 66 fondazioni bancarie, e chiude con regolarità i bilanci in attivo per numerose decine di miliardi di utili e vanta partecipazioni azionarie in numerose società, anche quotate in Borsa, come Eni, Enel Terna, ST Microelectronics, Poste italiane e partecipa attivamente a svariati fondi d'investimento, tra cui F2i, di cui detiene oltre il 14 per cento del pacchetto azionario;
   i settori strategici in cui opera sono la difesa, la sicurezza, l'energia, le infrastrutture di trasporto e comunicazione, i servizi pubblici, l’high tech e i servizi finanziari. Si tratta, in questo caso, di diventare e comportarsi come azionisti. Non più da erogatori di mutui. Con buona pace degli enti locali e dei prestatori, i cittadini, dato che, ancora oggi, maggior parte delle risorse utilizzate dalla Cassa dipendono dalla raccolta postale: oltre il 90 per cento del portafoglio della Cassa depositi e prestiti è frutto di libretti e buoni fruttiferi;
   la Cassa depositi e prestiti è di fatto il nostro fondo sovrano, uno dei pochi colossi che circolano nello scenario bancario italiano, cioè in un sistema che soffre problemi di patrimonializzazione e scarsa capitalizzazione dei principali attori. Da qui nasce l'idea di fare della Cassa una sorta di fondo sovrano, a partire da una liquidità che viene dagli enti locali, con gli interessi sui mutui, dai buoni postali, da una liquidità diffusa, popolare;
   nei Paesi emergenti, questi fondi nascono per rispondere a ragioni politiche: per dare mezzi alla volontà di influenzare l'economia in settori-strategici. Anche alcune operazioni della Cassa potrebbero avere queste caratteristiche. La Cassa depositi e prestiti acquisisce titoli, azioni od obbligazioni, con una logica di «interessamento relativo» alle sorti della società;
   alla fine conta il rendimento. Le operazioni in cui verranno impiegati i capitali della Cassa finiranno con l'essere più orientate verso partecipazioni in operazioni e attività già esistenti che verso nuovi progetti da sviluppare, tema già visto in merito al caso di F2i, che è stato definito «il fondo onnivoro». F2i è un fondo d'investimento partecipato dalla Cassa per il 14 per cento, come sopra detto;
   vi è una volontà politica fatta di scelte che spettano al consiglio di amministrazione, o al comitato d'indirizzo della Cassa, che nel caso dell'acqua, ad esempio, ha deciso ad esempio d'investire come un privato, attraverso il fondo F2i;
   forte di un portafogli di miliardi di euro, il Fondo italiano per le infrastrutture di F2i sgr, creatura di Cassa depositi e prestiti, che ha nominato anche il presidente, Ettore Gotti Tedeschi, negli ultimi anni ha effettuato un grande numero di acquisizioni: ha acquistato per 436 milioni di euro Metroweb, la società creata dal comune di Milano che gestisce la maggiore rete a fibra ottica d'Europa, in consorzio con Intesa Sanpaolo, entrando così nel comparto delle telecomunicazioni. Poco dopo ha completato l'acquisto di G6 Rete Gas spa, società attiva nella distribuzione del gas (con 990 mila clienti, la maggior parte in Puglia), finora controllata al 100 per cento da Gdf Suez Energia Italia. A questo punto F2i controlla il 17 per cento del mercato italiano del gas, e in termini di clienti gestiti è secondo solo al gruppo Eni. Quest'ultima operazione – in partnership con Axa – vale 772 milioni di euro. Il periodo d'investimento del fondo scade nel 2013;
   in ultimo è stato creato il Fondo strategico italiano spa (FSI) con decreto ministeriale 8 maggio 2011. È una holding di partecipazioni, il cui azionista strategico è Cassa depositi e prestiti spa, attiva nel sostegno dell'economia e nello sviluppo infrastrutturale. Nell'azionariato di FSI, a Cassa depositi e prestiti si affianca il Ministero dell'economia e della finanza, tramite Fintecna. Gli attuali fondi disponibili sono pari a 4 miliardi di euro ed il capitale obiettivo è pari a 7 miliardi di euro. Opera acquisendo quote, generalmente di minoranza, di imprese di rilevante interesse nazionale, che siano in equilibrio economico-finanziario e presentino adeguate prospettive di redditività e sviluppo. La politica di investimento del Fondo strategico italiano prevede un orizzonte temporale di lungo periodo, un attivo coinvolgimento nella governance delle aziende partecipate, volto ad assicurare il perseguimento delle finalità dell'intervento. Fondo strategico italiano può investire nel settore della difesa, sicurezza, infrastrutture, trasporti, comunicazioni, energia. Gli obiettivi spaziano dalla creazione di poli industriali alla nascita di agglomerati di servizi locali, dall'espansione della rete distributiva alla crescita per linee esterne. Fondo strategico italiano ha recentemente mostrato interesse per AVIO, società partecipata dal gruppo Finmeccanica;
   ciò che è in gioco è il bene pubblico per eccellenza in un mercato libero e aperto: la concorrenza. L'Eni rischiava una sanzione da parte dell’antitrust europeo, per una violazione della concorrenza nella gestione dei gasdotti. Di fronte all'obbligo di cedere il controllo di alcune infrastrutture, però, la soluzione scelta non è stata il mercato ma Cassa depositi e prestiti. La Cassa depositi e prestiti, che di Eni è il primo azionista, con il 26,4 per cento, ha firmato con l'Eni stessa un contratto di compravendita che prevede la cessione a Cassa depositi e prestiti della partecipazione pari all'89 per cento delle azioni esistenti, cui corrispondono il 94 per cento dei diritti economici, detenuta in Trans Austria Gasleitung GmbH. Tag è la società titolare dei diritti di trasporto relativi al tratto austriaco del gasdotto che collega la Russia all'Italia, registrando ricavi totali notevoli pari a centinaia di milioni di euro;
   presidente di F2i da maggio 2009 è, come detto, Ettore Gotti Tedeschi;
   la medesima persona fisica è stata nominata in precedenza anche consigliere della Cassa depositi e prestiti, azionista di assoluta maggioranza di F2i; infatti la proposta del suo nome è stata avanzata proprio dall'azionista Cassa depositi e prestiti. È inoltra presidente dello IOR, Istituto per le opere di religione, la banca che ha sede presso la Città del Vaticano;
   da notare un fatto che, Ettore Gotti Tedeschi ha rassegnato le dimissioni dalla carica di membro del consiglio di amministrazione di Alerion Clean Power, a seguito della nomina a presidente del consiglio di amministrazione di F2i;
   ad avviso dell'interrogante, nei fatti narrati vi è l'essenza di quello che Ernesto Rossi definiva un capitalismo inquinato, fatto di un'economia domestica che sta lentamente morendo, schiacciata sotto il peso di un cancro politico e istituzionale, che erode i fondamenti sui cui poggia il nostro sistema economico e industriale. Questo cancro è il conflitto di interessi tra politica ed economia, tra banche e industria, tra banche e finanza;
   l'immagine del capitalismo italiano è quella di un mondo bancoindustriale sostanzialmente ingessato, governato da blocchi di potere sempre più chiusi in se stessi, protetti da accordi incrociati, vincoli azionari, poteri di veto, legami familiari e privilegi ereditari. Ma quello che più importa è che il capitalismo italiano manifesta una progressiva incapacità di essere competitivo sui mercati internazionali e di assicurare dinamicità e capacità di crescita alla nostra economia;
   negli ultimi venti anni si sono registrati tassi di sviluppo tra i più bassi dell'intera storia dell'Italia unita, e si è accumulato un preoccupante divario di crescita rispetto alle altre economie dell'area euro. Ed è immediato collegare il forte rallentamento della crescita della produzione nazionale alla progressiva perdita di competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali. La caduta della quota di mercato dei prodotti italiani è stata precipitosa, non solo rispetto alle economie emergenti, ma anche rispetto ai nostri tradizionali concorrenti europei;
   la vicenda narrata ne è un emblema: un noto banchiere, che presta la propria opera in una banca straniera, viene prima cooptato nel consiglio di amministrazione della Cassa depositi e prestiti, ente giuridico di natura formalmente privata, ma la cui proprietà è di fatto ancora pubblica, poiché il 70 per cento delle azioni è in mano al dicastero governato dal Ministro interpellato, e poi messo ai vertici di uno strategico Fondo di investimenti controllato da Cassa depositi e prestiti;
   quando l'istituzione mercato è governata da una serie di regole e infrastrutture giuridiche che non mirano a garantire la concorrenza, l'efficienza, l'economicità, l'efficacia dell'azione di chi vi opera ma facilita oggettivamente un comportamento la cui finalità appare quella di affossare la concorrenza a vantaggio di oligopoli più o meno collusivi, si genera un male endogeno al mercato, male che rischia di rendere inefficace e iniquo il suo funzionamento e di imputare al libero mercato colpe che non ha, soprattutto perché un mercato in cui la concorrenza è conculcata, per definizione non è libero;
   tutto ciò avviene grazie a delle decisioni che, se pur hanno aspetto formale privatistico, mantengono inalterata la portata sostanzialmente pubblica delle stesse, come nel nostro caso permanendo una linea di controllo tra Ministero, società controllata Cassa depositi e prestiti, consiglio di amministrazione della stessa che poi controlla ulteriori soggetti privati, F2i, i cui vertici sono da essa indicati –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, poiché il Ministro interrogato controlla gli enti descritti, se ritenga opportuno informarsi per verificare la natura effettiva degli incarichi, le modalità con cui sono stati affidati, su quali presupposti si è deciso e si continua a decidere per individuare la persona adatta a cui affidare tali incarichi;
   se, per quanto di competenza, ritenga opportuno riconsiderare la scelta fatta e se, soprattutto, ritenga necessario ed urgente adottare soluzioni efficaci, eventualmente anche di natura normativa, al fine di evitare che in futuro, in assenza di infrastrutture giuridiche adeguate al mutato contesto mondiale con le quale il sistema Paese affronta una competizione economica globale, possa escludersi il verificarsi fatti medesimi basati su procedure analoghe che appaiono letteralmente dannose perché deprimendo concorrenza, mercato, economia, si porta il Paese verso un regresso ineluttabile, non solo nel campo economico, ma anche in quello morale, sociale, politico e istituzionale.
(2-01472) «Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   si fa riferimento all'articolo apparso su il Giornale e Avvenire, oggi 7 maggio 2012, in cui si spiega «come il rappresentante legale di una scuola paritaria sia tenuto a segnalare all'Agenzia delle entrate le rette che superano 3 mila euro: mandare figli ad una scuola non statale sembra comportare l'iscrizione d'ufficio nella lista dei sospetti di evasione (...);
   il dettato costituzionale (articolo 30) riconosce che è un dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, rimettendo alla legge dello Stato il compito di fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, prescrivendo che siano assicurati ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali;
   a parte ovvie considerazioni sulla necessità da parte di alcune famiglie di mandare i propri figli alla scuola paritaria per mancanza od insufficienza del servizio pubblico in molti casi la scuola cosiddetta privata, per lo più materna e primaria, supplisce a carenze evidenti del pubblico ed ha un ruolo di integrazione rispetto al servizio offerto dal medesimo;
   la legge n. 62 del 2000 ha sancito le condizioni per il riconoscimento della parità scolastica tra le scuole statali e le scuole non statali e la funzione pubblica svolta a pieno titolo da queste ultime, conformandosi agli adempimenti previsti dalla legge, nell'ambito del sistema nazionale di istruzione e la realizzazione della parità scolastica rappresenta il riconoscimento del fondamentale diritto delle famiglie di scegliere il tipo di istruzione da impartire ai propri figli, nell'ambito dei principi dell'ordinamento costituzionale;
   il pluralismo educativo svolge un ruolo fondamentale per rendere più moderno e flessibile il sistema scolastico del nostro Paese, secondo princìpi di autonomia, di sussidiarietà e di partecipazione, e per allinearlo con le più avanzate realtà scolastiche europee;
   il ruolo della scuola paritaria è quello di concorrere con la scuola statale al perseguimento di un obiettivo comune, ossia quello della formazione e dell'educazione del fanciullo e del giovane, sia sul piano culturale, sia nello sviluppo dei valori morali e della coscienza civile, d'intesa e in collaborazione con le famiglie;
   detto ciò, l'atteggiamento dell'Agenzia delle entrate, a parere dell'interpellante, si configura come un atto arbitrario, discriminatorio che viola il principio fondamentale della libertà di educazione arrivando ad evidenti eccessi quando si afferma di comprendere tra i beni di lusso le mensa dei figli o il doposcuola o altre varie attività curriculari, a volte necessarie per i genitori che lavorano;
   l'interpellante rileva altresì che la giusta lotta all'evasione non può trasformarsi, come purtroppo sembra in questi giorni accada, nella configurazione di uno stato di polizia fiscale, occhiuto e minaccioso nei confronti dei cittadini i quali, a questo punto, non hanno neanche più la libertà di gestire la loro vita privata compresa la vita e l'educazione dei figli;
   se l'articolo in questione fosse effettivamente corrispondente al vero, sarebbe senza dubbio di una pesante gravità in quanto potrebbe alimentare ancora di più l'affezione dei cittadini verso lo Stato e le istituzioni e contribuirebbe definitivamente a cancellare le scuole paritarie, le quali attraversano da tempo un periodo di estrema difficoltà, legata principalmente all'inadeguatezza delle risorse economiche disponibili per il loro funzionamento –:
   se quanto descritto nei giornali succitati corrisponda al vero e di motivare quanto predisposto dall'Agenzia delle entrate nei confronti di chi, a volte con sacrificio, ha scelto per i propri figli una scuola più confacente ai propri ideali educativi, culturali e religiosi.
(2-01476) «Garagnani».

Interrogazioni a risposta immediata:


   ZELLER e BRUGGER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, recante «Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio», istituiva, all'articolo 49, la tariffa per la gestione dei rifiuti solidi urbani (cosiddetta «tariffa Ronchi»);
   il decreto legislativo è stato successivamente sostituito dal decreto legislativo n. 152 del 2006 recante «Norme in materia ambientale» che, all'articolo 238, introduce la nuova disciplina relativa alla tariffa per la gestione dei rifiuti urbani;
   con sentenza 9 agosto del 2007, n. 17526, la Corte di cassazione, dovendo risolvere la questione propriamente processuale della validità di un atto impugnato (fattura) e prendendo le mosse dalle modifiche apportate dalla legge n. 248 del 2005 che ha stabilito la cognizione delle commissioni tributarie, osservava, al riguardo, che l'aver incluso il prelievo nell'ambito della disciplina del processo tributario costituiva sintomo della connotazione tributaria dell'entrata;
   la questione relativa al dibattito sulla natura giuridica della «tariffa rifiuti» è tornata attuale per effetto della sentenza n. 3756 del 2012, nella quale la Corte di cassazione si è recentemente espressa nel senso della qualificazione tributaria del prelievo, con la conseguenza di non dover essere sottoposta all'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto (iva);
   la stessa sentenza della Corte di cassazione ha, altresì, l'effetto di contrastare le tesi espresse dal Ministero dell'economia e delle finanze che, con la circolare dell'11 novembre 2010, n. 3/DF, aveva ribadito la natura patrimoniale della tariffa;
   sono sempre più numerosi gli utenti del servizio di raccolta dei rifiuti che inoltrano al comune competente o, eventualmente, al soggetto delegato/affidatario, istanze di rimborso per l'imposta sul valore aggiunto versata in passato –:
   se il Ministro interrogato intenda promuovere iniziative normative volte a chiarire, con norma interpretativa, la natura patrimoniale della tariffa sui rifiuti quantomeno nei casi in cui la stessa, in applicazione del decreto che la disciplina - oppure di analoghe norme locali, quali, ad esempio, l'articolo 33, della legge 26 maggio 2006, n. 4, della provincia autonoma di Bolzano – sia stata calcolata e riscossa computando l'effettiva quantità di rifiuti conferita al servizio da parte dell'utente secondo il principio comunitario «chi inquina paga» o, nel caso in cui non siano presenti intendimenti in tal senso, in quali tempi e con quali fondi sia prevista l'elaborazione di istruzioni e procedure da seguire per gli utenti ed i comuni diretti esercenti del servizio, ovvero loro società delegate/affidatarie, in ordine alle istanze di rimborso per l'imposta sul valore aggiunto già versata negli anni passati, questo anche al fine di sapere se i comuni che forniscono direttamente il servizio debbano per l'annualità in corso includere nei propri bilanci di previsione per il 2012 un'entrata patrimoniale o tributaria nel caso in cui venga applicato il principio comunitario «chi inquina paga». (3-02260)


   DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione del decreto-legge n. 201 del 2011 è stato anticipata al 2012 l'istituzione dell'imposta municipale unica (imu), prevista dal decreto legislativo n. 23 del 2011, recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale», e sono stati rivisti, rispetto alla versione iniziale, numerosi aspetti dell'imposta medesima, a partire dal fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ici (imu) sulla seconda casa e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale viene destinato allo Stato, riconoscendo, altresì, la possibilità per il comune di poter modificare, in aumento o in diminuzione e pur dentro un determinato intervallo, le aliquote base fissate dal decreto-legge, sia per quanto riguarda la prima abitazione che gli immobili diversi dalla prima abitazione, prevedendo, altresì, che vengano ridotte in misura proporzionale le risorse del Fondo sperimentale di riequilibrio (Fsr) e destinate al singolo ente, qualora quest'ultimo incassi dall'applicazione dell'imposta municipale unica un gettito maggiore rispetto a quanto introitato dall'Imposta comunale sugli immobili del 2010;
   a seguito delle recenti modifiche apportate all'imposta e contenute nel decreto-legge n, 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, oggi i comuni, in fase di predisposizione dei bilanci previsionali per l'esercizio 2012, da approvarsi entro il 30 giugno 2012, iscrivono a bilancio il gettito derivante dall'applicazione dell'imposta municipale unica sulla base dei valori stimati dal Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento delle finanze che, in questi giorni, ha provveduto ad informare, anche tramite il proprio sito internet, ogni ente sull'ammontare del gettito preventivato dell'imposta ad aliquote ordinarie;
   in numerosi casi la differenza tra il gettito atteso dallo Stato secondo le previsioni del Ministero dell'economia e delle finanze e quello stimato dagli enti, che già avevano iniziato a predisporre le proprie proiezioni sull'entrata relativa all'imposta municipale unica con aliquota ordinaria, è estremamente elevato tanto da apparire ingiustificato e incomprensibile, anche in considerazione del fatto che le previsioni di entrata imputabili dell'imposta municipale unica e stimate dalle amministrazioni comunali sono molto affidabili e concrete, così che sarebbe necessario conoscere con quali criteri e parametri il Ministero dell'economia e delle finanze abbia elaborato i dati dell'imposta municipale unica sui quali gli enti locali dovrebbe basare le proprie entrate a valere sul Fondo sperimentale di riequilibrio (Fsr);
   sono stati recentemente pubblicati sul portale web dell'Istituto per la finanza e l'economia locale, i primi dati sull'ammontare del Fondo sperimentale di riequilibrio, aggiornato dopo gli ultimi tagli decisi dal Governo contenuti all'interno del decreto-legge n. 201 del 2011 e che, nel complesso, determineranno, per l'anno 2012, un ammontare del Fondo sperimentale di riequilibrio di 6,8 miliardi di euro, con una riduzione di 4,2 miliardi di euro rispetto all'ammontare del Fondo nel 2011, soprattutto a causa della compensazione dell'imposta municipale unica definita dall'articolo 13, comma 17, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011;
   la pubblicazione dei dati evidenzia chiaramente come, in numerosi casi, le risorse del Fondo sperimentale di riequilibrio destinate a ciascun ente risultano significativamente ridotte rispetto all'anno precedente e che tale diminuzione sarebbe dovuta principalmente proprio alla variazione compensativa dell'imposta municipale unica derivante dal gettito atteso dal Ministero dell'economia e delle finanze dall'applicazione dell'imposta municipale propria, oltre che dai tagli predisposti, sempre a valere sul Fondo sperimentale di riequilibrio, dal già citato decreto-legge n. 201 del 2011 e al taglio di trasferimenti disposto dal decreto-legge n. 78 del 2010;
   il fatto che la normativa vigente consenta agli enti locali di poter intervenire anche successivamente al 30 giugno 2012, termine per l'approvazione dei bilanci di previsione, per modificare le aliquote dell'imposta sulla base del gettito derivante dalla prima rata della medesima imposta, certifica chiaramente come anche il Governo dubiti delle proprie stime relative al gettito dell'imposta municipale unica –:
   se non si ritenga, alla luce delle molteplici difficoltà e incertezze connesse all'applicazione dell'imposta municipale unica e delle innumerevoli critiche provenienti da più parti, a cominciare dagli stessi enti locali interessati nei confronti dell'imposta in questione, di assumere iniziative normative volte ad escludere la prima casa dall'applicazione dell'imposta municipale unica, in considerazione dell'iniquità di un'imposizione così pesante sulla casa di abitazione, la cui proprietà non può, peraltro, considerarsi produttiva di un reddito reale. (3-02261)


   GOZI, FRANCESCHINI, VENTURA, MARAN, VILLECCO CALIPARI, BOCCIA, AMICI, LENZI, QUARTIANI, GIACHETTI, ROSATO e NARDUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Germania e il Regno Unito hanno stipulato ciascuno, nella seconda metà del 2011, un accordo con la Svizzera sulla tassazione delle attività finanziarie ivi detenute da propri cittadini o persone fisiche residenti e che anche l'Austria ha stipulato ad aprile 2012 un analogo accordo;
   tali accordi prevedono che i cittadini tedeschi e britannici, che hanno investito i propri capitali in Svizzera a partire dal 2002, dovranno pagare ai rispettivi Paesi di appartenenza una tassa liberatoria del 34 per cento sul totale delle attività detenute in Svizzera, a sanatoria delle mancate imposte versate;
   secondo alcune autorevoli stime, la metà dei capitali depositati in Svizzera, pari complessivamente a circa 4.000 miliardi di franchi svizzeri (3.300 miliardi di euro), sarebbe di origine straniera. In particolare, circa 180 miliardi apparterrebbero ad investitori tedeschi, 120 miliardi a investitori italiani e circa 70 miliardi ad investitori britannici;
   la Commissione europea, in esito al monitoraggio sull'applicazione della direttiva 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi e dell'accordo con la Svizzera, ne ha evidenziato l'agevole elusione da parte dalle persone fisiche, che hanno la possibilità di evitare il prelievo del 35 per cento avvalendosi dell'interposizione di società, trust o altri istituti giuridici consimili; ciò è dimostrato anche dai dati relativi all'ammontare delle imposte riscosse dalla Confederazione elvetica a carico di soggetti residenti nell'Unione europea che sono state pari a 535 milioni di franchi nel 2009 e a soli 432 milioni di franchi nel 2010, di cui 57 milioni di franchi trasferiti all'Italia;
   si valuta positivamente la proposta di revisione della direttiva 2003/48/CE presentata dalla Commissione europea il 13 novembre 2008 (COM( 2008)727), volta ad estenderne l'ambito di applicazione;
   dopo un primo parere contrario, il 17 aprile 2012 il Commissario europeo Semeta ha affermato in conferenza stampa che gli accordi bilaterali stipulati da Germania, Austria e Regno Unito con la Svizzera sono compatibili con il diritto dell'Unione europea;
   l'applicazione di un accordo simile con il nostro Paese potrebbe assicurare a breve e medio termine il reperimento di significative risorse che consentirebbero l'adozione di interventi a sostegno della crescita, obiettivo imprescindibile nell'attuale fase di recessione;
   secondo quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri in conferenza stampa il 30 aprile 2012, il Governo sarebbe pronto a «considerare ex novo l'intera materia» –:
   se il Governo intenda avviare con la massima urgenza, in attesa della modifica della direttiva 2003/48/CE in sede comunitaria, negoziati con le autorità elvetiche in vista della conclusione di un accordo bilaterale analogo a quelli stipulati con la Germania e il Regno Unito. (3-02262)

Interrogazioni a risposta orale:


   CARLUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la nuova tassa sugli immobili, Imu, colpisce anche gli edifici culturali, tranne quelli equiparati agli immobili di interesse storico e artistico per i quali è stabilita una riduzione fiscale;
   questo rende molti luoghi di spettacolo a rischio in quanto con il pagamento dell'Imu, che va ad aggiungersi ad un generale aumento della pressione fiscale, numerose strutture, dai teatri, ai cinema, agli auditorium, potrebbero chiudere;
   è quindi fondamentale che questi luoghi possano essere equiparati agli immobili di interesse storico o artistico, per i quali usufruiscono di una agevolazione;
   l'Imu, infatti, viene calcolata in base ai metri quadrati degli immobili e non più in base ai vani, come accadeva per l'Ici, e va quindi a gravare in particolar modo su quelle strutture che hanno un'ampia metratura;
   come dichiarato dal presidente dell'Agis, Paolo Protti, «i luoghi di spettacolo sono realtà cardine della cultura del nostro paese, oltre che spazi importanti per la socialità. Inoltre, svolgendo un'attività prevalentemente culturale, queste strutture hanno una marginalità economica ristrettissima e, di conseguenza, l'ulteriore carico fiscale derivante dall'attuale Imu ne mette a rischio la gestione. È quindi estremamente importante che i luoghi di spettacolo siano messi in condizione di poter svolgere la propria attività, evitando che le città continuino a perdere importanti luoghi di aggregazione» –:
   se non ritenga di promuovere dei correttivi all'attuale normativa in materia di Imu che estendono, per lo meno, anche ai luoghi di spettacolo le agevolazioni previste al momento solo per gli immobili di interesse storico o artistico. (3-02251)


   MAZZOCCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel comparto dei giochi l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato assolve al proprio ruolo disegnando le linee guida per una dinamica e razionale evoluzione del settore, verificando costantemente la regolarità del comportamento degli operatori con l'obiettivo primario di assicurare un ambiente di gioco legale e responsabile in un contesto ampiamente monitorato e tecnologicamente avanzato. Inoltre interviene nel contrasto di ogni fenomeno illegale legato al gioco ed agisce al fine di garantire l'ottimizzazione del gettito erariale di competenza;
   in materia di tabacchi l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato gestisce tutte le procedure connesse alla riscossione delle accise, mediante controlli diretti a contrastare l'irregolarità e l'evasione delle imposte, nonché la tariffa di vendita al pubblico e l'articolazione delle rivendite dei prodotti da fumo. Interviene nel contrasto di ogni fenomeno illegale legato al settore al fine di garantire la massimizzazione del gettito erariale di competenza. Realizza, inoltre, le verifiche tecniche utili ad assicurare la conformità di tali prodotti alla normativa nazionale e comunitaria;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 giugno 2011 è stata disposta la rideterminazione delle dotazioni organiche del personale appartenente alla qualifica dirigenziale di seconda fascia (100 unità), nonché di quello delle aree prima (170 unità), seconda (1.748 unità) e terza (868) dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato per un totale di 2.786 unità di qualifica non dirigenziale. Ad esse vanno aggiunte le qualifiche dirigenziali di prima fascia (5 unità);
   rispetto alla precedente rideterminazione delle dotazioni (1.342 unità), prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 febbraio 2006, il raddoppio del personale risulterebbe esser dovuto agli effetti dell'articolo 41, comma 16-quaterdecies, del decreto-legge n. 207 del 2008, che, al fine di potenziare l'efficienza e l'efficacia dell'azione a tutela del gioco legale e responsabile ha autorizzato l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ad avvalersi, oltre che di 2 unità dirigenziali generali e di 2 unità dirigenziali non generali extraorganico, del personale dei ruoli del Ministero dell'economia e delle finanze già in servizio nei soppressi dipartimenti provinciali del tesoro, nelle ragionerie provinciali dello Stato e nelle direzioni provinciali dei servizi vari. Tale processo di trasferimento del personale è continuato con l'articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge n. 40 del 2010 per effetto del quale risulterebbero esser transitate nei ruoli dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato a domanda circa 1300 unità di personale;
   se da un lato ciò ha consentito di organizzare la struttura periferica dell'Amministrazione in direzioni regionali e sezioni distaccate, dall'altro lato, sembrerebbe riscontrabile in concreto la mancanza di un sufficiente numero di dirigenti di seconda fascia, con una consolidata competenza ed esperienza di settore, necessarie a gestire i complessi e difficili processi di trasformazioni che tale nuovo assetto organizzativo e logistico ha inevitabilmente determinato;
   al personale transitato presso l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, risulterebbe esser richiesto lo svolgimento di tutte le attività relative ai comparti dei giochi e dei tabacchi, sulla base degli indirizzi delle relative direzione;
   il personale appartenente alla qualifica dirigenziale di seconda fascia transitato dalle soppresse direzioni territoriali del Ministero dell'economia e delle finanze all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, risulterebbe, inevitabilmente, non possedere quella necessaria ed adeguata formazione atta a far sì che gli stessi possano soddisfare le funzioni di tipo decisionale ed operativo ivi richieste, stante le attività prettamente di tipo amministrativo svolte in precedenza;
   l'ingresso di tale personale, ha coinvolto inevitabilmente il personale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in un'attività di affiancamento e formazione degli stessi, con ulteriore aggravio della gestione delle già complesse e numerose attività quotidianamente svolte, determinando, fra l'altro, l'anomala condizione che livelli funzionali appartenenti ad area inferiore, svolgono attività di formazione e tutoraggio a personale appartenente a qualifiche dirigenziali di seconda fascia;
   l'impetuoso sviluppo che ha contraddistinto i settori dei giochi e dei tabacchi, sta generando un aggravio degli impegni e degli obiettivi di regolamentazione per l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, incompatibile con le risorse umane e materiali di cui la stessa sembrerebbe disporre, con particolare riguardo ai dirigenti di seconda fascia, vera e propria struttura portante dell'amministrazione, in particolar modo negli uffici di nuova istituzione a livello periferico;
   comparti così vasti, complessi ed articolati, nonché in continua trasformazione come quelli dei giochi e dei tabacchi, non possono essere governati da un organico di dirigenti così ristretto e non adeguatamente professionalizzati, ad affrontare le sfide che il mercato, con modalità e tempistiche sempre più aggressive, pone alla valutazione degli stessi;
   mentre per i dipendenti del Ministero dell'economia e delle finanze immessi nei ruoli dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato sembrerebbero essere state riconosciute determinate posizioni giuridiche ed economiche superiori, attraverso apposite procedure di riqualificazione e posizionamento non sembrerebbe potersi dire altrettanto per il personale Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di provata esperienza nei settori di competenza, le cui esigenze ed aspettative in termini di riconoscimento della maggiore professionalità acquisita risulterebbero esser ancora disattese, determinando in tal modo un profondo venir meno al principio di incardinamento funzionale che certo non giova al buon andamento dell'amministrazione;
   al fine di rendere più efficiente ed efficace l'attività dell'amministrazione occorrerebbe, ad avviso dell'interrogante, soddisfare in pieno l'impegno ed i risultati conseguiti dal personale Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, riconoscendone il ruolo professionale con apposite nomine dirigenziali –:
   se i fatti esposti corrispondono al vero e quali iniziative intenda assumere per implementare il numero dei dirigenti di seconda fascia dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, in un'azione volta a conseguire una sempre maggiore professionalità e competitività della classe dirigenziale, rispetto alle nuove frontiere che il mercato quotidianamente pone, oltre, ovviamente, ad una maggiore incisività alla lotta all'illegalità sempre più diffusa. (3-02252)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 29 dicembre del 2004, a seguito di apposito decreto ministeriale di trasferimento, il Fondo immobili pubblici (Fip), è diventato proprietario di un portafoglio di 394 immobili già di proprietà dello Stato e di altri enti pubblici ad uso non residenziale, occupati prevalentemente da uffici del Ministero dell'economia e delle finanze, da Agenzie fiscali, da caserme della Guardia di finanza;
   il Fip, gestito dalla Sgr (società di gestione del risparmio) Investire Immobiliare, controllata da Banca Finnat, ha successivamente stipulato un contratto di affitto con l'Agenzia del demanio per l'intero compendio immobiliare rilevato dallo Stato, della durata di nove anni, rinnovabile automaticamente per altri nove anni, e del valore complessivo di 270 milioni di euro;
   secondo sommarie informazioni disponibili sul sito internet www.fondoimmobilipubblici.it il predetto contratto prevede che l'Agenzia del demanio possa liberare una serie di immobili facenti parte del compendio (diritto di recesso), a condizione che il canone non si riduca in misura superiore al 20 per cento, secondo la seguente articolazione (su base cumulativa): dal quarto al sesto anno fino al 5 per cento; dal settimo all'ottavo anno fino al 10 per cento; dal nono al decimo anno fino al 15 per cento; dall'undicesimo anno fino al 20 per cento, salvo che, entro il termine dei primi nove anni di contratto (31 dicembre 2013), l'Agenzia del Demanio non dia disdetta e liberi l'intero compendio immobiliare;
   secondo quanto riportato dal quotidiano Milano Finanza del 28 febbraio 2012, nell'articolo dal titolo: «La Chiesa paga l'ICI, il Fip no», gli immobili facenti parte del patrimonio del Fondo sarebbero stati esentati dal pagamento dell'imposta comunale sugli immobili –:
   se sussistano immobili di proprietà del suddetto Fondo esentati dal pagamento dell'imposta sugli immobili e in base a quale normativa, quali iniziative intenda assumere per eliminare tale improprio beneficio e per recuperare le corrispondenti minori entrate, nonché se ritenga di dare la disdetta del contratto d'affitto firmato con il Fip alla scadenza dei nove anni e di trasmettere copia del contratto di affitto sottoscritto tra l'Agenzia del demanio e il Fip, oltre che copia dell'Accordo di indennizzo e garanzia stipulato tra il Ministero dell'economia ed il Fip in data 29 dicembre 2004. (5-06800)


   LO MONTE, ZELLER e BRUGGER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, legge finanziaria per il 2008, e successive modificazioni, in materia di proroga delle agevolazioni Irpef per le spese di ristrutturazione edilizia, ha introdotto per gli anni 2008, 2009, 2010 e 2011, una proroga delle agevolazioni tributarie in materia di recupero del patrimonio edilizio;
   le agevolazioni in questione, corrispondenti ad una quota pari al 36 per cento delle spese sostenute, nei limiti di 48,000 euro per unità immobiliare, ferme restando le altre condizioni ivi previste, sono relative;
    a) agli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia, di cui all'articolo 31, della legge 5 agosto 1978, n. 457, recante norme per l'edilizia residenziale, e successive modificazioni, ivi compresi gli interventi di bonifica dell'amianto, di cui all'articolo 2, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, per le spese sostenute dal 1o gennaio 2008 al 31 dicembre 2011;
    b) agli interventi di restauro e di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia riguardanti interi fabbricati, di cui all'articolo 9, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, nel testo vigente al 31 dicembre 2003, che siano stati eseguiti dal 1o gennaio 2008 al 31 dicembre 2011, da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie, le quali provvedano alla successiva alienazione o assegnazione dell'immobile entro il 30 giugno 2012, come da ultimo modificato dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, a decorrere dal 1o gennaio 2012;
   l'articolo 1, comma 19, della legge n. 244 del 2007 ha stabilito che le agevolazioni di cui al comma 17, «spettano a condizione che il costo della relativa manodopera sia evidenziato in fattura»;
   l'obbligo di indicazione separata del costo della manodopera si applica sia nel caso delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio con detrazione Irpef pari al 36 per cento, sia nel caso dell'agevolazione fiscale sugli interventi di riqualificazione energetica degli edifici con detrazione Irpef o Ires pari al 55 per cento sull'importo totale;
   l'Agenzia delle entrate ha interpretato il suddetto enunciato stabilendo che il costo da evidenziare in fattura, ai fini della spettanza della detrazione Irpef sulle ristrutturazioni edilizie, deve essere quello sostenuto dall'impresa fornitrice per remunerare la manodopera utilizzata per l'intera esecuzione dei lavori;
   nella risoluzione ministeriale 167/E del 12 luglio 2007, in risposta ad una specifica istanza di interpello, l'Agenzia delle entrate ha chiarito che sulle fatture d'acconto relative ad interventi di recupero del patrimonio edilizio residenziale, agevolati con la detrazione del 36 per cento, non vi è l'obbligo di indicazione separata del costo della manodopera utilizzata e che tale adempimento, la cui assenza in fattura d'acconto non è comunque causa di decadenza dell'agevolazione, si rende, invece, necessaria per le fatture emesse a saldo;
   l'articolo 7, comma 2, lettera r), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, ha previsto, da ultimo, l'abrogazione dell'articolo 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, determinando pertanto il venir meno dell'adempimento precedentemente considerato, a valere sia per le detrazioni al 36 per cento, sia per quelle al 55 per cento –:
   se, al fine di avvalersi della detrazione del 36 per cento, nel caso di lavori iniziati in data antecedente l'entrata in vigore del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, con emissione di fatture di acconto senza specifica indicazione del costo della manodopera, rimanga fermo l'obbligo, per tutte le fatture successivamente emesse a saldo, di indicazione separata del costo della manodopera utilizzata per l'intera esecuzione dei lavori. (5-06801)


   LEO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la normativa IVA consente ai soggetti passivi di richiedere il rimborso dell'eccedenza detraibile d'imposta, al ricorrere delle condizioni previste dall'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
   l'eccedenza detraibile d'imposta risultante dalla dichiarazione annuale può essere chiesta a rimborso:
    a) in caso di cessazione dell'attività (articolo 30, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972);
    b) al ricorrere delle ipotesi previste dall'articolo 30, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633, ossia nei casi di: differenza tra aliquota media su vendite e acquisti (articolo 30, terzo comma, lettera a); prevalenza di operazioni non imponibili (articolo 30, terzo comma, lettera b); acquisto di beni ammortizzabili (articolo 30, terzo comma, lettera c); prevalenza di operazioni non territoriali (articolo 30, terzo comma, lettera d); credito IVA vantato da soggetto non residente (articolo 30, terzo comma, lettera e);
    c) in presenza di eccedenze detraibili per 3 anni consecutivi (articolo 30, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633);
    d) dai produttori agricoli che applicano il regime speciale IVA (di cui all'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633) sulle cessioni all'esportazione e sulle cessioni intracomunitarie di prodotti agricoli;
   tale impostazione di accesso al rimborso «a scaletta» non è mutuata dalla normativa comunitaria, che non attribuisce rilevanza alcuna alla «meritevolezza» del rimborso, ma prevede una procedura immediata di riconoscimento del rimborso del credito IVA, in coerenza con il principio comunitario dell'immediata spettanza del diritto alla detrazione, principio che, al di fuori dei casi di cui al predetto articolo 30, terzo comma, non appare quindi correttamente recepito nella normativa italiana, la quale, impone ai contribuenti che non si trovino in tali casi di dover attendere un triennio prima di poter richiedere il rimborso dell'IVA;
   ai fini dell'esecuzione del rimborso, il contribuente deve prestare un'apposita garanzia (per cui sostiene un costo), ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
   il periodo di validità della garanzia, può avere, al massimo, una durata di 3 anni decorrenti dall'esecuzione del rimborso, ovvero una durata anche inferiore, qualora il termine per l'esercizio del potere di accertamento da parte dell'Amministrazione finanziaria scada prima di 3 anni dalla predetta data (fatta salva la sospensione del termine decadenziale di cui al secondo periodo del comma 1 dell'articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633, in caso di inottemperanza del soggetto passivo all'invito istruttorio dell'ufficio);
   il periodo quadriennale in cui è esperibile l'accertamento è raddoppiato in caso di denuncia penale per la commissione di reati tributari;
   nel nostro ordinamento, per la necessità di non generare esborsi a carico dell'erario, è previsto il meccanismo della compensazione debito/credito IVA;
   negli altri Paesi europei non si è soliti usare lo strumento della compensazione, in quanto i rimborsi IVA sono effettivi e sensibilmente più rapidi;
   il Governo ha mostrato un'apertura verso la semplificazione dell'accesso ai rimborsi IVA;
   secondo una recente nota dell'agenzia delle entrate, il Ministero dell'economia e delle finanze ha messo a disposizione 2 miliardi di euro per pagare i rimborsi di crediti IVA;
   nell'attuale periodo di crisi, aumentano i casi di imprese e imprenditori che sono in carenza di liquidità, pur vantando crediti IVA di notevole entità nei confronti dello Stato;
   l'articolo 28-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, introdotto dal decreto-legge n. 78 del 2010, prevede la compunzione dei crediti vantati verso la pubblica amministrazione con somme dovute all'erario a seguito di iscrizione a ruolo: tale istituto sarebbe dovuto entrare a regime a decorrere dal 1o gennaio 2011, ma il relativo decreto di attuazione non è stato ancora emanato;
   l'Unione europea ha emanato la direttiva 2011/7/UE contro i ritardi nei pagamenti, richiamando gli Stati membri a introdurre, per le transazioni commerciali relative alle forniture di servizi o merci, norme che prevedano periodi di pagamento non superiori ai 30 giorni di calendario e in ogni caso non superiori ai 60 giorni;
   il Parlamento, nella legge Comunitaria 2011 (approvata dalla Camera e in corso di esame al Senato) ha conferito una delega al Governo per dare attuazione, entro 6 mesi dall'entrata in vigore da tale ultima legge, alla predetta direttiva 2011/7/UE –:
   se intenda semplificare l'accesso ai rimborsi IVA, consentendo segnatamente l'accesso immediato ai medesimi – in armonia con la disciplina comunitaria – in tutti i casi di dichiarazione con eccedenza a credito e quindi anche in casi diversi da quelli considerati dall'articolo 30, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, allineare la durata della garanzia richiesta per richiedere il rimborso delle eccedenze IVA detraibili alla durata del periodo di accertamento, nonché attuare la norma che già consente la compensazione di crediti commerciali con somme iscritte a ruolo, dando altresì tempestiva attuazione alla citata direttiva 2011/7/UE, in particolare al fine di velocizzare i pagamenti da parte della pubblica amministrazione.
(5-06802)


   FLUVI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la circolare n. 25 del 26 giugno 2006 la Direzione centrale normativa e contenzioso della Agenzia delle entrate ha invitato i rispettivi uffici ad uniformarsi all'orientamento della Corte di cassazione (sentenza del 23 maggio 2005 n. 10842 e successive) nonché al parere dell'Avvocatura generale dello Stato inteso all'assoggettamento di tutti i trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico alla tassazione agevolata di cui all'articolo 52, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante il Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR);
   in conseguenza del provvedimento dell'Agenzia delle entrate, l'Inps ha provveduto a ridurre, a decorrere dal 2006, l'imponibile Irpef sulla quota delle pensioni integrative e sulle pensioni dei lavoratori salariati ex case di cura, secondo le indicazioni fomite dalla citata circolare, calcolando le imposte sull'87,50 per cento della quota integrativa della pensione anziché sul 100 per cento e rimborsando il conguaglio sulla rata della pensione di dicembre 2006, mentre per gli anni pregressi ha invitato gli stessi a presentare istanza all'amministrazione finanziaria per ottenere il rimborso della maggiore imposta pagata;
   a seguito dell'istanza presentata da molti contribuenti, l'Agenzia delle entrate ha riconosciuto il rimborso dell'eccedenza Irpef trattenuta dal sostituto d'imposta applicando il termine decadenziale di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso di cui all'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602;
   in particolare il citato articolo 38 stabilisce che l'istanza di rimborso di una imposta indebitamente pagata anche se in misura superiore al dovuto deve essere effettuata entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso esclusivamente nei casi di errore materiale, di duplicazione di versamento oppure allorquando il contribuente o il sostituto d'imposta, pur non essendo obbligati dalla legge abbiano effettuato un versamento non dovuto;
   l'istanza di rimborso presentata dai contribuenti all'Agenzia delle entrate sembrerebbe non rientrare nella previsione di cui all'articolo 38, in quanto la disposizione non riguarderebbe l'ipotesi in cui il contribuente o il sostituto d'imposta siano stati obbligati dall'Amministrazione finanziaria senza quindi possibilità di sottrarsi ad un atto impositivo per il principio di esecutorietà degli atti amministrativi;
   l'obbligo di versamento imposto dall'Amministrazione finanziaria costituirebbe in generale il momento esecutivo dell'obbligazione imposta ma non può identificarsi con quest'ultima;
   in base all'articolo 2944 del codice civile il riconoscimento da parte dell'Agenzia delle entrate di essere debitrice di una somma riscossa indebitamente costituirebbe atto interruttivo della prescrizione, in quanto detto riconoscimento è equiparato alla richiesta effettuata dal creditore nei termini previsti;
   l'inapplicabilità nei casi in specie del citato termine di decadenza di cui all'articolo 38 potrebbe configurare quindi l'applicazione del termine di prescrizione ordinaria decennale di cui all'articolo 2946 del codice civile;
   avendo la citata circolare n. 25 del 2006 della Agenzia delle entrate, invitato i propri uffici ad uniformarsi all'orientamento di tassazione agevolata ai trattamenti erogati dai fondi pensionistici integrativi, con conseguente riesame caso per caso del contenzioso pendente, potrebbero generarsi differenze di trattamento dei contribuenti in relazione all'interpretazione degli uffici circa l'applicazione del termine di prescrizione al diritto di rimborso –:
   quale sia la corretta interpretazione del termine dal quale decorre il diritto al rimborso della maggiore imposta pagata. (5-06803)


   FUGATTI, BRAGANTINI, FORCOLIN, MONTAGNOLI e COMAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 98 del 2011 ha introdotto un'addizionale erariale alla tassa automobilistica pari a 10 euro per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 225 chilowatt e il decreto-legge n. 201 del 2011 ha successivamente stabilito che per il 2012 tale addizionale è pari a 20 euro per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 185 chilowatt;
   il versamento dell'addizionale deve essere effettuato, come prevede l'Agenzia delle entrate, tramite modello F24 usando il codice 3364, escludendo ogni tipo di compensazione e la scadenza è la medesima della tassa automobilistica ordinaria;
   non c’è stata adeguata informazione agli automobilisti, i quali, in buona fede, pensavano che le modalità di versamento dell'addizionale fossero le stesse della tassa ordinaria;
   tale duplice sistema di versamento è sicuramente scomodo e oneroso per gli automobilisti, che devono recarsi alla posta o all'ACI per pagare il bollo ed in banca, con il modello F24, per pagare il superbollo;
   sarebbe molto più semplice far pagare l'addizionale con le stesse modalità previste per la tassa automobilistica, introducendo così una reale semplificazione per i cittadini e prevedendo poi che sia la regione a riversare allo Stato l'importo dell'addizionale –:
   se ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere, per il versamento dell'addizionale alla tassa automobilistica, le medesime modalità in vigore per la tassa ordinaria, non applicando sanzioni per gli automobilisti che, in buona fede, hanno commesso errori o hanno versato in ritardo l'addizionale. (5-06804)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI PIETRO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate, con bando dell'8 febbraio 2008, prot. 2008/20893, ha indetto una «selezione pubblica per l'assunzione a tempo indeterminato di 1180 unità per la terza area funzionale, fascia retributiva F1, profilo professionale funzionario, per attività amministrativo-tributaria» articolata in due prove scritte e un tirocinio con prova finale orale;
   in data 24 dicembre 2008, l'Agenzia delle entrate – a fronte della necessità di coprire ulteriori posti ha indetto con relativo avviso in Gazzetta Ufficiale, serie concorsi, n. 101 del 31 dicembre 2008 una nuova procedura concorsuale per l'assunzione di altre 825 unità;
   in data 11 febbraio 2009, l'onorevole Borghesi ha presentato in merito a quanto sinora esposto, l'atto di sindacato ispettivo 4-02282, cui peraltro non è giunta alcuna risposta;
   in data 5 luglio 2011, è stata indetta l'ennesima procedura concorsuale per l'assunzione di ulteriori 855 unità;
   il decreto-legge n. 216 del 2011 (cosiddetto milleproroghe), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2012, con l'articolo 1 «Proroga termini in materia di assunzioni», comma 4-bis, ha prorogato la validità delle graduatorie regionali del secondo concorso – ma non del primo – al 31 dicembre 2012 e ha previsto l'utilizzo delle sole graduatorie regionali degli idonei al tirocinio 2009 (concorso bandito nel dicembre 2008) da parte dell'Agenzia delle dogane, dell'Agenzia del territorio e dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
   non si è tenuto conto di quanti hanno superato le prime due prove del primo dei due concorsi in questione e non sono stati ammessi, per mancanza di posti, al tirocinio pur avendo riportato un punteggio anche al di sopra dei 21/30 richiesti dalla disciplina generale contenuta in tema di concorsi pubblici, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994;
   la decisione di procedere a nuovo concorso si scontra con quanto enunciato nel decreto-legge n. 112 del 2008 che ha modificato l'articolo 35, comma 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001, aumentando da tre a quattro anni, l'effettiva vigenza delle graduatorie dei concorsi pubblici per il reclutamento del personale amministrativo –:
   se non ritenga utile prorogare la validità delle graduatorie regionali degli idonei al tirocinio 2008 (concorso bandito nel febbraio 2008) sanando una grave disparità di trattamento ed evitando al contempo di aggravare inutilmente il bilancio dell'amministrazione pubblica con una nuova, lunga e costosa procedura concorsuale specie in una fase di grave crisi economica come quella attuale.
(4-15930)


   FAENZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri nonché Ministro interrogato, ha recentemente dichiarato che l'evasione fiscale non è giustificabile nel nostro Paese, né tantomeno è accettabile l'istigazione a non pagare le tasse o istituire in modo arbitrario compensazioni fra crediti e debiti nei confronti dell'amministrazione dello Stato;
   a giudizio dell'interrogante, se appaiono condivisibili le suesposte affermazioni, risultano altrettanto evidenti le continue denunce, divenute oramai quotidiane, da parte di un numero esorbitante di contribuenti che lamentano i mancati pagamenti da parte dell'amministrazione statale, siano essi configurati come rimborsi fiscali oppure rappresentati dai ritardi cronici con cui enti o aziende pubbliche provvedono al pagamento di beni e servizi nei riguardi dei fornitori privati, gli stessi soggetti da cui si pretende la puntualità dei pagamenti delle imposte e delle tasse;
   secondo informazioni di stampa, in particolare quelle pubblicate da quotidiani economici e finanziari, i debiti che l'amministrazione dello Stato ha contratto verso i contribuenti e fornitori, ammontano complessivamente a circa 80 miliardi di euro;
   gli stessi quotidiani economici paventano inoltre, la possibilità che in caso si iniziasse a rimborsare a breve termine, l'intera cifra predetta, i mercati finanziari trarrebbero la conclusione che l'Italia ha «rinunciato» il suo impegno per la riduzione del deficit pubblico, con la conseguenza che il divario, ovvero il cosiddetto spread tra l'interesse dei titoli di Stato italiani con quelli tedeschi aumenterebbe in maniera rilevante e rapidamente;
   a giudizio dell'interrogante inoltre, occorrerebbe valutare l'ipotesi di prevedere interventi di natura finanziaria volti ad una compensazione fra i crediti che i contribuenti vantano nei riguardi dell'amministrazione dello Stato e i debiti nei confronti della stessa, anche attraverso un bilanciamento di natura finanziaria inteso come corrispettivo configurabile in rimborsi di titoli di Stato, per consentire un duplice obiettivo: maggiori risorse disponibili da parte dei contribuenti, da poter utilizzare per la propria attività professionale, immettendo pertanto liquidità monetaria in circolazione e un onere meno gravoso da parte dello Stato, che appare in costante aumento –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se l'ammontare complessivo dei debiti da parte dell'amministrazione dello Stato, nei confronti dei contribuenti corrisponda effettivamente a circa 80 miliardi di euro come esposto in premessa;
   se non ritenga opportuno infine valutare positivamente l'ipotesi esposta in premessa dall'interrogante, sulla previsione di un sistema di interventi di compensazione in grado di garantire ai contribuenti del nostro Paese la possibilità di fronteggiare l'attuale grave crisi economica e finanziaria. (4-15931)


   ROSATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle diverse sale giochi presenti sul territorio nazionale è possibile tentare la sorte alle slot machine o altre macchinette da gioco;
   terminata la sessione di gioco la macchinetta emette un biglietto di vincita riportante il denaro contante spettante al giocatore, che la cassa dovrà versargli;
   il tagliando riporta solamente il giorno e la data di emissione con la relativa cifra di vincita;
   l'utente può decidere quando far emettere il tagliando alla macchinetta (dopo una vincita importante, prima di terminare i soldi inseriti), ed è consentito anche richiedere l'emissione del biglietto appena dopo aver inserito i soldi senza averli giocati;
   al momento dell'incasso della cifra, alla cassa, non emerge quanto effettivamente sia stato vinto in quanto la cifra indica solo i soldi che spettano al giocatore a prescindere che sia il risultato di una vincita, il rimanente di una giocata o semplicemente la cifra inserita nella macchinetta;
   come mostrato anche in un servizio della trasmissione televisiva Le Iene, appare, quindi, semplice eludere la normativa contro l'evasione fiscale, in quanto si può facilmente simulare una vincita alle macchinette da gioco per occultare la percezione di somme di denaro in nero;
   va precisato che non esistono limiti alle vincite e quindi la pratica sopra descritta potrebbe aiutare ad evadere quantitativi di soldi non indifferente e che i biglietti di vincita risultano configurarsi quasi quali titoli al portatore in quanto non riportano nemmeno il nominativo del giocatore;
   a parere dell'interrogante sarebbe sufficiente una modifica normativa atta ad obbligare a esplicitare su biglietti di vincita e ricevute della sale giochi il nominativo del giocatore e il quantitativo di denaro inserito nella macchinetta così da avere evidenza della vincita al netto della base di partenza giocata –:
   se il Governo sia a conoscenza di questo vuoto normativo che consente la facile elusione della normativa fiscale, e quali iniziative il Governo stia valutando di intraprendere al fine di risolvere la questione. (4-15943)


   FUGATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Governo Monti, dal dicembre 2011 ad oggi, ha oggettivamente inasprito la pressione fiscale, colpendo tutte le fasce sociali, anche le più deboli, introducendo nuove imposte, tassando la prima casa e tagliando le pensioni;
   nelle scorse settimane è apparsa la notizia che il 3 gennaio 2012 ben 2 miliardi e 567 milioni di euro sono passati dalle casse del nostro tesoro a quelle di Morgan Stanley, ben nota banca d'affari americana; il versamento sarebbe dovuto alla chiusura di una posizione aperta in derivati, di cui il Ministero dell'economia e delle finanze non ha dato notizia;
   unico riscontro sarebbe la comunicazione che i vertici dell'istituto americano hanno fatto alla SEC – Securities and exchange commission, sul fatto che l'esposizione verso l'Italia è scesa da 6,268 miliardi a 2,887 miliardi di dollari, con una differenza pari, quindi, a 2,567 miliardi di euro;
   tale notizia è passata sotto tono, senza che nessuna spiegazione ufficiale fosse fornita: non si conosce, infatti, la natura precisa di questo credito; alcune fonti parlano di un'operazione a «costo zero» per il tesoro, dal momento che banca IMI sarebbe subentrata a Morgan Stanley, alleggerendo così l'esposizione l'istituto americano verso di noi;
   considerando la fase economica che il nostro Paese sta attraversando, i sacrifici richiesti alle fasce più deboli della popolazione, la pesante crisi del nostro debito sovrano e le pressioni speculative, sarebbe opportuna la massima trasparenza nel descrivere questo tipo di operazioni, soprattutto se di importo tutt'altro che esiguo –:
   a cosa sia dovuta, nel dettaglio, la chiusura della posizione effettuata dal tesoro il 3 gennaio 2012 pari a 2,567 milioni di euro verso Morgan Stanley;
   quali e quante siano le posizioni aperte dello stesso genere e con quali banche. (4-15959)


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Guardia di finanza spicca da alcuni anni per capacità investigative di eccellenza nei contesti di indagine in cui internet e gli strumenti tecnologici sono il mezzo con cui realizzare un reato o l'ambito in cui le condotte criminali trovano agevole e produttiva manifestazione;
   il merito di questa affermazione è oggettivamente da ricondurre ai brillanti risultati conseguiti dal nucleo speciale frodi telematiche, reparto anche conosciuto con la sigla GAT cioè con l'acronimo del suo precedente nome gruppo anticrimine tecnologico;
   i successi operativi del nucleo sono da attribuire all'impegno straordinario di una trentina di militari guidati da un ufficiale, il colonnello Umberto Rapetto, che con capacità professionali non comuni e una straordinaria azione di comando ha saputo formare un team unico al mondo e a condurlo verso traguardi significativi, con un notevole ritorno di immagine per la guardia di finanza;
   il colonnello Rapetto, tra l'altro, già nel 2005, su delega della procura della Repubblica di Castrovillari, aveva scoperto centinaia di false posizioni previdenziali create attraverso l'uso fraudolento del sistema informatico dell'INPS, costruendo una matrice investigativa complessa oggi standard riutilizzato in altre indagini;
   lo stesso ha coordinato gli accertamenti tecnico-investigativi dell'indagine (tuttora in corso per conto della procura della Repubblica di Roma) sulle procedure informatiche utilizzate dal comune di Roma per il trattamento delle pratiche di condono edilizio, accertando l'esecuzione di manipolazioni via computer tradottesi in gravissime irregolarità da parte dell'ente pubblico e delle società incaricate in outsourcing con enorme pregiudizio erariale;
   ha condotto le indagini che hanno portato alla condanna in via definitiva degli hacker entrati abusivamente nei sistemi informatici del Pentagono, della NASA, di Governi stranieri, del Senato e di dicasteri ed enti italiani;
   ha diretto su delega della Corte dei conti l'indagine sulle slot machine non collegate all'anagrafe tributaria che ha portato alla condanna dei monopoli e delle società concessionarie al pagamento di 2 miliardi e 700 milioni di euro;
   è stato individuato come coordinatore delle operazioni tecniche di acquisizione ed analisi dei dati contenuti nella scatola nera e nei computer di bordo della nave Costa Concordia, operazioni tuttora in corso su cui è concentrata l'attenzione mondiale e da cui dipenderà l'esito delle indagini sul naufragio –:
   quali siano stati i riconoscimenti attribuiti all'ufficiale, con particolare riguardo all'indagine sui monopoli, per la quale risulta, che il procuratore della Corte dei conti per il Lazio pro tempore, dottor Ribaudo, avesse proposto Rapetto e alcuni suoi collaboratori per la promozione per meriti eccezionali di servizio (procedura non inusuale e spesso premiante militari con trascorsi di ben più lieve caratura);
   se sia vero che il colonnello Rapetto, pur nella logica del normale turn-over nell'ambito dell'organizzazione, sia stato trasferito alla frequenza di un corso presso il Centro alti studi difesa dove lo stesso svolge attività didattica da oltre dieci anni;
   se sia vero che – a fronte di un così delicato incarico che richiede competenze tecniche e giuridiche di difficile improvvisazione – non sia stato previsto un affiancamento o tirocinio e soprattutto non sia stato individuato un ufficiale con profilo professionale proporzionato al comandante uscente;
   se non esisteva – pur fatta salva ogni discrezionalità dell'amministrazione, ma proprio nel suo interesse a potersi avvalere di così brillanti capacità – altra destinazione per il colonnello Rapetto che secondo indiscrezioni avrebbe deciso di lasciare la carriera militare una volta ultimate le attività operative in essere e comunque prima dell'inizio del corso alla cui frequenza è stato assegnato. (4-15964)

GIUSTIZIA

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   la legge n. 148 del 14 settembre 2011 prevede la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari attraverso una legge delega;
   pur facendo riferimento a criteri di risparmio ed economicità non si può prescindere dalla esigenza di garantire nomassimo della sicurezza e della legalità di cui sono presidio fondamentale i tribunali presenti sul territorio;
   occorre tener conto delle caratteristiche dei singoli territori per non penalizzare ulteriormente le zone interne e quelle montuose che impongono trasferimenti difficoltosi e lunghi per i cittadini anche per la mancanza di infrastrutture adeguate;
   in base ai principi dettati dalla Costituzione bisogna garantire parità di possibilità di accesso alla giustizia cosa che non sarebbe più assicurata in caso di soppressione dei tribunali cosiddetti minori che attualmente sono distribuiti in maniera abbastanza omogenea sul territorio;
   è assurdo pensare di introdurre un criterio di «mobilità» dell'apparato giudiziario per tener conto degli spostamenti della popolazione e delle attività economiche che, negli ultimi decenni, sono stati numerosi, massicci, celeri e talvolta improvvisi;
   l'organizzazione giudiziaria è estremamente complessa e complessi sono i criteri con i quali possono essere valutati i suoi «prodotti» e analizzati i suoi costi complessivi per la società oltre che per lo Stato. E difficilissima è la valutazione e la previsione delle ricadute degli interventi effettuati sulla macchina della giustizia;
   il sistema, la rete degli uffici giudiziari, non è cosa che si possa modificare senza provocare scompiglio. La stessa tradizione è elemento necessario per la credibilità della giustizia. Le competenze «ballerine» hanno già provocato danni notevoli;
   la soppressione di un ufficio giudiziario e di un tribunale comporta ricadute estese e pesanti. Richiede un periodo di tempo elevato per l'assestamento ed il periodo di normalizzazione del nuovo assetto, che non è solo quello degli uffici, con il relativo personale, ma anche quello di numerosi professionisti;
   ciò che preoccupa di più di fronte a questi propositi di razionalizzazione produttivistica della giustizia è la pressoché generale manifesta indifferenza per la qualità del servizio offerto ai cittadini;
   tra l'altro il risparmio determinato dalla soppressione dei tribunali periferici e degli uffici dei giudici di pace non è certo. Anzi ci potrebbe essere un incremento della spesa per garantire nuovi spazi nelle sedi principali e, comunque, tutti i disagi ed i costi aggiuntivi ricadrebbero sui cittadini e sugli operatori di giustizia –:
   se non intenda valutare l'opportunità di una moratoria nell'attuazione della legge delega per meglio ponderare le ricadute di un simile provvedimento in termini sociali, efficienza della giustizia e di assetti sui territori interessati;
   se non intenda, in ogni caso, soprassedere alla soppressione di quei tribunali, uffici giudiziari ed uffici dei giudici di pace, ricadenti nelle aree interne, in territori montuosi e particolarmente ampi, o ad elevato rischio sismico che verrebbero privati di presidi di legalità e di una fondamentale presenza dello Stato.
(2-01473) «Iannaccone, Porfidia, Belcastro».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato a pagina 16 dal quotidiano La Repubblica del 7 maggio 2012, in occasione delle elezioni comunali di Palermo, nel penitenziario Pagliarelli su 1.200 aventi diritto nessuno ha chiesto il seggio speciale per poter votare, mentre all'Ucciardone su quasi 600 detenuti solo cinque detenuti hanno chiesto di votare ma pare che a votare siano stati anche meno; l'articolo di Repubblica, a firma di Attilio Bolzoni, attribuisce alla mafia il comportamento astensionista dei detenuti tanto che il titolo recita «E a Palermo il messaggio della mafia in carcere diserzione totale ai seggi»;
   interpellato dal giornalista Attilio Bolzoni, il Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso dà questa interpretazione: «Forse significa che non hanno ricevuto un'indicazione. E potrebbe essere un aspetto positivo. Certo è che i mafiosi si muovono, e quindi votano, se in cambio ricevono qualcosa. Evidentemente nessuno ha chiesto niente. Ma è solo un'impressione. Al momento non si può dire niente di preciso.»; mentre Alfonso Sabella, ex pubblico ministero a Palermo dopo le stragi del 1992 e da qualche mese al Dipartimento amministrazione penitenziaria, alla stessa domanda, risponde «Il carcere è lo specchio del Paese, evidentemente anche lì, non hanno fiducia nella politica.» –:
   se i detenuti degli istituti penitenziari dell'Ucciardone e del Pagliarelli siano stati preventivamente informati e in che modo dei loro diritti;
   se siano stati messi nelle condizioni di poter esercitare il loro diritto di voto, attraverso la concreta disponibilità della tessera elettorale;
   se risulti che vi siano state iniziative volte a dissuadere o impedire ai detenuti di recarsi alle urne; quale sia stata l'affluenza alle urne nei due istituti nelle ultime 3 consultazioni elettorali comunali, provinciali e regionali e quali sono stati i risultati conseguiti dalle liste in ciascuna tornata; quale sia stata l'affluenza alle urne nei due istituti nell'ultima consultazione per il rinnovo di Camera e Senato e del Parlamento Europeo e quali sono stati i risultati conseguiti dalle liste in ciascun tipo di elezione.
(2-01477) «Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 della legge 14 settembre 2011 n. 148 di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, contiene una delega a riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza;
   la lettera a) dell'articolo citato, dispone che, nell'opera di riduzione degli uffici giudiziari di primo grado, deve essere garantita la permanenza del tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011;
   la lettera f) dell'articolo 1, tuttavia, precisa che occorre «garantire che, all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d'appello, incluse le sue sezioni distaccate, comprenda non meno di tre degli attuali tribunali con relative procure della Repubblica»;
   dal combinato disposto dei due principi, però, possono derivare conseguenze che vanno nella direzione opposta a quella della ratio della norma: il risparmio di spesa e l'efficienza;
   in effetti, vi sono molti tribunali ubicati nelle province che sono dimensionalmente molto più piccoli di tanti altri, così come vi sono tanti tribunali, che andrebbero a formare i tre di una corte d'appello, che sono molto più modesti di tanti altri. In entrambi i casi il rischio è che, senza alcuna logica dettata dal risparmio di spesa o dall'efficienza, permarrebbero in vita tribunali piccoli e piccolissimi a danno di tribunali medi e in qualche caso anche grandi;
   per fare un esempio concreto, e avendo a riferimento la relazione che il gruppo di studio del Ministero della giustizia ha preparato al Ministro Severino basandosi proprio sulla legge delega n. 148 del 2011, il tribunale di Cassino rischierebbe la soppressione pur collocandosi, su un totale di 165 tribunali, all'83° per popolazione (sopravanzando ben 36 tribunali capoluogo di provincia), al 60° per superficie (sopravanzando ben 53 tribunali capoluogo di provincia), all'81° per numero di magistrati (sopravanzando ben 40 tribunali capoluogo di provincia), all'81° per numero di amministrativi (sopravanzando ben 40 tribunali capoluogo di provincia), al 107° per numero amministrativi/magistrati (sopravanzando ben 37 tribunali capoluogo di provincia), al 77° per sopravvenienze medie (sopravanzando ben 42 tribunali capoluogo di provincia), al 71° per carico di lavoro unitario (sopravanzando ben 52 tribunali capoluogo di provincia), al 78° per definiti medi (sopravanzando ben 41 tribunali capoluogo di provincia), al 79° per produttività (sopravanzando ben 46 tribunali capoluogo di provincia);
   ovviamente in questa classifica non si tiene conto di tanti tribunali che formano il terzo di una corte d'appello, ma tutti inferiori al tribunale di Cassino;
   nonostante la fonte di questi dati inoppugnabili sia il Ministero della giustizia, secondo la relazione del gruppo di studio del Ministero e secondo l'articolo 1 della legge n. 148 del 2011, il tribunale di Cassino dovrebbe essere soppresso;
   dalla relazione stilata dal gruppo di studio del Ministero, inoltre, si evincerebbe che la delega non è stata rispettata perché in essa è stata prevista esclusivamente la soppressione di tribunali esistenti (facendo sempre riferimento a quegli assurdi parametri della legge delega) ma non ha attuato un principio che la delega stessa aveva posto come possibilità all'articolo 1 comma 2b), e cioè la ridefinizione dell'assetto territoriale degli attuali uffici giudiziari mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi;
   questa possibilità, che concretizzerebbe al tempo stesso sia un risparmio di spesa sia l'efficienza, non è stata presa in considerazione mentre per il tribunale di Cassino, secondo i parametri utilizzati dal gruppo di studio del Ministero, sarebbe auspicabile l'accorpamento del territorio del sud pontino (sede distaccata di Gaeta), un territorio che peraltro fino all'anno 1927 faceva già parte dello storico tribunale di Cassino, che proprio l'anno passato ha festeggiato, insieme alla Nazione, i suoi 150 anni di vita;
   la lettera g) dell'articolo 1, inoltre, stabilisce che i magistrati e il personale amministrativo entrino di diritto a far parte dell'organico dei tribunali e delle procure accorpanti. Nel caso del tribunale di Cassino, ma in tutti gli altri casi di eventuale soppressione di tribunali di rilevante dimensione, il tribunale accorpante (Frosinone) vedendosi raddoppiare da un giorno all'altro l'organico non ha alcun possibilità infrastrutturale di accogliere magistrati ed amministrativi, per non parlare degli avvocati, delle parti processuali, e altro, per cui si dovrebbe necessariamente far luogo al reperimento di nuovi locali con un aggravio di spesa per il Ministero;
   la delega prevede, oltre a ciò, di tener conto delle specificità territoriali del bacino di utenza anche in riferimento al tasso d'impatto della criminalità organizzata. Nel caso del tribunale di Cassino (e della procura) la sua presenza è stato un baluardo contro la minaccia camorristica ed ha garantito fino ad oggi un bassissimo tasso di infiltrazione della criminalità organizzata, che, nel caso di soppressione, si vedrebbe spianare la strada per una immediata «colonizzazione»;
   la soppressione di un tribunale di rilevante dimensione come quello di Cassino comporterebbe un forte e negativo impatto anche dal punto di vista socioeconomico su tutto il territorio provinciale e del basso Lazio, venendo così a determinarsi un impoverimento del tessuto sociale con forte e rilevante impatto economico per una popolazione che va ben oltre le 222.000 persone circa che «serve» direttamente il tribunale, coinvolgendo un bacino d'utenza molto più grande (Cassino è sede di una università, tra cui la facoltà di giurisprudenza, di un importante stabilimento industriale come la FIAT, di un importantissimo centro di culto come l'Abbazia di Montecassino) –:
   se non ritenga, alla luce delle considerazioni suesposte e dei dati forniti dal gruppo di studio del Ministero, di escludere il tribunale di Cassino dal processo di riorganizzazione degli uffici giudiziari in atto in quanto la sua chiusura, oltre a non realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, produrrebbe un negativo impatto socio-economico e costituirebbe un segnale inopportuno nella lotta alla criminalità organizzata.
(2-01478) «Anna Teresa Formisano».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 20 giugno 2011 il dottor Gianfranco De Gesu si è insediato nella carica di provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria sarda;
   dal 2 dicembre 2011, però, lo stesso dottor De Gesu ha assunto anche il ruolo di provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria calabrese dove peraltro era stato vicario nei mesi precedenti;
   sulla doppia nomina del dottor De Gesu, Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione «Socialismo Diritti Riforme», ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Nel complimentarci per la nuova sfida che il dottor De Gesu sta affrontando, non si può non rilevare che il Dipartimento dovrebbe garantire continuità esclusiva alla direzione del Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria dell'isola. La Sardegna infatti è rimasta per circa un anno senza un responsabile regionale e per far fronte alle diverse emergenze ha bisogno di una esclusiva continuità amministrativa. L'emergenza carceri come sa bene il Ministro Paola Severino, che ha dimostrato una particolare sensibilità nei confronti della condizione dei detenuti sardi, deve essere affrontata anche garantendo la presenza dei rispettivi responsabili negli Istituti Penitenziari e nei Provveditorati regionali. In Sardegna invece, oltre al Provveditore con doppio incarico, ci sono tre Istituti (Iglesias, Lanusei, Tempio Pausania) e due colonie penali (Is Arenas e Mamone) assegnati a direttori titolari in Case Circondariali particolarmente impegnative come Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano. Senza dimenticare la cronica carenza di agenti di Polizia Penitenziaria. Una situazione non adeguata a contenere il disagio e a individuare le migliori strategie per rendere le condizioni di vita dei detenuti maggiormente rispettose della dignità umana. Inaccettabile nella prospettiva di apertura delle nuove strutture penitenziarie che rischiano di diventare cattedrali nel deserto» –:
   se il Ministro non ritenga che il doppio incarico assegnato al dottor De Gesu possa pregiudicare la continuità amministrativa esclusiva del provveditorato dell'amministrazione penitenziaria della Sardegna;
   se non ritenga opportuno assegnare alla direzione degli istituti di pena di Iglesias, Lanusei e Tempo Pausania e alle due colonie penali di Is Arenas e Mamone persone che non ricoprano già altri incarichi gravosi e impegnativi;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, sollecitare e/o promuovere al fine di aumentare l'organico degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso le carceri sarde in modo da rendere lo stesso adeguato e proporzionato al numero delle persone recluse e alle esigenze di tutti gli istituti di pena dell'isola. (5-06707)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul numero di dicembre del mensile «Terre di Mezzo» è stata pubblicata una inchiesta dal titolo «La fortezza degli invisibili» relativa al carcere di massima sicurezza di Paliano (Frosinone), struttura all'interno della quale attualmente risultano essere reclusi 43 collaboratori di giustizia;
   all'esito della inchiesta giornalistica è risultato che nel predetto istituto penitenziario: a) il sistema di videoconferenza è fuori uso, il che non permette ai pentiti di testimoniare senza andare in tribunale; b) la videosorveglianza è funzionante solo nella sala colloqui e nel refettorio; c) vi è una carenza di circa 20 agenti di polizia penitenziaria, al punto che la stessa direttrice, dottoressa Nadia Cersosimo, è anche costretta a fare la guardia in portineria; d) mancano le risorse economiche per finanziare le attività di recupero dei detenuti, atteso che, ad esempio, gli attrezzi e gli ingredienti del corso di cucina li paga direttamente la direttrice di tasca sua –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati e cosa intenda fare per risolvere i problemi che da tempo affliggono la struttura penitenziaria laziale così come meglio specificati in premessa.
(5-06709)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano l'Unità del 2 gennaio 2011 è apparso un articolo scritto da Jolanda Bufalini intitolato: «Il detenuto morto nel carcere di Trani era in isolamento per “simulata malattia«”;
   l'articolo dà conto della morte di Gregorio Durante, 34enne, detenuto nel carcere di Trani per reati contro il patrimonio e la persona e trovato privo di vita all'interno della sua cella la sera del 31 dicembre 2011;
   sulla vicenda, la madre dell'uomo ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Me lo hanno ammazzato. Me lo hanno fatto morire in cella da solo come un cane. Quando siamo andati a trovarlo a Natale era su una sedia a rotelle, aveva gli occhi chiusi, non parlava e si faceva la pipì addosso, aveva ai polsi persino i segni delle corde con le quali veniva legato al letto e mi dicevamo invece che stava simulando. Gregorio soffriva dei postumi di una encefalite virale, avevamo chiesto la scarcerazione per l'incompatibilità del suo stato con il regime carcerario. Avevamo spiegato che stava male, non gli hanno voluto credere, dicono che simulava e quindi lo hanno punito mettendolo in isolamento»;
   il corpo senza vita del detenuto è stato scoperto durante un giro di ispezione degli agenti. La procura di Trani ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo contro ignoti;
   il carcere di Trani ospita 439 reclusi in spazi dove dovrebbero stare al massimo in 233. Ma, dice Patrizio Gonnella di Antigone, «il sovraffollamento non può essere una giustificazione quando muore una persona. Delle due l'una: se è vero che simulava allora non è vero che è morto per malattia. Ma se è morto per malattia si individuino le responsabilità di chi non gli ha creduto»;
   nel 2011 ben 183 detenuti sono morti in carcere e altri 66 si sono tolti la vita –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali siano le informazioni del Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare, nel rispetto e a prescindere dalla eventuale inchiesta che sulla vicenda aprirà la magistratura, un'indagine amministrativa interna volta a verificare se vi siano responsabilità disciplinari in capo alla direzione carceraria in merito alle cause che hanno cagionato la morte del detenuto Gregorio Durante;
   da quanto tempo l'uomo si trovasse in isolamento;
   se, prima di essere punito, il detenuto sia stato informato dell'infrazione che gli veniva contestata e se gli sia stata data la possibilità di discolparsi;
   se il medico, prima che la direzione dell'istituto applicasse al detenuto la sanzione dell'isolamento disciplinare, abbia certificato per iscritto che costui era in condizione di sopportarla;
   se nel corso della sua permanenza in isolamento, il detenuto sia stato visitato quotidianamente dai sanitari e se questi ultimi si siano rivolti in qualche circostanza al direttore chiedendo di porre fine alla sanzione o di modificarla per ragioni di salute fisica o psichica dell'uomo;
   quali provvedimenti ritenga opportuno e urgente adottare per ricondurre il carcere di Trani in condizioni rispettose della normativa, così da assicurare condizioni di vita dignitose sia ai detenuti che al personale di polizia penitenziaria;
   se non ritenga urgente riferire sulla reale consistenza delle morti in carcere in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle avvenute per cause sospette. (5-06710)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano La Stampa del 2 gennaio 2012 è apparso un articolo intitolato: «Detenuto alle Vallette si è ucciso mentre i compagni festeggiavano il 2012»;
   l'articolo dà conto della morte di Aurel Contrea, 36enne, detenuto da appena qualche mese nel carcere di Torino e da tempo soggetto a un forte stato di depressione;
   l'uomo si è tolto la vita la sera del 31 dicembre 2011, poco prima delle 22, impiccandosi alle sbarre della cella con una corda rudimentale, di tessuto annodato. Gli agenti di turno sono immediatamente intervenuti, questioni non di minuti, ma di secondi, lo hanno soccorso e subito trasferito nell'infermeria. Niente. Contrea è morto dopo qualche istante di agonia;
   i familiari dell'uomo chiedono che un'inchiesta ricostruisca quanto è accaduto e che si proceda anche all'acquisizione delle cartelle cliniche. Sembra che Autrel Contrea fosse stato visitato recentemente da medici specialisti e le sue condizioni psichiche erano state comunque ritenute idonee per sostenere la vita in cella;
   Contrea faceva parte, da qualche tempo, della squadra di rugby «La Drola» che milita nel campionato di serie C. L'avventura dei detenuti rugbisti, un esperimento unico a livello nazionale, fortemente voluto anche dalla direzione del «Lorusso Cutugno» è stata seguita dai media con un interesse speciale, per i risultati ottenuti sulla strada di un pieno recupero per i reclusi che hanno scelto di allenarsi, imparare i segreti del rugby e infine di giocare con gli atleti delle altre squadre, tutte ospiti del campo di gare realizzato all'interno del carcere. Contrea aveva un fisico atletico, era un uomo che – attraverso lo sport – sembrava avviato al recupero, nonostante gli anni di prigione che doveva ancora scontare;
   con quello di Aurel Contrea sono 66 i detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri italiane nel 2011. Lo scorso anno, nella sola Torino si sono registrati sei detenuti morti impiccati (uno nella camera di sicurezza di una caserma), più una lunga serie di persone salvate all'ultimo istante dagli agenti della polizia penitenziaria, A volte, questi interventi in extremis, non fanno neanche più notizia. Tanto sono frequenti. Uno degli ultimi in ordine di tempo, riguarda un giovane pusher egiziano. Salvato quando già aveva il cappio attorno al collo;
   i sindacati degli agenti denunciano da mesi uno stato di sofferenza e di disagio insostenibili, sia per la polizia penitenziaria che per i detenuti. Secondo Leo Benedici segretario nazionale dell'OSAPP, «a Torino mancano trecento agenti. Un dato pesantissimo, che getta una luce sinistra sulla catena di morti avvenute all'interno di questo carcere dove la popolazione carceraria è da sempre superiore alla capienza ufficiale, anche di centinaia di unità. Occorre che il Governo intervenga in modo più deciso, con provvedimenti che riescano ad allentare una pressione, sull'intero sistema carcerario italiano, non più sostenibile» –:
   quali siano le informazioni del Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare, nel rispetto e a prescindere dalla eventuale inchiesta che sulla vicenda aprirà la magistratura, un'indagine amministrativa interna volta a verificare se vi siano responsabilità disciplinari in capo al personale penitenziario o alla direzione dell'istituto in merito alle cause che hanno cagionato la morte del detenuto Gregorio Durante;
   se Aurel Contrea sia stato visto e visitato da un medico dopo il suo ingresso in carcere ed in seguito con la frequenza necessaria, ciò al fine di verificare l'eventuale esistenza di una malattia psichica del detenuto e di adottare tutte le misure necessarie alle cure mediche;
   se nel corso della sua detenzione Aurel Contrea abbia mai mostrato un precario stato di salute psichica in conseguenza del suo stato di detenzione;
   con quante persone l'uomo dividesse la sua cella, quanto questa fosse grande e quanti metri quadri avesse a disposizione ogni singolo detenuto recluso al suo interno;
   se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo; più in particolare quali iniziative, anche normative, si intendano assumere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora. (5-06711)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 4 dicembre 2011 Monia Bellafiore, 42 anni, si è suicidata nel carcere cagliaritano di «Buoncammino». La donna, secondo le prime ricostruzioni, si sarebbe impiccata con un lembo di stoffa nel bagno della cella che condivideva con altre 5 detenute. Sono state proprio loro a dare l'allarme ma per la donna ormai non c'era più niente da fare;
   Monia Bellafiore aveva 42 anni ed era in carcere, assieme al marito Giuseppe Oliva, di 39, dal 4 novembre 2011. I coniugi erano accusati di omicidio premeditato pluriaggravato. Secondo gli inquirenti, i due avrebbero ucciso la madre della Bellafiore, Maria Irene Sanna, di 64 anni, ex infermiera e badante, nell'abitazione di Assemini dove vivevano tutti e tre;
   conosciuti entrambi come tossicodipendenti, Bellafiore e Oliva avrebbero commesso il delitto al termine di un violento litigio per questioni di soldi e droga. Dopo l'arresto, i due non hanno mai parlato con gli inquirenti: si sono sempre avvalsi della facoltà di non rispondere durante gli interrogatori a cui sono stati sottoposti. Ma attraverso i loro legali avevano fatto sapere di essere innocenti. La difesa aveva anche presentato istanza di scarcerazione, respinta però dai giudici del tribunale del riesame –:
   di quali informazioni disponga in merito ai fatti descritti in premessa;
   se non ritenga opportuno avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare, indipendentemente e nel rispetto dell'indagine avviata dalla magistratura, l'esatta dinamica dell'episodio che ha portato al suicidio della signora Bellafiore e per appurare se vi siano state negligenze da parte della direzione e/o degli operatori della polizia penitenziaria;
   in che modo era seguita dal personale medico la detenuta in questione e a quando risalga l'ultimo incontro che la stessa aveva avuto con lo psicologo, con l'educatore, con gli assistenti sociali;
   se e che tipo di provvedimenti cautelari siano stati adottati dalla direzione carceraria nei confronti della detenuta morta suicida;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di contrastare il grave affollamento di detenuti e la pesante carenza di organico degli agenti penitenziari che da anni fanno sì che le condizioni di detenzione e lavorative che si registrano all'interno dell'istituto di pena cagliaritano siano al di sotto della soglia della tollerabilità. (5-06712)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il sito Sanremo news del 26 dicembre 2011 dava conto del fatto che il detenuto Alessio Esposito, 30enne, arrestato da pochi giorni perché considerato autore di una serie di scippi e per questo motivo ristretto all'interno del carcere ligure, ha dato fuoco al materasso della sua cella rischiando di morire nell'incendio da lui stesso appiccato;
   il detenuto – tratto in salvo dagli agenti della polizia penitenziaria e attualmente ricoverato nel reparto psichiatrico dell'ospedale di Bordighera – ha motivato il suo gesto in quanto sostiene di essere stato arrestato ingiustamente e di non essere stato sottoposto ad una visita medica volta a verificare la frattura del piede –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti riferiti in premessa e se gli stessi corrispondano al vero;
   da quanti giorni il detenuto si trovasse in cella prima di aver dato fuoco al materasso;
   se all'atto del suo ingresso in carcere l'uomo sia stato sottoposto ad una visita psicologica;
   se risulti per quali motivi il detenuto non sia stato sottoposto a visita medica;
   se e quali misure di prevenzione siano state adottate nei confronti del detenuto in questione dopo i fatti descritti in premessa e se attualmente il signor Alessio Esposito risulti essere sottoposto ad un adeguato trattamento di sostegno psicologico. (5-06713)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ASCA del 28 dicembre 2011 presso la casa circondariale di Cosenza si registrerebbe un alto tasso di sovraffollamento e carenza di personale di polizia penitenziaria. Basti dire che la struttura dovrebbe ospitare 209 persone, mentre ve ne sono ospitate 359 con conseguenze gravi di coabitazione in celle inevitabilmente troppo piccole –:
   se sia a conoscenza dei fatti riferiti in premessa e, in caso affermativo, se ritenga opportuno effettuare una ispezione all'interno della casa circondariale di Cosenza;
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di contrastare il grave sovraffollamento dell'istituto di pena calabrese nonché la carenza di organico degli agenti di polizia penitenziaria, il tutto in modo da tornare a garantire ai detenuti del carcere cosentino il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione. (5-06714)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 28 dicembre 2011 Giuseppe Di Blasi, 46enne si è impiccato annodandosi un cappio intorno al collo all'interno della sua cella del carcere di Caltanissetta («Malaspina») dov'era detenuto dal 9 gennaio 2010 dopo l'arresto e la condanna definitiva a 4 anni per detenzione illegale d'armi;
   quando un agente di custodia addetto alla sorveglianza s’è accorto che Di Blasi era penzoloni era ormai troppo tardi: nonostante i numerosi tentativi per rianimarlo, l'uomo è deceduto quasi subito;
   il sostituto procuratore Elena Caruso ha effettuato un sopralluogo in carcere ed ha aperto un'inchiesta delegata alla polizia penitenziaria. Appena il 22 dicembre 2011, la corte d'appello che stava processando Di Blasi aveva rigettato l'istanza di affievolimento della misura cautelare presentata dagli avvocati Massimiliano Bellini e Vincenzo Ferrigno, ciò nonostante il fatto che l'imputato avesse tentato già altre quattro volte di togliersi la vita all'interno della sua cella;
   in due circostanze Di Blasi aveva ingerito un eccessivo dosaggio di farmaci, poi aveva tentato di impiccarsi ed infine aveva ingoiato le lenti rotte degli occhiali da vista. Per questi motivi gli avvocati dell'uomo, attraverso il consulente medico Carla Ippolito, avevano ribadito alla corte di appello che il signor Di Blasi era un soggetto affetto da una sindrome depressiva che lo rendeva incompatibile col regime carcerario e per questo andava curato in un ambiente familiare dove aveva la possibilità di sottoporsi «ad adeguati trattamenti psicoterapeutici»;
   nella perizia redatta dal dottor Vito Milisenna, nominato dalla corte d'appello, si sosteneva invece che Giuseppe Di Blasi «poteva superare le problematiche in una struttura dell'Amministrazione penitenziaria dotata di servizi di psichiatria in cui il detenuto, affetto da disturbi psichici, poteva essere seguito e sorvegliato», e la corte aveva disposto la trasmissione degli atti al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per individuare una struttura idonea;
   interpellato dal quotidiano La Sicilia il 28 dicembre 2011, l'avvocato del signor Di Blasi ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Questa morte è una sconfitta per la nostra giustizia. Spesso la carcerazione preventiva è un'ingiusta anticipazione della pena. Ricordiamoci che vale sempre il principio di presunzione d'innocenza. Sono davvero amareggiato perché la corte d'appello, decidendo di riaprire il processo, voleva approfondire la vicenda nella sua globalità. Purtroppo non ci siamo riusciti. Di Blasi s’è protestato sempre innocente e fin dal primo giorno aveva manifestato segni di cedimento. Molte volte abbiamo chiesto misure meno restrittive che i giudici di primo e secondo grado hanno rigettato»;
   con questo arriva a 66 il numero complessivo dei detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri italiane nel corso del 2011;
   il 12 gennaio 2010 la Camera dei deputati ha parzialmente approvato, su espresso parere favorevole del Governo, la mozione sulle carceri presentata dalla prima firmataria del presente atto e sottoscritta da 93 deputati appartenenti a quasi tutte le forze politiche presenti in Parlamento;
   la mozione approvata prevede, tra l'altro, la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale –:
   se il Governo non intenda urgentemente attuare iniziative di competenza per capire, anche attraverso l'avvio di un'indagine interna, se vi siano responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare nella morte del detenuto avvenuta nel carcere di Caltanissetta; in particolare, se non intenda verificare se ed in che misura il detenuto morto suicida disponesse di un adeguato supporto psicologico;
   quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti di Giuseppe Di Blasi dopo i quattro tentativi di suicidio;
   se non intenda avviare iniziative ispettive presso la corte di appello di Caltanissetta al fine di verificale se non vi siano eventuali profili di responsabilità disciplinare in capo ai giudici che hanno rigettato la richiesta di sostituzione della misura cautelare avanzata dagli avvocati dell'imputato che per ben quattro volte aveva tentato di togliersi la vita;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere Malaspina di Caltanissetta;
   se e quali urgenti iniziative di carattere normativo il Governo intenda adottare al fine di ridurre i tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, ed il conseguente potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale, così come previsto dalla mozione n. 1-00288 approvata dalla Camera dei deputati il 12 gennaio 2010;
   se e quali urgenti iniziative di competenza, più in generale, il Governo intenda adottare e promuovere al fine di aumentare gli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi in servizio presso gli istituti di pena, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone recluse, così come previsto dalla mozione n. 1-00288 approvata dalla Camera dei deputati il 12 gennaio 2010;
   se non ritenga che l'alto tasso dei suicidi e dei tentati suicidi dipenda dall'elevato tasso di sovraffollamento degli istituti di pena dove attualmente sono ristretti quasi 68.000 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 43.000 posti. (5-06715)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 dicembre 2011 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Agrigento, accompagnata dagli esponenti radicali di Palermo e Catania, Donatella Corleo e Gianmarco Ciccarelli;
   la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal comandante di polizia penitenziaria Giuseppe Lo Faro e dal responsabile dell'area educativa Giovanni Giordano; la visita ha avuto una durata di circa cinque ore; la situazione riscontrata è la seguente: la struttura sorge in contrada Petrusa, una zona distante dal centro abitato, ed è stata inaugurata nella metà degli anni novanta; l'istituto è gravemente sovraffollato: a fronte di una capienza regolamentare di 250 posti, i detenuti ristretti all'interno della casa circondariale sono 421 (di cui 397 uomini e 24 donne); i detenuti in attesa di giudizio sono 188 (106 in attesa di primo giudizio, 52 appellanti, 30 ricorrenti), mentre quelli che scontano una condanna definitiva sono 225; l'istituto inoltre ospita 5 internati e 3 persone in regime di semilibertà; i detenuti stranieri sono 113 (108 uomini e 5 donne), soprattutto di nazionalità tunisina e rumena; «in questo periodo natalizio i detenuti sono un po’ meno del solito, in media l'istituto ospita 460/470 detenuti e abbiamo raggiunto anche punte di 500», dice il comandante Lo Faro; in questa casa circondariale, nonostante l'elevato tasso di sovraffollamento, vengono periodicamente trasferiti detenuti provenienti da istituti di pena del centro-nord (soprattutto della Lombardia);
   dei 270 agenti di Polizia penitenziaria assegnati alla casa circondariale di Agrigento, a fronte di una pianta organica che ne prevede 245, sono presenti 150 agenti mentre i restanti 120 risultano assenti (per congedi ordinari, riposi, congedi straordinari parentali, ospedale militare, malattia, permessi ex legge 104, permessi sindacali, missione ad altra sede, distaccati ad altra sede);
   l'assistenza sanitaria è assicurata 24 ore su 24 da una guardia medica e da un infermiere; le branche specialistiche presenti all'interno del carcere sono cardiologia, psichiatria, odontoiatria e radiologia;
   per le altre visite specialistiche è necessario ricorrere a strutture ospedaliere esterne; il carcere è dotato di 3 defibrillatori; i detenuti tossicodipendenti sono 76, di cui poche unità in trattamento metadonico; secondo quanto riferito dal dirigente sanitario, «i casi psichiatrici sono molti, almeno un 15 per cento dei detenuti»; si registrano diversi casi di detenuti affetti da epatite, tubercolosi, «e questa mattina abbiamo avuto un caso di scabbia», informa il comandante di polizia penitenziaria;
   la relazione della ASL per verificare le condizioni igienico-sanitarie dell'istituto viene effettuata «ogni tanto, ma non con cadenza semestrale», secondo quanto riferito;
   l'assistenza psicologica, effettuata da 2 psicologi per un totale di sole 10 ore al mese, risulta essere del tutto inadeguata;
   gli educatori in servizio sono 6; secondo quanto riferito dal dottor Giordano, sono attive classi di scuola elementare, media inferiore e media superiore (istituto alberghiero) e vengono effettuati corsi di musico-terapia, arte-terapia, progetto yoga;
   la casa circondariale ospita detenuti in regime di alta sicurezza e detenuti comuni in media sicurezza; è presente anche un reparto «protetti» e il reparto femminile; nell'area in cui era ubicato il campo sportivo, è attualmente in costruzione un nuovo padiglione destinato ad ospitare 200 detenuti;
   la delegazione visita la sezione «Asia» – 2° piano, sinistra – dove incontra detenuti in regime di media sicurezza; le condizioni strutturali e gli impianti risultano inadeguati e pertanto la struttura allo stato attuale non appare idonea alla sua destinazione di ambiente detentivo; ciascuna delle celle misura circa 8 metri quadrati e dovrebbe essere destinata ad ospitare un detenuto, mentre invece vi sono ristretti due o (più frequentemente) tre detenuti, sistemati in un letto a castello; oltre alle sbarre sono applicate alle finestre delle speciali gelosie (le cosiddette «bocche di lupo») che impediscono la visuale esterna e limitano l'ingresso di luce naturale; le celle non sono provviste di doccia e le docce comuni, realizzate per servire un'utenza molto minore, sono poche e si presentano in condizioni pessime: si registrano perdite d'acqua e perfino il tetto scrostato gocciola; «i tubi sono marci e ci sono problemi di manutenzione, abbiamo problemi di budget», viene riferito; ai detenuti l'utilizzo della doccia è consentito soltanto tre volte alla settimana, a causa della carenza di acqua; un'altra grave criticità è l'assenza di riscaldamento: «sono qua da sette anni e i riscaldamenti non li ho mai visti in funzione», sottolinea il comandante;
   nella cella n. 13 sono ristretti 3 detenuti fra cui S.G., residente ad Acireale (Catania), che lamenta: «mi hanno rifiutato l'affidamento ai servizi sociali perché non ho un lavoro, ma io ho 65 anni, ho il cerotto al cuore !», e aggiunge: «nel carcere di piazza Lanza stavo meglio, almeno li avevo la doccia in cella; sono preso di malinconia: non ricevo posta, non faccio mai un colloquio con nessuno»;
   F.O. detenuto nella cella n. 12, racconta di aver fatto in passato uso di sostanze stupefacenti e di avere un bimbo di 6 anni che non vede da 4 anni; «in tutto questo tempo non l'ho sentito nemmeno per telefono, lui sta a Roma con la madre, vorrei che qualcuno mi aiutasse»;
   la delegazione incontra nel passeggio alcuni detenuti del 10 piano, sinistra, che trascorrono l'ora d'aria;
   R. K. è un detenuto tunisino trasferito ad Agrigento dal carcere di Mantova per «sfollamento»: «lì avevo i familiari vicini, ho anche una figlia di 4 anni che non vedo da 2 anni; da quando sono in Sicilia non ho più visto nessun familiare, per questo ho fatto richiesta di trasferimento, ma non ho ricevuto risposta»;
   anche D.S. non ha ricevuto alcuna risposta in seguito alla sua richiesta di essere trasferito in un carcere più vicino alla famiglia: «ho due figli di 5 e 7 anni, da quando sono in questo carcere non li vedo, prima ero detenuto a Reggio Calabria e ho fatto richiesta per poter ritornare in quel carcere, ma ancora niente, nessuno mi ha detto niente»;
   G.B. residente a Rosarno (Reggio Calabria) dice: «sono stato sfollato dal carcere di Palmi e ho fatto richiesta di avvicinamento perché mia moglie è gravemente malata, vorrei starle vicino»;
   F.E. tunisino, racconta: «sono in Italia da 25 anni, sono stato per 5 anni a Regina Coeli e da 9 mesi mi hanno sfollato qua»;
   G.P.V. ventunenne, è stato sfollato dal carcere di Catania Piazza Lanza e ha chiesto di poter tornare a Catania o almeno essere trasferito in un istituto più vicino («ad esempio Augusta o Gela») perché la madre è malata di cancro;
   E.P. detenuto albanese, racconta di essere stato trasferito («per sfollamento, senza aver preso un rapporto») dal carcere di Padova al carcere di Treviso, e poi ad Augusta e infine ad Agrigento: «ho due figli piccoli, l'ultimo non l'ho mai visto, la mia famiglia vive a Padova, per questo ho fatto domanda per ritornare a Padova»;
   la condizione dei detenuti, in particolare degli stranieri, è di estrema povertà; «qui per noi è più difficile, nessuno lavora e non abbiamo soldi», riferiscono alcuni detenuti stranieri; alcuni detenuti non possiedono nemmeno un paio di ciabatte; «non posso comprarmi il caffè o le sigarette, vorrei andare in un carcere dove posso lavorare, i miei familiari non sono qua: chi mi dà i soldi se non lavoro ?», lamenta un detenuto; molti riferiscono di non avere i soldi per acquistare il sapone e lo shampoo o per telefonare ai familiari lontani; un ragazzo ha la scarpa destra diversa dalla scarpa sinistra: «non ho nulla, me le hanno regalate gli amici detenuti»;
   T.T. detenuto tunisino, dice di non aver i soldi per telefonare alla famiglia, e aggiunge: «in questo carcere non c’è un barbiere, io chiedo di poter fare il barbiere ma non me lo fanno fare»;
   un detenuto egiziano dice che la sua famiglia non sa nemmeno che lui si trovi ristretto qui: «non sanno niente, nemmeno se sono vivo o morto»;
   R.F.B.M. dice di essere recluso in questo istituto da 9 mesi e di non aver mai potuto telefonare alla sua famiglia che sta in Tunisia: «faccio sempre domandine senza mai ricevere risposta», spiega; in condizione analoga I.M.S. detenuto egiziano, che aggiunge: «vorrei fare scuola, almeno per imparare l'italiano»;
   «il mangiare non è buono, la frutta e il pesce non si possono mangiare», lamentano alcuni; «qui siamo trattati come animali, ci danno un solo bicchiere di detersivo al mese per cella, ma finisce in 14 giorni»;
   «l'acqua calda finisce dopo due ore, dopodiché gli altri la fanno con l'acqua fredda», segnalano i detenuti;
   alcuni detenuti stranieri non parlano l'italiano; la casa circondariale di Agrigento, sebbene la presenza di stranieri sia numerosa, non è dotata della figura del mediatore culturale;
   un detenuto tunisino dice di aver presentato istanza per poter scontare la pena nel suo Paese, senza avere ancora ricevuto alcuna risposta;
   alcuni detenuti lamentano carenze nell'assistenza medica: «quando uno sta male gli danno sempre l'aspirina»; «l'aspirina curatutto»;
   M.N. detenuto tunisino di 36 anni, dice: «sono qui da un anno, prima ho fatto sei mesi in carcere a Ragusa, sono un ex tossicodipendente, vorrei l'assistenza del Sert per una terapia adeguata, ho fatto 7 o 8 domande ma non mai ricevuto risposte;
   il magistrato di sorveglianza è al centro delle lamentele di molti detenuti: «non accetta niente, raramente concede permessi» e ancora: «incontrarlo è difficile, non l'abbiamo visto mai o quasi, e quando viene non parla con nessuno e si limita a passare dal corridoio senza entrare nelle celle»;
   molti detenuti hanno da scontare pene residue inferiori ai 12 mesi ma non sono riusciti ad ottenere la detenzione domiciliare ai sensi della legge n. 199 del 2010;
   la delegazione visita la sezione «Omega», dove sono reclusi 44 detenuti «protetti»;
   un detenuto lamenta: «in 29 mesi che sono qua non ho mai visto il magistrato di sorveglianza»; e ancora: «vorrei studiare, ma in questa sezione non si può andare oltre la terza media»;
   «in questa sezione è attiva una sola classe (elementare e media), perché i detenuti non possono uscire dal reparto», informa il dottor Giordano; i detenuti lavoranti svolgono il proprio lavoro esclusivamente all'interno del reparto;
   nella cella n. 1 il bagno è a vista;
   un detenuto lamenta: «il problema principale è l'assistenza medica: io soffro di diabete, ho un tendine fuori posto, ho l'artrosi cervicale; a volte mi visitano, ma di concreto niente;
   un detenuto di nome G.C. racconta di aver recentemente subito un intervento chirurgico senza che poi siano seguite visite di controllo: «a maggio mi hanno tolto una cisti, mi hanno detto che avrei dovuto fare una visita di controllo dopo tre mesi, ma di mesi ne sono passati sette e ancora niente»;
   V.V. detenuto di 71 anni, dice di aver tentato il suicidio: «soffro d'ulcera, sono operato di stomaco, il mio intestino è malato, qui non mi curano, ho provato ad impiccarmi: mi ha salvato il mio compagno di cella con una guardia»; e ancora, piangendo: «mi restano 4 mesi da scontare ma le mie condizioni di salute sono pessime, ho paura di non farcela a uscire vivo da qui; io sto male, sto morendo !»;
   un altro detenuto anziano, da poco trasferito ad Agrigento dal carcere di Siracusa, piange, singhiozza e si dispera: «nessuno ha avvisato mia moglie che ero qua, è andata a trovarmi al carcere Cavadonna (Siracusa), ha fatto un viaggio a vuoto, mia moglie ha 75 anni»;
   un detenuto definitivo ristretto nella cella n. 8 dice di non aver ancora potuto leggere le motivazioni della sentenza di cassazione in forza della quale è ristretto: «già sono passati più di tre mesi dalla cassazione, ma ancora non ho visto la motivazione»;
   alcuni detenuti lamentano l'assenza di attività: «qui non si fa niente, non c’è nemmeno la palestra»;
   il rapporto con gli agenti di polizia penitenziaria è buono: «gli agenti sono corretti, si comportano bene», riferiscono molti detenuti;
   alcuni detenuti lamentano l'inadeguatezza dello spazio esterno: «avete visto i passeggi ? Io preferisco rimanere in cella durante l'ora d'aria», lamenta un detenuto;
   l'area esterna della sezione Omega è di dimensioni ridotte, e consta di 7 piccoli passeggi a cui si accede da un corridoio esterno lungo e stretto; i passeggi dal n. 1 al n. 5 sono spazi di pochi metri quadrati; i passeggi n. 6 e n. 7 sono leggermente più ampi;
   incontriamo 5 detenuti nel passeggio n. 7, che presenta una rete metallica nella parte superiore ed è dotato soltanto di un degradato wc alla turca;
   un detenuto rumeno con condanna definitiva dice di aver fatto richiesta di poter scontare la pena nel suo Paese: «perché non mi ci fanno andare ? Io sono disposto anche a pagarmi il biglietto aereo»; e ancora: «sono stato in carcere in Germania, Romania e Russia, ma qui è la situazione peggiore»;
   la delegazione visita la sezione femminile, che ospita 24 detenute (19 italiane e 5 straniere); le condizioni strutturali del reparto sono buone; anche in questa sezione, alle finestre delle celle sono applicatele cosiddette «bocche di lupo»; non è presente un servizio di parrucchiere; fra le attività svolte, si segnala un corso per la lavorazione della ceramica; una detenuta racconta: «ho una condanna definitiva per un fatto che risale a tempo addietro, circa 10 anni fa: purtroppo, quando le cose per me si erano sistemate, è arrivato il carcere»; «in confronto ad altre carceri qui si sta bene», dicono le detenute;
   nella casa circondariale di Agrigento, sebbene vi siano ampi spazi esterni, non è funzionante l'area verde per lo svolgimento dei colloqui tra i detenuti e i familiari minori –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   se non ritenga opportuno intervenire in modo deciso e tempestivo per fronteggiare il drammatico sovraffollamento della casa circondariale di Agrigento e, a tal fine, quali urgenti iniziative intenda assumere per far rientrare l'istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
   quali atti intenda assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
   quali urgenti provvedimenti intenda adottare per colmare il deficit di organico di polizia penitenziaria, posto che la grave carenza di agenti determina seri rischi in termini di sicurezza e notevoli disfunzioni per la vita dei reclusi e per le condizioni di lavoro e di vita degli agenti stessi; quali atti intenda assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette;
   se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche e di formazione e in che modo si intendano recuperare spazi per le attività sportive, atteso che sul campo di calcio è già in costruzione un nuovo padiglione;
   se intenda adoperarsi per quanto di competenza al fine di potenziare l'assistenza psicologica ex articolo 80 ordinamento penitenziario;
   se, in che modo e in quali tempi, intenda intervenire per rimuovere tutte le carenze strutturali che contrastano con la normativa vigente: dai wc a vista presenti in alcune celle, alla mancanza dell'area verde per i colloqui dei detenuti con i loro familiari, dalle «bocche di lupo» presenti nelle celle, alla totale assenza del riscaldamento;
   se, in che modo e in quali tempi, intenda intervenire per assicurare che le celle siano dotate di servizi igienici in conformità alle prescrizioni dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000;
   se, e in che modo, intenda intervenire rispetto ai casi segnalati in premessa;
   a quando risalgano e cosa vi sia scritto nelle relazioni semestrali delle Asl sulle condizioni igienico-sanitarie della casa circondariale di Agrigento;
   quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
   quanti e di che tipo siano i benefici e le misure alternative alla detenzione adottate dalla magistratura di sorveglianza di Agrigento anno per anno, negli ultimi 5 anni; quanti e di che tipo siano i rigetti operati dalla magistratura di sorveglianza di Agrigento, anno per anno, negli ultimi 5 anni;
   in che modo intenda operare per ripristinare il principio della territorializzazione dell'esecuzione della pena, evitando i costosissimi sfollamenti dalle carceri di altre regioni, prevalentemente del centro e del nord, atteso che anche la casa circondariale di Agrigento è gravemente sovraffollata e che la lontananza dal domicilio spesso è motivo di sofferenza per le persone ristrette e per i loro familiari, anche minorenni;
   quali iniziative urgenti intenda adottare, in definitiva, al fine di ricondurre le condizioni di detenzione vigenti all'interno dell'istituto penitenziario di Agrigento alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo;
   se non intenda il prendere in considerazione un'ipotesi normativa che stabilisca che un istituto penitenziario non possa superare il numero dei posti regolamentari per i quali è stato progettato. (5-06716)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 28 dicembre 2011 la prima firmataria del presente atto ha visitato il carcere di Potenza accompagnata dal segretario di Radicali lucani, Maurizio Bolognetti e da Maria Antonietta Ciminelli, attivista radicale; ad accompagnare la delegazione, il direttore dell'istituto Michele Ferrandina e il comandante Rocco Grippo;
   al momento della visita erano presenti 170 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 110 posti essendo chiusa perché a rischio crollo la sezione penale; da rilevare che l'ultima statistica presente sul sito internet del Ministero della giustizia e risalente al giugno del 2011, rileva una capienza regolamentare di 204 posti, evidentemente da aggiornare;
   persiste la carenza di agenti di polizia penitenziaria già rappresentata in altre interrogazioni della prima firmataria: a fronte di una pianta organica che ne prevede 153, sono in servizio 128 agenti il che si ripercuote negativamente sia sulle attività trattamentali dei detenuti sia sul carico di lavoro degli agenti presenti;
   dei 6 educatori assegnati solo due sono effettivamente in servizio; l'assistenza psicologica è del tutto insufficiente essendoci solo due psicologi in convenzione per dieci ore al mese;
   anche l'assistenza infermieristica risulta insufficiente; sono infatti previsti 2 infermieri di ruolo (uno proveniente dall'azienda sanitaria provinciale e uno da vecchia amministrazione) e 2 infermieri a parcella con contratto in scadenza il 31 dicembre 2011; nell'istituto è presente un locale infermeria in ogni sezione ad eccezione della prima; gli accompagnatori ci informano che sono in corso lavori per la messa a norma dell'infermeria centrale;
   i detenuti tossicodipendenti sono 39, cinque dei quali in terapia metadonica;
   i detenuti che lavorano svolgendo mansioni interne all'istituto (cuochi, scopini, portantini) sono in tutto 30; altri sei, invece, lavorano a «progetto riciclone» finanziato dalla cassa delle ammende. A questi occorre aggiungere 10 persone che lavorano a corsi di formazione Apofil http://www.apofil.it/;
   le celle detentive singole hanno ancora il vietatissimo wc a vista, mentre quelle a più posti hanno un degradato bagno, di dimensioni così piccole che un detenuto napoletano, lo ha definito «il gabinetto dei puffi»; nelle sale colloqui persiste il muretto divisorio;
   in alcune celle convivono definitivi e giudicabili;
   pressoché tutti i detenuti lamentano il cattivo funzionamento della magistratura di sorveglianza e confidano molto nel recentissimo arrivo di un nuovo magistrato: «il precedente, affermano, respingeva qualsiasi richiesta»;
   nella casa circondariale di Potenza abbiamo incontrato anche detenuti con fine pena lunghissimo, come G.M. con fine pena nel 2025 che ha fatto domanda per essere trasferito nella casa di reclusione di Civitavecchia;
   R.M. fa il barbiere all'interno del carcere e dice di «guadagnare» 24 euro al mese + 67 euro di assegni familiari; ha 4 figli a carico e fa un solo colloquio al mese perché la moglie non ha i mezzi per poter viaggiare; S.G. racconta che deve ancora percepire il salario arretrato di quando si trovava nel carcere di Secondigliano;
   P.M. nel carcere di Potenza per colloqui, ha il fine pena nel 2036; ha avanzato richiesta al Dap per essere trasferito nel carcere di Bollate al fine di intraprendere un serio percorso riabilitativo; analoga richiesta di trasferimento è stata avanzata dal trentaduenne M.B., fine pena nel 2018, che ha chiesto di poter andare a Bollate o ad Opera; G.A., fine pena nel 2014, ha fatto domanda di trasferimento negli istituti di Castrovillari, Cosenza o Rossano;
   L.D.B. ha due figli di 6 e 8 anni che non vede da tantissimo tempo, ha chiesto di poter essere trasferito ad Opera perché i minori stanno a Milano e deve scontare ancora due anni e 9 mesi; anche B.B. marocchino, non vede il figlio da 30 mesi e gli mancano 16 mesi per completare la pena;
   M.L. è stato trasferito a Potenza da Pavia, ha cinque figli che vivono a Voghera e lui deve scontare ancora 20 mesi di reclusione;
   C.L.S., con fine pena nel 2017 ha avanzato richiesta di trasferimento negli istituti di Rebibbia, Gorgona o Taranto –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga opportuno intervenire in modo deciso e tempestivo per fronteggiare il sovraffollamento della casa circondariale di Potenza e, a tal fine, quali urgenti iniziative intenda assumere per far rientrare l'istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
   quali atti intenda assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
   quali urgenti provvedimenti intenda adottare per colmare il deficit di organico di polizia penitenziaria, posto che la cronica carenza di agenti determina seri rischi in termini di sicurezza e notevoli disfunzioni per la vita dei reclusi e per le condizioni di lavoro e di vita degli agenti stessi;
   se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche e di formazione;
   se intenda adoperarsi per quanto di competenza al fine di potenziare l'assistenza psicologica;
   se intenda colmare la grave carenza degli educatori;
   se, in che modo e in quali tempi, intenda intervenire per rimuovere lo stato di degrado di alcuni luoghi del penitenziario, degrado dovuto essenzialmente allo scarso budget previsto per la manutenzione ordinaria e straordinaria; in particolare, in che tempi le sale colloqui verranno ristrutturate secondo quanto previsto dall'ordinamento penitenziario attraverso l'abbattimento del muretto divisorio, quando verranno sostituiti i wc a vista con bagni dove sia garantita la necessaria privacy e quando verranno ristrutturati i minuscoli e fatiscenti bagni delle altre celle;
   a quando risalgano e cosa vi sia scritto nelle relazioni semestrali delle Asl sulle condizioni igienico-sanitarie della casa circondariale di Potenza;
   se, e in che modo, intenda intervenire rispetto a tutti i casi segnalati in premessa in particolare dei detenuti che vivono lontani dalla famiglia e dai loro figli minori e dei detenuti che avendo un fine pena lungo hanno da tempo richiesto di poter essere trasferiti in case di reclusione in cui sia possibile un effettivo percorso riabilitativo attraverso lo studio e il lavoro;
   quanto al ruolo passato della magistratura di sorveglianza, quanti e di che tipo siano i benefici e le misure alternative alla detenzione concesse anno per anno, negli ultimi 5 anni; quanti e di che tipo siano i rigetti verificatisi, anno per anno, negli ultimi 5 anni;
   in che modo intenda operare per ripristinare il principio della territorializzazione dell'esecuzione della pena, evitando i costosissimi sfollamenti dalle carceri di altre regioni, atteso che anche la casa circondariale di Potenza è sovraffollata e che la lontananza dal domicilio spesso è motivo di sofferenza per le persone ristrette e per i loro familiari, anche minorenni;
   quali iniziative urgenti intenda adottare, in definitiva, al fine di ricondurre le condizioni di detenzione vigenti all'interno dell'istituto penitenziario di Potenza alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo;
   se non intenda prendere in considerazione un'ipotesi normativa in base alla quale venga prescritto agli istituti di pena di non accettare in nessun caso l'ingresso di altri detenuti una volta raggiunta la propria capienza regolamentare. (5-06717)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA dello scorso 3 gennaio 2011, un marocchino di 35 anni, Ramzi H., recluso nella sezione B del carcere torinese delle Vallette, ha tentato di togliersi la vita ingerendo un mix letale di alcol e candeggina;
   l'uomo, subito soccorso dagli agenti della polizia penitenziaria, ha rischiato la vita e ora si trova in prognosi riservata all'ospedale Maria Vittoria;
   il sindacato Ugl ha fatto sapere che i detenuti del carcere torinese attualmente sono 1.536, contro i 900 di capienza massima previsti, troppi per le scarse risorse degli agenti –:
   quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il tentato suicidio;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere de Le Vallette di Torino;
   quali siano le condizioni umane e sociali del carcere in questione e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario. (5-06718)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 31 dicembre 2011 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Catania «Bicocca», accompagnata dagli esponenti dell'Associazione radicali Catania Assunta Albergo e Gianmarco Ciccarelli; la visita si è svolta alla presenza del Garante regionale dei diritti delle persone detenute, senatore Salvo Fleres, e dell'avvocato Vito Pirrone, presidente dell'Associazione nazionale forense di Catania;
   la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal comandante di polizia penitenziaria, commissario Guardì;
   la situazione riscontrata è la seguente: il penitenziario è situato in una zona extraurbana, la struttura è stata costruita negli anni Ottanta e consegnata nel 1991; la casa circondariale Bicocca è gravemente sovraffollata: a fronte di una capienza regolamentare di 141 posti, i detenuti presenti sono 203; «in genere arriviamo anche a 300 presenze, ma per Natale le udienze sono sospese», riferisce il comandante, evidenziando la relazione fra l'attività dell'aula-bunker e il numero di detenuti presenti; i detenuti in regime di alta sicurezza (quasi tutti imputati o condannati per reati di tipo mafioso) sono 181, dislocati in due sezioni simmetriche, ciascuna composta da due piani; il reparto «transito» ospita 14 detenuti (11 detenuti comuni e 3 detenuti differenziati A.S.); il reparto «bunker» ospita 8 collaboratori di giustizia;
   il personale di polizia penitenziaria è gravemente sottodimensionato: la pianta organica prevede 180 agenti, gli assegnati sono 153, mentre gli agenti effettivamente in servizio sono 120;
   la delegazione visita la seconda sezione (detta anche reparto destro); il primo piano ospita 31 detenuti, il secondo piano 49 detenuti;
   le celle, di circa 10 metri quadri, non sono provviste di doccia, hanno un letto a castello e ospitano fino a 3 detenuti;
   il carcere è privo di riscaldamenti; molti detenuti lamentano questa carenza: «c’è un freddo da impazzire», dicono in tanti; «sono in questo carcere da 14 anni e il termosifone non ha mai funzionato», riferisce un detenuto; secondo quanto affermato dal comandante, il problema non è dovuto alla caldaia bensì alle tubature ormai da sostituire: «andrebbe ripristinato l'intero impianto, in alcune celle i termosifoni nemmeno ci sono»; molti detenuti indossano cappelli di lana, alcuni raccontano di andare a letto con la tuta sopra il pigiama;
   l'istituto, sebbene sia di costruzione relativamente recente, si presenta in condizioni fatiscenti: si segnala umidità sia nei corridoi di reparto che all'interno delle celle; le docce comuni, molte delle quali rotte, sono in pessimo stato, con tetti e muri scrostati a causa delle infiltrazioni; ai detenuti è consentito l'uso giornaliero delle docce comuni;
   le ore d'aria sono quattro, due al mattino e due al pomeriggio; sono attivi corsi scolastici di scuola elementare, media e istituto alberghiero; i detenuti hanno la possibilità di fare palestra in una cella un po’ più ampia delle altre, dotata di pesi e qualche attrezzo; le condizioni strutturali della cella destinata a palestra sono a dir poco insufficienti;
   un detenuto ristretto nella cella n. 27 dice di essere cardiopatico e vorrebbe essere trasferito al centro clinico di Pisa: «qua vivo col timore di sentirmi male»;
   nella cella n. 20 sono ristretti due detenuti:
    G.L.M., nativo di Napoli, cinquantacinquenne, lamenta: «stiamo 20 ore chiusi in cella senza svolgere alcuna attività, io ho fine pena nel 2020, dovrei andare in una casa di reclusione, questa per me è Guantanamo !»; e aggiunge: «sono ipovedente e soffro di crisi epilettiche, nel carcere di Ancona stavo meglio, qui faccio soltanto due ore di colloquio al mese, mia moglie per venirmi a trovare ogni volta spende 1.000 euro; le guardie sono brave ma la mentalità di questo carcere è quella del 41-bis, io ho il fine pena nel il 2020 (...); il comandante ammette: «questo non è un istituto adatto a chi deve scontare una pena lunga»;
   G.C., nato a Pompei (NA), ventottenne, dice di aver commesso un reato comune e di essere stato sfollato dal carcere di Melfi (PZ) senza aver ricevuto alcun rapporto, e aggiunge: «non faccio colloqui da un anno, ho fatto diverse domande per avvicinarmi alla famiglia ma non mi hanno mai risposto»;
   nella cella n. 13 è ristretto G.S. condannato all'ergastolo ostativo: «il mio fine pena è nel 9999, ho fatto 11 anni di 41-bis, sogno i miei figli, l'ergastolo per come l'ho fatto io è peggio della pena di morte»;
   un detenuto nella cella n. 15 lamenta: «sono qui da 15 mesi e ancora non è iniziato nemmeno il 1° grado di giudizio: la custodia cautelare così è un abominio»; un altro detenuto sta in piedi con il supporto di una stampella, ha una cisti nel cervello e i medici avrebbero dichiarato che le sue condizioni di salute non sono compatibili con la detenzione in carcere, secondo quanto riferito; «qui non resta che cercare una corda e farla finita», dice un detenuto;
   molti detenuti lamentano le cattive condizioni della sala colloqui e le lunghe attese a cui sono costretti i familiari;
   il corridoio del piano terra che collega le sezioni detentive presenta ampie zone di umidità sul tetto e sui muri: «questi muri scrostati sono causati dalle infiltrazioni della doccia e dagli scarichi dei bagni delle celle del piano superiore: in questa struttura non si fanno interventi di manutenzione da molti anni», spiega il comandante;
   nelle tre sale colloqui è ancora presente il muretto divisore; «i familiari per prendere il turno vengono all'alba, se non già alle 21.00 della sera prima», riferisce il comandante; il penitenziario, sebbene sia dotato di ampi spazi esterni, non ha un'area verde attrezzata per lo svolgimento del colloquio dei detenuti con i familiari minori –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   se non ritenga opportuno intervenire in modo deciso e tempestivo per fronteggiare il sovraffollamento della casa circondariale di Catania «Bicocca» e, a tal fine, quali urgenti iniziative intenda assumere per far rientrare l'istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
   come giustifichi il fatto che nell'istituto di Catania «Bicocca» ci siano detenuti che debbano scontare pene lunghissime, alcuni anche ergastolani, assieme ad altri con condanne di breve durata o, addirittura, in attesa di giudizio;
   quali atti intenda assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
   quali urgenti provvedimenti intenda adottare per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, posto che la grave carenza di agenti determina seri rischi in termini di sicurezza e notevoli disfunzioni per la vita dei reclusi e per le condizioni di lavoro e di vita degli agenti stessi;
   quali atti intenda assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette;
   se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche, di formazione e sportive;
   se intenda adoperarsi per quanto di competenza al fine di potenziare l'assistenza psicologica ex articolo 80 ordinamento penitenziario;
   se, in che modo e in quali tempi, intenda intervenire per rimuovere tutte le carenze strutturali ed igienico-sanitarie che contrastano con la normativa vigente; in particolare, quando verranno ristrutturate le sale colloqui nelle quali sono ancora presenti i muretti divisori e predisposta l'area verde per gli incontri dei detenuti con i loro parenti e figli minori;
   a quando risalgano e cosa vi sia scritto nelle relazioni semestrali delle Asl sulle condizioni igienico-sanitarie della casa circondariale di Catania «Bicocca»;
   per quale ragione non siano stati previsti i fondi per l'attivazione dei riscaldamenti e in che tempi si intenda risolvere il problema;
   se, e in che modo, intenda intervenire rispetto ai casi specifici segnalati in premessa;
   in che modo intenda operare per ripristinare il principio della territorializzazione dell'esecuzione della pena, atteso che la lontananza dal domicilio spesso è motivo di sofferenza per le persone ristrette e per i loro familiari, anche minorenni;
   quali iniziative urgenti intenda adottare, in definitiva, al fine di ricondurre le condizioni di detenzione vigenti all'interno dell'istituto penitenziario di Catania «Bicocca» alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo;
   se non intenda prendere in considerazione un'ipotesi normativa in base alla quale venga prescritto agli istituti di pena di non accettare in nessun caso l'ingresso di altri detenuti una volta raggiunta la propria capienza regolamentare. (5-06719)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sulle condizioni della casa circondariale «Piazza Lanza» di Catania la prima firmataria del presente atto ha già presentato tre atti di sindacato ispettivo (4-00592 in data 10 luglio 2008, 4-05421 in data 15 dicembre 2009 e 4-09543 in data 18 novembre 2010), rimasti a tutt'oggi senza risposta, nonostante i numerosi solleciti;
   il 31 dicembre 2011 la prima firmataria del presente atto è tornata per la quarta volta a visitare la casa circondariale di Catania, Piazza Lanza, accompagnata dagli esponenti dell'Associazione radicali Catania Gianmarco Ciccarelli e Assunta Albergo;
   la delegazione è stata ricevuta e accompagnata nella visita dalla vicedirettrice dell'istituto Elisabetta Zito e dal comandante di polizia penitenziaria Tramontana; la prima parte della visita, che ha avuto una durata complessiva di circa tre ore, si è svolta alla presenza del senatore Salvo Fleres, garante regionale dei diritti delle persone detenute, e dell'avvocato Vito Pirrone, presidente dell'Associazione nazionale forense di Catania;
   la situazione riscontrata è la seguente: la casa circondariale Piazza Lanza è gravemente sovraffollata; i detenuti presenti sono 569 mentre la capienza regolamentare dell'istituto è di 155 posti letto: l'indice di sovraffollamento è del 367 per cento; risulta pertanto errato e fuorviante il dato, presente nelle più recenti statistiche sulla capienza regolamentare degli istituti penitenziari pubblicate sul sito del Ministero della giustizia, che attribuisce alla casa circondariale di Catania piazza Lanza una capienza regolamentare di 361 posti;
   «fino a una settimana fa erano ristretti più di 600 detenuti e abbiamo toccato punte anche di 630», evidenzia la vicedirettrice; i detenuti che hanno potuto usufruire della detenzione domiciliare ai sensi della legge n. 199 del 2010 sono stati soltanto cinque, a fronte di una quarantina di pratiche istruite; i detenuti che potrebbero scontare la pena nel proprio domicilio ai sensi del decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri il 16 dicembre 2011 (cosiddetto «svuotacarceri») sono circa cinquanta, secondo quanto riferito;
   tutti i detenuti sono in regime di media sicurezza; la percentuale dei detenuti in attesa di giudizio è superiore all'80 per cento; il flusso di nuovi ingressi e scarcerazioni è notevole (fenomeno delle «porte girevoli»): «i detesti che transitano in un anno sono circa 2500, e 900 stanno meno di 5 giorni», riferisce la vicedirettrice;
   i detenuti stranieri sono 47 (di cui 44 uomini e 3 donne);
   i detenuti tossicodipendenti sono poco meno di 100; sono circa 100 i detenuti affetti da patologie di tipo psichiatrico;
   la percentuale di detenuti che svolge un lavoro non supera il 10 per cento:
   il personale di agenti di polizia penitenziaria permane gravemente sottodimensionato: la pianta organica prevede 435 agenti, gli assegnati sono 339 mentre quelli effettivamente in servizio sono 247;
   gli educatori presenti all'interno dell'istituto sono 7 (a fronte di una pianta organica di 6);
   l'assistenza psicologica risulta inadeguata: soltanto 12 ore al mese per l'attività di «osservazione e trattamento», mentre il presidio «nuovi giunti» può contare su una copertura giornaliera di 5 ore (dalle 17.00 alle 22.00);
   l'istituto è privo di riscaldamento: «i termosifoni ci sono ma sono spenti per carenza di fondi», viene riferito;
   i fondi a disposizione della direzione sono limitatissimi, «e per il 2012 si prevede un ulteriore taglio del 30 per cento», sottolinea la vicedirettrice;
   il reparto «Nicito» (detto anche «isolamento») ospita 26 detenuti e presenta condizioni strutturali fatiscenti; il carcere di piazza Lanza è stato costruito più di 100 anni fa e questo reparto non è mai stato ristrutturato; le celle sono piccole, umide e buie, i muri scrostati; ogni cella ospita fino 3 tre detenuti che vengono sistemati in un letto a castello a due o tre piani; le celle misurano circa 7 metriquadrati, sono sprovviste di doccia e hanno il wc alla turca, in alcuni casi a vista; le celle hanno come apertura un piccolo lucernario che i detenuti aprono e chiudono attraverso un filo metallico fissato in corrispondenza della porta: l'ingresso di luce naturale è molto limitato; la doccia comune ha solo 2 piatti-doccia e si presenta in condizioni strutturali e igieniche pessime; i detenuti trascorrono all'interno della cella 20 ore su 24: «ci sono le 4 ore d'aria, ma poi nessuna attività, io prendo le gocce per dormire», racconta un detenuto; «io ho chiesto di fare qualcosa, ma qui non c’è niente, nemmeno l'assistenza spirituale», lamenta un altro; l'intero reparto allo stato attuale non appare idoneo alla sua destinazione di ambiente detentivo; molti detenuti riferiscono di trovarsi ristretti in questo reparto da parecchi mesi, a volte anche da più di un anno e in alcuni casi da 2 anni; la cella n. 20 (la cosiddetta «cella liscia») non ha il materasso e ha il wc a vista;
   il reparto femminile, denominato «Etna», ospita 12 detenute (di cui 3 straniere), a fronte di una capienza regolamentare di 5 posti letto; nella cella n. 1 sono ristrette 3 detenute: «si muore di freddo, siamo congelate», dicono; alle finestre sono applicate, oltre alle sbarre, reti metalliche a maglia stretta che riducono l'ingresso di luce naturale; il bagno presenta umidità alle pareti ma è provvisto di doccia e bidet; nella cella n. 5 sono ristrette 4 detenute; anche loro lamentano l'assenza di riscaldamento e alcune indossano la sciarpa; nella sezione sono presenti un'aula destinata a scuola elementare e un laboratorio dove le detenute svolgono corsi (di taglio e cucito e di aiuto parrucchiere); le ore d'aria vengono trascorse in un cortile dotato di tettoia in cui sono presenti quattro vasche per lavare i panni;
   su un piccolo cortile esterno contiguo al reparto «Etna» si affacciano cinque aule destinate alle attività trattamentali e di istruzione dei detenuti: l'aula n. 1 è un laboratorio per la lavorazione dei tappeti; nell'aula n. 2 ha luogo il corso di alfabetizzazione; l'aula n. 3 è attrezzata per ospitare piccoli spettacoli; l'aula n. 4, dotata di alcuni computer, ospita il corso di informatica; l'aula n. 5 è adibita all'integrazione degli stranieri, anche se nell'istituto non è presente la figura del mediatore culturale;
   la delegazione visita il reparto «Amenano» e incontra in un passeggio i detenuti del piano terra; un detenuto lamenta carenze nell'assistenza medica; alcuni detenuti sottolineano l'esiguità degli spazi in cui sono costretti a vivere: «stiamo in 9 in una cella di 21 metriquadrati, e a volte siamo anche in 10»; altri lamentano l'assenza di attività: «stiamo in cella 20 ore, non c’è socialità, e le attività non sono per tutti»; le lamentele di molti detenuti si appuntano sul funzionamento del magistrato di sorveglianza: «rigetta quasi tutto, qui non si vede mai»; un detenuto afferma: «è giusto che chi ha sbagliato sconti la sua pena, ma non in queste condizioni; l'esempio di legalità ce lo deve dare lo Stato»;
   la delegazione visita la sala colloqui, recentemente interessata da un intervento di ristrutturazione che ha eliminato il muretto divisorio e realizzato un ambiente accogliente per l'incontro fra i detenuti e i loro familiari; alle pareti sono presenti quadri e dipinti in carta pesta, frutto di un progetto di collaborazione con il liceo artistico «Emilio Greco»; i detenuti mostrano di apprezzare la nuova sala colloqui e considerano molto positivo il metodo di prenotazione telefonica adottato dall'istituto, che ha posto fine alle lunghe attese dei familiari, spesso anche nelle ore notturne, fuori dal carcere;
   la delegazione prosegue la visita nel 2° piano del reparto «Amenano»;
   i detenuti lamentano l'assenza di riscaldamento: «il termosifone c’è ma è spento, spesso manca anche l'acqua calda»; e ancora: «la notte fa molto freddo, dormiamo con la tuta sopra il pigiama»; molti detenuti indossano cappelli o fasce per riscaldare la testa; in questo carcere, secondo quanto riferito dai detenuti e confermato dalla direzione, è proibito far entrare i cappelli di lana: il divieto è motivato dal rischio che i detenuti possano «coprire il volto e non farsi riconoscere»; i detenuti, per riscaldare la testa, ricavano i cappelli di lana tagliando i maglioni; le calze, invece, vengono adattate a fasce per coprire le orecchie;
   nella cella n. 21 sono ristretti 8 detenuti; «siamo stati anche in 10», dicono; nella cella sono presenti tre letti a castello e un lettino singolo;
   nella cella n. 22 sono ristretti 10 detenuti, sistemati in due letti a castello a tre piani e in un letto a castello a quattro piani; lo spazio tra il quarto piano del letto a castello e il tetto è di pochi centimetri, e per questo a volte i detenuti preferiscono mettere il materasso a terra; i detenuti offrono alla delegazione in visita una fetta di scacciata preparata per la cena di fine anno;
   anche la cella n. 26 ospita 10 detenuti in tre letti a castello, di cui uno a quattro piani; «non c’è lavoro, non c’è niente, solo il mangiare che passa l'Amministrazione», dice un detenuto egiziano; la cella n. 25 ospita 8 detenuti; «fino a qualche giorno fa eravamo in 10 con una branda a terra», riferiscono i detenuti; e ancora: «non c’è il riscaldamento, spesso non c’è l'acqua calda, non funziona lo sciacquone, dobbiamo buttare l'acqua con la bacinella»; nel bagno i lavandini perdono acqua; la frutta e l'insalata, così come la pentola e la padella sono sistemati nel vano bagno a poca distanza dal wc; «non facciamo attività perché non ci sono posti disponibili, stiamo 20 ore in cella, non c’è la sala per la socialità», lamentano i detenuti;
   in questa cella è ristretto un detenuto rumeno di 22 anni che ha un evidente disagio di tipo psichiatrico: «ha problemi seri, non dovrebbe stare qua, un giorno ha fatto i bisogni in stanza, prende Tavor e dorme, prende Tavor e dorme», racconta un compagno di cella;
   nella cella n. 27 sono reclusi 8 detenuti; «siamo stati in 10», dicono; «anche qui c’è il grattacielo», scherza un detenuto indicando il letto a castello a quattro piani; «nessuno di noi lavora», riferiscono;
   la cella n. 24 ospita 9 detenuti; «il problema è il magistrato di sorveglianza: in tre persone non arriviamo a un anno e mezzo di pena residua ma il magistrato di sorveglianza non fa niente», lamentano i detenuti; e ancora: «con gli agenti e la direttrice il rapporto è buono, è la giustizia che non funziona»;
   la cella n. 28 ospita 10 detenuti; uno di loro dorme sul tavolo; «siamo quasi tutti con l'influenza», dice un detenuto;
   nella cella n. 23 sono ristretti 10 detenuti; alcuni lamentano il fatto che l'acqua calda sia disponibile soltanto per un'ora al giorno; «le caldaie sono tarate per 200 detenuti», evidenzia il comandante; altri lamentano il fatto che «i corsi sono per poche persone»; «qual è il reinserimento ?», si chiede un detenuto, «qui finisce che usciamo peggiorati»; i detenuti sottolineano la difficoltà di vivere in 10 in una cella di 20 metriquadrati: «10 teste non si possono coordinare, così litigare è più facile»; «quando stiamo male ci danno l'Acetamol 500, la pillola che cura tutti i mali: mal di schiena, mal di testa, mal di denti, mal di piedi... serve anche per fare crescere i capelli !», scherza un detenuto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   se non ritenga opportuno intervenire in modo deciso e tempestivo per fronteggiare il drammatico sovraffollamento della casa circondariale di Catania (piazza Lanza) e, a tal fine, quali urgenti iniziative intenda assumere per far rientrare l'istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
   se intenda chiarire quale sia allo stato attuale la capienza della casa circondariale di Catania (piazza Lanza), atteso che sul sito www.giustizia.it l'ultima rilevazione, risalente al 30 giugno 2011, riporta n. 361 posti regolamentari, mentre il numero dei posti di cui si è avuto contezza durante la visita ispettiva risulta, come riportato in premessa, notevolmente inferiore;
   quali atti intenda assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
   quali urgenti provvedimenti intenda adottare per colmare il deficit di organico di polizia penitenziaria, posto che la grave carenza di agenti determina seri rischi in termini di sicurezza e notevoli disfunzioni per la vita dei reclusi e per le condizioni di lavoro e di vita degli agenti stessi; quali atti intenda assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette;
   se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche, di formazione e sportive;
   se intenda adoperarsi per quanto di competenza al fine di potenziare l'assistenza psicologica ex articolo 80 ordinamento penitenziario;
   se, in che modo e in quali tempi, intenda intervenire per rimuovere tutte le carenze strutturali ed igienico-sanitarie che contrastano con la normativa vigente, in particolare nel reparto «Nicito»; a quando risalgano e cosa vi sia scritto nelle relazioni semestrali delle Asl sulle condizioni igienico-sanitarie della casa circondariale di Catania (Piazza Lanza);
   quale è la cifra totale spesa negli ultimi 10 anni per le ristrutturazioni dell'istituto, per la manutenzione straordinaria e a quanto ammonta oggi il budget annuo per la manutenzione ordinaria;
   per quale ragione non siano stati previsti i fondi per l'attivazione dei riscaldamenti e in che tempi si intenda risolvere il problema;
   se, e in che modo, intenda intervenire rispetto ai casi segnalati in premessa;
   quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
   quanti e di che tipo siano i benefici e le misure alternative alla detenzione adottate dalla magistratura di sorveglianza di Catania anno per anno, negli ultimi 5 anni; quanti e di che tipo siano i rigetti operati dalla magistratura di sorveglianza di Catania, anno per anno, negli ultimi 5 anni;
   quali iniziative urgenti intenda adottare, in definitiva, al fine di ricondurre le condizioni di detenzione vigenti all'interno dell'istituto penitenziario di Catania alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo;
   se non intenda il Ministro della giustizia prendere in considerazione un'ipotesi normativa che stabilisca che un istituto penitenziario non possa superare il numero dei posti regolamentari per i quali è stato progettato;
   se intenda prevedere l'aggiornamento mensile del sito www.giustizia.it quanto alle rilevazioni dei detenuti presenti in ciascuno dei 206 istituti penitenziari italiani. (5-06720)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   domenica 1° gennaio 2012 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Caltanissetta, accompagnata dai militanti radicali Gianmarco Ciccarelli e Giuseppe Nicosia;
   la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal direttore dell'istituto, Angelo Belfiore, e dal comandante di Polizia penitenziaria, Michelangelo Aiello;
   la situazione riscontrata è la seguente: l'istituto, costruito oltre un secolo fa, risulta gravemente sovraffollato; a fronte di una capienza regolamentare di 184 posti, i detenuti presenti sono 265, dislocati in due padiglioni; il primo padiglione ospita 151 detenuti comuni in regime di media sicurezza, nel secondo padiglione sono ristretti 113 detenuti in regime di alta sicurezza; il penitenziario ospita anche un collaboratore di giustizia; i detenuti in attesa di giudizio sono 139 (61 imputati, 50 appellanti, 28 ricorrenti), mentre quelli che scontano una condanna definitiva sono 126; il flusso di nuovi ingressi e scarcerazioni dopo pochi giorni di permanenza è notevole (fenomeno delle cosiddette «porte girevoli»); qualche settimana prima della visita i detenuti presenti erano 360, secondo quanto riferito;
   al sovraffollamento e all'elevato turn-over dei detenuti si affianca la carenza di personale del Corpo di polizia penitenziaria: la pianta organica prevede 213 agenti, quelli effettivamente in servizio sono circa 170, secondo quanto riferito dal comandante Aiello; circa 40 agenti prestano servizio presso il Nucleo traduzioni e piantonamenti; «la caserma degli agenti aspetta da 5 anni il finanziamento, il progetto è pronto, ma non riusciamo a farlo finanziare», riferisce il direttore;
   l'assistenza sanitaria è assicurata da 6 medici e 6 infermieri; i detenuti tossicodipendenti sono circa 90, il Sert interno dispone di un medico, un infermiere e uno psicologo; le figure specialistiche presenti all'interno dell'istituto sono il dentista, lo psichiatra, il cardiologo, il radiologo, l'ortopedico e l'infettivologo;
   gli educatori sono 5; all'interno dell'istituto sono in funzione classi di scuola elementare e media; inoltre sono attivi corsi di lavorazione del legno (per i detenuti in media sicurezza), corsi di computer e di installazione di impianti elettrici civili (per i detenuti in alta sicurezza); a ciascun corso possono accedere 10 detenuti;
   i detenuti stranieri sono 39, tutti ristretti nel padiglione media sicurezza; all'interno dell'istituto non è presente la figura del mediatore culturale;
   la delegazione visita il primo padiglione, che si articola su 3 livelli (terra, 1° piano e 2° piano); ai ballatoi dei piani sono applicate reti di sicurezza orizzontali, secondo una obsoleta concezione di struttura carceraria; le celle sono di due tipi: i cosiddetti «cameroni», di circa 20 metri quadrati ospitano fino a 7 detenuti; i cosiddetti «cubicoli», di circa 7 metri quadrati, ospitano fino a 2 detenuti sistemati in un letto a castello; le celle sono provviste di bagno con doccia e bidet; i riscaldamenti, secondo quanto riferito, funzionano durante la notte (dalle 23 alle 7); le condizioni delle celle sono mediocri; alcuni detenuti evidenziano di avere sgabelli e armadietti (le cosiddette «bilancette») rotti; le ore d'aria sono quattro, due al mattino e due al pomeriggio: «il resto lo trascorriamo in cella», lamentano in tanti; molti detenuti sono in condizioni di estrema povertà; la percentuale dei detenuti che lavorano è inferiore al 10 per cento: i posti di lavoro sono 25, con turnazione trimestrale;
   nella cella n. 3 sono ristretti 6 detenuti;
   G.P. dice di avere solo un mese da scontare in carcere e di aver chiesto un permesso per Natale, senza aver ricevuto alcuna risposta dal magistrato di sorveglianza;
   un detenuto sottolinea la difficoltà di vivere in condizioni di sovraffollamento: «come vedete non ci possiamo muovere, primo ero al carcere di Giarre e lì ero più sereno, questa è una cella al massimo per 4 persone ma stare in 6 è impossibile, in queste condizioni è più facile essere nervosi e a volte si litiga anche per una sciocchezza»;
   nella cella n. 6 sono ristretti 7 detenuti;
   G.P. riferisce di avere un residuo di pena da scontare di soli 6 mesi, e di aver presentato domanda per accedere alla detenzione domiciliare ex legge n. 199 del 2010 lo scorso 23 novembre;
   P.B. con fine pena nel 2017, dice di stare in condizioni di salute incompatibili con la detenzione in carcere («sono operato di cuore, ho avuto 175 punti a cuore aperto») e manifesta preoccupazione per le condizioni di salute della madre residente a Palermo: «mia madre è paralitica, non la vedo dall'ultimo permesso, l'aiuto che chiedo è quello di poterla vedere più spesso»;
   due detenuti di 23 e 28 anni riferiscono di essere da 11 mesi in attesa di primo giudizio: «siamo cugini, e siamo in carcere per la prima volta»;
   un detenuto georgiano riferisce di essere stato «sfollato» dal carcere di Roma al carcere di Enna, e poi a Caltanissetta; «ora mi restano da scontare 10 mesi, vorrei andare in una comunità perché non ho un domicilio», aggiunge;
   nella cella n. 4 sono ristretti 6 detenuti; al momento del nostro ingresso nella cella è presente un settimo detenuto ospite in socialità;
   P.S. è un detenuto di 35 di Canicattì (Agrigento) che dimostra un'età notevolmente superiore a quella reale: non ha i denti e ha la cassa toracica rotta a causa di un incidente verificatosi quando era bambino, secondo quanto riferito dai compagni di cella; «sono malato di cuore, ho ansia, mangio poco», dice con un filo di voce;
   un altro detenuto dice di soffrire di forte depressione: «ho 3 figli e la madre ha seri problemi agli occhi, ha avuto un rigetto della cornea; ho fatto richiesta di lavorare, ma ancora non ho potuto»;
   L.M., 60 anni, con fine pena nel 2017, riferisce di essere affetto da disturbi respiratori e apnea notturna, oltre ad avere avuto un infarto e ad essere malato di gotta: «il problema è il sovraffollamento, per quanto riguarda l'assistenza medica non posso lamentarmi»;
   N.S. racconta di essere in carcere per un reato commesso nel 1998; anche questo detenuto non ha i denti; «non ho soldi, il mio disagio è che non ho nessun familiare con cui fare un colloquio»;
   la cella n. 5 ospita 4 detenuti stranieri; ci mostrano i barattoli vuoti dello zucchero e del caffè, a significare lo stato di indigenza in cui sono costretti a vivere;
   un detenuto marocchino racconta di trovarsi in carcere per vendita di CD contraffatti: «sono stato condannato a 9 mesi, la mia pena è definitiva»;
   A.A. (Ali Abdi), nato in Somalia in data 1° gennaio 1974, è un detenuto somalo che non parla e non comprende la lingua italiana; Abdi non ha potuto comprendere nemmeno il contenuto dell'ordinanza di aggravamento della misura cautelare (da obbligo di presentazione alla p.g., a custodia in carcere), perché la copia che gli è stata notificata era in lingua araba, e non in lingua somala; in sede di riesame il difensore di Ali Abdi ha eccepito la nullità dell'ordinanza per mancata comprensione del contenuto della stessa, ma l'impugnazione è stata dichiarata inammissibile perché proposta tardivamente;
   la delegazione visita gli spazi all'aperto del reparto media sicurezza e incontra alcuni detenuti che trascorrono l'ora d'aria; due passeggi sono di dimensioni notevolmente ridotte, uno è leggermente più ampio; in uno dei passeggi piccoli incontriamo alcuni detenuti del 2° piano; è presente una piccola tettoia e una panca di pietra ricoperta di muschio; «questo è il nostro passeggio, guardate che umidità!», lamenta un detenuto; «quando piove c’è il lago, l'acqua arriva ai pantaloni», lamenta un altro;
   in alcuni casi le critiche dei detenuti si appuntano sul funzionamento del magistrato di sorveglianza; «non viene da un mese e mezzo», riferisce un detenuto; altri detenuti invece ritengono che nell'ultimo periodo vi sia stato un miglioramento: «è da un po’ di tempo che è più disponibile», evidenzia un detenuto; «da circa 8 mesi funziona meglio», aggiunge un altro;
   P.M. trentottenne, condannato in via definitiva con fine pena nel giugno del 2020, si è visto rigettare diverse istanze di trasferimento: «vorrei scontare la pena in un istituto dove posso studiare o lavorare, ho fatto tre istanze per andare nel carcere di Augusta dove è detenuto anche mio fratello, mia madre è morta l'anno scorso e mia sorella fatica a venire sia qui che ad Augusta; nelle istanze che ho presentato ho allegato anche il certificato di famiglia», conclude;
   R.A. nato a Palermo l'11 settembre 1981, condannato in via definitiva con fine pena nel 2016, riferisce di aver presentato numerose istanze di trasferimento per poter stare più vicino alla figlia di 7 anni, affetta da patologia cardiorespiratoria: «negli ultimi 3 anni ho fatto più di 20 istanze per essere trasferito nel carcere “Pagliarelli” di Palermo; la mia bambina sta male e le viene difficile venire fino a qua, me la portano una volta al mese; quando viene a trovarmi, soprattutto in estate, poi le esce il sangue dal naso»;
   anche M.D. vorrebbe essere trasferito al «Pagliarelli» di Palermo per stare vicino ai quattro figli, di cui due minorenni: «soffro di scoliosi e ho un'ernia al disco», aggiunge;
   M.P. detenuto rumeno con fine pena nel 2018, racconta di essere stato trasferito in Sicilia «per sfollamento», senza aver subito alcun rapporto disciplinare, dal carcere «Dozza» di Bologna: «sono in Sicilia dal 2008; prima, quando stavo a Bologna, vedevo la mia famiglia ogni mese, adesso non la vedo da 3 anni»; non ho mai fatto la scuola media, vorrei farla; ho fatto anche richiesta di poter scontare la pena in Romania, ma non mi ha mai risposto nessuno»;
   altri detenuti stranieri riferiscono di essere stati trasferiti in carceri siciliane da istituti di pena del nord Italia (Milano San Vittore, Monza e altri), senza particolari ragioni di natura disciplinare, ma per semplice «sfollamento»;
   alcuni detenuti lamentano l'assenza di attività: «stiamo in cella 20 ore, per molti di noi non c’è la possibilità di fare i corsi»; «così usciamo più selvaggi di prima»;
   il passeggio «grande» è un'area esterna dove spesso i detenuti giocano a pallone; sono presenti un piccolo orinatoio a muro e un rubinetto che perde acqua su un lavandino colmo;
   N.H. nato il 1° gennaio 1973, di nazionalità marocchina, condannato in via definitiva con fine pena nel 2020, mostra il braccio tagliato: «ho fatto autolesionismo perché vorrei andare al carcere di Ragusa», dice;
   la delegazione visita la cella n. 22 (piano terra), un «cubicolo» in cui sono ristretti due detenuti, sistemati in un letto a castello; lo spazio è angusto e le possibilità di movimento risultano limitate; il bagno presenta umidità sul tetto; per contro, è dotato di doccia e bidet;
   le sale per il colloquio dei detenuti con i familiari sono due; entrambe sono in cattive condizioni e presentano ancora il muretto divisorio; in una delle due sale, utilizzata sia dai detenuti in regime di alta sicurezza che dai detenuti in regime di media sicurezza, sopra il muretto è applicato un vetro di alcune decine di centimetri; l'istituto non è dotato di uno spazio aperto destinato ai colloqui dei detenuti con i familiari minorenni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   se non ritenga opportuno intervenire in modo deciso e tempestivo per fronteggiare il drammatico sovraffollamento della casa circondariale di Caltanissetta, a tal fine, quali urgenti iniziative intenda assumere per far rientrare l'istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
   quali atti intenda assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
   quali urgenti provvedimenti intenda adottare per colmare il deficit di organico di polizia penitenziaria, posto che la grave carenza di agenti determina seri rischi in termini di sicurezza e notevoli disfunzioni per la vita dei reclusi e per le condizioni di lavoro e di vita degli agenti stessi;
   quali atti intenda assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette;
   se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche e di formazione;
   se intenda adoperarsi per quanto di competenza al fine di potenziare l'assistenza psicologica ex articolo 80 ordinamento penitenziario;
   se, in che modo e in quali tempi, intenda intervenire per rimuovere lo stato di degrado di alcuni luoghi del penitenziario, degrado dovuto essenzialmente allo scarso budget previsto per la manutenzione ordinaria; in particolare, in che tempi le sale colloqui verranno ristrutturate secondo quanto previsto dall'ordinamento penitenziario attraverso l'abbattimento del muretto divisorio e quando verrà allestita l'area verde per i colloqui dei detenuti con i propri figli e parenti minori;
   a quando risalgano e cosa vi sia scritto nelle relazioni semestrali delle Asl sulle condizioni igienico-sanitarie della casa circondariale di Caltanissetta;
   se, e in che modo, intenda intervenire rispetto a tutti i casi segnalati in premessa;
   quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
   quanti e di che tipo siano i benefici e le misure alternative alla detenzione adottate dalla magistratura di sorveglianza di Caltanissetta anno per anno, negli ultimi 5 anni; quanti e di che tipo siano i rigetti verificatesi, anno per anno, negli ultimi 5 anni;
   in che modo intenda operare per ripristinare il principio della territorializzazione dell'esecuzione della pena, evitando i costosissimi sfollamenti dalle carceri di altre regioni, atteso che anche la casa circondariale di Caltanissetta è gravemente sovraffollata e che la lontananza dal domicilio spesso è motivo di sofferenza per le persone ristrette e per i loro familiari, anche minorenni;
   quali iniziative urgenti intenda adottare, in definitiva, al fine di ricondurre le condizioni di detenzione vigenti all'interno dell'istituto penitenziario di Caltanissetta alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo;
   se non intenda prendere in considerazione un'ipotesi normativa in base alla quale venga prescritto agli istituti di pena di non accettare in nessun caso l'ingresso di altri detenuti una volta raggiunta la propria capienza regolamentare. (5-06721)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 2 gennaio 2012 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Gela (CL), accompagnata dai referenti radicali Valentina Marino, Gianmarco Ciccarelli e Giuseppe Nicosia;
   la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal direttore dell'istituto, Angelo Belfiore, dal comandante di polizia penitenziaria, Giuseppe Lo Faro e dal vicecomandante Milana;
   il penitenziario, progettato negli anni ’50, fu iniziato a costruire nel 1982; dopo varie inaugurazioni, è stato effettivamente aperto il 28 novembre 2011;
   l'istituto non funziona ancora a pieno regime; la capienza regolamentare è di 96 posti, i detenuti presenti sono 39: «è aperto per metà, ma stanno per arrivare altri detenuti dal carcere di Augusta», spiega il direttore; gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 32 «da mezzanotte a mezzanotte, compresi quelli che lavorano negli uffici», riferisce il comandante; è presente un educatore; non è assicurata alcuna assistenza psicologica; l'assistenza sanitaria non è assicurata h24;
   il penitenziario si articola su due piani; il primo piano è ancora vuoto, tutti i detenuti presenti sono ristretti nelle celle del piano terra;
   le celle misurano 9,20 metri quadrati e ospitano generalmente 2 detenuti; ogni cella è dotata di bagno con doccia; l'impianto di riscaldamento è in funzione; le condizioni strutturali sono molto buone; i detenuti trascorrono 20 ore al giorno all'interno della cella: «ancora non è stato avviato alcun tipo di attività», secondo quanto riferito; la sala per la socialità ancora non è operativa; nel penitenziario è presente un ampio spazio esterno ancora non utilizzato; l'area dove i detenuti trascorrono l'ora d'aria (il cosiddetto «passeggio») è dotata di tettoia, lavandino e wc alla turca; l'istituto dispone di un grande teatro arredato con tavoli e sedie nuovi e ancora imballati;
   la delegazione visita il piano terra, iniziando dal reparto a sinistra;
   alcuni detenuti non sono al corrente della possibilità di presentare la domanda per scontare la pena presso il proprio domicilio ai sensi del decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri il 16 dicembre 2011 (decreto-legge n. 211 del 2011): «abbiamo sentito della legge svuotacarceri per chi ha una pena inferiore a 18 mesi, ma credevamo che ancora non era in vigore»;
   nella cella n. 12 sono ristretti 2 detenuti stranieri, un rumeno e un ceco;
   S. M., nato 59 anni fa nella Repubblica Ceca, riferisce di aver presentato un'istanza per poter scontare la pena nel suo paese: «ho una condanna definitiva, vorrei scontare la pena nel mio paese, non vedo la mia famiglia da 2 anni e 2 settimane, mia moglie è invalida, le sue condizioni di salute non sono buone»;
   la cella n. 1 ospita 2 detenuti; «qui si sta bene», afferma un detenuto catanese; «questo carcere è un'altra cosa rispetto a Poggioreale», dice un detenuto napoletano, che aggiunge: «preferisco stare qua anche se non faccio i colloqui»;
   nella cella n. 10 sono ristretti 2 detenuti stranieri;
   M. S., di nazionalità albanese, è molto preoccupato per la sua famiglia: «non sanno che sono qui, non li sento da 4 settimane, ho 3 bambini tutti minorenni»;
   la cella n. 9 ospita 2 detenuti albanesi: «fare una telefonata a un cellulare in Albania è un problema»;
   nella cella n. 4 sono ristretti 2 detenuti;
   un detenuto algerino riferisce di essere stato trasferito «per sfollamento» dal carcere romano Regina Coeli ad Augusta, e poi a Gela: «ho fatto domanda per tornare a Roma, ma è stata rigettata per sovraffollamento; questo carcere comunque è buono, ma ancora deve avviarsi»;
   un detenuto palermitano racconta di essere stato arrestato «per un fatto che risale a 10 anni fa», e aggiunge: «ho una figlia di 9 anni, da quando sono entrato in carcere, 3 anni fa, non l'ho più vista»;
   nella cella n. 5 sono ristretti 2 detenuti;
   un detenuto albanese riferisce di aver presentato due istanze di avvicinamento alla famiglia, residente in Toscana, senza aver ricevuto alcuna risposta;
   nella cella n. 6 sono ristretti 2 detenuti;
   un detenuto napoletano riferisce di essere stato «sfollato» dal carcere di Napoli a quello di Augusta, e ora a Gela: «preferirei stare a Napoli per poter fare il colloquio con la famiglia ogni settimana, ho una figlia di 5 anni», e aggiunge: «nel carcere di Augusta c’è la socialità e potevo uscire dalla cella durante il giorno, qui invece siamo chiusi in cella per 20 ore !»;
   un detenuto di Giarre (CT) lamenta «prima ero in regime di alta sicurezza, poi mi hanno declassato ma i benefici non si vedono, sulla carta non ho il 41-bis, però mi fanno fare soltanto 4 ore di colloquio al mese anziché 6»;
   la cella n. 7 ospita 2 detenuti; entrambi hanno un residuo di pena inferiore ai 18 mesi e hanno presentato istanza per ottenere la detenzione domiciliare ai sensi del decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri il 16 dicembre 2011;
   M. A. P., catanese, riferisce di trovarsi in carcere in forza di una condanna definitiva per un reato commesso quando era minorenne: «adesso ho 23 anni, sono dentro per un fatto che risale a 8 anni fa, sono stato a piede libero fino alla Cassazione e poi sono entrato in carcere; fuori lavoravo, ho anche una figlia piccola; mi resta un anno di pena da scontare, ho fatto domanda per andare ai domiciliari»;
   la cella n. 8 ospita 2 detenuti bosniaci;

   H. M., ventiduenne nativo di Roma, riferisce di essere stato trasferito «per sfollamento» dal carcere romano di Regina Coeli: «stavo meglio lì perché almeno vedevo la famiglia; ho fatto istanza per essere ritrasferito a Roma, ma ancora non mi ha risposto nessuno»;
   la delegazione visita il reparto destro, piano terra;
   un detenuto marocchino (cella n. 2) riferisce di essere stato «sfollato» dal carcere di Milano San Vittore ad Augusta, e ora a Gela; anche un detenuto albanese (cella n. 3) dice di essere stato «sfollato» dal carcere romano di Rebibbia;
   la cella n. 6 ospita due detenuti;
   «la struttura è buona, ma non c’è nessuna attività», lamentano; un detenuto racconta: «sono dentro per un reato vecchio, quando mi hanno arrestato la mia vita era tranquilla e avevo un lavoro, chissà se lo ritroverò un lavoro quando uscirò da qui»;
   nella cella n. 7 sono ristretti 2 detenuti;
   un detenuto lamenta: «mi mancano soltanto 4 mesi per finire la pena, ma il magistrato di sorveglianza mi ha rigettato anche i giorni»;
   diversi detenuti lamentano problemi relativi al funzionamento del magistrato di sorveglianza;
   nella cella n. 8 è ristretto un detenuto peruviano «sfollato» dal carcere di Milano San Vittore: «mi hanno trasferito da San Vittore ad Opera, ad Augusta e ora a Gela; a Milano facevo i colloqui, la mia famiglia viveva a Milano, ma quando mi hanno trasferito in Sicilia è tornata in Perù; a San Vittore c'era scuola, lavoro, infermeria... qui non c’è niente; ho la tv a schermo piatto ma non ho i soldi per sopravvivere, non ho un sussidio e non mi danno niente, nemmeno lo shampoo e gli stracci»;
   la sala colloqui è di dimensioni ridotte; la casa circondariale di Gela, sebbene sia dotata di ampi spazi esterni, non ha un'area verde attrezzata per il colloquio dei detenuti con i familiari minori –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   in quali tempi la casa circondariale di Gela entrerà a pieno regime di funzionamento adeguandosi alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo;
   quale sia l'entità degli investimenti pubblici che sono stati necessari per giungere all'apertura della casa circondariale di Gela;
   in quali tempi l'istituto verrà dotato del personale necessario;
   se non si intenda intervenire immediatamente, per quanto di competenza, per garantire h24 l'assistenza sanitaria necessaria;
   se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche, di formazione e sportive;
   se, e in che modo, intenda intervenire rispetto ai casi segnalati in premessa;
   cosa intenda fare per rispettare il principio della territorializzazione della pena;
   se intenda intervenire, in generale, per agevolare le procedure per i detenuti stranieri che intendano scontare la pena nel proprio Paese d'origine;
   se e in che modo intenda intervenire nei casi in cui la pena definitiva giunga a grande distanza dalla commissione dei reati provocando grandi difficoltà a persone che nel frattempo si sono socialmente reinserite. (5-06723)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   su Redattore Sociale del 9 gennaio 2012 stata riportata la seguente incredibile notizia: «Nel carcere di Siracusa, ha l'aiuto di un piantone solo per 3 ore al giorno. Da 3 anni non fa l'ora d'aria, non ha le visite specialistiche e le fisioterapie di cui ha bisogno. La famiglia non può raggiungerlo e “non ho vestiti puliti con cui cambiarmi”. È paralizzato, e da tre anni vive in carcere. Sconta le sue ore sdraiato su una branda, con l'assistenza di un “piantone” soltanto per 3 ore al giorno. Il resto della giornata resto solo, sdraiato su questa branda e senza nessun aiuto. Abbandonato a se stesso. È la condizione di Antonio, detenuto nel carcere di Siracusa, raccontata in una lettera scritta alla redazione di Radiocarcere. Una vicenda capace di raccontare, al di là del problema del sovraffollamento, tutta l'inadeguatezza del sistema penitenziario italiano, drammaticamente incapace di stare nel solco del dettato costituzionale che chiede la finalità riabilitativa di ogni pena. “Non mi lasciano a disposizione neanche la sedia a rotelle per tutto il giorno — dice Antonio — con la conseguenza che da tre anni non vado a fare l'ora d'aria, né posso recarmi in chiesa. In poche parole sono murato vivo”. Antonio ha chiesto più volte al medico del carcere di poter svolgere la fisioterapia prescritta dai medici, “ma nessuno mi ha mai risposto, come non hanno mai ottemperato all'obbligo di portarmi in ospedale per sottopormi alle visite specialistiche di cui ho bisogno. In pratica sono abbandonato sul letto della mia cella”. Inoltre, la famiglia di Antonio vive in Calabria e per ragioni economiche non può raggiungerlo: “Ragion per cui, non solo sono disperato perché non vedo i miei cari, ma sono anche vestito come un barbone, dato che non ricevendo visite, non ho neanche un pacco di vestiti puliti con cui cambiarmi. Sono tre anni che vivo così e ora sono davvero arrivato all'esasperazione. Non chiedo la libertà — prosegue nella sua lettera il detenuto —, ma come persona detenuta paralizzata chiedo cure e la vicinanza della mia famiglia. È forse chiedere troppo ? ”» –:
   di quali informazioni dispongano circa i fatti riferiti in premessa;
   quali iniziative urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di garantire il fondamentale diritto soggettivo alla salute al detenuto in questione rendendo la sua detenzione conforme al dettato costituzionale, normativo e regolamentare;
   se, alla luce di quanto riportato in premessa, il Ministro competente non ritenga opportuno disporre il trasferimento del detenuto in modo da avvicinarlo ai suoi familiari. (5-06724)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa DIRE dell'11 gennaio 2012, nel carcere di Piacenza l'organico del corpo di polizia penitenziaria prevede 179 unità, mentre quelle effettivamente presenti sono 163 (distacchi compresi); quanto al personale ministeriale, ci sono 18 unità, a fronte di una dotazione organica che sarebbe di 20. Infine, rispetto ad una capienza prevista di 178 posti, al 2 novembre nella struttura penitenziaria un questione si contavano 342 reclusi;
   per il vice-capo del dipartimento della giustizia, Simonetta Matone, quella di Piacenza è «una comprensiva condizione di sofferenza, dovuta al sovraffollamento della popolazione detenuta e alla contestuale carenza di organico. Una situazione difficile che comunque s'inserisce in un quadro di generale difficoltà in cui versa l'attuale sistema penitenziario, costantemente monitorata da questa amministrazione. Per questi motivi il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria sta facendo rilevamenti sulla dotazione organica di Polizia penitenziaria di ogni provveditorato e al termine di questa indagine, procederà alla assegnazione di agenti, dei prossimi corsi di formazione, alle realtà che risultano carenti, tra le quali potrebbe rientrare anche Piacenza» –:
   se non ritenga necessario adottare misure urgenti volte a rimuovere il grave sovraffollamento del carcere di Piacenza, in modo da garantire l'esistenza di condizioni minime di vivibilità della struttura, il rispetto pieno degli standard di sicurezza e funzionalità e l'adeguatezza della stessa alle proprie finalità costituzionali;
   se non intenda prendere in considerazione un'ipotesi normativa in base alla quale venga prescritto agli istituti di pena di non accettare in nessun caso l'ingresso di altri detenuti una volta raggiunta la propria capienza regolamentare;
   se e quanti nuovi agenti di polizia penitenziaria saranno assegnati nei prossimi mesi all'istituto penitenziario in questione. (5-06725)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato lo scorso 9 gennaio 2012 dal sito online di Radiocarcere, David Di Bonaventura, di soli 31 anni, si è impiccato verso le ore 7.30 nel bagno della sua cella del carcere Sollicciano di Firenze;
   David soffriva di una grave forma di depressione, ragion per cui, fino a pochi mesi fa, si trovava agli arresti domiciliari nell'attesa che terminasse il processo a suo carico in ordine al reato di furto. Poi, una volta diventata definitiva la condanna, al giudice non è rimasta altra scelta che rimetterlo in carcere nonostante il suo precario stato psicologico;
   il 2012 è iniziato da qualche giorno e già nelle carceri si sono registrati sei tentativi di suicidio e quattro decessi, di cui per suicidio –:
   se intenda avviare un'indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere di Sollicciano siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto penitenziario;
   quali iniziative, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora. (5-06726)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal comunicato stampa del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe) dell'11 gennaio 2012, un detenuto straniero della casa circondariale di Porto Azzurro avrebbe tentato di togliersi la vita in cella e sarebbe stato salvato solo grazie al pronto intervento degli agenti della polizia penitenziaria;
   secondo stime ufficiali, lo scorso anno tra la popolazione reclusa si sarebbero registrati 66 suicidi, 1.137 tentativi di suicidio e 5.703 atti di autolesionismo –:
   se intenda avviare un'indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti del detenuto che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
   se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
   se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
   più in particolare quali iniziative, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora. (5-06727)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ADNKRONOS del 12 gennaio 2012, un detenuto albanese recluso presso il carcere di Parma sarebbe risultato affetto da scabbia;
   una volta appresa la notizia i sindacati della polizia penitenziaria hanno chiesto che venga effettuata «un'accurata visita medica nei confronti dei detenuti, soprattutto al momento del loro ingresso in carcere, atteso che non è ammissibile che le altre persone recluse e lo stesso personale delle polizia penitenziaria possano correre rischi di ordine sanitario connessi alle eventuali malattie di cui risultano essere portatrici altre persone ristrette nello stesso istituto di pena»;
   ciò che è capitato nel carcere di Parma non rappresenta un episodio isolato, è infatti noto che anche altre patologie che in passato si ritenevano ormai debellate, come la tubercolosi, oggi registrano una recrudescenza anche in ragione delle condizioni di pesante sovraffollamento che caratterizzano i nostri istituti di pena;
   secondo quanto riportato da alcune agenzie di stampa, nel 66 per cento delle carceri italiane si registrerebbero casi di scabbia e di sifilide;
   il dato, se confermato, costituisce una conferma della assoluta inadeguatezza della politica sanitaria all'interno degli istituti di pena del nostro Paese –:
   se non ritengano di dover promuovere, negli ambiti di rispettiva competenza, un'accurata visita medica a tutte le persone recluse all'interno del carcere di Parma;
   quali iniziative urgenti intendano adottare al fine di prevenire il rischio della diffusione della scabbia tra gli agenti di polizia penitenziaria e i detenuti del carcere di Parma;
   a quando risalga e cosa vi sia scritto nell'ultima relazione che la ASL di competenza deve fare in merito alle condizioni igienico sanitarie del carcere di Parma;
   se risponda a verità il fatto che nel 66 per cento delle carceri italiane vi sono tracce di scabbia e di sifilide;
   se sia noto quali siano le cause che producono, come effetti, una percentuale così elevata di istituti di pena in cui si registrano scabbia e sifilide;
   quali siano, infine, le iniziative in progetto per abbattere una percentuale che certamente non rende onore al nostro sistema carcerario. (5-06728)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 29 dicembre 2011 l'interrogante ha visitato il carcere di Castrovillari accompagnata da Maurizio Bolognetti, Maria Antonietta Ciminelli e Salvatore Moscato; ad accogliere e guidare la delegazione il comandante Grazia Salerno;
   l'istituto è entrato in funzione nel 1995 pur essendo stato ultimato nel 1984, conta 128 posti, ma al momento della visita i detenuti presenti erano 252 mentre 8 si trovavano in permesso premio per le festività di fine anno; i detenuti presenti di sesso maschile erano 220, le detenute 32 di cui una con prole; in totale i detenuti stranieri sono 112 di cui 25 marocchini, 20 rumeni, 15 tunisini, 11 albanesi, 9 nigeriani, 5 egiziani, 4 bulgari, 4 algerini, 3 ucraini, 2 indiani, 2 domenicani e 1 per ciascuna delle seguenti nazioni: Gambia, ex Jugoslavia, Guinea, Senegal, Somalia, Cina, Messico, Liberia, Grecia, Canada, Russia e Venezuela;
   gli agenti di polizia penitenziaria assegnati alla casa circondariale di Castrovillari sono 109 di cui 17 distaccati in altre sedi e 9 provenienti da altre sedi; fra le 101 unità presenti, figurano: 1 comandante del reparto, n. 14 unità femminili presenti nel reparto femminile, n. 9 unità impiegate nel nucleo traduzioni; n. 52 unità impiegate nel servizio di vigilanza e osservazione detenuti; n. 25 unità impiegate in mansioni d'ufficio e vigilanza dei detenuti lavoranti; l'impiego minimo giornaliero riguarda 40 unità che coprono le 24 ore esclusivamente per la vigilanza dei detenuti, a livelli minimi di sicurezza e in turni di servizio di 8 ore e oltre; i turni notturni al mese sono almeno 6 per ciascun dipendente; quanto alle ferie ancora da godere, ci sono giacenze dell'anno 2009; in prospettiva, fanno sapere gli agenti, per un miglior andamento di gestione finalizzato a poter garantire le ferie e assicurare un maggior livello di sicurezza dell'istituto, l'organico dovrà essere incrementato di almeno altre 30 unità; inoltre, il parco macchine degli agenti è insufficiente e, per alcune vetture e furgoni, fatiscente;
   nell'istituto opera una sola educatrice perché l'altra è in maternità, ma secondo quanto riferito ne occorrerebbero almeno tre; l'educatrice, presente durante la visita, illustrando le attività trattamentali, comunica che sono attivi per circa 60 detenuti corsi di alfabetizzazione, scuola media, istituto alberghiero, istituto tecnico industriale oltre ad un corso di informatica; i detenuti che svolgono mansioni all'interno dell'istituto sono 30, mentre coloro che lavorano all'esterno, in articolo 21, sono 7 impegnati nella raccolta differenziata dei rifiuti;
   quanto agli psicologi, ne è previsto uno presente tutta la settimana; l'assistenza psichiatrica è fortemente carente, considerato che nell'istituto ci sono una quarantina di casi psichiatrici e 25 tossicodipendenti;
   la poltrona odontoiatrica è utilizzata solo per l'estrazione dei denti perché attende da due anni di essere aggiustata per le altre funzioni come la cura delle carie; a parere del personale infermieristico sarebbe utile poter disporre di un ecografo per evitare frequenti traduzioni all'esterno;
   nel reparto femminile, nella cella n. 3 troviamo una detenuta con il figlioletto di 2 anni e mezzo; a quanto ci riferisce la madre il bimbo attende da 5 mesi la visita pediatrica e le vaccinazioni;
   sempre nella sezione femminile la delegazione ha notato una cella sotto sequestro dal maggio del 2008 perché lì si suicidò un'agente di polizia penitenziaria, Fabrizia Germanese di 44 anni, arrestata per traffico di stupefacenti; nei sei mesi prima del suicidio l'agente aveva prestato servizio «in missione» proprio nell'istituto di Castrovillari;
   negli ultimi dieci anni nel carcere di Castrovillari si sono suicidati 9 detenuti, due nel 2011 e, in questo nuovo anno, il 5 gennaio un altro detenuto ha tentato il suicidio;
   quanto al trattamento dei detenuti, da rilevare che in quasi tutte le celle delle dimensioni di 6 metri quadrati sono presenti tre detenuti in letto a castello a tre piani; le celle non dispongono di acqua calda e le docce sono consentite a giorni alterni in appositi, degradati, locali; i reclusi usufruiscono di 3 ore e mezza d'aria al giorno e di 2 ore di socialità, ma gli spazi ristretti consentono ben poche attività di socializzazione; i «passeggi» dove è possibile usufruire dell'ora d'aria sono così angusti e deprimenti che alcuni detenuti preferiscono rimanere in cella;
   si segnalano inoltre i seguenti «casi»:
    nella cella n. 5 (Sez. B) – C. L., 67 anni cardiopatico che ha subito un intervento alle coronarie ed è portatore di peacemaker, lamenta di attendere dal luglio 2011 un esame specialistico;
    nella cella n. 8 (Sez. B.) – D. A., è in attesa di avere l'autorizzazione di poter dipingere; mostra alla delegazione un catalogo delle sue opere;
    nella cella 11 (Sez. B) – il detenuto A.G. riferisce di aver chiesto da agosto di poter incontrare lo psicologo e che solo a dicembre gli sia stata consentita una visita, ma dallo psichiatra;
   G.R., fine pena nel 2022, ha presentato domanda al DAP per essere trasferito in Sicilia dove si trovano i suoi 4 figli minori, il più piccolo di 4 anni;
   un altro detenuto con fine pena lungo (2024), R.S., ha fatto istanza di trasferimento a Roma/Rebibbia o Velletri per motivi di studio;
   A.J. ha fatto da mesi la richiesta di trasferimento negli istituti di Brescia o Mantova o Cremona o Piacenza perché la sua famiglia è a Brescia, in particolare, due figli di due e sei anni nati in Italia;
   a V.L. mancano 4 mesi al fine pena ma non ha possibilità di accesso alla legge n. 199 del 2010 perché non ha un'abitazione; da quando è recluso (3 anni e 8 mesi) non ha mai potuto fare né una telefonata né un colloquio con i genitori; sottolinea le difficoltà di contatti con l'ambasciata rumena a Roma;
   alcuni detenuti hanno lamentato la mancanza di modelli per presentare «le domandine» e un detenuto russo l'assenza del regolamento d'istituto in lingua russa;
   infine, va rammentato il fallimento del progetto «Argo» del quale si inizia a parlare nel 2007, per dare concreta applicazione ad uno studio condotto dal DAP che evidenziava l'utilità di iniziative volte ad affidare ai detenuti la cura dei cani. Il progetto viene inaugurato nel novembre del 2009 e su strilli.it viene annunciato: «I detenuti si dedicheranno da oggi, nella stessa area penitenziaria, alla cura di alcuni cani randagi, appositamente sistemati in un canile, costruito dal Comune. L'iniziativa, denominata “Argo”, è stata, infatti, resa possibile da una sinergia tra Comune, Casa Circondariale ed Azienda Sanitaria, e presentata questa mattina, con l'inaugurazione del “canile”, in una conferenza stampa, nella sala convegni del penitenziario del capoluogo del Pollino». Da quel che la delegazione ha potuto riscontrare, una quindicina di randagi sono malamente alloggiati nel canile posto all'interno delle mura carcerarie dove, fra sbarre e gabbie metalliche, i cani abbaiano disperati muovendosi fra i loro stessi escrementi senza che nessuno si prenda più cura di loro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   se non ritenga opportuno intervenire in modo deciso e tempestivo per fronteggiare il drammatico sovraffollamento della casa circondariale di Castrovillari e, a tal fine, quali urgenti iniziative intenda assumere per far rientrare l'istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
   quali atti intenda assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
   se il magistrato di sorveglianza abbia mai dato disposizioni per il rispetto della normativa riguardante le condizioni di detenzione e, in caso affermativo, quali siano le ragioni per le quali le disposizioni stesse non siano state rispettate;
   quali urgenti provvedimenti intenda adottare per colmare il deficit di organico di polizia penitenziaria, posto che la grave carenza di agenti determina seri rischi in termini di sicurezza e notevoli disfunzioni per la vita dei reclusi e per le condizioni di lavoro e di vita degli agenti stessi;
   quali atti intenda assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette;
   se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche, di formazione e sportive;
   se intenda adoperarsi per quanto di competenza, al fine di potenziare l'assistenza psicologica;
   se, in che modo e in quali tempi, intenda intervenire per rimuovere tutte le carenze strutturali ed igienico-sanitarie che contrastano con la normativa vigente;
   a quando risalgano e cosa vi sia scritto nelle relazioni semestrali delle Asl sulle condizioni igienico-sanitarie della casa circondariale Castrovillari;
   se, e in che modo, intenda intervenire rispetto ai casi segnalati in premessa;
   cosa intenda fare per rispettare il principio della territorializzazione della pena;
   quali iniziative intenda intraprendere per dismettere definitivamente e nei modi dovuti il fallimentare «progetto Argo»;
   quali siano le ragioni che hanno portato l'Amministrazione a detenere l'agente Fabrizia Germanese nello stesso istituto dove aveva prestato servizio e quali misure fossero stato messe in atto per scongiurare il suo suicidio;
   se sia stata fatta un'indagine specifica per comprendere le ragioni dell'alto numero di suicidi nel carcere di Castrovillari;
   quali iniziative urgenti intenda adottare, in definitiva, al fine di ricondurre le condizioni di detenzione vigenti all'interno dell'istituto penitenziario di Castrovillari alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo. (5-06729)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 12 gennaio 2012, un detenuto campano di 46 anni si è tolto la vita nel carcere di Brucoli, ad Augusta (SR), impiccandosi nella sua cella;
   il suicidio sarebbe avvenuto nella serata di mercoledì 11, ma il fatto è stato reso noto il giorno seguente con una nota del vicesegretario nazionale dell'Ugl polizia penitenziaria, Sebastiano Dongiovanni;
   il detenuto morto suicida era giunto nel carcere di Brucoli da pochi giorni, proveniente da un altro istituto di pena. Al suo arrivo era stato posto in regime di isolamento per effetto di una sanzione accessoria inflittagli dal consiglio di disciplina del carcere nel quale si trovava prima del suo trasferimento;
   negli ultimi 12 anni nelle carceri italiane si sono suicidati 700 detenuti. Per la maggior parte si trattava di persone giovani, molte di loro con problemi di salute fisica e psichica, spesso tossicodipendenti;
   il fenomeno dei suicidi nelle carceri è dunque in notevole crescita, complice il grado di disperazione e di annientamento della persona umana, al quale neanche i numerosi sforzi compiuti ogni giorno dagli operatori carcerari riescono a porre un freno;
   i morti di carcere sarebbero molti meno se negli istituti di pena non fossero rinchiuse decine di migliaia di persone che, ben lontane dall'essere «criminali professionali», provengono piuttosto da realtà di emarginazione sociale, da storie decennali di tossicodipendenza, spesso affette da malattie mentali e fisiche gravi, spesso poverissime;
   negli anni ’60 i suicidi in carcere erano 3 volte meno frequenti di oggi, i tentativi di suicidio addirittura 15 volte meno frequenti;
   ad oggi il 30 per cento dei detenuti reclusi negli istituti di pena è tossicodipendente, il 10 per cento ha una malattia mentale, il 5 per cento è sieropositivo, il 60 per cento ha una qualche forma di epatite;
   le misure alternative alla detenzione vengono concesse con il contagocce: prima dell'indulto del 2006 c'erano 60.000 detenuti e 50.000 condannati in misura alternativa; oggi ci sono 66.000 detenuti e soltanto 12.000 persone in misura alternativa;
   quasi la metà dei detenuti è in attesa di giudizio, mentre quasi 33 mila detenuti stanno scontando una condanna: di questi quasi 10.000 hanno un residuo di pena inferiore a 1 anno e altri 10.000 compreso tra 1 e 3 anni –:
   se si intenda avviare un'indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere di Brucoli siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto penitenziario;
   se non si intendano adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio;
   se si intendano assumere iniziative volte a destinare maggiori fondi e risorse al potenziamento delle misure alternative al carcere, anche attraverso la creazione di percorsi protetti di reinserimento sociale e lavori socialmente utili per tutti i condannati a pene inferiori ai tre anni di reclusione. (5-06730)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. – per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGENPARL dell'11 gennaio 2012, un bambino di due anni di età e una bimba di appena 6 mesi avrebbero trascorso due giorni e due notti in una cella del Buoncammino di Cagliari;  
   i piccoli sono stati arrestati insieme alla mamma, G. O., di nazionalità nigeriana lunedì 9 gennaio 2012 alle 6.45, nonostante un'apposita normativa stabilisca che solo condizioni eccezionali possono giustificare la permanenza in un carcere di creature di così tenera età;
   la vicenda è stata chiarita e risolta dopo che il giudice Alessandro Castello ha effettuato l'interrogatorio di convalida dell'arresto alla donna che si è presentata al cospetto del magistrato accompagnata dall'avvocato Luisella Pani e dai piccoli tra le braccia. Preso atto della situazione, il magistrato ha disposto quindi immediatamente gli arresti domiciliari e la donna ha potuto far rientro nella sua abitazione;
   secondo Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione «Socialismo Diritti Riforme», «ancora una volta la mancanza a Cagliari di un Istituto a custodia attenuata ha costretto una donna e i suoi figlioletti a subire la custodia cautelare in carcere, un luogo tutt'altro che idoneo ad ospitare bimbi in tenera età. Lo Stato in Sardegna continua a non rispettare il principio delle pari opportunità negando un diritto alle madri e imponendo ai piccoli un evidente trauma. Nonostante l'umanità delle agenti di polizia penitenziaria, che si sono prodigate per far trascorrere qualche momento di serenità alle creature e la disponibilità totale di Suor Angela che ha aiutato la donna a distrarre il piccolo, i bambini hanno manifestato un profondo disagio trascorrendo la maggior parte del tempo piangendo. È assurdo che nonostante tanti buoni propositi, non si riesca a trovare una soluzione a un problema che si conosce da tempo e che richiede la disponibilità di uno spazio in una casa protetta. Una donna nelle condizioni di G. O. che parla un italiano stentato con due bambini piccoli che hanno bisogno di costanti cure non può rappresentare un così grave pericolo pubblico da richiedere la carcerazione. È molto più pericoloso per i bambini entrare in un Istituto di Pena sovraffollato con condizioni igienico-sanitarie precarie e creando uno stato di allerta in tutto il personale. Ovviare a questi casi è possibile non affidandosi solo alla sensibilità dei magistrati ma promuovendo un'iniziativa ad hoc. Negare la libertà a un bambino rischia di essere un reato più grave di quello presunto attribuito alla mamma» –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   se non intenda avviare un'ispezione presso la procura e l'ufficio del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Cagliari al fine di verificare se non vi siano responsabilità disciplinari in capo ai magistrati che hanno chiesto e poi disposto la misura cautelare in carcere nei confronti di G. O., madre di una bambina di appena sei mesi;
   se vi siano e quanti siano ad oggi i bambini sotto i tre anni reclusi in carcere insieme alle madri;
   se non intenda provvedere alla immediata creazione di un istituto a custodia attenuata nella città di Cagliari. (5-06731)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 18 gennaio 2012 una detenuta è evasa dall'Istituto a custodia attenuata per detenute madri (Icam) annesso al carcere milanese di San Vittore;
   sulla vicenda Leo Beneduci, segretario generale dell'Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria (Osapp) ha diramato la seguente nota: «Per quanto si è potuto apprendere del tutto informalmente, essendo ancora in corso i relativi rilievi, come per Regina Coeli anche per l'Icam di San Vittore un'autovettura dall'esterno sarebbe risultata essenziale alla fuga dall'istituto penitenziario. Qualcuno, disceso dall'automezzo parcheggiato nelle adiacenze avrebbe, infatti, provveduto ad allargare dall'esterno le inferriate della struttura detentiva aiutando la reclusa e la figlia in tenera età ad uscirne facendole salire sull'automezzo. Anche se permane l'incomprensibilità di un gesto compiuto a soli 7 mesi dalla conclusione della detenzione per fine pena da parte della ristretta, e pur tenendo conto che i cosiddetti Icam non possono considerarsi carceri a tutti gli effetti, la probabile e lunga premeditazione nonché il coinvolgimento di uno o più soggetti esterni nelle recenti evasioni rende di tutta evidenza le condizioni di precarietà e di insicurezza delle attuali infrastrutture penitenziarie e i crescenti rischi, oltre che per la legalità e per la tutela della collettività, per coloro che vi operano. Le ultime evasioni, di cui purtroppo e come sempre sarà solo la polizia penitenziaria a doversi preoccupare non possono considerarsi diversamente da uno dei più eclatanti effetti del sovraffollamento, della penuria di personale (-7.500 poliziotti penitenziari in servizio rispetto ai 44.620 previsti) e dell'assenza di concreti e sostanziali interventi in sede politica –:
   quali siano le determinazioni che intenda adottare al fine dell'immediato adeguamento e messa in sicurezza dell'istituto in questione, che deve in ogni caso essere salvaguardato anche in relazione all'importante funzione cui è adibito per il tipo di detenute ivi destinate. (5-06733)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ADNKRONOS, la mattina del 17 gennaio un detenuto ristretto presso la casa di reclusione di Massa avrebbe tentato il suicidio impiccandosi con delle lenzuola all'interno del bagno cella;
   l'uomo si è salvato solo grazie al tempestivo intervento posto in essere dall'agente di polizia penitenziaria addetto alla vigilanza ed osservazione di quel reparto detentivo –:
   se intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti del detenuto che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
   se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
   se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
   più in particolare quali iniziative di competenza, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora. (5-06734)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato il 17 gennaio 2012 dall'agenzia di stampa AGI, la polizia penitenziaria avrebbe sventato due suicidi nel carcere genovese di Marassi: un detenuto è stato salvato in extremis dal soffocamento per impiccagione e un altro è stato fermato mentre si apprestava a porre in essere un tentativo di autosoppressione;
   la notizia è stata resa nota dal sindacato Uil-Pa penitenziari con una nota, nella quale si spiega che un detenuto trentaseienne di origine marocchina rinchiuso al primo piano della sesta sezione, già sottoposto a grande sorveglianza, avrebbe tentato di impiccarsi con una corda ricavata dall'accappatoio, legata alle sbarre della finestra della cella. L'uomo è stato salvato dagli agenti mentre erano già evidenti i primi segni del soffocamento. Dopodiché un altro detenuto, un algerino di 42 anni, nella sezione protetta del quarto piano della sesta sezione, è stato sorpreso dall'agente di sorveglianza mentre era intento a legare una corda con cappio, ricavata dalle lenzuola, alle sbarre della sua cella;
   nel carcere di Marassi sono presenti 805 detenuti, a fronte di una capienza massima di circa 450;
   dal 1° gennaio a oggi già 12 detenuti sono stati salvati da morte per suicidio, mentre i tentati suicidi sono stati 43 –:
   se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti dei detenuti dopo questi episodi;
   se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
   più in particolare quali iniziative, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di ricondurre il numero dei detenuti reclusi all'interno del carcere genovese di Marassi entro la capienza regolamentare. (5-06735)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato lo scorso 19 gennaio dall'agenzia di stampa Dire, un detenuto lucchese di 29 anni si è impiccato nel carcere Gozzini di Firenze;
   l'uomo sarebbe dovuto uscire a giugno 2014 e si trovava in carcere per reati di rapina e spaccio di stupefacenti;
   sulla vicenda il Sappe ha diramato la seguente nota: «La notizia dell'ennesimo detenuto suicida è sempre, oltre che una tragedia personale e familiare, una sconfitta per lo Stato. Quella delle morti in carcere, per suicidio o per cause naturali, si sta configurando come una vera e propria ecatombe. E se il drammatico numero non sale ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini della polizia penitenziaria, che quotidianamente sventano numerosi tentativi di suicidi» –:
   se intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere romano Gozzini di Firenze siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto;
   se non si intendano adottare o implementare le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative volte a destinare maggiori fondi e risorse al potenziamento delle misure alternative al carcere, anche attraverso la creazione di percorsi protetti di reinserimento sociale e lavori socialmente utili per tutti i condannati a pene inferiori ai tre anni di reclusione. (5-06736)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato lo scorso 16 gennaio dall'agenzia di stampa ANSA, la procura di Palermo, nella persona del sostituto procuratore Francesco Del Bene, starebbe indagando sulla morte di un detenuto del carcere Ucciardone. Si tratta di un marocchino di 43 anni, in cella per droga, che la sera di venerdì 13 gennaio 2012 si è sentito male dopo cena. Soccorso dalla polizia penitenziaria e trasferito nell'ospedale Civico, l'uomo sarebbe deceduto poco dopo –:
   di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
   se sulla vicenda non intenda aprire una indagine amministrativa interna;
   se non si ritenga oramai indifferibile fornire elementi sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette;
   se si ritenga necessaria e indifferibile, proprio per garantire i diritti fondamentali delle persone, la creazione di un «osservatorio» per il monitoraggio delle morti che avvengono in situazioni di privazione o limitazione della libertà personale, anche al di fuori del sistema penitenziario, osservatorio in cui siano presenti anche le associazioni per i diritti dei detenuti e degli immigrati. (5-06737)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA, la mattina del 17 gennaio 2012 un detenuto 36enne di nazionalità tunisina ristretto nella casa di reclusione di Barcaglione (Ancona), avrebbe tentato di togliersi la vita bevendo una miscela per le pulizie, probabilmente della candeggina;
   l'uomo, che avrebbe finito di scontare una condanna per spaccio di stupefacenti a ottobre prossimo, è stato salvato dagli agenti della polizia penitenziaria ed attualmente si trova ricoverato in osservazione presso l'ospedale di Ancona –:
   se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
   se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
   più in particolare quali iniziative, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora. (5-06738)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa APCOM del 16 gennaio 2012, un detenuto italiano di 28 anni, Fabio Parodi, è stato trovato morto nella sua cella che divideva con altri detenuti, all'interno del carcere di Imperia. Era recluso per i reati di furto e detenzione di sostanze stupefacenti;
   l'uomo stando ai primi accertamenti sarebbe deceduto per cause naturali, forse un infarto. Il giovane nel 2008 era finito nelle maglie dell'inchiesta «Maracanà» portata a termine dalla polizia con una serie di arresti nel mondo savonese degli stupefacenti. Fabio Parodi, nel 2009, era stato condannato anche per aver derubato il fioraio del cimitero di Zipola;
   solo nel 2010, nel carcere di Imperia si sono registrati 13 episodi di autolesionismo, 3 tentati suicidi, 11 atti di autolesionismo, 12 scioperi della fame e 2 episodi violenti che hanno determinato danneggiamenti di beni dell'amministrazione penitenziaria;
   secondo quanto denunciato dal Sappe, nel carcere di Imperia mancano in organico circa 30 agenti di polizia penitenziaria, mentre i detenuti sono costantemente oltre la capienza regolamentare: 100/110 i presenti (il 60 per cento dei quali stranieri) a fronte di 69 posti letto –:
   quali iniziative di competenza intendano assumere per accertare se al detenuto quarantaquattrenne morto di infarto nel carcere di Imperia sia stato consentito di sottoporsi tempestivamente a visite medico-specialistiche nonché di potersi adeguatamente curare, essendo, in caso contrario, stato negato al medesimo l'inalienabile diritto alla salute che appartiene ad ogni essere umano al di là dei delitti presuntivamente commessi. (5-06739)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul sito http://www.informacarcere.it/modulo.php?livello=4&IDT=2145 la prima firmataria del presente atto ha potuto leggere il diario quotidiano del detenuto nel carcere di Spoleto Carmelo Musumeci;
   nella pagina del 17 gennaio 2012 è scritto: «Oggi, dopo cinque anni di richieste di colloquio, mi ha chiamato il magistrato di sorveglianza (dottoressa Ilaria Grazia Manganaro) e mi è sembrata una presa in giro. Sono un prigioniero con il cuore libero e ho detto al magistrato di sorveglianza quello che pensavo: “La mia prima richiesta d'incontrarla risale a cinque anni fa... la legge le impone d'incontrare i detenuti periodicamente, lei non lo fa... alcuni detenuti non la incontrano da dieci anni... per questo motivo non ho alcuna fiducia in questo magistrato di sorveglianza, perché la legalità prima di pretenderla va data”. Le ho augurato buon lavoro e me ne sono andato. Se un “buono” pensa che non è cattivo si convince di non esserlo, ma se un cattivo come me ha il coraggio di dirglielo forse si ricrederà. Questa volta il mio cuore è stato d'accordo con me di avere detto al magistrato di sorveglianza quello che pensavo e mi ha fatto i complimenti. Spero che me li faccia anche il mio angelo sic!»;
   l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell'istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati»;
   il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali. (...)»;
   l'interrogante aveva già evidenziato con le interrogazioni n. 4-12707 e 4-13309 problemi segnalati dai detenuti nei rapporti con l'ufficio di sorveglianza di Spoleto;
   l'interrogante ha raccolto numerose lamentele, soprattutto per quanto riguarda la frequenza delle visite della dottoressa Manganaro;
   come previsto dal già citato comma 1 dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 «(...) Gli accessi in istituto del magistrato di sorveglianza e del provveditore regionale sono annotati in un registro riservato a ciascuna delle due autorità, nel quale le stesse indicano i rilievi emersi a seguito degli accessi predetti. Anche il direttore annota in apposito registro le udienze effettuate» –:
   se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se corrisponda al vero che il magistrato di sorveglianza di Spoleto, dottoressa Manganaro, non abbia ritenuto di visitare, anche per anni, detenuti del carcere di Spoleto che avanzino richiesta secondo quanto previsto dalla normativa vigente;
   se ritenga di appurare, attraverso la visione degli appositi registri, quante siano state le visite effettuate presso il carcere di Spoleto dalla dottoressa Manganaro, anche in rapporto a quelle di altri colleghi;
   se, dopo le opportune verifiche, intenda intervenire nella questione rappresentata e in che modo. (5-06740)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 20 gennaio 2012 è andata in onda, su Radio Radicale, la rubrica «Il Rovescio del Diritto» condotta dall'avvocato Giandomenico Caiazza. La puntata, che vedeva come ospiti il presidente del tribunale di sorveglianza de L'Aquila, dottoressa Laura Longo, e l'avvocato Francesco Petrelli, responsabile del centro studi della camera penale di Roma, ha affrontato l'annosa questione relativa ai problemi che tuttora affliggono la casa di lavoro di Sulmona;
   attualmente, nella casa di lavoro di Sulmona sono ubicati circa 180 internati, tutti allocati nel padiglione «media sicurezza», strutturato su tre piani dei quali il I e il III ad essi riservati, mentre il II è riservato ai detenuti della casa di reclusione;
   nel predetto istituto si registra quindi una inevitabile quanto deprecabilissima commistione tra detenuti ed internati, i quali, data la particolare connotazione dell'istituto, soggiacciono di fatto al medesimo trattamento penitenziario riservato ai detenuti della sezione di reclusione;
   tale condizione di promiscuità è in contrasto con quanto previsto dall'ordinamento penitenziario (articoli 14 e 62) e con la disposizione normativa contenuta nell'articolo 213 del codice penale secondo il quale le misure di sicurezza devono essere eseguite negli stabilimenti a ciò destinati;
   gli internati vengono mantenuti chiusi per la quasi totalità della giornata usufruendo unicamente del medesimo numero di ore d'aria e di socialità previste per i detenuti;
   l'internamento presso la casa di reclusione di Sulmona si sostanzia pertanto in una ulteriore e protratta privazione della libertà personale del tutto omologa alla carcerazione conseguente alla esecuzione della pena detentiva;
   la Corte costituzionale con la sentenza n. 167 del 1972 ha sancito il principio secondo il quale le misure di sicurezza non possono avere un carattere punitivo atteso che le stesse si distinguono ontologicamente dalle pene;
   a tal proposito, in data 15 febbraio 2011, il presidente del tribunale di sorveglianza de L'Aquila, dottoressa Laura Longo, ha inviato una relazione sulla situazione degli internati nella casa di lavoro di Sulmona ai seguenti soggetti istituzionali: Ministro della giustizia, capo dipartimento amministrazione penitenziaria, direttore generale dei detenuti e del trattamento, provveditore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Abruzzo e Molise, direttore della casa di reclusione di Sulmona, presidente della corte di appello de L'Aquila, procuratore generale de L'Aquila;
   la prima firmataria del presente atto ritiene importante riportare i passaggi più rilevanti della citata relazione. Scrive il presidente del tribunale di sorveglianza dell'Aquila: «(...) La voluta e programmata destinazione presso la casa di Sulmona di un consistente numero di internati ritenuti particolarmente pericolosi accentua l'aspetto meramente custodialistico ed unicamente afflittivo che tutti gli internati, indistintamente, ricevono nella Casa di Sulmona; il che contrasta con l'articolo 218 del Codice Penale (il quale prevede la assegnazione nelle Case di Lavoro del delinquente professionale, abituale e per tendenza a “sezioni speciali” che nel carcere di Sulmona risultano del tutto inesistenti) nonché con l'articolo 213 del Codice Penale (il quale prescrive che sia adottato “un particolare regime educativo e di lavoro, avuto riguardo alle tendenze e alle abitudini criminose della persona e, in genere, al pericolo sociale che da essa deriva”) e, infine, con le norme contenute negli articoli 13, 14 e 64 dell'Ordinamento Penitenziario (norme che impongono un trattamento individualizzato anche per gli internati). (...) I soggetti internati, inoltre, vivono la nuova condizione di sottoposti alla misura di sicurezza detentiva con un marcato senso di angoscia derivante proprio dalla peculiare indeterminatezza temporale della misura la quale, a cagione del sistema di proroghe continue e reiterate, può proseguire anche in termini di mera perpetuità. Infatti, la endemica carenza di personale addetto all'osservazione e la strutturale mancanza di opportunità lavorativa o culturale all'interno della sezione, non consentono alla magistratura di sorveglianza di acquisire gli elementi essenziali sui quali poter formulare il giudizio prognostico di cessazione o attenuazione della pericolosità sociale, ai fini della revoca o della trasformazione della misura di sicurezza detentiva in quella della libertà vigilata. (...) Ulteriore ed aggiuntivo fattore di esasperazione, per detenuti ed internati, è costituito dal fatto che in tutte e tre le sale destinate ai colloqui con i familiari sono tuttora presenti i “muretti divisori” che impediscono il necessario contatto fisico con i familiari e che alimentano in modo esponenziale il senso di frustrazione e di disperazione, il che contrasta con l'articolo 37 decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 secondo il quale i colloqui devono avvenire in “locali interni senza mezzi divisori o in spazi aperti a ciò destinati” (...) Infine, si vuole richiamare l'attenzione sul problema dell'area sanitaria del carcere di Sulmona che appare del tutto insufficiente a far fronte alle esigenze della popolazione detenuta ed a garantire una adeguata tutela del fondamentale diritto alla salute (...) Ed ancora, è a dirsi che, sempre nello stesso martoriato carcere di Sulmona, vengono tuttora destinati soggetti disabili o bisognosi di trattamento di FKT, non adeguatamente sostenibile in detto carcere data la presenza saltuaria di un solo fisioterapista per due ore giornaliere (..). Il problema potrebbe trovare naturale soluzione nel trasferimento o nella destinazione dei malati in centri clinici penitenziari attrezzati. In questo senso, una più attenta politica da parte del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria contribuirebbe in maniera rilevante (...)»;
   al termine della sua relazione la dottoressa Laura Longo scrive quanto segue: «(...) Questa Presidenza formula l'auspicio che, nell'immediato, venga disposta la rimozione dei muretti divisori nelle tre sale destinate ai colloqui con i familiari e che, in futuro, si prenda in forte considerazione – ed in termini ragionevoli – l'ipotesi del trasferimento dei detenuti del circuito di media sicurezza presso altre carceri (potrebbe essere la Casa Circondariale di Pescara, ove in tempi brevi sarà completata la ristrutturazione di un reparto capace di ospitare oltre 200 persone e quella di Avezzano, recentemente riaperta). Tale soluzione consentirebbe di dedicare l'intero padiglione – oggi promiscuamente destinato ai detenuti di media sicurezza e agli internati – esclusivamente a casa di lavoro, con recupero di spazi, di libertà di movimento, di possibilità di trattamenti differenziati, di legalità. Un trattamento consono alla natura ed alle finalità della misura di sicurezza ed ispirato ai principi di umanità e rieducazione determinerà un sicuro abbattimento delle vocazioni suicidiarie che nell'istituto penitenziario di Sulmona troppo spesso si sviluppano nei soggetti internati»;
   le criticità denunciate dal presidente del tribunale di sorveglianza de L'Aquila sono state evidenziate anche nella relazione presentata dal presidente della locale porte di appello nel corso del suo intervento in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2011;
   il numero degli internati che svolgono attività lavorativa all'interno della casa di lavoro di Sulmona non raggiunge neanche la metà degli aventi diritto, sicché la loro esistenza presso il predetto istituto è strutturalmente connotata dall'abbandono e dall'ozio; tutto ciò nonostante che nella misura di sicurezza detentiva il lavoro costituisca il nucleo essenziale della rieducazione, così come individuata dal legislatore quale strumento indefettibile di maturazione e riabilitazione del soggetto socialmente pericoloso;
   la privazione del lavoro, snaturando l'essenza stessa della misura di sicurezza detentiva e delle sue esclusive finalità di prevenzione generale, ad avviso dell'interrogante viola, quindi, palesemente, il dettato legislativo trasformando l'internamento in illegittimo ulteriore periodo di privazione della libertà personale, del tutto omologo – per modalità e tipologia della restrizione – alla esecuzione della pena detentiva;
   la condizione di protratta assenza di occupazione lavorativa proprio nell'ambito strutturale della casa di lavoro, ed in un contesto nel quale – come quello di Sulmona – la presenza di soggetti «a rischio» (tossicodipendenti e soggetti affetti da patologie psichiatriche) è altissima, manifesta tutta la intrinseca ed evidente potenzialità di innescare nuovamente, come nel recente passato, pericolose dinamiche interne di natura depressivo-autolesionistiche;
   a tal proposito, con nota urgente del 18 gennaio 2012 (prot. n. 30/135) ad oggetto «lo stato di illegalità determinatosi presso la casa di lavoro di Sulmona in conseguenza della riduzione dei finanziamenti sul capitolo 7361 articolo 1 – servizio per le industrie manifatturiere – per l'anno 2012», il presidente del tribunale di sorveglianza de L'Aquila, dottoressa Laura Longo, si è rivolta al Ministro della giustizia, al capo dipartimento amministrazione penitenziaria, al direttore generale dei detenuti e del trattamento, al direttore generale dei beni e dei servizi, al provveditore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Abruzzo e Molise, al direttore della casa di reclusione di Sulmona, al presidente della corte di appello de L'Aquila, al procuratore generale de L'Aquila, denunciando quanto segue: a) con nota n. 56726 del 15 dicembre 2011 il provveditorato generale di Pescara aveva annunciato che per l'anno 2012 non era stata destinata alcuna assegnazione finanziaria per la casa di lavoro di Sulmona; b) il direttore della casa di lavoro di Sulmona evidenziava come dai 110 occupati nei laboratori interni e nei lavori domestici del 2011, a far data dal 1° gennaio 2012 si sarebbe dovuto ricorrere al licenziamento di tutti i 90 addetti ai laboratori industriali, oltre che dei 10 occupati nelle lavorazioni domestiche, con conseguenti, gravissimi ed allarmanti effetti sul piano degli equilibri interni già raggiunti nell'anno 2011, periodo in cui l'assegnazione di euro 633.478,83 aveva garantito l'occupazione di tutti gli internati, seppur con criteri di costante rotazione; c) a seguito di tali rilievi, con provvedimento del 9 gennaio 2012, la direzione generale dei detenuti e del trattamento assegnava all'istituto penitenziario di Sulmona per l'anno 2012 – sul capitolo 7361 articolo 1 servizio per le industrie manifatturiere – la somma di euro 100.000,00; d) con nota n. 588 dell'11 gennaio 2012, diretta al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al direttore generale dei detenuti e del trattamento ed al direttore dei beni e servizi del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, la direzione della casa di reclusione di Sulmona esponeva che la somma così stanziata era del tutto inadeguata ed insufficiente in quanto con essa si sarebbe potuto garantire solamente il lavoro per 20 internati sui 170 attualmente presenti, con conseguente imposizione di «ozio forzato» per 150 internati. Veniva richiesto, dunque, anche al fine di scongiurare gravissime ed assai probabili conseguenze sul piano dell'ordine interno e dell'ordine pubblico, il riesame delle ripartizioni del capitolo di spesa con incremento per la casa di lavoro;
   secondo quanto scritto dalla dottoressa Longo nella nota sopra citata «si ritiene doveroso segnalare come, essendosi raggiunto solo nel passato anno un generale equilibrio conseguito attraverso interventi di questa Presidenza, della Direzione dell'istituto e del DAP, tenacemente finalizzati al raggiungimento di un livello occupazionale a favore della quasi totalità degli internati, una regressione alle condizioni anteatte porterà alla inevitabile insorgenza delle tristi vocazioni suicidiarie che per anni hanno negativamente caratterizzato la Casa di Lavoro, come già dalla Scrivente evidenziato nella relazione del 15 febbraio 2011 in allegato, o ad assai probabili episodi di disordini interni (...)»;
   la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa di lavoro di Sulmona in diverse occasioni, presentendo successivamente diversi atti di sindacato ispettivo, tra i quali si segnalano le interrogazioni n. 4/06141, n. 4/05867, n. 4/05655, n. 4/03460, n. 4/03276, tutte rimaste attualmente senza alcuna risposta –:
   se sia conforme alle disposizioni normative che nella pratica attuazione la sottoposizione a casa di lavoro, almeno nel caso della struttura di Sulmona, non si differenzi dalla detenzione ordinaria;
   se non intenda assumere iniziative volte alla immediata chiusura della casa lavoro di Sulmona o, quanto meno, alla drastica riduzione degli internati in essa presenti attraverso la razionale redistribuzione degli stessi presso le altre case di reclusione;
   se non ritenga di dover urgentemente disporre il completo rifacimento della vetusta ed obsoleta sala-colloqui presente nell'istituto in questione in modo da garantire un miglior contatto umano tra detenuti e familiari;
   quanti soggetti disabili siano attualmente presenti nella casa di lavoro di Sulmona e se non ritenga urgente assumere le iniziative di competenza per trasferire gli internati disabili o bisognosi di trattamento fisioterapico presso centri clinici penitenziari attrezzati;
   se non intenda assumere iniziative per assicurare con la massima urgenza gli opportuni provvedimenti di assegnazione finanziaria a supporto del diritto al lavoro degli internati di Sulmona; più in particolare se non intendano adottare, anche alla luce di quanto segnalato dal presidente del tribunale di sorveglianza de L'Aquila con nota del 18 gennaio 2012 citata in premessa, gli opportuni provvedimenti volti al riesame delle ripartizioni del capitolo di spesa 7361 articolo 1 (servizio per le industrie manifatturiere) per l'anno 2012 con incremento per la casa di lavoro di Sulmona;
   quali misure amministrative intenda assumere, per quanto di competenza, in tempi immediati, al fine di affrontare le condizioni di insostenibile degrado, di repressiva carcerazione nonché di abbandono civile ed etico, cui sono sottoposti gli internati ristretti nella casa di lavoro di Sulmona;
   se non intenda adottare le opportune iniziative di competenza al fine di aumentare l'organico degli agenti penitenziari, degli educatori, degli psicologi e degli assistenti sociali in servizio presso la predetta casa di lavoro, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone ivi internate;
   più in generale, se non intenda promuovere le opportune iniziative normative dirette a limitare l'applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili (abolendo il sistema del doppio binario) o comunque volte ad introdurre una maggiore restrizione dei presupposti applicativi delle misure di sicurezza a carattere detentivo, magari sostituendo al criterio della «pericolosità» (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del «bisogno di trattamento»;
   quali siano gli intendimenti del Governo ai fini di una piena considerazione dei problemi esposti in premessa e, conseguentemente, quali indirizzi giuridici e normativi si intendano assumere, in coordinamento con le diverse responsabilità e con i soggetti istituzionali interessati, sul fronte della riforma delle modalità e dei meccanismi applicativi ed esecutivi delle misure di sicurezza detentive. (5-06741)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sulle pagine del quotidiano La Gazzetta, lo scorso 25 gennaio 2012, il segretario regionale della Uil-Pa penitenziari, Giovanni Grippo, ha denunciato la condizioni di illegalità in cui versa la struttura penitenziaria di Matera e, più in generale, la situazione di profondo degrado in cui si troverebbero molte carceri presenti in Basilicata, atteso che in alcune di esse i detenuti dormono all'addiaccio all'interno di celle dove filtra l'acqua;
   in particolare, l'esponente sindacale sostiene che attualmente nella casa circondariale di Matera non esisterebbe l'impianto di video-sorveglianza e che le «acque bianche di raccolta» del carcere finirebbero con il mescolarsi con quelle della fogna, «finendo nella canalizzazione che è indirizzata verso il torrente Gravina», con il che vi è il dubbio che queste acque confluiscano nel torrente senza aver subito alcun processo di depurazione;
   la denuncia del segretario regionale della Uil-Pa penitenziari è stata ripresa e rilanciata da Maurizio Bolognetti, segretario di Radicali lucani, il quale – dopo aver ribadito che «l'Italia è uno “Stato canaglia” sul fronte della tutela ambientale e della salute umana, così come sul fronte della questione giustizia e del suo putrido percolato rappresentato dalle condizioni di detenzione vissute nelle patrie galere e dalle condizioni di lavoro nelle patrie galere» – ha espresso tutta la vicinanza e solidarietà, sua e dei radicali, alla intera «comunità penitenziaria»;
   dall'inizio della legislatura, la prima firmataria del presente atto ha presentato numerose interrogazioni – rimaste ad oggi senza alcuna risposta – riguardanti le drammatiche condizioni delle carceri lucane visitate più volte –:
   se non intenda urgentemente dotare la casa circondariale di Matera dell'impianto di video-sorveglianza;
   se corrisponda al vero che le «acque bianche di raccolta» del carcere di Matera si mescolino con quelle della fogna, finendo successivamente nella canalizzazione che è indirizzata verso il torrente Gravina senza aver subito alcun processo di depurazione e, se del caso, cosa intenda fare per evitare che si riproduca nell'immediato futuro questa situazione di grave inquinamento ambientale;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di ricondurre nella legalità costituzionale gli istituti di pena che insistono sul territorio della Basilicata ponendo così termine ai trattamenti secondo gli interroganti disumani e degradanti ai quali sono sottoposti i detenuti ivi reclusi.
(5-06742)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 16 gennaio 2012, la prima firmataria del seguente atto ha visitato la casa circondariale di Secondigliano-Napoli accompagnata dalla segretaria dell'Associazione «Il detenuto ignoto», Irene Testa;
   la delegazione è stata guidata dal direttore dell'istituto, Liberato Guerriero, che ha reso noti, dietro richiesta, i seguenti dati sulle presenze dei detenuti: 1.248 presenti in una capienza regolamentare di 1.053 posti; 681 detenuti sono in regime di alta sicurezza; 95 si trovano presso il Centro diagnostico terapeutico (di cui 4 in isolamento sanitario, 20 in HIV di primo livello e 15 di livello intermedio); 17 in isolamento giudiziario e disciplinare; 9 sono collaboratori di giustizia; 40 in infermeria, sezione giudiziaria; 9 internati; 348 ordinaria giustizia e 49 nel reparto protetti; i detenuti con sentenza definitiva sono 476 mentre coloro che hanno una posizione «mista» con definitivo sono 115;
   l'istituto ha un sovraffollamento inferiore ad altri penitenziari in ragione dell'appartenenza di molti dei ristretti alla criminalità organizzata: 500 alla camorra, 33 alla mafia, 12 alla ’ndrangheta e 3 alla sacra corona unita; comunque, le celle progettate per essere singole sono quasi tutte occupate da due detenuti; i fondi destinati alla manutenzione dell'istituto sono del tutto insufficienti per scongiurare il deterioramento della struttura e degli impianti;
   il personale di polizia penitenziaria risulta molto carente: dei 1.370 agenti previsti dalla pianta organica, ne sono stati assegnati 1.115 ma, gli effettivamente disponibili sono 850 in quanto 196 sono distaccati e 69 risultano malati a lungo termine;
   con i tagli che sono stati fatti all'assistenza psicologica, questa risulta carente: infatti, gli psicologi (tutti ex articolo 80) assicurano solo 70 ore al mese; quanto all'assistenza sanitaria, non sono state ancora rinnovate le convenzioni con i vecchi medici dell'istituto e questo determina uno stato di preoccupazione e di incertezza nel personale operante; per i casi psichiatrici, l'istituto è punto di riferimento per tutta la regione: esiste un reparto di osservazione dove i detenuti rimangono per brevi periodi;
   per quanto possibile con le sempre inadeguate dotazioni finanziarie per i diversi capitoli di bilancio, la direzione cerca con professionalità di far fronte alle necessarie attività trattamentali: molti sono i corsi scolastici, scuole elementari, medie, istituto tecnico commerciale; quanto al lavoro, oltre ai soliti lavori interni all'istituto (scopino, spesino, distribuzione vitto, e altro) il carcere di Secondigliano offre un'importante attività lavorativa che sarebbe il caso di rafforzare ed estendere anche ad altri istituti; si tratta del riciclaggio dei rifiuti, un progetto fortemente voluto dal Dap dal direttore dell'istituto; progetto che dà ottimi risultati e che vede impegnati 30 detenuti a turnazione; la delegazione in visita ha potuto notare l'enorme differenza di stato d'animo fra i detenuti impegnati in questa occupazione e la mortificazione degli altri (troppi) internati costretti all'ozio nella loro cella; un altro progetto fortemente rieducativo, messo in piedi grazie alla buona volontà di un ispettore della polizia penitenziaria e assecondato dalla direzione, è quello della coltivazione in serra di un certo numero di prodotti ortofrutticoli; un ergastolano ha detto alla prima firmataria del presente atto «per me, lavorare la terra, vedere le verdure e i legumi crescere e maturare, corrisponde quasi alla libertà anche se quello che faccio si svolge dentro le altissime mura di cinta del carcere»;
   quanto a casi particolari incontrati dalla delegazione nel reparto infermeria, si evidenziano i seguenti:
    A.C. 40 anni, in AIDS conclamato, afferma di aver rivolto istanza al Dap per essere trasferito presso altri istituti con CDT perché a Secondigliano si sente minacciato da altri detenuti; per questo motivo sta conducendo uno sciopero della fame; il suo fine pena, a quanto riferisce, è fissato nel marzo del 2015;
    V. T. riferisce di aver presentato 2 istanze ai Dap per poter scontare la pena vicino alla famiglia segnalando gli istituti di Catanzaro, Messina e Reggio Calabria;
    G.F. ha presentato istanza di trasferimento in Sicilia perché la famiglia sta a Palermo; si tratta di ergastolano che da 16 anni vive lontano dai suoi congiunti, è affetto da un'ipertensione gravissima con danni d'organo;
    L.D.M. anoressico, tossicodipendente, dice di essere stato difeso da un avvocato d'ufficio; gli mancano due anni al fine pena; dice queste parole: «mi sento intrappolato, paralizzato»;
    A.A., 42 anni, trapiantato di fegato da 8 mesi, necessita di continui controlli impossibili in regime di detenzione; afferma che, nonostante sia stato dichiarato incompatibile con il regime carcerario, il magistrato di sorveglianza ha rigettato qualsiasi tipo di richiesta avanzato dalla sua difesa;
    C.P. tossicodipendente, gli mancano 12 mesi al fine pena, afferma che pur essendogli stati riconosciuti, per buona condotta, i giorni di liberazione anticipata, gli sono stati sempre negati i permessi;
    S.Z. è da tre anni in attesa di trapianto di fegato, ha 9 figli, il più piccolo ha 4 anni; piangendo dice che vuole rimanere a Secondigliano perché a Parma dove è assegnato è stato due anni senza fare un colloquio; gli mancano tre anni al fine pena;
    A.B. ha 78 anni e ha già scontato 16 anni di carcere, afferma che se gli fossero arrivati i due semestri di liberazione anticipata sarebbe già fuori; infartuato, operato al cuore, 7 ernie del disco, per tre volte gli è stata riconosciuta l'incompatibilità con il regime carcerario;
    A.C. afferma di avere 8 patologie gravi e di non essere curato in quanto dovrebbe fare la salassoterapia una volta al mese, mentre nel carcere gli viene assicurata ogni tre/quattro mesi;
    N.C. si trova a Secondigliano per il processo, è cieco ed ha bisogno costantemente di un piantone, mentre il carcere può metterglielo a disposizione solo ogni tanto visto che il ragazzo che fa questo lavoro deve seguire tutta la sezione;
    N.C. è assegnato al carcere di Messina, ma vorrebbe rimanere a Secondigliano; chiede di poter fare qualcosa essendo costretto «per 24 ore a combattere con la sua oscurità»; sarebbe fondamentale per lui poter ascoltare degli audiolibri, ma i CD o altri supporti analoghi non sono ammessi in carcere;
    M.M. cittadino somalo, afferma che con i giorni di liberazione anticipata dovrebbe essere già fuori, ma aspetta ancora la risposta;
   l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell'istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati»;
   il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali (...)» –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere di Secondigliano;
   se e quando intenda intervenire per quanto di competenza per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria e degli psicologi;
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché sia assicurato il personale necessario per un'adeguata assistenza sanitaria ai detenuti;
   se intenda aumentare, adeguandolo, il fondo destinato alla manutenzione dei fabbricati penitenziari di Secondigliano;
   se intenda favorire e ampliare la lodevole iniziativa di riciclaggio dei rifiuti che consente oggi solo a qualche decina di detenuti di poter effettuare un lavoro riabilitativo e spendibile fuori del carcere una volta espiata la pena;
   se intenda intervenire per estendere la lucrosa iniziativa del riciclaggio dei rifiuti ad altri istituti oltre a quello di Secondigliano e Poggioreale;
   di quali elementi disponga in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
   se intenda acquisire elementi in merito alla condotta della magistratura di sorveglianza in merito all'aderenza del suo operato a quanto prescritto dalla normativa riportata in premessa. (5-06743)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato, tra gli altri, dal quotidiano La Repubblica, il 28 gennaio 2012, un cittadino marocchino di 27 anni, con numerosi precedenti e arrestato il pomeriggio del 27 gennaio per reati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale all'interno del pronto soccorso dove era stato trasportato dal 118 in stato di ubriachezza, si è suicidato il giorno stesso dell'arresto impiccandosi alla grata della porta blindata della cella ubicata all'interno della camera di sicurezza della questura di Firenze;
   l'uomo, dopo essersi messo al collo una lunga striscia di tessuto ricavata dal margine della coperta in dotazione e averla legata alla grata della porta blindata, si è lasciato scivolare sul pavimento strangolandosi. Immediatamente è intervenuto anche il 118 che, dopo averne tentato a lungo la rianimazione, ne ha constatato il decesso per strangolamento;
   sulla triste vicenda il Siulp fiorentino ha diramato la seguente nota: «Quanto accaduto è la chiara riprova di quanto il decreto “svuota carceri” sia assurdo ed inattuabile e di quanto, almeno la questura di Firenze, non sia in condizione di dare attuazione al provvedimento senza correre il rischio concreto che, episodi analoghi a quelli accaduti ieri sera, possano ripetersi. Quanto accaduto venerdì sera è solo la punta di un iceberg che ormai da tempo ha raggiunto dimensioni allarmanti. La fatiscenza delle strutture in uso alle forze dell'ordine a Firenze, e non solo, ha assunto livelli tali che non si riesce più ad assicurare neanche l'incolumità di chi deve essere “custodito”. Non basta più ormai da tempo neanche il senso di responsabilità e di sacrificio dei lavoratori di polizia ad assicurare l'integrità fisica altrui. Inadeguatezza, abbandono, mancanza di fondi e di mezzi, sono le cause di quanto accaduto. E pensare che si volevano utilizzare proprio le celle degli uffici di Polizia per “decongestionare” le fatiscenti carceri. Una soluzione tutta italiana che preoccupa gli operatori di polizia fiorentini, perché, alla luce dei fatti, si ha la sensazione (certezza) che chi deve intervenire non abbia chiaro il quadro complessivo nel quale operano quotidianamente le forze dell'ordine a Firenze come altrove. Ora, accaduto l'irreparabile, si spera che finalmente quegli interventi da troppo tempo rimandati per liquidità, trovino finalmente realizzazione, almeno a Firenze»;
   il decreto-legge n. 211 del 2011 aggiunge un nuovo comma all'articolo 558 del codice di procedura penale;
   la nuova disposizione prevede il divieto di condurre l'arrestato presso la casa circondariale del luogo dove l'arresto è stato eseguito, ovvero presso altra casa circondariale, salvo che il pubblico ministero non lo disponga, con decreto motivato, per la mancanza o indisponibilità di altri idonei luoghi di custodia del circondario in cui è stato eseguito l'arresto, per motivi di salute della persona arrestata o per altre specifiche ragioni di necessità (ricorrendo tali ipotesi, il pubblico ministero adotterà un provvedimento motivato con cui dispone la carcerazione dell'arrestato, in alternativa alla custodia, presso la sua abitazione o dimora);
   inoltre l'articolo 123-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, stabilisce che l'arrestato è condotto in carcere «anche quando gli ufficiali e agenti che hanno eseguito l'arresto rappresentino la pericolosità della persona arrestata o l'incompatibilità della stessa con la permanenza nelle camere di sicurezza ovvero altre ragioni che impediscono l'utilizzo di esse»;
   nelle intenzioni del Governo, le nuove disposizioni dovrebbero limitare significativamente il numero dei detenuti che attualmente vengono condotti nelle case circondariali per periodi di tempo limitatissimi (spesso pochi giorni), atteso che, in tali casi, il fenomeno produce un notevole aggravio per l'amministrazione penitenziaria, in termini di costi e di gestione dei cosiddetti «nuovi giunti»;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto, le nuove disposizioni destano non poche perplessità, innanzitutto in quanto, su un piano generale, non sembra pertinente la giustificazione della modifica normativa per adeguare la disciplina della convalida al principio espresso dalla Corte costituzionale in ordine al minor sacrificio della libertà personale, giacché non si vede quale differenza – sul piano della lesione del bene rappresentato dalla libertà personale – intercorra tra la custodia in carcere e quella presso una camera di detenzione di una stazione dei carabinieri o di un commissariato di polizia;
   peraltro la nuova disciplina, per come è stata congegnata, segna un certo qual arretramento delle garanzie per le persone arrestate, poiché la permanenza in carcere prevede che la persona arrestata fruisca di un'assistenza qualificata sotto il profilo dell'accoglienza (effettuato da personale specificamente preparato); della gestione di eventuali problematiche personali (che possono essere gestite dal personale civile dell'area educativa) e sanitarie (anche con riferimento a eventuali problematiche acute di tossicodipendenza);
   detto altrimenti, è evidente che una professionalità specifica nel settore dell'accoglienza e gestione di persone detenute non appartiene alle Forze dell'ordine, il cui personale potrebbe trovarsi in grave difficoltà a gestire situazioni critiche ed esposto alle conseguenti responsabilità in caso di episodi critici, basti pensare al suicidio del cittadino marocchino avvenuto all'interno della camera di sicurezza della questura di Firenze;
   prima di adottare la normativa in questione, occorreva prendere in considerazione l'attuale situazione della logistica e del personale (già oggi molte stazioni dei carabinieri, ad esempio, rimangono prive di personale nelle ore notturne per ridurre i costi di gestione) e far precedere la nuova disciplina dal monitoraggio sui costi degli interventi necessari a mettere a norma le strutture delle forze dell'ordine che dovrebbero ospitare i soggetti custoditi;
   secondo il comitato di prevenzione contro la tortura del Consiglio d'Europa, una cella di polizia può essere adibita alla custodia per poche ore di una singola persona arrestata purché abbia le seguenti dimensioni: 7 metri quadrati di grandezza, 2 metri o più di distanza tra le pareti e 2 metri e mezzo tra il pavimento e il soffitto –:
   se risultasse nel caso di specie siano state valutate – dalle forze dell'ordine e/o dal magistrato inquirente titolare delle indagini – le condizioni di salute della persona arrestata – uomo arrestato al pronto soccorso e in evidente stato di ubriachezza – al fine di una sua custodia presso un luogo alternativo alla camera di sicurezza;
   quanto fosse grande la cella di sicurezza all'interno della quale l'uomo si è impiccato;
   se la cella di sicurezza in questione godesse di illuminazione (in particolare di luce naturale) e aerazione adeguata; se la stessa fosse attrezzata con mezzi di appoggio (per esempio sedie fisse o panche) e se nella stessa vi fosse un materasso e coperte pulite;
   se la persona morta suicida abbia potuto avere accesso ad un legale fin dalle fasi immediatamente successive all'arresto e quando il suo legale sia stato informato dell'arresto dalle forze dell'ordine;
   se l'uomo avesse dei parenti e se questi siano stati informati dell'avvenuto arresto;
   se l'uomo assumesse dei farmaci, se il medesimo fosse un alcolizzato cronico e se sia stato visitato da un medico durante le ore trascorse all'interno della cella di sicurezza;
   se non si ritenga opportuno distribuire sistematicamente uno stampato alle forze dell'ordine con l'elenco chiaro dei diritti che spettano alle persone detenute dalla polizia fin dall'inizio della loro custodia;
   se prima dell'emanazione del decreto legge n. 221 del 2011 il Governo abbia preso in considerazione l'attuale situazione della logistica e del personale delle forze dell'ordine, il tutto facendo precedere l'emanazione della nuova disciplina dal monitoraggio sui costi degli interventi necessari a mettere a norma le strutture delle forze dell'ordine che dovrebbero ospitare i soggetti custoditi;
   se non intenda avviare un programma urgente di potenziamento, ampliamento e ristrutturazione delle camere di sicurezza all'interno delle quali dovranno essere custodite le persone arrestate in flagranza di reato prima della convalida dell'arresto;
   se il Governo non intenda assumere iniziative di carattere normativo al fine di estendere l'esercizio del potere ispettivo di cui all'articolo 67 dell'ordinamento penitenziario anche alle camere di sicurezza ubicate all'interno delle caserme dei carabinieri, dei commissariati di polizia e delle tenenze della Guardia di finanza.
(5-06744)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia AGI dell'11 febbraio 2012, a Bologna, intorno alle 7, un detenuto del reparto penale dell'istituto della Dozza sarebbe stato trovato cadavere nel letto dal suo compagno di cella;
   secondo quanto riferito dal segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno, «parrebbe che la morte sia sopravvenuta per cause naturali, probabilmente per infarto». L'uomo però sembrava presentare anche evidenti segni di ipotermia;
   nel carcere di Bologna gli impianti di riscaldamento funzionano con una certa regolarità, ma sono inadeguati alla bisogna e non riescono a garantire una soddisfacente climatizzazione, con il risultato che chi lavora e vive in quegli ambienti ha l'impressione di essere in un frigorifero;
   D.R.M., di 39 anni, scontava una pena per rapina, spaccio internazionale, sequestro di persona ed altro. Avrebbe terminato la detenzione nel 2024 –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   quali siano le cause che hanno cagionato il decesso del detenuto e se il malore avvertito da quest'ultimo sia riconducibile in parte alle basse temperature che si registrano all'interno delle celle del carcere bolognese, tutte mal riscaldate;
   se non intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se, con riferimento al decesso di D.R.M., non siano ravvisabili eventuali profili di responsabilità disciplinare in capo alla direzione dell'istituto penitenziario in questione;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di garantire la presenza costante di un adeguato impianto di riscaldamento in tutti gli ambienti detentivi dell'istituto di pena emiliano. (5-06746)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia AGI dell'11 febbraio 2012, un detenuto napoletano di Scampia sarebbe deceduto dopo essersi sentito male nel carcere di Campobasso;
   il prezioso e tempestivo intervento degli agenti di polizia penitenziaria, immediatamente intervenuti a soccorrere il ristretto aveva fatto sì che l'uomo, di circa 40 anni, in carcere per associazione a delinquere e rapina, fosse ricoverato presso il locale ospedale, ma purtroppo le sue condizioni di salute sono sembrate subito talmente gravi che è sopraggiunto il decesso dopo poco tempo;
   pare che l'uomo presentasse segni evidenti di ipotermia;
   secondo quanto riferito da Eugenio Sarno, segretario della UIL-Pa Penitenziari, nel carcere di Campobasso «l'impianto di riscaldamento garantisce temperature esotiche solo negli Uffici della Direzione (tant’è che si è costretti ad aprire le finestre) mentre negli ambienti detentivi agenti e detenuti sono costretti a sopportare temperature polari. Certamente quello di garantire un idoneo riscaldamento alle carceri è una delle priorità che va risolta anche per via normativa. Purtroppo quella della salubrità e della sicurezza dei luoghi di lavoro è una materia sulla quale il Dap elude il confronto. Capita, quindi, che a Bolzano i colleghi sono costretti a montare di sentinella in un box di plexiglass a temperature molto al di sotto dello zero e in molte altre strutture lo zelo dei dirigenti vieta al personale che monta di servizio in luoghi scoperti di avvalersi dell'ausilio di stufette, senza però aver fatto installare idonei impianti di climatizzazione» –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   quali siano le cause che hanno cagionato il decesso del detenuto e se il malore avvertito da quest'ultimo sia riconducibile in parte alle basse temperature che si registrano all'interno delle celle del carcere molisano, tutte mal riscaldate;
   se non intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se, con riferimento al decesso dell'uomo, non siano ravvisabili eventuali profili di responsabilità disciplinare in capo alla direzione dell'istituto penitenziario in questione;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di garantire la presenza costante di un adeguato impianto di riscaldamento in tutti gli ambienti detentivi dell'istituto di pena molisano. (5-06747)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia ANSA del 10 febbraio 2012, due uomini sui 50 anni internati nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia sarebbero stati ricoverati, nei giorni scorsi, in ipotermia nell'ospedale di S. Maria Nuova. Uno è stato dimesso, l'altro è in rianimazione anche se non pare in pericolo di vita;
   per Michele Malomi, segretario del Sappe di Reggio Emilia e ispettore di polizia penitenziaria, «gli impianti di riscaldamento dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia non sono proprio efficienti anche per via dei tagli finanziari, anche perché sono accesi a temperature pre-impostate e in genere il calore è limitato. Anche gli scorsi anni si registrarono casi di ipotermia, quest'anno è la prima volta e mi auguro sia anche l'ultima, ma due casi in una settimana fanno pensare»;
   nell'ospedale psichiatrico giudiziario emiliano ci sono attualmente 222 uomini, divisi in cinque reparti – uno solo è gestito dalla polizia penitenziaria, il resto da personale medico e paramedico – e spesso le finestre restano aperte anche per consentire il riciclo d'aria –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   se non si intendano assumere urgentemente le opportune iniziative di competenza al fine di assicurare che gli ambienti all'interno dei quali sono ristretti gli internati vengano sufficientemente riscaldati;
   se non si intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se, con riferimento a quanto accaduto ai due internati 50enni ricoverati in ipotermia, non siano ravvisabili eventuali responsabilità disciplinari in capo alla direzione dell'ospedale psichiatrico giudiziario. (5-06748)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 29 gennaio 2012, la prima firmataria del presente atto ha visitato l'istituto penitenziario Coroneo di Trieste accompagnata dai radicali Marco Gentili, Renato Manara, Andrea Michelazzi, Clara Comelli ed Erminia De Felice;
   l'ispezione, durata 7 ore, è stata guidata dal direttore dell'istituto Enrico Sbriglia ed ha riguardato tutti i luoghi dell'istituto che ospita 250 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 155 posti; le detenute donne sono in tutto 29; i semiliberi 8 mentre coloro che beneficiano dell'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario sono in tutto 6; nelle celle progettate per 2 detenuti, ce ne sono 4 mentre in quelle più grandi, di circa 25 metri quadrati ci sono 10 detenuti;
   dal punto di vista strutturale il carcere di Trieste si presenta molto fatiscente tanto che non di rado, nonostante il freddo, intenso i vetri rotti sono stati sostituiti da pannelli di cartone o di legno, le mura e i soffitti sono scrostati con evidenti segni di umidità, nelle celle dei nuovi giunti ci sono ancora i wc a vista; uno dei quattro piani dell'istituto è stato ristrutturato grazie all'indulto del 2006 che, con la drastica riduzione del numero dei detenuti ha consentito di eseguire i lavori;
   la pianta organica prevede 159 agenti di polizia penitenziaria, ma le unità assegnate sono 130 e quelle effettivamente in servizio 120 (compreso il nucleo traduzioni e la sezione femminile). Spesso, di notte, solo 11 agenti governano tutto l'istituto con gravi rischi nel caso si verifichino alcuni eventi critici; l'assistenza psicologica per i detenuti è garantita solo per 28 ore al mese; gli educatori sono tre, ma una fa solo un giorno alla settimana perché ha appena dato alla luce un figlio;
   i tagli effettuati su alcuni capitoli di bilancio, rendono pressoché impossibile la manutenzione ordinaria degli edifici e ridotte al minimo le possibilità di lavoro per i detenuti attraverso il fondo destinato alle mercedi; anche l'igiene dei luoghi – celle comprese – è compromessa dalla riduzione delle dotazioni destinate alla pulizia; gli impianti antincendio non sono mai stati sottoposti a manutenzione;
   quanto al lavoro possibile attraverso i fondi del Ministero, 5 detenuti fissi svolgono le mansioni di cuciniere, 2 lavorano in cucina a rotazione ogni 15 giorni, 1 al magazzino detenuti, 1 come porta-pacchi ai colloqui, 1 alla manutenzione ordinaria, 2 sono gli spesini, 8 gli scopini (7 al maschile e 1 al femminile), 1 fa il barbiere; da giugno del 2011, tre detenuti lavorano alla panetteria interna grazie ad un accordo con una cooperativa;
   nonostante la situazione sopra descritta, grazie alla professionalità del direttore e all'abnegazione e capacità di quanti lavorano al Cotroneo, molte sono le attività trattamentali che, malgrado tutto, si riesce a proporre ai detenuti e alle detenute in alcuni periodi dell'anno: sul fronte scolastico sono attivi i corsi di alfabetizzazione, elementari, medie e corsi di inglese oltre che corsi periodici di formazione professionale; nell'istituto è disponibile anche una palestra e una sala computer; esistono inoltre un laboratorio di ceramica, una tappezzeria, una falegnameria attrezzata che abbisognerebbe dell'allacciamento all'impianto di riscaldamento e di aspiratori a norma; nella biblioteca, recentemente arricchita grazie a una donazione dell'onorevole Franco Frattini, lavorano due volontari che soddisfano le tante richieste dei detenuti; anche la mansione di scrivano viene svolta da un volontario:
   nel reparto «nuovi giunti», dove ci sono celle singole ma con i wc a vista, la delegazione ha incontrato M.B. affetto da aids conclamato che deve scontare ancora due anni e che afferma che, pur avendo ottenuto dal medico dell'istituto il riconoscimento della incompatibilità con il regime carcerario, si è visto rifiutare gli arresti domiciliari dal magistrato di sorveglianza;
   R.S., è in attesa di giudizio e da quattro mesi si trova nel carcere di Trieste; ha un lipoma sulla spalla destra per il quale deve subire un intervento chirurgico; ha presentato istanza per essere trasferito a Rebibbia oppure a Pescara o a Vasto perché i famigliari sono troppo poveri per venirlo a trovare e sua moglie, disoccupata, ha già fatto debiti per arrivare fino a Trieste per i colloqui;
   ai passeggi la delegazione ha incontrato il tunisino M.Z. che è stato trasferito a seguito di uno sfollamento dal carcere di Spoleto; a causa di ciò da 5 mesi non vede la famiglia che vive a Roma; ha avanzato l'istanza per scontare l'ultimo periodo di detenzione ai domiciliari;
   molti detenuti stranieri – che costituiscono il 70 per cento della popolazione reclusa – lamentano gli alti costi delle telefonate: per parlare 10 minuti con Santo Domingo si spendono 10 euro, con il Gambia 20 euro, con l'Iraq 24 euro, mentre tutti affermano che all'esterno queste telefonate non costano più di 5 euro; tutti i detenuti lamentano l'alto costo dei prodotti venduti all'interno dell'istituto;
   in una cella la delegazione ha incontrato un detenuto tunisino di 28 anni molto sofferente perché costretto a tenere permanentemente un catetere senza che si siano ancora scoperte le cause di questa patologia che lo affligge; la direzione fa presente che sono in corso accertamenti;
   un detenuto albanese è costretto a fare in continuazione traduzioni verso Firenze perché lì si svolgono i suoi processi;
   un detenuto tunisino residente a Varese lamenta il fatto di avere pochi contatti (anche telefonici) con i figli minori, un maschio di 2 mesi e una bambina di 3 anni;
   E.Z. da otto mesi si trova a Trieste e non ha mai potuto effettuare un colloquio con i genitori anziani e i suoi fratelli che vivono in provincia di Milano; da tre mesi ha avanzato richiesta al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di trasferimento a Milano Opera;
   Z.H. da cinque mesi ha fatto istanza al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per essere trasferito in Sardegna dove spera di poter lavorare per mandare qualche aiuto alla figlia dodicenne che sta in Algeria;
   C.S. è affetto da epatite B e C; afferma di non essere curato adeguatamente per i forti dolori al fegato che sono persistenti; con la permanenza in carcere la sua vista è notevolmente diminuita;
   M.G. per una sopraggiunta vecchia condanna è stato costretto ad interrompere il programma di recupero presso la comunità «Nostra Casa» di Udine che prevedeva un anno in comunità e che per due anni fosse seguito dal Sert; l'interruzione lo ha costretto anche a rinunciare al lavoro di salumiere che svolgeva anche per mantenere la sua convivente e una bambina di due anni;
   un detenuto iracheno, oltre a lamentarsi per il costo eccessivo delle telefonate, fa presente che non fa colloqui, che non lavora e che non gli sono nemmeno mai arrivati i pochi euro della mercede di San Vittore;
   nella sezione femminile la delegazione ha incontrato, fra le altre, R.S. che si trova in carcere per essere andata in questura a regolarizzarsi mentre pendeva sulla sua testa un decreto di espulsione per una vecchia condanna (furto di una giacca) divenuta definitiva; chiede se, finita la pena, potrà rimanere in Italia visto che tutti i suoi parenti vivono nel nostro Paese;
   una ragazza di 27 anni sta scontando 4 mesi di reclusione per aver rubato due pezzi di grana padano; le mancano solo 68 giorni per il fine pena;
   R.R. afferma che non riesce a parlare con l'educatrice; ha tre bambini, il più piccolo ha tre anni mentre il maggiore ne ha sei; afferma che il suo compagno F.R. detenuto a Padova, non ha potuto ancora riconoscere il figlio di tre anni;
   S.N. di origini croate ma nata a Roma, sostiene di non avere più notizie di 3 dei suoi 5 figli tutti nati in Italia; solo di due ha informazioni: uno è al carcere minorile, l'altro sta con la nonna in Croazia; vorrebbe solo sapere come stanno i suoi figli;
   C.Z. fa notare alla delegazione di avere un nodulo sulla spalla e si lamenta del fatto che il medico non visita le detenute quando fanno richiesta;
   S.V. rumena, ha fatto domanda per scontare l'ultimo periodo di pena ai domiciliari; le mancano 11 mesi, la domanda l'ha presentata il 23 dicembre ma ancora non ha avuto risposta;
   una ragazza cinese Y.X.Y. ha fatto domanda al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per essere trasferita a Firenze dove ha parenti e processi –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa;
   cosa si intenda fare per riportare la popolazione detenuta nel carcere di Trieste alle dimensioni regolamentari;
   in quali tempi sarà integrato il personale mancante fra gli agenti di polizia penitenziaria e cosa si intenda fare, per quanto di competenza, per rafforzare il numero degli addetti all'assistenza medica, psicologica e trattamentale;
   cosa si intenda fare per rendere agibile dal punto di vista strutturale il carcere di Trieste; a quando risalga e cosa vi sia scritto nella relazione semestrale che la ASL di riferimento deve rilasciare in merito alle condizioni strutturali e igienico-sanitarie dell'istituto;
   se intendano incrementare i fondi destinati alla manutenzione (anche straordinaria) degli edifici, quelli relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
   quali iniziative si intendano assumere per garantire ai detenuti di poter scontare la propria pena vicino al luogo di residenza;
   se, e in che modo, si intenda intervenire rispetto ai casi segnalati in premessa;
   se si intenda intervenire per ridurre i costi delle telefonate magari sperimentando collegamenti Skipe molto meno onerosi per persone poverissime come quelle che sono detenute nel carcere di Trieste;
   di quali elementi disponga in ordine ai tempi impiegati dal magistrato di sorveglianza per rispondere alle istanze dei detenuti con particolare riguardo a quelle riguardanti la possibilità di scontare gli ultimi 18 mesi di detenzione ai domiciliari secondo la normativa introdotta con il decreto n. 211 del 22 dicembre 2011, recentemente convertito in legge. (5-06749)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA dello scorso 13 febbraio, la scorsa settimana un detenuto, Luigi Monaco, 40enne, è deceduto all'ospedale Cardarelli di Napoli. L'uomo era stato trasferito nell'ospedale partenopeo dal carcere di Campobasso all'interno del quale era ristretto, ma è morto mentre stava per entrare in sala operatoria;
   già in passato il detenuto era stato trasferito all'ospedale Cardarelli, atteso che lo stesso soffriva da tempo di problemi di salute;
   sulla vicenda la procura di Campobasso ha aperto una inchiesta iscrivendo nel registro degli indagati sei persone, tutto ciò mentre si attende di conoscere l'esito dell'autopsia disposta subito dopo il decesso dell'uomo;
   Luigi Monaco, che stava scontando una pena per associazione a delinquere e per rapina, lavorava nella lavanderia dell'istituto di pena dove era recluso e più volte in passato aveva lamentato dolori diffusi ed era stato trasportato in ospedale per accertamenti. La procura ora dovrà appurare se le condizioni di salute del detenuto fossero compatibili con il carcere e/o se ci sia stata qualche negligenza nell'affrontare il caso da parte delle autorità competenti –:
   al di là dell'inchiesta aperta dalla magistratura per accertare eventuali responsabilità penali nel trattamento riservato al signor Luigi Monaco, se non ritengano — in via cautelativa nei confronti degli altri detenuti ristretti nel carcere di Campobasso — di dover verificare, attraverso un'approfondita indagine interna, se il trattamento sanitario previsto nell'istituto abbia corrispondenza con le leggi dello Stato e, soprattutto, con quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione;
   quanti siano, negli ultimi cinque anni, i detenuti i morti in carcere per malattia e quanti coloro che, usciti dal carcere in sospensione della pena per malattia, siano successivamente morti in ospedale o nelle proprie abitazioni.
(5-06750)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, il 17 febbraio 2012 Pino Cobianchi, 58 anni, si è impiccato nella cella del carcere di Opera a Milano dove era detenuto;
   Cobianchi era condannato all'ergastolo ed all'isolamento diurno per gli omicidi di tre prostitute tutti avvenuti nel 2003 in provincia di Toscana. Più altri scampoli di pena, per una serie di rapine commesse con lo pseudonimo di «Robin Hood» e alcuni furti e incendi. Era stato a lungo recluso al carcere Don Bosco di Pisa, dopo aver peregrinato per 26 anni in varie carceri italiane: nel ’79, infatti, era stato condannato a Milano per un delitto commesso l'anno prima al velodromo Vigorelli, dove aveva ucciso un diciottenne di vita che taglieggiava;
   secondo il legale dell'uomo, avvocato Laura Antonelli, «i familiari del signor Cobianchi non sono stati informati del decesso, ma sono stata io a dar loro la notizia, eppure quello di essere informato è un preciso diritto del familiare contemplato dall'ordinamento penitenziario»;
   da inizio anno sono 8 i detenuti che si sono tolti la vita e 21 il totale dei decessi avvenuti nelle carceri (di cui 9 per cause ancora da accertare). Dal 2000 ad oggi 700 detenuti si sono uccisi, mentre ammonta a 1.954 il totale dei «morti di carcere». Cifra che supera le 2.000 unità, sommando le vittime tra le fila della polizia penitenziaria: 85 per suicidio e 6 per «incidenti sul lavoro» –:
   al di là dell'inchiesta aperta dalla magistratura per accertare eventuali responsabilità penali con riferimento al suicidio del signor Cobianchi, se non ritenga – in via cautelativa – di dover verificare, attraverso un'approfondita indagine interna, se nella morte dell'uomo non siano ravvisabili eventuali profili di responsabilità disciplinare del personale di polizia penitenziaria;
   per quali motivi i familiari dell'uomo non siano stati avvisati dell'avvenuto decesso dalla direzione dell'istituto penitenziario milanese e se – con riferimento a tale omissione – non ritenga opportuno adottare gli opportuni provvedimenti disciplinari;
   quali provvedimenti intenda adottare al fine di ridurre l'alto tasso dei decessi e dei suicidi delle persone detenute e degli agenti di custodia. (5-06751)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato, tra gli altri, dal quotidiano Il Messaggero, il 9 ottobre 2011, un cittadino georgiano senza fissa dimora di 25 anni, Georgi B., è morto in una camera di sicurezza della questura di Milano. Il ragazzo era stato arrestato per aver tentato di rubare apparecchiature elettroniche in uno store Feltrinelli in corso Buenos Aires insieme ad altri due connazionali;
   dopo l'arresto, il ragazzo era stato rinchiuso in una cella di sicurezza della questura di Milano, in via Fatebenefratelli, in attesa del processo per direttissima atteso per il giorno dopo. Ma quando gli agenti sono entrati nella stanza per prelevarlo, si sono accorti che non respirava più;
   il corpo del ragazzo non presentava nessun segno di violenza, e il malore resta la causa più probabile del decesso –:
   quali siano le cause che hanno provocato il decesso dell'uomo;
   se risulti se nel caso di specie siano state valutate — dalle forze dell'ordine e/o dal magistrato inquirente titolare delle indagini — le condizioni di salute della persona arrestata, al fine di una sua custodia presso un luogo alternativo alla camera di sicurezza;
   se risulti se nel caso di specie non vi fossero altre specifiche ragioni di necessità che imponevano la custodia del cittadino georgiano presso un luogo di custodia alternativo alla camera di sicurezza della questura di Milano e se risulti se le forze dell'ordine e il magistrato inquirente che hanno proceduto all'arresto le abbiano valutate e prese in considerazione;
   quanto fosse grande la cella di sicurezza all'interno della quale l'uomo è stato trovato morto;
   se la cella di sicurezza in questione godesse di illuminazione (in particolare di luce naturale) e aerazione adeguata; se la stessa fosse attrezzata con mezzi di appoggio (per esempio sedie fisse o panche) e se nella stessa vi fosse un materasso e coperte pulite;
   se non si ritenga opportuno distribuire sistematicamente uno stampato alle forze dell'ordine con l'elenco chiaro dei diritti che spettano alle persone detenute dalla polizia fin dall'inizio della loro custodia;
   se non intenda avviare un programma urgente di potenziamento, ampliamento e ristrutturazione delle camere di sicurezza all'interno delle quali dovranno essere custodite le persone arrestate in flagranza di reato prima della convalida dell'arresto. (5-06753)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato, tra gli altri, dal quotidiano La Stampa il 20 febbraio 2012, un detenuto di 21 anni, Alessandro Gallelli, accusato di molestie sessuali e violenza sessuale ai danni di ragazze minorenni, si sarebbe impiccato nel carcere milanese di San Vittore dopo aver più volte denunciato di aver subito violenze;
   il ragazzo si trovava da quattro mesi in carcere in attesa di giudizio e si sarebbe tolto la vita dopo una seduta psichiatrica. Appresa la notizia, il suo avvocato ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Sono sconcertato per quanto di terribile è successo. I genitori mi avevano affidato l'incarico di difenderlo ed io, fin da subito, avevo presentato istanza di scarcerazione con richiesta di arresti domiciliari, ma era stata respinta. Dopo l'emissione di rigetto, datata metà gennaio, il padre mi aveva revocato il mandato di conferimento, ma questa vicenda mi era rimasta a cuore. Non vi erano, a mio parere, gravi indizi di colpevolezza e Alessandro era incensurato. Mi chiedo come possano avvenire queste cose e, qualora fosse vero, è inaccettabile che venisse picchiato da altri detenuti. Alessandro avrebbe dovuto essere controllato a vista»;
   secondo il fratello della vittima, Alessandro Gallelli – dopo essere stato arrestato «per aver provocato una rissa con la Polfer a causa di un biglietto del treno non pagato; per aver consumato marijuana; per aver compiuto piccole molestie su alcune minorenni e per alcuni disturbi psicologici (asocialità) peraltro non accertati dalle perizie» – «è stato messo senza motivo in una cella di pochi metri quadri con il vetro rotto oltre le sbarre. I carabinieri di Cerro Maggiore hanno fatto pressioni con rapporti minuziosi, reati mai accaduti, come una violenza su una ragazza che non esiste. Non è possibile che mio fratello si sia ucciso, tra 20 giorni sarebbe uscito per andare in comunità. Voleva rimanere nel mondo del calcio, non morire. Se è andato in carcere lui, ci può finire chiunque. Morti così non devono accadere mai più»;
   la direzione dell'istituto di pena all'interno della quale era rinchiuso l'uomo garantisce che il giovane era in isolamento e che quindi non poteva essere vittima di pestaggi o percosse; per l'avvocato Antonio Romano, «occorrerà aspettare gli esiti dell'autopsia. Ma non crediamo al suicidio, pensiamo sia stato ucciso e siamo pronti a intraprendere azioni legali, anche perché la detenzione non era necessaria»;
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 21 febbraio 2012, l'autopsia di Alessandro Gallelli avrebbe confermato l'ipotesi del suicidio; in particolare il medico legale avrebbe confermato che il ragazzo si è impiccato, rompendosi le vertebre cervicali con una felpa usata come cappio, e non avrebbe individuato sul corpo altri segni di lesioni che possano far sospettare che il detenuto sia stato costretto a un gesto autolesionistico –:
   di quali elementi disponga in merito alla dinamica del decesso di Alessandro Gallelli, anche alla luce degli esiti ai quali è giunta l'autopsia disposta dal pubblico ministro titolare delle indagini;
   se l'uomo fosse un tossicodipendente o alcoldipendente e se per questi motivi ne fosse stato disposto il ricovero in comunità;
   quanti colloqui con lo psicologo del carcere avesse effettuato il detenuto prima di suicidarsi;
   se l'uomo assumesse dei medicinali e, se del caso, quali;
   se corrisponda al vero il fatto che il detenuto fosse stato oggetto di percosse e/o pestaggi all'interno del carcere da parte di altri detenuti;
   se e quali fossero le misure di prevenzione e/o cautela attivate dalla direzione dell'istituto di pena nei confronti del giovane detenuto;
   per quali motivi il detenuto non fosse guardato a vista;
   se nel caso di specie non intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se non siano ravvisabili profili di responsabilità disciplinare in capo al personale penitenziario tenuto alla custodia dell'uomo;
   se e quali urgenti iniziative di carattere normativo il Governo intenda adottare al fine di: a) ridurre il potere della magistratura nel ricorrere alla misura della custodia cautelare in carcere, perlomeno per i reati meno gravi; b) limitare il potere della magistratura di applicare le misure cautelari personali ai casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale, così come previsto dalla mozione n. 1-00288 approvata dalla Camera dei deputati il 12 gennaio 2010;
   se non si ritenga oramai indifferibile riferire sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere, nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) e in tutti gli altri luoghi di privazione della libertà, in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette. (5-06754)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa il 23 febbraio 2012, Ottavio Mastrochirico, un uomo di 36 anni di Polignano, in provincia di Bari, si è ucciso nel carcere di Foggia dove era detenuto dal 2010 per una condanna a 16 anni per un omicidio;
   l'uomo da qualche giorno si trovava da solo in cella, dopo aver avuto dei problemi con gli altri detenuti. L'altra sera si è impiccato con il cordoncino della sua tuta. Un agente di polizia penitenziaria è intervenuto cercando di salvarlo ma per il detenuto non c’è stato nulla da fare;
   nei giorni scorsi il carcere di Foggia è stato oggetto di un ulteriore sopralluogo da parte del presidente della camera penale, Gianluca Ursitti, del segretario dell'Associazione nazionale magistrati di Foggia, Antonio Laronga, e del presidente dell'ordine degli avvocati di Foggia, Tonio Ciarambino, per verificare le condizioni di vivibilità dei detenuti;
   a Foggia sono in servizio 310 agenti, divisi nei quattro turni lavorativi, mentre ne servirebbero 420-430. Un carcere, quello del capoluogo dauno, che dovrebbe contenere, secondo quanto previsto dalla legge, 371 detenuti e invece a volte ne conta anche 800 –:
   se e come il 23 febbraio 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio di Ottavio Mastrochirico non siano ravvisabili profili di responsabilità amministrativa o disciplinare in capo al personale penitenziario;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Foggia;
   con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
   se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
   se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
   quali iniziative urgenti intenda attuare al fine di reperire le risorse e i finanziamenti necessari per dare concreta attuazione a quanto previsto e stabilito nella circolare GDAP - 0032296-2010 avente ad oggetto «Emergenza suicidi. Istituzione di unità di ascolto di Polizia Penitenziaria»; in particolare, se intenda attivarsi al fine di consentire l'immediato avvio dei progetti formativi in essa previsti per il personale di polizia penitenziaria;
   quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Foggia, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare la legalità, sia ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi, sia riportando la popolazione detenuta alla capacità ricettiva regolamentare. (5-06755)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa il 23 febbraio, Gian Franco Farina, 38 enne di origini siciliane, si è impiccato con un lenzuolo nel bagno della sua cella del carcere di Teramo;
   l'uomo, che avrebbe finito di espiare la pena nel 2017 per reati di mafia, verso le 17 del 2 febbraio, ha tagliato alcune strisce del lenzuolo del suo letto e le ha assicurate alle sbarre della finestra, lasciandosi poi cadere da una sedia. Il suicidio è avvenuto in presenza del compagno di cella del detenuto che però, inspiegabilmente, non si è accorto di nulla. Quando è stato dato l'allarme non è stato possibile fare nulla per il detenuto, che era già senza vita –:
   se e come il 2 febbraio 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio di Gian Franco Farina non siano ravvisabili profili di responsabilità amministrativa o disciplinare in capo al personale penitenziario;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Teramo;
   con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
   se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
   se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
   quali iniziative urgenti intenda attuare al fine di reperire le risorse e i finanziamenti necessari per dare concreta attuazione a quanto previsto e stabilito nella circolare GDAP – 0032296-2010 avente ad oggetto «Emergenza suicidi. Istituzione di unità di ascolto di Polizia Penitenziaria»; in particolare se intenda attivarsi al fine di consentire l'immediato avvio dei progetti formativi in essa previsti per il personale di polizia penitenziaria;
   quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Teramo, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare la legalità, sia ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi, sia riportando la popolazione detenuta alla capacità ricettiva regolamentare. (5-06756)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   domenica 19 febbraio 2012 l'interrogante, assieme ad Irene Testa (associazione Il Detenuto Ignoto), Ivan Innocenti (associazione Luca Coscioni) e al radicale Filippo Vignali, ha visitato le camere di sicurezza della questura di Rimini; nel sopralluogo la delegazione è stata guidata dal capo della digos, Marcello Petrotti;
   questa è la situazione riscontrata: due sono le camere di sicurezza «agibili», mentre una terza è stata dichiarata non conforme;
   in una della camere di sicurezza dichiarate agibili, era ristretto un ragazzo che la delegazione ha trovato sdraiato su un parallelepipedo di cemento privo di materasso e dotato solo di una coperta tipo militare; la cella era priva di suppellettili, non aveva un'adeguata aerazione né era predisposta per ricevere luce naturale tanto che l'illuminazione al neon era molto fioca e proveniva da una plafoniera centrale sul soffitto, appositamente schermata per scongiurare eventuali danneggiamenti;
   secondo quanto riferito dal dottor Marcello Pedrotti, non viene mai usata la terza camera di sicurezza dichiarata inagibile e, in caso di arresti multipli, i soggetti sono destinati direttamente agli istituti penitenziari della zona –:
   quali siano i criteri per i quali una camera di sicurezza viene dichiarata agibile;
   se le celle di sicurezza della questura di Rimini siano effettivamente agibili.
(5-06757)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 legge 27 luglio 2005, n. 154, delega il Governo a disciplinare l'ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria ed il trattamento giuridico ed economico di tale carriera nella quale ricomprendere il personale direttivo e dirigenziale dell'amministrazione penitenziaria appartenente agli ex profili professionali di direttore penitenziario, di direttore di ospedale psichiatrico giudiziario e di direttore di servizio sociale, ai quali hanno avuto accesso a seguito di concorso, nonché il personale del ruolo amministrativo ad esaurimento della medesima amministrazione penitenziaria, mentre l'articolo 4 (Disposizioni transitorie e finali) della stessa legge dispone che: in fase di prima attuazione e per le immediate esigenze di funzionamento dell'Amministrazione penitenziaria, il personale che alla data di entrata in vigore della presente legge è inquadrato nella posizione economica C3, già appartenente ai profili professionali di direttore coordinatore di istituto penitenziario, di direttore medico coordinatore e di direttore coordinatore di servizio sociale dell'Amministrazione penitenziaria, ai quali hanno avuto accesso mediante concorso pubblico, nonché gli ispettori generali del ruolo ad esaurimento, sono nominati dirigenti secondo la posizione occupata da ciascuno nel rispettivo ruolo, in considerazione della esperienza professionale maturata nel settore avendo già svolto funzioni riconosciute di livello dirigenziale;
   l'amministrazione penitenziaria esclude però, in sede di applicazione normativa parte del personale cui sono affidate le funzioni di direttore reggente di ufficio locale di esecuzione penale esterna, non inserendole nel decreto ministeriale del 30 settembre 2005, successivamente registrato presso la Corte dei conti in data 31 ottobre 2005, che riconosce a tutti gli altri destinatari della norma la carriera dirigenziale penitenziaria di diritto pubblico;
   tale esclusione è motivata dall'amministrazione penitenziaria con l'argomentazione che tale personale, pur avendone tutti i requisiti, non è pervenuto alla qualifica rivestita per concorso, ma attraverso percorsi di riqualificazione;
   in senso contrario procede però per i direttori C2 (transitati alla posizione economica C3, dopo il 2005, e frequentando lo stesso percorso di riqualificazione) ammettendoli al ruolo dirigenziale nonostante le disposizioni transitorie (ex articolo 4) si riferissero espressamente al personale che alla data di entrata in vigore della presente legge è inquadrato nella posizione economica C3; procede altresì ad inquadrare nei ruoli dirigenziali anche quei direttori reggenti che hanno usufruito di specifica sanatoria ai sensi della legge 27 ottobre 1987, n. 436, attraverso procedure del tutto analoghe ai più recenti percorsi di riqualificazione;
   il personale escluso propone ricorso cumulativo dinanzi al TAR del Lazio, sezione I-quater, iscritto al n. 12340/05. Il TAR, con sentenza n. 10555/08, senza valutare il merito della domanda formulata, dichiara la giurisdizione della giustizia ordinaria e, a seguito di tale decisione, una parte del personale interessato si rivolge al giudice ordinario. Il tribunale di Padova, sezione lavoro, con sentenza del 10 luglio 2009, n. 1768/09R.G ordina al Ministero della giustizia il conferimento al ricorrente della qualifica di dirigente penitenziario ai sensi e per gli effetti degli articoli 1 e 4 della legge 154 del 2005;
   altro personale propone invece appello al Consiglio di Stato per l'accoglimento dei motivi del ricorso proposti in primo grado ovvero rinvio ad altro TAR;
   l'Amministrazione penitenziaria pone in essere azioni fra di loro divergenti evidenziando disparità di trattamento fra il personale. Per ultimo, il dipartimento della funzione pubblica con circolare n. 2 dell'8 marzo 2012 raccomanda ancora una volta alle amministrazioni di adottare del criteri generali, calibrati a seconda delle proprie esigenze, In modo da seguire una linea di condotta coerente e da evitare comportamenti che conducano a scelte contraddittorie;
   l'amministrazione penitenziaria, pur in presenza di pronunciamenti dell'autorità giudiziaria che la vedono soccombente, non attiva alcuna procedura per sanare una situazione con evidente profili di disparità e di irregolarità;
   l'amministrazione penitenziaria mantiene in capo al personale le funzioni di direzione di ufficio, e ciò in alcuni casi ancora oggi, senza adeguare il profilo giuridico ed economico come dispone la legge del 2005;
   inoltre l'amministrazione utilizza tale personale per le sostituzione dei direttori/dirigenti preposti ad altri UEPE in caso di assenza, gli attribuisce gli specifici emolumenti accessori previsti per i direttori, dispone la frequenza di corsi di aggiornamento organizzati per direttori/dirigenti;
   viene disattesa la condizione di particolare disagio operativo che si rinviene, ancora di recente, nei reiterati decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri con i quali è stato dichiarato lo stato di «emergenza nazionale delle carceri» ed aggravata dalla carenza dei ruoli dirigenziali, degli UEPE pari al 32,79 per cento come si evince dai dati contenuti in recente nota del capo del dipartimento n. 7980 del 10 gennaio 2012. E tale carenza non è altresì congrua rispetto alle aumentate competenze conseguenti la legge 17 febbraio 2012, n. 9 di conversione decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211 che introduce una serie di misure volte a mitigare la tensione carceraria determinata dalla condizione di sovraffollamento –:
   se intenda sanare la grave disparità di trattamento conseguente all'esclusione di alcuni impiegati direttivi dalla nomina a dirigente ai sensi dell'articolo 4 della legge 27 luglio 2005, n. 154 ed in possesso di tutti i requisiti previsti dalla legge alla data della sua entrata in vigore ed effettivamente preposti, con atto formale della Amministrazione, alla direzione di uffici di esecuzione penale esterna, condizione che, per alcuni, è mantenuta nel lungo periodo e, senza soluzione di continuità, ancora oggi. (5-06758)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 31 marzo scorso le segreterie territoriali di Messina del Sappe, UIL, CISL e CGIL, hanno diffuso un comunicato stampa nel quale annunciano «lo stato di agitazione per l'esasperante situazione che vive ormai da anni il personale della casa circondariale di Messina a causa della notevole carenza di personale che secondo le stime, in funzione della pianta organica fissata con decreto nel 2001, è di 77 unità. Unità mai integrate e che, comunque, non sarebbero più sufficienti a causa dell'evoluzioni del sistema penitenziario messinese negli ultimi dieci anni!»;
   secondo le organizzazioni sindacali sopra menzionate, il disagio si sarebbe ulteriormente aggravato a causa dell'aumento della popolazione penitenziaria e dell'apertura del «repartino per detenuti» recentemente messo a disposizione dall'ospedale Papardo, senza che fosse adeguato di almeno 20 unità il personale penitenziario che deve gestirlo dal punto di vista della sorveglianza dei detenuti ricoverati;
   tra i disagi sopportati dalla Polizia penitenziaria le organizzazioni sindacali annoverano inoltre:
    a) la mancanza di personale femminile nella sezione delle donne, che comporta la presenza di agenti maschi persino per il piantonamento delle detenute;
    b) l'aumento esponenziale dei piantonamenti di detenuti a rischio suicidio;
    c) posti di servizio sguarniti o sotto la responsabilità di una sola unità;
    d) continui provvedimenti disciplinari nei confronti di agenti «rei di non aver adempiuto in modo puntuale ai propri compiti»;
   la prima firmataria del presente atto aveva già denunciato la forte carenza dell'organico di polizia penitenziaria nel carcere Gazzi di Messina in due interrogazioni presentate a seguito di visite ispettive (4/08158 e 5/04582) –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se si intenda aumentare l'organico degli agenti di polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Messina Gazzi;
   se non siano riscontrabili comportamenti perlomeno discutibili dell'amministrazione penitenziaria che costringe di fatto il personale a violare le norme dell'ordinamento laddove prescrive che a contatto con le detenute debbano esservi solo agenti donne, in special modo per i piantonamenti. (5-06759)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
    il signor Giuseppe Marfia, 73 anni, si trova attualmente detenuto nel carcere di Spoleto per l'espiazione della pena dell'ergastolo, relativa ad una condanna per concorso in un omicidio, contestato come commesso il 19 gennaio 1980;
   in più occasioni l'avvocato del Marfia ha chiesto per il suo assistito la sospensione dell'esecuzione pena per gravi motivi di salute, se del caso anche mediante l'applicazione della detenzione domiciliare cosiddetta per «motivi umanitari»;
   il tribunale di sorveglianza di Palermo, nel 2009, e quello di Perugia, nel 2010, hanno respinto le istanze della difesa sul presupposto che il dirigente sanitario, pure evidenziando le gravi patologie dalle quali il detenuto è affetto, aveva comunque ritenuto lo stato patologico complessivo dell'uomo compatibile con il regime carcerario;
   le condizioni di salute del detenuto – persona già operata per due diversi carcinomi nel 2005 e che aveva contratto l'epatite C – restano comunque gravi e necessitano di svariati controlli, sicché il suo avvocato difensore ha scritto più volte al direttore del carcere per sollecitare gli esami e le visite cui sottoporre il detenuto;
   in data 13 luglio 2011, il difensore del detenuto, stante il continuo aggravarsi delle condizioni di salute del suo assistito, depositava un'ulteriore istanza di sospensione esecuzione pena al magistrato di sorveglianza di Spoleto evidenziando il degenerare della epatopatia correlata all'HCV e la diagnosticata encefalopatia degenerativa e/o tossica;
   a seguito di tale richiesta, il magistrato di sorveglianza chiedeva una relazione al dirigente sanitario della casa circondariale di Spoleto il quale, nella relazione sanitaria del 6 agosto 2011, evidenziava quanto segue: «(...) considerato che il paziente è dimagrito fortemente e gradatamente nel corso del tempo, considerando le precarie condizioni fisiche e di deambulazione e le patologie sopra esposte si ritiene che il paziente necessita di cure costanti e controlli frequenti presso strutture esterne territoriali (...)». E ancora, nella successiva relazione sanitaria del 23 agosto 2011, scriveva: «(...) Si chiarisce che il detenuto è sofferente di patologie importanti e già segnalate e che le sue condizioni vanno progressivamente scadendo, pertanto si rimanda alle decisioni che ella vorrà prendere riguardo alla detenzione specificando che sarebbe stata nostra cura segnalare la possibilità di ricovero presso un CDT dell'APP se ciò fosse stato risolutivo o utile per il paziente (...)»;
   nonostante le predette relazioni, in data 26 agosto 2011, il magistrato di sorveglianza di Spoleto rigettava l'istanza di sospensione esecuzione pena ed inviava gli atti per il prosieguo al tribunale di sorveglianza di Perugia rilevando che «in particolare non viene segnalata assoluta incompatibilità con il regime carcerario» e che nell'istanza della difesa non sarebbero state indicate cure migliori o diverse che il condannato potrebbe ricevere in ambiente libero;
   fissata dal tribunale di sorveglianza di Perugia l'udienza del 6 ottobre 2011, perveniva dalla casa circondariale una nuova relazione sanitaria del 29 settembre 2011, nella quale il dirigente sanitario evidenziando ulteriori peggioramenti del detenuto scriveva quanto segue: «(...) considerando le condizioni molto scadute, le pluripatologie severe da cui è affetto l'uomo, il peggioramento costante delle condizioni fisiche e degli esami di laboratorio, evidenziato che nonostante i numerosissimi esami e le visite specialistiche eseguite non si è giunti ad una diagnosi certa, si conclude che il paziente ha bisogno di continui e costanti controlli ultra specialistici presso strutture sanitarie territoriali e nazionali, e che quindi non può essere seriamente curato presso i CDT dell'APP in cui rischierebbe solo di cronicizzare senza mai risolvere i suoi problemi di salute e a parere dello scrivente non è compatibile con il regime carcerario almeno fino a risoluzione delle gravi patologie da cui è affetto. Si invita il Magistrato di Sorveglianza a decidere in tempi rapidi anche nominando un proprio perito, se lo riterrà opportuno, affinché il paziente possa avere la possibilità di curarsi adeguatamente e scegliersi autonomamente le strutture sanitarie migliori prima che le patologie stesse prendano il sopravvento e diventino irreversibili (...)»;
   all'esito della predetta udienza però il tribunale di sorveglianza decideva di non scarcerare il detenuto ammalato e nominava un Ctu per valutare la compatibilità dello stesso con il regime carcerario;
   la trattazione del procedimento veniva dunque rinviata dapprima al 27 ottobre 2011 e, successivamente, dopo il giuramento del medico legale, al 19 gennaio 2012. Nel frattempo, l'avvocato del detenuto chiedeva al dirigente sanitario un aggiornamento circa le condizioni di salute del Marfia. Il dirigente sanitario redigeva in data 17 gennaio 2012 una nuova relazione nella quale nel ribadirsi l'incompatibilità delle condizioni patologiche del detenuto con il regime carcerario, dava contezza dell'esito dei nuovi esami effettuati rilevando tra l'altro quanto alla patologia epatica la «presenza di sciuni porto cavali (...) presenza di modesta quota di liquido libero in sede pelvica», nonché un ulteriore peggioramento dei livelli ematici a distanza di un solo mese dall'ultimo controllo, «tale riduzione spiega l'astenia, la scarsa concentrazione e i momenti di disorientamento del paziente da riferire anche alla sofferenza cerebrale di natura degenerativa»;
   inoltre la predetta relazione del dirigente sanitario evidenziava, come esito di una ecografia tiroidea, «la presenza di piccoli linfonodi di natura reattiva in sede laterocervicale bilaterale, per cui è stata richiesta una consulenza specialistica»; inoltre rilevava che la valutazione neuropsicologica di controllo già richiesta da qualche mese e già programmata non era stata ancora effettuata;
   nel frattempo il Ctu nominato dal tribunale di sorveglianza depositava la propria perizia concludendo che «a causa delle molteplici gravi patologie croniche ad andamento evolutivo da cui il Marfia risulta affetto, lo stesso necessita di terapie farmacologiche e di continuo monitoraggio clinico finalizzato al tempestivo rilievo di qualsiasi variazione, più o meno acuta, delle sue condizioni cliniche e/o delle possibili complicanze, che possono essere effettuati in qualsiasi casa di reclusione dotata di una guardia medica nonché di periodici controlli specialistici, laboratoristici e strumentali, secondo quanto precedentemente indicato, la maggior parte dei quali possono essere eseguiti soltanto presso strutture sanitarie esterne»;
   nel corso dell'udienza del 19 gennaio 2012, il procuratore generale si opponeva alla richiesta di sospensione dell'esecuzione pena sulla scorta delle conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio depositata, dicendosi in subordine favorevole all'inserimento del detenuto in una casa circondariale dotata di centro clinico. Il tribunale, preso atto delle osservazioni della difesa, decideva di chiamare a chiarimenti il consulente tecnico d'ufficio, il quale, all'udienza del 23 febbraio 2012, sosteneva, tra le altre cose, che il detenuto non era stato operato al ginocchio perché vi aveva rinunciato e che era guarito dalla cataratta bilaterale. A questo punto il tribunale consentiva alla difesa di formulare ulteriori quesiti al Ctu, dando ulteriore termine a quest'ultimo per sottoporre il detenuto ad una visita specialistica oculistica e ad una cardiologia, al fine di valutare meglio il quadro generale e rispondere ai quesiti della difesa;
   ad oggi pare che il Ctu non abbia ancora provveduto alle visite specialistiche necessarie per integrare la sua perizia; nel frattempo, precisamente in data 16 marzo 2012, il difensore del Marfia ha inoltrato al magistrato di sorveglianza di Spoleto una nuova istanza, stavolta ex articolo 11 ordinamento penitenziario, al fine di ottenere che il suo assistito venga sottoposto, al più presto alla visita specialistica già indicata come necessaria nella relazione sanitaria del 17 gennaio 2012, poiché si è paventata al detenuto la possibilità della presenza di un nuovo tumore, con conseguente necessità di intervento chirurgico;
   attualmente non risulta che le visite specialistiche, quella ai linfonodi, quella neurologica, prescritta a dicembre 2010, e quella psichiatrica richiesta nell'agosto 2011, siano state effettuate; pertanto – indipendentemente dalle valutazioni che saranno operate dal Ctu e, successivamente, dal tribunale di sorveglianza – resta incontrovertibile che un detenuto, ammalato grave, attende inutilmente, dallo scorso mese di agosto, che le sue patologie siano seriamente diagnosticate e curate;
   decorsi oltre cinque mesi da quando il dirigente sanitario ha certificato, senza possibilità di dubbio od interpretazioni plurime, l'assoluta incompatibilità delle condizioni di salute del Marfia col regime carcerario, quest'ultimo risulta essere ancora detenuto, peraltro non in un centro diagnostico terapeutico, ed attende ancora le visite specialistiche indicate come necessarie da oltre un anno;
   il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione; dagli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000; dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977; dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950; dagli articoli 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; nonché dagli articoli 1, 2 e 3 della raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e dall'articolo 1 della Raccomandazione (2006)2 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo;
   il diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione, rappresenta un diritto inviolabile della persona umana, non suscettibile di limitazione alcuna e idoneo a costituire un parametro di legittimità della stessa esecuzione della pena, che non può in alcuna misura svolgersi secondo modalità idonee a pregiudicare il diritto del detenuto alla salute ed alla salvaguardia della propria incolumità psico-fisica;
   l'articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sancisce una rigorosa disciplina in ordine alle modalità ed ai requisiti del servizio sanitario di ogni istituto di pena, prescrivendo tra l'altro che «ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti (...) in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura»;
   la recente sentenza della Corte di cassazione n. 46479/2011, del 14 dicembre 2011 ha evidenziato, fra l'altro, come «il diritto alla salute del detenuto va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture»;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto, è necessario un intervento urgente al fine di verificare le reali condizioni di salute del detenuto in questione, affinché siano adottati i provvedimenti più opportuni, per garantire che l'espiazione della pena non si traduca di fatto in un'illegittima violazione dei diritti umani fondamentali, secondo modalità tali peraltro da pregiudicarne irreversibilmente le condizioni psico-fisiche, già gravemente compromesse –:
   di quali informazioni dispongano circa i fatti narrati in premessa;
   se risulti per quali motivi il detenuto in questione non sia ancora stato sottoposto alla visita specialistica ai linfonodi, a quella neurologica, prescritta a dicembre 2010, ed a quella psichiatrica richiesta nell'agosto 2011;
   se il Ministro della giustizia intenda assumere iniziative ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza, in rapporto ai fatti esposti in premessa e quali ulteriori iniziative si intendano assumere per quanto di competenza al fine di tutelare il diritto alla salute del signor Giuseppe Marfia.
(5-06760)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ADNKRONOS 2 aprile 2012, un detenuto sarebbe morto all'interno della sezione psichiatrica della casa di reclusione di Rebibbia;
   sulla vicenda Filippo Pegorari, garante delle persone private della libertà personale del comune di Roma, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «È un fatto gravissimo che pone alla nostra attenzione lo stato in cui versano le carceri e la qualità della vita dei detenuti (in particolare di quelli affetti da problemi psichiatrici) costretti a vivere in ambienti angusti, sovraffollati, con scarse possibilità di socialità e di contatti con la realtà esterna per crearsi un nuovo futuro. Restiamo in attesa di conoscere l'esito dell'autopsia disposta dal magistrato per poter conoscere le cause reali che hanno portato alla morte del detenuto» –:
   quale sia la ricostruzione ufficiale dell'evento segnalato dalle agenzie di stampa;
   se risulti agli atti la situazione clinica del detenuto trovato privo di vita all'interno del reparto psichiatrico della casa di reclusione di Rebibbia;
   al di là dell'inchiesta aperta dalla magistratura per accertare eventuali responsabilità penali nel trattamento riservato al detenuto in questione, se non ritengano – in via cautelativa nei confronti degli altri detenuti ristretti nel reparto psichiatrico della casa di reclusione di Rebibbia – di dover verificare, attraverso un'approfondita indagine interna, se il trattamento sanitario previsto nell'istituto abbia corrispondenza con le leggi dello Stato e, soprattutto, con quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione;
   se non ritenga urgente, avviare un'indagine sui decessi che avvengono tra i detenuti delle carceri italiane, inclusi i suicidi, per verificarne le cause reali e scongiurarne di nuovi. (5-06763)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano Il Piacenza del 22 febbraio 2012, un detenuto di origine magrebina avrebbe tentato il suicidio nel carcere piacentino delle Novate;
   la notizia del tentato suicidio è stata diffusa da Giovanni Battista Durante, segretario generale del Sappe, il quale ha dichiarato: «L'uomo, utilizzando le lenzuola, si è impiccato alle sbarre della finestra, ma un agente, accortosi subito del gesto, ha aperto la stanza, è entrato e lo ha sollevato sulle spalle. Fortunatamente, in quel momento c'erano anche altri due detenuti nei pressi della cella che hanno aiutato l'agente. L'uomo è stato adagiato a terra e sottoposto alle successive cure del medico chiamato immediatamente dall'agente che, con grande intuito e capacità professionali, è riuscito a salvare una vita all'interno delle affollate capacità professionali, è riuscito a salvare una vita all'interno delle affollate carceri italiane: un sovraffollamento da cui non è esente il carcere di Piacenza, dove ci sono circa 200 detenuti in più rispetto ai posti previsti» –:
   quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti del detenuto dopo il tentato suicidio;
   se sia noto quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Piacenza;
   quale sia il tasso di sovraffollamento del carcere in questione e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario. (5-06764)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI del 22 febbraio 2012, il sindacato della polizia penitenziaria avrebbe denunciato l'esistenza di una «situazione gravissima» all'interno del carcere di Enna dovuta all'allagamento della caserma degli agenti di custodia, di alcune celle, di diversi locali, della biblioteca e della chiesa. In alcuni locali si sono avuti anche corto circuiti a causa dell'acqua infiltratasi nell'impianto elettrico;
   l'improvviso allagamento ha reso necessario spostare alcuni detenuti in altre celle, dove però sono già in soprannumero, anche perché quella che dovrebbe essere la nuova ala del carcere è da tempo chiusa per i lavori che vanno a rilento, sicché i detenuti sono costretti a vivere in celle anguste che si allagano ad ogni pioggia –:
   per quali motivi la costruzione della nuova ala del carcere di Enna non sia stata ancora completata, quanto siano costati i lavori fino ad oggi ed entro quanto tempo si preveda che la stessa possa entrare in funzione;
   più in generale, cosa intenda fare per riportare il carcere di Enna all'interno della legalità costituzionale e del rispetto delle norme di leggi e regolamentari che disciplinano la vita degli istituti penitenziari. (5-06765)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 24 febbraio 2012 il segretario dei Radicali Lucani Maurizio Bolognetti ha scritto una nota riportata dal sito di Radicali Italiani; nella nota si riporta la vicenda del detenuto settantaduenne Altomare, indigente e con problemi di incontinenza che si è rotto un femore pochi giorni fa cadendo nelle docce del carcere di Castrovillari, già oggetto di un'interrogazione parlamentare della prima firmataria del presente atto a seguito di una visita ispettiva;
   nella suddetta interrogazione, la n. 4-14504 del 16 gennaio 2012, descrivendo le condizioni di detenzione non conformi alla normativa vigente, si faceva presente che «le celle non dispongono di acqua calda e le docce sono consentite a giorni alterni in appositi, degradati, locali»;
   l'anziano detenuto Altomare – secondo quanto riportato nella nota di Maurizio Bolognetti – «è stato arrestato qualche mese fa in esecuzione di uno pena divenuta definitiva. Una volta tradotto nelle anguste celle del carcere di Castrovillari, l'area sanitaria del carcere gli ha affiancato un detenuto con il compito di fargli da badante. Nonostante queste cautele è però successo che pochi giorni fa Altomare sia caduto nelle docce e si sia rotto un femore. Non so di quale crimine sia accusato il sig. Altomare, ma mi chiedo se abbia un senso costringere un settantaduenne con problemi di salute in un cubicolo di due metri per tre, con un altro detenuto a fargli da assistente. Altomare attualmente è ricoverato presso il reparto ortopedia dell'ospedale di Castrovillari e noi ci chiediamo se non sia il caso di concedergli i domiciliari, consentendogli di far ritorno alla casa di riposo. Non vorremmo dover leggere, tra qualche mese, il suo nome nel bollettino diffuso dall'Associazione «Ristretti Orizzonti» su coloro che decidono di farla finita» –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   se in relazione alle condizioni di salute del signor Altomare sia stato richiesto l'accertamento della compatibilità delle medesime con il regime di detenzione presso la casa circondariale di Castrovillari e, in tal caso, quale sia stato l'esito di tale istanza;
   se nelle relazioni semestrali della competente ASL siano state segnalate le evidenti scadenti condizioni igienico-sanitarie delle celle e, in particolare, delle docce;
   quali siano le ragioni che abbiano portato il Ministro interrogato a non prendere in considerazioni le segnalazioni contenute nell'interrogazione n. 4-14504.
(5-06767)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 19 febbraio 2012 la prima firmataria del presente atto ha visitato la casa circondariale di Rimini accompagnata dal Garante regionale dei diritti dei detenuti Desi Bruno, da Irene Testa (segretaria dell'associazione Il Detenuto Ignoto), Vincenzo Gallo (consigliere comunale del PD a Rimini), Ivan Innocenti (Associazione Luca Coscioni) e il radicale Filippo Vignali;
   nell'ispezione la delegazione è stata guidata dal comandante Fernando Picini;
   i detenuti presenti nell'istituto sono 204 a fronte di 150 posti regolamentari disponibili; il 65 per cento dei detenuti sono tossicodipendenti, il 70 per cento stranieri in massima parte magrebini, albanesi e rumeni; i detenuti in attesa di primo giudizio sono 63, gli appellanti 25, i ricorrenti 21, i definitivi 77; i detenuti con posizione mista con una sentenza definitiva sono 11, mentre i detenuti con posizione mista senza definitivo sono 6; i semiliberi sono in tutto 6;
   solo 20 detenuti lavorano a rotazione perlopiù impegnati in mansioni domestiche all'interno dell'istituto;
   oltre alla sezione Andromeda dedicata a 16 detenuti tossicodipendenti, la casa circondariale di Rimini si articola nelle seguenti altre sezioni: la I sezione, completamente fatiscente e superaffollata, fuori da qualsiasi legalità costituzionale; la II sezione è chiusa da tempo nonostante sia stato già approvato e finanziato un progetto di ristrutturazione del valore di 200.000 euro; la III sezione (36 posti) è stata ristruttura recentemente; anche la IV sezione (30 posti) è stata ristrutturata da poco grazie alle economie realizzate con il rifacimento della V sezione (50 posti) che funge da sezione filtro per i detenuti tossicodipendenti «meritevoli» di essere trasferiti nella sezione Andromeda; esiste inoltre un progetto per costruire un padiglione penitenziario al posto del campo sportivo degli agenti: trattasi di terreno demaniale dotato di acqua, luce e altre infrastrutture, che, secondo il comandante, consentirebbe un notevole risparmio;
   dei 145 agenti previsti in pianta organica, gli effettivi sono 102 con il compito di occuparsi anche del nucleo traduzioni; gli educatori sono 6; gli psicologi sono due: uno si occupa di tutti i detenuti per 36 ore mensili, un altro, invece, si occupa della sezione attenuata (Andromeda); nell'istituto operano anche due mediatori culturali, uno per gli albanesi e l'altro per i magrebini;
   quanto all'istruzione, le uniche scuole funzionanti sono quelle elementari e di alfabetizzazione;
   il volontariato nell'istituto è poco attivo e si limita alla messa domenicale; lo stesso comandante ha espresso l'auspicio di una presenza maggiore;
   in merito all'aspetto sanitario, c’è da rilevare che i medici sono pochi e per qualsiasi evento critico, anche il minimo, è prevista la visita ospedaliera; la notte non è prevista la guardia medica e la copertura dei turni va dalle 8 di mattina alle 22.00; come previsto, il personale è fornito dalla ASL, psichiatra e infettivologo compresi;
   a domanda precisa sia tutti i detenuti interpellati nella I sezione, sia il comandante hanno risposto che il magistrato di sorveglianza di riferimento, il dottor Franco Raffa, non ha mai visitato i luoghi di detenzione da quando ha assunto l'incarico; nemmeno i funzionari della Asl di riferimento hanno mai fatto le previste ispezioni per verificare le condizioni igienico-sanitarie delle celle e delle altre strutture frequentate dai detenuti e dagli agenti;
   a seguito della dettagliata vista ispettiva alla I sezione, definita dal comandante il «Bronx», si segnalano le seguenti situazioni:
    in quasi tutte le celle di 16 metri quadrati si trovano 6 detenuti che passano 20 ore chiusi, tolte le 4 ore d'aria; per un'altra ora al giorno hanno la possibilità di «socializzare» in un'altra cella; per oltre il 90 per cento si tratta di detenuti stranieri molto indigenti;
    nella cella n. 12 vi sono ristretti 5 detenuti in due letti a castello a tre piani; si tratta di un bosniaco, un serbo, un rumeno e due marocchini; un detenuto ha lamentato il fatto di non aver ricevuto il sussidio per fare una telefonata ai familiari per avvertirli del suo stato di detenzione nel carcere di Rimini; un altro, invece, prega la delegazione di fare una telefonata alla moglie per avvisarla che l'indomani sarà trasferito a San Vittore;
    nella cella n. 11 piove acqua dal soffitto dell'indecente gabinetto; il tunisino H.K. vorrebbe frequentare la scuola media, ma nel carcere non c’è mentre lui vorrebbe utilizzare al meglio il residuo pena di 1 anno e 4 mesi; ha chiesto di andare in comunità ma per fare un colloquio con l'assistente sociale del Sert ha dovuto fare 42 giorni di sciopero della fame e il tutto si è risolto con un nulla di fatto; K.M.S. condannato a tre anni in primo grado, sposato con un'italiana, chiede di poter lavorare; M.B. ha una condanna definitiva a 5 anni di reclusione (prima volta) e ha chiesto di andare in comunità per intraprendere un percorso riabilitativo; prima di essere arrestato aveva lavorato in regola come muratore; S.I. detenuto rumeno condannato a dieci mesi per il furto di 5 bottiglie di whisky; ha già pagato il biglietto per tornarsene in Romania, ma il tribunale ha rigettato l'istanza di rimpatrio;
    sempre nella I sezione, la delegazione incontra un detenuto che da 7 mesi non sente i figli minori di 4, 7, 10 e 12 anni, perché non ha i soldi per chiamarli, «solo una suora» – racconta – «mi ha dato il paio di pantaloni che indosso»; un altro detenuto che non fa colloqui né telefonate sussurra «qui puoi solo morire»;
    a S.N. gli mancano da scontare solo 5 mesi, ha chiesto di parlare con il magistrato di sorveglianza, ma da ottobre non l'ha mai visto; il 4 settembre del 2009 gli è stato anche negato il permesso di andare al funerale della moglie; ha due figli che stanno con la nonna;
    A.A. con fine pena nel 2016 ha presentato istanza al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) per essere trasferito dal carcere di Rimini in un istituto vicino a Foggia dove vive la sua famiglia, ma non ha mai ricevuto risposta nonostante la richiesta sia stata avanzata più di un anno fa e abbia una madre ottantottenne e una moglie con problemi psichiatrici; il detenuto fa colloqui solo ogni 4 o 5 mesi;
   nonostante la drammatica situazione umana e civile che caratterizza la I sezione del carcere di Rimini, c’è anche chi in quella sezione vorrebbe rimanerci: è il caso di N., tunisino di 36 anni sposato con un'italiana e con due figlie; N. è stato assegnato al carcere di Asti, ma vorrebbe rimanere a Rimini perché la sua famiglia risiede in provincia di Ravenna; N. precisa di essere rientrato in Italia per costituirsi a Ravenna ma di essere stato «intercettato» a Domodossola e condotto a Asti;
   il comandante ha molto insistito perché la delegazione visitasse le altre sezioni, in particolar modo la «Andromeda» che è il fiore all'occhiello dell'istituto; per motivi di tempo, purtroppo, non è stato possibile alla delegazione farlo per la concomitanza dell'inizio di un convegno programmato nel pomeriggio dello stesso giorno della visita al carcere;
   l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell'istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati»;
   il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali. (...)» –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere di Rimini;
   se e quando intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria e degli psicologi;
   se e quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché sia assicurata un'adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
   se intenda intervenire per dotare il carcere di Rimini di scuole che vadano al di là delle elementari e dei corsi di alfabetizzazione;
   se intenda chiudere immediatamente la I sezione assumendo iniziative per lo stanziamento necessario alla sua ristrutturazione;
   quando verrà ristrutturata e riaperta la II sezione, visto che è stato approvato e finanziato da tempo un progetto del valore di 200.000 euro;
   se intenda incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
   in che modo intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
   cosa intenda fare, affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
   se abbia mai valutato o intenda valutare la possibilità di utilizzare tecnologie tipo Skype per ridurre il costo delle telefonate effettuate dai detenuti ai loro congiunti;
   quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza. (5-06768)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA il 28 febbraio 2012, un ragazzo romeno di 25 anni si è suicidato nella cella del carcere di Catanzaro dove era detenuto da solo;
   la notizia è stata diffusa dal segretario nazionale del Sappe, Damiano Bellucci, e dal segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante. Il ragazzo si è tolto la vita impiccandosi;
   in Calabria i detenuti presenti sono più di 3.000, per una capienza regolamentare di 1.875 posti. I detenuti in attesa di giudizio sono 1.498: 917 in attesa di primo giudizio, 283 appellanti, 206 ricorrenti in corte di Cassazione e 92 in posizione mista. A Catanzaro i detenuti sono circa 600, per una capienza regolamentare di 354 posti;
   sono 13 i suicidi avvenuti dall'inizio dell'anno nelle carceri italiane –:
   se e come il 28 febbraio 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio del ragazzo rumeno non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Catanzaro;
   con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
   se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
   se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
   quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di reperire le risorse e i finanziamenti necessari per dare concreta attuazione a quanto previsto e stabilito nella circolare GDAP–0032296-2010 avente ad oggetto «emergenza suicidi. Istituzione di unità di ascolto di Polizia Penitenziaria»; in particolare se intenda attivarsi al fine di consentire l'immediato avvio dei progetti formativi in essa previsti per il personale di polizia penitenziaria;
   quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Catanzaro e, più in generale, degli istituti di pena presenti in Calabria, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare condizioni minime di vivibilità nelle carceri calabresi, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi. (5-06769)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI dello scorso 27 febbraio, un detenuto extracomunitario avrebbe tentato di togliersi la vita nel carcere di contrada Cavadonna a Siracusa. Il fatto sarebbe avvenuto alle 2.30 del mattino in una sezione protetta del penitenziario;
   stando alle prime ricostruzioni, l'immigrato si sarebbe arrotolato la cintura dell'accappatoio al collo, l'avrebbe quindi legata a una finestra della sua cella tentando di impiccarsi. L'uomo per fortuna è stato subito soccorso dall'agente di custodia e quindi rianimato dal personale medico in servizio nel carcere;
   sulla vicenda il vice segretario nazionale dell'Osapp, Mimmo Nicotra, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Ancora una volta la professionalità della polizia penitenziaria ha evitato il peggio. Il mese scorso a Siracusa i detenuti ad alta sicurezza hanno protestato anche per il freddo, i termosifoni sono spenti a causa assenza di risorse. Nonostante la grave carenza di personale di polizia penitenziaria, un agente si occupa di più posti di servizio, continuiamo a fornire sicurezza ai cittadini» –:
   quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il tentato suicidio;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Siracusa;
   se intenda provvedere all'ampliamento del numero degli agenti di polizia penitenziaria addetti all'istituto di pena in questione;
   quali siano le condizioni umane e sociali del carcere in questione e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario. (5-06770)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato sul quotidiano La Sicilia dello scorso primo marzo, la segreteria generale del Cnpp (Coordinamento nazionale polizia penitenziaria) avrebbe denunciato alla procura della Repubblica di Siracusa le gravi carenze che affliggono la casa di reclusione di Augusta (Siracusa);
   attraverso l'esposto si chiede l'immediata soluzione delle varie problematiche di cui soffre il penitenziario siciliano, a partire dalle carenze strutturali ed igienico-sanitarie, dovute al cedimento delle inferriate esterne, allo scoppio e cedimento della canna fumaria del gruppo elettrogeno, nonché alla presenza serbatoi di gas inutilizzati di impianti elettrici non a norma;
   nell'esposto vengono inoltre denunciate l'inagibilità del camminamento lungo il muro di cinta, l'anello antincendio non funzionante, le pareti scrostate, i sanitari malridotti, le docce fatiscenti, i riscaldamenti non funzionanti, le infiltrazioni d'acqua e la precarietà dei dispositivi elettrici delle celle –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare, sollecitare e/o promuovere al fine di risolvere tutte le criticità strutturali che affliggono il carcere di Augusta così come denunciate dalla segreteria del coordinamento nazionale polizia penitenziaria. (5-06771)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 18 febbraio 2012 la prima firmataria del seguente atto di sindacato ispettivo ha visitato il carcere Montacuto di Ancona accompagnata da Marco Pannella, Irene Testa, Stefano Pagliarini, Matteo Mainardi, Mauro Paolinelli;
   alla visita ha presenziato la direttrice dottoressa Santa Lebborani;
   i detenuti presenti sono 381, ristretti nei 172 posti regolamentari; il 50 per cento sono stranieri, prevalentemente magrebini; i detenuti lavoranti alle dipendenze dell'amministrazione sono solo 35: pertanto la percentuale dei detenuti «occupati» non arriva nemmeno al 10 per cento, i tossicodipendenti e i casi psichiatrici sono moltissimi; 24 detenuti sono in trattamento metadonico; 101 ristretti sono in attesa del primo giudizio;
   nell'istituto penitenziario di Ancona convivono due realtà, quella della casa circondariale e quella della casa di reclusione che ospita 70 detenuti fra i quali anche qualche ergastolano non definitivo; le sezioni sono 4: quella dei detenuti comuni, due sezioni «alta Sicurezza» e una sezione-filtro per i detenuti promiscui/protetti; le celle di isolamento sono 4;
   gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 120 (compreso il nucleo traduzioni) a fronte di una pianta organica che ne prevedrebbe 170;
   quanto al «trattamento», i detenuti trascorrono in cella 18 ore al giorno; circa 150 frequentano le scuole elementari, medie e superiori e i corsi di Yoga e radiofonia; l'accesso alle docce è previsto a giorni alterni;
   nell'istituto operano uno psichiatra per 4/5 volte alla settimana, uno psicologo di ruolo per 6 ore giornaliere e una psicologa di supporto; i detenuti nuovi giunti effettuano il colloquio con la psicologa solo se segnalati come casi gravi, altrimenti si incontrano solo con l'educatore; gli educatori affettivamente in servizio sono in tutto 4, compreso il responsabile di area perché uno è stato distaccato nel carcere di Bari e uno ha vinto il concorso da commissario; il volontariato in istituto è scarso; solo la Caritas è presente;
   la maggior parte delle celle, predisposte per un detenuto, ne ospitano in realtà tre; pertanto la delegazione ha visto letti a castello a tre piani e raccolto testimonianze secondo le quali due detenuti nel giorno della visita o poco prima avevano riportato contusioni agli arti e alla testa dovute alle cadute dalla branda posta più in alto;
   la delegazione ha avuto modo di vedere un giovane detenuto con problemi psichiatrici rinchiuso da solo in una indecente cella liscia con gravissime carenze igieniche, pareti sporche e scrostate, porte arrugginite, bagno sporco con, al posto del wc, il vecchio bugliolo;
   nella sezione-filtro, i detenuti lamentano il divieto, confermato dalla direttrice, di poter utilizzare il PC per studiare, oltre che la possibilità di accedere alla biblioteca; in particolare C.B. afferma che a Verona si era iscritto a giurisprudenza e che il fatto di non poter disporre di un computer gli crea non poche difficoltà di studio; in questa sezione non è prevista la possibilità di frequentare le scuole e le ore che si passano in cella sono in realtà 20, perché per il sovraffollamento non ci sono spazi per fare le due ore previste di socialità; un ragazzo ventenne fa colloqui solo una volta al mese con i genitori che sono di Pesaro; il magistrato di sorveglianza – affermano i detenuti – viene per effettuare i colloqui individuali, ma non visita le celle di detenzione;
   nella cella n. 93 manca il vetro in bagno (da notare che la visita ispettiva è stata effettuata subito dopo i giorni delle grandi nevicate che hanno colpito l'Italia e, in particolare, le Marche); «stiamo chiusi tutto il giorno» afferma un detenuto cardiopatico; «se uno chiama, rischia di morire perché nessuno ti sente»; poiché non fa colloqui, si lamenta del fatto di non poter effettuare le 2 telefonate al mese su cellulare previste dal regolamento in assenza di incontri con i familiari; nella cella non ci sono prese elettriche per l'eventuale uso del computer per motivi di studio o di lavoro;
   gran parte dei detenuti stranieri lamenta di non poter telefonare ai familiari per mancanza di soldi o per problemi burocratici dovuti alla compilazione delle richieste che arrivano incomplete al magistrato di sorveglianza cui spetta il rilascio delle autorizzazioni; nell'istituto manca la figura del mediatore culturale;
   sezione 1°; Cella 101: B.J. C.M. un detenuto portoghese, detenuto dal 29 settembre 2011, piange in presenza della delegazione per la mancanza di contatti con la sua compagna e la figlia che stanno in Spagna e con la madre che si trova in Portogallo; dice che non riesce nemmeno a parlare con il consolato, ma il problema viene risolto seduta stante dalla direttrice; un detenuto americano di colore conosce solo l'inglese e chiede di poter lavorare «non ho nessuno in Italia» dice, «quando uscirò sarò un homeless»; il terzo detenuto della cella 101 è affetto da celiachia e si lamenta del fatto che la moglie non può portargli la pasta per celiaci perché non gliela fanno passare (anche in questo caso la direttrice risolve il problema seduta stante: la pasta potrà essere inserita nel pacco); nella cella 123, la delegazione incontra A.D.S. i cui familiari vivono a Sant'Eramo in Colle in provincia di Bari e non possono venire a trovarlo; da un anno non vede i tre figli, uno dei quali minore; da tre mesi ha avanzato un'istanza al DAP per essere avvicinato alla famiglia indicando gli istituti di Matera, Turi, Trani o Bari, ma non ha ancora ricevuto risposta; A.D.S., privo di denti, ha fatto una richiesta il 14 novembre 2011 per ricevere una protesi senza la quale ha grosse difficoltà a mangiare, ma non ha ricevuto risposta, «qui è un lager» dice, ma «gli psicofarmaci sono abbondanti» e «per le emergenze notturne non c’è il medico»; nella cella 122 ci sono due rumeni e un bosniaco, il quale racconta di non fare colloqui perché i suoi 5 figli stanno a Roma; uno dei due rumeni è da 4 mesi nel carcere di Ancona e dice che non riesce a fare i colloqui con la sua compagna di Jesi nonostante abbia presentato l'atto di convivenza del comune; nella cella 106 un detenuto greco è senza lenzuola e cuscino e non c’è il sapone per lavarsi e per pulire la cella; nella cella 110 ci sono tre macedoni uno dei quali afferma di essere dimagrito 12 chilogrammi in otto mesi; un altro dice di aver fatto il 13 dicembre 2011 domanda per scontare gli ultimi mesi ai domiciliari secondo la legge n. 199 del 2010, ma di non aver ricevuto risposta; nella cella 117 ci sono un kosovaro, un bulgaro e un albanese; raccontano che il cibo del carcere è immangiabile e che ogni mese mettono assieme 50 euro per fare la spesa allo spaccio interno e in questo modo riescono a tirare avanti; nella cella 115 ci sono due rumeni e un egiziano; uno dei due rumeni dice «non posso fare colloqui, non possiedo niente; ho chiesto di lavorare, ma niente; non ho nemmeno una casa per andare ai domiciliari... gli avvocati d'ufficio non fanno niente»; nella cella 114 la delegazione incontra un detenuto egiziano: diabetico, dice di avere un dolore fortissimo alla testa e agli occhi, ma di non essere curato; è anche senza denti, quattro glieli hanno tirati via proprio nel carcere di Ancona; gliene sono rimasti tre e desidera tanto una dentiera per poter mangiare;
   la delegazione visita i locali delle docce veramente fatiscenti; la direttrice afferma che l'ingegnere ha assicurato che «il soffitto non dovrebbe crollare» e che è in via di approvazione un progetto per il rifacimento delle docce del valore di 1.700.000 euro;
   il detenuto N.G. che la delegazione incontra nella saletta dei nuovi giunti perché ha chiesto di parlare con il comandante, racconta di essere caduto dal letto a castello e che il 4 gennaio 2011 ha tentato di impiccarsi perché è un anno che non lavora e per protesta contro la terza branda; è pieno di lividi, zoppicante e chiede le stampelle;
   L.G. ha fatto richiesta di trasferimento a Palermo (dove peraltro è stato per due anni all'Ucciardone) per avvicinamento colloqui in quanto non vede i famigliari da 14 mesi; simile è la situazione di E.R. che ha avanzato istanza per essere avvicinato ai suoi famigliari di Palermo;
   V.L. ergastolano definitivo vive in cella con un altro detenuto in alta sicurezza; a metà dello scorso anno ha presentato istanza per poter fare gli studi universitari presso il carcere di Rebibbia, ma non ha ricevuto risposta; anche A.C. ha presentato istanza per la facoltà di economia e commercio grazie ad un trasferimento o ad Opera o a Rebibbia: anche lui è rimasto senza risposta;
   i commi 1 e 2 dell'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 stabiliscono che «Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti»;
   il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza» visita «con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali (...)»;
   il comma 4 dell'articolo 19 della legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario) stabilisce che «è agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione» –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere Montacuto di Ancona;
   se e quali iniziative di competenza intenda assumere per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
   se e quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché sia assicurata un'adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
   se nelle relazioni semestrali della competente ASL siano state segnalate le evidenti scadenti condizioni igienico-sanitarie delle celle e, in particolare, delle docce;
   se intenda incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
   in che modo intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
   cosa intenda fare, affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
   se abbia mai valutato o intenda valutare la possibilità di utilizzare tecnologie tipo Skype per ridurre il costo delle telefonate effettuate dai detenuti ai loro congiunti;
   quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
   se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro le esigenze dei vari servizi del carcere di Ancona, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo;
   cosa intenda fare per agevolare il compimento degli studi universitari dei due detenuti citati in premessa;
   quali provvedimenti di competenza ritenga opportuno adottare al fine di modificare radicalmente le condizioni della vita penitenziaria nel carcere di Ancona, così da garantire finalmente il rispetto dei diritti alla dignità, alla salute, allo studio, alla tutela dei rapporti familiari dei detenuti e di quanto prescritto dall'articolo 27 della Costituzione riguardo alle finalità rieducative della pena. (5-06772)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul sito di Ristretti Orizzonti del 1° marzo 2012, è apparso il seguente appello lanciato da Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione «Socialismo Diritti Riforme»: «È urgente il trasferimento dal carcere di Nuoro di Biagio Campailla, 42 anni. Lo conferma la recente diagnosi del neurochirurgo dell'Ospedale San Francesco dott. Carlo Piu che ha suggerito un esame più approfondito nel Centro di Neurochirurgia di Rovigo per un possibile intervento chirurgico. Lo specialista, dirigente medico dell'Unità Operativa di Neurochirurgia del San Francesco, evidenzia la presenza di un'ipostenia dell'arto superiore sinistro. In sostanza il detenuto rischia, oltre che dolori insopportabili, una paralisi del braccio corrispondente. Insomma ancora una volta i certificati medici non lasciano spazio a soluzioni alternative. In Sardegna infatti come sottolinea il dott. Piu non si esegue tale intervento. Le condizioni di salute del detenuto, peraltro diabetico, insulino dipendente, si sono progressivamente aggravate negli ultimi mesi divenendo sempre più pericolose per il mantenimento della funzionalità del braccio sinistro. Sulle condizioni di salute si era espresso nei mesi precedenti anche Georges Mansour, che ha redatto uno specifico certificato dopo i risultati di una risonanza magnetica della colonna cervicale, con cui sottolineava “un rischio di paresi e di parestesia per la presenza di un'ernia discale»”;
   le vicissitudini sanitarie del detenuto Biagio Campailla sono iniziate nel mese di agosto del 2011, allorquando la madre dell'uomo si rivolse all'associazione «Socialismo Diritti e Riforme» esprimendo vive preoccupazioni per la salute del figlio trasferito inopinatamente a Nuoro. La donna, anziana, ma soprattutto in precarie condizioni di salute, abita in Belgio. Ha quindi ripetutamente chiesto che venga accettata la domanda di trasferimento del figlio per poter effettuare i colloqui in un istituto più facilmente raggiungibile nel territorio nazionale essendo la sede di Nuoro eccezionalmente distante da dove lei risiede;
   della vicenda si è interessato anche il Consolato italiano in Belgio che ha preso contatti con le autorità italiane per verificare le reali condizioni di salute del signor Campailla sollecitando anche il suo trasferimento in una struttura detentiva belga;
   secondo la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 46479/11, «il diritto alla salute del detenuto va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione del medesimo al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture» –:
   se non si ritenga di intervenire presso il carcere di Nuoro affinché al detenuto in questione siano assicurate le condizioni minime per la cura e per la riabilitazione;
   se sia fondata la notizia di una richiesta di trasferimento del detenuto avanzata dal consolato italiano in Belgio e quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in ordine a detta richiesta.
(5-06773)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il signor Luigi Lainà sta scontando una pena definitiva nel carcere romano di Regina Coeli (fine pena al 2024) e risulta ancora giudicabile per due rapine e un'evasione, reati per i quali il suo difensore di fiducia, avvocato Laura Barberio ha chiesto la revoca della misura cautelare prima al giudice per le indagini preliminari, dottoressa Anna Maria Fattori, e poi al tribunale del riesame; richieste che in entrambi i casi sono state rigettate;
   il detenuto Lainà presenta un quadro clinico estremamente serio e soffre di condizioni di salute davvero precarie. Ed invero nella istanza di sostituzione della misura cautelare che il difensore del detenuto ha rivolto al giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, si legge quanto segue: « (...) Il signore Lainà al mese di dicembre 2011 presenta gravissime patologie che stanno peggiorando il suo già compromesso quadro clinico e mettendo a serio rischio la vita del detenuto nella struttura carceraria. Il Lainà risulta affetto da: a) Epatopatia cronica HCV correlata ad evoluzione cirrogena con varici esofagee complicanti; b) Insufficienza polmonare da enfisema cronico; c) Grave forma di anoressia; d) Gravissimo deperimento organico che lo ha portato dagli iniziali 50 chilogrammi agli attuali 36 chilogrammi nel periodo dei sei mesi di detenzione, con ipotrofia agli arti inferiori e impossibilità alla deambulazione e alla stazione eretta; e) Diabete mellito tipo 2; f) insufficienza renale (ipercreatininemia); g) in soggetto con gravi disturbi di personalità con reazioni di tipo maniaco-depressivo con manifestazioni autolesionistiche anche molto gravi. Si evidenzia che le condizioni di salute così accertate sono invalidanti e non guaribili; in particolare le varici esofagee, che allo stato non permettono ulteriori gastroscopie, sono una delle cause più frequenti di decesso. Nel mese di dicembre 2011 si verificavano altresì episodi critici. Si precisa altresì che il peggioramento progressivo delle condizioni di salute del Lainà è avvenuto durante il periodo di detenzione carceraria, che ha inciso negativamente, aggravandolo notevolmente, sul suo quadro clinico. Tra l'altro, nel corso dei sei mesi di detenzione (dal peso all'ingresso del carcere (6 giugno 2011) di 50 chilogrammi a quello di 36 chilogrammi al 20 dicembre 2011) il Lainà ha perso oltre 1/4 del suo peso corporeo. La situazione patologica del Lainà di inguaribilità e gravissima infermità fisica lo rende pertanto incompatibile con il sistema carcerario, rendendosi necessario permettergli almeno di poter ricevere cure adeguate e trattamenti più efficaci e personalizzati con l'aiuto e il sostegno affettivo dei familiari così come previsto dall'articolo 275 comma 4-bis c.p.p. (...)»;
   il predetto quadro clinico – ben illustrato dalla relazione del consulente tecnico di parte, professore Cappelli, non è mai stato preso in considerazione dal giudice per le indagini preliminari e/o dal tribunale del riesame in quanto nel corso del procedimento cautelare svoltosi innanzi al giudice per le indagini preliminari, dottoressa Anna Maria Fattori, l'istituto di pena di Rebibbia ha trasmesso singolarmente, a parere degli interroganti, all'organo giudicante solo relazioni negative di polizia penitenziaria in cui si evidenziava che il signore Lainà fosse un simulatore e che le sue condizioni di salute fossero dovute principalmente al suo sciopero della fame. Al contrario, dal diario clinico emerge invece che i medici di reparto hanno ben riportato tutte le patologie di cui è affetto il signore Lainà (difficilmente simulabili attesa l'elevata carica virale e le crisi con perdite di sangue), nonché la grave forma psichica a causa della quale quest'ultimo è portato a compiere gesti autolesionistici;
   sempre dalla relazione del consulente tecnico di parte del signore Luigi Lainà, professore Cappelli, si evidenzia come: a) le varici esofagee necessitino di stretto monitoraggio; b) il farmaco per l'epatite c (interferone) debba essere somministrato al detenuto sotto stretto controllo clinico; c) il detenuto debba essere sottoposto ad una analisi urgentissima, atteso che sul medesimo è stata recentemente riscontrata la presenza di un «angioma» senza che ne sia stato possibile specificarne la natura;
   per tutti questi motivi, inoltre, il signore Luigi Lainà sta continuando lo sciopero della fame per protestare contro quella che lui considera una ingiusta detenzione aggravando anche i gesti autolesionistici;
   gli stessi medici di Regina Coeli, con relazione del 30 gennaio 2012, sostengono che il detenuto Luigi Lainà, a causa delle sue condizioni di salute, non è gestibile nell'ambiente carcerario;
   il diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione, rappresenta un diritto inviolabile della persona umana, insuscettibile di limitazione alcuna ed idoneo a costituire un parametro di legittimità della stessa esecuzione della pena, che non può in alcuna misura svolgersi secondo modalità idonee a pregiudicare di diritto del detenuto alla salute ed alla salvaguardia della propria incolumità psico-fisica;
   l'articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n. 354 sancisce una rigorosa disciplina in ordine alle modalità ed ai requisiti del servizio sanitario di ogni istituto di pena, prescrivendo tra l'altro che «ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti (...) in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura»;
   la recente sentenza della Corte di cassazione n. 46479/2011, del 14 dicembre 2011 ha evidenziato, fra l'altro, come «il diritto alla salute va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture»;
   è necessario un intervento urgente al fine di verificare le reali condizioni di salute del detenuto in questione, affinché siano adottati i provvedimenti più opportuni, per garantire che l'espiazione della pena non si traduca di fatto in un'illegittima violazione dei diritti umani fondamentali, secondo modalità tali peraltro da pregiudicarne irreversibilmente le condizioni psico-fisiche, già gravemente compromesse –:
   se non intenda promuovere ogni accertamento di competenza, anche attraverso un'ispezione ministeriale, in rapporto ai fatti esposti in premessa, e quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere al fine di tutelare il diritto alla salute del signor Lainà. (5-06774)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 4 febbraio 2012 la prima firmataria del seguente atto ha visitato il carcere di Badu e Carros di Nuoro accompagnata dal garante dei detenuti de comune, professor Gianfranco Oppo;
   alla visita ha presenziato il comandante dell'istituto Alessandro Caria;
   i detenuti presenti sono 203; ristretti nella sovraffollata sezione ordinaria vi sono 84 uomini e 15 donne; in alta sicurezza 1 vi sono 26 uomini, mentre in alta sicurezza 3 ve ne sono 69; un detenuto è ristretto in regime di 41-bis ed occupa, da solo, la IV sezione; 9 sono i semiliberi, tutti uomini; i detenuti stranieri sono in tutto 23, di cui 10 donne; quanto alla posizione giuridica, i detenuti in attesa di primo giudizio sono 39, gli appellanti 13, i ricorrenti 12; coloro che scontano una pena definitiva sono 139;
   la prima sezione (ordinaria), oltre essere sovraffollata, è totalmente fatiscente: «dovremmo chiuderla», afferma il comandante, «scoppiano le fogne e cadono i calcinacci», due celle sono state chiuse perché si sono allagate; in alcune celle l'acqua è solo fredda e i termosifoni funzionano male;
   quanto ai sistemi di sicurezza dell'istituto, questi sono del tutto inadeguati per una struttura che ospita le tipologie di detenuti sopra descritte: poche sentinelle schierate sul muro di cinta, sistema di telecamere interno poco efficiente, totalmente assente l'impianto anti scavalcamento;
   l'istituto non è dotato di area verde per gli incontri dei detenuti con i figli minori, mentre persiste ancora il muretto divisorio nelle sale colloqui;
   nel carcere è praticamente ultimato un padiglione completamente nuovo: il timore di tutti – dal sindaco al presidente della provincia, fino al personale che nel carcere ci lavora – è che sia destinato ad ospitare detenuti del 41-bis provenienti da altre regioni italiane, come alcune voci hanno lasciato trapelare; scelte di questo tipo, ha detto il sindaco di Nuoro Bianchi in occasione di una conferenza stampa tenuta assieme al presidente della provincia Deriu, «rischiano di far calare una cappa di piombo su una struttura che invece noi vogliamo far comunicare con la città. Siamo orgogliosi di aver istituito il garante per i detenuti»;
   gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 165 (compreso il nucleo traduzioni) a fronte di una pianta organica che ne prevedrebbe 216; 16 agenti si trovano presso l'ospedale militare di Cagliari, 37 sono negli uffici o sono assegnati al settore colloqui, 5 sono i pre-pensionati; insomma, 71 agenti divisi su 4 turni sono coloro che vivono nelle sezioni a diretto contatto con i detenuti e questa situazione determina bassi livelli di sicurezza e una inevitabile riduzione delle attività trattamentali; è imponente la mole di traduzioni che il nucleo effettua soprattutto per la celebrazione dei processi in tutta Italia: oltre mille all'anno e, se si considera che i fondi per le missioni vengono erogati con ritardo, si può comprendere il disagio del corpo degli agenti di polizia penitenziaria; per questo «servizio» di spostamento nella penisola dei detenuti per i processi, nel carcere di Badu e Carros si spendono 5 milioni di euro all'anno che «se fosse rispettato il principio della territorializzazione della pena, potrebbero essere destinati alle attività trattamentali dei detenuti», ha osservato il garante comunale dei detenuti, Gianfranco Oppo;
   l'ulteriore taglio del 40 per cento del fondo destinato alle mercedi per pagare i pochi lavoranti impiegati in mansioni domestiche ha determinato momenti di protesta fra i detenuti che, tranne le ore d'aria, non possono accedere ad attività trattamentali per il loro futuro reinserimento sociale;
   gli educatori sono in tutto cinque perché la sesta educatrice è stata distaccata a Cagliari;
   quanto all'assistenza psicologica, nel carcere di Nuoro operano una psicologa in regime di convenzione con la ASL n. 3 per il servizio tossicodipendenze e una sola psicologa esperta ex articolo 80 per sole otto ore mensili, del tutto insufficienti considerati i delicati compiti istituzionali che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria affida a questa categoria professionale;
   si segnalano, inoltre, le seguenti situazioni:
    F.D'A. 31 anni, ergastolano che si trova in carcere da 11 anni; F.D'A. ha studiato in stato di detenzione partendo dalle scuole medie; iscrittosi all'università di Sassari presso la facoltà di scienze della Comunicazione ha potuto sostenere un solo esame che ha superato con un brillante 30 e lode, ma nel carcere di Nuoro non ci sono sufficienti risorse per consentirgli di fare altri esami; pur di studiare è disponibile ad essere trasferito;
    nella sezione dei detenuti comuni, cella n. 3 la delegazione trova 4 detenuti sistemati in due letti a castello di cui uno a tre piani; un posto è vuoto; affermano di essere in quella cella da 4/5 mesi ma di non aver mai visto il magistrato di sorveglianza; nella cella n. 4, i detenuti sono sei, il wc è «a vista» e per avere un minimo di privacy i detenuti hanno messo una tenda; fra loro c’è G.C., 62 anni, affetto da un tumore alla prostata; afferma che non gli fanno fare i controlli e gli accertamenti necessari e che da più di un anno ha avanzato richiesta per l'accertamento dell'invalidità; nella cella n. 5 ci sono due tunisini e un egiziano; B.M. lamenta il fatto di non poter usufruire del decreto «Severino» per scontare gli ultimi 18 mesi ai domiciliari perché non ha una casa; nella cella n. 6 i cinque detenuti raccontano il loro stato di prostrazione perché nessuno lavora e solo uno fa i colloqui; uno di loro, un sardo, ha fatto richiesta di trasferimento nel carcere di Alghero perché in quella città vive la sorella invalida che non può arrivare fino a Nuoro per fare i colloqui; V.R. ha 33 anni e ha la famiglia a Torino dove ha chiesto di essere trasferito; ha un figlio di 7 anni e la moglie è stata operata di un tumore al seno; è iscritto al Sert di Finale Ligure e chiede di poter parlare con un medico del SERT; il detenuto marocchino della cella 6 chiede di essere trasferito in un carcere dove abbia la possibilità di svolgere un lavoro; nella cella n. 7 i reclusi sono sette, ma il giorno precedente erano in 9; il termosifone è malfunzionante, mentre in una bacinella si raccoglie l'acqua che cade dal soffitto; S.V., diciottenne, afferma di essere in attesa di giudizio, di essere stato trasferito «senza motivo» da un mese e mezzo a Badu e Carros dall'ucciardone e di non poter parlare con l'avvocato; dichiara che farà domanda per tornare nella sua città;
    un detenuto albanese in AS è sottoposto al regime di sorveglianza particolare di cui al 14-bis dell'ordinamento penitenziario; nella cella non c’è né il fornelletto né la televisione, il wc a vista è separato dal resto della stanza da un muretto; dice di avere una figlia di 6 anni e tutta la famiglia lontana;

   i commi 1 e 2 dell'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 stabiliscono che «Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti»;
   il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza» visita «con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali.(...)»;
   il comma 4 dell'articolo 19 della legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario) stabilisce che «è agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione»; –:
   se siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e se si intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere Badu e Carros di Nuoro;
   se e quando si intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
   se e quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché sia assicurata un'adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
   se nelle relazioni semestrali della competente ASL siano state segnalate le evidenti scadenti condizioni igienico-sanitarie delle celle;
   se si intendano incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
   in che modo si intenda intervenire, per quanto di competenza, in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
   cosa si intenda fare, affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
   quali iniziative di propria competenza il Ministro della giustizia intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
   se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro della giustizia le esigenze dei vari servizi del carcere di Badu e Carros, con particolare riguardo all'attuazione del trattamento rieducativo;
   cosa si intenda fare per agevolare il compimento degli studi universitari del detenuto F.D'A;
   se si intenda rassicurare gli amministratori locali e tutto il personale del carcere di Badu e Carros sul paventato trasferimento nella nuova sezione dell'istituto di decine di detenuti in regime di 41-bis che stravolgerebbe la vita dell'intera comunità cittadina e provinciale. (5-06776)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 4 marzo 2012, un uomo di 30 anni, detenuto da sette mesi nel carcere di Cosenza dove sta scontando una condanna a tre anni per furto, ha scritto una lettera al leader del Movimento diritti civili, Franco Corbelli, per chiedere «aiuto affinché possa ottenere una misura alternativa al carcere in quanto gravemente malato»;
   la notizia è stata resa nota dallo stesso Corbelli. Il trentenne, affetto da un tumore e da una rara malattia, nella missiva inviata al leader del Movimento diritti civili ha allegato anche la documentazione dell'ospedale di Cosenza che attesta le sue condizioni di salute;
   secondo quanto riferito alla stampa dallo stesso Corbelli «l'uomo chiede una misura alternativa alla detenzione e di poter essere curato in un centro specializzato, per non continuare a soffrire e per non morire»;
   nella lettera inviata a Corbelli il detenuto afferma quanto segue: «dal 2008 sono affetto da un tumore, con metastasi sparse, da poco mi hanno riscontrato anche un'altra grave patologia, la sindrome di Lichen Scleroatrofico. Se non vengo curato in centri specializzati sono condannato a soffrire e morire. Ho fatto la chemioterapia. Sono senza anticorpi. Non posso restare in carcere, in una cella sovraffollata, con il rischio di contagio di altre malattie. Non ho commesso gravi reati. Non sono un soggetto pericoloso. Sono in carcere da 7 mesi per scontare una condanna a tre anni per un furto commesso nel 2007»;
   secondo la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 46479/11, «il diritto alla salute del detenuto va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione del medesimo al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture» –:
   se non ritengano – perlomeno in via cautelativa – di dover verificare, attraverso un'approfondita indagine interna, se il trattamento sanitario riservato al detenuto in questione abbia corrispondenza con le leggi dello Stato e, soprattutto, con quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione;
   quali iniziative urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di garantire al detenuto in questione il proprio fondamentale diritto alla salute. (5-06777)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano Il Mattino di Padova del 7 marzo 2012, un detenuto rumeno di 36 anni, recluso nel carcere Due Palazzi, per protestare si è cosparso di liquido infiammabile i vestiti poi s’è dato fuoco e dal 22 febbraio risulta ricoverato nel centro grandi ustioni;
   l'uomo, arrestato il 16 gennaio 2012 su ordinanza di custodia cautelare dai carabinieri per maltrattamenti in famiglia, presenta vaste bruciature sul torace, sul collo e sugli arti superiori; tutte ustioni gravi giudicate guaribili in un mese;
   sembra che all'origine del gesto ci sia una protesta per una detenzione considerata ingiusta. M.C. è stato bloccato e arrestato dai carabinieri di Vigodarzere che hanno semplicemente eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal giudice per le indagini preliminari per maltrattamenti in famiglia. L'uomo, tra l'altro, è già conosciuto dalle forze dell'ordine. La vigilia del Natale scorso, infatti, il trentaseienne fu arrestato per violenza e resistenza dai carabinieri di Cadoneghe. In quella circostanza, completamente ubriaco M.C. oppose resistenza al controllo dei militari, finendo così con lo smaltire la sbornia in cella proprio il giorno di Natale. L'arresto avvenne davanti alla Trattoria Ceccarello, lungo la strada regionale 307 del Santo. L'uomo era arrivato da Ceccarello verso le 22,30 ed era già abbastanza alticcio. Così i titolari, per evitare guai ulteriori, decisero di chiamare il 112 che inviò sul posto un equipaggio. Alla vista delle divise l'uomo andò in escandescenza e fu arrestato –:
   quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il tentato suicidio;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere Due Palazzi;
   se si intenda provvedere all'ampliamento del numero degli agenti di polizia penitenziaria addetti all'istituto di pena in questione;
   quali siano le condizioni umane e sociali del carcere in questione e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario. (5-06778)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 27 febbraio 2012, sul sito ufficiale dell'Unione delle camere Penali; è apparso il seguente comunicato: «Una delegazione dell'Unione delle Camere Penali, formata dal Presidente Spigarelli, dai responsabili dell'Osservatorio Carcere, avvocato Alessandro De Federicis, e della Commissione Carcerazione Speciale e Diritti Umani, avvocato Roberto D'Errico, dal Presidente della Camera Penale di Bologna, avvocato Elisabetta D'Errico, e dagli avvocati Gianluca Malavasi, Giuseppe Cherubino e Maria Grazia Turffariello, ha oggi effettuato una visita al carcere di Bologna. Anche questa iniziativa ha confermato, e non poteva essere altrimenti, le penose condizioni di vita alle quali sono costretti i detenuti nel nostro Paese. Di fronte ad una capienza ideata per 450 reclusi attualmente ne sono ristretti oltre 1000, in celle di 10 mq, attrezzate per ospitare una sola persona, che in molti casi ne vedono vivere, in condizioni degradate, almeno tre. Impianti igienici fatiscenti, malati costretti a condividere le celle del reparto infermeria con altri detenuti, insomma tutto il campionario di ordinaria ingiustizia che connota la condizione carceraria. Una situazione che si aggrava di anno in anno, come hanno confermato la direzione del carcere ed il comandante degli agenti di polizia penitenziaria, nonostante l'impegno che il personale, ed anche i detenuti, mettono per rendere la situazione vivibile. Una visita senza censure, bisogna dame atto, nel corso della quale tutte le richieste di accesso ai vari reparti e di colloquio con i detenuti sono state accolte. Alla delegazione sono stati forniti tutti i dati e le statistiche aggiornate relative alla popolazione carceraria, ivi incluse quelli riguardanti le percentuali di accoglimento dei benefici previsti dall'ordinamento penitenziario, che sono stati poi oggetto di una conferenza stampa. Le visite dell'Unione negli istituti penitenziari italiani proseguiranno nelle prossime settimane, in programma Sollicciano (Firenze), Regina Coeli (Roma), San Vittore (Milano)» –:
   se il Ministro sia a conoscenza del grave deficit di organico in cui versa la polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Bologna, della carenza di fondi e del grave sovraffollamento della struttura, che pongono in forse il pieno rispetto della dignità dei detenuti e l'esplicarsi della funzione rieducativa che il carcere dovrebbe avere;
   se non ritenga doveroso assumere iniziative, affinché sia disposta un'adeguata integrazione dell'organico del personale di custodia in servizio nel carcere di Bologna e si preveda un ulteriore stanziamento per il finanziamento dei posti di lavoro interni alla struttura e per i fondi dedicati ad attività ricreative e risocializzanti all'interno dell'istituto;
   più in generale, cosa intenda fare per riportare il carcere di Bologna all'interno della legalità costituzionale e nel rispetto delle norme di leggi e regolamentari che disciplinano la vita degli istituti penitenziari. (5-06779)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sull'agenzia di stampa ITALPRESS del 3 gennaio 2011, si dà conto del suicidio di Bruno Baldini, 54 anni, il quale si è impiccato in una stanza dell'ospedale Villa Scassi nella quale era recluso in stato di custodia cautelare;
   l'uomo era ricoverato al reparto grandi ustionati dallo scorso 4 dicembre 2011; quando, dopo aver tentato di uccidere l'ex moglie e il suo nuovo compagno, si era dato fuoco nella canonica della chiesa di San Teodoro, in Valbisagno;
   secondo quanto reso noto dal Sappe «Bruno Baldini era ricoverato in ospedale, nel reparto ustionati del Villa Scassi di Sampierdarena, e il giudice della cautela aveva stabilito che lo stesso dovesse essere controllato saltuariamente» –:
   di quali informazioni dispongano sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intendano avviare – negli ambiti di rispettiva competenza e nel rispetto e indipendentemente dalla eventuale inchiesta che sulla vicenda aprirà la magistratura – un'indagine amministrativa interna volta a verificare se, con riferimento al suicidio del detenuto Bruno Baldini, siano ravvisabili responsabilità in capo al personale che aveva il compito di occuparsi del signor Baldini. (5-06784)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano La Repubblica dello scorso 3 gennaio 2012 è apparso un articolo scritto da Francesca Russi e intitolato: «A Bari, tra scabbia e docce gelate, i carcerati vivono in tre metri, sovraffollamento è del 183 per cento»;
   Francesca Russi dà conto della situazione di invivibilità delle carceri ubicate in Puglia. Le strutture penitenziarie in questione presentano caratteristiche di assoluta inadeguatezza rispetto ai fini che la legge gli impone di rispettare, pertanto la prima firmataria del presente atto ritiene opportuno riportare integralmente il contenuto del citato articolo: «Le celle sono grandi 13,50 metri quadrati e in ognuna vivono quattro detenuti. La finestra interna con le sbarre ha una grata molto fitta e la stanza è buia. Nella cella manca anche l'interruttore interno per accendere la luce. Il riscaldamento non esiste e quando piove entra l'acqua. È l'inferno delle carceri pugliesi, teatro di suicidi e morti misteriose. È in questo spazio di tre metri quadrati per ciascuno che i detenuti devono trascorrere 20 ore al giorno. Nelle restanti ore possono lavarsi e andare in bagno: nella toilette però non ci sono finestre e le docce non hanno l'acqua calda. Nel carcere infatti non ci sono celle per la socialità e il campo sportivo è inaccessibile dal 2006. «Sono condizioni inumane». Così undici detenuti del carcere di Taranto hanno deciso di fare ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'uomo. A sostenerli c’è l'associazione per i diritti dei detenuti Antigone che negli scorsi giorni ha presentato l'ultimo rapporto sulle carceri. È la Puglia, secondo i dati del dipartimento di amministrazione penitenziaria, la regione dell'emergenza. Con un tasso di sovraffollamento del 183 per cento guida la classifica nazionale delle carceri più sovraffollate. La capienza totale degli 11 istituti penitenziari presenti in Puglia è di 2mila 458 posti ma i detenuti sono 4mila 486. Quasi il doppio. Le donne sono 221 e gli stranieri 919. Il carcere più a rischio è quello di Lecce: i posti letto a disposizione sono 680 eppure i detenuti sono 1441. L'indice di sovraffollamento è del 212 per cento. Segue, distaccato per pochi punti percentuali, il carcere di Taranto: su 315 posti ci sono 655 persone, il tasso è del 208 per cento. Situazione tragica anche a Foggia dove i detenuti sono 705 ma i posti 371, la percentuale di sovraffollamento arriva a 190 punti. Il dramma delle carceri si consuma ogni giorno sulla pelle dei detenuti. In cella si suicida una persona ogni mille. Fuori dal carcere una persona ogni ventimila. I numeri raccontano una tragedia quotidiana fatta di violenza e disperazione. La dignità, in carcere, è una parola che non esiste. Lo dimostrano le storie di contagio di tubercolosi e scabbia, malattie ormai dimenticate, nel penitenziario di Lecce; i casi di autolesionismo nel carcere di Brindisi dove un detenuto ha tentato di morire ingoiando un rasoio; i suicidi nelle celle di Foggia e di Bari dove due detenuti l'hanno fatta finita con cappi artigianali: si sono impiccati attaccando al letto un lenzuolo e un paio di pantaloni. Ammalarsi è quasi inevitabile. «Alti tassi di sovraffollamento, forzata promiscuità, fatiscenza delle strutture e insalubrità degli spazi, limitazione dei movimenti e della vita all'aperto – denuncia l'associazione Antigone – sono tutti fattori che rendono quanto mai difficoltoso il tentativo di migliorare le condizioni sanitarie». Ad attaccare la malasanità carceraria è anche il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria: «In una situazione carceraria che è divenuta una discarica sociale, ove oltre la metà dei detenuti soffre di patologie medio gravi, casi come quello accaduto a Trani possono e potranno accadere in qualsiasi momento, considerato che in tanti casi il poliziotto penitenziario, da solo nelle sezioni detentive, deve vestire anche gli abiti dell'infermiere e dello psicologo, tutti compiti che gli sono piovuti addosso grazie anche ad una sanità che non assicura un'assistenza adeguata». L'emergenza sovraffollamento ha avuto una risposta, parziale, con il piano carceri che prevede la costruzione a Bari di un nuovo carcere da 450 posti e tre nuovi padiglioni da 200 posti l'uno a Trani, Taranto e Lecce. Si arriverebbe così a 1050 nuovi posti letto. Ma il problema non sarebbe ancora risolto. Perché il surplus di detenuti è di duemila. Così Antigone ha disegnato una mappa delle carceri fantasma: tutti quegli istituti penitenziari che negli ultimi venti anni sono stati costruiti, spesso ultimati, a volte anche arredati e vigilati, che però sono inutilizzati, sotto utilizzati o in totale d'abbandono. «Anziché varare un nuovo piano carceri non poteva essere più utile e meno costoso, a seconda dei casi, ultimare, mandare a pieno regime questi istituti o adattarli alle nuove necessità ?» denuncia l'associazione. In Puglia sono 12 le strutture: ad Accadia un penitenziario consegnato nel 1993, ora di proprietà del Comune e mai utilizzato; ad Altamura una delle tre sezioni dell'istituto non è mai stata inaugurata; a Bovino una struttura da 120 posti, già pronta, chiusa da sempre; a Casamassima e a Spinazzola due edifici dimenticati; a Castelnuovo della Daunia un carcere arredato da 15 anni e mai aperto; a Galatina una struttura inutilizzata e a Maglie solo parzialmente utilizzata per detenuti semiliberi; a Minervino Murge e a Orsara case circondariali mai entrate in funzione; a Monopoli l’ex carcere occupato dagli sfrattati, a Volturara Appula una struttura da 45 posti incompiuta» –:
   se il Ministro competente sia informato sulle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria delle carceri citate nell'articolo riportato in premessa;
   se, negli ambiti di rispettiva competenza, non ritengano opportuno acquisire ulteriori informazioni – anche attraverso un'ispezione – in merito alle disfunzioni segnalate in premessa che gettano un'ombra molto grave sulla capacità dell'Italia di conformarsi alle norme del rispetto dei diritti umani che ha sottoscritto;
   a quando risalgano e cosa vi sia scritto nelle relazioni semestrali delle Asl sulle condizioni igienico-sanitarie degli istituti penitenziari pugliesi;
   se non ritengano necessario adottare urgentemente ogni provvedimento idoneo a rimuovere le disfunzioni e carenze presenti negli istituti di pena pugliesi, per garantire alle detenute e ai detenuti delle suddette carceri e anche al personale operante all'interno delle relative strutture, le adeguate misure igienico-sanitarie e il rispetto degli standard di sicurezza, al fine di ristabilire un clima più adeguato al processo di rieducazione che è alla base dell'ordinamento carcerario italiano;
   se non intenda il Ministro della giustizia prendere in considerazione un'ipotesi normativa che stabilisca che un istituto penitenziario non possa superare il numero dei posti regolamentari per i quali è stato progettato. (5-06785)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano La Repubblica (cronaca di Bari) dello scorso 6 gennaio è apparso un articolo intitolato: «Una cella per quattro ma erano in dieci. Detenuto cerca di impiccarsi.»;
   l'articolo in questione riporta una notizia diffusa da Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), ossia che un detenuto di circa 40 anni di origine libica, ristretto alla prima sezione ubicata all'interno del carcere di Bari, recluso per reati inerenti l'immigrazione clandestina, ha tentato di togliersi la vita impiccandosi alle sbarre della sua cella. Il suicidio è stato evitato all'ultimo momento grazie al pronto intervento degli agenti di polizia penitenziaria;
   l'uomo avrebbe tentato di togliersi la vita a causa della presenza nella cella (che poteva contenere non più di 4 detenuti), di circa dieci detenuti;
   secondo quanto riferito da Federico Pilagatti, «Da tempo il Sappe sta cercando di accendere i riflettori sul carcere di Bari, il più affollato d'Italia con circa 530 detenuti a fronte di 210 posti disponibili e sugli altri Istituti della Regione Puglia, tra i più affollati della nazione, senza grossi risultati, visto che la situazione non cambia. Ormai i poliziotti penitenziari, oltre ai loro compiti istituzionali che li impegnano in maniera massacrante, si devono sostituire anche alle carenze dovute ad un sistema che fa acqua da tutte le parti. Il Sappe è stanco di denunciare una situazione che ormai sembra un fiume in piena che ha rotto gli argini e si chiede fino a quando si potrà reggere. Ormai è chiaro che la vita delle persone che lo Stato dovrebbe ritenere sacre, non valgono più nulla, soprattutto se straniere, la Costituzione carta straccia, le promesse della politica e delle istituzione parole vuote senza senso. Persino le richieste del Presidente della Repubblica sulla situazione delle carceri sono diventate di circostanza, per questo motivo preghiamo il Presidente Napolitano a dare una continuità alle sue parole ed iniziare presto un giro nelle carceri nazionali per toccare con mano la desolazione ed il degrado presente. Ormai le responsabilità sono chiare in uno Stato che di diritto ha solo il nome. Il Sappe comunque non abbassa la bandiera e continuerà con le sue denunce» –:
   quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti del detenuto dopo il tentato suicidio;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Bari;
   se il Ministro sia informato sulle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria del carcere di Bari;
   quali siano le condizioni umane e sociali del carcere in questione e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario;
   se non intenda prendere in considerazione un'ipotesi normativa in base alla quale venga prescritto agli istituti di pena di non accettare in nessun caso l'ingresso di altri detenuti una volta raggiunta la propria capienza regolamentare. (5-06786)


   LULLI, GIACOMELLI e FERRANTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Prato versa in uno stato di grave carenza di personale avendo perduto – causa collocamenti a riposo – dall'inizio dell'anno 2012, tre funzionari, un assistente giudiziario e un operatore giudiziario;
   il tribunale, che dovrebbe operare con sessantaquattro persone, si vede costretto a lavorare con ben sedici unità in meno e deve continuamente rivedere la propria organizzazione, unificando servizi già impegnativi e distribuendo i compiti tra il personale rimasto, sempre più carico di competenze e demotivato anche a causa della mancanza di gratificazioni professionali ed economiche;
   tale stato di emergenza sta causando al personale impiegato un alto livello di stress lavorativo, tale da aver causato l'assenza protratta per malattia di altri funzionari responsabili di cancellerie di particolare importanza, come già denunciato più volte dal presidente del tribunale, dottor Francesco Antonio Genovese, con lettera al Ministro interrogato e al capo dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del ministero, dottor Luigi Birritteri;
   il tribunale di Prato, data la situazione suesposta, rischia di non poter essere più in grado di garantire ai cittadini i servizi richiesti –:
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire per assicurare la copertura, con procedure di mobilità ex articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dei profili della terza area, onde poter garantire il coordinamento delle cancellerie e la sostituzione del personale collocato a riposo e, in subordine, per l'accoglimento delle domande del personale appartenente al comparto Ministeri, o almeno provvedere anche ad assegnazioni temporanee. (5-06788)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 4 marzo 2012, a giudizio di Franco Corleone, ex Sottosegretario alla giustizia, il carcere di Trento non è la struttura penitenziaria modello che molti vorrebbero far credere, atteso che al suo interno mancano, ad esempio, un refettorio per mangiare insieme ed un locale per l'affettività, in grado cioè di consentire a chi vive dietro le sbarre di avere rapporti sessuali con il partner;
   nell'istituto di pena trentino, inoltre, la sala dei colloqui risulta inutilizzata, posto che la stessa, essendo dotata di barriera visiva, non è conforme alle norme vigenti –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di dotare l'istituto di pena in questione di un refettorio e di un locale per l'affettività;
   se non si intenda urgentemente eliminare la barriera visiva posta all'interno della sala colloqui;
   più in generale, cosa intenda fare per riportare il carcere di Trento all'interno della legalità costituzionale e nel rispetto delle norme di leggi e regolamentari che disciplinano la vita degli istituti penitenziari. (5-06795)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato sul quotidiano La Sicilia del 4 marzo 2012, il segretario regionale del sindacato di categoria Ugl, dottor Francesco D'Antoni, avrebbe scritto al provveditore siciliano dell'amministrazione penitenziaria, dott. Maurizio Veneziano, sollecitando interventi urgenti sulla casa di reclusione di San Cataldo (Catania), ciò a garanzia della sicurezza dei circa 170 detenuti e degli agenti di custodia, oltre che della stessa salubrità della struttura;
   nella lettera Francesco D'Antoni ha evidenziato le «inconcepibili inefficienze dell'Istituto» riferendo di sezioni detentive, lato A e B, prive di postazione fissa per il personale addetto alla vigilanza del reparto, di fili elettrici scoperti, di evidente mancanza di pulizia nei corridoi, di assenza di riscaldamento, dello scaldabagno dismesso e persino dei sanitari non a norma e mal ridotti nei locali bagno del personale –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
   quali provvedimenti urgenti intenda adottare, sollecitare e/o promuovere al fine di risolvere tutte le criticità strutturali che affliggono la casa di reclusione di San Cataldo (Catania) così come denunciate dalla segreteria regionale del sindacato di categoria Ugl. (5-06796)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REGUZZONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011, prevede la delega al Governo ad adottare, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione di uno o più decreti legislativi volti a procedere alla riorganizzazione degli uffici giudiziari;
   il tribunale di Busto Arsizio, come riportato anche dalla stampa locale che ha più volte affrontato il tema, descrive una situazione confortante per il riconosciuto impegno degli operatori (i dati confermano che, nonostante la forte carenza di organico, gli uffici giudiziari bustesi sono tra i più efficienti del Paese) e questo nonostante le scoperture del personale di ruolo;
   di recente sembrerebbe emersa, come alcuna stampa locale riporta, la volontà da parte del Governo di procedere alla soppressione del tribunale di Busto Arsizio;
   appare evidente che la prospettata soppressione, lungi dal realizzare l'obiettivo di assicurare la giustizia in tempi ragionevoli, a un territorio di fondamentale importanza nel tessuto imprenditoriale e industriale del Nord-ovest – e sul cui territorio è collocato uno degli aeroporti (Malpensa) più importanti dell'area maggiormente industrializzata d'Italia ed in una posizione baricentrica rispetto alla parte centro-australe dell'Europa – comporterebbe una dilatazione dei tempi dei processi, tenuto conto dell'enorme carico di lavoro già gravante sul tribunale di Busto Arsizio, determinando un aumento di disagi e di costi per tutti i cittadini e gli operatori economici;
   rilevato che in merito al tribunale di Busto Arsizio sussistono tutti i criteri oggettivi ed omogenei per il mantenimento dell'ufficio giudiziario in parola citati dalla norma (articolo 1, comma 2, legge n. 148 del 2011), quali criteri direttivi delle scelte riorganizzative, e precisamente: l'estensione del territorio, il numero degli abitanti e la situazione delle infrastrutture;
   va tenuto conto che attualmente il territorio ricadente all'interno del circondario del tribunale di Busto Arsizio è composto 37 comuni, per una popolazione complessiva di circa 430.000 abitanti –:
   se malauguratamente corrispondano al vero le notizie di stampa circa le intenzioni del Governo di sopprimere il tribunale di Busto Arsizio e – qualora per fortuna così non fosse – se il Governo intenda smentire ufficialmente dette illazioni;
   quali iniziative, anche normativa, intende adottare il Ministro, al fine di mantenere in essere l'attuale sede del tribunale di Busto Arsizio. (4-15924)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che
   il 2 maggio 2012 la prima firmataria del presente atto è tornata a visitare il carcere di Pistoia insieme agli esponenti radicali Matteo Angioli e Manila Michelotti e al leader radicale Marco Pannella; la visita è stata guidata dalla comandante Barbara D'Orefice e dalla direttrice dell'organizzazione e delle relazioni Alessandra Di Fortunato;
   la precedente visita risale al 18 luglio 2011 ed è stata oggetto di un'altra interrogazione (n. 4-12744) che pur essendo stata sollecitata 4 volte dalla prima firmataria del presente atto non ha mai ricevuto risposta;
   la situazione del carcere, già illegale e drammatica 9 mesi fa, è addirittura peggiorata: se allora, infatti, i detenuti presenti erano 117 a fronte di una capienza regolamentare di 74 posti, il 2 maggio 2012 la delegazione ha trovato ben 147 ristretti; 4 detenuti erano assenti temporanei per permessi; i detenuti in attesa di giudizio erano 73 (51 in attesa di 1o giudizio, 14 appellanti, 8 ricorrenti), 78 i definitivi; i detenuti stranieri – in tutto 77 – erano così divisi per nazionalità: 23 albanesi, 1 bulgaro, 1 ivoriano, 1 algerino, 2 egiziani, 1 spagnolo, 22 marocchini, 4 nigeriani, 1 pakistano, 16 rumeni, 4 tunisini, 1 iugoslavo;
   permane la carenza di agenti di polizia penitenziaria: a fronte di una pianta organica che ne prevede 79, gli agenti assegnati sono 67 ma gli effettivamente in servizio sono 49; 1 solo psicologo ex articolo 80 ha un incarico per poche ore settimanali ed è oggettivamente impossibile che possa farsi carico della popolazione detenuta, in particolare dei nuovi giunti; gli educatori sono solamente 2;
   perdura la pressoché totale carenza di attività: ridottissime le possibilità di studio, di lavoro, di attività ricreative e sportive; solo la piccola sezione riservata ai collaboratori di giustizia ha le celle aperte di giorno dalle 8 alle 18;
   impressionante è stato per la delegazione trovare nella sezione destinata all'isolamento detenuti classificati come «media sicurezza» ristretti in celle di circa 6 metri quadrati in tre, con il letto a castello a tre piani; stessa situazione nelle celle al primo piano: tre detenuti in sei metri quadrati e anche nei camerotti del primo piano dove sono stipati dai 6 ai 10 detenuti, sempre in letti a castello a tre piani; le condizioni igienico sanitarie e di struttura continuano ad essere molto precarie: persino la carta igienica viene lesinata, tanto che alcuni detenuti più indigenti, quando vanno in bagno, usano la carta di riviste donate dai volontari; proprio il 2 maggio tutti i detenuti avevano però finalmente ricevuto il kit mancante da mesi e consistente in alcune saponette, una bottiglia di detergente per pulire la cella e alcune spugnette;
   se si considera che nelle condizioni sopra descritte i detenuti del carcere di Pistoia «vivono» per 21 ore al giorno e che le 3 ore d'aria le trascorrono in squallidi cortili denominati «passeggi» alcuni dei quali senza tettoia, è consequenziale comprendere come questo tipo di detenzione corrisponda ad un sequestro di persona che nulla ha a che vedere con quanto previsto dall'articolo 27 della Costituzione; il che, ad avviso dell'interrogante, provoca inevitabilmente un costante stato di frustrazione e mortificazione del personale, in qualsiasi profilo professionale operi;
   nel corso della visita, la delegazione ha potuto osservare che gli unici lavori in corso nella fatiscente struttura del carcere di Pistoia riguardavano la creazione di locali da adibire alla costituzione della banca dati del DNA;
   una buona percentuale dei detenuti incontrati si trovava nel carcere di Pistoia per scontare vecchi residui pena di pochi giorni o di pochi mesi, incarcerazioni intervenute nel momento in cui i soggetti avevano ormai intrapreso un sano percorso di reinserimento sociale attraverso il lavoro; in molti hanno sottolineato la difficoltà ad incontrare gli educatori; fra le lamentele anche quella di periodi di sovraffollamento ancora superiori dell'attuale che hanno determinato l'utilizzo di materassi buttati per terra senza branda, oltre che l'occupazione per il pernottamento della sala colloqui;
   la popolazione detenuta, nella quasi totalità indigente, ha deplorato l'aumento esorbitante del sopravvitto: il prezzo del caffè è quasi raddoppiato, l'olio di semi è passato da 1,30 euro a 1,90, il burro da 0,93 euro a 1,30; solo il prezzo della pasta è diminuito da 0,96 euro a 0,84;
   a domanda esplicita rivolta ai detenuti dalla prima firmataria del presente atto in merito alle visite alle celle di detenzione da parte del magistrato di sorveglianza, la risposta unanime è stata quella di non averlo mai visto;
   il 1o comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali»;
   da segnalare, infine, il caso di E. H. che da un anno aspetta di fare una radiografia per una caduta accidentale dalle scale del carcere;
   rimangono purtroppo tuttora valide tutte le questioni poste nella precedente interrogazione n. 4-12744 –:
   se sia a conoscenza dei fatti rappresentati in premessa;
   quali siano le ragioni del peggioramento delle condizioni già disastrate del carcere di Pistoia;
   da quanto tempo il magistrato di sorveglianza non visiti i locali ove si trovano i detenuti;
   se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro le esigenze dei vari servizi del carcere di Pistoia, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo;
   quali siano le ragioni dell'eccessivo aumento dei prezzi del sopravvitto e se ritenga di dover intervenire;
   se risulti se sia stata programmata la radiografia del detenuto E.H.;
   quali siano i costi, nel carcere di Pistoia, della creazione di locali da adibire alla costituzione della banca dati del DNA;
   se negli altri 205 istituti penitenziari italiani siano state già costituite le banche dati del DNA e a quanto ammonti la spesa complessiva effettuata o da effettuare;
   se a seguito dell'approvazione della legge di ratifica del trattato di Prum sia stata approvata e diramata una regolamentazione organica e standard operativi chiari che indichino criteri etici in grado di garantire il rispetto dei concorrenti diritti di riservatezza, libertà e pubblica sicurezza;
   se il Governo non intenda assumere iniziative normative volte a garantire forme alternative di esecuzione della pena per chi deve scontare un breve residuo di pena relativamente a fatti di reato commessi in epoca molto risalente nel tempo. (4-15927)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 3 maggio sul quotidiano II Corriere della Sera è uscito un articolo firmato da Antonio Crispino intitolato: «Ecco come pestavamo i detenuti», le intercettazioni dei cinque agenti di Asti;
   l'articolo in questione riporta fatti e circostanze di una gravità enorme e per questo motivo la prima firmataria del presente atto ritiene opportuno riportarne integralmente il contenuto: «La falange del dito destro l'hanno cercata tutto il giorno in cella. Era nello stomaco del detenuto assieme ai tendini strappati alla guardia penitenziaria. A.P. era intervenuto per sedare una rissa nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto. Lui, piccolo, magro, contro un extracomunitario due volte la sua altezza, rinchiuso in una piccola cella da chissà quante ore. Esasperato, non ci ha visto più e l'ha aggredito. I colleghi, i sindacati, la stampa sono intervenuti per sottolineare la gravità del fatto, la violenza che si vive quotidianamente in carcere. Tra l'altro anche la beffa giudiziaria di vedere assolto il proprio aggressore. Ma la violenza in carcere ha tante facce. Quella più oscura è quella sui detenuti, difficile da trattare, da dimostrare e persino da ipotizzare. Quello che avviene all'interno del carcere resta chiuso tra quattro mura. Nessuno denuncia niente. O si trova il modo di fargli cambiare idea. “A Sollicciano, il carcere fiorentino, i detenuti si stavano rivoltando per i pestaggi. Le rivolte sono state sedate con la semplice promessa che li avrebbero fatti lavorare e guadagnare qualche soldo in carcere” racconta Alessio Scandurra dell'associazione Antigone. Andiamo a Poggioreale. Da qui ci giungono la maggior parte di segnalazioni di violenze, pestaggi, vessazioni. “Non credete a quello che vi fanno vedere. Sicuramente vi porteranno nei reparti migliori come l'Avellino. Ma negli altri reparti i detenuti malmenati non si contano”. Lo scrive la moglie di un ragazzo detenuto a Poggioreale da quattro anni. Quasi una veggenza. Il giorno dopo ci portano a visitare il padiglione Avellino e quello Venezia. Tutto pulito e nuovo. I detenuti all'interno non ci sono. Solo televisori accesi. Non ci permettono di parlare con nessuno. La nostra domanda è sempre la stessa: “Vi risultano violenze in carcere ?”. Quando un anziano si avvicina alle sbarre e inizia a raccontare qualcosa, il capitano delle guardie penitenziarie di Poggioreale ci spintona via, cerca di strapparci la telecamera di mano. “Se non chiudi ’sta telecamera te la spacco in testa”. La visita finisce lì. Ma è ad Asti che capiamo bene cosa davvero può succedere in un carcere. Le intercettazioni di un processo descrivono cinque guardie dedite quotidianamente al pestaggio. Ma la scoperta avviene per caso. Gli inquirenti se ne accorgono seguendo il filone della droga che gira in quel carcere. Troppa. Tanti detenuti, anche non tossicodipendenti, risultati positivi ai test durante le visite mediche. Sono gli agenti che la portano, insieme con i superalcolici ed altro. Si scopre uno strano scambio di favori tra guardie e detenuti che consigliano dove comprare la cocaina. Da qui vengono fuori pestaggi gratuiti, ingiustificati, coperti dall'omertà degli altri agenti, il digiuno forzato (fin anche una settimana) e poi le celle. Quelle di isolamento. “Le chiamavamo una estiva e l'altra invernale” racconta Andrea Fruncillo, una ex guardia penitenziaria cacciata dal corpo per favoreggiamento ai detenuti e altri reati. Lui era tra quelli che assistevano ai pestaggi, per non dissociarsi girava la faccia dall'altra parte. “Nella invernale li portavamo quando faceva freddo perché alle finestre non c'erano i vetri. In quella estiva quando era troppo caldo. La finestra c'era ma era sigillata con una lamiera e solo due buchi per far passare l'aria”. I particolari che racconta sono agghiaccianti. Tutti riscontrati nel processo di primo grado conclusosi a fine gennaio scorso. “Tutti assolti” scrive il giudice. Secondo il magistrato i comportamenti delle guardie configurerebbero il reato di tortura e in Italia sono anni che si tenta di introdurlo nel nostro ordinamento. L'udienza di appello è stata fissata il 21 maggio prossimo. “Prima che un'altra sentenza di Stato racconti una verità di carta – dice Fruncillo – voglio che la gente sappia cosa avviene in quel carcere e penso in tanti altri posti. Sono stanco di vedere davanti agli occhi gente pestata. Vivo con il rimorso di non aver denunciato prima. È ora che se ne parli e si inizi a parlare di questo strazio”»;
   nella legislazione italiana non è stato introdotto il reato di tortura come previsto dagli impegni che l'Italia ha assunto quando ha sottoscritto l'adesione alla convenzione ONU contro la tortura;
   il Governo nella seduta dell'8 giugno 2011 aveva accolto un ordine del giorno (9/1439-A/2) della prima firmataria del presente atto che lo impegnava a predisporre con la massima urgenza un disegno di legge volto ad introdurre il reato di tortura nel nostro codice penale;
   l'effettiva prevenzione della tortura e delle altre pene crudeli, inumane o degradanti richiede misure non solo in campo legislativo, amministrativo e giudiziario ma anche in quello dell'educazione –:
   quali provvedimenti disciplinari siano stati adottati nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria responsabili dei fatti accaduti nel carcere di Asti;
   se il Governo non ritenga di chiarire la sua posizione in merito alle effettive misure adottate per prevenire gli atti di tortura e le altre pene crudeli, inumane o degradanti;
   se il Governo non ritenga di esporre le motivazioni della mancata presentazione del disegno di legge di ratifica del protocollo aggiuntivo alla convenzione ONU contro la tortura, firmato nel 2003. (4-15929)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano La Nuova Sardegna dello scorso 29 aprile, un detenuto, cittadino nigeriano, ha tentato di togliersi la vita nel carcere di San Sebastiano;
   a salvargli la vita sono stati gli agenti di polizia penitenziaria i quali, dallo spioncino della serratura del bagno, hanno visto i piedi dell'uomo penzolare, dopodiché hanno sfondato la porta e afferrato il corpo del detenuto prima che fosse troppo tardi, liberandogli il collo dal cappio, creato con le lenzuola della branda. I medici che l'hanno soccorso hanno parlato di intervento in extremis: qualche istante di ritardo, e sarebbe spirato –:
   quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il tentato suicidio;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di San Sebastiano;
   quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di San Sebastiano e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario.
(4-15945)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 30 aprile il Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) ha chiesto conto al Ministro della Giustizia delle spese sostenute dall'Amministrazione penitenziaria in redazione alla partecipazione del Capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Giovanni Tamburino, al convegno dell'Unione camere penali che si è tenuto a Chiavari il 28 aprile 2012;
   nel comunicato è dato leggere quanto segue: «Si è trattato di un Convegno certamente interessante sul tema del carcere e delle misure alternative. Ma da quel che si è visto nelle riprese tv dei telegiornali erano tra gli altri presenti nella sala tutti i Direttori e i Comandanti delle carceri liguri, il Provveditore regionale ligure e molte unità di Polizia Penitenziaria provenienti da tutta la Regione per rappresentanza ed autisti. Quanto è costato tutto ciò in termini di servizi di missione, ore di straordinario, consumo carburante, evidentemente solo per garantire un servizio autoreferenziale al Capo del Dap, soprattutto ora che si invoca sobrietà e risparmio tanto che non si pagano lo straordinario e le missioni ai poliziotti che lavorano in carcere ? Persino le mura del carcere di Chiavari sono state ridipinte in tutta fretta in onore della visita del Capo Dap, come se questo potesse bastare a risolvere i problemi della struttura: perché Tamburino non è andato a visitare il carcere di Marassi, con oltre 800 presenti a fronte di 400 posti letto, o quello di Savona, a vedere le persone detenute in celle senza finestre ?» –:
   a quanto ammontino le spese sostenute dall'amministrazione penitenziaria in occasione dell'evento che si è tenuto a Chiavari il 28 aprile 2012;
   se e in quali modi il Ministro interrogato intenda intervenire al fine di vigilare e, quindi, evitare che, soprattutto in un delicato momento di crisi economico-finanziaria e di mancanza di fondi financo per l'acquisto dei beni di prima necessità per le persone recluse, abbiano a verificarsi spese inutili in danno dei detenuti stessi e del personale della polizia penitenziaria. (4-15946)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal La Gazzetta del Sud del 29 aprile 2012, trasferire i detenuti da un carcere all'altro per farli colloquiare costerebbe troppo e quindi il Ministero della giustizia avrebbe imposto lo stop ai viaggi delle persone private della libertà personale, evitando così che i blindati sprechino carburante;
   la disposizione penalizza tutti quei reclusi, che, ad esempio, vorrebbero fosse soddisfatto il diritto di avere un dialogo con un parente, ristretto altrove. È il caso di Carmelo Porto, rinchiuso nella casa circondariale di Catania Bicocca, il quale ha invocato di essere trasportato con un blindato a Messina per un faccia a faccia con la figlia Francesca, dietro le sbarre nella prigione di Gazzi. Ma il direttore dell'ufficio detenuti e trattamento, del dipartimento Amministrazione penitenziaria, ha vietato il trasferimento con la seguente motivazione: «Ostano ragioni che impongono il mantenimento delle rispettive sedi di assegnazione. L'attuale situazione finanziaria, che già comporta sforzi al fine di assicurare le traduzioni, non consente di dare seguito alla richiesta, che imporrebbe rilevanti e non sostenibili oneri, in termini di risorse umane e logistiche» –:
   se e quali provvedimenti si intendano assumere per evitare che in futuro il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria decida di vietare nuovamente le richieste di trasferimento di quei detenuti che intendono esercitare il loro sacrosanto diritto ad avere un colloquio con un parente ristretto in un altro istituto di pena. (4-15947)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa il 1° maggio 2012, l'Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria), attraverso il suo responsabile generale Leo Beneduci, ha protestato contro la creazione di nuovi padiglioni nel carcere di Biella, con il conseguente aumento della popolazione carceraria, mentre la carenza del personale resta invariata;
   in particolare i responsabili dell'Osapp hanno dichiarato quanto segue: «All'interno del penitenziario biellese sono conclusi i lavori per i due nuovi padiglioni che, sulla carta, dovrebbero ospitare 200 reclusi, in aggiunta agli altri 300 già presenti nella parte vecchia della casa circondariale. Il timore del personale, però, è che i detenuti possano lievitare a più di 300. E questo a fronte di un organico di 180 agenti, quindi carente del 50 per cento. I carichi di lavoro, infatti, aumenteranno e già i poliziotti sono in difficoltà con piantonamenti, traduzioni e altro. Tutto questo, a Biella come altrove, si ripercuote su due fronti. Il primo riguarda la sicurezza del personale, costretto anche a turni estenuanti, mentre il secondo la sicurezza degli stessi reclusi, che ci vengono affidati. Se vogliono aprire dei nuovi padiglioni allora ci diano dell'altro personale» –:
   se non intenda disporre quanto prima un immediato aumento del numero degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso la struttura penitenziaria biellese, ciò alla luce della costruzione del nuovo padiglione e del conseguente aumento, nel breve periodo, del numero dei detenuti ivi ristretti. (4-15948)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in un comunicato stampa del 3 maggio 2012, un gruppo di detenuti del carcere di Lanusei, la struttura penitenziaria dell'Ogliastra risalente al 1870, ricavata da un antico convento, hanno denunciato i numerosi disagi con i quali sono costretti a convivere;
   in particolare i detenuti scrivono quanto segue: «Siamo collocati in una cella non fumatori – hanno scritto – perché tra di noi ci sono alcuni che hanno gravi problemi respiratori avendo anche subito interventi chirurgici. Accade però che ogni tanto viene aggiunto qualche detenuto fumatore con inevitabili tensioni e rischi per la salute. Attualmente siamo in 6 ma in cella ci sono 7 brande e purtroppo presto aumenteremo di numero. Viviamo in condizioni non sopportabili anche perché siamo chiusi per troppe ore. Non ci sono soldi per poter svolgere qualche lavoro. Abbiamo trascorso un inverno freddissimo e ora, che siamo in procinto dell'estate ci preoccupano non poco le condizioni di vivibilità. Non abbiamo neppure la possibilità di avere neppure un po’ di acqua fresca. Il nostro convincimento è che non si possa andare avanti in questo modo. Diteci voi come ci dobbiamo comportare»;
   nel carcere di Lanusei le persone sono costrette a condividere spazi angusti e a trascorrere le giornate in totale inattività con evidenti rischi per la sicurezza considerando la oggettiva difficoltà a condividere la cella quando si è in sei persone e si registrano problemi di salute. In questo modo non è possibile la rieducazione e il reinserimento sociale e la detenzione si limita alla pena che incattivisce e disumanizza –:
   quali provvedimenti urgenti intendano adottare, sollecitare e promuovere, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di risolvere tutte le criticità strutturali che affliggono il carcere di Lanusei così come denunciate dagli stessi detenuti ivi reclusi. (4-15949)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia ASCA del 6 maggio 2012, un detenuto gravemente malato avrebbe rinunciato ad un intervento chirurgico per essere subito trasferito da Roma a Cosenza e incontrare la madre ed figlio minorenne che non vede dal giorno del suo arresto;
   secondo il leader del Movimento dei Diritti Civili, Franco Corbelli, «l'uomo chiede solo di poter incontrare la madre, da molti anni gravemente malata, e il figlio minorenne, entrambi residenti a Cosenza, che non vede dal momento del suo arresto. È una storia drammatica e incredibile, che evidenzia ancora una volta quali drammi, sofferenze, ingiustizie si consumano, in silenzio, nelle carceri italiane. Questo detenuto, che deve scontare una condanna per un piccolo reato, era stato, per motivi di salute, trasferito da Cosenza prima a Bari (dove è rimasto nove mesi) e quindi a Roma. Qui gli è stata diagnosticata una malattia per la quale avrebbe dovuto sottoporsi ad una operazione. I tempi di attesa per l'intervento però erano molto lunghi» –:
   per quali motivi il detenuto non sia ancora riuscito ad incontrare la madre malata ed il figlio minorenne dal momento del suo arresto;
   se non intenda valutare la possibilità di trasferire il detenuto presso un istituto di pena il più vicino possibile al luogo di residenza dei suoi familiari;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, sollecitare o promuovere al fine di garantire e tutelare il fondamentale diritto alla salute del detenuto. (4-15954)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 6 maggio 2012, sul quotidiano Il Messaggero Veneto, è apparso un articolo intitolato: «Pannella: vigilare sui lavori di ristrutturazione della Casa Circondariale»;
   l'articolo prende spunto da alcune dichiarazioni rilasciate dal leader radicale all'esito della visita ispettiva dallo stesso effettuata – insieme al consigliere regionale del PdL Gaetano Valenti e al candidato consigliere Pietro Pipi – all'interno del penitenziario di Gorizia;
   in merito alle condizioni in cui versa la struttura penitenziaria goriziana Marco Pannella ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: «Il carcere di Gorizia necessita di manutenzione, ma non è in condizioni peggiori rispetto a quelle che ho trovato nelle altre case circondariali che ho visitato in questi anni. Mi ha colpito scoprire che nel penitenziario operano quaranta agenti di Polizia a fronte di una popolazione carceraria di appena 39 detenuti, venti dei quali romeni. Dal tetto però filtra l'acqua, mentre un'intera stanza, con uno splendido pavimento in cotto, non può essere utilizzata: si rischia il cedimento. Bisogna individuare i responsabili della ditta che ha eseguito i lavori e farsi restituire i soldi. Ora arriveranno circa 2 milioni di euro: sarà compito delle istituzioni vigilare affinché i lavori vengano effettuati a regola d'arte» –:
   se intenda acquisire ulteriori informazioni, anche attraverso un'ispezione, in merito alle ragioni delle carenze strutturali del suddetto carcere;
   se e quali urgenti provvedimenti ritenga opportuno adottare al fine di rimuovere le rilevate disfunzioni e carenze dell'istituto di pena in esame, e garantire adeguate misure di sicurezza ai detenuti e al personale in servizio presso la struttura stessa;
   se, infine, non ritenga opportuno verificare le ragioni che hanno causato la cattiva esecuzione dei lavori di ristrutturazione e la presenza di eventuali sprechi nella conduzione dei lavori medesimi.
(4-15955)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano La Nuova Sardegna il 6 maggio 2012, all'interno dell'istituto penale minorile di Quartucciu gli agenti di polizia penitenziaria operano in condizioni che rasentano l'insostenibilità;
   la denuncia proviene da un comunicato firmato dalla segreteria provinciale della Cgil Funzione pubblica nel quale è dato leggere quanto segue: «La carenza oramai strutturale dell'organico, corroborata dalla mancanza di investimenti, mettono costantemente in discussione i diritti alla salute, alla sicurezza e alla cittadinanza dei detenuti. A fronte di un organico di polizia penitenziaria di 47 unità, all'istituto ne sono assegnate solo 27. La situazione risulta ulteriormente aggravata dalle attività svolte presso il Centro di prima accoglienza di Quartucciu, limitrofo all'Ipm che, non avendo personale proprio, utilizza quello in servizio nell'Istituto di pena minorile. Senza contare lo stato di degrado della caserma agenti: in tutte le camere manca l'acqua calda. Solo in una camera della foresteria è presente un boiler. Tutti i poliziotti che pernottano in caserma devono a turno usufruire dell'unica doccia disponibile che, per ovvi motivi, non può essere usata dalle unità di polizia penitenziaria femminile. Per garantire lo svolgimento di tutte le attività trattamentali che si svolgono nell'Istituto, le traduzioni dei detenuti verso la penisola, per tutti i compiti istituzionali e il mantenimento dell'ordine e della sicurezza interna, si ricorre richiamando il personale di polizia penitenziaria dal congedo ordinario e dai riposi. Questo determina un elevato numero di riposi e di ferie non fruite, in alcuni casi accumulate fin dal 2010» –:
   se quanto denunciato segreteria provinciale della Cgil-funzione pubblica corrisponda al vero;
   se non intenda provvedere all'immediato potenziamento dell'organico degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso la struttura penitenziaria minorile di Quartucciu;
   quali provvedimenti urgenti intenda effettuare all'interno della caserma degli agenti di polizia penitenziaria in modo da rendere accettabili le loro condizioni di lavoro e, in particolare, se non ritenga urgente e necessario attivarsi per garantire la presenza dell'acqua calda per tutti gli agenti ivi assegnati. (4-15956)


   TOUADI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 4 aprile 2012 il quotidiano La Repubblica, edizione di Roma, pubblicava un lungo e dettagliato articolo dal titolo «Cliniche a cinque stelle per detenuti ecco i soggiorni sanitari dei boss»;
   il lungo articolo ripercorreva la concessione «facile» di arresti ospedalieri ad importanti esponenti della criminalità organizzata come Michele Senese e Damaso Grassi, quest'ultimo arrestato nell'ambito di una maxi inchiesta antidroga denominata «Fire and Ice» coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Roma;
   Michele Senese secondo quanto emerso in molteplici indagini della direzione distrettuale antimafia di Roma è un boss di peso nel panorama criminale della malavita romana e laziale;
   lo stesso Senese è stato condannato a 17 anni di carcere per aver promosso e diretto un'associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga operativa nella capitale;
   le indagini del ROS coordinate dalla direzione distrettuale antimafia hanno fatto emergere come Senese fosse anche un punto di riferimento per i rappresentati di altre mafie nella capitale;
   nell'ambito delle indagini sul ferimento di Vito Triassi avvenuto a Roma il 20 settembre 2007 emergeva come Michele Senese fosse intervenuto per far evitare una guerra tra opposti schieramenti della criminalità organizzata attiva in Ostia;
   emergeva altresì nell'ambito del procedimento a carico di Pasquale Noviello, ed altri, ritenuto capo di una costola del clan dei casalesi operativa tra Anzio e Nettuno, come il Michele Senese fosse intervenuto sul Noviello, in virtù del suo carisma criminale, per tutelare un suo sodale;
   nell'ambito della sentenza di primo grado il giudice Luciano Imperiali sottolineava come in virtù di molteplici e convergenti motivi (dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni telefoniche e perizie) il Michele Senese sia stato dichiarato, in passato, erroneamente malato di mente in molti processi, evitando così le condanne;
   va altresì ricordato che Walter Domizi – narcotrafficante del quartiere di Primavalle recentemente condannato dalla corte d'appello di Roma a 17 anni per aver costituito e diretto un'associazione a delinquere transnazionale finalizzata al traffico di droga – risulta agli arresti ospedalieri per questioni di salute;
   si fa presente che già in altri casi esponenti apicali della criminalità organizzata hanno simulato malattie per poter fuggire dal carcere e continuare ad esercitare il proprio potere criminale –:
   se il Ministro sia a conoscenza di questi gravi fatti e se intenda avviare iniziative ispettive, per quanto di sua competenza, in relazione alla concessione degli arresti ospedalieri e domiciliari ai soggetti indicati in premessa e nell'articolo citato del quotidiano La Repubblica. (4-15969)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   la continuità territoriale, intesa come possibilità per tutti i cittadini di spostarsi nel territorio nazionale e comunitario, quindi, senza penalizzare cittadini residenti in territori meno favoriti o marginali, anzi, assicurando un servigio che offra condizioni economiche e qualitative uniformi, si inserisce nel quadro più generale di garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e di coesione di natura economica e sociale, promosso in sede europea. Il trasporto, infatti, è elemento essenziale del «diritto alla mobilità» previsto all'articolo 16 della Costituzione e costituisce un servizio di interesse economico generale tale, pertanto, da dover essere garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro dislocazione geografica. La peculiarità del mercato dei trasporti, peraltro, impedisce la realizzazione di un mercato concorrenziale effettivo, per questo è stata legittimata dalle istituzioni europee un'azione di sostegno che ha consentito interventi nazionali, altrimenti inammissibili in quanto rientranti nella sfera degli aiuti di Stato;
   il regolamento (CEE) n. 2408/92, del Consiglio, del 23 luglio 1992, sull'accesso dei vettori aerei della Comunità alle rotte intracomunitarie, ha stabilito un'apposita disciplina in materia di oneri di servizio pubblico, definendolo come «qualsiasi onere imposto a un vettore aereo di prendere tutte le misure necessarie, relativamente a qualsiasi rotta sulla quale sia stato abilitato a operare da parte di uno Stato membro, per garantire la prestazione di un servizio che soddisfi determinati criteri di continuità, regolarità, capacità e tariffazione, criteri cui il vettore stesso non si atterrebbe se tenesse conto unicamente del suo interesse commerciale», e prevedendo che uno Stato membro possa imporre oneri di servizio pubblico riguardo ai servizi aerei di linea qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico di determinate regioni;
   ai sensi della predetta normativa comunitaria, ai fini dell'imposizione degli oneri di servizio pubblico, gli Stati membri devono tener conto di una serie di parametri e in particolare: del pubblico interesse; della possibilità, in particolare per le regioni insulari, di ricorrere ad altre forme di trasporto e dell'idoneità di queste ultime a soddisfare il concreto fabbisogno di trasporto; delle tariffe aeree e delle condizioni proposte agli utenti; dell'effetto combinato di tutti i vettori aerei che operano o intendono operare sulla rotta;
   l'articolo 4 del citato regolamentò ha previsto quindi un meccanismo in due fasi; nella prima fase, (paragrafo 1, lettera a)) lo Stato membro interessato impone oneri di servizio pubblico su una o più rotte accessibili a tutti i vettori comunitari, a condizione che essi rispettino i suddetti oneri. Se nessun vettore si presenta per gestire tale rotta onerata, lo Stato membro può passare ad una seconda fase (paragrafo 1, lettera d)) che consiste nel limitare l'accesso della rotta ad un solo vettore, selezionato sulla base di una gara d'appalto comunitaria, per un periodo massimo di tre anni, rinnovabile. Il vettore designato può allora ricevere una compensazione;
   tali principi sulla continuità territoriale hanno poi trovato conferma in numerose occasioni a livello europeo:
    il Parlamento europeo, nella risoluzione del 3 febbraio 2003, in materia di libro bianco sulla politica dei trasporti, ha affermato «la necessità imperativa che la politica dei trasporti contribuisca alla coesione economica e sociale, tenendo conto della peculiare natura delle regioni periferiche insulari»;
    il documento «Regioni gravate da svantaggi strutturali», del Comitato economico e sociale, enuncia fra i principi in materia di continuità territoriale quello di «discriminazione positiva», in base al quale le misure destinate a taluni territori e volte a controbilanciare i vincoli strutturali permanenti non costituiscono vantaggi indebiti bensì elementi che contribuiscono a garantire un'autentica parità;
    l'articolo 154 del Trattato di Amsterdam (oggi articolo 174 TFUE), infine, con la dichiarazione n. 30 ad esso allegata, recita: «la conferenza riconosce che le regioni insulari soffrono, a motivo della loro insularità, di svantaggio strutturale il cui perdurare ostacola il loro sviluppo economico e sociale». Principio di insularità confermato dalla Conferenza intergovernativa di Capi di Stato e di Governo riuniti a Nizza il 7/8/9 dicembre 2000;
   in Italia è stata la legge 17 maggio 1999, n. 144, a dare attuazione al regolamento (CEE) n. 2408/92 e a disciplinare le modalità di organizzazione della continuità territoriale per la Sardegna e le isole minori della Sicilia dotate di scali aeroportuali. In particolare l'articolo 36 della citata legge, al fine di garantire la continuità territoriale, ha previsto, sulla base del suddetto regolamento comunitario, procedure e contenuti degli oneri di servizio pubblico per i servizi aerei di linea relativi alle zone indicate. La norma in questione ha previsto che la determinazione dei contenuti dell'onere di servizio pubblico debba essere disposta con decreto ministeriale, e debba avvenire previa Conferenza di servizi appositamente indetta dal Presidente della Regione, che deve essere altresì sentito ai fini dell'emanazione del decreto ministeriale con il quale si dispone lo svolgimento della gara europea, qualora nessun vettore accetti gli oneri di servizio pubblico. Tale normativa ha trovato applicazione con il decreto del Ministro dei trasporti 10 agosto 2000, successivamente modificato limitatamente all'importo delle tariffe, dal decreto del ministro dei trasporti 21 dicembre 2000, con il quale sono stati imposti oneri di servizio pubblico su sei rotte tra gli aeroporti della Sardegna e quelli di Roma e Milano;
   con successivo decreto del Ministro dei trasporti in data 8 novembre 2004 è stato previsto, poi, un nuovo regime relativo agli oneri di servizio pubblico sulle rotte aeree con la Sardegna. La nuova disciplina individuava diciotto rotte con i relativi oneri, precisando che esse costituivano un unico pacchetto che doveva essere accettato interamente ed integralmente dai vettori interessati, senza compensazioni di qualsivoglia natura o provenienza;
   con sentenza in data 17 marzo 2005 il tribunale amministrativo regionale del Lazio, accogliendo i ricorsi presentati da alcune compagnie aeree, annullava parzialmente il suddetto decreto;
   anche sulla base degli esiti della conferenza di servizi, nella quale era stata chiesta una sostanziale modifica del contenuto della precedente imposizione di oneri, il successivo decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 15 novembre 2005 ha definitivamente abrogato il decreto 8 novembre 2004, stabilendo di procedere ad una integrale riformulazione dell'intero contenuto del provvedimento;
   con i decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 29 dicembre 2005 n. 35 e n. 36, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dell'11 gennaio 2006, sono stati, quindi, imposti oneri di servizio pubblico complessivamente su 16 collegamenti tra i tre scali aeroportuali della Sardegna e una serie di aeroporti nazionali; costituendo una rete più ampia che in precedenza e comprensiva, oltre che degli aeroporti di Roma e Milano, anche degli aeroporti di Bologna, Torino, Firenze, Verona, Napoli e Palermo. Tale nuova disciplina della continuità territoriale integrava, inoltre, le categorie di passeggeri beneficiari estendendo anche ai non residenti nati in Sardegna le relative agevolazioni sul prezzo del biglietto;
   la Commissione europea (CE) con decisione del 23 aprile 2007 n. 332 interveniva sulla nuova normativa chiedendo allo Stato italiano la cancellazione del predetto regime tariffario in quanto «contrario al Trattato europeo perché discriminatorio», precisando che gli oneri di servizio pubblico (OSP) possono essere utilizzati anche per la Sardegna a condizione che lo si faccia «nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità. Essi devono essere debitamente giustificati», in quanto «sono definiti come un eccezione al principio del regolamento, ai sensi del quale, lo (gli) Stato(i) membro(i) interessato(i) permette (permettono) ai vettori aerei comunitari di esercitare diritti di traffico su rotte all'interno della Comunità». La censura riguardava, in particolare, il nuovo regime di continuità nella parte in cui prevedeva agevolazioni ai non residenti in Sardegna, mentre a giudizio della Commissione «i vettori aerei non hanno l'obbligo di offrire tariffe agevolate ai nati in Sardegna, anche se residenti fuori Sardegna»;
   il successivo decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 3 luglio 2007, n. 87-T ha, pertanto, modificato il precedente decreto 29 dicembre 2005 n. 35, sottoponendo al regime degli oneri di servizio pubblico i soli aeroporti di Roma Fiumicino e di Milano Linate;
   il decreto del Ministro dei trasporti 1o agosto 2007, n. 117-T ha poi abrogato, a decorrere dal 26 ottobre 2008, il decreto 29 dicembre 2005, n. 35, che imponeva gli oneri di servizio pubblico tra i tre aeroporti sardi e gli aeroporti di Roma Fiumicino e Milano Linate, in vista degli esiti di una nuova conferenza di servizi che determinasse, anche in relazione alle valutazioni espresse dalla Commissione europea, il contenuto della nuova imposizione di oneri di servizio pubblico per la regione Sardegna;
   tenendo conto delle valutazioni espresse in sede comunitaria e delle risultanze della conferenza di servizi riunitasi con il compito di modificare l'assetto della continuità territoriale della regione Sardegna e alla luce della decisione della Commissione europea del 23 aprile 2007, con il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 5 agosto 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 199, del 26 agosto 2008, sono imposti, a decorrere dal 27 ottobre 2008, oneri di servizio pubblico tra i tre aeroporti sardi e gli aeroporti di Roma Fiumicino e Milano Linate;
   da ultimo il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 9 marzo 2009 – considerata la necessità di uniformarsi alla decisione della Commissione europea per quanto riguarda la censura sull'estensione delle tariffe agevolate anche ai non residenti nati in Sardegna – ha nuovamente regolamentato l'individuazione delle categorie di passeggeri a cui è riservata la tariffa agevolata, modificando il precedente decreto ministeriale n. 36 del 2005, relativo agli oneri di servizio pubblico tra i tre aeroporti della Regione Sardegna e altri aeroporti nazionali diversi da Roma Fiumicino e Milano Linate e ha disposto che tali tariffe sono applicabili a: residenti in Sardegna; disabili; giovani dai 2 ai 21 anni; anziani al di sopra dei 70 anni; studenti universitari fino al compimento del ventisettesimo anno di età (queste ultime quattro categorie senza alcuna discriminazione legata al luogo di nascita, di residenza e nazionalità);
   in materia di continuità territoriale era, nel frattempo, intervenuto il Parlamento che con l'articolo 1, comma 837, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha disposto il trasferimento in capo alla regione Sardegna delle funzioni relative alla continuità territoriale, stabilendo al comma 840 dello stesso articolo che, transitoriamente, per gli anni 2007, 2008 e 2009, gli oneri relativi alle funzioni trasferite ai sensi del comma 837 rimanessero a carico dello Stato. Tale modifica, che ha assegnato alla regione autonoma Sardegna la competenza della continuità territoriale, non ha, peraltro, modificato le precedenti disposizioni sulla continuità territoriale contenute nell'articolo 36 della legge n. 144 del 1999;
   anche a livello europeo cambiava, seppure parzialmente, il quadro normativo; con il regolamento di rifusione n. 1008 del 2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008, recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità (capo III), è stata infatti ridefinita la disciplina degli oneri di servizio pubblico confermando la facoltà per uno Stato membro di imporre tali oneri riguardo ai servizi aerei di linea effettuati tra un aeroporto comunitario e un aeroporto che serve una regione periferica o in via di sviluppo all'interno del suo territorio o una rotta a bassa densità di traffico verso un qualsiasi aeroporto nel suo territorio, qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico e sociale della regione servita dall'aeroporto stesso e individuando i criteri in base ai quali deve essere valutata la necessità e l'adeguatezza dell'onere di servizio pubblico;
   in particolare, l'articolo 16, comma 10, ha previsto che il diritto di effettuare tali servizi sia concesso tramite gara pubblica, per rotte singole o, nei casi in cui ciò sia giustificato per motivi di efficienza operativa, per serie di rotte a qualsiasi vettore aereo comunitario abilitato a effettuarli, mentre l'articolo 17 disciplina, la procedura della gara di appalto stabilendo, al comma 3, i contenuti del bando di gara e del successivo contratto e, in particolare, prevedendo, alla lettera e), i parametri obiettivi e trasparenti sulla base di quali è calcolata la compensazione, ove prevista, per la prestazione dell'onere di servizio pubblico;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti quindi con nota n. 0052194 del 23 dicembre 2009 ha conferito al presidente della regione autonoma della Sardegna, ai sensi del comma 3 dell'articolo 36 della legge del 17 maggio 1999 n. 144, la delega ad indire e presiedere una conferenza di servizi, con il compito di individuare il contenuto dell'imposizione di oneri di servizio pubblico sulle rotte da e per la regione Sardegna in conformità al regolamento (CE) n. 1008/2008;
   sull'argomento è intervenuta la Camera dei deputati con l'approvazione all'unanimità in Commissione trasporti della risoluzione n. 8-00064 del 21 aprile 2010. Con tale risoluzione si impegna il Governo ad avviare un «immediato confronto per ridefinire, nell'ambito della conferenza di servizi che il Presidente della Regione Sardegna è stato delegato ad istituire e presiedere dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la disciplina della continuità territoriale, superando quella vigente... per pervenire a un modello di continuità territoriale intesa come un fattore di riequilibrio di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e di garanzia del diritto alla mobilità per i territori svantaggiati, tenendo conto anche di quanto previsto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», assumendo «le appropriate iniziative volte a verificare, con i competenti organismi comunitari e nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli indirizzi stabiliti dalla Commissione europea, la possibilità di estendere il regime di continuità territoriale a tutti i cittadini, in ottemperanza al principio di non discriminazione riaffermato dalla decisione della Commissione n. 2007/332/CE, del 23 aprile 2007, e, nell'ambito delle competenze attribuite ai singoli soggetti istituzionali dalla normativa vigente, a prevedere che a tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale ed europeo che intendano effettuare voli da e per la Sardegna sia applicata la tariffa sottoposta ad onere di servizio pubblico, in modo da garantire il rispetto del principio di riequilibrio territoriale in relazione all'insularità della regione;
   il 14 gennaio 2011, dopo un anno dalla delega conferita dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti al presidente della regione, sono stati pubblicati sul supplemento ordinario n. 19 alla Gazzetta Ufficiale n. 21 del 27 gennaio 2011, i decreti n. 11, n. 12 e n. 13 contenenti le nuove regole relative all'imposizione dell'onere del servizio pubblico e le relative procedure e oneri per la realizzazione del servizio e disponendo la loro entrata in vigore a partire dal 27 marzo 2012;
   con tali decreti sono stati imposti gli oneri di servizio pubblico sulle seguenti rotte: «Cagliari-Milano Linate e viceversa, Cagliari-Bologna e viceversa, Cagliari-Torino e viceversa, Cagliari-Verona e viceversa, Olbia-Napoli e viceversa, Olbia-Bologna e viceversa, Olbia-Genova e viceversa, Olbia-Palermo e viceversa, Olbia-Firenze e viceversa, Alghero-Roma Fiumicino e viceversa, Alghero-Venezia e viceversa, Alghero-Bari e viceversa, Tortoli-Roma Fiumicino e viceversa, Tortoli-Milano Linate e viceversa» (decreto n. 11); «Alghero-Milano Linate e viceversa, Cagliari-Roma Fiumicino e viceversa, Olbia-Roma Fiumicino e viceversa, Olbia-Milano Linate e viceversa» (decreto 12); «Cagliari-Firenze e viceversa, Cagliari-Napoli e viceversa, Cagliari-Palermo e viceversa, Olbia-Verona e viceversa, Alghero-Bologna e viceversa, Alghero-Torino e viceversa (decreto n. 13);
   un mese dopo, però, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti con decreto del 15 febbraio 2011, revocava i citati decreti n. 11, n. 12 e n. 13 del 14 gennaio, disponendo la proroga del precedente regime di continuità territoriale, in vigore dalla primavera del 2008;
   nelle motivazioni della revoca del provvedimento, il Ministro richiamava una formale richiesta in tal senso del presidente della regione Sardegna, al fine di «riesaminare i contenuti del regime onerato» dei decreti. Richiesta a giudizio degli interroganti abbastanza insolita, posto che i contenuti dei decreti sulla continuità territoriale aerea furono assunti, ai sensi dell'articolo 36 della legge n. 144 del 1999 e del regolamento (CE) 1008/2008, da una conferenza di servizi indetta e presieduta, su delega del Ministro, dal Presidente della Regione autonoma della Sardegna. Il «ripensamento» della regione Sardegna trovava causa nel fatto che il modello di continuità territoriale concordato non teneva conto di atti di indirizzo parlamentari e del consiglio regionale della Sardegna, che impegnavano gli esecutivi a non prevedere più distinzioni tariffarie tra residenti in Sardegna e non residenti;
   il Ministro il 14 febbraio 2011 ha, peraltro, nuovamente conferito al presidente della regione la delega ad indire e presiedere una nuova conferenza di servizi al fine di rideterminare il regime della continuità territoriale e, viste le risultanze della stessa, ha emanato il decreto 29 novembre 2011 relativo agli oneri di servizio imposti tra i tre scali della Sardegna e quelli di Roma e Milano;
   la regione Sardegna con la legge regionale 2 dicembre 2011, n. 25 ha approvato le «Norme per la copertura finanziaria della continuità territoriale aerea». Tale legge, all'articolo 1, prevede che «In attuazione dell'articolo 1, commi 837 e 840, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), è autorizzata nell'anno 2012 e per ciascuno degli anni 2013 e 2014 la spesa di euro 57.500.000 (UPB S07.06.001) finalizzata alla adozione di idonei programmi e/o interventi per favorire la continuità territoriale da è per la Sardegna;
   con l'informativa, pubblicata in data 12 gennaio 2012 nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, sono state, infine, assoggettate agli oneri di servizio pubblico, con decorrenza 25 marzo 2012, le seguenti rotte: Cagliari-Milano e viceversa, Cagliari-Roma e viceversa, Olbia-Milano e viceversa, Olbia-Roma e viceversa, Alghero-Milano e viceversa, Alghero-Roma e viceversa. Un mese dopo la regione, in data 11 febbraio 2012, ha indetto la gara per l'esercizio di servizi aerei di linea sulle medesime tratte, in conformità degli oneri di servizio pubblico, ai sensi del citato articolo 17, comma 3, del regolamento n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008, prevedendo le corrispondenti compensazioni determinate con legge regionale;
   il suddetto bando ha previsto una tariffa unica per i residenti in Sardegna e non, e il termine per la presentazione delle offerte delle compagnie interessate entro due mesi dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale europea;
   alla scadenza del citato termine nessuna compagnia aerea ha dimostrato interesse a partecipare. Le compagnie aeree Meridiana ed Alitalia hanno, peraltro, comunicato che il modello di continuità territoriale previsto dalla Regione Sardegna, pur rispettando gli obblighi contrattuali, è antieconomico considerate le possibili ricadute negative sui costi di gestione determinate dalla rigidità della struttura tariffaria;
   pochi giorni dopo, inoltre, le stesse compagnie aeree non hanno fatto pervenire offerte anche per le gare dei collegamenti in continuità territoriale fra gli aeroporti di Palermo, Catania e Trapani con quello delle isole minori della Sicilia, Pantelleria e Lampedusa;
   non avendo alcuna compagnia aerea dimostrato interesse a partecipare alla gara indetta dalla regione Sardegna, si corre il serio rischio di far ripiombare i cittadini sardi e non solo in una stagione di incertezza sui costi che dovranno sostenere da e per la Sardegna;
   anche considerando che l'articolo 1, comma 837, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha disposto, come è stato ricordato, il trasferimento in capo alla regione Sardegna delle funzioni relative alla continuità territoriale non possono, comunque, venir meno le responsabilità dello Stato in materia di trasporti dalla penisola da e per la Sardegna. È l'articolo 117 della Costituzione che definisce materie di legislazione concorrente quelle relative ai «porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione»; il secondo comma, lettera m), dello stesso articolo 117 afferma la piena responsabilità dello Stato «sui livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» e tale non può non intendersi per le regioni insulari il diritto alla mobilità affermato dal già richiamato articolo 16 della Costituzione. Tali responsabilità sono ancora più evidenti alla luce del fatto che – come risulta evidente dalla lettura dei bilanci di previsione e rendiconto per gli anni 2010, 2011, 2012, dai resoconti in sede di Commissione bilancio della Camera delle discussioni su tali provvedimenti, dalla vertenza aperta dalla regione Sardegna nei confronti dello Stato – lo Stato non ha mai corrisposto alla regione Sardegna le somme dovute in materia di compartecipazione erariale per far fronte alle nuove competenze in tema di continuità territoriale, nonché di trasporto pubblico locale e sanità, devolute dalla legge n. 296 del 2006. Con l'approvazione della legge regionale 2 dicembre 2011, n. 25, recante «Norme per la copertura finanziaria della continuità territoriale aerea», invece, la Sardegna ha fatto fronte con propri rilevanti stanziamenti ai relativi oneri economici;
   si può affermare in conclusione che la regione Sardegna paga una continuità territoriale che resta, ai sensi della legge n. 144 del 1999, di competenza dello Stato. La regione Sardegna, in attuazione dell'attribuzione di funzioni, disposta con le citate norme della legge n. 296 del 2006, ha onorato i suoi impegni, mentre lo Stato non ha fatto altrettanto, violando con ciò ad avviso degli interpellanti il principio costituzionale di leale collaborazione fra Stato e regioni –:
   se non reputi doveroso intervenire, d'intesa con la regione Sardegna, per mettere ordine in merito alle competenze in materia di continuità territoriale con la Sardegna, anche alla luce delle nuove competenze previste per l'Autorità di regolazione dei trasporti (articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011 come modificato dall'articolo 36 del decreto-legge n. 1 del 2012 convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2012;
   in particolare se non ritenga opportuno accelerare il passaggio definitivo delle funzioni alla regione, dando piena attuazione al nuovo regime di compartecipazione alle entrate erariali dello Stato ai sensi della legge n. 296 del 2006, pur considerando i già richiamati principi costituzionali e che il riequilibrio territoriale è un obiettivo riconosciuto dall'Unione europea, a cui lo Stato è chiamato a far fronte contribuendo con propri stanziamenti di bilancio;
   se non reputi comunque, in attesa che sia compiuto il passaggio delle funzioni relative alla continuità territoriale dallo Stato alla regione Sardegna, di dover contribuire con risorse statali agli oneri relativi, almeno in misura analoga a quanto assicurato in passato, anche in considerazione delle ingenti risorse finora messe a disposizione dalla regione medesima, non sufficienti, peraltro, a garantire l'integrale rispetto dei principi posti dall'Unione europea e la copertura dei costi indispensabili per offrire un servizio essenziale a condizioni non discriminatorie chiarendo, a tal fine, i contenuti del protocollo di intesa firmato il 7 settembre 2010, fra Governo, regione ed Enac e se corrisponda al vero che tale Protocollo contenesse l'impegno dello Stato di versare alla regione 16 milioni di euro per il quadriennio 2010-2013;
   se non reputi di dover intervenire con urgenza, attraverso un'ulteriore proroga dell'attuale regime, valida per i mesi estivi, per evitare che, a decorrere dal primo di giugno del corrente anno, i collegamenti aerei tra la Sardegna e la penisola siano svolti a condizioni incompatibili con i princìpi fondamentali in materia di continuità territoriale, ciò anche al fine di predisporre, in accordo con l'ENAC e la regione Sardegna un nuovo bando di gara rispettoso del miglior vantaggio per i cittadini della Sardegna;
   se non reputi, infine, indispensabile e urgente convocare le compagnie aeree che, oltre ad aver disertato la gara sui collegamenti aerei per la Sardegna, non hanno fatto pervenire offerte anche per le gare dei collegamenti in continuità territoriale fra gli aeroporti di Palermo, Catania e Trapani con quello delle isole minori della Sicilia, Pantelleria e Lampedusa.
(2-01482) «Calvisi, Ventura, Meta, Fadda, Marrocu, Melis, Arturo Mario Luigi Parisi, Pes, Soro, Schirru».

Interrogazione a risposta immediata:


   CICCIOLI, BALDELLI, CERONI, FITTO, VINCENZO ANTONIO FONTANA e VALDUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Camera dei deputati ha votato una mozione unitaria il 20 dicembre 2011, sulla proposta di regolamento di attuazione delle reti Ten-T (Trans-European Networks – Transport) presentata il 19 ottobre 2011 dalla Commissione europea, per includere nella rete centrale (core network) il corridoio Adriatico, dalle Marche fino alla Puglia, sede del porto di Taranto, hub di riferimento per il traffico container del Mediterraneo;
   a partire dal 2014, potrebbe manifestarsi un'insufficienza nei finanziamenti programmati per la realizzazione delle reti Ten-T, allontanando nel tempo la realizzazione dei progetti dei corridoi esclusi, e tra questi il corridoio Adriatico, con grave danno economico per lo Stato italiano e per le regioni marittime a causa del mancato sdoganamento e della mancata nazionalizzazione delle merci di esportazione, provenienti soprattutto dai Paesi produttori asiatici, le cui merci vengono dirottate attualmente nei porti del nord Europa (Amburgo, Rotterdam, Anversa, Brema) con grande vantaggio economico per quegli Stati –:
   quali iniziative abbia intrapreso il Governo, in sede comunitaria, a seguito della mozione unitaria votata alla Camera dei deputati il 20 dicembre 2011 sul completamento del corridoio Baltico-Adriatico verso Sud, lungo la costa adriatica, quali siano gli orientamenti nel caso in cui non si riesca ad includere tra i progetti prioritari europei l'intero corridoio dalle Marche fino alla Puglia e come il Governo intenda supplire allo svantaggio economico e sociale che si determinerebbe in queste regioni per essere state escluse dai finanziamenti nazionali ed europei e dalla rete centrale a livello di Unione europea (core network). (3-02259)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DELFINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il lotto 1.6 dell'autostrada Asti-Cuneo, corrispondente alla tangenziale di Cuneo, rappresenta un collegamento fondamentale per la viabilità del territorio;
   durante la Conferenza di servizi, tenutasi presso il Ministero delle infrastrutture e trasporti il 19 aprile 2012, è stato confermato che il lotto 1.6 risulta tra le opere già finanziate e che le risorse economiche necessarie sono disponibili;
   il mancato avvio dei lavori, nonostante la disponibilità delle risorse, sarebbe da attribuire al ricorso presentato dalla società Asti-Cuneo nei confronti dell'Anas, per cui solo dopo la sentenza del Tar il progetto potrà essere autorizzato e cantierato;
   la realizzazione della tangenziale è fondamentale sia per la viabilità della città che per lo sviluppo e la valorizzazione dell'economia cuneese, per cui risulta necessario intervenire affinché venga sollecitato l'avvio dei lavori in tempi certi, così come richiesto e ribadito dalle istituzioni locali –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di sollecitare il superamento dell'attuale stallo che impedisce di fatto la cantierabilità del progetto, già finanziato, relativo all'opera in parola. (5-06787)


   DELFINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella seduta dell'11 gennaio 2012 il Sottosegretario Improta, in risposta ad un precedente atto aveva affermato che gli elaborati progettuali preliminari della bretella autostradale Torino-Savona verso Savigliano-Saluzzo risultavano in fase di elaborazione;
   tali progetti sono stati già valutati positivamente dall'Anas per quanto attiene allo studio di fattibilità, i quali una volta approvati secondo i termini di legge consentiranno di redigere il progetto definitivo;
   numerose sono le sollecitazioni pervenute da parte delle organizzazioni imprenditoriali e dalle istituzioni locali in merito ai tempi medio-lunghi necessari alla conclusione dell’iter, tecnico-amministrativo, riferiti dal Sottosegretario nella medesima seduta;
   data l'importanza strategica della bretella autostradale verso Savigliano-Saluzzo per lo sviluppo del territorio e delle attività economiche e produttive presenti, sarebbe necessario riconsiderare i termini previsti per la conclusione delle procedure tecnico-amministrative necessarie per la realizzazione di tale collegamento –:
   se non ritenga opportuno attivarsi al fine di prevedere una rimodulazione dei tempi previsti per la conclusione dell’iter tecnico-amministrativo per la realizzazione dell'opera in parola in termini più stringenti, in modo da favorire gli investimenti per lo sviluppo economico della provincia. (5-06792)


   TORTOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il problema della bonifica degli ordigni bellici nell'ambito dei lavori pubblici e, in particolare, delle opere pubbliche di medie e grandi dimensioni assume una rilevanza prioritaria e va gestito con la massima attenzione;
   dai dati ufficiali del Ministero della difesa emerge il permanere di un elevato rischio di rinvenimento di ordigni residuati della 1a e 2a Guerra Mondiale; infatti, i ritrovamenti a seguito dell'attività di bonifica sono di circa 100.000 all'anno e tra questi rilevante è la presenza di bombe d'aereo;
   come emerge dai dati più recenti (il riferimento è agli ultimi due anni), alcune ditte stanno «rastrellando», a prezzi che l'interrogante ritiene troppo bassi in relazione agli standard di produzione massima consentiti dal genio Militare per ritenere correttamente eseguita la bonifica bellica e, pertanto, assolutamente insufficienti a remunerare anche il solo costo del personale;
   la scarsa attenzione posta in alcuni casi dai committenti nella scelta e nel controllo delle ditte specializzate alle quali affidare la bonifica bellica per la messa in sicurezza delle aree oggetto di scavo, ha contribuito, in alcuni casi, a determinare gravi irregolarità;
   tale situazione risulta simile pressoché su tutto il territorio nazionale ed oltre a determinare una concorrenza sleale, evidentemente comporta una riduzione di impiego di addetti alla bonifica bellica nonostante la copertura finanziaria prevista nei quadri economici che accompagnano i progetti in via di esecuzione causando anche un danno occupazionale;
   in particolare, la procedura per la bonifica bellica prevede che il soggetto che deve realizzare l'opera (ente pubblico, impresa concessionaria o appaltatrice) presenti il progetto al genio militare per il rilascio delle prescrizioni (specifiche e modalità operative); tale soggetto, unitamente all'impresa che deve realizzare la bonifica, sottoscrive dette prescrizioni;
   in particolare, il 10° reparto infrastrutture del genio indica in tali prescrizioni addirittura le quantità di produzione massima effettuabile in funzione dell'impiego di personale, mentre il 5° reparto, con una apposita nota, ha indicato un prezzo minimo al disotto del quale ritiene che l'attività di bonifica non possa essere fatta correttamente;
   questi limiti oggettivi imposti dal genio determinano pertanto in maniera univoca quantomeno la voce «costo del personale», alla quale poi andrebbero aggiunti i noli per le trivelle, il carburante e la logistica per il personale, nonché le spese generali e gli utili;
   nella pratica, accade spesso che importanti lavori siano stati appaltati a prezzi irrisori, ben al disotto del solo costo del personale;
   vi è il rischio, a giudizio dell'interrogante, che non sia impiegato personale sufficiente oppure che il lavoro venga eseguito solo parzialmente, del resto il genio militare può effettuare solo verifiche a campione sulle superfici da dichiarare bonificate;
   è bene sottolineare, peraltro, che il genio non effettua un collaudo, ma solo una verifica limitata al rispetto delle procedure, tanto che la responsabilità resta tutta in capo al committente e all'impresa di bonifica;
   gli scostamenti economici non sono di pochi punti percentuali, se è vero che ci sono stati lavori affidati ad 1/5 di quello che era il solo costo della mano d'opera;
   in sostanza, l'interrogante vede molto concreto il pericolo che poche ditte di bonifica pratichino prezzi allettanti per gli uffici acquisiti dei committenti, a scapito della stessa sicurezza;
   per fare solo alcuni esempi, risultano affidate con criteri non dissimili da quanto sopra riportato talune tra le opere più rilevanti degli ultimi anni, quali la BREBEMI, la TAV-BRESCIA/TREVIGLIO, la PEDEMONTANA LOMBARDA (primo tratto);
   vi sono poi altre opere in fase di affidamento o che, nell'imminente futuro, potrebbero ricadere tra questi criteri –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative abbiano assunto o intendano assumere per fronteggiare i gravi rischi segnalati. (5-06797)

Interrogazione a risposta scritta:


   MANCUSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2008, in collaborazione con un gruppo di lavoro coordinato dal Ministero della salute, Trenitalia modificò il proprio regolamento, permettendo di viaggiare sui treni Eurostar Italia effettuati con materiale ETR 460, ETR480 e ETR500, Eurostar Italia Alta Velocità, Treno TBiz: cani guida delle persone non vedenti, anche se accompagnate, e piccoli animali racchiusi nell'apposito contenitore delle dimensioni non superiori a cm. 32x32x50;
   secondo il medesimo regolamento cani di piccola, media e grossa taglia possono viaggiare sui treni Intercity, purché con guinzaglio e museruola e nell'ultima carrozza di seconda, mentre sui treni regionali i cani possono viaggiare sulla piattaforma o vestibolo dell'ultima carrozza, con la sola esclusione dell'orario dalle 7 alle 9 del mattino dei giorni feriali dal lunedì al venerdì, la cosiddetta fascia oraria dei pendolari;
   da pochi giorni opera sul mercato italiano una nuova compagnia ferroviaria: Italo Treno;
   nel regolamento di Italo si legge: «A bordo di Italo potrai trasportare – negli appositi contenitori da viaggio – animali domestici, quali cani di piccola taglia, gatti e altri piccoli animali da compagnia, purché di peso non superiore ai 10 kg;
   gli animali devono essere trasportati negli appositi contenitori (“trasportini”), che – nella misura di uno a viaggiatore – potranno essere alloggiati a bordo treno nelle bagagliere o nelle immediate vicinanze del tuo posto»;
   nel medesimo regolamento si legge che «Sono esclusi dal trasporto gli animali domestici pericolosi o malati»;
   nel 2010 il Ministero della salute ha abolito la lista dei «cani pericolosi»;
   la dicitura «animali malati» è pericolosamente generica e discrezionale;
   le persone e le famiglie che hanno un cane sono sempre più numerose, considerando il quattrozampe come un componente della famiglia stessa. Lo portano con sé in tutti gli spostamenti, ma il doverlo sottoporre a questi viaggi massacranti, non favorisce certo l'uso del treno, a vantaggio dell'auto privata. Una situazione che favorisce il contrario di quello che Governo, associazioni ambientali e altre fanno con la promozione dell'uso del mezzo pubblico a svantaggio di quello privato, più inquinante e con una gestione più problematica soprattutto nelle aree urbane;
   durante i periodi festivi, in particolare in estate, il fenomeno dell'abbandono dei cani ha il suo culmine proprio e anche per le difficoltà logistiche nel trasporto. Secondo il Ministero della salute (dati gennaio 2007) a fronte di quasi 6 milioni e mezzo di cani di proprietà, circa mezzo milione sono quelli randagi ospitati nei canili, quindi recuperati dopo essere stati abbandonati;
   andrebbero pertanto assunte iniziative volte a favorire il benessere degli animali e il loro rapporto con l'uomo, anche promuovendo la diffusione di modalità di trasporto non improntate, come nel caso di cui in premessa, a quella che appare all'interrogante una ingiustificata ostilità verso gli animali domestici –:
   se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a favorire condizioni di trasporto improntate al comune sentire «animal friendly» nazionale, anche svolgendo un'opera di sensibilizzazione e promuovendo delle apposite campagne di corretta informazione sul piano medico-veterinario. (4-15932)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dalla data del 2 maggio 2012, le postazioni di guardia medica della provincia di Matera sono senza vigilanza a causa della decisione dell'azienda sanitaria;
   com’è noto chi effettua servizio di guardia medica rischia di trovarsi spesso, soprattutto nelle ore notturne, di fronte a minacce di tossicodipendenti e malintenzionati, una situazione molto delicata in particolare per le donne medico;
   è davvero impensabile che nelle sedi della provincia venga soppresso il servizio di vigilanza,
   in altre regioni, ad esempio la Sardegna, si era ipotizzata la soppressione del servizio di vigilanza salvo poi ripristinarlo avendo riscontrato la pericolosità a cui andavano incontro gli operatori medici;
   è pensabile che sia possibile effettuare altre forme di risparmio, ma non su questo capitolo che riguarda la sicurezza di chi svolge un servizio importantissimo per la comunità –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per garantire la sicurezza delle postazioni di guardia medica in provincia di Matera. (3-02246)


   GARAGNANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in merito a quanto accaduto il 1o maggio a Bologna ove sono stati imbrattati negozi durante le manifestazioni ed i cortei si pone il problema non solo della giusta condanna di questi atti di delinquenza comune ma del ruolo che le autorità di pubblica sicurezza intendono svolgere in città, in presenza di atteggiamenti di «straordinaria indulgenza» da parte delle forze dell'ordine sottoposte peraltro ad un ruolo defatigante; atteggiamenti che non possono essere accettati pena il venir meno del significato di convivenza civile –:
   se esistano direttive del Ministro interrogato volte in teoria a evitare incidenti non intervenendo di fronte a gravissime violazioni della legalità come nel caso in questione, o se questura e prefettura a Bologna abbiamo scelto un basso profilo, d'intesa con il Ministero ovviamente, per non invelenire i rapporti con le frange estreme della sinistra cittadina;
   quali direttive abbia emanato il Ministero in casi come questi e se esitano – come è stato detto – eventuali pressioni per omettere esemplari azioni di tutela dell'ordine pubblico e di denuncia all'autorità giudiziaria, che l'interrogante auspica si attivi il più presto possibile. (3-02247)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa (Corriere di Bologna 11 gennaio 2012) i carabinieri di Bologna, in tre mesi di controlli, con il dispiegamento di 253 uomini, divisi in 72 posti di controllo, hanno realizzato una mappa con un censimento del fenomeno della prostituzione a Bologna identificando 248 ragazze, facendo loro compilare un modulo;
   secondo i dati raccolti dai Carabinieri, il 98 per cento delle prostitute sono di nazionalità rumena, l'1,8 per cento russe, l'1,6 per cento moldave e uruguaiane. L'età media si aggira intorno ai 26 anni;
   secondo quanto riferito nell'articolo l'Arma dei carabinieri chiederà all'Agenzia delle entrate di fare ulteriori verifiche e, in caso, di sottoporre quei patrimoni a una qualche forma di tassazione, come sarebbe possibile per qualsiasi attività di lavoro autonomo; inoltre, i dati raccolti dai carabinieri in strada sono al vaglio della seconda sezione Misure di prevenzione dell'Arma, un gruppo di specialisti che applica le misure restrittive sui patrimoni di provenienza illecita, ma che si sta occupando anche di spulciare stili di vita e beni di proprietà delle lucciole per segnalare al fisco le incongruenze rispetto al nulla dichiarato;
   il comandante provinciale dell'Arma, il colonnello Alfonso Manzo, secondo quanto riportato dalla cronaca del Corriere di Bologna l'11 gennaio 2012, dice che si tratta di un'iniziativa avviata lo scorso settembre e finalizzata soprattutto a tutelare le donne che sono sulla strada e che «tutto è fatto nel rispetto della legge» e che si tratta di «un modulo per capire chi sono le prostitute, in che condizioni vivono, se pagano affitti regolari». A tal proposito il procuratore aggiunto Valter Giovannini ha spiegato che «si tratta di assunzioni di informazioni con le quali i carabinieri possono trarre anche spunti investigativi» e che «se comunque qualche ragazza dovesse sentirsi schedata e pensasse di presentare un esposto, la Procura lo esaminerebbe»;
   secondo quanto dichiarato dalla fondatrice del Comitato per i diritti civili delle prostitute, «quello che stanno facendo a Bologna è un abuso, il censimento sulle prostitute portato avanti dai carabinieri in questi mesi è un'aperta violazione delle legge Merlin»; la legge Merlin all'articolo 7 recita: «Le autorità di pubblica sicurezza, sanitarie e qualsiasi altra autorità amministrati non possono procedere ad alcuna forma diretta o indiretta di registrazione, neanche mediante rilascio di tessere sanitarie, di donne che esercitano o siano sospettate di esercitare la prostituzione, né obbligarle a presentarsi periodicamente nei loro uffici» –:
   in base a quali criteri di prevenzione e lotta al crimine si sia autorizzato il dispiegamento di un numero così elevato di militari nella città di Bologna per un «censimento» in città del fenomeno della prostituzione motivandolo con il fatto che «i carabinieri possono trarre anche spunti investigativi»;
   se non ritengano che la mancanza di diritti legati alla professione della prostituzione, da quelli sanitari a quelli previdenziali, impedisca a coloro che si prostituiscono di poter regolarmente pagare le tasse e che sia quindi in netto contrasto la decisione di trasmettere le informazioni raccolte all'ufficio delle entrate per fare ulteriori verifiche delle prostitute censite/schedate;
   se tale azione svolta dall'Arma dei carabinieri a Bologna sia o meno in contrasto con quanto previsto dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo essendo, ad avviso degli interroganti, pregiudicato il diritto al rispetto della vita privata delle prostitute censite/schedate, e dalla legge sulla privacy (n. 675 del 1996, Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali);
   se in base al modulo dell'Arma dei carabinieri, utilizzato per il censimento/schedatura delle 248 prostitute, sussistano o meno gli estremi di una vera e propria schedatura che riguarderebbe un reato che non esiste nel codice penale e che pertanto sarebbe in aperta violazione dell'articolo 7 della legge Merlin. (5-06732)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un lancio dell'agenzia ANSA del 25 febbraio 2012, un 20enne sarebbe morto mentre si trovava in stato di arresto all'interno della camera di sicurezza della questura di Firenze;
   il giovane – in stato di arresto perché accusato di aver compiuto una rapina – sarebbe morto a causa di un malore e secondo i medici intervenuti sul posto, il decesso non sarebbe stato provocato da traumi di alcun tipo;
   pochi giorni fa un uomo di nazionalità marocchina, anch'esso in stato di arresto, si era impiccato sempre all'interno delle celle di sicurezza della questura di Firenze –:
   quanto fosse grande la cella di sicurezza all'interno della quale l'uomo è stato trovato morto;
   se la cella di sicurezza in questione godesse di illuminazione (in particolare di luce naturale) e di aerazione adeguata; se la stessa fosse attrezzata con mezzi di appoggio (per esempio sedie fisse o panche) e se nella stessa vi fosse un materasso e coperte pulite;
   se la persona morta suicida abbia potuto avere accesso ad un legale fin dalle fasi immediatamente successive all'arresto e quando il suo legale sia stato informato dell'arresto dalle forze dell'ordine;
   se l'uomo avesse dei parenti e se questi siano stati informati dell'avvenuto arresto;
   se l'uomo assumesse dei farmaci, se il medesimo fosse un alcolizzato cronico e se sia stato visitato da un medico durante le ore trascorse all'interno della cella di sicurezza;
   se non si ritenga opportuno distribuire sistematicamente uno stampato alle forze dell'ordine con l'elenco chiaro dei diritti che spettano alle persone detenute dalla polizia fin dall'inizio della loro custodia;
   se non si intenda avviare un programma urgente di potenziamento, ampliamento e ristrutturazione delle camere di sicurezza all'interno delle quali dovranno essere custodite le persone arrestate in flagranza di reato prima della convalida dell'arresto. (5-06766)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sul sito http://www.gertahumanreports.org/blog/?p=l 169&preview=true viene riportata la notizia della morte di un richiedente asilo del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo di nome Anthony;
   secondo quanto riferito da un suo amico, al Cara si sono presi cura di Anthony «portandolo in ospedale e poi riportandolo indietro» affermando che «stava bene», ma il giorno successivo Anthony «sentiva le gambe bloccate, le braccia bloccate» e solo in quel frangente la Croce Rossa lo ha riportato in ospedale dove è morto di lì a poco;
   sempre secondo le testimonianze raccolte dal sito internet www.gertahumanreports.org, non si tratterebbe del primo morto, tanto che un ospite, di nome Idris afferma «L'altra volta era un pakistano... oggi è un ghanese... un'altra volta, penso mentre lo trasferivano, un nigeriano è morto. Quindi chi è il prossimo ??? Chi ? Sono io ? O questo ragazzo ?... O chi verrà ?» –:
   se corrisponda al vero la morte segnalata dal sito www.gertahumanreports.org;
   se nel centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo si siano registrate altre morti, dal momento del suo insediamento;
   quali siano le condizioni di assistenza sanitaria all'interno del Centro e come vengano affrontate eventuali emergenze. (5-06781)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il signor Massimo Di Stefano gode del programma di protezione previsto dal decreto-legge n. 8 del 1991 per i collaboratori di giustizia sin dal dicembre del 1995; tale programma, ai sensi dell'articolo 9, comma 5, del succitato decreto-legge, è stato esteso, oltre che ai componenti del nucleo familiare, anche ad altri soggetti che intrattengono rapporti di parentela con il collaboratore, risultando anche questi esposti a grave e concreto pericolo;
   in data 13 maggio 2010, al collaboratore veniva comunicato lo stralcio del verbale di riunione del 27 aprile 2010 con il quale la Commissione centrale per le speciali misure di protezione ha deliberato di revocare il programma speciale di protezione;
   il provvedimento deliberativo è stato adottato in ragione di presupposti di fatto enunciati nel corpo del provvedimento, da cui emergerebbe la sussistenza di condotte asserite come incompatibili con l'assentito programma di protezione e con lo status di collaboratore di giustizia;
   a detta del collaboratore di giustizia e dei suoi familiari, invece, la revoca del programma di protezione sarebbe stata adottata senza una attenta valutazione di tutti gli interessi coinvolti omettendo, soprattutto, di valutare adeguatamente la situazione di pericolo concreto ed attuale alle quali il collaboratore sarebbe esposto in assenza delle misure di protezione e di tutela;
   per questi motivi il signor Di Stefano e sua moglie hanno deciso di impugnare davanti al tribunale amministrativo regionale del Lazio l'atto con il quale è stato revocato il programma speciale di protezione;
   i giudici amministrativi, con sentenza del 31 gennaio 2012, hanno rigettato tutte le istanze presentate dai ricorrenti in quanto: «(...) al ricorrente Di Stefano sono attribuite specifiche e concrete inosservanze (rectius: detenzione illegale di arma, munizionamento e ricettazione della stessa; certificati medici falsi ed altre falsificazioni effettuate mediante computer), atte a rivelare spregio per il rispetto della legge, le quali trovano oggettivo riscontro in una sentenza di condanna emessa dal giudice penale; nel contempo viene rilevato che la collaborazione resa dal collaborante Di Stefano non risponde più ai parametri richiesti dalla legge – ossia l'intrinseca attendibilità, la novità, la completezza e la notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio (parametri, questi, comunque distinti dalla “falsità”) – e ciò in quanto le dichiarazioni di quest'ultimo non hanno consentito di procedere penalmente nei confronti di soggetti terzi (bensì hanno condotto a provvedimenti di archiviazione); si tratta dunque di fatti ben individuati (e non generici), espressamente esplicitati nel provvedimento, di indiscussa rilevanza dal punto di vista normativo e, dunque, non trascurabili dalla Commissione ai fini del decidere, ai sensi dell'articolo 13-quater, comma 3, della legge in esame; a fronte di tali fatti, i ricorrenti non sono stati in grado di fornire elementi oggettivi, adeguatamente atti a confutarli: in particolare – per quanto attiene alle violazioni comportamentali, si sono limitati a sindacare la gravità delle condotte sanzionate, introducendo così valutazioni di merito; – in relazione alla collaborazione, hanno richiamato l'attività di collaborazione instaurata con la DDA di Roma e convocazioni della DDA di Catanzaro, ossia circostanze comunque insufficienti al fine di comprovare la resa di una collaborazione connotata dai requisiti prescritti dalla legge (...). In sintesi è da rilevare che i ricorrenti non hanno offerto elementi idonei a comprovare la sussistenza dei requisiti prescritti per il persistere dell'ammissione al programma speciale di protezione e, dunque, a dimostrare l'erroneità del vaglio della Commissione centrale, il quale si rivela adeguatamente supportato mediante l'indicazione di ben precise, oggettive circostanze, oltre che dal parere della DNA (...)»;
   per effetto della decisione assunta dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, al collaboratore di giustizia è stato intimato l'immediato rilascio dell'alloggio e sono state revocate tutte le misure di assistenza economica;
   attualmente il signor Di Stefano non è in condizione, anche per la mancanza dei necessari mezzi economici, di dare seguito a breve alla intimazione ricevuta relativa al rilascio dell'alloggio, anche in ragione del fatto che la di lui moglie si è sottoposta ad un delicato intervento chirurgico presso una struttura sanitaria della località protetta;
   il signor Di Stefano, inoltre, ha in più occasioni (la prima richiesta risale al 2001) chiesto di rinunciare alla misure economiche di supporto, evitando una condizione di passivo assistenzialismo, e ha chiesto adeguate misure di sostegno (la cosiddetta capitalizzazione sociale) per essere posto nelle condizioni di realizzare il proprio percorso di reinserimento sociale e lavorativo in previsione di un ritorno ad una esistenza di normale cittadino. Le istituzioni però non hanno assecondato un percorso di questo tipo, peraltro previsto dalla attuale normativa;
   va evidenziato che il collaboratore sta continuando a rendere, in diversi procedimenti penali, un contributo dissociativo e dichiarazioni accusatorie che hanno consentito la ricostruzione e l'accertamento giudiziale di fatti di sangue avvenuti nel territorio lametino e non solo;
   il Di Stefano non solo continua a collaborare con la procura della Repubblica di Catanzaro, ma egli ha riferito (sua sponte) alla direzione distrettuale antimafia di Roma, nello specifico al sostituto procuratore della Repubblica di Roma, dottoressa Maria Monteleone, nell'ambito del procedimento n. 3839/09 R.g.n.r., in ordine a fatti di sangue appresi durante la detenzione presso la casa circondariale di Roma Rebibbia, che sono stati ampiamente verificati nel corso del dibattimento, consentendo di ottenere pesanti condanne a carico di soggetti operanti nella zona dall'agro pontino (tra gli altri Pasquale Noviello) appartenenti al cosiddetto «Clan dei Casalesi»;
   da ultimo il Di Stefano sta offrendo un ulteriore contributo collaborativo alla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro per come è noto al servizio centrale di protezione, di tal che è agevole ipotizzare che a causa del rilievo della dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore in vari processi, il medesimo si trovi in una situazione di particolare sovraesposizione;
   la situazione di grave ed attuale pericolo per la incolumità del signor Di Stefano e quella dei componenti del suo nucleo familiare diverrebbe ancora più marcata se si considera che il collaboratore, sprovvisto di sufficienti risorse economiche, e non avendo alternative di sistemazione, si trova costretto a fare ritorno a Lamezia Terme, sua terra di origine, trovandosi esposto a vendette e ritorsioni da parte dei sodali delle cosche lametine, il che rende le (eventuali) misure ordinarie di tutela adottabili dalle autorità di pubblica sicurezza del tutto inadeguate;
   a giudizio della prima firmataria del presente atto la sicurezza del collaboratore e dei suoi familiari non appare di certo fronteggiabile con le ordinarie misure di tutela, ciò anche alla luce dell'attualità dell'apporto collaborativo tuttora in corso di svolgimento –:
   se non si ritenga urgente assumere le iniziative di competenza per revocare la delibera della Commissione centrale per le speciali misure di protezione del Ministero dell'interno ripristinando così il programma speciale di protezione per il signor Di Stefano e, nelle more della revoca, assumere iniziative per disporre immediatamente le indispensabili misure di protezione dai pericoli per la incolumità del collaboratore medesimo e di sua moglie;
   quali iniziative intendano adottare al fine di garantire l'incolumità del collaboratore di giustizia e dei suoi familiari, così scongiurando nefaste conseguenze e, nel contempo, assicurando le necessarie misure di reinserimento del medesimo nel contesto sociale e lavorativo;
   quanti siano al momento i collaboratori di giustizia che beneficiano di un programma di protezione;
   quanti siano stati negli ultimi dieci anni i collaboratori di giustizia e a quanti di loro sia stato revocato il programma di protezione;
   a quanto ammonti complessivamente, e specificatamente anno per anno negli ultimi 10 anni, la spesa che lo Stato ha sostenuto per dare corso ai programmi di protezione dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari. (5-06782)


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il signor Giuseppe De Marianis, si è candidato al consiglio comunale nella lista «Lecce città del Mondo» a sostegno del sindaco Paolo Perrone;
   il signor Giuseppe De Marianis attualmente ricopre la carica di consigliere provinciale dell'Ente nazionale sordi, e da questa carica non risulta essersi dimesso;
   il signor De Marianis ha già manifestato, per esempio in un'intervista al quotidiano on line «Il tacco d'Italia» l'intenzione di ricoprire la carica in seno all'ENS «per altri anni con l'entusiasmo di sempre e con l'auspicio di dare il mio contributo all'amministrazione locale con la mia elezione»;
   l'ENS richiama, esplicitamente, nel suo statuto l'apoliticità dell'associazione, apoliticità che viene clamorosamente disattesa per il contemporaneo ruolo assunto dal signor De Marianis, candidato e consigliere provinciale dell'ENS;
   a tutela della stessa ENS, che riceve importanti contributi dallo Stato, sarebbe opportuno e necessario che fosse fugato ogni minimo sospetto circa la possibilità che il signor De Marianis possa utilizzare a fini elettorali il ruolo e la carica ricoperta in seno all'ENS, ed eventualmente anche i mezzi e le dotazioni –:
   ad avviso degli interroganti vi sono aspetti di incompatibilità nella doppia veste che il signor De Marianis attualmente ricopre;
   quali urgenti iniziative di competenza anche normative, si intendano adottare, per evitare che si riproducano situazioni, altamente inopportune, come quella descritta in premessa. (5-06794)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALADINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Polizia di Stato di Sanremo tempo fa ha valutato la possibilità di un trasferimento dei propri uffici vagliando tra le altre ipotesi quella relativa alla locazione di un palazzo sito in piazza degli eroi sanremesi, in costruzione ed in via di completamento;
   gli amministratori succedutisi avrebbero non escluso l'anzidetta ipotesi anche alla luce del fatto che l'Agenzia del territorio avrebbe quantificato il canone d'affitto in 390.000 euro annui a fronte del fatto che l'amministrazione paga invece oggi un canone annuo di 546.000 euro per una sede di minor superficie e decentrata;
   non si può rinunciare in tale momento ad un programma ispirato alla economicità nonché alla funzionalità che deve essere garantita agli uffici di polizia, anche alla luce della già valutata e concreta ipotesi di trasferimento –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione e qualora informato, se non ritenga necessario adoperarsi, affinché sia valutata con determinazione la possibilità di pervenire celermente alla scelta di una sede più idonea ed economica per il commissariato di polizia di Sanremo, altresì ponendo la giusta attenzione alle ipotesi già individuate e sul tavolo degli organi locali competenti.
(4-15920)


   BOCCHINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la questura di Pistoia trova attualmente collocazione in uno stabile realizzato negli anni sessanta per essere adibito a civili abitazioni e solo successivamente adattato ad ufficio pubblico, per cui i locali che ospitano i vari uffici non sono stati inizialmente predisposti, sia strutturalmente che funzionalmente, per tale pubblica finalità;
   in particolare la questura è ubicata in un edificio di otto piani con due sole uscite poste a livelli differenziati di piano stradale, di cui una posizionata sulla sommità estrema di un ponte che scavalca l'adiacente linea ferroviaria;
   dispone come pertinenza di un terreno adibito a garage e di un piccolo cortile del tutto insufficiente anche per gli spazi di manovra delle autovetture di servizio e detto cortile è addirittura condiviso con abitazioni private dalle quali è possibile introdursi direttamente nello stabile;
   a seguito dell'adozione del documento di rischio del 1999, venivano individuati e demandati per la realizzazione al locale ufficio territoriale del Governo ed alla proprietà tutti gli interventi di natura ordinaria e straordinaria per l'adeguamento della struttura;
   tuttavia, mentre sono stati realizzati i lavori di ordinaria amministrazione, nessun intervento di straordinaria amministrazione è stato posto in essere;
   a causa della mancata esecuzione degli interventi richiesti non è stato possibile ottenere il rinnovo del certificato prevenzione incendi dell'autorimessa, si è dovuto procedere alla dismissione del servizio mensa nonché all'eliminazione di alcuni alloggi collettivi per risolvere le gravi carenze dell'archivio generale;
   altra grave criticità emersa negli ultimi anni è stata rappresentata dal distacco e conseguente caduta di diversi calcinacci da alcuni terrazzi dell'immobile sede della questura;
   così come evidenziato dal questore di Pistoia, nella sua nota del 6 marzo 2012 indirizzata al Ministro dell'interno, è necessario individuare con urgenza una sede idonea per la questura, in modo da superare le molteplici e gravi problematiche per la sicurezza degli operatori e dei cittadini non risolvibili in altro modo;
   inoltre in tale contesto si è appresa con preoccupazione la decisione di interrompere i lavori per la costruzione della nuova sede dello stabile della questura, della polizia stradale e della prefettura di Pistoia, a seguito di quanto disposto con la manovra finanziaria 2011 e ai tagli occorsi ai capitoli concernenti le spese per la locazione di immobili in uso alla Polizia di Stato;
   è di tutta evidenza che in ossequio ad una politica di tagli indiscriminati ai fondi pubblici, non può rinunciarsi ad un'opera per la quale sono stati già spesi circa quindici milioni di euro e che soprattutto è di fondamentale importanza per garantire che gli operatori della sicurezza lavorino in condizioni idonee;
   d'altro canto il progetto della nuova sede era stato valutato positivamente anche sotto il profilo economico proprio in considerazione delle gravi carenze funzionali e strutturali degli uffici attuali; difatti pur di fronte ad un canone locatizio superiore a quello attuale, vi sarebbe stato comunque un risparmio considerevole rispetto agli interventi necessari per rendere idonea la sede attuale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno riconsiderare la decisione di interrompere i lavori per la costruzione dello stabile da destinare alla nuova questura di Pistoia, ed in ogni caso quali iniziative ed interventi intenda adottare per garantire a tutti gli operatori della questura di Pistoia un luogo di lavoro conforme ed idoneo alla normativa vigente in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro. (4-15925)


   IANNACCONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 6 e 7 maggio 2012 sono stati indetti i comizi elettorali per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale di Limatola (Benevento);
   nel primo giorno di voto e cioè il 6 maggio 2012 sarebbero state accertate alcune irregolarità in relazione alla composizione delle liste elettorali;
   da accertamenti effettuati, infatti, parrebbe che diversi elettori non avessero tale diritto risultando, in alcuni casi, residenti in zone di aperta campagna dove non insistono civili abitazioni e nonostante ciò abbiano già espresso il loro voto nella giornata del 6 maggio 2012 –:
   se non intenda assumere provvedimenti urgenti volti ad effettuare i dovuti accertamenti sul corretto funzionamento dei servizi di anagrafe nel citato comune e, qualora venissero verificate delle irregolarità, se intenda disporre l'eliminazione dalle liste elettorali dei falsi residenti in modo da consentire, successivamente, la celebrazione in quel comune di regolari e libere elezioni;
   qualora le irregolarità citate in premessa venissero accertate quali iniziative intenda assumere in relazione alle recenti elezioni svoltesi nel comune di Limatola.
(4-15958)


   ANGELA NAPOLI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Taurianova (Reggio Calabria), la cui popolazione è di circa 16.000 abitanti, a partire dal 1990, grazie alla faida tra le cosche locali della ’ndrangheta, in poco più di un anno, si registrarono ben trentatré delitti, quindici tentati omicidi e decine di danneggiamenti a scopo intimidatorio;
   nel maggio del 1991 vennero uccise in una sola giornata quattro persone, una delle quali con modalità tali da far inorridire l'opinione pubblica nazionale e da essere ampiamente riprese anche dalla stampa estera;
   il clima di violenza e di paura si è riflesso anche sul piano amministrativo, tanto che il Governo del tempo convenne sulla necessità di definire la norma per lo scioglimento degli enti nei cui confronti fossero stati riscontrati fenomeni di infiltrazioni o condizionamenti da parte della criminalità organizzata ed il 2 agosto del 1991 venne sciolto, per la prima volta, il consiglio comunale di Taurianova;
   quel primo scioglimento dell'ente locale non incoraggiò i responsabili del tempo ad estraniarsi dalla politica, per cui la città ha sempre visto in campo persone che erano state coinvolte nell'intervento amministrativo, o parenti delle stesse, o anche persone vicine agli uomini delle cosche locali, tutti sempre elettoralmente predominanti rispetto a coloro che si sono posti in gioco all'insegna della legalità e della trasparenza;
   con decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 2009 il consiglio comunale di Taurianova venne sciolto per la seconda volta e sempre per infiltrazione mafiosa;
   anche la relazione della commissione d'accesso che ha portato a questo secondo scioglimento ha evidenziato sia la presenza nell'amministrazione sciolta di un assessore esterno e del presidente del consiglio comunale che avevano già fatto parte della giunta e del consiglio sciolti nel 1991 a seguito di infiltrazioni di tipo mafioso, sia l'influenza delle cosche sul consenso elettorale ottenuto;
   dopo il primo scioglimento del consiglio comunale del 1991, l'inchiesta ed il processo «Taurus», videro l'intervento della giustizia che fece luce sugli intrecci criminali della città; purtroppo, invece, il secondo scioglimento del 2009, non fu seguito da alcun intervento giudiziario, e, pertanto, divenne lecito consentire la ricandidatura di persone che pure erano state concausa del secondo provvedimento amministrativo di scioglimento;
   dopo i mesi di gestione della seconda commissione straordinaria, nella competizione amministrativa del maggio 2011, sono scesi in campo, quindi, sempre persone che risultavano presenti nelle giunte e nei consigli sciolti per infiltrazione mafiosa nel 1991 e nel 2009, tanto che Futuro e Libertà e il Partito Democratico, ritenendo che il voto non fosse certamente libero, non hanno presentato liste elettorali;
   la fase della campagna elettorale è stata svolta all'insegna degli «insulti» e della «prevaricazione», tanto che l'interpellante, residente proprio a Taurianova, anche nella qualità di componente della Commissione parlamentare antimafia, non si è recata a votare;
   il risultato elettorale ha visto la vittoria del sindaco in carica nel momento dello scioglimento del 2009, ed anche di consiglieri che erano presenti tanto nel consiglio sciolto nel 1991 quanto nel 2009;
   fin dall'insediamento della nuova giunta e del nuovo consiglio comunale, non sono stati risparmiati attacchi reciproci tra maggioranza e opposizione, e l'attività della nuova amministrazione non sempre è apparsa tale da portare al riscatto e all'efficienza della comunità taurianovese;
   nell'ultimo anno in particolare, la città di Taurianova ha dovuto registrare numerosi atti criminosi, alcuni dei quali hanno interessato anche i politici;
   nel mese di agosto del 2011 il consigliere comunale di minoranza, Giuseppe Rigoli, è stato destinatario di un primo atto intimidatorio; nel mese di febbraio del 2012, ignoti hanno fatto esplodere un ordigno ad alto potenziale nei pressi della stalla di proprietà del sindaco, Domenico Romeo, causando l'uccisione di uno dei suoi cavalli; nei giorni scorsi, nel giro di poche ore, un nuovo atto intimidatorio è stato posto in essere sempre nei confronti del consigliere di minoranza, Giuseppe Rigoli, ed una intimidazione è stata attuata nei confronti di Roy Biasi, ex sindaco della città, la cui amministrazione è richiamata con qualche responsabilità nella relazione d'accesso che ha portato al secondo scioglimento del civico consesso, e che oggi è coordinatore provinciale del PDL;
   tutti gli atti intimidatori sono ad oggi privi dell'individuazione dei responsabili e, quindi, non solo risultano impuniti, ma lasciano anche la massima libertà di interpretazione sui motivi che li hanno causati –:
   se non ritenga necessario ed urgente promuovere ogni iniziativa di competenza affinché venga intensificato il controllo, sia in termini di sicurezza dei cittadini, sia sull'attività amministrativa dell'ente locale, le cui scelte sono state oggetto a volte di denunzie da parte delle forze politiche di opposizione. (4-15965)


   TOUADI, GIACHETTI, MORASSUT, TOCCI, CARELLA, COSCIA, META, RECCHIA, GENTILONI SILVERI, MADIA, ARGENTIN, POMPILI, BACHELET, VELTRONI e VERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi tre anni e mezzo si sono susseguiti nella città di Roma una serie di episodi di violenza politica perpetrati da organizzazioni che si richiamano esplicitamente al fascismo;
   il 16 marzo 2009, tre studenti dell'università di Roma Tre subirono un'aggressione con caschi e spranghe da parte di attivisti di organizzazioni di estrema destra. Fu poi ritrovato un piccolo arsenale anche nei locali gestiti da Azione universitaria con materiale divulgativo di chiara matrice neofascita;
   il 15 marzo 2010, un gruppo di studenti appartenenti al collettivo «Lavori in corso» fu aggredito durante un volantinaggio all'interno dell'università di Tor Vergata da alcuni militanti del Blocco Studentesco. Sei degli studenti aggrediti ricorsero a cure mediche, uno di loro fu ricoverato. Il giorno seguente, in concomitanza con la conferenza stampa convocata per denunciare l'accaduto, si verificò un altro scontro al quale avrebbero partecipato persone esterne al mondo universitario ed appartenenti ad organizzazioni di estrema destra;
   il 2 febbraio 2011, nei dintorni di Ponte Milvio, un ragazzo venne aggredito e picchiato per strada da tre persone perché reo di aver risposto affermativamente alla domanda se fosse o meno antifascista;
   la notte del 26 aprile 2011, sei studenti appartenenti a collettivi studenteschi di sinistra furono aggrediti nel quartiere Talenti da una quindicina di persone armate di caschi e bastoni di legno. Alcuni degli aggressori furono riconosciuti dai ragazzi come appartenenti all'organizzazione «Casapound», in particolare il portavoce di zona, Alberto Palladino detto «Zippo»;
   ancora nel IV municipio, in particolare nel quartiere Montesacro, l'11 maggio 2011 fu aggredito e malmenato da sei persone a volto coperto Luca Blasi, responsabile del centro sociale Horus Project;
   il 20 settembre 2011, un ragazzo appartenente al collettivo del liceo Anco Marzio di Ostia, venne aggredito e pesantemente minacciato di fronte a tutti gli studenti all'uscita di scuola dal responsabile locale di Casapound;
   il 2 novembre 2011 è di nuovo il IV municipio ad essere teatro di intimidazioni e violenze di matrice neofascista. Un gruppo di giovani appartenenti al Partito democratico, fra i quali anche Paolo Marchionne, capogruppo del Pd in municipio, furono aggrediti con mazze e spranghe d'acciaio mentre erano intenti ad attaccare manifesti per una iniziativa antimafia. Le conseguenze furono piuttosto gravi: diversi punti alla testa, allo zigomo e due braccia rotte. Il successivo lavoro degli inquirenti dimostrò che gli aggressori appartenevano a Casapound ed in particolare portarono all'arresto di Alberto Palladino, responsabile di zona dell'organizzazione, già noto alle cronache per episodi simili;
   nella notte fra il 23 e il 24 febbraio 2012 a Ostia, un gruppo di ragazzi (appartenenti al gruppo degli artisti ed ex-lavoratori del Teatro del Lido, al collettivo L'Officina) intenti ad attaccare locandine per una manifestazione sulla cultura da tenere nei giorni seguenti, subirono una violenta aggressione con caschi e spranghe da parte di militanti di Casapound. La polizia sopraggiunse poco dopo per fermare l'aggressione e la colluttazione seguente. Ventiquattro furono fermate e denunciate per rissa e tre degli aggrediti furono refertati in ospedale. Un ragazzo aggredito ha avuto trenta giorni di prognosi mentre quindici gli altri due;
   il 9 marzo 2012, alcuni studenti intenti a volantinare davanti al liceo Righi in appoggio alla mobilitazione della Fiom, furono aggrediti da persone appartenenti al gruppo di estrema destra «Controtempo». Uno dei ragazzi è stato ricoverato per una frattura del setto nasale, mentre alcuni insegnanti, intervenuti per soccorrere gli studenti, hanno ricevuto cure mediche;
   nella mattinata del 22 marzo 2012 una decina di militanti locali del circolo futurista di Casapound avrebbero aggredito con caschi e bastoni due ragazzi dei collettivi di fronte alla sede dei «Magazzini popolari», episodio che, nel pomeriggio dello stesso giorno, portò allo scatenarsi di una guerriglia urbana fra i gruppi contrapposti che avrebbe coinvolto circa duecento persone. Oltre ai numerosi danni materiali, lo scontro causò il ferimento di circa dieci giovani dei collettivi (di cui cinque refertati in ospedale) e tre del circolo Futurista di Casapound;
   questi sono solo alcuni dei numerosi episodi di violenza politica di cui la città di Roma è stata teatro negli ultimi tempi connotando una vera è propria escalation. Ciò che preoccupa maggiormente è la stretta connessione che sembra legare fra loro molte delle aggressioni. Nella notte successiva ai fatti di Ostia del 23 febbraio, ad esempio, sono comparse per le strade di Roma e della provincia alcune scritte che rivendicavano l'attentato legandole con altri episodi analoghi. In particolare, nel quartiere Talenti sono comparse – anche sui muri del municipio – frasi inquietanti («Ostia: piatto del giorno zuppa di pesce», «Con Casapound fino alla vittoria» – «Da Ostia a Talenti compagni confidenti») firmate con un inequivocabile fascio littorio stilizzato;
   fino ad ora, le conseguenze delle aggressioni non sono risultate drammaticamente gravi (contusioni, ferite, arti spezzati), ma le loro dinamiche attestano che solo per caso non abbiano assistito ad esiti ben più funesti. È intollerabile che il confronto democratico a Roma possa essere inquinato da questo genere di episodi che, per la frequenza e la violenza crescenti, rischiano di far precipitare la città in un clima caratteristico di periodi che si sperava fossero definitivamente superati e che la comunità cittadina tutta non intende rivivere mai più –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza degli episodi illustrati in premessa e della loro gravità;
   se non ritenga di dover fare tutto ciò che è in suo potere perché le responsabilità di queste aggressioni, specialmente le più recenti, siano celermente acclarate;
   se il Ministro, al fine di tutelare la convivenza civile e ristabilire il valore costituzionale dell'antifascismo nella città di Roma, non ravveda la necessità di predisporre, di concerto con gli enti locali coinvolti, un piano apposito per prevenire e contrastare la violenza politica di stampo neofascista e per rimuovere il sostegno diretto ed indiretto che i gruppi protagonisti di questa escalation ricevono.
(4-15970)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che –:
   gli indici bibliometrici attualmente in uso sono, ad avviso degli interroganti, inattendibili e inutilizzabili per la valutazione della ricerca, anche se perfezionati;
   dovrebbero essere rifiutati criteri meccanici di classificazione delle riviste, come ad esempio quello della «piramide»;
   la classificazione delle Riviste approvata dall'ANVUR e pubblicata sul sito della stessa utilizza proprio un sistema di indici bibliometrici quale quello qui criticato –:
   se sia a conoscenza dei fatti, se essi corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva se non ritenga opportuno adottare opportuni provvedimenti, quali ad esempio la decisione di avviare un'istruttoria sulle riviste attraverso la predisposizione di un'apposita scheda da inviare ai direttori delle riviste stesse al fine di conoscere dagli addetti ai lavori quali siano, a loro avviso, le richieste dei dati necessari per aversi indici bibliometrici adatti alla bisogna, come ad esempio quelli basati sulla cosiddetta «peer review». (4-15922)


   FUGATTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il diritto allo studio degli alunni con disabilità, si realizza, secondo la normativa vigente, attraverso l'integrazione scolastica, che prevede l'obbligo dello Stato di predisporre adeguate misure di sostegno, alle quali concorrono a livello territoriale, con proprie competenze, anche gli enti locali e il Servizio sanitario nazionale. La comunità scolastica e i servizi locali hanno pertanto il compito di «prendere in carico» e di occuparsi della cura educativa e della crescita complessiva della persona con disabilità, fin dai primi anni di vita. Tale impegno collettivo ha una meta ben precisa: predisporre le condizioni per la piena partecipazione della persona con disabilità alla vita sociale, eliminando tutti i possibili ostacoli e le barriere fisiche e culturali, che possono frapporsi fra la partecipazione sociale e la vita concreta delle persone con disabilità;
   la legge n. 104 del 1992 riconosce e tutela la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità, in particolare nei luoghi per essa fondamentali: la scuola, durante l'infanzia e l'adolescenza (articoli 12, 13, 14, 15, 16 e 17), il lavoro e nell'età adulta (articoli 19, 20, 21 e 22);
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca mette in atto varie misure di accompagnamento per favorire l'integrazione: docenti di sostegno, finanziamento di progetti e attività per l'integrazione, iniziative di formazione del personale docente di sostegno e curriculare, nonché del personale amministrativo, tecnico e ausiliario;
   la certificazione di disabilità è il presupposto per l'attribuzione all'alunno con disabilità delle misure di sostegno e di integrazione e la legge n. 104 del 1992 individua la diagnosi funzione (DF), il profilo dinamico funzionale (PDF) e il Piano educativo individualizzato (PEI) come strumenti necessari alla effettiva integrazione degli alunni con disabilità; come precisato nel decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 1994, tali documenti, redatti in collaborazione con il Servizio sanitario nazionale, hanno lo scopo di riscontrare le potenzialità funzionali dell'alunno con disabilità e sulla base di queste costruire adeguati percorsi di autonomia, di socializzazione e di apprendimento;
   l'alunno con disabilità è assegnato alla classe comune in cui si realizza il processo di integrazione, pertanto la presa in carico e la responsabilità educativa dell'alunno con disabilità, spettano a tutto il consiglio di classe, di cui fa parte il docente per le attività di sostegno; il decreto del Presidente della Repubblica n. 970 del 1975, con cui è stata istituita giuridicamente tale figura professionale (poi meglio caratterizzata nella legge n. 517 del 1977), lo definisce un insegnante «specialista», fornito dunque di formazione specifica che, insieme ai docenti curricolari, sulla base del Piano educativo individualizzato, definisce le modalità di integrazione dei singoli alunni con disabilità, partecipandovi attivamente;
   l'insegnante per le attività di sostegno viene richiesto all'ufficio scolastico regionale dal dirigente scolastico, sulla base delle iscrizioni degli alunni con disabilità e la quantificazione delle ore per ogni alunno viene individuata tenendo conto della diagnosi funzionale, del profilo dinamico funzionale e del conseguente piano educativo individualizzato, di cui alla legge n. 104 del 1992, e dei vincoli di legge vigenti;
   la provincia autonoma di Trento, sulla materia, è intervenuta con le seguenti norme: legge provinciale n. 8 del 2003, legge provinciale n. 5 del 2006 e decreto del presidente della provincia 8 maggio 2008 n. 17; gli interventi sono pertanto molti e puntuali, ciononostante, parrebbe di poter rilevare alcune situazioni per le quali emergono forti dubbi sul reale rispetto della legge n. 104 e dei diritti che essa tutela, in particolare in ambito scolastico;
   il tema più rilevante riguarda gli obblighi derivanti per la scuola rispetto agli alunni che si trovano nella condizione accertata e attestata di handicap, ai fini dell'integrazione scolastica ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104; l'attivazione di posti di sostegno, in deroga al rapporto insegnanti/alunni, in presenza di handicap particolarmente gravi, di cui all'articolo 40 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, è autorizzata dal dirigente preposto scolastico regionale, assicurando, comunque, le garanzie per gli alunni in situazione di handicap di cui al predetto articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104;
   all'individuazione dell'alunno come soggetto portatore di handicap, provvedono le aziende sanitarie locali sulla base di accertamenti collegiali, con modalità e criteri definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanare, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, su proposta dei Ministri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e della salute, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Sul tema è intervenuta la legge provinciale n. 8 del 2003;
   da molte segnalazioni, pervenute da diverse famiglie residenti in ambiti diversi del Trentino, si rileva il fatto che alunni per i quali la condizione di soggetto portatore di handicap è stata regolarmente accertata e attestata secondo le procedure stabilite, vengono seguiti nel loro percorso scolastico da figure professionali che operano nella scuola in forma indiretta, alle dipendenze di enti convenzionati, con la qualifica di assistente educatore e non da personale con la qualifica di insegnante di sostegno dipendente della scuola stessa;
   sulla differenza fra i profili professionali dei due soggetti, sono intervenute diverse sentenze che distinguono in maniera chiara la differenza fra le attività di supporto alla didattica e l'attività didattica in senso proprio;
   l'importanza sociale, etica e istituzionale del tema rende evidente la necessità di far rispettare in tutta la sua portata le finalità della legge n. 104 del 1992, anche nell'ambito della provincia autonoma di Trento –:
   alla luce delle evidenze rilevate, quali riscontri per quanto di competenza si abbiano sulla corretta applicazione della legge n. 104 del 1992 nella provincia autonoma di Trento. (4-15923)


   DI PIETRO, ZAZZERA e MESSINA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 ottobre 2009 il rettore dell'università di Catania Antonino Recca ha conferito la laurea honoris causa all'imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone, nonostante la clamorosa protesta di numerose associazioni della società civile contrarie al conferimento del titolo onorifico al costruttore, perché sottoposto a indagini da parte della magistratura;
   la laurea, conferita pochi mesi dopo il sequestro giudiziario di un ecomostro edificato dall'imprenditore, tristemente noto per avere causato la paralisi della viabilità di Catania e dei soccorsi in caso di evento sismico, è stata intesa dalla cittadinanza come sanatoria morale a beneficio del dottor Caltagirone;
   la laudatio della laurea è stata promossa ed eseguita dal professore Giuseppe Barone titolare dello studio amministrativo che difende lo stesso Caltagirone nell'ulteriore vicenda giudiziaria del porto turistico di Catania tuttora al vaglio della magistratura per responsabilità non solo amministrative;
   alla luce delle indagini succitate e all'arresto di Caltagirone accusato di truffa aggravata allo Stato nell'inchiesta sul porto turistico di Imperia, oltre a essere inopportuna, l'attribuzione del titolo di onore «per governo e gestione delle imprese» al costruttore Caltagirone è in evidente contrasto con quanto previsto dall'articolo 169 del regio decreto n. 1592 del 1933 che recita testualmente: «La laurea ad honorem può essere conferita soltanto a persone che, per opere compiute o per pubblicazioni fatte, siano venute in meritata fama di singolare perizia nelle discipline della facoltà o scuola per cui è concessa» –:
   se l'attribuzione della laurea ad honorem al costruttore Caltagirone rispetti quanto previsto dalla legge in materia di istruzione, e in caso negativo se intenda negare l'approvazione di cui all'articolo 169 del regio decreto n. 1592 del 1933.
(4-15928)


   ZAZZERA e DI GIUSEPPE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la riforma Gelmini ha provocato una sensibile diminuzione del monte ore di varie materie all'interno degli istituti scolastici;
   in particolare, l'insegnamento delle lingue straniere è calato di oltre 400 ore nel quinquennio, con la conseguente cancellazione della figura dell'insegnante di madrelingua;
   i docenti ITP di lingue straniere in esubero peraltro rischiano la mobilità, e ciò comporterebbe la perdita valore aggiunto dato dalla professionalità di questi insegnanti che non può di certo essere sostituita;
   la drastica riduzione del monte ore di lingua straniera inoltre contrasta con quanto previsto dall'Unione europea, che nelle linee guida dà particolare importanza alla necessità di incrementare le competenza comunicative di lingua straniera;
   i docenti ITP oltretutto subiscono una evidente discriminazione rispetto ai colleghi di ruolo di trattamento testi (classe di concorso A075 e A072) ai quali è stata data la possibilità di insegnare informatica al biennio (classe di concorso A042) –:
   se il Ministro interrogato intenda garantire agli esperti di madrelingua di ruolo qualificati come docenti tecnico-pratici ed attualmente in servizio, la possibilità di poter esercitare all'interno della sede di appartenenza, sebbene tale figura non sia più prevista dall'ordinamento degli istituti tecnici, in modo da poter assicurare agli studenti almeno un'ora settimanale di conservazione per ogni lingua straniera studiata, ciò anche alla luce del fatto che tale opportunità non comporterebbe costi aggiuntivi. (4-15952)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta orale:


   GALLETTI, MELONI e META. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   43 dipendenti del ristorante Autogrill presente nel centro commerciale «La Romanina» di Roma sarebbero stati licenziati senza tentare un ricollocamento e senza neanche la possibilità di accedere alla cassa integrazione;
   la decisione di Autogrill, multinazionale leader mondiale nel food and beverage in viaggio, appare un unicum nella storia dell'azienda che ha sempre mantenuto ottime relazioni sindacali;
   è opportuno ricordare che nel 2010 Autogrill ha realizzato un fatturato di 5,7 miliardi e nel 2011 ha registrato un più 4 per cento di utili. Con portafoglio di 350 marchi, tra cui Spizzico, Ciao, Burger King e perfino Starbucks, Autogrill conta 62.500 addetti per 5.300 punti vendita nel mondo, mentre i dipendenti italiani sono oltre 10.200;
   con le prime perdite in Italia, Autogrill ha deciso di cessare l'attività in un punto vendita di Milano (8 addetti) e in un altro a Bologna (una trentina), facendo partire le procedure di mobilità. Lo stesso è accaduto alla Romanina, ma nel centro commerciale alla periferia di Roma aveva ben 6 punti vendita, che di recente si erano ridotti a soli due, ricollocando negli altri 62 punti del Lazio una quarantina di persone;
   gli ultimi 43 dipendenti pensavano di essere fuori dalla riorganizzazione ma due mesi fa è arrivata la decisione di chiudere;
   le organizzazioni sindacali lamentano la mancata accettazione di nessuna proposta per evitare i licenziamenti, attraverso la ricollocazione nei 62 punti vendita laziali del personale, di cui la gran parte è a part time, con 24 ore settimanali e che nell'ottobre scorso, per venire incontro all'azienda, si era già autoridotto l'orario a 20 ore settimanali. Molte donne sono over 45, con una lunga anzianità in Autogrill con mutui e figli piccoli a carico;
   anche la regione Lazio si era detta disponibile a mettere i fondi per la cassa in deroga ma l'azienda non si è resa disponibile;
   lo stesso atteggiamento si è registrato a Bologna e a Milano, anche se in queste due ultime città si sarebbero fatti avanti due gruppi – Compass e McDonald's – che probabilmente rileveranno le concessioni e con esse, come prevede il contratto nazionale, anche tutti gli addetti –:
   se non ritenga di convocare un tavolo con le parti interessate per raggiungere una intesa in attesa dell'auspicabile arrivo di un nuovo concessionario, utilizzando eventualmente gli addetti nel turn over degli altri punti vendita e sino al raggiungimento di una soluzione che non penalizzi i dipendenti del ristorante Autogrill de «La Romanina». (3-02250)


   D'IPPOLITO VITALE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 aprile 2012 si è tenuto un incontro presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per l'esame delle istanza di Cig in deroga presentate dalle aziende del settore degli appalti di pulizia nelle scuole;
   all'incontro erano presenti i consorzi, su delega delle aziende interessate, le organizzazioni sindacali USB e Salpas Orsa nonché rappresentanti di alcune regioni del Mezzogiorno;
   nel corso della riunione il Ministero ha manifestato la disponibilità a concedere il trattamento di Cig in deroga sino al 30 giugno 2012 a causa della necessità di una ricognizione delle risorse disponibili destinate agli ammortizzatori sociali in deroga per l'anno in corso;
   le parti avrebbero richiesto la Cig per l'interra annualità in coerenza con il precedente accordo del giugno 2011, ma, preso atto della situazione avrebbero anche accettato una Cig quantomeno per il periodo marzo-agosto;  
   il Ministero si è riservato di riconvocare le parti e le regioni interessate avrebbero anch'esse richiesto un rinvio per le opportune valutazioni rispetto a quanto emerso nel corso dell'incontro –:
   se il Ministro abbia proceduto alla riconvocazione delle parti interessate e se non ritenga di venire incontro alle istanze presentate dalle parti sociali. (3-02253)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARLUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a causa della elevata eterogeneità per tipo di professionalità e di contrattualistica applicata alle varie figure, il settore dello spettacolo aveva una cassa previdenziale separata, insieme con i lavoratori dello sport professionistico;
   la decisione del Governo Monti di cancellare l'Enpals, accorpandola all'INPS ha creato apprensione tra i lavoratori dello spettacolo che s'interrogano sul loro futuro e di quello dell'istituto che registrava un attivo di circa 1,5 miliardi di euro;
   sono circa 300 mila gli iscritti all'Enpals e 60 mila i pensionati, che temono di essere assorbiti dall'INPS perdendo così le peculiarità di lavoratori del settore della cultura;
   i nuovi requisiti per il pensionamento richiesti dalla recente riforma non tengono conto del fatto che, anche se in maniera diversa, quello dell'artista è un lavoro usurante e che le scritture vengono fatte solo se gli artisti sono in forma (ballerini, cantanti, attori e altro, per non parlare degli sportivi professionisti);
   sarebbe opportuno prevedere un welfare dello spettacolo che permetta di avere ammortizzatori sociali che tengano conto della specificità del settore e per non disperdere la positiva esperienza maturata negli anni;
   inoltre sarebbe assolutamente inaccettabile che settori, come quelli dello spettacolo e dello sport, bisognosi di un sistema specifico di tutela e di welfare, non potendo essere adeguatamente rappresentati all'interno del CIV del nuovo ente previdenziale, venissero di fatto estromessi da ogni possibilità di controllo sulle risorse provenienti dal settore e da ogni interlocuzione con il nuovo istituto a tutela dei lavoratori rappresentati;
   la specificità della maggioranza dei lavoratori del settore utilizza un genere di contratto non assimilabile né al FLDI né alla gestione separata e questi elementi motivano fortemente una «gestione speciale» –:
   se non ritenga, di prevedere, in occasione del processo di riorganizzazione dell'INPS, una gestione speciale per i lavoratori dello spettacolo e dello sport, dotata non solo di una separata evidenza contabile, ma anche di uno specifico comitato, espressione delle forze sociali rappresentative del settore. (5-06789)


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 1o maggio 2012 un operaio di origine romena, il signor Vasile Copil, è morto cadendo dall'impalcatura al terzo piano di un cantiere a Rocca di Cambio, vicino L'Aquila –:
   di quali elementi disponga in merito all'esatta dinamica dell'incidente;
   se risulti osservata la normativa relativa alla sicurezza nel lavoro. (5-06791)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALADINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la posizione pensionistica di un gruppo di lavoratori genovesi esposti all'amianto era stata affrontata ed apparentemente finalmente sbloccata in febbraio dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
   nonostante ciò l'Inps continua a non erogare il dovuto;
   il quadro normativo di riferimento, costituito da una estensione della legge n. 33 del 2009 ove rimane ferma la normativa di carattere generale ai fini del riconoscimento del beneficio pensionistico con esposizione all'amianto ai sensi dell'articolo 13, comma 8, legge n. 257 del 1992, nonché dell'articolo 47 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 e successive modificazioni e gli adempimenti dalle stesse disposizioni previsti a carico dell'Inali, la salvaguardia del diritto a pensione non si applica solo qualora venga accertato il dolo del pensionato in via giudiziale con sentenza passata fin giudicato;
   al momento gli enti continuano a ritenere sufficiente che la scheda di valutazione del lavoratore sia stata oggetto di attenzione da parte dell'autorità giudiziaria, a prescindere dal fatto che il lavoratore stesso sia stato o meno indagato, perché venga revocato il beneficio dall'Inail e dall'Inps;
   pur riconoscendo all'Inps i giusti approfondimenti di competenza, appare indispensabile pagare le pensioni anche in riferimento alle varie decisioni giudiziali già adottate dalla magistratura; in Liguria l'incidenza di mortalità e casi di tumori da amianto è molto alta e supera di sei punti il dato nazionale (45 per cento rispetto al 39 per cento), penalizzare economicamente tale categoria di pensionati nonostante le decisioni dei giudici è cosa grave –:
   se, il Ministro interrogato intenda intervenire per risolvere la contrastata vicenda delle pensioni «all'amianto» che coinvolge centinaia di lavoratori. (4-15919)


   COSENZA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   numerose ricerche e statistiche, riprese anche dalla stampa (si veda in particolare La Repubblica del 24 febbraio 2012), hanno fatto emergere il fenomeno in crescita dell'utilizzo di droghe in maniera diffusa nell'ambito di varie categorie professionali;
   alla luce della delicatezza delle funzioni delle categorie statisticamente più contrassegnate da tale fenomeno di dipendenza, questo fenomeno suscita grande preoccupazione perché l'utilizzo di droghe rende inidonei alla corretta prestazione lavorativa, con effetti e ricadute negativi sull'intera collettività;
   è necessario, viste le dimensioni di tale fenomeno che ormai riguarda ogni tipo di professione, intervenire andando oltre la già prevista intesa Stato-regioni del 30 settembre 2007, rivelatasi finora scarsamente applicata e soprattutto troppo limitata riguardo alle categorie professionali che devono eseguire test antidroga pre-assunzione e poi controlli periodici –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere in merito a quanto esposto in premessa. (4-15934)


   NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto Excelsior elaborato da Unioncamere e dallo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a fronte degli ultimi dati sulla disoccupazione a livello nazionale, la cui percentuale è stimata al 9,8 per cento si contrappone l'analisi secondo la quale in Italia attualmente vi sono circa 100 mila le figure professionali cosiddette «introvabili», ovvero quelle categorie che le aziende non riescono a «intercettare», sul mercato;
   l'elenco piuttosto vario, evidenzia mestieri più tradizionali, come i saldatori e i carpentieri, i matematici e i fisici, passando per infermieri, fabbri e commercialisti;
   la classifica per posti vacanti nel 2011, per mancanza di incontro tra domanda e offerta rileva inoltre, che il numero di richieste di categorie di personale richiesto riguarda: 31 mila 790 figure professionali nelle grandi imprese e 61 mila e 720 nelle piccole e medie imprese;
   in particolare quest'ultima tipologia dimensionale di aziende, ovvero quelle imprese con un massimo di 100 dipendenti, necessita di operai edili specializzati, che il suesposto rapporto quantifica in 7 mila 460, di riparatori d'impianti: 3 mila 330, di saldatori e carpentieri: 2 mila 460, di tecnici ingegneri: mille e 840, di fabbri: mille 820, ma anche di chimici e fisici: mille e cento e 880 richieste per tecnici matematici;
   le grandi imprese con oltre 100 dipendenti, richiedono invece secondo quanto sostiene il medesimo rapporto, soprattutto matematici e fisici: mille e 920, manager gestionali: mille e 840, infermieri e paramedici: mille e 740, cuochi e addetti alla ristorazione: mille 640, esperti di marketing: mille e 640 e infine ingegneri: mille 380;
   a giudizio dell'interrogante, quanto suesposto, in una fase particolarmente critica e grave in cui si trova l'economia del Paese e più specificatamente quella cosiddetta reale e produttiva, desta sconcerto e stupore, se si considera tra l'altro, il fenomeno drammatico sociale e sociologico che sta caratterizzando la quotidianità del Paese quale i suicidi a causa della mancanza di lavoro;
   è possibile inoltre, a giudizio dell'interrogante, ipotizzare che numerosi soggetti aventi i medesimi requisiti professionali richiesti e precedentemente riportati, non siano a conoscenza dell'effettiva offerta di lavoro, probabilmente a causa di un fattore psicologico causato spesso dall'eccessiva esagerazione nell'informazione dei mass-media nel evidenziare un quadro generale economico e finanziario del Paese, che sebbene concretamente grave, risulta amplificato a dismisura in termini negativi nel sostenere il livello di crisi occupazionale in Italia;
   occorre conseguentemente prevedere interventi volti ad informare, in modo capillare su tutto il territorio nazionale attraverso campagne pubblicitarie, anche con il coinvolgimento delle regioni, in grado di incidere con maggiore incisività, al fine di una più rilevante, conoscenza delle effettive opportunità di lavoro, come emerge dal suesposto rapporto Unioncamere-Ministero del lavoro e delle politiche sociali –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con quanto esposto in premessa;
   se ritengano opportuno prevedere interventi volti a diffondere su tutto il territorio nazionale campagne pubblicitarie, anche attraverso il coinvolgimento delle regioni, in grado di informare l'effettiva disponibilità di offerte di lavoro sia nelle piccole e medie imprese che nelle grandi aziende, così come rilevato dal rapporto esposto in premessa. (4-15935)


   LENZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il presidente dell'Enpam (Ente nazionale di previdenza e di assistenza dei medici e degli Odontoiatri, Eolo Parodi, è indagato per truffa aggravata, assieme ad altre tre persone, nell'inchiesta della procura di Roma relativa agli investimenti poco chiari svolti dell'ente previdenziale dei medici italiani;
   gli inquirenti ipotizzano perdite dell'ente per circa 500 milioni di euro derivanti da investimenti compiuti con i fondi dell'Ente attraverso titoli finanziari di tipo derivato, che prevedono un alto tasso di rischio e che, sono stati compiuti per un ammontare complessivo di più di tre miliardi di euro, pari circa ad un terzo dell'intero patrimonio della fondazione;
   nell'ambito dell'inchiesta, avviata nel maggio 2011 sulla base di un esposto presentato da componenti attuali, ed ex, del Cda di Enpam, nonché dai presidenti di ordini dei medici di Catania, Ferrara, Bologna e Latina nel quale si chiedeva di fare luce sulla trasparenza della gestione del patrimonio mobiliare dell'istituto che poi gli inquirenti hanno ampliato all'esame della gestione del patrimonio immobiliare sono state effettuate 47 perquisizioni da parte della guardia di Finanza sulla base di un decreto emesso dalla procura di Roma;
   per un secondo filone di indagine, che coinvolge gli acquisti immobiliari dell'Enpam è stata invece disposta la perquisizione della sede dell'ente, delle abitazioni di 9 persone, tra cui quella del costruttore romano Antonio Pulcini, e delle società: Idea Simit, Prelios Sgr, Belgravia Invest, International Engineering Consulting, Tiglio 1 Srl, Tamerice Immobiliare, Ge Real Estate Trading e Europrogetti & Finanza Srl;
   il filone d'inchiesta relativo alle operazioni immobiliari giudicate «anomale e sospette» dai pm vi sono comprese la compravendita del palazzo della Rinascente, in piazza del Duomo a Milano, acquistato per 472 milioni, tramite il fondo immobiliare chiuso Ippocrate sottoscritto da Enpam e gestito dalla società di gestione First Atlantic Real Estate Sgr (oggi Idea Fmit) dalla società Prelios, operazione che ha fruttato al venditore (Prelios) una plusvalenza del 30 per cento (circa 108 milioni di euro) rispetto al precedente acquisto effettuato il 28 maggio del 2007; la compravendita dell'immobile in via del Serafico (zona Eur) acquistato il 31 marzo del 2009 dalla First Atlantic per 58 milioni di euro facendo realizzare alla società venditrice, la Belgravia Invest, una plusvalenza del 100 per cento (29 milioni di euro), nonché la compravendita di un altro immobile, sempre in via del Serafico, per 59 milioni di euro effettuato il 4 febbraio del 2010 e che ha fatto realizzare alla società venditrice, la Coedimo, una plusvalenza del 62,61 per cento (23 milioni di euro), rispetto al precedente acquisto effettuato il 15 dicembre del 2009;
   perplessità sulle scelte dell'ente si trovano anche negli interventi dei parlamentari componenti la commissione bicamerale di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale nelle diverse audizioni fatte. Si vedano le dichiarazioni dell'onorevole Santagata nella seduta del mercoledì 25 maggio 2011 su quale sia «la ratio di un'operazione che vede dismettere il patrimonio immobiliare posseduto per reinvestirlo in quote di SGR immobiliari, di fondi chiusi mobiliari,» e la preoccupazione che il patrimonio invece che a garanzia sia già dirottato a pagamento delle pensioni, segno evidente di difficoltà;
   a fronte di questa situazione il consiglio di amministrazione dell'Enpam, in data 27 aprile 2012, ha ratificato con propria delibera l'autosospensione del presidente Parodi, avvenuta in data 19 aprile 2012, affidando la responsabilità gestionale e la legale rappresentanza al Vice presidente vicario Alberto Oliveti;
   il provvedimento di autosospensione risulta essere secondo l'interrogante non solo ipocrita ma anomalo, in quanto meglio sarebbero state le dimissioni del Presidente affinché lo stesso ente potesse essere meglio tutelato visto l'oggettivo conflitto con le esigenze personali di difesa del suo presidente;
   ci si chiede se non sia l'intero consiglio di amministrazione a dover rimettere il mandato dato che le scelte di investimento fatte risultano dal consiglio approvate –:
   quali siano stati i controlli svolti da parte dei Ministri interrogati e quali iniziative se del caso normative come ad esempio vincoli alla durata del mandato e alle scelte di investimento che comportino elevato rischio, si intendano predisporre per evitare che situazioni analoghe si possono ripetere in futuro;
   se il Governo non ritenga opportuno adottare linee guida atte ad assicurare che gli investimenti degli enti di previdenza, seppur privatizzati, siano sempre posti in un ottica di maggior salvaguardia dei diritti degli assistiti.   (4-15966)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea prevede lo stanziamento di circa 10 miliardi di euro per la riduzione dell'impatto ambientale dell'agricoltura italiana, attraverso piani di sviluppo rurale;
   la maggior parte dei piani di sviluppo rurale approvati dalle regioni italiane prevede una riduzione dell'impatto ambientale con tecniche di agricoltura integrata (chimiche fisiche ed agronomiche);
   una riduzione certa dell'inquinamento si avrebbe solo con la conversione all'agricoltura biologica, in quanto solo questa prevede la «certificazione» da parte di organismi specializzati;
   evidenziato come la Costituzione italiana all'articolo 117 prevede come materia di legislazione concorrente, quella sottoposta alla gestione dell'ambiente e del territorio e comunque all'applicazione di norme comunitarie –:
   se e quali azioni si intendano promuovere per un quadro normativo che preveda i criteri di certezza certificativa entro i quali devono essere elaborati i piani di sviluppo rurali regionali. (4-15950)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


   MURO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   l'ultima legge di stabilità (legge n. 183 del 2011), tra le altre disposizioni, ha introdotto alcune norme riguardo le certificazioni e le dichiarazioni sostitutive (autocertificazioni), rendendo più efficaci le innovazioni istituite dal decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 e, più precisamente, ha disposto che i certificati rilasciati dalla pubblica amministrazione riguardanti stati, qualità o fatti sono utilizzabili esclusivamente nei rapporti tra privati, con la conseguenza che nei rapporti verso gli enti pubblici e i gestori di pubblici servizi non si devono più presentare certificati ma solo, se ne ricorre il caso, autocertificazioni;
   ed ancora, che sui certificati per le transazioni private deve essere inoltre riportata, pena la nullità dell'atto, la dicitura: «Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi», infatti, precisa il testo di legge: «Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive (...), nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato»;
   i certificati attestanti stati, qualità personali o fatti non soggetti a modificazioni hanno validità illimitata, mentre gli altri hanno validità di sei mesi dalla data del rilascio (tranne nei casi in cui disposizioni di legge o regolamentari non prevedano dei termini superiori di scadenza);
   il cittadino non dovrà, quindi, più richiedere all'ufficio anagrafe i certificati di stato di famiglia, residenza, stato civile o altro, quando la richiesta di quei documenti provenga da un ente pubblico (ad esempio comuni, province, regioni, Inps, Asl e Motorizzazione civile) o da un gestore di servizi pubblici (come Poste, Enel ed altri) che a sua volta non dovrà più richiederne la presentazione;
   inoltre, la mancata accettazione delle dichiarazioni sostitutive di certificazione e delle dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà costituisce da parte delle pubbliche amministrazioni o dei privati gestori di pubblici servizi violazione dei doveri d'ufficio;
   tali disposizioni, però, hanno indotto in gravissimi errori gli uffici anagrafe del comune e gli uffici dall'Agenzia delle entrate; infatti, i cittadini che hanno promosso cause in materia di assistenza e previdenza obbligatoria – giudizi nei quali, per poter ottenere la prestazione economica richiesta, si necessita di attestazioni rilasciate dagli uffici dall'Agenzia delle entrate e di certificati anagrafici rilasciati dagli uffici anagrafe del comune – a causa di tali errate interpretazioni della norma, stanno incontrando fortissime difficoltà a produrre i documenti necessari per potere presentare ricorso in tribunale o da depositare in udienza;
   è di tutta evidenza che il decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, così come modificato dalla legge finanziaria per il 2012 sia stato mal interpretato;
   il testo di legge in maniera chiara dispone che il cittadino non dovrà più richiedere all'ufficio anagrafe i certificati di stato di famiglia, residenza, stato civile o altro, quando la richiesta di quei documenti provenga da un ente pubblico (ad esempio comuni, province, regioni, Inps, Asl e Motorizzazione civile) o da un gestore di servizi pubblici (come Poste, Enel ed altri), e gli uffici giudiziari non possono e non sono in nessun caso e in nessun modo considerati pubblica amministrazione;
   la distinzione tra i tre poteri fondamentali dello Stato (potere legislativo – potere esecutivo – potere giudiziario) è cosa ampiamente condivisa e pacifica e, quindi, il cittadino italiano che ha presentato, per mezzo del suo difensore, un ricorso dinanzi ad un'autorità giudiziaria per il riconoscimento di prestazioni previdenziali ed assistenziali, ha diritto ad ottenere il rilascio, da parte degli organi competenti, dei certificati anagrafici (certificato di nascita, di residenza, di cittadinanza e di famiglia), nonché delle attestazioni fiscali relative al reddito, atteso che tali documenti sono necessari per ottenere la tutela giurisdizionale di cui ha diritto e che i giudici, in maniera del tutto conforme alle previsioni legislative, non reputano valida, in alcun caso, alcuna forma di autocertificazione;
   la situazione allo stato è la seguente: da un lato, gli uffici dell'anagrafe e dell'Agenzia delle entrate insistono nel ritenere che anche la documentazione che deve essere prodotta dinanzi all'autorità giudiziaria può e anzi deve essere sostituita dalle autocertificazioni previste dall'ultima finanziaria; dall'altro, i giudici non riconoscono validità alcuna alle autocertificazioni;
   in data 31 gennaio 2012 la Presidenza del Consiglio dei ministri – ufficio per la semplificazione amministrativa confermava che la nuova disciplina degli articoli 40 e 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, come modificati dall'articolo 15 della legge n. 183 del 2011, non è applicabile alle certificazioni da produrre all'autorità giudiziaria nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali;
   nonostante tale comunicazione e nonostante alcune segnalazioni inviate all'Ispettorato per la funzione pubblica, gli uffici comunali e quelli dell'Agenzia delle entrate continuano a rifiutarsi di rilasciare le certificazioni richieste –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative di competenza al fine di evitare un'interpretazione da parte dei pubblici uffici della normativa concernente l'autocertificazione che risulta, secondo gli interroganti, difforme da quanto previsto dalla legge, anche alla luce dei chiarimenti già forniti con la citata nota del 31 gennaio 2012. (3-02256)

Interrogazione a risposta scritta:


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   l'elevatissimo livello di specializzazione e di competenza tecnica di numerose categorie di personale delle Forze armate e delle Forze di polizia comporta una costante fuoriuscita di professionalità pregiate verso l'impiego civile;
   l'espansione dell'aviazione commerciale degli anni 1995-2000 ha comportato l'incremento della richiesta di personale pilota e di controllore del traffico aereo verso l'impiego presso compagnie aeree civili e della gestione e dei servizi del controllo del traffico aereo;
   l'Amministrazione della difesa impone prolungati obblighi di servizio sotto forma di vincoli di ferma per arginare il fenomeno a livelli che non comportino squilibri nella capacità operativa dello strumento militare ed a protezione dei rilevanti investimenti effettuati per la formazione e l'aggiornamento di tali professionalità;
   il legislatore con gli articoli 1803, 1804, 1815, 1816, 2162, 2261, 2262, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, nonché gli articoli 3 e 5 della legge 28 febbraio 2000, n. 42, ha disposto anche dei premi in denaro cospicui per disincentivare l'esodo;  
   il tasso tendenziale di espansione dell'aviazione commerciale, e della gestione/servizio del controllo del traffico aereo civile, ha reso secondo gli interroganti l'intervento del legislatore anacronistico, nonché disomogeneo poiché è destinatario esclusivamente il personale dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e del Corpo della guardia di finanza;
   il Governo con la spending review è intervenuto analizzando le voci di spesa delle pubbliche amministrazioni, per evitare inefficienze, eliminare sprechi e ottenere risorse da destinare allo sviluppo e alla crescita –:
   quale sia per il corrente anno l'importo della spesa complessiva destinata al trattamento economico del personale delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza per effetto delle norme citate in premessa;
   se non ritenga opportuno e urgente assumere iniziative normative per eliminare il privilegio retributivo in premessa e in quale modo. (4-15940)

SALUTE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nelle sette trasmissioni televisive «Le Iene» del 26 gennaio 2012, 2 febbraio 2012, 9 febbraio 2012, 1o marzo 2012, 22 marzo 2012, 22 marzo 2012, 30 marzo 2012 e 11 aprile 2012 sono andati in onda dei servizi che mostravano il meccanismo delle truffe in farmacia a danno del servizio sanitario locale;
   in particolare, si afferma che il Ministro dell'economia e delle finanze sarebbe stato a conoscenza dei comportamenti fraudolenti praticati alcuni farmacisti, in particolare sulla consuetudine ad apporre ulteriori fustelle dei farmaci sulle ricette all'insaputa degli assistiti, con o senza la connivenza del medico prescrittore;
   il professor Baldassarri, già Vice Ministro dell'economia, afferma che se si evitassero le frodi «avremmo un risparmio di 6 o 7 miliardi di euro all'anno»;
   il 12 maggio 2005 l'allora Vice Ministro citato ed il presidente della regione Molise Iorio stipularono un «Protocollo d'intesa» avente come oggetto: «Progetto sperimentale MEF per il Sistema di monitoraggio e validazione della spesa farmaceutica a carico del Servizio Sanitario Nazionale mediante utilizzo di tecnologia innovativa basata su macchine validatrici periferiche multifunzionali, finalizzato al contenimento della spesa pubblica farmaceutica»;
   la regione Molise con le delibere di giunta regionale n. 645 del 31 maggio 2005 e n. 1319 del 5 ottobre 2005 aveva dato seguito al protocollo d'intesa incaricando la Molise Dati spa, sua società d'informatica «in house», di attuare il «Progetto MEF» specificando che l'importo relativo alle spese d'investimento del progetto ammontavano ad euro 8.880.0000,00 di cui 4.776.000,00 a carico della regione;
   più volte la Molise Dati spa ha scritto alla regione comunicando che il progetto MEF era stato collaudato con successo a luglio 2009 e che da settembre 2009 l'intero sistema poteva considerarsi posto in condizione di funzionalità e a disposizione della regione, chiedendo di conoscere la reale volontà della regione in merito alla fase di gestione del progetto;
   Federfanna Molise, inizialmente favorevole al progetto MEF, si è poi opposta, inspiegabilmente, all'avvio dello stesso;
   la Molise Dati spa a tutt'oggi ribadisce che l'opposizione dei farmacisti è l'unico motivo vero del mancato avvio del progetto MEF, sollecitando la regione a valutare le forme di partecipazione degli stessi;
   l'attuale Ministro della salute, come si evince dalle dichiarazioni rilasciate nelle citate trasmissioni, ha dichiarato che «c'era stato un problema relativo all'acquisto delle macchine, così perlomeno ci hanno riferito» e alla domanda dell'intervistatrice circa il fatto che le macchine erano già state posizionate tutte nelle farmacie per far partire il progetto, il Ministro ha risposto «può darsi che sia così. Quello che ci è stato riferito è che non è mai partito questo progetto nella regione Molise»;
   il presidente di Federfarma Molise ha inizialmente dichiarato che la categoria si era opposta perché solo 64 farmacie su 160 sono dotate di ADSL per problemi infrastrutturali della regione ed inoltre c'erano problemi con alcune validatrici non funzionanti, affermando poi, in fine, che Federfarma sarebbe comunque pronta a far ripartire il progetto, perché lo stop non sarebbe stato determinato dal mancato funzionamento di alcune validatrici, ma da una trattativa sindacale tesa ad ottenere il compenso di un euro a ricetta;
   il presidente della regione Molise, sempre incalzato dalla giornalista, dopo aver affermato che c'erano alcune contestazioni con l'impresa per dei problemi tecnici con le validatrici ha dichiarato che, alla luce della nuova posizione di Federfarma Molise, si sta lavorando per garantirne l'attivazione;
   la regione Molise era la regione scelta dal Ministro dell'economia e delle finanze per effettuare la sperimentazione al fine di estenderla su tutto il territori nazionale;
   la regione Molise ha già speso per il progetto MEF più di 4 milioni di euro;
   la regione Molise a tutt'oggi nulla ha fatto affinché il progetto MEF si avviasse ed ottenere così i benefìci attesi, sia locali che nazionali;
   sussiste l'obbligo per le aziende sanitarie locali di riversare un importo pari allo 0,90 per cento dei corrispettivi erogati alle farmacie in sede di liquidazione delle prestazioni farmaceutiche per il Servizio sanitario nazionale all'ENPAF (Ente nazionale previdenza assistenza farmacisti), in base all'articolo 5 ex lege 11 luglio 1977 n. 395, pari a circa 108 milioni di euro all'anno, nonché un ulteriore contributo dello 0,15 per cento così come previsto dall'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica n. 371 del 1998 pari a circa 17,5 milioni euro, per un totale quindi in circa 125 milioni di euro all'anno versati proprio per la collaborazione con il Servizio sanitario locale;
   né il sistema tessera sanitaria (articolo 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 e successive modificazioni e integrazioni), che aveva come obiettivo anche quello di impedire le truffe nella filiera del farmaco a carico del Servizio sanitario nazionale («potenziare il monitoraggio della spesa pubblica nel settore sanitario») né i successivi controlli delle regioni hanno impedito di fatto le truffe a carico del SSN;
   il reale livello di digital Divide (cioè la impossibilità di collegarsi ad Internet, nella regione Molise e in quasi tutto il territorio italiano) è drammaticamente elevato e tale da impedire di fatto nell'immediato soluzioni «on-line»;
   c’è la «inspiegabile» differenza del 70 per cento di spesa farmaceutica procapite fra le regioni più virtuose e quelle meno virtuose –:
   se risulti che la regione Molise abbia riferito al Ministro della salute le motivazioni del mancato avvio del progetto MEF per il sistema di monitoraggio e controllo della spesa farmaceutica a carico del Servizio sanitario nazionale;
   se i Ministri interpellati ritengano ancora valido il progetto pilota sottoscritto con la regione Molise;
   se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per porre rimedio, da subito, alle truffe sui farmaci a danno del Servizio sanitario nazionale e quindi dei cittadini contribuenti.
(2-01475) «Gava, Brugger».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   l'atrofia muscolare spinale o SMA, acronimo dei termini inglesi Spinal Muscular Atrophy, indica un gruppo di malattie neuromuscolari ereditarie. Tutte queste forme della malattia colpiscono particolari cellule nervose chiamate motoneuroni, destinate al controllo dei movimenti dei muscoli volontari. La SMA causa la degenerazione dei motoneuroni alla base del cervello e lungo il midollo spinale, impedendo il corretto trasferimento degli impulsi elettrici e chimici ai muscoli, necessario per il normale funzionamento degli stessi, e pregiudicando l'espletamento di attività quali andare carponi («gattonare»), camminare, controllare il collo e la testa, e deglutire;
   le principali forme di SMA sono tre: malattia di Werdnig – Hoffhmann (SMA I), SMA intermedia (SMA II), SMA lieve, o malattia di Kugelberg – Welander (SMA III). Esse differiscono tra di loro essenzialmente per l'età d'insorgenza dei primi sintomi e per la severità della progressione;
   la SMA è la causa principale di morte infantile e affligge da 1 su 6.000 a 1 su 10.000 nati vivi. La sua forma più severa causa molto spesso la morte nei primi due anni di vita. Circa un individuo su 40 è portatore sano;
   la SMA è una delle malattie più invalidanti che esistano. Una persona affetta da SMA smetterà di camminare, di muovere le braccia, perderà l'uso di tutti i muscoli volontari. Spesso vengono coinvolti anche i muscoli respiratori e quelli per la masticazione e la deglutizione. Una persona affetta da SMA nel corso della propria vita perde tutte le abilità;
   la SMA è inserita nell'elenco delle malattie rare, allegato al decreto del Ministero della salute 18 maggio 2001, n. 279, recante «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124», il che implica il diritto del paziente – una volta certificata la malattia – all'esenzione totale dal ticket per le prestazioni di assistenza sanitaria incluse nei livelli essenziali di assistenza (LEA) ritenute efficaci ed appropriate per il trattamento e il monitoraggio della malattia e per prevenire ulteriori aggravamenti;
   in considerazione dell'onerosità e della complessità dell’iter diagnostico per le malattie rare, l'esenzione è estesa alle indagini volte all'accertamento delle malattie stesse ed alle indagini genetiche sui familiari dell'assistito eventualmente necessarie per la diagnosi di malattia rara di origine genetica;
   ai malati di atrofia muscolare spinale è, altresì, riconosciuta l'esenzione dal pagamento dei farmaci di fascia A (come a tutti gli altri cittadini), ma il vero problema riguarda l'esclusione dalla lista di rimborsabilità dei farmaci inseriti in fascia C e l'inserimento nella fascia di trattamenti non farmacologici di presidi e di prodotti galenici;
   i malati di SMA non hanno bisogno di farmaci perché al momento non esistono cure che consentano di arrestare o far regredire la malattia;
   le gravi problematiche per cui oggi si interpella il Ministro sono relative alla possibilità o, per meglio dire, impossibilità per i malati di SMA di poter compiere i gesti che appartengono alla vita quotidiana e al delicato tema della loro alimentazione;
   per una persona affetta da SMA i semplici gesti quotidiani come telefonare, scegliersi un film in televisione, scrivere, accendere la luce, navigare su internet rappresentano un'impresa titanica;
   se è vero che la medicina non è ancora in grado di curare la SMA, è altrettanto vero che la tecnologia può aiutare a migliorare la qualità della vita di un malato di SMA. Esistono, per esempio, dei telefoni con comando vocale, dei programmi che permettono di accendere la luce o la televisione che, se per molti rappresentano un lusso, per i malati di SMA rappresentano l'unica possibilità di poter svolgere i normali gesti della vita di tutti i giorni;
   purtroppo si tratta di ausili i cui costi sono in qualche caso molto elevati e che, nonostante sia previsto che il Sistema sanitario nazionale debba fornire le protesi e gli ausili necessari al raggiungimento della piena integrazione e dell'autonomia della persona handicappata, non sono inclusi nel nomenclatore tariffario, il cui aggiornamento risale al 1999;
   per quanto riguarda la problematica relativa all'alimentazione, è necessario premettere che le persone affette da SMA necessitano quotidianamente di integratori alimentari ossia ”prodotti alimentari destinati a integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare ma non in via esclusiva aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate»;
   i bambini affetti da SMA hanno spesso problemi di masticazione e deglutizione e, quindi, l'alimentazione diventa un processo lungo e noioso ed, inoltre, a seguito di infezioni respiratorie, può verificarsi un indebolimento dell'organismo con conseguente malnutrizione;
   per le persone affette da SMA la quantità di proteine deve essere maggiore per prevenire il catabolismo proteico dei muscoli: questi sono infatti costituiti da materiale proteico e un bimbo affetto da SMA non può permettersi di perdere anche poco della sua massa muscolare;
   un bimbo affetto da SMA di 10 anni, per esempio, deve pesare almeno il 10 per cento in meno rispetto ad un bimbo sano, perché i suoi muscoli, già deboli, non possono supportare un peso eccessivo e, dunque, è necessario prevenire l'obesità per permettere al bambino di muoversi al meglio delle sue capacità. Ad esempio, un peso eccessivo in un bambino affetto da SMA III sarà la causa principale per cui il bimbo smetterà di camminare;
   nelle forme medie di SMA i problemi di deglutizione sono di lieve entità e vengono superati utilizzando degli addensanti per liquidi. In commercio esistono anche bevande gelificate per «mangiare» l'acqua. Questi prodotti sono più densi dell'acqua e ciò rende più facile la deglutizione: quando arrivano nello stomaco diventano acqua;
   il malato di SMA per nutrirsi ha bisogno, come sopra descritto, di alimenti e di integratori alimentari, i quali diventano – in questo caso – dei veri e propri prodotti salvavita;
   la SMA non si cura con i farmaci e, dunque, coloro che sono affetti da SMA – nonostante siano in possesso di un codice per l'esenzione dal ticket – non pesano sul sistema sanitario nazionale;
   i malati di SMA necessitano quotidianamente di integratori alimentari;
   la tecnologia non rappresenta per loro un lusso ma l'unica possibilità di condurre una vita autonoma;
   è necessario rendere realmente fruibile i diritti all'uguaglianza e alla salute, di cui agli articoli 3 e 32 della Costituzione, anche da parte dei cittadini gravemente disabili come quelli affetti da atrofia muscolare spinale –:
   quali tempestive iniziative intenda assumere – nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle prerogative attribuite alle regioni in materia sanitaria dalla normativa vigente – al fine di garantire ai malati di atrofia muscolare spinale l'effettivo godimento del diritto all'esenzione dalla partecipazione alla spesa per tutte le prestazioni sanitarie incluse nei livelli essenziali di assistenza (LEA), efficaci ed appropriati per la diagnosi, il trattamento e il monitoraggio dell'evoluzione della malattia, comprese le prestazioni riabilitative e di assistenza protesica, nonché l'acquisto dei trattamenti considerati non farmacologici, quali integratori alimentari, dispositivi medici e presidi sanitari;
   se non ritenga necessario e non ulteriormente procrastinabile assumere iniziative per l'aggiornamento del nomenclatore tariffario, anche al fine di tutelare il diritto dei malati di SMA ad una vita autonoma, così come previsto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104, legge – quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.
(2-01484) «Savino, Cicu, Castellani, Pelino, De Corato, Massimo Parisi, Crosetto, Sammarco, Saglia, Lazzari, Dell'Elce, Milanese, Porcu, Lisi, Scelli, Ventucci, Nirenstein, Cossiga, Sisto, Torrisi, Vitali, Calabria, Contento, Malgieri, Cassinelli, Papa, Distaso, Bernardo, D'Alessandro, Cannella, Saltamartini, Frassinetti».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il professore Silvio Garattini il 16 febbraio 2012 è stato nominato dal Ministro e della salute membro del consiglio di amministrazione dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e ciò nonostante continua ad esercitare le funzioni di direttore dell'istituto Mario Negri come è testimoniato da suoi numerosi interventi pubblicati sugli organi di stampa e firmati con tale qualifica anche in questi giorni;
   l'Istituto Mario Negri per lo svolgimento delle sue attività di ricerca ricorre anche a finanziamenti da parte delle industrie farmaceutiche e/o sanitarie come evidenziato sullo stesso sito del Mario Negri in cui compaiono studi clinici attivi profit e no profit, sponsorizzati da aziende, studi di cui l'istituto Mario Negri è coordinatore, promotore e/o partner;
   in questo momento è verificabile come siano in corso studi presso il Mario Negri sponsorizzati o finanziati da case di rilevanza internazionale come Sigma Tau, Abbott, Graxo SmithKline, Boehringer, Astrazeneca, Sanofi Aventis e Roche;
   nel triennio 2006-2008 sono stati approvati progetti di ricerca del Mario Negri e Mario Negri sud per oltre 15 milioni di euro. Si tratta di progetti che, pur non avendo ancora prodotto risultati, devono ricevere tranche di finanziamento sui quali deciderà il consiglio di amministrazione dell'AIFA, al cui interno siede il suddetto professore Garattini;
   di conseguenza il professore Silvio Garattini, in qualità di componente del consiglio di amministrazione dell'AIFA, sì troverà a decidere sul finanziamento da parte della stessa AIFA dei progetti dell'istituto Mario Negri di cui è direttore, con quello che all'interpellante appare un evidente conflitto di interessi;
   per il bando AIFA 2009 sono stati approvati dalla commissione ricerca, di cui era presidente il professore Garattini, tre studi che coinvolgono il Mario Negri. Questi progetti, autorizzati al finanziamento dal consiglio di amministrazione dell'AIFA a dicembre 2011, dovranno essere sottoposti ad un ulteriore vaglio del consiglio di amministrazione per le successive tranche di finanziamento. Ciò configura, sempre ad avviso dell'interpellante, un ulteriore conflitto di interessi;
   inoltre, sempre nella sua carica di componente del consiglio di amministrazione dell'AIFA, il professore Garattini si troverà a dover giudicare e deliberare sull'autorizzazione all'immissione in commercio di farmaci richiesta dalle stesse aziende farmaceutiche che sono state e/o sono tuttora sponsor, di progetti in capo all'istituto Mario Negri, configurando un nuovo, grave conflitto di interessi;
   ai sensi dei commi 2 e 4 dell'articolo 9 del decreto ministeriale 20 settembre 2004 n. 245 «Regolamento recante norme sull'organizzazione ed il funzionamento dell'Agenzia Italiana del Farmaco», a norma dell'articolo 48, comma 13, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. «Il Presidente e i Consiglieri non possono svolgere attività che possano entrare in conflitto con i compiti e gli interessi dell'Agenzia o cagionare nocumento all'immagine della stessa, ovvero comprometterne il normale funzionamento o l'imparzialità.», inoltre «I componenti del consiglio di amministrazione vengono dichiarati decaduti dal Ministro della salute per il venir meno dei requisiti della nomina, nel caso in cui non partecipano per tre volte consecutivamente alle riunioni senza giustificato motivo e nei casi di incompatibilità di cui al comma 2 del presente articolo»;
   il professore Luca Pani, prima di assumere le funzioni di direttore generale dell'AIFA si è dimesso dalle cariche presso il Consiglio nazionale delle ricerche ed ha sospeso ogni sua attività professionale nell'ambito della psichiatria –:
   se e quali misure intenda intraprendere il Ministro interpellato per rimuovere il conflitto di interesse riguardante il professore Silvio Garattini nella sua duplice veste di membro del consiglio di amministrazione dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e direttore dell'istituto Mario Negri.
(2-01474) «Mario Pepe (Misto-R-A)».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 6 gennaio 2012, sul quotidiano online «Ilgiornaledivicenza.it», è apparso un articolo di Cristina Genesin intitolato: «Morì in cella. Colpa medica»;
   nell'articolo si narra la triste vicenda capitata al 37enne Federico Rigolon, detenuto ristretto nel carcere Due Palazzi di Padova, il quale, nonostante la terapia farmacologica prescritta dal medico del carcere, lamentava un fortissimo dolore nella parte superiore dell'addome. Così per tre volte in 24 ore era tornato nell'infermeria del carcere insistendo con il medico che il dolore che provava non passava;
   poche ore più tardi dall'ultimo ricovero Federico è stato trovato senza vita in cella ucciso da un infarto miocardico acuto;
   secondo la dottoressa Orizia D'Agnese, 41 anni, in servizio a Padova, il malessere di Rigolon dipendeva da problemi di stomaco, mentre ora, a otto mesi, dal decesso dell'uomo, il pubblico ministero Orietta Canova ha chiuso formalmente l'inchiesta e ha sollecitato il processo a carico della stessa dottoressa Orizia D'Agnese (difesa dall'avvocato Lorenzo Locatelli), per il reato di omicidio colposo, il tutto sul presupposto accusatorio che forse, se ricoverato in un'unità coronarica, l'uomo avrebbe potuto salvarsi;
   Federico Rigolon, un passato di tossicodipendenza e truffe, si rivolse alla guardia medica il 16 aprile per un dolore epigastrico avvertito pure in passato. L'indomani si ripresentò in infermeria alle 7,45 per lo stesso problema, nonostante l'assunzione di farmaci. A questo punto chiese di essere trasferito in ospedale ma la dottoressa gli prescrisse ranitidina per curare una gastrite acuta e Buscopan per fronteggiare il dolore. Alle 11,40 Rigolon tornò dal medico. E il medico gli prescrisse un altro antidolorifico (Contramal), suggerendo al paziente di non fumare più: si limitò, per l'accusa, a prenotare in ospedale un esame endoscopico. Secondo la consulenza tecnica svolta dal professor Gaetano Thiene e dal medico legale Claudio Terranova, consulenti della procura, sarebbe bastato un elettrocardiogramma per individuare con certezza l'infarto in atto –:
   di quali informazioni dispongano circa i fatti riferiti in premessa e se non intendano avviare, negli ambiti di rispettiva competenza e comunque a prescindere e nel rispetto del procedimento penale avviato dalla procura di Padova, ogni iniziativa di competenza volta a fare piena luce sul decesso di Federico Regolon.
(5-06722)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 15 gennaio 2012, il detenuto Domenico Papalia, classe 1977, attualmente detenuto presso il carcere di Spoleto, ha rivolto un pubblico appello;
   si tratta di un detenuto di 35 anni (8 marzo 1977), portatore delle seguenti patologie: ipertensione arteriosa, diabete, tumore prostatico, diverticolite e altre patologie. In data 4 gennaio 2012 è stato tradotto dal carcere di Livorno (per sfollamento per inagibilità), a quello di Spoleto. Giunto in questo istituto, nonostante sia prescritta in diario clinico la terapia d'assumere, e il controllo pressorio e stick tre volte a settimana, il detenuto riferisce di aver visto il medico dopo otto giorni a seguito di ripetute richieste. Gli infermieri solo dopo qualche giorno controllano la pressione e lo stick, sempre a seguito di numerose richieste. Mentre gli è somministrata la terapia per altre patologie, non è la stessa cosa per la patologia del tumore alla prostata con «Avodart e Pradif», perché non sarebbe disponibile. Ha fatto richiesta di acquistarla a spese sue in data 6 gennaio 2012 e ancora non si provvede in tal senso e quindi sono 12 giorni che non assume terapia per la patologia prostatica con le sofferenze fisiche che si possono immaginare. Quindi, in questo istituto, l'assistenza sanitaria appare proprio assente e il detenuto chiede di intervenire alle istituzioni dell'Istituto –:
   di quali elementi disponga in merito a quanto riportato nell'appello dal detenuto Domenico Papalia;
   se risulti per quali motivi al detenuto in questione sia stato effettuato il controllo «pressorio e stick» solo dopo otto giorni dal suo ingresso nel carcere di Spoleto e ciò sebbene il suo diario clinico prevedesse controlli periodici da ripetersi almeno tre volte alla settimana;
   più in generale, quali iniziative intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, affinché al detenuto, sebbene ristretto in carcere, venga garantito e assicurato il fondamentale diritto alla salute;
   quanti detenuti siano attualmente ristretti all'interno del carcere di Spoleto e quanti di essi risultino affetti da patologie mediche che necessitano di interventi, cure e terapie periodiche;
   quanti medici siano attualmente previsti nella pianta organica dell'istituto spoletino e quanti prestino effettivamente servizio al suo interno. (5-06745)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto denunciato dal medici del Cedig di Trieste, centro per il supporto al disturbo delle identità di genere, la regione Friuli Venezia Giulia avrebbe negato la disponibilità all'utilizzo di una sala operatoria per il cambio di sesso;
   il professor Carlo Trombetta, specialista in urologia e coordinatore del Cedig (Centro per il supporto al disturbo delle identità di genere) ha recentemente dichiarato che: «In questi anni abbiamo creato con il Cedig un’équipe di endocrinologi, psichiatri, ginecologi e chirurghi plastici. Sono stati organizzati del corsi di formazione per gli infermieri. Ma non abbiamo più la disponibilità delle sale operatorie»; se un tempo le sale a disposizione erano due, ora il Cedig ne può utilizzare una sola al mese con 47 Interventi in lista d'attesa: «Da quando ci sono gli attuali responsabili non possiamo più fare questi interventi. I quattro che vengono effettuati in un anno li inserisco all'interno del mio master e lo stesso viene fatto dal collega Zoran Arnez che ne riesce a fare altri quattro. Ma non si può far aspettare quattro anni per un intervento quando ogni giovedì riceviamo in ambulatorio persone che scelgono di cambiare sesso e che vengono da tutta Italia, inoltre è stata anche abolita l'Unità semplice identità di genere»;
   nel solo capoluogo del Friuli Venezia Giulia gli interventi per il cambio di genere praticati negli ultimi 18 anni sono stati 450; Trieste fin dal primi anni Novanta è stato un centro di riferimento per le persone transessuali. Dal 1994 sono stati praticati 350 interventi di cambio sesso da uomo a donna e 100 viceversa da donna a uomo; gli interventi chirurgici per il cambio di sesso sono poco frequenti e considerati meno urgenti degli altri. Per queste ragioni le sale operatorie per simili interventi spesso vengono negate;
   a giudizio degli interroganti fatti come quelli esposti aumentano le difficoltà e il disagio che invece occorrerebbe combattere promuovendo maggiore aiuto e sostegno alle persone transessuali e transgender –:
   di quali elementi disponga sui fatti di cui in premessa e quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati riguardo alla messa in campo di azioni che tengano conto della necessaria tempestività che occorre per questa fattispecie di interventi chirurgici e per combattere le lunghe liste di attesa che si protraggono per anni in centri di eccellenza come il Cedig di Trieste;
   quanti interventi di cambiamento di sesso siano stati eseguiti in Italia, anno per anno, negli ultimi 5 anni e in quali regioni. (5-06752)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO, ZAMPARUTTI e CERONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 25 marzo 2012, sul sito internet dell'associazione adiantum (www.adiantum.it), è apparso un articolo intitolato: «Antonella Flati: scoperta nelle Marche una casa famiglia tugurio»;
   l'articolo in questione si basa su un comunicato stampa diramato da Antonella Flati, responsabile della neonata Associazione PSF (Pronto soccorso famiglie), nel quale si dà conto della inchiesta che ha portato l'avvocato Miraglia, noto professionista attivo nel segnalare gli scandali di molte case famiglia italiane e di alcuni tribunali minorili, a inviare un esposto alla procura della Repubblica territorialmente competente per sollecitare indagini su una struttura per minori dove, secondo i resoconti fotografici e video, i bambini vivrebbero in locali in condizioni pietose, certamente non rispondenti agli standard qualitativi che un servizio di questo tipo, peraltro molto costoso per gli enti locali (fino a 250 euro al giorno per ciascun bambino ospitato), dovrebbe avere in ogni caso;
   nel suo comunicato stampa, la responsabile dell'associazione «Pronto soccorso famiglie» scrive quanto segue: «La casa famiglia Dina Sergiacomi sita a Montalto Delle Marche è una struttura a due piani che ospita al piano inferiore mamme con bambini e al piano superiore bambini allontanati dalla propria famiglia. Dopo esserci documentati sulla struttura, raccogliendo silenziosamente materiale fotografico fornito degli stessi occupanti, testimonianze delle mamme ospiti e di alcuni ex dipendenti della struttura, abbiamo ritenuto necessario rivolgerci all'avvocato Francesco Miraglia di Modena, con il quale abbiamo esaminato tutta la documentazione e ci siamo sentiti in dovere di informare l'autorità giudiziaria competente, affinché si accertino le gravi condizioni igienico-sanitarie in cui versa la struttura, l'esistenza in essa di bagni in condizioni igieniche abominevoli, di camere con mobilio pericolante, di finestre senza alcuna protezione e prive di serrande, di muffa sui muri a causa di eccessiva umidità. Senza contare la mancanza di una stanza per gli operatori del turno di notte, l'assenza di un medico del lavoro che vigili sulla salute psicofisica degli operatori con controlli annuali soprattutto per chi è addetto ai turni notturni, la presenza di minori che devono assumere psicofarmaci senza la presenza di un medico, e molto altro. Di fronte a ciò dobbiamo chiederci quali controlli vengano fatti sugli istituti in cui questi bambini vengono «rinchiusi per il loro bene. Regioni e comuni, infatti, compiono un grosso sforzo economico per mantenere i centri per minori e adulti in difficoltà ma non sembra vengano effettuati controlli sulle condizioni igieniche e strutturali di queste aziende. Sarebbe auspicabile una verifica sui bilanci di ogni casa-famiglia, in modo da avere una maggiore trasparenza. Ogni casa famiglia dovrebbe rendere pubbliche le modalità di spesa dei fondi percepiti per cibo, vestiario, trasporti e personale dipendente, ma soprattutto la pubblicazione della tabella degli utili che sono soggetti a tassazione agevolata. Inoltre emerge altresì dal materiale fotografico ricevuto che nella casa famiglia in questione è presente una dispensa contenente all'interno prodotti a marchio CEE, cioè alimenti destinati a titolo gratuito a persone non abbienti, pertanto a costo zero, mentre nel capitolato approvato dal comune e dalla Asl locale, l'azienda si impegna a fornire pasti che vengono regolarmente finanziati. Alla luce di queste sconcertanti immagini, riteniamo che l'opinione pubblica debba sapere come la tutela a favore dei bambini spesso e volentieri viene usata come strumento per alimentare un vero e proprio mercato sulla pelle dei bambini e delle famiglie»;
   al comunicato sopra riportato sono state allegate foto e video, poi pubblicati sul sito dell'associazione Adiantum, dai quali si evincono le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui versa la struttura Dina Sergiacomi;
   sulla vicenda Dino Latini, consigliere regionale delle Marche e presidente della Commissione bilancio, ha diramato il seguente comunicato: «Nella mia qualità di consigliere regionale, sto seguendo con particolare attenzione la situazione di tre comunità gestite dalla Cooperativa Sociale «San Marco», che sono state oggetto di un esposto presso la procura della Repubblica di Ascoli Piceno. Le tre strutture in questione sono: la comunità per minori Don Giuseppe Barbizzi di Montalto delle Marche, la comunità-alloggio Dina Sergiacomi sempre di Montalto delle Marche, per madri in difficoltà, e la, comunità educativa per Minori San Marco di Ripe San Ginesio. In tutti i casi sono state contestate gravi inadempienze di carattere strutturale, normativo e sanitario. In particolare, risulterebbe sovradimensionato il numero degli ospiti, il cibo utilizzato non sarebbe adeguato (soprattutto quello destinato ai bambini) i bagni non sarebbero a norma e le disposizioni di sicurezza degli ospiti e degli operatori non verrebbero rispettate se non in minima parte. Seguirò personalmente l'evolversi della situazione e se necessario porterò la questione all'attenzione dei massimi organismi del consiglio regionale»;
   della comunità-alloggio Dina Sergiacomi di Montalto delle Marche si è anche occupata la trasmissione Mattino 5 andata in onda lo scorso 27 settembre; la trasmissione è stata caratterizzata dagli interventi dell'avv. Miraglia, di Antonella Flati e dalle interviste ad alcune mamme ospitate nella struttura;
   sarebbe opportuno, ad avviso degli interroganti, che gli enti competenti in tempi brevissimi inviino un'ispezione presso la comunità-alloggio Dina Sergiacomi di Montalto delle Marche al fine di verificare, nell'ambito delle proprie competenze, l'eventuale presenza delle gravi inadempienze di carattere strutturale, normativo e sanitario indicate in premessa, anche considerata l'opportunità di rendere pubbliche eventuali convenzioni in corso fra la citata comunità-alloggio e gli enti locali e quali finanziamenti la comunità-alloggio in questione abbia percepito, per quali e quanti bambini e per quali periodi di ospitalità –:
   se intenda, inviare i Nas presso la struttura al fine di accertare se sussistano gli elementi di criticità descritti in premessa. (5-06761)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane la stampa e la televisione – a partire dal programma televisivo Mattino 5 andato in onda il 27 marzo 2012 – si sono occupati della comunità alloggio per minori «Dina Sergiacomi» di Montalto nelle Marche (Ascoli Piceno), struttura che ospita bambini con genitori in difficoltà e/o minori allontanati dalle proprie famiglie;
   la vicenda – che sta sollevando forte preoccupazione a livello nazionale per via delle presunte irregolarità amministrative che sarebbero state riscontrate all'interno della comunità alloggio dai NAS e, in particolare, per via delle immagini e del documento video che una mamma ospitata in quella struttura ha consegnato ad Antonella Flati, responsabile dell'associazione Pronto soccorso famiglie, e da questa segnalate alle autorità competenti – è già stato oggetto di una interrogazione parlamentare rivolta al Ministro della giustizia e della salute e sottoscritta dalla prima firmataria del presente atto;
   lo scorso 31 marzo la signora M.C. – ossia la donna che ha consentito la diffusione del video da lei stessa girato all'interno della struttura nel quale si vedono i locali dove vivono i bambini ospitati dalla comunità alloggio ridotti in condizioni pietose, e comunque non rispondenti agli standard qualitativi che un servizio di questo tipo dovrebbe offrire – è stata sottoposta, in seguito a circostanze tutte da chiarire, ad un trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.), pare solamente perché sorpresa in luogo pubblico in stato di ebbrezza;
   la donna, fino a quel momento ospite presso la struttura Dina Sergiacomi insieme ai figli, è stata sottoposta al trattamento sanitario obbligatorio – guarda caso – pochi giorni dopo la diffusione del video da lei stessa girato e, quindi, successivamente ai controlli effettuati dai NAS e dai carabinieri all'interno della predetta comunità alloggio;
   attualmente M.C. si trova ricoverata in un ospedale di Ascoli Piceno su richiesta del sindaco di Montalto nelle Marche;
   il trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.), istituito dalla legge n. 180 del 1978 e attualmente regolamentato dalla legge n. 833 del 1978 (articoli 33-35), è un atto composito di tipo medico e giuridico, che consente l'effettuazione di determinati accertamenti e terapie ad un soggetto affetto da malattia mentale che, anche se in presenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, rifiuti il trattamento;
   il concetto di TSO è basato su valutazioni di gravità clinica e di urgenza ed è quindi inteso come una procedura esclusivamente finalizzata alla tutela della salute e della sicurezza del paziente;
   dal punto di vista normativo, il trattamento sanitario obbligatorio viene emanato dal sindaco del comune presso il quale si trova il paziente, su proposta motivata del medico. Qualora il trattamento preveda un ricovero ospedaliero, è necessaria inoltre la convalida di un secondo medico, appartenente ad una struttura pubblica;
   il sindaco può emanare l'ordinanza di trattamento sanitario obbligatorio nei confronti di un libero cittadino solo in presenza di due certificazioni mediche che attestino che la persona si trova in una situazione di alterazione tale da necessitare urgenti interventi terapeutici; che gli interventi proposti vengono rifiutati e che non è possibile adottare tempestive misure extraospedaliere;
   le tre condizioni di cui sopra devono essere presenti contemporaneamente e devono essere certificate da un primo medico (che può essere il medico di famiglia, ma anche un qualsiasi esercente la professione medica) e convalidate da un secondo medico che deve appartenere alla struttura pubblica;
   le certificazioni oltre a contenere l'attestazione delle condizioni che giustificano la proposta di TSO, devono essere motivate nella situazione concreta. In altre parole non dovrebbero essere ammesse certificazioni che si limitano alla mera enunciazione delle tre condizioni sopra indicate, né tanto meno prestampati. Così come non dovrebbero essere prese in considerazione certificazioni che si limitano alla sola indicazione della diagnosi;
   l'articolo 33 della legge n. 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, stabilisce che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari; qualora previsti, i trattamenti sanitari obbligatori devono comunque rispettare la dignità della persona, i diritti civici e politici, compreso, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura;
   l'articolo 33, comma 3 della legge n. 833 del 1978 aggiunge inoltre che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato –:
   quale sia stata l'esatta dinamica degli avvenimenti che hanno portato alla decisione di sottoporre la donna a TSO mediante degenza ospedaliera coatta, chi sia stato a proporre il TSO nei confronti della signora M.C. e se sia nota la ragione per la quale il sindaco di Montalto nelle Marche lo abbia disposto;
   se non si ritenga opportuno che siano resi pubblici tutti gli atti in base ai quali è stato attuato tale provvedimento (compresi gli eventuali verbali dei carabinieri);
   se si intenda in ogni caso fare chiarezza sulla vicenda e verificare per quanto di competenza la regolarità della procedura. (5-06762)


   BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la detenuta I.d.G., reclusa nel carcere romano di Rebibbia, deve scontare ancora sei anni per giungere al fine pena;
   in carcere la detenuta, grazie ad un progetto realizzato dal consorzio di cooperative sociali onlus Artemisia, ha imparato a lavorare la pelle e il cuoio;
   dal giugno 2010 Ld.G, è in articolo 21 e lavora presso il laboratorio di pelletteria sito non molto distante da Rebibbia;
   il predetto laboratorio è stato voluto dal consorzio Artemisia per consentire a chi aveva imparato un mestiere, in carcere, di poter continuare a lavorare anche fuori;
   sabato 14 gennaio 2012 la detenuta avverte un forte dolore all'addome e chiama al telefono la presidente volontaria del Consorzio Artemisia, chiedendole cosa fare, al che le viene risposto che avrebbe dovuto assolutamente chiamare il medico di guardia appena rientrata in Istituto e farsi visitare;
   domenica 15 gennaio 2012 la detenuta chiama nuovamente la presidente volontaria del Consorzio Artemisia raccontandole che il medico del carcere le ha detto, in modo alquanto infastidito, che non era niente di grave e che aveva solo aria nella pancia;
   nei giorni seguenti la detenuta continua ad avvertire forti dolori sicché giovedì 19 gennaio 2012 il medico del carcere le fa fare, sempre in istituto, un'ecografia addominale. La radiologa del carcere che esegue l'ecografia conferma alla detenuta di averle trovato aria nella pancia e del liquido, ma che comunque non c’è da preoccuparsi in quanto questo tipo di inconvenienti «possono dipendere da un virus»; dopodiché le fissa un appuntamento con la dottoressa di turno per il giorno successivo, venerdì 20 gennaio 2012;
   la dottoressa del carcere di Rebibbia, di turno venerdì 20 gennaio 2012, consiglia alla detenuta I.d.G. di andare a farsi una Tac in una struttura privata posta all'esterno e di concordare con un medico, sempre privatamente, un ricovero per fare ulteriori accertamenti;
   sabato 21 gennaio 2012 la detenuta chiama nuovamente al telefono la Presidente volontaria del consorzio Artemisia chiedendole di raggiungerla presso il laboratorio in quanto continuava ad accusare fortissimi dolori all'addome; dopodiché la detenuta veniva immediatamente portata al pronto soccorso del policlinico Umberto I dove le veniva diagnosticato: «Sospetto carcinoma ovario». In particolare l'Eco Addome evidenziava «un abbondante versamento ascitico fino allo scavo pelvico», mentre la Tac metteva in risalto una massa di tipo cistico di oltre 30 centimetri che comprimeva «sigma e dislocazione utero e vescica, pancreas, reni e area mesenterica. Più due altre formazioni a carico dell'ovaio»;
   successivamente la presidente volontaria del consorzio Artemisia – attraverso gli agenti di custodia – avvertiva il direttore del carcere spiegandogli tutta la situazione, ovvero che la detenuta versa in condizioni molto gravi e che pertanto deve essere ricoverata d'urgenza presso il reparto di ginecologia del professor Benedetti Panici;
   a seguito dell'intervento chirurgico, alla detenuta I.d.G. sono state asportate le ovaie, l'utero e l'appendice; ancora qualche giorno di ritardo e la donna non ce l'avrebbe fatta;
   il diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione, rappresenta un diritto inviolabile della persona umana, insuscettibile di limitazione alcuna ed idoneo a costituire un parametro di legittimità della stessa esecuzione della pena, che non può in alcuna misura svolgersi secondo modalità idonee a pregiudicare di diritto del detenuto alla salute ed alla salvaguardia della propria incolumità psico-fisica;
   il trattamento sanitario riservato alla detenuta in questione secondo gli interroganti non è conforme alle leggi dello Stato e, soprattutto, a quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione –:
   di quali elementi dispongano sulla vicenda segnalata in premessa e quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, al fine di chiarire le cause e le responsabilità della gravissima situazione verificatasi, nonché al fine di assicurare un'adeguata tutela del diritto alla salute dei detenuti. (5-06775)


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Osservatorio nazionale amianto ha chiesto l'immediata bonifica degli istituti scolastici di Crotone;
   detta richiesta segue la denuncia di numerose mamme preoccupate del rischio dell'amianto, dell'arsenico, dello zinco e di altri agenti patogeni presenti nelle scuole di Crotone;
   la presenza dei rifiuti tossici sotto alcuni istituti scolastici e addirittura sotto la questura è emersa nel corso dell'indagine «Black mountain»;
   la presenza di materiali tossici è stata accertata dalla perizia del consulente tecnico d'ufficio nominato dal tribunale di Crotone, che fa riferimento a tonnellate di rifiuti tossici con zinco, germanio, indio, cadmio, arsenico ed altri agenti patogeni, nel sottosuolo di diverse scuole ed edifici pubblici;
   l'Osservatorio nazionale amianto preannuncia un'azione legale «per l'adempimento specifico e risarcimento danni per le vittime nei confronti del Ministero della istruzione e della salute ove non si desse corso alla immediata decontaminazione dei siti» –:
   quali urgenti iniziative, di competenza, si intendano promuovere, adottare o sollecitare a fronte di quanto sopra esposto. (5-06793)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 3 maggio 2012 i maggiori quotidiani nazionali e locali hanno riportato con ampio risalto la notizia dell'approvazione da parte del consiglio regionale della regione Toscana di una legge regionale, prima in Italia, che facilita l'utilizzo di farmaci a base di cannabinoidi come ausilio terapeutico nella cura di gravi patologie, come la sclerosi multipla, la depressione o il glaucoma e, da ultimo, nei trattamenti palliativi per i malati oncologici;
   la citata norma regionale disciplina, sotto il profilo organizzativo e procedurale, l'utilizzo dei farmaci cannabinoidi, quale ausilio terapeutico all'interno del servizio sanitario regionale toscano;
   l'efficacia farmacologica dei cannabinoidi si fonda su acquisizioni scientifiche, sperimentazioni e pratiche cliniche sempre più diffuse a livello mondiale. A questo proposito, dalle pubblicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) risulta che i medicinali cannabinoidi trovano indicazione nel trattamento farmacologico della nausea e del vomito in pazienti affetti da neoplasie ed AIDS sottoposti alle cure con farmaci antiblastici e antivirali. Altri usi terapeutici si stanno studiando in sperimentazioni cliniche sull'uomo e riguardano il trattamento dell'asma e del glaucoma; inoltre, si sta valutando la loro attività antidepressiva, anticonvulsivante, antispasmodica, antitumorale e come stimolanti dell'appetito;
   dal 2007, con il decreto del Ministro della salute del 18 aprile 2007, alcuni principi attivi cannabinoidi sono stati inseriti nella tabella II, sezione B, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, rendendone possibile l'utilizzo terapeutico. Farmaci contenenti tali principi attivi non sono però presenti sul mercato italiano in mancanza di autorizzazione al commercio; pertanto i medici che ritengono di doverli somministrare ai propri pazienti possono richiederne l'importazione dall'estero all'ufficio centrale stupefacenti del Ministero della salute, oppure possono utilizzare le preparazioni magistrali costose allestite da una farmacia;
   allo stato attuale l’iter burocratico per l'approvvigionamento di farmaci dall'estero è lungo e tortuoso e richiede procedure complesse e tempi troppo lunghi (almeno 3/4 mesi nei casi migliori). Tant’è che sono solo un centinaio in tutta Italia i pazienti che stanno assumendo tali farmaci seguendo l’iter. Con la legge approvata in Toscana perciò si intende favorire il percorso e l'accesso a tali farmaci, con lo scopo di ridurre i tempi e di dare regole e procedure chiare e uniformi per medici e pazienti. In sostanza, il paziente tramite il proprio medico farà la richiesta alle strutture sanitarie, che tramite le farmacie ospedaliere potranno fornire il farmaco, con costi a carico del servizio sanitario (in base all'articolo 5 del decreto del Ministro della sanità 11 febbraio 1997). La stessa norma, in combinato con la normativa sulle prestazioni ospedaliere, si ritiene consenta l'applicazione del medesimo regime anche per le preparazioni magistrali a base di cannabinoidi realizzate in ambito ospedaliero dalle stesse farmacie ospedaliere con un risparmio di spesa;
   è importante sottolineare che dopo l'inizio del trattamento in ambito ospedaliero il paziente potrà, se dimesso, proseguire la terapia dopo le dimissioni con un ulteriore risparmio di spesa sanitaria e un miglioramento delle condizioni di cura con il rientro nell'ambito domestico –:
   quali urgenti iniziative normative intenda intraprendere il Ministro interrogato per verificare l'opportunità di consentire in tutto il territorio nazionale l'acquisto e la somministrazione di farmaci a base di cannabinoidi secondo l’iter previsto dalla nuova norma della regione Toscana;
   se non ritenga poi utile istituire un tavolo tecnico per prevederne facilitazioni, ove ne ricorrano i presupposti clinici, all'utilizzo, anche considerando le sperimentazioni fatte in materia da altre regioni italiane, come Marche e Puglia, visto l'importanza che essi hanno nella terapia del dolore e i possibili risparmi finanziari per il Servizio sanitario nazionale.
(4-15951)


   DI PIETRO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il provvedimento n. 465/2010 del direttore generale dell'ASREM (azienda sanitaria regione Molise) è stata data applicazione alla risoluzione consensuale dei rapporti di lavoro dei dirigenti di tutti i ruoli (in primis di quelli di struttura) che avrebbe dovuto ridurre gli incarichi dirigenziali e generare nel medio termine economie di spesa;
   negli ultimi anni, circa 150 dirigenti dell'ASREM hanno beneficiato, nell'ambito dell'istituto della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, di un'indennità supplementare, oltre alla liquidazione ordinaria, anche di 24 mensilità e fino a circa 200.000 euro; chiunque abbia fatto richiesta di accesso al beneficio in questione ne ha avuto il riconoscimento, senza una preventiva valutazione degli effetti sul bilancio, sull'organizzazione e sull'obbligo di assicurare i servizi minimi essenziali;
   l'articolo 22 del CCNL del sistema sanitario ha previsto che:
    «1. L'azienda o il dirigente possono proporre all'altra parte la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro;
    2. La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è praticabile prioritariamente in presenza di processi di ristrutturazione o di riorganizzazione cui è correlata una diminuzione degli oneri di bilancio derivante, a parità di funzioni e fatti salvi gli incrementi contrattuali, dalla riduzione stabile dei posti di organico della qualifica dirigenziale, con la conseguente ridefinizione delle relative competenze;
    3. Ai fini dei commi 1 e 2, l'azienda, disciplina i criteri generali delle condizioni, dei requisiti e dei limiti per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro i quali, prima della loro definitiva adozione sono oggetto di concertazione ai sensi dell'articolo 6, lettera b);
    4. In applicazione dei commi precedenti, l'azienda può erogare un'indennità supplementare nell'ambito della effettiva capacità di spesa del rispettivo bilancio. La misura dell'indennità può variare fino a un massimo di 24 mensilità, comprensive: dello stipendio tabellare, dell'indennità integrativa speciale, dell'indennità di specificità medico – veterinaria e di esclusività del rapporto in godimento, degli assegni personali o dell'indennità di incarico di struttura complessa ove spettanti nonché della retribuzione di posizione complessiva in atto»;
   il provvedimento n. 465/2010 è in contrasto con la disciplina contrattuale ex articolo 22 sopracitato quando afferma che l'azienda deve provvedere ad adeguare la propria organizzazione in corrispondenza alle risoluzioni consensuali»;
   nel nostro sistema sanitario, dove esiste, una suddivisione del lavoro in funzione delle specializzazioni mediche, non è possibile utilizzare il criterio stabilito e, inoltre, altro contrasto con la disciplina contrattuale si evidenzia nella violazione del principio secondo il quale l'azienda può erogare un'indennità supplementare nell'ambito della effettiva capacità di spesa, dal momento che l'ASREM è in regime commissariale per il rientro dal deficit sanitario;
   l'ASREM ha violato l'obbligo, contenuto nel provvedimento del direttore generale n. 85 del 2 marzo 2006, che ha previsto che i posti di struttura complessa – resi vacanti dai dirigenti che avevano aderito all'istituto della risoluzione consensuale – fossero trasformati in struttura semplice;
   quanto sinora esposto sta generando un doppio aumento di spessa sia per il pagamento delle mensilità aggiuntive al personale dimissionario sia per le retribuzioni del nuovo personale assunto per ricoprire i posti vacanti, in contrasto con l'articolo 2, comma 76, lettera b) della legge 23 dicembre 2009 n. 191 – secondo cui gli atti emanati e i contratti stipulati in violazione del blocco delle assunzioni sono nulli per le regioni in squilibrio economico – nonché di alcune sentenze del TAR del Molise che hanno bloccato gli atti per la ristrutturazione e la riorganizzazione del sistema sanitario della regione Molise; questo istituto è stato quindi utilizzato al solo fine di arricchire pochi a tutto svantaggio per la pubblica amministrazione e la collettività;
   è stato presentato un esposto alla Corte dei conti per evidenziare una palese incongruenza relativa al sistema adottato dall'ASREM per la quantificazione dell'indennità supplementare che secondo gli interroganti si pone in contrasto con i princìpi di efficienza, efficacia ed economicità contemplati dalla legge n. 241/90 e provoca un grave danno erariale;
   la regione Molise, con determinazione dirigenziale n. 30 del 22/04/2010 «Risoluzione consensuale del rapporto di lavoro del personale dirigenziale regionale» ha disposto che l'indennità sia pari al 50 per cento del numero dei mesi intercorrenti tra la data di effettiva risoluzione del rapporto di lavoro e la data di compimento del sessantacinquesimo anno di età anagrafica ovvero, qualora periodo più breve, tra la data di effettiva risoluzione del rapporto di lavoro e la data di maturazione del quarantesimo anno di contribuzione complessiva. Nonostante ciò, ci sono stati numerosi casi di dirigenti con anzianità contributiva di 39 anni ed età anagrafica di 61 anni a cui sono state riconosciute 24 mensilità di indennità. Ciò appare ancor più grave alla luce della legge n. 102 del 3 agosto 2009, la quale all'articolo 17 comma 35-novies stabilisce che per gli anni 2009, 2010 e 2011 le pubbliche amministrazioni possono, a decorrere dal compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro, anche del personale dirigenziale;
   dalla riunione congiunta del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza della regione Molise, tenutasi lo scorso 3 aprile 2012, «... risulta che la direzione aziendale dell'Asrem abbia stipulato diversi contratti di attribuzione di incarichi ex articolo 15-septies, comma 1, decreto legislativo 502/92, nonché abbia autorizzato l'istituto del comando per più volte in contrasto con quanto osservato dai Ministeri affiancanti e in violazione del blocco del turn over nonché della legislazione vigente. Si ricorda, relativamente ai comandi, che questi sono assimilabili ad assunzioni che la azienda non può effettuare a norma di legge. Tutte le assunzioni autorizzare in violazione del comma 174 della legge 311 sono nulle»;
   ancora si legge nella stessa: «Sono pervenute delle note di chiarimento da parte del subcommissario Rosato nelle quali si continua a evincere un comportamento di totale autonomia degli atti dell'azienda rispetto a quanto previsto dal Piano di rientro, ed in contrasto con la vigente normativa. In particolare nella nota il sub commissario (prot. 41-A-2012) dichiara l'illegittimità della procedura di attribuzione di tali incarichi non conforme alla normativa e chiede chiarimenti all'azienda. L'azienda al riguardo ha risposto che tali incarichi sono stati attribuiti per far fronte a carenze determinatesi nelle strutture apicali, a seguito della procedura di pre-pensionamento. In proposito si rileva l'incongruenza tra la volontà dell'azienda di agevolare l'uscita di personale, da una parte, e, dall'altra parte, la necessità di coprire strutture apicali lasciate scoperte. Non si comprende quale sia il piano di ristrutturazione industriale cui sottosta la procedura di pre-pensionamento che, tra l'altro, non fa riferimento ad alcuna fonte normativa ma individua la procedura nel dettato dell'articolo 22 del CCNL 1998-2001 per l'Area dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale»;
   inoltre si legge: «... si ribadisce la richiesta di conoscere l'importo degli oneri legati agli incentivi attributi al personale che ha usufruito di tale possibilità, anche ai fini della valutazione del configurarsi di un possibile danno erariale;
   inoltre si evidenzia come gli incarichi in questione appaiono elusivi del regime di blocco delle assunzioni anche con riferimento ai rapporti di lavoro a tempo determinato per i quali il PO prevede il divieto di stipula di nuovi contratti» –:
   quali iniziative intenda adottare alla luce della già grave situazione di dissesto finanziario che ha reso necessario il regime commissariale per il rientro dal deficit della sanità molisana, con riferimento a quanto descritto in premessa. (4-15962)


   PALAGIANO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto dermopatico dell'Immacolata di Roma (Idi) è uno dei più importanti centri dermatologici d'Italia e fa capo alla Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione;
   l'Idi conta circa 1.500 dipendenti e centinaia di pazienti curati ogni giorno, ma, da oltre cinque mesi, i primi non ricevono lo stipendio con regolarità e la dirigenza ha difficoltà a riparare i macchinari e ad offrire ai pazienti prestazioni sanitarie efficienti;
   l'Idi è un centro convenzionato con il Servizio sanitario nazionale e per questo nel 2010 ha ricevuto dalle regioni rimborsi pari a 77 milioni euro. Allo stesso tempo questo importante istituto per la cura delle malattie della pelle è un ente di ricerca e, ogni anno, riceve dal Ministero della Salute circa 2 milioni e mezzo di euro;
   l'Idi accede, inoltre, al 5 per mille che annualmente oscilla tra i 150 e i 200 mila euro e, nel 2011, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha assegnato all'Istituto dermopatico romano 9 milioni di euro;
   tra prestazioni private e convenzionate l'ospedale incassa ogni giorno tra i 50 e i 70mila euro, che si aggiungono a tutto quanto sopra esposto;
   tali numeri non farebbero, quindi, pensare ad una difficoltà economica tale da giustificare i ritardi nei pagamenti degli stipendi e l'inefficienza delle prestazioni sanitarie, infatti dall'inchiesta mandata in onda dalla trasmissione giornalistica «Report» il 22 aprile 2012, emerge una situazione oscura nella gestione di tutto il denaro che gravita intorno all'Istituto;
   è evidente che gli ingenti fondi economici in entrata non vengono utilizzati per migliorare e valorizzare l'ospedale, ma per altre finalità. Secondo quanto riferito nelle diverse interviste trasmesse da Report, la TAC, ad esempio, non funziona da diversi mesi, le risposte dei prelievi ematici non arrivano con la doverosa solerzia, manca il personale per eseguire le ecografie, mancano garze e cerotti, materiale sanitario più elementare;
   sempre dall'inchiesta di Report è emerso, poi, che la Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione, negli ultimi anni, ha cercato di investire in numerose e variegate attività che, a lungo andare, hanno messo in crisi le sue casse e di conseguenza le strutture sanitarie che gestisce. La dettagliata inchiesta fa anche riferimento ad una fuoriuscita di denaro contante (e giornaliero) dall'Idi, necessaria – a quanto si apprende da uno dei principali esponenti della Congregazione – per le spese quotidiane dei frati della stessa;
   la Congregazione, in quanto ente no profit, non è obbligata a depositare i propri bilanci alla camera di commercio, anche se dalla stessa sono nate negli anni miriadi di società, in Italia e all'estero. Società tipo holding, società a responsabilità limitata, società per azioni, ordinarie società commerciali, che lasciano il dubbio che non si abbia a che fare esattamente con un ente che svolge la propria attività non a scopo di lucro;
   ad oggi, i debiti della Congregazione, tra banche e fornitori, si aggirano intorno ai 210 milioni di euro;
   questi debiti derivano da una serie di particolari investimenti. Nella succitata inchiesta di Report si fa riferimento, in particolare a 300 milioni di euro spesi nel 2004, per l'acquisizione di una struttura di produzione di farmaci antitumorali (Nerviano Medical Sciences – oggi acquisita dalla regione Lombardia); al progetto di un inceneritore per lo smaltimento di rifiuti ospedalieri a Brindisi («bocciato» dalla regione Puglia); all'acquisto, dalla De Agostini, della Elea spa, una società che si occupa di formazione, attorno alla quale gravitano i più noti nomi del mondo politico italiano;
   inoltre, la Congregazione ha commissionato la progettazione di un centro benessere a Villa Paola (Capranica – Viterbo), che prevedeva la trasformazione di parte della casa di cura in una spa, comprendente vasca salina, vasca oleosa, vasca aromatica cromoterapica, ed ancora un'immensa sauna, 4 piscine, 3 idromassaggi, e un centro per i massaggi ai piedi. Una struttura da 13 milioni di euro, bloccata attualmente dalla soprintendenza, ma che costerà comunque 1 milione e 200 mila euro per la progettazione;
   questi ed altri ingenti investimenti, che poco hanno a che fare con la sanità, rischiano di portare al fallimento non solo l'Idi, ma anche il San Carlo di Nancy, altro importante nosocomio romano, che fa capo alla Congregazione e per il quale solo poche settimane fa, è stato lanciato un allarme da diversi consiglieri della regione Lazio: sale operatorie bloccate per mancanza di farmaci e reparto di terapia intensiva nuovo, pronto dal 2007 e con macchinari mai utilizzati, chiuso a chiave;
   questa situazione appare, agli occhi dell'interrogante, gravissima, in quanto lede in maniera evidente il diritto a ricevere un'assistenza sanitaria adeguata dei cittadini italiani –:
   se non intenda, per quanto nelle proprie competenze e sulla base della grave vicenda esposta in premessa, avviare un'azione concreta, anche per il tramite del Commissario ad acta per il rientro dai disavanzi sanitari della regione Lazio, al fine di verificare le reali responsabilità della disastrosa situazione dell'Istituto dermopatico italiano, nonché del San Carlo di Nancy, considerate le elargizioni da parte di diversi Ministeri, affinché le peculiarità sanitarie dei due nosocomi non vadano perse a causa di una gestione che appare sconsiderata del denaro disponibile;
   se non sia possibile rendere pubblici i bilanci della Congregazione dei Figli dell'Immacolata, al fine di accertarne le responsabilità concrete nella situazione critica delle due aziende ospedaliere succitate;
   se non ritenga opportuno avviare iniziative urgenti, a tutela della salute dei numerosi cittadini che ogni giorno si recano in questi importanti e specializzati ospedali della capitale e, a fronte di pagamenti anche ingenti, non ricevono l'assistenza sanitaria adeguata. (4-15963)


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   un articolo dal titolo «Quel test ormai superato che condanna a morte i cavalli» a firma Margherita D'Amico pubblicato dal quotidiano La Repubblica nell'edizione del 27 aprile 2012 riferisce dell'emissione di ordinanze di sequestro sanitario per animali presunti affetti da anemia infettiva equina accertata non sulla base dei test adottati dalla Comunità europea (test di Coggins), ma sulla base di test sperimentali, peraltro effettuati da laboratori non certificati e non accreditati per l'esecuzione di detti test oltre ad una serie di innumerevoli irregolarità;
   risulta che in Italia la normativa di settore sia stata aggirata da circolari interpretative di procedure dedotte da manuali internazionali senza alcuna validazione da parte degli organismi estensori di tali manuali e che nell'esecuzione di tali test sperimentali siano state eluse le normali procedure di sicurezza che richiedono che le risultanze ottenute da un laboratorio siano successivamente confermate da un laboratorio terzo;
   sulla base delle risultanze positive a tali test sperimentali ed in presenza di test di Coggins negativi, siano stati avviati all'abbattimento numerosi equidi e che, per alcuni di questi, pubblici funzionari (ricercatori dell'Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana) abbiano versato somme di denaro al fine di disporre di tali equidi per l'ulteriore sperimentazione prima dell'abbattimento finale;
   l'equide femmina di nome Rocket, per la quale i proprietari e le associazioni di settore hanno ritenuto illegali le procedure adottate, rimanga sotto sequestro sanitario nonostante che i test di Coggins la dichiarino sana –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario che sia fatta chiarezza nella normativa e nelle procedure, come già richiesto dalla dottoressa Paola Goulden nella veste di presidente della SIVE (Società italiana veterinari equini) che nel gennaio 2011, pronunciandosi sul caso Rocket, chiedeva al Ministero un «chiarimento istituzionale»;
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso che, per accertare lo stato di salute di Rocket, si proceda al dissequestro e, come più volte richiesto dai proprietari, siano ripetuti gli accertamenti da laboratori diversi da quelli che ne hanno certificato lo stato di malattia, sulla base dei test e delle procedure che il Ministero della salute vorrà dichiarare essere i test ufficialmente adottati dello stato membro Italia;
   se il Ministro interrogato – visto che le competenze del Centro di riferimento per l'anemia infettiva degli equini, trasferite con proprio decreto del 14 aprile 2011 dall'Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana (presso il quale veniva praticato quanto riportato dal quotidiano La Repubblica) all'Istituto zooprofilattico delle regioni Abruzzo e Molise e, successivamente, a distanza di soli 9 mesi, riassegnate con decreto del 9 gennaio 2012 nuovamente all'Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana – non ritenga di rivedere tale ultimo provvedimento, anche alla luce della diversa interpretazione delle norme e delle procedure manifestata dai due istituti. (4-15967)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   DONADI, EVANGELISTI, BORGHESI e MONAI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Sace nasce nel 1977 in seguito alla legge n. 227 del 1977 come «Sezione speciale per l'assicurazione del credito all'esportazione» dell'Istituto nazionale delle assicurazioni. Con il decreto legislativo n. 143 del 1998 diventa «Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero», divenendo in seguito ente pubblico economico;
   a decorrere dal 1o gennaio 2004, in forza di quanto previsto dall'articolo 6 della legge n. 326 del 2003, la Sace viene stata trasformata in Sace spa, ovvero l'agenzia di credito all'esportazione che assume in assicurazione e/o in riassicurazione i rischi a cui sono esposte le aziende italiane nelle loro transazioni internazionali e negli investimenti all'estero;
   la Sace spa è attualmente una società non quotata e controllata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 12, del decreto-legge n. 35 del 2005, recante «Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005, la Sace spa può assumere in garanzia le operazioni di spostamento all'estero delle attività produttive;
   la condizione prevista dalla legge affinché le imprese possano investire all'estero, accedendo alla copertura assicurativa garantita da Sace spa, è che si preveda sul territorio nazionale il mantenimento dell'attività di ricerca, sviluppo, direzione commerciale, nonché una «parte sostanziale» delle attività produttive: criterio che, con tutta evidenza, può dare adito a controversie interpretative sul piano meramente applicativo;
   in particolare, per il rispetto di tale condizione la Sace spa, per quanto risulta agli interroganti, ha sino ad oggi richiesto unicamente una dichiarazione da parte dell'assicurato senza eseguire alcun tipo di accertamento, assumendo, di fatto, e nonostante si tratti di una società a capitale interamente pubblico, il medesimo comportamento di una semplice società privata;
   facendo leva su quanto previsto dal citato decreto-legge n. 35 del 2005, nel nostro Paese, sono state avviate numerosissime procedure di delocalizzazione di importanti attività produttive che fanno capo anche ad aziende, quali, ad esempio, la Fiat, che lo Stato italiano ha sempre generosamente contribuito a sostenere, intervenendo puntualmente attraverso l'erogazione di ingenti risorse pubbliche ogni qualvolta si erano presentate situazioni di difficoltà;
   a ciò si aggiunge la gravissima anomalia che ne è conseguita: mentre lo Stato continua a stanziare risorse per consentire la cassa integrazione dei lavoratori, non si è deciso di fare nulla per combattere la disoccupazione che deriva proprio dalle delocalizzazioni. Piuttosto, ad avviso degli interroganti, si rimane inermi di fronte all'evoluzione di questa inaccettabile situazione e, anzi, la si continua ad avallare grazie, infine, all'intervento di Sace, deputata a coprire i rischi derivanti dall'investimento estero, sempre e comunque, attraverso l'impiego di fondi pubblici;
   per quanto risulta agli interroganti, nel 2011, solo qualche mese dopo la vittoria del «si» al referendum sul nuovo modello contrattuale avvenuto il 15 gennaio 2011, nonostante l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, avesse festeggiato tale vittoria come una «svolta storica» ed aveva rassicurato i lavoratori sull'inviolabilità dei loro diritti, promettendo il rilancio degli stabilimenti Fiat in Italia, la FIAT cercava di assicurarsi in Sace spa la delocalizzazione dei propri investimenti all'estero, ottenendo la garanzia per il progetto di ammodernamento ed ampliamento di un impianto esistente in Serbia, operante dal 1950 che avrebbe, di fatto, sostituito quello di Termini Imerese, nonché ospitato la produzione del segmento compact della gamma Fiat di Mirafiori; per cui la produzione del suddetto segmento si sarebbe svolta in Serbia e non più a Mirafiori;
   in data 19 aprile 2011, la Sace spa ha approvato la concessione della garanzia per la copertura del rischio del credito di tale operazione nella misura del 100 per cento, con un impegno assicurativo pari a ben 230 milioni di euro;
   ciò che rileva, in particolare, è che nello stesso mese di aprile 2011, qualora la Sace avesse concesso la garanzia, la Fiat avrebbe sospeso la produzione di Mirafiori constatato il calo delle vendite e avrebbe chiesto la collocazione degli operai in cassa integrazione;
   in buona sostanza la Fiat, con il sostanziale appoggio dello Stato e, quindi, attraverso il supporto di Sace spa, ha sfruttato delle risorse pubbliche sia per favorire il processo di delocalizzazione della propria attività sia per mettere in cassa integrazione i propri operai;
   secondo quanto risulta agli interroganti, la Sace spa starebbe analizzando ulteriori operazioni di concessione di garanzia di particolare rilevanza, idonee, a giudizio degli interroganti, a contribuire ulteriormente al disastro occupazionale del nostro Paese attraverso lo strumento della delocalizzazione, con conseguente esborso di rilevantissime risorse pubbliche da parte dello Stato –:
   se e quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto in premessa, anche al fine di modificare quanto disposto dal decreto-legge n. 35 del 2005 in materia di delocalizzazione all'estero delle attività produttive, e quali e quante siano, ad oggi, le operazioni di delocalizzazione che sono state garantite dalla Sace spa con indicazione dell'assicurato italiano, del Paese di destinazione, del valore complessivo dell'operazione, dell'importo assicurato, di premi incassati e degli eventuali indennizzi pagati, e, sopratutto, quali e quante siano, ad oggi, le operazioni su cui Sace spa avrebbe avviato un'istruttoria preliminare al fine della concessione della garanzia, con indicazione dell'assicurando italiano, del Paese di destinazione e del valore complessivo delle operazioni stesse. (3-02257)


   COMPAGNON, MEREU, BONCIANI, CICCANTI, RAO, NARO e VOLONTÈ. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del ponte del 1o maggio 2012, Poste Italiane ha deciso, nell'ambito della regione Friuli Venezia Giulia, di tenere chiusi 56 sportelli per l'intera giornata;
   le chiusure per l'intera giornata hanno coinvolto 44 uffici postali in provincia di Udine e 12 in quella di Pordenone, mentre le chiusure pomeridiane hanno interessato 29 sportelli, dei quali: 3 nella provincia di Trieste, 2 a Gorizia, 8 a Pordenone e 16 a Udine;
   tale sconcertante determinazione aziendale ha provocato un gravissimo disagio all'utenza, specie quella economicamente e socialmente più fragile come gli anziani;
   appena il 7 marzo 2012, a Roma si è tenuto un incontro tra il presidente della regione Renzo Tondo e l'amministratore delegato di Poste Italiane Massimo Sarmi, su problemi e prospettive del servizio reso in Friuli Venezia Giulia da Poste Italiane, che sembrava aver portato ad un accordo di massima in grado di superare i latenti problemi di copertura territoriale ed oraria e rispondere al meglio alle esigenze dei cittadini e delle amministrazioni locali, soprattutto nelle aree di montagna, dove tali uffici svolgono un ruolo sociale di rilevante importanza;
   nonostante le predette intese intercorse, esiste, tuttavia, il fondato timore che la scelta aziendale di chiudere gli sportelli durante il ponte del 1o maggio possa rappresentare in realtà un test per ridimensionare ulteriormente ed in via definitiva la presenza postale sul territorio regionale, con conseguenze esiziali, specie con l'approssimarsi della scadenza dell'imposta municipale unica e con l'apertura obbligatoria dei conti correnti per molti pensionati;
   in passato, gli interroganti hanno sensibilizzato più volte il precedente Governo sui disservizi postali in Friuli Venezia Giulia, tanto in relazione a controverse rimodulazioni degli orari estivi in numerosi comuni delle aree marginali e montane della regione, quanto in relazione a gravi problemi del sistema informatico (interrogazioni a risposta orale n. 3-00864 del 22 gennaio 2010 e n. 3-01093 del 1o giugno 2010; interpellanze n. 2-01114 del 7 giugno 2011 e n. 2-01100 del 30 maggio 2011);
   analoghi disservizi si sono riscontrati anche in altre regioni –:
   quali immediati, concreti e definitivi interventi si intenda mettere in atto per garantire un assetto rispondente alle crescenti esigenze dei cittadini residenti in Friuli Venezia Giulia e non solo, specie anziani, e per assicurare la continuità di un servizio pubblico essenziale, quale quello postale, con particolare riguardo alla generalità delle zone marginali e montane italiane, colpite ormai da anni da un irreversibile fenomeno di spopolamento. (3-02258)

Interrogazioni a risposta orale:


   BINETTI, CALGARO, NUNZIO FRANCESCO TESTA e DE POLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 201 del 2011, cosiddetto decreto-Monti sulle liberalizzazioni ha previsto la liberalizzazione dell'apertura dei negozi per 365 giorni l'anno e 24 ore su 24, non salvaguardando neanche le festività religiose e civili;
   il 95 per cento delle aziende del commercio, in Italia, sono a conduzione familiare con qualche dipendente. La totalità degli operatori e delle associazioni di categoria lamentano la difficoltà di porre le piccole attività nelle condizioni di lavorare 365 giorni l'anno senza riposarsi mai, in tal modo ostacolando lo sviluppo della piccola e media impresa, piuttosto che tutelandone le esigenze e i diritti come dovrebbe accadere;
   inoltre, bisogna considerare il fatto che le attività produttive sono una materia delegata alle regioni, cui spetta il compito di stabilire quali regole adottare. Il decreto liberalizzazioni invece ha tolto ai governatori la competenza di scegliere sulle aperture dei negozi;
   buona parte dei Paesi dell'Unione hanno specifiche regolamentazioni sugli orari dei negozi e soprattutto sulle aperture domenicali e festive. Vi sono, ovviamente, estensioni diverse legate anche alle condizioni climatiche ed ai costumi locali, e in nessun Paese vi è libertà di apertura tutto l'anno o per tutte le domeniche e/o tutti giorni festivi. Per la domenica è generalmente prevista la chiusura con alcune eccezioni;
   l'Italia è, dunque, l'unica nazione europea in cui gli esercizi commerciali sono aperti in tutti i giorni domenicali e festivi. Dai dati dell'associazione dei commercianti emerge che il 25 aprile nel centro di Roma sono rimasti aperti circa il 40/50 per cento dei negozi, per rispondere all'afflusso di turisti nella Capitale, mentre in periferia solo il 20-30 per cento ha lavorato;
   i dati diffusi da Istat evidenziano una debole crescita dell'indice delle vendite al dettaglio e un'ulteriore contrazione dei piccoli esercizi: l'aumento di vendite registrato a febbraio è assai esiguo sul mese precedente, ed è praticamente fermo sull'anno. La liberalizzazione degli orari di apertura delle attività commerciali doveva portare a un aumento dell'occupazione e a una crescita dei consumi e del Pil, e invece aggiunge un effetto depressivo;
   come Confesercenti temeva, assistiamo al trasferimento di quote di mercato dalle piccole superfici (–1,3 per cento) alla grande distribuzione (+1,9 per cento): un fenomeno dovuto proprio e soprattutto alle liberalizzazioni delle aperture domenicali;
   nei primi tre mesi del 2012 nel commercio al dettaglio il saldo tra nuove imprese iscritte (11.884) e imprese cessate (–22.520) è risultato negativo per 10.636 unità, con un incremento del saldo negativo del 22 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011, e dovuto più alla crescita delle cessazioni (7 per cento) che al calo delle nuove iscrizioni (–3,4 per cento). Migliaia di piccole imprese del dettaglio hanno chiuso i battenti in questo scorcio di 2012: oltre 3.500 al mese. E quelle che sono rimaste in attività scontano un andamento non positivo degli acquisti delle famiglie;
   Mario Bertone, segretario generale della Cisl di Roma, e Valter Giammaria, presidente di Confesercenti Roma hanno evidenziato attraverso interviste e pubblicazioni su organi di stampa come «il prolungamento degli orari degli esercizi, porti inevitabilmente a un impoverimento del tessuto delle città. Inoltre, il Pil di un Paese non si rilancia con l'aumento dell'orario di lavoro, anzi, questo porterà senza dubbio a una diminuzione dei posti di lavoro, e non a un incremento. Ogni cinque addetti che vengono espulsi dalla piccola e media impresa, solo uno viene assunto dalla grande distribuzione e dai grandi gruppi: questo è un dato visibile già da molto tempo, in particolare a Roma, dopo le tantissime aperture di centri commerciali e outlet in città e in provincia»;
   è indubbio che l'attuale capacità di spesa degli italiani, si è notevolmente ridotta dopo l'inizio della pesante crisi economica che il Paese sta ancora attraversando. I cittadini, soprattutto in questa situazione di particolare crisi, non hanno la possibilità di spendere tanto e di avere una grande capacità di spesa. Un esercizio non guadagna di più se resta aperto anche la domenica, ma guadagna di più se c’è quella capacità di spesa, di cui difettano oggi le famiglie;
   l'apertura dei negozi nei giorni festivi ha, inoltre, un pesante effetto disaggregante per le famiglie che, sempre più spesso, hanno la possibilità di momenti di condivisione solo nei giorni festivi –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per rivedere la disposizione della liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi, tenendo conto del necessario allineamento alle politiche comunitarie cui spesso si fa riferimento, dal momento che l'Italia è l'unica nazione europea in cui gli esercizi commerciali sono aperti in tutti i giorni domenicali e festivi. (3-02248)


   SAMMARCO, SIMEONI e LORENZIN. — Al Ministro dello sviluppo economico. Per sapere – premesso che:
   la Fondazione Valore Italia è stata istituita in forza del disposto 68 e 69 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, quale soggetto giuridico destinato all'attuazione della «Esposizione permanente del design italiano e del made in Italy»;
   il Ministro delle attività produttive (ora dello sviluppo economico) ha proceduto alla sua istituzione il 30 settembre 2005 (iscrizione nel registro delle persone giuridiche della prefettura di Roma, n. 386/2005);
   negli anni successivi il Ministero ha affidato alla Fondazione una serie di importanti progetti, tra cui una iniziativa sul design svoltasi in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia e la gestione di un fondo di sostegno alle piccole medie imprese; il Ministero, tra l'altro, ha scelto la Fondazione quale partner italiano di una istituzione governativa italo-cinese per l'innovazione nel campo del design (Cidic), affidandone la presidenza al suo presidente professor Massimo Arlecchino;
   la Fondazione non ha ricevuto contributi annuali, salvo la dotazione iniziale del fondo (3 milioni di euro, versati nel 2005); nel corso degli anni la gestione non ha intaccato il patrimonio e il bilancio 2011 è stato chiuso in pareggio;
   la carica del Presidente, professor Massimo Arlecchino, è stata recentemente rinnovata dal Ministro pro tempore Romani;
   il 20 aprile 2012, tre giorni prima della riunione del consiglio di amministrazione che avrebbe approvato il bilancio, il Ministro dello sviluppo economico con un proprio decreto ha commissariato la Fondazione Valore Italia, azzerando il Consiglio di amministrazione in carica e nominando commissario il professor Carlo Malinconico Castriota Scanderbeg;
   il commissariamento, ad avviso degli interroganti, ha aspetti inspiegabili e comporterà inevitabili conseguenze sull'operatività dell'ente, in particolare per quel che riguarda il proprio compito istituzionale e cioè la realizzazione dell'Esposizione permanente del design italiano e del made in Italy –:
   se non ritenga opportuno riferire i motivi che hanno indotto al commissariamento della Fondazione Valore Italia, atto che lo stesso dispositivo di decreto definisce «non sanzionatorio» e che presenta a giudizio degli interroganti ampi profili di dubbia legittimità sia per quel che riguarda l'organo emanante, sia per il mancato rispetto dell'obbligo di notifica alle parti dell'avvio del procedimento e della richiesta di chiarimenti entro dieci giorni;
   se non ritenga opportuno ridurre al minimo il periodo di commissariamento, considerata la solidità economica e la funzionalità dell'ente, procedendo con sollecitudine alla nomina di un nuovo consiglio con la quale si dia un'adeguata valutazione al lavoro degli amministratori che hanno ben operato in questi anni.
(3-02254)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione Valore Italia è stata istituita dal Ministero delle attività produttive il 30 settembre 2005 (iscrizione nel registro delle persone giuridiche della prefettura di Roma, n. 386/2005), quale soggetto giuridico destinato all'attuazione dell'articolo 4, commi 68 e 69 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, per la realizzazione della «Esposizione permanente del design italiano e del made in Italy»;
   l'attività della fondazione ha meritato in questi anni un generale apprezzamento per l'azione di coordinamento e di messa a sistema delle varie realtà culturali inerenti il design industriale e della promozione della produzione d'eccellenza italiana, propedeutica all'apertura dell'Esposizione, apprezzamento espresso da parte del mondo della produzione, delle istituzioni scientifiche e dell'associazionismo interessato alla sua missione istituzionale;
   lo stesso Ministero dello sviluppo economico, tramite la direzione esercitante la funzione di vigilanza, ha formalmente apprezzato l'attività della Fondazione Valore Italia che quale ente strumentale del Ministero stesso ha avuto affidate diverse iniziative, realizzate in Italia e all'estero, in supporto all'azione del dicastero in materia di lotta alla contraffazione e una serie di altri importanti progetti tra cui una iniziativa sul design in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia e la gestione di un fondo di incentivi a sostegno delle piccole e medie imprese, azione tuttora in corso con riconosciuto successo;
   altre realtà istituzionali hanno individuato nella fondazione lo strumento idoneo per svolgere compiti di promozione e rappresentanza dell'impresa italiana come dimostra il fatto che il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione aveva indicato la Fondazione come partner italiano di una istituzione governativa italo-cinese per l'innovazione nel campo del design (Cidic);
   la fondazione non riceve contributi annuali ma è chiamata ad impiegare il patrimonio messo a sua disposizione per la realizzazione delle attività istituzionali ed ha in questi anni, oculatamente custodito ed utilizzato tale patrimonio, riuscendo anche ad aumentarlo nel tempo;
   pur avendo un compito esclusivo di spesa, fino alla realizzazione dell'Esposizione, la fondazione è riuscita a chiudere il bilancio 2011 in pareggio;
   tuttavia, il 20 aprile 2012, tre giorni prima della riunione del consiglio di amministrazione che avrebbe approvato il bilancio, il Ministro dello sviluppo economico con un proprio decreto ha commissariato la Fondazione Valore Italia, azzerando il consiglio di amministrazione in carica e nominando commissario il professor Carlo Malinconico Castriota Scanderbeg;
   il commissariamento ha già comportato, a giudizio degli interroganti, irrimediabili conseguenze negative e altre inevitabili ne comporterà sull'operatività dell'ente, alla vigilia dell'avvio delle gare per l'ultimo lotto di lavori finalizzato alla realizzazione dell'Esposizione e dunque rischia di pregiudicare e non di salvaguardare il perseguimento delle attività istituzionali da parte della fondazione;
   l'atto, privo di motivazioni giuridiche (lo stesso dispositivo di decreto lo definisce «non sanzionatorio») appare agli interroganti illegittimo sia sotto il profilo della competenza, in quanto l'unica autorità di governo titolata a intervenire in tal senso è il prefetto (secondo quanto disposto dall'articolo 25 del codice civile), sia sotto il profilo procedurale, non essendo stati rispettati l'obbligo di notifica alle parti dell'avvio del procedimento e la richiesta di chiarimenti entro dieci giorni; ad avviso degli interroganti non ricorreva nessun motivo di urgenza, non essendo intercorsi fatti ostativi al regolare svolgimento delle attività della Fondazione a partire dagli adempimenti statutari, quali l'approvazione del bilancio che era appunto prevista pochi giorni dopo il commissariamento dell'ente –:
   quali informazioni e in che forma abbia ricevuto dai competenti uffici del Ministero in ordine all'attività della Fondazione e alla sua situazione, che abbiano motivato la decisione commissariare una Fondazione solida dal punto di vista economico, rigorosa nell'utilizzo delle risorse pubbliche e qualitativamente apprezzata, come risulta per atti, per l'attività svolta, dalla data di istituzione fino al 20 gennaio 2012, da parte del Ministero medesimo;
   quale criterio abbia ispirato la scelta di un avvocato per la nomina a commissario straordinario di un ente che non risulta interessato da emergenze di natura giuridica o economica e la cui operatività aveva ed ha necessità di essere garantita esclusivamente da un professionista con preparazione altamente specialistica nel settore;
   se non ritenga, alla luce di quanto sopra esposto e della copiosa rassegna stampa che attesta l'allarme per quello che appare agli interroganti un improvvido commissariamento, di riconsiderare la decisione presa, revocando il decreto di scioglimento del consiglio di amministrazione o limitandone la portata alle finalità meramente ispettive, con un termine di pochi giorni, in modo da consentire alla Fondazione Valore Italia di tornare in tempi brevissimi ad operare in condizioni di normalità. (4-15960)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Lenzi e altri n. 1-00955, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mattesini.

  La mozione Moffa e altri n. 1-00978, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Poli, Misiti.

  La mozione Vernetti e altri n. 1-00996, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 aprile 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Mantini, Razzi.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Velo e altri n. 2-01470, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rampi.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Ossorio n. 1-01009, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 621 del 16 aprile 2012.

  La Camera,
   premesso che:
    nel prossimo mese di maggio 2012 si svolgerà a Chicago il summit dei diversi Paesi appartenenti alla Nato. I punti di partenza non paiono del tutto convergenti. In particolare, molti dei partecipanti registrano differenti posizioni per quanto riguarda i rapporti con la Russia e la questione della sicurezza internazionale. Prima di questo summit, a Camp-David, si terrà un incontro con otto potenze internazionali;
    al vertice avrebbe dovuto partecipare anche la Russia, ma pochi giorni fa il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha reso noto che non si terrà il summit con la Federazione russa;
    Rasmussen a riguardo ha dichiarato: «Ho personalmente discusso la questione con il neoeletto presidente Putin, con il quale abbiamo convenuto che la data prevista per il summit di Chicago Nato-Russia risulta attualmente problematica, in quanto al momento il calendario politico russo è già fitto di impegni riguardanti la politica nazionale. Confermo, invece, che ci sarà il prossimo mese un incontro con il Ministro degli affari esteri russo, a dimostrazione che continuiamo a credere nel dialogo e in un'effettiva collaborazione. Cosa che proseguirà tanto prima quanto dopo il summit di Chicago, poiché il dialogo con la Russia continuerà anche nel futuro»;
    il segretario stampa di Putin ha confermato, affermando che «al momento non sono in atto preparativi per il summit di Chicago»;
    appare evidente che la questione del disarmo nucleare passa inevitabilmente dalla distensione dei rapporti tra Usa e Russia. Se le due superpotenze non troveranno un accordo sul percorso da seguire, nessun altro Paese potrà rivendicare la possibilità di intervenire in maniera concreta;
    in questo senso sia il vertice dei Ministri degli esteri del 14 aprile 2011 tenutosi a Berlino in occasione del quale è stato sottoscritto da parte di Polonia, Norvegia, Germania e Paesi Bassi un «non-paper sul rafforzamento della trasparenza e della fiducia in relazione alle armi nucleari tattiche in Europa» indirizzato al Segretario generale della Nato, sia il vertice del G8 del 27 maggio 2011 a Deauville, in Francia, durante il quale è stata approvata la «Dichiarazione sulla non proliferazione e sul disarmo» con la quale si è riaffermato il sostegno incondizionato al Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) ed è stato rivolto un appello «a tutti gli Stati non ancora parti del trattato di non proliferazione (Tnp), della Convenzione sulle armi chimiche (Cwc) e della Convenzione sulle armi biologiche e tossiche (Btwc), ad aderire senza indugio», risultano depotenziati nella loro portata;
    su un eventuale percorso comune tra Usa e Federazione russa incidono diversi fattori che lo rendono decisamente più complicato: l'interventismo americano nel Mediterraneo; l'opposizione di Mosca circa la politica di alcuni Paesi occidentali in Medio Oriente, con riferimento sia alle operazioni in Libia, sia al blocco degli interventi nella questione siriana; la differenza di approccio per quanto riguarda il problema iraniano. Infine, appare evidente che la decisione americana di proseguire il programma missilistico di difesa europeo non può che aumentare le divergenze emerse tra Stati Uniti e Russia;
    al summit di Seul sulla sicurezza nucleare Dimitri Medvedev e Barack Obama si sono incontrati per l'ultima volta in qualità di Presidenti dei rispettivi Paesi;
    si è discusso dello status attuale degli arsenali nucleari e della possibilità di ulteriori riduzioni degli armamenti dopo quelle concordate nel nuovo Trattato sulla riduzione degli arsenali nucleari (New Strategie Arms Reduction-Treaty-New Start) firmato nell'aprile del 2010;
    inevitabilmente si è parlato però, soprattutto, del sistema di difesa antimissile che gli Stati Uniti e la Nato intendono dispiegare in Europa in varie fasi tra il 2012 e il 2020, sistema che la Russia vede come una minaccia diretta al suo arsenale nucleare;
    l'allora Presidente uscente della Federazione russa Medvedev ha affermato che, anche per il nuovo Trattato sulla riduzione degli arsenali nucleari, si era raggiunto un accordo all'ultimo momento. Stavolta, però, la strada è in salita. Non si tratta, infatti, di scrivere un trattato a tappe forzate, ma di individuare anche una posizione e finalità comuni che ancora mancano. Lo stesso Medvedev aveva parlato in toni poco conciliatori alla vigilia del summit di Seul, sottolineando che il Cremlino non si fida delle rassicurazioni verbali della Nato;
    la rottura con la Russia non appare sostenibile anche per motivi strategici. La Russia, al momento, resta uno dei principali Paesi di transito per i rifornimenti delle truppe della Nato stanziate in Afghanistan. Di recente, Mosca ha annunciato la sua disponibilità a concedere l'uso della base aerea russa di Ulyanovsk alla Nato per facilitare i rifornimenti alla missione Isaf Russia e Nato collaborano, inoltre, nella lotta alla pirateria a largo delle coste somale e nella prevenzione di attacchi terroristici;
    trovare un accordo con la diplomazia russa appare, quindi, fondamentale, ma non può essere limitato alla sola questione del progressivo disarmo nucleare; l'accordo non può che riguardare molte se non tutte le questioni attualmente aperte;
    certamente l'aspetto più diretto e importante dei rapporti di sicurezza tra Russia e Occidente riguarda proprio gli arsenali strategici nucleari. Per continuare la marcia verso il disarmo nucleare, invocato da Obama a Praga nell'aprile del 2009, è necessario però lavorare concretamente ad ulteriori riduzioni degli arsenali, includendo nelle trattative anche i Paesi con arsenali nucleari più piccoli;
    appare necessario raggiungere un accordo sul ritiro delle armi nucleari tattiche in Europa, un pericoloso lascito della Guerra fredda. Più piccole delle testate nucleari «ordinarie», queste armi erano state studiate per l'impiego sul campo di battaglia, con il fine di arrestare l'avanzata di forze convenzionali numericamente superiori;
    i sistemi di difesa da missili balistici erano già stati messi al bando da Usa e Urss con il trattato anti-missili balistici del 1972, proprio per le conseguenze nefaste che avevano per la corsa agli armamenti, incoraggiando lo sviluppo di missili offensivi sempre più potenti. Il trattato fu denunciato dall'amministrazione Bush nel 2002, provocando già allora forti critiche da Mosca;
    il rapporto, dunque, su cui puntare resta quello tra Usa e Russia, rapporto sul quale il nostro Paese è riuscito ad intervenire positivamente nel recente passato. L'incontro di Pratica di Mare del 2002 può rappresentare una data storica; è stato quell'incontro ad aprire la strada alla nascita del Consiglio Nato-Russia e nel 2010 va ricordato che al vertice di Lisbona proprio quell'incontro è stato celebrato da tutti i leader europei, come momento fondamentale nell'evoluzione dei rapporti tra le superpotenze,

impegna il Governo:

   a svolgere in tutte le sedi internazionali un ruolo di sostegno alle misure di disarmo e di non proliferazione nucleare, in vista del prossimo vertice Nato di maggio 2012 a Chicago;
   a rilanciare a livello internazionale l'iniziativa diplomatica di Pratica di Mare, come modello di riferimento per lo sviluppo delle relazioni con la Federazione russa, facilitando in questo modo la collaborazione ed il dialogo tra Nato e Federazione russa, nell'ottica di un progressivo ed efficace programma di disarmo nucleare;
   ad adoperarsi per rilanciare le attività del Consiglio Nato-Russia (NRC);
   a sostenere l'opportunità di ridurre ulteriormente il numero di armi nucleari tattiche in Europa, nella prospettiva della loro progressiva eliminazione, in un quadro di reciprocità coerentemente con il nuovo Concetto strategico approvato a Lisbona;
   a contribuire nelle sedi internazionali proprie, in coerenza con gli obiettivi già indicati dal vertice G8 dell'Aquila, alla piena realizzazione degli impegni assunti a conclusione della Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare del maggio 2010.
(1-01009) «Ossorio, Nucara, Brugger».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Calabria n. 1-01024, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 627 del 3 maggio 2012.

  La Camera,
   premesso che:
    il 5 agosto 2011 il tribunale di Kiev, nel corso del processo che vedeva imputata Yulia Tymoshenko per aver stipulato un contratto per la fornitura di gas russo all'Ucraina senza aver avuto il preventivo consenso del Governo, ha ordinato l'arresto del ex Primo ministro ucraino;
    l'arresto di Yulia Tymoshenko ha fatto seguito a quello del suo ex Ministro dell'interno Yuriy Lutsenko, detenuto in carcere da tre anni con la medesima accusa;
    l'11 ottobre 2011 Yulia Tymoshenko è stata condannata a 7 anni di carcere;
    attualmente, oltre all'ex Primo ministro e al suo Ministro dell'interno, in carcere si trovano anche: l'ex Ministro della difesa Ivashchenko;
    i procedimenti penali di cui sono stati fatti oggetto gli ex rappresentanti governativi sono stati criticati da diversi organismi internazionali e l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha adottato il 26 gennaio 2012 la risoluzione n. 1862 relativa al «Funzionamento delle istituzioni democratiche in Ucraina», con la quale ha stigmatizzato le carenze del procedimento penale del Paese che evidenzierebbero lacune sistemiche del suo sistema giudiziario;
    in particolare, il campo di applicazione degli articoli 364 e 365, rispettivamente abuso di ufficio e abuso di pubblici poteri, in virtù dei quali sono state fondate le azioni giudiziarie nei confronti degli ex esponenti governativi, appare particolarmente ampio, permettendo una penalizzazione retroattiva delle decisioni politiche;
    nella stessa risoluzione è stata, inoltre, criticata: «la mancanza di indipendenza della magistratura, l'eccessivo ricorso alla custodia cautelare» nonché l'eccessiva durata della medesima ed anche: «la disparità degli strumenti a disposizione delle accusa e della difesa e gli argomenti giuridici non pertinenti addotti dai magistrati inquirenti e giudicanti nei documenti e nelle decisioni ufficiali»;
    nelle ultime settimane le condizioni di salute dell'ex Ministro dell'interno, dell'ex Ministro della difesa e della stessa Yulia Tymoshenko sono particolarmente peggiorate, tanto che il 16 marzo 2012 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha intimato alle autorità ucraine di fornirle le necessarie cure mediche. Una settimana dopo, però, il Parlamento ucraino ha votato contro il ricovero della Tymoshenko in una clinica specializzata, ignorando così la richiesta avanzata dalla Corte di Strasburgo;
    al momento da quanto si apprende sarebbero in corso trattative tra Ucraina e Germania per un possibile ricovero della Tymoshenko in una clinica tedesca;
    il 1o marzo 2012 il Presidente Silvio Berlusconi, nel corso della consueta riunione del Partito popolare europeo che si svolge a Bruxelles prima del Consiglio europeo, ha avanzato la proposta di istituire una commissione che studi le contromosse per ottenere la libertà dell'ex Primo ministro ucraino; la proposta ha trovato il consenso unanime dei partecipanti, tra i quali anche Angela Merkel;
    l'azione dell'Unione europea, e dei suoi leader politici, nei confronti dell'attuale Governo ucraino si inquadra nel percorso di una sempre maggiore integrazione dell'economia ucraina nello spazio economico europeo; scelta strategica questa confermata dal vertice Ucraina-Unione europea tenutosi a Kiev il 19 dicembre 2011;
    l'integrazione è, però, possibile solo a condizione che l'ex Repubblica sovietica sia disposta ad intraprendere una serie di profonde riforme proprio nel settore giudiziario e nel campo del rispetto dei diritti umani, offrendo la piena garanzia dell'affermazione di un compiuto Stato di diritto;
    in mancanza di un'apertura ucraina su un convincente piano di riforme e di garanzie sul rispetto dei diritti umani, l'Unione europea potrebbe assumere una riflessione sull'ulteriore implementazione dell'accordo di associazione e cooperazione in vigore tra Ucraina e Unione europea;
    il 21 marzo 2012 i giovani del Popolo della Libertà hanno incontrato a Roma, alla Camera dei deputati, Eugenia Tymoshenko, figlia di Yulia, l'ex Primo ministro ucraino oggi in prigione;
    l'Italia ha costantemente seguito la preoccupante situazione dello Stato di diritto in Ucraina e anche di recente il Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi, ha pubblicamente espresso forte apprensione;
    il Ministro degli affari esteri ha assicurato sia l'impegno della Farnesina, in contatto con i principali partner europei, affinché sia fatta piena luce sulle denunce del difensore civico ucraino, sia la necessità di mantenere una crescente pressione sul caso,

impegna il Governo:

   a farsi promotore presso i competenti organismi internazionali di ogni possibile intervento mirato a sollecitare il rispetto dei diritti legali e un'adeguata assistenza sanitaria a favore di Yulia Tymoshenko e dell'ex Ministro dell'interno Yuriy Lutsenko, nonché dell'ex Ministro della difesa Ivashchenko, anche in vista di possibili soluzioni dei loro casi per ragioni umanitarie, considerando anche l'eventualità di un possibile rilascio, in particolare alla luce delle loro condizioni di salute;
   a sollecitare l'Unione europea, nel suo complesso, ad un'azione diplomatica di sensibilizzazione che possa accelerare e facilitare lo sviluppo in Ucraina di un percorso di riforme necessarie alla piena affermazione nel Paese di uno Stato di diritto, ponendo questa come condizione necessaria per l'associazione politica e l'integrazione economica del Paese con l'Unione europea.
(1-01024)
(Nuova formulazione) «Calabria, Baldelli, Frattini, Pianetta, Biancofiore, Boniver, Formichella, Di Virgilio, Saltamartini, Barani».
(3 maggio 2012)

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   Mozione Lenzi n. 1-00955 del 22 marzo 2012;
   Mozione Moffa n. 1-00978 del 28 marzo 2012.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
   interrogazione a risposta scritta Compagnon n. 4-15877 del 3 maggio 2012.

Ritiro di firme da una mozione.

  Mozione Moffa e altri n. 1-00978, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 marzo 2012: sono state ritirate le firme dei deputati: Santagata, Schirru, Miglioli, Damiano, Rampi, Bellanova, Codurelli, Bobba, Mosca, Boccuzzi, Madia, Mattesini, Gnecchi, Gatti, Berretta.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

  I seguenti documenti sono stati trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14377 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06707;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14378 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06708;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14379 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06709;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14380 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06710;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14381 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06711;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14382 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06712;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14383 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06713;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14384 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06714;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14399 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06715;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14400 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06716;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14401 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06717;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14402 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06718;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14403 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06719;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14404 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06720;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14405 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06721;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14406 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06784;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14414 del 10 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06785;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14431 dell'11 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06722;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14437 dell'11 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06786;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14498 del 16 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06723;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14499 del 16 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06724;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14500 del 16 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06725;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14501 del 16 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06726;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14502 del 16 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06727;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14503 del 16 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06728;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14504 del 16 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06729;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14507 del 16 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06730;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14511 del 16 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06731;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14512 del 16 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06732;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14585 del 23 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06733;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14586 del 23 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06734;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14587 del 23 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06735;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14588 del 23 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06736;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14589 del 23 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06737;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14590 del 23 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06738;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14591 del 23 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06739;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14618 del 24 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06740;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14651 del 26 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06741;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14655 del 30 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06742;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14701 del 31 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06743;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14702 del 31 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06744;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14801 del 7 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06745;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14872 del 14 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06746;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14879 del 14 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06747;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14898 del 14 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06748;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14900 del 14 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06749;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-14915 del 15 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06750;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15005 del 21 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06751;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15016 del 21 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06752;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15017 del 21 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06753;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15050 del 22 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06754;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15090 del 24 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06755;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15091 del 24 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06756;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15102 del 27 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06757;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15103 del 27 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06764;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15104 del 27 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06765;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15105 del 27 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06766;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15110 del 27 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06767;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15111 del 27 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06768;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15127 del 29 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06769;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15181 del 5 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06770;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15186 del 5 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06771;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15188 del 5 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06772;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15200 del 5 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06773;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15209 del 6 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06774;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15279 dell'8 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06775;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15287 del 12 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06776;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15288 del 12 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06777;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15291 del 12 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06778;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15292 del 12 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06779;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15289 del 12 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06795;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15290 del 12 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06796;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15308 del 13 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06780;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15353 del 19 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06781;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15387 del 20 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06782;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15486 del 26 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06783;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15490 del 27 marzo 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06758;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15572 del 2 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06759;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15592 del 3 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06760;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15593 del 3 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06761;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15594 del 3 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06762;
   interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n. 4-15615 del 4 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06763.