XVI LEGISLATURA
TESTO AGGIORNATO AL 28 MAGGIO 2012
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
in questi ultimi mesi il nostro Paese sta affrontando una crisi economica di portata continentale e mondiale. La crisi, nata come finanziaria, si è presto rivelata molto più profonda, mostrando in poco tempo la sua natura economica e produttiva; il rischio reale è che possa sfociare in una crisi anche sociale. Anche per evitare questa possibile quanto pericolosa degenerazione è nato il Governo del senatore Monti, la cui genesi è stata accompagnata dalla maturata consapevolezza del baratro che anche il nostro Paese aveva ed ha di fronte a sé. Un baratro in cui non si può cadere perché in tal caso l'Italia trascinerebbe con sé l'intera Europa, una nuova realtà ma fondamentale per il mantenimento degli equilibri mondiali;
la globalizzazione ha posto e pone di fronte alla consapevolezza che il destino dell'Italia è legato indissolubilmente a quello degli altri Paesi. Le decisioni che si prendono in ogni singolo Paese hanno oggi ripercussioni ed effetti su realtà che fino a pochi anni fa si potevano considerare molto più distanti di quanto non siano oggi. Questa consapevolezza, è bene sottolinearlo, aumenta e deve aumentare il grado di responsabilità di chi è chiamato a decidere;
ebbene, l'attuale Governo sta agendo su più fronti, consapevole che il tempo è un fattore determinante della sua azione. In pochi mesi ha affrontato liberalizzazioni, semplificazioni, riforma del sistema pensionistico, ora quella del mercato del lavoro. Su quest'ultima è in corso un confronto necessario. Si tratta di provvedimenti che sono destinati a lasciare il segno nel tessuto sociale del nostro Paese; tanto più sarà profondo tale segno, tanto più sarà dimostrata l'efficacia delle scelte fatte;
rigore e sviluppo sono i riferimenti cardine su cui si sta muovendo l'azione riformatrice. Ma se per ciò che attiene al rigore l'intervento legislativo e normativo può certo considerarsi direttamente efficace, per quanto riguarda lo sviluppo la sua efficacia non può essere considerata altrettanto diretta. L'intervento normativo nell'ottica del rilancio dello sviluppo può, cioè, essere certamente utile, ma come premessa, come fattore agevolativo e semplificativo, non certo come fattore determinante. Lo sviluppo non si può creare per decreto, sono le forze produttive del Paese a poterlo determinare, ma queste vanno messe nelle condizioni adeguate per farlo; questo è il compito della politica e delle istituzioni che la rappresentano;
in questo senso molto c'è da fare, se il rigore voluto e perseguito sta producendo effetti avvertiti quotidianamente dai cittadini italiani, ebbene le scelte propedeutiche al rilancio del Paese devono avere la stessa efficacia, devono essere avvertite nella stessa maniera dai nostri concittadini;
la pubblica amministrazione riveste in questo quadro un ruolo centrale; può e deve essere considerata come uno strumento fondamentale per il rilancio del sistema economico italiano; può essere il volano della ripresa;
invece, uno dei principali ostacoli sulla strada del possibile rilancio del Paese è rappresentato proprio dal ritardo cronico dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, una situazione questa non più sostenibile. Attualmente la realizzazione di importanti opere pubbliche, necessarie per ammodernare il Paese e riprendere il ciclo dello sviluppo economico, sono a rischio per il blocco della liquidità dell'amministrazione pubblica;
investire nel rilancio delle opere pubbliche rappresenta un'opzione non di secondo piano per il rilancio dell'economia e della produttività del sistema Italia, ma, di fatto, questa possibilità viene resa impraticabile;
gli enti locali in Lombardia pagano mediamente in 120 giorni, in Campania pagano con 365 giorni di ritardo, in Calabria addirittura si raggiunge il tetto di ben 600 giorni. Bisogna, però, tener conto che vi sono pure al Nord realtà in cui è ben evidente questa patologia del rapporto fra le imprese fornitrici di beni e servizi e gli enti locali. Ottenere una commessa per un'impresa privata in queste condizioni può rappresentare una vera e propria iattura per il proprio conto economico;
questa situazione tiene lontani gli investimenti pubblici e privati da un'area come quella del Mezzogiorno, che, non va sottaciuto, rappresenta un mercato di consumo per le imprese del Nord e potrebbe diventare un'area strategica per il rilancio dell'economia dell'intero Paese;
il rilancio degli investimenti infrastrutturali al Sud e nelle altre aree depresse del Paese rappresenta un'opportunità che deve essere colta, anche perché una scelta del genere contribuirebbe a sviluppare sul territorio quella serie di piccole e medie imprese private che potrebbero ridare, con la loro stessa esistenza, linfa all'intero Meridione e non solo;
lo Stato, le regioni e gli enti locali possono rappresentare un'opzione in più, uno strumento importante, attraverso i loro investimenti, per veicolare, diffondere e invogliare l'iniziativa privata sul territorio. Nell'interesse, si badi bene, non solo delle aree eventualmente interessate, ma dell'intero sistema Paese e delle aziende non solo locali che potrebbero essere coinvolte in un piano nazionale di investimenti sul territorio;
fino a qualche anno fa le regioni riuscivano a pagare i fornitori di beni e servizi con più tempestività, perché potevano utilizzare i fondi di riequilibrio o, comunque, ricorrevano con maggiore possibilità all'indebitamento. Entrambe le ipotesi oggi non sono più percorribili. Inoltre, è necessario tenere conto del vincolo imposto dal patto di stabilità. In virtù proprio del patto di stabilità, si è di fronte ad una situazione particolare per la quale alcune regioni, pur avendo risorse disponibili, non possono utilizzarle, mentre altre non hanno praticamente denaro in cassa. Dunque, in una situazione di crisi come quella attuale, esistono risorse che di fatto si rendono indisponibili;
di fronte a questa situazione i Repubblicani Azionisti hanno proposto la necessità di discutere nelle sedi opportune l'ipotesi che le risorse finanziarie inutilizzate possano essere rimesse in circolo con l'istituzione di un fondo di garanzia, attraverso il quale il Governo sia garante dei pagamenti anche delle autonomie locali;
una proposta avanzata anche in virtù della consapevolezza che il Governo ha da poco messo a disposizione ben 1 miliardo di euro al di fuori del patto di stabilità e sta lavorando per diminuire l'incidenza dei vincoli esistenti, scelta questa che comporta la spesa di ingenti risorse economiche; di fronte a tale impegno, pensare di rendere utilizzabili risorse attualmente rese indisponibili appare vieppiù necessario;
una necessità ancora più evidente; in una fase come quella attuale, nella quale anche il sistema bancario mostra evidenti segnali di difficoltà e l'accesso al credito diventa sempre più difficile, l'azione della pubblica amministrazione, come detto, può diventare una valvola di stabilità fondamentale. Essa può ridare ossigeno a moltissime imprese di tutto il Paese del Sud e forse e soprattutto del Nord;
in occasione di un dibattito in Assemblea, il rappresentante del Governo ha ricordato i numerosi interventi effettuati negli ultimi anni, per cercare di risolvere la criticità del ritardo dei pagamenti: dall'articolo 9 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, al più recente articolo 13, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, sino alla previsione di una disciplina da definire con un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata. Per quanto
utili e necessari gli interventi citati non sono risultati risolutivi, almeno non così sono stati percepiti ed avvertiti;
una consapevolezza questa che aumenta di fronte alla drammatica carenza di liquidità cui sono sottoposte le piccole e medie imprese del Paese, che rappresentano, come è noto, la spina dorsale del sistema produttivo italiano;
in Italia l'iniziativa imprenditoriale, infatti, non manca: il numero di aziende che il Paese vanta è pari a 3,8 milioni; è quasi il doppio di quelle che si possono contare nella locomotiva d'Europa, ovvero in Germania (2 milioni e 38 mila). Ma quasi il 95 per cento delle imprese italiane ha una dimensione ridotta con un numero di dipendenti inferiore a dieci. In particolare, in Italia su un totale di 3.849.258 di imprese, il 94,5 per cento è costituito da micro imprese, il 4,9 per cento da piccole, lo 0,5 da medie e solo lo 0,1 per cento da grandi;
il credit crunch a cui sono sottoposte le piccole e medie imprese produce un avvitamento finanziario che danneggia non solo la fisiologia interna delle piccole e medie imprese, ma la natura stessa del sistema imprenditoriale italiano;
di fronte a questa situazione, se lo statuto dei lavoratori nel 1970 ha avuto il merito di socializzare l'impresa, oggi appare necessario ribadire e rinsaldare il ruolo sociale degli istituti bancari, la cui attività resta sì fondamentale per l'economia moderna, ma deve mantenere la qualità basilare di servizio;
nell'ultima indagine trimestrale, condotta dalla Banca d'Italia, è quasi raddoppiata, al 28,6 per cento dal 15,2 per cento della precedente inchiesta, la quota delle imprese per le quali le condizioni di accesso al credito sono peggiorate;
le ragioni di queste difficoltà sono principalmente di due tipi. In primo luogo, c'è da parte delle banche un problema di liquidità, soprattutto per quanto riguarda gli impieghi a medio termine, posto che le banche si trovano di fronte all'esigenza di garantire la copertura delle operazioni correnti e devono ridurre gli spazi per i finanziamenti alle imprese; in secondo luogo, c'è un problema di costi. Per le banche è sempre più oneroso aumentare la propria raccolta e ottenere capitali per il forte rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani;
di fronte a questa situazione sono proprio le piccole e medie imprese a rischiare maggiormente, perché il sistema bancario continua ad essere fortemente impegnato verso i grandi gruppi, anche loro spesso in difficoltà;
le imprese, quindi, hanno di fronte un credito difficile e più caro proprio in un momento in cui sarebbero invece necessari forti investimenti per rinnovare gli impianti e accrescere la competitività;
va ricordato che il 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto circa 500 miliardi di euro di nuovi fondi, in occasione della prima asta di rifinanziamento organizzata dalla Banca centrale europea, allo scopo di fronteggiare il credit crunch; di queste risorse, gli istituti italiani hanno ricevuto 116 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento;
la Banca centrale europea ha più volte dichiarato che tali risorse sono vincolate allo scopo di offrire credito all'economia reale, in modo da permettere alle banche di avere più liquidità da poter mettere a disposizione, in particolare, delle imprese. Questa scelta è stata dettata dalla consapevolezza che il rilancio dello sviluppo del sistema non può che essere collegato alla capacità effettiva di credito, che gli istituti bancari dovrebbero concedere alle imprese, in particolare a quelle piccole e medie;
senza il rafforzamento delle linee di credito appare, infatti, estremamente complicato ipotizzare che si possa davvero procedere ad un rilancio dello sviluppo del sistema, per il quale, specie in Italia, il ruolo delle piccole imprese è determinante, sia in termine di produzione che di impiego di forza lavoro;
la mancanza di liquidità è, dunque, la ragione principale del ristagno dell'economia ed è l'obiettivo principale da perseguire se si vuole rilanciare il sistema Italia. Le cause principali di questa carenza sono evidentemente, da un lato, la mancanza di credito alle imprese da parte del sistema bancario, dall'altro la mancanza di investimenti pubblici in settori strategici e il patologico quanto insostenibile ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione a tutti i suoi livelli,
impegna il Governo:
ad intervenire, nel rispetto delle proprie ed altrui competenze, affinché l'ipotesi avanzata di rendere disponibili le risorse attualmente inutilizzate, da parte di alcune regioni, attraverso la creazione di un fondo nazionale per garantire i pagamenti delle pubbliche amministrazioni ed anche delle autonomie locali, fondo di cui il Governo nazionale sia gestore e garante, possa essere discussa e vagliata come eventuale risorsa aggiuntiva per risolvere il problema cronico dei ritardi dei pagamenti e contribuire così al rilancio del sistema nel suo complesso;
ad istituire nel più breve tempo possibile un tavolo permanente con i rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana, della Banca d'Italia, delle principali associazioni di categoria e dei consumatori, al fine di avanzare proposte operative per il sostegno del credito a favore delle imprese e delle famiglie;
ad intervenire, nei limiti delle proprie competenze, affinché i prestiti che la Banca centrale europea ha messo a disposizione delle banche siano effettivamente utilizzati per sostenere l'accesso al credito per le imprese;
ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, affinché sia possibile per i creditori della pubblica amministrazione richiedere alle amministrazioni debitrici la certificazione delle somme dovute e, quindi, nel caso, cedere il relativo credito ad un istituto bancario che ne assuma la piena titolarità;
ad intervenire nelle sedi europee competenti affinché si adottino provvedimenti mirati a garantire effettivamente l'accesso al credito per imprese e famiglie.
(1-01011)«Ossorio, Nucara, Brugger».
La Camera,
premesso che:
in questi ultimi mesi il nostro Paese affronta una crisi economica di portata continentale e mondiale. La crisi, nata come finanziaria, si è presto rivelata molto più profonda, mostrando in poco tempo la sua natura economica e produttiva; il rischio reale è che possa sfociare in una crisi anche sociale. Anche per evitare questa possibile quanto pericolosa degenerazione è nato il Governo del senatore Monti, la cui genesi è stata accompagnata dalla maturata consapevolezza del baratro che anche il nostro Paese aveva ed ha di fronte a sé. Un baratro in cui non si può cadere perché in tal caso l'Italia trascinerebbe con sé l'intera Europa, una nuova realtà ma fondamentale per il mantenimento degli equilibri mondiali;
la globalizzazione ha posto e pone di fronte alla consapevolezza che il destino dell'Italia è legato indissolubilmente a quello degli altri Paesi. Le decisioni che si prendono in ogni singolo Paese hanno oggi ripercussioni ed effetti su realtà che fino a pochi anni fa si potevano considerare molto più distanti di quanto non siano oggi. Questa consapevolezza, è bene sottolinearlo, aumenta e deve aumentare il grado di responsabilità di chi è chiamato a decidere;
ebbene, l'attuale Governo sta agendo su più fronti, consapevole che il tempo è un fattore determinante della sua azione. In pochi mesi ha affrontato liberalizzazioni, semplificazioni, riforma del sistema pensionistico, ora quella del mercato del lavoro. Su quest'ultima è in corso un confronto necessario. Si tratta di provvedimenti che sono destinati a lasciare il segno nel tessuto sociale del nostro Paese; tanto più sarà profondo tale segno, tanto più sarà dimostrata l'efficacia delle scelte fatte;
rigore e sviluppo sono i riferimenti cardine su cui si sta muovendo l'azione riformatrice. Ma se per ciò che attiene al rigore l'intervento legislativo e normativo può certo considerarsi direttamente efficace, per quanto riguarda lo sviluppo la sua efficacia non può essere considerata altrettanto diretta. L'intervento normativo nell'ottica del rilancio dello sviluppo può, cioè, essere certamente utile, ma come premessa, come fattore agevolativo e semplificativo, non certo come fattore determinante. Lo sviluppo non si può creare per decreto, sono le forze produttive del Paese a poterlo determinare, ma queste vanno messe nelle condizioni adeguate per farlo; questo è il compito della politica e delle istituzioni che la rappresentano;
in questo senso molto c’è da fare, se il rigore voluto e perseguito sta producendo effetti avvertiti quotidianamente dai cittadini italiani, ebbene le scelte propedeutiche al rilancio del Paese devono avere la stessa efficacia, devono essere avvertite nella stessa maniera dai nostri concittadini;
la pubblica amministrazione riveste in questo quadro un ruolo centrale; può e deve essere considerata come uno strumento fondamentale per il rilancio del sistema economico italiano; può essere il volano della ripresa;
invece, uno dei principali ostacoli sulla strada del possibile rilancio del Paese è rappresentato proprio dal ritardo cronico dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, una situazione questa non più sostenibile. Attualmente la realizzazione di importanti opere pubbliche, necessarie per ammodernare il Paese e riprendere il ciclo dello sviluppo economico, sono a rischio per il blocco della liquidità dell'amministrazione pubblica;
investire nel rilancio delle opere pubbliche rappresenta un'opzione non di secondo piano per il rilancio dell'economia e della produttività del sistema Italia, ma, di fatto, questa possibilità viene resa impraticabile;
gli enti locali in Lombardia pagano mediamente in 120 giorni, in Campania pagano con 365 giorni di ritardo, in Calabria addirittura si raggiunge il tetto di ben 600 giorni. Bisogna, però, tener conto che vi sono pure al Nord realtà in cui è ben evidente questa patologia del rapporto fra le imprese fornitrici di beni e servizi e gli enti locali. Ottenere una commessa per un'impresa privata in queste condizioni può rappresentare una vera e propria iattura per il proprio conto economico;
questa situazione tiene lontani gli investimenti pubblici e privati da un'area come quella del Mezzogiorno, che, non va sottaciuto, rappresenta un mercato di consumo per le imprese del Nord e potrebbe diventare un'area strategica per il rilancio dell'economia dell'intero Paese;
il rilancio degli investimenti infrastrutturali al Sud e nelle altre aree depresse del Paese rappresenta un'opportunità che deve essere colta, anche perché una scelta del genere contribuirebbe a sviluppare sul territorio quella serie di piccole e medie imprese private che potrebbero ridare, con la loro stessa esistenza, linfa all'intero Meridione e non solo;
lo Stato, le regioni e gli enti locali possono rappresentare un'opzione in più, uno strumento importante, attraverso i loro investimenti, per veicolare, diffondere e invogliare l'iniziativa privata sul territorio. Nell'interesse, si badi bene, non solo delle aree eventualmente interessate, ma dell'intero sistema Paese e delle aziende non solo locali che potrebbero essere coinvolte in un piano nazionale di investimenti sul territorio;
fino a qualche anno fa le regioni riuscivano a pagare i fornitori di beni e servizi con più tempestività, perché potevano utilizzare i fondi di riequilibrio o, comunque, ricorrevano con maggiore possibilità all'indebitamento. Entrambe le ipotesi oggi non sono più percorribili. Inoltre, è necessario tenere conto del vincolo imposto dal patto di stabilità. In virtù proprio del patto di stabilità, si è di fronte ad una situazione particolare per la quale alcune regioni, pur avendo risorse disponibili, non possono utilizzarle, mentre altre non hanno praticamente denaro in cassa. Dunque, in una situazione di crisi come quella attuale, esistono risorse che di fatto si rendono indisponibili;
di fronte a questa situazione i Repubblicani Azionisti hanno proposto la necessità di discutere nelle sedi opportune l'ipotesi che le risorse finanziarie inutilizzate possano essere rimesse in circolo con l'istituzione di un fondo di garanzia, attraverso il quale il Governo sia garante dei pagamenti anche delle autonomie locali;
una proposta avanzata anche in virtù della consapevolezza che il Governo ha da poco messo a disposizione ben 1 miliardo di euro al di fuori del patto di stabilità e sta lavorando per diminuire l'incidenza dei vincoli esistenti, scelta questa che comporta la spesa di ingenti risorse economiche; di fronte a tale impegno, pensare di rendere utilizzabili risorse attualmente rese indisponibili appare vieppiù necessario;
una necessità ancora più evidente; in una fase come quella attuale, nella quale anche il sistema bancario mostra evidenti segnali di difficoltà e l'accesso al credito diventa sempre più difficile, l'azione della pubblica amministrazione, come detto, può diventare una valvola di stabilità fondamentale. Essa può ridare ossigeno a moltissime imprese di tutto il Paese del Sud e forse e soprattutto del Nord;
in occasione di un dibattito in Assemblea, il rappresentante del Governo ha ricordato i numerosi interventi effettuati negli ultimi anni, per cercare di risolvere la criticità del ritardo dei pagamenti: dall'articolo 9 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, al più recente articolo 13, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, sino alla previsione di una disciplina da definire con un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata. Per quanto utili e necessari gli interventi citati non sono risultati risolutivi, almeno non così sono stati percepiti ed avvertiti;
una consapevolezza questa che aumenta di fronte alla drammatica carenza di liquidità cui sono sottoposte le piccole e medie imprese del Paese, che rappresentano, come è noto, la spina dorsale del sistema produttivo italiano;
in Italia l'iniziativa imprenditoriale, infatti, non manca: il numero di aziende che il Paese vanta è pari a 3,8 milioni; è quasi il doppio di quelle che si possono contare nella locomotiva d'Europa, ovvero in Germania (2 milioni e 38 mila). Ma quasi il 95 per cento delle imprese italiane ha una dimensione ridotta con un numero di dipendenti inferiore a dieci. In particolare, in Italia su un totale di 3.849.258 di imprese, il 94,5 per cento è costituito da micro imprese, il 4,9 per cento da piccole, lo 0,5 da medie e solo lo 0,1 per cento da grandi;
il credit crunch a cui sono sottoposte le piccole e medie imprese produce un avvitamento finanziario che danneggia non solo la fisiologia interna delle piccole e medie imprese, ma la natura stessa del sistema imprenditoriale italiano;
di fronte a questa situazione, se lo statuto dei lavoratori nel 1970 ha avuto il merito di socializzare l'impresa, oggi appare necessario ribadire e rinsaldare il ruolo sociale degli istituti bancari, la cui attività resta sì fondamentale per l'economia moderna, ma deve mantenere la qualità basilare di servizio;
nell'ultima indagine trimestrale, condotta dalla Banca d'Italia, è quasi raddoppiata, al 28,6 per cento dal 15,2 per cento della precedente inchiesta, la quota delle imprese per le quali le condizioni di accesso al credito sono peggiorate;
le ragioni di queste difficoltà sono principalmente di due tipi. In primo luogo, c’è da parte delle banche un problema di liquidità, soprattutto per quanto riguarda gli impieghi a medio termine, posto che le banche si trovano di fronte all'esigenza di garantire la copertura delle operazioni correnti e devono ridurre gli spazi per i finanziamenti alle imprese; in secondo luogo, c’è un problema di costi. Per le banche è sempre più oneroso aumentare la propria raccolta e ottenere capitali per il forte rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani;
di fronte a questa situazione sono proprio le piccole e medie imprese a rischiare maggiormente, perché il sistema bancario continua ad essere fortemente impegnato verso i grandi gruppi, anche loro spesso in difficoltà;
le imprese, quindi, hanno di fronte un credito difficile e più caro proprio in un momento in cui sarebbero invece necessari forti investimenti per rinnovare gli impianti e accrescere la competitività;
va ricordato che il 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto circa 500 miliardi di euro di nuovi fondi, in occasione della prima asta di rifinanziamento organizzata dalla Banca centrale europea, allo scopo di fronteggiare il credit crunch; di queste risorse, gli istituti italiani hanno ricevuto 116 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento;
la Banca centrale europea ha più volte dichiarato che tali risorse sono vincolate allo scopo di offrire credito all'economia reale, in modo da permettere alle banche di avere più liquidità da poter mettere a disposizione, in particolare, delle imprese. Questa scelta è stata dettata dalla consapevolezza che il rilancio dello sviluppo del sistema non può che essere collegato alla capacità effettiva di credito, che gli istituti bancari dovrebbero concedere alle imprese, in particolare a quelle piccole e medie;
senza il rafforzamento delle linee di credito appare, infatti, estremamente complicato ipotizzare che si possa davvero procedere ad un rilancio dello sviluppo del sistema, per il quale, specie in Italia, il ruolo delle piccole imprese è determinante, sia in termine di produzione che di impiego di forza lavoro;
la mancanza di liquidità è, dunque, la ragione principale del ristagno dell'economia ed è l'obiettivo principale da perseguire se si vuole rilanciare il sistema Italia. Le cause principali di questa carenza sono evidentemente, da un lato, la mancanza di credito alle imprese da parte del sistema bancario, dall'altro la mancanza di investimenti pubblici in settori strategici e il patologico quanto insostenibile ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione a tutti i suoi livelli;
recentemente il Governo ha predisposto un decreto ministeriale con specifico riguardo proprio alla compensazione dei crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione. Una decisione questa assolutamente condivisibile. Però, il testo in questione prevede che questa misura di compensazione non si attui in quelle regioni sottoposte a piani di rientro oppure che siano state commissariate, regioni prevalentemente del Mezzogiorno, dove la crisi economica è sempre più forte. Si tratta, evidentemente, di una scelta non condivisibile ed estremamente grave, perché produrrebbe effetti direttamente contrari agli obiettivi che si vogliono raggiungere;
si tratterebbe, qualora confermata, di una scelta evidentemente discriminatoria che scarica sulle aziende e sulle imprese colpe e responsabilità che non hanno e di cui non possono pagare il prezzo;
l'origine di tale eventuale, inaccettabile ed insostenibile discriminazione non è da addebitare ad una scelta o a un errore del Governo. Il problema è, invece, originato dai vincoli di una direttiva europea, che, difatti, escluderebbero dalle compensazioni le regioni che già hanno usufruito del piano di rientro, per ristabilire l'equilibrio economico-finanziario,
impegna il Governo:
ad intervenire, nel rispetto delle proprie ed altrui competenze, affinché l'ipotesi avanzata di rendere disponibili le risorse attualmente inutilizzate, da parte di alcune regioni, attraverso la creazione di un fondo nazionale per garantire i pagamenti delle pubbliche amministrazioni ed anche delle autonomie locali, fondo di cui il Governo nazionale sia gestore e garante, possa essere discussa e vagliata come eventuale risorsa aggiuntiva per risolvere il problema cronico dei ritardi dei pagamenti e contribuire così al rilancio del sistema nel suo complesso;
ad istituire nel più breve tempo possibile un tavolo permanente con i rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana, della Banca d'Italia, delle principali associazioni di categoria e dei consumatori, al fine di avanzare proposte operative per il sostegno del credito a favore delle imprese e delle famiglie;
ad intervenire, nei limiti delle proprie competenze, affinché i prestiti che la Banca centrale europea ha messo a disposizione delle banche siano effettivamente utilizzati per sostenere l'accesso al credito per le imprese;
ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, affinché sia possibile per i creditori della pubblica amministrazione richiedere alle amministrazioni debitrici la certificazione delle somme dovute e, quindi, nel caso, cedere il relativo credito ad un istituto bancario che ne assuma la piena titolarità;
ad intervenire nelle sedi europee competenti affinché si adottino provvedimenti mirati a garantire effettivamente l'accesso al credito per imprese e famiglie;
a chiarire quale siano le soluzioni tecnico-normative che il Governo intende adottare, per rimuovere un vincolo che creerebbe un'inaccettabile discriminazione ed estendere, quindi, i benefici delle compensazioni a tutte quelle regioni, che sono prevalentemente del Sud, che ne resterebbero escluse pur avendone più bisogno.
(1-01011) (Nuova formulazione) «Ossorio, Nucara, Brugger».
La Camera,
premesso che:
nel Preambolo della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità si riaffermano i principi proclamati nello statuto delle Nazioni Unite, che riconoscono la dignità ed il valore connaturati a tutti i membri della famiglia umana: diritti uguali e inalienabili come fondamento di libertà, giustizia e pace nel mondo. Per questo, nella Convenzione si sottolinea la necessità di garantirne il pieno godimento da parte delle persone con disabilità, senza nessuna discriminazione. Perché: «...la discriminazione contro qualsiasi persona, sulla base della disabilità, costituisce una violazione della dignità e del valore connaturati alla persona umana.» Il Preambolo inoltre mette in evidenza il carattere evolutivo del concetto di disabilità e per questo chiede soprattutto a coloro che hanno responsabilità di Governo di rivedere ed aggiornare continuamente le proprie linee di intervento;
tra gli aspetti più importanti di questa Convenzione, oltre all'esplicito riconoscimento dei diritti di tutte le persone con disabilità, vale la pena segnalare altri tre passaggi di particolare interesse:
a) l'importanza dell'autonomia e della indipendenza individuale per le persone con disabilità, compresa la libertà di compiere le proprie scelte. Occorre coinvolgerle «attivamente nei processi decisionali relativi alle politiche e ai programmi, che li riguardano direttamente»,
b) la consapevolezza che le donne e le minori con disabilità corrono spesso
maggiori rischi nell'ambiente domestico ed all'esterno, di violenze, lesioni e abusi, di abbandono o mancanza di cure, maltrattamento e sfruttamento, anche perché spesso la maggior parte delle persone con disabilità vive in condizioni di povertà, e la povertà ha un forte impatto negativo sulla disabilità;
c) la ferma convinzione che le persone con disabilità ed i membri delle loro famiglie debbano ricevere la protezione ed assistenza necessarie a permettere alle rispettive famiglie di contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità; il Preambolo infatti afferma con chiarezza che la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e quindi ha diritto alla protezione da parte della società e dello Stato;
quelli enunciati sono tre punti chiave indispensabili per tutelare il diritto delle persone con disabilità ad intervenire personalmente nelle decisioni che li riguardano, il diritto ad una tutela speciale per le donne, soprattutto quando la disabilità si accompagna a povertà, e infine lo straordinario valore della famiglia proprio per queste persone. Famiglia pertanto da tutelare e da difendere;
ad oltre trent'anni anni dall'emanazione della legge n. 517 del 1977 che ha dato avvio al processo di integrazione dei ragazzi con disabilità nelle scuole pubbliche, si può affermare che i risultati conseguiti mostrano in Italia livelli elevati di inserimento. L'integrazione scolastica, però, è un concetto che va al di là del mero aumento di iscritti con disabilità nelle scuole: l'integrazione, infatti, si misura anche attraverso altre informazioni che riguardano le risorse umane messe in campo e la presenza di strutture scolastiche accessibili;
nelle scuole primarie e secondarie di I grado statali e non statali, negli ultimi 20 anni, si è assistito a una crescita progressiva della presenza di alunni con disabilità. Per la scuola primaria si è passati dall'1,7 per cento di alunni con disabilità sul totale degli iscritti nell'anno scolastico 1989/1990 (poco più di 54 mila alunni con disabilità) al 2,6 per cento nell'anno scolastico 2009/2010. Per la scuola secondaria si sono registrati incrementi superiori: nel 1989-90 la percentuale di alunni con disabilità rappresentava l'1,9 per cento del totale degli alunni (poco più di 45 mila alunni con disabilità), mentre nell'anno scolastico 2009/2010, tale percentuale raggiunge il 3,3 per cento della popolazione scolastica. Per un totale di poco più di 130 mila alunni con disabilità, di questi, circa 73 mila sono studenti della scuola primaria e circa 59 mila della scuola secondaria di I grado;
in entrambi gli ordini scolastici le alunne con disabilità rappresentano solo un terzo della popolazione (nella scuola primaria sono 32,6 per cento e nella scuola secondaria il 37,3 per cento degli alunni con disabilità). Nella scuola primaria la popolazione scolastica con disabilità ha un'età media intorno ai 9,7 anni e ben il 33 per cento degli alunni frequentanti ha un'età superiore ai 10 anni. Nella scuola secondaria di I grado l'età media della popolazione con disabilità è pari a 13,5 anni, con una percentuale di alunni con età superiore ai 15 anni pari al 20 per cento. Questi dati evidenziano un elevato livello di ripetenza nella popolazione con disabilità, fenomeno negativo in quanto, in alcuni casi, testimonia un semplice prolungamento nel tempo del progetto riabilitativo dell'alunno con disabilità, soprattutto in mancanza di servizi territoriali capaci di prendere in carico tali persone. Il 25,8 per cento degli alunni con disabilità ha problemi nello svolgere in modo autonomo almeno una delle seguenti attività: spostarsi all'interno della scuola, mangiare e andare in bagno in modo autonomo; il restante 74 per cento degli alunni della scuola primaria non presenta problemi di questa natura;
l'inserimento a scuola dell'alunno con disabilità dovrebbe essere accompagnato dalla costruzione di un progetto educativo individuale basato sulla predisposizione della diagnosi funzionale3 da parte della ASL, del profilo dinamico funzionale4
da parte di una équipe multidisciplinare e del piano educativo individualizzato5, redatto sempre da una équipe multidisciplinare. I risultati di seguito riportati forniscono l'informazione sulla redazione di questa documentazione, ma non consentono di valutarne la qualità, né il suo reale utilizzo nella realizzazione del progetto educativo individuale, laddove questo venga redatto. Il 95 per cento degli alunni con disabilità, in entrambi gli ordini scolastici, ha una diagnosi funzionale. L'avere o meno una certificazione che attesti il proprio stato di disabilità è normativamente propedeutico all'erogazione da parte del sistema scuola dei servizi per l'integrazione. Nella realtà scolastica però la situazione è ben più differenziata. Nella scuola primaria il 72,7 per cento degli alunni con disabilità possiede una certificazione di disabilità (legge n. 104 del 1992): la percentuale più alta si riscontra al Nord (84,5 per cento), mentre la più bassa nel Mezzogiorno (63 per cento) (Tabella 4). Sono poco meno del 2 per cento gli alunni con disabilità che hanno la sola certificazione di invalidità (legge n. 118 del 1971). Il 13,8 per cento degli alunni ha entrambe le certificazioni: al Mezzogiorno si riscontra la percentuale maggiore, con circa il 21 per cento degli alunni, mentre al Nord tale percentuale si dimezza (9,2 per cento). Gli alunni che, invece, non hanno alcuna certificazione sono l'11,8 per cento, con un valore massimo al Centro, dove ben il 22,3 per cento degli alunni non ha alcuna certificazione, mentre al Nord gli alunni senza certificazione sono solo il 5,5 per cento. Vale la pena sottolineare il valore degli insegnanti di sostegno e delle nuove metodologie didattiche;
in Italia, l'ISTAT stima che siano 362.000 le persone che hanno perso il bene della vista e oltre 1.500.000 quelle ipovedenti; nei Paesi industrializzati per ogni cieco legale ci sono 6 ipovedenti. I dati 2010 diffusi dall'Organizzazione mondiale della sanità confermano che le persone cieche sono 39 milioni e quelle ipovedenti circa 246 milioni. Il 90 per cento di queste vive nei Paesi emergenti. Si tratta di numeri ancora alti, che però riflettono un miglioramento del 10 per cento rispetto all'ultima indagine dell'Organizzazione mondiale della sanità del 2004 (45 milioni persone cieche, 269 milioni di ipovedenti. Dato sorprendente e in netta controtendenza con l'andamento demografico: la popolazione con più di 50 anni - fascia di età in cui si concentra l'82 per cento delle persone non vedenti - è aumentata del 18 per cento soprattutto nei Paesi poveri;
nel 2005 la spesa dei comuni e degli enti associativi per l'assistenza sociale ammontava a 5 miliardi 741 mila euro e rappresentava lo 0,4 per cento del prodotto interno lordo. Rispetto all'anno precedente le risorse impegnate mostravano un aumento del 6,7 per cento. Dal 2005 ad oggi le risorse a disposizioni dei comuni sono andate progressivamente assottigliandosi, di anno in anno, di finanziaria in finanziaria, con un peggioramento progressivo della situazione delle famiglie che devono misurarsi ogni giorno con le necessità delle persone con disabilità;
le politiche di welfare delle amministrazioni comunali presentano notevoli elementi di variabilità sul territorio. Le differenze più rilevanti riguardano le dimensioni dell'offerta socio-assistenziale. Ogni anno si rileva un aumento degli utenti per tutti i servizi, soprattutto nell'area della disabilità sociale, che coinvolge adulti con un profondo livello di disagio, tanto più se si tratta di capofamiglia o di persone che vivono sole;
i comuni del Nord, per adempiere alle loro funzioni si avvalgono in misura significativa di varie forme associative intercomunali, grazie alle quali i comuni più piccoli riescono a potenziare l'offerta di servizi e di strutture sul territorio. Circa il 30 per cento della spesa sociale nel Nord Italia è gestita da enti associativi e distretti socio-sanitari, mentre i comuni del Centro e del Mezzogiorno, tendono a gestire singolarmente la maggior parte delle attività socio-assistenziali. Fanno eccezione quelle regioni in cm i distretti socio-sanitari, gli
ambiti e le comunità montane contribuiscono in modo significativo all'offerta socio-assistenziale;
il concetto di disabilità oggi si è ampliato fino ad includere accanto alla classica disabilità psico-fisica anche quella sociale, ma la risposta ai diversi bisogni è offerta in modo differenziato per cui può accadere che bisogni analoghi ricevano risposte molto diverse nei diversi ambiti regionali. Ad esempio passando da Nord a Sud diminuisce leggermente il peso delle risorse destinate agli anziani e aumenta la quota relativa all'area «famiglia e minori». Nonostante queste differenze, la gerarchia fra le aree di utenza presente a livello nazionale si mantiene invariata in ogni ripartizione geografica: le spese più elevate appartengono all'area «famiglia e minori», cui si rivolgono tradizionalmente i comuni nelle loro politiche assistenziali verso i cittadini, al secondo posto ci sono quelle per gli anziani e al terzo posto quelle per i disabili. Nell'Area disabili abitualmente rientrano gli interventi e i servizi a cui possono accedere persone con problemi di disabilità fisica, psichica o sensoriale, mentre le prestazioni rivolte agli anziani non autosufficienti rientrano invece nell'area «anziani». Nell'area anziani rientrano gli interventi e i servizi mirati a migliorare la qualità della vita delle persone anziane, nonché a favorire la loro mobilità, l'integrazione sociale e lo svolgimento delle funzioni primarie. Fanno parte di quest'area anche i servizi e gli interventi a favore di anziani malati del morbo di Alzheimer. Nell'Area immigrati e nomadi rientrano gli interventi e i servizi finalizzati all'integrazione sociale, culturale ed economica degli stranieri immigrati in Italia. Per stranieri si intendono le persone che non hanno la cittadinanza italiana, comprese quelle in situazioni di particolare fragilità, quali profughi, rifugiati, richiedenti asilo, vittime di tratta. Nell'Area povertà e disagio adulti rientrano invece gli interventi e i servizi per ex detenuti, donne maltrattate, persone senza fissa dimora, indigenti, persone con problemi mentali (psichiatrici) e altre persone in difficoltà non comprese nelle altre aree;
la spesa pro-capite riferita ai disabili4 è circa 2.070 euro a livello nazionale. Per una persona disabile residente al Nord-est i comuni e gli enti associativi hanno destinato in media 4.610 euro ai servizi sociali, alle strutture e ai contributi in denaro; nel Nord-ovest la spesa pro-capite per disabile scende a circa 2.800 euro, al Centro a 2.296, nelle Isole a 1.467 e al Sud raggiunge appena 520 euro. Quasi la metà della spesa impegnata (il 48,5 per cento) è dovuta ai servizi, il 31,1 per cento al funzionamento delle strutture e il rimanente 20,4 per cento è stato erogato sotto forma di contributi in denaro. Anche per quel che riguarda le politiche di supporto alle persone con disabilità hanno un peso significativo l'assistenza domiciliare e le strutture residenziali, che in questo caso hanno costi unitari più alti, sia per gli enti pubblici che per gli utenti che ne usufruiscono: in media i comuni spendono in un anno 3.456 euro per utente per l'assistenza domiciliare socio-assistenziale, 2.272 per l'assistenza domiciliare integrata, 1.935 per i voucher. (Dati ISTAT);
il servizio di assistenza domiciliare ai disabili sul territorio è meno presente che per gli anziani; la copertura per l'assistenza socio-assistenziale varia tra il 47 per cento nelle Isole e il 78 per cento al Nord-est. Il numero di disabili adulti assistiti a domicilio su 100 potenziali utenti si attesta su 5,6 a livello nazionale, con valori medi per ripartizione geografica che variano tra 4,3 al Sud e 8,8 al Centro Nell'ambito di quest'area di utenza un importante sostegno logistico alle famiglie è dato inoltre dai centri diurni, dove sono stati assistiti nel 2005 circa 26.400 disabili, con una spesa media per i comuni di circa 7.400 euro per utente; inoltre vi sono le rette pagate dai comuni nei centri diurni privati, che hanno interessato quasi 7.300 utenti con un importo medio di circa 5.170 euro l'anno pro capite;
numerosi atti di sindacato ispettivo contengono richieste a favore delle persone con disabilità, da ultimo, la Camera ha approvato ordini del giorno in merito, nel corso dell'esame del cosiddetto «decreto
Semplificazioni» (decreto-legge n. 5 del 2012). Uno di questi riguarda l'IMU e la proposta di una sua riduzione ulteriore del 50 per cento in caso di figlio disabile grave non autosufficiente. L'ordine del giorno ha ottenuto il consenso di una larghissima maggioranza e il Governo si è impegnato a «considerare la necessità di integrare le detrazioni ora previste dalla vigente normativa sull'IMU per la prima abitazione prevedendo, per gli anni 2012 e 2013 e con risorse a valere sul gettito spettante allo Stato, la riduzione del 50 per cento, e fino alla completa concorrenza, dell'imposta municipale sulla prima abitazione per ciascun figlio disabile grave non autosufficiente,
impegna il Governo:
a promuovere linee guida di intervento effettivo ed efficace in merito alle politiche sulla disabilità, che siano in grado di sviluppare una cultura volta al superamento reale e concreto delle problematiche dell'integrazione delle persone disabili;
ad attuare ogni utile iniziativa volta a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla soddisfazione di richieste legittime da parte delle associazioni dei disabili italiani e in particolare dall'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, tenuto conto che i loro diritti sono chiaramente garantiti dalla Costituzione repubblicana e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità;
a vigilare perché le risorse disponibili per la disabilità non vengano mai ridotte, anche in tempi di crisi, cercando di recuperare da altre fonti le risorse necessarie per il pieno inserimento delle persone con disabilità sia nella scuola che nel lavoro;
a garantire alle famiglie delle persone con disabilità una particolare attenzione che si concretizzi negli aiuti economici già previsti dalle leggi vigenti e opportunamente implementati a seconda delle necessità specifiche che le persone con disabilità presentano nelle varie fasi della loro vita;
a vigilare affinché vengano realmente applicate le agevolazioni e le deduzioni fiscali per l'acquisto della strumentazione tecnica ed informatica utilizzabile dai minorati della vista in genere e a promuovere ogni possibile iniziativa normativa atta ad istituire fondi a sostegno della ricerca nel campo dell'alta tecnologia e nei settori innovativi legati all'autonomia delle persone disabili.
(1-01012)
«Binetti, Nunzio Francesco Testa, De Poli, Delfino, Calgaro, Anna Teresa Formisano, D'Ippolito Vitale, Ciccanti, Compagnon, Dionisi, Volontè, Occhiuto, Tassone».
La Camera,
premesso che:
sono molte le località nel paese in cui è dislocato un colossale arsenale di armi belliche inutilizzate nel secondo conflitto mondiale e in alcuni casi anche nei recenti conflitti avvenuti nella ex Repubblica jugoslava;
l'arsenale chimico ha origini nel programma industriale di armamento creato dal regime fascista all'inizio degli anni trenta soltanto in minima parte utilizzato nelle spedizioni militari in Libia ed Etiopia, a cui deve aggiungersi un'ingentissima scorta di ulteriori ordigni trasferiti in Italia dagli Alleati durante il conflitto che alla fine delle ostilità belliche sono stati nascosti e dimenticati senza occuparsi della bonifica delle aree e delle discariche create per la realizzazione e lo smaltimento post-bellico;
ancora oggi non si riesce a stabilire con esattezza quante armi chimiche siano state prodotte in Italia tra il 1935 e il 1945. Il piano varato da Benito Mussolini all'inizio della guerra, come si evince dalla lettura del libro-inchiesta pubblicato dal giornalista de L'Espresso Gianluca Di Feo intitolato «Veleni di Stato», prevedeva la costruzione di 46 impianti per distillare 30.000 tonnellate di gas ogni anno. I documenti britannici analizzati nel suddetto libro - decine di file con rapporti segreti, relazioni diplomatiche, verbali di
riunioni del Governo, minute di interventi di Winston Churchill e altri atti riservati che riguardano un periodo dal 1923 al 1985 - sostengono che si possa trattare di una quantità «tra le 12.500 e le 23.500 tonnellate prodotte ogni anno»;
oltre alle località quali il lago di Vico, Molfetta, Colleferro, Ischia, Pesaro; Cattolica in cui la presenza dei residuati bellici e delle pericolosissime sostanze chimiche in essi contenute è certificata e censita dai numerosi studi e dalle indagini di natura batteriologica effettuate nel tempo sui siti, ci sarebbero invece ancora molteplici località da Nord a Sud da aggiungere alla lista dove sarebbe riscontrabile la presenza, interrata o inabissata, di ulteriori ordigni bellici;
dai dati in possesso derivanti dalle indagini effettuate dalle autorità competenti e denunciate dai vari comitati di cittadini e di associazioni creati nel tempo per denunciare il rischio derivante dal fenomeno è stata stimata la presenza di migliaia di ordigni sul versante centro meridionale Adriatico con punte di più di 10.000 ordigni solo nelle vicinanze del porto di Molfetta, 13.000 proiettili, ordigni chimici contenenti lewisite e fosgene e circa 400 barili contenenti iprite dislocati nel Golfo di Napoli, mentre sono più di 4000 gli ordini all'iprite e 84.000 tonnellate di testate all'arsenico presenti nei fondali marini antistanti Pesaro;
queste armi ancora oggi rappresentano un reale e consistente rischio per lo stato dei terreni e dei fondali marini dove giacciono e conseguentemente per la salute dei cittadini che vivono nelle aree adiacenti ai siti contaminati, in quanto essendo state progettate per essere invisibili, per portare morte e malattie incurabili, per resistere decenni mantengono ancora oggi i loro poteri velenosi, soprattutto quelle in cui è accertata la presenza di arsenico, sostanza altamente tossica e contaminante, che come è stato dimostrato da esami tossico-sanitari si è disperso nel suolo colpendo in particolare le acque del lago di Vico e larghi spazi di territorio del comune di Melegnano, nel Milanese, luoghi in cui sono sorti nel passato e sono stati insedianti i più grandi stabilimenti produttivi finalizzati alla produzione di materiale bellico;
recentemente è stato costituito un coordinamento nazionale per il monitoraggio e la bonifica dei siti contaminati che include i numerosi comitati di cittadini e le associazioni che si ritengono vittime innocenti dell'inquinamento derivante dallo smaltimento delle armi chimiche denunciando in particolare le armi chimiche, smaltite in modo legale, o illegale, nel Paese soprattutto subito dopo la fine del seconda guerra mondiale; il Comitato, inoltre, chiede inoltre un'approfondita campagna di individuazione di ulteriori aree di smaltimento non ancora precisamente individuate ma di cui si ha notizia certa negli archivi militari, e il monitoraggio sanitario e ambientale sui cittadini e sui loro territori;
molte sono le fabbriche che nel tempo, grazie al segreto di Stato, hanno scaricato i loro rifiuti nei fiumi, nei laghi, nei terreni, nelle riserve idriche e numerosi gli impianti mai bonificati che costituiscono veri e propri scheletri tossici disseminati nel Paese rappresentando un gravissimo pericolo per la salute potendo lentamente liberare i loro veleni;
con il nuovo codice dell'ordinamento militare, (decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66), la normativa riferita alle bonifiche dei campi minati e degli ordigni bellici (decreto legislativo luogotenenziale 12 aprile 1946, n. 320) è stata abrogata dall'articolo 2268 con la conseguenza che è sorta la necessità di individuare il soggetto istituzionale che deve eseguire le verifiche nei cantieri di lavoro ed effettuare gli interventi di bonifica degli ordigni bellici al fine di garantire l'incolumità dei lavoratori, la salute e la sicurezza pubblica,
impegna il Governo:
ad adottare iniziative volte a predisporre un piano organico che preveda l'assegnazione
di risorse sia umane che finanziarie finalizzato alla definizione di una mappatura completa di tutti i siti contaminati da ordigni bellici presenti nel territorio nazionale al fine di favorirle la più rapida ed efficace azione di bonifica delle aree contaminate colpite drammaticamente nel loro equilibrio ambientale al fine di preservare, inoltre, la salute pubblica delle popolazioni residenti;
a presentare al Parlamento una dettagliata relazione sullo stato reale dei lavori di bonifica sui siti contaminati e a svolgere un'azione finalizzata all'individuazione di ulteriori aree di smaltimento non ancora precisamente individuate ma di cui si ha notizia certa negli archivi militari, e il monitoraggio sanitario e ambientale sui cittadini e sui loro territori;
a predisporre un'accurata indagine epidemiologica sui territori esposti al rischio contaminazione per accertare le eventuali conseguenze e individuare i potenziali rischi per la popolazione;
a rimuovere il vincolo di area militare dai siti di bonifica in modo da favorirne il più veloce recupero e la messa in sicurezza.
(1-01013)«Libè, Rao, Galletti».
Risoluzione in Commissione:
La XIII Commissione,
premesso che:
la pesca del tonno è disciplinata da disposizioni comunitarie adottate sulla base delle raccomandazioni della Commissione internazionale per la conservazione dei tonni dell'Atlantico (ICCAT);
a partire dal 2011 la campagna di pesca del tonno rosso è stata regolata sulla base della nuova raccomandazione ICCAT n. 10-04 che ha modificato la precedente n. 08-05, istituendo, di fatto, un nuovo piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell'Atlantico Orientale e nel Mediterraneo a che tale raccomandazione è pienamente vincolante per tutti gli Stati membri ai sensi e per gli effetti dell'articolo 216, paragrafo 2 del trattato dell'Unione europea;
la raccomandazione ICCAT ha definito i princìpi generali per l'applicazione da parte degli Stati membri di un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso, stabilendo restrizioni all'attività di pesca ed una progressiva riduzione del totale ammissibile di catture allo scopo di assicurare la conservazione della specie ed uno sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche e che per il 2011 il totale ammissibile di catture assegnato all'Italia per la pesca del tonno è stato di 1.787,91 tonnellate;
il suddetto contingente nazionale è annualmente ripartito, con decreto del Ministro delle politiche agricole, tra i vari sistemi di pesca autorizzati e sulla base di tale decreto per il 2011 il 75,961 per cento (1.643,38 tonnellate) è destinato al sistema di circuizione, mentre il 12,461 per cento (142,06 tonnellate) è destinato alla pesca con il palancaro e solo il 7,830 per cento (89,03 tonnellate) alle tonnare fisse;
nel 2012 in sede di emanazione del decreto di ripartizione delle quote ai singoli impianti di pesca al sistema tonnare fisse fu aumentata la quota di cattura fino a 140 tonnellate;
per la stagione di pesca 2012 il Regolamento (UE) 17 gennaio 2012, n. 44/2012 ha mantenuto invariato il contingente assegnato all'Italia;
il decreto approvato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali il 3 aprile 2012 sancisce che il contingente per la campagna di pesca 2012 assegnato all'Italia è stato ripartito e in funzione di tale ripartizione alla Sardegna è stata riservata una quota pari al 6,7 per cento del totale: ovvero 120 tonnellate da dividere per i tre impianti sardi;
rispetto alla quota del 2011, pari a 140 tonnellate già insufficienti a fronte di quella dell'anno 2010 pari a 300 tonnellate,
il quantitativo assegnato dal decreto ministeriale rappresenta una condanna certa di chiusura delle tonnare del Sulcis, uniche nel Mediterraneo a praticare un sistema di pesca tradizionale, ecocompatibile che consente di raggiungere al meglio gli obiettivi previsti dalla raccomandazione ICCAT che tendono al ripopolamento naturale del tonno rosso;
l'applicazione del decreto ministeriale su richiamato avrebbe come conseguenza immediata la chiusura delle attività produttive localizzate in una delle aree della Sardegna più colpite dalla crisi economica e industriale, con l'inevitabile licenziamento di un centinaio di lavoratori e la cessazione definitiva dell'attività di trasformazione delle conserve di tonno che assicura impiego a decine di lavoratori e con un indotto che coinvolge nel territorio del Sulcis, centinaia di persone;
è doveroso considerare che le limitazioni imposte alla pesca del tonno in quella particolare zona della Sardegna, si sommano in negativo a quelle causate dalla presenza del poligono militare di Teulada e che sono compensate in minima parte per mezzo di indennizzi agli operatori locali per non esercitare la pesca, ovvero perché gli stessi siano privati del loro inviolabile diritto al lavoro;
il decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali è secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in netta contraddizione con le intenzioni manifestate dal Governo nello scorso mese di febbraio, allorché lo stesso Governo, a conclusione dell'incontro con i rappresentanti delle Istituzioni sarde, ha assunto impegni per la garanzia dei livelli occupazionali e per trovare soluzione alle numerose criticità della Sardegna;
sia il presidente della provincia Carbonia-lglesias che il presidente della regione Sardegna, considerata la gravità della situazione in cui versa il settore a seguito delle limitazioni imposte, hanno preannunciato avverso il decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, ricorso al TAR;
la gravità degli effetti derivanti dalla riproposizione delle ripartizione delle quote di cattura del tonno rosso, impone un preciso e doveroso approfondimento in sede di Consiglio di ministri al fine di pianificare una strategia di pesca che dia maggiori quote alla pesca del tonno rosso mediante tonnara fissa,
impegna il Governo:
ad adottare con urgenza i provvedimenti più opportuni perché sia modificato, preliminarmente, il decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali di ripartizione delle quote di pesca in misura tale da garantire alle tonnare sarde un quantitativo di pescato non inferiore alle 200 tonnellate, limite che rappresenta il quantitativo minimo per la sopravvivenza delle attività legate alla pesca del tonno in Sardegna;
ad intraprendere le necessarie iniziative affinché, anche in vista delle prossime assemblee ICCAT, l'Italia sia destinataria di un più corretto e adeguato quantitativo massimo di cattura del tonno rosso.
(7-00840)
«Oliverio, Fadda, Calvisi, Marrocu, Schirru».
...
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazione a risposta scritta:
DI GIUSEPPE. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
come ampiamente documentato da atti processuali, articoli di giornale, servizi televisivi (tra i quali si cita il servizio del programma Mediaset «Striscia La Notizia»
e l'inchiesta del programma Rai «Report»), il comune di Castelmauro (Campobasso) è oggetto di una particolare vicenda; da oltre 30 anni, infatti circa duemila fusti, contenenti materiali radioattivi, sono rimasti in una cantina, al numero civico 6 di via Palazzo nel cuore del centro abitato; le autorità competenti, gli amministratori, i tribunali, hanno intimato al fisico nucleare Quintino De Notariis, proprietario di quel deposito, di rimuovere a sue spese i bidoni stipati, ma per 25 anni il titolare del deposito si è rifiutato di ottemperare ai decreti e di attivarsi per lo smaltimento delle scorie;
secondo quanto noto, tra il 1980 e il 1987, il dottor Quintino De Notariis, tramite la sua ditta Canrc (Centro applicazioni nucleari, radiazioni e controlli, con sede a Termoli), ha stipato nella sua cantina un numero imprecisato di fusti che, secondo misurazioni scientifiche, emettevano radiazioni alfa e gamma da sorgenti come il cobalto 60, l'americio 241, il carbonio 14 e il fosforo 32;
da una prima ispezione risalente al 1984, fatta dal fisico nucleare Fortunato Pinelli, incaricato dall'allora Usl di Termoli, risultò che quanto stoccato nella citata cantina «erano rifiuti presi negli ospedali del Molise e in qualche altra struttura fuori regione»;
nel giugno del 1987 il dottor Ciro Candela, ispettore dell'Enea, che aveva effettuato un sopralluogo sia presso la sede del Canrc di Termoli che nel deposito di Castelmauro, dichiarava: «il Canrc ha effettuato trasporti di rifiuti radioattivi senza le autorizzazioni interministeriali necessarie, in quanto il De Notariis ha un'autorizzazione al trasporto occasionale, non sistematico; i fusti sono quattromila e sono accatastati e posti l'uno sull'altro tanto che ispezionarli è impossibile; non esistono nello scantinato sistemi di sicurezza né di controllo ambientale»;
dal 1995 il nuovo sindaco di Castelmauro, Tommaso Manes Gravina, subentrato a Giovanni De Notariis, fratello del fisico Quintino De Notariis, conferì mandato all'avvocato Nicola De Benedicti, al fine di liberare il paese da quei fusti. Conseguentemente Quintino De Notariis allontanò dal deposito solo 47 fusti dei 1.833 (dati ufficiali, forniti dal dottor De Notariis) presenti, ovvero quelli non radioattivi, ma tossico-nocivi soggetti ad altra legge e ad altro trattamento. Anche se, secondo il parere dell'ispettore dell'ENEA Mario Paganini Fioratti «tutti i rifiuti di origine ospedaliera sono contemporaneamente radioattivi e tossico-nocivi, perché sono materiali che hanno infezioni potenziali di origine biologica»;
nel 1995 il dottor De Cristofaro, fisico del Crr-Pmip, a seguito di un sopralluogo congiunto con la Digos di Campobasso, dichiarava «Durante l'ispezione è stata accertata l'esistenza di un locale completamente murato, stranamente non evidenziato nella più recente ispezione (luglio '95) dell'Anpa (Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente) di Roma. La natura dei fusti stoccati nel predetto locale risulta sconosciuta e probabilmente non dichiarata...»;
nel 1997 la regione Molise ha stanziato di 1 miliardo e 223 milioni di lire, per «recupero ambientale del Comune di Castelmauro attraverso lo smaltimento dei fusti con contenuto radioattivo». I fondi assegnati dalla giunta regionale alla comunità montana «Monte Mauro», della quale Castelmauro fa parte, non sono mai stati erogati, seppur previsti in delibera e pubblicati sul bollettino ufficiale della regione (in data 16 aprile 1997);
nel 2000 il Tar Molise emette un'ingiunzione a rimuovere tutti i fusti presenti nei locali di proprietà del dottor Quintino De Notariis;
nel 2002 anche l'Arpa Molise, a seguito di nuovi controlli, riscontra un «campo di radiazione, esterna al fabbricato in oggetto, superiore al limite previsto dalla normativa», tanto che la stessa regione Molise, presieduta da Michele Iorio, il 18 ottobre del 2002 emana un decreto intimando al dottor Quintino De Notariis, «a smaltire, nelle forme di legge, i fusti
tossico-nocivi o pericolosi in suo possesso nonché ad accollarsi tutte le spese, dirette e indirette, del trasferimento»;
il 1o agosto 2008, l'avvocato Giovanni De Notariis, a seguito del decesso del dottor Quintino De Notaris avvenuto il 27 novembre 2007, presenta un ricorso allo Stato italiano, intimando al Governo la rimozione dei duemila fusti radioattivi presenti nella famigerata cantina e in altri tre locali satelliti adiacenti, sottolineandone l'urgenza «essendo venuto a mancare il custode che con competenza e professionalità controllava il deposito». Ne consegue che il dottor Guido Bertolaso, capo pro tempore della protezione civile, nomina un commissario per il problema della cantina, riconoscendola gravità del caso;
nel gennaio 2010 ha avuto luogo la rimozione dei bidoni radioattivi e la bonifica della cantina del fisico nucleare Quintino De Notariis, ma, come si legge in una nota ufficiale della prefettura di Campobasso, «durante le operazioni è emersa la presenza di un locale, contenente 200 bidoni circa presumibilmente vuoti o contenenti rifiuti ospedalieri, che esulava dall'intervento previsto». La nota è relativa ad un locale murato adiacente la famigerata cantina, non riconducibile direttamente al fisico De Notariis, e di cui non si conosce l'identità dell'effettivo proprietario;
la scoperta del locale murato ha portato nuove e numerose proteste della popolazione, stremata da oltre trenta anni di ansie e giustificate paure, e delle associazioni di ecologisti consapevolmente allarmate, così che la prefettura di Campobasso ha chiesto alla presidenza del Consiglio come muoversi, senza ricevere, ad oggi, nessuna autorizzazione o disposizione. Inoltre, la prefettura di Campobasso aveva contestualmente interessato anche la regione Molise ed il comune di Castelmauro, ma ad oggi, non ha ricevuto alcuna risposta -:
se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto e quali interventi urgenti si intendano adottare per scongiurare ulteriori pericoli per la salute dei cittadini, dato che «tutti i rifiuti di origine ospedaliera sono contemporaneamente radioattivi e tossico-nocivi»;
quali iniziative si intendano intraprendere per valutare il danno ambientale presumibilmente cagionato dalle sostanze radioattive, e per acclarare se vi siano eventuali responsabilità connesse;
se il Governo non ritenga utile istituire un tavolo tecnico convocando l'ANPA, l'ISPRA, l'Arpa Molise, la regione Molise ed il comune di Castelmauro.
(4-15734)
...
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la capacità fotovoltaica installata in Italia ha ormai raggiunto la soglia dei 13 mila megawatt, secondo i dati forniti in tempo reale dal Gestore dei servizi energetici, che la settimana scorsa indicava ben 338.656 impianti in esercizio, per una capacità complessiva di 12.970 megawatt complessivi. Di questi, ben 9 mila sono stati realizzati nel 2011, quando l'Italia è diventata il primo mercato mondiale del solare per l'installato annuale, ponendosi in classifica davanti anche la Germania. Al tempo stesso, è salito il costo degli incentivi al fotovoltaico, che ormai ha superato i 5,6 miliardi di euro all'anno. Ora la domanda chiave che si pongono gli operatori è quando verrà raggiunto il limite di spesa. L'attuale sistema incentivante, si ricorda infatti, nasce con due scadenze: una temporale, al 31 dicembre 2016, e una
di obiettivi, che si pone un tetto di 23 gigawatt e uno di spesa annua in incentivi «tra i 6 e 7 miliardi di euro»;
nel corso di un convegno, si è parlato di «un quinto conto energia» che «darà la priorità al fotovoltaico destinato all'autoconsumo civile e industriale». Dal Ministero dello sviluppo economico sembrano arrivare notizie secondo cui si adotteranno tagli agli incentivi per le fonti pulite, che peseranno fino a 200 miliardi di euro su famiglie e imprese, su un lasso temporale di 20 anni. Gli operatori, da parte loro, chiedono a gran voce di porre fine alle instabilità normative, che negli ultimi anni hanno tormentato il settore con sei diverse versioni delle politiche di sostegno. Valerio Natalizia, presidente Gifi-Anie, ha definito le continue variazioni «un fattore di forte squilibrio per il mercato». Ma quello italiano non è l'unico sistema incentivante ancora non ben definito. Il Bundestag tedesco ha appena approvato una proposta di legge sulla rimodulazione del conto energia presentata dal governo, introducendo una riduzione del 20-30 per cento gli incentivi. Nonostante il drastico taglio, il 2012 sarà per il fotovoltaico tedesco un ennesimo anno record, con nuova capacità installata per 8 mila megawatt, secondo la Confindustria tedesca, il cui direttore generale, Martin Wansleben, ha spiegato che «il prezzo dei pannelli solari è sceso nel solo 2011 di circa il 40 per cento e scenderà ancora quest'anno grazie ai nuovi processi produttivi e all'inasprirsi della concorrenza». Dunque, ha detto Wansleben in una nota, «ci possiamo aspettare buoni ritorni economici dagli impianti solari nonostante la riduzione degli incentivi». Nel Regno Unito, dal 1o aprile 2012, la tariffa in conto energia per gli impianti al di sotto dei 4 kilowatt è praticamente dimezzata e scenderà ulteriormente fra circa tre mesi a seconda della potenza avviata nel periodo, con ricadute proporzionali alla dimensione degli impianti;
malgrado il ridimensionamento degli incentivi, i sistemi di sfruttamento dell'energia solare continuano ad essere sempre più utilizzati. In base al rapporto Clean energy trends 2012 della società specializzata Clean Edge, il fatturato mondiale delle tre principali fonti rinnovabili - fotovoltaico, eolico e biocarburanti - è salito del 31 per cento del 2011 rispetto al 2010, fino a 246 miliardi di dollari. In dettaglio, il mercato fotovoltaico è salito dai 71,2 miliardi di dollari del 2010 ai 91,6 miliardi nel 2011 (+28,6 per cento), grazie a un installato aumentato del 69 per cento fino 26 gigawatt complessivi. Oltre a Italia e Germania, il boom del settore, che proseguirà nei prossimi anni arrivando a un fatturato di 130,5 miliardi nel 2021, è dovuto secondo Clean Edge alla contrazione del prezzo dei moduli (-40 per cento degli ultimi due anni), destinata peraltro a proseguire: nel 2021, il costo del kilowattora fotovoltaico sarà pari a un terzo dell'attuale. I dati appena diffusi da Npd Solarbuzz sono persino migliori di quelli di Clean Edge, considerando che il centro studi californiano indica 27,4 gigawatt installati nel 2011, per un giro d'affari di 93 miliardi dollari, nonostante il calo del 28 per cento sul prezzo dei moduli, che quest'anno è destinato a ridursi di un ulteriore 29 per cento, il che dovrebbe portare a dimezzare il costo del kilowattora fotovoltaico nel giro di 5 anni -:
se i Ministri intendano adottare iniziative normative che regolarizzino il flusso di incentivi statali per l'utilizzo del sistema energetico fotovoltaico, sia da parte di privati, che delle imprese.
(4-15722)
JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
in media ogni italiano smaltisce nella raccolta differenziata 24 chili di vetro all'anno. Con punte d'eccellenza che sfiorano i 50 chili in Sardegna, sino a una flessione da maglia nera in Calabria, con 4 chili a testa. Molte le regioni virtuose: Trentino, Val d'Aosta, Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Friuli vanno da 49,4 chili a 31,3. Ma tante quelle che non raggiungono ancora gli standard attesi, come ad esempio, Sicilia, Basilicata, Puglia, Molise, Toscana, Abruzzo, Lazio.
«Tutto dipende dai Comuni: i cittadini sono bravissimi, l'82 per cento si impegnano nella raccolta del vetro, che cresce anno dopo anno del 2 per cento», spiega Gianpaolo Caccini, presidente del CoReVe (Consorzio recupero vetro). Ma la scelta della strada da seguire spetta alle amministrazioni: migliore è la raccolta, più soldi incassano. Il metodo che consente meno sprechi è quello monomateriale, nelle campane stradali, che produce solo il 4 per cento di scarto, continua Caccini «regioni come la Toscana, che aveva attuato un sistema di raccolta multimateriale, cioè vetro, plastica e lattine insieme, e poi separava con uno spreco di 35 chili su ogni 100 di vetro raccolti, ha cambiato rotta per passare, entro cinque anni, alla raccolta monomateriale: così fanno le amministrazioni che capiscono l'importanza del riciclo»;
per quanto attiene la cosiddetta «raccolta porta a porta» Caccini sottolinea: «Se si tratta di raccolta di solo vetro, non è che non funzioni, ma ha uno scarto maggiore rispetto alle campane stradali: se ne va, sotto forma di scarto il 10 per cento. La campana stradale è il metodo migliore». Lavorando con 6 mila Comuni, il CoReVe ha portato la percentuale di riciclo dal 66 al 68 per cento, otto punti percentuali in più rispetto alla soglia fissata dalle normative. Il totale dei rifiuti da imballaggio in vetro riciclati nel 2010 è stato di 1.471.000 tonnellate, delle quali eccetto 30 mila sono state impiegate in vetreria per la produzione di nuovi contenitori. Ma il riciclo totale di vetro ammonta complessivamente a 1.938.000 tonnellate e comprende, oltre al vetro da imballaggio, anche quello da edilizia;
nel 2010 il tasso di scarto è diminuito il vetro da raccolta differenziata viene riciclato per il 68,3 per cento all'infinito, senza decadimento qualitativo e senza aggiunta di materie prime vergini. Tecniche innovative (insieme alle campagne di sensibilizzazione sulla raccolta qualitativa) stanno contribuendo a diminuire ulteriormente lo scarto. L'impasto Pa.Di.Ve.R (è un impasto unico in grado di far recuperare e riutilizzare, a secco, fino all'ultima scheggia anche il vetro di scarto messo a punto da EcoTecnoMat - università di Reggio Emilia e Modena) è in grado di recuperare e riutilizzare (nei settori ceramiche, laterizi, edilizia) tutte le tipologie di rifiuti di vetro, e per il CoReVe sarà forse possibile riciclare il 100 per cento del materiale, compresi gli scarti che, fino a oggi, erano destinati per ragioni qualitative allo smaltimento in discarica. Pertanto, mentre vengono messe a punto avanzatissime tecnologie in grado di salvare anche l'ultima briciola e la polvere del nostro vasetto di marmellata, ci sono alcune regole, proprio inderogabili, da seguire sempre quando si elimina il vetro: né pirofile in pirex (vetroceramica), né tazzine, piatti e piattini contenenti vetro. A causa delle diverse temperature di fusione, è sufficiente un solo frammento di questi materiali mescolati al rottame di vetro, per vanificare in forno il processo di riciclo, dando origine a contenitori destinati a rompersi. Lo stesso vale per il cristallo: bicchieri e bottiglie contengono un'elevata quantità di metalli pesanti, come il piombo, che non devono contaminare il processo di riciclo del vetro;
il vetro, ritirato dagli automezzi, va all'impianto di trattamento, dove viene selezionato, pulito e reso idoneo alla fusione dopo una serie di passaggi alternati tra macchinari specifici e operazioni di cernita manuale dove le elettrocalamite rimuovono i corpi metallici, processi di aspirazione allontanano i corpi leggeri come la carta, mentre all'occhio umano è affidata l'eliminazione della ceramica e di altri corpi estranei. Una volta trattato e selezionato, «pronto al forno» come si dice, è trasportato alla vetreria, come materia prima seconda. Dopo la fase di fusione è soffiato negli stampi e trasformato in nuovi contenitori. Un passaggio nel forno di ricottura, il controllo qualitativo, e poi il prodotto finito viene confezionato e venduto alle aziende che lo immettono nuovamente sul mercato. Al momento i passaggi sono questi. Ma in futuro, sull'esempio della Germania e anche di Verona dove è in atto una sperimentazione,
la raccolta del vetro potrebbe cambiare. «Il sistema più innovativo, appunto quello che stanno sperimentando a Verona, è la raccolta differenziata con separazione del vetro incolore da quello colorato», conclude Caccini. «Questa modalità di raccolta rende possibile un incremento della quantità di vetro riciclato e introduce un elemento di ulteriore efficienza nel ciclo produttivo: i produttori domandano vetro chiaro per il vino bianco e per l'acqua, e per questo è importante separare. L'evoluzione tecnologica, con i selettori ottici in grado di fare una cernita cromatica, e dunque smistare il vetro colorato da quello bianco, ci dà una mano all'interno degli impianti di trattamento» -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di innovare e migliorare il ciclo di recupero del vetro usato.
(4-15726)
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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere - premesso che:
la Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini è la più antica biblioteca di Napoli, un'istituzione culturale statale con un'importantissima dotazione libraria; è stata aperta al pubblico nel 1586, è specializzata in filosofia e teologia cristiana, ed è parte del complesso della chiesa dei Girolamini;
l'edificio che la ospita fu ridisegnato nel Settecento; il suo status attuale di biblioteca statale è lo stesso fin dal Cinquecento, quando fu destinata alla frequentazione e consultazione pubblica; è nota, tra l'altro, per essere stata assiduamente frequentata da Giambattista Vico, le cui spoglie riposano nell'attigua chiesa;
biblioteca custodisce circa 159mila titoli, prevalentemente antichi, tra cui 120 incunaboli, 5.000 cinquecentine, numerosi manoscritti, di cui circa 6.500 riguardanti composizioni e opere musicali dal XVI al XIX secolo;
il patrimonio comprende anche il ricchissimo fondo librario della collezione privata di Giuseppe Valletta (18.000 volumi circa, con edizioni rare del XVI e XVII: classici della letteratura greca e latina, storia e filosofia), un'acquisizione che i padri oratoriani portarono a termine proprio su consiglio di Giambattista Vico; altri fondi librari pregevoli conservati al suo interno sono il Fondo Agostino Gervasio, il Fondo Filippino e il Fondo Valeri;
il terremoto del 1980 determinò l'utilizzo di locali come ricovero per sfollati; da allora è iniziata un'epoca di abbandono; l'istituzione versa attualmente in stato di grave degrado, così come denunciato più volte dagli organi di stampa e dagli operatori culturali;
secondo una stima approssimativa, con varie denunce di giornali e studiosi, tra il 1960 e il 2007 sarebbero spariti dalla biblioteca migliaia di volumi; più di recente, l'attuale direttore della biblioteca. Marino Massimo De Caro, ha denunciato la scomparsa di 1500 volumi;
nei giorni scorsi, sul quotidiano Il Fatto è comparso un articolo dello studioso Tomaso Montanari, che denunciava di aver visitato la Biblioteca dei Girolamini, oggi chiusa al pubblico per necessità di riordino, e di averla trovata in condizioni di totale abbandono: disordine, polvere, libri antichi e preziosi accatastati;
dall'articolo è scaturita una petizione indirizzata al Ministro per i beni e le attività culturali, e firmata da duemila di illustri esponenti del mondo della cultura (tra loro il premio Nobel Dario Fo, Carlo Ginzburg, Salvatore Settis, Tullio Gregory, Gustavo Zagrebelsky, Gioacchino Lanza Tomasi, Adriano La Regina, Gian Giacomo Migone, Alessandra Mottola Molfino, Lamberto Maffei, Dacia Maraini, Stefano Parise,
Stefano Rodotà, Rosario Villari), con cui si denuncia «lo stranissimo e increscioso affare che riguarda l'attuale direzione della Biblioteca Nazionale dei Girolamini a Napoli» chiedendo «come sia possibile che la direzione dei Girolamini sia stata affidata a un uomo (Marino Massimo De Caro) che non ha i benché minimi titoli scientifici e la benché minima competenza professionale per onorare quel ruolo»;
nella petizione, si fa esplicito riferimento anche ad altri aspetti del profilo personale e professionale dell'attuale direttore De Caro, considerato dai firmatari del documento «del tutto estraneo al mondo della biblioteconomia e della funzione pubblica, con curiose implicazioni con i libri, che lo portano tuttavia nel mondo del commercio»; e si chiede di «riconsiderare con molta attenzione la scelta di De Caro come direttore dei Gerolamini, e di creare una commissione pubblica d'inchiesta sull'amministrazione passata e recente di questa biblioteca, prima che la memoria storica dei Gerolamini rimanga affidata soltanto a una maestosa architettura ferita e umiliata, tragicamente solitaria nel cuore di una rete mondiale di traffici rapaci»;
anche il Corriere della Sera, con un articolo di Gian Antonio Stella, è tornato sul tema, associandosi alla denuncia del docente Tomaso Montanari; Stella, si chiede come sia possibile che a dirigere uno dei santuari della cultura italiana sia uno dei mediatori nell'affare del petrolio venezuelano, titolare di una libreria antiquaria a Verona, e socio della libreria antiquaria Buenos Aires (la «Imago Mundi») di Daniel Guido Pastore, coinvolto in Spagna in una inchiesta su una serie di furti alla Biblioteca Nazionale di Madrid e alla Biblioteca di Saragozza;
l'articolo del Corriere della Sera denuncia anche che il direttore De Caro, diversamente da quanto da lui dichiarato, non risulta laureato presso l'università di Siena, dove «si iscrisse a Giurisprudenza nel 1992-1993, restando iscritto fino al 2002», senza terminare gli studi; allo stesso modo il direttore De Caro, secondo la denuncia del giornalista Stella, non risulterebbe essere mai stato docente all'università di Verona, come avrebbe invece dichiarato -:
come intenda intervenire per garantire e tutelare l'immenso patrimonio storico e culturale della Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini di Napoli, attualmente in condizioni di intollerabile degrado;
se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa sulla denuncia di alcuni importanti giornali italiani rispetto alle condizioni di degrado della Biblioteca e rispetto alla presunta inadeguatezza del direttore De Caro, se esista una stima dei danni e dei furti subiti negli anni dalla Biblioteca, con la conseguente scomparsa di antichi e pregiatissimi libri; quali siano le ragioni che lo ho spinto a dare fiducia al sopra menzionato De Caro per un ruolo di così grande importanza;
se e come intenda rispondere all'appello degli studiosi italiani rispetto alla necessità di una guida più autorevole e di un progetto di tutela della biblioteca.
(2-01455)
«Bossa, Andrea Orlando, Lenzi, Sarubbi, Gozi, Amici, De Biasi, Pes, Madia, Murer, Gatti, Albini, Cenni, Zaccaria, Sereni, Vaccaro, Piccolo, De Micheli, Bachelet, Coscia, Picierno, Rossa, Zampa, Lo Moro, Codurelli, Giulietti, Ginefra, Marini, Colombo, Concia, Mario Pepe (PD), Giorgio Merlo, Nannicini, Strizzolo, De Torre, Servodio, Lulli, Ciriello, Mazzarella, Cuomo, Iannuzzi, Farina Coscioni, Capano, D'Antona, De Pasquale, Miotto, Levi, La Forgia, Oliverio, Rampi, Tempestini, Boffa, Bonavitacola».
Interrogazioni a risposta in Commissione:
GIULIETTI, MORASSUT e COSCIA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
da tempo si parla di una ristrutturazione-riorganizzazione del Museo storico della liberazione situato in Via Tasso a Roma;
di recente anche ai più alti livelli istituzionali è stata segnalata la necessità di un rapido e tempestivo intervento per consentirne un pieno ed effettivo utilizzo da parte della comunità nazionale;
l'attuale situazione rende invece sempre più difficoltosa la sopravvivenza di questo vero e proprio museo della memoria -:
in quale modo il Governo intenda corrispondere a queste esigenze e quali siano i tempi previsti per gli annunciati e mai realizzati interventi.
(5-06610)
DI BIAGIO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
Massimo Marino de Caro figura tra i collaboratori del Ministero per i beni e le attività culturali come titolare di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa dal 13 aprile al 30 aprile 2011, per una consulenza tecnica «di natura discrezionale», finalizzata ad una «attività di mediazione immobiliare», come risulta dagli elenchi degli incarichi e dei consulenti sul sito del Ministero per i beni e le attività culturali; degli incarichi eventualmente assegnati a Massimo Marino de Caro nel secondo semestre 2011 non esiste riscontro perché il sito del Ministero per i beni e le attività culturali, a questa data, non riporta ancora la documentazione dei contratti di collaborazione esterna stipulati dal luglio al dicembre 2011;
risulta comunque che a Massimo Marino de Caro sia stato assegnato un contratto annuale come consulente personale del Ministro per i beni e le attività culturali, con decorrenza 15 dicembre 2011;
Massimo Marino de Caro risulta altresì essere stato nominato dalla Congregazione oratoriana alla direzione della biblioteca pubblica statale del monumento nazionale dei Girolamini di Napoli, che dipende dal Ministero dei beni e delle attività culturali e che conserva un preziosissimo fondo di libri e manoscritti antichi di oltre 150.000 volumi, gravemente depauperato nel recente passato da furti e sparizioni;
Massimo Marino de Caro è stato titolare di una libreria antiquaria a Verona e risulta anche in tempi recenti molto attivo nel commercio di libri antichi e rari (Il Fatto Quotidiano il 19 agosto 2011;
Massimo Marino de Caro, come è evidente dal suo curriculum vitae pubblicato sul sito del Ministero per i beni e le attività culturali, non ha il benché minimo titolo di studio o scientifico adeguato a rivestire l'incarico di direttore di un così prestigioso istituto librario, avendo ricoperto solo cariche del tutto estranee al modo dei beni culturali e non possedendo nessun elemento di formazione umanistica e tanto meno di esperienza bibliotecaria e biblioteconomica; risulta altresì poco comprensibile, per le stesse ragioni, quali consulenze De Caro possa fornire al Ministro, che giustifichino il contratto stipulato con il Ministero nel dicembre 2011;
sulla questione della direzione della biblioteca nazionale dei Girolamini di Napoli è stata diffusa da pochi giorni una petizione indirizzata al Ministro per i beni e le attività culturali, sottoscritta da oltre 1.000 studiosi di chiara fama, nazionali e internazionali, e 500 studenti e altri cittadini -:
in base a quale titolo di studio o esperienza e produzione scientifica Massimo Marino de Caro ricopra l'incarico di direttore della biblioteca pubblica statale del monumento nazionale dei Girolamini
di Napoli e chi e in quale data abbia dato l'avallo del Ministero alla suddetta nomina;
a che fini e su quali presupposti il Ministro abbia nominato Massimo Marino de Caro suo consulente personale nel dicembre del 2011;
se, anche al di là di ogni considerazione circa i titoli per ricoprire l'incarico di direttore di una biblioteca pubblica statale, non esista un evidente conflitto di interessi tra l'attività commerciale di Massimo Marino de Caro e il suo attuale ruolo in un istituto di conservazione del patrimonio culturale italiano.
(5-06613)
TESTO AGGIORNATO AL 19 APRILE 2012
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ECONOMIA E FINANZE
Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
l'articolo 36 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, vieta ai titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo ed ai funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari, di «assumere o esercitare analoghe cariche (ad eccezione delle cariche infra-gruppo) in imprese o gruppi di imprese concorrenti»;
il comma 2-bis dell'articolo 36 impone a coloro che si trovino in una situazione di incompatibilità di «optare» per una carica nel termine di 90 giorni dalla nomina. Decorso inutilmente tale termine, i titolari decadono «da entrambe le cariche e la decadenza è dichiarata dagli organi competenti degli organismi interessati nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine o alla conoscenza dell'inosservanza del divieto. In caso di inerzia, la decadenza è dichiarata dall'Autorità di vigilanza competente»;
in sede di prima applicazione, il termine per esercitare l'opzione scadrà il 26 aprile 2012;
approssimandosi tale scadenza molte società rientranti nel perimetro di applicazione della norma saranno chiamate a procedere al rinnovo delle cariche che si renderanno eventualmente vacanti a causa della sopravvenuta incompatibilità introdotta con il citato decreto-legge;
tale disposizione, introdotta nel nostro ordinamento al fine di disciplinare il fenomeno delle partecipazioni personali incrociate nei mercati del credito, assicurativi e finanziari, pur chiara negli obiettivi, è lacunosa sotto vari aspetti soprattutto, in termini sia dei destinatari del divieto sia delle condotte a questi richieste per uniformarsi al dettato normativo;
le stesse autorità di vigilanza (Banca d'Italia, Consob e Isvap), chiamate a dichiarare la decadenza e ad assumere un ruolo suppletivo qualora non vi provveda il singolo esponente o il relativo consiglio di amministrazione, non risulta siano state investite di delega normativa per emanare disposizioni regolamentari di attuazione;
deve ritenersi responsabilità degli organi legislativi e segnatamente del Governo, dalla cui iniziativa trae origine la norma in questione, quello di fornire indicazioni utili agli intermediari interessati e agli esponenti degli organi di questi per valutare e adottare il comportamento giuridicamente e professionalmente più corretto -:
quali provvedimenti il Governo intenda adottare per fornire chiarezza in ordine alle diverse criticità sollevate dalla norma e non dar luogo a dimissioni arbitrarie in quanto espressione di obblighi normativi poco chiari tanto sul piano dei contenuti quanto su quello delle eventuali conseguenze, anche sanzionatorie.
(2-01452)
«Pezzotta, Galletti, Strizzolo».
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
il territorio del comune di Margherita di Savoia (B.A.T), delimitato dal mare e dalla salina, ha una estensione di circa 3.650 ettari a fronte dei 3.900 circa occupati dalla Salina;
la presenza della salina ha rappresentato per il comune di Margherita di Savoia, dunque, un ostacolo naturale sia allo sviluppo industriale ed occupazionale che a quello dell'urbanizzazione generale del territorio, generando condizioni di salubrità ambientale e di circolazione che hanno impedito o scarsamente incentivato l'insediamento di attività industriali;
nel corso degli anni il comune ha emanato numerosi decreti di occupazione d'urgenza riferiti al territorio della ex salina di Stato, ritenuti «indifferibili, urgenti e necessari» in quanto destinati ad uso di pubblica utilità;
una parte di detti suoli fu destinata alla «edilizia economica e popolare», per la realizzazione di alloggi necessari per una popolazione in aumento ed un'altra parte alla realizzazione di opere di urbanizzazione (strade, fogne, acqua, opere sanitarie e altro);
le aree occupate, insistenti a ridosso del centro abitato, riguardavano bacini ritenuti non più idonei alla produzione del sale e dichiarati, pertanto, fuori produzione, in stato di abbandono e suscettibili di arrecare grave pregiudizio alla salute pubblica per la carenza di controlli igienici e per il fatto che molti erano divenuti depositi abusivi di rifiuti;
i citati decreti non sono stati definitivamente perfezionati ai fini amministrativi e fiscali e di notorietà immobiliare presso i competenti uffici territoriali;
l'articolo 2-quinquies del decreto-legge n. 392 del 2000 convertito dalla legge 28 febbraio 2001, n. 26 prevede che : «I beni immobili compresi nelle saline già in uso all'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e all'Ente tabacchi italiani, non più necessari, in tutto o in parte, alla produzione del sale, costituiscono aree prioritarie di reperimento di riserve naturali ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394, recante la disciplina delle aree protette. I provvedimenti istitutivi delle aree protette e gli atti di concessione concernenti beni compresi nei predetti territori sono emanati di concerto con il Ministro delle finanze. Tali concessioni possono essere rilasciate, anche a titolo gratuito a favore delle regioni o degli enti locali nel cui territorio ricadono i predetti beni. I beni immobili di cui al presente comma, in quanto non destinabili a riserva naturale, sono trasferiti, a titolo gratuito, con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente, ai comuni sul cui territorio i medesimi insistono»;
il comune di Margherita di Savoia con nota del 2 aprile 2001 richiedeva al Ministero delle finanze, amministrazione autonoma dei monopoli di Stato l'acquisizione dei beni immobili compresi nelle saline in esecuzione del suddetto decreto-legge;
il Ministero delle finanze amministrazione autonoma dei monopoli di Stato con nota del 15 giugno 2001 protocollo n. 5/71107/PA comunicava al comune che la suddetta richiesta era oggetto di valutazione da parte della stessa amministrazione;
l'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 recante Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, dispone che: «1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni» .... (Omissis); 6. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, nei casi previsti nei precedenti commi il risarcimento del danno .... (Omissis);
la sentenza 8 ottobre 2010 n. 293 della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del suddetto articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001;
l'Agenzia del demanio con decreto direttiva n. 46181 del 1° dicembre 2003 procedeva all'individuazione dei beni immobili ritenuti dall'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato non strumentali alla propria attività tra cui le aree sopra richiamate oggetto dei decreti di occupazione d'urgenza;
a seguito dell'istituzione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, il demanio cedeva in piena proprietà al direttore della regia salina di Margherita di Savoia, in qualità di rappresentante dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, una lunga serie di immobili tra i quali erano ricompresi anche quelli espropriati dal comune per la realizzazione di opere pubbliche e di costruzioni di alloggi economici e popolari;
successivamente all'istituzione dell'Ente nazionale tabacchi, parte delle aree vennero trasferite al nuovo ente mentre quelle non trasferite all'ETI rimanevano nella disponibilità giuridica dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
il Ministero dell'economia e delle finanze Amministrazione autonoma di monopoli di Stato tramite l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari nel 2005 presentava al Tar Puglia n. 8 ricorsi per l'accertamento della responsabilità civile del comune per i suddetti decreti di occupazione ed urgenza. Però ad oggi non è stata fissata alcuna udienza;
il comune di Margherita di Savoia con delibera di consiglio comunale n. 66 del 12 dicembre 2006 acquisiva gratuitamente al patrimonio comunale gli appezzamenti di terreno già di proprietà dell'Amministrazione di monopoli di Stato, ossia quelli oggetto dei decreti di occupazione d'urgenza sopra richiamati e in data 1° febbraio 2007 notificava agli enti interessati la deliberazione avente ad oggetto l'acquisizione delle aree di proprietà ex salina di Stato e destinati al patrimonio comunale;
con determinazione n. 359 del 19 maggio 2009 lo stesso comune provvedeva, in esecuzione della delibera di consiglio comunale n. 66 del 2006, ad acquisire definitivamente al patrimonio di questo comune le aree di cui sopra ed a trascrivere la stessa determina alla conservatoria previa registrazione presso la competente Agenzia delle entrate;
gli immobili di un ente pubblico, anche se destinati ad un pubblico servizio e quindi sottoposti al regime proprio del patrimonio indisponibile, possono formare oggetto di atti espropriativi per il conseguimento di un fine, di un interesse generale e, una volta venuta meno la destinazione del bene allo svolgimento del pubblico servizio, esso perde la sua «indisponibilità»;
dal combinato disposto delle norme di cui sopra deriva secondo l'interrogante la conferma della titolarità del comune di Margherita di Savoia ad acquisire a titolo gratuito le aree citate già di proprietà dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
l'Avvocatura dello Stato con note protocollo n. 64120 e 64121 del 27 dicembre 2010, acquisite al protocollo n. 172 e 175 del 5 gennaio 2011 richiedeva al comune per conto dei Monopoli di Stato 1.150.000,00 euro ed 20.000,00 euro a titolo di risarcimento danni derivante dall'occupazione illegittima in relazione ai decreti di occupazione d'urgenza di cui sopra;
da qualche anno si va nella direzione del federalismo (demaniale e fiscale) che prevede anche il trasferimento agli enti territoriali dei beni statali secondo criteri di sussidiarietà, adeguatezza, territorialità, semplificazione e correlazione con competenze al fine di procedere ad una valorizzazione funzionale del bene nell'interesse della collettività rappresentata;
a seguito dell'acquisto da parte del comune della proprietà delle predette aree per la realizzazione di pubblica utilità e non esiste più l'obbligo di provvedere al risarcimento del danno arrecato all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, a seguito dell'illegittimità dichiarata dalla Corte costituzionale dell'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001 -:
se non ritenga di procedere al trasferimento al patrimonio del comune di Margherita di Savoia a titolo gratuito e di diritto tutte le aree ex Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato oggetto dei decreti di occupazione d'urgenza, senza alcun onere aggiuntivo diretto ed indiretto a carico dello stesso comune, così superando tutto il contenzioso insorto tra il suddetto comune e l'Amministrazione dei monopoli di Stato.
(2-01453)
«Carlucci, Galletti».
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'Agenzia delle entrate ha da poco reso noto i numeri relativi alla lotta all'evasione: nel 2011 sono stati incassati 12,7 miliardi, +15,5 per cento rispetto al 2010. È quanto emerge dal rapporto sui risultati del 2011 e le prospettive per il 2012, presentati nei giorni scorsi. Il direttore centrale accertamento, Luigi Magistro, ha spiegato che «il risultato è il frutto della strategia da tempo messa in campo dall'Agenzia, che si basa su controlli sempre più mirati grazie ad analisi del rischio di evasione molto approfondite. Infatti - ha spiegato - a fronte di una diminuzione (-1,2 per cento) del numero di accertamenti, che passano dai quasi 706 mila del 2010 ai circa 697 mila del 2011, la maggiore imposta accertata è cresciuta del 9,3 per cento, superando la quota di 30,4 miliardi contro i 27,8 registrati nel 2010». L'agenzia ha anche annunciato che gli accertamenti in «stile Cortina» continueranno. «Rientrano nella nostra attività ordinaria e proseguiranno» ha confermato il dottor Befera sottolineando che «si tratta di operazioni che vengono messe in campo dopo una selezione accurata. Non controlliamo chi passa per caso». Nel dettaglio, dal tesoretto di 12,7 miliardi di euro incassati dal recupero dell'evasione, i versamenti diretti ammontano complessivamente a 8,2 miliardi (erano 6,6 nel 2010), mentre il riscosso da ruoli a 4,5 miliardi. Le somme incassate direttamente dall'attività di accertamento e di liquidazione delle dichiarazioni sono dunque aumentate del 24,2 per cento rispetto all'anno precedente. Un incremento che ha interessato trasversalmente tutte le tipologie di contribuenti: dai big, che hanno contribuito a questo risultato per il 31 per cento, alle imprese di piccole dimensioni e i lavoratori autonomi (25 per cento), passando per le persone fisiche (27 per cento). In lieve crescita anche il riscosso da ruoli (+2,3 per cento) che si attesta appunto a 4,5 miliardi di euro;
«Contiamo nel 2012 di avere ulteriori risultati positivi - ha aggiunto Befera - ma contiamo anche su una migliore tax compliance e, quindi, su un miglioramento in sede di dichiarazione dei redditi. Credo che un po' stia cambiando il modo di vedere l'evasione fiscale in Italia, gli evasori stanno riflettendo se davvero vale la pena. E poi - ha precisato il direttore - a fronte di una diminuzione del numero dei controlli è aumentato il risultato, questo vuol dire che disturbiamo meno i contribuenti onesti». Sulla Svizzera e l'ipotesi di cancellarla dalla black list dei Paesi a fiscalità privilegiata l'Agenzia ha spiegato che «non ci sono i presupposti» aggiungendo che «sul fronte del concordato fiscale con la Svizzera, l'Italia si muove in ambito Ocse. Ci sono fondi italiani in Svizzera non particolarmente candidi e ce ne sono parecchi». Occorre procedere sul campo della «trasparenza» e dello «scambio di informazioni»;
ci sono novità imminenti per il redditometro, lo strumento usato dal fisco per scovare l'evasione incrociando i dati disponibili. L'Agenzia ha assicurato di essere «al collaudo finale» del nuovo modello.
«Sarà pronto - ha assicurato Befera - prima delle dichiarazioni di giugno». Mentre l'Agenzia delle entrate presentava i risultati 2011, l'Eurispes diffondeva un rapporto sull'economia «in nero»: l'economia sommersa vale in Italia 540 miliardi di euro, pari a circa il 35 per cento del prodotto interno lordo ufficiale (il prodotto interno lordo di Finlandia, Portogallo, Romania e Ungheria messi insieme). Secondo le rilevazioni, il 53 per cento dell'economia non osservata è rappresentato dal lavoro sommerso, il 29,5 per cento proprio dall'evasione fiscale a opera di aziende e imprese ed il 17,6 per cento dalla cosiddetta economia informale. Per l'Eurispes, oltre agli evasori di professione che occultano al fisco la maggior parte dei loro proventi o che nascondono i loro patrimoni nei cosiddetti paradisi fiscali (550 miliardi su 7.300 miliardi stimati sarebbero riconducibili a cittadini italiani), l'economia sommersa coinvolge anche tanti cittadini comuni che lavorano in nero, magari come secondo lavoro, o che utilizzano l'evasione fiscale come una sorta di ammortizzatore sociale -:
quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di continuare l'operazione di contrasto all'evasione fiscale;
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di destinare il denaro recuperato ad opere di utilità sociale.
(4-15724)
NICOLUCCI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
le disposizioni di cui all'articolo 1, commi da 340 a 343, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, avevano istituito le zone franche urbane, individuate come strumento utile a stimolare e incentivare, attraverso una serie di agevolazioni molto utili e necessarie, le attività imprenditoriali nelle aree del Mezzogiorno ricche di potenzialità ma concretamente ancora prive di un reale e concreto sviluppo;
negli anni successivi, durante la fase iniziale della legislatura in corso, il Governo aveva individuato le 22 zone franche urbane e posto concretamente le basi perché si potessero applicare a questi territori le significative agevolazioni previste e consistenti in:
a) esenzione dalle imposte sui redditi per i primi cinque periodi di imposta. Per i periodi di imposta successivi, l'esenzione è limitata, per i primi cinque al 60 per cento, per il sesto e settimo al 40 per cento e per l'ottavo e nono al 20 per cento. L'esenzione di cui alla presente lettera spetta fino a concorrenza dell'importo di euro 100.000 del reddito derivante dall'attività svolta nella zona franca urbana, maggiorato, a decorrere dal periodo di imposta in corso al 1° gennaio 2009 e per ciascun periodo d'imposta, di un importo pari a euro 5.000, ragguagliato ad anno, per ogni nuovo assunto a tempo indeterminato, residente all'interno del sistema locale di lavoro in cui ricade la zona franca urbana;
b) esenzione dall'imposta regionale sulle attività produttive, per i primi cinque periodi di imposta, fino a concorrenza di euro 300.000, per ciascun periodo di imposta, del valore della produzione netta;
c) esenzione dell'imposta comunale sugli immobili a decorrere dall'anno 2008 e fino all'anno 2012, per i soli immobili siti nelle zone franche urbane dalle stesse imprese posseduti ed utilizzati per l'esercizio delle nuove attività economiche;
d) esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente, per i primi cinque anni di attività, nei limiti di un massimale di retribuzione definito con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, solo in caso di contratti a tempo indeterminato, o a tempo determinato di durata non inferiore a dodici mesi, e a condizione che almeno il 30 per cento degli occupati risieda nel sistema locale di lavoro in cui ricade la zona franca urbana. Per gli anni successivi l'esonero è limitato per i primi cinque al 60 per cento, per il sesto e
settimo al 40 per cento e per l'ottavo e nono al 20 per cento. L'esonero di cui alla presente lettera spetta, alle medesime condizioni, anche ai titolari di reddito di lavoro autonomo che svolgono l'attività all'interno della zona franca urbana;
tale disciplina, nonostante i passi compiuti sul piano normativo, non ha però avuto concretamente applicazione a causa di ragioni congiunturali ben precise. Tuttavia è profonda opinione dell'interrogante che quell'idea mantenga la propria validità e quindi meriti di essere ripresa e rafforzata perché oggi è più che mai urgente, al culmine di un periodo per molti aspetti drammatico per l'economia europea ed italiana, dare nuova forza al tessuto imprenditoriale del Mezzogiorno -:
quali iniziative il Governo, nel quadro dell'azione finalizzata allo sviluppo e alla crescita dell'Italia annunciata dopo la prima serie di provvedimenti del suo mandato finalizzati al risanamento dei conti pubblici, intenda assumere per lo sviluppo del Mezzogiorno e in particolare per ciò che è più importante, ovvero l'incentivazione alla nascita di nuove attività imprenditoriali;
se e con quali modalità sia ipotizzabile riprendere in considerazione, con gli opportuni aggiornamenti e nel contesto dell'attuale quadro economico globale, il tema delle zone franche urbane e delle relative agevolazioni già previste dall'ancora recente normativa richiamata in premessa.
(4-15728)
EVANGELISTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
si apprende da un articolo apparso su Il fatto quotidiano l'8 aprile 2012 che: «(...) nel 2011 i due super manager che guidano Eni ed Enel hanno visto aumentare alla grande i loro già elevatissimi stipendi. Paolo Scaroni, il gran capo del cane a sei zampe, l'anno scorso ha ricevuto compensi per un totale di oltre 5,8 milioni, il 30 per cento in più del 2010. Il suo collega Fulvio Conti, amministratore delegato dell'azienda elettrica, si è invece accontentato (si fa per dire) di 4,37 milioni, con un balzo del 40 per cento circa rispetto a quanto, dedotte alcune voci di competenza dell'anno precedente, gli era stato accordato nel 2010;
si tratta di aumenti che contrastano con i risultati aziendali ottenuti dai due manager. Prosegue, infatti, l'articolo citato: «la musica cambia se invece si vanno a guardare i risultati aziendali, i numeri di bilancio a cui, almeno in teoria, dovrebbe essere legati i compensi di dirigenti e amministratori. L'Eni, per dire, nel 2011 sono ha chiuso un bilancio con utili in aumento. La crescita dei profitti però si è fermata al 9 per cento, quindi di gran lunga inferiore all'incremento in busta paga del numero uno Scaroni. All'Enel è andata ancora peggio. Il gruppo guidato da Conti si è messo alle spalle un esercizio non esattamente brillante, con profitti in calo del 5 per cento. Utili in calo quindi, al contrario dei compensi dell'amministratore delegato Conti saliti del 40 per cento e di quelli del gruppo di dirigenti di vertice, pure questi in netto aumento»;
a quanto pare, malgrado il periodo di crisi, i top manager riescono a mettere insieme compensi tanto elevati, spiegano gli esperti dell'ECGS (European corporate governance service) grazie anche alla mancanza di controllo degli azionisti sui criteri con cui vengono calcolate le retribuzioni. Nella maggior parte dei Paesi europei, infatti, le aziende quotate non sono obbligate a farli ratificare dall'assemblea generale, ma sono solo tenuti a renderli pubblici nel proprio rapporto annuale;
nel frattempo il governo degli Stati Uniti ha deciso di tagliare i compensi dei top manager di tre grandi compagnie ancora sotto il suo controllo (l'industria automobilistica General Motors, la compagnia assicurativa Aig e la banca Ally); il responsabile del Tesoro, Geithner, ha, infatti, annunciato un taglio in media del 10
per cento rispetto al 2011 dei compensi di 25 dirigenti tra i più alti in grado per ciascuno dei tre gruppi citati -:
quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in merito a quanto evidenziato in premessa e quali iniziative intenda adottare al riguardo.
(4-15736)
...
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta immediata:
MELCHIORRE e TANONI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'estensione della carcerazione preventiva per altri 14 giorni, cioè ormai per due mesi e mezzo, a carico dei due fucilieri del Reggimento San Marco per decreto del giudice istruttore di Kollam è, per ora, l'ultimo atto della gravissima e ormai penosa vicenda che li vede, contro ogni regola del diritto internazionale, detenuti nello Stato indiano del Kerala, dopo quello che pare avesse tutta l'apparenza di un attacco di pirateria in acque internazionali a carico di una nave italiana, la Enrica Lexie, il 15 febbraio 2012;
a seguito di quei fatti il pubblico ministero del loro giudice naturale precostituito per legge, cioè la procura militare di Roma, ha aperto, per prima, un'indagine per omicidio volontario dei due pescatori indiani: la legge che il Parlamento ha approvato per queste missioni antipirateria affidate a nuclei delle Forze armate affida, infatti, alla giurisdizione militare l'ipotesi di omicidio volontario e lascia alla giurisdizione ordinaria solo la fattispecie colposa;
per ragioni allo stato ignote, pare, però, che l'indagine penale militare per questa imputazione sia stata chiusa dopo pochi giorni (il 28 febbraio 2012 per le agenzie di stampa) e che gli atti siano stati trasmessi alla magistratura ordinaria sulla base della visibile colposità del fatto. Tuttavia, per quei medesimi fatti la magistratura ordinaria ha aperto un fascicolo, tenendo l'ipotesi di omicidio volontario;
la giurisdizione è comunque italiana, sia perché il fatto è avvenuto in alto mare e non nelle acque indiane, sia soprattutto perché ricorre l'immunità funzionale di militari italiani lì inviati per svolgere, nell'interesse nazionale italiano e di tutta la comunità internazionale, una funzione di contrasto della pirateria. Il fatto che i militari italiani fossero imbarcati su mercantili battenti bandiera italiana in transito in spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria era pienamente in linea con l'articolo 5 del decreto-legge 12 luglio 2011, n.107, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n.130;
il loro status è militare: lo Stato italiano si è assunto un compito a difesa dell'economia mercantile nazionale che è direttamente minacciata dalla pirateria in Oceano indiano; l'attività rientra nei compiti fondamentali delle Forze armate. È un'attività di tutela di interessi economici italiani a difesa indistinta della libera circolazione del naviglio commerciale italiano, che si riflette, come evidente, sugli attracchi commerciali nei porti italiani;
è palese che, anche agli occhi della comunità internazionale, il rispetto della giurisdizione interna italiana a favore del giudice naturale, quello militare, sottolinea e rimarca il carattere essenziale di rappresentanti dello Stato dei due marò. Non sono contractor a pagamento che difendono una singola nave, sono soldati mandati dal Governo, dal Governo che lo stesso Ministro interrogato rappresenta, che difendono con la nave l'interesse nazionale. Il loro giudice naturale è solo quello che vuole la legge, non altri che non ne hanno titolo;
secondo notizie di stampa parrebbe che una rogatoria internazionale alle autorità indiane sia stata avanzata al Ministro interrogato, per acquisire le prove che le autorità indiane hanno finora negato di consegnare (risultati dell'autopsia, proiettili,
perizia balistica, scatola nera e quella sullo scafo della presunta imbarcazione colpita) -:
se effettivamente il Ministro interrogato abbia ricevuto richieste di rogatoria internazionale e, in tal caso, quale seguito abbiano avuto e con quali effetti.
(3-02207)
Interrogazioni a risposta scritta:
VERINI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il mensile Terra n. 2, del mese di aprile 2012, a pagina 26 ha pubblicato un articolo a firma di Emanuele Giordana intitolato: «Aldo Bianzino, il caso non è chiuso»;
l'articolo rivela che nelle udienze tenutesi per giudicare la guardia carceraria, ritenuta responsabile di omissione di soccorso, falso e omissione di atti d'ufficio e condannata a marzo ad un anno e mezzo con pena sospesa, sono emerse almeno tre rilevanti evidenze;
nel mensile si legge che: «(...) L'aneurisma che non c'è. Tutta l'ipotesi dell'archiviazione si basa sull'esistenza di un aneurisma che viene ampiamente documentato dai consulenti del pm Anna Aprile e Luca Lalli in una minuta documentazione del 2008, nella quale si vedono (figura 1) le parti smembrate del cervello di Bianzino. A pagina 20 del loro dossier mostrano un'altra immagine (figura 2) dove viene fotografata una sezione del cervello con, cerchiata in rosso, "la malformazione vascolare aneurismatica origine del sanguinamento", come riportato nella didascalia. Ovvio che le due figure vengano messe in relazione. Ma non è così. Il fotogramma 2, con tanto di cerchio rosso, non è del cervello di Bianzino. È materiale d'archivio! Tanto che, interrogata dal giudice, la professoressa Aprile spiega che: "Noi non abbiamo riscontrato l'aneurisma, ma abbiamo riscontrato dei vasi con delle caratteristiche alterate, che ben si correlano con l'ipotesi di una rottura, diciamo, spontanea". Insomma, quella immagine era nulla più che letteratura medica per, diciamo, mettere in relazione vasi con delle caratteristiche alterate, che ben si correlano con l'ipotesi di una rottura, diciamo, spontanea... Insomma l'aneurisma per cui Bianzino morì, nel suo cervello non ci sarebbe o almeno non è così visibile da poterne fare un fotogramma che non lasci ombra di dubbio. 2. Il fegato che sanguina. I medici rilevano che attorno al fegato di Aldo ci sono 280 centilitri di sangue, in una parola un terzo di litro. Quella fuoriuscita di sangue sarebbe dovuta alla pressione esercitata durante la rianimazione. Ma allora Bianzino era già morto. Oltre ai dubbi, già sollevati, anche le spiegazioni tecniche lasciano aperte molte porte. Ancora Aprile davanti al giudice: "Arresto cardiaco o non arresto cardiaco, lesione in vita o lesione in morte, l'immagine che si deve avere rispetto a questa azione di compressione a livello locale è quella di una spugna. Il fegato è pieno di sangue...". Anche il magistrato ha un momento di apparente perplessità: "...si, ecco, riguardo a questo punto, però, la manovra rianimatoria ha come punto di riferimento il cuore, ecco, più che il fegato...", commenta in aula. La perplessità rimane tutta. Possibile che due esperti rianimatori, pur eccitati dal desiderio di salvare un uomo (già morto), gli facciano a pezzi il fegato tanto da far uscire poco meno di mezzo litro di sangue? La rianimazione (sul cuore) durò almeno venti minuti. E qui sta l'altro punto debole. Non ve ne è traccia. 3. Il video che non c'è. Il carcere ha ovviamente un sistema di telesorveglianza. Non riprende in maniera continuativa; lo fa a spezzoni. Ma sicuramente non a intervalli di venti minuti, altrimenti il carcere di Capanne sarebbe un colabrodo di evasioni o atti illegali consumati al riparo di occhi indiscreti. Eppure, tra tutte le immagini acquisite di quella maledetta notte, non vi è un solo fotogramma in cui appaia Branzino nel corridoio dove si cercò di rianimarlo (...)» ;
come è noto il signor Aldo Bianzino, arrestato il 12 ottobre 2007, con l'accusa
di coltivare piante di cannabis presso la propria abitazione, è deceduto nella notte tra il 13 e il 14 ottobre all'interno dell'istituto di pena «Capanne» di Perugia in circostanze mai del tutto chiarite e che lascerebbero ipotizzare un decesso per cause non accidentali;
lo stesso è arrivato, infatti, presso l'istituto carcerario in perfetta salute;
in sede di autopsia, sono state riscontrate in un primo momento, sul corpo di Aldo Bianzino, lesioni che non escludono una morte diversa da quella per cause naturali: è stato il medico legale ad escludere con certezza l'infarto come causa della morte dopo avere riscontrato sul corpo del deceduto quattro commozioni cerebrali, diverse lesioni al fegato e due costole rotte;
in data 10 novembre 2007, una seconda autopsia effettuata dal medico legale consulente della pubblica accusa, ha cambiato l'esito rispetto alla prima autopsia e ha stabilito che la morte è avvenuta per un aneurisma cerebrale, ovvero per cause naturali;
in data 10 gennaio 2008, il pubblico ministero, sulla base della seconda autopsia ha chiesto l'archiviazione del procedimento penale aperto a carico di ignoti con l'accusa di omicidio;
a tale decisione si sono opposti con fermezza i famigliari di Aldo Bianzino che hanno chiesto ulteriori approfondimenti istruttori nella convinzione che il decesso del congiunto sia avvenuto a seguito di un'azione violenta commessa da terzi all'interno dell'istituto;
l'opposizione dei famigliari è stata accolta dal giudice per le indagini preliminari il quale, con una motivata ordinanza, ha respinto la richiesta di archiviazione e ha ordinato al pubblico ministero di effettuare ulteriori accertamenti medico-legali;
a dicembre 2009 il giudice per le indagini preliminari, ha accolto la richiesta avanzata dal sostituto procuratore ed ha archiviato il procedimento respingendo l'opposizione avanzata dai famigliari del detenuto;
l'unica persona nei cui confronti è stata individuata una qualche responsabilità nell'accaduto è l'agente di polizia penitenziaria di cui sopra;
l'interrogante in data 12 gennaio 2010, ha scritto una lettera al Ministro della giustizia, pro tempore con la quale ha chiesto di «contribuire, nelle sue prerogative e nelle forme che riterrà opportune, ad accertare se tutte le procedure di indagine che hanno portato alla decisione di archiviazione siano state scrupolosamente seguite. Si tratta di un auspicabile accertamento che potrebbe contribuire a colmare anche le zone d'ombra legate alla primissima fase delle stesse indagini, nell'immediatezza della morte di Aldo Bianzino»;
alla lettera di cui sopra il Gabinetto dell'allora Ministro ha risposto diversi mesi dopo e in maniera insoddisfacente per l'interrogante: non si è infatti dato corso alla richiesta di ulteriori accertamenti sulla vicenda -:
alla luce di quanto esposto in premessa, quali iniziative il Ministro interrogato ritenga di dover porre in essere, nell'ambito delle proprie competenze, anche ispettive, al fine di far piena luce sulle cause che hanno determinato la morte di Aldo Bianzino anche a fronte dei nuovi e rilevanti sviluppi legati alla vicenda;
se, in particolare, non intenda adottare le opportune iniziative affinché il tema dalle morti in carcere - morti naturali, suicidi e morti avvenute per cause diverse da quelle naturali - sia affrontato in tutta la sua drammaticità al fine di evitare che atti similari continuino a ripetersi.
(4-15725)
ANGELA NAPOLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in Calabria è diffuso un sistema di illegalità e di corruzione, per cui gli uffici
delle procure dovrebbero essere posti nelle condizioni di garantire la massima efficienza;
inoltre, la pervasività della 'ndrangheta dovrebbe essere bloccata da analoga massima efficienza delle direzioni distrettuali antimafia;
nei giorni scorsi, Giuseppe Borelli, procuratore aggiunto della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha denunziato per l'ennesima volta la carenza degli «strumenti minimi indispensabili per compiere il proprio lavoro»;
la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro abbraccia ben quattro province calabresi: oltre a quelle della città capoluogo di regione anche Cosenza, Crotone e Vibo Valentia; appare, pertanto, più che comprensibile la mole di lavoro alla quale tale procura deve adempiere;
il procuratore aggiunto Giuseppe Borelli, ha denunciato «la carenza di fondi e materiali che rischia di portare alla paralisi dell'attività -:
quali urgenti iniziative intenda assumere per la risoluzione dei problemi legati alla dotazione di materiale di cancelleria ed agli altri strumenti di lavoro.
(4-15732)
...
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta scritta:
FOGLIATO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
da quasi due anni i passeggeri della linea ferroviaria Asti-Alba sono costretti a condizioni di viaggio insopportabili, con interruzioni dei collegamenti ferroviari nel tratto compreso tra Castagnole delle Lanze ed Alba e con spostamenti sostitutivi in pullman;
l'interruzione è iniziata con i lavori di ristrutturazione della galleria «Gherzi», ad Alba, che avrebbero dovuto concludersi nell'estate del 2012. Ad oggi, non solo i lavori non sembrano in fase di ultimazione, ma addirittura sembra mancare la loro progettazione definitiva;
il ripristino del traffico ferroviario è subordinato all'ultimazione dei lavori strutturali nella galleria Gherzi, ma le amministrazioni locali dei territori interessati esprimono la seria preoccupazione della carenza o addirittura mancanza dei fondi destinati originariamente al progetto -:
se il Ministro sia a conoscenza del progetto definitivo dei lavori della galleria Gherzi, dei tempi di realizzazione e dei costi necessari e se non ritenga opportuno mettere a conoscenza di tali informazioni le amministrazioni locali dei comuni interessati dalla tratta ferroviaria Asti-Alba;
se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza nei confronti di Rete ferroviaria italiana per sollecitare il ripristino del servizio ferroviario sulla linea Asti-Alba, al fine di arginare i gravi disagi di cui sono vittime, da quasi due anni, i passeggeri della relativa tratta ferroviaria e per garantire un servizio di qualità ai cittadini.
(4-15731)
FUCCI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
come riconosciuto dall'Unione europea, «I trasporti sono fondamentali per la nostra economia e la nostra società. La mobilità svolge un ruolo vitale per il mercato interno e la qualità di vita dei cittadini che fruiscono della libertà di viaggiare. I trasporti sono funzionali alla crescita economica e dell'occupazione: e devono essere sostenibili in vista delle nuove sfide che viviamo», (dal «Libro Bianco» sui trasporti della Commissione europea del 28 marzo 2011);
inoltre, si afferma sempre a livello comunitario, «la congestione, soprattutto
a livello stradale e aereo, rappresenta un problema di notevole portata e compromette l'accessibilità»;
in tale contesto va ad inserirsi la recente comunicazione della Commissione al Parlamento europeo (COM(2012)119 final) sulla necessità di istituire uno spazio ferroviario europeo unico, secondo cui bisogna «garantire un finanziamento adeguato, trasparente e sostenibile dell'infrastruttura e facilitare gli investimenti delle imprese ferroviarie nonché, adeguando il livello e la struttura dei diritti per l'utilizzazione dell'infrastruttura, migliorare la competitività degli operatori ferroviari rispetto agli altri modi di trasporto e contribuire all'internazionalizzazione dei costi ambientali»;
lo scenario disegnato dall'Europa unita in termini di sviluppo e ammodernamento del sistema ferroviario, ritenuto assolutamente centrale per la crescita economica e per la tutela dell'ambiente, appare del tutto fuori luogo rispetto alla realtà che vive in materia il Sud Italia, ormai sempre più penalizzato dai tagli (si veda da ultima la cancellazione di molti treni notturni verso il resto del Paese) operati da Trenitalia sia a livello di trasporto pubblico locale che a livello di collegamenti nazionali non ad alta velocità verso altre regioni;
come ricordato dal Ministro interrogato in sede parlamentare, il tema è stato trattato anche dal Presidente del Consiglio dei ministri, il quale il 17 gennaio 2012 ha incontrato i presidenti delle regioni meridionali assicurando che la mobilità nel Sud rappresenta una priorità nell'azione di Governo e garantendo piena disponibilità a individuare una soluzione condivisa sul tema del trasporto ferroviario a lunga percorrenza -:
quali iniziative di competenza, anche alla luce dell'importanza centrale riconosciuta allo sviluppo dell'infrastruttura ferroviaria a livello comunitario, intenda assumere in merito a quanto esposto in premessa;
attraverso quale percorso si ritenga di poter dare concreto seguito agli impegni del Governo, assunti nella collaborazione con gli enti locali e poi ribaditi dal Ministro interrogato in sede parlamentare, sul tema dei trasporti ferroviari da e per il Sud Italia.
(4-15735)
NICOLUCCI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi anni, come rilevato anche dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dall'Isvap, in Italia le tariffe assicurative per la responsabilità civile dei veicoli a motore sono aumentate con una media sei volte superiore a quelle della Germania, cinque volte a quelle della Francia e, nel complesso, più del doppio rispetto ai Paesi dell'area euro;
tale situazione è penalizzante soprattutto per i residenti nel Sud Italia e, in particolare, in province come quella di Napoli, dove il costo delle polizze raggiunge livelli tanto proibitivi che vi sono stati casi in cui l'Isvap ha sanzionato le compagnie interessate per elusione dell'obbligo a contrarre -:
quali iniziative di competenza i Ministri interrogati alla luce della posizione espressa dall'Isvap e delle considerazioni esposte in premessa, intendano assumere in merito al tema dell'equità delle tariffe assicurative per la responsabilità civile Auto nel Sud Italia.
(4-15737)
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INTERNO
Interrogazioni a risposta immediata:
BRIGUGLIO, GRANATA, LO PRESTI, DELLA VEDOVA, BARBARO, BOCCHINO, BONGIORNO, CONSOLO, GIORGIO CONTE, DI BIAGIO, DIVELLA, GALLI, LAMORTE, MENIA, MORONI, MURO,
ANGELA NAPOLI, PAGLIA, PATARINO, PERINA, PROIETTI COSIMI, RAISI, RUBEN, SCANDEREBECH e TOTO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 24 novembre 2011 il Ministro interrogato ha firmato il decreto di accesso agli atti del comune di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), al fine di «verificare la procedura adottata dall'amministrazione comunale per la localizzazione del parco commerciale e ciò per stabilire possibili condizionamenti della criminalità organizzata nell'attività amministrativa del comune»;
numerosi sono stati gli atti e le delibere esaminate, in particolare quella approvata il 16 novembre 2009 in consiglio comunale, sotto indagine della procura della Repubblica, relativa al piano particolareggiato di un mega parco commerciale di 18,4 ettari in contrada Siena;
la commissione d'indagine, alla scadenza del termine concesso, ha chiesto ed ottenuto una dilazione dei tempi, fino al 26 marzo 2012, per poter compiere ulteriori approfondimenti e successivamente ha consegnato le sue risultanze;
è in corso la campagna elettorale per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale della città;
è urgente che il Governo si pronunci sull'ipotesi di scioglimento dell'amministrazione comunale in carica di Barcellona Pozzo di Gotto per condizionamenti mafiosi in base agli accertamenti effettuati e trasmessi dagli organi preposti, al fine di evitare che la campagna elettorale in corso possa essere inquinata e inutile -:
se e quali iniziative urgentissime il Ministro interrogato intenda adottare alla luce degli accertamenti effettuati e trasmessi dalla commissione d'indagine che ha effettuato l'accesso agli atti presso il comune e, in particolare, se ritenga che sussistano le condizioni per proporre al Consiglio dei ministri lo scioglimento dell'amministrazione in carica da effettuarsi con la massima urgenza, al fine di evitare che la consultazione elettorale del 6 e 7 maggio 2012 sia inquinata da condizionamenti da parte della criminalità organizzata e, quindi, provvedere al rinvio delle elezioni amministrative di 18 mesi.
(3-02213)
NACCARATO, MIOTTO, FIANO, MARAN, AMICI, QUARTIANI e GIACHETTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
Edilbasso spa è stata una delle principali società di costruzioni della provincia di Padova. Dal 2010 l'azienda è entrata in una fase di difficoltà economica conclusasi a giugno 2011 con la procedura di scioglimento e liquidazione, come previsto dal concordato preventivo n. 10 del 2011 del tribunale di Padova. L'accordo prevede la continuazione di parte delle attività di Edilbasso spa, attraverso l'affitto di ramo d'azienda a favore di Faber costruzioni srl, ed è circoscritto a 3 importanti contratti: appalto per la soppressione del passaggio a livello al chilometro 111+055 della linea ferroviaria Mantova-Monselice; appalto per la realizzazione della nuova psichiatria dell'ospedale Sant'Antonio a Padova; appalto per la progettazione, costruzione e gestione della nuova sezione di incenerimento dell'impianto di Cà del Bue a Verona. Il concordato prevede, infine, la cessione del ramo d'azienda oggetto del contratto di affitto di cui sopra a Faber costruzioni srl;
Faber costruzioni srl è stata costituita il 21 gennaio 2011 da Algisa srl, di proprietà dei tre figli di Bruno Basso, socio principale di Edilbasso spa. Faber costruzioni srl ha subito numerosi trasferimenti di proprietà: il 16 marzo 2011 Algisa srl ha ceduto il 65 per cento delle quote a Giovanni Barone che il 28 giugno 2011 le ha cedute nuovamente ad Algisa srl. Il 29 dicembre 2011 Immobiliare Milano srl, di proprietà di Gianluigi e Adriano Cecchi, ha acquistato il 10 per cento di Faber costruzioni srl;
Giovanni Barone risulta coinvolto in un'inchiesta della procura di Milano, che
ha portato all'arresto di diverse persone, tra cui Salvatore Strangio, Andrea Pavone, Ivano Perego e Pasquale Nocera, accusati a vario titolo di associazione mafiosa. Nell'ordinanza del tribunale di Milano del 6 luglio 2010 del giudice per le indagini preliminari Giuseppe Gennari si precisa che Barone ha «precedenti di polizia per reati contro la pubblica amministrazione, oltraggio, resistenza e violenza, falso in genere, falsa attestazione a pubblico ufficiale, omessa custodia di armi». L'indagine, nota anche come «operazione tenacia», descrive la conquista di Perego strade srl da parte della criminalità organizzata, al fine di controllarne le attività economiche e gli appalti;
nella vicenda Perego strade srl compaiono, a diverso titolo, sia Giovanni Barone che Adriano Cecchi, rispettivamente liquidatore dal 4 novembre 2008 fino alla liquidazione e sindaco dal 14 novembre 2008 fino all'approvazione del bilancio 2010 di Perego strade srl. I due, inoltre, sono stati rispettivamente liquidatore dal 19 dicembre 2008 fino alla liquidazione, e sindaco dal 19 dicembre 2008 fino all'approvazione del bilancio 2010 di Perego holding spa;
l'ordinanza sopra citata precisa, inoltre, che il gruppo Perego era a conduzione familiare e privo di azionariato diffuso e che sono state costituite società, quali Perego holding spa e Perego general contractor, con la volontà di dare vita a nuovi soggetti giuridici al fine di proseguire le attività economiche, nonostante una grave esposizione debitoria, permettendo alla criminalità organizzata di inserirsi nell'impresa;
secondo gli interroganti suscitano particolare perplessità le modalità di attuazione del fallimento-liquidazione di Edilbasso spa e della costituzione di Faber costruzioni srl ed il fatto stesso che nella complessa situazione sopra descritta siano state coinvolte persone che hanno avuto un ruolo in vicende oggetto di indagini da parte della procura di Milano -:
in che modo il Ministro interrogato intenda intervenire per prevenire il pericolo che le organizzazioni criminali - approfittando della crisi economica - acquisiscano il controllo di società in difficoltà finanziaria per alterare la concorrenza, conquistare appalti pubblici e riciclare denaro proveniente da attività illegali.
(3-02214)
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
I Commissione:
TASSONE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il giovane ventiseienne calabrese Aldo Vincenzo Pecora, giornalista e fondatore della meritoria associazione antimafia «Ammazzateci tutti» (sorta nel 2005 sull'onda emotiva dell'efferato omicidio, per mano mafiosa, del vice presidente del consiglio regionale della Calabria Franco Fortugno ed oggi radicata su tutto il territorio nazionale con migliaia di aderenti), è stato vittima in questi anni di molteplici atti intimidatori, tutti regolarmente denunciati alle Forze dell'ordine;
non si hanno ad oggi notizie sugli sviluppi delle indagini, in merito a tutti questi diversi e gravi episodi (minacce, danneggiamenti ad autovetture e persino aggressioni fisiche a lui e ai suoi familiari) che si devono quindi purtroppo supporre archiviate senza esito;
il 20 febbraio 2012, è stato inviato al giornalista, mentre si trovava in Calabria per impegni già pubblicamente noti, ovvero l'intitolazione dell'aula della corte d'appello del tribunale di Palmi al giudice Scopelliti (sul cui delitto, Pecora ha scritto un importante libro-inchiesta, «Primo sangue») un biglietto con minacce di morte per lui e per i magistrati Nicola Gratteri e Giuseppe Creazzo;
nei pressi della sua auto, parcheggiata davanti a casa dei genitori, sono stati rinvenuti anche diversi proiettili di pistola, e a distanza di soli due giorni dall'invio del messaggio intimidatorio, il giovane calabrese
è stato oggetto di un inquietante e preoccupante episodio verificatosi sempre sotto casa della famiglia, in cui minacciosamente due sconosciuti si sono avvicinati al giovane con il pretesto di intervistarlo; solo per il pronto intervento di suo padre e il tempestivo arrivo di una pattuglia dei Carabinieri che li ha fermati e portati in caserma a Cinquefrondi, non è stato possibile per i due sconosciuti porre in essere condotte ancor più lesive per il giovane;
nella settimana precedente agli agguati, un settimanale calabrese, il Corriere della Calabria, diretto da Paolo Pollichieni, a firma di Agostino Pantano, aveva pubblicato un articolo che violava la riservatezza proprio sulla residenza in cui è possibile trovare lo stesso Aldo Vincenzo Pecora quando si trova in Calabria, cioè la casa dei genitori, con tanto di dati anagrafici e persino catastali divulgati nello stesso articolo (ovviamente senza alcuna autorizzazione al loro trattamento da parte degli interessati), unitamente a fotografie dello stesso Aldo, dell'immobile e persino del citofono di casa dei genitori dello stesso;
riferimenti precisi al suddetto articolo sono stati riscontrati sia nel biglietto di minacce che nelle parole pronunciate da uno degli aggressori sotto casa (peraltro videoregistrate su una videocassetta sequestrata dall'autorità giudiziaria);
illustri personalità impegnate nell'antimafia sociale e nell'associazionismo ad essa collegato come Don Luigi Ciotti, Michele Cucuzza, Nando Dalla Chiesa, Maria Falcone, Ferdinando Imposimato, Don Luigi Merola, Pino Masciari, Rosanna Scopelliti, hanno firmato il 1o marzo un appello intitolato «Siamo tutti Aldo Pecora», diffuso tramite sito internet e che immediatamente sta raccogliendo giorno per giorno centinaia di ulteriori importanti adesioni -:
quali opportune iniziative siano state prese a tutela della incolumità fisica di Aldo Vincenzo Pecora e dei suoi familiari ciò al fine di garantire allo stesso la possibilità di continuare a svolgere con più sicurezza e senza timore la sua meritoria e coraggiosa attività sociale in Calabria.
(5-06614)
BRAGANTINI e VANALLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel corso della propria attività istituzionale, la polizia di Stato ha sequestrato un furgone Fiat Qubo nuovissimo, del valore di circa 15 mila euro, con appena mille chilometri di percorrenza;
il veicolo è stato affidato dall'autorità giudiziaria alla questura di Verona, ma non è stato possibile assegnarlo effettivamente alle unità locali della polizia di Stato in seguito alla decisione avversa presa dalla direzione centrale dei servizi tecnico logistici del Ministero dell'interno;
la predetta direzione centrale ha infatti ritenuto l'alimentazione duale del veicolo come un problema insormontabile, in quanto suscettibile di «comportare problemi di rimessaggio presso le strutture dell'amministrazione, oltre che elementi di pericolosità per la marcia del veicolo e per lo svolgimento del servizio»;
risulta al contrario che i veicoli a metano circolanti in Italia sono milioni ed in base alle norme vigenti possono essere parcheggiati senza limitazioni in tutti i garage del nostro Paese -:
se esista la possibilità di ottenere una revisione della decisione assunta dalla direzione centrale dei servizi tecnico logistici del Ministero dell'interno con riferimento alla vicenda generalizzata nella premessa.
(5-06615)
GIORGIO CONTE e DI BIAGIO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
alcuni episodi di cronaca riportati dalla stampa nazionale all'inizio del corrente anno, hanno contribuito a evidenziare all'attenzione dell'opinione pubblica e delle istituzioni una grave lacuna normativa
che interessa la categoria dei vigili urbani su tutto il territorio nazionale;
il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha infatti disposto all'articolo 6, comma 1, l'abrogazione degli istituti «dell'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata»;
il decreto, al medesimo comma, ha previsto giustamente il mantenimento in deroga di detti istituti per alcune categorie particolarmente esposte a rischio, individuate nella normativa con la dicitura «personale appartenente al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico»;
in virtù di tale deroga i menzionati istituti continuano ad essere riconosciuti, secondo la disciplina precedente l'entrata in vigore del menzionato decreto-legge n. 201 del 2011, per il personale delle forze armate, dell'arma dei carabinieri, del comparto vigili del fuoco e soccorso pubblico e delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare;
la dicitura adottata di fatto esclude tutto il personale di polizia locale - i cosiddetti «vigili urbani» - il quale appartiene piuttosto al comparto vigilanza degli enti locali. La legge 7 marzo 1986, n. 65 - legge quadro sull'ordinamento della polizia municipale - disciplina funzioni e compiti di tale categoria che è altresì titolare «delle funzioni e dei compiti di polizia amministrativa nelle materie ad essi rispettivamente trasferite o attribuite» ai sensi dell'articolo 158, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;
la mancata inclusione nelle deroghe del sopracitato articolo 6 espone la polizia locale a gravi criticità sul piano della tutela dei propri diritti e rappresenta una grave ed ingiusta disparità di trattamento, che misconosce la difficile realtà socio-ambientale nella quale tale categoria si trova ad operare, che contempla l'esposizione a un'ampia varietà di situazioni potenzialmente rischiose quali rapine, incidenti od operazioni di polizia giudiziaria e di ordine pubblico;
la criticità evidenziata si aggiunge ad una serie di lacune normative, più volte evidenziate dalle associazioni di categoria, relativamente ad un inquadramento della categoria che corrisponda, per definizione contrattuale, mezzi assegnati, tutela e condizioni lavorative, alle funzioni di polizia che l'ordinamento impone;
la necessità di un'opportuna armonizzazione della normativa vigente alle reali necessità del comparto è stata al centro di diversi tentativi di riformulazione legislativa in materia nelle legislature precedenti come nell'attuale;
il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, recentemente interrogato in merito alla questione per quanto di sua competenza, ha evidenziato che «è attualmente all'esame della Commissione affari istituzionali del Senato un disegno di legge in materia di polizia locale (A.S. 272)». Tale provvedimento tuttavia non sembrerebbe risolvere alcune delle principali criticità dell'inquadramento, quali la necessità di inquadramento della polizia locale come forza di polizia a ordinamento locale, nonché il superamento dei limiti spazio-temporali nella qualifica di polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 57 del codice di procedura penale;
inoltre, la peculiarità della situazione a carico della polizia locale, tragicamente evidenziata dagli incidenti occorsi nel mese di gennaio, uno dei quali è costato la vita all'agente N.S., richiede una duplicità di interventi: se infatti, da un lato, si rende necessario un lavoro di riforma che armonizzi la normativa vigente - fondata sulla citata legge quadro n. 65 del 1986 - alla realtà operativa del comparto, dall'altro si rende parimenti urgente un intervento normativo immediatamente efficace sul tema della tutela dagli infortuni per gli operatori della polizia locale, con tempistiche che mal si conciliano con i tempi lunghi che caratterizzano eventuali provvedimenti di riforma;
le criticità interessano, infatti, circa 65.000 unità di personale di polizia locale, distribuite su tutto il territorio nazionale, le quali operano quotidianamente in situazioni di potenziale esposizione a rischio, analogamente ai loro colleghi afferenti i corpi di polizia di Stato, vigili del fuoco, croce rossa, Arma dei carabinieri, già tutelati dalla deroga;
allo stato attuale della normativa, in un'operazione su strada che determinasse l'infortunio o il decesso di unità di intervento afferenti la polizia locale e, ad esempio, la polizia di Stato e i carabinieri, gli istituti di cui sopra tutelerebbero solo due delle tre categorie chiamate ad intervenire, pur con i medesimi obblighi e le medesime funzioni: a parità di oneri, alla polizia locale non sarebbero infatti garantiti i medesimi diritti di tutela;
oltre alle attività di vigilanza e controllo di ogni genere, nonché alle funzioni in materia di viabilità, infortunistica stradale, interventi in campo sanitario nell'ambito dei trattamenti sanitari obbligatori, l'articolo 5 della citata legge 7 marzo 1986, n. 65 assegna al personale di polizia locale anche le funzioni di: polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 221, terzo comma, del codice di procedura penale; polizia stradale, ai sensi dell'articolo 137 del testo unico delle norme sulla circolazione stradale approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, numero 393; nonché «funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza»;
infine, nell'ottica di una garanzia e tutela sempre più efficace del diritto alla sicurezza e alla qualità della vita urbana, il Ministero dell'interno, a partire dal 20 marzo 2007, ha avviato un programma di accordi di collaborazione tra lo Stato e gli enti locali, noti come «Patti per la sicurezza», che prevedono un'azione congiunta sulle materie legate alla pubblica sicurezza: ciò determina un progressivo e potenziale aumento delle condizioni operativamente rischiose per la polizia locale che, su disposizione dei sindaci, può essere impiegata in via sussidiaria in operazioni disposte da questori e prefetti -:
se non ritenga opportuno assumere urgenti iniziative normative, nell'ambito delle proprie competenze, dirette ad un'opportuna rettifica della suindicata normativa al fine di includere la categoria della polizia locale tra le deroghe dell'articolo 6, comma 1, del decreto-legge 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché dirette ad avviare un percorso di opportuna revisione normativa della legge quadro n. 65 del 1986 che tenga presente le criticità e le problematiche che la condizionano, citate in premessa, le funzioni assegnate e gli inderogabili diritti di tutela.
(5-06616)
CALDERISI e BERTOLINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi a Vignola, in provincia di Modena, sono stati incendiati nella stessa notte 6 camion (tre a Crespellano) di una importante ditta di movimentazione terra e trattamento dei rifiuti legnosi;
alla presidente nazionale della Fita-Cna, associazione di categoria degli autotrasportatori, che è di Modena, sono stati inviati tre proiettili con una lettera di minacce;
negli ultimi quindici mesi la provincia di Modena ha eliminato dall'albo degli autotrasportatori 345 imprese su un totale di 2926 ditte iscritte, perché prive dei requisiti necessari e pertanto a maggior rischio di infiltrazioni;
di recente è emerso che Felice Maniero si era accordato con il clan dei Casalesi «per non consentire a nessuno di infiltrarsi nella città di Modena e provincia», in cambio della partecipazione alla divisione dei proventi del controllo del gioco d'azzardo;
proprio i proventi delle bische clandestine rappresentano oggi un giro d'affari
molto significativo per i Casalesi in Emilia Romagna e in provincia di Modena;
dopo l'allarme nel settore degli appalti edili, adesso sono sempre più frequenti indagini ed arresti per estorsioni nel territorio modenese anche in ambiti commerciali;
sta emergendo una realtà inquietante che vede Modena e la sua provincia da decenni al centro degli affari della camorra e oggi considerata la roccaforte del clan dei Casalesi e dei loro affari nel nord Italia;
il procuratore aggiunto del dipartimento antimafia di Napoli, Federico Cafiero De Raho, infatti, in una conferenza stampa ha sottolineato come «quella dei Casalesi a Modena non sia una infiltrazione, ma un vero e proprio radicamento, che dura da almeno vent'anni»;
tale forte radicamento sarebbe confermato dalla presenza, all'interno della rete di affiliati operanti sul territorio modenese, non solo di soggetti di origine campana, ma anche di persone nate e residenti a Modena;
i dati e le informazioni diffuse dagli inquirenti e il quadro criminale complessivo emerso dalle indagini sono estremamente preoccupanti;
nonostante i numerosi segnali di allarme relativi alle infiltrazioni camorristiche a Modena e provincia ed i conseguenti impegni assunti dagli enti locali per intensificare i controlli e prevenirne l'ulteriore diffusione, la criminalità organizzata ha incrementato il proprio radicamento e la portata delle proprie attività -:
se non ritenga che il radicamento della camorra in provincia di Modena abbia raggiunto ormai un livello davvero preoccupante e quali azioni, anche di concerto con le istituzioni locali, le organizzazioni sociali ed imprenditoriali, intenda porre in essere al fine di contrastare l'ulteriore diffusione della criminalità organizzata in questo territorio.
(5-06617)
FAVIA e PALADINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
i vincitori dei concorsi pubblici per il reclutamento di allievi agenti della Polizia di Stato, in vigenza dell'articolo 16 della legge 23 agosto 2004 n. 226, devono completare la ferma quadriennale nelle Forze armate prima di poter essere immessi nel ruolo degli agenti ed assistenti della Polizia di Stato;
in particolare sulla base della citata disposizione si prevede che l'immissione in ruolo del 55 per cento dei vincitori avvenga immediatamente mentre il restante 45 per cento è immesso in ruolo solo dopo aver prestato servizio come volontario in ferma prefissata quadriennale nelle Forze armate;
con il decreto ministeriale 30 ottobre 2006 è stato indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di 1507 allievi agenti della Polizia di Stato, di cui 976 posti con immissione immediata nel ruolo degli agenti ed assistenti della Polizia di Stato e 531 posti con assunzione «postdatata» al completamento della ferma quadriennale nelle Forze armate;
con successivo decreto ministeriale del 21 novembre 2008 l'Amministrazione della pubblica sicurezza ha indetto un ulteriore concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento 907 allievi agenti della Polizia di Stato. Anche per tale procedura concorsuale sono state previste due aliquote: 499 posti con immissione immediata nei ruoli della Polizia di Stato mentre per 408 vincitori è stato previsto l'espletamento della ferma quadriennale nella Forze armate; con successivo decreto del capo della polizia-ispettore generale della,pubblica sicurezza è stata disposta l'elevazione dei posti da 907 a 1078;
con decreto ministeriale 30 luglio 2011 è stato indetto un ulteriore concorso per il reclutamento di 1600 allievi agenti della Polizia di Stato con determinazione di due aliquote di posti: n. 880 candidati immessi, al termine della procedura concorsuale
e previa frequentazione del relativo corso di formazione, nel ruolo degli agenti ed assistenti della Polizia di Stato e n. 720 posti con immissione nei predetti ruoli al termine della ferma quadriennale nelle Forze armate;
per tutti e tre tali concorsi sono state approvate le graduatorie di merito;
sebbene l'Amministrazione della pubblica sicurezza avesse ormai delle aliquote di candidati risultati idonei vincitori delle accennate procedure concorsuali da poter immediatamente assumere, ha ritenuto, invece, di dover procedere all'indizione di un nuovo concorso per il reclutamento di 2800 allievi agenti della Polizia di Stato;
invero l'articolo 2199, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante «Concorsi per il reclutamento nelle carriere iniziali delle Forze di polizia» ha accordato al Ministero dell'interno la possibilità di definire le aliquote di posti da mettere a concorso indicando una prima aliquota composta da n. 2654 posti per i quali è stata prevista l'immediata immissione nei ruoli della polizia di Stato e di n. 146 posti per i quali è prevista l'immissione «tardiva» ossia successiva all'espletamento della ferma quadriennale nelle Forze armate. Il concorso in argomento è attualmente in svolgimento;
al fine di ovviare allo status quo delle seconde aliquote di candidati risultati idonei vincitori delle relative procedure concorsuali, sono stati emessi i sotto indicati decreti: decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 ottobre 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dell'11 dicembre 2009, n. 288; decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 19 novembre 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 15 febbraio 2010, n. 37; decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 settembre 2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dell'11 novembre 2010, n. 164; tali decreti del Presidente del Consiglio dei ministri tuttavia sono stati impiegati impropriamente per l'assunzione di tutti coloro che, nelle graduatorie dei concorsi per il reclutamento di volontari in ferma breve nelle Forze armate del 2003, 2004 e 2005, erano risultati idonei ma non vincitori;
in altre parole, l'Amministrazione avrebbe assunto candidati fuori graduatoria dimenticando, invece, tutti coloro che erano risultati idonei vincitori nei concorsi precedentemente indicati e che, ancora oggi, stanno espletando servizio in qualità di volontari in ferma quadriennale nelle Forze armate mentre attualmente il Ministero della difesa si sta avvalendo della prestazione lavorativa di 531 vincitori del concorso per 1507 allievi agenti, n. 408 vincitori del concorso per 907 allievi agenti, 720 vincitori del concorso per 1600 allievi agenti; complessivamente, quindi, si tratta di 1659 giovani futuri poliziotti in servizi che potenzialmente possono provocare una perdita dei requisiti psico-fisici di cui al decreto ministeriale del 30 giugno 2003 n. 198 stante la delicatezza e pericolosità degli incarichi in contesti di guerra;
questi 1659 giovani possono essere impiegati immediatamente nei ruoli della Polizia di Stato al fine di far fronte all'attuale richiesta di sicurezza avanzata dai cittadini su tutto il territorio nazionale nonché al fine di rimpinguare i ruoli della Polizia di Stato; in occasione della riunione tenutasi il 17 gennaio 2012 tra la organizzazione sindacale UGL Polizia di Stato ed il Ministro dell'interno, quest'ultimo ha palesato la disponibilità a valutare l'immediata assunzione dei 1659 volontari in ferma quadriennale vincitori dei concorsi per allievi agenti della Polizia di Stato previa frequenza dei corsi di formazione che, stante la disponibilità presso le scuole di polizia dislocate sul territorio nazionale, potrebbe avvenire nel breve periodo e, sicuramente, prima del completamento del concorso per il reclutamento dei 2800 allievi agenti attualmente in svolgimento;
a tal proposito è opportuno evidenziare che con sentenza n. 14 in data 28
luglio 2011, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - adunanza plenaria ha cristallizzato un principio importantissimo in ordine alla vigenza delle graduatorie ed all'assunzione del personale evidenziando che: «in presenza di graduatorie concorsuali valide ed efficaci, l'amministrazione, se stabilisce di provvedere alla copertura dei posti vacanti deve motivare la determinazione riguardante le modalità di reclutamento del personale, anche qualora scelga l'indizione di un nuovo concorso, in luogo dello scorrimento del graduatorie vigenti»;
ne discende, pertanto, il carattere ad avviso degli interroganti contra legem della condotta dell'amministrazione della pubblica sicurezza che, non solo non ha provveduto ad assumere i volontari in ferma prefissata quadriennale, ma si è determinata, nonostante la vigenza delle graduatorie, ad indire nuove procedure concorsuali in un contesto economico che, invece, le imporrebbe un contenimento della spesa -:
quali siano gli orientamenti del Ministro in ordine ai fatti sopra indicati e con quali modalità intenda darvi corso.
(5-06618)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
ANGELA NAPOLI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
con decreto ministeriale 19 settembre 2008 è stato bandito un concorso interno a 108 posti (elevati poi a 291 con decreto ministeriale 3 luglio 2009) per l'accesso al corso di formazione professionale per la nomina a vice sovraintendente della Polizia di Stato;
il citato concorso ha portato all'assunzione nel ruolo di 291 unità su una graduatoria di 1.300 idonei;
successivamente con decreto ministeriale 23 luglio 2009 è stato bandito un ulteriore concorso interno, sempre per la nomina di vice sovrintendente della Polizia di Stato, per 116 posti, poi portato a 350 unità;
quest'ultimo concorso ha portato all'assunzione nel ruolo di 350 unità su una graduatoria di ulteriori 1.300 idonei;
l'attuale carenza nella pianta organica del ruolo di sovrintendenti della Polizia di Stato richiederebbe a breve l'indizione di un nuovo concorso, il che comporterebbe un onere di spesa sicuramente superiore a quello da affrontare in caso di scorrimento delle due graduatorie di idonei, rispettivamente quella del concorso bandito con decreto ministeriale 19 settembre 2008 e quella del concorso bandito con decreto ministeriale 23 luglio 2009 -:
se non ritengano, necessario ed urgente, sia in considerazione della necessità di copertura degli organici del ruolo in questione sia alla luce della economicità richiesta dall'attuale situazione della finanza pubblica, predisporre uno straordinario provvedimento ministeriale che porti allo scorrimento delle due graduatorie degli idonei al ruolo di vice sovrintendente della Polizia di Stato.
(5-06611)
BOBBA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in data mercoledì 28 marzo 2012, a Vercelli, si è tenuta una conferenza stampa nella quale è stata resa nota una missiva inviata dal sindaco di Tricerro, Borgogna Ezio, al dirigente scolastico dell'istituto comprensivo Asigliano;
detta lettera ha come oggetto l'attività politica della docente Antonella Abate, che riveste anche il ruolo di capogruppo di minoranza del consiglio comunale di Tricerro e precisamente, nella missiva, il sindaco Ezio Borgogna afferma quanto segue: «..la docente signora Abate Antonella ... si espone sui giornali con attacchi a dir poco farneticanti contro questa Amministrazione con scritti che non corrispondono alla verità e il suo scopo è solo
quello di creare tensione, ovviamente senza successo»;
il sindaco Borgogna continua nella missiva creando un nesso tra le scelte politiche della sua amministrazione a favore dell'istituto comprensivo e la necessità di far in modo che la signora Abbate smetta di intervenire pubblicamente contro l'amministrazione da lui gestita, infatti dichiara: «se non vado errato, qualche mese la, questa Amministrazione Comunale ha fatto delle scelte importanti a Vostro favore con lo scopo di aiutare Asigliano a salvare l'Istituto Comprensivo... Forse la Docente nel proprio DNA, la parola riconoscenza non esiste e la mia Giunta "sta forzando" per colpa della stessa, a ritornare dove eravamo... se dovessero ripetersi episodi così sgradevoli, non potrò garantire che il passo a ritroso non vi possa avvenire»;
a parere dell'interrogante, il dettato della missiva rappresenta un evidente abuso da parte del sindaco, configurando un'ipotesi di condotta scorretta e al limite del legittimo, da valutare nelle sedi opportune;
sempre a parere dell'interrogante, l'autonomia dell'istituzione scuola di Asigliano è palesemente compromessa dall'attività politica, in quanto il sindaco Borgogna lascia intendere che il cessare delle dichiarazioni a mezzo stampa contro l'amministrazione di Tricerro, da parte della signora Abate, potrebbe salvaguardare la situazione precaria dell'istituto comprensivo, sfruttando il ruolo gerarchicamente superiore del dirigente scolastico, rispetto a quello di docente della stessa signora Abate -:
di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in relazione ai gravi fatti esposti in premessa;
se non si ritenga urgente ed opportuno porre in essere azioni ed iniziative anche normative in grado di rafforzare e allo stesso tempo tutelare la delicata posizione dei consiglieri di minoranza.
(5-06612)
...
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca - per sapere - premesso che:
si fa riferimento ad un documento dell'AGESC che riporta i conti e le spese per studenti che frequentano la scuola paritaria e l'indubbio risparmio per lo Stato in una sorta di sussidiarietà al contrario della famiglia a favore dello Stato che si indica in circa 6 miliardi di euro a fronte di un finanziamento al sistema paritario pari a 532 milioni di euro;
paragonando le cifre della scuola paritaria con quelle della statale, in media per ogni alunno del sistema paritario risulta un risparmio per lo Stato di circa 6 mila euro, per l'infanzia e la primaria il risparmio per adulto può essere calcolato in 5.741 euro mentre per la secondaria sale a 6.828 euro;
in base al documento AGESC si rileva che le cifre per alunno dimostrano che l'impegno dello Stato nell'attuare i principi costituzionali della parità scolastica e dell'equipollenza di trattamento fra tutti gli studenti è inadeguato ed esiguo, che i tagli in questi anni hanno riguardato in misura forte anche la scuola non statale ed inoltre che le campagne di opinione pubblica sui finanziamenti alle scuole «private» a scapito della scuola statale, sono assolutamente false ed infine che gli istituti paritari riescono a gestire le scarse risorse a disposizione con efficienza rispetto a ciò che spende lo Stato per ogni studente;
gran parte dei Paesi OCSE finanzia il sistema scolastico non statale coprendo fra il 50 e l'80 per cento dei suoi costi, in sei
Paesi del Nord Europa il finanziamento supera l'80 per cento ed in Svezia raggiunge addirittura il 93 per cento;
tenendo conto del momento di crisi dei conti dello Stato un simile finanziamento non pare proponibile ma è opportuno ricordare che, come successo in Svezia, nel giro di alcuni anni porterebbe ad un abbattimento del costo della scuola statale superiore;
in attesa che anche l'Italia adotti gli standard europei, l'AGESC ha chiesto un adeguamento dei fondi per il sistema paritario da realizzarsi gradualmente nel corso di tre anni usando un mix di strumenti che comprenda da una parte le convenzioni attualmente in atto e dall'altro una detrazione fiscale alle famiglie -:
se intenda esprimersi sulle proposte avanzate dall'AGESC che sono improntate, a parere dell'interpellante, a buon senso e moderazione ed esprimono chiaramente, da un lato considerazioni basate su una realtà incontrovertibile anche se spesso misconosciuta e dall'altro comprensione per la difficile situazione economica del Paese che non può costituire alibi per un immobilismo ingiustificato in questo importante settore.
(2-01451)«Garagnani».
Interrogazioni a risposta immediata:
CESARIO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in diversi insegnamenti, nelle scuole secondarie, sono impegnati docenti che, ancorché privi della prevista abilitazione all'insegnamento, stanno assicurando la continuità didattica in diverse realtà territoriali dove mancano aspiranti abilitanti;
questi docenti hanno gli stessi incarichi e svolgono le stesse mansioni dei loro colleghi abilitati, ma si trovano nell'impossibilità di acquisire l'abilitazione, pur avendo già accumulato anni di lavoro e avendo, giustamente, maturato aspettative di stabilizzazione;
i docenti in oggetto, reclutati in assenza di aspiranti abilitati, per lo più in supplenze annuali dalle rispettive graduatorie di non abilitati, hanno insegnato e insegnano in scuole secondarie statali e parastatali e fino al 2007 potevano conseguire l'abilitazione frequentando la scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario (siss) ed inserirsi nelle graduatorie permanenti degli abilitati;
dopo il 2007, questi docenti che in molti casi sono risultati idonei per la frequenza delle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario, ma che non erano stati ammessi per carenza dei posti riservati nelle scuole di specializzazione, con l'abolizione delle stesse scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario e dei corsi abilitanti riservati, hanno perso qualunque possibilità di conseguire l'abilitazione per l'insegnamento nella scuola secondaria;
attualmente l'unica possibilità di conseguire l'abilitazione è legata all'accesso al percorso abilitante, denominato tirocinio formativo attivo (tfa) previsto nel regolamento sulla formazione iniziale dei docenti;
la fase transitoria di tale regolamento mette sullo stesso piano i laureati senza alcuna esperienza didattica con questi docenti che, oltre ad essere in possesso del titolo di studio richiesto, possono vantare esperienze lavorative direttamente sul campo;
lo stesso regolamento della formazione iniziale, infatti, attraverso i tirocini formativi attivi assegna proprio alle scuole i percorsi formativi, al fine di valorizzare l'esperienza didattica (tirocinio);
tale equiparazione, in questo caso specifico, appare incomprensibile e ingiustificata, come evidenziato dallo stesso Consiglio nazionale della pubblica istruzione, che, in sede di parere sul decreto relativo alla formazione iniziale, aveva
chiesto di prevedere, nella fase transitoria, di ammettere l'accesso automatico al tirocinio formativo attivo dei predetti docenti, anche in soprannumero rispetto ai posti che l'amministrazione dovrà definire annualmente a coloro che avessero accumulato un servizio minimo di almeno un biennio di insegnamento;
stante tale situazione appare necessario portare a soluzione tutte le situazione di precariato, dando un'opportunità al personale docente privo di abilitazione che svolge da anni regolare attività di insegnamento, prima di arrivare ad un più articolato provvedimento che dovrà rivedere tutta la materia del reclutamento dei docenti;
recentemente è stato preannunciato l'avvio delle selezioni per l'accesso ai corsi di tirocinio formativo attivo nel mese di giugno 2012 -:
se non si ritenga opportuno e necessario assumere, anche a livello normativo, tutte le iniziative utili a garantire l'accesso ai percorsi di tirocinio formativo attivo, ai fini dell'acquisizione della specifica abilitazione, per tutti quei docenti che nell'ultimo triennio abbiano maturato almeno 360 giorni di servizio, prevedendo per gli stessi il diritto all'ammissione anche se in soprannumero.
(3-02211)
BINETTI, CAPITANIO SANTOLINI, NUNZIO FRANCESCO TESTA, CARLUCCI, ENZO CARRA, GALLETTI, COMPAGNON, CICCANTI, NARO e VOLONTÈ. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il comma 9 dell'articolo 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, dispone che il mandato dei rettori in carica al momento dell'adozione dello statuto di cui ai commi 5 e 6 è prorogato fino al termine dell'anno accademico successivo;
la ratio della legge è di garantire ad un rettore in carica la possibilità di disporre di un anno aggiuntivo rispetto al proprio mandato, per poter dare attuazione alla riforma universitaria;
notizie di stampa sembrerebbero confermare, tuttavia, che l'interpretazione data dalla direzione università del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca andrebbe nella direzione di considerare possibili proroghe di due anni invece che di una, contro il dettato e lo spirito della legge n. 240 del 2010;
risulterebbe che addirittura alcuni rettori in carica già prorogati, quali, ad esempio, i rettori dell'Università degli Studi di Viterbo, Parma e L'Aquila, intendono impedire il regolare svolgimento di elezioni già convocate dal decano a norma di legge;
da tutto il mondo accademico italiano sale alta la vibrata protesta contro questa interpretazione che sta danneggiando i percorsi di attuazione della riforma in violazione del principio costituzionale di autonomia universitaria;
i fatti in questione costituiscono, a giudizio degli interroganti, patente e gravissima violazione di principi costituzionali e di leggi vigenti e sarebbe opportuno recedere da qualsiasi iniziativa o atto ministeriale volto a danneggiare il regolare svolgimento della vita democratica degli atenei e le elezioni dei nuovi rettori -:
se sia a conoscenza di tale problematica e quali iniziative intenda adottare conseguentemente.
(3-02212)
TESTO AGGIORNATO AL 29 MAGGIO 2012
...
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere - premesso che:
la questione dei lavoratori cosiddetti «salvaguardati», esodati e mobilitati, che
si configurano come coloro che hanno risolto il contratto di lavoro, su richiesta delle proprie aziende con accordi individuali di esodo o collettivi di mobilità, rappresenta uno dei nodi ancora irrisolti della riforma previdenziale definita nel decreto-legge n. 22 del 2011 convertito dalla legge n. 214 del 2011;
la suindicata categoria comprende i lavoratori collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, a seguito di dichiarazione aziendale di esuberi e sulla base di accordi collettivi sottoscritti presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, finalizzati all'accompagnamento alla pensione, e nel contempo alla salvaguardia della posizione dei lavoratori collocati in mobilità lunga ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7, della legge 23 luglio 1991, n. 223, e i soggetti all'esodo incentivato della dichiarazione aziendale di esubero e finalizzato all'accompagnamento alla quiescenza;
nello specifico con il comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito dalla legge 214 del 2011, sono stati esclusi dalle deroghe della riforma quei lavoratori - appartenenti alla categoria della mobilità ordinaria - che non maturano i requisiti di accesso al pensionamento durante il periodo di mobilità, ma che avevano accettato il licenziamento con la prospettiva di ottenere la pensione dopo un breve periodo di attesa a fine mobilità. Sono stati esclusi anche gli esodati non rientranti nella maturazione dei requisiti a 24 mesi contemplati all'articolo 2-ter del decreto-legge n. 216 del 2011, cosiddetto «Milleproroghe»;
fin dall'entrata in vigore del decreto-legge «Salva Italia» la confusione circa il numero esatto degli appartenenti alle suindicate categorie è stata palese: se in un primo momento il Ministero aveva fissato - al comma 14 - il limite «del numero di 50.000 lavoratori beneficiari» della deroga di cui allo stesso comma, successivamente aveva indicato i lavoratori in 65 mila unità dato messo poi in discussione, oltre che dai referenti sindacali, anche dall'Inps e dallo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
in un comunicato diramato in data 12 aprile 2012, dopo diversi e criticati tentennamenti, il Ministero ha comunicato il numero dei cosiddetti «salvaguardati»: secondo la nota «il numero delle persone complessivamente interessate è di circa 65 mila e pertanto l'importo finanziario individuato dalla riforma delle pensioni, attuata con decreto «Salva Italia», è adeguato a corrispondere a tutte le esigenze senza dover ricorrere a risorse aggiuntive»;
paradossalmente i dati diramati dal Ministero non collimano con quanto riferito - poche ore prima - dal direttore generale dell'Inps in occasione di un'audizione presso la Commissione lavoro della Camera dei deputati;
nello specifico il direttore generale dell'Inps ha parlato di 130 mila lavoratori, in 4 anni, ma agli interpellati sorge il dubbio di come siano distribuiti questi numeri tra le categorie in deroga sancite dalle lettere del comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge «Salva Italia» e sorge ulteriormente il dubbio che esistano molti «salvaguardati», esodati anche oltre i 4 anni (soprattutto donne dimessesi con accordi a 50-53 anni, che puntavano alla pensione di vecchiaia a 60 anni);
le informazioni contenute nella nota ministeriale non sembrano fornire molti dettagli circa i criteri di individuazione di coloro che rientrano nei 65 mila, lasciando emergere il dubbio che il numero di lavoratori indicati dal Ministero altro non sia che quello finanziariamente sostenibile dallo stesso, in armonia con quanto già stabilito attraverso gli stanziamenti del decreto «Salva Italia»;
a conferma di quanto suindicato, appare opportuno ricordare il portato del comma 15 dell'articolo 24 del decreto «Salva Italia» nel quale si evidenziava tra l'altro che «Qualora dal predetto monitoraggio risulti il raggiungimento del limite numerico delle domande di pensione, (...)
i predetti Enti non prenderanno in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzate ad usufruire dei benefici previsti (...)»; a tal riguardo se le cifre evidenziate di recente dal Ministero fossero rispondenti alla realtà, quanto riferito nel predetto comma dovrebbe essere abrogato, in considerazione del fatto che le coperture aggiuntive necessarie per gli «esodati» dovrebbero essere attinte anno per anno;
quanto riportato dal succitato comma 15 si configura ad avviso degli interpellanti di dubbia legittimità, in quanto crea una discriminazione all'interno della medesima categoria di cittadini, motivata da una ventilata scarsità di risorse;
a rendere ancora più critico lo scenario entro il quale dovrebbe strutturarsi un auspicato intervento del Governo sul «fronte esodati» sono state le parole del Ministro interpellato che in un recente intervento ha evidenziato che «gli esodati li creano le imprese che mandano fuori i dipendenti a carico del sistema pensionistico pubblico e della collettività», quasi a voler relegare ad avviso degli interpellanti il comparto dei lavoratori «esodati» ad una sottocategoria la cui gestione non spetta al Governo, ma alle imprese, attuando un rovesciamento improvviso e di dubbia legittimità del patto sociale tra Stato, imprese e cittadini garantito dalle norme previgenti, retroattivamente mutate per gli «esodati»;
è opportuno evidenziare che gli esodati rappresentano quei lavoratori che hanno sottoscritto con le aziende - prima dell'entrata in vigore del decreto-legge «Salva Italia», convertito dalla legge n. 214 - accordi individuali in sede sindacale finalizzati alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro;
i lavoratori appartenenti alla suindicata categoria (in buona parte operanti presso realtà ben strutturate come Poste, Telecom, IBM, ENEL, Wind) hanno maturato contributi da 30 a 39 anni e la risoluzione del rapporto di lavoro è stata contraddistinta da una buonuscita pari ad un numero di mensilità ritenuto sufficiente per compensare la mancata erogazione dello stipendio e al versamento - a volte parziale - dei contributi volontari necessari fino all'ottenimento dei requisiti pensionistici vigenti al momento della sottoscrizione dell'accordo. Tale buonuscita è stata insufficiente per molti esodati del biennio 2009-2010 che si sono visti aumentare le «finestre» da 3 a 6 a 12 mesi (in virtù di quanto sancito dal decreto-legge n. 78 del 2010 e poi per aspettativa di vita ulteriori 3 mesi per anno (in virtù di quanto sancito dal decreto-legge n. 98 del 2011); le aziende non hanno integrato i mesi scoperti - anche 9 mesi per il 2012 - per anni successivi;
risulta agli interpellanti che per quanto riguarda i mobilitati la maggior parte di questi ha risolto il proprio rapporto di lavoro in maniera volontaria ai sensi della normativa vigente, alla luce di due imprescindibili presupposti: il primo è che a termine del periodo di mobilità avrebbero avuto accesso alla quiescenza ai sensi della normativa vigente al momento della cessazione del rapporto di lavoro, come nel caso dell'accordo sottoscritto per i 3.700 esuberi della società Telecom Italia il 4 agosto 2010 nell'ambito del piano industriale 2010-2012. Il secondo è che, il dimissionamento avrebbe concesso la permanenza lavorativa dei giovani, evitandone in tal modo il licenziamento;
risulta agli interpellanti che ai sensi dell'articolo 1, comma 1189, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è stato esteso il beneficio di mobilità lunga di cui all'articolo 1-bis del decreto-legge 14 febbraio 2003, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 81, finalizzato all'accompagnamento alla pensione di anzianità, alle condizioni di cui alla normativa vigente al momento dell'entrata in vigore delle norme stesse;
risulta agli interpellanti - alla luce di quanto suindicato -, che la normativa attualmente vigente rischia di modificare in maniera retroattiva una norma speciale, disattendendo di fatto quanto evidenziato
dallo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella nota 14/0000196 dell'11 gennaio 2005 nella quale veniva evidenziato che «poiché le norme in materia di mobilità lunga, fanno specificamente riferimento alla disciplina in materia di pensioni vigente alla data di entrata in vigore delle norme medesime, si può senz'altro ritenere applicabile il principio che la legge speciale deroga alla legge generale anche successiva»;
stando alla discutibile normativa introdotta nel decreto «Salva Italia», oltre ad essere introdotto un chiaro principio di discriminazione, privo di alcun tipo di fondamento se non quello finanziario - i cui aspetti continuano ad essere ancora poco chiari - si rischia di creare una vera e propria impasse sociale poiché non si fornisce alcun tipo di salvaguardia per coloro che non rientrano nelle deroghe del medesimo provvedimento, dinanzi al quale non appare chiara la volontà del Ministero di trovare una soluzione;
in una recente intervista, il Ministro interpellato ha snocciolato un'ulteriore serie di numeri: sono stati forniti i numeri dei lavoratori in mobilità, quelli in mobilità lunga, quelli a carico dei fondi di solidarietà dei settori bancari, e quelli autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione, rispondenti alle diverse categorie «derogate» dall'articolo 24, comma 14, del decreto «Salva Italia». Purtroppo ci si è dimenticati di quelli appartenenti alla lettera e) del medesimo comma, vale a dire quelli che alla data del 4 dicembre 2011 avevano in corso l'istituto dell'esonero dal servizio, e quelli contemplati dall'articolo 2-ter del decreto-legge «Milleproroghe», lasciando di fatto un complesso vuoto informativo da parte dell'amministrazione;
fra i 65 mila lavoratori, stando a quanto risulta agli interpellanti, sarebbero compresi gli esodati che stando alla normativa previgente avrebbero dovuto attendere meno di due anni per arrivare alla quiescenza. Sussiste al momento assoluta mancanza di dati per quanto riguarda il numero preciso di «esodati» a cui mancherebbero tre, quatti i più anni alla maturazione dei requisiti pensionistici di cui alla norma previgente;
alla luce di quanto evidenziato, attualmente un numero non ben definito di lavoratori italiani, si colloca in una sorta di limbo previdenziale contraddistinto dalla mancanza dei requisiti pensionistici e delle coperture finanziarie (ai sensi del decreto-legge «Salva Italia») e dalla mancanza di una collocazione lavorativa (in virtù dei pregressi accordi di esodo e mobilità) che potrebbe durare diversi anni e in base alla quale un'intera generazione viene messa in ginocchio -:
se intenda chiarire i dubbi espressi in premessa, anche evidenziando se trovino conferma le contraddizioni normative e procedurali che risultano agli interpellanti e quali criteri di individuazione/monitoraggio/conteggio siano stati adottati nell'ambito del tavolo tecnico ministeriale per la «determinazione» dei 65 mila lavoratori «salvaguardabili», specificandone la suddivisione per le categorie previste dal comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge «Salva Italia» e dall'articolo 2-ter del decreto-legge «Milleproroghe» e precisando - nel contempo - la suddivisione in categorie dei lavoratori «esclusi» dal citato conteggio.
(2-01454)
«Muro, Di Biagio, Della Vedova».
Interrogazioni a risposta scritta:
EVANGELISTI e GIULIETTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
Poste italiane spa (PI) da decenni persegue la via dell'esternalizzazione di alcuni servizi (il recapito delle raccomandate, per citarne uno) a agenzie partner come la Transystem;
i dipendenti di quest'ultima (circa 300, ovvero parte dei circa 3.000 in totale
operanti nel settore) rischiano di perdere il posto di lavoro nei prossimi due mesi a seguito di una probabile decisione unilaterale delle Poste italiane relativa alla riacquisizione di tutto o di buona parte del lavoro che in precedenza andava appaltando;
non sono state addotte ragioni di alcuna specie ai tagli della quantità di materiale da lavorare già perpetrati a partire dal mese di marzo 2012;
a tutt'oggi non è ancora chiaro se sarà rinnovata l'esternalizzazione di cui sopra e se, quindi, sarà garantito ancora lavoro;
secondo quanto riportato dai diretti interessati, le voci più insistenti parlano o di un rinnovo della gara d'appalto per un fatturato equivalente alla metà di quello attuale, ovvero l'alternativa: o la metà dei dipendenti dovrà rimanere senza lavoro o tutti dovranno accettare di guadagnare metà dello stipendio, o ancora la totale cessazione della collaborazione tramite appalto con le agenzie partner;
si tratta di personale con forte esperienza nel settore postale di cui Poste italiane potrebbe non volersi più avvalere creando in questo modo disagio e difficoltà a intere famiglie ma anche nocumento al cittadino in termini di mancato o insufficiente qualità del servizio;
inoltre, i dipendenti della Transystem godono di una certificazione degli stessi ispettori di Poste italiane in quanto «fiore all'occhiello» nel settore recapito per la competenza e la professionalità dimostrate;
ciò nonostante Poste italiane ha deciso in maniera unilaterale di ridurre il carico di lavoro esternalizzato (nella sede di Pistoia si tratta di una riduzione pari a circa il 40 per cento del carico di lavoro) creando un vicolo cieco per le agenzie appaltatrici che hanno dovuto ricorrere gioco forza a tagli al personale, ferie forzate, contratti di solidarietà, e altro in tutte le sedi della Transystem (Pistoia, Prato, Forlì, Modena, Trieste, La Spezia, Genova e Mantova) e in tutte le altre agenzie partner delle Poste italiane -:
di quali ulteriori informazioni dispongano i Ministri interrogati con particolare riferimento al possibile rinnovo dell'esternalizzazione di cui alla premessa;
quali provvedimenti si intendano adottare perché si possa evitare di creare ulteriore disagio a quanti già affrontano evidenti difficoltà quotidiane dovute alla riduzione del carico di lavoro delle agenzie partner delle Poste italiane.
(4-15729)
CALEARO CIMAN. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 4 del decreto legislativo n. 468 del 1997 prevede che tra i destinatari di progetti relativi a lavori socialmente utili vi possano essere anche lavoratori in lista di mobilità ordinaria e lunga aventi diritto all'indennità e i lavoratori in cassa integrazione straordinaria;
i lavoratori in mobilità ordinaria-lunga impegnati in lavori socialmente utili godono già di una indennità che viene corrisposta dall'Inps e possono essere impegnati per un orario settimanale corrispondente alla proporzione tra indennità percepita e il trattamento di un dipendente dell'ente utilizzatore, in ogni caso per non meno di 20 ore settimanali e non più di 8 ore giornaliere;
per i lavoratori impegnati in lavori socialmente utili che percepiscono l'indennità dell'Inps di mobilità o cassa integrazione straordinaria decorrono i contributi figurativi valevoli a tutti gli effetti ai fini del calcolo della pensione;
i lavoratori in mobilità ordinaria o quelli in mobilità lunga, se rifiutano un'offerta di lavori socialmente utili, vengono cancellati dalle liste dell'ufficio provinciale del lavoro; inoltre, per i lavoratori in mobilità ordinaria, è prevista la perdita dell'indennità, e per quelli in mobilità lunga, oltre alla perdita dell'indennità subentra l'aggravante del non raggiungimento
della pensione, alla fine del periodo di mobilità; ai lavoratori in cassa integrazione straordinaria, in caso di rifiuto, verrà sospeso l'assegno Inps per un periodo pari a quello di lavoro rifiutato;
il rifiuto del lavoro socialmente utile è legittimo solo nel caso in cui la distanza tra abitazione e luogo di lavoro sia superiore ai 50 chilometri ovvero quando la percorrenza del tragitto da casa a lavoro, con i mezzi pubblici, sia superiore ad un ora -:
quanti siano i lavoratori in mobilità sia ordinaria che lunga e i lavoratori in cassa integrazione straordinaria che nel 2011 sono stati utilizzati in lavori socialmente utili;
quanti siano i lavoratori in mobilità sia ordinaria che lunga e i lavoratori in cassa integrazione straordinaria che nel 2011 hanno rifiutato l'offerta di lavori socialmente utili e che sono incorsi nelle sanzioni previste in casi di rifiuto e quanti di questi abbiano rifiutato per motivi legittimi;
quali siano le regioni nelle quali, nel 2011, sono state avviate offerte per lavori socialmente utili.
(4-15730)
...
SALUTE
Interrogazioni a risposta immediata:
DI PIETRO, DI GIUSEPPE e PALAGIANO - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in merito alla possibilità di revocare gli incarichi commissariali conferiti dal precedente Governo al presidente della regione Molise, Michele Iorio, in conseguenza della sua evidente gestione fallimentare circa il rientro dal disavanzo sanitario della medesima regione, gli interroganti avevano presentato il 31 gennaio 2012 un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea (3-02063);
in quella occasione il Ministro interrogato ebbe a dichiarare: «Si dà un'altra possibilità alla regione Molise, attraverso la nomina di un altro sub-commissario, con caratteristiche idonee ad attuare il piano sanitario e, dunque, riuscire a realizzare finalmente gli obiettivi che tutti auspichiamo, dando un'ulteriore - starei per dire un'ultima - possibilità, prima di attivare una procedura diversa, che è prevista pure dall'ordinamento - comma 84 dell'articolo 2 della legge n. 191 del 2009 (il famoso comma 84) - e che prevede la sostituzione del presidente della regione, con poteri ulteriori del Governo, che non soltanto dicano al presidente della regione: «fai il commissario», ma impongano: «stabiliamo noi quali siano i provvedimenti da adottare per assicurare l'efficacia del piano di riqualificazione e di rientro»;
si ricorda che il presidente Iorio è al suo al terzo mandato, nonché commissario per il risanamento dei debiti della sanità molisana, commissario per la ricostruzione post sisma e commissario per l'emergenza alluvione;
a completare il quadro e ad aggravare la situazione e rendere imbarazzante e insostenibile il ruolo di commissario svolto dal presidente della regione Molise, oltre alla suddetta gestione fallimentare in ambito sanitario, va ricordata la condanna del 22 febbraio 2012 in primo grado - con pena sospesa - dal tribunale di Campobasso ad un anno e sei mesi di reclusione per abuso d'ufficio e all'interdizione dai pubblici uffici per il medesimo periodo, nell'ambito dell'inchiesta «Bain and Co», società dove lavora Davide Iorio, figlio di Michele, cui sono state illegittimamente affidate due consulenze, una in materia di sanità e l'altra di autostrade - definite «fantasma», in quanto nessuno dell'amministrazione molisana ha saputo indicarne motivi, contenuti o risultati;
non va inoltre trascurata, inoltre, la questione relativa al progetto Mef della regione Molise sul controllo della spesa farmaceutica, costato 4 milioni di euro e rimasto fermo a metà dell'opera, rispetto
alla quale urge una verifica su ogni passaggio di questa complicata vicenda, al fine di accertare quali siano, e di chi, le responsabilità per l'ulteriore, evidente spreco di denaro pubblico;
peraltro, la procura di Campobasso ha chiuso l'inchiesta sulla ricostruzione dopo il terremoto del 2002 e ha inviato un avviso di garanzia al presidente della regione Molise Michele Iorio. Il presidente, nella sua qualità di commissario per la gestione dell'emergenza sisma, è indagato per abuso d'ufficio e indebita percezione di soldi ai danni dello Stato, in merito ai fatti avvenuti tra il 2003 e il 2011. Complessivamente il presidente Iorio risulta indagato in oltre otto inchieste da parte della procura di Campobasso;
circa i fatti sopra esposti gli interroganti avevano presentato, il 27 marzo 2012, un'ulteriore interrogazione a risposta immediata in Assemblea (3-02173), chiedendo di revocare gli incarichi commissariali conferiti al presidente della regione Molise;
in risposta a detta ulteriore interrogazione, il Ministro interrogato, in relazione alle procedure che il Governo poteva mettere in atto, dichiarava che la procedura «prevede che vi sia la verifica annuale, nel caso della regione Molise il prossimo 3 aprile 2012. Alla luce di questa verifica si stabilirà la possibilità di applicare o meno il comma 84, che ho già citato. Dunque, le misure che il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero della salute prenderanno sono successive all'esito della verifica», sottolineando inoltre che «c'è anche da verificare la possibilità di applicare nel caso di specie l'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo n. 149 del 2011 in materia di meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni»;
si ricorda che il suddetto riferimento fatto dal Ministro interrogato, all'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo n. 149 del 2011, concerne la possibilità da parte del Governo di nominare un commissario che sostituisce il presidente della giunta regionale nominato commissario ad acta, qualora si verificano una o entrambi le seguenti condizioni:
a) il presidente della giunta regionale, nominato commissario ad acta, non abbia adempiuto, in tutto o in parte, all'obbligo di redazione del piano di rientro o agli obblighi operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso;
b) si riscontri, in sede di verifica annuale, il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con conseguente perdurare del disavanzo sanitario oltre la misura consentita dal piano medesimo o suo aggravamento -:
quali siano stati i risultati della verifica annuale sul disavanzo sanitario prevista il 3 aprile 2012 per la regione Molise e se non ricorrano i presupposti di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 149 del 2011, al fine della rimozione del presidente della regione Molise quale commissario ad acta.
(3-02209)
GAROFALO e GERMANÀ. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
i problemi sanitari delle isole, in particolare delle isole minori, richiedono analisi e interventi specifici finalizzati a ridurre gli svantaggi e le fragilità strutturali che caratterizzano situazioni geografiche peculiari;
a fronte delle criticità e carenze che caratterizzano l'attuale risposta sanitaria alla domanda della popolazione siciliana, urgono soluzioni appropriate e coerenti con i livelli essenziali di assistenza;
in particolare, come già evidenziato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-12446 del 23 giugno 2011 e nell'interrogazione a risposta orale n. 3-01864 del 3 ottobre 2011, rispetto alle quali ad oggi non risulta pervenuta risposta da parte del Ministro interrogato, in base alla nuova mappa delineata dall'assessorato alla salute della regione Sicilia mediante il decreto regionale di riordino e riorganizzazione
della rete di punti nascita, il territorio della provincia di Messina si troverebbe ad essere servito da un numero di punti nascita esiguo e mal distribuito rispetto alla sua peculiare conformazione e deficit infrastrutturale;
il decreto regionale pubblicato il 5 gennaio 2012 prevede, infatti, la chiusura dei punti nascita che registrano meno di 500 parti l'anno, con la previsione di uno standard di 1.000 parti verso cui si dovrà tendere nell'arco di un triennio, sulla base dei criteri e delle indicazioni contenute nell'accordo raggiunto nel 2010 in Conferenza Stato-regioni;
nel decreto si stabilisce la chiusura di 23 punti nascita, tra i quali quelli dell'isola di Lipari, di Barcellona Pozzo di Gotto e di Mistretta, non tenendo conto delle peculiarità dei territori di riferimento che comportano l'oggettiva difficoltà o impossibilità di garantire, entro tempi congrui, il trasferimento delle pazienti verso strutture di secondo livello;
il piano sanitario regionale prevede, invece, come eccezione alla disattivazione dei punti nascita con numero di parti inferiori a 500 all'anno, la peculiare situazione dei punti nascita in zona disagiata e/o con notevole distanza dalle strutture di riferimento ostetrico/ginecologiche di livello superiore più vicine;
una recente sentenza del tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sede di Palermo, ha annullato il suddetto decreto assessoriale, per difetto di motivazione, proprio nella parte in cui prevede la disattivazione del punto nascita di primo livello presso l'ospedale di Lipari, in quanto contrastante con le previsioni del piano sanitario regionale 2011/2013;
la sentenza mette, altresì, in luce la contraddittorietà del decreto che stabilisce, da una parte, di tenere conto delle eventuali modifiche in dipendenza dell'adozione, da parte del Ministero della salute, del piano nazionale isole minori, mentre, dall'altra, non contempla l'ospedale di Lipari tra le strutture mantenute operative;
la medesima sentenza ha, ancora, disposto a carico dell'azienda sanitaria provinciale di riferimento l'onere di verificare che la struttura ospedaliera continui, nelle more di una definitiva riorganizzazione del sistema nelle isole minori, a garantire all'utenza il servizio pubblico relativo al percorso nascita;
il fondo sanitario nazionale prevede risorse vincolate finalizzate allo svolgimento di progetti dedicati alle isole minori, destinati al rafforzamento delle strutture;
nelle isole minori i presidi di primo livello di assistenza di emergenza-urgenza risultano fondamentali al fine di garantire adeguate prestazioni sanitarie, con la possibilità di gestire il paziente nel caso in cui le condizioni del mare e le condizioni climatiche non consentano il trasporto -:
quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere, nel rispetto dell'autonomia regionale, per assicurare che nei territori orograficamente vari e svantaggiati dal punto di vista infrastrutturale, nonché nelle isole minori della Sicilia, venga garantito il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e, in particolare, il mantenimento di punti nascita di primo livello.
(3-02210)
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi si sono infatti verificati casi di sindrome emolitico-uremica (SEU) associati a infezione da escherichia coli produttore di verocitotossina (VTEC) in pazienti in età pediatrica probabilmente acquisite attraverso il consumo di latte crudo (non pastorizzato) contaminato. La stessa problematica si è verificata già altre volte negli scorsi anni, tanto che con un'ordinanza del 10 dicembre 2008, il Ministro della salute pro tempore aveva stabilito che «il latte crudo deve essere venduto attraverso i distributori automatici, appositamente registrati e controllati
dalle Asl, che devono riportare correttamente l'indicazione che il latte crudo è da consumarsi previa bollitura, mentre in caso di cessione diretta è il produttore che deve obbligatoriamente informare su tale modalità di consumo». La bollitura è indispensabile per eliminare eventuali agenti patogeni presenti nel latte: nonostante i rigorosi controlli non è possibile garantire una totale sicurezza. «I bambini che l'anno scorso sono stati colpiti dalla sindrome emolitica uremica sono stati 40 - spiega Alfredo Caprioli, responsabile del Laboratorio comunitario differenza per l'escherichia coli presso l'istituto Superiore di Sanità -. Una bambina purtroppo non ce l'ha fatta, e il 25 per cento dei pazienti non recupera a pieno le funzionalità renali. La correlazione diretta tra la sindrome e l'assunzione di latte non c'è perché il nostro studio epidemiologico si basa sulle interviste alle famiglie. Ma è emerso che molti bambini avevano bevuto latte crudo nei giorni precedenti alla malattia, che ovviamente non era più disponibile per le analisi»;
per «latte crudo» si intende quello vaccino che non ha subito trattamenti termici (per esempio la pastorizzazione a 72o per 15 secondi). La sua storia è iniziata nel 2004 in Lombardia, con una decina di punti vendita che in poco tempo sono diventati centinaia. Oggi i distributori sono 1.439 in tutta Italia distribuiti in 92 province. Non sono diffusi nelle grandi città, ma nei piccoli centri sono ormai una realtà da tempo e Assolatte stima un consumo di circa 7 milioni di litri all'anno (contro i 1.100 milioni di latte pastorizzato). Di certo è che il «latte crudo» è abbastanza economico, perché in genere un litro costa 1 euro (perché si accorciano le distanze e i costi di distribuzione) a cui va aggiunto solo qualche centesimo se non si porta la bottiglia di vetro. Inoltre, quasi tutto il costo viene conferito all'allevatore, un modo per incentivare la sostenibilità delle aziende agricole. Dal 2006 l'Istituto superiore di sanità segnala la possibilità di riscontrare occasionalmente nel latte crudo batteri patogeni come la salmonella, listeria, campylobacter e soprattutto l'escherichia coli O 157:H7, quest'ultima responsabile di infezioni intestinali che possono essere associate a complicanze gravi come la appunto la sindrome emolitico uremica (SEU) caratterizzata da insufficienza renale e frequente soprattutto nelle fasce deboli (soprattutto bambini). Molti produttori obiettano però che «il latte crudo dei distributori passa direttamente dalla mammella della mucca al contenitore refrigerato e la possibilità di infezioni sono quasi inesistenti». Il problema è spesso il mantenimento della temperatura a 4o in tutte le fasi della distribuzione (soprattutto nel trasporto a casa);
Andrea Ghiselli, nutrizionista, ricercatore dell'Inran (Istituto nazionale ricerca alimenti e nutrizione) di Roma non ha dubbi: «Molto meglio il latte pastorizzato. La pastorizzazione è il miglior metodo per "sanare" il latte e non privarlo di importanti principi nutrizionali. Ciò non toglie che si possa consumare anche latte crudo, ma rigorosamente bollito per evitare seppur rari risvolti pericolosi per la salute. Certo, con questo processo si perde qualche valore nutrizionale, ma in una società iper nutrita come la nostra non è un gran problema» -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di prevenire l'insorgenza di epidemia da escherichia coli, soprattutto nei bambini, nonché per verificare la corretta manutenzione dei distributori di latte crudo presenti nel territorio italiano.
(4-15721)
JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la tragedia di Teresa Sunna, la ragazza di 28 anni morta il 24 marzo 2012 in un laboratorio di Barletta a causa dell'anestesia relativa all'esame per la presenza di helicobacter effettuata con il nitrito di sodio, ha portato in evidenza il problema della vendita online dei prodotti che possono incidere sulla salute. Il mercato della contraffazione ha nella rete una
risorsa formidabile: il volume d'affari delle vendite di medicine online è di 70 miliardi di dollari, che secondo l'Organizzazione mondiale della sanità rappresenta il 10 per cento del mercato farmaceutico mondiale. Per l'European Alliance for access to safe medicines, il 62 per cento dei farmaci venduto online è contraffatto, e per l'Aifa, il 70 per cento di essi è pericoloso in relazione alla contraffazione;
la diffusione dei farmaci truffa in Europa è inferiore all'1 per cento, e in Italia grazie ai controlli siamo ancora allo 0,1 per cento. Molto colpite invece l'Africa (il 68 per cento del mercato del farmaco in Nigeria è coperto da medicine cinesi contraffatte), il Sud-est asiatico e l'America Latina dove si arriva al 10 per cento con punte anche del 30. Le grandi dimensioni del mercato illegale sono spiegabili con l'altissima redditività dell'investimento criminale: un guadagno di 2.500 euro per ogni euro impiegato illecitamente in questo settore, mentre il mercato della droga ha un rapporto di 1 a 16. Un altro motivo della diffusione dei falsi consiste nel fatto che per le gravi patologie in molti Paesi i farmaci non vengono forniti gratuitamente. Per provenienza, la maggioranza dei farmaci contraffatti origina in Asia, principalmente Cina (70 per cento), dove ogni anno 2-300.000 decessi sono imputati all'assunzione di questi medicinali, e India. In effetti, pochi farmaci cinesi esibiscono la certificazione Oms di qualità. Almeno in India si è avviata l'azione regolatrice del Governo, e oggi il Paese è il più grande produttore di generici per i Paesi poveri, con certificazione Oms;
il fenomeno cresce in modo incontrollato: secondo un'indagine di Repubblica, cliccando la voce buy viagra su Google si aprono 106 milioni di siti rispetto ai 29,2 del 2011, mentre per la voce buy anabolic si è passati dai 4.960.000 risultati nel maggio 2011 ai 9.900.000 di oggi. La dark web, anonima e globale, è facilitata da una rete mondiale di utenti e venditori non identificabili ed è quindi molto difficile, anche se non impossibile, per le autorità tenere traccia dei siti illegali. Il farmacologo Silvio Garattini, fondatore dell'Istituto ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, spiega: «I responsabili di questi siti agiscono come primule rosse: aprono, chiudono e riaprono per cui è assai difficile identificarli. Non è possibile risalire ai responsabili se qualcosa va storto: non c'è azienda farmaceutica né medico o farmacista cui rivolgersi». L'universo della rete non ha confini: la quasi totalità delle farmacie online, per lo più ubicate su server americani, canadesi ed inglesi, sono totalmente fuorilegge. Legitscript, unico servizio di verifica e controllo delle farmacie online riconosciuto dalle federazioni dei farmacisti, sottolinea che su 227.792 farmacie online monitorate, di cui 40.238 attive, solo 246 sono risultate legali. Dalle rilevazioni emerge dunque una realtà di 40mila farmacie false o illegali: spesso i portali operano con la tecnica del dropshipping, si occupano cioè di prendere ordinativi online e smistarli a società terze, solitamente in Paesi in via di sviluppo come India e Cina;
per le dogane internazionali è quasi impossibile intervenire. I farmaci, presentati con gli stessi nomi, non sono quelli che hanno regolarmente ottenuto l'autorizzazione alla commercializzazione, o sono stati mal conservati, con sostanze di scarsa qualità o inattive o addirittura non presenti, o ancora sotto o sopra dosati - come alcuni prodotti antiobesità che contengono più di tre volte la dose giornaliera raccomandata di sibutramina. Tra i farmaci più venduti, oltre quelli per le prestazioni sessuali e gli anabolizzanti, sono da menzionare la pillola del giorno dopo che sta per entrare in commercio in Italia, ElleOne, perché il web permette di aggirare il test di gravidanza. Diffusa la psichiatria fai da te: psicofarmaci, antidepressivi, tranquillanti, ipnoinduttori, e poi diuretici, antiepilettici, antiasmatici, ormoni. Su rxhealthdrugs.com si può acquistare una confezione di nandrolone e una di oxymetholone ma si può pagare solo tramite agenzie per il trasferimento di denaro, intestando la somma ad alcuni nominativi residenti a Chisinau, in Moldavia;
ci sono portali fornitissimi, dove si passa dal diuretico Lasix usato dai culturisti per l'effetto corpo scolpito, agli antidepressivi come la paroxetina, il citalopram o l'amitriptlina. Farmaci come lo Xanax, ansiolitico, o il Lexotan, dilagano. I prezzi di medicinali a base di benzodiazepine, o gli antidepressivi più comuni, si aggirano tra i 3 ed i 10 euro: come tali, ha accertato l'americana Fda, vengono spesso venduti antipsicotici, con effetti collaterali gravi sul sistema nervoso e respiratorio. Su siti come pharmacymart.com è possibile comprare confezioni di Xenical da 120 pastiglie per 45 euro: è un inibitore dell'assunzione dei grassi da parte dell'intestino, pericoloso per chi ha problemi renali. Il motivo per cui si ricorre ad internet è l'anonimato, e nell'85 per cento dei casi la ricetta non viene richiesta. E poi i prezzi: il Viagra online costa dieci volte meno. Ora, secondo l'International Narcotics Control Board sono i social network i luoghi virtuali in cui ha più successo il marketing dei rivenditori illegali. Per questo, chiedono le associazioni dei consumatori, i provider devono filtrare i siti inseriti nella black list, indicando all'utente lo stop alla navigazione. L'ultima azione messa in campo contro la vendita di farmaci online dall'Unione europea è la direttiva 2011/62, che modifica il codice farmaceutico e a partire dal 2013 contribuirà all'introduzione di norme stringenti che renderanno più difficile l'ingresso di prodotti contraffatti o illegali in Europa e, di conseguenza, anche in Italia -:
quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare, anche alla luce di quanto dolorosamente accaduto a Barletta, al fine di evitare che istituti di cura, sia pubblici che privati, ma anche singoli cittadini, acquistino farmaci online, senza alcuna sicurezza.
(4-15723)
JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
migliorare la qualità di vita dei pazienti con fibrosi cistica e garantire al tempo stesso una maggior aderenza al trattamento e un minor rischio di infezioni, è quanto promette un innovativo erogatore wireless di tobramicina, un antibiotico spesso impiegato nel trattamento di pazienti con fibrosi cistica. Questa malattia genetica è caratterizzata da un'alterata capacità di produrre le secrezioni: a causa del difetto il muco presente nelle vie respiratorie, ma anche le lacrime, il sudore, la saliva e i succhi digestivi sono più densi e viscosi. Le principali conseguenze sono a carico dei polmoni che vanno incontro a una progressiva perdita della loro funzione. Non è raro poi che la malattia venga complicata da un'infezione cronica da pseudonomas aeruginosa, un particolare batterio la cui presenza rende necessario il ricorso agli antibiotici;
quella antibiotica è solo una delle terapie che quotidianamente sono obbligati a fare i pazienti affetti da questa malattia: si stima che ogni paziente debba dedicare ogni giorno un minimo di due ore alle cure: deve eseguire esercizi di fisioterapia, assumere enzimi pancreatici per digerire, vitamine per sopperire alle perdite che si verificano e, in caso di riaccensioni infettive polmonari, cicli di terapia antibiotica. Quest'ultima, per «risparmiare» un eccessivo carico di farmaco per via generale, viene spesso effettuata per via inalatoria. Punti deboli di questo trattamento sono però la durata - circa 20 minuti che si aggiungono al già gravoso impegno quotidiano del paziente -, e la «manutenzione» degli apparecchi per l'aerosol terapia che necessitano di pulizia e disinfezione regolari. Non sorprende perciò che diverse indagini effettuate mostrino come, nonostante le raccomandazioni, solo una minoranza dei pazienti pulisca e disinfetti regolarmente i dispositivi per l'aerosolterapia. Una mancanza che può avere conseguenze potenzialmente gravi in quanto la contaminazione batterica dei nebulizzatori aggrava ulteriormente il rischio di infezioni;
il nuovo dispositivo, che sfrutta una particolare tecnologia denominata PulmoSphere, è in grado di erogare la tobramicina in particelle a bassa densità migliorandone
la deposizione polmonare e la velocità di somministrazione. «La terapia antibiotica inalatoria rappresenta un salto di qualità per le persone affette da fibrosi cistica - commenta il professor Giuseppe Magazzù, ordinario di pediatria all'università di Messina e presidente della Società italiana per lo studio della fibrosi cistica (SIFC) -; il nuovo dispositivo riduce significativamente il tempo di assunzione della terapia (che si riduce a soli 5 minuti contro i 20 della nebulizzazione tradizionale), permette di avere una maggiore diffusione di farmaco nei bronchi e nei polmoni e rende possibile, per chi lo impiega, vedere subito se ha utilizzato tutto il farmaco e se lo ha inalato correttamente. Grazie a queste caratteristiche ci aspettiamo che questa nuova formulazione incrementi l'aderenza alla terapia che è uno dei nostri obiettivi principali»;
un altro momento centrale del trattamento della fibrosi cistica è rappresentato dalla fisioterapia. Cercare di renderla più «divertente» è fra gli obiettivi di Vivi Wireless, una campagna nata dalla collaborazione della Lega italiana fibrosi cistica con Novartis, grazie al sostegno della Società italiana per lo studio della fibrosi cistica SIFC e di Microsoft. Vivi wireless consentirà ai pazienti di integrare la fisioterapia con appositi esercizi della consolle XBOX Kinect, di cui saranno dotati tutti i centri per la fibrosi cistica presenti in Italia. «Ci auguriamo che molti di coloro che oggi non praticano adeguata attività fisica, possano trovare utile questo nuovo strumento - sottolinea Franco Berti, Presidente della Lega italiana fibrosi cistica. Wireless sta proprio per richiamare i concetti di libertà, di autonomia e di lievità, traguardi auspicabili, ma non sempre facili da raggiungere per chi è affetto da fibrosi cistica» -:
quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda adottare al fine di realizzare un protocollo per l'utilizzo, da parte di tutti i malati di fibrosi cistica, del dispositivo studiato dal professor Giuseppe Magazzù.
(4-15727)
FUCCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come già evidenziato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-15548, l'Agenas ha recentemente evidenziato la notevole disomogeneità esistente, in termini di qualità delle prestazioni erogate, sul territorio nazionale, con differenze notevoli anche nell'ambito delle singole regioni;
significativo è il dato riguardante uno degli indicatori più importanti nel settore ospedaliero: la lunghezza delle liste di attesa;
infatti, in media nel Mezzogiorno ci sono molte più possibilità di quanto avvenga nel centro-nord, per essere operati, di attendere più delle 48 ore fissate come limite massimo accettabile dagli standard internazionali;
come riportato dalla stampa locale (si veda per esempio, il Corriere del Mezzogiorno del 1° aprile 2012), la situazione delle liste di attesa è per molti aspetti da tenere sotto osservazione nella regione Puglia, dove in alcune ASL (in particolare quelle di Foggia, Bari e Brindisi) vi sono tempi mediamente molto lunghi -:
quali iniziative di competenza, nel rispetto dell'autonomia regionale in materia di gestione sanitaria e nell'ottica di contribuire al pieno raggiungimento dei livelli essenziali di assistenza nella Regione Puglia, intenda assumere in merito a quanto esposto in premessa.
(4-15738)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazione a risposta immediata:
DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro dello sviluppo economico - Per sapere - premesso che:
l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha annunciato che, a partire dal 1o aprile 2012, il prezzo della bolletta dell'energia elettrica crescerà del 5,8 per cento, rinviando al mese di maggio 2012 un ulteriore aumento di circa il 4 per cento, con questo affermando la volontà di «dare un segnale, chiaro e concreto, ai decisori delle politiche energetiche»;
tale comportamento, ad avviso degli interroganti, appare quantomeno irrituale perché all'Autorità, organo tecnico e super partes, spetta il compito di registrare, con trasparenza, oggettività e tempestività, le variazioni nella struttura dei costi, che portano all'incremento della bolletta, astenendosi da valutazioni di opportunità politica;
tale modus operandi è, inoltre, foriero di conseguenze negative per i consumatori, perché la dilazione dell'ulteriore aumento della bolletta elettrica, a fronte di costi già maturati, scarica sulla bolletta stessa e sui consumatori gli interessi relativi allo spostamento dell'incasso. In altre parole, questo «circa 4 per cento», che viene rinviato, verrà pagato, con gli interessi, da maggio 2012 in poi;
in una situazione di continuo aumento dei prezzi energetici per le famiglie e le imprese appare, quindi, del tutto inopportuno che la scelta «discrezionale» dell'Autorità di rinviare il rincaro finisca per essere pagata ancora una volta in termini di ulteriore aumento (dovuto agli interessi sulla dilazione) dei costi per gli utenti -:
quali iniziative, anche di natura normativa, intenda il Ministro interrogato porre in essere per dare soluzione al problema illustrato in premessa.
(3-02208)
Interrogazione a risposta scritta:
NICOLUCCI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
nella seduta del 28 marzo 2012 la Camera dei deputati ha approvato, col parere favorevole del Governo, una mozione unitaria sulle misure per lo sviluppo economico e imprenditoriale del Mezzogiorno;
la mozione si basa sulla necessità di «mettere al centro dell'azione politica nazionale la coesione territoriale e il superamento delle diseguaglianze sia il modo per contribuire a far uscire il Paese dalla crisi in cui si trova»;
altresì la mozione sottolinea che bisogna «partire dalle zone deboli significa rilanciare anche le zone forti del Paese e così avere uno sviluppo equilibrato, come è stato detto nelle più alte sedi istituzionali»;
a parere dell'interrogante particolarmente urgente è intervenire in merito a tre specifici temi:
a) la razionalizzazione e l'efficientamento del sistema alla base della distribuzione di risorse per la coesione e lo sviluppo;
b) l'avvio materiale di cruciali opere infrastrutturali e non solo già individuate dallo Stato come prioritarie e ora in attesa di concreta attuazione;
c) il sostegno agli imprenditori che, pur in contesti di forte sofferenza, hanno la forza e l'intraprendenza per creare nuova occupazione;
è altresì opportuno proseguire sul solco tracciato dal Governo Berlusconi che,
proprio sui temi sopra individuati, ha messo in atto azioni importanti, dall'accordo con la Commissione europea del novembre 2011 per recuperare ingenti fondi comunitari da destinare al Mezzogiorno e che sarebbero altrimenti andati perduti entro lo scorso 31 dicembre alla riforma del Fondo per la coesione e lo sviluppo sociale, fino all'introduzione (con l'articolo 2 del decreto legge n. 78 del 2011) di una prima forma di credito di imposta per le imprese meridionali che creano posti di lavoro a tempo indeterminato -:
quali iniziative il Governo ritenga di assumere, nella consapevolezza che la crescita del Mezzogiorno è fattore cruciale per l'uscita dell'Italia dalla recessione, al fine di dare seguito agli impegni contenuti nella mozione approvata dalla Camera il 28 marzo 2012;
in particolare, in che modo il Governo ritenga di poter implementare le misure già avviate dal Governo Berlusconi e ricordate in premessa;
quali siano i risultati che il Governo attende dall'azione, portata avanti dall'attuale Ministro per la coesione territoriale in continuità con il suo predecessore nel precedente Esecutivo, di concertazione con le regioni per l'utilizzo dei fondi strutturali europei.
(4-15733)
...
Apposizione di firme ad interrogazioni.
L'interrogazione a risposta scritta Lucà e altri n. 4-15689, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 aprile 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rossa.
L'interrogazione a risposta in Commissione Renato Farina e altri n. 5-06603, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 aprile 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Delfino.
Pubblicazione di testi riformulati.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Crosetto n. 1-00913, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 602 del 12 marzo 2012.
La Camera,
premesso che:
gli istituti bancari svolgono il ruolo di raccogliere fondi dai risparmiatori e trasferirli a imprese e privati che ne hanno bisogno per le proprie esigenze personali o aziendali. Oltre a concedere prestiti a imprese e famiglie, le banche svolgono anche attività finanziarie di varia natura: ad esempio, comprano titoli di aziende e Stati, concedono finanziamenti ad altri intermediari finanziari. Si tratta di un'attività fondamentale per l'economia moderna, senza la quale l'intero sistema economico attuale non potrebbe esistere. Un'attività quella del credito che mantiene la qualità fondamentale di servizio;
la principale legge italiana che regola il funzionamento dell'attività bancaria è il testo unico bancario, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, con tutte le successive modificazioni e integrazioni. Secondo questo testo unico, l'attività bancaria è definita come l'esercizio congiunto dell'attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e dell'attività di concessione del credito (articolo 10). In Italia ci sono circa 800 banche, delle quali circa il 30 per cento ha la forma di società per azioni. Poco meno di 50 le banche popolari, più di 400 le banche «di credito cooperativo» e circa 80 le succursali delle banche estere;
il ruolo della banca è senza alcun dubbio cruciale per ogni economia avanzata, e non solo; la storia d'Europa e il suo sviluppo evidenziano in maniera esemplare come il ruolo del credito rappresenti uno dei pilastri fondamentali delle economie più sviluppate. Senza il ricorso al credito, aziende e persone dovrebbero occuparsi personalmente di trovare finanziatori
per le proprie attività, con costi elevati e scarse probabilità di successo. Attraverso le banche, invece, possono accedere al risparmio di altri soggetti, reso disponibile attraverso il sistema bancario. Allo stesso modo, senza le banche i risparmiatori dovrebbero valutare da soli gli investimenti e verificare il regolare andamento dei pagamenti degli interessi e la restituzione del capitale prestato. In ragione di questa importanza, le leggi italiane, comunitarie e internazionali regolano l'attività bancaria con norme specifiche, diverse da quelle che riguardano gli altri intermediari finanziari;
la costituzione di un'impresa bancaria è sottoposta ad autorizzazioni da parte della Banca d'Italia, che svolge anche un importante ruolo di controllo durante l'attività bancaria;
nell'ultima indagine trimestrale, la Banca d'Italia, in oltre metà delle imprese, ha dichiarato di vedere un peggioramento della situazione economica nei prossimi mesi ed è quasi raddoppiata, al 28,6 per cento dal 15,2 per cento della precedente inchiesta, la quota delle imprese per le quali le condizioni di accesso al credito sono peggiorate;
le ragioni di queste difficoltà sono di due tipi. In primo luogo, c'è da parte delle banche un problema di liquidità, soprattutto per quanto riguarda gli impieghi a medio termine. L'instabilità dello scenario finanziario ha inaridito molti dei tradizionali canali di finanziamento, da quelli più semplici, come l'interbancario, a quelli più complessi, riferibili alle operazioni sovranazionali in valuta. Le banche si trovano così nell'esigenza di garantire la copertura delle operazioni correnti e devono ridurre gli spazi per i finanziamenti alle imprese;
in secondo luogo, c'è un problema di costi. Per le banche è sempre più oneroso aumentare la propria raccolta e ottenere capitali per il forte rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani. C'è in questo periodo una vera e propria rincorsa ad offrire condizioni sempre più appetibili a chi deposita i propri soldi in banca: un anno fa era già un successo spuntare un tasso dell'1 per cento sui depositi, mentre ora, con un vincolo di un anno, si supera tranquillamente quota 4 per cento. I risparmiatori sono avvantaggiati, ma chi chiede soldi in prestito deve accettare tassi decisamente più elevati;
per le piccole e medie imprese le prospettive rischiano, poi, di essere ancora più difficili, perché il sistema bancario continua ad essere fortemente impegnato verso i grandi gruppi, che non attraversano anch'essi un momento favorevole;
le imprese, quindi, hanno di fronte un credito difficile e più caro proprio in un momento come questo in cui sarebbero necessari forti investimenti per rinnovare gli impianti, accrescere la competitività, finanziare la ricerca;
anche il mercato immobiliare risente delle crisi; infatti, l'andamento del mercato del credito alle famiglie continuerà a essere comunque influenzato dal contesto economico internazionale e la richiesta di finanziamenti, attualmente in calo, è determinata anche dalle prospettive di sacrificio previste per gli italiani dalle recenti manovre e dall'impennata dei tassi per i prodotti di credito. Per i prossimi mesi, quindi, ci si attende ancora una contrazione dei mutui e quindi degli acquisti;
il ruolo delle banche negli ultimi trent'anni è profondamente mutato. Infatti, gli istituti bancari nel dopoguerra hanno svolto un ruolo cruciale per lo sviluppo economico del sistema capitalista, incentrato a quell'epoca sulla relazione virtuosa tra il settore bancario e le imprese che producono beni e servizi non-finanziari: le linee di credito concesse dalle banche a tali imprese i «cui obiettivi erano definiti con riferimento al medio-lungo periodo» permisero la produzione di valore aggiunto attraverso la remunerazione dei lavoratori delle imprese, i quali potevano disporre della loro capacità di acquisto sui mercati dei prodotti, al fine
di avere un tenore di vita dignitoso senza dover ricorrere all'indebitamento personale;
la finanziarizzazione dell'economia, iniziata negli anni '80 del secolo scorso, ha trasformato i nostri sistemi economici radicalmente, marginalizzando poco alla volta il ruolo delle banche commerciali, inducendo queste ultime a diventare delle società finanziarie attive su scala globale e operanti a 360 gradi sui mercati finanziari (una sorta di «supermercati finanziari», alla ricerca del massimo profitto nel minor tempo possibile);
il 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto circa 500 miliardi di euro di nuovi fondi, in occasione della prima asta di rifinanziamento organizzata dalla Banca centrale europea, in base alle nuove regole volute dalle autorità dell'Unione europea per combattere il credit crunch; di questi, gli istituti italiani hanno ricevuto 116 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento;
la Banca centrale europea ha più volte dichiarato che tali risorse erano vincolate ad una precisa finalizzazione: dare credito all'economia reale in modo da permettere alle banche di avere più liquidità ad un costo basso da mettere a disposizione di imprese e famiglie;
le imprese e le famiglie italiane vedono sempre più ristretta la possibilità di accedere al credito; convenzioni e confidi vengono disdetti e gli interessi arrivano al 12 per cento;
appare evidente come il rilancio dello sviluppo del sistema sia collegato alla capacità effettiva di credito, che gli istituti bancari possono e dovrebbero concedere alle imprese, in particolare alle piccole e medie imprese; senza il rafforzamento delle linee di credito appare estremamente complicato ipotizzare che si possa davvero procedere ad un rilancio dello sviluppo del sistema, per il quale, specie in Italia, il ruolo delle piccole imprese è determinante, sia in termine di produzione che di impiego di forza lavoro;
inoltre, si aggiunge il problema del ritardo con cui la pubblica amministrazione provvede al pagamento dei corrispettivi inerenti all'esecuzione dei contratti pubblici, che suscita, ormai da anni, l'interesse (ma soprattutto l'allarme) degli imprenditori che operano nel mercato italiano;
tale problematica è particolarmente avvertita dalle piccole e medie imprese, che, soprattutto nell'attuale congiuntura economica di difficile accesso al credito bancario, risentono in maniera grave della mancanza di liquidità;
stando al quadro fornito dall'Osservatorio sul credito di Confcommercio-Format, la situazione dei finanziamenti per le aziende nell'ultimo trimestre del 2011 è stata, infatti, particolarmente difficile, soprattutto per le imprese del Mezzogiorno e le microimprese del settore commerciale e turistico e il trimestre appena concluso del 2012 conferma uno scenario ancora in peggioramento;
i dati rilevati da Confcommercio sono i peggiori di tutto il 2011 e, sostanzialmente, riflettono la situazione descritta dalle indagini sul credito alle imprese della Banca d'Italia e della Banca centrale europea;
i recenti tragici avvenimenti che stanno avvenendo in Italia, i suicidi da parte di piccoli imprenditori, quali artigiani, commercianti e imprenditori agricoli, i quali in questa forte contrazione dei flussi creditizi e vessati dai crescenti oneri fiscali e contributivi sono sopraffatti da stati d'animo di disperazione e sconforto, confermano la drammaticità dell'attuale situazione, che minaccia di travolgere, in virtù di un devastante effetto «domino» l'intera struttura economica e sociale del Paese: dal sistema delle imprese, ai redditi delle famiglie, alle forme di sicurezza sociale;
il ritardo nei pagamenti non incide solo sul contraente privato che si trova a sostenere un'attesa ingiustificata nella percezione dei corrispettivi dovuti da parte
dell'amministrazione appaltante, ma si riflette in termini negativi anche sull'indotto a valle dell'appalto, investendo le imprese subappaltatrici e subfornitrici, sulle quali i ritardi vengono sovente ulteriormente ribaltati,
impegna il Governo:
ad istituire un tavolo permanente tecnico con rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana, della Banca d'Italia, delle principali associazioni di categoria e dei consumatori e dell'Istat, al fine di avanzare proposte operative per il sostegno del credito a favore delle imprese e delle famiglie, e, in particolare, ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché la seconda tranche di prestiti che la Banca centrale europea ha messo a disposizione delle banche vada a sostegno delle imprese e delle famiglie e ad adottare iniziative che agevolino con tassi d'interesse favorevoli l'accesso al credito per le imprese e le famiglie;
ad adoperarsi, altresì, nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea, in modo da:
a) sospendere l'entrata in vigore delle misure volte a fissare livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche e introdurre un nuovo schema internazionale per la liquidità (accordo «Basilea 3»);
b) eliminare la valutazione a prezzi di mercato che l'Eba applica ai titoli di Stato italiani, comportando una loro sottovalutazione nel patrimonio delle banche italiane, che detengono bot e btp per un valore di 160 miliardi di euro;
c) intervenire in merito ai requisiti patrimoniali delle banche affinché siano introdotti meccanismi correttivi per la ponderazione del rischio di credito relativo ai prestiti alle piccole e medie imprese, in modo da compensare l'incremento quantitativo del requisito patrimoniale minimo;
ad assumere iniziative normative volte a prevedere forme di compensazione per le imprese che vantino crediti nei confronti di amministrazioni statali, con i debiti gravanti a loro carico, relativi ad obbligazioni tributarie;
ad assumere iniziative dirette a prevedere in tempi rapidi, l'istituzione di un fondo di solidarietà presso il Ministero dello sviluppo economico in collaborazione con Consorzi Fidi, i cui beneficiari rientranti nelle categorie dei piccoli imprenditori, commercianti, artigiani e imprenditori agricoli, individuati dal codice civile, inclusi coloro che sono segnalati alla centrale rischi finanziari (Crif), purché svolgano attualmente l'attività lavorativa, possano usufruire una tantum di un contributo a fondo perduto, in caso di rigetto da parte degli istituti di credito o società d'intermediazione creditizia e finanziaria, di domande di finanziamento o revoca di affidamento o revoca di fidi;
ad adottare iniziative normative volte ad accelerare il pagamento dei crediti della pubblica amministrazione, al fine di recepire la nuova direttiva europea 2011/7/UE concernente il contrasto ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
(1-00913)
(Nuova formulazione) «Crosetto, Vignali, Bernardo, Santelli, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Leo, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Savino, Ventucci, De Girolamo, Giammanco, Antonino Foti».
Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Barani n. 4-15690, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 620 del 12 aprile 2012.
BARANI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come riferito da agenzie di stampa, siti internet e giornali locali e nazionali dopo i decessi sospetti dei pazienti, Bruno Marcello Manfredi e Maria Maida Signorini, operati presso l'ospedale Versilia, avvenuti
in conseguenza del cedimento dei punti di sutura, che sono stati attribuiti dai responsabili dell'assessorato alla sanità della regione Toscana alla suturatrice meccanica utilizzata durante l'intervento effettuato in laparoscopia;
nessun cenno nei comunicati ufficiali viene fatto sull'esperienza professionale dell'equipe chirurgica che ha effettuato l'intervento scegliendo la ben più impegnativa via dell'approccio in laparoscopia piuttosto che la via tradizionale «a cielo aperto»;
la correttezza e l'onestà intellettuale avrebbero voluto secondo l'interrogante che, prima di attribuire responsabilità ad uno strumento meccanico, si escludessero responsabilità professionali;
l'interrogante vorrebbe pertanto essere sicuro che i chirurghi coinvolti abbiano superato un congruo periodo di tutoraggio guidati da colleghi esperti nelle tecniche laparoscopiche;
si deve verificare se a livello regionale venga adottato un regolamento che precisi quando un chirurgo può ritenersi autonomo nelle procedure molto complesse ed impegnative, come quella di cui si parla;
le due suturatrici meccaniche della Johnson & Johnson presenti al Versilia sono state sequestrate dalla magistratura, in seguito alla morte del paziente avvenuta il 26 marzo 2012, le altre sei macchine suturatrici della stessa marca, presenti a Siena, 2 a Careggi, 4 sono state ritirate cautelativamente dalla stessa ditta produttrice;
appena ricevuta la notizia del decesso della paziente il Centro gestione rischio clinico della regione Toscana si è attivato immediatamente, effettuando una verifica in tutte le strutture sanitarie pubbliche: dalla quale è risultato che questi dispositivi (ad eccezione degli otto sequestrati o ritirati) non sono più in uso;
come denunciato sul quotidiano la Nazione del 10 aprile 2012, dal consigliere comunale di Massa, Stefano Benedetti, secondo una fonte autorevole i decessi a seguito di complicanze post operatorie, nel 2011 potrebbero essere state addirittura 45 senza un'apparente spiegazione;
come si è letto sulla stampa locale del 4, 5 e 6 aprile 2012, alcuni primari di reparti chirurgici e diversi dirigenti medici di quei reparti degli ospedali di Massa e Carrara hanno fatto una dura denuncia sostenendo, a ragione, che lasciando i doppioni di reparti nei 2 nosocomi, per la scarsità di personale, attrezzature suddivise tra Massa e Carrara e per le ristrettezze economiche successive alla scoperta del «buco» di quasi 300 milioni nella Asl 1 della Toscana, non riescono più a garantire sicurezza, assistenza e appropriatezza di cure per gli ammalati e regolarità di turni e numero sufficiente di personale sanitario;
tale situazione denunciata pubblicamente dai medici dei due ospedali, almeno sulla stampa e ai due sindaci di Massa e Carrara e forse comunicato al direttore generale dell'Asl 1, risultano dannose è contro gli interessi del malato e si sanerebbe con una corretta assistenza accorpando subito i reparti doppi o a Massa o a Carrara;
tali gravi situazioni riportate e i casi di interventi non ben riusciti e di complicanze pre-durante e post-operatorie hanno generato forse molti morti come denunciato sui quotidiani;
uno studio del Sant'Anna di Pisa asserisce che gli abitanti dell'Asl 1 hanno una aspettativa di vita inferiore al resto della Toscana e molti mesi di vita in meno e una delle cause sia quanto letto dai giornali -:
di quali elementi il Ministro disponga in relazione a quanto sopra rappresentato e se intenda accertare, alla luce di quanto riportato in premessa, con puntualità se siano rispettati tutti i livelli essenziali di assistenza LEA nell'area ricordata in premessa. (4-15690)
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interpellanza Carlucci n. 2-01413 del 20 marzo 2012;
interrogazione a risposta scritta Naccarato n. 4-15468 del 23 marzo 2012.
Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.
Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Angela Napoli n. 4-15257 dell'8 marzo 2012 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-06611.