Allegato B
Seduta n. 615 del 2/4/2012

TESTO AGGIORNATO AL 10 MAGGIO 2012

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INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
la situazione di tutti i centri di identificazione ed espulsione, i centri di accoglienza richiedenti asilo e centri di accoglienza emergenziali presenti sul territorio nazionale, come dagli interpellanti più volte denunciato negli ultimi anni, appare decisamente emergenziale: una svolta in negativo si è avuta, in particolare, dopo l'entrata in vigore delle norme, decise dal precedente Governo, che hanno prolungato da 6 a 18 mesi il tempo di permanenza nei centri d'identificazione e di espulsione, (intervento giustificato da presunti obblighi comunitari, mentre in realtà la direttiva 115 del 2008 (cosiddetta direttiva rimpatri) impone di considerare le misure di privazione della libertà come estrema ratio, e dunque solo dopo aver esperito tutte le altre modalità di rimpatrio degli stranieri irregolari, con preferenza per il rimpatrio volontario);
il rapporto stilato dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato (approvato e pubblicato il 6 marzo 2012) rivela che, al 20 dicembre 2011, nei 9 centri di accoglienza richiedenti asilo (CARA), nei 6 centri di accoglienza (CDA), nei 3 centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA) presenti sul territorio nazionale, erano presenti complessivamente 4.627 richiedenti asilo e rifugiati;
sempre il rapporto del Senato rivela come nei 13 centri di identificazione ed espulsione (CIE) il 20 dicembre 2011 si contavano 1.050 persone (i dati sono stati rielaborati sulla base delle informazioni fornite dal Ministero dell'interno);
inoltre, la trasformazione in CIE (centri di identificazione ed espulsione) di alcuni, centri che erano stati creati ad hoc

per gestire l'«emergenza profughi» suc- cessiva agli sconvolgimenti del bacino del Mediterraneo, diventata operativa con l'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri del 21 aprile 2011, n. 3935, non ha fatto altro che peggiorare le cose - chiudendo centri assolutamente inadeguati al trattenimento, in quanto privi dei necessari servizi e creando confusione sullo status giuridico degli stranieri coinvolti;
le ricadute sul sistema giudiziario e sul comparto sicurezza di quella che rappresenta ormai una costante «emergenza» aggravata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 ottobre 2011 che, di fatto, Proroga lo stato di emergenza umanitaria nel territorio del Nord Africa per consentire un efficace contrasto dell'eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari nel territorio nazionale sono state e sono ancora pesantissime, e si vanno a sommare alle già enormi difficoltà dovute ai tagli delle risorse destinate al comparto sicurezza;
per quanto riguarda, ad esempio, le procedure concernenti le richieste di asilo politico, la cui competenza è inizialmente in capo al giudice di pace, accade che il giudice stesso si rechi personalmente all'interno dei centri per trattare le richieste, quantomeno nella stragrande maggioranza dei casi, mentre il giudice ordinario, cui spetta la trattazione del ricorso, presentato quasi automaticamente, non si reca personalmente all'interno dei medesimi centri, poiché attende che i ricorsi medesimi vengano presentati presso il tribunale;
questo comporta che i richiedenti asilo che intendono presentare ricorso debbano essere personalmente accompagnati da almeno due poliziotti ciascuno direttamente in tribunale, con un evidente enorme dispendio di risorse di personale e di mezzi;
inoltre questo aggravio dei tempi comporta un rallentamento delle operazioni di riconoscimento degli immigrati presenti all'interno dei centri, nonché, in conseguenza della dispersione di risorse che l'espletamento delle procedure di accompagnamento determina, anche un sensibile allungamento della presenza degli immigrati all'interno dei centri;
tutto ciò va ad aggravare una situazione ormai strutturale di carenza di personale e di mezzi: a Lampedusa, ad esempio, a fronte di ben 52 mila sbarchi in nove mesi (dati del Ministero dell'interno), la quantità di personale impegnato non è stata mai sufficiente a garantire i gravosi servizi previsti e i poliziotti sono stati sottoposti a turni lavorativi quotidiani stressanti e faticosissimi (denuncia dei sindacati delle forze dell'ordine);
di fatto la scelta del Governo è stata quella di aumentare i centri di detenzione, all'interno dei quali vi sono persone che vengono private della libertà senza avere, però, adeguate garanzie e diritti, e nei confronti dei quali viene richiesto un enorme sforzo organizzativo, in termini di risorse umane ed economiche, senza contare che la Corte di giustizia europea, con una sentenza del 28 aprile 2011, (Caso El Dridi) ha ribadito che la direttiva rimpatri impone la gradazione delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio nonché l'obbligo di osservare il principio di proporzionalità in tutte le fasi della procedura;
occorre tener conto dei dati numerici in materia di immigrazione che il commissario agli interni dell'Unione europea, Cecilia Malmstrom, ha presentato nel corso della presentazione del piano per una politica comune europea in Materia di immigrazione (a fronte delle 650 mila persone fuggite dalla Libia (sempre secondo i dati dal Ministero dell'interno), sono soltanto 25mila coloro che sono giunti in Italia): «La temporanea reintroduzione di controlli limitati dei confini interni», ha spiegato la commissaria in riferimento alla tanto discussa area Schengen, è possibile «in circostanze particolarmente eccezionali, e un'eventuale decisione - che di fatto rappresenterebbe una sospensione temporanea degli accordi di Schengen - per Bruxelles dovrebbe essere valutata come «ultima risorsa» e decisa «a livello europeo»;

i migranti trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione, pur essendo di fatto sottoposti a misure restrittive della libertà di circolazione, non possono, d'altro canto, avere accessi a nessuna delle attività che vengono previste, ad esempio, dall'ordinamento penitenziario: non è possibile nessuna attività lavorativa né formativa né, per il momento, ricreativa, con il risultato di dare vita a delle «polveriere» la cui difficilissima, se non impossibile gestione, anche alla luce delle decisioni suesposte, è praticamente del tutto delegata alle forze dell'ordine e alle pochissime organizzazioni ammesse all'accesso;
come fa rilevare il già citato rapporto della commissione del Senato, la gestione dei centri di trattenimento degli stranieri pare quindi essere ancora del tutto orientata verso un approccio emergenziale. Il rapporto di Medici senza frontiere sui centri per migranti centri di identificazione ed espulsione, centri di accoglienza richiedenti asilo e centri di accoglienza (2010) rivela come: «Nei CIE convivono persone con status giuridici differenti e negli stessi ambienti si trovano vittime di tratta, di sfruttamento, di tortura, di persecuzioni, così come individui in fuga da conflitti e condizioni degradanti, altri affetti da tossicodipendenze, da patologie croniche, infettive o della sfera mentale, oppure stranieri che vantano anni di soggiorno in Italia, con un lavoro (non regolare), una casa e la famiglia o sono appena arrivati.»;
l'immigrazione si rivela anche un'opportunità per convogliare ricorse economiche nei territori che ospitano immigrati in seguito all'emergenza decretata dal Governo. In effetti, con decreto del Presidente del Consiglio pro tempore, l'Italia dichiarava in data 12 febbraio 2011 «lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari nel territorio nazionale». Tale prevista emergenza non è mai risultata tale, in quanto l'afflusso dei cittadini stranieri nel territorio italiano si è rivelato inferiore rispetto alle cifre paventate. Meno di 55.000 persone, in luogo del mezzo milione di migranti annunciati dalle autorità italiane. Tale avvenuto ridimensionamento dell'afflusso di migranti non ha impedito alla Presidenza del Consiglio, con l'ordinanza n. 3965 del 21 settembre 2011, di stanziare sempre con la motivazione dell'emergenza la somma di 230 milioni di euro «in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa» per assicurare la copertura finanziaria degli oneri derivanti delle attività di cui all'articolo 1 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3951 del 12 luglio 2011. L'ordinanza precisa che agli oneri derivanti dalla predisposizione in oggetto, quantificati complessivamente in euro 230.000.000 «si fa fronte a carico del Fondo nazionale della protezione civile con le modalità di cui all'articolo 5, comma 5-quinquies della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e successive modificazioni ed integrazioni. In poche parole, i fondi per un'emergenza mai verificatasi sono da spendere «in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico»;
sempre per quanto riguarda i recenti arrivi dal Nord Africa, l'assenza di una concreta alternativa di rimpatrio volontario assistito, con la previsione di un congruo contributo di reintegrazione nel Paese di origine, per tutti coloro che non presentavano bisogni di protezione internazionale o umanitaria e non rientravano tra le categorie dei soggetti inespellibili, ha contribuito a produrre un sovraccarico del sistema di asilo con un notevole impatto sui tempi della procedura e con la conseguenza di un crescente numero di esiti negativi, spesso causa di ulteriori tensioni all'interno dei centri, anche a fronte di una recente riforma dei riti civili che ha reso più gravosa la presentazione di un ricorso giurisdizionale;
giovedì 23 febbraio 2012 la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, nella pronuncia relativa al caso Hirsi ed altri (n. 27765/09), ha condannato l'Italia per i respingimenti effettuati verso la Libia

il 6 maggio del 2009, accogliendo 22 dei 24 ricorsi presentati, per violazione da parte dell'Italia innanzitutto dell'articolo 3 della convenzione, secondo il quale nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene né a trattamenti inumani o degradanti; la violazione dell'articolo 3 della convenzione è stata peraltro riconosciuta sotto un duplice profilo, sia con riferimento al rischio che vi fu per i ricorrenti di essere sottoposti a trattamenti disumani in Libia, sia con riferimento al rischio di essere rimpatriati in Somalia ed Eritrea;
la Corte ha altresì stabilito l'avvenuta violazione da parte dell'Italia dell'articolo 4 del protocollo n. 4 allegato alla convenzione, che stabilisce il divieto delle espulsioni collettive di stranieri, nonché dell'articolo 13 della medesima convenzione, laddove prevede che «ogni persona i cui diritti e le cui libertà, riconosciuti nella presente Convenzione sono violati ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un'istanza nazionale...»;
sebbene chiaramente relativo alla sola politica dei respingimenti adottata dal precedente Governo, quanto affermato dai giudici di Strasburgo nella citata sentenza pone in rilievo l'opportunità di riflettere sul complesso delle politiche di immigrazione, accoglienza e asilo dei nostro Paese -:
se il Ministro interpellato non ritenga di dovere riesaminare le politiche adottate dal precedente Governo in materia di immigrazione, che, ad avviso degli interpellanti, oltre a ledere profondamente i diritti dei migranti, e ad essersi rivelate inadeguate sotto il profilo dell'efficacia della gestione di un fenomeno così complesso e centrale come quello della gestione dei flussi migratori, stanno pesantemente provando un comparto, quello della sicurezza, che già è stato sottoposto a durissimi tagli di mezzi e risorse, che al momento rischiano di comprometterne ulteriormente la piena operatività»;
se il Ministro interpellato non ritenga di dover piena attuazione alla nuova norma sul rimpatrio volontario assistito di cui al decreto-legge n. 89 del 2011, in particolare adottando il necessario decreto attuativo e realizzando programmi adeguati in tal senso, che prevedano un congruo contributo di reintegrazione e siano accessibili ai migranti anche irregolarmente presenti sul territorio;
se il Ministro interpellato intenda fornire i dati finora disponibili sul numero di rimpatri effettivamente realizzati successivamente al termine originariamente previsto di sei mesi massimi di trattenimento, quindi attuati grazie alla nuova possibilità di proroga del periodo di trattenimento introdotta dal recente decreto-legge n. 89 del 2011; a fronte di queste cifre se intenda altresì fornire i dati relativi al numero degli stranieri trattenuti che si sono allontanati arbitrariamente dai centri di identificazione ed espulsione.
(2-01434)
«Villecco Calipari, Livia Turco, Touadi, Zaccaria, Giulietti, Agostini, Bossa, Braga, Brandolini, Bucchino, Capodicasa, Cardinale, Marco Carra, Castagnetti, Coscia, D'Incecco, Damiano, De Biasi, Farinone, Ferranti, Fiano, Fontanelli, Froner, Ginefra, Gnecchi, Gozi, Graziano, Lenzi, Lucà, Madia, Marchi, Mattesini, Melis, Motta, Pes, Picierno, Realacci, Rossa, Samperi, Sarubbi, Sbrollini, Schirru, Servodio, Siragusa, Strizzolo, Tullo, Verini, Vico, Zampa, Amici, Monai».

Interrogazioni a risposta scritta:

ANGELA NAPOLI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
Lamezia Terme, terza città calabrese, è da anni sede di una faida, iniziata nel 2000, tra le 'ndrine Torcasio-Cerra da una parte e Iannazzo-Giampà dall'altra, il che ha portato a numerosi omicidi;

la città di Lamezia Terme è, inoltre, stata sottoposta per ben due volte, nel 1991 e nel 2002, allo scioglimento del civico consesso per la presenza di forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata;
in questi ultimi giorni è stata resa nota su parte della stampa e di siti regionali della Calabria, la situazione di disagio e di pericolo nella quale si trova Massimo Di Stefano, collaboratore di giustizia dal 1995, al quale di recente sarebbe stata revocata la protezione, a causa della «sussistenza di condotte asserite come incompatibili con l'assentito programma di protezione e con lo status di collaboratore di giustizia»;
il collaboratore di giustizia, Massimo Di Stefano, ha raccontato, in esclusiva alla Gazzetta del Sud, del perverso intreccio «politico-mafioso» che ha governato e governerebbe Lamezia Terme;
lo scenario che emerge dal racconto di Massimo Di Stefano è davvero inquietante, giacché le cosche della 'ndrangheta lametina deciderebbero sul futuro della città fino ad influenzare le competizioni elettorali e la coalizione politica alla quale affidare il governo del territorio;
Massimo Di Stefano avrebbe anche affidato notizie su alcuni delitti verificatisi in quella città negli anni passati; in particolare, sull'omicidio di Antonio Mercuri, avvenuto nel maggio del 1986 quando era candidato alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale e per il quale il collaboratore di giustizia avrebbe fornito agli inquirenti i nomi dell'esecutore materiale del delitto e dei mandanti (due politici);
lo stesso collaboratore Massimo Di Stefano avrebbe anche riferito il nome del mandante (autorevole esponente di cosca lametina) del duplice omicidio di Pasquale Cristiano e Vincenzo Tramonte, netturbini uccisi il 24 maggio del 1991;
ad avviso dell'interrogante le rivelazioni di Massimo Di Stefano, da una parte, andrebbero accertate dalla magistratura inquirente e potrebbero di conseguenza far luce su alcuni omicidi avvenuti in città, dall'altra per la loro pesantezza potrebbero mettere in grave pericolo la vita del collaboratore e quella dei suoi familiari -:
se non si ritenga di dover valutare le eventuali condizioni per restituire lo status di collaboratore di giustizia a Massimo Di Stefano;
quali iniziative di competenza si intendano assumere rispetto al contenuto delle dichiarazioni di Massimo Di Stefano sia relativamente agli omicidi avvenuti a Lamezia Terme sia sull'influenza delle cosche lametine sulle competizioni elettorali.
(4-15559)

FEDI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. - Per sapere - premesso che:
gli uffici consolari, per gli italiani residenti all'estero e anche per gli italiani che vi soggiornano temporaneamente, hanno le competenze che altri organi della pubblica amministrazione esercitano sul territorio nazionale;
tra i servizi erogati dai consolati vi sono anche quelli di anagrafe, di stato civile (nascita, matrimonio, divorzio, morte), di rilascio e rinnovo di passaporto e carta d'identità;
numerose richieste inoltrate ai consolati da parte di cittadini italiani residenti all'estero, come ad esempio quelle relative allo status civitatis, si concretizzano soltanto a partire dalla trascrizione in Italia di atti relativi al soggetto interessato (nascita, matrimonio, e altro) presso lo stato civile del comune di ultima residenza o di provenienza o, come nel caso di rilascio e rinnovo del passaporto, dal benestare della questura competente per territorio, esperite le necessarie verifiche presso il comune di registrazione;
il depotenziamento delle strutture consolari causato dal piano di razionalizzazione ha portato alla diminuzione delle risorse e del personale in esse impegnato

e conseguentemente a una crisi del sistema dei servizi offerti alle comunità italiane con insufficienze operative e disagi per gli utenti;
i disagi e i ritardi nel disbrigo di questo genere di pratiche, quotidianamente denunciati dai nostri cittadini all'estero, sono dovuti anche alle disfunzioni che si registrano nell'operato degli uffici anagrafe e stato civile dei comuni italiani che rispondono alle richieste dei consolati con mesi, e anche anni, di ritardo;
tra le numerose segnalazioni, ultima in ordine di tempo, quelle riferite da alcuni cittadini residenti in Australia sui ritardi del comune di Lipari. Secondo le comunicazioni degli interessati, infatti, i consolati di Sydney e di Melbourne non potrebbero finalizzare le loro pratiche di cittadinanza e di rilascio di passaporto in quanto il comune di Lipari, destinatario di precise richieste di trascrizioni di atti e copie di certificati, non ha provveduto a fornire riscontri;
funzionari del comune di Lipari, da parte loro, hanno dichiarato che i ritardi sono dovuti ad una carenza di organico e che l'unico ufficiale di stato civile, coadiuvato da un collaboratore a progetto, oltre a dover svolgere l'attività ordinaria, ha in carico oltre 2500 trascrizioni cartacee da evadere;
questa situazione, comunque, risulta diffusa sull'intero territorio nazionale e più rilevante per i comuni di piccole dimensioni interessati storicamente da fenomeni migratori -:
se non si ritenga di individuare per quanto di competenza idonee soluzioni per assicurare al comune di Lipari un adeguato livello di efficacia amministrativa, migliorando i tempi di completamento delle pratiche provenienti dall'estero e favorire il pieno rispetto delle leggi sulla trasparenza amministrativa e nei rapporti tra cittadini e pubbliche amministrazioni;
se non si intendano adottare iniziative atte a garantire che gli uffici preposti al disbrigo di pratiche relative ad anagrafe e stato civile siano dotati di mezzi tecnici e personale adeguati alle necessità sulla base di una verifica anche quantitativa degli atti e delle richieste provenienti dai consolati, anche per non vanificare gli investimenti fatti su queste strutture per migliorarne l'efficienza;
se non si ritenga urgente, infine, anche tenendo conto dei richiami all'efficienza e innovazione nella pubblica amministrazione pervenire da parte del Ministero dell'interno mediante il Ministero degli affari esteri a tutte le rappresentanze diplomatiche e consolari, un indirizzario aggiornato PEC o almeno di un indirizzo email convenzionale per ognuno degli innumerevoli comuni italiani che, ancora oggi, non usano la posta elettronica certificata.
(4-15565)

LO MORO, ZAMPA, LIVIA TURCO, VELO, DE TORRE, FERRANTI, RUBINATO, SAMPERI, SERENI, ROSSA, COSCIA, AMICI, LENZI, VILLECCO CALIPARI, GNECCHI, MOSCA, PEDOTO, ROSSOMANDO, MERLONI, MOGHERINI REBESANI, MARIANI, BRAGA, SERVODIO, SBROLLINI, BOSSA, RAMPI, PES, GARAVINI, MATTESINI, MIOTTO, GATTI, ALBINI, POLLASTRINI, CENNI, MURER, LAGANÀ FORTUGNO, MARCHIONI, DE BIASI, CODURELLI, FARINA COSCIONI, ZAMPARUTTI, BERNARDINI, BELLANOVA, MOTTA, DE PASQUALE, GHIZZONI, CARDINALE, FRONER e SCHIRRU. - Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nella tarda serata del 29 marzo 2012, ignoti hanno esploso alcuni colpi di arma da fuoco contro la Fiat Panda di proprietà del sindaco di Monasterace, dottoressa Maria Carmela Lanzetta, che si trovava parcheggiata sotto la sua abitazione;
a seguito di tale atto intimidatorio, la Lanzetta, riconfermata sindaco alle elezioni amministrative del 15 e 16 maggio 2011, ha compiuto la «scelta irrevocabile» di dimettersi che sembra decisa a confermare, nonostante la richiesta di restare al suo posto formulata da più parti e la tanta solidarietà ricevuta;
la scorsa estate allo stesso sindaco, farmacista, era stata incendiata la farmacia, ubicata al piano terra del fabbricato in cui risiede. È stata corale anche in quella circostanza la solidarietà al sindaco per il grave atto intimidatorio che, tra l'altro, le ha causato ingenti danni e i cui autori sono rimasti ignoti;
dall'inizio del 2011 in Calabria si sono registrati oltre quaranta atti intimidatori

ad amministratori locali, con un trend di crescita che rischia di aumentare in occasione dell'imminente competizione elettorale per le amministrative. Stando alle notizie di stampa, solo per uno sono stati individuati i responsabili, mentre per tutti gli altri gli autori sono rimasti ignoti;
le dimissioni del sindaco di Monasterace, una professionista seria conosciuta per il suo coraggio, la sua determinazione e la sua passione civile, pongono un interrogativo a cui va data una risposta convincente, anche per poter chiedere alla Lanzetta di revocare le sue dimissioni e per poter più complessivamente rincuorare gli amministratori locali oggetto di continui e spesso reiterati vili attentati;
bisogna chiedersi e capire come è possibile che rimangano ignoti gli autori di attentati in piccoli comuni, come quello di Monasterace, che conta complessivamente 3.426 abitanti e ha una superficie di 15,7 chilometri quadrati;
gran parte dei comuni in cui si verificano attentati ai danni delle amministrazioni pubbliche hanno caratteristiche simili. Ebbene, ci si chiede come sia possibile che non si riesca a tenere sotto controllo neanche i luoghi sensibili e a individuare i responsabili di reati così odiosi neanche dopo il verificarsi dei primi casi e soprattutto come sia possibile che non siano in alcun modo poste in essere garanzie a tutela dell'incolumità e della tranquillità degli amministratori vittime di minacce ed attentati;
davanti al gesto forte del sindaco di Monasterace, lo Stato deve intervenire con misure adeguate per garantire condizioni di normalità e di efficienza nel controllo del territorio che rendano possibile la prosecuzione del mandato amministrativo;
non può poi essere sottovalutato il dato che Monasterace costituisce, nel panorama calabrese, un'anomalia al femminile. Oltre al sindaco Lanzetta, la maggioranza di governo può contare, infatti su quattro donne su otto consiglieri. Con il sindaco le donne sono pertanto in maggioranza. Un dato non trascurabile in sé che risulta eclatante se confrontato con il numero di donne impegnate nelle amministrazioni locali calabresi (su 409 comuni sono 18 le donne sindaco, mentre non vi è neanche una donna tra i 50 consiglieri regionali);
non possono essere sottovalutati i segnali di riscatto che in Calabria vengono dal mondo femminile ed in particolare dalle poche donne sindaco che spesso si distinguono per la loro determinazione e per il loro coraggio in realtà difficili sul piano ambientale, senza la disponibilità di adeguate risorse per la costruzione di idonee politiche di contrasto del disagio sociale;
va valutato con la dovuta attenzione il fatto che la discontinuità che queste amministratrici rappresentano può costituire un elemento ulteriore e specifico di rischio in contesti difficili in cui da tempo prevalgono gli interessi di pochi, e spesso gli interessi delle cosche -:
se sia a conoscenza degli attentati subiti dal sindaco di Monasterace e delle dimissioni dalla stessa presentate e quali iniziative intendano porre in essere, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze;
se e come il Ministro dell'interno intenda affrontare, per quanto di competenza, il problema degli attentati agli amministratori che mette a rischio la convivenza democratica in molti comuni calabresi e rischia di aggravarsi nella fase elettorale;
se, in particolare, non si ritenga necessario un intervento urgente del Ministro dell'interno per garantire condizioni di sicurezza e di tranquillità alla dottoressa Lanzetta e alla sua famiglia.
(4-15573)