Allegato B
Seduta n. 612 del 27/3/2012

TESTO AGGIORNATO AL 19 GIUGNO 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
l'economia mondiale nel biennio 2008-2009 è stata colpita da una grave recessione con effetti pesanti anche per l'economia nazionale, in particolar modo nei confronti dei redditi delle famiglie e dell'occupazione nelle regioni del Mezzogiorno;
nel corso del 2010 si è manifestata una ripresa che, però, si è subito interrotta nel 2011, evidenziando come il percorso di fuoriuscita dalla crisi, già debole e difficile al Nord, diventi nullo per le regioni del Mezzogiorno d'Italia;
le prime valutazioni effettuate dalla Svimez ipotizzano per il 2012, in un quadro di recessione, un ampliamento del divario tra Nord e Sud del Paese, con un differenziale negativo di circa mezzo punto al Sud rispetto alla media nazionale che dovrebbe far segnare una flessione del prodotto interno lordo di oltre l'1 per cento;
nella crisi italiana, quindi, il Sud si trova in particolare difficoltà con una caduta dell'occupazione particolarmente grave e prospettive di investimento negative;
in questa fase congiunturale si acuiscono i tratti strutturali della grave situazione del lavoro nel meridione, con un tasso di disoccupazione pari nel primo semestre del 2011 al 13,2 per cento contro il 5,5 per cento nel Nord; un tasso di disoccupazione giovanile pari al 39 per cento contro il 6 per cento nel Centro-Nord; un tasso di occupazione femminile pari al 30,7 per cento contro il 55,4 per cento nel Centro-Nord e un peso dell'occupazione irregolare su quella regolare pari al 19 per cento;
nonostante le innumerevoli potenzialità il Sud non riesce ad intraprendere uno sviluppo economico serio e ben strutturato ad eccezione di alcune oasi felici;
vi è un evidente divario strutturale tra le due aeree del Paese, sostanzialmente immutato da un cinquantennio;
al divario strutturale e in termini di redditi, come indicato dal Ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca nella relazione alle Commissioni bilancio della Camera dei deputati e del Senato, si aggiungono divari profondi connessi alle condizioni di vita dei cittadini in termini di qualità ed efficacia di servizi collettivi fondamentali, quali istruzione, giustizia, sicurezza, cura per gli anziani, cura per i bambini, servizi sanitari, reti e società digitali, reti ferroviarie e trasporto locale su ferro, servizio idrico integrato, gestione dei rifiuti urbani, servizi alle imprese;
difatti, secondo la classifica del Sole 24 Ore, che misura la qualità della vita delle 107 province italiane, le province del Meridione occupano gli ultimi posti;
diventa più che mai necessario individuare le soluzioni più idonee per colmare la differenza tra le due parti del Paese, un problema reso oggi ancora più difficile dalla dimensione globale in cui ci si trova a vivere e da cui il Meridione d'Italia potrebbe rimanerne completamente isolato, senza dimenticare che la situazione è aggravata dalla forte crisi economica in corso e dal debito pubblico che pesa come un macigno sul Paese e limita le prospettive per il futuro;
è da apprezzare la scelta del Presidente del Consiglio dei ministri Monti di promuovere la nomina di un Ministro per la coesione territoriale, evidentemente al fine di attuare tutti gli interventi per il riequilibrio economico e sociale, a differenza di quanto avvenuto nel passato Governo;
bisogna acquisire la consapevolezza che il riavvio di una crescita dell'economia italiana passa anche, se non soprattutto, per la riattivazione di energie inutilizzate,

soprattutto i giovani qualificati e le donne presenti in misura principale nelle regioni del Mezzogiorno;
infatti, il tasso di occupazione nella fascia di età 15-34 anni, pari al 45 per cento in Italia, un valore già decisamente inferiore ai livelli medi europei, scende al 30 per cento circa nelle regioni meridionali, per scendere a poco più del 20 per cento per le giovani donne;
la risorsa principale su cui puntare per riavviare l'economia italiana deve essere rappresentata dal capitale umano delle nuove generazioni e delle donne, risorse oggi largamente sottoutilizzate, specialmente nel Mezzogiorno;
l'ottica dalla quale partire è, quindi, quella di fare del Sud il protagonista della rinascita, in virtù del fatto che esso è, oggi, materialmente l'area a massima vocazione ove può realizzarsi questa necessaria inversione di tendenza;
sicuramente ostativa ad un riequilibrio tra le due parti del Paese è la drammatica situazione dei collegamenti da e per il Meridione;
le Ferrovie dello Stato italiane spa continuano a discriminare il Meridione, gestendo il servizio dei trasporti con una concentrazione degli investimenti solo nelle aree del Paese considerate più produttive;
all'alta velocità del Nord, si contrappone un trasporto nel Sud in totale stato di abbandono, in particolare la velocità media di percorrenza sui treni non regionali sulle grandi linee Napoli-Bari, Napoli-Reggio Calabria, Messina-Catania, Messina-Palermo e Cagliari-Sassari è rispettivamente di 89 chilometri orari, 119 chilometri orari, 73 chilometri orari, 99 chilometri orari e 88 chilometri orari, contro un valore medio di 136 chilometri orari sull'insieme delle Napoli-Genova, Napoli-Milano-Torino, Bologna-Bolzano e Bologna-Trieste, acuendo così l'immagine di un Paese a «due velocità»;
il grado di penetrazione di internet nel Mezzogiorno è ancora molto basso, sia per un marcato deficit infrastrutturale che per una cultura delle aziende private e pubbliche ancora poco propensa all'innovazione tecnologica nei processi organizzativi e produttivi: secondo i dati Svimez, ad esempio, solo il 25,5 per cento delle imprese meridionali usa internet per la gestione dei rapporti con i clienti, contro il 46,2 per cento del resto d'Italia;
di recente la Commissione europea ha varato una modifica alle regole dei fondi strutturali destinati agli investimenti produttivi nelle aree sottoutilizzate, concedendo all'Italia di abbassare la quota di cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento;
la possibilità concessa dalla Commissione europea all'utilizzo dei fondi strutturali per la copertura dei crediti d'imposta per l'occupazione al Mezzogiorno consente di destinare i fondi europei al finanziamento di strumenti di fiscalità di sviluppo che possano stimolare gli investimenti produttivi delle aziende meridionali;
è, altresì, importante che da Bruxelles si è ritenuto di impegnare al più presto una parte dei fondi sbloccati per dare impulso a specifiche politiche occupazionali nelle aree a più bassa occupazione giovanile;
i provvedimenti previsti dal Governo Monti - in particolare, la deduzione dell'Irap maggiorata al Sud per giovani e donne e la previsione, nonostante la scarsità di risorse, di un fondo di 3 miliardi di euro complessivi nel prossimo triennio per la copertura di eventuali sforamenti del patto di stabilità per effetto del cofinanziamento nazionale dei fondi europei - sembrano andare nella giusta direzione;
sono assolutamente condivisibili, nella prospettiva di uno sviluppo del Mezzogiorno, le proposte elaborate dalla Svimez: una politica infrastrutturale e logistica al servizio di una strategia attenta alla valorizzazione di un'opzione mediterranea;

una coordinata politica per le energie tradizionali e rinnovabili, finalizzata allo sfruttamento tecnologico e sostenibile delle risorse naturali e ambientali e all'efficientamento e risanamento delle grandi aree urbane ed interconnessa ad una rinnovata politica industriale selettiva e di filiera; l'accesso al credito per il sostegno finanziario al tessuto di piccole e medie imprese,


impegna il Governo:


ad assumere una strategia finalizzata alla ripresa economica con la consapevolezza che il Sud rappresenta una leva importante della strategia complessiva di rilancio e riposizionamento dell'intera economia italiana;
ad attuare politiche per il Sud finalizzate ad aumentare le dimensioni medie delle imprese mediante la formazione di vere e proprie «reti», a favorire un maggiore e più facile accesso al credito e ad investire sulle attività di ricerca ed innovazione tecnologica, con la formazione di veri e propri distretti tecnologici che creino occupazione per tutti quei giovani qualificati di origine meridionale che si formano nelle università meridionali, ma anche in quelle centro-settentrionali ed estere, che rappresentano una grande risorsa inutilizzata;
ad investire su un'economia sostenibile e competitiva, soprattutto nei settori energetico, delle risorse naturali, agro-ambientale, turistico e dei beni culturali, attraverso la valorizzazione del patrimonio storico e paesaggistico meridionale, elementi catalizzatori della catena di connessione ricerca-innovazione-produzione, in grado di dare piena espressione alle potenzialità del sistema universitario e di ricerca e al patrimonio territoriale e culturale del Mezzogiorno, favorendo così l'attrazione di nuovi capitali ed evitando la «fuga» dei giovani meridionali;
a favorire gli investimenti privati, anche attraverso iniziative volte ad introdurre misure di defiscalizzazione, nelle reti di banda larga di ultima generazione e a promuovere un maggior grado di concorrenza nel trasporto ferroviario interregionale e locale, aereo e navale;
ad assumere iniziative per implementare, compatibilmente con la normativa comunitaria, misure di fiscalità di vantaggio per gli investimenti privati nazionali ed esteri sull'intero territorio delle regioni meridionali, sostitutive di forme di sussidio ed incentivo all'attività economica.
(1-00972)
«Briguglio, Della Vedova, Barbaro, Bocchino, Bongiorno, Consolo, Giorgio Conte, Di Biagio, Divella, Galli, Granata, Lamorte, Lo Presti, Menia, Moroni, Muro, Angela Napoli, Paglia, Patarino, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Scanderebech, Toto».

La Camera,
premesso che:
Trenitalia ha recentemente proceduto ad una complessiva riorganizzazione dei collegamenti ferroviari, potenziando le linee ad alta velocità e penalizzando i collegamenti locali, quelli notturni e a lunga percorrenza che collegano il Nord al Sud del Paese;
il piano predisposto ha puntato unicamente sul taglio delle tratte poco redditizie, senza coniugare tale esigenza con il dovere di garantire un adeguato servizio di trasporto alle persone che usano i treni per recarsi al lavoro e a coloro che versano in condizioni di difficoltà economica, tale da non potersi permettere i più onerosi collegamenti ad alta velocità;
Trenitalia ha disposto la soppressione di numerose fermate sia per i treni ad alta velocità, come gli Eurostar, sia per

gli Intercity, senza considerare le conseguenze sui collegamenti regionali ad essi integrati;
questi provvedimenti hanno di fatto scaricato ulteriori problemi sulle regioni, già in seria difficoltà per i tagli al trasporto pubblico locale;
la soppressione dei treni notturni e di altri treni a lunga percorrenza hanno avuto serie conseguenze sul traffico che collega il Nord al Sud del Paese;
nel 2005 i treni circolanti da Nord a Sud e viceversa erano 56 ed in seguito ai tagli decisi da Trenitalia sono stati ridotti a 10 nonostante la domanda si sia mantenuta sostanzialmente alta;
tale riduzione ha penalizzato in maniera pesantissima chi, non potendo accedere ai treni ad alta velocità, usufruiva del servizio di collegamento notturno;
il taglio dei treni notturni ha prodotto una crisi occupazionale per decine di lavoratori che, a seguito dei provvedimenti adottati dall'azienda, rischiano di perdere il proprio posto di lavoro;
l'unico treno notturno che collega Torino alla Capitale è quasi sempre sovraffollato, i convogli non sono adeguatamente mantenuti e il livello di pulizia è bassissimo;
il trasporto pubblico locale su rotaia è in grande crisi in quasi ogni parte del Paese. Sono trecentocinquantamila i pendolari che ogni giorno, in condizioni disagevoli, raggiungono la capitale sui treni che viaggiano su otto linee regionali delle Ferrovie dello Stato;
nella tratta Palermo-Roma vi sono due treni con partenza pomeridiana alle 17.30 e alle 18.30, che arrivano a Roma rispettivamente alle 6.10 e alle 7.10, e nella sera vi è un solo treno che parte alle 21.10 ed arriva a Roma Termini alle 9.50. Nella mattina gli unici treni che partono da Palermo sempre in direzione Roma, senza cambi, sono alle 7.00 e alle 10.07. Come si evince si tratta di una offerta assolutamente insufficiente che prevede oltretutto una durata dei viaggi mai inferiori alle 11 ore;
anche nella tratta Roma-Palermo l'offerta è insufficiente gli unici treni disponibili senza l'effettuazione di cambi sono alle 7.39, alle 11.39, alle 21.20, alle 22.30 e alle 23.35;
l'unico treno che possa definirsi «veloce» che collega Roma Termini a Reggio Calabria, parte alle 17.30 e arriva alle 22.42, con un totale di poco più di 5 ore di percorrenza, ma non può in nessun modo essere considerato alternativo al treno notturno, che parte alle 22.30 e che percorre il tratto in oltre 8 ore, perché sottrae al passeggero parte del pomeriggio e della serata;
sono ormai tantissime le proteste delle organizzazioni che tutelano i diritti dei viaggiatori che lamentano quotidianamente la carenza di convogli, la scarsa manutenzione e la carente pulizia degli stessi;
tale situazione è comune a tutti i grandi centri urbani dove si concentra il pendolarismo e interessa anche i pochissimi collegamenti notturni che collegano le regioni settentrionali al resto del Paese e viceversa,


impegna il Governo:


ad assumere ogni iniziativa di competenza nei confronti di Trenitalia affinché riveda le scelte recentemente adottate ripristinando un numero adeguato alla domanda di corse notturne e garantendo adeguati standard di manutenzione e di pulizia dei convogli;
a promuovere azioni efficaci nei confronti di Trenitalia affinché rimoduli l'organizzazione dei collegamenti ferroviari in base alle esigenze del trasporto locale e garantisca una maggiore e adeguata disponibilità di corse e di convogli per il trasporto

dei pendolari sull'intero territorio nazionale, anche al fine di garantire la continuità territoriale.
(1-00973)
«Marmo, Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».

La Camera,
premesso che:
nel nostro Paese le donne vivono più a lungo degli uomini (nel 2006 la loro speranza di vita alla nascita era di 84 anni, contro i 78,3 anni degli uomini), ma spesso vivono peggio; si recano dal medico molto più degli uomini (il 58 per cento delle visite ambulatoriali è per una donna) e lo fanno, nella maggior parte dei casi, per affrontare patologie non tipicamente femminili;
secondo i dati del Ministero della salute, il 6 per cento delle donne soffre di disabilità (vista, udito, movimento) contro il 3 per cento degli uomini; il 9 per cento soffre di osteoporosi contro l'1 per cento degli uomini; il 7,4 per cento di depressione contro il 3 per cento degli uomini. Ci sono poi malattie autoimmuni che colpiscono prevalentemente il sesso femminile, come, ad esempio, l'artrite reumatoide e questo dimostra che ci sono differenze tra il sistema immunitario maschile e quello femminile. Le malattie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini sono: osteoporosi (+ 736 per cento), malattie tiroidee (+ 500 per cento), depressione e ansietà (+ 138 per cento), cefalea ed emicrania (+ 123 per cento), Alzheimer (+ 100 per cento), cataratta (+ 80 per cento), artrosi e artrite (+ 49 per cento), calcolosi (+ 31 per cento), l'ipertensione arteriosa (+ 30 per cento), il diabete (+ 9 per cento), le allergie (+ 8 per cento) e alcune malattie cardiache (+ 5 per cento);
secondo l'ultima indagine Istat su «Condizione di salute e ricorso a servizi sanitari», un'indagine che viene svolta con cadenza quinquennale, le donne di età media hanno, rispetto agli uomini, una percezione negativa del proprio stato di salute. In effetti, esse sono affette con maggiore frequenza degli uomini da quasi tutte le patologie croniche e, in particolar modo, come si è visto, da patologie osteo-articolari, malattie neurodegenerative, diabete, disturbi della funzione tiroidea, ipertensione arteriosa, vene varicose, osteoporosi e cefalea;
la scoperta che uomini e donne differiscono tra loro, non solo per quanto riguarda l'apparato riproduttivo, sembra essere piuttosto recente in campo medico. Infatti, fino a «ieri» ciò che valeva per l'uomo si riteneva valido anche per la donna. Con i progressi della ricerca scientifica sono emerse, però, delle differenze sostanziali tra i generi e più gli studi vanno avanti, maggiori difformità tra uomini e donne emergono. Partendo dal dna, molecola base della vita, che è espresso in modo diverso a seconda del sesso e passando per lo studio di molte malattie - in particolare approfondendo il dolore e le sue terapie - si è, quindi, individuata una branca della medicina ancora poco conosciuta nel nostro Paese: «la medicina di genere»;
nel mese di ottobre 2010, a Padova, si è svolto il secondo congresso nazionale sulla medicina di genere, organizzato dal Centro studi nazionale su salute e medicina di genere e dalla Fondazione Giovanni Lorenzini;
donne e uomini presentano, nell'arco della loro esistenza, patologie differenti o differenti sintomi di una stessa patologia e, quindi, si ritiene necessario un approfondimento scientifico della medicina dedicata alla donna;
la «medicina di genere» rappresenta il tentativo di approfondire la diversità tra i sessi applicandola alla medicina, così da garantire ad entrambi il miglior trattamento possibile. Questo concetto si

evidenzia, infatti, a livello anatomico, ma anche e soprattutto a livello biologico, funzionale, psicologico, sociale, ambientale e culturale;
sebbene numerose e consolidate siano le evidenze scientifiche e nonostante diversi siano gli specialisti che si dedicano al tema, l'approccio di genere non rientra ancora nelle scelte di programmazione per gli interventi a tutela della salute nel nostro Paese e nemmeno nei libri di testo o nei programmi universitari. Ancora esistono stereotipi e pregiudizi di genere, nella ricerca biomedica e nella medicina: dallo studio delle cause ai fattori di rischio per la salute, dai sintomi alla diagnosi;
il problema di individuare un approccio alla medicina basato sul genere nasce dal fatto che tutti gli studi sperimentali sui farmaci sono sempre stati condotti considerando come fruitori i maschi, perché sono fisiologicamente più stabili e per la difficoltà scientifica a portare avanti una sperimentazione nel sesso femminile. Di conseguenza, le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un difetto alla base: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile, che sottovaluta le peculiarità femminili e, in particolare, il ruolo degli ormoni;
la medicina di genere permette, dunque, di evidenziare anche nel campo della ricerca farmacologica, le diverse risposte all'assunzione dei farmaci tra gli individui di sesso maschile e quelli di sesso femminile, che, per esempio, sembrano essere più inclini a reazioni avverse. Sarebbe, pertanto, auspicabile uno studio mirato di questo tipo in tempi brevi, considerando che il consumo dei farmaci da parte delle donne è percentualmente più elevato rispetto a quello degli uomini. La conoscenza delle differenze di genere favorisce, infatti, una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi;
la prima sperimentazione farmacologica riservata alle donne risale solamente al 2002 quando, presso la Columbia University di New York fu istituito il primo corso di medicina di genere, «a new approach to health care based on insights into biological differences between women and men», per lo studio di tutte quelle patologie che riguardano entrambi i sessi. Anche l'Organizzazione mondiale della sanità ha inserito la medicina di genere nell'equity act a riprova che il principio di equità implica che la cura sia appropriata e sia la più consona al singolo genere;
nelle sperimentazioni dei medicinali, in effetti, vengono utilizzate quasi esclusivamente soggetti di sesso maschile, questo perché le donne, a causa del loro complesso sistema ormonale, prolungano i tempi necessari per una sperimentazione, necessitano di regole ben più precise, devono usare un anticoncezionale per evitare gravidanze durante lo studio e così creano troppi problemi alle lobby, per cui più semplicemente non vengono inserite nelle sperimentazioni farmacologiche;
proprio per questo, però, è da non sottovalutare il fatto che gli ormoni femminili possono interferire con l'efficacia di molti farmaci, come gli antistaminici, gli oppiacei, gli antibiotici e gli antipsicotici; di conseguenza, gli effetti farmacologici ne potranno risultare amplificati o ridotti. In sostanza, molto spesso, vengono prescritti farmaci di cui si conosce perfettamente il meccanismo d'azione sull'uomo ma non sulla donna, rischiando di non curare o curare in maniera sbagliata le patologie di cui è affetta la donna;
anche i medicinali più comuni, in base a recenti studi scientifici, possono avere degli effetti diversi su donne e uomini. Tra tutti, l'esempio che più ha fatto discutere negli ultimi anni è, senza dubbio, l'aspirina. Alcune ricerche, la più importante delle quali è quella condotta nell'ottobre 2007 da Tood Jerman della University of British Columbia, hanno scoperto che la terapia a base di aspirina potrebbe essere inutile per le donne nella protezione dall'infarto del miocardio. In questo studio è stato dimostrato, infatti, attraverso

23 trial con oltre 100.000 pazienti in quarant'anni, che l'aspirina riduce il rischio di infarto del miocardio negli uomini, ma nelle donne questo effetto di prevenzione è fortemente ridotto;
il dolore cronico colpisce le donne in maniera maggiore e spesso del tutto differente rispetto agli uomini. In Italia, secondo uno studio epidemiologico svolto dalla International association for the study of pain (Iasp), il dolore cronico interessa il 26 per cento della popolazione, di cui il 56 per cento è rappresentato da donne. Tra uomini e donne cambia sia la frequenza, sia l'intensità, sia il tipo di dolore. Emicrania, fibromialgia, cefalea e artrite reumatoide - tutte patologie il cui sintomo prevalente è il dolore e che per questo necessitano di una adeguata terapia - sono molto più frequenti nel sesso femminile;
uno studio del 2009, condotto dal dipartimento di anestesiologia della seconda università di Napoli in collaborazione anche con l'università di Siena e quella di Chieti, ha valutato l'importanza degli ormoni gonadici (testosterone, estradiolo) nella terapia del dolore. In particolare, è stato dimostrato che l'uso di alcuni oppioidi può avere effetti diversi sulle donne a seconda dell'età riproduttiva e sugli uomini, mentre altri farmaci della stessa categoria possono non agire sull'asse ipotalamo-ipofisi-gonadico;
gli ormoni femminili influenzano anche altri tipi di malattie, ad esempio quelle dello stomaco. Dall'ulcera gastrica, che colpisce prevalentemente le donne rispetto agli uomini, si può guarire con più facilità grazie all'azione degli ormoni femminili, in particolare grazie al progesterone, che inibisce la formazione dei succhi gastrici, e agli estrogeni, che nella fase pre-menopausale, o meglio ancora in quella della gravidanza, garantiscono la protezione della mucosa dello stomaco;
secondo gli ultimi studi condotti dai ricercatori della New York University school of medicine, il rischio di morte per malattie cardiache è complessivamente molto più alto nelle donne che negli uomini. In Italia, circa 33 mila donne ogni anno restano vittime di un attacco cardiaco. Anche in questo caso sono coinvolti gli ormoni femminili che, in età fertile, proteggono l'apparato cardiocircolatorio, mentre, col sopraggiungere della menopausa, tale effetto protettivo viene a mancare;
in Italia, nel 2005, è nato l'osservatorio Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna) che si occupa della salute della donna e che collabora con tutti gli istituti preposti a livello nazionale, per studiare, informare, educare e stimolare ad una grande attenzione su queste tematiche;
senza un orientamento di genere, le misure politiche a tutela della salute risultano metodologicamente scorrette, oltre che discriminanti. Per questo motivo la medicina di genere è ormai una realtà dalla quale non si può prescindere,


impegna il Governo:


a inserire tra gli obiettivi del piano sanitario nazionale 2013-2015 la promozione ed il sostegno alla medicina di genere quale approccio interdisciplinare tra le diverse aree mediche, al fine di delineare migliori criteri di erogazione del servizio sanitario, che tengano conto delle differenze di genere;
promuovere il potenziamento, omogeneo sul territorio nazionale, della ricerca medica, scientifica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere, con il concorso degli enti vigilati dal Ministero della salute, come l'ISS (Istituto superiore di sanità), l'Aifa (Agenzia italiana del farmaco), gli IRCCS (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico), nonché di enti di ricerca, università e aziende sanitarie, al fine di tutelare realmente, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, la salute di tutti i cittadini, promuovendo così l'appropriatezza terapeutica e la personalizzazione delle terapie;

a promuovere l'inserimento della «medicina di genere» nei programmi dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e delle scuole di specializzazione al fine di favorire l'interdisciplinarietà nell'ottica di genere, anche attraverso master dedicati;
ad individuare e promuovere, per quanto di competenza, percorsi che garantiscano, all'interno delle strutture sanitarie pubbliche, la presa in carico del paziente, tenendo conto delle differenze di genere, al fine di ottenere una risposta più specifica ed idonea di fronte alle numerose richieste di assistenza delle donne;
ad incentivare e valorizzare gli interventi di prevenzione e di diagnosi precoce delle patologie attraverso la sempre maggiore diffusione dei programmi di screening, in particolare del pap test, della mammografia e della prevenzione delle malattie cardiovascolari in epoca post-menopausale, includendo le donne immigrate;
a rafforzare gli interventi rivolti all'area materno infantile;
ad assumere iniziative normative volte ad offrire incentivi fiscali per sostenere lo sviluppo della ricerca scientifica medica e farmacologica rivolta alla medicina di genere;
a predisporre linee guida, in collaborazione con l'Aifa e con l'ISS affinché, nelle fasi di sperimentazione clinica dei farmaci in cui sono coinvolti gruppi di persone volontarie (fase 1 e 2), venga obbligatoriamente introdotta una percentuale statisticamente significativa di soggetti di genere femminile al fine di valutare scientificamente il follow up e l'impatto del farmaco con una visione di genere;
a istituire, senza maggiori oneri per la finanza pubblica, in collaborazione con ISS, un osservatorio nazionale per la medicina di genere che possa raccogliere, coordinare e trasferire dati epidemiologici e clinici - al fine di assicurare il raggiungimento dell'equità nel diritto alla salute - trasmessi anche attraverso una relazione annuale al Parlamento, evidenziando l'evoluzione dei servizi in materia di medicina di genere nelle varie regioni;
a predisporre iniziative di prevenzione sostenute da periodiche campagne informative al fine di favorire una corretta informazione volta a migliorare le conoscenze riguardanti le diversità di genere in medicina.
(1-00974)
«Palagiano, Binetti, Martini, Livia Turco, De Camillis, Stagno D'Alcontres, D'Anna, Miotto, Murer, Mura, Di Giuseppe, Donadi, D'Incecco, Bossa, Argentin, Burtone, Pedoto, Palumbo, Nunzio Francesco Testa».

La Camera,
premesso che:
il 2011 è stato un anno di importanti rivolgimenti e grandi manifestazioni antigovernative nel Paesi del Maghreb e del Mashrek che hanno determinato gravi e violente crisi politiche, sociali ed economiche (avvenimenti ormai noti come «primavera araba»);
nel marzo del 2011, le proteste sono giunte anche in Siria, dove a Daraa, città nel sud del Paese, i residenti si sono riversati in piazza. In quello che venne poi ribattezzato il «giorno della rabbia», per chiedere il rilascio di circa 15 studenti arrestati e presumibilmente torturati dopo aver scritto su un muro slogan che riprendevano gli stessi apparsi nel corso delle rivolte in Tunisia ed Egitto;
attualmente è ancora in atto una dura rivolta contro il regime alawita di Bashar Al Assad, presidente dal luglio 2000, succeduto al padre, Hafez Al Assad presidente ininterrottamente dal 1971 al 2000 (la famiglia Al Assad appartiene alla minoranza islamica degli Alawiti, di orientamento sciita, che fornisce la maggior parte dei quadri dirigenti del Ba'ath siriano);

il Governo di Damasco sta rispondendo con un uso sproporzionato della forza militare; stando agli ultimi dati diffusi dalle Nazioni Unite, infatti, tale violenta reazione avrebbe provocato finora la morte di oltre 8mila persone e l'arresto di altre 14mila; tra le forze dell'ordine e di sicurezza notizie non verificate parlano di circa duemila agenti morti negli scontri;
quella in atto in Siria appare sempre più una guerra civile ampiamente iniziata piuttosto che qualcosa in procinto di accadere, con conseguenze ancora più devastanti per la popolazione;
il presidente siriano Bashar al-Assad ha fissato al 7 maggio la data delle prossime elezioni legislative, dopo averle rimandate più di una volta;
occorrerebbe mantenere comunque l'attenzione internazionale sulla questione siriana malgrado lo sfortunato tentativo avviato con la missione degli osservatori della Lega araba, poi ritirata il 28 gennaio 2012; successivamente, nel corso della riunione del 12 febbraio 2012 al Cairo, i Ministri degli affari esteri della Lega araba hanno deciso di chiedere al Consiglio di sicurezza dell'Onu l'avvio di una missione, in sostituzione di quella appena fallita, che preveda l'invio in Siria di una forza di pace internazionale mista composta da rappresentanti arabi e rappresentanti scelti dalle Nazioni Unite, finalizzata a porre fine ai massacri che insanguinano, da ormai un anno, il Paese arabo; nel corso della stessa riunione è stato chiesto al Paesi arabi di sospendere ogni forma di cooperazione diplomatica con il regime di Damasco, e di intensificare le sanzioni economiche e l'apertura di canali di comunicazione con le opposizioni, ancorché divise;
dopo i recenti sviluppi in Libia e alla luce di una crisi economica e finanziaria che si aggrava sempre più, i Governi occidentali sono molto riluttanti a intervenire, avendo anche ben presente il complesso quadro regionale e internazionale in cui si colloca la crisi siriana; inoltre, va tenuto in debita considerazione il fatto che in Siria una delle principali incognite è caratterizzata dal carattere frammentario dell'opposizione al regime, dominata da una maggioranza sunnita sostenuta dai Fratelli musulmani e da Paesi arabi del golfo e rappresentata da un insieme di gruppi in esilio che si fa chiamare Consiglio nazionale siriano (Cns), con una prevalenza sempre più consistente di movimenti e partiti islamisti sunniti a fronte della presenza sciita di matrice iraniana;
proprio l'Iran ovviamente ha dimostrato di essere particolarmente attento a quel che accade in Siria, offrendo innanzitutto l'appoggio alle forze del regime e alla repressione della rivolta nel Paese;
di fronte alle violenze e alla crisi diplomatica internazionale, anche il nostro Paese, a lungo uno dei principali partner commerciali della Siria, il 14 marzo 2012 ha sospeso l'attività della propria ambasciata a Damasco e rimpatriato lo staff della sede diplomatica; altri Paesi hanno comunque già annunciato di voler procedere in questa direzione;
al di là delle inevitabili ripercussioni sugli assetti politico-istituzionali dell'intera area geografica, tale situazione sta generando un forte allarme umanitario per i violenti massacri che da mesi si stanno perpetrando ai danni della popolazione civile e che rischia di provocare delle inevitabili e gravi ripercussioni sui già delicati equilibri dell'intero territorio mediorientale, per cui risulta quanto mai urgente e prioritario un decisivo e unanime intervento della comunità internazionale;
la Turchia, ad esempio, ha già fatto sapere di essere disposta e preparata a ricevere profughi siriani per proteggerli dalle forze armate lealiste e a ospitare le forze armate libere della Siria, escludendo in maniera assoluta un coinvolgimento militare;
nei giorni scorsi, l'Alto Commissario dell'ONU per i diritti umani ha denunciato che «la mancanza di un accordo nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu sulla

Siria sembra aver incoraggiato le autorità di Damasco a portare avanti un massacro ancora più indiscriminato di dissidenti e crimini contro l'umanità»;
ogni tentativo fin qui esperito dalle Nazioni Unite - da ultimo, proprio l'invio dell'ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan - per porre fine alla repressione e per garantire un accesso umanitario alle città più colpite, ha prodotto esiti fallimentari;
l'Occidente è ancora impegnato nel ritiro dall'Afghanistan mentre già giungono sollecitazioni a intraprendere nuove imprese militari contro i regimi di Siria e Iran;
occorrerà, dunque, riaprire, ancora una volta, una riflessione proprio sull'Afghanistan, sulla necessità di concludere un'avventura a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, spericolata e sbagliata, nata come «missione di pace» ma che si è trasformata in una operazione di controguerriglia, di guerra guerreggiata, di lotta contro fazioni con impiego di mezzi altamente aggressivi che hanno già ucciso indiscriminatamente troppe vittime civili;
la recente, tragica strage commessa da un sergente americano in Afghanistan è stata troppo frettolosamente rubricata come un caso isolato di follia, mentre l'uccisione di 18 innocenti colti nel sonno, tra cui donne e moltissimi bambini, rivela invece quale assurda escalation di violenza si stia producendo in quella guerra che va condannata senza se e senza ma;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'Italia non è presente in Afghanistan per combattere il terrorismo, come quando era presente la minaccia del defunto leader di al Qaeda, Bin Laden, ma per affiancare una fazione contro le altre in quella che appare, anche in questo Paese, sempre più una guerra civile;
le finalità e la struttura di questo conflitto sono tremendamente mutate nel corso del tempo e ormai è cambiata anche la natura dell'intervento italiano;
negli ultimi tempi si sono anche succedute dichiarazioni da parte del Ministro della difesa, Di Paola, relative all'eventualità che gli aerei italiani non si limiteranno più solo alla ricognizione ma saranno dotati di bombe che, ad avviso dei firmatari del presente atto, inevitabilmente, finiranno per colpire anche la popolazione civile;
si assiste ormai a un assurdo e inutile sperpero di vite umane ma anche a uno spreco di soldi che sarebbero oggi necessari per alleviare il peso insopportabile della crisi che si riversa sui cittadini e sui lavoratori italiani;
da tempo, ci si chiede, infatti, quale sia lo scopo di questa missione, chi si stia difendendo, quale sia il reale scenario politico dell'Afghanistan in questo momento e in divenire, perché far restare i soldati italiani, ancora esposti al rischio della morte ogni giorno che passa (è proprio del 24 marzo 2012 la cinquantesima vittima italiana, il sergente Michele Silvestri) e, soprattutto, fino a quando vi si dovrà rimanere e con quali costi economici (è giusto ricordare che sono oltre 700 i milioni di euro annui che questa sola missione assorbe dell'intero ammontare riguardante il rifinanziamento delle missioni internazionali),


impegna il Governo


a farsi promotore, nelle opportune sedi internazionali, di iniziative volte a:
a) favorire un deciso intervento diplomatico, di concerto con le istituzioni europee, per rafforzare la pressione internazionale sul regime siriano, far cessare qualsiasi atto di violenza nei confronti della sua popolazione, assicurare un forte sostegno politico all'opposizione siriana nella direzione di evitare un'ulteriore degenerazione della situazione che rischia sempre più di scivolare verso una vera e propria guerra civile;
b) far sì che il Consiglio di sicurezza dell'Onu si pronunci nel più breve tempo possibile nel senso di fornire una

chiara risposta all'inaccettabile susseguirsi di violenze e repressione in Siria attraverso l'adozione di una risoluzione di condanna e di valutare la possibilità di avviare una missione di peacekeeping congiunta Onu-Paesi arabi nell'estremo tentativo di dissuasione nei confronti del presidente siriano;
c) porre, senza indugi e con maggior determinazione, l'esigenza di un riesame e di una modifica della strategia d'intervento per il ristabilimento della pace e della democrazia in Afghanistan, avviando in tempi rapidi e certi un percorso di ritiro progressivo del contingente militare italiano presente da troppo tempo in questo Paese.
(1-00975)
«Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Leoluca Orlando, Di Stanislao».

ULTERIORE NUOVA FORMULAZIONE

La Camera,
premesso che:
nel marzo del 2011 le proteste sono giunte anche in Siria, dopo aver interessato i Paesi del Maghreb e del Mashrek (avvenimenti ormai noti come «primavera araba»);
tutto è iniziato a Daraa, città nel sud del Paese, quando i residenti si sono riversati in piazza in quello che venne poi ribattezzato il «giorno della rabbia», per chiedere il rilascio di circa 15 studenti arrestati e presumibilmente torturati dopo aver scritto su un muro slogan che riprendevano gli stessi apparsi nel corso delle rivolte in Tunisia ed Egitto;
attualmente è ancora in atto una dura rivolta contro il regime alawita di Bashar Al Assad, Presidente dal luglio 2000, succeduto al padre, Hafez Al Assad, Presidente ininterrottamente dal 1971 al 2000 (la famiglia Al Assad appartiene alla minoranza islamica degli alawiti, di orientamento sciita, che fornisce la maggior parte dei quadri dirigenti del Ba'ath siriano);
il Governo di Damasco sta, purtroppo, rispondendo a queste legittime richieste di cambiamento con un uso sproporzionato della forza militare; stando agli ultimi dati diffusi dalle Nazioni Unite, infatti, tale violenta reazione avrebbe provocato finora la morte di oltre 10.000 persone; non è ovviamente possibile avere esatta contezza del numero dei morti ma l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), al 4 aprile 2012, parla di 10.281 persone, di cui 7.432 civili (tra cui 1.110 tra bambini e adolescenti e 232 donne), 2.281 forze militari governative e 568 disertori documentati finora; le persone attualmente arrestate sarebbero circa 21.000, di cui 482 minorenni e 237 donne; il Consiglio nazionale siriano, invece, parla di oltre 12.000 morti, di cui 11.188 civili (870 minori, 761 donne) e 1.081 soldati che si sono rifiutati di eseguire gli ordini;
si tratta in ogni caso di numeri inaccettabili, ancor più se si pensa che si parla di cifre destinate a crescere giorno per giorno: proprio il 27 maggio 2012, infatti, hanno perso la vita 108 persone, fra cui 49 bambini, in un nuovo, efferato massacro a Hula; il portavoce dell'Alto commissariato Onu per i diritti umani (Unhcr), Ruper Colville, ha spiegato che solo una ventina dei siriani morti in questo ennesimo eccidio sono stati causati dai colpi dell'artiglieria e dei carri armati; lo stesso ha anche denunciato che «la mancanza di un accordo nel Consiglio di sicurezza dell'Onu sulla Siria sembra aver incoraggiato le autorità di Damasco a portare avanti un massacro ancora più indiscriminato di dissidenti e crimini contro l'umanità»; ma l'ultimo bilancio delle violenze in Siria è del 30 maggio 2012, quando a Deir Ezzor si è verificato un altro massacro con 98 morti, tra cui 61 civili, nove ribelli e 28 soldati governativi; secondo il presidente dell'Osservatorio siriano per i diritti umani con sede a Londra, Rami Abdel Rahman, «le vittime sono state giustiziate con un proiettile nella testa, secondo le prime informazioni provenienti dalla regione»;
la Lega araba, nel corso di riunione del 12 febbraio 2012 al Cairo, attraverso i suoi Ministri degli affari esteri, aveva chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu l'avvio di una missione, in sostituzione di quella fallita il 28 gennaio 2012, che prevedesse l'invio in Siria di una forza di pace internazionale mista, composta da rappresentanti arabi e rappresentanti scelti dalle Nazioni Unite, finalizzata a porre fine ai massacri che insanguinano, da ormai un anno, il Paese arabo; nel corso della stessa riunione era stato chiesto ai Paesi arabi di sospendere ogni forma di cooperazione diplomatica con il regime di Damasco e di intensificare le sanzioni economiche e l'apertura di canali di comunicazione con le opposizioni, ancorché divise;
l'11 aprile 2012 il Governo siriano, dopo un trionfalistico annuncio sulla sconfitta dei «terroristi» e la ripresa totale di controllo del territorio, si era detto pronto ad attuare la tregua a partire dal giorno successivo, mantenendo, peraltro, le truppe pronte a nuovi interventi, ma la stessa veniva rispettata solo parzialmente, poiché nelle 36 ore successive le forze governative uccidevano una trentina di persone, come sempre dopo il consueto venerdì di preghiera;
dopo l'ennesimo massacro, il 14 aprile 2012 veniva approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell'Onu la risoluzione 2042, in cui si consentiva l'invio immediato di una missione esplorativa in Siria, composta da non più di trenta osservatori militari non armati, allo scopo di controllare il rispetto del cessate il fuoco, ma anche degli altri punti del piano di pace sottoposto ad Assad da Kofi Annan, con particolare riguardo al ritiro delle forze militari e degli armamenti pesanti dai centri abitati;
dopo l'inizio della missione di osservatori dell'Onu, la situazione nel Paese è rimasta difficile e l'Onu ha preso atto che la tregua è stata rispettata solo parzialmente dal regime, il quale, dal canto suo, sempre appoggiato dalla Russia, ne addossava la responsabilità ai combattenti definiti terroristi; di qui la decisione di approvare il 21 aprile 2012 una seconda risoluzione, la 2043, la cui urgenza era stata particolarmente sostenuta dalla Russia, votando all'unanimità l'invio progressivo di un contingente di non più di trecento osservatori militari disarmati, oltre alla necessaria componente civile; dopo l'eccidio di Hula, anche Russia e Cina hanno, infatti, poi sottoscritto la ferma condanna del Consiglio di sicurezza, dopo che per due volte avevano esercitato il potere di veto;
la missione deliberata (Unsmis, United nations supervision mission in Syria), della durata iniziale di 90 giorni e sulla quale già in precedenza le Nazioni Unite avevano firmato un protocollo d'intesa con il Governo siriano, sarà soggetta a una frequente periodica valutazione da parte del Segretario generale dell'Onu che riferirà al Consiglio, soprattutto in ordine all'effettivo rispetto - finora solo parziale - del cessate il fuoco;
gli attivisti dei comitati di coordinamento che si oppongono in Siria al regime non hanno nascosto la propria delusione, sostenendo che la missione fallirà il proprio obiettivo, in quanto insufficiente a coprire il vasto territorio siriano, e si risolverà solo in un'ulteriore concessione di tempo al regime di Assad; la perdurante repressione in atto nel Paese e i già menzionati massacri sembrano dare loro ragione;
il 23 aprile 2012, stante la violazione dell'impegno a cessare il fuoco, nuove sanzioni europee e americane hanno colpito la Siria: in particolare, quelle decise dal Presidente Usa Obama rivolte, soprattutto, verso una serie di tecnologie, con le quali il regime sarebbe in grado di rintracciare e colpire gli oppositori mediante il controllo dei telefoni cellulari e dei social network della rete internet;
nelle stesse ore la Turchia, preoccupata soprattutto degli effetti destabilizzanti a catena che un'eventuale partizione della Siria potrebbe provocare, ha ventilato la possibilità di portare in sede Nato la situazione di tensione del proprio confine con la Siria;
nemmeno le elezioni legislative del 7 maggio 2012 hanno segnato una qualche ricomposizione dei contrasti: piuttosto, esse sono state boicottate anche da forze di opposizione moderata non colpite finora dalla repressione, in quanto giudicate solo un'operazione cosmetica del regime, che, invece, le ha ritenute democratiche, in realtà, come poi è stato acclarato, si è trattato di elezioni-farsa;
l'8 maggio 2012 Kofi Annan ha rilevato come gran parte del suo piano per il cessate il fuoco non sia stato finora attuato, ma ha espresso fiducia nell'azione dei trecento osservatori che entro la fine di maggio 2012 dovrebbero essere tutti al lavoro in Siria, e tra loro vi sono 17 militari italiani (dei quali 5 sono partiti il 15 maggio 2012 alla volta di Damasco), come deciso dal Governo con comunicazione al Parlamento in un'informativa alle Commissioni riunite esteri e difesa della Camera dei deputati il 9 maggio 2012;
il 13 maggio 2012 il Ministro degli affari esteri Giulio Terzi ha ricevuto a Roma il capo del Consiglio nazionale siriano, Burhan Ghalioun, ma le sue successive e improvvise dimissioni non rappresentano certamente un segnale positivo;
di fronte alle violenze e alla crisi diplomatica internazionale, il nostro Paese, a lungo uno dei principali partner commerciali della Siria, il 14 marzo 2012 aveva iniziato con la sospensione dell'attività della propria ambasciata a Damasco, rimpatriandone lo staff della sede diplomatica; altri Paesi si erano mossi in tale direzione;
con l'aggravarsi della situazione, a seguito delle efferate violenze contro la popolazione civile di Mula, ascrivibili alle responsabilità del Governo siriano, e a fronte del fallimento di quanto messo in campo sinora in sede Onu, con le risoluzioni 2042 e 2043, è stato concordato da Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Spagna di provvedere all'espulsione degli ambasciatori della Siria dal territorio nazionale, provvedimento esteso anche ad alcuni funzionari dell'ambasciata; anche gli Stati Uniti, l'Australia, il Giappone, il Canada e la Turchia hanno provveduto in tal senso, mentre la Russia ha, invece, criticato l'espulsione degli ambasciatori siriani, definendola una mossa «controproducente»;
il Premier turco Recep Tayyip Erdogan, nel condannare l'eccidio di Mula, ha sottolineato che «la pazienza del mondo si sta esaurendo» e ha anche fatto sapere di essere disposto e preparato a ricevere profughi siriani per proteggerli dalle forze armate lealiste e a ospitare le forze armate libere della Siria, escludendo in maniera assoluta un coinvolgimento militare;
a conferma, comunque, che il conflitto potrebbe estendersi pericolosamente, si è avuta notizia di spari dell'esercito siriano al confine con il Libano che hanno causato la morte di un contadino libanese; intanto l'opposizione siriana fa sapere di essere pronta a prendere il controllo degli arsenali chimici di Assad, non appena il regime crollerà;
al di là delle inevitabili ripercussioni sugli assetti politico-istituzionali dell'intera area geografica, tale situazione sta generando un forte allarme umanitario per i violenti massacri che da mesi continuano a perpetrarsi ai danni della popolazione civile e che rischia di provocare delle inevitabili e gravi ripercussioni sui già delicati equilibri dell'intero territorio mediorientale, per cui risulta quanto mai urgente e prioritario un decisivo e unanime intervento della comunità internazionale;
alla luce di una crisi economica e finanziaria che si aggrava sempre più a livello globale, i Governi occidentali restano ancora molto riluttanti a intervenire, avendo anche ben presente il complesso quadro regionale e internazionale in cui si colloca la crisi siriana; inoltre, va tenuto in debita considerazione il fatto che in Siria una delle principali incognite è caratterizzata dalla frammentarietà dell'opposizione al regime, dominata da una maggioranza sunnita sostenuta dai Fratelli musulmani e da Paesi arabi del Golfo e rappresentata da un insieme di gruppi in esilio che si fa chiamare Consiglio nazionale siriano (Cns), con una prevalenza sempre più consistente di movimenti e partiti islamisti sunniti, a fronte della presenza sciita di matrice iraniana; proprio l'Iran, ovviamente, ha dimostrato di essere particolarmente attento a quel che accade in Siria, offrendo innanzitutto l'appoggio alle forze del regime e alla repressione della rivolta nel Paese;
quella in atto in Siria appare ormai sempre più una guerra civile ampiamente iniziata, piuttosto che qualcosa in procinto di accadere, con conseguenze ancora più devastanti per la popolazione,

impegna il Governo:

a farsi promotore, nelle opportune sedi internazionali, di iniziative volte a:
a) favorire un deciso intervento diplomatico, di concerto con le istituzioni europee, per rafforzare la pressione internazionale sul regime siriano, far cessare qualsiasi atto di violenza nei confronti della sua popolazione, assicurare un forte sostegno politico alla già fragile e composita opposizione siriana nella direzione di evitare un'ulteriore degenerazione della situazione;
b) far sì che il Consiglio di sicurezza dell'Onu si pronunci nel più breve tempo possibile nel senso di:
1) fornire una più stringente e decisa risposta all'inaccettabile susseguirsi di violenze e repressione in Siria attraverso l'adozione di misure più rigorose, tra cui sanzioni economiche, contro il regime siriano;
2) valutare la possibilità di avviare una missione di peacekeeping congiunta Onu-Paesi arabi nell'estremo tentativo di dissuasione nei confronti del Presidente siriano;
3) prevedere l'aumento del numero degli osservatori militari delle Nazioni Unite già previsti dalla risoluzione 2043 e rafforzare il mandato della missione Unsmis;
ad adoperarsi nelle sedi internazionali per sostenere con forza che la commissione internazionale indipendente d'inchiesta, istituita dal Consiglio Onu dei diritti umani, possa entrare in Siria e verificare le denunce di violazioni commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto;
ad attivarsi perché vengano celermente avviate le necessarie procedure, previste dall'articolo 5 della legge 3 marzo 1951, n. 178, volte a revocare l'onorificenza concessa al Presidente siriano Bashar Al-Assad.
(1-00975) (Ulteriore nuova formulazione) «Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Leoluca Orlando, Di Stanislao».