XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di venerdì 23 marzo 2012

TESTO AGGIORNATO AL 27 MARZO 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
il numero complessivo di medici che operano a vario titolo in sanità (pubblica e privata) è in Italia di circa 300.000, per una popolazione di 59 milioni di abitanti (dati Istat): un medico ogni 196 abitanti. Nella seconda metà degli anni '70 e negli anni '80, il numero sempre crescente di laureati in medicina ha prodotto in molti casi una sottooccupazione medica ed ha contribuito in alcuni casi a trovare aree occupazionali che hanno tolto spazio alle altre professioni sanitarie, fenomeno specificamente italiano, mentre negli altri Paesi europei il ruolo medico è caratterizzato da una maggiore appropriatezza di compiti;
dopo l'introduzione del numero programmato, presente in Italia da almeno 15 anni, si è giunti ad un progressivo riequilibrio ed ora in molti settori i neolaureati in medicina trovano lavoro subito dopo il completamento del percorso di laurea o di specializzazione;
vi sono ora previsioni che nei prossimi anni, a seguito dei pensionamenti previsti, il servizio sanitario nazionale si troverà in crisi per carenza di medici;
la stima è che entro il 2015 diciassettemila medici lasceranno ospedali e strutture territoriali per aver raggiunto l'età della pensione. La forbice tra chi esce e chi entra tenderà ad allargarsi anche per penuria di nuovi professionisti usciti dalle scuole di specializzazione. Squilibrio ancora più evidente nelle regioni in deficit, che devono gestire rigidi piani di rientro;
dal 2012 al 2014 è prevista una carenza di 18 mila medici, che diventeranno 22 mila dal 2014 al 2018. Legato a questo il problema degli specializzandi in medicina veterinaria, odontoiatria, farmacia, biologia, chimica, fisica e psicologia, che oggi non ricevono borse di studio. Per la loro formazione viene indicata una copertura per 800-1.000 contratti;
lo squilibrio tra necessità e programmazione nelle scuole di specializzazione è un fenomeno già presente che si sta aggravando, anche perché il numero di posti nelle scuole non viene adattato alle esigenze di mercato. Alcune specialità sono in uno stato di sofferenza cronica. Anestesia, radiologia, pediatria, nefrologia, geriatria, con la popolazione che invecchia, e tutta la chirurgia;
le capacità formative dell'università sono pari a circa 5 mila specialisti per anno, di cui solo 3.500 sceglieranno di lavorare come dipendenti del servizio sanitario nazionale. Nei prossimi 10 anni, quindi, si prospetta una carenza di circa 30 mila specialisti, che svolgono funzioni non delegabili ad altre professioni sanitarie;
di fronte all'uscita dal mondo della sanità pubblica di un grande numero di specialisti e di fronte all'evidente carenza quantitativa e qualitativa del sistema formativo universitario, urge aumentare il numero di specialisti;
il decreto ministeriale del 23 novembre 2011, che ha aumentato i posti nei corsi di laurea in medicina e chirurgia, rappresenta un palliativo certamente insufficiente,


impegna il Governo:


ad aumentare, coerentemente con i fabbisogni reali della sanità italiana e per garantire sempre un miglior servizio, i posti disponibili per l'accesso alla facoltà di medicina e chirurgia;
a rivedere, con urgenza, il meccanismo regolamentare per l'accesso alle scuole di specializzazione, al fine di rendere più veloce l'accesso alle stesse, e, nello stesso tempo, a redigere una nuova

programmazione, al fine di rendere le medesime più aderenti ai reali fabbisogni del Paese.
(1-00958)
«Iannaccone, Belcastro, Porfidia, Brugger».

La Camera,
premesso che:
secondo le stime che vengono fatte, quando sarà esaurita la «bolla» di super-iscrizioni degli anni '70-'80, l'Italia allineerà il rapporto dei medici per abitanti a quello più basso dei Paesi Ocse e si passerà così dalla pletora del passato alla carenza di medici del futuro;
le previsioni parlano di un'inversione di tendenza a partire dal 2015, che porterà nel giro di dieci anni il numero di medici da 350 mila a circa 250 mila, anche se già oggi si avverte una carenza strutturale di circa 5.000 medici tra radiologi, anestesisti e personale dell'area emergenza;
nello stesso piano sanitario nazionale 2011-2013 si afferma che «si attende una carenza dal 2012 al 2018 di 18.000 unità di personale medico nel servizio sanitario nazionale e di circa 22.000 medici dal 2014 al 2018 in totale (si passerà da 3,7 medici «attivi» per 1000 abitanti a 3,5 medici «attivi» per 1000 abitanti, contro una media europea di 3,1 medici attivi per 1000 abitanti);
oltre ad assumere meno personale medico per carenza di fondi e vincoli di bilancio (un gran numero di regioni sono sottoposte a piani di rientro dove vige il blocco del turnover), si continua a formare il personale senza tenere conto dell'andamento della curva demografica del nostro Paese, che invecchia, e, quindi, dei reali bisogni assistenziali del territorio;
attualmente l'articolo 35, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 368 del 1999 prevede una cadenza triennale del rilevamento del fabbisogno di medici specialistici del servizio sanitario nazionale sulla base di un'approfondita analisi della situazione occupazionale, dopodiché il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica, acquisito il parere del Ministro della salute, determina il numero dei posti da assegnare a ciascuna scuola di specializzazione, tenuto conto della capacità ricettiva e del volume assistenziale delle strutture sanitarie inserite nella rete formativa della scuola stessa;
per formare un medico oggi in Italia si richiede un tempo relativamente lungo: 6 anni di laurea in medicina, cui occorre aggiungere in media un anno per l'abilitazione, cioè per l'esame di Stato, più 5 anni di specializzazione, oppure 3 anni per le scuole regionali di medicina generale. Insomma 10-12 anni, visto che la legge n. 502 del 1992 non consente ai medici di entrare nel servizio sanitario nazionale senza avere una specializzazione. I «giovani» medici, dunque, entrano a pieno titolo nel mondo del lavoro solo dopo i trent'anni, almeno ufficialmente, anche se, nella realtà, già oggi, molti laureati senza specializzazione sono inseriti con contratti atipici nelle strutture, territoriali e ospedaliere, di molte regioni;
il decreto ministeriale 6 marzo 2006, n. 172, recante il «Regolamento concernente modalità per l'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione in medicina», che disciplina le modalità di accesso dei medici alle scuole di specializzazione in medicina e chirurgia di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, prevede, all'articolo 2, che l'ammissione a dette scuole possa avvenire con «concorso annuale per titoli ed esami, indetto con decreto del rettore dell'università, per il numero di posti determinati con decreto del Ministro, di cui all'articolo 35, comma 2, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368. Al concorso possono partecipare i laureati in medicina e chirurgia in data anteriore al termine di scadenza fissato dal bando per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso, con obbligo di superare l'esame di Stato entro il termine fissato per l'inizio delle attività didattiche delle scuole. Nel bando sono,

altresì, indicate la sede e la data della prova di esame, i posti disponibili presso ciascuna scuola e le necessarie disposizioni organizzative»;
per poter, quindi, accedere alle scuole di specializzazione, così come previsto dall'articolo 2 del decreto, non solo bisogna essere laureati in medicina, ma bisogna già aver superato l'esame di Stato o comunque superarlo entro l'inizio di ogni anno; quindi, i neolaureati in medicina per poter continuare il proprio percorso formativo devono sperare che tutte le scadenze siano sincronizzate, altrimenti si vedono costretti a perdere un anno per concludere la loro formazione;
a partire dal 1995 è stato introdotto il titolo di formazione specifico necessario per poter esercitare la professione di medico di famiglia, guardia medica o medico del 118 in convenzione con il servizio sanitario nazionale e tale titolo viene rilasciato dalle regioni dopo un corso di tre anni;
i medici di medicina generale «titolati» non sono attualmente sufficienti per coprire il fabbisogno del territorio, a causa dell'alto costo richiesto alla regione per la formazione, per la bassa disponibilità di tutoring presso le strutture sanitarie, nonché per il fatto che molti abbandonano il corso in favore dell'ingresso nelle scuole di specializzazione, che garantisce loro un periodo più lungo di occupazione (4 anni invece che 3) e uno stipendio più alto (2000 euro a fronte di 800), tant'è che le aziende sanitarie locali (ma anche i medici di base, privatamente) da anni si «servono» in maniera continuativa e strutturata di medici privi del titolo di formazione specifica, addirittura «specializzandi» o neolaureati,


impegna il Governo:


a promuovere, al fine di attenuare la carenza strutturale di personale medico, un sistema di rilevamento (criteri ed analisi) del fabbisogno formativo della facoltà di medicina e chirurgia, nonché dei corsi di laurea in area sanitaria, che tenga conto a livello territoriale della reale necessità di personale medico, predisponendo un numero programmato di ingressi alla facoltà di medicina e chirurgia;
al fine di limitare il più possibile l'abbandono durante il corso di studi intrapreso, ad intervenire sulle modalità di ingresso, predisponendo un test nazionale attinente esclusivamente al corso di studi prescelto, nonché modalità di valutazione uniforme per tutte le scuole di specializzazione, al fine di evitare percorsi «facilitati» in talune realtà territoriali, con conseguenti inique sperequazioni;
ad individuare tutte le misure normative necessarie affinché i posti nelle scuole di specializzazione medica a livello nazionale siano distribuiti tra le regioni tenendo conto del reale fabbisogno di specialisti di ciascuna regione, al fine di assicurare la qualità del servizio sanitario;
ad intervenire affinché si possa pervenire ad un'armonizzazione cronologica delle date relative al conseguimento della laurea, dell'abilitazione e dell'ingresso nelle scuole di specializzazione, onde evitare perdite di tempo nel già complesso e lungo iter di formazione di un medico;
ad assumere, con il coinvolgimento delle regioni, tutte le iniziative normative ed economiche necessarie affinché i medici di medicina generale in possesso della formazione specifica possano essere formati in un numero sufficiente al fabbisogno del territorio.
(1-00959)
«Miotto, Lenzi, Argentin, Bossa, Bucchino, Burtone, D'Incecco, Grassi, Murer, Pedoto, Sarubbi, Sbrollini, Livia Turco».

La Camera,
premesso che:
con l'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, è apparso del tutto

evidente quali danni avrebbe provocato nel settore agricolo l'introduzione della nuova imposta municipale unica;
con l'entrata in vigore, a pieno regime, dell'imposta municipale unica si rischia di arrivare alla chiusura di molte piccole e medie aziende agricole che già sono in crisi per le crescenti difficoltà economiche che stanno investendo l'intero settore;
in pratica si è attuata una duplicazione di imposta sui fabbricati rurali il cui reddito era già ricompreso in quello dei terreni che per gli agricoltori equivalgono a mezzi di produzione;
dai calcoli effettuati dalle organizzazioni di settore gli incrementi varieranno dal 100 al 400 per cento;
la Coldiretti ha valutato in un miliardo di euro i costi aggiuntivi che peseranno sugli agricoltori per effetto dell'imposta municipale unica;
in uno studio elaborato dalla Confagricoltura emerge che, a fronte di un'incidenza sul PIL globale della nuova imposta patrimoniale pari all'1,3 per cento, si arriva al 4,5 per cento per il settore agricolo, con una perdita dei guadagni stimata al 10 per cento;
con l'introduzione dell'imposta municipale unica sui fabbricati rurali e l'incremento degli estimi catastali dei terreni si colpiranno migliaia di aziende agricole già pesantemente in difficoltà a causa della perdurante crisi economica;
per la Cia, l'introduzione dell'imposta municipale unica produrrà per gli agriturismi una perdita dei guadagni sino al 20 per cento;
con l'introduzione di questa tassa sono a rischio sopravvivenza circa mezzo milione di aziende sotto i 20 ettari, vanificando tutti gli sforzi degli operatori del settore che proprio grazie a maggiori investimenti e all'innovazione erano in qualche modo riusciti a non venire sommersi dalla crescente crisi economica;
l'agricoltura, primo settore economico del Paese, con il 3,5 per cento del PIL e con il 15 per cento se viene compreso anche il settore agroalimentare, ha cominciato nel 2011 a perdere posizioni sino ad arrivare nel terzo trimestre del 2011 l'andamento congiunturale più negativo del valore aggiunto: meno 0,9 per cento;
non va dimenticato che il settore è già stato pesantemente colpito attraverso gli aumenti del carburante utilitys varie ed è in vana attesa, ad esempio, che si trovino le risorse finanziare necessarie a una riduzione dell'accisa sul gasolio destinato al riscaldamento delle serre;
a tutto ciò va aggiunta l'approvazione dell'accordo tra l'Unione europea e il Marocco sulla liberalizzazione dei prodotti agricoli e ittici che, soprattutto nel Meridione d'Italia rappresenta un ulteriore attacco alle produzioni e agli agricoltori locali;
non a caso, in questa situazione che rischia di rivelarsi disastrosa per il settore agricolo, gli operatori continuano a denunciare uno scarso interesse da parte del Governo nei confronti del sistema agricolo nazionale, che rappresenta o almeno ha rappresentato sino ad oggi, un settore d'avanguardia e un fiore all'occhiello per il nostro Paese nel mondo;
nel nostro Paese vi sono circa 50mila imprese che si dedicano al biologico su un milione di ettari con consumi raddoppiati nel corso degli ultimi dieci anni, vi è la più estesa rete di vendita diretta di prodotti agricoli con un fatturato di 3,2 miliardi di euro, e 12,7 milioni di ettari sono presidiati dai nostri agricoltori che riescono così a svolgere anche un'importante funzione di salvaguardia ambientale, che il turismo enogastronomico ha un fatturato stimato in 5 miliardi di euro;
tutto ciò rischia di entrare in una crisi irreversibile se non si attueranno in tempi necessariamente rapidi provvedimenti a difesa del settore agricolo;

le nuove tasse e gli aumenti del gasolio per come sono stati introdotti, non solo porteranno ad una chiusura di molte aziende che si ripercuoterà inevitabilmente sull'occupazione, ma determinerà un aumento dei prezzi al dettaglio colpendo ulteriormente le famiglie e i consumatori italiani che già hanno risposto alla crisi economica con un calo sensibile dei consumi,


impegna il Governo:


ad attivare tavoli di concertazione con le associazione di categoria al fine di programmare in tempi necessariamente rapidi, tutti gli interventi normativi necessari al mondo agricolo che rischia di restare soffocato sia dalle scelte fiscali e dai provvedimenti ultimamente approvati sia dagli effetti derivanti dall'attuale crisi economica affinché non aumentino a dismisura le piccole e medie aziende costrette a chiudere la propria attività e si riconosca, così, il ruolo determinante di questo settore per il rilancio dell'economia reale nel nostro Paese;
ad assumere iniziative per rivedere i termini in cui è applicata attualmente la nuova imposta dell'imposta municipale unica, di cui le aziende agricole sentiranno tutto il peso nel corrente anno fiscale, prevedendo una drastica riduzione dell'imposta municipale unica sia per i fabbricati rurali e connessi, compresi i terreni, che per gli immobili strumentali utilizzati dagli imprenditori agricoli professionali e dai coltivatori diretti che si dedicano all'agricoltura come attività prevalente e che da sempre sono stati inseriti nel valore dei terreni;
ad assumere iniziative normative dirette a sospendere con effetto immediato, sino alla definizione di una nuova normativa in materia, l'applicazione dell'imposta municipale unica, per come è definita dall'attuale legislazione, nel settore agricolo.
(1-00960)
«Ruvolo, Moffa, Calearo Ciman, Catone, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».

La Camera,
premesso che:
in data 28 giugno 2008, è stato sottoscritto il cosiddetto accordo di Pracatinat relativo a «Punti di accordo per la progettazione della nuova linea e per le nuove politiche di trasporto per il territorio», integrato poi in data 23 gennaio 2009, con il «Primo atto aggiuntivo all'intesa generale quadro» tra il Governo nazionale e la regione Piemonte, che richiama e declina in scelte operative e finanziarie sia l'accordo di Pracatinat che il «Patto per lo sviluppo sostenibile del Piemonte»;
nel medesimo anno è stato avviato, su iniziativa della provincia di Torino, un piano strategico per il territorio interessato dalla direttrice Torino-Lione, con l'obiettivo di creare un efficace sistema di governance territoriale intorno ad una visione condivisa, al fine dell'elaborazione di efficaci strategie di coesione sociale e di sviluppo economico;
è doveroso rispettare quanto previsto nei suddetti accordi ed è necessario che l'intervento sulla direttrice ferroviaria sia accompagnato dall'attuazione del Piano strategico redatto dalla provincia di Torino e dalla disponibilità immediata di risorse finalizzate a garantire gli interventi relativi al nodo di Torino previsti dall'accordo Stato-regione;
il 20 ottobre 2010 la Camera dei deputati ha approvato la mozione presentata dal gruppo Lega Nord n. 1-00457, in riferimento alla nuova linea Torino-Lione, impegnandosi a predisporre per il Piemonte un piano di sviluppo sia infrastrutturale che intermodale per il completo utilizzo della nuova opera, nonché a garantire gli impegni presi fino alla realizzazione

dell'opera, con particolare riferimento alla copertura finanziaria che richiede l'immediata erogazione di 20 milioni di euro quale anticipo per la copertura degli interventi di prima fase per la realizzazione della linea dei treni ad alta velocità. Inoltre, si è impegnato a monitorare tutte le fasi della realizzazione dell'opera, sia preliminari che definitive, affinché la salute dei cittadini e la tutela del territorio vengano preservate. Nella medesima seduta, sono state approvate anche altre quattro mozioni presentate dai gruppi che oggi compongono la maggioranza politica del Parlamento;
il Governo precedente ha rispettato le date di avvio e di prosecuzione dei lavori, comprendendo la necessità di dotare il Paese di un'infrastruttura che, oltre all'ammodernamento del sistema Paese, porta indubbi benefici per i territori in cui si colloca, considerando l'aumento della competitività del Piemonte e delle regioni attraversate e i nuovi posti di lavoro derivanti da nuovi insediamenti industriali e dallo sviluppo della logistica. A giugno 2011 sono iniziati i lavori del cantiere per il tunnel geognostico nella località di Chiomonte, in Valle di Susa, dove proseguono grazie al presidio attento e responsabile delle forze dell'ordine e nonostante gli attacchi troppo frequenti di alcuni violenti oppositori No Tav;
il Cipe ha approvato, ad agosto 2011, il progetto di realizzazione dei lavori, che saranno divisi in più fasi: si prevede la realizzazione della galleria di base e una modernizzazione della linea «storica» per consentire il passaggio della Tav senza realizzare per ora una seconda linea e rimandando invece il tutto al 2023, quando sarà valutata la necessità di realizzare una seconda linea in valle oppure mantenerne una sola mista, anche sulla base della reale crescita del traffico merci. Questa scelta di procedere per fasi comporta una serie di vantaggi economici: operando in questo modo, nell'arco di un decennio l'Italia dovrebbe investire poco meno di 3 miliardi di euro;
la firma del nuovo accordo internazionale fra Italia e Francia sulla ripartizione delle spese, che dovrebbe svolgersi il prossimo autunno, porterà l'Italia a ratificare una riduzione della quota a carico dell'Italia, rispondendo alle richieste dell'Unione europea,


impegna il Governo


a mettere in atto tutte le azioni necessarie, anche attraverso un congruo e immediato finanziamento di 100 milioni di euro, per realizzare gli interventi previsti dal «Piano strategico per il territorio interessato dalla direttrice Torino-Lione», in particolare quelli relativi al nodo di Torino previsti dall'accordo Stato-regione del 28 giugno 2008 (cosiddetto accordo di Pracatinat) e dall'atto aggiuntivo del 23 gennaio 2009.
(1-00961)
«Allasia, Cavallotto, Buonanno, Fogliato, Pastore, Simonetti, Dozzo, Lanzarin, Alessandri, Dussin, Togni, Crosio, Di Vizia, Montagnoli, Lussana, Fugatti, Fedriga, Bitonci, Bonino, Bragantini, Callegari, Caparini, Chiappori, Comaroli, Consiglio, D'Amico, Dal Lago, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rondini, Rivolta, Stefani, Stucchi, Torazzi, Vanalli, Volpi».

La Camera,
premesso che:
secondo il piano sanitario nazionale 2011-2013, entro il 2018 in Italia è prevista una carenza di 22.000 medici, non solo per un rilevante numero di pensionamenti, ma anche per un'errata programmazione del numero chiuso alle facoltà

di medicina e chirurgia e, soprattutto, dei posti disponibili nelle scuole di specializzazione;
il corso di studi di uno specialista, costituito dalla laurea in medicina e dalla successiva specializzazione, risulta essere nel mondo tra i più lunghi, senza garantire, al tempo stesso, una formazione specialistica adeguata, come avviene nella maggior parte dei Paesi occidentali;
attualmente, nel nostro Paese si iscrivono a medicina circa 9.500 giovani l'anno, mentre i posti alle scuole di specializzazione sono significativamente più bassi. Annualmente, infatti, conseguono il diploma di specializzazione circa 5 mila professionisti medici, a fronte di un fabbisogno stimato dalle regioni di 8.850 nuovi specializzati l'anno;
una ricerca del luglio 2011, effettuata dal sindacato ospedaliero «Anaao Assomed», ha confermato che nei prossimi dieci anni in Italia andranno in pensione più medici di quanti ne saranno specializzati nelle università. E per alcune discipline ci sarà un concreto rischio di crisi;
come segnala la suddetta ricerca, l'Italia sta per entrare nella «gobba pensionistica», perché circa la metà dei medici ospedalieri italiani, nati dal 1950 al 1959, andranno in pensione tra il 2012 e il 2021 e lasceranno un «buco» di 63 mila posti, che dovrebbe essere colmato da 50 mila specializzandi. Di questi circa il 70 per cento, ossia 35 mila, entreranno nella sanità pubblica. La crisi peggiore interesserà i pediatri, per i quali si prevede un'uscita di 5.700 unità, a fronte di 2.300 in entrata, con un saldo negativo di 2.400 specialisti. Anche gli internisti subiranno una cospicua riduzione numerica, con un saldo negativo di 1.950 medici. In diminuzione anche i chirurghi generali, i ginecologi e gli anestesisti. In controtendenza sarebbero, invece, i radiologi;
la procedura per l'avvio dei concorsi annuali di ammissione alle scuole di specializzazione è contenuta all'articolo 35 del decreto legislativo n. 368 del 1999, come successivamente modificato, il quale prevede che «con cadenza triennale ed entro il 30 aprile del terzo anno, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, tenuto conto delle relative esigenze sanitarie e sulla base di un'approfondita analisi della situazione occupazionale, individuano il fabbisogno dei medici specialisti da formare comunicandolo al Ministero della sanità ed a quello dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica. Entro il 30 giugno del terzo anno il Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica e con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, determina il numero globale degli specialisti da formare annualmente, per ciascuna tipologia di specializzazione, tenuto conto delle esigenze di programmazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano con riferimento alle attività del servizio sanitario nazionale»;
in particolare, il comma 2 del suddetto articolo 35 prevede che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, acquisito il parere del Ministero della salute, determina il numero dei posti da assegnare a ciascuna scuola di specializzazione in medicina e chirurgia;
il decreto ministeriale 6 marzo 2006, n. 172, ha definito le modalità per l'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione in medicina. All'articolo 2 si prevede che: «Alle scuole si accede con concorso annuale per titoli ed esami, indetto con decreto del rettore dell'università, per il numero di posti determinati con decreto del Ministro, di cui all'articolo 35, comma 2, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368. Al concorso possono partecipare i laureati in medicina e chirurgia in data anteriore al termine di scadenza fissato dal bando per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso, con obbligo di superare l'esame di Stato prima dell'iscrizione alla scuola»;

questa procedura determina un ritardo notevole per tutti gli studenti che, laureatisi entro la sessione autunnale del sesto anno di corso, dovranno aspettare l'anno solare successivo per svolgere il tirocinio propedeutico all'esame di Stato, superarne la prova e poter accedere al concorso per la scuola di specializzazione;
a detta dello stesso Ministero, non è materialmente possibile armonizzare le sessioni di laurea, che normalmente sono tre in ogni anno accademico, con le sessioni degli esami di Stato, che si svolgono due volte l'anno, e con il concorso di ammissione alla scuola di specializzazione, che viene bandito una sola volta per ciascun anno accademico,


impegna il Governo:


ad individuare idonee modalità volte a rendere coerenti le date per il concorso alla scuola di specializzazione medica con la calendarizzazione delle sessioni di laurea e delle sessioni per l'esame di Stato, al fine di non penalizzare i neolaureati spesso obbligati a lunghi tempi di attesa prima di poter esercitare la professione medica a conclusione del loro iter formativo;
a valutare l'opportunità - nel rispetto dell'autonomia universitaria - di considerare il mese di marzo quale data di scadenza prevista dal bando per la domanda di ammissione al concorso per l'ingresso alle scuole di specializzazione;
a valutare l'opportunità di considerare tirocinio abilitante quello svolto durante il corso di laurea, dal momento che esso prevede anche l'attività di pronto soccorso;
a valutare la possibilità che l'esame di abilitazione possa essere effettuato dopo ogni seduta di laurea;
a riconsiderare la reale necessità di un corso di studi che, tra laurea e specializzazione, abbia una durata così lunga, valutando l'opportunità di adeguarla, invece, agli standard internazionali, garantendo al tempo stesso un controllo più stringente sulla partecipazione degli specializzandi alla pratica clinica necessaria per acquisire il titolo;
a rendere coerente il numero chiuso ai fini dell'accesso ai corsi di laurea in medicina e chirurgia con le reali necessità del Paese, secondo le previsioni relative alla disponibilità futura di personale medico;
ad aumentare il numero di posti delle scuole di specializzazione, ridefinendoli in relazione al fabbisogno reale del sistema sanitario e alle necessità demografiche ed epidemiologiche della popolazione, coinvolgendo a tal fine le amministrazioni locali e le università.
(1-00962)
«Palagiano, Zazzera, Donadi, Borghesi, Evangelisti».

La Camera,
premesso che:
i mutamenti del quadro geopolitico globale, in cui alla relativa stabilità dell'area atlantica corrisponde la crescente instabilità di aree di rilevante interesse strategico in Asia e Africa e la significativa riduzione della presenza militare statunitense in Europa, impongono nuove e crescenti responsabilità al sistema di difesa, che è chiamato a potenziare la propria autonomia ed efficienza operativa all'interno delle severe compatibilità dettate dagli obiettivi di finanza pubblica;
il Ministro della difesa, nelle audizioni presso le Commissioni difesa di Camera e Senato, ha presentato un progetto di riforma dello strumento militare, sia in termini strutturali che funzionali, per assicurarne il bilanciamento e la convergenza verso un modello più flessibile e rispondente alle esigenze della difesa e dell'impegno internazionale del Paese, pur nel quadro di disponibilità economiche che, sia in termini assoluti che in rapporto al prodotto interno lordo, sono e rimarranno sensibilmente inferiori a quelle medie

dell'Unione europea e, in misura più accentuata, dei maggiori Paesi europei;
la contrazione prevista dei volumi di organico, attraverso forme di accelerazione degli egressi e di incentivo alla mobilità, comporta l'adozione di strumenti negoziali, che favoriscano l'adesione su base volontaria del personale e l'utilizzo dei risparmi di spesa per migliorare l'efficienza delle unità operative, anche con incentivi retributivi e di carriera coerenti con la diversa impostazione dello strumento militare;
la riconversione dello strumento militare - che il Ministro ritiene doversi realizzare nell'arco del prossimo decennio - per le sue evidenti implicazioni legislative non è materia estranea alla competenza delle Camere e implica un'assunzione di responsabilità dei gruppi politici rispetto alle esigenze strategiche e di sicurezza legate alle scelte sul dimensionamento delle forze militari e dei sistemi d'arma;
in questo quadro, la modernizzazione della componente aerotattica costituisce un'esigenza obiettiva del sistema di difesa euro-atlantica; sul punto il Governo ha espresso l'obiettivo programmatico di ridurre di una quarantina di unità l'ordinativo dei velivoli F35 rispetto ai 131 inizialmente previsti nel programma pluriennale, su cui si espressero con parere favorevole le commissioni parlamentari competenti della Camera e del Senato nell'aprile 2009;
il programma JSF, cui partecipano insieme all'Italia altri nove Paesi, offre all'industria italiana un ritorno tecnologico e occupazionale di significativo valore ed è destinato a sostituire circa 250 velivoli (Tornado, AM-X, Harrier), attualmente impiegati dalle Forze armate, la cui dismissione è inevitabile per obsolescenza e limiti strutturali,


impegna il Governo:


a presentare in Parlamento il progetto di revisione dello strumento militare italiano e con esso, il programma degli investimenti che ritiene si debbano realizzare, nel breve e nel medio periodo, per assicurare una più efficiente integrazione dello strumento militare italiano nel sistema di difesa euro-atlantica, anche con riferimento alla componente aerotattica;
a valutare, in questo quadro, come gli altri Paesi coinvolti nel progetto Joint Strike Fighter, il numero di F35 da acquisire, subordinato alle varie fasi di sviluppo del progetto, ai costi e alle esigenze operative, in linea con le disponibilità economiche del sistema di difesa italiano.
(1-00963)
«Paglia, Bosi, Vernetti, Giorgio Conte, Di Biagio, Divella, Lamorte, Menia, Patarino, Toto».

Risoluzioni in Commissione:

L'VIII Commissione,
premesso che:
la direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, reca norme sulla raccolta, trattamento e scarico delle acque reflue urbane, nonché sul trattamento e sullo scarico delle acque reflue originate da taluni settori industriali;
tale direttiva si propone, pertanto, di proteggere l'ambiente dai danni causati dal rilascio di queste acque;
la direttiva stabilisce un calendario di scadenze per gli Stati membri affinché i loro «agglomerati» siano dotati di sistemi di raccolta e trattamento delle acque reflue urbane;
in tal senso, gli Stati membri devono provvedere affinché tutti gli agglomerati siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane: entro il 31 dicembre 2000, per quelli con un numero di abitanti equivalenti (a.e.) superiore a 15.000;

entro il 31 dicembre 2005 per quelli con numero di abitanti equivalenti compreso tra 2000 e 15000;
per le acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti considerate «aree sensibili», gli Stati membri devono garantire che gli agglomerati con oltre 10000 abitanti equivalenti siano provvisti di reti fognarie al più tardi entro il 31 dicembre 1998;
conseguentemente, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie devono essere sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, secondo le seguenti modalità:
a) al più tardi entro il 31 dicembre 2000 per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 15000 abitanti equivalenti;
b) entro il 31 dicembre 2005 per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 10000 e 15000;
c) entro il 31 dicembre 2005 per gli scarichi in acque dolci ed estuari provenienti da agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 2000 e 10000;
gli Stati membri sono responsabili del controllo degli scarichi provenienti dagli impianti di depurazione e le acque che ricevono. Essi assicurano che, ogni due anni, le autorità nazionali competenti pubblichino una relazione di valutazione da trasmettere alla Commissione;
gli Stati membri devono altresì predisporre e presentare alla Commissione una relazione sulle norme nazionali di attuazione della direttiva;
infine, l'articolo 8 della direttiva prevede che in casi eccezionali dovuti a problemi tecnici e per gruppi di popolazione definiti geograficamente, gli Stati membri possono presentare alla Commissione una richiesta speciale intesa ad ottenere un periodo più lungo per adempiere alle scadenze temporali sopra riportate;
in Italia la predetta direttiva 91/271/CEE è stata recepita ai sensi del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 e successive modificazioni, poi confluito nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. L'ordinamento interno in tal senso comprende un completo programma di tutela dei corpi idrici dall'inquinamento concentrando una elevata attenzione alla qualità dei corpi idrici recettori prevedendo lo sviluppo di attività di monitoraggio per la quantificazione del danno ambientale esercitato dall'uomo ed offrendo le basi per la ricerca di sistemi di depurazione «appropriati» in base a specifici obiettivi di qualità delle acque naturali;
il 30 novembre 2005, la Commissione europea ha aperto una procedura d'infrazione orizzontale contro l'Italia che riguarda 468 agglomerati (città e cittadine con oltre 15.000 abitanti) che violano gli obblighi derivanti dalla direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane;
al termine della valutazione tecnica, si è accertato che l'Italia non aveva rispettato gli obblighi previsti dalla direttiva citata.Pertanto, il 16 ottobre 2007, la Commissione ha inviato all'Italia una lettera di messa in mora formale nel quadro della procedura di infrazione per violazione degli articoli 3 e 4 della direttiva 91/271/CEE, ai sensi dei quali gli agglomerati devono essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane e le acque reflue urbane devono confluire, prima dello scarico, in impianti di trattamento ed essere sottoposte ad un trattamento secondario;
nel maggio 2010, la Commissione europea ha deciso di deferire l'Italia e la Spagna alla Corte di giustizia dell'Unione europea per violazione della direttiva del 1991 sul trattamento delle acque reflue urbane, in base alla quale entro il 31 dicembre 2000 i due Paesi avrebbero dovuto

predisporre sistemi adeguati per il convogliamento e il trattamento delle acque nei centri urbani con oltre 15000 abitanti;
poiché dalle informazioni disponibili risultava che un numero elevato di città e centri urbani non era in regola con la normativa, nel 2004 sia l'Italia che la Spagna hanno ricevuto una prima lettera di diffida. Una seconda e ultima lettera è stata spedita alla Spagna nel dicembre 2008 e all'Italia nel febbraio 2009. Alla luce di una successiva valutazione, circa 178 città e centri urbani italiani (tra cui Reggio Calabria, Lamezia Terme, Caserta, Capri, Ischia, Messina, Palermo, San Remo, Albenga e Vicenza) e più o meno 38 spagnoli (fra le altre, La Coruña (Galicia), Santiago (Galicia), Gijon (Asturias) e Benicarlo (Valencia) non si erano ancora conformati alla direttiva;
preoccupata da tale seria e continuata violazione della normativa, la Commissione ha pertanto deciso di deferire l'Italia e la Spagna alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
successivamente, nel maggio 2011, la Commissione europea ha esortato l'Italia ad assicurare che le acque reflue prodotte dagli agglomerati con più di 10.000 abitanti e scaricate in aree sensibili fossero adeguatamente trattate. In tal senso la Commissione ha stigmatizzato come la mancanza di idonei sistemi di raccolta e trattamento, che avrebbero dovuto essere istituiti già dal 1998, comporti rischi per la salute umana, le acque interne e l'ambiente marino. A causa della lentezza dei progressi compiuti dall'Italia in questo ambito la Commissione ha inviato un parere motivato. Se l'Italia non adempirà entro due mesi, la Commissione può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea;
nel merito di tali procedimenti aperti contro l'Italia, la Commissione ha ribadito che nel nostro Paese, nonostante i continui solleciti, almeno 143 città disseminate sul territorio del Paese non sono ancora collegate ad un impianto fognario adeguato, sono prive di impianti per il trattamento secondario e/o non hanno la capacità di gestire le variazioni di carico delle acque reflue. L'Italia ha si compiuto dei progressi ma, nonostante gli avvertimenti precedenti, a distanza di 13 anni dal termine fissato non ha ancora rispettato quanto prescritto. Se l'Italia non adotterà i provvedimenti necessari per rientrare nella norma, potrà essere deferita alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
sarebbero attualmente in corso indagini per valutare la situazione negli agglomerati di dimensioni inferiori ai 15.000 abitanti equivalenti, per i quali il termine per conformarsi scadeva nel 2005;
ad ogni modo, la stessa Commissione, che conta di conseguire un buono stato ecologico delle acque entro il 2015, è ben consapevole che l'attuazione effettiva della direttiva rappresenta una notevole sfida finanziaria per gli Stati membri;
per quanto riguarda il nostro Paese va evidenziato come da un rapporto realizzato da Utilitatis e denominato Blue Book 2009 sui dati sul servizio idrico integrato in Italia, redatto sulla base di 103 dei 105 piani d'ambito approvati in Italia, emergerebbe che per quanto riguarda il comparto fognario e depurativo sono previsti investimenti ingenti, che si dovrebbero concretizzare principalmente in attività di estensione e rifacimento della rete di collettamento. In ogni ATO («ambito territoriale ottimale», ovvero la porzione di territorio su cui sono organizzati i servizi pubblici integrati) preso in esame dal rapporto, infatti, la manutenzione e la sostituzione delle reti di raccolta rappresentano una voce rilevante, sintomo forse della necessità di intervenire su infrastrutture obsolete;
per quanto riguarda i sistemi di depurazione invece, in molti casi si prevede la realizzazione di tecnologie di depurazione destinate a nuclei abitativi di piccole dimensioni (inferiori a 200 abitanti) e a nuclei isolati (impianti di fitodepurazione, lagunaggi, subirrigazione);

stando alle previsioni di Utilitatis e ANEA, per far fronte alle carenze attuali dei sistemi di smaltimento delle acque reflue urbane, ci sarebbe bisogno di investimenti per 60,52 miliardi di euro in 30 anni. Di questa cifra, il 48,3 per cento dovrebbe essere destinato a migliorare gli impianti di fognatura e depurazione anche se solo per l'11 per cento sarebbero disponibili finanziamenti pubblici;
per porre rimedio a queste criticità, le regioni italiane, segnatamente quelle del Nord, hanno previsto nell'anno 2015 la scadenza per il raggiungimento di nuovi obiettivi di qualità ambientale. Per perseguirli, le relative amministrazioni regionali hanno disposto investimenti assai rilevanti per la realizzazione di nuovi impianti di depurazione o per l'adeguamento di quelli esistenti;
è quindi evidente che a livello nazionale la situazione di non conformità della gestione delle acque reflue, segnatamente per ciò che concerne i sistemi di raccolta e di trattamento di tali acque, rispetto alle disposizioni della direttiva 91/271/CEE è assai critica soprattutto se si considera che i termini di scadenza per l'adeguamento posti dalla direttiva sono da tempo scaduti e in tal senso, il Ministero, quale autorità di riferimento statale, è fortemente impegnato nel coordinare ed indirizzare gli enti territoriali verso soluzioni definitive che garantiscano la massima conformità alla normativa;
per evitare il verificarsi di situazioni ancora più problematiche di quelle già in essere, apparirebbe opportuno attivare un dialogo di collaborazione serio e responsabile con la Commissione anche per essere assistiti e agevolati per dare attuazione alle misure nazionali e regionali che le norme sul trattamento delle acque reflue urbane in tal senso prescrivono,


impegna il Governo:


ad attivare un collaborativo confronto con le regioni interessate al fine di accelerare la realizzazione delle opere necessarie all'adeguamento alle normative comunitarie degli impianti di raccolta e di depurazione dei reflui urbani esistenti o da realizzare nei loro territori;
a valutare la possibilità, per ciascuna regione interessata, di effettuare una analisi delle problematiche relative ad ogni singolo agglomerato, identificare le priorità di intervento e conseguentemente concorrere con esse affinché si assumano impegni programmatici ed economici per la risoluzione delle pendenze ancora esistenti e comunque necessarie a fornire un chiaro segnale di responsabilità alla Commissione europea;
a porre in essere le iniziative di competenza verso l'Unione europea al fine di ottenere da parte della Commissione Unione europea l'applicazione di deroghe specifiche, se del caso ai sensi dell'articolo 8 della direttiva 91/271/CEE, intese ad ottenere un periodo più lungo per adempiere alle prescrizioni imposte dalla stessa direttiva ed in tal senso consentendo alle regioni interessate di poter realizzare compiutamente i loro piani di investimento in opere fognarie e di trattamento, volti a conseguire nel breve periodo i nuovi obiettivi di qualità ambientale per le acque di loro competenza.
(7-00821)
«Lanzarin, Dussin, Alessandri, Togni».

L'VIII Commissione,
premesso che:
sin dal primi anni '90 la Comunità europea ha individuato nell'aumento della mobilità in ambito continentale una delle principali strategie per il raggiungimento delle politiche di unificazione sociale ed economica. L'attuazione pratica di tali strategie ha individuato nella realizzazione e potenziamento delle reti di trasporto ferroviario (passeggeri e merci) la strumento principe di attuazione, fissando sulla carta alcune direttrici denominate «Corridoi»;

in questo senso l'Italia è fortemente coinvolta nell'infrastrutturazione dei sistemi trasportistici individuati da corridoi verticali e orizzontali che connettono il nostro Paese con l'intera Europa;
questo processo è stato approvato dagli organismi comunitari e nazionali e rappresenta un fondamentale elemento di sviluppo delle relazioni sociali e economiche dell'Europa allargata;
a seguito di tali decisioni si sono avviate anche nel nostro Paese le procedure per la realizzazione di tali sistemi identificati prevalentemente (ma non solo) nel sistema AV/AC;
in molte aree del Paese i lavori sono già stati realizzati e alcune tratte sono già in funzione con soddisfazione dei cittadini e benefici del sistema produttivo (si pensi all'asse del corridoio 1 tra Milano e Napoli ormai completato e al suo utilizzo da parte dell'utenza);
non sfugge a nessuno che la realizzazione di queste infrastrutture in alcune parti del Paese ha creato e sta creando forti e accese contrapposizioni con i cittadini e con le amministrazioni locali attraversate, con effetti devastanti sia sull'ordine pubblico che sulla credibilità delle istituzioni;
all'origine di queste contrapposizioni c'è da un lato la legittima tutela degli interessi sociali, economici ed ambientali delle popolazioni interessate e dall'altro, spesso, la mancanza di chiarezza e di condivisione dei progetti e della loro utilità al sistema Paese;
il caso più eclatante è rappresentato dalla Val di Susa, dove dopo un approccio iniziale non chiaro e con un progetto molto impattante, a seguito del lavoro fatto dal cosiddetto Osservatorio, il progetto è stato modificato in maniera sostanziale (ribassando in modo significativo anche i costi);
nonostante ciò, e proprio per la mancata chiarezza iniziale, si sono sviluppati movimenti di contestazione al progetto che nel tempo hanno travalicato i legittimi interessi degli abitanti e delle amministrazioni di quei territori per assumere una connotazione di contrarietà assoluta con gli interessi generali che sono alla base di questi interventi strutturali, sfociando in ripetute e gravissime violazioni dell'ordine pubblico in molte occasioni;
il rischio che questi fenomeni si ripetano in altri prossimi scenari quali ad esempio sul tratto Venezia-Trieste dello stesso Corridoio 5 è concreto e può compromettere il completamento di questo sistema infrastrutturale nel nostro Paese;
infatti nell'ambito del corridoio V è stato definito il progetto prioritario 6, compreso fra Lione e Kiev, appartenente al sistema di rete TEN-T (Trans European Network-Transport), in cui ricade la nuova linea AV/AC Venezia-Trieste. L'obiettivo dichiarato della linea in oggetto è quello di dare risposta alla crescente domanda di trasporto merci da e per i Paesi dell'est europeo, mediante le seguenti strategie:
a) trasferire sui nuovi binari parte del traffico merci attualmente circolante sulla linea storica;
b) assorbire una quota significativa del traffico merci su gomma attualmente circolante sui corridoi autostradali con benefici effetti sulla logistica e sull'ambiente;
su questo corridoio sono in corso di costruzione i sistemi di infrastrutturazione della linea Ferroviaria alta velocità/alta capacità con tratti già realizzati (Padova-Venezia, Milano-Torino), altri all'inizio dei lavori (Torino-Lione) altri in fase di finanziamento e/o progettazione definitiva);
la definizione del tracciato spetta alle regioni interessate dall'attraversamento di tale opera;

fino ad oggi le proposte presentate senza il minimo coinvolgimento in fase preventiva degli enti locali e delle popolazioni interessate hanno provocato opposizioni molto forti per le scelte fatte e per il metodo adottato;
tale modalità di procedere appare in netto contrasto con la necessità di condividere in maniera preventiva e partecipata con i territori interessati le scelte pesanti che in ogni caso ricadono sulle popolazioni;
l'esperienza della Val di Susa dimostra che è possibile favorire processi partecipativi in grado di determinare tracciati largamente condivisi e, se opportunamente e tempestivamente effettuati, in grado di evitare contestazioni e ritardi nei tempi di progettazione e realizzazione;
il Governo recentemente ha manifestato la volontà di condividere preventivamente in una discussione approfondita con gli enti locali interessati e le popolazioni coinvolte prima di assumere decisioni definitive sui progetti che verranno poi realizzati,


impegna il Governo


ad adottare iniziative per ridurre gli impatti ambientali e paesaggistici della progettazione delle tratte mancanti del sistema AV/AC (a partire dalla tratta veneta della Lione-Kiev), utilizzando a tal fine metodi concertativi e partecipati in modo da consentire ai territori interessati di contribuire alla definizione dei tracciati contemperando l'interesse generale del sistema Paese con quello dei cittadini utilizzando in via preventiva strumenti che permettano una reale condivisione delle soluzioni adottate quale l'osservatorio citato istituito in Piemonte.
(7-00822)
«Viola, Mariani, Esposito, Benamati, Martella, Murer, Fogliardi, Sbrollini».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
nei giorni dal 1 al 6 marzo 2011 il territorio della regione Marche e la provincia di Teramo, in Abruzzo, sono state interessate da un'eccezionale ondata di maltempo che ha provocato tre vittime, esondazione dei fiumi, allagamenti diffusi, importanti danneggiamenti alle infrastrutture pubbliche, ingenti danni alle attività produttive ed alle abitazioni private;
in particolare, nel territorio teramano l'esondazione di corsi di acqua ha provocato allagamenti di aziende artigiane, industriali, commerciali, con conseguente interruzione dell'attività e pregiudizio della ripresa generalizzata e fortemente compromesso le colture, causando danni per oltre 12 milioni di euro;
in data 10 marzo 2011 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stato riconosciuto lo stato di emergenza per gli eventi alluvionali in Abruzzo;
tale emergenza è stata la prima a ricadere nel campo dell'applicazione delle disposizioni previste dal decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito in legge 26 febbraio 2011, n. 10, cosiddetto «Milleproroghe» che all'articolo 2, comma 2-quater ha istituito la cosiddetta «tassa sulle disgrazie» prevedendo che in caso di situazioni emergenziali la regione interessata debba acquisire le maggiori risorse tramite tassazioni aggiuntive a carico della stessa comunità regionale danneggiata, prima di poter accedere al Fondo Nazionale di protezione civile;

la Corte Costituzionale con sentenza n. 22 del 13 febbraio 2012 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del suddetto articolo 2, comma 2-quater laddove impone alla regione di deliberare aumenti fino al massimo consentito dei tributi di competenza in caso di dichiarazione dello stato di emergenza;
la Corte nella medesima sentenza ha dichiarato incostituzionale anche la norma che consente l'utilizzo del fondo nazionale di protezione civile solo nell'ipotesi in cui la regione non possa far fronte alle spese aumentando i propri tributi fiscali;
a seguito di tale sentenza, il 17 marzo 2012, il presidente della regione Marche ha ratificato un'intesa sullo schema di ordinanza - già sottoposto al concerto del Ministero dell'economia e delle finanze e del Presidente del Consiglio dei ministri - in cui, oltre alle disposizioni normative, è stata prevista a favore di tale regione uno stanziamento di 25 milioni di euro a carico del Fondo della protezione civile nazionale da destinare all'evento alluvionale del marzo 2011 oltre all'emanazione dell'ordinanza di nomina del commissario delegato;
al contrario di quanto previsto per la regione Marche, nessun intervento economico è stato programmato in favore della provincia di Teramo con grave compromissione degli obiettivi di ripresa del territorio;
ad oggi dopo quasi un anno dall'alluvione, l'amministrazione provinciale di Teramo ed i comuni del Teramano, non hanno ricevuto alcun finanziamento per fronteggiare la difficile situazione conseguente all'alluvione del marzo 2011;
con la delibera del 30 settembre 2011 del n. 79 il CIPE ha stabilito l'avvio della fase di riprogrammazione delle risorse FAS 2000-2006 non programmate e non impegnate e di quelle derivanti da economie e accantonamenti, oltre che delle risorse liberate della Programmazione comunitaria 2000-2006 che risultano non impegnate;
con la stesso provvedimento il CIPE ha stabilito che sarebbe stata una successiva delibera a definire gli obiettivi, i criteri e le modalità da seguire nella riprogrammazione di tali risorse;
con la delibera n. 80/2011 del 30 settembre 2011 il CIPE ha stabilito di definanziare le vecchie risorse della programmazione FAS per il periodo 2000/2006, fissando i criteri e le modalità per riassegnarle alle regioni;
per la regione Abruzzo la riprogrammazione delle somme definanziate, secondo quanto dispone la delibera n. 80/20011, dovrebbe essere pari a circa 10,3 milioni di euro;
tale somma è il residuo della programmazione PAR-FAS 2000/2006 che il CIPE dovrà esaminare per una nuova ed ulteriore riprogrammazione ed eventuale nuova assegnazione alla regione Abruzzo -:
quali siano i motivi per cui il Governo non abbia ancora provveduto a disporre a favore della regione Abruzzo, al pari di quanto avvenuto per la regione Marche nei giorni scorsi, gli stanziamenti necessari a fronteggiare i gravi oneri economici e i profondi disagi che l'evento calamitoso del marzo 2011 ha arrecato e ancora sta arrecando ai cittadini e agli operatori economici della provincia di Teramo;
se, anche alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012, non ritenga di dover provvedere con la massima urgenza alla emanazione dell'ordinanza attuativa assegnando alla regione Abruzzo le risorse finanziarie provenienti dal Fondo nazionale di protezione civile;
se non si ritenga di dover intervenire affinché il CIPE provveda in tempi rapidi alla riprogrammazione e quindi all'assegnazione dei 10,3 milioni di euro dei fondi FAS 2000-2006 a favore della regione Abruzzo;

se, in fine, il Presidente del Consiglio dei ministri non ritenga necessario prevedere una proroga dello stato di emergenza dichiarato con il decreto del 10 marzo 2011 la cui scadenza è fissata per il prossimo il 31 marzo 2012, al fine di poter perfezionare l'iter per l'emanazione dell'ordinanza, con conseguente assegnazione di risorse sulla disponibilità del Fondo nazionale di protezione civile.
(2-01428) «Ginoble».

Interrogazioni a risposta in Commissione:

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 476 del 1987 in materia di «Nuova disciplina del sostegno alle attività di promozione sociale e contributi alle associazioni combattentistiche» e la legge n. 438 del 1998 in materia di «Contributo statale a favore delle associazioni nazionali di promozione sociale» prevedono la concessione di contributi, tra gli altri, in favore delle associazioni cosiddette «storiche» tra le quali l'ente nazionale sordi (ENS);
l'ENS è sottoposto per decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1961 al controllo della Corte dei conti;
sul sito www.ens.it non sono pubblicati i bilanci per gli esercizi finanziari fino al 2005;
l'articolo 4 della legge n. 259 del 1958 (partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria) prevede: «Gli enti sottoposti alla disciplina della presente legge debbono far pervenire alla Corte dei conti i conti consuntivi ed i bilanci di esercizio col relativo conto dei profitti e delle perdite corredati dalle relazioni dei rispettivi organi amministrativi e di revisione, non oltre quindici giorni dalla loro approvazione e, in ogni caso, non oltre sei mesi e quindici giorni dalla chiusura dell'esercizio finanziario al quale si riferiscono. Egualmente sono trasmesse alla Corte dei conti le relazioni degli organi di revisione che vengano presentate in corso di esercizio»;
l'articolo 7 della medesima; «Non oltre i sei mesi successivi alla presentazione dei documenti di cui al primo comma dell'articolo 4, la Corte dei conti comunica alla Presidenza del Senato della Repubblica e alla Presidenza della Camera dei deputati i documenti stessi e riferisce il risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria»;
l'ultima relazione della Corte dei conti presentata al Parlamento sulla gestione finanziaria degli enti sottoposti a controllo in applicazione della legge 21 marzo 1958, n. 259, risale per l'ENS al 20 dicembre 2006 per gli esercizi 2004 e 2005;
non risulta agli interroganti che la Corte a norma dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, abbia riferito sulla gestione dell'Ente nazionale sordi (ENS) degli esercizi finanziari successivi al 2005;
a seguito della legge 15 dicembre 1998, n. 438, è stato stabilito che, a decorrere dal 2001, il Ministro per la solidarietà sociale, tenuto conto delle relazioni presentate dalle associazioni di promozione sociale alla Presidenza del Consiglio in sede di concessione di contributi, deve inoltre riferire al Parlamento sull'ammontare dei contributi statali concessi a ciascuna associazione; sui risultati conseguiti dalle stesse nella gestione finanziaria, specificando l'ammontare delle spese sostenute per il personale, per l'acquisto di beni e servizi e per le voci residuali; sulla regolarità dei bilanci preventivi e consuntivi; sui progetti e le attività svolte a favore degli associati, effettuando, in tal modo, i controlli più volte auspicati -:
di quali elementi disponga il Governo, alla luce delle citate disposizioni, con riferimento ai conti consuntivi ed ai

bilanci di esercizio col relativo conto dei profitti e delle perdite corredati dalle relazioni dei rispettivi organi amministrativi e di revisione dell'ENS successivi al 2005, se siano stati fatti rilievi sui medesimi, e se risulti che tali documenti siano stati trasmessi alla Corte dei conti da parte dell'ENS.
(5-06482)

BOBBA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 33, comma 12, della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012)» stabilisce che «per il periodo dal 1o gennaio al 31 dicembre 2012 sono prorogate le misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro, previste dall'articolo 2, comma 1, lettera c), del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126»;
il medesimo comma, inoltre, stabilisce che «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, al fine del rispetto dell'onere massimo fissato al secondo periodo, è stabilito l'importo massimo assoggettabile all'imposta sostitutiva prevista dall'articolo 2 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, nonché il limite massimo di reddito annuo oltre il quale il titolare non può usufruire dell'agevolazione»;
tutt'oggi il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non risulta ancora adottato -:
entro quali termini si intenda provvedere all'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, così come disposto dall'articolo 33, comma 12, della legge n. 183 del 2011, anche in considerazione della valenza sociale ed economica della disposizione.
(5-06484)

Interrogazioni a risposta scritta:

LARATTA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
a febbraio del 2012, la Sisal spa, società che opera nel settore dei giochi, ha commissionato una imponente campagna promozionale del superenalotto, uno dei giochi di punta della società controllata da Ship spa e molto noto e diffuso nel nostro Paese. Nello spot, andato in onda sulle reti radiotelevisive pubbliche e private gli spettatori hanno assistito ad una riedizione di una nota canzone di un famoso cantautore;
l'incipit era: «Lasciatemi sognare, con la schedina in mano...», la conclusione «Lasciatemi sognare, sono un italiano». Uno spot a giudizio dell'interrogante ingannevole che abusa della credulità popolare e disattende il codice di autoregolamentazione (anche quello dei minori) in materia di televendite, spot di televendita di beni e servizi di astrologia, di cartomanzia ed assimilabili, di servizi relativi ai pronostici concernenti il gioco del lotto, enalotto, superenalotto, totocalcio, totogol, totip, lotterie e giochi similari cui le emittenti radiotelevisive e tutti i circuiti di diffusione, dovrebbero attenersi;
il regolamento in materia di pubblicità radiotelevisiva e televendite - presente sul portale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) -, di cui alla delibera n. 538/01/CSP del 26 luglio 2001 integrato dalle modifiche apportate dalle delibere nn. 250/04/CSP, 34/05/CSP, 105/05/CSP, 132/06/CSP, 162/07/CSP e 12/08/CSP, all'articolo 5-ter, comma 2, stabilisce che «le trasmissioni di televendita relative a beni e servizi di astrologia, di cartomanzia ed assimilabili e di servizi relativi a pronostici concernenti il gioco del lotto, enalotto, superenalotto, totocalcio, totogol, totip, lotterie e altri giochi similari... non devono: trarre in inganno il pubblico, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni,

sul contenuto e gli effetti dei beni o servizi offerti; evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità o della paura, in particolare delle categorie di utenti psicologicamente più vulnerabili. 3. Le trasmissioni di cui al comma 1 non possono essere trasmesse nelle fasce orarie tra le ore 7:00 e le ore 23:00». All'uopo vi è da puntualizzare che lo spot della Sisal andava in onda in fasce protette e così come impostato trasmetteva un messaggio illusorio, posto che il jackpot della blasonata lotteria viene assegnato dopo innumerevoli concorsi, talmente è difficile centrare il «6»;
uno spot, quindi, che appare all'interrogante «ingannevole» ed «esagerato» - fra l'altro trasmesso in un periodo nero dell'economia italiana - il cui messaggio era inequivocabile: per realizzare «sogni» improbabili, per conseguire i propri scopi nella vita, per costruire il proprio futuro l'unico percorso possibile è «giocare al superenalotto» e ai tanti «giochi pubblici» offerti sul mercato, come le scommesse e in generale il gioco d'azzardo la cui diffusione ha oltreché superato ogni limite consentito dalla legge e dal buon senso;
il gioco d'azzardo e altri giochi similari «pubblici» hanno costretto intere famiglie sul lastrico; persone indotte da pubblicità «ingannevoli» anche ad indebitarsi pur di guardare «con fiducia al futuro» poiché soltanto il gioco, questo il concetto di fondo, può restituire la speranza persa nella crisi economica. La pubblicità di questi giochi dilaga senza controllo ormai dappertutto, web compreso. La rete è divenuta veicolo di messaggi pericolosi trasmessi senza filtri e sui maggiori network informativi. Tantissimi sono gli adolescenti vulnerabili a questi messaggi; esposti cioè al rischio di essere «catturati» da pubblicità ingannevoli che regalano facili illusioni di poter cambiare il corso della propria vita. Proprio come nel messaggio trasmesso dalla Sisal. L'accanimento verso questi giochi ha rovinato tanta gente, in molti casi ha indotto ad una dipendenza da gioco, sia lecito che d'azzardo come gratta e vinci, superenalotto, slot machine, scommesse e altro. Una vera e propria malattia sociale definita anche ludopatia, «dipendenza da gioco», che spesso costringe gli appassionati a ricorrere alle cure mediche con un aggravio economico a carico del servizio sanitario nazionale -:
se non si intenda avviare, per quanto di competenza, procedure sanzionatorie a carico di Sisal e di tutte le aziende similari che si rendono responsabili di tali violazioni;
quali iniziative si intendano adottare per evitare il ripetersi di queste gravi violazioni;
quali iniziative, anche di carattere normativo, intendano assumere per vietare gli spot pubblicitari dei giochi «pubblici» come il superenalotto, gratta e vinci, lotto e altri nonché quelli definiti «d'azzardo», come le scommesse sportive autorizzate, slot machine, casinò on line e altro, ossia la diffusione di tali messaggi nel circuito radiotelevisivo pubblico e privato, nei sistemi editoriali e nei palinsesti, nella carta stampata, nella rete internet e in tutti gli strumenti idonei a divulgare messaggi pubblicitari che possono minare la vulnerabilità di giovani e meno giovani nonché provocare serie patologie come la ludopatia.
(4-15460)

EVANGELISTI e ALBINI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
la società editrice «Editoriale 2000 Srl» è detenuta al 52 per cento da una cooperativa composta da giornalisti grafici e amministrativi e al 48 per cento da una società di capitali. Tra la società editrice e le società che prestano servizi di diffusione e di raccolta pubblicitaria gravitano circa 40 dipendenti;
la società editrice «Editoriale 2000 Srl» edita due testate che accedono ai

contributi pubblici, ossia il quotidiano Il Nuovo Corriere con le due edizioni di Firenze e di Arezzo;
complessivamente Il Nuovo Corriere - secondo i dati del 2011 - ha avuto tirature medie giornaliere di oltre 10 mila copie a fronte di una media giornaliera di 4.373 copie vendute;
a sostegno della suddetta attività editoriale, la società editrice «Editoriale 2000 Srl» ha ricevuto contributi statali per 200 milioni di lire per l'anno 2002, e di 2.500.000 di euro per ciascuno degli anni dal 2003 al 2009 compreso;
ad oggi tuttavia, per l'anno 2010, il previsto contributo (ridotto del 15 per cento) pari a circa 2.194.000 euro non è stato ancora corrisposto, così come non è stata corrisposta l'annualità (circa 2.500.000 euro) dovuta per l'anno 2011, per la quale non se ne prevede la corresponsione prima della fine del 2012;
pur chiudendo negli anni i propri bilanci in perdita, i soci della società «Editoriale 2000 Srl», ricapitalizzando, hanno comunque consentito ai dipendenti di mantenere il proprio posto di lavoro;
nonostante sia stato attualmente presentato dalla suddetta società editrice un piano di ristrutturazione drastico che andrà ad incidere sul futuro di giornalisti e sui grafici, con ogni probabilità, senza l'erogazione dei contributi pubblici dovuti, entro fine marzo 2012 i soci saranno costretti a interrompere le pubblicazioni -:
quali siano le cause della mancata erogazione dei contributi per gli anni 2010 e 2011 spettanti alla Editoriale 2000 Srl, e se non si intenda intervenire tempestivamente al fine di garantire l'erogazione dei contributi per la medesima società editrice.
(4-15464)

TESTO AGGIORNATO AL 12 APRILE 2012

...

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:

CODURELLI, GIULIETTI, CUPERLO, POLLASTRINI, CONCIA, ZAMPA e FRASSINETTI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 15 aprile 2011 Vittorio Arrigoni, volontario presso l'organizzazione non governativa «ISM, International Solidarity Movement» e reporter italiano viene ucciso a Gaza da un gruppo estremista salafita della «brigata dei valorosi compagni del profeta Mohammed bin Moslima»;
a quasi un anno dalla scomparsa e a distanza di svariati mesi dall'avvio del processo per fare luce sull'uccisione, apertosi nel mese di settembre 2011, la conclusione del procedimento sembra essere lontana;
alle udienze la famiglia Arrigoni è rappresentata dal movimento P.C.H.R., Palestinian center for human rights;
non è sempre consentito ai suoi esponenti di intervenire durante i dibattimenti;
solo in occasione di una delle ultime udienze il movimento ha potuto dare pubblicamente lettura di una missiva scritta da Egidia Beretta e da Alessandra Arrigoni, mamma e sorella di Vittorio Arrigoni;
nella lettera le due donne esprimevano la totale condanna verso la pena di morte, eventualità che si profila nei confronti dei quattro giovani alla sbarra per l'uccisione di Vittorio Arrigoni;
la famiglia Arrigoni ha inviato la lettera anche ai Ministri interrogati, oltre che al Presidente della Repubblica Napolitano;
per motivi di «sicurezza» è stata cancellata l'udienza nell'ambito del processo per l'omicidio dell'attivista italiano. Il pericolo di bombardamenti (Gaza si trova da giorni «sotto l'assedio» di Israele) ha spinto l'autorità giudiziaria a rinviare l'udienza al 2 aprile 2012;

i mesi sin qui trascorsi dalla morte di Vittorio sono stati caratterizzati da quello che agli interroganti appare un totale silenzio da parte degli esponenti del Governo;
secondo Egidia Beretta, madre dell'attivista, «Nessuno ha preso contatti con la famiglia nei mesi successivi all'uccisione, nemmeno per garantire un sostegno durante il complicato processo»; -:
quali iniziative di competenza i ministri interrogati intendano adottare, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, al fine di far piena luce sui fatti che hanno portato dapprima al rapimento e poi all'uccisione.
(5-06486)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la nanoparticella realizzata dall'università di Utrecht, in Olanda, candidata a diventare la colonna portante delle plastiche ecologiche è grande solo un po' di nanometri, ma promette di far sposare una volta per tutte ecologia e industria della plastica. La sua specialità, infatti, consiste nel trasformare biomasse vegetali nelle molecole base della plastica più comune - etilene, propilene e butadiene, le stesse che compongono prodotti tanto diversi quanto giocattoli e bottiglie, cosmetici e detergenti. La scoperta, pubblicata sull'ultimo numero di Science, va così ad aggiungersi alle altre bioplastiche (realizzate, al contrario, da composti più complessi e/o caratterizzati da proprietà differenti da quelle derivate dal petrolio) e rende sempre più concreta la possibilità di un futuro industriale indipendente dai combustibili fossili. Un tassello essenziale per la realizzazione della strategia ecosostenibile appena lanciata dalla Commissione europea;
per comprendere il processo sviluppato dai ricercatori olandesi bisogna partire dagli anni Venti del secolo scorso, quando Franz Fischer e Hans Tropsch riuscirono a trasformare un mix di gas fatto di monossido di carbonio e idrogeno in combustibili sintetici. Da allora, la chimica ha intravisto la possibilità di generare le molecole base della plastica a partire dalla combinazione dei due gas, senza mai riuscire a ottenere un prodotto che fosse in gran parte puro e la cui produzione non costasse troppo. In particolare, due problemi hanno afflitto i chimici per lungo tempo: da un lato le alte produzioni di metano generate durante il processo; dall'altro, l'osservazione che i catalizzatori utilizzati per ottenere produzioni più pure (di solito a base di ferro) dopo poco tempo smettevano di funzionare a causa di reazioni chimiche indesiderate;
proprio partendo da queste difficoltà, il gruppo diretto da Krijn de Jong ha iniziato a cercare metodi per aumentare l'efficienza della trasformazione. «Siamo partiti da molecole di ferro perché sappiamo che sono molto efficienti nel catalizzare la trasformazione dei gas in etilene, propilene e butadiene», spiegano gli autori. «Poi, per superare i problemi di instabilità di queste molecole, le abbiamo unite a nanoparticelle non reattive così da renderle molto più resistenti». In particolare, il team di chimici ha osservato le migliori prestazioni quando il ferro era legato a nanofibre di carbonio. A questo punto, per arrivare alla produzione dei «mattoni» delle plastiche a partire dalle piante, i ricercatori olandesi hanno utilizzato monossido di carbonio e idrogeno generati dalla gassificazione di composti vegetali, ovvero da quel processo che, ad alte temperature e senza combustione, converte i composti vegetali nel mix di gas studiato da Fischer e Tropsch;
a questi gas i ricercatori hanno poi aggiunto il catalizzatore a base di nanoparticelle

di ferro: alla fine del processo, oltre il 65 per cento della miscela era stato tramutato in etilene, propilene e butadiene, ossia negli ingredienti fondamentali della plastica. «È un risultato davvero incoraggiante», spiegano gli autori. «Finora non eravamo mai riusciti a ottenere una produzione così efficiente di queste molecole a partire dalla gassificazione delle piante». Ovviamente ci vorrà del tempo prima di vedere questa scoperta tramutarsi negli oggetti di uso quotidiano. I ricercatori, però, sono convinti che la sua portata sia così vasta da permettere, un giorno, di sostituire le piante al petrolio nella produzione di qualunque tipo di plastica, un fatto che prima non era neanche lontanamente immaginabile a causa della minore versatilità delle bioplastiche oggi in commercio. Sebbene, infatti, ne esistano di diverse tipologie e alcune di esse presentino la preziosa capacità di biodegradarsi (come ad esempio i sacchetti ecologici figli della Montedison di Raul Gardini), ognuna è in grado di sostituire solo uno dei tanti composti della plastica che si possono ottenere con le molecole di base. La scoperta del gruppo di Utrecht, invece, colma questo vuoto nella produzione di biomateriali, favorendo così uno scenario in cui si dipenderà sempre meno dalle risorse petrolifere;
questo risultato si inserisce negli obiettivi prefissati dalla Commissione europea che ha recentemente presentato «L'innovazione per una crescita sostenibile: una bioeconomia per l'Europa», la strategia e il piano d'azione con cui si punta a incrementare l'industria verde nel rispetto della biodiversità e della protezione ambientale. Il piano ha infatti l'obiettivo di rafforzare il mercato e la competitività delle bioeconomie, avvicinando politica e investimenti alla realtà ecosostenibile. Il tutto puntando sulla ricerca di nuove tecnologie, le uniche in grado di rafforzare il settore al fine di dare una soluzione alla crisi energetica -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare per promuovere e sovvenzionare studi similari a quelli dei ricercatori di Utrecht nel nostro Paese, al fine di giungere ad un minor impiego industriale del petrolio per la realizzazione di materiali plastici.
(4-15453)

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
da soluzione applicata soltanto in alcuni segmenti del mercato, la cogenerazione sta diventando una possibile soluzione non solo per l'edilizia privata, ma anche per aziende ed intere cittadine. I principi su cui si basa risalgono agli anni Settanta, ma soltanto oggi sta diventando una delle future tecnologie pulite. Del resto, insieme alle fonti rinnovabili, il sistema combinato è una delle strategie di contenimento di inquinamento: secondo l'ultimo rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia (Co-generation and Renewables: solutions for a low-carbon Energy future) i tempi per prendere in considerazione la componente del calore nella domanda energetica sono finalmente maturi. A oggi, a tale domanda si risponde ancora soprattutto con combustibili fossili, come carbone, gas e petrolio, che, sul totale dei consumi globali pesano per il 47 per cento contro il 17 per cento di quella elettrica. «In Italia», spiega Marco Comelli, «organizzatore, insieme a E-gazzette.it e Updating, delle giornate nazionali per promuovere la micro cogenerazione che il 21 marzo a Milano arriveranno alla loro sesta edizione, «la generazione combinata è già decollata nel settore terziario. Sono sempre di più, infatti, i grandi centri commerciali in cui viene utilizzata e, anche nel domestico e nell'aziendale, la domanda continua esponenzialmente a crescere»;
secondo Comelli, due sono gli attori principali in questo segmento di mercato: ABenergy e il gruppo Dsf, più una serie di piccole realtà pronte a contendersi piccole parti del business emergente, lavorando sul recupero del calore di scarto e massimizzando l'efficienza dei sistemi. «Tra i

nuovi», spiega Comelli, «ci sono aziende come la Turbodel, l'Exergy e la Progeco che stanno mettendo a punto recuperatori sempre più efficaci nell'aumentare il rendimento energetico, attualmente attestato sul 75 per cento, ma in grado di crescere fino all'85 per cento. Ma c'è anche chi lavora con le tecnologie aerospaziali». Quando si parla della storia di questa tecnologia bisogna risalire ai motori, almeno in Italia, dato che il primo microcogeneratore, chiamato Totem (Total Energy Module), è stato realizzato dal Centro ricerche della Fiat (Crf) negli anni Settanta partendo dal motore di una 127 alimentato a metano. «La cogenerazione», racconta Stefano Re Fiorentin, direttore generale Crf, «era per il gruppo Fiat di allora un tema trasversale. La crisi del petrolio degli anni Settanta, infatti, aveva messo tutti di fronte al problema dell'efficienza energetica. Da quello partimmo per mettere a punto un sistema, inventato da uno dei nostri ingegneri, Mario Palazzetti. L'idea era quella di utilizzare sia l'energia meccanica prodotta dal motore, convertendola in energia elettrica (eventualmente da rimettere in rete), sia l'energia termica dissipata nell'acqua di raffreddamento ai fini del riscaldamento civile. Un grande risultato per il nostro centro che, nel corso degli anni, ha visto una distribuzione assai significativa di Totem nelle aziende municipalizzate»;
a distanza di quasi 40 anni, l'estrazione dell'energia meccanica e la sua trasformazione in riscaldamento ed energia elettrica, è diventata sempre più appetibile per un numero crescente di applicazioni in realtà industriali diverse. Fino a esempi di teleriscaldamento su vasta scala, in grado di riscaldare interi paesi. Tra questi, la città di Borgaro Torinese - realizzata in soli dieci mesi dalla Cogen Power - in cui nel sottosuolo corrono già i primi 11 chilometri di tubi collegati a una centrale di cogenerazione dotata di un motore endotermico da 3 mega watt chiamata, visto la stazza, Anaconda. Un impianto che ogni anno evita l'immissione nell'atmosfera di 1.423 tonnellate di CO2. E che, tra i risultati ottenuti, può vantare anche una massiccia adesione al sistema da parte dei residenti, il 95 per cento. Con un risparmio del 20 per cento ogni anno sulle bollette di ciascun abitante e un risparmio complessivo di 550 mila euro, senza contare il taglio dei costi e dei disagi legati alla manutenzione delle caldaie;
infine, a fare della cogenerazione un sistema del futuro, oltre al risparmio economico, è anche la riduzione dell'impatto ambientale. Tra gli aspetti di maggior interesse di questa tecnologia, infatti, è da ricordare l'ampia scelta dei combustibili per far funzionare i sistemi: oltre al metano, gli impianti possono essere alimentati da biogas di discarica, di depurazione civile e industriale e da biogas di digestione anaerobica di liquami zootecnici e da altre biomasse -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di incentivare l'utilizzo di impianti di cogenerazione sia nell'edilizia privata, che all'interno dei sistemi energetici e di riscaldamento delle imprese italiane.
(4-15454)

REALACCI e MARIANI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
si verificano in varie parti d'Italia situazioni anomale connesse all'alternarsi di eventi meteorologici estremi di grande intensità e violenza con periodi di forte deficit di precipitazioni. Tali eventi sono presumibilmente legati ai mutamenti climatici in corso e sollecitano politiche più efficaci e credibili sia sul fronte della mitigazione dei processi in atto che sul fronte dell'adattamento agli stessi;
in particolare, le precipitazioni registrate negli ultimi 4 mesi in alcune zone della Toscana risultano essere inferiori del 50 per cento rispetto al dato del 2011 e addirittura del 70 per cento rispetto al 2010;
la siccità sopraddetta è successiva ad un anno, il 2011, già caratterizzato da scarsità di precipitazioni che hanno determinato

l'uso intensivo delle risorse di falda per poter garantire l'approvvigionamento idrico durante tutta la stagione estiva e dei primi mesi autunnali, con un conseguente depauperamento delle stesse risorse;
in vaste aree della regione infatti il deficit di precipitazione, calcolato tramite confronto con le piogge degli ultimi 15 anni, ha raggiunto valori del 50 per cento: corrispondenti a 400/500 millimetri di pioggia in meno;
l'indice di siccità (SPI - standardized precipitation index) 2011, calcolato su base annua, evidenzia ampie aree della Regione in cui si registra un livello di siccità severo e lo stesso indice riferisce un livello di siccità più alto nel secondo semestre dell'anno, in particolar modo in tutto il bacino dell'Arno, caratterizzato da un livello di siccità severo, con punte di siccità estrema;
tale situazione di siccità si registra, nello stesso periodo anche nel bacino Toscana Costa e nelle zone di alimentazione dell'Ombrone Grossetano. Inoltre le precipitazioni cumulate da marzo a novembre 2011 per le Province di Arezzo, Firenze e Pisa risultano rispettivamente inferiori del 21 per cento, 34 per cento e 40 per cento rispetto al 2007 e del 38 per cento, 42 per cento e 44 per cento rispetto al 2003, anno di una grave crisi idrica che coinvolse tutta la regione, tanto da determinare la dichiarazione dello stato di emergenza;
i valori medi di portata del fiume Arno nel periodo ottobre 2011-febbraio 2012, pari a circa 10 metri cubi al secondo in prossimità di Firenze rappresentano un minimo storico assoluto. Conseguentemente il livello di invaso della principale diga regionale, la diga di Montedoglio, risulta essere di poco superiore ai 24 milioni di metri cubi rispetto ai 150 milioni di capacità;
il livello di invaso del Lago di Bilancino, risorsa fondamentale per garantire l'approvvigionamento idrico agli abitanti dell'area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia, risulta pari a 37 milioni di rispetto ai 70 milioni invasabili;
è necessario altresì ricordare ai fini del mantenimento del lago di Bilancino è necessario assicurare l'invaso di almeno 10 milioni di metri cubi di risorsa non utilizzabili per usi idropotabili. Il normale deflusso dall'invaso di Bilancino durante il periodo estivo per garantire l'approvvigionamento idrico e il livello minimo vitale del fiume Arno è poi di circa 25 milioni di metri cubi;
stante l'attuale situazione siccitosa, sono aperti da tempo tavoli tecnici e istituzionali coordinati dalla regione e dall'autorità di bacino dell'Arno. Lo stesso gestore del servizio idrico della Toscana centrale, Publiacqua, ha più volte nei mesi scorsi richiamato la criticità delle condizioni delle risorse idriche che da mesi impegnano risorse e personale per evitare disagi ed emergenze -:
di fronte al serio rischio della continuità del servizio idrico in un'ampia area della regione Toscana quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per impegnare le competenti unità tecniche del Ministero per monitorare le condizioni di approvvigionamento nella regione Toscana e verificare se sussistono le condizioni per dichiarare lo stato di emergenza;
se il Ministro non intenda verificare la sussistenza di risorse economiche utili a garantire interventi di emergenza che posano ridurre il rischio di interruzione del servizio.
(4-15456)

...

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il procuratore generale presso la corte militare di appello, durante l'inaugurazione

dell'anno giudiziario militare, ha dichiarato che è stato segnalato un incremento alquanto preoccupante delle denunce legate al fenomeno del nonnismo, o bullismo, all'interno delle scuole militari;
ha altresì dichiarato che i fatti posti in essere dagli allievi più anziani nei confronti dei più giovani solo raramente rientrano nella competenza della giustizia militare a causa della minore età degli autori;
è emersa la particolare delicatezza della questione soprattutto in considerazione dell'attuale inserimento a pieno titolo nell'ambito delle forze armate di personale di sesso femminile, più soggetto a divenire vittima di questo tipo di illecito -:
se il Governo sia a conoscenza delle informazioni e dei dati circa l'accrescere del fenomeno del nonnismo all'interno delle scuole militari e quali siano le iniziative che intende mettere in atto per fronteggiare tale problematica.
(4-15451)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi un brigadiere in congedo intervistato dal Tgcom24 racconta della sua esperienza in missione a Nassiriya e della malattia di cui soffre, il Ptsd, disturbo post traumatico da stress, sindrome che può colpire chi ha subito eventi traumatici;
i medici, che curano anche altre reduci da Nassiriya, spiegano che «chi ne soffre non riesce a elaborare i fatti traumatici come ricordi, ma è come se li rivivesse continuamente, non ripensa a quei momenti, li rivive. Nei casi più estremi si sentono gli stessi odori e i medesimi rumori di quegli istanti»:
il brigadiere in questione ha effettuato numerose missioni all'estero (tra cui Bosnia e Albania). Si trovava a Nassiriya il 12 novembre 2003, quando un camion pieno di esplosivo scoppia davanti alla base «Maestrale». Rimane solo lievemente ferito, mentre altri 19 soldati italiani muoiono. Continua la missione, torna in Italia e, nonostante non si senta nel pieno delle forze, decide di ripartire per l'Iraq. Resiste solo 40 giorni;
nell'intervista parla della malattia di cui soffre, la Ptsd, e di come spesso sia difficile oltreché insopportabile conviverci;
alla domanda circa il fatto che in Italia si parli poco o niente di questo disturbo il brigadiere risponde: «vertici militari non vogliono che se ne parli: pensi che ufficialmente l'ospedale militare del Celio, ha riconosciuto solo tre casi di Ptsd. Eppure solo fra i miei colleghi reduci di Nassiriya eravamo in cinque a essere curati al Centro di igiene mentale di Finale Ligure. Non se ne parla perché non se ne vuole parlare, altrimenti si dovrebbero creare strutture militari apposite per seguire questi casi. Io sono stato curato quasi esclusivamente in strutture pubbliche. Il risultato, oltre alla mancanza di aiuto che riceviamo, è che spesso questo tipo di disturbo viene dissimulato: chi lo conclama, viene congedato. E un ragazzo, magari di 20-30 anni che sogna la carriera militare, cosa fa? Si fa congedare? No fa finta di niente, minimizza, per poter continuare la vita nell'esercito. E non solo questo può peggiorare la sua situazione psichica, ma è pericoloso per sé e per gli altri»;
si evidenzia, inoltre, come la strage avvenuta in Afghanistan, ad opera del soldato Usa, possa avere che fare con questa patologia e con una mancata preparazione a livello psico-fisico dei soldati prima della partenza in missione;
tutte le missioni rappresentano in maniera più o meno rilevante scenari complessi e problematici ed in particolar modo la missione in Afghanistan che vede mutare continuamente e profondamente lo scenario in termini politici, di sicurezza, di avversità e di raggiungimento degli obiettivi che hanno spinto l'Italia a partecipare;
le condizioni di salute fisiche e soprattutto psicologiche dei giovani soldati

italiani impegnati nelle missioni all'estero diventano la priorità, ora più che mai;
sarebbe opportuno che il Governo facesse chiarezza sui casi di Ptsd tra i militari italiani -:
se come il Governo prenda in considerazione le patologie psico-fisiche che possono colpire i soldati impegnati in missioni all'estero e se non ritenga necessario avviare iniziative che tutelino pienamente la salute fisica e mentale dei soldati durante la partecipazione alla missione e al rientro in Italia.
(4-15458)

...

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
uno dei principali ostacoli sulla strada del possibile rilancio del nostro Paese è rappresentato dal ritardo cronico dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, che sono erogati solo dopo decreti ingiuntivi e pignoramenti. Le aziende si vedono costrette a chiudere la loro attività anche a fronte della interruzione dei prestiti bancari a causa del credit crunch. Anche la realizzazione di importanti opere pubbliche, necessarie per ammodernare il Paese e riprendere il ciclo dello sviluppo economico, sono a rischio per il blocco della liquidità dell'amministrazione pubblica;
puntare sulla ripresa degli investimenti di opere pubbliche sarebbe essenziale ma, nello stesso tempo, sarebbe resa del tutto inefficace per i troppi vincoli imposti da un rigido patto di stabilità che colpiscono le erogazioni di cassa destinate quegli investimenti. L'idea, dunque, di investire nelle rilancio delle opere pubbliche, ipotesi che potrebbe rappresentare un'opzione non di secondo piano, per il rilancio dell'economia e della produttiva del sistema Italia, viene di fatto resa impraticabile;
eppure, privarsi di questa possibilità in più non appare di certo coerente;
gli enti locali in Lombardia pagano mediamente in 120 giorni, in Campania pagano con 365 giorni di ritardo, in Calabria addirittura si raggiunge il tetto di ben 600 giorni. Bisogna, però, tener conto che vi sono pure al Nord realtà in cui è ben evidente questa patologia del rapporto fra le imprese fornitrici di beni e servizi e gli enti locali. Ottenere una commessa per un'impresa privata in queste condizioni può rappresentare una vera e propria iattura per il proprio conto economico;
questa situazione tiene lontani gli investimenti pubblici e privati da un area come quella del Mezzogiorno, che, non va sottaciuto, rappresenta un mercato di consumo per le imprese del Nord. Le regioni del sud necessitano in primo luogo di investimenti sia per quanto riguarda le infrastrutture, il cui ritardo cronico frena in maniera evidente lo sviluppo del meridione, sia per quanto riguarda la possibilità di sviluppare sul territorio quella serie di piccole e medie imprese private che potrebbero ridare, con la loro stessa esistenza, linfa all'intero meridione. Il ritardo dello sviluppo economico del Sud Italia, ha molteplici cause, una di queste è certamente rappresentata dalla debolezza dell'iniziativa privata, diffusa e capillare sul territorio. Essa ha contribuito a fare in modo che altre aree del nostro Paese possano essere considerate tra i produttori più importanti del continente;
dove, invece, è mancata questa iniziativa oggi persistono aree in evidente ritardo. Il Sud di Italia è fortemente caratterizzato da tale mancanza e da tale ritardo;
lo Stato, come le regioni, e gli enti locali possono rappresentare un'opzione in più, uno strumento importante per veicolare, attraverso i loro investimenti, e diffondere e invogliare l'iniziativa privata sul

territorio. Nell'interesse, si badi bene, non solo delle aree eventualmente interessate, ma dell'intero sistema Paese, e delle aziende non certo e non solo locali che potrebbero essere coinvolte in un Piano nazionale di investimenti sul territorio;
resta, ovviamente, in questo quadro, la necessità che le amministrazioni pubbliche nel loro complesso rappresentino un punto di riferimento certo ed affidabile e, dunque, capaci di far fronte ai propri impegni. Purtroppo, così non è. Su questa deficienza cronica si deve intervenire, perché se a Milano come a Torino le imprese private riescono ad avere un rapporto di certezza con gli enti locali e, quindi, a svolgere con continuità la loro attività imprenditoriale, nel Sud le aziende che hanno un rapporto con le amministrazioni pubbliche sono in grande difficoltà per la mancanza di liquidità degli enti locali e il conseguente ritardo dei loro pagamenti. Ciò causa un ulteriore danno non solo all'economia locale ma indirettamente anche al più generale sistema economico italiano;
fino a qualche anno fa le regioni riuscivano a pagare i fornitori di beni e servizi con più tempestività, perché potevano utilizzare i Fondi di riequilibrio, o comunque ricorrevano con maggiore possibilità all'indebitamento. Entrambe le ipotesi oggi non sono più percorribili. Inoltre, è necessario tenere conto del vincolo imposto del patto di stabilità;
in virtù proprio del patto di stabilità siamo di fronte ad una situazione particolare per la quale alcune regioni, pur avendo risorse disponibili non possono utilizzarle, mentre altre non hanno praticamente denaro in cassa;
in queste settimane è stata avanzata autorevolmente l'ipotesi che le risorse finanziarie inutilizzate possano essere rimesse in circolo con l'istituzione di un Fondo di garanzia, di cui il Governo nazionale sia garante dei pagamenti anche delle autonomie locali;
non si tratta di utilizzare le risorse finanziarie di alcune regioni a favore di altre, come si detto in più occasioni. Si deve, infatti, tenere presente che con riferimento alle risorse accantonate e inutilizzate la gran parte di queste sono rappresentate da trasferimenti dello Stato, mentre solo una piccola parte di queste provengono dalla finanza locale;
il Governo ha da poco messo a disposizione ben 1 miliardo di euro al di fuori del patto di stabilità, e sta lavorando per diminuire l'incidenza dei vincoli esistenti, scelta questa che comporta la spesa di ingenti risorse economiche;
anche di fronte a tale situazione, appare ragionevole e forse doveroso riflettere sull'ipotesi di utilizzare risorse finanziarie che esistono e che restano inutilizzate -:
se non ritenga opportuno intervenire, nei modi e nei tempi che reputerà necessari, e nelle sedi opportune, nell'ambito delle proprie e nel rispetto delle altrui competenze, affinché l'ipotesi avanzata possa essere discussa e vagliata come eventuale risorsa aggiuntiva per risolvere il problema cronico dei ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni e contribuire così al rilancio del sistema nel suo complesso, incentivando gli investimenti privati nelle aree depresse del nostro Paese, che non sono solo nelle regioni meridionali.
(2-01427)
«Ossorio, Nucara, Brugger».

Interrogazioni a risposta in Commissione:

GIBIINO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo n. 23/2011 relativo al federalismo fiscale municipale stabiliva che l'aliquota dell'IMU, prevista in via generale nella misura del 7,6 per mille, fosse ridotta alla metà - 3,8 per mille - per gli immobili locati;
la disciplina dell'IMU sperimentale demanda ai comuni la facoltà di stabilire

un'aliquota differenziata per tali immobili, con possibilità di scendere fino al 4 per mille;
fin da subito si è registrata una «caduta libera» dei contratti di locazione, generata dal fatto che, nell'attesa di una determinazione dell'aliquota dell'IMU da parte dei comuni (il termine è stato da ultimo prorogato al 30 giugno), i proprietari scelgono di non vincolarsi con un contratto e un canone prima di sapere l'effettivo livello di fiscalità che verrà stabilito;
nei comuni in cui l'aliquota è stata stabilita si è optato generalmente per l'applicazione dell'aliquota massima, pertanto, l'incertezza ha ceduto il passo ad una tassazione smodata;
ulteriori riflessi negativi si rilevano in ordine alle locazioni a canone calmierato dagli accordi tra organizzazioni dei proprietari e degli inquilini, trattandosi di contratti che godono oggi di una tassazione agevolata o (nei comuni che hanno favorito questi contratti) di un abbattimento totale dell'imposizione fiscale -:
se il Governo intenda, alla luce di quanto rappresentato in premessa, assumere iniziative normative per definire un'aliquota agevolata per tutti gli immobili locati, conferendo a tal uopo, la facoltà ai comuni di abbassare se non azzerare l'IMU sulle abitazioni affittate a canone concordato e, compatibilmente con le esigenze di unitarietà del bilancio, anticipare il succitato termine del 30 giugno, al fine di non peggiorare la situazione di stallo del mercato delle locazioni.
(5-06488)

CALVISI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto-4egge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha introdotto alcune disposizioni (articolo 10, commi da 13-bis a 13-undecies e comma 13-terdecies) volte a migliorare la riscossione dei tributi;
in particolare, l'articolo 10, comma 13-terdecies, del citato decreto-legge n. 201 del 2011 ha modificato l'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, introducendo il comma 2-bis che prevede la possibilità da parte del contribuente, sottoposto a esecuzione forzata, di mettere direttamente in vendita i beni pignorati o ipotecati, con il consenso dell'agente della riscossione, il quale interviene nell'atto di cessione, versando all'erario il ricavato e ricevendo l'eccedenza della vendita entro dieci giorni lavorativi successivi all'incasso;
la citata disposizione rimanda agli articoli 68 e 79 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 per la determinazione del valore del bene oggetto di vendita; la determinazione del valore del bene oggetto di vendita secondo le norme contenute ai citati articoli 68 e 79 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 non agevola il contribuente alla alienazione ma piuttosto limita la possibilità di un prezzo di libero mercato anche superiore al debito tributario;
secondo alcune segnalazioni la norma, positivamente accolta dai contribuenti, non trova pieno riscontro nell'operatività delle Agenzie di riscossione, in quanto, come definito dalla stessa disposizione, la vendita del bene non può avvenire in piena autonomia del contribuente ma vi è la necessità del consenso da parte dell'Agente della riscossione;
gli orientamenti difformi delle Agenzie della riscossione potrebbero pregiudicare l'uniforme ed oggettiva applicazione della disposizione sul territorio nazionale;
la mancata definizione di criteri operativi oggettivi per delimitare i casi di rigetto ed i tempi entro i quali il consenso da parte del concessionario alla vendita dei beni pignorati o ipotecati può essere espresso crea una incertezza del diritto

come, ad esempio, nel caso di vendita di un immobile ipotecato, laddove essendo comunque necessario lo scioglimento dell'ipoteca, può accadere che questa operazione venga ritardata per lungaggini burocratiche con la conseguenza che il ritardo potrebbe compromettere la cessione dell'immobile;
le Agenzie di riscossione segnalano inoltre la mancanza di indirizzi operativi per l'applicazione della norma volti a chiarire in primis come svincolare i beni dal pignoramento al momento dell'atto di vendita ovvero chi è preposto ad effettuare il pagamento al concessionario della riscossione al momento della vendita -:
come si intenda dare attuazione alla norma prevista dal comma 2-bis dell'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, al fine di disciplinare gli aspetti regolatori e identificare oggettivamente i casi in cui l'agente di riscossione possa rifiutarsi di dare il consenso alla vendita del bene pignorato, al fine di rendere uniforme sull'intero territorio nazionale l'applicazione della norma medesima.
(5-06489)

Interrogazioni a risposta scritta:

MARMO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il sistema di bollinatura dei farmaci è stato avviato nel 1988 al fine di stroncare le truffe verso il Servizio sanitario nazionale; sulla base degli ottimi risultati riscontrati nella lotta alle truffe, con decreto 2 agosto 2001, il bollino farmaceutico viene arricchito di un codice numerico per la tracciabilità integrale di sicurezza di tutti i farmaci indipendentemente dal fatto che gli stessi siano destinati al Servizio sanitario nazionale. Il decreto stabilisce, tramite specifiche rigidissime riportate nell'allegato tecnico, tutte le caratteristiche che deve avere il bollino sia come layout che come tecniche di stampa e di lettura dei dati in chiaro e codificati;
nel decreto 4 agosto 2003 del Ministro dell'economia e delle finanze nell'ambito del quale si aggiornano le procedure di produzione dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato (IPZS), il bollino farmaceutico è equiparato alle carte valori al pari dei francobolli o dei valori bollati;
a decorrere dal 2004 il bollino, fino a quel momento stampato da industrie cartotecniche fiduciarie delle farmaceutiche operanti sotto il controllo del Ministero della salute, viene stampato anche dall'officina carte valori del Poligrafico;
il 23 novembre 2009 il Ministero della salute, dopo un accordo con l'Istituto, emana una circolare (direzione generale del sistema informativo n. 0004313-P-23/11/2009) a tutte le categorie interessate alla distribuzione dei farmaci, con la quale si rende noto che l'IPZS ha avviato la sperimentazione di nuove soluzioni tecnologiche per la stampa dei bollini precisando che le nuove tecnologie di stampa utilizzate lasceranno invariate le caratteristiche tecniche previste dal decreto 2 agosto 2001, mentre vi potrebbero essere talune differenze cromatiche;
nel 2011 entrano in commercio prodotti farmaceutici con i nuovi bollini; da un'analisi comparativa con le prescrizioni dettate dal decreto 2 agosto 2001 si constata che nei nuovi bollini i dati relativi al codice prodotto e al codice progressivo sono fuori specifica, come pure è diversa la grafica del numero in chiaro sul secondo strato del bollino;
in sostanza le diversità sono tali da poter indurre il consumatore a ritenere che il bollino non sia autentico; analoghe perplessità possono essere sollevate da grossisti e distributori al dettaglio ove si consideri che la citata circolare 23 novembre 2009, assicurava la piena identità dei layout;
grazie alle caratteristiche dei bollini ed alla loro irriproducibilità, che facilitano i controlli posti in essere dall'Agenzia del farmaco e dal Ministero della salute, l'Italia si trova nell'invidiabile situazione di

essere all'avanguardia mondiale nella lotta alla falsificazione dei prodotti farmaceutici. Il sistema in sostanza, consentendo la tracciatura e la garanzia di autenticità di ogni confezione, è a garanzia della fede pubblica;
il risultato è che, a fronte di preoccupanti statistiche sul commercio mondiale di farmaci falsificati (sino al 70 per cento delle concezioni circolanti nei Paesi dell'Est, nel Sud est asiatico o in Africa, oltre il 30 per cento delle confezioni circolanti negli Stati uniti, tra il 10 ed il 20 per cento nei Paesi comunitari), l'Italia ne è praticamente priva, salvo gli acquisti che improvvidamente i consumatori effettuano senza garanzie su internet;
a riprova del grado di consapevolezza delle istituzione dell'Unione europea in merito all'ingresso di farmaci falsificati sul mercato comunitario, il 21 luglio è entrata in vigore la direttiva dell'8 giugno 2011, n. 2011/62/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano; la nuova direttiva ha il compito espresso di impedire l'ingresso di medicinali falsificati nella catena di fornitura legale; nelle premesse si avverte che «... Nell'Unione aumentano in misura allarmante i ritrovamenti di medicinali falsificati sotto i profili dell'identità, della storia o dell'origine (...). L'esperienza acquisita dimostra che tali medicinali falsificati arrivano ai pazienti non solo attraverso canali illegali, ma anche attraverso la catena di fornitura legale (...). (I medicinali in commercio dovrebbero avere) caratteristiche di sicurezza dovrebbero consentire la verifica di ogni confezione di medicinali fornita (...)» -:
se non si ritenga che la fornitura dei bollini di cui al decreto del Ministro della sanità 2 agosto 2001, con caratteristiche non corrispondenti al relativo disciplinare tecnico, costituisca una violazione delle norme sulle caratteristiche tecniche della carte valori, oltre che della fede pubblica, e se non si ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per la sospensione della fornitura dei suddetti bollini.
(4-15450)

JANNONE. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la politica dell'Unione europea in materia d'imprese aiuta queste ultime a tenere il passo con i loro rivali e a creare nuova occupazione, riservando una particolare attenzione alle esigenze dell'industria manifatturiera e delle piccole imprese. Nonostante la rapida crescita avvenuta negli ultimi decenni nel settore dei servizi, il comparto manifatturiero rimane tutt'oggi l'asse portante dell'economia europea, poiché rappresenta il 75 per cento delle esportazioni dell'Unione europea. La politica europea in materia d'imprese punta in primo luogo a creare un contesto propizio agli investimenti, non soltanto per i settori strategicamente importanti come l'industria aerospaziale e le biotecnologie, bensì anche per quelli più tradizionali, come ad esempio, il comparto tessile e quello automobilistico;
come affermato dalla stessa Commissione europea, in sede di redazione del provvedimento per la stabilità e la competizione, la crescita dell'Unione europea sarà guidata dai settori innovativi basati sul know-how, che necessitano tuttavia di un tessuto industriale sano e di mezzi idonei per sfruttare le potenzialità delle tecnologie emergenti. Ciò significa colmare il divario tra mondo accademico e imprese, affinché le idee vincenti che nascono in laboratorio possano essere convertite in prodotti di successo. L'Istituto europeo di innovazione e tecnologia svolge questo compito creando «comunità della conoscenza e dell'innovazione», cioè reti pubblico-private altamente integrate composte da università, istituti di ricerca e imprese di tutte le dimensioni;
sebbene il mondo dell'industria venga spesso associato alle grandi multinazionali,

in realtà la maggior parte delle imprese europee(92 per cento) sono piccole aziende con meno di 10 dipendenti. Poiché queste ultime rappresentano due terzi dei posti di lavoro nell'Unione europea, riceveranno una particolare attenzione nell'ambito dei programmi e finanziamenti europei per le imprese, tra cui: il programma per la competitività e l'innovazione, che investirà 3,6 miliardi di euro nel periodo 2007-13, soprattutto in efficienza energetica, fonti rinnovabili e tecnologie dell'informazione/comunicazione; il settimo programma quadro (7oPQ), il principale programma di finanziamento dell'Unione europea per la ricerca scientifica (in ambito accademico e industriale), con stanziamenti pari a oltre 7 miliardi di euro l'anno. L'obiettivo è promuovere l'imprenditorialità e le competenze, migliorare l'accesso delle piccole imprese ai mercati e potenziare le loro capacità in materia di ricerca e sviluppo;
le piccole imprese in cerca di informazioni e consulenze possono ottenerle attraverso la Enterprise Europe Network, una rete composta da circa 500 sportelli unici sparsi in tutta l'Unione europea e parzialmente finanziati da essa. Uno degli elementi fondamentali del successo di queste politiche è il mercato unico europeo e in particolare la libera circolazione delle merci all'interno dell'Unione europea. Il mercato unico consente infatti alle imprese di accedere a un maggior numero di consumatori, con conseguente aumento delle possibilità di espansione, esponendosi nel contempo a una maggiore concorrenza, il che le costringe a restare dinamiche. La legislazione sul mercato unico europeo verrà costantemente aggiornata per poter tenere il passo con il progresso tecnologico ed evitare che i Paesi membri cedano alla tentazione di proteggere le industrie nazionali. Inoltre si integreranno completamente i mercati nel settore dei servizi essenziali di sostegno alle imprese, tra cui comunicazioni, trasporti, gas ed energia elettrica. Una maggiore concorrenza e servizi a costi più bassi si traducono in prodotti a prezzi inferiori per l'utente finale;
infine, uno degli obiettivi prefissati consiste nel trovare il giusto equilibrio tra l'esigenza di una normativa (per mantenere aperti i mercati e tutelare i consumatori, l'ambiente, i lavoratori, e altro) e le restrizioni che essa pone alle imprese. Di qui la decisione della Commissione di ridurre le formalità burocratiche del 25 per cento entro il 2012. Tuttavia, le norme europee danno anche un aiuto alle imprese, rimuovendo gli oneri dovuti alla diversità delle procedure amministrative applicate nei singoli Paesi: il sistema REACH, ad esempio, prevede una banca dati unica che consente alle industrie di registrare una sola volta le sostanze chimiche che producono -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di dare maggior sostegno alla piccole e medie imprese del nostro Paese, grazie anche alle disposizioni delle direttive che verranno emanate in sede europea.
(4-15455)

TESTO AGGIORNATO AL 29 MARZO 2012

...

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:

MELIS. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 21 gennaio 2009 l'interrogante presentava un atto di sindacato ispettivo agli stessi Ministri inerente l'eventuale assegnazione in uso alla comunità religiosa greco-ortodossa rumena di Monterotondo di locali compresi nei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (locali ex proprietà Ciarlante Matilde); tali locali, identificati all'epoca dalle autorità cittadine come idonei all'uso sopramenzionato, risultarono però non disponibili per l'insistere su di essi di un impedimento giuridico relativo alla loro assegnazione (erano sottoposti a sequestro anche nell'ambito di un procedimento giudiziario allora pendente presso la sezione di Taranto della corte d'appello di Lecce);

nella risposta, resa l'11 gennaio 2010, il rappresentante del Governo delegato a rispondere, dando conto dell'impedimento, assicurava massima attenzione al problema e informava di avere incaricato il commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali di insistere presso la corte d'appello-sezione autonoma di Taranto onde ottenere almeno una autorizzazione in comodato dei locali;
nulla di tutto ciò avveniva, nonostante l'interessamento dell'amministrazione comunale di Monterotondo, che offriva alla chiesa una sistemazione provvisoria (per altro non del tutto idonea) onde se non altro impedire che si celebrasse la messa all'aperto (come di fatto avveniva);
nel corso dell'anno 2011, sotto l'egida della Chiesa greco-ortodossa di Monterotondo, si costituiva un comitato popolare, detto «Albero delle Culture», cui aderivano circa 5 mila cittadini di nazionalità rumena praticanti la fede cristiano-ortodossa e abitanti nella zona di Monterotondo, Mentana e Fonte Nuova. Tale Comitato nelle giornate del gennaio 2012, giornate caratterizzate dal clima particolarmente rigido, si insediava, senza compiere effrazioni (come risulta anche da successivi atti dei carabinieri) nei locali (vuoti e a lungo inutilizzati: gli stessi a suo tempo individuati per essere dati in uso alla Chiesa greco-ortodossa) della palazzina B sita in via Salaria 123, angolo via Aniene, località La Dogana; e qui, sulla base dell'attività volontaria e gratuita dei suoi membri, tutti residenti altrove in case in proprietà o in affitto, ricoverava gruppi di rumeni senza casa, giungendo in breve ad ospitare circa 40 senza tetto, ai quali forniva letto, pasti caldi, pacchi alimentari, attività ricreative e doposcuola per bambini, consulenza legale, assistenza medica e altro;
il 23 febbraio 2012, circa alle ore 11, alcuni degli abitanti di una palazzina vicina, costituiti in gruppo organizzato, sono penetrati nei locali occupati dai rumeni, con bastoni, rottura di vetri e atteggiamento violento; sull'episodio gli occupanti hanno presentato il 24 febbraio circostanziata denuncia;
il 1o marzo 2012, alla stessa ora, tre uomini riconosciuti come abitanti nella stessa palazzina, hanno cercato di impedire ai volontari esterni di assistere le persone ricoverate nei locali occupati, rovesciato vassoi di vivande, abbassata con la forza la serranda di accesso al locale intrappolando coloro che vi sostavano; nella serata dello stesso giorno i tre, con un gruppo di circa 20 persone, hanno costituito una sorta di catena umana per impedire di nuovo l'accesso ai locali; anche su questi ulteriori episodi è stata presentata denuncia;
ulteriori episodi di violenza, accompagnati da grida ostili e insulti a sfondo razzista, si sono succeduti il 3 marzo nel pomeriggio quando un gruppo dei medesimi inquilini ha forzato la porta, rotto i vetri, bloccato i volontari terrorizzando donne e bambini ricoverati all'interno;
si aggiunga che nessuno degli inquilini avversi alla presenza della comunità e protagonisti di questi episodi può rivendicare alcun titolo giuridico rispetto al locale oggetto delle contestazioni né rispetto ai locali da essi stessi abitati nella medesima palazzina, permanendo anche questi inquilini in regime di occupazione abusiva alla stessa stregua della comunità;
il 5 marzo le signore di nazionalità rumena Mihaela Ciolacu, e Ioana Vranceanu, individuati quali occupanti sine titulo i locali suddetti (in realtà componenti il gruppo dei volontari esterni e residenti altrove), si sono viste notificare una ordinanza di sfratto/sgombero ex articolo 2-decies, comma 2, della legge n. 567 del 1965, oggi trasfuso nel comma 2 dell'articolo 47 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, a firma del direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, con un termine di 4 giorni per ottemperarvi. Non risulta all'interrogante che ordinanza

analoga sia stata notificata agli inquilini - nelle stesse condizioni di abusivismo - presenti nella stessa palazzina -:
quale sia l'attuale status dei beni confiscati alla criminalità organizzata e, qualora se ne potesse finalmente disporre senza più vincoli, se non sia il caso di assegnare il locale di cui ai punti precedenti alla Chiesa greco-ortodossa e alla comunità romena dell'area di Monterotondo;
se comunque i Ministri, in ragione delle evidenti finalità sociali in capo alla Chiesa greco-ortodossa di Monterotondo, finalità già riconosciute in atti nel 2009-2010, e dell'esigenza prioritaria di garantire idonei luoghi di riunione a una comunità quale quella rumena che nella zona consta di 6 mila residenti, non ritengano doversi adottare la soluzione già a suo tempo individuata ma mai messa in atto di concedere almeno in uso i locali oggi occupati dal comitato;
quali iniziative intenda assumere, in particolare, il Ministro dell'interno per garantire che non si abbiano a ripetere violenze quali quelle riferite in premessa.
(3-02170)

Interrogazione a risposta in Commissione:

MANCUSO, GIRLANDA, DE LUCA, BARANI e CICCIOLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la salubrità e la corretta manutenzione del luogo di lavoro sono requisiti indispensabili per lo svolgimento ottimale di qualsiasi occupazione;
ciò appare ancora più evidente nel caso che il luogo di lavoro sia una caserma deputata alla pubblica sicurezza;
la caserma di Ivrea, ospitante la polizia penitenziaria del carcere, presenta notevoli problemi di decadenza;
le pessime condizioni si riferiscono tanto a problemi strutturali, quanto al cattivo mantenimento dei luoghi, soprattutto dal punto di vista igienico;
la grave carenza strutturale culmina, nei periodi maggiormente piovosi, nell'allagamento del piano terra dove è collocata la mensa agenti;
nel piano seminterrato della struttura, oltretutto, è allocata la centrale elettrica;
l'amministrazione penitenziaria, in sede di sottoscrizione dell'accordo quadro, ha assunto l'impegno «a destinare il 10 per cento delle risorse assegnate annualmente - sul relativo capitolo di bilancio - per i lavori di ristrutturazione delle caserme e di mantenimento di quelle già ammodernate»;
la mancanza di fondi, quindi, non è una possibile scusante per l'incuria nella manutenzione della caserma di Ivrea;
esisterebbe, poi, una caserma di nuova realizzazione, ma in fase di deterioramento perché definita «non agibile»;
risulta, però, che tale struttura sia utilizzata dalla polizia penitenziaria come spogliatoio e venga utilizzata anche dalla direzione di Ivrea -:
se il Governo intenda verificare la situazione di forte decadenza strutturale della caserma della polizia penitenziaria di Ivrea;
se il Governo intenda verificare l'utilizzo della struttura dichiarata inagibile;
quali iniziative intenda porre in atto il Governo per ripristinare le buone condizioni d'uso della caserma di Ivrea e assicurare alla polizia penitenziaria eporediese un luogo di lavoro salubre e adeguatamente mantenuto.
(5-06487)

Interrogazioni a risposta scritta:

MANCUSO, GIRLANDA, DE LUCA, BARANI e CICCIOLI. - Ministro della giustizia, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
gli archivi notarili distrettuali sono gli uffici operativi dell'amministrazione della giustizia e hanno sede in capoluogo di distretto notarile;
a essi sono demandati compiti archivistici, attività di controllo sulla funzione pubblica notarile, attività di certificazione, funzioni notarili relativamente agli atti depositati in archivio, funzioni amministrative e contabili e funzioni di vigilanza sugli archivi notarili mandamentali, uffici di pertinenza delle amministrazioni comunali;
quando il distretto notarile viene soppresso mediante accorpamento ad altro distretto, viene soppresso anche l'archivio notarile distrettuale che continua però a funzionare, con la denominazione di archivio notarile sussidiario;
attualmente gli archivi sussidiari sono 15;
gli archivi notarili, che fino al 1997 erano 101, sono ora 94;
gli archivi sussidiari sono aperti al pubblico un solo giorno a settimana e unicamente per la pubblicazione di testamenti e rilascio copie;
gli archivi sussidiari sono, nella sostanza, sedi periferiche con una dotazione organica insufficiente;
si rendono necessarie continue sostituzioni di personale, causa ferie o malattie, provenienti da altre strutture, con le relative ovvie ricadute sulla qualità del lavoro;
a volte il personale in sostituzione proviene da sedi molto lontane, con relativi costi e disagi -:
se il Governo intenda assumere iniziative per la chiusura delle sedi periferiche e il trasferimento dei relativi archivi nelle sedi viciniori o nel capoluogo regionale.
(4-15462)

MANCUSO, GIBIINO, BARANI e DE LUCA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
lo stupro è senz'altro uno dei più aberranti reati contro la persona;
l'aggravante del «compimento in gruppo» lo rende ancora più inaccettabile;
nel 2009, il Parlamento ha approvato una legge volta al contrasto della violenza sessuale in base alla quale non era consentito al giudice di applicare, per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, misure cautelari diverse dalla custodia in carcere;
nel 2010 la Corte costituzionale, con la sentenza 265/2010, ritenne la suddetta norma in contrasto con gli articoli 3 (uguaglianza davanti alla legge), 13 (libertà personale) e 27 (funzione della pena) della Costituzione;
per questo la Consulta ha limitato le alternative al carcere «nell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure»;
nel mese di giugno 2012 due ragazzi del frusinate sono stati accusati di avere stuprato, nella notte tra il 23 e il 24 giugno, una ragazzina minorenne di Cassino (Frosinone);
il 10 agosto il tribunale di Roma aveva confermato la custodia carceraria per entrambi;
la Corte di Cassazione, interpretando per estensione la sentenza della Corte costituzionale ha ora concesso a entrambi gli arresti domiciliari, motivando che «l'unica interpretazione compatibile con i principi fissati dalla sentenza 265 del 2010 della Corte costituzionale è quella che estende la possibilità per il giudice di applicare misure diverse dalla custodia in

carcere anche agli indagati sottoposti a misura cautelare per il reato previsto all'articolo 609-octies del codice penale»;
nel nostro ordinamento le sentenze della Corte di Cassazione costituiscono precedente giuridico -:
se il Governo intenda tornare sul punto per promuovere una normativa chiara e maggiormente incisiva, al fine di evitare che crimini così odiosi ricevano pene troppo lievi.
(4-15463)

SBROLLINI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
alla Marlane di Praia a Mare, in provincia di Cosenza, industria tessile del gruppo Marzotto, sembra si sia consumata una tragedia del lavoro che non trova risonanza sul piano nazionale.
più di 100 lavoratori, impiegati per anni nel sito produttivo, si sono ammalati di tumore di varia natura e purtroppo a decine sono già deceduti (secondo fonti attendibili e realistiche sono oltre 80);
si sta parlando di fredde cifre che nascondono vite spezzate e che inesorabilmente sono destinate a crescere nel tempo;
il tribunale di Paola, il 12 novembre 2010 ha rinviato a giudizio molti dirigenti della Marlane, della ex-Lanerossi, della Marzotto, con l'accusa di omicidio colposo plurimo, aggravato dalla omissione delle cautele sul lavoro, lesioni colpose gravissime, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e disastro ambientale doloso;
dopo anni di indagini, la magistratura ha deciso di procedere per raggiungere quella verità richiesta dai lavoratori, dalle famiglie, dalle organizzazioni sociali e associazioni ambientaliste, dalle amministrazioni locali che si sono costituiti parte civile (le parti offese sono oltre 180);
il processo doveva iniziare 19 aprile 2011, ma la prima udienza è stata rinviata ben 6 volte per motivi procedurali;
l'udienza che doveva svolgersi il 24 febbraio 2012 è stata rinviata per lo sciopero degli avvocati e la prossima, ennesima, «prima udienza» è stata fissata per il 30 marzo 2012 e si può quindi dire che il dibattimento non è ancora veramente iniziato;
se si dovessero presentare altre situazioni tese a rinviare di volta in volta il dibattimento, è ovvio che il rischio di prescrizione diventa via via più elevato con il passare del tempo e che la giusta speranza di attivare a far chiarezza su una situazione grave rischia di svanire;
è necessario allontanare lo spettro di una possibile e inaccettabile prescrizione;
appare necessario giungere a una sentenza sulla questione sopra presentata, non per perseguire ma per poter far chiarezza su atti gravi che sembrano aver portato conseguenze devastanti in famiglie che ancora oggi attendono risposte dalla giustizia;
l'ex pubblico ministero Piercamillo Davigo ha recentemente dichiarato che la prescrizione in corso di processo è «un caso unico al mondo» e vicende come quelle descritte rendono chiaramente necessario che la normativa cambi radicalmente e celermente -:
se non ritenga di assumere iniziative normative che pongano fine all'anomalo decorso dei termini di prescrizione durante il processo, caratteristica quasi esclusivamente italiana, e che produce effetti distorsivi come ad esempio nel caso descritto in premessa.
(4-15467)

...

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

SARUBBI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
anche grazie alla campagna LasciateCIEentrare - promossa da deputati appartenenti

a diversi gruppi parlamentari, la Fnsi, l'ordine dei giornalisti e l'associazionismo - il Ministro interrogato in data 13 dicembre 2011, ha aggiornato le modalità di accesso a CIE e CARA sul territorio nazionale abrogando le disposizioni previste dalla direttiva 1305 del Ministro pro tempore Maroni, che vietava di fatto l'accesso della stampa nei centri, per tornare a quanto stabilito dalla direttiva del 24 aprile 2007, aggiungendo anche la disposizione secondo la quale le prefetture, previo interessamento del Ministero «...oltre che per motivi di ordine pubblico, potranno differire l'accesso nei centri anche per ragioni di sicurezza nei casi in cui la struttura interessata da interventi di ristrutturazione o, comunque, dalla esecuzione di rilevanti lavori di manutenzione straordinaria»;
in data 13 marzo 2012, una comunicazione della prefettura informava la giornalista Ilaria Sesana che le era negato l'accesso al CIE di via Corelli a Milano, adducendo come motivazione che il centro «a seguito di disordini avvenuti di recente, presenta alcune parti inagibili, che hanno reso necessario l'avvio di lavori di ristrutturazione». Inoltre il «Ministero dell'Interno, interessato al riguardo dalla Prefettura, ha espresso parere che, per prevenire il ripetersi di nuovi episodi, per il momento non possa essere consentito l'ingresso nella struttura ad estranei»;
il diritto di informazione, oltre che sancito costituzionalmente, rappresenta un servizio reso all'opinione pubblica che, tra le altre cose, impedisce il diffondersi di notizie infondate e quindi uno scorretto atteggiamento dell'opinione pubblica su ciò che accade nei centri -:
se il Ministro non ravveda la necessità di circostanziare maggiormente le cause, individuate nella direttiva di cui in premessa, che impediscono temporaneamente l'accesso nei centri ai giornalisti;
se il ministro non intenda specificare la direttiva in modo tale da impedire interpretazioni anche molto difformi sul territorio nazionale e, comunque, da evitare di assimilare la presenza di professionisti dell'informazione all'interno dei centri a problematiche di ordine pubblico.
(4-15459)

JANNONE. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
a Nord di Napoli, tra Giugliano e Aversa si concentrano i migliori falsari d'Europa. In questo territorio si stampano la maggior parte delle banconote contraffatte che circolano in Europa, grazie al lavoro di tipografi che vengono violentemente assoldati da gruppi criminali. Giugliano è un piccolo stato invisibile, che non ha governo, non ha confini definiti; non ha banche, ma stampa banconote false, ma riprodotte talmente bene da mettere in allarme la Banca centrale europea e tutte le forze di polizia internazionali. Nel raggio di venti chilometri attorno al comune di Giugliano, in un quadrilatero tra Afragola, Marano, Castelvolturno e Aversa, si trova la più alta concentrazione di falsari e stamperie clandestine del continente. Più della metà del denaro contraffatto che circola nei 17 Paesi dell'Eurozona viene prodotta lì. Dal 2002, da quanto è stato introdotto l'euro, sono stati ritirati in Europa 5 milioni e mezzo di biglietti riconosciuti falsi, per un controvalore di circa 400 milioni di euro. Può sembrare una cifra residuale, se paragonata con i 14 miliardi di pezzi genuini attualmente in circolazione. «Ma il sequestrato è solo la punta dell'iceberg - spiega una fonte qualificata dell'Europol all'Aja - quello che sfugge ai controlli è molto di più». Almeno 3-4 volte di più, secondo, alcune stime. «E le grandi commesse, quintali di euro falsi divisi in mazzette, finiscono nel Nord Africa, in Colombia, in Medio Oriente». Mazzette prodotte a Giugliano, l'enclave europea della contraffazione. Tanto piccola e protetta quanto pericolosa e professionale, perché a minacciare l'integrità della moneta unica, più della quantità, è la qualità raggiunta dai falsari campani;
i falsari che gravitano nel giuglianese sono chiamati «Napoli Group», termine

coniato dai poliziotti dell'Europol. Sono considerati i maestri artigiani della contraffazione monetaria, specialisti nel taglio da 20 euro. Nemmeno i falsari di Plovdiv e Haskovo, nel sud della Bulgaria, fenomeni nell'imitare il biglietto verde da 200 euro, raggiungono il loro livello. Hanno un «curriculum» lungo dieci anni. Nel 2004 la prima stamperia clandestina di euro viene scoperta a Parete, a pochi chilometri da Giugliano. Nei tre anni successivi ne vengono trovate altre tre, a Castel Volturno, a Marano e a Lusciano. Il 2009 è l'anno in cui diventa chiaro a tutti che il fronte avanzato della guerra comunitaria ai falsari si posiziona qui, dove si miscelano almeno due «arti», quella tipografica e quella di arrangiarsi. La maxioperazione Giotto dei Carabinieri porta in carcere 109 persone, una cinquantina delle quali tra Napoli, Afragola, Casalnuovo, Qualiano, Giugliano. Nello stesso periodo saltano fuori un laboratorio serigrafico a Grumo Nevano, una stamperia a Gricignano d'Aversa e un'altra a Varcaturo, dove vengono sequestrati dinari algerini prodotti addirittura con la filigrana originale della banca d'Algeria. Nel 2010 l'ultimo caso, a Ponticelli. E tutta la produzione illegale, milioni e milioni di euro, ruota attorno a pochi soggetti. I tipografi che sanno imitare gli elementi di sicurezza dei soldi, infatti, sono circa una decina. Per la malavita, sono un capitale: Giuseppe S., 52 enne di Calvizzano, e Mario T., 34 enne di Carinaro sono tra i pochi al mondo in grado di riprodurre in casa gli ologrammi. Sono stati arrestati già due volte. «Chi lo fa, poi ci ricasca - spiega il colonnello Gentili - i tipografi non sono violenti, sono esperti di arti grafiche che vengono assoldati da gruppi criminali, a volte con la minaccia, per fare quello che sanno fare, riprodurre su carta». Viene in mente il clan Maliardo, che controlla l'area. La Camorra tollera questo tipo di attività, e se ne serve solo per scambiare grandi quantitativi con i trafficanti di cocaina colombiani;
le carte dell'operazione Giotto raccontano il modus operandi del Napoli Group. Sono necessarie tre figure e una logica aziendale di rigida divisione dei compiti per mettere su una banda del falso: il finanziatore della stamperia, che poi è anche il committente. È il soggetto, di solito un personaggio minore dei clan di Camorra, che si occupa di trovare una macchina tipografica offset di seconda mano (quelle nuove a quattro colori costano anche 500 mila euro), la filigrana, gli inchiostri, gli altri strumenti; il tipografo, addetto alla produzione ed il distributore. Quest'ultimo è un uomo di fiducia del committente. Ha il compito di organizzare un deposito, rigorosamente lontano dalla stamperia, e di tenere i contatti con i clienti. Quando si sparge la notizia che qualcuno «sta fabbricando soldi», al distributore si avvicina un gruppo criminale che usa una lingua propria, in codice, per cui i biglietti da 50 e da 20 al telefono diventano «magliette della Roma e del Napoli», i dollari sono «jeans» e «bottiglie verdi», e per definire le quantità da acquistare usa perifrasi del tipo «l'appuntamento è al numero 150, porta le magliette della Roma», comunicando così il bisogno urgente di 150 banconote da 50 euro;
la catena dello smercio segue gli stessi schemi dello spaccio di droga. Il primo passaggio, dal distributore al «grossista» (può essere un altro malavitoso che acquista euro a quintali, o un commerciante colluso), avviene al costo del 10 per cento del valore nominale. Per un milione di euro finti, la banda ne guadagna 100 mila veri. Dal grossista si approvvigiona (pagano un prezzo maggiore, il 20 per cento del valore nominale) una serie di soggetti minori, dal piccolo criminale locale al corriere straniero (di solito lituano o estone) che porta la valuta fasulla in Spagna, Belgio o Lituania. Fino all'extracomunitario in difficoltà che spera di guadagnare qualcosa spacciando banconote alle stazioni centrali di Roma e Napoli. A ogni passaggio della filiera, il ricarico aumenta del dieci per cento;
se la metà della produzione clandestina europea è coperta dai giuglianesi, la percentuale sale al 62 per cento con i

falsari calabresi e pugliesi («ma un napoletano nella banda c'è sempre», sottolinea il colonnello Gentile). I veri «competitor» del «Napoli Group» si trovano nelle campagne del sud della Bulgaria e nella periferia di Sofia. Qui l'antica tradizione di copiare i dollari con la stampa offset ha reso possibile riprodurre la banconota da 200 euro in ottima qualità. È nella zona industriale di Varna sul mar Nero, che l'Europol e il Secret Service statunitense (il servizio segreto che si occupa della difesa del dollaro e dell'incolumità dei presidenti) scoprirono il 22 gennaio 2004 una delle prime stamperie al mondo capace di riprodurre la banconota nata appena due anni prima. Otto anni dopo i centri di produzione si sono spostati attorno alle città di Plovdiv e Haskovo, nel sud del Paese. Nel mese di giugno 2011 l'ultima operazione della polizia bulgara ha smantellato un sito in questa zona, sequestrando 200 mila euro in pezzi da 500. Due esperti dell'Europol li hanno valutati «tra i migliori mai prodotti». Francia e Spagna vengono subito dopo l'Italia nella classifica dei falsi prodotti, ma qui si usano, nell'80 per cento dei casi, stampanti laser di ultima generazione, tecnologia che ha aperto il mercato del falso anche a esperti di informatica e di computer grafica. In Italia invece la quota delle stampe digitali è al 10 per cento, anche se in continua crescita;
bisogna contare, inoltre, le nazioni «emergenti». La Polonia, dove poche settimane fa è stato sequestrato in un appartamento a Varsavia un milione di euro che doveva essere utilizzato per truffare i tifosi di calcio durante i prossimi Europei, e la Bosnia, dove a controllare il mercato è un gruppo di falsari di Banka Luka. Turchia, Romania, Albania non producono, ma agiscono da distributori, facendo la spola per approvvigionarsi tra Napoli è Sofia. I più efficienti spacciatori d'Europa però sono i criminali lituani, che hanno avuto l'idea di smerciare le banconote taroccate usando la ben collaudata rete di pusher sul territorio. Il Ministro dell'interno bulgaro Tsvetan Tsvetanov ha dichiarato il 3 giugno 2011 che «la contraffazione sta diventando preoccupante per la sicurezza finanziaria dell'euro perché i falsi inondano il mercato e perché le condanne per i falsari non sono abbastanza severe». A Francoforte invece i dirigenti della Bce ostentano tranquillità, perché il volume del sequestrato nel 2011 si è ridotto del 19,3 per cento rispetto al 2010 e le 606 mila banconote ritirate (215 mila solo in Italia, un controvalore di una decina di milioni di euro) su un totale di 14,4 miliardi di pezzi del circolante genuino danno una percentuale di falsificazione bassa, lo 0,00043 per cento;
«Eviterei ogni inutile allarme - ci tiene a dire il colonnello Gentili - abbiamo diverse strutture che sorvegliano l'integrità dell'euro, tra cui l'Europol, l'Olaf a Bruxelles, la Banca d'Italia, la finanza e noi carabinieri. Con un po' di accortezza, facendo un piccolo sforzo per conoscere meglio come sono fatte le banconote genuine, i cittadini possono evitare di essere frodati». Anche per questo le rotte del falso fuori dall'Europa portano, passando attraverso la Spagna, in quei Paesi che hanno una moneta debole e una scarsa conoscenza degli euro. Medio Oriente, Africa del Nord, Est Europa soprattutto. In Africa ci sono banche che nemmeno riconoscono quelli finti e li cambiano con la valuta locale; «ma di recente - raccontano all'Europol - abbiamo scoperto che gli ologrammi usati dai falsari bulgari per le banconote da 200 euro erano stati fatti da alcuni criminali cinesi. Se anche loro si mettono a stampare, sarà un problema per tutti» -:
quali iniziative di competenza i Ministri intendano adottare al fine di contrastare e smantellare la produzione ed il traffico di banconote false in Italia, che provoca delle pesanti ricadute anche per l'economia nazionale.
(4-15461)

NACCARATO, MIOTTO e FIANO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
Edilbasso Spa, società per azioni attiva nel settore delle costruzioni con sede

in via dell'Artigianato n. 9 a Loreggia (Padova), è stata costituita nel 1976. Il 4 agosto 2011 la proprietà dell'impresa con capitale sociale di 12.000.000 euro risultava così suddivisa: Bruno Basso (9.960.000 euro); Lidia Miolo (1.680.000 euro); e Gianni Basso (360.000 euro). Dal 2007 Edilbasso Spa ha assunto, oltre al ruolo di costruttore, anche la funzione di holding con poteri di esercizio di controllo sulle società partecipate: Parfin Srl, attiva nel settore dello sviluppo immobiliare, So.im.cos. Srl, attiva nel settore del Real Estate. La società nel recente passato ha operato nel Nord Italia soprattutto in progetti edilizi integrati: ad esempio il «Net Center» di Padova e il complesso «Maciachini» di Milano. Nel 2009 Edilbasso Spa ha registrato un fatturato pari a 61 milioni di euro occupando circa 160 dipendenti. Dal 2010 l'azienda è entrata in una fase difficoltà economica che ha portato i vertici della società ad avviare e concludere la procedura di scioglimento e liquidazione nel corso del 2011. Nel 2006 il bilancio della società registrava un valore della produzione di 59.002.000 euro, una posizione finanziaria netta di 15.760.000 euro e un utile netto di 265.000 euro. Nel 2009 il bilancio della società registrava un valore della produzione di 58.509.000 euro, una posizione finanziaria netta di 22.431.000 euro e un utile netto di 113.000 euro. Nel 2010 il bilancio della società registrava un valore della produzione di 28.464.000 euro, una posizione finanziaria netta di 16,707.000 euro e una perdita netta di 33.437.000 euro. La condizione finanziaria di Edilbasso Spa è così descritta nella Consulenza tecnica per la valutazione del ramo di azienda allegata al Concordato preventivo «Edilbasso Spa in liquidazione n. 20/2011» del Tribunale di Padova: «Nel corso del 2010 si assiste al crollo verticale del fatturato e dunque della redditività, tanto che l'esercizio si chiude con una perdita superiore al capitale sociale (...) La lunghezza delle trattative con il sistema bancario e il conseguente acuirsi dell'esposizione verso i creditori commerciali ha portato il Consiglio di Amministrazione di Edilbasso Spa a prendere atto dell'impossibilità di assicurare la continuità aziendale e ad autorizzare il presidente a depositare la richiesta di concordato preventivo» (pagine 7, 8 e 9 della Consulenza tecnica sopra citata). La proposta concordataria è stata depositata il 6 giugno 2011 e accolta dal Tribunale di Padova. Attualmente, Edilbasso Spa risulta sottoposta alla procedura di scioglimento e liquidazione, come previsto dal decreto del Tribunale di Padova n. 20/2011 del 21 e 25 luglio 2011 ai sensi dell'articolo 160 della Legge Fallimentare. In particolare, il concordato preventivo prevede:
la continuazione di parte dell'attività di Edilbasso Spa attraverso contratto d'affitto di ramo d'azienda a favore di Faber Costruzioni Srl stipulato il 18 febbraio 2011;
la liquidazione di parte del compendio immobiliare di Edilbasso Spa;
la dismissione/liquidazione, e l'incasso dei relativi crediti, delle società partecipate da Edilbasso Spa (Parfin Srl, So.im.cos. Srl, Progetto PP1 Spa);
la presentazione di una transazione fiscale da parte di Edilbasso Spa ai sensi dell'articolo 182-ter della legge fallimentare;
la durata del contratto d'affitto del ramo d'azienda tra Edilbasso e Faber Costruzioni Srl è stabilita in 6 anni (dal 18 febbraio 2011 al 18 febbraio 2017), il canone convenuto è pari a 60.000 euro all'anno oltre Iva. Il ramo d'azienda oggetto di contratto è circoscritto e individuato dai rapporti giuridici e commerciali disciplinati dai seguenti 3 contratti:
appalto concluso il 9 giugno 2010 tra Edlibasso Spa e la provincia di Verona per la realizzazione dei lavori di soppressione del passaggio a livello al chilometro 111+055 della linea ferroviaria Mantova-Monselice nel Comune di Sorgà;
appalto concluso il 18 settembre 2009 tra l'Associazione temporanea d'imprese (Ati) costituita da Edilbasso Spa,

Sielv Srl e Ulss 16 di Padova per la realizzazione della nuova psichiatria dell'ospedale Sant'Antonio a Padova;
convenzione tra l'Ati costituita da Edilbasso Spa, Urbaser sa e Azienda generale servizi municipali di Verona Spa, stipulata in seguito all'aggiudicazione della gara per la progettazione, costruzione e gestione della nuova sezione di incenerimento del complesso impiantistico di Cà del Bue mediante procedura di finanza di progetto;
inoltre, il Concordato preventivo prevede «la cessione del ramo d'azienda già oggetto del contratto di affitto siglato tra la concedente Edilbasso Spa e l'affittuaria Faber Costruzioni Srl al prezzo di euro 3.000.000, come da proposta di acquisto irrevocabile avanzata dall'affittuaria e vincolata alla condizione sospensiva della omologa del concordato preventivo con decreto definitivo» (pagina 9 della consulenza tecnica sopra citata);
Faber Costruzioni Srl è una società a responsabilità limitata con sede in via dell'Artigianato n. 9 a Loreggia (Padova). È stata costituita il 21 gennaio 2011 con capitale sociale sottoscritto pari a 100.000 euro da Paolo Simion (con una quota di 10 mila euro, di cui 2.500 versati) e Algisa Srl (90 mila euro, di cui 22.500 versati). Dalla data di fondazione ad oggi, Faber Costruzioni Srl ha subito numerosi trasferimenti di proprietà del capitale sociale: il 16 marzo 2011 Algisa Srl ha ceduto il 65 per cento delle quote di Faber Costruzioni Srl a Giovanni Barone e il restante 25 per cento ad Alessandro Basso; nella medesima data Paolo Simion ha ceduto il 10 per cento delle quote ad Alessandro Basso. L'11 aprile 2011 Alessandro Basso ha ceduto il 10 per cento di Faber Costruzioni Srl a Leonard Martin Myatt (cittadino britannico, residente a Birmingham, Regno Unito). Il 28 giugno 2011 Barone ha ceduto il 65 per cento della società ad Algisa Srl, dalla quale aveva acquisito le quote quattro mesi prima. Infine, il 29 dicembre 2011, Myatt ha ceduto il 10 per cento del capitale sociale dell'impresa a Immobiliare Milano Srl. In data 27 febbraio 2012 i soci di Faber Costruzioni risultano: Alessandro Basso con il 25 per cento delle quote (pari a 25.000 euro interamente versati), Immobiliare Milano Srl con il 10 per cento delle quote (10.000 euro di cui 2.500 versati) e Algisa Srl, con il 65 per cento delle quote (65.000 euro interamente versati);
Algisa è una società a responsabilità limitata con sede in via degli Scrovegni n. 1 a Padova. È stata costituita il 27 settembre 1995 con capitale deliberato sottoscritto e versato pari a 100.00 euro. In data 6 luglio 2011 la proprietà di Algisa Srl risultava così suddivisa: Alessandro Basso (33.334 euro interamente versati); Giulia Basso (33.333 euro interamente versati) e Sara Basso (33.333 euro interamente versati);
Immobiliare Milano è una società a responsabilità limitata con sede in via Ramazzini n. 3 a Milano. È stata costituita il 5 ottobre 2006 con capitale sociale pari a 100.000 euro. In data 24 febbraio 2011 la proprietà della società risultava così suddivisa: Gianluigi Cecchi, con una quota del 90 per cento (corrispondenti a 90.000 euro interamente versati) e Adriano Cecchi con il restante 10 per cento (10.000 euro interamente versati);
Adriano Cecchi, nato il 18 ottobre 1939 a Milano, residente in via Raffaello Sanzio n. 36 a Milano, ha ricoperto l'incarico di sindaco effettivo nella società Perego Strade Srl dal 4 novembre 2008 al 31 dicembre 2010, e nella Perego Holding Spa i liquidazione dal 19 dicembre 2008 al 31 dicembre 2010;
Giovanni Barone, nato il 29 marzo 1969, domiciliato in via Borea n. 21 a Palombara Sabina (Roma). Il 4 novembre 2008 è stato nominato liquidatore della società Perego Strade Srl. Dal 19 dicembre dello stesso anno ha svolto il medesimo incarico anche nelle seguenti società: Perego Holding in liquidazione, Iris Srl in liquidazione e Costruzioni Alpe Srl in liquidazione;

Barone è coinvolto nell'inchiesta della procura di Milano sulla criminalità organizzata in Lombardia che a portato all'arresto di diverse persone, tra cui Salvatore Strangio, Andrea Pavone, Ivano Perego e Pasquale Nocera, accusati a vario titolo di associazione mafiosa. In particolare, nell'ordinanza di applicazione di misura cautelare personale del Tribunale di Milano del 6 luglio 2010 del giudice per le indagini preliminari dottor Giuseppe Gennari che ha disposto le misure cautelari di cui sopra, i giudici hanno precisato che Barone risulta avere «precedenti di polizia per reati contro la pubblica amministrazione, oltraggio, resistenza e violenza, falso in genere, falsa attestazione a pubblico ufficiale, omessa custodia di armi». L'indagine, nota anche come «operazione Tenacia», riguarda l'infiltrazione della n'drangheta nell'impresa Perego Strade Srl. Nella vicenda Perego compaiono a diverso titolo sia Giovanni Barone che Adriano Cecchi, che sono stati rispettivamente liquidatore dal 4 novembre 2008 fino alla liquidazione e sindaco dal 14 novembre 2008 fino all'approvazione del bilancio al 31 dicembre 2010 di Perego Strade Srl e che sono stati ancora rispettivamente liquidatore dal 19 dicembre 2008 fino alla liquidazione e sindaco dal 19 dicembre 2008 fino all'approvazione del bilancio al 31 dicembre 2010 di Perego Holding. Gli stessi, oggi, rivestono un ruolo importante nella vicenda Edilbasso-Faber;
per quanto riguarda il caso Perego appare utile, al fine di comprendere le modalità utilizzate dalla criminalità organizzata, rileggere con attenzione alcuni passaggi della citata Ordinanza: «Il gruppo Perego era sostanzialmente un gruppo di famiglia [appunto la famiglia Perego] controllato dalle medesime persone fisiche e senza azionariato diffuso. La Perego General Contractor nasce proprio dalla volontà di dare vita a un nuovo soggetto giuridico, in compagnia di Pavone [Andrea Pavone definito nella citata Ordinanza «finanziere prestato alla n'drangheta»] e dei calabresi che permettesse di continuare a lavorare senza pregiudizi economici e finanziari che ormai notoriamente affliggevano le altre società della famiglia Perego (...) Il 28 aprile 2009, quando la società fotografa la situazione di soli tre mesi di attività (approvando il bilancio 2008) il capitale sociale risulta interamente perduto. Questo a conferma dell'artificiosità dell'operazione PGC, nata solo per coltivare gli interessi del gruppo mafioso e per proseguire lavori avvalendosi di quel metodo» (pagine 390 e 391 dell'Ordinanza). L'Ordinanza evidenzia, altresì, che Barone ha svolto un ruolo importante nella vicenda: «Perego General Contractor Srl non avrebbe potuto ignorare che le società debitrici in questione, già in stato di liquidazione, sarebbero fallite in pochi mesi (...) ciò tanto più se si tiene conto che il liquidatore delle società Costruzione Alpe Srl e Iris Srl era il signor Giovanni Barone, il quale (...) risulta essere "collaboratore" di Andrea Pavone nell'ambito della gestione delle società del gruppo. A riguardo, non è inutile rilevare che lo stesso Barone, in qualità di liquidatore della Perego Strade Srl (socio unico di Iris Srl), il 18 dicembre 2008 ha delegato il Pavone a rappresentarlo nel corso dell'assemblea dei soci della Iris Srl del 19 dicembre 2008, nella quale - peraltro - lo stesso Barone viene nominato liquidatore della Iris Srl. Di qui, quindi, una sovrapposizione di ruoli e di cariche che rende ancora meno plausibile - specie all'interno di un gruppo - un deficit conoscitivo in ordine allo stato prefallimentare nel quale evidentemente si trovavano le società debitrici della Perego General Contractors Srl» (pagina 386 dell'Ordinanza);
nell'ordinanza del Tribunale di Milano viene descritta la vicenda emblematica della conquista e della liquidazione della Perego Strade Srl da parte di elementi appartenenti alla criminalità organizzata con l'obiettivo di «acquisire direttamente e indirettamente la gestione e/o il controllo di attività economiche, in particolare nel settore edilizio, movimento terra, ristorazione, e ad acquisire appalti pubblici e privati (...) avvalendosi

della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà che di volta in volta si sono create nel territorio di Milano e province limitrofe»;
per comprendere le dinamiche operative dei gruppi criminali è utile analizzare il ruolo - opportunamente messo in risalto dall'Ordinanza - degli amministratori della società lombarda, tra cui figura in qualità di liquidatore Barone, e dei sindaci, tra cui figura Cecchi: «Posta la sussistenza di una falsificazione di bilancio penalmente rilevante, si tratta di stabilire se essa abbia avuto una correlazione causale con l'aggravamento del dissesto di PGC poi dichiarata fallita nel dicembre 2009 e quindi a distanza di un anno. Ora, il punto è che il 28 aprile 2009, quando la società fotografa la situazione di soli tre mesi di attività (approvando il bilancio 2008), il capitale sociale risulta interamente perduto. Questo a conferma della artificiosità della operazione PGC, nata solo per coltivare gli interessi del gruppo mafioso e per proseguire lavori avvalendosi di quel metodo. Il che vuole dire, in termini di conseguenze giuridiche, che - ai sensi dell'articolo 2484 n. 4 codice civile (già 2448 codice civile) - la società andava immediatamente sciolta e posta in liquidazione (...) Dunque, l'occultamento della reale situazione patrimoniale della PGC consente agli amministratori di sottrarsi alla obbligatoria liquidazione prevista dall'articolo 2485 codice civile (già 2449 codice civile), proseguendo in un'attività di impresa che non avrebbe dovuto avere luogo. In altri termini l'operazione di falsificazione è un antecedente fattuale indispensabile nella serie causale che ha determinato la prosecuzione della impresa» (pagina 391 dell'Ordinanza);
secondo gli interroganti suscitano particolare perplessità le modalità di attuazione del fallimento-liquidazione di Edilbasso e della costituzione di Faber ed il fatto stesso che nella complessa situazione sopra descritta siano state coinvolte anche persone che hanno avuto un ruolo in vicende oggetto di indagini da parte della procura di Milano -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
in che modo il Ministro intenda intervenire al fine di prevenire il pericolo che le organizzazioni criminali - approfittando della crisi economica che colpisce l'economia e le imprese - acquisiscano il controllo di società in difficoltà finanziaria per svolgere atti finalizzati ad alterare la concorrenza, a conquistare appalti pubblici e a riciclare denaro proveniente da attività illegali.
(4-15468)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:

STRIZZOLO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
a norma dell'articolo 8 del bando di concorso per esami per il reclutamento di dirigenti scolastici (Gazzetta Ufficiale Serie concorsi 15 luglio 2011, n. 56 - DDG 13 luglio 2011) si è svolta la prova preselettiva nazionale in data 12 ottobre 2011, consistente in un test di 100 domande articolate in quesiti a risposta multipla, prova che si intende superata con il punteggio minimo di 80 centesimi;
i candidati della regione Friuli Venezia Giulia, presentatisi alla prova in numero di 404, su 498 domande presentate, hanno superato la suddetta prova nel numero di 122, tre dei quali concorrenti per le scuole di lingua slovena, ottenendo, complessivamente, un risultato di eccellenza attraverso il superamento di un test oggettivo e, con la percentuale di ammessi agli scritti del 31 per cento, si sono qualificati primi a livello nazionale in cui si è raggiunta una percentuale del 25 per cento;

in data 14 e 15 dicembre 2011, si sono svolte a Trieste la prima e la seconda prova scritta così come previsto dall'articolo 10 del bando: «Le due prove scritte accertano la preparazione del candidato sia sotto il profilo teorico sia sotto quello operativo, in relazione alla funzione di dirigente scolastico. La prima prova scritta consiste nello svolgimento di un elaborato su una o più tra le aree tematiche di cui all'articolo 8 del bando. La seconda prova scritta consiste nella soluzione di un caso relativo alla gestione dell'istituzione scolastica con particolare riferimento alle strategie di direzione in rapporto alle esigenze formative del territorio. Sono ammessi alla prova orale coloro che ottengono un punteggio non inferiore a 21/30 in ciascuna prova scritta;
la commissione regionale del Friuli Venezia Giulia, non risulta abbia provveduto ad esplicitare sul sito dell'Ufficio scolastico regionale i criteri di valutazione delle prove scritte, il calendario della correzione delle stesse (come invece realizzato da altre regioni come Lombardia ed Emilia Romagna) e tantomeno l'imminente uscita dell'elenco dei candidati ammessi all'orale;
in data 8 marzo 2011 la commissione, prima in tutta Italia, ha provveduto a rendere noto l'elenco dei 36 candidati di lingua italiana ammessi all'orale e dei 2 in lingua slovena; il bando di concorso in questione prevedeva 43 posti messi a concorso per i candidati di lingua italiana e 3 per quelli di lingua slovena;
si evidenzia che i candidati risultati eccellenti in una prova di carattere oggettivo si sono rivelati essere non idonei a sostenere la prova orale e pertanto 7 posti di dirigenza di lingua italiana rimarranno scoperti, senza contare che a norma dell'articolo 7, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 2008, n. 140, «le graduatorie hanno validità triennale a decorrere dalla data della pubblicazione»;
secondo l'interrogante ricorrono i presupposti per sottolineare come la commissione abbia operato in contrasto con il principio di economicità non garantendo la copertura dei posti messi a concorso con l'espletamento di una procedura concorsuale che grava pesantemente sul bilancio pubblico;
si sottolinea altresì che, non dando l'opportunità a più candidati di misurarsi con le prove orali, si viene meno alla verifica della professionalità degli stessi così come espressamente previsto dall'articolo 10 del citato bando di concorso: «La prova orale consiste in un colloquio interdisciplinare sulle materie indicate nel presente bando in relazione alle tematiche di cui all'articolo 8 e accerta la preparazione professionale del candidato anche con eventuali riferimenti ai contenuti degli elaborati scritti. La prova orale accerta, altresì, la capacità di conversazione su tematiche educative nella lingua straniera prescelta dal candidato» -:
se il Ministro interrogato sia venuto a conoscenza dei fatti sopra sinteticamente descritti;
quali iniziative intenda assumere per verificare e rassicurare sulla circostanza che lo svolgimento dell'attività della commissione sia stato conforme ai principi di efficacia, trasparenza ed efficienza, nel pieno rispetto delle normative vigenti, con particolare riferimento agli indirizzi informatori della pubblica amministrazione.
(4-15465)

TESTO AGGIORNATO AL 26 MARZO 2012

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

TRAPPOLINO, GNECCHI, NACCARATO, BELLANOVA, DAMIANO, GATTI, MURER, MATTESINI, CODURELLI, SCHIRRU e BERRETTA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 40 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e

sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53) prevede, tra l'altro, alla lettera c) che il padre lavoratore dipendente possa fruire dei riposi giornalieri nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
i riposi giornalieri cui l'articolo 40 fa riferimento sono evidenziati dal precedente articolo (articolo 39) che prevede fino a due periodi di riposo, anche cumulabili, di un'ora ciascuno, nell'arco della giornata lavorativa del lavoratore richiedente;
in un primo tempo, la disposizione di cui alla lettera c) del citato articolo 40 ha inteso «escludere la madre casalinga», riservando il diritto al trattamento economico di maternità a carico dell'INPS o di altro ente previdenziale «alle sole madri lavoratrici autonome» (cioè artigiana, commerciante, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola, parasubordinata, libera professionista). Pertanto, nel caso di madre casalinga il padre resta escluso del diritto a fruire dei riposi giornalieri (salvi, ovviamente, i casi di morte o grave infermità della madre);
il consiglio di Stato - sentenza n. 4293 del 9 settembre 2008 - ha tuttavia dedotto che la ratio della norma «rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall'articolo 31 della Costituzione» induce a ritenere «ammissibile la fruizione dei riposi giornalieri da parte del padre anche nell'eventualità di madre casalinga» oltre che nell'ipotesi di madre lavoratrice autonoma. Si afferma quindi che la madre casalinga, impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato, «deve essere considerata alla stessa maniera della lavoratrice non dipendente» cui la norma esplicitamente fa riferimento. Tale conclusione appare in sintonia con il già consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che aveva precedentemente sottolineato come in numerosi ambiti ordinamentali la casalinga sia considerata come lavoratrice (Cassazione, sezione III, n. 20324 del 20 ottobre 2005);
il Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali con lettera circolare B/2009 del 12 maggio 2009 a chiarimento della possibilità di riconoscere al lavoratore padre, durante il primo anno di vita del bambino, il diritto ai congedi di cui all'articolo 40, decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151, conclude in senso favorevole al riconoscimento al lavoratore padre del diritto a fruire dei congedi previsti dalla citata normativa, anche nell'ipotesi in cui la madre svolga lavoro casalingo. Tale orientamento viene ribadito attraverso la lettera circolare C/2009 del 16 novembre 2009 dello stesso Ministero a proposito della richiesta dell'Inps di produrre, nelle sole ipotesi in cui la madre sia casalinga, documenti attestanti l'effettiva impossibilità della stessa di occuparsi del figlio che, a giudizio del Ministero, non appare supportata da alcuna disposizione normativa in tal senso e che pertanto non può essere accolta neanche in via interpretativa in quanto una simile interpretazione lettera c), citato, può facilmente ingenerare questioni di costituzionalità, ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione, per evidente disparità di trattamento dei soggetti destinatari della norma (le lavoratrici non dipendenti);
il Ministero della difesa - direzione generale per il personale militare II reparto - con lettera datata 29 aprile 2010 in risposta ad un quesito relativo all'applicazione degli articoli 39 e 40 del decreto legislativo n. 151 del 2001, comunica di condividere l'orientamento espresso dallo Stato Maggiore «circa l'inopportunità, allo stato degli atti, di concedere al militare padre di prole entro il primo anno di età il beneficio delle due ore di riposo giornaliero, di cui agli articoli 39 e 40 del decreto legislativo n. 151 del 2001, nel caso in cui la madre sia casalinga e non sia affetta da infermità grave». Tale orientamento viene giustificato dal Ministero della difesa segnalando a) il contrasto giurisprudenziale tra la decisione della VI sezione del Consiglio di Stato n. 9620 del

6 giugno 2008 e l'indirizzo fornito al Ministero dell'interno sulla medesima problematica dalla I sezione del Consiglio di Stato con il parere n. 2732 del 22 ottobre 2009, contrasto che non risulta a tutt'oggi ancora sussistente e non superato; b) che le decisioni del Consiglio di Stato hanno efficacia circoscritta ai ricorsi cui si riferiscono e ai soggetti che li hanno proposti, non anche al restante personale delle pubbliche amministrazioni;
l'Inpdap, con nota operativa n. 23 del 13 ottobre 2011 confermava l'indirizzo del Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali richiamando all'uopo la sentenza del Consiglio di Stato n. 4293 del 9 settembre 2008. Il medesimo istituto ritiene che, in presenza di determinata condizioni «opportunamente documentate», il padre dipendente può fruire dei riposi giornalieri nei limiti di due ore o di un'ora al giorno a seconda dell'orario giornaliero di lavoro, entro il primo anno di vita del bambino o entro il primo anno dall'ingresso in famiglia del minore adottato o affidato. Risulta evidente che la contestazione del Ministero del lavoro alla richiesta avanzata dall'INPS di documenti attestanti l'effettiva impossibilità della stessa di occuparsi del figlio viene in questo caso ignorata;
il Ministero della difesa, in data 24 novembre 2011, con la diffusione delle «linee di indirizzo» in materia della «tutela delle lavoratrici madri» conferma la disposizione precedentemente espressa e cioè nel caso in cui la madre sia casalinga il padre, militare in servizio, non abbia diritto alla tutela prevista dagli articoli 39 e 40 del decreto legislativo n. 151 del 2001. Tale interpretazione deriva dall'estensione alla fattispecie in esame di un pronunciamento del Consiglio di Stato (parere n. 2732 del 23 settembre 2009) relativo ad un precetto normativo affine in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità;
risulta del tutto evidente che le diverse interpretazioni relative all'articolo 40 del decreto legislativo n. 151 del 2001 si riverberano in maniera palesemente difforme sui lavoratori della pubblica amministrazione pur afferenti a Ministeri, enti e servizi diversi. Questa difformità introduce una diversità di trattamento, tra i lavoratori della pubblica amministrazione, in materia diritti a tutela e sostegno della maternità e paternità tale da reclamare un intervento volto a ripristinare la parità dell'accesso al diritto stabilito dal decreto legislativo n. 151 del 2001 -:
se il Ministro intenda armonizzare le rispettive linee di indirizzo relativamente all'interpretazione dell'articolo 40 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 al fine di rendere coerenti disposizioni che oggi risultano palesemente contrastanti e che stabiliscono trattamenti differenti per i lavoratori della pubblica amministrazione.
(5-06485)

Interrogazioni a risposta scritta:

DI BIAGIO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) si occupa di gestire oltre 500 prodotti previdenziali e assistenziali, per un'utenza di circa 37 milioni di concittadini, che corrisponde di gran lunga alla maggioranza dei lavoratori italiani;
oltre alle questioni di materia pensionistica, l'istituto gestisce una vasta gamma di prestazioni previdenziali e assistenziali, che interessano anche i pagamenti delle prestazioni a sostegno del reddito - malattia, maternità, disoccupazione e cassa integrazione, tfr, assegni familiari e via dicendo - anche in relazione ai contributi concessi dai comuni;
l'Istituto gestisce all'incirca 25 milioni di conti assicurativi relativi ai lavoratori, erogando ogni mese 18 milioni di pensioni. Per quanto concerne le prestazioni a sostegno del reddito, le persone che ne fruiscono sono all'incirca 2 milioni;

i dati evidenziati - forniti direttamente dall'istituto e facilmente consultabili via internet - fotografano la situazione dell'ente che, con un bilancio 545 miliardi di euro tra entrate e uscite, è secondo solo allo Stato;
la complessa gestione di una tale mole di servizi si fonda, per far fronte alle spese relative alle prestazioni, nonché per garantire l'erogazione delle prestazioni medesime, sul prelievo dei contributi. Il buon andamento di tale gestione ha come presupposto e requisito fondamentale l'attenta e scrupolosa acquisizione e registrazione dei contributi medesimi, in un regime di trasparenza che garantisca i cittadini utenti in merito al trattamento dei propri denari, nonché in merito alla possibilità di fruire pienamente dei loro diritti in merito;
a fronte di quanto premesso, risultano all'interrogante diverse situazioni di criticità, ravvisate dai concittadini, che evidenziano un attuale malfunzionamento dell'INPS nella corretta acquisizione e gestione dei versamenti contributivi dei cittadini e, conseguentemente, nell'erogazione dei servizi ad essi connessi;
in particolare, l'esperienza diretta, così come l'esperienza riferita, ha evidenziato all'interrogante ripetuti casi di persone che, pur in possesso di tutte le documentazioni che certificassero la regolarità dei versamenti contributivi, si sono viste notificare dall'Istituto l'assenza di contributi, oppure respingere domande relative all'erogazione di prestazioni a sostegno del reddito con la motivazione della mancanza dei versamenti contributivi necessari;
le citate circostanze, oltre a costringere i cittadini a percorrere la strada, sempre tortuosa, del ricorso amministrativo, con conseguente moltiplicarsi di onere burocratico anche a carico dell'Istituto, pongono serie perplessità sulla capacità del medesimo di garantire la tutela dei diritti del cittadino, che rischia di vedersi negare prestazioni alle quali ha pienamente diritto, a causa di un malfunzionamento dell'apparato amministrativo che dovrebbe con scrupolosità inappuntabile prendere in carico la gestione dei propri versamenti;
le difficoltà dei cittadini sono acuite dal fatto che, a seguito del processo di telematizzazione delle procedure amministrative moltissime delle procedure elaborate dall'Istituto possono essere trattate unicamente per via telematica. Tale circostanza, che senz'altro presenta i suoi vantaggi sul versante gestionale, contribuisce ad incrementare il disagio degli utenti che sono di fatto posti nella impossibilità, in molti casi, di interfacciarsi fisicamente e direttamente con l'adeguato personale dell'Istituto che possa risolvere in modo efficace e immediato il problema, essendo obbligati piuttosto a passare tramite organismi di mediazione e call center -:
se sia a conoscenza di quanto evidenziato;
se non ritenga opportuno avviare iniziative di monitoraggio e verifica sulle attività dell'Istituto, con specifico riferimento ai processi di acquisizione e registrazione in tempo reale dei versamenti contributivi degli utenti, che consentano di evidenziare eventuali punti di disfunzione e porre rimedio agli stessi, tutelando i diritti dei cittadini a fruire di un servizio efficiente nel pieno rispetto dei dovuti requisiti di trasparenza.
(4-15452)

SCHIRRU. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nel mese di febbraio 2012 è stato denunciato nel Sulcis Iglesiente un blocco delle pratiche per l'erogazione degli ammortizzatori sociali (importi di 850 euro da cui si deve sottrarre il 20 per cento) per migliaia di lavoratori in cassa integrazione, a causa di una controversia relativa all'interpretazione della norma tra la direzione regionale del lavoro e l'assessorato regionale al lavoro;

di pochi giorni fa, 20 marzo 2012, un'ulteriore denuncia da parte dei lavoratori, raccolta dal segretario di Pd Carbonia Iglesias e dal capogruppo del Pd in consiglio provinciale: ancora notevoli ritardi da parte della regione nel completamento delle procedure relative all'erogazione degli ammortizzatori sociali, accumulati per il disbrigo pratiche da inviare all'lNPS e che produrranno ulteriori rallentamenti nelle liquidazioni;
il 22 marzo 2012, c'è stato il sit-in dei lavoratori in cassa integrazione e mobilità organizzato da Cgil, Cisl e Uil presso l'assessorato regionale al lavoro, per chiedere tempi rapidi nella corresponsione delle indennità e puntualità per i prossimi mesi;
a oggi risulta che numerose persone non percepiscano ancora le risorse cui hanno diritto, cifre modeste che variano dai 450 ai 900 euro ma che sono necessarie e spesso fonte unica o principale di sostentamento familiare;
nel territorio sardo sono sedicimila le persone che sopravvivono con gli ammortizzatori sociali. Solo nel Sulcis, poco meno di quattromila, tra cassa integrazione straordinaria, cassa integrazione in deroga e lista di mobilità;
gli impegni e le prese di posizione assunte dall'assessore regionale al lavoro nei mesi scorsi non si sono tuttora concretizzate. Dalla regione si attendono pertanto risposte concrete, chiare e, soprattutto, rapide. Anche un solo giorno di ritardo nella corresponsione delle provvidenze per una famiglia significa un dramma che si inserisce in un territorio già provato da una terribile crisi economica e sociale in via di grave peggioramento;
occorre evitare con ogni mezzo a disposizione l'inasprirsi di una situazione già difficile per la Sardegna, con un Sulcis Iglesiente che vede aumentare le famiglie in condizioni di estrema povertà, oltre al rischio concreto di conflitti che aggraverebbero di giorno in giorno il malessere e la tensione sociale, portando a gravi quanto inevitabili gesti di disperazione -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda descritta in premessa e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda attivare per sbloccare una materia oggetto di grave inadempienza nei confronti di lavoratori già più esposti e svantaggiati.
(4-15457)

...

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:

PATARINO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'epatite cronica da HCV nel nostro Paese costituisce un problema di salute pubblica, con una incidenza media dell'infezione del 3 per cento, che al Sud si raddoppia e nei soggetti nati prima del 1960 raggiunge picchi del 12 per cento;
all'infezione da HCV si associa un incremento di mortalità per il tumore del fegato e per cirrosi epatica;
con le terapie per l'infezione cronica da HCV, attualmente disponibili e basate sull'impiego di interferone peghilato e ribavirina, la guarigione nei pazienti con enotipo 1b viene assicurata in non più del 40 per cento dei casi;
dal 2011 sono disponibili (autorizzazione EMA agosto 2011 per Victrelis-Boceprevir e settembre 2011 per Inciveck-Telaprevir) farmaci più potenti definiti inibitori delle proteasi da utilizzarsi in combinazione con interferone peghilato e ribavirina;
detti farmaci incrementano la risposta terapeutica fino all'80 per cento e, come conseguenza, riducono negli anni il rischio che si sviluppi una cirrosi o un epatocarcinoma;
secondo l'esperienza degli Stati Uniti, che hanno già adottato queste terapie

come nuovo standard di cura, quei nuovi farmaci comportano per il paziente un aggravio di spesa di circa 35.000 euro a cui va aggiunto il costo di circa 28.000 euro della terapia con interferone e ribavirina;
in altri Paesi europei, come la Germania, i farmaci sono già in uso anche se ne viene limitato l'utilizzo ad alcuni centri specialistici prevedendo la verifica dei benefici a distanza di un anno dall'inizio dell'uso;
l'Associazione italiana per lo studio del fegato (AISF) ha stabilito i criteri per accreditare i centri specialistici all'uso di questi nuovi farmaci;
l'unità operativa a valenza dipartimentale di epatologia dell'ospedale «Casa Sollievo della sofferenza» di San Giovanni Rotondo possiede tutti i requisiti previsti da tale documento di indirizzo ed in particolare:
a) la capacità di effettuare test genetico per il polimorfismo dell'IL28B (è stato il primo centro ad aver pubblicato in Italia su questo argomento anche in conseguenza del fatto che appartiene ad una struttura di ricerca in genetica);
b) la capacità di effettuare il test molecolare per la determinazione dell'HCV RNA tramite PCR real time con possibilità di acquisizione del risultato in un arco temporale di 1 giorno (presso il centro trasfusionale dello stesso ospedale);
c) la disponibilità della consulenza dermatologica per la diagnosi immediata degli effetti collaterali dermatologici che possono assumere in rari casi caratteristiche di estrema severità;
d) la capacità clinica di discernere ed evitare le interazioni tra farmaci (la dottoressa Mangi, responsabile dell'unità suddetta, ha effettuato documentata attività di speaker e tutoraggio in numerosi congressi e da tempo tiene corsi internazionali sull'uso dei nuovi farmaci a scopo didattico-formativo per altri colleghi in Italia ed in Europa);
e) la disponibilità di effettuare valutazione non invasiva della fibrosi mediante elastometria epatica (requisito richiesto non dalla predetta Associazione scientifica AISF ma da analoghe società scientifiche di altri Paesi europei, come il Regno Unito) per l'uso di questi farmaci;
la citata unità operativa risulta unica, al momento, ad aver trattato, nella regione Puglia, oltre 20 pazienti con questi farmaci in combinazione con interferone peghilato e ribavirina all'interno dei trial sperimentali di fase 3 o sotto forma di cosiddetto «Uso compassionevole» -:
se risulti se nell'ambito della vigilanza sull'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari siano emerse criticità in relazione all'ipotesi di procedere all'accreditamento dell'unità operativa dipartimentale di epatologia dell'ospedale «Casa Sollievo della Sofferenza» diretta dalla dottoressa Mangi come centro regionale di riferimento per il trattamento dell'epatite cronica da HCV.
(5-06483)

Interrogazione a risposta scritta:

BARANI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la regione Toscana, con delibera di giunta regionale n. 1163 del 19 dicembre 2011, che ha per oggetto «Individuazione degli standard di riferimento per i DRG ad alto rischio di inappropriatezza del Patto per la Salute 2010-2012 e della DRG 252/2006», ha voluto evidenziare la presenza, all'interno di alcuni dei DRG ad alto rischio di inappropriatezza di interventi che possono essere erogati, di norma, in regime ambulatoriale con sufficiente garanzia di sicurezza per il paziente e per gli operatori, rispondendo così a criteri di appropriatezza, economicità ed efficienza nell'utilizzo delle risorse;
non tutti i DRG risulterebbero rispondenti ad un regime ambulatoriale, anche se la delibera è stata oggetto di

verifica da parte di un gruppo di lavoro tecnico che ha verificato i nuovi parametri;
in particolare, si vuole evidenziare l'intervento di tonsillectomia, che con i nuovi DRG 59 e 60 della Toscana risultano incongrui, visto anche il fatto che si tratta di piccoli pazienti e il tutto non può essere derubricato come un intervento banale;
per questo tipo di interventi nell'immediato post operatorio sono previsti le complicanze più temibili e significative come le emorragie primarie;
il nuovo nomenclatore non garantisce, in Toscana, la sicurezza necessaria post-operatoria né per il paziente, né per gli operatori, in quanto sono eseguite in regime ambulatoriale;
il processo di cura deve essere adeguato alle esigenze del paziente e non è accettabile che si riduca e non garantisca la sicurezza in nome del risparmio;
la progressiva crescita tecnologica e l'incremento dei costi sanitari (la cui quota maggiore è ascrivibile all'assistenza ospedaliera) ha determinato scelte di politica sanitaria che definiscono a priori le giornate di degenza per le singole patologie, i cosiddetti DRG (raggruppamenti per diagnosi);
la definizione della durata del ricovero deve dipendere dalla patologia e non dalla regione, tuttavia, se ciò fosse anche coerente con i tempi della terapia per alcuni pazienti, soprattutto per i più giovani, non si possono correre rischi con delle dimissioni affrettate che potrebbero portare anche a conseguenze letali;
il presidente della Società italiana di otorinolaringoiatria e chirurgia cervico-facciale, durante il forum dell'agenzia di stampa Dire, ha dedicato molta attenzione a quella che da sempre viene considerata un'operazione facile, ma che di recente si è risolta in tragedia, con la morte di giovani pazienti: l'asportazione delle tonsille;
i numeri parlano di un decesso ogni 90 mila interventi e dell'insorgenza di una complicanza seria nel paziente in un caso ogni 60 mila, numeri che sulla carta non destano allarme; ma quando il decesso o la complicanza colpiscono un bambino che entra in ospedale per un semplice fastidio alle tonsille ecco che i numeri assumono tutt'altro significato;
per questo i chirurghi otorinolaringoiatri hanno accolto con favore le nuove linee guida dell'Istituto superiore di sanità, puntando ad un setting assistenziale più adeguato per tale intervento, cioè l'One day surgery (il ricovero per una notte dopo l'esecuzione di un intervento) ma con setting di ricovero ordinario (quindi almeno 2 notti) per i casi di maggior rischio; l'obiettivo, infatti per i medici di otorinolaringoiatria deve essere zero decessi;
la revisione dei DRG in Toscana non ha tenuto conto di queste raccomandazione che arrivano dalla comunità medica e dall'autorevole Istituto superiore di sanità e il Servizio sanitario regionale ha pensato solo ai cambiamenti organizzativi nelle strutture sanitarie riducendo la sicurezza per i piccoli pazienti e preoccupandosi solo del budget;
a parere dell'interrogante sono mancati dei fondamentali elementi alla regione Toscana che ha deliberato questi nuovi DRG e in particolare il coordinamento tra chi elabora il «Nomenclatore» e i medici, cioè coloro che praticamente operano l'intervento e si preoccupano della parte pre e post-operatoria;
ridurre o non effettuare il ricovero per l'intervento di tonsillectomia e o adenoidectomia nei più piccoli è grave perché l'anestesia generale da sola dovrebbe far sconsigliare il regime ambulatoriale, visto le ricadute negative che potrebbe avere sui giovani pazienti -:
quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare perché non si metta a repentaglio la vita e l'incolumità psicofisica dei piccoli pazienti nel caso di interventi come quelli di cui in premessa

e se non si intenda valutare, sulla base di quanto sostenuto a ragione dall'Istituto superiore della sanità e al fine di tutelare effettivamente la salute e le giuste esigenze dei pazienti anche giovani, l'opportunità di inserire delle chiare indicazioni nei livelli essenziali di assistenza - LEA.
(4-15466)

...

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04245, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04246, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04249, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04250, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04253, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04254, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04264, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04266, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04340, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04398, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 ottobre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Di Pietro n. 4-15394, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Di Giuseppe.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza Marmo n. 2-01276 del 29 novembre 2011.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Patarino n. 4-15416 del 21 marzo 2012, in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06483.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTARISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

CAPARINI. - Al Ministro per i rapporti con le regioni e coesione territoriale, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il territorio insulare italiano conta, oltre alla Sicilia e alla Sardegna, arcipelaghi come quello Toscano, le isole Partenopee, le isole Ponziane, le Tremiti, solo per citare le maggiori. Di queste alcune ospitano comuni autonomi, alcune fanno parte di aree protette o per altre cause non sono liberamente accessibili, mentre altre, un tempo abitate, sono ormai abbandonate;
nel nostro Paese si contano anche alcune isole lacustri, sia nei bacini prealpini che nei laghi dell'Italia peninsulare;
Monte Isola è un'isola lacustre monocomune, situata sul lago d'Iseo, in provincia di Brescia, la più vasta d'Italia con una superficie di 4,5 chilometri quadrati e con una popolazione di circa 1.800 abitanti;
il comune di Monte Isola per lo sviluppo socio-economico della propria collettività, incontra gli stessi problemi e gli stessi bisogni delle altre isole minori marine, quali ad esempio la difficoltà nelle comunicazione;
nell'allegato A alla legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria 2002) che istituiva un fondo per la tutela e lo sviluppo economico e sociale delle isole minori, vengono elencate le sole isole minori marine, omettendo quelle lacustri, sul presupposto, forse, che le poche esistenti dal punto di vista amministrativo appartengono per lo più a territori comunali aventi sede in terraferma;
i commi 41 e 42 dell'articolo 2 della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) prevedono che il fondo per la tutela e lo sviluppo economico-sociale delle isole minori, istituito con la legge finanziaria del 2002, venga trasferito al fondo per lo sviluppo delle isole minori, sempre a favore delle isole minori marine, tralasciando ancora le lacustri -:

se non ritengano opportuno, per porre rimedio ad una ingiustificata disparità di trattamento tra isole minori, assumere iniziative volte a inserire anche le isole lacustri nel novero delle isole minori, permettendo, così l'accesso ai fondi a loro dedicati.
(4-12558)

Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, si osserva quanto segue.
L'articolo 25 comma 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria

2002) indica nell'allegato A gli ambiti territoriali tra i quali vanno individuate le isole minori destinatarie del Fondo per l'adozione urgente di misure di salvaguardia ambientale e sviluppo socio-economico. Tutte le isole elencate nell'allegato A sono isole marine; alcune delle isole elencate appartengono a territori comunali totalmente isolani ed altre a territori comunali in parte isolani ed in parte ricadenti sulla terraferma.
Gli articoli 41 e 42 della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008) istituiscono presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Fondo di sviluppo delle isole minori indicando le priorità da assegnare ai progetti realizzati nelle aree protette e nella rete «Natura 2000» ovvero a quelli improntati alla sostenibilità ambientale. È previsto che i criteri per l'erogazione del fondo siano stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni di concerto con il Ministro dell'interno e il Ministro dell'economia e delle finanze. I due articoli, richiamando la continuità con il precedente fondo per la tutela e lo sviluppo economico-sociale delle isole minori di cui all'articolo 25 comma 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 e, prevedendo il parere anche dell'Associazione nazionale dei comuni della isole minori, indicano come ambito di destinazione del Fondo tra le isole marine i territori indicati nell'Allegato A sopra citato.
L'articolo 4, comma 9 del decreto legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 26 marzo 2010, n. 42 ha approvato gli interventi per lo sviluppo delle isole minori indicati nel Documento unico di programmazione isole minori e relativa tabella di riparto delle risorse, approvato in data 17 dicembre 2008 dal Comitato direttivo dell'associazione nazionale comuni isole minori e trasmesso in data 23 dicembre 2008 al Ministro per i rapporti con le regioni con riferimento all'anno 2008 ed a valere sul Fondo di sviluppo delle isole minori. Il finanziamento è destinato alle isole minori ricomprese nell'allegato A di cui sopra.
Tutto il complesso di norme che regolano il finanziamento delle isole minori è chiaramente riferito alle isole marine ed è questa la caratteristica dirimente che dà accesso al finanziamento e non solo dunque la insularità totale del territorio comunale. D'altro canto, va considerato che le difficoltà di collegamento alla terraferma dell'insieme delle isole marine sono ben maggiori di quelle delle isole lacustri: la ridotta estensione dei nostri laghi fa sì che le condizioni di agitazione ondosa a mare siano di un ordine di grandezza superiore a quelle riscontrabili nei laghi e che le distanze di collegamento dell'insieme delle isole marine siano di gran lunga superiori a quelle dell'insieme delle isole lacustri.
Il complesso delle isole lacustri, cui Monte Isola appartiene, comprende diversi territori tra cui: le isole della laguna veneta, tra cui Murano, Burano, Torcello, Lido, Cavallino, Pellestrina, oltre alle isole della città di Venezia, l'Isola Maggiore nel comune di Tuoro sul Trasimeno, l'isola Bisentina nel comune di Capodimonte (lago di Bolsena), l'isola dei Pescatori nel comune di Stresa (lago Maggiore).
In virtù della numerosità delle isole lacustri e delle differenti condizioni di queste rispetto alle isole marine, un loro accesso al fondo per le isole minori, da prevedere comunque con apposito atto normativo, dovrebbe essere accompagnato da un sostanziale incremento dell'entità del fondo per consentire la realizzazione di interventi significativi ed improntati alla sostenibilità ambientale nonché da criteri che tengano conto delle differenti criticità delle isole lacustri rispetto alle isole marine.
Il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport: Piero Gnudi.

DE POLI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la regione Veneto ha approvato il 29 dicembre del 2009 una delibera per inserire

nel piano territoriale regionale di coordinamento l'individuazione di aree destinate alla logistica tra cui quella che può permettere di creare nel comune di Mira un polo logistico su un'area di 4,6 milioni di terreno agricolo. L'area in questione si trova compresa tra Dogaletto, Giara e Soresina. L'idea è di attrarre i traffici derivanti dall'ammodernamento del canale di Suez ed il passaggio di grandi navi portacontainer. Questo teorico e non documentato incremento di traffici è alla base ed il presupposto di questa gigantesca nuova struttura intermodale. Va ribadito che tali nuovi flussi non tengono minimamente conto della profonda crisi economica in quanto teorizzati prima della stessa;
si fa presente che in un raggio di 120 chilometri, rimanendo in Veneto ci sono tre interporti, Padova, Rovigo e Verona, che hanno ancora enormi potenzialità di utilizzo delle aree che non sono assolutamente sature. Cosa ancora più grave non risulterebbero studi e progetti che documentino la reale necessità della creazione di questo polo logistico che con la sua creazione contribuirebbe a rendere diseconomiche le altre realtà che sono state realizzate con contributi pubblici;
il sindaco del comune di Mira nel 2010 aveva espresso un «no» secco, oggi dice di voler valutare se la proposta è compatibile con lo sviluppo del territorio; l'idea di un grande insediamento come questo è sicuramente accattivante soprattutto per coprire i tagli di bilancio che gli hanno sottratto in 3 anni il 20 per cento dei trasferimenti:
i comitati a difesa del territorio, le associazioni che operano nella laguna, gli ambientalisti, sono scesi in campo contro questa scelta distruttiva per il territorio, fatta di cementificazione selvaggia a ridosso di aree rinaturalizzate e quindi decisamente in contrasto con un progetto portuale sostenibile ambientalmente e a rafforzare ciò il WWF - Italia Nostra ricorda che tale territorio è tutelato dal PALAV il piano ambientale della laguna veneta;
l'intera area lagunare di Mira è inclusa nel progetto «Rete Natura 2000» come sito di interesse comunitario (Sic) e zona di protezione speciale (Zps) e soggetta a particolari vincoli e tutele -:
quali iniziative di competenza intendano adottare per evitare la realizzazione della citata struttura che, oltre al danno ambientale, rischia di drenare risorse preziose per altri settori bisognosi (turismo) in questo delicato momento di crisi, per un investimento che non si comprende a chi serva e come si inserisca in un contesto che non necessita di opere di questo tipo.
(4-10958)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione indicata in esame, con la quale l'interrogante chiede di conoscere le iniziative che verranno intraprese in merito alla realizzazione di un «Distretto Logistico Portuale PD-VE» nel territorio comunale di Mira in località Giare e Dogaletto, si osserva quanto segue.
Si tratta di un insediamento portuale previsto dal Piano territoriale regionale di coordinamento (Ptrc) del Veneto nella Tavola della «Portualità veneziana», a pagina 286, della relazione illustrativa del Ptrc medesimo.
Si premette, al riguardo, che non risulta che sia stata rivolta alla competente soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e Laguna alcuna richiesta di espressione sul piano medesimo, né in fase di adozione del piano, né nella fase in corso di approvazione.
Non risulta, inoltre, che siano stati sottoposti al vaglio della medesima soprintendenza progetti, anche in via preliminare o preventiva, su ipotesi di realizzazione del distretto logistico in argomento.
Si precisa che il Ptrc è adottato, ma non approvato. Si rappresenta tuttavia, che il suddetto distretto logistico è stato individuato come «Progetto strategico», ai sensi dell'articolo 26 della legge regionale 11 del 2004; pertanto, esso potrebbe, in base alla normativa vigente, essere approvato con delibera della giunta regionale, purché conforme al Ptrc adottato, anche in assenza di approvazione del Ptrc stesso.

Nel merito, si rappresenta, infine, che la suddetta soprintendenza ritiene, in generale, che l'intervento, da effettuarsi interamente in area sottoposta a tutela paesaggistica, all'interno vincolo dell'Ecosistema della laguna di Venezia del 1985, comporterebbe un danno irreparabile alle aree delle località di Giare e Dogaletto, aree caratteristiche della fascia agricola del margine lagunare, a ridosso delle barene della laguna sud, interessate peraltro da colture di grande pregio.
Da quanto detto, ne discende che, in caso di richieste di parere sul distretto logistico, la posizione della soprintendenza de qua sarebbe di netta contrarietà.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.

DI PIETRO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano di sabato 26 novembre a firma di Gianni Barbacetto, emerge che l'attuale Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Corrado Clini, nel 2007, in qualità di direttore generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si era fatto notare come sostenitore e sponsor di un'azienda che si era candidata a fare in Kenya, a spese del Governo italiano, un lavoro per cui non aveva né gli uomini né le capacità tecniche per poterlo svolgere;
l'articolo entra nel merito della vicenda, e l'autore racconta che nella periferia di Nairobi sorge la discarica di Dandora, la più grande del Kenya, 30 ettari di distesa occupata da rifiuti, immensa e maleodorante, che raccoglie le tonnellate di immondizia prodotta dai 4 milioni e mezzo di abitanti della città. Accanto a Dandora è cresciuto il villaggio di Korogocho, dove abitano migliaia di persone che cercano di sopravvivere rovistando tra i rifiuti della discarica;
il padre comboniano Alex Zanotelli, che ha abitato proprio in una baracca di Korogocho si è impegnato a chiedere alle autorità locali la bonifica dell'area. Successivamente sono stati proposti diversi progetti di bonifica;
uno di questi, firmato dall'azienda italiana Jacorossi, prevede la chiusura della discarica e la nascita di una società partecipata dal comune di Nairobi per gestire la raccolta dei rifiuti della città, con l'assunzione di almeno una parte degli abitanti di Korogocho. Si tratta di un progetto industriale che prevede ricavi per chi vi s'impegna e non chiede aiuti di Stato. Accanto a questo però, si materializza anche un altro progetto, presentato da una società sconosciuta, «Eurafrica», con soli 10 mila euro di capitale, sede legale a Napoli e operativa a Roma, e con zero dipendenti;
per il solo studio di fattibilità - sempre secondo l'articolo giornalistico suddetto - Eurafrica si appresta ad incassare oltre 700 mila euro, erogati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare italiano nell'ambito degli impegni internazionali legati al protocollo di Kyoto. In seguito sarebbe arrivata la parte economicamente più consistente del valore di oltre 30 milioni di dollari;
a fare concretamente i lavori di bonifica della discarica di Dandora sarebbero state 2 società proposte da Eurafrica, la britannica Atkins e la keniota Howard Hamprey. Dall'articolo de Il Fatto Quotidiano si apprende ancora che il Ministro Corrado Clini è colui che accredita Eurafrica presso i Governi di Roma e Nairobi;
la sede di Napoli di Eurafrica è in realtà l'abitazione dell'amministratore unico Tiziana Perroni. La sede operativa di Roma è intestata al socio di Eurafrica, Bruno Calzia, marito dell'amministratore unico. Altro socio è Vittorio Travaglini, il direttore generale è Renzo Bernardi, mercante di armi, rappresentante di aziende italiane come la Beretta e la Oto Melara e internazionali come la British Aerospace e la francese Sagem. A questo punto i comboniani e Padre Zanotelli non ci stanno e

il 12 ottobre del 2007, durante una conferenza stampa a Roma pongono pubblicamente alcune domande. Chiedono da dove spunti Eurafrica, perché debba incassare dallo Stato italiano oltre 700 mila euro per il solo studio di fattibilità, quando la Jacorossi era disposta a impegnarsi senza chiedere un soldo. Non si capisce perché debbano incassare dei soldi facendo soltanto da intermediari per dei lavori che sarebbero stati materialmente realizzati da altri. Chiedono infine perché Clini ha tanto a cuore le sorti di Eurafrica;
sul numero di novembre del 2007 della rivista Nigrizia vengono riproposte le stesse domande, in un articolo firmato da padre Daniele Moschetti, che nel frattempo ha sostituito padre Zanotelli a Korogocho. Ma i padri comboniani non sono i soli a denunciare «il caso dell'affare Dandora», infatti anche Massimo Alberizzi giornalista del Corriere della Sera, scrive un articolo in merito, che viene pubblicato il 4 novembre 2007 sul Corriere.it, e nel quale evidenzia tutti i passaggi della vicenda, dalla visita del Governo italiano a Korogocho con la garanzia dell'impegno italiano per la chiusura della discarica, al «concept paper» (proposta di progetto) redatto dal Governo keniota nel quale si affida all'Eurafrica lo studio di fattibilità. Il piano verrà inviato al Governo italiano che lo approverà il successivo 7 maggio. Nel suo articolo Massimo Alberizzi, racconta le vicende così come sono state riprese da Il Fatto Quotidiano e qui sopra riportare e aggiunge altri passaggi poco chiari della vicenda;
fortunatamente, in seguito alle denunce pubbliche dei padri comboniani e del Corriere della Sera, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che era pronto a concedere i 700 mila euro ad Eurafrica per lo studio di fattibilità, ha bloccato tutto in extremis, dichiarando di aver sospeso tutto dopo che dall'ambasciata di Nairobi nessuno era in grado di fornire informazioni su questa società;
a questo punto, Corrado Clini e i responsabili di Eurafrica, fanno partire una querela per diffamazione contro padre Zanotelli, contro padre Moschetti e contro il giornalista del Corriere Alberizzi. Ad oggi, le accuse a Moschetti e Alberizzi sono state archiviate, al primo poiché le espressioni da lui utilizzate non sono apparse inutilmente sovrabbondanti o gratuitamente aggressive e offensive, poiché descrivevano esattamente il motivo dei sospetti al tempo ritenuti gravare sulla società Eurafrica, all'epoca sospettata in maniera del tutto evidente di volersi accaparrare il coordinamento del progetto, pur se priva dei necessari requisiti di affidabilità e trasparenza. Al secondo poiché si è limitato a esprimere critiche argomentate e circostanziate e a riportare l'esito dei suoi accertamenti sulla vicenda;
ciò che stupisce l'interrogante è che sia ancora aperto il procedimento contro padre Zanotelli, alle cui legittime domande Corrado Clini non ha mai risposto -:
quale sia stato il suo ruolo nella vicenda della discarica di Dandora, esposta in premessa.
(4-14363)

Risposta. - In merito all'interrogazione, si rappresenta quanto segue.
Le autorità del Kenya hanno inviato al Ministero dell'ambiente, in data 23 aprile 2007, la proposta di uno studio di fattibilità per il risanamento della discarica di Dandora, a Nairobi, ed il contestuale recupero del gas metano emesso dalla decomposizione dei rifiuti.
La proposta è stata elaborata nell'ambito dell'accordo bilaterale sottoscritto il 16 novembre 2006 dal Ministro Pecoraro Scanio e dal Ministro dell'ambiente del Kenya per promuovere la collaborazione nell'ambito del Clean development Mechanism del Protocollo di Kyoto (Cdm), finalizzata allo sviluppo di progetti congiunti per la riduzione delle emissioni dei gas serra, con la partecipazione di imprese italiane.
In particolare, il Ministro Pecoraro Scanio, a seguito di una visita effettuata lo stesso 16 novembre 2006 nello slum di Korococho-Nairobi aveva indicato il risanamento della discarica di Dandora come prioritario.

Il quadro di riferimento per l'elaborazione della proposta era stato definito in occasione di una riunione tecnica con le autorità del Kenya, immediatamente successivo alla firma dell'accordo per dare attuazione alle indicazioni del Ministro sulla priorità del risanamento di Dandora. All'incontro avevano partecipato gli esperti della società di consulenza italiana «Eurafrica», che avevano assistito il Ministero nella preparazione dell'accordo bilaterale con il Kenya nell'ambito di un incarico finalizzato alla individuazione di potenziali progetti Cdm in Africa. L'incarico ad «Eurafrica» era stato attribuito, secondo le procedure di legge, in data 10 marzo 2006 per la durata di un anno.
Tra novembre 2006 e marzo 2007 la direzione generale del Ministero, allora diretta dal sottoscritto, competente per l'attuazione dell'accordo bilaterale, con il supporto degli esperti di «Eurafrica» nell'ambito dell'incarico loro attribuito, ha assistito le autorità del Kenya per la preparazione della proposta di studio di fattibilità, al fine di assicurarne la coerenza con gli obiettivi dello stesso accordo: secondo le procedure previste dal Protocollo di Kyoto, il risanamento della discarica di Dandora potrà essere riconosciuto come progetto Cdm se realizzerà l'eliminazione delle emissioni «spontanee» e la captazione del gas metano - potente gas ad effetto serra - emesso dalla decomposizione dei rifiuti.
La proposta trasmessa dalle autorità del Kenya in data 23 aprile 2007 indica in modo dettagliato gli obiettivi, i contenuti e il programma di lavoro per la realizzazione dello studio di fattibilità, nonché i relativi costi.
La proposta è stata approvata dalla direzione generale in data 7 maggio 2007, ed è stato contestualmente richiesto alle autorità del Kenya di assumere le iniziative preliminari all'attuazione del progetto.
In data 11 maggio 2007, su iniziativa del gabinetto del Ministro Pecoraro Scanio, la proposta è stata esaminata nel corso di una riunione congiunta dei Ministeri dell'ambiente e degli affari esteri, al fine di realizzare le migliori sinergie tra le due amministrazioni. A conclusione della riunione è stato convenuto di procedere con lo studio di fattibilità, senza specifiche indicazioni o riserve, facendo presente l'esigenza di finalizzare lo studio ad un programma concreto di interventi successivamente finanziabili dalla cooperazione italiana.
Al fine di avviare lo studio di fattibilità, dovevano essere rispettate le condizioni indicate dalle autorità del Kenya in premessa alla proposta trasmessa in data 23 aprile 2007:
a) il progetto doveva essere coordinato dalle competenti autorità del Kenya, che avrebbero avuto anche la responsabilità di coinvolgere le comunità locali e tutte le altre «parti» interessate;
b) doveva essere insediato un comitato misto italo keniota, di supporto alle autorità del Kenya;
c) doveva essere costituito un gruppo di esperti internazionali e locali per assistere le autorità del Kenya. A questo proposito le autorità avevano indicato Eurafrica, «società italiana già attiva in Kenya» come esperto per la parte keniota alla quale affidare il coordinamento del gruppo di esperti.

Pertanto:
1) l'istituzione del comitato misto italo-kenyota e la costituzione del gruppo di esperti erano pregiudiziali all'avvio dello studio di fattibilità;
2) sulla base di questa procedura, l'erogazione dei finanziamenti da parte del Ministero italiano, così come eventuali contratti a favore di imprese selezionate dal governo kenyota erano subordinati alle indicazioni del comitato misto e del gruppo di esperti internazionali e locali;
3) la società Eurafrica non era stata indicata dalle autorità del Kenya come destinataria di qualsivoglia contratto, ma come coordinatore del gruppo di esperti internazionali;
4) il trasferimento dei fondi destinati al finanziamento dello studio di fattibilità

alle autorità del Kenya era subordinato alla attuazione di quanto previsto dai precedenti punti 1) e 2).

A seguito di una comunicazione informale in data 5 luglio 2007 da parte di padre Daniele Moschetti (della comunità dei Comboniani di Korococho, lo slum cresciuto ai margini della discarica di Dandora), in merito alla presunta incompetenza della società Eurafrica ed a rapporti non trasparenti con le autorità del Kenya, in data 12 luglio 2007 il sottoscritto ha provveduto a richiedere alla stessa società informazioni aggiornate sulla struttura e le attività. La risposta di Eurafrica chiariva, tra l'altro, che la società opera in collaborazione con due partners di grande esperienza in Kenya e Africa: la società di ingegneria inglese Atkins, con 16000 dipendenti nel settore della consulenza tecnologica, ed Howard Humphreys società di ingegneria civile leader in Kenya, La nota di Eurafrica è stata trasmessa al Gabinetto del Ministro Pecoraro Scanio in data 6 agosto 2007.
In data 13 agosto 2007, ovvero 90 giorni dopo la riunione nella quale il Gabinetto del Ministro aveva concordato di procedere con lo studio di fattibilità, secondo quanto proposto dalle autorità del Kenya, ed alla vigilia dell'incontro con le Autorità del Kenya per definire il programma di lavoro, il Capo di Gabinetto del Ministro Pecoraro Scanio ha trasmesso per conoscenza al sottoscritto, quale direttore generale competente, una nota inviata all'Ambasciatore d'Italia a Nairobi, d'ordine del Ministro, con la quale veniva richiesto di acquisire informazioni sulla società Eurafrica e di comunicare alle Autorità del Kenya la richiesta di «sospendere» l'indicazione della società come consulente per la parte keniota.
Con una apposita nota, sempre a firma del sottoscritto in qualità di direttore generale competente, nella medesima data del 13 agosto 2007, sono state richiamate al capo di Gabinetto le procedure ed il contesto del programma di cooperazione con il Kenya. E, in ogni caso, per senso di responsabilità nei confronti delle istituzioni italiane e dell'immagine esterna del Ministero, ho comunicato al capo di Gabinetto di prendere atto e di attenersi alle indicazioni trasmesse all'Ambasciatore d'Italia a Nairobi.
In data 14 agosto 2007, su richiesta del Ministro Pecoraro Scanio, alla vigilia di una riunione bilaterale finalizzata alla definizione delle procedure per l'avvio dello studio di fattibilità, ho incontrato a Nairobi padre Daniele Moschetti, accompagnato dalla delegazione degli esperti di fiducia del Ministro Pecoraro Scanio.
Nel corso dell'incontro padre Moschetti aveva criticato l'iniziativa per il risanamento della discarica, che avrebbe avuto come obiettivo principale quello di favorire elettoralmente e finanziariamente alcune componenti del Governo Kenyota. Inoltre, padre Moschetti aveva sottolineato che l'eventuale chiusura della discarica di Dandora avrebbe determinato un impatto negativo sulla comunità dello slum di Korococho, che vive in parte dell'economia marginale della discarica (recupero e commercio di materiali recuperati nella discarica).
Ho fatto presente a padre Moschetti che le sue affermazioni contrastavano con le procedure seguite dal ministero e con i fatti. In ogni caso, ho proposto a padre Daniele Moschetti di preparare e sottoporre al ministero un progetto specifico per la qualificazione o riqualificazione delle persone coinvolte nell'economia della discarica, al fine di prevedere un percorso «sociale» parallelo al progetto tecnico di risanamento della discarica. La proposta non è stata presa in considerazione.
Infine, padre Moschetti aveva affermato che la proposta delle autorità del Kenya sarebbe la copia di uno studio effettuato dalla società italiana Jacorossi nel 2004. A questo proposito, ho invitato padre Moschetti a trasmettere al ministero le informazioni in merito al progetto Jacorossi. Le informazioni richieste non sono mai state trasmesse al ministero.
In data 15 agosto 2007, in occasione di una riunione bilaterale a Nairobi con le autorità del Kenya, sulla base delle indicazioni del capo di Gabinetto d'ordine del Ministro, alla presenza della delegazione

degli esperti di fiducia del Ministro Pecoraro Scanio, ho:
a) confermato l'impegno del Ministero per la realizzazione dello studio di fattibilità;
b) richiamato l'esigenza prioritaria di istituire il gruppo di lavoro italo-keniota, previsto dalla proposta, che aveva il compito di definire il programma di lavoro, individuare gli esperti che dovevano supportare la realizzazione del progetto, approvare gli stati di avanzamento ai fini dell'erogazione dei finanziamenti;
c) indicato l'Agenzia per la protezione dell'ambiente e del territorio (Apat) come esperto di parte italiana;
d) preso atto della indicazione del Ministry of local Government del Kenya che ha indicato la società Eurafrica come proprio consulente, facendo presente contestualmente la richiesta di «congelare» la posizione di Eurafrica in attesa di ricevere le informazioni richieste all'Ambasciata dal capo di Gabinetto;
e) sottolineato l'urgenza di acquisire le informazioni relative ai progetti già realizzati o comunque definiti per il risanamento della discarica, incluso lo studio che sarebbe stato effettuato dalla società Jacorossi, come condizione preliminare per la definizione del programma di lavoro.

In data 15 agosto 2007, successivamente alla riunione bilaterale, nel corso di un incontro presso l'Ambasciata d'Italia a Nairobi, alla presenza degli esperti di fiducia del Ministro Pecoraro Scanio, ho richiesto informazioni in merito a progetti già elaborati/realizzati per il risanamento della discarica di Dandora.
A questo proposito è stato accertato che:
1) la società Jacorossi aveva sottoposto nel 2004 alle autorità del Kenya un progetto per la raccolta e gestione dei rifiuti di Nairobi, che non prevedeva il risanamento ed il recupero del gas metano della discarica di Dandora, né tantomeno era strutturato secondo quanto previsto dalle procedure del Clean development Mechanism del Protocollo di Kyoto. Il progetto non ha avuto seguito per l'opposizione delle autorità competenti del Kenya;
2) la provincia di Lecce aveva manifestato una generica disponibilità a realizzare un progetto per il risanamento della discarica di Dandora, che non aveva avuto alcun seguito.

A seguito degli articoli pubblicitari sul quotidiano l'Unità in data 11 novembre 2007, a firma di padre Alex Zanotelli, sul periodico Nigrizia in data 5 novembre 2007 a firma di padre Moschetti, e sul Corriere.it in data 11 novembre 2007 a firma di Massimo Albrizzi, che prefiguravano attività illecite da parte mia, ho trasmesso tutti gli atti alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma.
In data 13 marzo 2008 il presidente aggiunto dei giudici per le indagini preliminari presso il tribunale di Roma, emetteva decreto di archiviazione «perché non si ravvisano ipotesi di reato» su conforme richiesta del procuratore aggiunto della Repubblica del medesimo tribunale, il quale sottolineava che «a seguito degli approfondimenti investigativi svolti non sono emersi elementi concreti in ordine ai reati prospettati».
La procura della Repubblica di Roma, investita della querela per diffamazione da me presentata nei confronti di Moschetti, rilevava che i dubbi e le perplessità manifestati dai comboniani («a torto o ragione») sul progetto di Dandora non contenevano «alcun passaggio anche solo esclusivamente accusatorio in ordine ad eventuali consapevoli coinvolgimenti del direttore generale nel sospetto malaffare».
Altro procedimento penale per diffamazione, a carico di Zanotelli, è ancora in istruttoria preliminare, e dunque coperto da segreto istruttorio, onde non si conoscono le acquisizioni probatorie in ordine al reato contestato che la procura ha ottenuto.
In conclusione, sulla base delle procedure adottate dal sottoscritto, la società Eurafrica non è mai stata destinataria dei fondi per lo studio di fattibilità; in base alle risultanze degli atti e delle conclusioni del

procedimento giudiziario, le affermazioni di padre Zanotelli in merito alla legittimità e trasparenza delle procedure da me seguite sono risultate del tutto infondate.
Si rileva, infine, che, per effetto delle iniziative assunte nel 2007 contro il sottoscritto, non è stato possibile avviare il progetto per il risanamento della discarica di Dandora e dello slum di Korococho, che restano luoghi di disperazione umana ed ambientale. Il progetto per il risanamento e l'utilizzazione energetica del gas della discarica di Dandora avrebbero potuto offrire concrete possibilità di sviluppo sostenibile a quel territorio.
Tanto l'articolo apparso su Il Fatto Quotidiano, quanto l'interrogazione parlamentare, hanno assunto come loro fonti informative esclusive le affermazioni dei comboniani Zanotelli e Moschetti, di cui si è dimostrata l'infondatezza.
Da ultimo, rappresento che ho risposto in varie sedi, anche giudiziarie, agli interrogativi di Zanotelli e Moschetti, dimostrandone la pretestuosità.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Corrado Clini.

DI STANISLAO - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo 198 del 2006 (codice delle pari opportunità) riunisce e coordina tra loro le disposizioni vigenti per la prevenzione e rimozione di ogni forma di discriminazione fondata sul sesso;
nonostante i numerosi strumenti normativi vigenti a tutela delle pari opportunità, la maternità continua a penalizzare le donne nel mondo del lavoro precario;
sebbene la legge tuteli le neomamme dall'essere licenziate almeno per il primo anno di vita del bambino, nessuna norma tutela le mamme il cui contratto a tempo determinato in scadenza non sia rinnovato a causa della gravidanza;
la procura della repubblica di Terni indaga su un concorso dell'azienda ospedaliera della provincia umbra, dove una ragazza, tecnico di cardiochirurgia, avrebbe perso il concorso perché incinta, nonostante la candidata dopo aver lavorato per anni a tempo determinato presso quel reparto abbia superato con il massimo dei voti le prove concorsuali -:
se i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, intendano analizzare il fenomeno in questione affinché lo spazio per la relazionalità familiare possa essere riconosciuto come necessario e per questo salvaguardato come bene essenziale, intervenendo affinché la flessibilità del lavoro non condizioni le scelte personali delle lavoratrici, inducendole a rinunciare alla maternità per non perdere il posto di lavoro.
(4-10798)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede se si intendono avviare interventi in ordine alla tutela della maternità nell'ambito del lavoro precario, si rappresenta quanto segue.
L'articolo 19, comma 3, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 ha istituito un Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per promuovere le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità.
Con decreto del Ministro per le pari opportunità del 12 maggio 2009, una parte delle risorse di tale Fondo, fino a 40.000.000 euro, è stata destinata alla realizzazione di «un sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» stabilendo altresì che i «criteri di ripartizione delle risorse, le finalità, le modalità attuative nonché il monitoraggio degli interventi realizzati» siano definiti mediante specifica intesa ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131.
Tale intesa è intervenuta il 29 aprile 2010 e le sue finalità specifiche sono:
la creazione e l'implementazione di nidi, nidi famiglia, servizi e interventi similari («mamme di giorno», educatrici

familiari o domiciliari, eccetera) definiti nelle diverse realtà territoriali;
la facilitazione per il rientro al lavoro di lavoratrici che abbiano usufruito di congedo parentale o per motivi comunque legati ad esigenze di conciliazione anche tramite percorsi formativi e di aggiornamento, acquisto di attrezzature hardware e pacchetti software, attivazione di collegamenti Adsl, eccetera;
l'erogazione di incentivi all'acquisto di servizi di cura in forma di voucher/buono per i servizi offerti da strutture specializzate (nidi, centri diurni/estivi per minori, ludoteche, strutture sociali diurne per anziani e disabili, eccetera) o in forma di «buono lavoro» per prestatori di servizio (assistenza domiciliare, pulizia, pasti a domicilio, eccetera);
sostegno a modalità di prestazione di lavoro e tipologie contrattuali facilitanti (o family friendly) come banca delle ore, telelavoro, part time, programmi locali dei tempi e degli orari eccetera);
altri eventuali interventi innovativi e sperimentali proposti dalle regioni e dalle province autonome purché compatibili con le finalità dell'intesa.

Le risorse sono state ripartite tra le Regioni sulla base dei criteri relativi alla popolazione residente, al tasso di occupazione femminile per la classe di età tra 15 e 49 anni, al tasso di disoccupazione femminile per la classe di età tra 15 e 49 anni e alla incidenza delle madri che hanno usufruito di congedi parentali.
Per dare operatività agli interventi, sono state sottoscritte 18 convenzioni con le regioni che hanno presentato i programmi attuativi contenenti gli interventi che intende realizzare con le risorse assegnate. Tali interventi, previsti dai programmi attuativi regionali, sono già partiti a livello territoriale e di seguito se ne fornisce una breve sintesi relativa a sei regioni in particolare.
La regione Piemonte finanzierà progetti volti alla realizzazione di formule organizzative di lavoro decentrato per:
introdurre e/o rafforzare modelli flessibili di telelavoro (esempio: domiciliare, presso telecentri, postazioni mobili);
attivare l'utilizzo del part-time con modalità flessibili e reversibili, destinato anche ai livelli più alti;
attivare soluzioni innovative di job sharing (lavoro ripartito o condiviso tra più lavoratori/lavoratrici) anche in posizioni medio-alte e di job rotation (rotazione o sostituzione tra lavoratori/lavoratrici).

La regione Lazio intende promuovere il telelavoro, quale strumento per lavorare on-line, tra le modalità di prestazione di lavoro facilitante sperimentando, altresì, un'azione pilota per la realizzazione di un centro telematico (tele-centro), condiviso da più lavoratrici, per l'incentivazione del telelavoro in aree decentrate, nelle quali il fenomeno del pendolarismo rende particolarmente difficile la conciliazione.
La regione Lombardia ha avviato, in via sperimentale, nei territori di Mantova, Monza, Brescia, Bergamo, Lecco e Cremona, un progetto volto ad attribuire un voucher premiante alle imprese che assumano madri escluse dal mercato del lavoro o in condizioni di precarietà lavorativa.
La regione Puglia intende incrementare parte dei finanziamenti incrementandoli con una dotazione finanziaria regionale, prevista per i cosiddetti patti sociali di genere, ovvero accordi territoriali tra province, comuni, organizzazioni sindacali e imprenditoriali, sistema scolastico, aziende sanitarie locali e consultori, utile a favorire azioni a sostegno della genitorialità e per sperimentare formule di organizzazione dell'orario di lavoro nelle pubbliche amministrazioni e nelle imprese private che agevolino la conciliazione e promuovano un'equa distribuzione dei carichi familiari.
Per quanto concerne l'incremento dei servizi per la prima infanzia, si segnala che la regione Toscana, attraverso i suddetti finanziamenti, intende emanare un bando regionale destinato ai comuni (singoli o associati), alle comunità montane e ad altri soggetti pubblici e privati accreditati, finalizzato a promuovere l'apertura di nuovi

servizi educativi sul territorio regionale o al potenziamento di servizi già esistenti, mentre la Campania intende sperimentare, a livello comunale, le figure della educatrice familiare o domiciliare e della mamma accogliente, al fine di soddisfare la crescente richiesta di servizi integrativi per la prima infanzia.
Allo stesso modo, attraverso il «Programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro», si è inteso potenziare i servizi di assistenza per la prima infanzia e rivedere i criteri e le modalità per la concessione di contributi ad aziende per progetti che favoriscano la conciliazione, specie attraverso l'uso di modalità di lavoro flessibile, quali il part time o il lavoro a domicilio.
In esecuzione di tale linea d'azione, è stato già adottato il «Regolamento recante criteri e modalità per la concessione dei contributi di cui all'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, del 23 dicembre 2010», e attualmente la competente commissione sta valutando i progetti proposti dalle imprese per l'erogazione dei contributi.
Si fa presente, in particolare, che per il finanziamento degli interventi in favore della conciliazione tra vita professionale e vita familiare previsti dal suddetto articolo 9, sono stati stanziati 15.000.000 euro.
Il regolamento citato reca la disciplina relativa all'erogazione di contributi finanziari a favore dei datori di lavoro privati esercenti o no attività d'impresa, iscritti in pubblici registri, le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere e le aziende ospedaliere universitarie, che si vincolino, mediante accordi contrattuali, all'adozione di azioni positive volte a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per consentire alle lavoratrici e ai lavoratori con figli minori, ovvero con a carico persone disabili o non autosufficienti, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali il part time reversibile, telelavoro, lavoro a domicilio, banca delle ore eccetera).
Tali azioni potranno essere destinate, altresì, al reinserimento lavorativo dei lavoratori e delle lavoratrici, attraverso attività di formazione e aggiornamento, a seguito di un periodo di assenza dal lavoro per motivi legati ad esigenze di conciliazione tra vita familiare e vita professionale.
I progetti ammessi al finanziamento, per un importo massimo di 500.000 euro, avranno una durata di 24 mesi.
È altresì previsto il finanziamento di progetti che consentano ai titolari di impresa, ai lavoratori autonomi o ai liberi professionisti, per esigenze legate alla maternità o alla presenza di figli minori ovvero disabili, di avvalersi della collaborazione o sostituzione di soggetti in possesso dei necessari requisiti professionali. L'importo massimo finanziabile per questi progetti è di 35.000 euro, mentre la durata, riferita alla coppia genitoriale, è fissata in 12 mesi, anche frazionabili nell'arco di 24 mesi.
In ordine alle problematiche legate alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, si rappresenta che, tramite la circolare n. 9 del 30 giugno 2011 del Dipartimento della funzione pubblica e destinata a tutte le amministrazioni, sono stati definiti i criteri per la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e per la rivalutazione delle situazioni di trasformazione già avvenute alla data di entrata in vigore del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2010, n. 133), che ha profondamente innovato la disciplina per la concessione del part time.
Tale circolare ha lo scopo di fornire alle amministrazioni i criteri da seguire nella valutazione delle domande di trasformazione del rapporto di lavoro e nella rivalutazione dei part time già concessi, ponendo particolare attenzione a quei lavoratori che godono di un diritto ovvero di un titolo di precedenza nella trasformazione del rapporto di lavoro.
Quanto al profilo della tutela dei diritti della lavoratrice madre e delle pari opportunità in materia di lavoro, essa costituisce uno dei settori di intervento privilegiati degli Uffici territoriali di questo ministero, come evidenziato anche nell'ambito del «Documento di programmazione dell'attività

di vigilanza per l'anno 2011» contenente le linee programmatiche dell'azione ispettiva da realizzare in corso d'anno per la salvaguardia dei diritti fondamentali della persona e del lavoratore.
Nel 2007 è stato sottoscritto, congiuntamente alla Direzione generale per le politiche dei servizi per il lavoro, un protocollo d'intesa con la rete Nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità, con cui le parti hanno assunto l'impegno di porre in essere ogni iniziativa utile a favorire la piena applicazione della normativa in questione, al fine di prevenire e rimuovere ogni forma di discriminazione fondata sul sesso.
In base al suddetto Protocollo, in occasione della presentazione, da parte delle consigliere e dei consiglieri di parità, di richieste di acquisizione di informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile (ex articolo 15, n. 4, del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), nonché di segnalazioni relative a situazioni di discriminazione, le competenti direzioni territoriali del lavoro provvedono tempestivamente ad effettuare gli opportuni accertamenti, compatibilmente con l'ordinaria programmazione dell'attività ispettiva.
Il citato Protocollo prevede inoltre iniziative volte a favorire il coordinamento tra le rispettive attività, lo scambio reciproco di esperienze, nonché la formazione professionale sulle tematiche in questione, tra le quali:
l'istituzione di un tavolo tecnico, con il compito di dare nuovo impulso agli strumenti di parità e di adeguarli alle nuove realtà fattuali e normative;
la creazione e lo sviluppo di modulistica, di software e di raccolta di giurisprudenza dedicata alla materia della parità e delle pari opportunità e/o di altri strumenti da diffondere agli ispettori del lavoro per coadiuvarli nell'espletamento delle loro funzioni.

Al protocollo in questione sono state allegate inoltre le linee di indirizzo elaborate dalla direzione generale attività ispettiva (Dgai) di questo ministero in merito alle tecniche ispettive da utilizzare nell'esercizio dell'attività di vigilanza in materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni.
Gli uffici territoriali hanno provveduto, altresì, in attuazione del Protocollo, a sottoscrivere appositi protocolli operativi con le consigliere ed i consiglieri di parità regionali e provinciali, adattandone i contenuti alle specifiche realtà territoriali.
Nel corso del 2009, è stato distribuito agli uffici territoriali un modello di dichiarazione e un report per la rilevazione dei dati in materia di convalida delle dimissioni delle lavoratrici madri e/o dei lavoratori padri, di cui all'articolo 55 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 («Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53») elaborati dal tavolo tecnico di studio composto da rappresentanti della Dgai dell'ufficio della consigliera nazionale di parità e della rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità.
Le informazioni inserite nel modello di dichiarazione, che deve essere resa dal lavoratore e/o dalla lavoratrice interessata in occasione di un colloquio diretto con il funzionario della competente struttura territoriale, appaiono utili sia per fini statistici (ad esempio per effettuare il monitoraggio dei settori maggiormente interessati al fenomeno in esame) che per l'effettivo accertamento della volontà e soprattutto della spontaneità delle dimissioni. La compilazione dell'allegato report recante i dati contenuti nelle dichiarazioni raccolte durante l'anno, consente alla Dgai un monitoraggio annuale delle informazioni in questione relativamente a tutto il territorio nazionale.
Dall'esame dei dati relativi al 2010, è emerso che, nel corso dell'anno, le direzioni provinciali del lavoro hanno emesso n. 19.017 provvedimenti di convalida di dimissioni, in crescita rispetto al 2009, nel corso del quale il numero dei medesimi provvedimenti è stato pari a 17.676.
Si conferma che il trend del maggior numero di dimissioni convalidate (11.964) interessa la fascia di età tra i 26 e i 35 anni.

È stato, inoltre, riscontrato che anche per il 2010 presentano dimissioni prevalentemente lavoratrici/lavoratori con un'anzianità medio-bassa (fino a 3 anni n. 9.178 lavoratrici/lavoratori; fino a 4 anni n. 7.853 lavoratrici/lavoratori anni). Tale situazione può essere facilmente spiegata tenendo presente che l'inizio dell'attività lavorativa avviene piuttosto tardi nel nostro Paese e che, pertanto, tra i 26 e i 35 anni è difficile avere un'anzianità di servizio maggiore di 5/6 anni.
Le lavoratrici/lavoratori abbandonano il lavoro normalmente già con il primo figlio (n. 10.878 dimissioni), e tale dato si rivela significativo anche in relazione alle motivazioni delle dimissioni, in quanto è sintomatico della difficoltà di conciliare i tempi di lavoro con i tempi di cura della prole.
Maggiormente interessate al fenomeno delle dimissioni in caso di maternità sono le imprese fino a 15 dipendenti (n. 11.954), in quanto nelle stesse probabilmente è più difficile porre in essere forme di lavoro flessibile.
A tale proposito si evidenzia, altresì, che n. 1.594 lavoratrici intervistate lamentano la mancata concessione del part-time.
I settori produttivi maggiormente interessati sono quelli del commercio (n. 6.864) e dell'industria (n. 2.988), settori tradizionalmente a vocazione femminile.
La motivazione delle dimissioni più frequente riguarda la carenza e gli elevati costi dei servizi di assistenza per la prima infanzia. È emerso, infatti, che n. 4.062 lavoratrici si sono dimesse per mancato accoglimento del minore al nido e n. 4.394 lavoratrici per assenza di parenti di supporto, mentre n. 2.005 lavoratrici hanno addotto, quale motivazione per dimettersi, gli elevati costi dei servizi di assistenza all'infanzia.
Si rappresenta, inoltre, che un numero significativo di lavoratrici (n. 4.631) dichiara di dimettersi per motivazioni di carattere strettamente personale, quali il desiderio di cura della prole in maniera esclusiva, il ricongiungimento al coniuge, eccetera.
Ultimo dato è quello relativo al forte divario tra nord e sud del Paese, probabilmente ricollegabile al diverso tasso di occupazione: i provvedimenti di convalida sono stati n. 12.010 al nord, n. 3.852 al Centro, n. 3.155 nel sud.
Si segnala che gli uffici territoriali hanno fornito anche il dato relativo alle mancate convalide, che nel 2009 sono state n. 29 e nel 2010 n. 30.
Per quanto concerne, invece, la tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri, si evidenzia che, nonostante la disciplina sia risalente negli anni e sia stata aggiornata con i decreti legislativi n. 151 del 2001 e n. 81 del 2008, le violazioni in tali ambiti risultano tuttora piuttosto frequenti. Al riguardo si segnala che nel 2010 sono state accertate n. 1.280 violazioni relative alla tutela economica delle lavoratrici madri a fronte delle n. 406 del 2009, in aumento del 215 per cento rispetto alle violazioni contestate nel 2009.
Per quanto riguarda, invece, la tutela fisica delle lavoratrici madri, le infrazioni rilevate nel 2010 sono state n. 973 a fronte di n. 661 nel 2009, con il significativo incremento del 47 per cento rispetto all'anno precedente.
Conclusivamente, si osserva che la questione segnalata dall'interrogante ha già ottenuto risposte, sia in termini di analisi del fenomeno che sotto il profilo degli interventi avviati dal Governo sulla materia.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in particolar modo in Iraq e in Afghanistan è emersa la figura dei contractor, dei militari di società private che combattono al fianco degli eserciti regolari. Gli Stati Uniti, prima e più degli altri, hanno capito il vantaggio di schierare i contractor (i mercenari): si demanda al privato il combattimento di una guerra il cui consenso è in picchiata libera;

in questo caso i Governi non si assumono nessuna responsabilità e i dipartimenti della difesa possono sorvolare sul numero dei contractor caduti in azioni di combattimento;
la rivista specialistica Service Contractor ha pubblicato dei numeri che fanno riflettere. Prendendo in considerazione le guerre in Afghanistan e Iraq, dal 2001 fino a giugno 2010 il numero dei soldati Usa morti in battaglia sono 5.531, i feriti 16.210. Questi numeri non dicono tutta la verità sullo svolgimento di quelle guerre: a fianco di quelle cifre, vanno considerati gli oltre duemila contractor morti in combattimento e i 44.152 feriti. Il conto pagato dai contractor costituisce dunque il venticinque per cento sul totale di 7.500;
nel 2003 le morti dei mercenari costituivano solo il 4 per cento del totale nelle due guerre, fino a raggiungere il 40 per cento nel biennio 2008-2010. A partire dal 2010 i mercenari morti in battaglia hanno superato quello dei soldati statunitensi, raggiungendo il 53 per cento del totale. Ciò rappresenta una diretta conseguenza di due fattori: a) il numero dei contractor utilizzati in battaglia supera di oltre 30 mila unità il numero dei soldati in uniforme (207.600 a 175.000); b) l'equipaggiamento dei soldati privati (che invece dell'elmetto portano dei cappellini da baseball) non è equiparabile a quello dei colleghi «regolari»;
il vero ruolo dei contractor è proprio quello di restare nell'oscurità per non allarmare la società americana di fronte a cifre che sono ben lontane da quelle ufficiali -:
se il Governo sia a conoscenza delle informazioni riportate in premessa e se l'utilizzo di contractor in Afghanistan coinvolga anche l'Italia.
(4-11055)

Risposta. - In via preliminare, evidenzio opportunamente che l'attuale quadro normativo di riferimento nazionale (articoli 78 e 80 della Costituzione e legge 14 novembre 2000, n. 331 «Norme per l'istituzione del servizio militare professionale) non contempla la possibilità di affidare a terzi le attività connesse allo svolgimento dei compiti istituzionali delle Forze armate escludendo, pertanto, la possibilità di impiegare compagnie private (contractors) in azioni di combattimento.
Ciò posto, per quanto riguarda il teatro operativo afghano, il ricorso all'utilizzo di contractors civili è limitato esclusivamente alla vigilanza esterna al compound che ospita il Provincial Reconstruction Team (Camp Vianini), servizio assicurato da una ditta locale.
Per i trasporti logistici, infine, viene fatto ricorso occasionale a ditte locali, che provvedono in proprio per la relativa sicurezza.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il Ministero della difesa dispone di una scuola di formazione e perfezionamento del personale civile (indicata come CivilScuolaDife) ed ubicata in Roma, Via Mattia Battistini, n. 113-117, per lo svolgimento di corsi di aggiornamento e formazione ai dipendenti civili del predetto dicastero, che risultano in gran parte svolti da personale militare e solo in minima parte da personale civile;
la scelta di docenti dotati di adeguati titoli culturali e scientifici al fine della formazione di dipendenti pubblici deve costituire un obiettivo imprescindibile dell'intera pubblica amministrazione, onde assicurare l'aggiornamento professionale del personale, ivi compreso quello ad ordinamento civile incardinato presso il Ministero della difesa e deputato ad assicurare, nel suo complesso, il sistema della difesa nazionale;
nel corso del mese di maggio 2010 un dipendente civile dello stesso Ministero della difesa, avente titoli curriculari adeguati per l'eventuale assegnazione d'incarichi d'insegnamento presso la stessa

scuola, ha presentato una formale istanza d'inserimento nell'albo dei docenti di CivilScuolaDife;
in sede di accesso agli atti al fine di estrarre copia dell'albo dei docenti di CivilScuolaDife, il direttore della scuola, dottor Massimo Manganio, ha affermato con nota del 18 febbraio 2011, prot. n. 619 PAS 1.6, indirizzata alla immissione per l'accesso ai documenti amministrativi, che l'elenco dei docenti «non è mai stato formalmente redatto dalla Scuola», per cui non è possibile rilasciarne copia;
si evince, pertanto, che la scuola risulterebbe non detenere alcun albo o elenco dei docenti cui sono affidati gli incarichi di docenza per i corsi del personale civile e dunque che non appaiono per nulla chiari i criteri con cui CivilScuolaDife seleziona i docenti cui è affidato lo svolgimento di corsi di formazione per il personale civile o comunque il sistema con cui i medesimi incarichi di docenza sono conferiti;
al contrario, altre scuole di formazione del personale dipendente di altre amministrazioni statali non solo si avvalgono di un apposito albo docenti per il conferimento delle docenze, ma il medesimo risulta adeguatamente pubblicizzato, anche per via telematica sul sito internet del relativo dicastero, come avviene, per esempio, per la scuola di formazione del personale dell'amministrazione dell'interno o per la scuola di formazione del personale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia;
appare quindi evidente, ad avviso dell'interrogante, il difetto di trasparenza che caratterizza il sistema di scelta dei docenti e affidamento degli incarichi da parte della scuola di formazione e perfezionamento del personale civile (indicata come CivilScuolaDife) -:
se al Ministro interrogato consti o meno dell'esistenza di un albo o elenco dei docenti affidatari di corsi presso la scuola di formazione e perfezionamento del personale civile del Ministero della difesa (CivilScuolaDife);
se e quali iniziative siano state poste in essere al fine di garantire la massima trasparenza in sede di scelta dei docenti per la predetta scuola, in conformità con il possesso di adeguati titoli culturali e scientifici degli affidatari ed anche al fine della pubblicizzazione del relativo albo docenti;
se e quali iniziative intenda assumere al fine di assicurare la costituzione di un albo dei docenti della predetta scuola, qualora non sia stato ancora redatto, anche attraverso la pubblicazione di un avviso pubblico per la presentazione di candidature, onde garantire la massima partecipazione e la scelta di docenti in possesso di adeguati curriculum scientifici in relazione ai corsi formativi da somministrare al personale.
(4-12137)

Risposta. - La scuola di formazione e di perfezionamento del personale civile della difesa, istituita con decreto ministeriale del 22 marzo 1963, ha acquisito in quasi un cinquantennio di attività una rilevante esperienza nel campo della formazione.
Il consistente flusso di personale docente di cui la scuola si serve, proviene essenzialmente da personale interno alla difesa, sia esso civile che militare, e viene selezionato sulla base delle specifiche esigenze e tipologie dei corsi, nonché sulla base delle professionalità occorrenti.
La scuola si avvale, inoltre, di personale docente certamente qualificato, come magistrati del Tribunale amministrativo regionale, della Corte dei Conti o dell'Avvocatura dello Stato.
I vari decreti ministeriali di struttura succedutisi nel tempo hanno sempre fissato le direttive generali per il funzionamento della scuola nonché l'indirizzo didattico ed i criteri generali per l'organizzazione dei corsi.
In tal senso, il decreto ministeriale del 1° agosto 1970 affidava questi compiti ad un Comitato tecnico composto da alte cariche dello Stato, fra cui il direttore generale per gli impiegati civili del dicastero,

assumendo con successivi decreti ministeriali (1983 e 1985) la denominazione di comitato direttivo (durata in carica 4 anni), sempre con medesimi compiti fra cui quello dell'approvazione annuale di un albo docenti proposto dal direttore della scuola.
Nel corso degli anni, il predetto comitato direttivo non si è più riunito, essendo venute meno parte delle figure che lo componevano, quali il direttore generale degli operai, il direttore centrale dell'ufficio per l'organizzazione, i metodi, la meccanizzazione e la statistica, oltre alle difficoltà oggettive legate alla disponibilità di un magistrato del Consiglio di Stato e di professori universitari.
Pertanto, la tenuta di un albo docenti non ha avuto più, negli anni a seguire, il necessario e costante aggiornamento.
Attualmente, l'attività del comitato direttivo è svolta dalla divisione corsi e dall'ufficio corsi militari che provvedono all'acquisizione di personale docente, sulla base di curricula presentati dagli interessati e vagliati dai competenti uffici.
Tanto premesso, benché non vi fosse alcun albo formalmente redatto ed ufficializzato, la scuola ha sempre mantenuto rigidi criteri di trasparenza basati su elementi consolidatisi nel tempo e riassumibili nelle seguenti circostanze:
la scelta del docente avviene sulla base delle esperienze di lavoro dello stesso, pregresse e attuali, oltreché sui requisiti culturali posseduti;
la scelta dell'area funzionale dei frequentatori ai quali indirizzare la tipologia di corso, non può mai essere superiore a quella di appartenenza del docente incaricato (ove proveniente dai ruoli della difesa);
per la specificità e peculiarità di alcuni corsi la scuola si avvale, come anzidetto, di personale dell'Avvocatura dello Stato e della Magistratura ordinaria ed amministrativa;
ove il corso venga svolto in una sede diversa da quella Roma si preferisce, al fine di contenere le spese, ricorrere a personale del posto in possesso dei necessari requisiti.

Si rappresenta, per completezza d'informazione, che è in corso di predisposizione il provvedimento di ristrutturazione dell'area tecnico-amministrativa della difesa nel cui ambito si procederà, altresì, alla revisione della Scuola.
Ad avvenuta definizione dei citati provvedimenti di ristrutturazione, sarà cura dell'amministrazione provvedere all'aggiornamento dell'elenco dei docenti ed alla relativa pubblicazione.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.

DI STANISLAO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi i giuristi democratici ed EveryOne Group hanno inviato una lettera al Ministro interrogato circa la situazione del campo profughi di Ashraf;
nel mese di aprile 2011, infatti, il Governo iracheno annunciava la chiusura entro la fine del 2011 del campo profughi di Ashraf, che concede rifugio da più di 20 anni a 3.400 oppositori della dittatura integralista di Teheran;
la decisione è stata resa pubblica dopo due massacri, che hanno causato la morte di cinquanta persone e il ferimento di oltre mille, fra la popolazione civile del campo, che non ha difese contro la violenza e gli abusi. Le stragi sono avvenute nonostante gli americani avessero promesso di difendere gli abitanti del campo;
l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati è intervenuto in settembre per confermare a questi dissidenti iraniani lo status di rifugiati politici, tappa preliminare per trasferirli in Paesi terzi, secondo il piano presentato dal Parlamento europeo per risolvere la crisi. Da allora, però, Baghdad ha bloccato tutto. Ha ostacolato il procedimento dell'Alto Commissario e non smette di ripetere, fino a oggi, la sua intenzione di scagliare il terzo attacco contro il campo profughi, che ha intenzione di cancellare;

nella lettera si lancia un accorato appello per chiedere al Governo italiano di intervenire per annunciare al Governo dell'Iraq la disponibilità ad accogliere questi rifugiati, affinché Baghdad non abbia più alcun argomento per proseguire nello sterminio;
il 2 dicembre 2011 il Ministro degli affari esteri canadese incoraggia il Governo iracheno a prorogare il termine di chiusura per consentire ai residenti rimanenti il tempo sufficiente per adottare le misure necessarie per chiedere asilo e permettere al consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di considerare e vagliare le domande. Invita l'Iraq a far fronte ai propri obblighi di diritto internazionale e ha dichiarato, altresì, di monitorare la situazione molto da vicino -:
se, e come, il Governo si stia impegnando al fine di evitare l'eccidio annunciato dei 3.400 residenti del campo Ashraf.
(4-14201)

Risposta. - Quella che si consuma a camp Ashraf è una complessa crisi umanitaria che si inserisce nel contesto di una difficile transizione in un'area dai forti contrasti politici, etnici e religiosi.
Nel campo risiedono circa 3.400 rifugiati iraniani appartenenti all'organizzazione dei Mujahedin e-Khalq (Mko - Mujahedin del popolo iraniano), movimento di cui il Consiglio nazionale della resistenza iraniana (Cnri) costituisce una mera copertura e che sia gli Stati Uniti sia i principali governi europei ritengono avere natura terroristica. Senza quindi voler riconoscere alcun ruolo politico all'Mko, il Governo italiano è tuttavia molto sensibile al rispetto dei diritti umani dei residenti del campo, così come riconosce senza riserve al governo di Baghdad il diritto di esercitare la propria sovranità all'interno del territorio iracheno.
Sull'onda emotiva dei tragici incidenti del 7-8 aprile 2011 e su impulso di una risoluzione sulla tutela dei rifugiati del campo di Ashraf approvata dalla commissione esteri della Camera il 14 luglio 2011, il Governo si è fortemente impegnato per favorire l'accoglimento in Italia di alcuni feriti, i quali sono stati presi in cura nel nostro Paese grazie al contributo della regione Lazio. In sede di Unione Europea e tramite le Nazioni Unite e i canali bilaterali, il Governo si è anche attivato per ribadire alle autorità di Baghdad le preoccupazioni sulla sorte dei residenti del campo e la forte aspettativa che siano rispettati i loro diritti.
Tuttavia, l'annuncio del governo di Baghdad di voler sgombrare il sito entro il 31 dicembre 2011 ha reso la questione ancora più urgente, facendo temere sviluppi drammatici della vicenda.
Grazie anche all'impulso dato dal Ministro Terzi al Consiglio affari esteri del 1° dicembre 2011, l'Unione europea e i suoi Stati membri si sono fortemente impegnati per convincere le autorità irachene a rinunciare all'uso della forza e favorire invece una soluzione pacifica della questione.
Parallelamente, sia tramite l'Unione europea sia sul piano bilaterale, il Ministro degli esteri ha fortemente sostenuto l'azione svolta dalle Nazioni unite per la ricerca di una soluzione negoziata alla questione di camp Ashraf in grado di permettere al governo iracheno di esercitare la sovranità sul proprio territorio nel pieno rispetto dei diritti umani dei residenti del campo. In particolare il Ministro Terzi ha incoraggiato il ruolo di mediazione svolto dal rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni unite e capo della missione di assistenza per l'Iraq (Unami) Martin Kobler, il quale il 25 dicembre 2011 ha firmato, per conto delle NU, un protocollo d'intesa con il governo iracheno che stabilisce la normativa applicabile al trasferimento dei residenti di camp Ashraf.
Il protocollo - alla cui firma ha fatto immediatamente seguito la concessione da parte del governo iracheno di una proroga di ulteriori sei mesi al termine del 31 dicembre 2011 per la chiusura del campo, al fine di consentire all'Alto commissariato per i rifugiati delle NU di completare il proprio lavoro e assicurare un ordinato e pacifico trasferimento dei residenti - ha dunque scongiurato una possibile crisi umanitaria. L'ufficio dell'Alto commissariato

procederà nel frattempo alla verifica dello status dei residenti del campo per facilitare il rimpatrio nel paese d'origine di coloro che lo desiderano, o il loro reinsediamento in altri Paesi.
Su istruzione del Ministro Terzi la nostra Ambasciata a Baghdad, d'intesa con le autorità irachene e le Nazioni unite, ha condotto ripetute visite consolari a camp Ashraf per accertamenti e per stabilire quanti nel campo abbiano legami con l'Italia e possano eventualmente essere da noi accolti come rifugiati.
Data l'urgenza della questione e della necessità di uno stretto coordinamento istituzionale nella sua gestione, il Ministro Terzi si è inoltre impegnato, in stretto raccordo con il Ministro dell'interno, per favorire la massima rapidità delle procedure di accertamento, in modo da poter assicurare la protezione ai beneficiari dello status di rifugiato.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.

DONADI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la società Vaccari Giovanni spa, operante nel settore del trasporto per conto terzi di merci su strada, è stata collocata in liquidazione volontaria a seguito di una crisi finanziaria;
in data 26 settembre 2011 la società ha sospeso le attività per grave crisi economico-finanziaria, derivante da un pregresso debito contratto con l'erario relativamente ad IVA e IRPEF per circa 2,5 milioni di euro, che non ha consentito di concordare un piano di ristrutturazione del debito con gli istituti di credito che hanno con il mese di settembre chiuso i fidi bancari;
con la messa in liquidazione l'azienda ha sospeso l'attività lavorativa di trasporto per 70 lavoratori, su un totale di 121 lavoratori distribuiti in 3 filiali, che potrebbero essere sospesi dal lavoro nell'arco di qualche settimana;
su richiesta delle organizzazioni sindacali, il settore lavoro e formazione della provincia di Padova ha convocato con urgenza le parti nell'incontro che si è tenuto il 26 settembre 2011;
all'esito dell'incontro è stato concordato l'invio al Ministero del lavoro e delle politiche sociali della richiesta di attivazione della cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale. La richiesta è stata inviata in data 10 ottobre 2011;
contestualmente la Vaccari Giovanni spa ha confermato l'interesse a ricercare sul mercato nuovi soci finanziatori o imprenditori interessati all'acquisizione totale o parziale dell'azienda;
in una società di autotrasporto il fermo dell'attività, se prolungato, danneggia le trattative per il subentro industriale; per tale motivo è necessario che il Ministero convochi in tempi celeri le parti per evitare la perdita definitiva dei 121 posti di lavoro -:
se il Ministro interrogato abbia già disposto la convocazione della Vaccari Giovanni spa o se non intenda convocarla con la massima urgenza al fine di esaminare la richiesta inviata in data 10 ottobre 2011.
(4-13740)

Risposta. - Con riferimento alla interrogazione in esame, concernente la richiesta di attivazione della cassa integrazione presentata dalla società Giovanni Vaccari Spa, si rappresenta quanto segue.
Il 7 ottobre 2011 presso la provincia di Padova - settore lavoro e formazione è stato sottoscritto tra la società e le organizzazioni sindacali un verbale di incontro nel quale la Vaccari Giovanni Spa che allora occupava 121 unità lavorative distribuite in 3 filiali - una a Carmignano di Brenta (Padova) con n. 5 unità, un'altra a Fontaniva (Padova) con 103 unità ed una a Bologna interporto (Bologna) con 13 unità - , si è impegnata a presentare richiesta di

esame congiunto, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 218 del 2000, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per sottoscrivere un accordo di Cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale per n. 12 mesi per tutte le 121 unità lavorative al fine di salvaguardare la realtà aziendale e le professionalità dei lavoratori. Contestualmente l'azienda ha concordato di sospendere la procedura di affitto del ramo di azienda in corso con altra società, fino al momento di attivazione della Cigs, confermando l'interesse a ricercare sul mercato ulteriori nuovi soci finanziatori o imprenditori interessati all'acquisizione totale o parziale dell'azienda.
In data 19 ottobre 2011 le parti hanno sottoscritto presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un accordo di Cigs per crisi aziendale per cessazione dell'attività a decorrere dal 3 ottobre 2011 fino al 2 ottobre 2012 per un massimo di n. 120 lavoratori, pari all'intero organico aziendale. La concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale è avvenuta con decreto n. 63593 del 28 dicembre 2011.
Nel corso del periodo di intervento della Cigs le parti hanno inoltre convenuto sull'utilizzo della mobilità, subordinata al requisito della non opposizione, finalizzata alla ricollocazione presso aziende terze ed alla realizzazione di progetti di auto imprenditorialità.
La Vaccari Giovanni Spa ha quindi avviato una procedura di mobilità collettiva, con comunicazione del 28 ottobre 2011, per la totalità dei lavoratori impiegati, pari a 117 unità lavorative.
Risultano ricollocati, alla fine del mese di dicembre, 25 lavoratori.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
come riferiscono le agenzie di informazione - un operaio di 30 anni è morto la mattina dell'11 gennaio 2011 all'interno di un capannone a Corbetta, vicino Milano;
il giovane stava lavorando al tetto del magazzino ad un'altezza di circa sei metri quando ha perso l'equilibrio ed è precipitato nel vuoto morendo sul colpo -:
di quali elementi disponga il Ministro interrogato in merito alla dinamica dell'incidente, se l'operaio fosse di nazionalità italiana o straniera e se fosse al suo primo incarico di lavoro.
(4-10345)

Risposta. - In merito all'infortunio mortale occorso la mattina dell'11 gennaio 2011 in un capannone a Corbetta, vicino Milano, si rappresenta quanto segue.
Il lavoratore che ha perso la vita, il signor Andrea Garbini, era titolare artigiano della ditta «El Tulè di Garbini Andrea», situata in località Corbetta (Milano) ed operava, senza dipendenti, nel settore metalmeccanico come lattoniere.
Dall'istruttoria esperita dalla competente sede Inail, è risultato che l'11 gennaio 2011 il signor Garbini stava effettuando una riparazione sul tetto del magazzino della ditta «Trafileria Ceruti», ubicata in località Corbetta (Milano).
Durante lo svolgimento dei lavori, il signor Garbini è scivolato ed è precipitato al suolo da un'altezza di circa 6 metri, perdendo la vita sul colpo.
Sul luogo dell'incidente sono intervenuti gli agenti della polizia municipale ed i tecnici dell'Asl di Magenta (Milano) per effettuare i rilievi ed accertare le cause e circostanze dell'evento.
La sede Inail competente, all'esito dell'istruttoria, ha accertato l'insussistenza dei presupposti per la costituzione della rendita ai superstiti e per la erogazione del beneficio a carico del Fondo per le vittime di gravi incidenti sul lavoro, non risultando la presenza di aventi diritto ai sensi dell'articolo 85 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965.
È stato, invece, corrisposto l'assegno funerario, spettante ai sensi dello stesso articolo 85 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965.

Tutto ciò premesso, si precisa che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire infatti la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche e integrazioni (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.

In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro), di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Con il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando in tal modo il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).

Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché, l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla Commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Tutti i succitati gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività loro devolute. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali:
la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «Testo unico») da parte della commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, con avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 304 del 30 dicembre;
la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 159 dell'11 luglio 2011 del decreto interdipartimentale del 13 aprile 2011, recante «Disposizioni in attuazione dell'articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106 in materia di salute e sicurezza sul lavoro» che disciplina le particolari modalità di svolgimento delle attività delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381;
organizzazioni di volontariato della protezione civile, compresi i volontari della Croce rossa italiana e del Corpo nazionale soccorso alpini e speleologico, e i volontari dei vigili del fuoco;
la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 98 del 29 aprile 2011 - supplemento ordinario n. 111 - del decreto interministeriale dell'11 aprile 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero della salute e con

il Ministero dello sviluppo economico che disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'allegato VII del decreto legislativo del 9 aprile 2008, n. 81, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo;
la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 83 dell'11 aprile 2011 del decreto del 4 febbraio 2011 «Lavori su impianti elettrici ad alta tensione» a firma del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro della salute - che definisce i criteri per il rilascio delle autorizzazioni alle aziende che effettuano lavori sotto tensione, in attuazione dell'articolo 82, comma 2, del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;
l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011, pubblicato sul bollettino ufficiale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 6 del 30 giugno 2011, del comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici previsto dall'articolo 232, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni;
l'approvazione nella conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 21 dicembre 2011, del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle regioni; nella medesima conferenza si sono, inoltre, perfezionati gli accordi concernenti gli articoli 34 e 37 del testo unico che disciplinano rispettivamente la formazione del datore di lavoro che svolge in proprio dei compiti di prevenzione e protezione e la formazione dei lavoratori, preposti e dirigenti. Tali accordi saranno pubblicati nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

Occorre, da ultimo, segnalare che il regolamento recante: norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g) del decreto legislativo n. 81 del 2008, proposto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha ottenuto il parere favorevole della conferenza Stato-regioni (nella seduta del 20 aprile 2011) e della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato (nella seduta del 23 luglio 2011). Il decreto del Presidente della Repubblica n. 177 del 14 settembre 2011 è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana n. 260 dell'8 novembre 2011.
Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
come riferiscono agenzie di stampa e siti internet, un operaio ha perso la vita nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 2011 sulla linea ferroviaria jonica nel Materano, tra le città di Policoro e Nova Siri;
a quanto risulta l'operaio stava effettuando dei lavori di manutenzione quando è stato travolto da un carro adibito a tali interventi;
quale sia l'esatta dinamica dell'incidente;
se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage.
(4-10618)

Risposta. - In merito all'infortunio mortale sul lavoro, richiamato nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché di quelli forniti dall'Inail si rappresenta quanto segue.
Il signor Carmine Costanzo lavorava, con la qualifica di operatore elettrotecnico, alle dipendenze della società Fleet Ventura srl, con sede legale in Paola (Cosenza) operante nel settore metalmeccanico.
A decorrere dal 3 gennaio 2011, il lavoratore era utilizzato, in regime di distacco, presso il cantiere ferroviario della tratta Policoro-Nova Siri, gestito dalla società esecutrice dei lavori Francesco Ventura srl.
Il 27 gennaio 2011, giorno dell'infortunio, il signor Costanzo si trovava, insieme ad altri tre colleghi, presso il citato cantiere per svolgere il proprio turno di lavoro.
La fase lavorativa in esecuzione in quel momento era costituita dal risanamento della cosiddetta «massicciata», costruzione (composta di pietrisco, sassi o altro materiale incoerente) utilizzata come base di appoggio binario.
In particolare, il macchinario utilizzato in tale fase lavorativa è costituito dalla «risanatrice», mezzo meccanico che consente al pietrisco di salire meccanicamente per mezzo di un nastro trasportatore e di passare sopra ad un «vaglio» a più piani di griglia, dove viene selezionato automaticamente. Il pietrisco che soddisfa il giusto calibro viene rimesso sul binario, quello di scarto, invece, viene condotto sui carri tramoggia o depositato di lato al binario. Tale fase viene generalmente effettuata in orari notturni per ragioni di minor traffico ferroviario.
Con particolare riferimento alla dinamica dell'infortunio, si precisa che il giorno dell'infortunio, intorno alle ore 22.30, uno dei tre colleghi stazionava presso la cabina di comando della «risanatrice» mentre gli altri due si trovavano nella parte destra del convoglio per controllare che le pietre di scarto venissero posizionate ai lati della massicciata.
Il signor Costanzo, invece, si trovava sul lato sinistro della macchina e, in qualità di tecnico-elettricista, seguiva il mezzo per eventuali interventi in caso di guasti o anomalie dovute al funzionamento.
L'ipotesi accreditata dall'azienda sanitaria locale è quella secondo cui il lavoratore in parola, inciampando sul pietrisco al margine del binario, sarebbe caduto nello scavo eseguito dalla risanatrice, dove veniva agganciato sul lato sinistro dalla catena di lavoro (normalmente installata sullo stesso macchinario) che lo trascinava dalla parte opposta sino all'imbocco della risalita.
Il signor Costanzo veniva, quindi, risucchiato dal canale di prelievo della ghiaia, posto sul lato destro del carro, rimanendo decapitato.
Sul luogo dell'incidente sono intervenuti i tecnici della Asl di Matera e la Polizia di Stato del Commissariato di Scanzano Jonico

(Matera), che hanno condotto accertamenti circa l'osservanza delle norme di prevenzione in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Nel corso delle indagini, in particolare, sono emerse responsabilità in capo al datore di lavoro per uso di attrezzature da lavoro non conformi alla vigente normativa; sono state, inoltre, individuate responsabilità in capo al direttore del cantiere e al coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, in ordine, rispettivamente, alla mancata attuazione del piano di sicurezza e di coordinamento e al mancato coordinamento in fase di esecuzione. Per le due figure professionali sono state adottate le prescrizioni ai sensi del decreto legislativo n. 758 del 1994.
Infine, è stata accertata la responsabilità del «responsabile dei lavori» ai sensi dell'articolo n. 93, comma 2, del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni, per il quale è stata parimenti adottata la prescrizione ai sensi del decreto legislativo n. 758 del 1994.
Tutto ciò premesso, si precisa che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire infatti la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in conferenza Stato-Regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore delle attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Con il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando in tal modo il quadro normativo in

materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Tutti i su citati gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività loro devolute. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato talune ulteriori attività previste da decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali:
la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «Testo unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, con avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 304 del 30 dicembre;

la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 159 dell'11 luglio 2011 del decreto interdipartimentale del 13 aprile 2011, recante «Disposizioni in attuazione dell'articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106 in materia di salute e sicurezza sul lavoro che disciplina le particolari modalità di svolgimento delle attività delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381; organizzazioni di volontariato della protezione civile, compresi i volontari della Croce rossa italiana e del Corpo nazionale soccorso alpini e speleologico, e i volontari dei vigili del fuoco;
la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 98 del 29 aprile 2011 - supplemento ordinario n. 111 - del decreto interministeriale dell'11 aprile 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero della salute e con il Ministero dello sviluppo economico che disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'allegato VII del decreto legislativo del 9 aprile 2008, n. 81, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo;
la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale n. 83 dell'11 aprile 2011 del decreto del 4 febbraio 2011 «Lavori su impianti elettrici ad alta tensione» a firma del Ministro del lavoro e delle Politiche sociali di concerto con il Ministro della salute - che definisce i criteri per il rilascio delle autorizzazioni alle aziende che effettuano lavori sotto tensione, in attuazione dell'articolo 82, comma 2, del decreto-legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;
l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011, pubblicato sul bollettino ufficiale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 6 del 30 giugno 2011, del comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici previsto dall'articolo 232, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni;
da rilevare, poi, l'approvazione nella conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 21 dicembre 2011 del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione (Sinp), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle regioni;
nella medesima conferenza si sono, inoltre, perfezionati gli accordi concernenti gli articoli 34 e 37 del Testo unico che disciplinano rispettivamente la formazione del datore di lavoro che svolge in proprio dei compiti di prevenzione e protezione e la formazione dei lavoratori, preposti e dirigenti. Tali accordi saranno pubblicati nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

Occorre, da ultimo, segnalare che il regolamento recante: Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell'articolo 6, comma 8 lettera g) del decreto legislativo n. 81 del 2008, proposto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha ottenuto il parere favorevole della conferenza Stato-regioni (nella seduta del 20 aprile 2011) e della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato (nella seduta del 23 luglio 2011). Il decreto del Presidente della Repubblica n. 177 del 14 settembre 2011 è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 260 dell'8 novembre 2011.
Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali cisterne e simili.

Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come riferisce la giornalista Mariapaola Vergallito nel sito on-line del quotidiano Gazzetta del Mezzogiorno, il comune di Senise, per asseriti problemi di bilancio non può più offrire l'assistenza domiciliare per i disabili fino a pochi mesi fa gratuita, un servizio che la legge regionale prevede solo in parte pagato dall'istituzione;
accade pertanto che le famiglie senza alti redditi non possono far fronte alle spese necessarie per avere un aiuto; e a pagare le conseguenze di questa situazione sono bambini e adolescenti che hanno bisogno più degli altri di essere amati e aiutati;
il sito on-line della Gazzetta del Mezzogiorno racconta del caso di Sara, diciassettenne, affetta dalla sindrome di Angelman e con un grave ritardo psicomotorio: sua madre Maria è operaia forestale. Fino a novembre scorso ha ricevuto l'assistenza domiciliare gratuita ma da allora questo servizio è venuto a mancare per problemi di bilancio. Ogni famiglia, in base al reddito, deve pagare una quota oraria per avere l'assistenza domiciliare. Il tetto massimo reddituale corrisponde a poco più di 10.000 euro. «Il reddito che riguarda la mia famiglia - spiega la madre - ammonta a circa 13.000 euro, in base a questo dovrei pagare 1,50 ad ora. I problemi sono due: nel reddito è stato conteggiato, oltre al mio stipendio, anche l'importo che mia figlia ha dell'accompagnamento. È normale? Io non posso, con il mio solo stipendio da forestale, ottenere efficienza cercando di risparmiare per arrivare a fine mese» -:
se il Governo intenda promuovere, con il coinvolgimento delle regioni e degli enti locali, un monitoraggio sull'assistenza domiciliare per i disabili al fine di accertare l'incidenza sulla popolazione delle criticità di cui in premessa e valutare l'effettiva consistenza del problema sull'intero territorio nazionale.
(4-12310)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede se il Governo intende promuovere un monitoraggio sull'assistenza domiciliare per i disabili per valutare l'effettiva consistenza del problema sull'intero territorio nazionale, si rappresenta quanto segue.
L'articolo 117 della Costituzione assegna alla piena potestà legislativa regionale tutte le materie che non siano oggetto di legislazione concorrente od esclusiva dello Stato, Tra le materie assegnate alla piena competenza legislativa delle regioni rientra l'assistenza sociale.
Le esigenze unitarie sovra regionali, la necessità di garantire un livello di uguaglianza di tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale, trovano risposta nella lettera m) dell'articolo 117, che assegna allo Stato la competenza nella «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» cosiddetto Liveas la cui determinazione è il prodotto di un approfondito processo di confronto e

di intesa istituzionale che coinvolge le regioni e le autonomie locali.
Già con le previsioni dell'articolo 1, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328 («Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali») si prevede che «alla gestione ed all'offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati».
Con riguardo al quesito posto dall'interrogante, questo Ministero ha avviato, ad inizio 2009, congiuntamente al Ministero della salute e al dipartimento delle politiche per la famiglia presso la Presidenza del consiglio dei ministri, il progetto «Azioni di sistema e assistenza tecnica a supporto delle regioni per il proseguimento degli obiettivi di servizio in tema di assistenza domiciliare integrata (Adi) per la popolazione anziana».
L'obiettivo generale del progetto è supportare le otto regioni del mezzogiorno nella realizzazione degli interventi tesi al raggiungimento dell'obiettivo di incrementare la percentuale di anziani beneficiari di assistenza domiciliare integrata nell'ambito del quadro strategico nazionale (Qsn) 2007-2013. In particolare, esso mira al miglioramento dell'organizzazione di servizi di cure domiciliari integrate su un modello organizzativo di rete tra i servizi territoriali coinvolti che tenga conto dell'integrazione socio-sanitaria riguardante tutte le fasi dell'intervento assistenziale.

Inoltre, nel progetto Adi, sono attuati sistemi di pianificazione e controllo delle attività concretamente poste in essere e un relativo sistema informativo, anche al fine di individuare le «buone prassi» da estendere a tutto il territorio interessato.
Al momento, si è in attesa della eventuale allocazione di fondi per la seconda biennalità, da parte del dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Ministero dello sviluppo economico.
Inoltre, l'atto di indirizzo e coordinamento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, contenente le priorità politiche per il triennio 2012-2014, pone particolare attenzione ai problemi legati a fenomeni di esclusione sociale e di povertà, nonché alle difficoltà connesse alla situazione di disabilità.
L'intento è, infatti, quello di rafforzare le azioni a carattere sociale attraverso una maggiore collaborazione tra Stato e società. Sulla base di questa nuova prospettiva è stato elaborato uno schema di disegno di legge che delega il Governo sui temi di riforma fiscale ed assistenza, mediante una riqualificazione delle prestazioni in favore dei cittadini in situazione di difficoltà e prevedendo interventi che, sulla base del principio di sussidiarietà, prevedono il trasferimento di alcune competenze ai livelli di Governo più vicini ai bisogni dei cittadini e la promozione di proposte di servizi anche da parte delle famiglie. In particolare, gli interventi destinati alle persone con disabilità e alle persone non autosufficienti, prevedono un impiego più efficiente ed efficace dei finanziamenti della spesa sociale anche mediante il potenziamento del monitoraggio della spesa.
Giova da ultimo rappresentare che l'articolo 5 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 («Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici») ha previsto che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 31 maggio 2012, saranno riviste le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (Isee) al fine di adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia, nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico. Con successivo

decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze verranno altresì definite le modalità con cui sarà rafforzato il sistema dei controlli dell'Isee e i risparmi derivanti da questi interventi, come da altri di carattere procedurale utili a dare applicazione al suddetto articolo 5, saranno riassegnati allo scrivente Ministero per l'attuazione di politiche sociali e assistenziali.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano La Repubblica nella sua edizione del 12 gennaio 2012 pubblica un articolo di Vincenzo Nigro, intitolato «Niente sanzioni per il console fascio-rock», che riferisce del possibile trasferimento del console italiano ad Osaka Marco Vattani in seguito sua discussa e discutibile partecipazione a un concerto conclusosi con il saluto fascista;
il console Marco Vattani, nella circostanza riferita, avrebbe inneggiato alla Repubblica Sociale di Salò e sostenuto in particolare che «la Repubblica italiana è fondata sui valori degli epuratori»;
nell'articolo citato di La Repubblica si legge che «al ministero hanno paura che Vattani padre, l'Umberto che è stato segretario generale e che ha condiviso la carriera con un fratello e due figli, sia in grado di mobilitare tutti i gradi dei Tribunali amministrativi romani per insabbiare qualsiasi censura» -:
quali siano gli intendimenti del Ministro sulla vicenda che ha sollevato polemiche ed avuto una eco non solo nella stampa e nei mezzi di comunicazione italiani, ma anche su quelli internazionali;
se, in particolare, si ritenga che l'esibizione del console Marco Vattani sia compatibile con l'elementare decoro che dovrebbe costituire la «cifra» del corpo diplomatico italiano, rappresentante nelle varie sedi diplomatiche dell'intero Paese;
se si intenda adottare qualche tipo di iniziativa sul piano disciplinare nei confronti del console Marco Vattani; in particolare se si stia preparando un trasferimento del console Marco Vattani, e presso quale sede diplomatica.
(4-14494)

Risposta. - Sin da quando ne è venuto a conoscenza, il Ministro Terzi ha sempre espresso ferma condanna e riprovazione per la vicenda che vede coinvolto il Ministro plenipotenziario Mario Vattani.
Il Ministro degli esteri ha immediatamente disposto il deferimento del funzionario alla Commissione di disciplina, richiedendo l'applicazione dei termini minimi nell'ambito del procedimento disciplinare di cui al Testo unico n. 3 del 1957.
Sulla base di precise istruzioni del Ministro, il Console generale Vattani - richiamato a Roma - si trova attualmente presso l'amministrazione centrale, a disposizione della commissione di disciplina, che terminerà i suoi lavori nel più breve tempo possibile.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.

GARAVINI, GIANNI FARINA, FEDI, NARDUCCI e PORTA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il ruolo del personale a contratto del Ministero degli affari esteri, che oggi ha raggiunto all'incirca 1.200 unità, a seguito della drastica riduzione delle risorse destinate al sostegno delle politiche migratorie e alla rete diplomatico-consolare e degli istituti di cultura, assume una crescente rilevanza nell'assicurare una parte importante dei servizi erogati;
ciononostante, le retribuzioni del personale a contratto sono rimaste sostanzialmente

invariate dall'anno 2000 e potrebbero ora subire una decurtazione a seguito dell'applicazione da parte del Ministero degli affari esteri delle disposizioni contenute nel decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 2011 e nel decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011 con i quali sono stati ridotti i benefici fiscali per la categoria;
il trattamento riservato al personale a contratto è caratterizzato da bassi salari, scarsi diritti sindacali e una progressiva precarizzazione del rapporto di lavoro;
a questo si aggiunge l'incertezza relativa alla «detrazione per carichi di famiglia» riconosciuta ai contrattisti per l'anno corrente, ma non ancora confermata per quelli a venire;
sarebbe auspicabile infine una celere approvazione della proposta di legge recante «Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie di personale del Ministero degli affari esteri» (717), attualmente in Senato -:
se ritenga di quantificare l'erosione delle già contenute retribuzioni del personale a contratto e assumere ogni iniziativa di competenza per favorire un adeguamento salariale capace di riassorbire l'effetto delle disposizioni che hanno ridotto i benefici fiscali precedentemente garantiti.
(4-13995)

Risposta. - Per confermare la rilevanza del personale assunto a contratto per il funzionamento della rete diplomatico-consolare e degli Istituti italiani di cultura, il relativo contingente è stato via via incrementato dal legislatore e consta attualmente di 2.492 unità.
I relativi rapporti di lavoro, lungi dal rappresentare una forma di precariato, sono a tempo indeterminato per la quasi totalità. La legge contempla infatti la possibilità di assunzioni con contratti semestrali solo in caso di sostituzione di personale in servizio in situazioni che comportino la sospensione del trattamento economico o, a titolo di potenziamento, in caso di «particolari esigenze di servizio». Gli impiegati così assunti rappresentano in ogni caso, allo stato attuale, meno dell'1 per cento del personale a contratto attualmente in servizio.
L'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967 stabilisce altresì parametri volti ad assicurare la congruità delle retribuzioni del personale delle sedi italiane tenendo presente le condizioni del mercato locale e la loro idoneità ad assumere gli elementi più qualificati.
Nel rispetto dei presupposti di legge, senza contare gli adeguamenti relativi agli anni precedenti, nel solo triennio 2008-2010 l'amministrazione degli esteri ha aumentato dunque le retribuzioni degli impiegati a contratto in servizio in 52 paesi. Nel corso dell'ultimo anno, grazie al parere del Consiglio di Stato, è stata inoltre chiarita l'esclusione del personale a contratto dal blocco triennale delle retribuzioni disposto per i dipendenti pubblici dal decreto-legge 78 del 2010, rendendo così possibile disporre nuove misure di adeguamento.
Costituiscono per contro, allo stato attuale, una mera possibilità le decurtazioni di reddito evocate dagli interroganti. Esse interesserebbero quella parte del personale a contratto soggetta, in Italia, al pagamento dell'imposta sul reddito. Tale categoria gode attualmente di un regime agevolato che assoggetta a tassazione solo il 50 per cento dello stipendio percepito. Le leggi n. 111 e n. 148 del 2011, nel disporre una riduzione percentuale di tale agevolazione, stabiliscono tuttavia che tale riduzione non abbia efficacia se entro il 30 settembre 2012 verranno raggiunti gli specifici obiettivi di razionalizzazione della spesa sociale fissati dalla manovra. La paventata decurtazione deve pertanto considerarsi una possibilità non ancora tradottasi in una effettiva riduzione dello stipendio netto del personale a contratto, il cui verificarsi esula peraltro dai poteri di controllo del Ministero degli esteri.
Non si ravvisano pertanto gli estremi di una erosione generalizzata delle retribuzioni del personale a contratto, attesi i numerosi aumenti concessi negli anni passati e non

essendosi ancora verificato il prospettato aumento della pressione fiscale. Dopo la conferma da parte del Consiglio di Stato dell'esclusione del personale a contratto dal blocco delle retribuzioni, di cui al decreto-legge 78 del 2010, sulla base di un esame delle richieste prioritarie giunte dalle sedi interessate, l'Amministrazione degli esteri sta ora vagliando un nuovo programma di adeguamenti, che verranno nelle prossime settimane sottoposte all'attenzione degli organi di controllo in vista di una rapida approvazione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.

LAMORTE. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per il turismo. - Per sapere - premesso che:
in data 21 febbraio 2002 per iniziativa dell'Anci (Associazione nazionale comuni italiani), di Anci servizi e di alcuni piccoli comuni, è stato costituito il club denominato «I Borghi più belli d'Italia» con sede in via degli Scipioni 175 - Roma;
la costituzione è avvenuta secondo quanto previsto dallo statuto dell'Anci;
i comuni riconosciuti tra i borghi più belli devono essere soci dell'Anci;
i predetti comuni devono versare una quota associativa fino a 2.750,00 euro, oltre la quota associativa dovuta all'Anci;
lo statuto del club all'articolo 2, comma 4, prevede «di diffondere presso l'opinione pubblica nazionale ed internazionale la conoscenza delle bellezze della provincia italiana»;
il Ministro per i beni e le attività culturali ha scritto la prefazione per la guida dei borghi più belli -:
se il Governo abbia partecipato finanziariamente all'organizzazione dei viaggi all'estero a Tokio nell'anno 2009 e a Mosca al fine di promuovere l'iniziativa;
se risulti al Governo se le spese dei viaggi dei comuni siano state affrontate nel rispetto delle normative in materia di contabilità pubblica e di patto di stabilità con gli enti locali;
se il Ministro per i beni e le attività culturali abbia avuto modo di verificare, prima di scrivere la prefazione, il rigore delle scelte compiute con riferimento al rilascio della qualifica di borgo più bello;
se non intenda adottare iniziative affinché anche il ministero per i beni e le attività culturali possa essere coinvolto nel garantire l'oggettività, l'economicità e la trasparenza delle procedure di selezione.
(4-07461)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante ha chiesto di conoscere se l'allora Ministro per i beni e le attività culturali abbia avuto modo di verificare, prima di scrivere la prefazione per la guida de «I Borghi più belli d'Italia», edizione 2009, di iniziativa dell'Anci, il rigore delle scelte compiute con riferimento al rilascio della qualifica di borgo più bello, si fa presente che la decisione del Ministro pro tempore di scrivere la prefazione della suddetta guida è stata del tutto personale e che non risultano erogati contributi da parte di questa Amministrazione in favore dell'Anci.
Inoltre si fa presente che questa amministrazione ha competenze in materia di tutela e valorizzazione e che non rientrano, tra le sue competenze, iniziative volte a garantite l'oggettività, l'economicità e la trasparenza delle procedure di selezione dei borghi più belli d'Italia nelle guide edite da altri soggetti.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.

LARATTA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. - Per sapere - premesso che:
nella città di Rosarno, in Calabria, dove qualche tempo fa si sono verificati i

drammatici fatti legati all'immigrazione di cui tutta Italia ha parlato, si vive in questi giorni una nuova drammatica vicenda che potrebbe esplodere con conseguenze molto gravi;
secondo quanto denunciato da alcune istituzioni locali, dalle diverse associazioni di volontariato, dal sindacato, e per quanto proprio oggi denunciato dai ragazzi del Liceo Scientifico «R. Piria» di Rosarno, «vi sono centinaia di migranti accampati in vecchi ruderi nelle periferie della città»;
i ragazzi denunciano di aver trovato «una situazione allucinante e mai immaginabile: centinaia di persone ammassate per terra, senza un giaciglio, senza coperte, senza cibo, senza acqua, senza servizi igienici, senza lavoro, senza soldi, senza la possibilità di poter sperare in momenti migliori. Una desolazione e mortificazione per degli esseri umani e maggiormente per chi dovrebbe garantire delle condizioni civili e nulla ha fatto per evitare tale situazione di pesante degrado»;
è evidente che ci troviamo davanti all'esplodere di una vera e propria emergenza umanitaria dalle conseguenze inimmaginabili, stante anche le difficili condizioni sociali ed economiche in cui si trova la cittadina di Rosarno;
le condizioni degli immigrati della zona sono sempre più difficili, le tensioni nella città sono molto forti, si rischiano anche scontri tra gruppi diversi per come è accaduto negli anni scorsi -:
se il governo sia a conoscenza su quanto su esposto;
cosa intenda fare, per quanto di sua competenza, per rispondere all'emergenza che si vive nella città di Rosarno;
come intenda intervenire per rispondere alla drammatica condizione degli immigrati;
cosa intenda fare per ripristinare la legalità violata nella zona interessata.
(4-14237)

Risposta. - Una delle priorità del Governo è quella di favorire l'integrazione di cittadini stranieri provenienti da contesti economici, sociali, culturali e religiosi diversi.
In questa direzione particolare attenzione è riservata alla situazione degli immigrati che vivono nel comune di Rosarno.
La prefettura di Reggio Calabria, l'amministrazione comunale e tutte le altre istituzioni coinvolte sono fortemente impegnate a garantire il rispetto della legalità e l'effettiva integrazione degli immigrati nell'ambito della comunità rosarnese, assicurando condizioni alloggiative dignitose a quanti sono impegnati nei lavori stagionali.
A tal fine, presso la Prefettura, è stato istituito un tavolo tecnico permanente - del quale fanno parte oltre al sindaco, anche rappresentanti della regione Calabria, delle associazioni di categoria del settore agricolo e delle organizzazioni di volontariato - per definire tutte le iniziative necessarie a scongiurare il ripetersi di situazioni critiche, a prevenire situazioni di degrado igienico-sanitario e ad assicurare ai lavoratori immigrati sistemazioni dignitose.
Dai lavori del tavolo sono emerse importanti indicazioni sulla fisionomia attuale del fenomeno.
In particolare, è risultato che il numero degli extracomunitari si aggira attualmente intorno alle 1.000 unità, ed è superiore di oltre il doppio rispetto a quello registrato nel 2011.
Tale dato appare, peraltro, in controtendenza rispetto all'andamento del settore agrumicolo che ha subito gli effetti della grave crisi del mercato, con una preoccupante caduta dei prezzi, tale da comprimere i ricavi delle imprese agricole, scoraggiando l'assunzione di lavoratori da adibire a tale attività.
Al fine di dare adeguata sistemazione alloggiativa ai lavoratori extracomunitari, su impulso della prefettura, il sindaco di Rosarno ha disposto la riapertura del centro di accoglienza situato in località Testa dell'Acqua, in grado di ospitare circa 120 stranieri. La Regione Calabria, inoltre, si è

impegnata ad erogare le somme necessarie a sostenere le spese di ristrutturazione del centro.
La struttura non può accogliere, tuttavia, tutti gli immigrati che hanno richiesto alloggio, i quali - secondo i dati fomiti dal comune - sono circa duecentosessanta.
Il Ministero dell'interno, pertanto, ha disposto che vengano dislocati in un'area limitrofa a quella del centro altri moduli prefabbricati, previa realizzazione degli interventi di adeguamento a carico dell'amministrazione comunale.
Nel medio periodo, tra l'altro, risulterà disponibile un'ulteriore struttura destinata all'ospitalità, relativa al progetto «utilizzo di un bene confiscato per la realizzazione di un centro di accoglienza e di formazione per migranti, per l'inserimento sociale e lavorativo» finanziata con risorse del programma operativo nazionale sicurezza per lo sviluppo del mezzogiorno, i cui lavori sono stati già aggiudicati alla ditta vincitrice del relativo appalto.
Alle iniziative di carattere istituzionale si aggiungono quelle promosse dalle organizzazioni di volontariato che operano nel territorio, tra cui la Caritas che assicura banche alimentari a favore dei migranti e servizi di assistenza presso una struttura di proprietà del comune di Rizziconi ove sono ospitati circa 40 extracomunitari.
L'associazione medici senza frontiere, inoltre, ha provveduto a distribuire kit di assistenza sanitaria mentre l'Onlus Emergency ha reso disponibile un ambulatorio mobile per attività di primo soccorso.
La situazione è oggetto di costante attenzione in occasione delle periodiche riunioni di coordinamento delle Forze di polizia ed è stata ulteriormente approfondita in sede di Comitato provinciale dell'ordine e della sicurezza pubblica il 14 dicembre 2011.
Nell'occasione è stato deciso di richiedere, al dipartimento di protezione civile della regione Calabria, la fornitura di sette moduli abitativi da sistemare all'interno del centro di accoglienza, situato in località Testa dell'Acqua, aumentando la capienza della struttura di ulteriori trenta posti.
Nella stessa riunione, inoltre, è stato concordato di sollecitare la regione Calabria ad acquisire la temporanea disponibilità di un terreno, situato nel Comune di San Ferdinando, per realizzarvi una tendopoli capace di ospitare circa trecento persone.
Non si è proceduto, pertanto, alle operazioni di sgombero coattivo degli immobili provvisoriamente utilizzati dagli extracomunitari, che potranno essere alloggiati presso la citata struttura di accoglienza.
Al momento, anche grazie all'azione del sindaco che ha incontrato più volte i rappresentanti degli immigrati, non si sono registrati momenti di particolari tensioni.
Certamente l'obiettivo invocato non può essere raggiunto solamente attraverso una costante attività di vigilanza e prevenzione da parte delle Forze di Polizia. È necessaria una rete che coinvolga la prefettura, gli enti locali e tutte le altre istituzioni che operano sul territorio nonché le associazioni di volontariato, in un'ottica di responsabilità e solidarietà.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.

MARIANI, RUGGHIA e GATTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in data 29 settembre 2011 si è svolta una visita della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito, presso il Centro interforze studi applicazioni militari (Cisam) di Pisa (ex Cresam);
in quell'occasione è stata rappresentata, tra l'altro, la situazione in cui si trova il personale del Cisam a causa della mancata applicazione del contratto collettivo nazionale relativo al comparto ricerca;
già da tempo sono state elaborate e definitivamente sottoscritte ed applicate tabelle di equiparazione ed inquadramento per altro personale (Materialeradar di Livorno), ugualmente dipendente dal Ministero della difesa e transitato dal comparto ministeri a quello ricerca con decorrenza 1° gennaio 1994, in virtù del decreto del Presidente del Consiglio dei

ministri 30 dicembre 1993, n. 593 - regolamento concernente la determinazione e la composizione dei comparti di contrattazione collettiva di cui all'articolo 45, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29;
l'articolo 8, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 dicembre 1993, n. 593 prevede anche per il personale del Cisam (ex Cresam) il passaggio al comparto di contrattazione collettiva del personale delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione previsto dall'articolo 2, comma 1, lettera f), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri medesimo;
il personale del Cisam, in base alle norme sopracitate, ha diritto alla stessa soluzione contrattuale e al medesimo trattamento corrisposto ad altro personale già inserito nel comparto ricerca -:
per quale ragione la normativa citata in premessa non sia ancora stata applicata al personale del Cisam;
quali iniziative il Ministro intenda assumere, per l'immediata apertura della prevista trattativa sindacale volta a comporre la vertenza contrattuale delineata in premessa.
(4-13811)

Risposta. - L'interrogazione in esame ha ad oggetto la mancata applicazione al personale civile in servizio presso il Cisam di San Piero a Grado (Pisa) del Contratto nazionale del comparto degli enti della ricerca e delle tabelle di equiparazione ed inquadramento già adottate per altro personale (Mariteleradar di Livorno), ugualmente inserito nel comparto ricerca in virtù del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) n. 593 del 30 dicembre 1993.
Evidenzio, a tale riguardo, che nei confronti di detto personale ha trovato applicazione, per il periodo 1° gennaio 1994/31 dicembre 2001 il contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) del comparto ricerca, per effetto dell'articolo 8 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 593 del 1993 e dell'articolo 7 del contratto collettivo nazionale quadro (Ccnq) di definizione dei comparti di contrattazione, datato 2 giugno 1998.
Successivamente, il Ccnq di definizione dei comparti per il quadriennio 2002/2005, siglato in data 18 febbraio 2002, ha disposto il rientro del suddetto personale nel comparto ministeri.
L'articolo 67 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto ricerca, siglato il 21 febbraio 2002, riferendosi proprio al suddetto centro stabiliva che, al fine di dare effettiva applicazione al contratto stesso, dovevano essere definite, in sede di contrattazione collettiva integrative, le necessarie tabelle di equiparazione tra i profili posseduti dal personale del Cisam (comparto ministeri) e quelli previsti per il personale del comparto ricerca.
In conformità a tale disposizione, il titolare pro-tempore della direzione generale per il personale civile delegato alla contrattazione, siglò con le organizzazioni sindacali di categoria, in data 21 giugno 2002, un'ipotesi di accordo.
Il Dipartimento della funzione pubblica e il Ministero dell'economia, tuttavia, in sede di certificazione dell'ipotesi - certificazione normativamente prevista - formulò significative osservazioni sul merito della stessa, in quanto nella circostanza non era stato rispettato il vincolo del «costo zero».
In relazione alle posizioni assunte dagli organi certificatori (dipartimento della funzione pubblica e Ministero dell'economia), la competente direzione generale riaprì la contrattazione con le organizzazioni sindacali che, però, si rifiutarono di presentarsi all'incontro.
A seguito di ciò il personale interessato, sul presupposto che quell'ipotesi di accordo fosse definitiva, proposero ricorso al giudice ordinario, chiedendone l'immediata applicazione.
La vertenza, favorevole agli interessati in primo grado, si è poi conclusa favorevolmente all'amministrazione, con sentenza della Suprema Corte di cassazione - sezioni unite civili n. 7159 del 2010 del 25 marzo 2010.
Questo il quadro di riferimento informativo sulla questione relativa alla mancata

applicazione al personale del Cisam del contratto collettivo nazionale del Comparto ricerca.
Per quanto riguarda, invece, l'effettiva applicazione del predetto Ccnl comparto ricerca, per il periodo 1° gennaio 1994/31 dicembre 2001, rendo noto che occorre definire, in sede di contrattazione integrativa con le organizzazioni sindacali di categoria, le tabelle di equiparazione tra i profili del personale della ricerca e quello dei ministeri, ferme restando le osservazioni sul rispetto del vincolo del «costo zero», formulate a suo tempo dai citati organi certificatori.
Per tale motivo, la direzione generale competente ha già calendarizzato appositi incontri con le organizzazioni sindacali di entrambi i comparti, per avviare a definizione la problematica di cui sopra.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.

MIGLIORI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
si apprende che il dissidente Andrej Sannikov, già candidato alla Presidenza della Repubblica di Bielorussia ed ormai da più di un anno nelle carceri senza alcun tipo di credibile accusa, sarebbe scomparso anche dall'ultima «residenza carceraria» senza che né i familiari né la difesa abbiano alcuna notizia circa la sua effettiva localizzazione;
necessita un organico e deciso pronunciamento dell'Unione europea e dell'OSCE per l'individuazione prima e della liberazione poi di Andrej Sannikov -:
quali iniziative urgenti s'intendano assumere nei confronti del Governo bielorusso ai fini della liberazione di Andrej Sannikov.
(4-13959)

Risposta. - Il Ministero degli affari esteri segue con grande attenzione la sorte dei detenuti arrestati in occasione delle manifestazioni di piazza che ebbero luogo dopo le elezioni presidenziali del 19 dicembre 2010, tra cui figura l'ex candidato alle presidenziali Andrej Sannikov. Già all'atto della sua condanna, la Farnesina aveva denunciato la motivazione politica e la natura contraria ai principi europei dello stato di diritto e alla tutela dei diritti fondamentali dei singoli individui della sentenza, tra cui la pacifica espressione delle opinioni politiche.
La sentenza di condanna, emessa in primo grado il 14 maggio 2011, è stata poi confermata in appello il 15 luglio 2011. Sulla base delle informazioni raccolte dalla nostra ambasciata a Minsk, risulta che, secondo la normativa del Belarus, solo un provvedimento di clemenza del Presidente Lukashenko (che Sannikov stesso dovrebbe richiedere per iscritto) potrebbe, teoricamente, sospenderne l'efficacia. Il 20 settembre 2011, Sannikov è stato trasferito nell'istituto di pena n. 2 nella città di Babruysk e successivamente, a metà novembre, trasferito nuovamente prima a Moghilev, e poi nell'attuale casa circondariale di Vitsba 3. La signora Irina Khalip, consorte del prigioniero, ha denunciato un'opera di prolungata censura della propria corrispondenza da parte delle autorità penitenziarie, mentre da due mesi viene negato all'avvocato difensore del detenuto, Maryna Kavalewskaya, il diritto di visita del proprio assistito.
Nel corso di un recente incontro alla Farnesina, abbiamo espresso all'ambasciatore della Repubblica di Belarus la nostra crescente preoccupazione per le precarie condizioni di salute dell'ex candidato presidenziale. E stata nell'occasione ribadita con assoluta chiarezza e piena fermezza la posizione del Governo italiano, analoga a quella dell'Unione europea, con la richiesta dell'immediata liberazione e riabilitazione di Sannikov e degli altri prigionieri politici (Nikolaj Statkievich - anch'egli ex candidato alle presidenziali - e Ales Byalyatski, direttore dell'Ong «Vesna»).
Il Governo italiano si è inoltre unito agli auspici dall'Alto rappresentante dell'Unione europea Ashton, e del Segretario di Stato americano Clinton, le quali, in occasione dell'anniversario delle manifestazioni di protesta del 19 dicembre 2010, hanno ribadito

la richiesta di immediata liberazione e riabilitazione di tutti i prigionieri politici in Belarus.
Tale richiesta era già stata formulata con chiarezza in occasione del rinnovo delle misure sanzionatore che il Consiglio affari esteri dell'Unione europea ha deciso il 10 ottobre 2011 con pieno appoggio da parte italiana. Unitamente ai maggiori partners europei, e di concerto con le competenti istanze dell'Unione, l'Italia sta inoltre considerando la possibilità di estendere le misure sanzionatone («visa ban» e «asset freeze») a fattispecie inerenti la più ampia protezione dei diritti umani all'interno del Paese.
L'Italia crede inoltre fermamente ad un ruolo ancor più attivo dell'Unione europea nel Belarus, a beneficio di una coraggiosa politica di condizionalità democratica. Tuttavia, siamo al contempo consapevoli della necessità di coadiuvare le pressioni diplomatiche e le misure sanzionatorie con una più profonda strategia di intervento unitario, che possa indurre il Governo di Minsk ad allentare la morsa repressiva. A questo proposito, in raccordo con il servizio europeo di azione esterna, abbiamo avviato con i nostri partners europei una riflessione sulla necessità di stringere legami più solidi con la società civile in Belarus, al fine di costruire le basi per un rinnovamento democratico del Paese.
Sul fronte Osce la decisione assunta dalle Autorità bielorusse alla fine del 2010 di chiudere l'ufficio di Minsk ha pesantemente condizionato i rapporti con l'organizzazione viennese, che è stata privata di un prezioso strumento per la promozione dei valori democratici nel Paese. Nel corso del 2011 si sono moltiplicate le condanne contro la Bielorussia che hanno anche portato all'attivazione del «Meccanismo di Mosca» dell'Osce, uno strumento che prevede l'invio di esperti per il monitoraggio dei diritti umani. Nonostante la netta opposizione di Minsk abbia impedito il dispiegamento nel Paese di una commissione di esperti, si è provveduto alla nomina di un rapporteur, il professor Decaux, che ha predisposto un rapporto fortemente critico nei confronti della Bielorussia. La situazione del Paese è stata ampiamente dibattuta anche in occasione dello «Human dimension implementation meeting» dell'Osce (Varsavia, 26 settembre-7 ottobre 2011), al quale hanno partecipato numerose Ong bielorusse che hanno colto l'occasione per dare pubblicità alle ripetute violazioni delle libertà fondamentali nel Paese, in particolar modo della libertà di associazione e di espressione.
In occasione della ministeriale Osce di Vilnius (6-7 dicembre 2011), il Ministro Terzi ha chiesto la sospensione del ricorso alla pena capitale da parte delle Bielorussia, richiamando le risoluzioni che l'Italia ha promosso al riguardo all'Assemblea generale delle nazioni unite.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.

MONTAGNOLI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la BMW Servizi Logistici ha sede a Dolcè (Verona), nella frazione di Volargne, ed è il magazzino da cui vengono gestiti tutti i pezzi di ricambio di BMW per l'Italia;
BMW ha dato in appalto il lavoro alla E.D. (Express Delivery) s.r.l. di Bussolengo (Verona), che a sua volta lo ha dato alla Cooperativa Milano Servizi;
la predetta Cooperativa - che conta poco più di 40 unità - prima della scorsa estate 2011 ha deciso di sottoinquadrare al 5° livello i lavoratori inquadrati al 3°, al fine di contenere i costi;
risulta all'interrogante che il SIN.PA - Sindacato Padano, il solo rappresentato all'interno della cooperativa con oltre 20 iscritti, si sia opposto a tale decisione proponendo in alternativa un accordo per un «piano di crisi aziendale» e che per tutta risposta la Cooperativa abbia licenziato, lo scorso 30 settembre, 7 dipendenti iscritti al sindacato ed inquadrati al 3°;

tali licenziamenti appaiono all'interrogante del tutto illegittimi e discriminatori -:
se i fatti esposti in premessa corrispondano a verità;
se, in particolare, corrisponda al vero che la cooperativa abbia sottoinquadrato i lavoratori non iscritti al Sin.Pa., mentre gli iscritti siano stati licenziati senza fornire loro alcuna motivazione;
se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere rispetto a provvedimenti che l'interrogante ritiene illegittimi, al fine di ripristinare la legalità e tutelare i lavoratori colpiti.
(4-13799)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali iniziative si intendano assumere in merito al demansionamento di alcuni lavoratori dipendenti dalla società cooperativa Milano servizi, si rappresenta quanto segue.
A seguito dell'intervento effettuato dalla direzione territoriale del lavoro di Verona-Unità operativa vigilanza ordinaria, risulta che la società cooperativa Milano servizi con sede in Milano ha un contratto di appalto con la ditta E.D. s.p.a. Express delivery con sede in Bussolengo (Verona) per la gestione del centro logistico della ditta BMW Italia s.p.a. situato in Dolce (Verona).
La società Cooperativa Milano servizi, tramite processo verbale di conciliazione rep. nn. da 1962/2011 a 1969/2011 del 15 novembre 2011, redatto presso la commissione provinciale di conciliazione della direzione territoriale del lavoro di Verona, ha raggiunto un accordo con i soci lavoratori: Espinel Rojas Deicy Estella, Munteanu Alina Diana, Rinco Daniela, Turrina Germano, Vantini Clara, Tognetti Marco, Bonati Giacomo e Bodini Tiziana sui seguenti punti:
a) la Società Cooperativa Milano servizi ha offerto ai soci lavoratori, in alternativa alla esclusione da soci e connessa risoluzione del rapporto mutualistico, il demansionamento dal livello contrattuale 3° al 5° del C.c.n.l. trasporto merci logistica;
b) i soci lavoratori hanno accettato il demansionamento del livello come sopra prospettato allo scopo di ridurre i costi della cooperativa ed evitare lo scioglimento del rapporto sociale;
c) le parti si sono date reciprocamente atto che il predetto convenuto demansionamento decorre dal 1° dicembre 2011.

Si precisa che sono in corso ulteriori accertamenti da parte della direzione territoriale del lavoro di Verona per stabilire la congruenza tra le modalità di effettivo svolgimento del contratto di appalto intercorrente tra la società cooperativa Milano sevizi e la ditta E.D. s.p.a. Express Delivery e quanto disposto dall'articolo 1655 del codice civile e dall'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 («Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30»), che disciplinano l'istituto dell'appalto e i profili relativi al personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore.
Si conferma la disponibilità del Ministero a fornire eventuali ulteriori elementi di risposta in ordine a quanto già descritto.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.

MORASSUT e GIULIETTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi la stampa nazionale ha riportato con grande rilievo la notizia che il console italiano a Osaka, Mario Vattani, risulta essere aderente ad organizzazioni politiche e culturali che si richiamano esplicitamente alla Repubblica di Salò e che professano ideologie neofasciste in aperta e palese contraddizione con i valori fondanti della Repubblica Italiana e della Costituzione;

lo stesso Vattani non ha nascosto tale sua adesione e ideologia manifestando altresì apertamente la sua appartenenza e arrivando pubblicamente a definire la Repubblica italiana un Repubblica di epuratori;
peraltro nel corso di manifestazioni pubbliche il consigliere Vattani ha connotato tale sua ispirazione ideologica anche in forme di spettacolo partecipando ad esibizioni musicali di gruppi «fascio-rock» con l'appellativo di «Katanga»;
tutto ciò - lungi dal rappresentare una forma di discriminazione politico-ideologica - appare evidentemente incompatibile con incarichi rilevanti di rappresentanza diplomatica della Repubblica italiana presso sedi estere e più in generale di rappresentanza istituzionale di qualsivoglia natura;
a seguito di tali notizie il Ministro degli affari esteri Giulio Terzi ha pubblicamente espresso attraverso gli organi del Ministero la decisione di deferire il consigliere Vattani alla commissione di disciplina della Farnesina, comunicandolo personalmente all'interessato;
l'inaspettata vicenda ha sollevato sorpresa e proteste da parte del mondo delle associazioni da sempre impegnate per conservare e rinnovare la memoria della Resistenza che è alla base della Costituzione e della costruzione repubblicana -:
quali siano lo stato e i tempi della procedura del deferimento disciplinare annunciato;
quali iniziative siano state assunte per accelerare il ritiro della delega a console al consigliere Vattani che rappresenterebbe un elemento di negativa immagine del nostro Paese in Giappone e nel mondo.
(4-14466)

Risposta. - Sin da quando ne è venuto a conoscenza, il Ministro Terzi ha sempre espresso ferma condanna e riprovazione per la vicenda che vede coinvolto il ministro plenipotenziario Mario Vattani.
Il Ministro degli affari esteri ha immediatamente disposto il deferimento del funzionario alla commissione di disciplina, richiedendo l'applicazione dei termini minimi nell'ambito del procedimento disciplinare di cui al testo unico n. 3 del 1957.
Sulla base di precise istruzioni del Ministro, il Console generale Vattani - richiamato a Roma - si trova attualmente presso l'Amministrazione centrale, a disposizione della commissione di disciplina, che terminerà i suoi lavori nel più breve tempo possibile.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.

PALADINI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
«Festa» è una società controllata di Snai avente, tra le altre, due sedi a Roma, a via Tor Pagnotta e Bufalotta; la stessa, con un piccolo accordo aziendale e tentando il modello «Marchionne» rischia di stravolgere anni di diritti acquisiti, scavalcando le regole sulle rappresentanze sindacali e le leggi a tutela dei lavoratori;
coloro che non hanno accettato di rinunciare al contratto collettivo sarebbero stati sottoposti ad un regime di ferie forzate e trasferte a tempo indeterminato nella sede di Porcari (Lucca);
in tale situazione risulterebbero coinvolte anche mamme in periodo di allattamento e lavoratori che dovendo assistere familiari usufruiscono della legge n. 104;
viene lamentata dai lavoratori l'esclusione dei sindacati dalla discussione del nuovo accordo e la totale mancanza di regole e di rispetto per i diritti acquisiti;
le scelte dell'azienda Festa Snai, sono frutto di un semplice accordo aziendale che così posto scavalcherebbe ogni prassi di diritto non potendo come tale essere accettato dai lavoratori anche alla luce di quella che appare essere la volontà dell'azienda di allargare anche ad altre sedi,

tra le quali quella di Lucca, le nuove disposizioni contrattuali -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della su esposta situazione;
se non ritenga di intervenire al fine di garantire la tutela sindacale e sostanziale dei diritti dei lavoratori.
(4-12450)

Risposta. - Con riferimento all'atto parlamentare in esame, inerente la vicenda dei dipendenti del call center Festa srl (facente parte del gruppo Snai), operanti presso le sedi di Roma, si precisa quanto segue.
Il giorno 23 marzo 2011 la federazione sindacale Fistel-Cisl e i vertici aziendali di Festa srl hanno sottoscritto un accordo aziendale avente ad oggetto le attività di call center (in modalità outbound) che la Festa srl svolge, in regime di esternalizzazione, presso le due sedi di Roma.
L'accordo prevedeva, in premessa, la stabilizzazione di circa 150 lavoratori, occupati con contratto di lavoro a progetto (Co.Co.Pro.), al fine di «garantire una maggiore professionalizzazione e, di conseguenza, un aumento di redditività in un'ottica di valorizzazione del capitale umano e dei diritti dei lavoratori».
Nelle intenzioni della società, inoltre, il predetto accordo avrebbe sostituito il contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) del commercio, sino allora vigente presso le due sedi di Roma, la cui regolamentazione della materia è stata ritenuta non più confacente alla realtà aziendale locale. Per contro, il CCNL del commercio avrebbe continuato ad applicarsi nei confronti del personale di Festa srl, impiegato presso la sede legale della società medesima, sita in Porcari (Lucca).
Con il personale precedentemente occupato con il CCNL del commercio, la Festa srl ha provveduto a sottoscrivere singoli verbali di conciliazione con i quali venivano definite le procedure da attuare per il passaggio dal CCNL del commercio in essere all'accordo aziendale del 23 marzo 2011. In tali verbali, in particolare, la società ha esplicitamente garantito agli stessi lavoratori la massima retribuzione lorda annua unitamente alla possibilità di incrementare la stessa per effetto di un importo variabile mensile o trimestrale.
In siffatto contesto, la società In parola ha disposto - nel maggio 2011 - il trasferimento, presso la sede legale dell'azienda (dove continuava a trovare applicazione il CCNL del commercio), di quei dipendenti, pari a 10 unità, che non avevano voluto sottoscrivere l'accordo aziendale.
Di questi lavoratori, n. 7 unità venivano, in un primo momento, licenziate (nel giugno 2011) a seguito di procedimenti disciplinari dovuti ad assenza ingiustificata dal lavoro (non essendosi gli stessi presentati presso la sede di Porcari); dei restanti tre lavoratori, due hanno presentato certificato medico mentre il terzo ha regolarmente preso servizio.
I provvedimenti di licenziamento venivano impugnati dai lavoratori in questione dinanzi al giudice ordinario e la trattazione dei ricorsi veniva fissata per il 2012.
Successivamente, a seguito dell'emanazione di due sentenze del tribunale civile di Roma, che sottolineavano la possibilità di coesistenza, in una stessa unità produttiva, di due diverse regolamentazioni collettive (contratto collettivo nazionale del commercio e contratto collettivo aziendale), la società decideva di reintegrare nella sede di Roma, a decorrere dal 17 ottobre 2011, i tre lavoratori non licenziati, mantenendo, quindi, per gli stessi l'applicazione del contratto collettivo nazionale del commercio.
Per quanto riguarda invece i lavoratori licenziati, la società ha attivato una procedura di conciliazione volta al reintegro anche degli stessi sulle sedi di Roma (sempre con applicazione del Ccnl del commercio). Si precisa al riguardo che il 15 novembre 2011 la società ha sottoscritto verbali di conciliazione giudiziale con sei delle sette unità in precedenza licenziate.
Per tali unità, infatti, la società ha determinato il superamento del contenzioso esistente, attraverso la revoca della trasferta e del licenziamento e l'effettiva ripresa del servizio a decorrere dal 18 novembre 2011.
In conclusione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non può che garantire

sin da ora, la piena disponibilità a tenere informato l'interrogante in ordine agli ulteriori eventuali sviluppi della vicenda.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.

PALADINI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
Faro Assicurazioni, compagnia genovese, ha sede legale in Roma, la propria direzione generale a Genova e sedi secondarie operative a Milano e Padova; il personale attualmente impegnato è pari a 97 unità dislocate nel numero di 17 a Roma, 3 a Padova, 7 a Milano, 70 a Genova;
l'Isvap, organismo di controllo delle imprese assicurative, nella riunione del 18 gennaio 2011 deliberava la proposta di adozione del decreto di scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo di Faro s.p.a. e l'amministrazione straordinaria dell'impresa per la durata di un anno;
la proposta veniva accolta dal Ministero dello sviluppo economico che ne emanava il relativo decreto in data 21 gennaio 2011, mentre l'Isvap, organismo di controllo delle imprese assicurative, disponeva che l'incarico di commissario straordinario fosse attribuito al dottor Giovanni De Marco;
nonostante nell'anno corrente il primo trimestre di commissariamento evidenzi un risultato positivo per l'azienda, in questi giorni la situazione sembra evolvere verso una gravissima soluzione di messa in liquidazione coatta amministrativa della società, tutto in contrasto con il presupposto primario di risanamento della compagnia stessa;
la compagnia, attraverso i propri dirigenti, dipendenti e collaboratori ha emesso circa 70 milioni di euro di premi equivalenti al fatturato di una società industriale, garantendo, pur con i rallentamenti imposti dalla procedura, la liquidazione e il pagamento dei sinistri e dei fornitori ed allo stato detiene, oltre a una disponibilità liquida pari a 45 milioni di euro, investimenti in titoli e azioni per circa 120 milioni di euro;
l'accelerazione nel porre in liquidazione la Compagnia determina ripercussioni sia per i lavoratori e le loro famiglie sia per le migliaia di assicurati con grave ricaduta sull'attività quotidiana di un gran numero di medici ospedalieri, per le finanze e i bilanci di aziende sanitarie di enti pubblici di interesse nazionale, quali regione Liguria, Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna -:
se, il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non ritenga utile assumere iniziative per evitare le gravi ripercussioni economiche e lavorative per gli operatori e le loro famiglie, che la liquidazione metterebbe a repentaglio, a tutela dei livelli occupazionali.
(4-12814)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede se sia utile assumere iniziative per evitare le gravi ripercussioni economiche e lavorative che potrebbero derivare dalla messa in liquidazione della Compagnia Faro Assicurazioni, si rappresenta quanto segue.
In data 2 novembre 2011 gli ispettori della Direzione territoriale del lavoro di Roma hanno effettuato un accesso ispettivo presso la sede legale della Faro Assicurazioni spa, al fine di acquisire elementi in merito ai contenuti dell'interrogazione in oggetto indicata e, nello specifico, informazioni sulla procedura di amministrazione straordinaria cui è stata posta la Faro Assicurazioni spa, nonché sulla successiva messa in liquidazione coatta amministrativa della stessa, nonostante il primo trimestre di commissariamento avesse evidenziato un risultato positivo per la società.
Nel corso dell'accesso ispettivo è stata acquisita agli atti una relazione, a firma del commissario liquidatore avvocato Andrea Grosso, da cui si evince quanto segue.
La compagnia di assicurazioni e riassicurazioni Faro s.p.a. è soggetta al controllo dell'Isvap (Istituto di vigilanza delle assicurazioni

private). Azionista di controllo della predetta compagnia è la società Memoin spa holding finanziaria appartenente alla famiglia Melito. Sia Faro che Memoin spa sono riconducibili al gruppo di imprese Memo (la cui capogruppo è Memofin Spa), riferibile alla medesima famiglia Melito.
In data 21 novembre 2011, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, la Faro Assicurazioni spa è stata posta in amministrazione straordinaria per la durata di un anno, con conseguente scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo della compagnia, ai sensi dell'articolo 231 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 («Codice delle assicurazioni private») e nomina del commissario straordinario nella persona del dottor Giovanni De Marco; quest'ultimo, stante la mancata approvazione del bilancio da parte della società, provvedeva a redigere documento relativo alla situazione economico patrimoniale al 21 dicembre 2010, nonché a pubblicare lo stesso in data 14 giugno 2010 presso l'ufficio del registro delle imprese di Roma.
Il medesimo, in data 30 maggio 2011, trasmetteva all'Isvap la relazione sull'attività svolta nel primo quadrimestre di gestione e, successivamente, la documentazione corredata dalle relazioni redatte dai vari tecnici incaricati, da cui emergeva l'eccezionale gravità delle carenze patrimoniali, organizzative e gestionali, presupposto della successiva liquidazione coatta amministrativa. Le informazioni riportate dall'interrogante non trovano conferma nella ricostruzione operata dal commissario liquidatore che, nella relazione predisposta a seguito dell'accesso ispettivo, rilevava in particolare il progressivo deterioramento delle condizioni economiche e patrimoniali della Faro Assicurazioni spa, la cui gestione, al 31 dicembre 2010, evidenziava:
1) una perdita di esercizio di 59,4 milioni di euro;
2) un patrimonio netto negativo di 11,8 milioni di euro;
3) una carenza delle attività a copertura delle riserve tecniche di 46,4 milioni di euro;
4) una deficienza del margine di solvibilità disponibile ammontante a 31,6 milioni di euro.

Dalla suddetta relazione del Commissario liquidatore è altresì emerso:
1) una inefficienza della struttura liquidativa e della rete distributiva;
2) una eccessiva concentrazione del portafoglio nella responsabilità medica;
3) una assenza di adeguate procedure di pagamento, nonché di una procedura formalizzata relativa agli investimenti idonea al monitoraggio degli stessi in termini di profilo di rischio, appropriatezza e adeguatezza. Il commissario straordinario segnalava altresì all'Isvap gravissimi comportamenti a carico dei cessati amministratori della Faro Assicurazioni spa posti in essere in spregio alle disposizioni di legge e/o amministrative, comportamenti oggetto di numerose denunce-querele.

È opportuno sottolineare che tali situazioni di irregolarità erano già note all'Istituto di vigilanza ancora prima della decretata amministrazione straordinaria. Ed invero l'Isvap aveva inviato alla Faro Assicurazioni spa numerose comunicazioni contenenti rilievi, richiami e contestazioni dell'Autorità garante; nello specifico, nella comunicazione del 14 luglio 2010, l'istituto aveva formulato alla compagnia una serie di rilievi «rappresentativi di gravi e persistenti irregolarità nell'amministrazione ovvero gravi violazioni delle disposizioni che disciplinano l'attività dell'impresa».
L'Isvap inoltre aveva chiesto alla medesima compagnia di deliberare un piano di finanziamento al fine di recuperare la stabilità patrimoniale e finanziaria, nonché di adeguarsi ai rilievi formulati dall'autorità di vigilanza, vietando a Faro Assicurazioni spa di compiere atti di disposizione sui propri beni e di «utilizzare la liquidità riveniente dalla gestione assicurativa per finalità diverse da quella strettamente correlata all'attività assicurativa nonché di effettuare operazioni con parti riconducibili

all'azionista di maggioranza». Ai citati rilievi la compagnia non ha mai provveduto ad adeguarsi.
Alla luce delle sopra descritte irregolarità amministrative, delle reiterate violazioni di legge, nonché delle perdite economico-patrimoniali, il commissario straordinario, in data 24 giugno 2011, presentava all'Isvap, ai sensi dell'articolo 245, comma 2, del codice delle assicurazioni, istanza motivata di liquidazione coatta amministrativa della società; il relativo provvedimento veniva adottato il 28 luglio 2011 dal Ministro dello sviluppo economico, su proposta dell'Isvap.
In considerazione della sussistenza di una situazione patrimoniale ed economica gravata da un patrimonio netto negativo e da un margine di solvibilità deficitario tale da privare Faro Assicurazioni spa della capacità di proseguire la propria attività, si era prodotta in definitiva la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, con conseguente indisponibilità del capitale minimo richiesto per lo svolgimento dell'attività assicurativa.
Ad oggi, la compagnia, a seguito di numerosi ricorsi che hanno determinato una alternanza tra amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa, si trova definitivamente, in virtù di un'ordinanza del tribunale amministrativo regionale del Lazio del 3 novembre 2011 - depositata il 4 novembre 2011 - in liquidazione coatta amministrativa.
Pertanto, alla luce di quanto sopra evidenziato, è emerso che la liquidazione coatta amministrativa, lungi dal determinare ripercussioni sulle migliaia di assicurati, eviterebbe invece loro pregiudizi, scongiurando il rischio di coinvolgere gli stessi in una gestione fortemente deficitaria; inoltre, la procedura di liquidazione consentirebbe ai medesimi di sciogliere il rapporto assicurativo per ricercare una nuova copertura, circostanza questa non consentita in caso di amministrazione straordinaria in cui gli assicurati sarebbero esposti al rischio di incapienza rispetto alle legittime pretese.
È emerso altresì che la procedura tutelerebbe anche i danneggiati e i creditori della società, stante la consapevolezza che la riorganizzazione della compagnia avrebbe imposto tempi lunghi nonché ingenti investimenti, rispetto ai quali non si è ravvisata alcuna disponibilità seria e concreta.
Sotto il profilo occupazionale, la relazione a firma del commissario liquidatore afferma che alla data del 28 luglio 2011, il totale complessivo dei dipendenti in forza della compagnia era pari a 94 unità, di cui 69 presso la sede di Genova, 17 presso la sede di Roma, 6 presso la sede di Milano e 3 presso quella di Padova. Come emerge dalle relazioni del responsabile risorse umane della compagnia e da quella redatta dai sindacati, non risulta siano state ancora adottate misure di alcun genere nei confronti dei lavoratori con lo specifico intento di valutare la percorribilità di tutte le strade alternative al licenziamento collettivo.
Si rappresenta infine che la Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) ha comunicato che Faro Assicurazioni spa non ha istituito forme di previdenza complementare sottoposte alla sua vigilanza, né risulta gestire le risorse delle forme.
Conclusivamente, pur dandosi atto della rilevanza delle questioni prospettate dall'interrogante e stante l'esito degli accertamenti effettuati, non risulta per il momento adottata alcuna iniziativa da parte della compagnia in ordine alla situazione occupazionale innanzi descritta; sarà tuttavia cura di questo Ministero assicurare, per quanto di competenza, la dovuta attenzione alla questione.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.

PALADINI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
un appuntato dei carabinieri, il signor Rocco Covello, mentre svolgeva le sue funzioni, il 25 febbraio 2006, nella centrale operativa dei carabinieri di Cosenza, veniva colto da malore improvviso;
a causa di tale incidente, iniziava per il detto militare un lungo iter che passava

attraverso il collocamento in aspettativa e continuava con notifiche e decreti tendenti a disconoscere la causa di servizio (protocollo n. 3457/2009 del 16 luglio 2009) ancor prima che il signor Covello fosse sottoposto a visita medica da parte della Commissione medica ospedaliera, visita che veniva fissata per il giorno 26 novembre 2009;
il 24 marzo 2011 il TAR della Calabria con sentenza numero 1281 del 2009 - 201100609, annullava definitivamente il decreto e ogni altro atto presupposto e conseguenziale o comunque connesso con quello;
il 28 giugno 2011, la direzione di amministrazione del Comando generale dei carabinieri comunicava a mezzo lettera raccomandata con protocollo numero 65108/B, indirizzata al comitato di verifica per le cause di servizio e per conoscenza all'interessato, la richiesta di riesamina del parere n. 4477/2009 del 15 aprile 2009, alla luce di quanto disposto dal giudice;
nel caso di specie non sarebbe stata ben rispettata la procedura che regola i procedimenti legati al riconoscimento da causa di servizio -:
se il Ministro interrogato per quanto di competenza, non ritenga necessaria in questo ed altri casi similari, l'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001 che regola la semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio in particolar modo all'articolo 7 di tale decreto del Presidente della Repubblica, per le incombenze dell'amministrazione in tali particolari situazioni.
(4-12875)

Risposta. - La vicenda sanitaria e amministrativa dell'appuntato dei Carabinieri Covello è stata oggetto di particolare attenzione da parte dell'amministrazione - come testimoniano i ripetuti interventi posti in essere nel corso dei procedimento, a tutela degli interessi del militare medesimo - che si è scrupolosamente attenuta alle vigenti procedure, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001, per l'adozione del decreto di mancato riconoscimento della causa di servizio.
Nello specifico, in data 2 agosto 2006, su richiesta del comando di Corpo (legione Carabinieri «Calabria»), la competente commissione medico ospedaliera (Cmo) di Messina ha convocato l'interessato per sottoporlo alla verifica dell'idoneità per l'eventuale reimpiego al termine del periodo di assenza dal servizio, per aspettativa conseguente all'infermità di cui era affetto: accertamento di rito richiesto dal comando di Corpo per il personale assente dal servizio per infermità.
In quell'occasione, la Cmo non si è limitata al solo profilo di idoneità, ma ha approfondito l'indagine anche per definire quegli aspetti che sono indispensabili nel procedimento istruttorio per la causa di servizio, in quanto il militare aveva dichiarato di aver presentato, il 13 aprile 2006, la domanda per il riconoscimento della dipendenza di infermità da causa di servizio e per la concessione dell'equo indennizzo.
Il comando generale dell'Arma dei Carabinieri, ricevuto il fascicolo istruttorio dalla Legione Carabinieri «Calabria», ha inoltrato la richiesta di parere al comitato di verifica per le cause di servizio - che si è pronunciato il 15 aprile 2009 - cercando anche di acquisire dall'interessato, con nota del 27 aprile 2009, nuovi elementi che consentissero di richiedere motivato riesame al comitato, ma non avendo avuto esito alcuno, ha adottato, conseguentemente, il decreto n. 3457 del 2009 del 19 luglio 2009 di rigetto della domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
Il Comando generale ha altresì, mostrato la propria disponibilità a riaprire, in autotutela non contenziosa, il procedimento anche dopo l'adozione del decreto, qualora fosse pervenuta idonea documentazione atta a motivare una richiesta di riesame del parere al comitato di verifica; tale tentativo è stato tuttavia infruttuoso poiché l'interessato ha preferito adire la via contenziosa.
In esecuzione delle successive pronunce del Giudice amministrativo è stato richiesto, in data 28 giugno 2011, il riesame del

parere al richiamato comitato di verifica e, solo dopo aver conosciuto il relativo esito, sarà possibile adottare un nuovo provvedimento che avrà valenza ai soli fini della causa di servizio e dell'equo indennizzo, senza, cioè, conseguenze sullo stato giuridico e sull'impiego, atteso che il militare per effetto del secondo verbale della Cmo di Messina del novembre 2009 è stato posto in congedo con diritto al trattamento pensionistico ordinario ragguagliato ai 33 anni di servizio utile.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.

PEDOTO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, organo tecnico scientifico del Servizio sanitario nazionale, dalla sua nascita svolge una fondamentale attività di ricerca, sperimentazione, controllo, consulenza, assistenza, formazione, informazione e documentazione in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, oltre che numerose altre attività garantite su tutto il territorio nazionale in raccordo anche con le ASL;
il decreto-legge 78 del 2010 convertito dalla legge 122 del 2010 ha disposto la soppressione dell'ISPESL e l'attribuzione delle relative funzioni all'Inail;
il citato decreto-legge 78 del 2010 ha disposto che il trasferimento delle risorse strumentali, umane e finanziarie dell'Ente soppresso doveva essere regolato da appositi decreti di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della salute;
risulta all'interrogante che alla data odierna non siano ancora stati emanati i decreti non regolamentari di cui all'articolo 7, comma 4, del decreto-legge 78 del 2010 mentre il personale ISPESL continua a svolgere le sue importantissime funzioni di verifica e controllo che la legge prevede -:
se il Governo sia a conoscenza della mancata emanazione dei decreti di cui in premessa, quali siano i motivi di tale ritardo e in quali tempi se ne preveda l'adozione, anche al fine di garantire la piena tutela della salute sui luoghi di lavoro;
nelle more dell'emanazione dei previsti regolamenti, se si intenda procedere alla definizione della pianta organica e alla regolarizzazione del personale precario.
(4-12638)

Risposta. - Con riferimento alla interrogazione in esame, concernente il trasferimento delle risorse strumentali, umane e finanziarie dall'Ispesl all'Inail, si rappresenta quanto segue.
L'articolo 7, comma 4, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nel disporre la soppressione dell'Ispesl alla data del decreto medesimo, con contestuale attribuzione delle funzioni all'Inail, ha subordinato il trasferimento delle risorse strumentali, umane e finanziarie all'adozione di appositi decreti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e il Ministro della salute.
La suddetta disposizione ha previsto che i citati decreti, di natura non regolamentare, dovessero essere adottati sulla base delle risultanze di bilancio di chiusura dell'ente soppresso.
Il perdurare dei tempi di conclusione delle procedure necessarie all'adozione dei decreti è stato determinato dalla necessità di definire taluni aspetti tecnici inerenti la chiusura delle scritture contabili dell'ex Ispesl, nonché il passaggio delle risorse strumentali, umane e finanziarie in capo all'Inail.
I decreti non regolamentari di cui all'articolo 7, comma 4, del decreto legge n. 78 del 2010, a seguito degli incontri

svolti nell'ambito del tavolo tecnico-istituzionale per la loro adozione, sono in via di definitiva adozione.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.

PES. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. - Per sapere - permesso che:
nei giorni scorsi l'I.N.P.S. ha reso noti i dati circa le domande e le revoche delle pensioni di invalidità;
emerge che sul territorio nazionale il 30 per cento dei beneficiari di pensione di invalidità ne usufruiscano senza averne diritto;
il 53,3 per cento delle pensioni da cancellare risultano essere nella regione Sardegna (76 per cento solo nella provincia di Sassari);
una pensione d'invalidità su quattro è stata revocata;
le cifre nascondono disfunzioni e inadempienze: non tengono presente dell'inefficienza di una procedura nuova, delle umiliazioni e attese di migliaia di persone chiamate per visita due o tre volte per errore;
con atto n. 4-09909 presentato il 13 dicembre 2010 l'interrogante aveva messo in luce i disguidi riscontrati nella sede I.N.P.S. di Oristano;
nello stesso atto si metteva in luce che si stava procedendo a convocare, per accertamenti sull'effettivo possesso dei requisiti per ottenere la pensione di invalidità, soggetti portatori di disabilità non reversibili e definitive (sindrome di Down, cecità, poliomielite, patologie oncologiche, talassemia), per le quali appariva priva di senso una nuova verifica;
sono stati convocati soggetti impossibilitati alla deambulazione, che per raggiungere le sedi in cui sono effettuati i controlli hanno dovuto fare ricorso ad autoambulanze e barelle;
spesso sono richieste visite di controllo non effettuabili nel territorio della propria provincia, come per esempio nel caso dell'allegazione del PEV (potenziali evocativi visivi);
sono state sospese pensioni a invalidi che, per vari disguidi, non hanno ricevuto la convocazione;
sono state avviate migliaia di cause nei confronti dell'I.N.P.S. da parte di invalidi ai quali è stata sospesa la pensione;
il 95 per cento di tali cause è stata vinta dai ricorrenti, condannando l'Istituto di previdenza sociale al ripristino dell'assegno di invalidità, oltre che a pagare le spese in giudizio (mille euro circa per pratica);
l'Associazione nazionale mutilati e invalidi civili ha illustrato all'assessore della sanità della regione Sardegna i disguidi più comuni: «ritardi di quasi un anno sulla convocazione a visita da parte delle commissioni mediche, ritardi di sei-otto mesi della visita alla notifica dei verbali, verbali sospesi per visita diretta da parte dell'INPS da oltre sei mesi ancora senza convocazione, utenti che da più di cinque mesi hanno ricevuto il verbale e ancora non hanno ricevuto i documenti per la fase istruttoria di liquidazione, utenti che hanno presentato i documenti per la liquidazione economica da più di sei mesi e ai quali non è stata erogata alcuna prestazione, migliaia di verbali con diritto a prestazione economica giacenti all'INPS che non possono essere liquidati perché non inseriti in procedura telematica, persone riconosciute invalidi con verbale rivedibile ad un anno che hanno ricevuto il verbale quando la data di revisione era già scaduta, persone che in attesa di liquidazione da più di un anno sono decedute con ritardo pagamento delle quote spettanti agli eredi, mancata applicazione della legge 80 sulle patologie neoplastiche che prevede il riconoscimento di invalidità e l'eventuale liquidazione economica entro

15 giorni dalla domanda, sospensioni arbitrarie di prestazioni economiche da parte dell'INPS» -:
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno intervenire al più presto per modificare l'iter burocratico e individuare nuovi criteri di selezione con cui convocare i soggetti invalidi;
quali interventi intendano attuare per evitare che gli invalidi civili con danni fisici permanenti siano sottoposti ad inutili verifiche.
(4-11006)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali interventi si intendano assumere in merito alle procedure relative alla erogazione delle pensioni di invalidità civile, si rappresenta quanto segue.
A seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 20 del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, si è avviato un nuovo processo di riconoscimento dei benefici in materia di invalidità civile. La norma prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2010, «ai fini degli accertamenti sanitari di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità le Commissioni mediche delle Aziende sanitarie locali sono integrate da un medico dell'Inps quale componente effettivo. In ogni caso l'accertamento definitivo è effettuato dall'Inps.» Inoltre, l'Inps accerta la permanenza dei requisiti sanitari nei confronti dei titolari di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, e trasmette, in tempo reale e in via telematica, le domande alla Aziende sanitarie locali (Asl).
La circolare dell'Inps n. 131 del 28 dicembre 2009 nel delineare gli aspetti organizzativi, ha fornito le prime istruzioni operative con la previsione di una gestione telematica dell'intero processo relativamente sia all'espletamento delle attività amministrative che di quelle sanitarie. Laddove l'iter di concessione delle prestazioni segue modalità interamente telematiche, il processo di definizione delle domande procede in maniera spedita, anche se vi sono difficoltà riscontrate relativamente allo scarso utilizzo, da parte delle Asl, dell'applicativo gestionale informatico che governa, in modalità integrata, l'intero processo. Proprio l'elevato numero di verbali che le Asl continuano a redigere in forma cartacea impone ai centri medico legali di effettuare manualmente gli adempimenti connessi alla sospensione degli stessi ex articolo 1, comma 7, della legge 15 ottobre 1990, n. 295.
Stando alle informazioni dell'Inps, le problematiche connesse all'avvio del nuovo processo di riconoscimento dei benefici in materia di invalidità civile sono per lo più riconducibili all'eterogeneità della materia, alle diverse tipologie assistenziali, alle distinte organizzazioni territoriali delle Asl al modus operandi delle stesse, nonché all'elevato numero di interlocutori e soggetti esterni coinvolti nel processo.
Nel corso del 2011 l'Inps ha tuttavia apportato al flusso procedurale modifiche nell'intento di dare maggiore speditezza alla definizione dell'iter sanitario/amministrativo. Del resto la telematicità dell'intero processo, nei casi di prestazioni di invalidità civile a scadenza, è volta a garantire, nei confronti dei soggetti interessati ai controlli per la revisione, lo svolgimento dei necessari accertamenti sanitari e dei conseguenti adempimenti amministrativi entro la scadenza della prestazione stessa, in tempo utile ad evitare soluzioni di continuità nella fruizione dei benefici spettanti.
La commissione medica superiore, al fine di garantire omogeneità ai giudizi medico legali su tutto il territorio nazionale e uniforme applicazione dei principi valutativi di analoga natura, interviene nella convalida definitiva dei verbali relativi alle verifiche straordinarie di invalidità civile (relative cioè all'accertamento della persistenza dei requisiti per la fruizione di benefici economici a titolo di invalidità, cecità e sordità civile). Tuttavia l'Inps ha ritenuto necessaria una valutazione definitiva, da parte della commissione medica superiore, anche per i verbali di invalidità civile, cecità, sordità, handicap e disabilità relativi a nuove istanze ovvero a revisioni programmate. In ogni caso, ferma restando

la piena e costante attività della commissione medica superiore nella sua attività di validazione, non è mai venuta meno la tutela che la legge garantisce per contenere la fase accertativa in un lasso di 60 giorni dalla data di trasmissione dei verbali all'Inps da parte della Asl competente. All'interno dei suddetti 60 giorni, l'Inps ha previsto, per l'espletamento dell'attività della commissione medica superiore, un termine ancora più stringente, nel senso che, qualora essa non si esprima nell'arco di 15 giorni, il verbale di accertamento svolto dall'unità operativa medico-legale territoriale viene inviato automaticamente.
Le procedure testé illustrate hanno validità nazionale e pertanto sono applicabili anche in Sardegna. Al riguardo la Presidenza di questa regione ha rappresentato che il 26 aprile 2011 la Giunta regionale ha deliberato di approvare la bozza di «Convenzione tra la Regione Autonoma della Sardegna e l'Inps in attuazione dell'Accordo Quadro di cui all'articolo 20 del decreto legge n. 78 del 2009, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102, tra il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e le Regioni per l'affidamento all'Inps delle funzioni concessorie nei procedimenti di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità». Nell'ambito di tale convenzione è stato espressamente previsto che «Non si farà luogo alla sospensione dell'erogazione della prestazione prima della data di visita di revisione, in applicazione di quanto previsto dall'articolo 5, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 698/94 e dall'articolo 20, comma 2, del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78 convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 3 agosto 2009, n. 102. Nell'ipotesi di conferma del requisito sanitario, la prestazione dovrà essere corrisposta senza soluzione di continuità».
Tale convenzione, sottoscritta dal direttore generale delle politiche sociali della regione Sardegna, era stata trasmessa al direttore generale Inps Sardegna per la firma in data 24 giugno 2011. Tuttavia, in merito a tale bozza di convenzione, l'Inps ha rappresentato che essa non è stata approvata, in quanto è risultata in contrasto con la normativa vigente e con il criterio di omogeneità dei comportamenti adottato su tutto il territorio nazionale nell'espletare gli incarichi attribuiti con riferimento all'accertamento e alla conferma delle invalidità civili. In particolare, non è stato possibile accedere alla richiesta di non sospendere le prestazioni di invalidità civile al momento della scadenza e della revisione delle stesse, in quanto la sospensione contrasterebbe con la scelta dell'Istituto di non produrre situazioni di indebito, in caso di mancata conferma dell'invalidità.
Conclusivamente, si rappresenta che l'istituto ha ribadito il proprio impegno, a livello locale, per mettere in condizione le Asl di effettuare le visite prima della scadenza, in modo da consentire, in ipotesi di conferma, la tempestiva ricostituzione della posizione degli interessati per assicurare la continuità del pagamento delle prestazioni.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.

PICIERNO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
come riportato da diversi articoli di stampa del quotidiano Il Riformista, a firma di Tommaso Labate, nel dicembre del 2008 la provincia di Brescia pubblica un bando per la «copertura di numero 8 posti di istruttore amministrativo, categoria C - a tempo pieno e indeterminato», a cui aderiscono inizialmente 700 candidati. Il bando prevede una prova scritta, e in seguito una prova orale. Il contenuto della prova scritta è decisamente vago: si legge nel bando che potrà consistere in «una stesura di un elaborato o nella soluzione di appositi test a risposta chiusa su scelta multipla e/o in una serie di quesiti ai quali dovrà essere data una risposta sintetica»;
alla prova scritta si presentano 240 candidati e i risultati vengono pubblicati il

28 ottobre 2009 sul sito internet della provincia di Brescia. Ci sono 38 ammessi all'orale. Cominciano a piovere le segnalazioni di irregolarità. Sul sito di informazione locale Bresciapoint.it un utente, «Emiliano», denuncia che le domande a risposta multipla potevano contenere un numero indefinito di opzioni esatte, a cui veniva attribuito un punto ognuna, mentre per ogni risposta sbagliata un punto in meno. Un meccanismo che rende quasi impossibile prendere il massimo, cioè 30 punti. Eppure al vertice della graduatoria degli scritti figurano punteggi molto alti, tutti conseguiti da persone con incarichi, parentele e collaborazioni con esponenti della Lega Nord di Brescia. Fra queste, la signora Raineri, moglie del vicesindaco di Brescia, totalizza 30 punti. Cristina Vitali, collaboratrice dell'assessore Bontempi, 28,67, mentre l'altra collaboratrice del medesimo assessore, Anna Ponzoni, «solo 27»; Sara Grumi, figlia di Guido, candidato alle elezioni regionali con la Lega e assessore in un Comune del bresciano, Gavardo, prende 28; Katia Peli, nipote dell'assessore provinciale all'istruzione Aristide Peli, 27;
in seguito alle segnalazioni di possibili irregolarità, il capogruppo del PD in consiglio provinciale Diego Peli solleva la questione, il che comporta lo svolgimento della prova orale sotto gli occhi di numerosi testimoni. A questa prova, le candidate «leghiste» hanno un crollo del rendimento: la Grumi passa dal 28 al 22, la Raineri dal 30 al 21, la Peli da 27 a 24, Vitali e Ponzoni si fermano a 25. Margherita Febbrari, che vanta nel curriculum una collaborazione con La Padania, con il deputato Caparini e un incarico del comune di Brescia per una consulenza sulla sicurezza urbana, totalizza 21, contro il 28 dello scritto, e per questo perde il posto. Le altre candidate vengono ammesse, conquistando 5 degli 8 posti assegnati;
i cinque posti restano in attesa di essere occupati dalle vincitrici, vista la loro rispettiva situazione lavorativa: la Raineri, vincitrice del concorso in quinta posizione, come si legge nel dossier di «Tempo Moderno» (gruppo di cittadini coordinato dall'avvocato Lorenzo Cinquepalmi, dirigente del PSI bresciano), è capogruppo leghista alla Circoscrizione Nord del Comune di Brescia coordinatrice della commissione sicurezza civica e bilancio, nonché capogruppo, sempre della Lega, nel consiglio comunale di Concesio (Brescia). La Grumi, che conquista il primo posto, invece, ha un incarico di collaborazione coordinata e continuativa «per la progettazione e l'implementazione di un sistema coordinato per la gestione delle attività interne, della durata di 24 mesi», stipulato dall'«Area innovazione e territorio-settore informatica e telematica» della provincia di Brescia per un compenso di 54 mila euro lordi, a cominciare dal 12 dicembre 2008. Katia Peli, sesto posto, collabora con lo zio Aristide, assessore. Vitali e Ponzoni, prima e terza classificata, figurano in una delibera di «conferimento incarico di collaborazione coordinata e continuativa di supporto all'espletamento delle azioni previste dai progetti "Valcanonica, Valcavallina e Sebino" e "Crisi aziendali"», sempre della provincia di Brescia;
a seguito dell'eco provocata dall'inchiesta giornalistica del quotidiano Il Riformista, delle denunce del comitato Tempo Moderno e grazie anche all'impegno dell'opposizione nel consiglio provinciale, viene istituita una commissione d'indagine ad hoc per fare luce sul concorso pubblico. Dopo un primo giro di audizioni, che coinvolgono il presidente della commissione di concorso, il ragioniere capo della provincia Dario Fenaroli, e altri membri della commissione esaminatrice, emerge che gli uffici amministrativi della provincia hanno consegnato due regolamenti diversi per le esecuzioni del concorso, in cui figurano diversi criteri di valutazione delle prove e dell'attribuzione dei punteggi. Una candidata, alla prova orale, con una valutazione complessiva considerata molto deludente, ottiene comunque il massimo del punteggio sotto la voce «aderenza al tema». Nelle correzioni dei test si riscontra che molte risposte esatte sono state conteggiate come sbagliate e che in una domanda, su quattro

possibili risposte esatte, soltanto tre sono state considerate tali;
nel corso dei lavori della commissione ad hoc si apprende che i pubblici ministeri di Brescia hanno aperto un'inchiesta e che i carabinieri hanno già iniziato a convocare i membri della commissione d'esame. Nel frattempo, il presidente della provincia di Brescia Daniele Molgora ha querelato Il Riformista;
nelle successive inchieste sulla pubblica amministrazione bresciana sono emerse sulle pagine de Il Riformista ulteriori preoccupanti episodi, che lasciano intravedere un utilizzo scorretto, nepotistico e di sperpero delle risorse pubbliche da parte del comune e della provincia di Brescia;
il primo caso è quello della dottoressa Simona Zambelli, che il primo marzo 2010 viene assunta alle dirette dipendenze del Presidente Molgora per una collaborazione con retribuzione pari a 28.304,73 euro lordi l'anno. Si tratta del sesto incarico pubblico che ottiene, dopo quello di presidente del Nucleo di Valutazione della Provincia medesima, per 12.000 euro lordi annui, di segretario comunale reggente e dirigente nel Comune di Capriolo (Brescia), per 34.718,17 euro lordi, di vicesegretario comunale e funzionario di Ospitaletto (Brescia), per 43.207,25 euro lordi annui, per un totale di 118.230,73 euro lordi annui e un corrispettivo impegno contrattuale, per i soli incarichi part time, di 54 ore settimanali, pari a otto ore per sette giorni la settimana, per 365 giorni l'anno. Senza contare che nel nucleo di valutazione la dottoressa Zambelli dovrebbe anche valutare l'operato di se stessa, in quanto funzionaria della medesima amministrazione. Il suo curriculum, che consta di una laurea in economia e commercio e della conoscenza dell'inglese fluente, dello spagnolo scolastico e di abilità informatiche di buon livello, stenta a spiegare la ragione di questi sei incarichi pubblici;
il secondo caso sollevato da Il Riformista riguarda invece il comune di Brescia, dove, su impulso dell'assessore leghista alla Sicurezza Fabio Rolfi, viene assunto un consulente esterno per la stesura di un «Piano generale della sicurezza urbana». La prima determinazione, la numero 3592 del 31 dicembre 2008, conferisce la consulenza al dottor Maurizio Maccarini, per un periodo che va dal 12 gennaio 2009 al 30 giugno 2009, con adozione del piano entro gennaio 2010, per un compenso di 9.250 euro;
una seconda determinazione, la numero 1834 del 30 giugno 2009, rimanda la scadenza del piano da giugno a dicembre 2009 per una sua adozione nel corso del 2010. Viene rinnovata la consulenza del dottor Maccarini, alzando il compenso a 10.750 euro;
una terza determinazione, la n. 4212 del 31 dicembre 2009, riformula l'obiettivo: occorre un «Piano integrato per la sicurezza» e il consulente incaricato è di nuovo il dottor Maccarini, per un compenso di 19.999,58 euro. L'ennesima determinazione, la n. 1478 del 3 giugno 2010, che ha per oggetto la «realizzazione del piano integrato della sicurezza», affida l'ennesima consulenza al dottor Maccarini, ma la cifra del compenso lievita a 25.000 euro. Il curriculum del dottor Maccarini non sembra fornire elementi chiarificatori: è un magistrato con poche attività giudiziarie e molte cariche, fra cui quella di membro della Consulta di garanzia statutaria della regione Emilia-Romagna, di ricercatore all'Irer (l'istituto di ricerca della regione Lombardia), di consulente dell'IreAlp (istituto di ricerca per l'ecologia e l'economia applicate alle aree alpine), di membro dello staff del gruppo consiliare della Lega Nord in regione Lombardia e anche di componente della consulta permanente sui problemi della sicurezza urbana presso il Viminale (organismo creato dal Ministro Maroni) -:
se il Ministro interrogato sia al corrente della vicenda e quali iniziative intenda avviare al fine di svolgere le verifiche di competenza sulla conformità ai principi di trasparenza, imparzialità e

buon andamento dell'azione amministrativa in questione, nonché in ordine all'osservanza delle disposizioni vigenti in materia di controllo dei costi.
(4-11000)

Risposta. - Sulla base degli elementi emersi a seguito dell'istruttoria avviata dall'Ispettorato per la funzione pubblica in merito all'interrogazione in oggetto indicata, si rappresenta quanto segue.
In primo luogo, con riferimento a quanto esposto dall'interrogante circa la presenza di possibili irregolarità relative allo svolgimento della procedura, bandita dalla provincia di Brescia nel dicembre 2008, per la copertura di otto posti di istruttore amministrativo, categoria c, a tempo pieno e indeterminato, sulla base degli elementi forniti da parte degli enti interessati, risulta che la «procedura concorsuale si è svolta conformemente al Regolamento (unico ed aggiornato con la deliberazione della Giunta Provinciale n. 396 del 13 settembre 2005) sull'accesso al lavoro in Provincia».
In particolare, dagli accertamenti effettuati presso la provincia di Brescia, è emerso che, «il Regolamento suddetto è unico e, pertanto, non sono stati consegnati ai commissari due regolamenti differenti nei quali figuravano criteri diversi di valutazione delle prove e di attribuzione dei punteggi» e che «detti criteri, peraltro, non sono contenuti nel Regolamento in parola né nel bando di concorso, che riporta solo la votazione minima richiesta».
Invero, risulta che i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali sono stati determinati, ai sensi del regolamento sull'accesso al lavoro in provincia e in conformità ad esso, dalla commissione esaminatrice prima dell'espletamento della prova stessa.
Per quanto riguarda, infine, l'attribuzione del punteggio alle prove di esame, è emerso che «ad ogni quesito è stato assegnato un punto, suddiviso in frazioni uguali in caso di più risposte esatte all'interno del quesito stesso» e che nessun punto è stato sottratto in caso di risposta negativa.
In merito alla seconda questione segnalata dall'interrogante, relativa al conferimento di incarichi esterni di consulenza e collaborazione da parte sia del Comune, sia della provincia di Brescia, si segnala che entrambi gli enti interessati hanno comunicato che la carenza, all'interno del proprio organico, di professionalità analoga a quella richiesta, ha reso necessario il ricorso a collaborazioni esterne in conformità a quanto previsto dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 165 del 2001. In particolare, la provincia di Brescia, tramite l'ufficio del Segretario generale, ha motivato la conformità del proprio operato alle disposizioni di cui all'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001, per quanto specificamente attiene alla programmazione triennale del fabbisogno di personale dell'ente e alla pregiudiziale attivazione della procedura di mobilità, asserendo di aver attivato le procedure di mobilità previste nel rispetto degli obblighi di legge, in particolare del comma 2-bis del citato articolo, nonché dei principi generali riferiti all'efficienza, alla razionalizzazione del costo del lavoro e alla migliore utilizzazione delle risorse di cui al decreto legislativo 165 del 2001.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Filippo Patroni Griffi.

PIFFARI e CIMADORO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo n. 509 del 1994 ha trasformato in persone giuridiche private gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza, quali Onaosi, Inpgi, Inpdai, Enpaia, Enpav, Enpaf, Enpam, Enpacl, Enasarco, Cassa naz. di previdenza e assistenza avvocati e procuratori legali, Cassa di previdenza tra dottori commercialisti, Cassa naz. prev. e assistenza rag. e periti commerciali, Cassa naz. di prev. e assistenza geometri, Cassa naz. prev. e assistenza ingegneri ed architetti e liberi professionisti, Cassa naz. del

notariato, Fondi di prev. per gli impiegati delle imprese di spedizione e agenzie marittime;
tali enti, a decorrere dal 1° gennaio 1995, sono stati trasformati in associazioni o in fondazioni, con deliberazione dei competenti organi di ciascuno di essi e adottata a maggioranza qualificata dei due terzi dei propri componenti, a condizione che non usufruissero più di finanziamenti o altri ausili pubblici di carattere finanziario (articolo 1 decreto legislativo n. 509 del 1994);
detti enti privatizzati, così come disposto dal succitato decreto, «...continuano a sussistere come enti senza scopo di lucro e assumono la personalità giuridica di diritto privato, ai sensi dell'articolo 12 (...) rimanendo titolari di tutti i rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni...», e «...hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell'attività svolta...»;
per la natura pubblica dell'attività svolta inoltre, tali enti sono sottoposti alla vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, del Ministero del tesoro, oltre che a quella dei Ministeri specifici, competenti per ciascun ente contestuale al controllo esercitato dalla Corte dei conti, che riferisce annualmente al Parlamento, sulla gestione delle assicurazioni obbligatorie;
la Corte costituzionale ha sancito che l'organizzazione giuridica della previdenza sociale, pur presentando una sensibile varietà di sistemi, comunque conserva la prevista contribuzione obbligatoria che, concretandosi in un'erogazione di denaro necessitata ex lege, realizza lo schema del finanziamento pubblico dell'ente, ancorché non nell'esclusivo interesse di questo, ma comunque finalizzato a soddisfare esigenze solidaristiche, quali sono quelle sottese ai tipi di trattamenti e di prestazioni erogabili agli iscritti;
in data 3 febbraio 2011 con la segnalazione, al Governo ed al Parlamento, dell'autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, approvata dal Consiglio nella seduta del 26 gennaio 2011, si ravvisa una forma di contribuzione obbligatoria di tipo solidaristico, posta a carico degli iscritti degli enti privatizzati, la quale realizza una forma indiretta di concorso finanziario dello Stato;
tale contribuzione obbligatoria rappresenta comunque un'erogazione di denaro riconosciuta all'ente ex lege, sebbene non integri un'obbligazione formalmente tributaria, è idonea ad integrare lo schema del finanziamento pubblico a favore degli enti privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994;
l'allegato III della direttiva 2004/18/CE (modificabile solo seguendo la procedura all'uopo stabilita), nell'elencare, in via non limitativa, gli organismi e le categorie di organismi di diritto pubblico, include espressamente in tale novero tutti gli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza;
la stessa autorità di vigilanza ha rilevato necessario un intervento normativo sugli enti privatizzati che renda chiare le norme da applicare, evitando un ulteriore aggravio di spese e il sorgere di contenziosi, invitando con urgenza Governo e Parlamento a legiferare in tal senso;
da tale segnalazione dell'autorità per la vigilanza emergerebbe l'indicazione di applicare la legge sugli enti pubblici alle dismissioni e/o ai contratti di affitto degli enti privatizzati, circostanza che porterebbe ad applicare condizioni diverse ai contratti e di conseguenza ai canoni da quelle applicate dagli enti privatizzati;
le condotte poste in essere dagli enti privatizzati in merito alle dismissioni e/o ai contratti di affitto, alle quali non è stata applicata la legge sugli enti pubblici risulterebbero, a parere dell'interrogante in contrasto con quanto disposto dalla normativa

sovranazionale e con quanto stabilito dalla Corte di giustizia, che si è espressa, più volte, affermando che di un organismo, ai fini della sua qualificazione come ente pubblico, occorre sempre verificare la situazione giuridica e pertanto, se lo stesso soddisfi i tre requisiti fondamentali recepiti anche dal legislatore nazionale all'articolo 3, comma 26, del codice dei contratti pubblici, ovvero il requisito teleologico, il possesso di personalità giuridica ed il requisito dell'influenza pubblica dominante;
il contrasto normativo del diritto nazionale con la normativa comunitaria, con profili di illegittimità costituzionale, in contrasto con il principio sancito nell'articolo 3 che prevede e garantisce l'eguaglianza formale e sostanziale dei cittadini dinnanzi alla legge, assegnando, proprio allo Stato, il compito di rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale che, di fatto, la limitano, impedendone il pieno sviluppo e l'effettiva partecipazione all'organizzazione del Paese;
i contrasti normativi tra la legislazione nazionale e quella comunitaria, fatta salva la prevalenza del diritto comunitario su quello interno in ragione dell'applicazione uniforme del diritto comunitario in tutti gli Stati membri e della conseguente limitazione della potestà legislativa nazionale, obbliga ciascuno Stato membro a uniformarsi alla normativa comunitaria, adeguando la propria legislazione;
comitati inquilini degli enti privatizzati, hanno depositato presso la Corte dei conti due esposti - denuncia per contestare tali problematiche: il primo esposto è stato depositato alla procura della Corte dei conti per accertare i reali benefici di cui hanno goduto tali enti attraverso finanziamenti e/o agevolazioni pubbliche nell'acquisizione del patrimonio immobiliare di cui gli stessi sono proprietari. Il secondo esposto è stato inoltrato al presidente della sezione controllo degli enti: nello stesso è stato chiesto di voler sollevare l'incostituzionalità della legge che ha privatizzato gli enti, poiché l'attuale legislazione è in contrasto sia con la normativa europea, cioè la direttiva CEE 2004/18, sia con la normativa nazionale, comportando l'illegittimità costituzionale delle norme applicate;
la mancata applicazione agli enti privatizzati della legge sugli enti pubblici realizzerebbe, infatti, un'evidente disparità di trattamento tra inquilini, a seconda che questi, abbiano, ab origine, stipulato il contratto locatizio con un ente pubblico o con un ente pubblico poi privatizzato, ma che conserva la sua natura di organismo di diritto pubblico, relativamente alla sua causa e funzione;
secondo una agenzia stampa diffusa il 2 agosto 2011 da Adnkronos domani olle ore 9.30, presso la Sezione 3 Bis del TAR del Lazio, si discuterà il ricorso presentato dagli inquilini Enasarco, in merito alla illegittimità dei prezzi di vendita degli immobili stabiliti dall'Ente nella lettera di diritto di prelazione sul patrimonio immobiliare;
il Tar dovrà decidere, si apprende dalla stessa fonte, in merito alle richieste presentate nell'interesse degli inquilini dall'avvocato Vincenzo Perticaro, e quindi se per le vendite degli immobili dell'ente debba essere applicata la legge sugli enti pubblici, oppure sollevare l'illegittimità costituzionale della legge di privatizzazione degli enti, che determina disparità di trattamento con i conduttori di enti pubblici;
secondo quanto affermato in una nota stampa del sindacato Asia-Usb «se il Tar dovesse decretare di applicare alle dismissioni dell'Enasarco la legge sugli Enti pubblici, moltissimi cittadini potrebbero acquistare la casa agli stessi prezzi e con gli stessi benefici degli inquilini degli enti pubblici» -:
cosa intenda fare il Ministro interrogato in merito a quanto esposto e se non ritenga opportuno un intervento urgente per colmare il vuoto normativo, anche in virtù di quanto previsto dalla normativa comunitaria e da quanto rilevato dall'autorità di vigilanza;

se e quando il Governo, garantendo principi di equità e trasparenza, intenda chiarire quale norma debba essere applicata agli enti privatizzati, in particolare per quanto concerne la dismissione già in atto degli immobili degli enti previdenziali, riconoscendo a migliaia di inquilini e famiglie la giusta tutela.
(4-12984)

Risposta. - L'interrogazione parlamentare in esame concerne, da un lato, la qualificazione degli enti previdenziali privatizzati quali organismi di diritto pubblico ai fini dell'applicazione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 163 del 2006, dall'altro, l'applicabilità a tali enti della normativa in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici.
Con riferimento alla prima questione, si evidenzia che l'articolo 32, comma 12, del decreto-legge 98 del 2011, convertito dalla legge 106 del 2011, nel modificare l'articolo 1, comma 10-ter, del decreto legislativo 162 del 2008, convertito dalla legge 201 del 2008, ha definitivamente chiarito che gli enti previdenziali trasformati in associazioni e fondazioni, di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996, rientrano negli elenchi degli organismi di diritto pubblico e pertanto sono tenuti a dare applicazione al decreto legislativo 163 del 2006 recante il codice dei contratti pubblici, al fine di assicurare il rispetto dei principi di tutela della concorrenza tutte le volte in cui tali enti si rivolgono al mercato per l'acquisto di beni e servizi.
Per quanto riguarda la seconda questione, si sottolinea che gli enti previdenziali privatizzati sono vincolati all'obiettivo primario di garantire la continuità della tutela previdenziale ai propri iscritti, da attuarsi tramite una gestione del patrimonio mobiliare ed immobiliare improntata alla massimizzazione della redditività netta degli investimenti, fermo restando il rispetto del dettato costituzionale e della normativa di settore.
In altri termini, la gestione del patrimonio degli enti di previdenza privatizzati è strumentale alla garanzia del pagamento delle prestazioni in favore dei propri iscritti, in attuazione dell'articolo 38 della Costituzione.
Pertanto, sebbene gli enti previdenziali privatizzati abbiano una non contestata funzione pubblicistica, nella specie previdenziale, occorre considerare che tale finalità istituzionale non consente di estendere agli inquilini i benefici previsti per i conduttori degli immobili degli enti previdenziali pubblici.
Infatti, l'attività di investimento in campo immobiliare svolta dagli enti privatizzati è meramente strumentale rispetto al fine primario sopra ricordato ovvero svolgere la funzione previdenziale nell'interesse di una ben definita collettività di soggetti.
In conclusione, la questione dell'applicabilità del codice dei contratti pubblici anche agli enti previdenziali privatizzati ha trovato la soluzione normativa in seguito all'emanazione del decreto-legge 98 del 2011, convertito dalla legge 106 del 2011.
Per quanto riguarda, invece, la dismissione del patrimonio immobiliare dei medesimi enti, in linea di principio si evidenzia che la normativa concernente le dismissioni immobiliari, in particolare il decreto-legge 351 del 2001, convertito dalla legge 410 del 2001, che prevede particolari condizioni in favore dei conduttori, allo stato, è applicabile solo con riguardo ai beni facenti parte del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.

PORFIDIA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il VFP1 (volontario in ferma prefissata di 1 anno) è un militare di truppa che presta servizio nell'Esercito italiano, nella Marina militare italiana o nell'Aeronautica militare italiana. L'ammissione alla ferma avviene tramite concorso per titoli e previo giudizio di idoneità psicofisica.
l'Esercito italiano per completare i propri organici recluta annualmente una aliquota di personale in ferma prefissata

di un anno. Tali reclutamenti avvengono a mezzo di bando di concorso pubblico e le selezioni sono gestite dai centri di selezione VFP1;
i vincitori di concorso vengono arruolati con il grado di soldato ed inviati presso i reparti del raggruppamento unità addestrative di Capua per le prime 10 settimane di formazione iniziale al termine delle quali, dopo aver prestato giuramento solenne alla Repubblica Italiana, verranno assegnati ai successivi reparti di impiego, ovvero a scuole di specializzazione o d'arma per perfezionare il bagaglio di conoscenze e competenze tecnico militari;
al termine dei primi tre mesi di servizio i soldati sono valutati per l'avanzamento al grado di caporale con il conseguente incremento della retribuzione;
la ferma dei VFP1 è annuale rinnovabile per una successiva rafferma e il compimento di un anno effettivo di servizio consente di partecipare ai concorsi per il reclutamento dei VFP4 nelle forze armate, nonché nell'Arma dei Carabinieri, nell'Esercito italiano, nella Guardia di finanza, nella Polizia di Stato, nella Polizia penitenziaria, nel Corpo militare della Croce rossa italiana, nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco e nel Corpo forestale dello Stato;
i reparti preposti alla formazione iniziale dei VFP1 sono:
17° RAV «Aqui», (Capua);
47° RAV «Ferrara», (Capua);
85° RAV «Verona», (Verona);
123° RAV «Chieti», (Chieti);
57° BAR «Abruzzi», (Sulmona);
235° RAV «Piceno», (Ascoli Piceno);
91° BAR «Lucania» (Matera);
II VFP4 (volontario in ferma prefissata di 4 anni) è un militare proveniente dalla ferma prefissata di un anno che presta servizio per quattro anni nell'Esercito, nella Marina militare, nell'Aeronautica militare. L'ammissione alla ferma avviene tramite concorso pubblico per titoli ed esami, previo giudizio di idoneità fisica e previo giudizio caratteristico del precedente periodo di servizio in qualità di VFP1 di almeno «superiore alla media» e l'assenza di punizioni di stato superiori alla consegna semplice;
per il passaggio da VFP1 a VFP4 il candidato viene esaminato da due distinte Commissioni, una Sanitaria è l'altra Psicoattitudinale. Si tenga presente che anche la commissione sanitaria elabora un giudizio sullo stato psicologico del candidato;
al momento non è escluso che il giudizio delle due commissioni possa divergere rendendo nel caso il candidato non idoneo;
la normativa vigente prevede che nel caso di giudizio negativo il militare può fare ricorso giurisdizionale al T.A.R. del Lazio o in via straordinaria al Presidente della Repubblica per soli motivi di legittimità -:
tenuto conto del parere similare delle due Commissioni se non ritenga opportuno fondere le stesse al fine di uniformare il giudizio finale anche al fine da escludere eventuali contrasti e dubbi sulle reali capacità del candidato.
(4-13716)

Risposta. - La «Ferma Prefissata Quadriennale» costituisce la prosecuzione del percorso professionale dei «Volontari in Ferma Prefissata di un Anno» (VFP4), ed il passaggio obbligato per il successivo transito nel servizio permanente.
L'attività selettiva prevista per il reclutamento del «Volontari in Ferma Prefissata Quadriennale» svolta presso ciascuna Forza armata, tiene conto delle diverse mansioni che tale fattispecie di personale si troverà a disimpegnare nell'arco della propria esperienza militare, che lo porterà poi a concorrere, ai fini del prosieguo di carriera, per il transito nel servizio permanente.
In tale prospettiva, pertanto, tra i vari requisiti richiesti al candidato, viene già

prevista l'idoneità fisio-psico-attitudinale per l'impiego nelle Forze armate in qualità di volontario in servizio permanente.
Ai fini dell'accertamento del possesso di tali requisiti sono nominate, a cura della direzione generale per il personale militare, cinque commissioni (per la marina militare se ne prevede anche una sesta, deputata all'assegnazione delle categorie e/o specialità ai concorrenti idonei delle graduatorie di merito), ciascuna operante nelle corrispondenti seguenti fasi concorsuali:
selezione culturale;
accertamenti psico-fisici;
accertamenti attitudinali;
prove di efficienza fisica;
valutazione dei titoli.

In tale contesto, occorre far rilevare che il numero dei candidati che partecipa alle procedure concorsuali per il reclutamento dei VFP4 - 25.382 domande pervenute nel quinquennio 2006-2010 - determina un iter selettivo articolato che necessariamente si svolge in diverse fasi, durante un significativo arco temporale.
Il superamento di ogni fase, cui evidentemente corrisponde il riconoscimento della relativa idoneità, è propedeutico all'ammissione a quella successiva.
Tali passaggi consecutivi, ma sostanzialmente differenti, rendono indispensabile la sussistenza di commissioni distinte e indipendenti, costituite necessariamente dal personale qualificato nella specifica area di valutazione (culturale, sanitaria, attitudinale, di efficienza fisica e dei titoli posseduti).
In particolare, mentre da un lato la Commissione per gli accertamenti sanitari valuta gli aspetti psico-fisici dei candidati ai fini dell'attribuzione di appositi coefficienti a ciascuna delle caratteristiche somato-funzionali che delineano il profilo sanitario (tra cui quella relativa al sistema psichico), dall'altro, invece, la Commissione attitudinale ne valuta le capacità e le possibilità di adattamento ed inserimento nell'ambiente militare in termini di aspettative e di motivazione.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.

REGUZZONI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
in provincia di Varese esiste una tradizionale presenza storica legata alla produzione di pipe, e sul territorio si collocano numerose realtà volte a tutelarla e a trasmetterla, come i musei della pipa di Brebbia e di Gavirate;
il Museo della pipa di Gavirate, in provincia di Varese, fondato da J.M. Alberto Paronelli alla fine degli anni Settanta, è il primo museo italiano della pipa ed è oggi conosciuto in tutto il mondo;
nel corso degli anni sono stati realizzati interventi di ampliamento, nel 2010 è stato aperto lo showroom «Paronelli Pipe», e oggi il museo conta otto sale e oltre trentamila pezzi raccolti;
nel museo si trovano pezzi provenienti da Italia, Francia, Inghilterra, Germania, Austria, Regno Unito, Olanda, Turchia, Repubblica Ceca, Danimarca, Ungheria, Thailandia, Argentina, Messico, Brasile, Canada, Svizzera, Giappone, Filippine, Stati Africani, Cina, Stati Uniti, Russia, Corea e altri. In particolare, la collezione di pipe comprende pezzi di altissimo pregio fra i quali le Pipe di Bassano del Grappa, Chioggiotte, Vicentine, Venete, in terra sarde, precolombiane del Messico e Centro America, in porcellana tedesche, francesi di St. Claude, tirolesi in radica con incisioni a mano e molte altre;
la collezione di pipe è affiancata da utensili, volumi cartacei, porcellane, terrecotte, da una trentina di macchinari fra cui quattro torni a pedale di oltre un secolo e da numerose collezioni accessorie;
il museo è inoltre sede dell'Accademie Internationale de la Pipe, fondata nel 1984

da Alberto Paronelli con la partecipazione di altri otto membri europei e americani che, senza scopo di lucro, organizza seminari e iniziative a carattere divulgativo-editoriale, promozionale e consultivo;
scopo del museo è anche promuovere dibattiti, incontri, scambi culturali e informazioni tecniche ed economiche, attraverso gemellaggi con gli appassionati, gli operatori, i più importanti musei di tutto il mondo, e attraverso partecipazioni a mostre ed esposizioni in diversi Paesi europei;
partendo dall'attività museale è stata avviata, sempre a Gavirate, anche una piccola produzione artigianale, che realizza circa 250-300 pezzi all'anno, interamente fatti a mano;
importante è anche il Museo della pipa di Brebbia, fondato nel 1979, nel quale spiccano collezioni di valore inestimabile, come la quella di Franz Schuchardt -:
se e quali eventuali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda attuare - in termini di risorse economiche, tecniche e umane - sia per tutelare l'importante patrimonio artistico e culturale del Museo della pipa di Gavirate, sia per sfruttare le sue potenzialità in chiave turistica, preso atto anche del fatto che in provincia di Varese esiste una tradizionale presenza storica legata alla produzione di pipe, con aziende famose in tutto il mondo.
(4-12665)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede di conoscere le eventuali iniziative che questo Ministero intenda attuare - in termini di risorse economiche, tecniche e umane - per tutelare il patrimonio artistico e culturale del museo della pipa di Gavirate (Varese) e per sfruttare le sue potenzialità in chiave turistica, si espone quanto segue.
Il museo de quo è un museo privato e, pertanto, non può essere destinatario dei fondi ministeriali assegnati alla competente direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee, previsti per le soprintendenze di settore e finalizzati esclusivamente alle spese di funzionamento di musei statali.
Peraltro, la competente soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici per le province di Milano, Bergamo, Como, Lecco, Lodi, Monza, Pavia, Sondrio e Varese ha comunicato, al riguardo, che, agli atti, non esistono pratiche relative al «Museo della pipa» di Gavirate.
Al fine di poter, quindi, valutare quali interventi potrebbero essere attuati nei senso richiesto dall'interrogante, la soprintendenza predetta, a seguito di contatti telefonici intercorsi con la famiglia proprietaria della collezione, ha svolto un apposito sopralluogo, mediante un funzionario incaricato, ed ha verificato che il museo della pipa consiste in una vasta collezione di proprietà privata (della famiglia Paronelli di Gavirate), che raccoglie pipe in vari materiali, di svariate epoche e provenienze, macchinari e attrezzi per la lavorazione delle stesse e vario materiale bibliografico di riferimento. I proprietari non possiedono un inventario di ogni singolo oggetto, né una schedatura degli stessi (foto, misure, materiale, epoca, provenienza, modalità di acquisizione). Il nucleo più consistente è costituito dal campionario, ancora conservato negli arredi del XX secolo, della ditta Rossi di Barasso (fondata nel 1886 e chiusa nel 1985), oltre agli esemplari prodotti dalla ditta Paronelli e in parte ancora oggi riprodotti.
Poiché si tratta di collezione privata, il «Museo della pipa» non è oggetto di riconoscimento da parte della regione Lombardia, che ha competenza sui musei locali; d'altra parte, considerata la difficoltà, per i signori Paronelli, di assicurare il rispetto di tutte le condizioni previste dagli standard museali, è stato suggerito ai proprietari di valutare la possibilità di rivolgersi, per una eventuale iscrizione, alla «Rete dei musei industriali» di Assolombarda.
In base agli elementi sopra riscontrati, la competente soprintendenza non ha rinvenuto ragioni tali da richiedere, per il «Museo della pipa», un provvedimento di tutela.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.

ROSATO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'Aeronautica militare è proprietaria di nove appartamenti, destinati ad accogliere i militari che ricoprono incarichi di alto comando, distribuiti tra Roma, Milano, Firenze, Poggio Renatico (Ferrara), Pozzuoli (Napoli) e Bari;
al fine di mantenerne un livello igienico sanitario ottimale si è proceduto con l'assegnazione dei servizi di pulizia degli alloggi e dei servizi di confezionamento e distribuzione pasti compresa l'organizzazione di pranzi o ricevimenti ufficiali negli alloggi stessi per occasionali necessità di rappresentanza;
risulta dalla stampa nazionale che l'Aeronautica militare abbia proceduto all'assegnazione di tali servizi per quattro anni con una gara divisa in sei lotti, indetta il 5 ottobre 2011 con scadenza il 20 dello stesso mese;
dalla medesima stampa si apprende che sarebbero stati stanziati, per questa gara, 2.279.798 euro con una media di oltre 253 mila euro ad alloggio -:
se sia a conoscenza dell'avvenuta assegnazione dei servizi di cui in premessa per un ammontare pari a euro 2.279.798;
se non ritenga che, in un momento in cui il Governo si dice costretto a dover imporre risparmi di spesa su altre importanti voci del bilancio, tale investimento non sia sproporzionato rispetto ai servizi appaltati alle ditte.
(4-13802)

Risposta. - Gli alloggi di servizio connessi con l'incarico, con annessi locali di rappresentanza (Asir), sono dati in concessione esclusivamente ai titolari di incarichi che comportino obblighi di rappresentanza inerenti alle proprie funzioni, come previsto dall'articolo 313 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 (Testo unico dell'ordinamento militare), che ha riassettato i contenuti del decreto ministeriale n. 88 del 2004.
Le finalità di rappresentanza risultano limitate a quelle strettamente istituzionali, sono funzionali all'incarico di vertice ricoperto ed attengono prevalentemente ai rapporti con istituzioni esterne alla difesa e con autorità e delegazioni straniere con conseguenti ritorni d'immagine positivi.
L'individuazione e le variazioni connesse a sopravvenute esigenze operative e funzionali degli incarichi che danno titolo alla concessione degli alloggi in argomento rientrano nella competenza, per quanto concerne l'area tecnico-operativa, del capo di Stato maggiore di Forza armata e sono approvate dal capo di Stato maggiore della difesa.
Già da tempo la Difesa ha avviato un'azione di contenimento della quota delle spese di gestione degli alloggi Asir, che sono a carico dell'amministrazione per i soli locali destinati all'espletamento delle funzioni di rappresentanza, come previsto dall'articolo 360 del Testo unico dell'ordinamento militare, prevedendo la riduzione del personale dedicato all'esigenza in titolo.
Lo Stato maggiore dell'aeronautica, in particolare, collabora alla rivisitazione, in senso riduttivo, del vigente elenco degli incarichi che costituiscono titolo per l'assegnazione degli alloggi Asir, avviato dallo Stato maggiore della difesa, con piena ed assoluta condivisione della necessità di intervenire nel settore per il contenimento della spesa pubblica, coniugando la suddetta esigenza con i prioritari compiti istituzionali sopra illustrati.
Quanto al merito delle questioni poste con l'atto in discussione, ai fini «dell'affidamento, per la durata di quattro anni, di servizi generali e di pulizia per nove alloggi di servizio di rappresentanza (cosiddetta Asir)», gli organi tecnici dell'aeronautica militare hanno posto in essere gli adempimenti di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006 recante il «Codice dei contratti».
In particolare, è stata individuata la formula negoziale dell'«Accordo Quadro», previsto dall'articolo 59 del citato decreto legislativo, il quale prevede sostanzialmente due vantaggi: da un lato il mantenimento della stabilità dei prezzi per una pluralità di anni e, dall'altro, la possibilità di richiedere alla ditta contraente i servizi previsti dal contratto secondo i quantitativi occorrenti

all'Amministrazione, con possibilità di ridurre le prestazioni anche in maniera significativa.
Inoltre, tale formula consente:
a) la variazione del quantum annuale dei servizi da svolgere, in relazione a quelle che sono le risorse finanziarie disponibili secondo le determinazioni dell'organo programmatore;
b) il risparmio (per almeno tre esercizi) di risorse finanziarie occorrenti per la pubblicazione dei bandi di gara sulla Gazzetta ufficiale e sui quotidiani nazionali e locali.

In tale ottica, appare necessario correlare i costi indicati nell'atto di sindacato parlamentare con il periodo temporale di riferimento (ossia un quadriennio), evidenziando che tali oneri sono posti alla base della procedura di gara (in cui è previsto il criterio dell'aggiudicazione al prezzo più basso), costituendo il tetto massimo teorico che l'amministrazione può corrispondere secondo i tariffari vigenti.
Si evidenzia che, mediamente, le aggiudicazioni avvengono con un ribasso oscillante tra il 20 ed il 25 per cento del prezzo base di gara ed i servizi specifici vengono attivati in funzione delle reali necessità e sono oggetto di costante attenzione in senso riduttivo.
Peraltro, l'amministrazione è vincolata a calcolare l'importo da porre a base della procedura di gara in funzione della retribuzione lorda da corrispondere al personale addetto a tale tipologia di servizi, secondo le tariffe fissate dalla contrattazione nazionale di riferimento, dell'utile d'impresa nonché degli oneri fiscali, oggi fissati al 21 per cento.
Inoltre, l'amministrazione è tenuta a vigilare che l'impresa aggiudicataria provveda a versare i contributi previdenziali ed assistenziali a tutela dei lavoratori dipendenti impiegati nei servizio.
La procedura di gara in argomento che ha ad oggetto l'appalto dei servizi generali di supporto presso gli alloggi Asir dell'aeronautica militare nell'anno 2012, al momento, è stata sospesa in attesa della definizione di un requisito unico per tutte le Forze armate e della predisposizione di una procedura di gara accentrata a cura del segretariato generale della Difesa.
Per quanto riguarda, infine, gli «altri bandi di gara per l'appalto di qualsivoglia tipologia di servizio», si assicura la costante azione di monitoraggio da parte del dicastero tesa all'individuazione di possibili fattori di criticità, ai fini dei necessari interventi per il contenimento della spesa pubblica.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.

STRIZZOLO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in questi giorni si stanno svolgendo in tutta Italia manifestazioni e celebrazioni civili, militari e religiose per ricordare e onorare i caduti di tutte le guerre e, in particolare, il sacrificio di tutti coloro che donarono la loro vita per la costruzione della patria italiana nella libertà e nella democrazia;
le celebrazioni si effettuano, inoltre, per festeggiare il 150° Anniversario dell'Unità d'Italia, anche se, alcune parti del territorio nazionale - in termini specifici Trento e Trieste - vennero unite all'Italia solo alla conclusione vittoriosa del primo conflitto mondiale, il 4 novembre 1918;
nella regione Friuli Venezia Giulia, terra di confine lacerata nei secoli da guerre, devastazioni e invasioni, a perenne ricordo del sacrificio di tanti militari e civili, sono stati eretti durante il secolo scorso, il sacrario di Redipuglia, luogo in cui ogni anno il 4 novembre 2011 si tengono solenni celebrazioni nazionali, il sacrario di Oslavia, ambedue in provincia di Gorizia e il tempio ossario di Cargnacco, in provincia di Udine, che accolgono i resti e la memoria di migliaia e migliaia di caduti e dispersi delle varie guerre, tra cui quelli della tragica campagna di Russia del periodo 1941-1942;

da tempo vengono segnalate, dalle varie autorità locali, le condizioni di degrado in cui versano parti rilevanti dei tre sopra richiamati Sacrari;
nonostante i molti solleciti, ultimi quelli del sindaco di Pozzuolo del Friuli, Nicola Turello (per il tempio ossario di Cargnacco) e dei sindaco e del presidente della provincia di Gorizia, rispettivamente Ettore Romoli e Enrico Gherghetta, nessun intervento concreto è stato realizzato per rendere più dignitosi e accoglienti quei sacri luoghi della memoria -:
se il Governo si a conoscenza di quanto sopra descritto;
quali concrete iniziative si intendano attivare per realizzare adeguati e tempestivi interventi conservativi e migliorativi e per la messa in sicurezza dei Sacrari di Redipuglia, Oslavia e Cargnacco.
(4-13786)

Risposta. - Il Sacrario militare di Oslavia, appartenente al demanio dello Stato e in consegna al dipendente commissariato generale per le onoranze ai caduti in Guerra, è stato realizzato negli anni '30 ed ospita, nel proprio interno, oltre 50.000 caduti in guerra, di nazionalità italiana ed austro-ungarica.
Il Sacrario necessita indubbiamente d'interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione che, sebbene già da alcuni anni siano stati inseriti nei programmi lavori del commissariato generale e sia stata elaborata la relativa documentazione tecnico-progettuale, non è stato, purtroppo, ancora possibile avviare, in relazione alle ridotte assegnazioni finanziarie, per il 2011 e per gli anni precedenti, sull'apposito capitolo di bilancio (1147 - articolo 4).
Posso assicurare, tuttavia, che il commissariato generale, assai sensibile alla problematica della conservazione dell'intero patrimonio storico e culturale legato ai due conflitti mondiali, segue, costantemente, la situazione infrastrutturale e demaniale, direttamente e tramite la direzione del Sacrario militare di Redipuglia e del personale della Difesa che vi è impiegato con funzioni di custodia.
Quanto, invece, al Sacrario militare di Redipuglia, per la cui gestione è presente in loco una apposita direzione con personale della Difesa opportunamente preposto, sono stati completati i lavori di messa in sicurezza della cornice in «pietra Aurisina» a coronamento delle lastre di metallo poste a chiusura dei loculi dei Caduti, per i quali il commissariato ha impegnato risorse per oltre 100.000 euro, pur in presenza delle limitate disponibilità di bilancio.
Per quanto attiene il Tempio Ossario della Madonna del Conforto di Cargnacco, sito nel comune di Pozzuolo del Friuli, nel confermare quanto già rappresentato in sede di risposta alla precedente interrogazione (n. 4-05299) dello stesso interrogante, sottolineo, inoltre, che non risultano ulteriori situazioni di criticità infrastrutturali o di degrado.
Vorrei evidenziare, in ultimo, che come già operato per altri Sacrari militari, sono in corso iniziative con la provincia di Gorizia e la regione Friuli Venezia Giulia, finalizzate all'approvazione di un nuovo documento d'intesa (accordo di programma) che, prescindendo da altri già approvati e in corso di finalizzazione (protocollo d'intesa per la valorizzazione del Carso goriziano, denominato, più comunemente «Carso 2014+»), prevede «il recupero e la valorizzazione per i meri fini storici, artistici e culturali» del Sacrario di Oslavia e del Sacrario militare di Redipuglia, nonché di altri beni infrastrutturali che necessitano di interventi di manutenzione straordinaria con specifici accordi di programma.
Analoga iniziativa è in trattazione per la realizzazione del museo della campagna di Russia.
È, comunque, intendimento del commissariato generale, compatibilmente con i fondi assegnati sullo specifico capitolo di bilancio e nei limiti delle vigenti previsioni normative, adottare ogni utile iniziativa che tuteli la memoria dei Caduti in guerra e dei luoghi devoluti alla conservazione dei loro resti.
L'ente ha già redatto il programma triennale lavori, nel quale sono state compendiate le varie esigenze infrastrutturali cui far fronte nei prossimi esercizi finanziari,

così da provvedere all'espletamento di tutte quelle attività necessarie a restituire il decoro, la funzionalità e la sicurezza alle sepolture dei Caduti.
Ciò, a conferma dell'attenzione che la Difesa continua a porre nei confronti dei Sacrari e della loro valenza etica, per onorare - nel tempo, nei modi e nelle forme più adeguate - la memoria di quanti hanno sacrificato la vita per la Patria.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
da fonti di stampa, in particolare sul quotidiano La Nuova Sardegna del 6 giugno 2011, sono stati pubblicati alcuni articoli a firma di Giuseppe Centore «Manuale della Difesa da la linea su Quirra» e «Obiettivo: salvare la credibilità» è stata diffusa la notizia dell'esistenza di un documento con cui lo Stato maggiore della Difesa ha impartito le disposizioni relative al linguaggio della comunicazione che i militari devono adottare nei confronti dei media;
in particolare sul sito web Tiscali, è stato pubblicato un articolo a firma di Paolo Salvatore Orrù dal titolo «Poligoni militari sardi, un manuale di controinformazione dello Stato Maggiore per rendere credibili le istituzioni»;
nell'articolo si legge «L'importante è controinformare: non fa nulla se un cittadino muore o un soldato si ammala. Per agevolare il lavoro di disinformazione, il Ministero della difesa ha inviato nelle caserme interessate un piano di "norme e di linguaggio" per i militari che operano nei poligoni di tiro della Sardegna. Il "Piano di Comunicazione", predisposto dallo Stato Maggiore è un vademecum, una sorta di bignamino delle veline che gli interessati devono attivare quando i media tentano di indagare sulle attività addestrative e di sperimentazione svolte dalle forze armate italiane e straniere presso i poligoni di Capo Frasca, Capo Teulada e Salto di Quirra "con particolare riferimento alle problematiche connesse alla tutela dell'ambiente e della salute". Gli argomenti posti al bando sono scottanti: in particolare il documento suggerisce di non dare troppi chiarimenti sull'uso di uranio impoverito e sugli effetti delle "nano particelle". Inoltre, consiglia di non dare spiegazioni sul nesso di causalità esistente tra le sostanze "sparate" nel poligono e le malattie genetiche e le leucemie riscontrate tra le popolazioni locali e nel personale militare. Sempre secondo il prontuario, non devono essere enfatizzati i casi di malattia riscontrati fra il bestiame della zona. E ancora, si deve evitare come la peste di parlare dell'inquinamento "elettromagnetico generato dai radar per la guida dei missili e per il controllo delle attività dei poligoni". Top secret anche le indagini ambientali svolte su input della Difesa. Ai militari è stato inoltre imposto il compito di non dare risalto alla "indagine anamnestica svolta" nell'area di Quirra dai veterinari dell'Asl di Cagliari Giorgio Melis e Sandro Lorrai. Secchiate d'acqua devono essere versate sull'indagine ordinata dalla Procura della Repubblica di Lanusei: secondo lo Stato Maggiore, "potrebbe minare la credibilità dell'istituzione militare" e la "corretta percezione dell'opinione pubblica" sulla veridicità dell'indagine ambientale promossa dal Ministero della difesa nel 2008 per fare "piena chiarezza sulla situazione". In definitiva, si è chiesto ai militari di innalzare una cortina di ferro per salvaguardare la "fattibilità delle attività di addestramento e di sperimentazione condotte all'interno del Poligono, per fini istituzionali, da parte degli operatori industriali di ricerca e sperimentazione". La parola d'ordine è: "Minimizzare e neutralizzare gli effetti di una comunicazione non supportata da dati oggettivi"; ridurre ai minimi termini "il danno d'immagine" per l'amministrazione e per l'esercito; difendere "il valore delle risultanze delle indagini ambientali" commissionate dalla Difesa. Per ottenere questi risultati la circolare consiglia di "definire una strategia di comunicazione unitaria" e di designare "figure di riferimento

nell'ambito della difesa" e di affiancarli di volta in volta esperti in materia di sanità, armamenti e balistica in gradi di "supportare, confutare, a livello scientifico le tesi riportate dagli organi di stampa". Il quadro è agghiacciante: perché non si tiene conto, in alcun modo, della salute degli abitanti, né di quella dei militari. Ogni comandante, ogni ufficio stampa dell'Esercito deve utilizzare "messaggi chiave". Qualche ritaglio: "Il Ministero della difesa ha a cuore il benessere del proprio personale e dei civili"; la Difesa ha sempre garantito "indagini ambientali serie, approfondite, trasparenti"; il Ministero della difesa garantisce "grande attenzione alle norme ambientali"; le forze armate "non hanno mai usato o stoccato uranio impoverito al poligono". Uno dei piatti forti delle "norme di linguaggio" imposte dalla Difesa è il comunicato stampa del 27 febbraio 2011 che ha per oggetto le indagini di Lanusei: "In merito a quanto apparso sugli organi di stampa... è opportuno e doveroso" che i militari sostengano la tesi secondo la quale "tra il materiale finora rinvenuto nel corso delle ispezioni disposte dal magistrato inquirente non figura alcun munizionamento all'uranio impoverito. Si tratta bensì di componenti elettronici per usi industriali (civili e militari)". La mission ha avuto successo: tutti i mass media che si sono occupati delle indagini di Lanusei hanno riportato tutti le stesse parole. Lo Stato Maggiore ha così centrato il suo obiettivo di "ridurre il livello di apprensione ingeneratesi nella collettività ... minimizzare/neutralizzare i danni d'immagine per l'Amministrazione della Difesa e le forze armate da notizie non supportate da dati oggettivi". Il tutto per la tutela d'informazioni di "carattere classificato". "Disinformatia". I pastori hanno lasciato i pascoli di Quirra» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza del documento richiamato negli articoli in premessa e quali immediate azioni intenda avviare per offrire all'opinione pubblica informazioni trasparenti e se non ritenga opportuno rendere pubbliche le attività di addestramento e sperimentazione o industriali che siano state effettuate, e quelle in programmazione, da parte delle Forze armate italiane o straniere e dalle aziende che utilizzano i poligoni esistenti in Sardegna.
(4-12303)

Risposta. - Vorrei, in primo luogo, precisare che quanto sostenuto dall'interrogante in merito ai contenuti del «Piano di Comunicazione» - di cui in premessa all'atto - non corrisponde a quanto effettivamente riportato nel richiamato documento, contenente le disposizioni per le attività di comunicazione relative ai poligoni di tiro della Sardegna (Capo Frasca, Capo Teulada e Salto di Quirra).
Il precipuo scopo del piano è, difatti, quello di garantire un flusso di informazioni istituzionali che sia continuo, esaustivo, reale e tempestivo e che sia, inoltre, condiviso, in ambito Difesa, a tutti i livelli di comando e di responsabilità.
Ciò, a conferma dell'impegno della Difesa e delle Forze armate a tutela del diritto alla salute del personale militare e civile, dell'intera collettività e dell'ambiente, con particolare riferimento ai poligoni militari che - posso assicurare - operano nel rispetto di precise norme di legge e di sicurezza al fine di condurre attività di addestramento delle Forze armate, di sperimentazione e sviluppo di prodotti industriali e aero-spaziali di utilizzo militare e civile: tengo a sottolineare come, a fronte di tutto ciò, la sicurezza del personale, così come la tutela della salute e dell'ambiente, siano fattori irrinunciabili che prevalgono indubbiamente su tutti gli altri.
Riguardo, invece, all'opportunità di «rendere pubbliche le attività di addestramento e sperimentazione» effettuate presso i poligoni siti in Sardegna, premesso che nei rapporti con la regione Sardegna il dicastero ha sempre individuato nel dialogo lo strumento idoneo ad affrontare, congiuntamente, le problematiche di comune interesse, faccio presente che le attività addestrative - indispensabili nella predisposizione di uno strumento militare moderno ed efficace - vengono sempre svolte dopo un'attività di controllo preventivo specificamente finalizzata a garantire l'osservanza del regolamento di utilizzo dei poligoni, a

salvaguardia della popolazione e a tutela dell'ambiente.
Ogni attività da svolgere viene anche preventivamente valutata ed autorizzata solo dopo un esame dell'impatto ambientale e previa consultazione del comitato misto paritetico costituito presso la regione Sardegna, ai sensi della legge 898 del 1976.
Anche l'utilizzo dei poligoni da parte di paesi stranieri è subordinato all'accettazione delle prescritte norme d'uso e alla presentazione, al termine di ogni attività svolta, di un rapporto che confermi l'avvenuta bonifica delle aree utilizzate, nonché il numero e il tipo di munizionamento effettivamente impiegato durante l'esercitazione.
Preciso, in ultimo, che le rilevazioni effettuate dal centro interforze studi applicazioni militari (Cisam), per incarico del procuratore militare di Cagliari, non hanno evidenziato alcuna traccia di impiego di proiettili all'uranio impoverito nelle aree dei quattro poligoni sardi dove viene svolta attività addestrativa (capo Teulada, Poligono di Perdasdefogu - «a terra» e «a mare», Poligono aeronautico di Capo Fresca).
Il dicastero ha sempre mantenuto un atteggiamento attivo e trasparente sulla tematica confrontandosi e collaborando con le sollecitazioni provenienti dall'esterno accogliendo le varie istanze senza pregiudizi; operando secondo risultanze di vari studi, ricerche e approfondimenti di volta in volta effettuati.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul sito web www.forzearmate.org, è pubblicato un articolo intitolato «Militare perseguitata, a giudizio 5 marinai» in cui si legge: «MARSALA. Il giudice delle udienze preliminari di Marsala, Vito Marcello Saladino, ha rinviato a giudizio cinque militari della Marina accusati di stalking nei confronti di una militare (D.V., 31 anni, sottocapo di terza classe truppa) che sarebbe stata perseguitata da un suo superiore e costretta a subire abusi sessuali da un collega. All'epoca dei fatti, tra il 2007 e il 2009, la donna prestava servizio alla Capitaneria di porto di Mazara del Vallo (Trapani). Oltre che per stalking, il G.U.P. ha rinviato a giudizio anche per calunnia, abuso d'ufficio e omissione di denuncia il capitano di fregata Claudio Manganiello, di 41 anni, ex vice comandante della Capitaneria di porto di Mazara del Vallo. L'ufficiale è accusato di avere sottoposto D.V. ad una serie di atti persecutori, richiamandola «brutalmente» alla presenza di altri militari, sovraccaricandola di servizi, anche con mansioni non d'ufficio, sottoponendola a procedimenti disciplinari e sanzionandola per fatti di scarso rilievo. Rinviati a giudizio anche il capo di prima classe Gianluca Perrone, 39 anni, accusato di violenza sessuale, per avere abbracciato e baciato in bocca la collega, contro la sua volontà, durante turni di servizio notturni. Ed inoltre il maresciallo Alberto Urso, di 54 anni, che ha omesso di denunciare la violenza sessuale dopo il racconto della collega, il primo maresciallo Gualtiero Migliorini, di 45 anni, e il maresciallo capo Concetto Cappuccio, di 46, anche loro accusati di omessa denuncia e di avere cercato di convincere V.D. a rimettere la querela per atti persecutori contro il vice comandante. Il processo a carico dei cinque militari comincerà, davanti al Tribunale di Marsala, il 3 ottobre prossimo»;
l'articolo 7 e seguenti del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 convertito dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, introducono nel nostro ordinamento, peraltro con notevole ritardo rispetto agli altri ordinamenti europei, all'articolo 612-bis del codice penale, una nuova fattispecie di reato finalizzata a sanzionare la condotta persecutoria nei confronti, soprattutto, delle donne e per evitare delitti di gravità superiore -:
se abbia adottato le adeguate misure per prevenire e contrastare il fenomeno

dello stalking e quali;
se non ritenga di dover sviluppare adeguate iniziative culturali nei confronti del personale civile e militare della Difesa;
quali siano i provvedimenti adottati nei confronti dei militari coinvolti nella vicenda di cui in premessa.
(4-12708)

Risposta. - Come noto, la legge 23 aprile 2009, n. 38 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico l'articolo 612-bis del codice penale, con il quale è stata definita la fattispecie di reato di «atti persecutori»: comportamenti, questi, che in passato venivano inquadrati dal codice penale nei reati di «molestie o disturbo delle persone» (articolo 660) o «minaccia».
Ciò comportava, di fatto, sia per la vittima che per le forze dell'ordine e per la magistratura, uno stato d'impotenza anche in presenza di persecuzioni e d'intimidazione reiterate, senza la possibilità di incidere sull'eventuale escalation dei comportamenti aggressivi.
La richiamata norma è finalizzata proprio ad impedire quelle condotte pericolose di interferenza nella vita privata delle persone; con la previsione del reato di stalking viene, infatti, introdotta una pena proporzionata - che prevede la detenzione fino a quattro anni - e l'applicazione di misure cautelari e di sicurezza.
La problematica dello stalking e della violenza di genere è da tempo all'attenzione dei vertici del Ministero della difesa; a tal fine, già dal 2002, lo Stato maggiore della difesa ha diramato un'apposita direttiva («Etica Militare») che, nel delineare le basi comportamentali cui si deve attenere il personale nello svolgimento delle proprie funzioni, costituisce un vero e proprio codice deontologico e comportamentale, finalizzato a prevenire possibili fenomeni critici di interrelazione tra il personale.
La medesima direttiva evidenzia, inoltre, come la completa applicazione dei principi di pari opportunità di diritti e di doveri sia una garanzia per il corretto assolvimento dei compiti istituzionali.
Nell'ambito delle iniziative intraprese dal Ministero della difesa e finalizzate alla prevenzione e al contrasto degli atti persecutori, violenti, sessualmente finalizzati o vessativi verso vittime vulnerabili, evidenzio la firma del «Protocollo d'intesa contro lo stalking», sottoscritto il 16 gennaio 2009, tra i Ministri pro tempore della difesa e per le pari opportunità, in attuazione del quale è stata costituita, presso il reparto analisi criminologiche, la «Sezione atti persecutori» del raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche.
Faccio presente, inoltre, che la Difesa partecipa attivamente al gruppo di lavoro istituito presso il Ministero degli affari esteri per l'implementazione a livello nazionale della convenzione Cedaw (Covention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women), adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite nel 1979, uno dei cui principi fondamentali è il ripudio della violenza contro le donne e l'istanza della loro protezione.
Preciso, ancora, che l'attuazione della normativa in materia di pari opportunità, la problematica di genere e le problematiche relative alla violazione dei diritti delle donne, hanno carattere di priorità nei piani di studio degli istituti di formazione, a tutti i livelli, delle Forze armate e nei programmi addestrativi destinati al personale che partecipa a missioni militari di pace, nei quali è previsto rinserimento di moduli formativi su tali tematiche.
Analogamente, la diffusione delle cultura di genere e della conoscenza delle problematiche connessa con l'attuazione delta normativa in materia di pari opportunità sono inserite in tutti i corsi già in programmazione in materia di stato giuridico del personale e organizzazione del lavoro, presso la Scuola di formazione del personale civile della difesa, il cui accesso è aperto anche al personale militare.
Con specifico riferimento alle vicende fattuali richiamate dall'interrogante, preciso che:
esse non sono state processualmente accertate poiché il procedimento penale ad oggi si trova nelle fasi preliminari, essendosi appena celebrata, il 15 dicembre 2011, l'udienza di apertura della fase dibattimentale;

non è stata ancora avviata alcuna azione disciplinare di stato nei confronti di alcuno fra i militari coinvolti, in aderenza al fondamento normativo desumibile dall'articolo 1393 del Codice dell'ordinamento militare recato dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, che ne impedisce l'avvio e lo svolgimento fino alla conclusione del procedimento penale.

Per completezza di informazione, appare opportuno, in ultimo, rappresentare che anche la presunta parte lesa è, a tutt'oggi, indagata per «falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici», ai sensi dell'articolo 479 del Codice penale, per aver alterato il registro delle comunicazioni radio e che, tale fatto, assume preminente rilievo per essere all'origine dell'intera vicenda.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
da un articolo pubblicato sul sito «ilFRIULI.it» dal titolo «Militari in Afghanistan senza divise. Risolto il mistero delle truppe della Brigata Ariete, rimaste senza provviste di vestiario durante la missione» si è potuto apprendere anche che «[...] negli ultimi mesi è stato predisposto un servizio sperimentale di trasferimento su rotaia in alternativa al tradizionale ponte aereo. Si trattava, comunque, di una sorta di prova, appaltata a Trenitalia. [...] il convoglio in oggetto è stato fermato tra l'Ungheria e l'Ucraina per questioni di pratiche doganali da sbrigare con la Federazione Russa [...] il treno ha fatto rientro in Italia e si è provveduto a tamponare la situazione di disagio per i nostri soldati, attingendo dal vestiario di scorta già presente in Afghanistan. In questo modo è stato possibile attivare un nuovo carico aereo per bypassare l'incidente di percorso.» -:
quali siano stati i costi e le condizioni dell'appalto affidato alla società Trenitalia;
quali siano state le iniziative intraprese dal Ministro interrogato per il ristoro del danno subito a causa del blocco imposto al convoglio ferroviario da parte delle autorità della Federazione Russa.
(4-13409)

Risposta. - In via preliminare, evidenzio che i costi e le condizioni dell'appalto del trasporto ferroviario affidato alla società Trenitalia sono esplicitati nel contratto stipulato in data 23 dicembre 2010 tra la citata direzione generale ed il raggruppamento temporaneo di imprese Trenitalia Spa (capogruppo) - FS Logistica Spa.
Ciò premesso, relativamente ai disguidi verificatisi in occasione del richiamato trasporto ferroviario attraverso la rotta nord per il supporto ai contingenti nazionali schierati in Afghanistan, si fa osservare che eventuali azioni da intraprendere nei confronti della ditta esecutrice del servizio, non essendo il trasporto andato a buon fine nei termini indicati all'azienda sono demandate alla direzione generale del commissariato e dei servizi generali, in qualità di rappresentante legale dell'amministrazione nell'atto negoziale.
Allo stato la predetta direzione generale sta valutando, sulla base della documentazione agli atti, se sussistano eventuali responsabilità a carico della società esecutrice del servizio o se i suddetti disguidi siano da attribuirsi esclusivamente a cause di forza maggiore e, pertanto, non riconducibili alla volontà della ditta medesima.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.

VICO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 2, comma 31, della legge n. 481 del 1995 (che istituisce l'Autorità per l'energia elettrica e il gas) stabilisce

che «il personale dipendente in servizio anche in forza di contratto a tempo determinato presso le Autorità non può assumere altro impiego o incarico né esercitare altra attività professionale, anche se a carattere occasionale. Esso, inoltre, non può avere interessi diretti o indiretti nelle imprese del settore. La violazione di tali divieti costituisce causa di decadenza dall'impiego ed è punita, ove il fatto non costituisca reato, con una sanzione amministrativa»;
con la deliberazione GOP 17/11 del 17 aprile 2001, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha modificato il proprio regolamento di organizzazione e funzionamento secondo un modello di organizzazione dipartimentale e l'inquadramento dei capi di dipartimento sarà automaticamente equiparato a quello massimo possibile (gratifiche incluse) per il personale dirigenziale dell'Autorità;
l'articolo 13, comma 1, del suddetto regolamento di organizzazione e funzionamento prevede che le funzioni di responsabile della direzione affari giuridici e contenzioso possano essere affidate a esperti nel ruolo di collaboratori dell'Autorità e che, nel caso in cui tali funzioni siano affidate a magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello Stato o professori universitari, tale posizione è compatibile anche con la eventuale permanenza in ruolo nella carriera di appartenenza, ai sensi dei rispettivi ordinamenti;
risulta all'interrogante che un avvocato dello Stato, precedentemente capo dell'ufficio legislativo del Ministero dello sviluppo economico e, successivamente e fino al maggio 2011, vice capo di gabinetto dello stesso Ministero, tuttora in attività, e non posto in posizione di fuori ruolo, a cui (come facilmente sembra evincersi dal ruolo dei procedimenti dell'Avvocatura dello Stato) sarebbero anche assegnate cause concernenti l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, presti oggi servizio presso la stessa Autorità, quale dipendente in funzione dirigenziale in posizione apicale, ricoprendo anzi una delle funzioni equiparate funzionalmente ed economicamente alla figura del soppresso segretario generale;
risulterebbe, inoltre, che il ruolo di responsabile di una direzione di un'amministrazione indipendente come l'Autorità per l'energia elettrica e il gas sia svolto da un altro consulente esterno e che tale consulente esterno sia in particolare un consigliere di Stato non posto in posizione di fuori ruolo ma tuttora svolgente funzioni giurisdizionali nello stesso organo della giustizia amministrativa;
il suddetto consigliere di Stato sarebbe poi affiancato da un terzo consulente esterno e tale consulente sarebbe un giudice del tribunale amministrativo regionale della Lombardia tuttora in attività presso tale tribunale, il quale è chiamato a decidere anche in tema di ricorsi presentati avverso provvedimenti dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
le nomine sopra illustrate, ferma restando l'autonomia organizzativa dell'Autorità, pongono una serie di questioni di carattere generale, delle quali appare urgente investire il Governo;
ad avviso dell'interrogante, la funzione svolta presso l'Autorità per l'energia elettrica e il gas da un avvocato dello Stato potrebbe comportare gravi conflitti di interessi, conflitti che potrebbero manifestarsi ove il suddetto avvocato dello Stato difenda in giudizio l'amministrazione di cui è, d'altro canto (e ad avviso dell'interrogante non in linea con la normativa primaria), dirigente apicale;
inoltre, appare potenzialmente lesiva e diminutiva dell'indipendenza dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, indipendentemente dalla qualità delle persone interessate, la presenza nel ruolo di capo del dipartimento che si occupa delle relazioni istituzionali dell'Autorità (quindi con il Governo oltre che con il Parlamento) di un funzionario che, immediatamente prima dell'assunzione del nuovo ruolo, abbia svolto funzioni fiduciarie proprio

per conto del Ministro le cui funzioni più direttamente attengono all'attività istituzionale dell'Autorità e nei confronti del quale deve esercitarsi - anche e soprattutto - l'indipendenza di cui al mandato istituzionale dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
con riferimento alla seconda situazione segnalata, ad avviso dell'interrogante, indipendentemente dal giudizio di legittimità che possa darne il competente organo di autogoverno nonché la stessa Autorità, fatto altresì salvo il principio di autonomia della magistratura e ferme restando le qualità personali dell'interessato, non può non sorgere la preoccupazione che si possa determinare una grave lesione della terzietà e della trasparenza della giustizia amministrativa in relazione alla presenza, nel ruolo di responsabile del contenzioso di una pubblica amministrazione, di un magistrato del Consiglio di Stato tuttora in attività, posto che in ultimo grado di giudizio il Consiglio di Stato potrebbe essere chiamato a pronunciarsi su memorie predisposte da un proprio membro;
desta inoltre preoccupazione sotto il profilo della terzietà e trasparenza della giustizia amministrativa il fatto che un delicatissimo ruolo di consulenza (e sostanzialmente la vicedirezione della direzione affari giuridici e contenzioso dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas) sia svolto da un giudice amministrativo che ha operato, fino al momento della contrattualizzazione nella funzione consulenziale presso l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, nella sezione competente a giudicare i ricorsi presentati avverso provvedimenti della stessa Autorità: sarebbe da scongiurare che si realizzi il caso di un magistrato chiamato a scrivere appelli avverso le proprie stesse sentenze;
fatta salva l'autonomia organizzativa dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, appare in contrasto anche con il principio di economicità e buon andamento della pubblica amministrazione l'assegnazione delle funzioni di responsabile della direzione affari giuridici e contenzioso ad un magistrato tuttora in attività; tale scelta, infatti, oltre a confliggere con quanto stabilito in via generale dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che detta norme generali sul pubblico impiego, ha determinato (per via dell'impossibilità di comprimere - giustamente - l'attività giurisdizionale del magistrato in questione) la necessità, da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, di sottoscrivere un secondo contratto di collaborazione con un secondo giudice, anch'esso in attività; in proposito, è secondo l'interrogante comunque da evitare che due giudici amministrativi tuttora in attività percepiscano anche un compenso quali consulenti di un'altra amministrazione; ciò vale anche, mutatis mutandis, per il primo caso sopra segnalato;
le criticità sopra evidenziate rendono necessaria, ad avviso dell'interrogante, una revisione della normativa vigente -:
se non si intenda adottare ogni iniziativa di competenza, anche normativa, per far sì che siano rimosse le situazioni di criticità e di potenziale conflitto di funzioni esposte in premessa e sia disciplinato più compiutamente il regime delle incompatibilità degli appartenenti alla giustizia amministrativa e all'Avvocatura dello Stato, evitando in tal modo che anche per il futuro vengano a determinarsi situazioni analoghe a quelle descritte.
(4-12680)

Risposta. - Con riferimento a quanto richiesto con l'interrogazione in esame, concernente il conflitto d'interesse di alcuni dipendenti dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas e sulla base degli elementi pervenuti dall'Avvocatura dello Stato e dal Consiglio di Stato, si fa presente quanto segue.
L'Avvocatura dello Stato fa presente che ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1993, n. 584 (Regolamento recante norme sugli incarichi consentiti o vietati agli avvocati e procuratori dello Stato ai sensi dell'articolo 58 del decreto

legislativo 3 febbraio 1993, n. 29): «sono consentiti agli avvocati e procuratori dello Stato... b) incarichi di consulenza e collaborazione... con enti che sono ammessi ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato; c) cariche e incarichi presso autorità amministrative indipendenti, ovvero presso soggetti, enti e istituzioni che svolgono compiti di alta amministrazione e di garanzia».
La carica in questione è quindi pienamente compatibile con il contemporaneo esercizio delle funzioni di avvocato dello Stato ed in particolare con il patrocinio dell'amministrazione interessata, perché dal citato articolo 3 si desume che il patrocinio dell'Avvocatura costituisce il necessario presupposto per l'autorizzazione dell'incarico proprio perché la consulenza e collaborazione prestata in favore dell'amministrazione sono funzionali anche ad un più efficace esercizio dell'attività di patrocinio svolta da questo istituto.
Quindi, non potrebbe configurarsi il paventato conflitto di interessi, considerato che la collaborazione nell'esercizio dell'attività amministrativa ed il patrocinio della relativa amministrazione - garantendo la legittimità dell'atto amministrativo sia in sede procedimentale che in sede processuale - sono attività convergenti e complementari finalizzate alla cura del medesimo interesse pubblico.
Si rappresenta comunque che l'Avvocato generale dello Stato, su conforme parere del Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato espresso nella seduta del 15 luglio 2011, ha autorizzato il collocamento fuori ruolo dell'avvocato dello Stato in questione a decorrere dal 1° ottobre 2011, stante l'espressa richiesta formulata dall'Autorità per l'energia elettrica ed il gas di avvalersi a tempo pieno del predetto avvocato in ragione del particolare impegno richiesto nella suddetta qualifica di capo dipartimento. È in corso di predisposizione la relativa proposta per l'adozione del prescritto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di collocamento in posizione di fuori ruolo.
Il Segretario generale della giustizia amministrativa, da parte sua, dichiara che in linea generale, gli incarichi extragiudiziari ai magistrati amministrativi sono autorizzati dal Consiglio di presidenza dei magistrati amministrativi in conformità con le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1993, n. 418, e con i criteri stabiliti dallo stesso Consiglio di presidenza con delibera in data 18 gennaio 2001 e successive modificazioni, le une e gli altri aventi il fine di evitare che lo svolgimento dell'incarico possa determinare una situazione pregiudizievole per l'indipendenza e l'imparzialità del magistrato e per il prestigio e l'immagine della giustizia amministrativa.
In concreto, va considerato il fatto che l'ordinamento non prevede uno specifico regime di incompatibilità fra le posizioni rivestite dal consigliere di Stato e dal consigliere di Tribunale amministrativo regionale nell'ambito della predetta Autorità indipendente e il loro ruolo di magistrati. Infine, se pure dovesse manifestarsi una situazione che esponesse a rischio, anche soltanto in apparenza, i valori anzidetti, soccorrerebbero gli ordinari istituti processuali dell'astensione obbligatoria ed, eventualmente, della ricusazione.
Nello specifico sia il consigliere di Stato sia il consigliere di Tar sono stati autorizzati dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa con delibera del 6 maggio 2011, a ricoprire rispettivamente l'incarico di responsabile della direzione affari giuridici e contenzioso presso l'Autorità per energia elettrica e il gas per la durata di due anni, e l'incarico di consigliere presso la direzione affari giuridici e contenzioso presso l'Autorità per energia elettrica e il gas per la durata di due anni.
Va inoltre sottolineato che attualmente il consigliere di Stato presta servizio presso il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Siciliana, mentre il consigliere di Tar attualmente presta servizio presso il Tar della Lombardia, sezione IV, la cui corrente competenza non include i ricorsi avverso provvedimenti adottati dall'autorità.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Dino Piero Giarda.

ZACCHERA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
è stata pubblicizzata la possibilità, per giovani di ambo i sessi, di trascorrere un periodo di tempo di alcune settimane come «ferma-lampo» in strutture militari anche per avere un primo contatto con le Forze armate -:
quante persone abbiano aderito a questa possibilità, per quali Armi e dove siano stati ospitati;
quali siano i risultati di questa iniziativa e se verrà replicata anche nei prossimi anni.
(4-12774)

Risposta. - In merito alla richiamata «possibilità di trascorrere un periodo di tempo di alcune settimane come "ferma-lampo" in strutture militari», è verosimile che il riferimento sia ai corsi a carattere teorico-pratico denominati «Vivi le Forze Armate - Militare per tre settimane».
Tali corsi sono stati avviati in via sperimentale e per il triennio 2010-2012, in attuazione dell'articolo 55, comma 5-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 («Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica»), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
La finalità di questi corsi è quella di offrire ai giovani (di ambo i sessi e di età compresa tra i 18 e i 30 anni), a fronte della sospensione del servizio di leva, l'opportunità di vivere, per un breve periodo, un'esperienza di vita militare e di avvicinarsi a quei valori che tradizionalmente promanano dalle Forze armate, quali la disciplina, lo spirito di corpo, l'educazione al rispetto dei principi etici, l'osservanza delle regole e l'amor di Patria.
Ciò premesso, in relazione al numero delle adesioni registrate nei primi due anni di tale iniziativa, si evidenzia che sono affluiti:
nel 2010, 1.800 soggetti a fronte di 8.250 domande;
nel 2011, 4.412 soggetti a fronte di 14.390 domande.

Si riportano di seguito i reparti e le sedi di svolgimento, per il medesimo anno, ripartiti per Forza armata:
Esercito italiano:
centro addestramento alpino, La Thuile - Aosta;
6° reggimento alpini, San Candido - Bolzano;
brigata alpini «Taurinense», comprensorio Sestriere, Bousson - Torino;
brigata «Julia» 7° reggimento alpini, Belluno;
centro addestramento paracadutismo, Pisa;
reggimento lagunari «Serenissima», Mestre - Venezia;
comando aviazione dell'Esercito, Viterbo;
scuola di fanteria Bersaglieri, Cesano - Roma;
scuola di fanteria granatieri di Sardegna, Cesano - Roma;
comando genio, Roma (sede idonea ad accogliere frequentatori diversamente abili);
scuola delle trasmissioni, Roma;
arma trasporti e materiali c/o comando logistico di proiezione, Roma;
comando artiglieria, Bracciano - Roma;
comando artiglieria contraerei, Sabaudia - Latina;
131° reggimento carri, comprensorio Persano - Salerno;
scuola di cavalleria, Lecce;
11° reggimento genio, Castrovillari - Cosenza;
brigata «Aosta» 4° reggimento genio guastatori, Palermo;
151° reggimento fanteria «Sassari», Cagliari.

Marina militare:
scuola sottufficiali Marina militare, Taranto (sede idonea ad accogliere frequentatori diversamente abili);
comando forza da sbarco Brindisi;
accademia navale, Livorno (solo per il secondo corso).

Aeronautica militare:
313° gruppo addestramento acrobatico, Rivolto - Udine;
scuola allievi marescialli A.M., Viterbo;
scuola volontari di truppa A.M., Taranto (sede idonea ad accogliere frequentatori diversamente abili).

Arma dei carabinieri:
scuola allievi carabinieri, Torino;
scuola allievi carabinieri, Roma (sede idonea ad accogliere frequentatori diversamente abili);
scuola allievi carabinieri, Campobasso;
scuola allievi carabinieri, Reggio Calabria;
scuola allievi carabinieri, Iglesias - Cagliari.

In merito all'ultimo quesito posto dall'interrogante, faccio notare che i corsi in questione, avendo esclusivamente scopo divulgativo, non prevedono specifici strumenti di verifica dei risultati ottenuti; tuttavia, secondo quanto indicato dai competenti organi tecnico-operativi militari, l'analisi dei questionari sottoposti ai partecipanti al termine del corso da ogni singola Forza armata, fa dedurre che le finalità prefissate siano state conseguite.
Infine, per quanto concerne il prosieguo dell'iniziativa, si evidenzia che l'articolo 29 della legge 12 novembre 2011, n. 183 concernente «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (Legge di stabilità) modificando la norma istitutiva (articolo 55 decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), ha previsto la conclusione della fase sperimentale e l'organizzazione dei corsi in forma permanente.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.