XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di mercoledì 7 marzo 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:

La Camera,
premesso che:
per un Paese come l'Italia, che ha 7.300 chilometri di coste, il mare è una meravigliosa risorsa ambientale che rappresenta un bene per l'economia, la pesca e il turismo;
le politiche di protezione e valorizzazione di questa risorsa dovrebbero essere, nel caso dell'Italia, all'avanguardia e rappresentare la base dei progetti di sviluppo del Mezzogiorno, i quali sono a loro volta indispensabili per la crescita complessiva dell'intero Paese;
la situazione è però diversa in quanto, nella realtà, manca qualsiasi azione che dimostri concretamente la consapevolezza del valore della risorsa mare, come conferma il fatto che nel Mezzogiorno continui ad essere evidente e grave l'emergenza legata al generale malfunzionamento degli impianti di depurazione, con il Sud Italia nel quale è concentrata la maggior parte dei centri con più di 15 mila abitanti privi di impianti all'altezza degli standard qualitativi dettati dalla normativa comunitaria;
in tale situazione generale, che vede il nostro Paese nella prospettiva di dover affrontare un procedimento di fronte alla Corte di giustizia europea per violazione della direttiva comunitaria n. 91/271/CEE, spicca la situazione della Campania, regione nella quale la mancata depurazione delle acque reflue, soprattutto nei centri costieri più densamente popolati, causa danni gravi all'ecosistema marittimo, alla salute pubblica e alle possibilità di sviluppo del turismo balneare;
in Campania vi sono i casi, ormai antichi e mai risolti, dei depuratori di Villa Literno, Cuma, Capri, Procida, Marcianise e di numerosi impianti nella costiera sorrentino-amalfitana. Inoltre i dati appena pubblicati dall'ARPA Campania indicano in ben 65 (per un totale di circa 80 chilometri di costa) il numero di tratti marini dichiarati non balneabili. Gli sversamenti in mare di acque e sostanze non depurate contribuiscono fortemente a un risultato così negativo;
il 26 ottobre 2011 la Commissione ambiente ha approvato la risoluzione n. 8-00153 che, prendendo in esame dati e fatti registrati in Campania tra il 2009 e l'anno in corso, impegnava il Governo pro tempore a:
effettuare un complessivo monitoraggio sulla situazione della depurazione delle acque attivi in Campania;
ferme restando le competenze della regione in materia e nell'ottica di salvaguardare la salute pubblica, a verificare l'opportunità di propri interventi volti a garantire nell'immediato la tutela delle coste campane e, in tal modo, contribuire a far si che non si ripeta il disastro ambientale e turistico dell'estate 2009;
a garantire tutto il sostegno necessario, per quanto nelle sue competenze, alla nuova giunta regionale della Campania e alle altre regioni dell'Italia meridionale in materia di bonifica e rimessa in funzione degli impianti di depurazione delle acque mal funzionanti e, ormai, essi stessi causa di inquinamento e di allontanamento dei turisti;
ad attuare tutte le iniziative necessarie per avviare un piano che vada al di là degli interventi emergenziali ed episodici, così da rendere efficienti tutti gli impianti di depurazione delle acque nel Mezzogiorno;
la gestione quotidiana degli impianti di depurazione spetta alle regioni. Tuttavia, in base all'articolo 117 che elenca la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema tra le materia di legislazione esclusiva in capo allo Stato, il Governo ha la possibilità di intervenire per difendere con

norme e regolamenti di carattere generale la salute dei cittadini e la salvaguardia della natura;
è inoltre da considerare come, sia in Campania che nelle altre regioni meridionali, al danno per la salute umana e per l'ambiente si aggiunga la beffa di natura economica poiché gli utenti continuano a pagare in bolletta la quota per la depurazione anche lì dove il servizio è inefficiente;
tale situazione è contro la legge perché - rispettivamente con la sentenza n. 335 del 2008 e con l'articolo 8-sexies del decreto-legge n. 208 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 13 del 2009 - prima la Corte Costituzionale e poi il Parlamento hanno stabilito che non è obbligo degli utenti pagare in bolletta al gestore del servizio idrico integrato la quota relativa alla depurazione, qualora l'impianto manchi o sia momentaneamente non in funzione,


impegna il Governo:


ad effettuare un monitoraggio comparativo sul panorama delle varie soluzioni di gestione della depurazione delle acque presenti nelle varie regioni italiane, così da favorire, in accordo con gli enti locali interessati, il trasferimento delle pratiche migliori nelle regioni in maggiore difficoltà;
a valutare l'opportunità di interventi, nell'ambito delle proprie competenze, per superare situazioni che sembrano non avere più via di sbocco e che possono sfociare in una emergenza grave come quella dei rifiuti;
a predisporre interventi di immediata applicazione che consentano anche di rispondere ai richiami della Commissione europea e al rischio ormai più che concreto di dover subire definitivamente una condanna per violazione della normativa comunitaria, cosa che avrebbe effetti ulteriormente devastanti sui flussi turistici dall'estero verso il Mezzogiorno;
ad adottare le iniziative idonee a dare seguito agli impegni sulla Campania già assunti dal precedente Governo in sede di approvazione della risoluzione richiamata in premessa;
a predisporre e presentare alle Camere, entro il 31 dicembre di ciascun anno, una relazione recante l'indicazione dei dati relativi alla gestione dei depuratori, alla connessa dotazione impiantistica nelle varie aree del territorio nazionale e ai risultati ottenuti nel conseguimento degli obiettivi prescritti, in materia di depurazione delle acque reflue, dalla direttiva europea 91/271/CEE per la cui violazione l'Italia è sotto procedura d'infrazione da parte della Commissione europea, così da consentire l'individuazione delle situazioni di maggiore criticità e delle misure atte a fronteggiarle.
(1-00903)
«Cosenza, Pagano, Moles, Holzmann, Speciale, Lainati, Petrenga, De Angelis, Misuraca, Vessa, Cicu, Brancher, Tommaso Foti, Aracri, Ghiglia, Germanà, Minardo, Garofalo, Stradella, Vella, Centemero, Stasi, Rampelli, Marsilio, Milanese, Iannaccone, Porfidia, Pizzolante, Mazzuca, Luciano Rossi».

Risoluzione in Commissione:

La Commissione VII,
premesso che:
il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249, disciplina l'istituzione e svolgimento del tirocinio per la formazione degli insegnanti, della scuola dell'infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria, riconoscendolo come propedeutico al conseguimento del titolo di abilitazione all'insegnamento;
successivamente il decreto ministeriale dell'11 novembre 2011, n. 194, ha definito le modalità di svolgimento e le

caratteristiche delle prove di accesso ai corsi accademici di II livello di cui all'articolo 3, comma 3 del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249, per l'insegnamento nella scuola secondaria di primo grado;
inoltre il decreto ministeriale 11 novembre 2011, n. 194, definisce le caratteristiche delle prove di accesso e le modalità di svolgimento dei percorsi formativi di abilitazione per la scuola dell'infanzia e per la scuola materna di cui all'articolo 15, comma 16, del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249;
i succitati decreti prevedono una prova di accesso al tirocinio formativo per tutti i professionisti che sono privi di abilitazione per la relativa classe di concorso e/o insegnamento entro la data di presentazione della domanda, senza riconoscere alcun tipo di vantaggio al personale con esperienza pregressa;
la suddetta prova mira a verificare contenuti disciplinari oggetto di insegnamento e conoscenze disciplinari preliminari indispensabili al perseguimento degli obiettivi formativi;
alla luce di quanto individuato, con le prove di accesso si dovrebbe verificare una competenza di certo acquisita, implementata e comprovata da professionisti che - pur non essendo abilitati de iure - esercitano da anni l'insegnamento;
le dinamiche di accesso alla prova di cui al suindicato decreto, non riconoscono alcun tipo di titolo preferenziale in capo ai professionisti che hanno già maturato esperienza nell'insegnamento tale da legittimare una differenza tra questi ultimi e coloro che aspirano ad accedere al comparto accademico per la prima volta;
in data 8 marzo 2010 il Consiglio di Stato si è espresso sullo schema di regolamento concernente «Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell'infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell'articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244»;
nella suindicata sede, il Consiglio di Stato ha evidenziato alcune perplessità circa l'impossibilità - espressa dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - di prevedere, in via transitoria, un accesso automatico al tirocinio da parte di chi sia in possesso di una anzianità minima di servizio;
nella medesima sede il Consiglio di Stato ribadiva che «un più favorevole trattamento dei precari in questione, nella fase di passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento, non avrebbe determinato, pertanto, una disparità giuridicamente rilevante»;
i docenti non abilitati, inseriti in III fascia di istituto, sono da considerarsi insegnanti a tutti gli effetti con competenze del tutto pari a quelli di ruolo o abilitati;
attualmente i docenti appartenenti alla categoria suindicata, sono contraddistinti da una grave condizione di precarietà perché non provvisti di abilitazione de iure, per questi sarebbe possibile procedere con il riconoscimento della partecipazione al tirocinio formativo attivo, - propedeutico all'abilitazione - senza sottoporli alle «prove di sbarramento» di cui ai citati decreti, considerando l'esperienza maturata dagli stessi che non necessita di essere nuovamente valutata;
alla suindicata criticità si aggiunge quella afferente alla categoria degli insegnanti tecnico-pratici ed ai diplomati presso scuole o istituti magistrali, molti dei quali sono coinvolti in un contenzioso con l'amministrazione finalizzato al riconoscimento del valore abilitante del titolo;
alla luce delle suindicate criticità sarebbe auspicabile introdurre una deroga alle disposizioni vigenti, consentendo l'ammissione ai corsi di tirocinio formativo, senza l'obbligo di sostenere le prove di

accesso, ai docenti di ogni ordine e grado, ivi compresi insegnanti tecnico pratici ed ex diplomati magistrali, operativi presso la scuola dell'infanzia e primaria, privi di abilitazione, ancorché inseriti in terza fascia di istituto, che abbiano maturato almeno 360 giorni di servizio,


impegna il Governo:


ad assumere iniziative per rivedere le modalità di accesso al tirocinio, consentendo ai docenti, considerati non abilitati de iure, di potervi partecipare senza l'obbligo di sostenere le prove di accesso, che mortificano e vanificano l'esperienza maturata sul campo;
ad assumere iniziative volte a prevedere un accesso diretto al tirocinio per quei docenti di ogni ordine e grado, ivi compresi gli insegnanti tecnico pratici e gli ex diplomati di istituti e scuole magistrali (operativi presso la scuola dell'infanzia e primaria), considerati privi di abilitazione, che abbiano maturato almeno 360 giorni di servizio;
a predisporre ogni opportuna iniziativa volta ad affrontare le problematiche afferenti i docenti tecnico-pratici ancorché non abilitati, per i quali non è stato ancora previsto nessun percorso abilitante.
(7-00806)
«Granata, Di Biagio, Barbaro, Muro».

TESTO AGGIORNATO AL 9 MARZO 2012

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
dal dicembre 2005 il signor Francesco Palmiro Mariani sta svolgendo ininterrottamente il ruolo di vertice dell'autorità portuale di Bari, sia in qualità di commissario che di presidente;
a seguito di gravi irregolarità accertate durante la sua gestione, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con decreto del 17 giugno 2009, ha provveduto alla rimozione del signor Mariani ed al contestuale commissariamento dell'autorità portuale di Bari;
all'adozione del suddetto decreto, il Ministro competente era pervenuto sulla scorta delle conclusioni rassegnate da un'apposita Commissione ministeriale, istituita con decreto del direttore, generale dei porti n. 20/08 del 19 dicembre 2008, la quale, nella relazione conclusiva del 4 maggio 2009, aveva stigmatizzato che «il Presidente dell'autorità portuale ha posto in essere iniziative ed atti quanto meno discutibili, in contrasto con le funzioni d'ufficio che postulerebbero la serena ed efficiente gestione, sotto il profilo istituzionale ed operativo, del Porto di Bari», evidenziando che «Alla luce dell'accertamento svolto, vi è ragione di ritenere che la situazione del porto di Bari, già molto grave, sia destinata a peggiorare ulteriormente, proprio per effetto delle improvvide iniziative dell'Autorità portuale destinate a compromettere irreversibilmente lo sviluppo futuro dello scalo barese»;
il Tar Puglia, con sentenza 8 luglio 2009, n. 1803, pronunciandosi sul commissariamento dell'autorità portuale di Bari, ha affermato in modo espresso che, in presenza di «indizi di grave e comprovata mala gestio», è legittimato «l'esercizio del potere straordinario di commissariamento da parte del Ministero, sulla base di documentate perdite finanziarie»;
la «mala gestio» del porto di Bari da parte del signor Mariani, come preconizzato nella sopra citata relazione della commissione ministeriale del 4 maggio 2009, è venuta a realizzarsi pienamente nei due anni successivi e continua, secondo

gli interpellanti, tutt'ora a degenerare verso un irreversibile tracollo finanziario, operativo e gestionale;
la dimostrazione di quanto predetto è confermata dalla revoca nei riguardi della medesima autorità portuale di 85 milioni di euro di finanziamenti, previsti dal decreto ministeriale n. 357 del 13 ottobre 2011, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, a causa dell'incapacità programmatoria e gestionale del medesimo ente portuale, che non è stato in grado di progettare o bandire gare, per opere infrastrutturali né tantomeno proporre al Ministero interpellato progetti alternativi immediatamente cantierabili;
risulta agli interpellanti in particolare che, durante i sei anni di gestione del signor Francesco Palmiro Mariani, sia in qualità di Presidente, che di commissario dell'autorità portuale di Bari, nonostante siano intervenuti ben dieci decreti ministeriali di variazione delle opere e dei programmi proposte dalle diverse autorità portuali ed accettate dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l'autorità portuale di Bari non ha programmato, progettato e tanto meno reso cantierabile alcun intervento infrastrutturale, nonché proposto alcuna variazione del programma, che avrebbero consentito di ottenere facilmente dal suddetto Ministero il mantenimento dello stanziamento in questione;
solo nel 2010, addirittura oltre cinque anni dall'assegnazione dei finanziamenti revocati, l'ente portuale barese ha richiesto al medesimo Ministero una rimodulazione del programma d'investimenti, proponendo tuttavia interventi di non immediata cantierabilità, tanto che, a tal proposito, la nota del 14 ottobre 2010, la direzione generale per i porti ha comunicato alla stessa autorità portuale di Bari che «a seguito della non immediata cantierabilità dei progetti ... rilevata in sede istruttoria, non si ritiene possibile al momento procedere alla richiesta rimodulazione/modifica ...»;
a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011, serie generale, della legge n. 10 del 2011 di conversione del cosiddetto «Milleproroghe», il signor Mariani, inoltre, con nota del 31 marzo 2011, inviata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha tentato, in un modo che gli interpellanti giudicano assai poco credibile, di elaborare giustificazioni ai ritardi accumulati dalla stessa Autorità Portuale, non ritenute plausibili dal medesimo Ministero interpellato;
il signor Mariani in definitiva si è ritrovato, unico esempio nel panorama della portualità nazionale, a perdere la totalità dei finanziamenti che erano stati assegnati all'autorità portuale di Bari per la realizzazione delle infrastrutture portuali;
con riferimento alle altre autorità portuali infatti, quella di Genova ha subìto una revoca di risorse pari a circa 52 milioni di Euro, ma ha ottenuto una contestuale riassegnazione di 50 milioni di euro per la realizzazione di un'altra opera resa cantierabile, mentre le restanti autorità portuali hanno perso complessivamente appena 6 milioni di euro; inoltre, con il medesimo e precedentemente esposto decreto, i fondi revocati all'autorità portuale del Levante, sono già stati totalmente riassegnati per circa 68 milioni di euro all'autorità portuale di Savona e per circa 12 milioni di euro a quelle di Cagliari, Taranto e Gioia Tauro, oltre ai 50 milioni di euro di cui si è già detto per Genova;
l'autorità portuale di Bari ha dunque conseguito la «maglia nera» perdendo definitivamente, da sola, quasi il 95 per cento dei fondi complessivamente revocati alle autorità portuali italiane, senza più alcuna possibilità di riassegnazione;
in questo modo, come si evince dalla relazione annuale, approvata nella seduta del Comitato portuale del 5 ottobre 2011, e dalla citata nota del 31 marzo 2011, l'autorità portuale di Bari ha perso l'occasione di poter realizzare importanti opere strategiche quali il nuovo sporgente

per le grandi navi da crociera nella Darsena di ponente per 8 milioni di euro, la riqualificazione del Molo Pizzoli per 30 milioni di euro, l'ampliamento del Molo San Cataldo per 18 milioni di euro, nonché il prolungamento del molo di Tramontana nel porto di Barletta per 17 milioni di euro;
l'effetto «devastante» della disposta revoca dei finanziamenti, peraltro, era stato preannunciato dallo stesso signor Mariani, laddove, nella citata sua nota del 31 marzo 2011, il medesimo comunicava al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che «è di tutta evidenza che, qualora la ricognizione mettesse in discussione i fondi necessari alla realizzazione dei piani triennali delle opere, che formano parte integrante dell'avanzo di amministrazione, ci troveremmo, di fatto, dinanzi ad una profonda alterazione degli equilibri finanziari stabiliti con bilanci già approvati dal Ministero competente compromettendo così la funzionalità dell'ente»;
in tal modo, il signor Mariani, a giudizio degli interpellanti, ha sostanzialmente «autocertificato» il dissesto finanziario e la conseguente impossibilità di funzionamento dell'ente;
quanto suesposto, a giudizio degli interpellanti, evidenzia in maniera inconfutabile la «mala gestio» realizzata dallo stesso signor Mariani e l'impellente necessità di intervenire con la revoca del suo mandato di presidente;
di fronte a questa situazione evidenziata, che gli interpellanti giudicano disastrosa, determinata dal medesimo signor Mariani, ed alla certificata incapacità di avviare l'apertura di un solo cantiere nel porto di Bari in ormai oltre sei anni di gestione dell'autorità portuale, appare incredibile che il signor Mariani, nel piano operativo triennale 2011/2013, approvato nella seduta del comitato portuale del 7 settembre 2011, nonché nel bilancio di previsione 2012, approvato nella seduta del comitato portuale del 31 ottobre 2011, abbia previsto la realizzazione, nel triennio, di investimenti infrastrutturali per complessivi euro 182.824.490,30, senza avere alcuna copertura finanziaria, non possedendo ormai più alcuna risorsa per poter realizzare nemmeno un metro lineare di banchina od un metro cubo di escavo;
a giudizio degli interpellanti la condotta discutibile ed arrogante del signor Mariani si è spinta poi fino all'inverosimile allorché, in occasione della perdita degli 85 milioni di euro di finanziamenti, ha ritenuto dichiarare sul quotidiano la Repubblica edizione di Bari del 21 ottobre 2011: «Meglio così, sapevamo della revoca e posso dire che non avrà ripercussioni sul nostro Piano Triennale»;
le documentate e gravissime perdite finanziarie procurate dal signor Mariani durante la sua gestione dell'autorità portuale di Bari, a giudizio degli interpellanti, non sono soltanto quelle suesposte;
occorre rilevare, infatti, che entrambi i bilanci 2009 e 2010 dell'autorità portuale di Bari sono stati chiusi in disavanzo di gestione (quello del 2010 per 622.665,73 euro) ed in essi sono facilmente rilevabili discutibili operazioni contabili in quanto l'autorità portuale, nel quadro della «guerra», che gli interpellanti giudicano assai negativamente, contro la Bari Porto Mediterraneo, società partecipata per il 30 per cento dalla medesima autorità portuale, ha iscritto presunti crediti nei confronti della Bari Porto Mediterraneo, derivanti da una presunta rideterminazione del canone di concessione demaniale, pur in mancanza di un effettivo titolo giuridico, nonostante che le più elementari regole di contabilità impongano che un credito possa essere imputato in bilancio solo ed esclusivamente se esso è «certo ed esigibile»;
i presunti crediti suesposti sono stati contabilizzati per circa 600.000 euro nel bilancio 2010 e per circa 1.400.000 euro nel bilancio 2009, per cui il conto economico consuntivo del 2009, approvato con un avanzo di gestione di circa 900.000 euro, presenta effettivamente un disavanzo

di circa 500.000 euro, mentre il conto economico consuntivo del 2010, approvato con un disavanzo di gestione di 622.665,73 euro, presenta effettivamente un disavanzo di circa 1.200.000 euro;
in merito a tali presunti crediti, l'ordinanza del TAR Puglia-Bari n. 147 del 25 febbraio 2010 nulla ha disposto in merito al reale accertamento del presunto credito inerente la rideterminazione del canone concessorio posto a carico della Bari Porto Mediterraneo per l'anno 2009; anzi, al contrario, ha invitato le parti a cercare un accordo, con correttezza e lealtà, per la definizione dei rapporti pendenti;
a tale prima Ordinanza hanno fatto seguito due successive ordinanze del TAR Puglia-Bari nn. 552 e 553 del 21 luglio 2010, che hanno sospeso l'efficacia dei provvedimenti dell'autorità portuale nei confronti della Bari Porto Mediterraneo anche in ordine alle pretese dell'autorità portuale relative agli anni precedenti, dal 2005 al 2008;
la sospensione è stata confermata dalla VI sezione del Consiglio di Stato, con ordinanze nn. 5126 e 5127 del 10 novembre 2010, che l'ha subordinata alla prestazione di una cauzione da parte di Bari Porto Mediterraneo, ma che nulla ha stabilito in ordine all'accertamento del presunto credito vantato dall'autorità portuale;
è intervenuta successivamente la definitiva pronuncia del TAR Puglia-Bari con le due sentenze nn. 687 e 688 del 9 maggio 2011, in base alle quali è stata affermata la nullità delle pretese dell'autorità portuale nei confronti della «Bari Porto Mediterraneo»;
il Consiglio di Stato, infine attraverso la recente sentenza del 19 gennaio 2012, nel dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, ha rinviato al giudice ordinario la cognizione della questione e, in particolare, la verifica della sussistenza e la quantificazione dei presunti crediti rivendicati dall'autorità portuale;
conseguentemente, ne è uscita confermata l'assoluta «incertezza» ed «inesigibilità» di tali presunti crediti, illegittimamente appostati nei bilanci 2009 e 2010 dal signor Mariani e la cui attuale inesistenza ai fini contabili rende ora ancora più drammatico il dissesto finanziario della medesima autorità portuale;
dal citato bilancio di previsione 2012 si rileva inoltre, in maniera del tutto incontestabile, la definitiva disfatta finanziaria della gestione del signor Mariani, derivante da una crescita esponenziale delle perdite finanziarie; si evince infatti un risultato di amministrazione presunto, al termine dell'esercizio 2011, di euro 5.522.292,89, a fronte di un risultato di amministrazione a fine 2010 di euro 26.325.342,55, nonché la previsione di un disavanzo di competenza per l'anno 2012 pari ad euro 4.108.523;
dalle variazioni al bilancio di previsione per l'esercizio 2011, approvate nel comitato portuale del 30 novembre 2011, si desume per di più, un ulteriore incremento delle spese correnti per euro 1.200.000, un incremento delle spese per la security portuale di oltre euro 600.000 ed un incremento delle spese per «Missioni del Presidente» del 100 per cento, queste ultime passate da 25.000 euro previste inizialmente a 50.000 euro, a causa dell'appostamento di ulteriori 25.000 euro di spese per «Missioni del Commissario» signor Mariani dal 19 gennaio al 7 giugno 2011;
la gravissima situazione economica in cui versa l'autorità portuale di Bari avrebbe consigliato di non procedere ad un aumento di tale rilevanza anche qualora esistessero ragioni giuridiche che giustificassero tale decisione;
in definitiva, il signor Mariani ha prodotto, durante la sua gestione, perdite finanziarie che sono divenute di entità così rilevante da ridurre l'attuale presidenza Mariani ad una gestione «nemmeno ordinaria», essendo ormai del tutto azzerati i finanziamenti disponibili per la realizzazione delle infrastrutture, le risorse necessarie

per lo sviluppo futuro dell'area portuale barese e quelle per far fronte alle più banali esigenze operative dell'area portuale, come d'altra parte sostanzialmente ammesso dallo stesso signor Mariani nella citata nota del 31 marzo 2011;
la predetta situazione, già di per sé, dovrebbe condurre come peraltro precedentemente riportato, all'immediata rimozione del signor Mariani, considerato che, come già evidenziato, il T.A.R. Puglia-Bari, con sentenza n. 1803 dell'8 luglio 2009, in tema di commissariamento dell'autorità portuale di Bari, ha affermato espressamente che in presenza di «indizi di grave e comprovata »mala gestio«» è legittimato «l'esercizio del potere straordinario di commissariamento da parte del Ministero, sulla base di documentate perdite finanziarie»;
a giudizio degli interpellanti, occorre segnalare nuovamente, la dissennata «guerra» condotta dal signor Mariani contro la società «Bari Porto Mediterraneo», partecipata per il 30 per cento dalla stessa autorità portuale ed a suo tempo costituita per gestire le stazioni marittime ed i servizi di supporto ai passeggeri di navi traghetto e da crociera nel porto di Bari, che dal 2005 in poi ha dato un apporto determinante alla crescita dei traffici portuali;
l'assurdità di tale conflitto è evidenziata dal fatto che l'annullamento della concessione, che come dichiarato dallo stesso signor Mariani, avrebbe dovuto determinare ingenti profitti per le casse dell'autorità portuale, ha prodotto al contrario quale effetto, il disastro nei bilanci della stessa autorità proprio a partire dal 2010, anno in cui per pervicace volontà del signor Mariani la Bari Porto Mediterraneo ha cessato le proprie attività che sono state assorbite direttamente dall'autorità portuale e poi da questa per la gran parte affidate ad una miriade di nuovi soggetti con conseguenti maggiori costi, a differenza di quanto avvenuto nei bilanci degli anni dal 2005 al 2009, in cui le stazioni marittime ed i servizi di supporto ai passeggeri del porto di Bari sono stati gestiti dalla Bari Porto Mediterraneo;
con l'uscita di scena della Bari Porto Mediterraneo inoltre, le stazioni marittime sono state abbandonate dall'autorità portuale al loro degrado, poiché il medesimo ente, per aver dissipato le proprie risorse economiche, le ha private della pur minima manutenzione ordinaria, abbattendo duramente quell'elevato standard di qualità dei servizi sempre garantito e migliorato nel corso degli anni dalla Bari Porto Mediterraneo;
a giudizio degli interpellanti, occorre inoltre evidenziare che, nonostante la società Bari Porto Mediterraneo, attualmente in liquidazione, abbia una situazione creditoria nettamente migliore di quella debitoria, a seguito della scelta del presidente dell'autorità portuale essa si è finita per trovare in una situazione pre-fallimentare;
a ciò ha contribuito, ad avviso degli interpellanti, anche la mancata corresponsione di tariffe portuali da parte degli agenti marittimi;
la gestione evidentemente fallimentare del signor Francesco Palmiro Mariani, risulta, a giudizio degli interpellanti, ulteriormente aggravata da altre discutibili azioni da egli stesso compiute, successivamente alla sua riconferma di presidente dell'autorità portuale di Bari, avvenuta con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 7 giugno 2011;
sono state effettuate infatti, all'interno della dotazione organica dell'ente portuale, circa 20 assunzioni a giudizio degli interpellanti in modo clientelare, senza l'espletamento di alcuna procedura concorsuale di evidenza pubblica e, quindi, in spregio ai principi di trasparenza e alle vigenti norme in materia;
quanto suesposto, è confermato anche dal direttore generale per i porti, il quale nella nota del 16 settembre 2010 inviata all'autorità portuale di Bari, raccomandava «l'espletamento di procedure

concorsuali selettive di evidenza pubblica nel rispetto del principio di trasparenza e delle vigenti norme in materia»;
a giudizio degli interpellanti, occorre altresì segnalare la recente costituzione di una nuova società, interamente detenuta dall'autorità portuale, denominata «Porti Levante Security», che si occupa di sicurezza nell'ambito portuale di cui lo stesso presidente dell'autorità portuale di Bari risulta contestualmente presidente; tale operazione ha consentito l'assunzione a tempo indeterminato, senza alcuna procedura pubblica di selezione (il cui espletamento, come già detto, era stato raccomandato dalla direzione generale per i Porti nella citata nota del 16 settembre 2010), di diverse unità di personale;
nel complesso, all'interno dell'autorità portuale e nella «Porti Levante Security» il presidente Mariani ha effettuato un numero, secondo gli interpellanti, abnorme di assunzioni a tempo indeterminato, per chiamata diretta di unità di personale, i cui profili morali e professionali, per alcuni degli assunti, appaiono discutibili, in considerazione di condanne penali certificate e in evidente contrasto, secondo gli interpellanti, con le vigenti norme in materia e con quanto raccomandato dal direttore generale per i porti, i cui profili morali e professionali, per alcuni degli assunti appaiono discutibili, in considerazione del condanne penali certificate;
la suesposta situazione evidentemente grave che necessita chiarezza, era peraltro già stata rilevata dalla citata commissione ministeriale, la quale, nella relazione conclusiva del 4 maggio 2009, aveva evidenziato che il presidente dell'autorità portuale di Bari privilegiava direttamente per le assunzioni, la cooperativa multiservizi portuali, società alla quale era stato affidato dalla stessa autorità portuale «con una procedura che desta forti perplessità, un appalto di svariati milioni di euro per lo svolgimento di servizi» tanto che tale affidamento è stato censurato sia dal Tar Puglia che dal Consiglio di Stato - che avevano stigmatizzato - «la presenza di »soggetti discutibili« (con riferimento a trascorsi penali certificati per molti componenti) nella stessa Cooperativa, che, con sprezzo di ogni dovere d'ufficio, sono stati dal Presidente dell'Autorità portuale utilizzati addirittura come addetti di security per la sicurezza e la prevenzione nei confronti di eventuali attacchi terroristici internazionali»;
a ciò si aggiunge quanto espressamente denunciato dalla Corte dei conti, la quale, con determinazione n. 73 del 2010, nella «Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Autorità Portuale per gli esercizi 2007 e 2008» ha evidenziato «un rapporto non proporzionato tra posizioni apicali e semiapicali e posizioni impiegatizie, accentuato dalle presenze effettive registrate nel periodo considerato (13 tra dirigenti e quadri a fronte di 9 impiegati nel 2007, addirittura 18 posizioni apicali e semiapicali - pari al doppio del numero degli impiegati presenti (9) - nel 2008). Tale sproporzione non è estranea al sensibile incremento che, nell'arco di tempo considerato, ha registrato il costo medio del personale, passato da euro 74.237 nel 2006 a euro 91.488 nel 2008»;
tale notevole incremento dei costi del personale dal 2006 al 2008, è diventato ancor più clamoroso nei successivi esercizi 2009 e 2010, tanto che, come stigmatizzato nelle Relazioni del collegio dei revisori dei conti, esso ha contribuito in maniera determinante ai disavanzi registrati nei bilanci 2009 e 2010;
la gestione dei servizi portuali e delle conseguenti assunzioni avvenute, a giudizio degli interpellanti, in maniera tutt'altro che limpida ha suscitato anche l'attenzione della Commissione Parlamentare Antimafia, la quale ha dedicato alla questione una specifica seduta ascoltando in quella sede anche il Ministro pro tempore delle infrastrutture e dei trasporti;
gli interpellanti infine hanno notizia che recentemente, in data 24 febbraio 2012, l'autorità portuale di Bari, in contrasto con quanto deliberato dal Comitato portuale nella seduta del 30 ottobre 2009, ha proceduto all'affidamento diretto e

senza alcuna gara a evidenza pubblica, ad un ulteriore nuova società denominata: «Port Parking & Services srl uni personale», per le aree destinate a parcheggio di fronte alla sede stessa dell'ente portuale, con un canone, ad avviso degli interpellanti non proporzionale al valore delle aree, stante la valenza di ubicazione delle aree stesse di proprietà della medesima autorità portuale;
risulta importante evidenziare a giudizio degli interpellanti, che il Tar Lazio (Sez. III ter, 23 giugno 2011, n. 5623) ha ritenuto legittimo il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che disponeva il commissariamento dell'Autorità portuale di Civitavecchia per «mala gestio» operata dal presidente, affermando che «il Ministro ha infatti ritenuto che la scarsa attenzione alla gestione dei beni demaniali fosse in grado di generare notevoli pregiudizi all'economia regionale e nazionale, in quanto l'Autorità Portuale non ha potuto godere delle risorse finanziarie da destinare a nuove opere infrastrutturali finalizzate allo sviluppo o, quantomeno, al mantenimento delle capacità operative dell'ente» e che «Il provvedimento impugnato dà, in definitiva, adeguato conto, non solo di una comprovata inadeguata gestione del settore demaniale, ma evidenzia, altresì, il conflitto creatosi tra il Presidente dell'A.P. ed il Ministro vigilante, attribuibile esclusivamente al comportamento del primo, che, nonostante i ripetuti rilievi amministrativi (dell'IGF prima, e del Ministero poi) in ordine alla illegittimità del comando di personale in sovrannumero, ha ritenuto di insistere con tale condotta» e conclude che «i presupposti posti a base del provvedimento legittimano il ricorso al potere straordinario di commissariamento da parte del Ministro vigilante, quale unico rimedio possibile per eliminare gli effetti pregiudizievoli di una ormai radicata non corretta gestione delle attività proprie dell'Autorità Portuale e ad assicurare, attraverso il commissariamento, il regolare funzionamento dell'Autorità, nelle more del rinnovo dell'organo di vertice»;
pertanto, con riferimento a questioni palesemente molto meno gravi di quelle verificatesi nella gestione dell'autorità portuale di Bari da parte del signor Mariani, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha provveduto al commissariamento dell'autorità portuale di Civitavecchia, con decreto ritenuto pienamente legittimo dal Tar Lazio;
in definitiva a giudizio degli interpellanti, la situazione complessiva precedentemente esposta evidenzia uno scenario generale preoccupante all'interno del porto di Bari, a causa della dissennata gestione operata dall'attuale Presidente, per cui, in considerazione degli elementi riportati, appare evidente che non esiste, nel contesto nazionale, situazione peggiore di quella creata dal signor Mariani nell'autorità portuale di Bari, evidentemente sottoposta ad un decadimento amministrativo e finanziario, che ha determinato una pericolosa condizione di insicurezza e di illegalità, nonché compromesso l'immagine e la credibilità in ambito locale, nazionale ed internazionale, di un ente portuale che svolge un ruolo preminente nel tessuto economico della città e della regione Puglia, nonché riguardo alle relazioni commerciali con l'area balcanica;
per quanto fin qui argomentato, il presidente Mariani ha dato compiuta dimostrazione di essere assolutamente inadeguato alla gestione di un ente pubblico, quale l'autorità portuale di Bari, da egli stesso colpevolmente condotto verso un disfacimento amministrativo e gestionale;
a giudizio degli interpellanti, occorre fra l'altro rilevare, come la gestione dell'autorità portuale di Bari risulti in evidente contrasto con gli indirizzi e le linee programmatiche dell'attuale esecutivo che, proseguendo coerentemente gli obiettivi di contenimento della finanza pubblica rispettati dal precedente Governo Berlusconi e di risanamento dei conti pubblici, che hanno prioritariamente richiesto sforzi e sacrifici economici a tutti i cittadini italiani, ha impostato la propria politica economica e finanziaria sul massimo

rigore nella gestione del pubblico denaro -:
quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
se la gestione amministrativa e finanziaria dell'ente portuale indicato in premessa, sia o meno in totale contraddizione con gli indirizzi e le misure di corretta e rigorosa gestione del bilancio, introdotte dal Governo Berlusconi e confermate da quello attuale, per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica;
se non ritengano altresì che, in analogia con il commissariamento dell'autorità portuale di Civitavecchia disposta dal Ministro pro tempore, come peraltro riportato in premessa, per avvenimenti giudicati di minore gravità, rispetto alla sconsiderata e negativa gestione finanziaria ed amministrativa, nonché delle numerose indagini in corso presso la procura della Repubblica di Bari, occorra intervenire urgentemente, nell'ambito delle prerogative previste dalla legge, a tutela dell'ente portuale barese;
in particolare, se non intendano conseguentemente provvedere al commissariamento dell'autorità portuale del Levante al fine di evitare che l'ente portuale possa proseguire una tendenza nel complesso negativa e penalizzante compromettendo ulteriormente lo sviluppo e la crescita del porto di Bari, determinando in tal modo l'avvio del risanamento del bilancio, il ripristino delle condizioni di correttezza, rigore e legalità del funzionamento dell'ente portuale, consentendo il necessario rilancio dello scalo marittimo barese e restituendolo al ruolo competitivo nell'ambito della portualità mediterranea.
(2-01401)
«Di Cagno Abbrescia, Savino, Lisi, Antonio Pepe, Fucci, Lazzari, Antonino Foti, Nastri, Mannucci, Vitali, Sbai, D'Alessandro, Sisto».

Interrogazione a risposta in Commissione:

SANI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la laguna di Orbetello costituisce un sistema ambientale molto delicato e vulnerabile, che necessita di una serie continuativa di interventi manutentivi e gestionali tali da conservare e migliorare progressivamente l'attuale stato di equilibrio ambientale;
a seguito di una grave crisi ambientale nel corso degli anni '90, che ha avuto il suo periodo più acuto nella primavera del 1993, la laguna di Orbetello è stata dichiarata «area ad elevato rischio di crisi ambientale»;
successivamente, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto al «Ministro per il coordinamento della protezione civile», l'adozione di un'ordinanza che consentisse l'attuazione di interventi urgenti ed, in conseguenza di ciò, è stata emanata la prima ordinanza per la nomina del commissario delegato al risanamento della laguna;
con una serie di ordinanze e di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, che si sono succeduti nel tempo, la situazione di emergenza nonché la gestione commissariale si sono protratte sino ad oggi;
l'ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 11 gennaio 2011 ha prorogato lo stato di emergenza per gli interventi di bonifica da realizzare nel sito d'interesse nazionale comprendente la laguna di Orbetello fino al 31 dicembre 2011;
l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 maggio 2011 (disposizioni urgenti della protezione civile, n. 3937), dispone, tra l'altro, che il commissario delegato per il risanamento ambientale della laguna di Orbetello debba provvedere al «completamento dell'impianto di trattamento delle biomasse algali

per la loro valorizzazione mediante la produzione di terreni artificiali ed energetica in località Patanella, rivisto ed integrato sulla base delle indicazioni contenute nella deliberazione n. 17 del 18 maggio 2010 dell'assemblea dei comuni della Comunità di ambito Toscana Sud, ed adeguamento ambientale dell'impianto provvisorio»;
il 19 gennaio 2012 il sindaco di Orbetello, Monica Paffetti, ha presentato un esposto al Ministro interrogato ed al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Antonio Catricalà, denunciando come il commissario delegato per il risanamento ambientale della laguna di Orbetello, Rolando Di Vincenzo, abbia annunciato a mezzo stampa (a dicembre 2011, quindi a pochi giorni dalla fine del suo mandato) l'avvio dei lavori per l'impianto provvisorio di biomasse algali in località Patanella, senza chiedere preventivamente la certificazione «via» su tale struttura, nonostante il comune di Orbetello, in sede di conferenza di servizi in data 18 novembre 2011, avesse richiesto espressamente che tale progetto fosse sottoposto alla valutazione di impatto ambientale;
in tale esposto si ricordava come «fra i poteri di agire in deroga concessi al Commissario con l'Ordinanza Presidenziale del 7 maggio 2011, non rientrano quelli di deroghe all'obbligo di Via» e come lo stesso commissario per evitare la valutazione di impatto ambientale abbia «fatto preparare un progetto provvisorio» che è però di fatto definitivo. Lo stesso documento denunciava, inoltre, come i lavori in località Patanella siano stati affidati senza l'applicazione delle norme sulle procedure di appalto, derogate dal commissario con una procedura di «urgenza», che secondo il sindaco sarebbe derivata dall'«inattività» del commissario, peraltro più volte denunciata dallo stesso sindaco e già oggetto di un atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-04958, a prima firma del deputato Mariani, discussa il 22 giugno 2011);
l'esposto sottolineava inoltre che i lavori in località Patanella, previsti da gennaio a maggio 2012, si dovrebbero svolgere in un periodo in cui «lo strumento urbanistico impone l'interruzione delle attività di cantiere a causa dell'insediamento e riproduzione dei migratori»: il sito di Patanella, protetto dal 1971, è infatti un'area umida soggetta alla convenzione di Ramsar, ovvero di altissimo valore dal punto di vista naturalistico e paesaggistico per la presenza di rara fauna e avifauna selvatica;
l'esposto chiedeva quindi al Ministero competente e alla Presidenza del Consiglio, di annullare gli atti del commissario delegato e nominare un nuovo commissario in sostituzione dell'attuale, il cui incarico era ormai scaduto;
associazioni ambientale hanno, a mezzo stampa, più volte contestato tale cantiere realizzato sostanzialmente in deroga alle norme vigenti, italiane ed europee. La nuova centrale nell'ipotesi progettuale dovrebbe utilizzare, oltre alle alghe della laguna adiacente, migliaia di tonnellate di altri materiali tra cui fanghi, rifiuti umidi, terra e rocce di scavo. La percentuale (stimata intorno al 13 per cento) di alghe utilizzata sarebbe comunque molto bassa rispetto alle altre tipologie di materiali smaltiti. La centrale dovrebbe inoltre dotarsi, insistendo in una zona ad alto rischio idraulico, di un argine di oltre 3 metri per proteggerla da eventuali inondazioni senza dimenticare che per alimentare la struttura occorrerebbe un notevole traffico di camion giornaliero (circa 100 carichi quotidiani); la tipologia di impianto è inoltre di tipo sperimentale. Si tratta di parametri logistici e di produzione incompatibili quindi con un'area di grande pregio naturalistico, ambientale e faunistico e che non rispettano quindi le norme che proteggono il delicatissimo ecosistema locale;
va inoltre aggiunto, come ha dichiarato a mezzo stampa il sindaco di Orbetello,

che il progetto della centrale non rispetta il piano provinciale dei rifiuti -:
se il Governo sia al corrente delle informazioni citate in premessa relative soprattutto all'avvio di un cantiere per l'impianto a biomasse, il cui progetto è stato deciso unilateralmente dal commissario delegato per la laguna di Orbetello pochi giorni prima della scadenza del suo mandato, di fatto esorbitando dalle sue competenze e funzioni e senza oltretutto preventivamente richiedere la valutazione di impatto ambientale (come richiesto espressamente dal comune di Orbetello);
quali iniziative urgenti si intendano quindi intraprendere per assicurare che il progetto dell'impianto a biomasse ed il relativo cantiere siano in piena conformità con le leggi vigenti, soprattutto in relazione alla zona di grande pregio naturalistico, ambientale e faunistico in cui incide tale struttura;
se non si ritenga conseguentemente opportuno sottoporre tale progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale;
se non si ritenga altresì opportuno procedere anche alla nomina di un nuovo commissario delegato per la laguna di Orbetello, dal momento che l'incarico del precedente commissario è scaduto da circa 2 mesi.
(5-06343)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il mare dell'isola La Maddalena è fortemente inquinato da piombo, mercurio e idrocarburi, nonostante le bonifiche decise dopo i lavori per il mancato G8. A tracciare il quadro aggiornato della situazione è stato il sostituto procuratore del tribunale di Tempio Pausania, Riccardo Rossi, da due anni titolare dell'inchiesta sulle bonifiche. «Nell'area antistante l'ex Arsenale, dalle indagini tecniche effettuate - ha sottolineato il magistrato -, abbiamo trovato la presenza di materiale fortemente inquinante in misura rilevante, metalli pesanti e idrocarburi»;
secondo il direttore del dipartimento di Sassari dell'Arpas, Antonio Furesi: «Ci sono picchi di mercurio superiori anche dieci volte il consentito». Il pubblico ministero ha evidenziato come siano state concluse le opere di prelievo e mappatura dell'area subacquea antistante l'ex Arsenale, che è stata dissequestrata e messa a disposizione della Protezione civile per procedere alle successive bonifiche. I risultati delle analisi hanno confermato lo stato di pericolosità dello specchio d'acqua antistante il Main center e la ricaduta di materiali inquinanti in un'area che si estende ben oltre i nuovi pontili. Conclusi i campionamenti a mare, la procura verificherà anche lo stato delle spiagge. «Il nostro interesse - ha chiarito il pubblico ministero - è che la bonifica venga eseguita nel modo ottimale»;
«l'inchiesta sulle bonifiche dopo i lavori per il mancato G8 alla Maddalena e l'allarme sull'aggravamento dell'inquinamento lanciato dal pubblico ministero confermano purtroppo che le imprese incaricate di ripulire acqua e fondali non hanno svolto per nulla e comunque non bene il loro lavoro. Un compito per il quale hanno intascato moltissimo denaro, ben 30 milioni di euro, senza raggiungere alcun risultato, soldi pubblici che è inammissibile vengano sprecati così». Così il presidente di Legambiente Sardegna Vincenzo Tiana, commenta l'allarme del pubblico ministero del tribunale di Tempio Pausania, Riccardo Rossi, sull'aggravamento dell'inquinamento da metalli pesanti dell'area antistante l'ex Arsenale all'isola della Maddalena. «Oltre al gravissimo inquinamento - aggiunge Tiana - la cattiva condotta delle imprese incaricate della bonifica ha pregiudicato in modo grave anche il tanto auspicato processo di riconversione turistica del comparto militare. Un processo partito dallo smantellamento della base militare USA e che

avrebbe dovuto seguire la naturale vocazione turistica dell'isola e un modello di sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale. La situazione attuale, invece, ci parla di un fortissimo inquinamento che ci auguriamo possa essere sanato al più presto. È chiaro però - conclude il presidente di Legambiente Sardegna - che una volta chiarite le responsabilità dovranno essere le imprese a farsi carico del costo di questo disastro. È tempo di dare alla Maddalena un futuro sostenibile»;
nell'inchiesta risultano indagati, per inquinamento ambientale, falso e altri reati, i rappresentanti dell'impresa alla quale la struttura di missione della protezione civile aveva affidato l'incarico di bonificare il tratto di mare dell'ex Arsenale e le ditte subappaltanti che lavorarono nello stesso periodo. Nel frattempo lo stesso magistrato ha aperto una seconda inchiesta sulle bonifiche a terra (Main Center, ex Arsenale ed ex ospedale della Marina Militare) e sui costi sostenuti dallo Stato. «Al momento sono state indagate tre persone - ha precisato Rossi - ma la situazione potrebbe mutare» -:
quali interventi il Governo intenda adottare al fine di porre a bonifica il territorio dell'Isola de La Maddalena.
(4-15223)

PALAGIANO e DI PIETRO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il Ministero dell'economia e delle finanze, negli anni 2006 e 2007, ha sottoposto la provincia di Napoli ad una ispezione, dalla quale sono emerse gravi irregolarità nella gestione del personale dirigente. In particolare, è emerso che la provincia aveva disposto un calcolo dell'indennità di posizione uguale per tutti i dirigenti coordinatori senza alcuna diversificazione tra le diverse posizioni (pesatura), e che risultavano corrisposte indennità maggiori di quelle previste dal contratto nazionale anche per le posizioni non apicali;
a seguito della predetta ispezione l'ente è stato invitato ad adottare gli opportuni correttivi;
la provincia di Napoli ha adottato, nel 2011, le delibere di giunta provinciale n. 1060, 1175 e 1224 che - a giudizio degli interroganti in contrasto con delle precise direttive del consiglio provinciale di cui alla delibera n. 69 del 2009 che aveva richiesto una riduzione delle aree di coordinamento - pur adottando la cosiddetta pesatura, hanno aumentato, al contempo, il numero delle posizioni apicali: su 38 posizioni dirigenziali effettivamente coperte ben 28 dovrebbero ritenersi complesse;
la deliberazione n. 1224 è stata adottata il 30 dicembre 2011 benché non fosse prevista nell'apposito ordine del giorno di tale seduta di giunta. La proposta di deliberazione è stata, infatti, portata «fuorisacco» pur non ricorrendo le ragioni dell'urgenza e ciò, a parere degli interroganti, di fatto ha impedito il controllo del consiglio;
la deliberazione 1224 agli interroganti appare violare, al punto 32, l'articolo 4 del regolamento del dipartimento del consiglio della provincia di Napoli;
l'entrata in vigore della suddetta delibera porterà ad un aumento generalizzato delle retribuzioni dei dirigenti rispetto a quanto previsto nel 2010: da un minimo di 2.000 euro ad un massimo di ben 11.000 euro, con un sostanziale aumento di 165.000 euro nell'indennità di posizione da pagare ai dirigenti;
l'ispezione governativa pare agli interroganti essere stata utilizzata solo come occasione per riconoscere un aumento degli stipendi dei dirigenti - solo 3 dirigenti hanno, attualmente, uno stipendio inferiore all'importo massimo - in contrasto con le misure di contenimento della spesa pubblica e del blocco stipendiale del pubblico impiego;

a fondamento di tale aumento sono stati addotti i nuovi compiti assunti dalla provincia per effetto dei trasferimenti delle competenze stabiliti, oltre 10 anni fa, dai «decreti Bassanini»;
la manovra suddetta è stata approvata nel pieno vigore del decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, con cui sono stati definiti i nuovi compiti degli enti provinciali come meri compiti di coordinamento, e che avrebbe dovuto, semmai, rendere meno complessa l'organizzazione amministrativa della provincia, in vista di un risparmio della spesa a cui sono state chiamate tutte le strutture pubbliche;
il risparmio della spesa di cui, invece, si parla nelle delibere provinciali è solo apparente in quanto riferito ad una precedente riorganizzazione, mentre l'attestazione di conformità, cioè di non maggiorazione del nuovo fondo 2011 rispetto a quello del 2010, sarebbe resa attraverso quello che agli interroganti appare un artificioso assorbimento nel fondo 2011 delle indennità di posizione di molti dirigenti collocati in quiescenza o cessati negli anni 2010, 2011 e 2012. Anche questo, agli occhi degli interroganti, in contrasto con le norme di legge;
la provincia di Napoli risulta essere già, senza considerare i suddetti aumenti, la provincia con la retribuzione media più alta dei propri dirigenti rispetto a tutti gli altri enti provinciali italiani;
con questa ultima deliberazione gli stipendi dei dirigenti provinciali di Napoli saranno superiori anche alla quasi totalità delle remunerazioni dei dirigenti ministeriali italiani;
il tribunale amministrativo regionale della Campania, dopo alcuni ricorsi presentati proprio da diversi dirigenti provinciali, ha, in un primo momento - gennaio 2012, sospeso l'efficacia delle predette delibere provinciali, ma successivamente - 23 febbraio 2012 - ha ribaltato tale sentenza. Il relatore di questo secondo provvedimento del TAR è risultato essere figlio del coordinatore cittadino di una delle più importanti città della provincia, appartenente al medesimo partito dell'attuale presidente della provincia di Napoli;
l'operazione appare, agli occhi degli interroganti, una grave e palese sconfessione dell'intera politica governativa volta al contenimento degli stipendi pubblici, come peraltro sanzionato dal divieto previsto dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 e al nuovo ruolo attribuito alle province e ai relativi apparati;
il 5 marzo 2012 si è data attuazione ai predetti provvedimenti e ai generalizzati aumenti di stipendio che, se ripetuti da altre realtà territoriali, potrebbero avere effetti sull'intero comparto con evidenti ripercussioni sull'intera spesa pubblica;
a giudizio degli interroganti sarebbe opportuno compiere delle verifiche finalizzate ad accertare eventuali irregolarità, da valutare anche sotto il profilo di un possibile danno erariale, a tutela delle risorse pubbliche -:
se il Governo sia a conoscenza della vicenda esposta in premessa e se non intenda, in base a quanto descritto e nell'ambito delle proprie competenze, promuovere nuovi controlli presso la provincia di Napoli;
se non intenda promuovere nelle competenti sedi la valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'esercizio del potere di annullamento degli atti degli enti locali viziati da illegittimità, previsto dall'articolo 138 del vigente Testo unico degli enti locali.
(4-15230)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
quasi 2,7 miliardi di persone soffrono per almeno un mese ogni anno la mancanza

di una quantità di acqua necessaria, al loro sostentamento. È quanto emerge da Global monthly water scarcity: blue water footprintsversus blue water availability, una ricerca realizzata dall'università olandese di Twente in collaborazione con il water footprint network di Nature conservancy e il Wwf pubblicata su PLoS ONE online. Lo studio ha analizzato per la prima volta 405 bacini fluviali nel mondo, tra cui il Po, scattando un'allarmante fotografia della disponibilità delle risorse idriche nel mondo;
valutando i flussi idrici del periodo compreso tra 1996 e 2005 dei bacini che coprono il 66 per cento delle terre emerse è risultato che ben 201 fiumi, su cui gravita la vita di 2,67 miliardi di persone, subiscono una grave scarsità d'acqua per almeno un mese all'anno a causa soprattutto dell'agricoltura. «Ci sono - afferma Arjen Hoekstra dell'università di Twente, che ha definito il concetto di impronta idrica (volume di acqua necessaria per produrre un bene) - molti luoghi critici: fiumi in secca, diminuzione dei livelli dei laghi e delle acque sotterranee». Tra questi anche il Po, bacino che a fronte di una grande disponibilità d'acqua subisce un prelievo intensivo particolarmente in estate a causa dell'irrigamento dei campi coltivati. Complessivamente il volume medio annuo prelevato ammonta a circa il 70 per cento dei deflussi naturali;
fra gli effetti si contano il prosciugamento di una serie di ambienti umidi perifluviali, la risalita di acqua salmastra, la decimazione della biodiversità e danni economici, come dimostrano i casi del Rio Grande (Rio Bravo), dell'Indo e dei bacini idrografici del Murray-Darling, in Australia. Il 92 per cento dell'impronta idrica totale dell'umanità, afferma il rapporto, è dovuta all'agricoltura irrigata che consuma più acqua di città (3,6 per cento) e industrie (4,4 per cento). In Italia l'intera filiera agricola assorbe circa il 60 per cento del consumo di acqua;
Brian Richter, direttore del programma globale acqua dolce di Nature Conservancy, spiega: «Le città utilizzano più acqua rispetto alle coltivazioni a parità di superficie, ma è importante notare che l'agricoltura irrigua occupa quattro volte più terra delle città. Abbiamo bisogno di aiutare gli agricoltori a realizzare metodi di irrigazione più efficienti e migliorare la produttività delle aziende agricole il più presto possibile. Dobbiamo produrre più cibo con meno acqua. Nei luoghi con più mesi di scarsità d'acqua si sta probabilmente sperimentando una seria concorrenza per l'uso dell'acqua». «Con una nuova economia - afferma Gianfranco Bologna direttore scientifico del Wwf Italia - e un nuovo modo di produrre, potremmo avere abbastanza cibo, acqua ed energia per tutti». «Per ottenere un chilogrammo di bistecca - ricorda - sono necessari 15.000 litri di acqua, per un chilo di pane 1.600 litri. Se vogliamo garantire un futuro alla vita sul Pianeta dobbiamo trasformare culture e mercati riducendo l'impatto sulle risorse naturali entro i limiti che il nostro pianeta ci offre» -:
quali interventi il Ministro interrogato intenda adottare, alla luce dei risultati del «global monthly water scarcity: blue water footprints versus blue water availability», per creare nuove misure di irrigazione relative al comparto agricolo, che utilizzino, sfruttando al meglio, un minor quantitativo di acqua.
(4-15219)

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il rapporto di Legambiente «Mal'aria 2012» considera insufficienti, per quanto attiene la qualità dell'aria, quasi tutte le città della regione più popolosa d'Italia, la Lombardia. L'anno scorso ben otto capoluoghi lombardi (sui 12 totali) si sono posizionati tra i primi 16 posti della classifica nazionale: Monza, Brescia, Cremona, Mantova, Pavia, Bergamo e Lodi. La centralina di rilevamento installata nella centralissima via Senato ha raggiunto ben 131 giorni di sforamento delle Pm10. Val la

pena ricordare che la soglia massima consentita è di 35 giorni all'anno, superato questo limite si viene dichiarati «fuorilegge». Non solo polveri sottili. Sette capoluoghi lombardi, infatti, si sono piazzati nei primi 10 posti anche tra le città che hanno registrato i peggiori valori medi di ozono. In leggero aumento, a livello nazionale, anche le città che hanno sforato i livelli di biossido di azoto;
il quadro è desolante proprio a livello nazionale, prima ancora che a quello regionale. Secondo l'associazione, nel 2011 il 67 per cento dei capoluoghi di provincia non ha rispettato il limite consentito di superamenti, con un aumento del 12 per cento rispetto al 2010. Delle 82 città prese in esame ben 55 hanno esaurito i 35 superamenti all'anno consentiti. «Il numero dei capoluoghi fuorilegge - si legge nel rapporto - è aumentato rispetto allo scorso anno (erano 47 su 86), ma quello che più preoccupa è l'entità del fenomeno e il numero impressionante di superamenti annuali del limite giornaliero di protezione della salute umana per molte di queste 55 città. Se per ipotesi le città potessero accumulare dei debiti di emissione, ovvero utilizzare in anticipo i 35 superamenti concessi ogni anno, Torino non potrebbe più andare oltre i 50 Mg/m3 per almeno tre anni e mezzo, Milano e Verona per 2 anni e otto mesi, Alessandria e Monza per 2 anni e mezzo, altre 6 città per oltre due anni. Per non parlare poi delle preoccupanti variazioni da un anno all'altro. In alcune città lo smog ha tolto ai cittadini fino a due mesi di aria respirabile rispetto al 2010, come è successo a Cremona e Verona (terzo posto a livello nazionale) casualmente due città dell'area della Pianura Padana, che si conferma ancora una volta l'area più critica, un'area dove solo sei città si salvano dalle polveri sottili»;
un po' meglio invece la Capitale, dove nei primi due giorni del mese di febbraio sono tornate le targhe alterne: si è piazzata al trentatreesimo posto con «solo» 69 sforamenti sul Pm10. Un dato comunque doppio rispetto al 2010. I dati di Legambiente arrivano mentre nelle città italiane, Milano al primo posto, ci si prepara a tutta una nuova stagione di blocchi del traffico, targhe alterne, chiusure programmate. La Provincia milanese guidata dal presidente Podestà ha annunciato che da lunedì 23 scatteranno le ordinanze con i provvedimenti antismog anche nei comuni dell'hinterland. Mentre a Milano è da poco partita la nuova Area C, sostanzialmente promossa, per il momento, da Legambiente -:
quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di realizzare un piano nazionale contro l'inquinamento dell'aria con particolare riguardo per l'incidenza di polveri sottili, piano che si ponga l'obiettivo di salvaguardare la salute dei cittadini, e di evitare che le varie amministrazioni locali vengano condannate al pagamento delle sanzioni dovute dal mancato rispetto delle norme europee.
(4-15224)

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
Bruxelles apre nei confronti dell'Italia una procedura d'infrazione per «almeno 102 discariche, di cui tre di rifiuti pericolosi, non conformi alla direttiva Ue del 1999» in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna e Umbria. La decisione della Commissione europea di inviare all'Italia una prima lettera di costituzione in mora è conseguenza del mancato rispetto di parte della direttiva europea del 1999 sulle discariche di rifiuti. Si contesta all'Italia la mancata conformazione all'articolo 14 di quella norma, secondo cui gli Stati membri avrebbero preso delle misure per assicurare che discariche «esistenti» (discariche a cui è stato concesso un permesso o che erano già operative al momento della trasposizione della direttiva del 1999), non avrebbero continuato ad operare dopo il 16 luglio 2009, qualora non fossero ancora conformi con la direttiva europea;

dal 15 luglio 1999 Bruxelles ha chiesto informazioni all'Italia dimostrando nella sua risposta - precisa Bruxelles - «che il Paese non era in linea con le disposizioni relative alle discariche esistenti». Un anno dopo la Commissione dell'Unione europea, in una nuova comunicazione a Roma, osservava che dal settembre 2009 almeno 187 discariche esistenti al momento della trasposizione nell'ordinamento della direttiva del 1999, erano presenti in Italia: discariche, o che non erano state chiuse, o che non erano ancora conformi alla direttiva europea. La situazione è stata chiarita dall'Italia il 16 maggio 2011 e, precisa la Commissione dell'Unione europea, sulla base di quelle informazioni, a cui si sono aggiunte altre relative alla regione Piemonte, è emerso che, ancora in 14 regioni sono presenti almeno 102 discariche «esistenti» dalla trasposizione della direttiva dell'Unione europea - tre delle quali di rifiuti pericolosi - o che non sono state chiuse o che non sono conformi alla direttiva dell'Unione europea;
l'invio di una lettera di costituzione in mora rappresenta la prima tappa della procedura di infrazione al Trattato dell'Unione europea. La seconda è il «parere motivato» e, se il Paese non si conformerà di nuovo, verrà richiesto il ricorso alla Corte di giustizia europea. Quest'ultima nel 2010, a conclusione di una procedura d'infrazione avviata nel 2008, aveva già condannato l'Italia per il disastro rifiuti in Campania. In quell'occasione il nostro Paese, secondo i giudici di Lussemburgo, non aveva «adottato tutte le misure necessarie» ad evitare la crisi mettendo «in pericolo la salute umana e recato pregiudizio all'ambiente». Le motivazioni negavano esplicitamente la possibilità di nascondersi dietro alibi di alcun tipo in quanto «né l'opposizione della popolazione né gli inadempimenti contrattuali e neppure l'esistenza di attività criminali costituiscono casi di forza maggiore che possono giustificare la violazione degli obblighi derivanti dalla direttiva e la mancata realizzazione effettiva e nei tempi previsti degli impianti» -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di predisporre nuove metodologie di funzionamento per le discariche interessate dal documento dell'Unione europea, conformi a quanto dettato dall'articolo 14 della direttiva del 1999.
(4-15226)

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
l'economia del riciclo delle materie prime seconde è uno dei settori che cresce di più in questo difficile periodo di congiuntura economica. «Per un continente tradizionalmente povero di materie prime come il nostro, il riutilizzo dei materiali già presenti sul territorio rappresenta ormai una delle fonti primarie di approvvigionamento e un fattore chiave per la competitività del sistema industriale, soprattutto di questi tempi, con i prezzi delle materie prime alle stelle», spiega Corrado Scapino, presidente di Unire, l'associazione confindustriale che rappresenta le aziende del recupero rifiuti, promotrice dello studio annuale «L'Italia del riciclo» insieme alla Fondazione per lo sviluppo sostenibile di Edo Ronchi. Con quasi 34 milioni di tonnellate di materiali recuperati, nel 2010 l'economia italiana del riciclo è cresciuta del 40 per cento rispetto al 2009. «Ma abbiamo ancora molto spazio per migliorare», commenta Scapino;
in Europa lo slancio di valorizzazione del rifiuto è tale, che la Germania sta addirittura prendendo in considerazione l'ipotesi di andare progressivamente a scavare nelle discariche già bonificate, per tirar fuori anche da là i metalli rimasti sepolti nei secoli di utilizzo. Già oggi l'acciaio tedesco è prodotto almeno al 50 per cento riciclando resti rottamati. Potrebbe essere così anche per l'Italia, dove il pattume genera un business da 15-20 miliardi - in base ai calcoli dell'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano - comprendendo tutte le attività connesse, dalla raccolta alla valorizzazione finale. Il settore gira attorno a 32 milioni di tonnellate

di rifiuti urbani l'anno, per la cui gestione si spendono complessivamente tra 200 è 250 euro a tonnellata, e 150 milioni di tonnellate di rifiuti industriali, il cui smaltimento ovviamente ha costi ben più elevati. Ma qui il recupero dei materiali è molto meno efficiente;
con una produzione annuale di oltre mezza tonnellata pro capite, l'Italia è il terzo Paese europeo per dimensione del mercato dei rifiuti urbani, ma in questo segmento - secondo i dati del Politecnico - il riciclo si ferma al 33 per cento, mentre il 53 per cento finisce in discarica, con divari enormi da regione a regione (dal 9 per cento della Lombardia al 99 per cento della Sicilia), e solo il 14 per cento dei rifiuti viene sfruttato come combustibile per produrre energia. Una situazione preoccupante, considerando che la Commissione europea si sta orientando per vietare le discariche in tutta l'Unione e impone di arrivare al 50 per cento di riciclo entro il 2020. Germania, Austria, Svezia e Danimarca hanno già messo le discariche fuori legge e in questi Paesi, ma anche in Francia, Olanda e Belgio, il riciclo dei rifiuti urbani oscilla fra il 40 e il 70 per cento. Il resto si brucia nei termovalorizzatori. Il salto di qualità del recupero, nel resto d'Europa, è avvenuto proprio con il divieto delle discariche. In Italia, invece, il rifiuto gettato in oltre mille discariche è troppo remunerativo per valorizzarlo come materia prima o combustibile;
dati sconfortanti arrivano anche dal recupero degli inerti in edilizia, che non supera il 10 per cento su un totale di 60-70 milioni di tonnellate. Va un po' meglio nel recupero dei rifiuti industriali, dove i metalli si riciclano ormai all'80 per cento e la carta al 60 per cento. Aumenta anche il recupero dei rifiuti elettrici, che nel 2011 ha superato le 265 mila tonnellate, +6 per cento dispetto al 2010. «Siamo finalmente oltre l'obiettivo europeo di 4 chili per abitante, ma c'è ampio spazio per crescere, visto che almeno due terzi degli elettrodomestici consumati scompaiono per mille rivoli e vanno a inquinare l'ambiente con i gas e le componenti chimiche tossiche che contengono», spiega Giorgio Arienti, direttore generale di Ecodom, il consorzio che se ne occupa. Se in Svezia o in Svizzera se ne recuperano 16 chili per abitante e in Germania 12, vuol dire che nel nostro sistema c'è qualcosa che non va, secondo Arienti. «In particolare, bisognerebbe facilitare il più possibile la restituzione degli elettrodomestici ai negozianti, senza costringere i cittadini a registrarsi con nome e cognome per ogni apparecchio vecchio che consegnano quando ne comperano uno nuovo», suggerisce -:
quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di incentivare il riciclo delle materie prime seconde, che potrebbe costituire un'importante fonte di approvvigionamento per la creazione di nuove materie prime, come già accade in Paesi europei quali Germania e Svezia.
(4-15228)

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COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta scritta:

GIANNI. - Al Ministro per la coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
il sistema produttivo e il mondo del lavoro della provincia di Siracusa e di Ragusa, hanno incontrato il 5 marzo 2012 per tutta la mattinata al Grand Hotel Villa Politi (Sala Churchill) a Siracusa, il Ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca;
il Ministro ha fatto tappa in Sicilia per una serie di appuntamenti che si sono conclusi con un incontro con il presidente della regione, Raffaele Lombardo;
sono stati due i momenti principali che hanno caratterizzato gli appuntamenti con il Ministro. Il primo, fissato per le ore 9,00, che ha riguardato le problematiche relative ad uno dei settori trainanti dell'economia delle province di Ragusa e Siracusa, ovvero quello Agricolo e Agroindustriale, chiamato ad affrontare, seppur

in una difficile fase di sofferenza, la competizione serrata del mercato globale, aggravata dal recente accordo UE con il Marocco. Il secondo incontro alle ore 11,15 ha riguardato la piattaforma unitaria ormai da tempo predisposta dal tavolo permanente per il lavoro e lo sviluppo della provincia di Siracusa, coordinato dalla camera di commercio, e composto da tutte le associazioni di categoria datoriali, dei sindacati dei lavoratori e dagli ordini professionali del territorio;
al Ministro Fabrizio Barca, è stato illustrato il documento che fotografa lo stato di salute dell'economia di Siracusa, le sue risorse e i punti di rilancio, così come la piattaforma con le problematiche relative alla fiscalità, alle semplificazioni, alle difficoltà creditizie e al piano delle infrastrutture pubbliche e private, oltre alle bonifiche e all'accordo per la chimica, che interessano la crescita del territorio, e che per vari motivi risultano ancora bloccati ed hanno a riferimento l'azione del governo nazionale;
agli incontri con il Ministro hanno preso parte il prefetto di Siracusa, Renato Franceschelli, i rappresentanti delle due province e, tra gli altri, Ivan Lo Bello, presidente della camera di commercio di Siracusa e presidente di Confindustria Sicilia, Sandro Gambuzza, presidente della camera di commercio di Ragusa, Giuseppe Gianninoto, vice presidente della camera di commercio Siracusa e coordinatore del tavolo per il lavoro e lo sviluppo, il professor Carlo Trigilia, presidente della fondazione Res, l'Istituto di ricerca su economia e società in Sicilia;
la presenza del Ministro della coesione territoriale, Fabrizio Barca, a Siracusa è stata dunque finalizzata ad una conoscenza e ad una presa d'atto complessiva della situazione economica, occupazionale e dello stato dello sviluppo del territorio;
è un peccato che nel corso della visita a Siracusa, che l'interrogante ritiene importante vista la rinnovata attenzione da parte del Governo nei confronti della Sicilia e in particolare delle province di Siracusa e Ragusa, il Ministro Barca non abbia trovato il tempo per incontrare il sindaco di Siracusa, il presidente della provincia nonché i deputati nazionali e regionali, cosa che avrebbe arricchito ulteriormente la visita approfondendo ulteriormente le tematiche oggetto della presenza a Siracusa del Ministro;
si tratta di una occasione persa per una visita che potrebbe rivelarsi strategica nell'affrontare le tematiche legate all'agroindustriale e alle infrastrutture ad esso strettamente connesso -:
quali i motivi abbiano impedito al Ministro, nella sua recente visita a Siracusa, di incontrare il sindaco, il presidente della provincia e i deputati nazionali e regionali che avrebbero potuto fornire ulteriori proposte e approfondimenti in relazione alle tematiche oggetto della visita a Siracusa.
(4-15221)

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DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:

GINEFRA, GRASSI e SERVODIO. - Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il comune di Giovinazzo sarà chiamato il 6 e 7 maggio 2012 a rinnovare il consiglio comunale e a eleggere il nuovo sindaco;
negli scorsi giorni il centrodestra ha ufficializzato la candidatura a sindaco di Giovinazzo del luogotenente Antonio Galizia, comandante da 20 anni della locale stazione dei carabinieri;
il 10 marzo la stessa candidatura sarà presentata alla comunità locale con un incontro pubblico organizzato presso la sala San Felice;
l'articolo 81 della legge n. 121 del 1981 (nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza) prescrive che «gli appartenenti alle forze di

polizia debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche e non possono assumere comportamenti che compromettano l'assoluta imparzialità delle loro funzioni. Agli appartenenti alle forze di polizia è fatto divieto di partecipare in uniforme, anche se fuori servizio, a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche o sindacali, salvo quanto disposto dall'articolo seguente. È fatto altresì divieto di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni. Gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento della accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell'ambito dei rispettivi uffici e in abito civile. Essi, comunque non possono prestare servizio nell'ambito della circoscrizione nella quale si sono presentati come candidati alle elezioni, per un periodo di tre anni dalla data delle elezioni stesse»;
l'annuncio della candidatura e la presentazione ufficiale della stessa alla città sembrerebbe equivalere già alla violazione di tale prescrizione laddove prevede il «divieto di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni»;
dalla disanima del compendio normativo in materia di congedi, licenze e permessi predisposto dal Comando generale dell'arma dei carabinieri sembrerebbe che se non verrà predisposto il trasferimento entro il prossimo 6 aprile 2012 il rappresentante della benemerita potrà limitarsi a richiedere una licenza speciale che scadrebbe alla chiusura della campagna elettorale e cioè venerdì 4 maggio alle ore 24.00. Questo potrebbe determinare, paradossalmente, che nei giorni del voto il luogotenente Galizia potrebbe essere reintegrato al comando della stazione del comune dov'è candidato Sindaco con il compito, tra i tanti di vigilare sul corretto svolgimento delle operazioni di voto;
se il luogotenente abbia informato l'amministrazione della difesa di questa scelta;
se quest'ultima sia stata messa in condizione di valutare, nelle more della presentazione ufficiale delle liste, il trasferimento dell'esponente dell'Arma per esigenze di «opportunità ambientale».
(5-06344)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:

GRIMOLDI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il settore del no profit è variegato e composto da realtà di diversa natura, finalità e ragione sociale; pur con le peculiarità di ciascun ente, il terzo settore, al di là del ruolo sociale, costituisce ormai anche una quota consistente del PIL nazionale e non può continuare ad essere considerato dal legislatore nazionale semplicemente come supporto agli enti locali in difficoltà;
gli enti non a fine di lucro diversi dalle ONLUS sono soggetti all'imposta regionale sulle attività produttive, pur con differenze nella determinazione della base imponibile: per gli enti che svolgono esclusivamente attività istituzionale si determina con riferimento al cosiddetto metodo retributivo; per gli enti che svolgono, oltre all'attività istituzionale, anche attività commerciale, la base imponibile si determina con riferimento al metodo misto, che richiede la distinzione tra le due attività: per la parte di attività istituzionale il calcolo avviene sulla base del metodo retributivo, mentre per la parte di attività commerciale, la base si determina applicando le regole proprie delle imprese commerciali; regole a parte vigono per gli enti che determinano il reddito con il regime forfetario;

al di là dei metodi di determinazione della base imponibile, è un dato di fatto che comunque la deducibilità dell'IRAP è concessa agli enti no profit esclusivamente in proporzione alla parte di reddito derivante dall'attività commerciale; tale tipologia di enti nasce proprio per assolvere a compiti istituzionali, ben lontani da una logica imprenditoriale e commerciale, perciò risulta una vera e propria forzatura logica, assoggettare all'imposta tutto il reddito e consentirne la deducibilità solo per la parte commerciale -:
se il Governo non ritenga opportuno valorizzare il terzo settore, assumendo iniziative per introdurre meccanismi correttivi all'attuale regime IRAP per gli enti no profit diversi dalle ONLUS che li esentino dal pagamento dell'imposta o, quanto meno, consentano una piena deducibilità dell'imposta stessa.
(4-15210)

REGUZZONI e MONTAGNOLI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la nuova disciplina dell'IMU introdotta dal decreto-legge cosiddetto «salva-Italia», e ancora oggetto di aggiustamenti nei successivi decreti legge all'esame del Parlamento, pone dubbi interpretativi in ordine all'applicazione dell'imposta alle fondazioni di ricerca o culturali senza scopo di lucro, che in precedenza erano esclusi dal pagamento dell'ICI;
il Governo non ha ancora chiarito l'applicazione della nuova imposta municipale unica per soggetti quali, appunto, fondazioni ed enti no profit;
qualora la nuova tassa fosse applicata a tali soggetti, rappresenterebbe per loro un vero e proprio «salasso», e potrebbe causarne la chiusura;
i servizi offerti da fondazioni di ricerca o culturali sono in molti casi importantissimi per le comunità di riferimento. Basta ricordare, per citare solo realtà della Lombardia, la Fondazione istituto nazionale tumori di Milano, la Fondazione istituto insubrico di ricerca per la vita, la Fondazione Umberto Veronesi -:
se le fondazioni di ricerca o culturali senza scopo di lucro siano da ritenersi no profit e quindi esenti dal pagamento dell'IMU;
se il Governo non ritenga opportuno chiarire, nel più breve tempo possibile, i dettagli in merito all'applicazione dell'IMU a fondazioni ed enti no profit.
(4-15214)

JANNONE. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la nuova indagine condotta dal catasto e dall'Agenzia del territorio ha portato alla luce un tesoretto inaspettato da 2 miliardi di euro, ben nascosto in un milione e 82 mila immobili fantasma. Mille persone, otto mesi di lavoro sul campo, per indagare 818 mila particelle, ovvero parti di terreno su cui negli anni si è costruito in totale libertà, a cui aggiungere quelle relative ai contribuenti che si sono autodenunciati entro lo scorso aprile. Il risultato ha portato ad individuare oltre un milione di fabbricati totalmente sconosciuti che valgono 817 milioni di euro di rendita catastale e 472 milioni di tasse per l'anno in corso. Entro giugno, inoltre, il lavoro sarà completato, fino alla quota record di 2,2 milioni di particelle portate alla legalità. Il metodo è consistito nel sovrapporre le ortofoto aeree ad alta risoluzione del territorio italiano alla cartografia catastale: un enorme lavoro, soprattutto tecnologico. La Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) ha messo a disposizione le foto all'Agenzia del territorio, che però ha dovuto adeguare la propria cartografia, un tempo solo cartacea, ora «vettorializzata», ovvero digitalizzata ad altissima risoluzione. Il tutto si è concluso con il lavoro sul territorio di mille uomini dell'Agenzia, che hanno fattivamente svelato le incongruenze dei due scatti;
nel mirino sono entrate oltre 2,2 milioni di particelle, identificate nel 2011

come sospette, di cui 1,8 milioni già controllate (le restanti lo saranno entro giugno), anche grazie a più di un milione di contribuenti che si sono autodenunciati al 30 aprile dello scorso anno. Se si escludono le particelle che non richiedono di essere accatastate (spianate, ruderi, case in corso di costruzione) e quelle che i tecnici dell'Agenzia non sono riusciti a controllare perché inaccessibili (costruzioni con mura di cinta alte, parchi, cancelli, alberi), l'intera operazione ha portato alla luce un milione 81 mila immobili fantasma inesistenti per la banca dati del catasto e a fisco zero, cioè per le quali i proprietari non hanno mai versato le imposte dovute. Un terzo delle nuove strutture (34 per cento) è costituito da abitazioni e quasi un terzo (31 per cento) da magazzini. Il resto si divide tra autorimesse (18 per cento) e «altro» (17 per cento). La categoria «altro» è molto interessante anche perché ad essa fa capo il 72 per cento della nuova rendita catastale rilevata (tra definitiva, in quanto autodenunciata, e presunta), ovvero 585 su 817 milioni totali. Un importo rilevante, spiegabile proprio perché dentro «altro» ci sono stabilimenti industriali, uffici e negozi. Nella classifica delle province e regioni con più «fantasmi» vince Bari per i magazzini (13.003), Cosenza per le abitazioni (18.801), Cuneo per «altro» (12.817), Perugia per le autorimesse (6.502), Napoli come provincia sul totale (37.519), la Sicilia come regione (153.276), Trapani come rendita catastale totale (88,5 milioni di cui 85 in «altro»), Salerno per le particelle ancora da verificare (42.788). Un'Italia che appare spaccata in due: al Nord più capannoni e negozi, al Sud più case;
il dipartimento delle finanze stima che la maggiore rendita catastale, ora regolarmente iscritta (817,39 milioni), determinerà per quest'anno un gettito aggiuntivo di circa 472 milioni di euro, così suddiviso: 356 milioni ai fini Imu (anche sulla prima casa), 110 milioni da Irpef e cedolare secca (affitti), 6 milioni dall'imposta di registro su canoni di locazione. A questo importo, quasi mezzo miliardo, vanno aggiunte le somme recuperabili in modo retroattivo, fino a 5 anni, a meno che il proprietario non dimostri che l'immobile ex-fantasma esiste da meno tempo. Pagate le tasse dovute, spetterà ai comuni esprimersi sulla regolarità delle nuove costruzioni e decidere se abbattere o condonare le irregolari. A Roma sono state scovate 32 mila strutture in tutto (di cui 12.711 case), a Milano 12 mila (3.701 case), a Napoli 37 mila (17.849 case). Questi «straordinari risultati», ha commentato Gabriella Alemanno, direttore dell'Agenzia del territorio, «sono stati resi possibili per effetto di soluzioni organizzative e tecnologiche innovative, mai utilizzate prima» -:
quali interventi i Ministri intendano adottare, al fine di intensificare il controllo, capillare degli «immobili fantasma» sul territorio nazionale, dal quale potranno derivare maggiori entrate per le casse dello Stato.
(4-15225)

MARINELLO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari europei, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
i Programmi operativi regionali (POR) sono i documenti di programmazione per l'utilizzo dei Fondi strutturali europei integrati da quelli del Ministero dell'economia e delle finanze e da quelli delle singole regioni;
i Programmi operativi regionali dovrebbero costituire il volano per lo sviluppo delle regioni interessate e contribuire a determinare la ripresa dello sviluppo economico garantendo importanti ricadute occupazionali e opportunità di lavoro;
spesso la stampa, soprattutto locale, riporta preoccupanti notizie relative ai ritardi nell'attuazione degli investimenti e forti carenze nella gestione delle procedure amministrative con risultati del tutto insoddisfacenti;

è pervenuta all'interrogante una denuncia, corredata da documentazione, inviata anche alle competenti autorità, nella quale viene riportata una situazione di gravi irregolarità relative al procedimento di ammissione ed assegnazione di finanziamenti comunitari per il programma operativo regionale per la valorizzazione e commercializzazione del pesce povero di Mazara del Vallo;
si denunciano gravi carenze nel sistema di redazione dei bandi, «frutto di copia e incolla», nel sistema di valutazione degli stessi, l'utilizzo di associazioni e studi di consulenza appositamente creati per la presentazione di progetti non pubblicizzati adeguatamente, mancanza di attestazione di congruità dei prezzi, scorrimento di graduatorie con procedure di dubbia legittimità, in generale ipotesi di condotte omissive e/o comportamenti di una gravità tale da scatenare allarme sociale visto che, secondo quanto si legge sull'esposto denuncia, «un fiume di denaro è arrivato alla marineria» di Mazara del Vallo negli anni 2004-2009 erogati dalla regione Sicilia attraverso il POR Sicilia 2000/2006 per promuovere la valorizzazione e commercializzazione del pesce della zona;
per la sua condizione di insularità, la Sicilia mostra una spiccata propensione allo sviluppo delle attività del comparto ittico, come la pesca e l'acquacoltura e a tal fine svariati milioni di euro sono stati assegnati al comune di Mazara del Vallo e alla provincia di Trapani;
tutti questi progetti non risulterebbe che abbiano - infine - apportato alcun profitto alla promozione del pescato e quindi allo sviluppo delle imprese di pesca marittima professionale, né che avrebbero dato una boccata di ossigeno al comparto pesca, in quanto i finanziamenti sarebbero serviti per soddisfare compensi astronomici per consulenti, associazioni e consorzi sorti dal nulla, per pagare, viaggi e crociere di beneficiari e amministratori a vari livelli;
il suddetto comportamento ove tali elementi si riveleranno fondati, avrebbe provocato un danno erariale alla PA interessata per aver attuato un procedimento dannoso, costoso, superfluo, ingiusto e non conforme ai regolamenti comunitari di riferimento -:
quali urgenti iniziative intendano assumere per fare chiarezza alla luce dei fatti segnalati in premessa sull'uso dei fondi europei del POR 2000-2006 da parte della regione Sicilia;
se non ritenga di verificare tempestivamente quanto denunciato al fine di individuare, ove ne ricorrano i presupposti per quanto di competenza eventuali responsabili di tale possibile cattivo uso del denaro pubblico destinato a sollevare le sorti economiche di un'attività, quale quella ittica, che ben potrebbe contribuire a dare fiato ad un'economia già atterrata dalla crisi;
quali iniziative intenda intraprendere per verificare il rispetto della normativa comunitaria circa la destinazione e l'utilizzo dei fondi, anche accertando quali controlli e quali adempimenti abbiano posto in essere i responsabili del controllo e della vigilanza sui procedimenti in questione.
(4-15232)

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GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:

ANGELA NAPOLI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'esigenza di realizzare una casa di reclusione nel territorio della regione Calabria fu rappresentata nel lontano 1988 dalla direzione dell'istituto penitenziario reggino;
nel decennio passato, alterne vicende politico-finanziarie ed amministrative hanno fatto slittare l'iter progettuale di una casa di reclusione nella provincia di Reggio Calabria;

nel 1993/94, individuata l'area per la nuova casa penale a Reggio Calabria, furono avviate le procedure concorsuali per l'appalto dei lavori, privilegiando il sistema dell'affidamento «in concessione» delle opere di progettazione esecutiva e realizzazione del nuovo complesso carcerario;
pur avendo individuato il soggetto concessionario nel R.I.T. (raggruppamento temporaneo di impresa) CMC-PIZZAROTTI, la procedura avviata divenne impercorribile a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 109 del 1994, per cui si provvide ad affidare allo stesso soggetto l'appalto a «trattativa privata»;
nel corso degli anni alcuni finanziamenti parcellizzati portarono alla realizzazione dei primi due lotti e al completamento della cosiddetta «stabilizzazione del fronte settentrionale»;
31 gennaio 2003 è stata siglata la proposta di ridimensionamento della struttura nascente, allo scopo di rendere la stessa fruibile in tempi brevi, anche alla luce di un ulteriore stanziamento di circa 14,5 milioni di euro;
il 31 luglio 2003 all'impresa appaltatrice è stato conferito l'incarico per redigere il nuovo progetto, ma una serie di vicissitudini hanno portato solo nel marzo del 2004 alla consegna da parte della CMC-PIZZAROTTI del progetto generale esecutivo di variante commissionato, ma nel frattempo non è risultato più disponibile il finanziamento di 14,5 milioni di euro di cui allo stato revisionale del bilancio del 2002 da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
il problema finanziario veniva superato con il decreto ministeriale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 30 settembre 2004, con il quale era stato assegnato al servizio integrato delle infrastrutture e dei trasporti (S.I.I.T.) per la Sicilia e la Calabria un finanziamento di 16 milioni di euro da destinare proprio alla casa di reclusione di Reggio Calabria;
il S.I.I.T. non ha però approvato il definitivo progetto rielaborato dalla ditta appaltatrice in tempo utile ad impegnare la somma stanziata entro l'esercizio finanziario 2004;
nonostante le varie sollecitazioni anche del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, solo il 1o dicembre 2006 è stato nominato il commissario straordinario per il completamento dei lavori della casa di reclusione di Arghillà in Reggio Calabria;
e solo il 26 giugno 2007 l'Impresa C.M.C. Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna, società capogruppo dell'A.T.I., affidataria dei lavori di costruzione dell'opera, confermava la disponibilità alla ripresa ed al completamento dei lavori, pur rappresentando la necessità di disporre di un progetto esecutivo, redatto dal commissario straordinario e non accolta dallo stesso;
con ulteriore nota il commissario straordinario, ingegner Giovanni Grimaldi, informava il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - dipartimento 2a direzione generale per l'edilizia statale e gli interventi speciali, che l'appaltatore dei lavori per la costruzione della casa di reclusione di Arghillà aveva comunicato l'esito del lodo arbitrale pronunciandosi per la risoluzione del contratto d'appalto «per fatto e colpa della stazione appaltante» e chiedeva, altresì, di conoscere la dotazione finanziaria disponibile per l'eventuale appalto dell'opera in questione;
nonostante il sollecito prodotto in data 11 aprile 2008, il commissario straordinario ad oggi non ha avuto alcun riscontro nel merito;
la struttura di Arghillà avrebbe la possibilità di ospitare 300 detenuti, nonché laboratori per le attività lavorative all'interno ed aree verdi da destinare a possibili coltivazioni;
purtroppo nel cosiddetto «piano carceri» presentato nel 2008 tale struttura non è stata inserita e quindi non è indicata

tra le opere da eseguire per il biennio 2009/2010 e per quello 2011/2012 -:
quali urgenti iniziative intendano assumere, per le parti di competenza, al fine di inserire il completamento di questa importante e necessaria struttura carceraria di Arghillà nel cosiddetto «piano carceri».
(5-06345)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

V Commissione:

GIOACCHINO ALFANO, BITONCI e MARMO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la legge 23 dicembre 2009, n. 191, all'articolo 2, comma 239, ha previsto lo stanziamento, in coerenza con apposito atto parlamentare di indirizzo, fino all'importo complessivo massimo di 300 milioni di euro, per la realizzazione degli interventi necessari per la messa in sicurezza e l'adeguamento antisismico delle scuole, nell'ambito delle misure e con le modalità previste ai sensi dell'articolo 7-bis del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169;
l'articolo 80, comma 21, della legge 27 dicembre 2002 n. 289 aveva disposto l'inserimento nell'ambito del programma di infrastrutture strategiche di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, di un piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici, con particolare riguardo a quelli che insistono sul territorio delle zone soggette a rischio sismico;
l'articolo 7-bis del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, ha previsto, al comma 1, che al piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, formulato ai sensi del richiamato articolo 80, comma 21, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, venga destinato un importo non inferiore al 5 per cento delle risorse stanziate per il programma delle infrastrutture strategiche in cui il piano stesso è ricompreso;
in adempimento a tali disposizioni, il CIPE, adottando la delibera 18 dicembre 2008, n. 114, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 110 del 14 maggio 2009, ha destinato al piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici contributi quindicennali per 3 milioni di euro a partire dalla annualità 2009 e 7,5 milioni di euro a partire dalla annualità 2010. Ai tassi di interesse attuali, detti contributi svilupperebbero un capitale disponibile per investimenti stimabile in circa 115 milioni di euro;
tali risorse dovevano essere definitivamente assegnate sulla base del III programma stralcio, che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avrebbe dovuto sottoporre al CIPE entro il 30 giugno 2009;
la proposta di programma stralcio elaborata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasponi è stata ritirata nell'ambito della Conferenza unificata del 29 ottobre 2010;
nell'ambito dei 300 milioni di euro di cui al predetto articolo 2, comma 239, risultano pertanto da assegnare risorse pari a 115 milioni di euro da erogare nell'arco di quindici anni;
con la risoluzione Gioacchino Alfano ed altri n. 8-00099, approvata in data 25 novembre 2010, le Commissioni riunite V e VII avevano già provveduto a dare attuazione al richiamato articolo 2 comma 239;
tenendo conto delle risultanze dell'audizione svolta dal Sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti pro tempore, senatore Mario Mantovani, presso le Commissioni riunite V e VII, nella seduta del 21 luglio 2011, le medesime Commissioni hanno convenuto sull'opportunità di adottare

un nuovo atto di indirizzo, atteso che le risorse relative alla messa in sicurezza degli edifici scolastici situati nelle regioni meridionali sarebbero stati finanziati a valere sui fondi per le aree sottoutilizzate attraverso una specifica delibera del CIPE;
nella seduta del 2 agosto 2011, le Commissioni riunite V e VII hanno approvato la risoluzione Gioacchino Alfano ed altri 8-00143 con la quale, rispetto alla precedente risoluzione 8-00099, è stato variato significativamente l'elenco degli interventi attraverso la quasi totale sostituzione degli interventi localizzati nelle regioni meridionali con altri ricadenti nelle regioni centro settentrionali;
secondo quanto si apprende da fonti di stampa nella seduta del 20 gennaio 2012 sarebbero stati decisi gli interventi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici del Mezzogiorno, anche alla data odierna tale circostanza non è stata comunicata attraverso atti ufficiali, mentre, con riferimento agli edifici scolastici del Centro nord, oggetto della citata risoluzione Gioacchino Alfano ed altri 8-00143, non risulta essere stato ancora adottato alcun provvedimento;
l'articolo 30, comma 5-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, da ultimo, ha stabilito che «al fine di garantire la realizzazione di interventi necessari per la messa in sicurezza e l'adeguamento antisismico delle scuole, entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Governo dà attuazione all'atto di indirizzo approvato dalle Commissioni parlamentari competenti il 2 agosto 2011, ai sensi dell'articolo 2, comma 239, della legge 23 dicembre 2009, n, 191, e successive modificazioni, adotta gli atti necessari all'erogazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione destinate alle medesime finalità ai sensi dell'articolo 33, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, e nell'ambito della procedura ivi prevista, e riferisce alle Camere in merito all'attuazione del presente comma»;
tale ultimo intervento normativo dovrebbe avere peraltro superato, ad avviso degli interroganti, le criticità rappresentate sull'attuazione della risoluzione Gioacchino Alfano ed altri 8-00143 con particolare riferimento all'assegnazione delle risorse per la messa in sicurezza di edifici scolastici non statali;
occorre chiarire le ragioni per le quali non è stata ancora data attuazione alla risoluzione Gioacchino Alfano ed altri 8-00143, approvata dalle Commissioni riunite V e VII nella seduta del 2 agosto 2011 -:
se sia stata effettivamente deliberata nella seduta del CIPE del 20 gennaio 2012 l'assegnazione delle risorse per la messa in sicurezza degli edifici scolastici del Mezzogiorno e quali siano i tempi e le modalità per l'erogazione delle risorse destinate all'attuazione della risoluzione Gioacchino Alfano ed altri 8-00143 approvata dalle Commissioni riunite V e VI nella seduta del 2 agosto 2011.
(5-06348)

Interrogazione a risposta in Commissione:

BRANDOLINI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nei primi giorni di febbraio, nel corso dei momenti più difficili delle eccezionali precipitazioni nevose che hanno interessato la provincia di Forlì-Cesena - in particolare le vallate del Savio e del Rubicone - l'Anas, senza alcuna preventiva concertazione con gli enti locali coinvolti nell'emergenza, ha disposto il divieto di transito nella E/45;
la chiusura dell'importante arteria si è verificata senza la doverosa predisposizione, da parte dell'Anas di un piano di soccorso che, tenuto conto della presenza di numerosi autotrasportatori i quali hanno dovuto abbandonare i mezzi pesanti, ha costretto le amministrazioni locali

ad approntare con la massima urgenza due centri di accoglienza;
tale inspiegabile comportamento ha provocato un grave disagio per le amministrazioni locali e, soprattutto, per la provincia di Forlì-Cesena ed il comune di Cesena che si sono visti dirottare il traffico nelle strade provinciali e comunali con un inevitabile ulteriore rallentamento della viabilità, già gravemente compromessa a causa delle abbondanti precipitazioni, e sono stati costretti ad impiegare in via straordinaria mezzi e uomini sottratti, in un momento di eccezionale emergenza, al sostegno della popolazione;
considerata la gravità della situazione sono del tutto condivisibili le motivazioni che hanno indotto il presidente della provincia di Forlì-Cesena ed il sindaco di Cesena a scrivere all'amministratore unico dell'Anas per stigmatizzarne il comportamento, in quanto «una decisione concertata o quantomeno preventivamente comunicata avrebbe consentito un più razionale impiego di personale e un minore disagio per tutti e si sarebbe senz'altro dato un buon esempio di leale collaborazione che l'eccezionalità della situazione imponeva»;
la gestione concertata degli eventi emergenziali dovrebbe rappresentare un'assoluta priorità ed uno strumento essenziale per l'efficacia degli interventi, anche per evitare come in questa circostanza, un aggravamento della situazione con conseguente ulteriore aggravio di costi del tutto dovuti a quello che l'interrogante giudica un deprecabile comportamento dell'Anas -:
quali iniziative intenda porre in essere affinché l'Anas riconosca, e in un qualche modo rifonda, agli enti locali della provincia di Forlì-Cesena il costo economico che sono stati costretti a sobbarcarsi ed, al tempo stesso, predisponga le misure necessarie al fine di evitare che in futuro si ripetano situazioni assolutamente ingiustificabili.
(5-06338)

Interrogazioni a risposta scritta:

MANCUSO, DE LUCA, GIRLANDA e BARANI. - Al Ministro dell'infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
solo per la pirateria stradale, che è appena un segmento dell'incidentalità totale, nel 2011 si sono registrati 852 episodi con 995 feriti e 127 morti;
l'uso di alcool e droga rilevano nel 35 per cento dei casi;
la fattispecie che si ipotizza di «omicidio al volante», dovrebbe prevedere che chi si mette al volante ubriaco (con un tasso di alcool nel sangue superiore all'1,5 per cento) o sotto l'effetto di stupefacenti e provoca la morte di qualcuno, sia punito con un minimo di 8 anni di carcere fino a un massimo di 18, con l'arresto in flagranza e il ritiro a vita della patente;
per introdurre il nuovo reato sarà necessaria la modifica parallela del codice della strada e del codice di procedura penale;
la sanzione accessoria del ritiro perenne della patente potrebbe contrastare con il diritto fondamentale europeo di circolazione;
la situazione attuale, per cui un pirata della strada che, ubriaco e drogato uccide delle persone, rischia di ricevere una pena troppo lieve, non può perdurare -:
se il Governo intenda assumere iniziative normative per la modifica del codice della strada e del codice di procedura penale, al fine di introdurre il nuovo reato.
(4-15215)

GRIMOLDI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il comune di Seveso (MB) è diviso in due dalla linea ferroviaria Milano-Asso/Camnago, la cui gestione è svolta dalla società Trenord srl, sulla base del decreto dirigenziale del Ministero dei Trasporti

n. 3239 del 2000 e sulla base dei contratti di servizio con la regione Lombardia;
il numero e la frequenza dei convogli che quotidianamente attraversano il territorio comunale (né concordati, né tanto meno comunicati all'amministrazione comunale di Seveso) ha subito, negli ultimi anni, un'intensificazione che tuttora è in fase crescente e provoca inevitabilmente disagi ai cittadini soprattutto per problemi di viabilità interna, visti i numerosi passaggi a livello che interrompono le strade cittadine e rallentano le operazioni di pubblico soccorso e sicurezza;
l'articolo 6 del regio decreto 9 maggio 1912, n. 1447, dispone che «le congiunzioni e le intersecazioni delle ferrovie private con le pubbliche e la loro immissione nelle strade pubbliche ordinarie, nelle piazze, negli abitati od altri siti pubblici, è fatta con tali disposizioni da non nuocere alla libertà, sicurezza e regolarità dei servizi ed usi pubblici relativi»;
l'articolo 61 del medesimo regio decreto dispone altresì che «chi costruisce una strada ferrata pubblica ha l'obbligo di ristabilire in convenienti condizioni di comodità e sicurezza a proprie spese, tutte le comunicazioni pubbliche e private che dalle opere della sua impresa rimanessero interrotte»;
l'articolo 28 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dispone che «i concessionari di ferrovie (...) hanno l'obbligo di osservare le condizioni e le prescrizioni imposte dall'ente proprietario per la conservazione della strada e per la sicurezza della circolazione»; eppure nel caso in questione il comune di Seveso ha sollevato più volte, rimanendo inascoltato, le problematiche prodotte dalla presenza dell'infrastruttura ferroviaria negli addensamenti storici e le interferenze conclamate ed accertate tra il sistema del trasporto pubblico su ferro e le diverse infrastrutture viabilistiche;
i numerosi problemi sopra espressi potrebbero essere risolti da un'opera di interramento della ferrovia, così come dimostrato approfonditamente dai progetti presentati al riguardo e dalle considerazioni espresse dalla commissione consiliare progetto interramento che dimostrano come potrebbero essere ripristinate le minimali condizioni di funzionalità e sicurezza della rete viaria cittadina, nonché di salvaguardia dei cittadini di Seveso -:
se la gestione del servizio ferroviario a valere sul territorio comunale di Seveso sia conforme alle attuali normative;
se il Ministro, tenuto conto dei considerevoli disagi che l'attuale sistema ferroviario causa agli abitanti del comune di Seveso in termini di viabilità e di sicurezza stradale, non reputi necessario assumere ogni iniziativa di competenza, anche attraverso un tavolo di concertazione con le parti coinvolte, affinché sia avviato il progetto di interramento della ferrovia sul tratto comunale di Seveso.
(4-15218)

...

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

PALADINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la direzione centrale dei servizi tecnico logistici del Ministero dell'interno ha comunicato l'impossibilità della prosecuzione dei lavori della nuova sede dello stabile della questura, della polizia stradale e della prefettura di Pistoia, in relazione alle disposizioni contenute nella manovra finanziaria 2011 e ai tagli occorsi ai capitoli concernenti le spese per la locazione di immobili in uso alla polizia di Stato;
come denunciato dal SAP (Sindacato autonomo di polizia) con comunicato a firma del segretario provinciale di Pistoia, Andrea Carobbi Corso, le varie ipotesi prospettate circa nuove destinazioni d'uso dell'immobile come «leasing in costruendo» (locazione finanziaria di opere

pubbliche), nella sostanza porterebbero a varie speculazioni ed a spese equiparabili alla contrazione di un mutuo da parte dell'amministrazione e determinerebbero l'assunzione di un debito a carico dello Stato, oltre ad altri impatti negativi;
la qualità degli immobili nei quali si lavora è davvero precaria; più volte sono state riconosciute carenze strutturali; i canoni locativi sono al di sopra degli standard reali;
nel caso di specie sarebbe senz'altro opportuno non rinunciare ad un progetto già intrapreso e in fase di conclusione, mentre le condizioni dell'attuale questura non sono certo ottimali per il personale della polizia di Stato che ha diritto a lavorare in un ambiente sano e decoroso -:
se il Ministro non ritenga necessario adoperarsi, affinché siano riviste le determinazioni assunte per l'immobile destinato alla questura, alla polizia stradale e all prefettura di Pistoia e si prosegua pertanto nella prosecuzione dei lavori definitivi.
(4-15211)

BOCCI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella notte di sabato 3 marzo 2012 a Ramazzano, in provincia di Perugia, la rapina in una villa si è conclusa in modo sanguinoso, con la morte di Luca Rosi, figlio dei proprietari;
la drammatica rapina di Ramazzano è purtroppo solo l'ultimo di una serie di episodi che vedono l'Umbria al centro di un'escalation di violenza - 15 rapine in villa nel 2011, già 3 dall'inizio di quest'anno - che deve essere assolutamente fermata;
non c'è più tempo da perdere, i cittadini sono spaventati e la loro protesta è sempre più forte: erano più di mille la sera del 5 marzo 2012 alla fiaccolata per ricordare Luca e hanno chiesto a gran voce che siano garantite giustizia e sicurezza, diritti inalienabili in un Paese civile;
più volte, nei mesi scorsi, è stato sollecitato, attraverso lettere e interrogazioni, un intervento del Ministero dell'interno per incrementare a Perugia uomini e mezzi che possano consentire alle forze dell'ordine un più capillare controllo del territorio e agli inquirenti un'azione efficace contro una criminalità sempre più diffusa, organizzata ed efferata;
non si può continuare a tergiversare, la situazione è ormai intollerabile e bisogna agire con la massima tempestività per evitare che episodi come quello di Ramazzano possano ripetersi -:
se non ritenga necessario e urgente, a fronte dell'emergenza criminalità che la provincia di Perugia registra, assumere iniziative per garantire un incremento di uomini e mezzi alle istituzioni locali preposte all'ordine pubblico.
(4-15213)

NEGRO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
tra le varie misure della legge n. 183 del 2011, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2012» (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 14 novembre 2011, n. 265, supplemento ordinario), finalizzate ad ulteriori riduzioni di spesa delle pubbliche amministrazioni, uno specifico rilievo presenta la previsione dell'articolo 4, comma 26, concernente la disciplina contrattuale dei segretari comunali e provinciali;
questa, infatti, dispone: «Il meccanismo di allineamento stipendiale previsto dall'articolo 41, comma 5, del Contratto collettivo nazionale dei Segretari comunali e provinciali del 16 maggio 2001, per il quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio economico 1998-1999 si applica alla retribuzione di posizione complessivamente intesa, ivi inclusa l'eventuale maggiorazione di cui al comma 4 del medesimo articolo 41. A decorrere dalla

data di entrata in vigore della presente legge è fatto divieto di corrispondere somme in applicazione dell'articolo 41, comma 5, del citato Contratto collettivo nazionale di lavoro del 16 maggio 2001 diversamente conteggiate, anche se riferite a periodi già trascorsi. È fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge»;
l'interrogante manifesta una forte perplessità per il metodo con cui si è intervenuti, di fatto, in modo unilaterale, su un contratto nazionale di lavoro, nell'assoluto silenzio dei sindacati nazionali di categoria, e ritiene che questo intervento costituisca un nuovo attacco all'autonomia degli enti locali ed alla loro capacità di assicurare il massimo dell'efficienza possibile con le limitazioni che i bilanci oggi impongono;
ci sarebbe da valutare la compatibilità della disposizione citata con il principio dell'equa, giusta e proporzionale retribuzione ex articolo 36 della Costituzione;
infatti, ad avviso dell'interrogante, la nuova disposizione legislativa, non meramente interpretativa, come ritiene l'Aran, confondendo fonti normative diverse che agiscono su piani distinti, produce l'effetto distorto che il segretario comunale, che non abbia alcun incarico aggiuntivo, raggiungerà sempre il massimo della retribuzione di posizione goduta dal dirigente presente nell'ente. Allo stesso modo il segretario comunale che svolga, ad esempio, le funzioni di dirigente economico finanziario, del personale ed altro, percepirà una retribuzione di posizione nei limiti della retribuzione di posizione massima riconosciuta ad un dirigente dell'ente, come il primo segretario;
nell'ottica di ottimizzare la produttività e di premiare chi, anche con sacrificio, consente di risparmiare figure dirigenziali, la scelta del legislatore appare all'interrogante miope ed orientata dalla scarsa conoscenza delle dinamiche degli enti locali;
appare evidente che non siano pienamente rispettati i principi costituzionali -:
se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte ad introdurre i necessari correttivi.
(4-15231)

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

TOTO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'AGI S.p.A. - Agenzia giornalistica italiana, società del gruppo E.N.I. Spa, ha assunto la decisione, appresa da fonti sindacali di categoria, di operare, dal 1o marzo del mese corrente, un drastico ridimensionamento di collaboratori in Abruzzo, i quali hanno sempre assicurato una copertura mediatica di vaste porzioni di territorio. Il loro numero si ridurrebbe da dodici a cinque, cessando, pertanto, il rapporto di collaborazione professionale con AGI di ben sette giornalisti;
in particolare, i sub territori penalizzati da questa riorganizzazione del lavoro in AGI, risultano essere quelli dell'Abruzzo interno, precisamente: Marsica, Valle del Sagittario, Valle del Giovenco, Valle Subequana, Valle Peligna, alto Sangro e basso chietino, zone già notevolmente interessate da critiche condizioni socio-economiche, viepiù aggravate dall'avversa congiuntura che attanaglia anche il nostro Paese, benché vi si registri anche la presenza di realtà produttive di eccellente livello, da collegamenti viari fortemente disagevoli e, in generale, da una penuria accentuata di infrastrutture, ancorché le medesime zone siano ricche dal punto di vista culturale, come testimonia, esemplificativamente, l'istituzione del Premio Scanno, di rilievo nazionale, dal punto di vista artistico, storico e architettonico e siano importanti sul piano politico per il

numero dei relativi abitanti, circa duecentomila, pari a un sesto, grosso modo, di quelli dell'intera regione;
l'Abruzzo, in questo tempo, si confronta anche con le problematiche emerse nella fase apertasi dopo il terremoto, il 6 aprile 2009, nella quale esigenze fondamentali di cittadini e di comunità e interessi di varia natura, non sempre di legittima consistenza e di lecita coltivazione, si intersecano con la crescita di una regione sempre più al centro, non solo geografico, del Paese, avendo lo sviluppo portentoso dei decenni scorsi e il collegamento con le realtà esterne, specie con l'apertura delle grandi vie autostradali di comunicazione e, in parte, anche con l'espansione del trasporto aereo, determinato persino la fuoriuscita dell'Abruzzo dalle misure di sostegno comunitarie previste per le regioni ammesse al cosiddetto «Obiettivo 1». La realtà che ne consegue è quella di un territorio dinamico, fragile e appetibile insieme, ed esposto, per questo, a intrusioni, a sollecitazioni, a esposizioni, nelle quali gli attori e i protagonisti sovente si appalesano rappresentanti anche di organizzazioni criminali e la provincia dell'Aquila, pure per le intuitive ragioni riconducibili agli interventi ricostruttivi post-terremoto, è una delle più coinvolte dagli accennati fenomeni e, insieme, una delle più penalizzate dal riassestamento organico di AGI per il quale è previsto che le vicende e gli accadimenti registrate in ben tre quarti del suo territorio, che conta oltre duecentomila abitanti, non siano più seguite direttamente da alcuno dei collaboratori che, nel loro insieme, hanno sino ad ora assicurato la copertura, in campo nazionale, e specialmente in quello istituzionale, per esempio in ambito parlamentare, delle informazioni provenienti da quelle zone, ormai orfane di osservatori professionali, nel campo della comunicazione, dei fatti che vi si verificano quotidianamente e degli eventi, tra i quali le conferenze stampa, che vi si organizzano;
AGI riceve dalla regione Abruzzo un cospicuo corrispettivo in virtù di una convenzione per la prestazione di servizi giornalistici che, alla luce dei tagli operati dall'agenzia giornalistica, non possono che impoverirsi molto, degradando inevitabilmente la loro qualità e quantità;
la evidenziata, sensibilissima riduzione del numero dei collaboratori di fatto riduce, in sede locale ma anche nazionale, in modo preoccupante, la sfera dell'informazione «prosciugandone» le sorgenti, desertificando i luoghi, comunque vitali ed essenziali, della loro raccolta. Ciò reca un vulnus enorme e pernicioso alla solidità della democrazia con la quale l'esistenza di liberi strumenti di comunicazioni e di un'efficiente, adeguata e capillare osservazione giornalistica della realtà circostante, visibile o dissimulata, è direttamente raccordata;
l'Abruzzo, regione troppo spesso esposta a pauperizzazioni, anche forzate, come, recentemente, decisioni di altri importanti soggetti, Trenitalia con la rivisitazione degli orari notturni di fermate dei treni nelle stazioni abruzzesi, hanno comportato, incassa un altro duro colpo alla qualificata strutturazione della propria realtà a causa di dette inopinate determinazioni che, oltretutto, in termini di mero risparmio finanziario, appaiono, nel loro complesso, di trascurabile entità -:
se il Ministro sia al corrente del piano di ridimensionamento del personale giornalistico deciso da AGI, in Abruzzo e se non intenda chiedere delucidazioni sulle ragioni che hanno orientato la dirigenza di AGI verso le decisioni assunte in ordine alle collaborazioni professionali in Abruzzo;
se il Ministro, non intenda, alla luce delle considerazioni svolte in premessa, con particolare riguardo alla sproporzione, assoluta ed evidente, tra i valori in gioco, primariamente quello della libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero, strettamente connesso con gli strumenti propri della comunicazione che un'agenzia di stampa tipicamente rappresenta, vulnerati, secondo l'interrogante, dalle decisioni di AGI in tema di personale

e la limitata riduzione di costi così conseguita, assumere iniziative affinché AGI riconsideri il piano di riduzione dei collaboratori per il territorio abruzzese.
(5-06346)

GNECCHI, MADIA, SANTAGATA, RAMPI, BERRETTA, BELLANOVA, MIGLIOLI, SCHIRRU, MATTESINI, CODURELLI, BOSSA, LENZI, DAMIANO, CENNI, GATTI, MOSCA, MIOTTO, AMICI, ALBINI, FRONER, MURER e ROSSA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
fino al 1992 le donne potevano percepire la pensione di vecchiaia Inps già dai 55 anni con almeno 15 anni di contributi, con il decreto legislativo n. 503 del 1992 con gradualità sono aumentati i requisiti sia anagrafici che contributivi;
fino al dicembre 2011 le donne potevano percepire la pensione di vecchiaia Inps dai 61 anni (60 anni + «finestra» prevista dalla legge n. 122 del 2010) con almeno 20 anni di contributi;
per quanto riguarda le pensioni vigenti il calcolo effettivo della pensione cui si ha diritto può portare ad una misura molto limitata e in presenza di redditi precisi una pensione può essere integrata al trattamento minimo; nel 2009 sono 4.171.946 le pensioni di vecchiaia integrale al trattamento minimo, le titolari donne sono ben 3.329.838, gli uomini 842.108 (dati ricavati dall'Istat - casellario generale delle pensioni);
le pensioni di vecchiaia liquidate a titolari donne anno per anno dal 2000 al 2010 sono:
per l'anno 2000, 36.219 pensioni per un importo medio mensile lordo di 443,45 euro;
per l'anno 2001, 53.037 pensioni per un importo medio mensile lordo di 449,98 euro;
per l'anno 2002, 65.572 pensioni per un importo medio mensile lordo di 461,32 euro;
per l'anno 2003, 65.550 pensioni per un importo medio mensile lordo di 528,82 euro;
per l'anno 2004, 63.636 pensioni per un importo medio mensile lordo di 506,09 euro;
per l'anno 2005, 67.521 pensioni per un importo medio mensile lordo di 517,67 euro;
per l'anno 2006, 72.286 pensioni per un importo medio mensile lordo di 541,55 euro;
per l'anno 2007, 72.158 pensioni per un importo medio mensile lordo di 576,22 euro;
per l'anno 2008, 53.406 pensioni per un importo medio mensile lordo di 600,35 euro;
per l'anno 2009, 74.211 pensioni per un importo medio mensile lordo di 620,44 euro;
per l'anno 2010, 69.123 pensioni per un importo medio mensile lordo di 643,21 euro;
prendendo a riferimento l'anno 2010, che mantiene la situazione degli anni precedenti, risulta che sul numero totale di pensioni che ammonta 100.907, liquidate alle donne, 69.123 pensioni sono di vecchiaia (69 per cento), con importi bassi, a dimostrazione di quanto sia difficile per una donna costruirsi una posizione previdenziale che consenta di avere i requisiti per accedere alla pensione di anzianità, quindi con poche interruzioni nel rapporto di lavoro; le donne spesso lavorano a tempo parziale; il differenziale retributivo tra uomini e donne è ancora una realtà, quindi la pensione di vecchiaia con 20 anni di contributi o poco più è ancora la tipica pensione «rosa»;
elevare il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia delle donne, rappresenta quindi una doppia penalizzazione e,

considerando gli importi mensili delle pensioni di vecchiaia anche di nuova liquidazione, non si realizzano grandi risparmi per le casse dell'INPS;
il tasso di occupazione femminile nel nostro Paese, da molti anni, è uno dei più bassi della Unione europea e la perdurante crisi di questi ultimi anni ha reso ancora più difficoltosa una possibile rioccupazione, soprattutto per le persone ultracinquantenni;
con le modifiche introdotte dall'attuale Governo, si è procrastinata la decorrenza del trattamento pensionistico per risparmiare e con l'ottica di mantenere le persone più a lungo al lavoro, perché l'aspettativa di vita è aumentata, ma non si è promossa l'occupazione e soprattutto non si stanno attivando misure specifiche per le persone meno giovani, non si riesce offrire lavoro a chi lo ha perso, aumentando le fasce deboli, e in questa situazione di reale difficoltà occupazionale non c'è gradualità nell'innalzamento dell'età per accedere alla pensione, in modo particolarmente grave per la pensione di vecchiaia delle donne;
non esiste un monitoraggio per verificare quante donne, avendo già 20 anni di contributi, si siano rassegnate e abbiano rinunciato alla ricerca di un lavoro perché ormai vicine alla pensione -:
quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per promuovere l'occupazione femminile e per offrire quindi, almeno alle donne di 60 anni, a partire da oggi per i prossimi 4 o 5 anni, opportunità occupazionali, ossia un lavoro per poter compensare la mancanza del reddito da pensione, seppur minimo, sui cui pensavano di poter contare per vivere.
(5-06347)

Interrogazioni a risposta scritta:

RAZZI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. - Per sapere - premesso che:
in base a recenti disposizioni normative l'INPDAP verrà incorporato dall'INPS -:
se siano state avviate iniziative volte ad acquisire elementi sulle spese legali e di ogni genere che abbia dovuto sostenere l'INPDAP in relazione a procedimenti giudiziari, in cui l'amministrazione è risultata soccombente, che avrebbero potuto essere evitati anche al fine di valutare l'attività degli organi di vertice.
(4-15216)

PALADINI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
Acquereggine è una società consortile per azioni, nata con grandi aspettative, avente come scopo la fornitura ai comuni dell'Ambito territoriale ottimale n. 5 di Reggio Calabria di servizi essenziali connessi soprattutto ai segmenti della depurazione e delle fognature;
la società sembrerebbe oggi costretta a cessare ogni attività a causa dei numerosi ritardi nei pagamenti per le quote del servizio di depurazione da parte dei comuni fruitori; nel giro di diversi anni la situazione di liquidità sarebbe divenuta drammatica stante l'impossibilità di effettuare la manutenzione di tutti i siti di depurazione nella provincia;
molteplici sono stati gli incontri, richiesti dalle Organizzazioni sindacali di categoria alle istituzioni ed all'intera classe politica regionale nei mesi di settembre, ottobre e dicembre del 2011, del gennaio 2012, fino alla riunione tenutasi in prefettura il 2 febbraio 2012;
le promesse fatte anche dinanzi al prefetto non sono state mantenute, nemmeno il 30 per cento dei comuni ha versato quanto promesso, le convocazioni del commissario liquidatore dell'ambito territoriale ottimale per discutere la proposta di contratto per il prosieguo del rapporto con Acquereggine sono state disertate;

«Acquereggine» ha così iniziato la riconsegna degli impianti di depurazione ai rispettivi comuni sancendo di fatto, la messa in mobilità di circa 80 dipendenti mentre 39 sono rimasti a presidiare gli impianti del comune di Reggio Calabria, unico ente, tra quelli dell'ATO5, in grado di assumersi il compito di saldare i debiti con la società consortile;
a causa della suddetta situazione un numero rilevante di lavoratori è stato posto in mobilità e solo per una piccola parte degli stessi si è provveduto alla immediata ricollocazione presso altri enti, peraltro, sembrerebbe, senza nessuna specificazione dei criteri attraverso i quali siano state operate scelte di ricollocamento in favore dell'uno o dell'altro dipendente;
la procedura di riconsegna degli impianti ai comuni sarebbe stata effettuata senza tener conto delle garanzie e della continuità occupazionale dei lavoratori già addetti al servizio mentre opererebbero altre società che avrebbero dovuto provvedere, quantomeno, a riassorbire le maestranze che già vi operavano per conto di «Acquereggine» -:
se, il Governo non ritenga necessario acquisire elementi in merito alle cause che hanno determinato la descritta situazione anche assumendo ogni iniziativa di competenza a tutela dei lavoratori.
(4-15222)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

CENNI, FIORIO, OLIVERIO, SANI, TRAPPOLINO, BRANDOLINI, SERVODIO, ZUCCHI e AGOSTINI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'8 febbraio 2012 il comitato permanente per le produzioni biologiche (Scof) ha licenziato il regolamento per la produzione di vino biologico;
tale regolamento era atteso da moltissimi anni dai produttori del nostro Paese che sino ad oggi potevano fregiarsi solo della indicazione in etichetta di vino prodotto da uve biologiche;
secondo quanto previsto dal regolamento dalla vendemmia 2010, sarà finalmente possibile indicare esplicitamente in etichetta, la definizione «vino biologico»;
il regolamento sopra richiamato contiene definizioni tecniche coerenti col regolamento dell'Unione europea per l'agricoltura biologica;
il regolamento stabilisce un insieme di pratiche enologiche e di sostanze, definite nel regolamento (CE) n.606/2009 relativo all'organizzazione comune di mercato (Ocm) vitivinicolo, da utilizzare per i vini biologici. Non sono infatti consentite alcune sostanze e vengono individuati limiti al tenore massimo di solfiti, con un differenziale che va dai 30 ai 50 milligrammi per litro inferiore al vino convenzionale;
il testo definitivo rappresenta indubbiamente un punto di mediazione con i Paesi del Nord Europa, alcuni dei quali hanno a lungo osteggiato la definizione di un testo regolamentare, in modo particolare sull'uso di solfiti e di anidride solforosa nella fase di trasformazione del vino;
il settore del vino biologico risulta essere rilevante dal punto di vista dei quantitativi prodotti e delle quote di mercato;
secondo i dati diffusi nell'ambito del progetto europeo «Orwine» si registra nel settore dei vini da uve biologiche un aumento medio del fatturato del 18 per cento, mentre la previsione per i prossimi anni è di un incremento annuo medio del 13 per cento, che potrebbe raggiungere anche il 20 per cento;
l'Italia è il primo produttore con 52.273 ettari investiti a vigneto biologico ed anche per questo il nostro Paese ha condotto una lunga battaglia in Commissione

europea per ottenere un regolamento severo sull'uso di determinate sostanze necessarie per la vinificazione, volendo così tutelare i produttori italiani che vinificano con valori di solfiti molto più bassi di quelli oggi normati a Bruxelles;
pur cogliendo la novità rappresentata finalmente dalla possibilità di etichettare e di dare così alcune certezze ai consumatori, il testo finale non soddisfa i produttori di vino biologico;
tale insoddisfazione è stata con chiarezza manifestata attraverso numerose dichiarazioni pubbliche dalle organizzazioni dei produttori (in modo particolare Aiab e Coldiretti) ed esplicitata durante i lavori del Forum nazionale sul vino biologico e biodinamico (organizzato da Biolitalia ed Icea) svoltosi a Siena il 17 febbraio 2012, alla presenza di numerosi esperti e di rappresentanti dello stesso Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
poter lavorare su un vino biologico prodotto in Italia che si caratterizza per vincoli più restrittivi nell'uso di sostanze nella vinificazione, significherebbe investire contemporaneamente su una vitivinicoltura più sostenibile, e su una sensibilità crescente nel consumatore europeo e mondiale -:
quali siano gli orientamenti del Governo sul testo approvato;
se il Governo sia a conoscenza della valutazioni dei produttori interessati;
se si ritenga possibile adottare un disciplinare nazionale maggiormente virtuoso;
se il Governo ritenga opportuna la convocazione di un tavolo di lavoro con le associazioni dei produttori, e con le principali regioni produttrici di vino biologico al fine di promuovere accordi e pratiche più confacenti alle peculiarità del nostro Paese ed azioni tese alla valorizzazione ed alla promozione del vino biologico italiano.
(5-06339)

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SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

FUCCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'acufene è una patologia che consiste nella sensazione uditiva di un suono costante percepito in uno o in entrambi gli orecchi o nella testa;
secondo TAI Onlus, l'associazione che raduna circa 2 mila iscritti, sono circa 5 milioni gli italiani che, dalla forma più lieve a quella più grave, soffrono di questa patologia;
tale patologia appare ben poco considerata e viene in ogni caso vista, nell'immaginario collettivo, come nient'altro che un lieve e peraltro discontinuo disturbo uditivo, quando invece essa è motivo di forte impatto psicologico e sociale su chi ne soffre -:
se e quali iniziative siano in corso o in programma rispetto alla necessità di sviluppare la ricerca nel campo della diagnosi e della cura dell'acufene.
(4-15212)

TOTO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
tra le patologie di cui si riscontra, con crescente espansione, una incidenza sempre maggiore e delle quali, tuttavia, non si ha proporzionata eco sui mezzi di comunicazione e, in generale, negli interventi anche volti a sensibilizzare istituzioni od opinione pubblica su malattie e problemi legati alla salute dell'individuo, si annovera quella denominata acufene;
la sintomatologia di detta patologia consiste in una sensazione uditiva, in indistinti e persistenti rumori, in un suono continuo e costante percepito in uno o in entrambi gli orecchi o nella testa;
la patologia acufenica non è riducibile a un «fastidioso disturbo», com'è nel convincimento superficiale e banalizzante di molti, trattandosi di una vera e propria

malattia invalidante che colpisce, secondo stime attendibili, circa il dieci per cento della popolazione, dunque, milioni di individui;
il profilo invalidante della patologia è riconducibile alla complessa e variegata fenomenologia che accompagna la sua manifestazione, giacché lo stillicidio dei rumori e suoni, anche multipli, percepiti negli orecchi nella testa provocano un vulnus grave all'equilibrio psicologico ed emozionale di un soggetto, al ritmo sonno-veglia, al livello dell'attenzione e della concentrazione, al normale svolgimento della vita di relazione, talché si genera, sovente, uno stato depressivo con esiti anche drammatici, con la morte per suicidio del paziente -:
se il Ministro considerato che l'acufene è una malattia grave sul piano sanitario e rilevante su quello sociale e non ritenga di dover attivare ogni forma utile di osservazione epidemiologica che rilevi l'incidenza effettiva della patologia acufenica nella popolazione italiana;
se il Ministro, una volta esperiti gli opportuni accertamenti e indagini e sulla scorta della loro positiva evidenza, non ritenesse di adottare provvedimenti e direttive volte a implementare ricerche e studi preziosi per la definizione di protocolli diagnostici e terapeutici relativi alla patologia acufenica e istruzioni atte a sensibilizzare l'articolata realtà del servizio sanitario nazionale, nelle sue componenti coinvolgibili, perché siano assunte le pratiche adeguate e le iniziative suscettibili di concorrere utilmente alla prevenzione della malattia e al contrasto di ogni potenziale o accertato fattore eziologico della medesima.
(4-15217)

JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
sono sempre più le persone che da adulte sviluppano sintomi depressivi e, per circa la metà di queste, pare vi sia un collegamento con l'età dell'adolescenza. Gli psicologi delle università di Bangor e Oxford infatti sostengono, in un articolo apparso sul Journal of affective disorders, che per queste persone vi deve essere stato un primo episodio di depressione proprio durante l'età adolescenziale - in genere tra i 13 e i 15 anni d'età. La depressione clinica, pertanto potrebbe essere rimasta per così dire dormiente per alcuni anni per poi ripresentarsi magari in particolari momenti della propria vita. Ecco quanto hanno voluto accertare i professori Mark Williams dell'università di Oxford e Ian Russell e Rebecca Crane della Bangor University, coinvolgendo 275 persone con depressione clinica e ciclica, ossia che si è ripetuta nel tempo;
«la depressione si riteneva fosse un problema che emergeva anzitutto nelle persone di mezza età - spiega Williams -. Negli ultimi decenni, tuttavia, i ricercatori cominciarono a scoprire che i pazienti stavano diventando depressi in età sempre più giovane, una tendenza che ha contribuito alla depressione diventando uno dei problemi sanitari più urgenti in tutto il mondo». Partendo da questi presupposti, i ricercatori hanno voluto esaminare il legame tra il primo episodio di depressione, l'età in cui questo si è verificato e i problemi mentali in età adulta, Questi fattori sono stati tutti presi in considerazione quando si è trattato di studiare i partecipanti allo studio;
l'analisi dei dati raccolti ha permesso ai ricercatori di scoprire che nel 48 per cento dei pazienti un primo episodio della malattia si era manifestato in età adolescenziale. «Questi risultati sono importanti perché la depressione è un problema che tende a ritornare - spiega nel comunicato BU il professor Williams -. Se sei stato depresso una volta, poi si ha il 50 percento di possibilità di esserlo di nuovo. Se si è avuta la depressione due o più volte, questo rischio sale al 70-80 percento». Nonostante ciò, i ricercatori infondono un po' di ottimismo per le persone con questo tipo di problema ricordando che vi sono metodi per impedire che queste ricadute avvengano ancora. Due di queste sono la terapia cognitiva e

la Mindfulness-based cognitive therapy (MBCT), studiate proprio per evitare e prevenire le recidive;
«il corso di Mindfulness-Based Cognitive Therapy offre alle persone vulnerabili alla depressione ricorrente l'opportunità di impegnarsi in un processo a pioggia che crea l'abilità nel riconoscere e rispondere sapientemente ai primi segni di depressione - spiega la dottoressa Rebecca Crane -. Con più ripetuti episodi di depressione vengono stabiliti inutili schemi abituali di pensiero e sentimento. La Mindfulness-Based Cognitive Therapy insegna ai partecipanti a riconoscere e rispondere a questi modelli in modo nuovo». Un concetto questo che va a supportare altri studi che hanno suggerito come la meditazione e la MBCT possano essere d'aiuto proprio nel trattamento della depressione -:
quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di monitorare i risultati ottenuti dalla terapia MBCT in Italia, provvedendo, in seguito, a darle eventualmente effettivo riconoscimento legale.
(4-15227)

JANNONE. - Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
da un progetto di un team di ricerca guidato da Febo Cincotti, ricercatore della fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, finanziato da fondazione AriSla per la ricerca sulla Sla, con il contributo di Aisla, associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica, è nato il prototipo di interfaccia cervello-computer che permette di comunicare attraverso gli impulsi del cervello ai pazienti «locked in», cioè in uno stato avanzato della disabilità in cui non si è in grado di muovere neppure gli occhi. Il prototipo, tutto italiano, si chiama Brindisys e, rispetto ad altri modelli precedenti, complessi da utilizzare, ingombranti e che richiedono costante supporto tecnico, è un dispositivo completamente non invasivo, di facile utilizzo, che permette anche ai pazienti in uno stato avanzato della malattia di mantenere una possibilità di comunicazione. Dotato di un elaboratore miniaturizzato simile a quelli usati all'interno dei riproduttori dvd, Brindisys riconosce l'intenzione dell'utente dall'esame del suo segnale elettroencefalografico, senza l'utilizzo di un computer potente;
Brindisys è composto da una cuffia, che viene indossata dal paziente, dotata di elettrodi che servono a rilevare i comandi solamente immaginati attraverso i potenziali elettrici prodotti dal cervello. Questi segnali vengono «letti» da un dispositivo poco più grande del palmo di una mano che li traduce in comandi e li trasmette a un semplice tablet da cui parte l'esecuzione dell'azione. Si va dalla riproduzione vocale di una frase pre-impostata, alla formulazione lettera per lettera di frasi nuove fino a comandare azioni vere e proprie quali accendere la televisione, cambiare canali, aprire la porta, spegnere la luce. La «traduzione del pensiero» avviene in circa 10 secondi;
primo step per arrivare al prototipo è stata l'indagine su un campione di pazienti, familiari ed esperti, che ha permesso di individuare le principali esigenze comunicative dei malati. Dopo la fase di studio e gli esperimenti per realizzare il prototipo, a distanza di poco più di un anno ha preso il via la fase clinica con un gruppo pazienti che lo sta sperimentando. In questa prima fase clinica, i pazienti, reclutati su base volontaria, ma ciascuno a un diverso livello di avanzamento della malattia, vengono condotti nella casa domotica della fondazione IRCCS Santa Lucia di Roma: un appartamento appositamente progettato per le persone con disabilità dove tutto è automatizzato e con Brindisys è possibile, per esempio, regolare lo schienale della poltrona o l'inclinazione del letto, aprire la porta. In una fase successiva il prototipo sarà affidato ai pazienti che potranno facilmente utilizzarlo

a casa propria. Dalle loro risposte partirà poi una nuova versione del dispositivo -:
se e quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano adottare al fine di sovvenzionare la fase sperimentale relativa alla progettazione, all'utilizzo e alla diffusione di Brindisys.
(4-15229)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:

VANNUCCI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in provincia di Pesaro e Urbino è in corso un piano di chiusura di uffici postali;
l'iniziativa, in molti casi, viene intrapresa dalla direzione provinciale in maniera unilaterale senza approfondita consultazione con le istituzioni locali;
al sindaco del comune di Auditore è stata data comunicazione della data di chiusura già operativa dal 1° marzo dell'ufficio postale del capoluogo Auditore in data 10 febbraio emergenza neve;
le ragioni che vengono addotte si riferiscono agli scarsi carichi di lavoro e alla diseconomicità del servizio;
tali ragioni potrebbero essere rimosse con un coinvolgimento del comune che potrebbe assumere alcuni oneri e potrebbe collaborare per l'aumento dei carichi di lavoro;
il caso del comune di Auditore è eclatante, in quanto si prevede la completa chiusura dell'ufficio che ha sede nel capoluogo dove vi è la sede municipale che dista oltre tre chilometri dall'ufficio della frazione Casinina con residenti che abitano a oltre dieci chilometri (frazione S. Giovanni) e che gravitano nell'ufficio di Auditore;
nel caso del comune di Auditore i bassi carichi di lavoro sono addebitati dagli utenti all'orario delle due giornate di apertura (per due ore) ed al mancato funzionamento che spesso si è registrato delle attrezzature dell'ufficio nonché alla carenza di liquidità per pagare le pensioni; andrebbero per questo motivo confrontati i dati con periodi precedenti in cui i dati erano migliori perché l'ufficio funzionava meglio;
il comune di Auditore e disponibile a farsi carico di parte degli oneri a partire dalla rinuncia del canone di locazione per poter garantire il servizio ai circa 500 residenti con grande percentuale di anziani non dotati di autovettura e senza un efficiente servizio pubblico di trasporto ed a collaborare per l'aumento dei carichi di lavoro;
Auditore è un comune montano;
non appare rispettato lo spirito del decreto ministeriale 7 ottobre 2008 che detta «criteri di distribuzione dei punti pubblica»;
andrebbe verificato il rispetto su base nazionale del principio di un punto di accesso entro la distanza di sei chilometri dal luogo di residenza per il 97,5 per cento della popolazione, considerato che la chiusura di dieci uffici nella provincia di Pesaro e Urbino rientra ampiamente in questa fattispecie;
il servizio postale è servizio pubblico gestito in monopolio da Poste italiane, concessionaria del servizio universale;
il Ministro ha poteri di indirizzo, vigilanza e controllo su Poste italiane e sulla qualità del servizio offerto -:
se il Ministro intenda assumere le informazioni necessarie ed intervenire su Poste italiane affinché riveda la decisione sulla chiusura dell'ufficio di Auditore, facendo sì che la società apra un confronto con le istituzioni locali per trovare soluzioni che contribuiscano all'abbattimento dei costi ed a rendere economica l'operatività dell'ufficio postale di Auditore.
(5-06340)

VANNUCCI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in provincia di Pesaro e Urbino è in corso un piano di chiusura di uffici postali;
l'iniziativa, in molti casi, viene intrapresa dalla direzione provinciale in maniera unilaterale senza approfondita consultazione con le istituzioni locali;
al sindaco del comune di Urbino è stata data comunicazione della data di chiusura già operativa dell'ufficio postale della frazione di Cavallino che prestava servizio solo un giorno e del passaggio da 6 a 3 giorni dell'ufficio postale di Canavaccio;
le ragioni che vengono addotte si riferiscono agli scarsi carichi di lavoro e la diseconomicità del servizio;
tali, ragioni potrebbero essere rimosse con un coinvolgimento del comune che potrebbe assumere alcuni oneri e potrebbe collaborare per l'aumento dei carichi di lavoro;
la frazione di Cavallino dista 8 chilometri dal più vicino ufficio postale e serve una popolazione di circa 500 abitanti;
la frazione di Canavaccio dista ben 11 chilometri dal capoluogo ed è abitata da circa 1000 residenti ed è sede della principale zona industriale del comune di Urbino;
la decisione di riduzione a tre giorni dell'ufficio di Canavaccio appare incomprensibile considerato il bacino di utenza e la qualità degli utenti ai quali Poste italiane potrebbe offrire la più ampia gamma dei servizi aumentando considerevolmente l'attività;
l'incremento potrebbe essere favorito dal coinvolgimento di istituzioni locali, associazioni di categoria, ed altri che i responsabili di Poste italiane potrebbero coinvolgere;
è pertanto opportuno rivedere le decisioni prese;
non appare rispettato lo spirito del decreto ministeriale ottobre 2008 che detta «criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica»;
andrebbe verificato il rispetto su base nazionale del principio di un punto di accesso entro la distanza di sei chilometri dal luogo di residenza per il 97,5 per cento della popolazione, considerato che la chiusura di dieci uffici nella provincia di Pesaro e Urbino rientra ampiamente in questa fattispecie;
il servizio postale è servizio pubblico gestito in monopolio da Poste italiane, concessionaria del servizio universale;
il Ministero ha poteri di indirizzo, vigilanza e controllo su Poste italiane e sulla qualità del servizio offerto -:
se il Ministro intenda assumere le informazioni necessarie ed intervenire su Poste italiane affinché riveda la decisione sulla chiusura degli uffici postali di Urbino sopra richiamati, facendo sì che la società apra un confronto con le istituzioni locali per trovare soluzioni che contribuiscano all'abbattimento dei costi ed a rendere economica l'operatività del servizio.
(5-06341)

VANNUCCI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in provincia di Pesaro e Urbino è in corso un piano di chiusura di uffici postali;
l'iniziativa, in molti casi, viene intrapresa dalla direzione provinciale in maniera unilaterale senza approfondita consultazione con le istituzioni locali;
al sindaco del comune di Montecalvo in Foglia è stata data comunicazione della

data di chiusura già operativa dal 21 febbraio 2012 dell'ufficio postale del capoluogo Montecalvo in Foglia;
le ragioni che vengono addotte si riferiscono agli scarsi carichi di lavoro e alla diseconomicità del servizio;
tali ragioni potrebbero essere rimosse con un coinvolgimento del comune che potrebbe assumere alcuni oneri e collaborare per l'aumento dei carichi di lavoro;
il caso del comune di Montecalvo in Foglia è particolare in quanto si prevede la completa chiusura dell'ufficio che ha sede nel capoluogo dove vi è la sede municipale che dista tre chilometri dall'ufficio della frazione Ca' Gallo ma con residenti che abitano a oltre 6/7 chilometri e che gravitano nell'ufficio di Montecalvo in Foglia;
nel caso del comune di Montecalvo in Foglia i bassi carichi di lavoro sono addebitati dagli utenti all'orario dell'unica giornata di apertura (per due ore) ed alla discontinuità del servizio;
il comune di Montecalvo in Foglia è disponibile a farsi carico di parte degli oneri per poter garantire il servizio ai circa 350 residenti con grande percentuale di anziani non dotati di autovettura e senza un efficiente servizio pubblico di trasporto ed a collaborare per l'aumento dei carichi di lavoro;
non appare rispettato lo spirito del decreto ministeriale ottobre 2008 che detta «criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica»;
andrebbe verificato il rispetto su base nazionale del principio di un punto di accesso entro la distanza di sei chilometri dal luogo di residenza per il 97,5 per cento della popolazione, considerato che la chiusura di dieci uffici nella provincia di Pesaro e Urbino rientra ampiamente in questa fattispecie;
il servizio postale è servizio pubblico gestito in monopolio da Poste italiane, concessionaria del servizio universale;
il Ministero ha poteri di indirizzo, vigilanza e controllo su Poste italiane e sulla qualità del servizio offerto -:
se il Ministro intenda assumere le informazioni necessarie ed intervenire su Poste italiane affinché riveda la decisione sulla chiusura dell'ufficio di Montecalvo in Foglia, facendo sì che la società apra un confronto con le istituzioni locali per trovare soluzioni che contribuiscano all'abbattimento dei costi ed a rendere economica l'operatività dell'Ufficio postale di Montecalvo in Foglia.
(5-06342)

Interrogazione a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
secondo i dati Istat, il fatturato e gli ordinativi relativi all'export estero delle industrie italiane è in crescita nel 2011: nel primo caso si è registrato un rialzo del 5,6 per cento mentre per gli ordini l'incremento è stato del 5,9 per cento. Va specificato che si tratta di dati grezzi, in rialzo anche per il mese di dicembre: il fatturato dell'industria, al netto della stagionalità, registra un aumento del 3,4 per cento rispetto a novembre (+3,1 per cento sul mercato interno e +4,0 per cento su quello estero), mentre per gli ordini la crescita è stata del 5,5 per cento;
per quanto riguarda il fatturato, nella media degli ultimi tre mesi (Ottobre-Dicembre), l'indice diminuisce dell'1,2 per cento rispetto ai tre mesi precedenti (Luglio-Settembre). Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 20, contro i 22 di dicembre 2010) il fatturato totale cresce in termini tendenziali del 5,6 per cento, con un aumento del 3,4 per cento sul mercato interno e del 10,0 per cento su quello estero. Gli indici destagionalizzati del fatturato segnano, in termini congiunturali, un incremento del 10,6 per cento per l'energia, del 5,8 per cento per i beni strumentali, del 2,3 per cento per i

beni intermedi e dello 0,4 per cento per i beni di consumo. Il settore di attività economica per il quale si registra l'incremento tendenziale maggiore del fatturato è quello della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+16,4 per cento), mentre la diminuzione più marcata riguarda la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (-10,6 per cento);
l'indice grezzo del fatturato registra, in termini tendenziali, una diminuzione dello 0,9 per cento: il contributo più ampio a tale diminuzione viene dalla componente interna dei beni intermedi. Per quel che riguarda gli ordinativi totali, si registra un aumento congiunturale del 5,5 per cento, sintesi di una crescita del 5,8 per cento degli ordinativi interni e del 5,1 per cento di quelli esteri. Nella media degli ultimi tre mesi gli ordinativi totali diminuiscono del 3,9 per cento rispetto al trimestre precedente. Nel confronto con il mese di dicembre 2010, l'indice grezzo degli ordinativi segna una diminuzione del 4,3 per cento. Per gli ordinativi, l'aumento tendenziale maggiore si osserva per la fabbricazione di macchinari e attrezzature n.c.a. (+15,2 per cento). Il calo più ampio si registra per la fabbricazione di mezzi di trasporto (-25,6 per cento) -:
quali interventi e misure i Ministri intendano adottare al fine di incrementare lo sviluppo delle esportazioni delle nostre imprese.
(4-15220)

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Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05767, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05768, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05769, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05829, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05951, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 febbraio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05952, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 febbraio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-06494, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 marzo 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-06498, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 marzo 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-06499, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 marzo 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-06589, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 marzo 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Ceccacci Rubino e Baldelli n. 3-02147, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cazzola.

L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Callegari e altri n. 5-06329, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

Cambio di presentatore di interrogazione a risposta immediata in Commissione.

L'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-06329, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2012, è da intendersi presentata dall'onorevole Rainieri, già cofirmatario della stessa.

Pubblicazione di testi riformulati.

Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta in Commissione Rubinato n. 5-06263, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 592 del 24 febbraio 2012.

RUBINATO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la società Gestore dei servizi energetici spa (di seguito denominata GSE), interamente controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, gestisce l'accesso ai sistemi di incentivazione per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, al mercato elettrico e al servizio di scambio;
le procedure per l'erogazione di tali servizi, la cui domanda è in forte crescita soprattutto da parte delle imprese, comportano un rilevante scambio di documentazione cartacea tra il GSE e soggetti interessati;
al fine di semplificare ed accelerare la gestione di tali pratiche, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, con delibera n. 173/09, ha dettato al GSE una serie di disposizioni con l'obiettivo di dematerializzare gli scambi informativi e documentali necessari all'espletamento di dette procedure, con priorità rivolta a quelle per l'accesso al sistema di incentivazione per la produzione fotovoltaica;
il GSE ha quindi introdotto una modalità telematica per l'accesso al conto energia e per l'erogazione della tariffa incentivante, che prevede l'invio di tutti i documenti necessari ad avviare la pratica in formato elettronico;
ad oggi, a quanto consta all'interrogante, il GSE non ha ancora attivato ancora la propria casella PEC che potrebbe agevolare la conclusione della procedura grazie all'invio della convenzione che riconosce l'incentivo sottoscritta in formato digitale, mentre al momento, stante le informazioni raccolte, vige ancora l'obbligo dell'invio in formato cartaceo della lettera, firmata dal richiedente;
in base alle disposizioni di cui al decreto-legge n. 185 del 2008, convertito dalla legge n. 2 del 2009, tutte le società devono essere dotate di una casella PEC alla quale chiunque può inviare comunicazioni e documenti destinate all'impresa;
va considerato che, nel caso del GSE, la pronta attivazione della Pec costituisce misura necessaria e urgente per non gravare le imprese di inutili adempimenti burocratici e di costi aggiuntivi, che ostacolano la definizione in tempi rapidi della procedura di erogazione della tariffa incentivante -:
quali iniziative si intenda intraprendere, anche alla luce degli obiettivi di semplificazione e di sviluppo perseguiti dal Governo, per porre con urgenza rimedio al grave disagio che il protrarsi di questa situazione arreca alle imprese. (5-06263)

Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Razzi n. 4-15205, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 598 del 6 marzo 2012.

RAZZI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il professor Giuseppe Di Claudio, nato a Trivento (Campobasso) il 4 settembre 1947, cittadino italiano residente a Madrid, ha prestato servizio come docente ordinario negli istituti tecnici di Stato in provincia di Torino ed è stato collocato a riposo, a decorrere dal 10 settembre 1991, per dimissioni;
sin dal settembre 1990 il predetto docente ha prestato servizio presso un'azienda privata con autorizzazione delle autorità scolastiche del 17 settembre 1990 e con la contestuale trasformazione del suo incarico da tempo pieno a parziale;
in data 1o settembre 1995, prima ancora di aver percepito ratei di pensione maturata per il suo servizio scolastico, chiedeva la ricongiunzione del servizio prestato come docente con quello di dirigente di azienda privata, con contribuzione a favore dell'INPDAI, oggi INPS, ai sensi della legge 5 marzo 1990, n. 45 e legge 29 del 7 febbraio 1979;
il provveditorato agli studi di Torino, nonostante i ripetuti solleciti dell'INPDAI non ha mai provveduto al trasferimento dei contributi giacenti presso l'amministrazione dello Stato, nella convinzione che i predetti contributi fossero già stati utilizzati per la pensione provvisoria concessa con decreto del provveditore agli studi di Torino ma i cui ratei non furono liquidati se non nel 2002, dopo le dimissioni «per giusta causa» rassegnate a far data dal luglio del 2001;
il docente fu indotto a chiedere il «ripristino» della pensione a seguito di comunicazione dell'INPDAI circa un'asserita liquidazione di pensione da parte del CSA di Torino, circostanza verificatasi in realtà solo a partire dal luglio del 2001;
a parere dell'interrogante, il professor Giuseppe Di Claudio, si è trovato invischiato in pastoie burocratiche che hanno complicato la sua vita di relazione, offuscato la serenità familiare ed impedendogli una serena ed autonoma scelta di vita. Infatti, la domanda di ricongiunzione avanzata nel settembre del 1995, a giudizio dell'interrogante, era meritevole di accoglimento, dal momento che a quella data nessun rateo di pensione era stato liquidato a favore del professor Di Claudio, causa il divieto di cumulo tra pensione pubblica e attività lavorativa nel settore privato. Per completezza di informazione si rappresenta che per casi analoghi, la ragioneria generale dello Stato - IGOP - e la Presidenza del Consiglio dei ministri - dipartimento della funzione pubblica, rispettivamente con risoluzione n. 181911 del 3 gennaio 1992 e con nota n. 3399/7 in data 3 luglio 1999 avevano espresso il loro parere favorevole in merito;
la Corte dei conti - sezione giurisdizionale del Lazio - nell'udienza del 1o marzo 2012 ha dichiarato difetto di giurisdizione, rinviando di fatto la soluzione della complessa vicenda alla decisione di un giudice ordinario, con la conseguenza che i tempi di decisione saranno rinviati sine die, dati i tempi lunghi della giustizia ordinaria in materia;
la pensione erogata dall'INPDAP è assolutamente insufficiente a soddisfare le esigenze familiari del professor Di Claudio causa la mancata ricongiunzione -:
se alla data del 1o settembre 1995 - data di presentazione dell'istanza da parte del professor Di Claudio - esistessero i presupposti giuridici per la concessione della richiesta ricongiunzione dei contributi versati allo Stato con quelli versati con l'INPDAI;

quali fossero i motivi di carattere giuridico che eventualmente ostavano alla richiesta ricongiunzione;
se i pareri sopracitati della ragioneria generale dello Stato e della Presidenza del Consiglio dei ministri citati nella informativa INPDAP n. 13 del 21 febbraio 2000, unitamente a varie pronunce della Corte dei conti e della Corte di Cassazione in materia, siano o meno applicabili anche alla posizione giuridica del professor Di Claudio;
se esistono le condizioni per una doverosa e sollecita rivisitazione amministrativa della posizione del professor Di Claudio, al fine di evitargli gli ulteriori danni provocati dai tempi lunghi della giustizia ordinaria attraverso un'iniziativa in autotutela.(4-15205)