Allegato B
Seduta n. 594 del 28/2/2012
TESTO AGGIORNATO AL 19 GIUGNO 2012
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
a partire dal 1o gennaio 2012, è entrato in vigore il nuovo regime dei contribuenti «minimi» o «regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità», così come introdotto dall'articolo 27 del decreto legge n. 98 del 2011 (cosiddetto «Manovra correttiva»), in sostituzione dell'attuale regime dei «minimi» di cui all'articolo 1, commi da 96 a 117, della legge n. 244 del 2007;
a decorrere dal 2012 il nuovo regime dei «minimi» è quindi applicabile esclusivamente:
a) alle persone fisiche che intraprendono un'attività d'impresa o di lavoro autonomo;
b) alle persone fisiche che hanno intrapreso un'attività d'impresa o di lavoro autonomo a partire dal 1o gennaio 2008;
c) per il periodo d'imposta di inizio dell'attività e per i 4 successivi;
l'applicazione è comunque ammessa anche oltre il quarto periodo d'imposta successivo a quello di inizio dell'attività, fino al compimento del trentacinquesimo anno di età;
la norma stabilisce espressamente che tutti i contribuenti che hanno aperto la partita IVA prima del 1o gennaio 2008, a prescindere dalla loro età, non potranno comunque accedere al nuovo regime dei «minimi» in vigore dal 1o gennaio 2012, indipendentemente dal fatto che dal 2008 al 2011 abbiano adottato il vecchio regime dei «minimi»;
inoltre il contribuente che sceglie di applicare il nuovo regime dei «minimi» a partire dal 2012 deve essere in possesso dei seguenti requisiti:
non deve aver esercitato, nei 3 anni precedenti l'inizio dell'attività, un'attività artistica, professionale o d'impresa, anche in forma associata o familiare;
l'attività da esercitare non deve costituire, in nessun modo, mera prosecuzione di un'altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, escluso il caso in cui tale attività costituisca un periodo di pratica obbligatoria ai fini dell'esercizio dell'arte/professione;
se l'attività costituisce il proseguimento di un'impresa esercitata da un altro soggetto, l'ammontare dei ricavi del periodo d'imposta precedente non deve essere superiore a euro 30.000;
a seguito dell'introduzione dei nuovi requisiti elencati sopra, molti contribuenti non avranno più diritto alla fruizione delle agevolazioni concesse dal regime già dal periodo di imposta 2012 e rientreranno automaticamente in un regime contabile semplificato (cosiddetto degli «ex minimi») che prevede sempre l'esonero dall'IRAP, ma stabilisce il calcolo dell'IRPEF con il metodo ordinario e la soggezione agli studi di settore e ai parametri di legge, mentre fino ad oggi era prevista un'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e relative addizionali del 20 per cento e l'esclusione dagli studi di settore e dai parametri;
si tratta di un elevato numero di contribuenti che, visto anche il particolare momento di crisi economica, dovranno fuoriuscire da un regime particolarmente favorevole sia in termini di riduzione del carico sia per quanto riguarda gli adempimenti fiscali,
impegna il Governo
ad assumere ogni iniziativa utile al fine di prevedere l'esonero dall'applicazione dell'IVA e degli studi di settore per coloro
che, in carenza dei nuovi requisiti di accesso alle disposizioni introdotte dall'articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 2011, sono costretti ad uscire dal regime speciale dei «contribuenti minimi».
(1-00893)
«Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri, Brugger».
La Camera,
premesso che:
la consistente accentuazione di eventi meteo-climatici, per molti aspetti anomali, aggrava costantemente la vulnerabilità del territorio del nostro Paese;
la superficie del territorio italiano a rischio idrogeologico è pari a 21.504 chilometri quadrati, di cui 13.760 per frane e 7.744 per alluvioni e rappresenta il 7,1 per cento della superficie nazionale. I comuni interessati sono 5.553, pari al 68,8 per cento del totale;
l'elevata esposizione al suddetto rischio di frane e alluvioni costituisce un problema di grande rilevanza sociale, sia per il numero di vittime che per i danni prodotti alle abitazioni, alle industrie ed alle infrastrutture;
le cause del dissesto idrogeologico sono da ricercarsi, oltre che nella fragilità territorio, anche nella modificazione radicale degli equilibri idrogeologici lungo i corsi d'acqua e nella mancanza d'interventi manutentivi da parte dell'uomo soprattutto nelle aree montane in abbandono;
l'elevata vulnerabilità del territorio annovera tra le possibili cause oltre ai fattori naturali anche e soprattutto i fattori antropici quali ad esempio l'errata pianificazione territoriale, lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, i criteri di difesa del suolo frammentari e spesso non coerenti. Non sempre, infatti, è stato seguito un modello di sviluppo compatibile con le esigenze difesa del suolo e di conseguenza le situazioni di degrado e di rischio potenziale o aumentate, ed hanno comportato negli ultimi anni un elevato impegno di spesa, da parte degli enti pubblici, per il risanamento dei danni provocati da frane e alluvioni;
le recenti calamità abbattutesi sul nostro Paese ci impongono un imperativo non più eludibile: quello di uscire dalla cultura dell'emergenza per incentivare una nuova cultura della prevenzione dei rischi ambientali;
l'avvicendarsi di calamità naturali come terremoti ed alluvioni ed il relativo stanziamento di cospicui fondi per la ricostruzione del territorio rappresentano un'emergenza, al punto che qualsiasi decisione amministrativa non scaturisce dalla diligente, corretta, sana e buona programmazione ma viene sovente trasformata in una contingenza ove poter operare ricorrendo a decreti straordinari o ad ordinanze, o come sistema per introdurre forzature negli i strumenti di programmazione nazionale;
tale approccio ha portato a considerare i corsi d'acqua semplici manifestazioni idrauliche da cui difendersi in nome della sicurezza della vita umana, come «qualcosa» che incute timore e che contribuisce alla diffusione della cosiddetta «difesa passiva del territorio», una politica, cioè, che, basandosi esclusivamente o quasi sulla ricostruzione e sulla riparazione a danno avvenuto, instaura quella logica perversa dell'intervento straordinario, mettendo, così, in secondo piano i sistemi della prevenzione;
il ricorrere di fenomeni di dissesto idrogeologico negli ultimi anni non può essere attribuito ad eventi esclusivamente naturali o solo alle intemperanze del clima ma anche e soprattutto a un modello di sfruttamento intensivo e poco programmato del territorio, primo fra tutti l'abusivismo edilizio;
occorre adottare una strategia di intervento di lungo respiro, capace di inquadrare i vari interventi in una più generale ipotesi di sistemazione idrogeologica del territorio nazionale per eliminare
le criticità esistenti, ed operare una inversione di rotta condannando con forza l'ordinarietà della pianificazione straordinaria, superando la cultura dell'emergenza permanente e modificando la politica finora adottata nella pianificazione e nella gestione dei corsi d'acqua e del territorio, contrastando qualsivoglia forma di cementificazione selvaggia, di abusivismo, di ricorso a sanatorie edilizie, e sostenendo una sorta di contaminazione di saperi, un'azione interdisciplinare in grado di coinvolgere, oltre a quelle tradizionali dell'ingegneria idraulica, le competenze di ecologia, geologia, ingegneria ambientale, architettura del paesaggio, biologia e scienze forestali;
nel quadro dei fattori che concorrono a definire la pericolosità di un'area rispetto ad eventi di dissesto idrogeologico, l'attività antropica riveste un ruolo determinante. Spesso l'incidenza umana modifica le dinamiche naturali, incrinando i delicati equilibri di un territorio ad alta fragilità, innescando, con una sorta di reazione a catena, nuovi fattori di rischio oppure incrementando la pericolosità di fenomeni di dissesto già presenti;
dal rapporto «Ecosistema Rischio 2009», indagine condotta da Legambiente e dal dipartimento per la protezione civile, emerge che complessivamente sono ancora troppe le amministrazioni comunali che tardano a implementare un efficace ed adeguata politica di prevenzione, informazione e pianificazione d'emergenza. Soltanto il 34 per cento del comuni risulta infatti svolgere un lavoro positivo di mitigazione del rischio idrogeologico, che è conseguibile soltanto attraverso una politica congiunta di previsione e prevenzione. Quasi un comune su tre non fa praticamente nulla per ridurre i rischi e prevenire i danni conseguenti ad alluvioni e frane;
sempre riguardo alla questione delle risorse finanziarie sono state sottolineate varie criticità: oltre alla loro insufficienza per coprire i costi di ripristino dei luoghi colpiti da fenomeni di dissesto idrogeologico, i criteri di ripartizione delle risorse hanno finora tenuto conto soltanto degli indici demografici e di superficie delle regioni, causando talune sproporzioni. Pertanto, occorrerebbe ancorare l'erogazione dei fondi disponibili a parametri maggiormente legati alle effettive condizioni di rischio;
con due distinte risoluzioni parlamentari, del 4 febbraio 2009 (n. 8-00030) e del 24 aprile 2009 (n. 8-00040), ben antecedenti dunque ai tragici eventi alluvionali degli ultimi anni, la Commissione VIII della Camera dei deputati ha impegnato il Governo ad incrementare i fondi della protezione civile diretti al ripristino delle condizioni di sicurezza del territorio, ad individuare adeguati stanziamenti per il fondo per l'assetto idrogeologico del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e a sostenere ed attuare un organico programma di interventi diretti principalmente alla prevenzione del rischio idrogeologico ed alla manutenzione del territorio ed in tale ambito ad individuare confacenti risorse economiche;
purtroppo, il verificarsi di fenomeni eccezionali dovuti ad avversità atmosferiche non è prevedibile né costante nel tempo: non ci sono fattori di incidenza che possono preannunciare tali fenomeni. L'unica sicurezza è che le gravi conseguenze dei fenomeni meteorologici sul territorio e soprattutto in termini di vite umane sono inscindibilmente collegate con la vulnerabilità e fragilità del nostro territorio e con la struttura idraulica e geologica del terreno;
l'emergenza sembra essere stata negli ultimi decenni e da parte dei governi che si sono avvicendati, quasi una «cultura amministrativa» ove si è persa qualsiasi iniziativa di programmazione ordinaria, fino a rappresentare la questione ordinaria dell'intero assetto territoriale del nostro suolo;
ancora oggi, non a caso, ad ogni piena, ad ogni evento alluvionale eccezionale, ricompaiono puntuali le proposte ed
i meccanismi dell'intervento straordinario delle grandi opere, al di fuori di piani e programmi adeguati che rischiano di sconfinare in un sistema di interventi disarticolati;
affrontare le calamità naturali alluvioni esclusivamente come «emergenza» significa, altresì, semplificare i problemi, restringere i tempi, facilitare la lettura delle cause ripercorrendo il più delle volte scelte ed indirizzi, ma anche errori, del passato;
il più delle volte i disastri ambientali che vedono protagonisti i fiumi italiani sono infatti la diretta conseguenza di scelte sciagurate compiute dall'uomo come l'abusivismo o l'urbanizzazione delle aree golenali. Diventa improrogabile allora che soprattutto i sindaci segnino un'inversione di tendenza verso la buona gestione del territorio, mettendo la sicurezza del cittadini tra le priorità assolute della loro amministrazione;
ben il 90 per cento dei comuni hanno nel proprio territorio abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana. Più della metà dei comuni, il 56 per cento vedono addirittura sorgere in aree a rischio fabbricati industriali. Di fronte ad una situazione tanto grave ancora oltre il 40 per cento non svolge attività di manutenzione ordinaria dei corsi d'acqua e delle opere di difesa idraulica, poco di un comune su tre ha realizzato reti di monitoraggio per l'allerta della popolazione in caso di pericolo e solo il 54 per cento è attivo nelle delocalizzazioni dei fabbricati dalle aree a rischio e nelle opere di consolidamento del versanti franosi o dei corsi d'acqua;
negli ultimi anni gli stanziamenti per la difesa del suolo da parte dello Stato sono stati costantemente ridotti. Le risorse finanziarie si sono concentrate su investimenti una tantum stanziati in occasione delle emergenze piuttosto che sulla programmazione ordinaria;
i costi delle emergenze, peraltro notevoli, possono essere ridotti solo se si interviene in via preventiva attraverso una costante manutenzione. Da un'indagine sulle esigenze manutentorie è emerso che occorre un programma poliennale di interventi che, nell'attuale situazione della finanza pubblica, potrebbe essere finanziato attraverso limiti di impegno di durata quindicennale;
la legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010), all'articolo 2, comma 240, ha destinato ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico (individuate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile) 900 milioni di euro a valere sulle disponibilità del Fondo infrastrutture, attraverso accordi di programma con le regioni;
il 20 gennaio 2012 il Cipe, con l'approvazione della delibera cosiddetta «Frane e versanti» ha sbloccato 679,7 milioni di euro per interventi contro il dissesto idrogeologico nel Mezzogiorno grazie ai quali verranno finanziati 518 interventi identificati tra il 2010 e il 2011 attraverso un processo di collaborazione tra le sette regioni del sud interessate e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Sulla cifra totale, 352 milioni sono messi a disposizione dalle Regioni sui Programmi attuativi regionali e 262 milioni attraverso i programmi attuativi interregionali. Le sette regioni del Mezzogiorno che beneficeranno degli interventi sono, oltre alla Campania, Basilicata, Calabria, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia,
impegna il Governo:
ad adottare una strategia di intervento di lungo respiro, capace di inquadrare le varie iniziative in una più generale ipotesi di sistemazione idrogeologica del territorio nazionale mirata ad eliminare le criticità esistenti, e di operare una inversione di rotta condannando con forza l'ordinarietà della pianificazione straordinaria, superando la cultura dell'emergenza
permanente, modificando la politica finora adottata nella pianificazione e nella gestione del corsi d'acqua e territorio, e contrastando qualsivoglia forma di cementificazione selvaggia, di abusivismo o di ricorso a sanatorie edilizie;
ad impedire la ulteriore manomissione di porzioni di territorio, attraverso la nuova edificazione di insediamenti residenziali e produttivi che potrebbero essere localizzati in aree a rischio, attualmente non sufficientemente tutelate e vincolate;
ad adottare un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico, che contempli le operazioni di messa in sicurezza delle zone a rischio, le delocalizzazioni degli edifici nelle aree golenali, la manutenzione del territorio ma anche e soprattutto la formazione dei cittadini verso la diffusione di una cultura della difesa del suolo come bene comune;
ad assicurare con rapidità, con riferimento specifico ai fenomeni idrogeologici, a tutto il territorio nazionale una tutela unitaria ed uniforme.
(1-00894)
«Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri, Brugger».
La Camera,
preso atto della discussione sulle mozioni concernenti l'applicabilità degli studi di settore in relazione al nuovo regime dei contribuenti minimi,
impegna il Governo
ad adottare iniziative normative per introdurre disposizioni volte a disciplinare in modo organico il trattamento tributario da riservare ai cosiddetti contribuenti minimi, al fine di assicurare agli stessi semplificazioni contabili e meccanismi forfettari di determinazione delle imposte sui redditi, dell'Irap e dell'Iva.
(1-00895)
«Forcolin, Fluvi, Borghesi, Leo, Galletti, Della Vedova, Cesario, Commercio, Paladini».
La Camera,
premesso che:
il sistema delle piccole e medie imprese costituisce il motore dell'intera economia italiana, costituendo il 99 per cento del sistema imprenditoriale, impiegando circa l'80 per cento degli addetti totali e generando quasi il 72 per cento del valore aggiunto complessivo;
è in corso un drammatico fenomeno di restrizione del credito per tutte le imprese, aggravato dal fatto che quel poco credito erogato ha raggiunto costi altissimi, soprattutto per le piccole e medie imprese; secondo recenti dati forniti di Banca d'Italia, il tasso di crescita su base annua del credito al sistema industriale è in forte rallentamento: a maggio 2011 era del 6,1 per cento, a ottobre del 5,8 per cento, a novembre del 4,9 per cento, mentre a dicembre del 3,1 per cento; ma il dato più preoccupante è che, mentre fino a novembre lo stock di credito erogato alle imprese non finanziarie era comunque aumentato, se pur ad un tasso decrescente, a dicembre, in termini assoluti, ha mostrato una contrazione di circa 20 miliardi di euro;
purtroppo il credit crunch ha radici ormai lontane: è dal 2008, infatti, data nella quale la crisi si è manifestata in tutta la sua drammaticità, che le imprese devono affrontare il tema della restrizione del credito, in una prima fase a causa «soltanto» della crisi del sistema finanziario e bancario, in un seconda fase a causa anche del rallentamento dell'economia reale;
dallo scorso autunno la crisi dei debiti sovrani ha ulteriormente penalizzato il sistema bancario, indebolendone la capacità di raccolta e la posizione finanziaria e gli interventi delle autorità bancarie europee hanno definitivamente messo in ginocchio tutto il sistema, rendendo difficile ottenere prestiti dalle banche, ad un prezzo, oltretutto, altissimo: lo spread sull'Euribor a tre mesi pagato dalle imprese nel 2007 era pari allo 0,6 per
cento, mentre a fine 2011 ha raggiunto il 2,75 per cento; addirittura le piccole e medie imprese pagano un differenziale pari a 3,6 punti; il costo complessivo delle nuove operazioni può quindi raggiungere il 3,8 per cento per le grandi e il 5 per cento per le piccole imprese;
la restrizione del credito al sistema produttivo comporta, quindi, l'aumento dei margini di interesse, la richiesta di sempre maggiori garanzie reali da parte delle banche, l'accorciamento della durata dei finanziamenti;
la genesi della pesante crisi economico-finanziaria aveva aperto la discussione sulla patrimonializzazione degli istituti di credito e sugli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono; il crac di Lehman Brothers di quattro anni fa ha fatto drammaticamente emergere l'abuso della leva finanziaria da parte degli istituti di credito e il problema della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
il Comitato dei governatori delle banche centrali europee ha riscritto l'accordo cosiddetto «Basilea 2» per arrivare al «Basilea 3», che mira a rafforzare il patrimonio delle banche, al fine di dare stabilità al sistema finanziario per scongiurare il pericolo di nuove catastrofi finanziarie; il prezzo da pagare però è un ulteriore rallentamento dell'economia: già il comitato di Basilea ed il Fondo monetario avevano stimato che ad ogni punto in più di capitale richiesto corrisponde una riduzione media del PIL pari allo 0,04 per cento;
successivamente agli accordi di Basilea 3, l'EBA - European banking authority, nell'autunno 2011, ha imposto requisiti patrimoniali più stringenti per le banche, accrescendone le difficoltà e accelerando il processo di riduzione del proprio indebitamento a seguito della necessità di una forte ricapitalizzazione; l'effetto è stato generalizzato in tutta l'Unione europea, ma in Italia lo è stato ancora di più a causa dell'introduzione dei nuovi criteri per il calcolo dei requisiti patrimoniali che prevedono la valutazione a prezzi di mercato dei titoli del debito pubblico, superando le disposizioni precedenti che prevedevano la contabilizzazione dei titoli iscritti nel portafoglio bancario al valore di acquisto; il risultato è una pesante crisi di fiducia verso le banche e una forte crisi di liquidità che sta penalizzando in particolare le piccole e medie imprese;
per le piccole e medie imprese il credito bancario rappresenta la principale fonte di finanziamento e Prometeia stima che siano 25.000 le piccole e medie imprese a rischio chiusura proprio per le difficoltà a reperire finanziamenti bancari e per la congiuntura economica negativa;
la revisione dei requisiti patrimoniali di Basilea 3 ed EBA sta portando ad un aumento del capitale di vigilanza delle banche pari al 31,25 per cento, con una distribuzione su tutti le posizioni attive bancarie e quindi anche sui portafogli crediti erogati alle piccole e medie imprese; secondo Confindustria, però, i portafogli crediti delle piccole e medie imprese risultano sicuramente meno rischiosi rispetto a quelli delle grandi imprese, grazie alla minore correlazione, dimostrata da analisi empiriche, tra gli attivi delle piccole e medie imprese e l'andamento economico generale; sarebbe perciò opportuno introdurre meccanismi correttivi, tali da permettere un trattamento prudenziale da parte delle banche meno stringente per le piccole e medie imprese; tali correttivi consentirebbero alle banche di accantonare meno capitale a fronte dei crediti erogati alle piccole e medie imprese in modo da recuperare liquidità, limitando gli effetti restrittivi nell'erogazione del credito alle piccole e medie imprese stesse; la proposta di Confindustria, condivisa dalle altre organizzazioni imprenditoriali europee, ha portato la Commissione europea ed EBA a prendere in considerazione l'introduzione di alcuni meccanismi correttivi, impegnandosi a monitorare gli effetti dell'applicazione dell'accordo di Basilea 3 sulle piccole e medie imprese;
in questa fase economica, al fine di limitare la prociclicità di Basilea 3, è
necessario vigilare sul livello di credito erogato alle imprese, intervenendo a livello europeo per armonizzare i criteri ed i modelli di valutazione dei rischi, oggi molto diversi tra loro; tali differenze provocano distorsioni della concorrenza tra banche di diversi Paesi e rischiano di vanificare il raggiungimento dell'obiettivo della stabilità del sistema finanziario e, conseguentemente, del sistema industriale; tali criteri penalizzano decisamente gli istituti di credito italiani più concentrati sulle attività tradizionali, che però a livello europeo vengono considerate ad alto assorbimento di capitale;
in Italia, poi, il tema della corretta valutazione del merito del credito verso le imprese ha assunto assoluta importanza; si assiste ad una valutazione sempre più rigida del rating aziendale a scapito della valutazione degli elementi più qualitativi che possono qualificare in positivo l'attività imprenditoriale: affidabilità del management, contratti, organizzazione aziendale sono alcuni degli elementi che le nostre banche potrebbero considerare nell'analisi complessiva dell'affidabilità aziendale;
non secondario è il tema dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni: attanagliati dalle morse del patto di stabilità, i tempi dei pagamenti delle forniture degli enti locali, delle aziende sanitarie, delle aziende ospedaliere si sono allungati all'inverosimile, appesantendo la posizione finanziaria delle piccole e medie imprese; molte sono le imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico e se fino a quindici anni fa lavorare per il pubblico era per un'azienda garanzia di affidabilità e solvibilità, oggi è sinonimo di difficoltà finanziaria e di alta esposizione bancaria; una delle proposte della Lega Nord è quella di favorire la compensazione tra debiti e crediti tra le piccole e medie imprese e pubblica amministrazione, includendo non solo quelli commerciali, ma anche e soprattutto quelli tributari; la crisi sta evidenziando molte situazioni nelle quali l'imprenditore non riesce a pagare le imposte, pur avendo presentato nei tempi e nei modi previsti le dichiarazioni fiscali; la compensazione di questi debiti costituirebbe sicuramente una boccata di ossigeno per tutte le piccole e medie imprese; l'alternativa sarebbe quella di garantire una rateazione del debito tributario più lunga e flessibile ad un costo ragionevole per il debitore, in modo da contemperare le esigenze dell'erario, ma anche quelle dell'imprenditore;
è ormai indispensabile un decisivo intervento dello Stato nei confronti del nostro sistema bancario che sappia limitare il fenomeno del credit crunch, introducendo innovativi sistemi di garanzia degli affidamenti, o, addirittura, incentivi fiscali per le banche che sappiano mettere a disposizione delle piccole e medie imprese in tempi certi e rapidi linee di credito agevolato,
impegna il Governo:
ad intervenire a livello europeo chiedendo l'attuazione rapida dei correttivi chiesti dalle organizzazioni imprenditoriali alla regolamentazione relativa ai requisiti prudenziali per le banche, al fine di riservare un trattamento meno stringente per le piccole e medie imprese, che possa consentire alle banche di recuperare liquidità da utilizzare per erogare crediti alle piccole e medie imprese stesse;
ad intervenire a livello europeo per rendere omogenei i criteri e le metodologie per ponderare i rischi degli attivi bancari, in modo da garantire effettiva concorrenza tra le banche dei differenti Paesi e da non penalizzare l'attività delle banche italiane, sicuramente meno rischiosa, ma considerata ad alto assorbimento di capitale;
ad intervenire rapidamente, nell'ambito delle proprie competenze, per ridurre significativamente i tempi dei pagamenti dello Stato, degli enti locali e delle aziende pubbliche: posto che gli attuali tempi,
dettati dai vincoli di bilancio europei, non sono più sostenibili per le piccole e medie imprese e soprattutto per le piccole e medie imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico, favorendo linee di credito a basso costo per quelle imprese che vantano crediti verso la pubblica amministrazione garantiti direttamente dallo Stato con l'emissione di titoli di Stato o con le proprie riserve auree ciò sino all'effettivo incasso delle somme stesse permettendo così ai piccoli e medi imprenditori di poter continuare a sviluppare la propria attività e a pagare lo stipendio dei propri dipendenti, favorendo così un circolo virtuoso nell'economia;
ad assumere iniziative normative per prevedere degli sgravi fiscali per quegli istituti di credito che si impegnino a garantire linee di credito agevolato alle imprese di piccole dimensione in tempi rapidi;
ad aiutare le piccole e medie imprese nell'assolvimento dei propri debiti tributari e contributivi, introducendo rateazioni più lunghe e più flessibili;
ad aiutare il sistema creditizio, tramite il rafforzamento dei sistemi di garanzia, a cambiare l'approccio troppo prudente verso le piccole e medie imprese, considerato che l'eccessiva prudenza nell'erogazione del credito rischia di impedire alle imprese di continuare ad operare, con conseguenze drammatiche per l'intero sistema economico.
(1-00896)
«Montagnoli, Dozzo, Fugatti, Forcolin, Comaroli, Fogliato, Lussana, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».
NUOVA FORMULAZIONE
La Camera,
premesso che:
il sistema delle piccole e medie imprese costituisce il motore dell'intera economia italiana, costituendo il 99 per cento del sistema imprenditoriale, impiegando circa l'80 per cento degli addetti totali e generando quasi il 72 per cento del valore aggiunto complessivo;
è in corso un drammatico fenomeno di restrizione del credito per tutte le imprese, aggravato dal fatto che quel poco credito erogato ha raggiunto costi altissimi, soprattutto per le piccole e medie imprese; secondo recenti dati forniti dalla Banca d'Italia, il tasso di crescita su base annua del credito al sistema industriale è in forte rallentamento: a maggio 2011 era del 6,1 per cento, a ottobre 2011 del 5,8 per cento, a novembre 2011 del 4,9 per cento, mentre a dicembre 2011 del 3,1 per cento; ma il dato più preoccupante è che, mentre fino a novembre 2011 lo stock di credito erogato alle imprese non finanziarie era comunque aumentato, se pur ad un tasso decrescente, a dicembre 2011, in termini assoluti, ha mostrato una contrazione di circa 20 miliardi di euro; anche per il primo quadrimestre 2012 la situazione è drammatica: da un sondaggio su 130.000 imprese associate ad Unimpresa, risulta che i finanziamenti degli istituti di credito alle aziende siano diminuiti del 50 per cento rispetto al 2011; la stretta è diffusa in tutti i settori industriali, con alcuni picchi in quello dell'edilizia e del commercio; nonostante l'immissione di liquidità nel sistema bancario e il fatto che la Banca d'Italia affermi che l'afflusso di finanziamenti sia cresciuto nel 2012, le piccole imprese continuano a soffrire di mancanza di credito;
purtroppo, il credit crunch ha radici ormai lontane: è dal 2008, infatti, data nella quale la crisi si è manifestata in tutta la sua drammaticità, che le imprese devono affrontare il tema della restrizione del credito, in una prima fase a causa «soltanto» della crisi del sistema finanziario e bancario, in una seconda fase a causa anche del rallentamento dell'economia reale;
dall'autunno 2011 la crisi dei debiti sovrani ha ulteriormente penalizzato il sistema bancario, indebolendone la capacità di raccolta e la posizione finanziaria, e gli interventi delle autorità bancarie europee hanno definitivamente messo in ginocchio tutto il sistema, rendendo difficile ottenere prestiti dalle banche, ad un prezzo, oltretutto, altissimo: lo spread sull'euribor a tre mesi pagato dalle imprese nel 2007 era pari allo 0,6 per cento, mentre a fine 2011 ha raggiunto il 2,75 per cento; addirittura, le piccole e medie imprese pagano un differenziale pari a 3,6 punti; il costo complessivo delle nuove operazioni può, quindi, raggiungere il 3,8 per cento per le grandi e il 5 per cento per le piccole imprese;
la restrizione del credito al sistema produttivo comporta, quindi, l'aumento dei margini di interesse, la richiesta di sempre maggiori garanzie reali da parte delle banche, l'accorciamento della durata dei finanziamenti;
la genesi della pesante crisi economico-finanziaria aveva aperto la discussione sulla patrimonializzazione degli istituti di credito e sugli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono; il crac di Lehman brothers di quattro anni fa ha fatto drammaticamente emergere l'abuso della leva finanziaria da parte degli istituti di credito e il problema della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
il Comitato dei governatori delle banche centrali europee ha riscritto l'accordo cosiddetto Basilea 2 per arrivare al «Basilea 3», che mira a rafforzare il patrimonio delle banche, al fine di dare stabilità al sistema finanziario per scongiurare il pericolo di nuove catastrofi finanziarie; il prezzo da pagare, però, è un ulteriore rallentamento dell'economia: già il comitato di Basilea ed il Fondo monetario internazionale avevano stimato che ad ogni punto in più di capitale richiesto corrisponde una riduzione media del prodotto interno lordo pari allo 0,04 per cento;
successivamente agli accordi di «Basilea 3», l'Eba-European banking authority, nell'autunno 2011, ha imposto requisiti patrimoniali più stringenti per le banche, accrescendone le difficoltà e accelerando il processo di riduzione del proprio indebitamento a seguito della necessità di una forte ricapitalizzazione; l'effetto è stato generalizzato in tutta l'Unione europea, ma in Italia lo è stato ancora di più a causa dell'introduzione dei nuovi criteri per il calcolo dei requisiti patrimoniali che prevedono la valutazione a prezzi di mercato dei titoli del debito pubblico, superando le disposizioni precedenti che prevedevano la contabilizzazione dei titoli iscritti nel portafoglio bancario al valore di acquisto; il risultato è una pesante crisi di fiducia verso le banche e una forte crisi di liquidità che sta penalizzando, in particolare, le piccole e medie imprese;
per le piccole e medie imprese il credito bancario rappresenta la principale fonte di finanziamento e Prometeia stima che siano 25.000 le piccole e medie imprese a rischio chiusura proprio per le difficoltà a reperire finanziamenti bancari e per la congiuntura economica negativa;
la revisione dei requisiti patrimoniali di «Basilea 3» ed Eba sta portando ad un aumento del capitale di vigilanza delle banche pari al 31,25 per cento, con una distribuzione su tutte le posizioni attive bancarie e, quindi, anche sui portafogli crediti erogati alle piccole e medie imprese; secondo Confindustria, però, i portafogli crediti delle piccole e medie imprese risultano sicuramente meno rischiosi rispetto a quelli delle grandi imprese, grazie alla minore correlazione, dimostrata da analisi empiriche, tra gli attivi delle piccole e medie imprese e l'andamento economico generale; sarebbe, perciò, opportuno introdurre meccanismi correttivi, tali da permettere un trattamento prudenziale da parte delle banche meno stringente per le piccole e medie imprese; tali correttivi consentirebbero alle banche di accantonare meno capitale a fronte dei crediti erogati alle piccole e medie imprese in modo da recuperare liquidità, limitando gli effetti restrittivi nell'erogazione del credito alle piccole e medie imprese stesse; la proposta di Confindustria, condivisa dalle altre organizzazioni imprenditoriali europee, ha portato la Commissione europea ed Eba a prendere in considerazione l'introduzione di alcuni meccanismi correttivi, impegnandosi a monitorare gli effetti dell'applicazione dell'accordo di «Basilea 3» sulle piccole e medie imprese;
in questa fase economica, al fine di limitare la prociclicità di «Basilea 3», è necessario vigilare sul livello di credito erogato alle imprese, intervenendo a livello europeo per armonizzare i criteri ed i modelli di valutazione dei rischi, oggi molto diversi tra loro; tali differenze provocano distorsioni della concorrenza tra banche di diversi Paesi e rischiano di vanificare il raggiungimento dell'obiettivo della stabilità del sistema finanziario e, conseguentemente, del sistema industriale; tali criteri penalizzano decisamente gli istituti di credito italiani più concentrati sulle attività tradizionali, che, però, a livello europeo vengono considerate ad alto assorbimento di capitale;
in Italia, poi, il tema della corretta valutazione del merito del credito verso le imprese ha assunto assoluta importanza; si assiste ad una valutazione sempre più rigida del rating aziendale a scapito della valutazione degli elementi più qualitativi che possono qualificare in positivo l'attività imprenditoriale: affidabilità del management, contratti, organizzazione aziendale sono alcuni degli elementi che le nostre banche potrebbero considerare nell'analisi complessiva dell'affidabilità aziendale;
non secondario è il tema dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni: attanagliati dalle morse del patto di stabilità, i tempi dei pagamenti delle forniture degli enti locali, delle aziende sanitarie, delle aziende ospedaliere si sono allungati all'inverosimile, appesantendo la posizione finanziaria delle piccole e medie imprese; molte sono le imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico e se fino a quindici anni fa lavorare per il pubblico era per un'azienda garanzia di affidabilità e solvibilità, oggi è sinonimo di difficoltà finanziaria e di alta esposizione bancaria; una delle proposte della Lega Nord è quella di favorire la compensazione tra debiti e crediti tra le piccole e medie imprese e pubblica amministrazione, includendo non solo quelli commerciali, ma anche e soprattutto quelli tributari; la crisi sta evidenziando molte situazioni nelle quali l'imprenditore non riesce a pagare le imposte, pur avendo presentato nei tempi e nei modi previsti le dichiarazioni fiscali; la compensazione di questi debiti costituirebbe sicuramente una boccata di ossigeno per tutte le piccole e medie imprese; l'alternativa sarebbe quella di garantire una rateazione del debito tributario più lunga e flessibile ad un costo ragionevole per il debitore, in modo da contemperare le esigenze dell'erario con quelle dell'imprenditore;
l'annosa questione dei ritardi dei pagamenti alle imprese è stata affrontata nel Consiglio dei ministri del 22 maggio 2012, nel quale sono stati adottati quattro decreti che consentirebbero di sbloccare i crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione. In particolare, due decreti interessano la certificazione dei crediti scaduti nei confronti di amministrazioni statali, enti locali, regioni ed enti del servizio sanitario nazionale; un terzo riguarda la compensazione dei crediti con i debiti verso il fisco iscritti a ruolo alla data del 30 aprile 2012; l'ultimo decreto agisce sul fondo centrale di garanzia per agevolare le imprese che intendono cedere i propri crediti presso intermediari finanziari riconosciuti;
a completamento delle suddette misure, si aggiunge la firma di un accordo tra l'Associazione bancaria italiana e le associazioni imprenditoriali, che istituisce un plafond del valore iniziale di 10 miliardi di euro, riservato allo smobilizzo dei crediti verso lo Stato;
sono circa centocinquantamila le aziende italiane che lavorano con il settore pubblico per un debito totale, da parte di quest'ultimo, che ammonta a circa 70 miliardi di euro e, sulla base di quanto si apprende dalla stampa, già dalla fine del 2012 dovrebbero essere sbloccati debiti per una cifra compresa tra i 20 e i 30 miliardi di euro, attraverso un meccanismo che, tramite certificazione da parte della pubblica amministrazione, consentirà alle imprese di recarsi in banca per farsi anticipare o cedere i crediti scaduti ed ottenere così la liquidità necessaria per il prosieguo dell'attività;
circa due terzi del debito nei confronti delle imprese appartiene agli enti pubblici ed è per tale ragione che uno dei due decreti sulla certificazione dei crediti necessita del parere della Conferenza Stato-regioni, la quale non si è ancora espressa. Attualmente, nessuno dei quattro decreti adottati dal Governo è in vigore e quello che rappresenta un provvedimento necessario ed urgente per la crescita delle imprese rischia di rimanere soltanto l'ennesimo annuncio mediatico di questo Governo;
è ormai indispensabile un decisivo intervento dello Stato nei confronti del sistema bancario italiano che sappia limitare il fenomeno del credit crunch, introducendo innovativi sistemi di garanzia degli affidamenti,
impegna il Governo:
ad intervenire a livello europeo chiedendo l'attuazione rapida dei correttivi chiesti dalle organizzazioni imprenditoriali alla regolamentazione relativa ai requisiti prudenziali per le banche, al fine di riservare un trattamento meno stringente per le piccole e medie imprese, che possa consentire alle banche di recuperare liquidità da utilizzare per erogare crediti alle piccole e medie imprese stesse, e ad assumere iniziative affinché siano resi omogenei i criteri e le metodologie per ponderare i rischi degli attivi bancari, in modo da garantire effettiva concorrenza tra le banche dei differenti Paesi e da non penalizzare l'attività delle banche italiane, sicuramente meno rischiosa, ma considerata ad alto assorbimento di capitale;
ad aiutare il sistema creditizio, tramite il rafforzamento dei sistemi di garanzia, a cambiare l'approccio troppo prudente verso le piccole e medie imprese, considerato che l'eccessiva prudenza nell'erogazione del credito rischia di impedire alle imprese di continuare ad operare, con conseguenze drammatiche per l'intero sistema economico;
ad intervenire rapidamente, nell'ambito delle proprie competenze, per ridurre significativamente i tempi dei pagamenti dello Stato, degli enti locali e delle aziende pubbliche, attivandosi anche a livello europeo per allentare i vincoli del patto di stabilità, posto che gli attuali tempi di pagamento non sono più sostenibili per le piccole e medie imprese e, soprattutto, per le piccole e medie imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico e che è necessario favorire linee di credito a basso costo per le imprese che vantano crediti verso la pubblica amministrazione, garantiti direttamente dallo Stato con l'emissione di titoli di Stato o con le proprie riserve auree, ciò sino all'effettivo incasso delle somme stesse, permettendo così ai piccoli e medi imprenditori di poter continuare a sviluppare la propria attività e a pagare lo stipendio dei propri dipendenti, favorendo così un circolo virtuoso nell'economia;
ad aiutare le piccole e medie imprese nell'assolvimento dei propri debiti tributari e contributivi, introducendo rateazioni più lunghe e più flessibili;
ad adottare le opportune iniziative affinché vengano resi immediatamente operativi i decreti ministeriali per la disciplina dei rapporti di credito e debito tra pubblica amministrazione ed imprese fornitrici, garantendo a queste ultime la liquidità necessaria da poter investire nella crescita e nello sviluppo.
(1-00896) (Nuova formulazione) «Montagnoli, Dozzo, Fugatti, Forcolin, Comaroli, Fogliato, Lussana, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».
Risoluzione in Commissione:
La III Commissione,
premesso che:
il Parlamento non è riuscito in quindici anni a concretizzare il necessario rinnovamento legislativo della legge in vigore dal 1987 riguardante la cooperazione allo sviluppo, sebbene si fosse giunti, nel corso di un'indagine conoscitiva della XV legislatura, alla stesura di un testo unico piuttosto condiviso;
la legge n. 49 del 1987, ha finora rispecchiato un mondo sostanzialmente bipolare, con chiare aree di influenza, un'economia saldamente in mano all'Occidente, l'interdipendenza economica, i problemi ambientali, la globalizzazione guardata come un'ipotesi, l'emigrazione dai Paesi terzi verso l'Italia;
con la recente formazione di un nuovo Governo la novità più significativa è stata l'istituzione di uno specifico Ministero per la cooperazione internazionale e l'integrazione; la presenza anche in Italia di un Ministro a ciò preposto è stata vista da molti osservatori e Organizzazioni non governative come una grande opportunità per ricostruire la credibilità internazionale anche con una decisa politica pubblica di cooperazione in termini quantitativi e qualitativi e un'azione decisa di riforma della materia;
a tal proposito va ricordato che la metà dei Paesi Ocse hanno, appunto, un Ministero esclusivamente dedicato a tale scopo ben consapevoli dei vantaggi prodotti da solidi rapporti di cooperazione tra Governi e tra società civili e della loro importanza per la stabilità e la pace;
l'ultimo quadriennio, infatti, ha dato il colpo di grazia alla cooperazione
gestita dal Ministero degli affari esteri, con una decurtazione dell'88 per cento: dai 732 milioni di euro del 2008 si è passati agli 86 milioni per il 2012, con conseguente drastica riduzione degli interventi, inadempienze, chiusura di unità territoriali di cooperazione, tagli ai finanziamenti alle organizzazioni internazionali, ritardi inaccettabili nei pagamenti, perdita di credibilità internazionale;
non è oltremodo ragionevole ostinarsi a mantenere tale legge in un mondo radicalmente mutato,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per escludere gli stanziamenti della legge n. 49 del 1987, dalle riduzioni automatiche ai bilanci dei Ministeri, come già avvieneper il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, o dalle coperture per coprire le riduzioni del Ministero degli affari esteri;
a far sì che una parte dei risparmi della spending review e della riduzione dei costi dello strumento militare possa garantire risorse per la legge n. 49 del 1987;
a presentare entro la fine del 2012 un piano per il graduale riallineamento dell'aiuto pubblico allo sviluppo italiano ai livelli dell'Unione europea, con coperture indicate;
ad assumere iniziative volte ad assicurare un significativo aumento delle disponibilità a favore della cooperazione nel 2013 e il reperimento dei fondi necessari per continuare a pagare i debiti verso i fondi di sviluppo;
a garantire la coerenza delle politiche di relazioni esterne con gli obiettivi di cooperazione allo sviluppo, coordinando efficacemente l'attività di tutti i Ministeri coinvolti.
(7-00796) «Evangelisti».