XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 27 febbraio 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
i commi da 96 a 117 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 2007 avevano introdotto un regime fiscale semplificato per i contribuenti cosiddetti minimi, i cui tratti peculiari erano, sinteticamente, l'esclusione dei contribuenti minimi dalla soggettività passiva ai fini dell'Irap, l'applicazione - anche per le imprese - del criterio di cassa ai fini della determinazione del reddito, l'assoggettamento del reddito ad imposta sostitutiva del 20 per cento, l'estensione dell'ambito applicativo del regime di franchigia dell'iva di cui all'articolo 32-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, l'esclusione dell'applicazione degli studi di settore e la riduzione degli adempimenti contabili;
l'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha introdotto un regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali o professionali, stabilendo che, a decorrere dal 1o gennaio 2012, il regime fiscale semplificato per i cosiddetti contribuenti minimi si applichi, per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un'attività d'impresa, arte o professione o che l'abbiano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007;
pertanto, la platea dei beneficiari del cosiddetto «forfettone» è stata ridotta a coloro i quali hanno iniziato l'attività negli ultimi tre anni e mezzo o la iniziano adesso con l'applicazione di un'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali pari al 5 per cento (in luogo del 20 per cento);
il suddetto regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile si applica anche oltre il quarto periodo d'imposta successivo a quello di inizio dell'attività, ma non oltre il periodo d'imposta di compimento del trentacinquesimo anno d'età;
la disposizione, emanata con l'obiettivo di favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani o di coloro che perdono il posto di lavoro e, inoltre, per favorire la costituzione di nuove imprese, comporta, secondo quanto affermato dalla relazione tecnica, un maggior gettito di 82,8 milioni di euro nel 2013 e di 100 milioni di euro dal 2014 determinato dall'esclusione dal regime agevolato del 96 per cento dei precedenti beneficiari, i quali dovranno fuoriuscire da un regime di particolare favore in termini di riduzione del carico e di adempimenti fiscali;
si tratta di una platea ampia di soggetti (circa 500.000 contribuenti) che dal 2012 dovrà assolvere gli adempimenti relativi all'iva, all'imposizione irpef con le aliquote progressive e alla compilazione dell'allegato sugli studi di settore;
in un momento di particolare difficoltà congiunturale, l'implicita decisione di eliminare il precedente regime speciale dei contribuenti minimi rischia di scoraggiare le attività marginali e, persino, di determinarne la chiusura,


impegna il Governo:


ad assumere iniziative normative volte ad ampliare la platea dei beneficiari del regime speciale per i contribuenti minimi, in modo da:
a) continuare ad esonerare questi soggetti dall'applicazione dell'iva e degli studi di settore;
b) reintrodurre un'imposta sostitutiva dell'irpef e delle addizionali, in linea con la prima aliquota dell'irpef;
c) prevedere l'indicazione in dichiarazione di informazioni di struttura d'impresa

minime, per evitare di fare entrare nel regime soggetti non propriamente marginali.
(1-00882)
«Fluvi, Fogliardi, Albini, Carella, Causi, D'Antoni, Graziano, Marchignoli, Piccolo, Pizzetti, Sposetti, Strizzolo, Vaccaro, Verini».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 27 del decreto legge n. 98 del 2011, emanato dal Governo Berlusconi ed approvato dalle Camere con il voto decisivo dei gruppi del Popolo della Libertà e della Lega Nord, prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2012, il regime fiscale semplificato per i cosiddetti contribuenti minimi si applica, per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un'attività d'impresa, arte o professione o che l'abbiano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007. Pertanto, la platea dei beneficiari del cosiddetto «forfettone» (una tassazione forfettaria del 20 per cento per i titolari di partite iva e per i lavoratori autonomi che a fine anno incassano meno di 30 mila euro) è stata ridotta a coloro i quali hanno iniziato l'attività negli ultimi tre anni e mezzo o vorranno iniziarla adesso. Nello stesso tempo, per questi ultimi il beneficio è aumentato: a decorrere dal 1o gennaio 2012, l'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali viene ridotta al 5 per cento (in luogo del 20 per cento);
si affermò da parte del Governo Berlusconi che la disposizione veniva emanata con l'obiettivo di favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani o di coloro che perdono il posto di lavoro e, inoltre, per favorire la costituzione di nuove imprese;
i commi da 96 a 117 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 2007 fatta approvare dal Governo Prodi avevano introdotto un regime fiscale semplificato per i contribuenti cosiddetti minimi (il cosidetto «forfettone»). Il regime semplificato operava - per tali contribuenti - come un regime naturale, con la facoltà di optare per l'applicazione dell'iva e delle imposte sul reddito nei modi ordinari;
i tratti peculiari del «forfettone» erano i seguenti: a) l'esclusione dei contribuenti minimi dalla soggettività passiva ai fini Irap; b) l'applicazione - anche per le imprese - del criterio di cassa ai fini della determinazione del reddito; c) l'assoggettamento del reddito ad imposta sostitutiva del 20 per cento; d) l'estensione dell'ambito applicativo del regime di franchigia dell'iva di cui all'articolo 32-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto); e) l'esclusione dell'applicazione degli studi di settore; f) la riduzione degli adempimenti contabili;
ai sensi dei commi da 96 a 117 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 2007, si consideravano contribuenti minimi, ed erano pertanto assoggettati al regime previsto dalle disposizioni dei commi fino al 117, le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni che, al contempo:
a) nell'anno solare precedente: 1) avessero conseguito ricavi ovvero percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 30.000 euro; 2) non avessero effettuato cessioni all'esportazione; 3) non avessero sostenuto spese per lavoratori dipendenti o collaboratori;
b) nel triennio solare precedente non avessero effettuato acquisti di beni strumentali, anche mediante contratti di appalto e di locazione, pure finanziaria, per un ammontare complessivo superiore a 15.000 euro;
i soggetti, che per effetto delle disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, fuoriescono dal regime dei contribuenti minimi, sono in ogni caso esentati dall'irap ed esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta

delle scritture contabili, rilevanti ai fini delle imposte dirette e dell'iva, nonché dalle liquidazioni e dai versamenti periodici rilevanti ai fini dell'iva (comma 3 dell'articolo 27 citato);
il comma 4 dell'articolo 27 citato stabilisce che, per i soggetti esclusi dal regime dei contribuenti minimi, l'applicazione della disciplina prevista dal comma 3 cessa dall'anno successivo a quello in cui viene meno una della condizioni richieste dalla norma per la qualifica di contribuente minimo (sopra richiamate), ovvero si verifica una delle fattispecie indicate al comma 99 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2008;
il Governo Berlusconi aveva calcolato (si veda la relativa relazione tecnica) che solo il 4 per cento dei soggetti avrebbe potuto continuare ad applicare il regime in oggetto, mentre il complementare 96 per cento ne sarebbe rimasto escluso. Suscita perplessità, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, il fatto che la stessa maggioranza che sostenne la soppressione del cosidetto forfettone non abbia adeguatamente valutato, al momento dell'approvazione dell'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, le conseguenze esplicitate dalla stessa relazione tecnica allegata dal Governo Berlusconi a tale provvedimento;
l'Italia dei Valori, in più occasioni, ha proposto il mantenimento del regime del cosidetto «forfettone» e l'innalzamento del tetto dei ricavi o dei compensi percepiti per la sua applicazione oltre il valore di 30.000 euro;
nel frattempo, sono state approvate le disposizioni di cui all'articolo 11 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che obbligano gli operatori finanziari a comunicazioni periodiche all'amministrazione finanziaria dei flussi dei conti dei loro clienti;
la Camera dei Deputati, nella seduta del 7 febbraio 2012, ha approvato la mozione Donadi n. 1-00826, con la quale si impegna il Governo a fare un'ulteriore passo in avanti nel contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale rendendo obbligatoria - anche in riferimento a quanto previsto dall'articolo 11 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 - «la verifica annuale, con le tecnologie informatiche, di tutti i codici fiscali in relazione ad indici noti e trasparenti di "incoerenza" tra indicatori di consumi, investimenti e risparmi rispetto ai redditi dichiarati, anche a livello di nucleo familiare, e procedere alla determinazione degli imponibili evasi sulla base dei saldi tra redditi dichiarati e spese ed investimenti reali e finanziari a qualsiasi titolo effettuati»;
una volta introdotto il meccanismo di accertamento generalizzato sopra descritto, che prevede l'utilizzazione congiunta e coordinata di tutte le banche dati, agli studi di settore non dovrebbe essere assegnato un ruolo prevalente rispetto agli elementi di prova ricavabili dalle altre banche dati o acquistabili attraverso indagini;
gli studi di settore dovrebbero essere comunque elaborati secondo criteri scientificamente inappuntabili e sottratti a manipolazioni strumentali. Le procedure di elaborazione degli studi dovrebbero essere validate da apposite commissioni esterne (e indipendenti) di monitoraggio (anche dei risultati) secondo i suggerimenti forniti dalla commissione cosiddetta «Rey» (la Commissione tecnica per lo studio e l'approfondimento per le problematiche di tipo giuridico ed economico inerenti alla materia degli studi di settore),


impegna il Governo:


a dare attuazione con tempestività agli impegni definiti dalle mozioni sul contrasto all'evasione ed all'elusione fiscali approvate il 7 febbraio 2012 dalla Camera dei deputati e, in particolare, all'impegno di rendere operativa la verifica annuale di tutti i codici fiscali con le tecnologie informatiche;

a prendere le opportune iniziative, anche normative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di escludere dall'applicazione degli studi di settore i contribuenti la cui attività poco si presta ad essere descritta mediante le tecniche statistiche utilizzate, quali molti professionisti, i titolari di partite iva che nascondono rapporti che sono sostanzialmente di lavoro dipendente, i monomandatari;
a valutare l'opportunità, tenendo anche conto della particolare difficoltà dell'attuale congiuntura economica, di assumere iniziative normative dirette a ripristinare il regime speciale per i contribuenti minimi di cui i commi da 96 a 117 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 2007.
(1-00883)
«Borghesi, Donadi, Barbato, Messina, Paladini».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, recante disposizioni in materia di stabilizzazione finanziaria, ha modificato il regime fiscale semplificato per i cosiddetti contribuenti minimi al fine di favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani o di coloro che perdono il posto di lavoro;
le nuove disposizioni normative recate dall'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, aumentano il vantaggio fiscale per il cosiddetto regime dei minimi, a fronte dell'introduzione di ulteriori vincoli per la sua adozione;
il «regime dei minimi» si applica, per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un'attività di impresa, arte o professione o che l'abbiano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007;
per effetto della mutata disciplina, la platea dei contribuenti minimi è ridotta a coloro i quali hanno iniziato l'attività negli ultimi quattro anni o vorranno iniziarla adesso;
è previsto che la permanenza nel suddetto regime fiscale agevolato è possibile anche oltre il quarto periodo d'imposta successivo a quello di inizio attività, ma non oltre il periodo d'imposta di compimento del trentacinquesimo anno d'età;
per i soggetti che hanno iniziato l'attività nel 2011 l'applicazione del regime dei minimi non potrà eccedere il periodo d'imposta in corso al 2015 (fermo rimanendo il limite dei trentacinque anni d'età);
per effetto della mutata disciplina aumentano i vantaggi fiscali e le semplificazioni per i contribuenti minimi, in quanto:
a) l'aliquota dell'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi si riduce al 5 per cento (in luogo del 20 per cento);
b) l'adesione al regime dei contribuenti minimi comporta l'esonero dagli obblighi di liquidazione e versamento dell'iva e da tutti gli altri obblighi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, quali:
1) registrazione fatture emesse, registrazione dei corrispettivi e degli acquisti;
2) tenuta e conservazione dei registri e documenti (con eccezione delle fatture di acquisto e le bollette doganali di importazione);
3) dichiarazione e comunicazione annuale;
4) compilazione e invio elenchi clienti fornitori;
c) è previsto, anche ai fini delle imposte dirette, l'esonero dell'obbligo di registrazione e tenuta delle scritture contabili;

d) i contribuenti minimi non sono soggetti né agli studi di settore, né ai parametri; quindi, sono esonerati dalla compilazione del modello e dalla comunicazione dei dati rilevanti per gli studi di settore;
e) i contribuenti minimi sono esonerati dall'irap;
l'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, prevede, ai commi 3-5, che i soggetti, i quali, pur avendo i requisiti per l'accesso al regime dei minimi ex articolo 1, commi 96-117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (cosiddetto forfettone), non rientrano nel regime come modificato dallo stesso articolo 27, possono beneficiare di alcune semplificazioni quali:
a) l'esonero dalla tenuta della contabilità;
b) il versamento dell'iva in un'unica soluzione;
la cessazione del regime dei minimi avviene dall'anno successivo a quello in cui viene meno anche una sola delle condizioni richieste e si realizza una delle condizioni di esclusione, ovvero dall'anno stesso in cui i ricavi o compensi percepiti superano il limite di 45 mila euro,


impegna il Governo


a valutare, nell'ambito delle iniziative normative per la riforma fiscale, la possibilità di prevedere benefici fiscali alternativi in capo ai contribuenti che si sono avvalsi del regime dei minimi prima delle modifiche recate dall'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e che per effetto di esse ne sono fuoriusciti.
(1-00884)
«Bernardo, Leo, Baldelli, Ventucci, Berardi, Del Tenno, Pagano, Antonio Pepe, Savino».

La Camera,
premesso che:
i recenti disastri avvenuti in Italia, dalla Liguria alla Sicilia, dalla Toscana alla Calabria, così come quelli passati, su tutti il Veneto, dimostrano, ancora un volta, la fragilità del territorio italiano, fortemente esposto al rischio di frane e alluvioni;
le cause di un simile dissesto non sono da ricondurre esclusivamente a fattori naturali, come la conformazione idrogeologica del territorio. Vi sono fattori umani, riconducibili alla cementificazione selvaggia, all'alta densità della popolazione, al disboscamento, allo stato di abbandono e alla mancata manutenzione e cura dei territori montani, dei versanti e dei corsi d'acqua, oltre ad una pratica costante di diffuso abusivismo edilizio. A ciò si aggiungano i cambiamenti climatici in atto, responsabili di eventi eccezionali, ma che, dato il loro ripetersi ciclicamente negli ultimi anni, cominciano ad assumere i caratteri dell'ordinarietà;
in particolare, la mancanza di adeguati piani di urbanizzazione e riqualificazione dei territori da parte degli enti locali, accanto a misure di contrasto ai fenomeni dell'abusivismo del tutto inefficaci e in alcuni casi tali da facilitare le pratiche illegali, hanno contribuito a diffondere una politica «dell'emergenza», anziché principi fondamentali, quali quelli della prevenzione e della tutela del territorio;
secondo i dati dell'indagine realizzata da Legambiente con la collaborazione del dipartimento della protezione civile «Ecosistema Rischio 2011», sono pari a 6.633 le amministrazioni comunali italiane classificate a rischio idrogeologico potenziale più elevato;
lo stesso documento informa che l'85 per cento dei comuni intervistati, pari a 1.121, ha evidenziato la presenza sul territorio di competenza di abitazioni ed edifici costruiti su aree a rischio frana; nello specifico, il 56 per cento dei comuni ha dichiarato la presenza di fabbricati industriali in zone pericolose, il 31 per

cento di interi quartieri, il 20 per cento di strutture pubbliche come scuole e ospedali, il 26 per cento di strutture commerciali o ricettive;
si tratta, pertanto, di circa due comuni su tre, quelli che possiedono nel proprio territorio abitazioni in aree di golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana. In un terzo dei casi si tratta addirittura di interi quartieri;
è stato calcolato che i fenomeni legati al dissesto idrogeologico interessano complessivamente il 10 per cento del territorio nazionale, con punte di criticità in Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d'Aosta e Provincia autonoma di Trento, dove il 100 per cento dei comuni è classificato a rischio. La superficie delle aree ad alta criticità idrogeologica si estende per 29.517 chilometri quadrati, di cui 12.263 chilometri quadrati (4,1 per cento del territorio) a rischio alluvioni e 15.738 chilometri quadrati (5,2 per cento del territorio) a rischio frana. Si stima che siano oltre 5 milioni i cittadini che si trovano in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni;
l'utilizzo delle moderne tecnologie e dei sistemi di previsione del meteo più sviluppati ha, il più delle volte, trovato un ostacolo nella sottovalutazione dei rischi, nella mancanza da parte delle amministrazioni di idonei piani di prevenzione e di messa in sicurezza del territorio e nell'impreparazione della popolazione;
sino a questo momento, sono mancate azioni efficaci finalizzate alla tutela del territorio e alla difesa dai fenomeni del dissesto idrogeologico. Le risorse investite hanno perlopiù riguardato le circostanze legate alla necessità di arginare le emergenze: il funzionamento della macchina dei soccorsi, l'assistenza alla popolazione colpita dagli eventi disastrosi, il sostegno alle attività produttive colpite e gli interventi di prima necessità e urgenza;
recentemente il Ministro Clini ha affermato che «negli ultimi vent'anni i danni da dissesto idrogeologico sono ammontati, in media, a 2,5 miliardi di euro all'anno. Se non si inverte il trend i danni continueranno a crescere perché gli eventi diventano più frequenti»,


impegna il Governo:


ad attuare un nuovo piano straordinario di interventi finalizzato alla tutela e alla messa in sicurezza del territorio più esposto ai rischi idrogeologici e ad arginare in questo modo l'attuale situazione emergenziale;
ad assumere iniziative volte a prevedere misure di lungo periodo, nell'ambito delle proprie competenze, destinate alla salvaguardia del territorio, per far fronte ad un aumento costante dei fenomeni di rischio, dovuti a fattori naturali e umani;
nei limiti delle proprie competenze, a predisporre interventi per attuare piani di prevenzione, di manutenzione e di monitoraggio continuo del territorio, anche prevedendo la delocalizzazione delle strutture e dei fabbricati a rischio;
ad assumere iniziative, anche normative, volte a rendere più stretti i vincoli che vietano la costruzione nelle zone esposte al pericolo, anche attraverso la predisposizione di sanzioni più aspre per i comportamenti contrari alle norme in materia;
ad assumere iniziative volte a formare la popolazione sui principi essenziali per la diffusione di una cultura della difesa del suolo e della salvaguardia del territorio, come bene comune.
(1-00885)
«Mosella, Pisicchio, Fabbri, Tabacci, Brugger».

La Camera,
premesso che:
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, certifica che: circa il 10 per cento del territorio nazionale risulta a rischio alluvione, frane e valanghe; i due terzi delle aree esposte a rischio sono ubicati nei centri urbani,

nelle infrastrutture e nelle aree produttive; l'89 per cento dei comuni sono soggetti a rischio idrogeologico; 5,8 milioni di italiani sono interessati da questo rischio;
negli ultimi sessanta anni l'Italia è stata ampiamente urbanizzata e antropizzata, con una densità media di 189 abitanti per chilometro quadrato, con stravolgimenti irreversibili degli ecosistemi;
si registra l'assenza di una moderna pianificazione territoriale da parte degli enti di gestione del territorio, che, di fatto, utilizzano gli oneri di urbanizzazione per finanziare i bilanci comunali;
la pratica dell'abusivismo sfrenato in diverse regioni del Paese, insieme a piani regolatori obsoleti, che consentono agli amministratori di concedere licenze edilizie in siti a rischio idrogeologico elevato, rende fragile il territorio italiano, che, in presenza di eventi naturali come piogge intense e durature o terremoti di magnitudo modesta, porta a gravissimi episodi distruttivi di persone e cose;
le risorse finanziarie disponibili per il territorio sono sempre più assorbite dall'emergenza e non coprono i necessari investimenti di prevenzione, tanto è vero che negli ultimi venti anni sono stati spesi circa 52 miliardi di euro per il dissesto idrogeologico e soltanto 2 miliardi di euro per la prevenzione;
per i terremoti, negli ultimi 30 anni, vi sono stati investimenti di circa 161 miliardi di euro per coprire i danni, mentre per gli adeguamenti sismici delle strutture e delle infrastrutture esistenti gli stanziamenti nei bilanci dello Stato e delle regioni sono irrisori;
il piano straordinario per la prevenzione del rischio idrogeologico, previsto dalla legge finanziaria per il 2010, che ha assegnato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fondi per le aree sottoutilizzate per 1 miliardo di euro, non ha dato alcun risultato concreto, anche perché si è dovuto far ricorso a parte di questi fondi per le emergenze alluvionali in Liguria, Toscana, Veneto, Emilia-Romagna, Sicilia e Campania,


impegna il Governo:


a coordinare, nell'ambito delle proprie competenze, l'attuazione delle direttive europee in materia e, nello specifico, i principi in esse contenuti, attraverso l'assunzione di iniziative, anche di natura amministrativa, che portino ad una riorganizzazione e ad un coordinamento dei vari livelli di governance, eliminando le sovrapposizioni di competenze attualmente esistenti;
ad assumere le iniziative di competenza volte al completamento dei piani di bacino distrettuali e all'approvazione di piani di gestione idrografica ai fini di raggiungere gli obiettivi previsti dalla direttiva n. 2000/60/CE;
ad assumere iniziative, anche normative, volte a finanziare un piano straordinario di manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua, di concerto con le regioni interessate, derogando, ove possibile, ai vincoli imposti dal patto di stabilità e nel rispetto degli accordi di programma sottoscritti con le regioni, finalizzati a ridurre il livello di rischio idrogeologico.
(1-00886)
«Misiti, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Miccichè, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova, Mario Pepe (MistoR-A)».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha introdotto un regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali o professionali;
pur andando nella direzione giusta tale agevolazione non appare sufficiente

per rilanciare lo sviluppo e l'occupazione di aree particolarmente svantaggiate come quelle del Meridione;
è necessario procedere, anche con iniziative di rottura rispetto al passato, a nuove forme di agevolazioni capaci di attrarre investimenti nazionali ed internazionali in dette aree;
la crisi economica che ha colpito l'Europa intera può essere il volano per chiedere, con forza, alle istituzioni europee la creazione di un sistema di agevolazione fiscale per le imprese che investiranno nelle regioni del Meridione. I contributi a fondo perduto spesso non hanno sortito gli effetti sperati per tutta una serie di motivazioni; quindi una rimodulazione dovrebbe essere oggetto di valutazione;
in un periodo di estrema difficoltà per le imprese, soprattutto per le piccole aziende, gli artigiani ed i commercianti, gli «ex minimi», oltre a dover versare le imposte sui redditi secondo le aliquote ordinarie, dovranno «subire» lo strumento degli studi di settore, che, nonostante i correttivi apportati, non sono in grado di rappresentare una realtà in crisi, con fatturati in diminuzione e costi in aumento; il pericolo di non rientrare nei parametri degli studi, con conseguente accertamento e versamento di imposte che non sono in questo momento sopportabili, spingerà molti contribuenti a chiudere i battenti, con conseguenze economiche e sociali drammatiche;
il fisco per lo sviluppo non passa solo per la lotta ai paradisi fiscali, ma deve assicurare alla parte meno sviluppata dell'Italia qualcosa di analogo a ciò che ha comportato il minor fisco per l'Irlanda, in relazione alla quale la Commissione ha di nuovo approvato le misure che lo Stato aveva approntato per il superamento della fase di criticità finanziaria in cui è scivolata nel recente passato;
con la sentenza del 6 settembre 2006 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha rigettato il ricorso proposto dalla Repubblica portoghese avverso una decisione della Commissione relativa alla censura di parte del regime normativo contenente l'adeguamento del sistema fiscale nazionale alle specificità della regione delle Azzorre;
nonostante il rigetto del ricorso della Repubblica portoghese, dalla motivazione della sentenza emerge come la Corte di giustizia sia giunta a riconoscere esplicitamente la piena compatibilità con il diritto comunitario delle misure fiscali agevolative adottate da enti territoriali interni diversi dallo Stato;
la stessa Corte è intervenuta correggendo l'orientamento eccessivamente restrittivo tenuto dalla Commissione, dove le misure «asimmetriche», ossia applicabili solo nel territorio di alcune regioni, erano state tollerate in deroga al divieto generali di aiuti di Stato sancito dall'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex dall'articolo 87 del TCE), previo nulla osta da parte della stessa Commissione ed entro limiti temporali e «quantitativi» assai ristretti;
l'orientamento appena illustrato è stato ripreso ed ampliato dalla Corte di giustizia nelle recenti cause C 428/06 e C 434/06;
nel 2008 solo il 6 per cento del totale degli investimenti in Italia veniva dall'estero, contro il 15 per cento della Francia e il 33 per cento del Regno Unito. E del nostro 6 per cento di investimenti diretti esteri, solo lo 0,6 per cento era posizionato a Sud;
è giunto il momento di dare un segnale di discontinuità con il passato, fatto di troppi sprechi, molto assistenzialismo e poca impresa;
in altre parole si dovrebbe capovolgere lo schema sin qui seguito lasciando il più possibile le risorse nelle mani di

imprenditori sani e veri, al contempo tenendo sempre a mente il vincolo di finanza pubblica,


impegna il Governo


ad assumere iniziative normative volte ad adattare gli studi di settore alle condizioni di particolare svantaggio in cui si trovano gli operatori economici e commerciali delle regioni meridionali ed, in modo particolare, ad istituire, in quelle aree una vera e propria «no tax area» attraverso un serrato confronto con le istituzioni europee, sulla falsa riga di quanto fatto in Irlanda ed in base alle sentenze della Corte di giustizia, impostando così un modello che sia il volano del rilancio del Mezzogiorno d'Italia.
(1-00887)
«Iannaccone, Belcastro, Porfidia, Brugger».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha, di fatto, soppresso, con decorrenza 1o gennaio 2012, il regime fiscale dei contribuenti minimi;
tale regime fiscale agevolato prevedeva per piccoli imprenditori e professionisti, a fronte di alcune significative limitazioni alla spesa per beni strumentali e ai compensi percepibili (limite massimo 30.000 euro lordi all'anno), una serie di semplificazioni nel rapporto col fisco durante lo svolgimento della propria attività;
il nuovo regime introdotto dal decreto-legge sopra menzionato prevede un'imposta forfetaria del 5 per cento sul reddito dichiarato e potrà essere applicato, per l'anno in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente dalle persone fisiche:
a) che intraprendono un'attività d'impresa, arte o professione;
b) che l'hanno intrapresa dopo il 31 dicembre 2007;
per l'accesso a tali benefici sono previste alcune condizioni, quale, ad esempio, quella di non avere esercitato, nei tre anni precedenti l'inizio dell'attività, attività artistica, professionale o d'impresa, anche in forma associata o familiare;
per rientrare nel nuovo regime è possibile proseguire un'attività d'impresa svolta in precedenza da altro soggetto, ma in questo caso l'ammontare dei ricavi realizzati nell'anno precedente non deve essere superiore a 30 mila euro, cioè il limite già previsto per i vecchi minimi;
secondo la relazione tecnica allegata al decreto-legge, il motivo dell'abolizione del regime risiederebbe nella necessità di recuperare maggior gettito (quantificato in circa 100 milioni di euro) per anno fiscale da coloro che rientravano nel regime dei contribuenti minimi;
sono circa 550.000 (pari a circa il 96 per cento dei vecchi contribuenti minimi) i soggetti che non potranno accedere ai benefici perché non presentano i requisiti richiesti e che probabilmente registreranno un sensibile aumento dei costi diretti ed indiretti legati alla loro attività,


impegna il Governo:


ad adottare iniziative normative finalizzate alla reintroduzione del vecchio regime dei contribuenti minimi, al fine di non penalizzare una categoria di contribuenti in questa particolare contingenza economica;
a ricercare soluzioni e coperture alternative a garanzia del gettito recuperato con l'introduzione del nuovo regime dei contribuenti minimi, di cui al decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15

luglio 2011, n. 111, prevedendo eventualmente anche un innalzamento dell'imposta sostitutiva e del limite dei compensi.
(1-00888)
«Galletti, Della Vedova, Cera, Muro, Ciccanti, Raisi, Compagnon, Di Biagio, Naro, Volontè».

La Camera,
premesso che:
gli ultimi disastri causati da eventi atmosferici straordinari, con conseguenti frane, alluvioni o esondazione di fiumi, hanno destato, giustamente, nell'opinione pubblica grande preoccupazione;
il consumo spesso incontrollato del suolo e la crescita esponenziale delle cementificazioni e delle urbanizzazioni su un territorio, come quello italiano già particolarmente a rischio dal punto di vista idrogeologico, hanno determinato una situazione tale da rendere irrimandabile la questione della messa in sicurezza del suolo;
basterebbe consultare una qualsiasi fonte di informazione pubblica per avere la dimensione di un fenomeno di proporzioni tali da mettere paura a chiunque e, soprattutto, per mettere in evidenza i ritardi e le responsabilità di una politica che da decenni, a livello nazionale e locale, non è stata in grado di darsi gli strumenti necessari per affrontare una questione di tale importanza per il Paese;
da sempre il nostro Paese, da un punto di vista geologico, è stato un territorio a rischio e le gravi alluvioni che a partire dagli anni Cinquanta, dal Po a Firenze, dalla Valtellina a Crotone, da Sarno a Messina, per finire con le ultime in Liguria, Toscana e Veneto, si sono succedute ne sono, purtroppo, la dimostrazione sul campo;
alla fragilità territoriale si è sempre accompagnata una scarsa cura del suolo, sino ad arrivare a modificazioni parziali o radicali dei corsi d'acqua, annullandone le caratteristiche geologiche naturali con le conseguenze a tutti note;
per quanto riguarda i corsi d'acqua, non si può non denunciare le escavazioni selvagge o le canalizzazioni decise dall'uomo che hanno portato ad uno stravolgimento del territorio circostante e dei corsi d'acqua, producendo esondazioni estremamente pericolose;
gli eventi recenti accaduti: le alluvioni di Genova il 4 novembre 2011, dello Spezzino e della Lunigiana il 25 ottobre 2011, di Roma il 20 ottobre 2011, dell'ascolano e del teramano del marzo 2011, il disastro avvenuto nell'ottobre 2009 nel messinese, le colate di fango a Sarno del 5 maggio 1998, senza andare oltre, con decine di morti e migliaia di sfollati, hanno richiamato l'attenzione dei cittadini italiani sul problema del dissesto idrogeologico;
secondo il primo rapporto sullo stato del territorio italiano realizzato dal centro studi del Consiglio nazionale dei Geologi (Cng), in collaborazione con il Cresme, presentato a Roma il 13 ottobre 2010, sono 6 milioni gli italiani che abitano in aree considerate a grave rischio idrogeologico, mentre 1 milione e 260.000 sono gli edifici soggetti a rischio frane e alluvioni e 6000 di questi edifici sono scuole e 531 gli ospedali;
in tale situazione, la mancanza di una politica organica di difesa del suolo ha costretto il nostro Paese a rincorrere le emergenze con gravi danni economici, nonché con un numero consistente di vittime, senza che si sia mai trovata una soluzione accettabile;
gli stanziamenti distribuiti dallo Stato troppo spesso sono serviti solo a riparare i danni, ma certamente non hanno affrontato alla radice i problemi che rischiano di ripresentarsi al prossimo evento atmosferico straordinario;
ad esempio, per quanto riguarda la provincia di Messina, già nel giugno 2010 fu denunciata la situazione del territorio

di Naso dove, a causa delle abbondanti piogge, si erano verificati gravi fenomeni di dissesto idrogeologico, causati da movimenti franosi da imputare ad una scorretta raccolta delle acque così come, pochi mesi prima, vi erano stati movimenti franosi che avevano, sempre nella stessa provincia, coinvolto la borgata Sfaranda, una popolosa frazione del comune di Castello Umberto;
nella stessa città di Messina, il 1o ottobre 2009, la furia degli elementi provocò la morte di numerose persone, in un'area che già era stata colpita nel mese di settembre da un forte nubifragio e che già precedentemente, nell'ottobre 2007, era stata duramente colpita;
la provincia di Messina continua a subire gravi danni a causa di un dissesto idrogeologico che avrebbe bisogno di interventi radicali e decisivi, a dimostrazione che gli interventi emergenziali, seppure indispensabili, non riescono a dare risposte serie e durature, così come richieste giustamente dalla locali popolazioni;
tali fenomeni dimostrano che non si possono più ammettere ritardi, come giustamente tutti gli esperti del settore si affannano a dichiarare, nella determinazione di strumenti normativi che consentano un continuo monitoraggio del territorio, ai quali devono fare seguito atti concreti tesi a rimarginare i danni prodotti dall'uomo sul territorio;
non a caso la Camera dei deputati approvò all'unanimità, il 26 gennaio 2010, una mozione con la quale si impegnava il Governo a dare attuazione al piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico, promuovendo iniziative normative di competenza che introducessero norme a favore della difesa del suolo e della riduzione del rischio idrogeologico;
altro elemento che non si può ignorare è il progressivo abbandono del territorio agricolo che aveva sempre rappresentato un costante fattore di controllo e presidio e ciò ha sicuramente determinato un aggravamento dei fenomeni di dissesto idrogeologico;
l'assenza di risorse destinate alla prevenzione del dissesto idrogeologico non è sicuramente un segnale positivo e sarebbe da incoscienti non intervenire finanziariamente su questo fronte, sapendo collegare la ripresa economica e lo sviluppo al recupero e alla messa in sicurezza del territorio che rappresenta un bene prezioso per il nostro magnifico Paese,


impegna il Governo:


ad attuare in maniera compiuta il piano nazionale di prevenzione del dissesto idrogeologico varato nel 2009, provvedendo alle eventuali modifiche migliorative di tale piano, alla luce del ripetersi di gravi fenomeni di dissesto idrogeologico sull'intero territorio nazionale;
a promuovere la tutela e la gestione dei bacini idrografici attraverso il ripristino degli equilibri idrogeologici, favorendo un governo integrato del sistema delle acque, basato su principi di prevenzione del danno;
a promuovere una normativa organica sulla gestione del suolo che determini attività di presidio e controllo territoriale, recuperando, al contempo, il ruolo di una figura chiave come quella dei geologi che sono quasi del tutto assenti dalle piante organiche degli enti locali;
a introdurre, con carattere prioritario, politiche di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio nelle politiche di rilancio dell'economia e dello sviluppo, cominciando ad intervenire in quelle aree che negli ultimi anni hanno, più di altre, subito gravi danni a causa del profondo dissesto idrogeologico del proprio territorio;
ad assumere, per quanto di competenza, in caso di accertata pericolosità di alcune aree nel nostro Paese a forte rischio idrogeologico, tutte le iniziative necessarie al fine di mettere in sicurezza gli abitanti e gli eventuali insediamenti produttivi;

ad intervenire in sede europea, stante i gravi fenomeni climatici verificatisi in più luoghi del continente, affinché si arrivi a politiche unitarie di difesa del suolo attraverso, se necessario, la previsione di fondi europei destinati a tale scopo.
(1-00889)
«Scilipoti, Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Siliquini, Stasi, Taddei».

La Camera,
premesso che:
l'Assemblea della Camera dei deputati ha approvato all'unanimità il 26 gennaio 2010 una specifica mozione inerente al dissesto idrogeologico;
la difesa del suolo appare sempre più una necessità ineludibile; si ripetono, infatti, eventi che evidenziano come si tratti di un'emergenza costante su tutto il territorio nazionale; il dissesto idrogeologico è evento legato alla particolare conformazione geologica del Paese, alla fragile e mutevole natura dei suoli che lo compongono ed all'acuirsi delle variazioni climatiche estreme;
alluvioni, esondazioni, arretramenti delle rive, frane, subsidenze, come ovviamente i terremoti, comportano perdite di vite umane e ingenti danni materiali e ambientali; l'intervento umano e la pressione antropica sul territorio hanno accelerato o innescato tali processi naturali oppure hanno trasformato il territorio, rendendolo vulnerabile a processi destabilizzanti;
è doveroso ricordare che quello della difesa del suolo non è un problema di facile soluzione. La commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo, presieduta dal professor De Marchi, nella relazione conclusiva del 1970, individuava i gravi problemi idrogeologici dell'Italia, proponendo un piano d'intervento trentennale che prevedeva la spesa di ben 9.700 miliardi di lire di allora;
a quella commissione va riconosciuto il merito di aver sviluppato un approccio sistemico ai problemi connessi col governo del territorio, ma anche di aver rivolto l'attenzione all'interazione tra opere umane e ambiente complessivamente inteso; tuttavia, le proposte della commissione De Marchi sono state attuate con grave ritardo, tramite la legge quadro n. 183 del 1989 sulla difesa del suolo, circa 20 anni dopo la loro redazione;
limitando il campo di osservazione al solo rischio idrogeologico negli ultimi 80 anni si sono verificati più di 5.400 alluvioni e 11.000 frane; secondo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono a «rischio elevato» l'89 per cento dei comuni umbri, l'87 per cento di quelli lucani, l'86 per cento di quelli molisani, il 71 per cento di quelli liguri e valdostani, il 68 per cento di quelli abruzzesi, il 44 per cento di quelli lombardi. In pratica, oltre la metà degli italiani vive in aree soggette ad alluvioni, frane, smottamenti, terremoti, fenomeni vulcanici e persino maremoti; secondo una dettagliata tabella elaborata dal Cineas, il consorzio universitario del Politecnico di Milano, che si occupa della cultura del rischio, nel solo decennio 1994-2004, per tamponare i danni di alluvioni, terremoti e frane più gravi, lo Stato ha dovuto stanziare complessivamente 20.946 milioni di euro. Vale a dire oltre 2 miliardi di euro l'anno ai quali va aggiunto un altro miliardo e mezzo complessivo per gli interventi minori;
secondo i dati diffusi alcuni anni fa dal dipartimento della protezione civile nel periodo 1968-2000, l'intervento statale solo per l'emergenza e la ricostruzione post-terremoto ha superato i 120 miliardi di euro, con una media di 3,8 miliardi all'anno. In Italia il 40 per cento della popolazione vive in aree a rischio sismico,

dove il 64 per cento degli edifici non è costruito secondo le norme antisismiche e dove sono morte 120.000 persone nell'ultimo secolo. Milioni di persone sono esposte al rischio vulcanico, che nell'area vesuviana è incerto non nel «se» ma in un «quando» che gli scienziati concordano nel definire prossimo;
complessivamente, a partire dal 1968, l'anno del terremoto del Belice, lo Stato ha speso una somma quantificabile tra i 140 ed i 150 miliardi di euro, una massa di risorse in grado di condizionare gli equilibri dei bilanci pubblici annuali e pluriennali;
l'Italia è un Paese fortemente antropizzato, con una densità media pari a 189 abitanti per chilometro quadrato, assai superiore alla media dell'«Europa a 15», pari a 118 abitanti per chilometro quadrato (la Francia conta 114 abitanti per chilometro quadrato, la Spagna 89), ma con fortissime sperequazioni nella distribuzione territoriale: ai 68 abitanti per chilometro quadrato della Sardegna si contrappongono i 379 abitanti per chilometro quadrato della Lombardia, che da sola registra una volta e mezzo gli abitanti della Finlandia; la Campania arriva a 420 abitanti per chilometro quadrato, ma proprio nella cosiddetta «zona rossa», soggetta a rischio di distruzione pressoché totale in caso di ripresa di attività del Vesuvio, spiccano i comuni con la più alta densità abitativa d'Italia (oltre 12.000 abitanti per chilometro quadrato), caratterizzati da un'espansione edilizia incontrollata, come Portici o San Giorgio a Cremano;
tutto ciò comporta problemi di ogni genere: dai servizi pubblici, costantemente prossimi al collasso, al degrado dei suoli e delle falde acquifere, alle difficoltà di attuare politiche sociali, abitative, di sviluppo, migratorie e di integrazione adeguate a causa della mera mancanza di spazio;
è, pertanto, necessario adottare adeguati provvedimenti che consentano di perseguire il nostro modello di sviluppo economico e sociale, ottimizzando le risorse di spazio disponibili e tenendo conto del fatto che i costi delle emergenze possono essere ridotti solo se si impongono scelte specifiche di politica territoriale indirizzate alla prevenzione, alla costante manutenzione, all'uso delle migliori tecniche costruttive, all'apposizione di vincoli e limitazioni di uso;
appare opportuno programmare interventi strategici e politiche attive per evitare di dover essere costretti a fronteggiare quello che ad oggi si rileva essere un stato di continua emergenza;
il 12 novembre 2009 il Governo ha presentato alla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati i dati sul rischio idrogeologico attuale, le stime per gli interventi di messa in sicurezza e le procedure, anche straordinarie, per attivare gli interventi, a cominciare da quelle pluriennali previste dal piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico; l'estensione delle aree a criticità idrogeologica è pari al 9,8 per cento del territorio nazionale, del quale il 6,8 per cento coinvolge direttamente zone con beni esposti, quindi centri urbani, infrastrutture e aree produttive, tutti strettamente connessi con lo sviluppo economico del Paese; il fabbisogno necessario per la realizzazione di interventi per la sistemazione complessiva della situazione di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in 44 miliardi di euro, dei quali 27 miliardi per il Centro-Nord e 13 miliardi per il Mezzogiorno, oltre a 4 miliardi per il fabbisogno relativo al recupero e alla tutela del patrimonio costiero italiano,


impegna il Governo:


a promuovere iniziative normative di competenza che introducano norme a favore della difesa del suolo e della riduzione del rischio idrogeologico, tramite le quali, nell'assoluto rispetto delle competenze regionali, siano previste misure dissuasive per le costruzioni di scarsa qualità ed in aree a rischio;

a promuovere politiche attive e coordinate per una reale, strutturale e preventiva difesa del suolo, in modo tale da evitare una situazione di costante emergenza.
(1-00890)
«Ghiglia, Baldelli, Gibiino, Aracri, Brambilla, Cosenza, Di Cagno Abbrescia, Tommaso Foti, Germanà, Iannarilli, Lisi, Pili, Pizzolante, Stradella, Tortoli, Vella, Vessa».

La Camera,
premesso che:
le alluvioni che hanno interessato in questi mesi il nostro Paese, ripropongono ancora una volta il tema della fragilità del nostro territorio e la necessità ormai improcrastinabile della sua messa in sicurezza;
peraltro, gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni prima degli anni '90, a 4-5 all'anno;
secondo i recenti dati forniti dal Consiglio nazionale dei geologi, dal 1996 al 2008 in Italia sono stati spesi più di 27 miliardi di euro in relazione a dissesto idrogeologico e terremoti, oltre al fatto che 6 milioni di italiani abitano nei 29.500 chilometri quadrati del territorio considerati ad elevato rischio idrogeologico e ben 1.260.000 sono gli edifici a rischio frane e alluvioni. Di questi sono 6.000 le scuole e 531 gli ospedali;
si continua a rincorrere le emergenze e le calamità e a contare i danni e troppo spesso, purtroppo, le numerose vittime, stanziando ogni volta ingenti risorse economiche necessarie per ricostruire le zone colpite;
l'emergenza diventa così, oltre a un evidente danno economico e sociale, spesso un meno evidente business per la ricostruzione, senza, però, mai essere tradotto in investimenti duraturi attraverso interventi di prevenzione e di buona pianificazione urbanistica e del territorio;
i dati forniti dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Stefania Prestigiacomo, durante l'audizione del 20 settembre 2010 in Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati circa lo stato di dissesto e di rischio idrogeologico su tutto il territorio nazionale, parlano di un 9,8 per cento della superficie nazionale ad alta criticità idrogeologica; di 6.633 i comuni interessati, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani; di un 24,9 per cento dei comuni interessato da aree a rischio frana; di un 18,6 per cento di aree a rischio alluvione; e di un 38,4 per cento di aree a rischio sia di frana che di alluvione;
le regioni che hanno pressoché la totalità dei comuni con aree a rischio idrogeologico sono la Calabria, l'Abruzzo, la Basilicata, la Campania, il Lazio, la Liguria, le Marche, il Molise, la Toscana, l'Umbria, la Valle d'Aosta e la Provincia autonoma di Trento. Queste regioni non rappresentano evidentemente tutte le aree a rischio idrogeologico, come dimostrano gli eventi anche recenti che hanno colpito la Lombardia, il Piemonte, il Veneto ed altre regioni. È tutto il nostro territorio che mostra la sua fragilità e che necessita di interventi di messa in sicurezza A questo si aggiunge il crescente grado di rischio di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
sempre durante la medesima audizione, veniva sottolineato come «il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro. Di contro, per azioni di emergenze di protezione civile, indennizzi e opere a seguito di eventi calamitosi, nel solo bacino del fiume Po, dal 1994 al 2005, sono stati spesi oltre 12,5 miliardi di euro,

dei quali oltre 5,5 miliardi di euro per far fronte alla sola alluvione del 2000. Inoltre, per gli interventi di gestione dell'emergenza della zona di Sarno è stato speso oltre mezzo miliardo di euro. In sintesi si stima che la spesa dello Stato per le attività di emergenza sia stata mediamente tra 2 e 3,5 miliardi di euro all'anno. La spesa per la prevenzione è stata in media di 250 milioni l'anno. Per ogni milione speso per prevenire, ne abbiamo spesi 10 per riparare i danni della mancata prevenzione»;
a ciò va aggiunto che nella XVI legislatura gli stanziamenti ordinari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la difesa del suolo si sono ridotti in maniera inaccettabile. Un taglio di quasi l'85 per cento;
la tutela delle acque rappresenta un interesse prioritario della collettività; un bene comune, peraltro, ribadito con forza dall'esito del referendum del giugno 2011. In questo ambito, manca una regia unitaria di gestione della risorsa idrica capace di armonizzare e coordinare con efficacia le diverse competenze e ruoli tra i vari soggetti istituzionali coinvolti;
esiste sulla carta un piano straordinario contro il dissesto idrogeologico, dotato di risorse per circa due miliardi e mezzo di euro fra fondi statali e cofinanziamento regionale, da definire attraverso la stipula di accordi di programma con le regioni. Ma detto piano non è pratica mente mai decollato: risorse, di fatto, in gran parte «virtuali». Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non li ha mai messi a disposizione e i tagli indiscriminati a regioni ed enti locali da parte del Governo Berlusconi hanno fatto sì che queste ultime non hanno più risorse da investire e che quel poco che potrebbero spendere è limitato a causa dei vincoli del patto di stabilità;
è, invece, necessario che le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per gli interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico possano beneficiare dell'esclusione dai vincoli del patto di stabilità, che rappresentano un evidente fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
nell'audizione alla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati del 30 novembre 2011, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, ha sottolineato la necessità di «creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata, come è avvenuto con l'ultima legge di stabilità, ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente per la prevenzione del dissesto idrogeologico»;
l'attuazione del suddetto piano straordinario contro il dissesto idrogeologico, come sottolinea l'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (Anmbi), composto in gran parte da progetti immediatamente cantierabili, permetterebbe anche importanti ricadute occupazionali;
i cantieri, come ha più volte denunciato l'Associazione nazionale dei costruttori, «non sono mai stati avviati». Solo risorse virtuali, quando invece ci sarebbe bisogno urgente di certezza di finanziamenti;
l'avvio di un piano pluriennale per la messa in sicurezza del territorio del nostro Paese non solo avrebbe una straordinaria valenza e un reale interesse pubblico, ma rappresenterebbe la vera «grande opera» strategica di cui il nostro Paese ha prioritariamente bisogno. In più, al contrario della miriade di opere infrastrutturali a cui si è data priorità, sarebbe l'unica opera pubblica diffusa su tutto il territorio nazionale, in grado di attivare da subito migliaia di cantieri con evidenti ricadute positive dal punto di vista occupazionale. L'opera di risanamento territoriale, al contrario della grande opera infrastrutturale, è, infatti, distribuita e diffusa sul territorio, realizzabile anche per gradi e per processi di intervento monitorati

nel tempo, in grado di produrre attività ed economie durevoli, oltre che un elevato numero di persone impiegate nettamente superiore al modello della «grande infrastruttura»;
nell'audizione alla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati del 14 dicembre 2011, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Clini ha ricordato come le politiche per la difesa del suolo devono riguardare gli elementi strutturali del rischio, ossia: la messa in sicurezza del territorio e la riduzione dei rischi legati agli usi impropri del territorio, compreso il fenomeno dell'abusivismo. Fenomeno quest'ultimo, che - a detta dello stesso Ministro - «non può essere ulteriormente tollerato, ma che deve essere combattuto anche laddove sia stato regolarizzato, quando diventa un fattore di rischio per la sicurezza del territorio»;
sotto questo aspetto il nostro territorio è, infatti, consumato e segnato profondamente, anche «grazie» al contributo nefasto del fenomeno dell'abusivismo troppo spesso ignorato o tollerato, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, e anzi alimentato anche dalle, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, deprecabili norme di condono edilizio approvate negli anni scorsi;
i ripetuti condoni edilizi hanno, infatti, contribuito fortemente ad alimentare la convinzione diffusa che sul territorio si possa compiere qualsiasi azione anche senza avere l'autorizzazione di legge. È, invece, indispensabile sconfiggere questa cultura e riportare la necessaria trasparenza e rigore su tutti gli interventi urbanistici che trasformano il territorio e il paesaggio;
peraltro, va evidenziato che gli interessi che sottendono spesso al comparto delle costruzioni, si sommano agli storici interessi legati ai cambi di destinazione d'uso delle aree agricole e all'edificabilità dei suoli, entrando così troppo spesso in conflitto con una seria e corretta programmazione e gestione del nostro territorio. Purtroppo, i piani urbanistico-territoriali hanno troppo spesso accompagnato ed assecondato questo orientamento, anche perché gli oneri di urbanizzazione vengono spesso usati per ripianare i bilanci dei comuni e questo spinge i comuni stessi a costruire per fare cassa, anche a scapito di una corretta gestione del territorio. Da questo punto di vista, ricordiamo che l'Italia è il primo Paese tra quelli europei per la cementificazione;
un lavoro predisposto dal Wwf Italia con l'Università dell'Aquila fa, infatti, emergere dati che devono far riflettere: dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500 per cento e si è valutato che dal 1990 al 2005 l'Italia è stata capace di trasformare oltre 3,5 milioni di ettari, cioè una superficie grande quasi quanto il Lazio e l'Abruzzo messi insieme. Fra questi ci sono 2 milioni di fertile terreno agricolo che oggi è stato coperto da capannoni, case, strade ed altro;
ogni italiano vede oggi attribuirsi una media di 230 metri quadrati di urbanizzazione ed anche se le percentuali cambiano da regione a regione (dai 120 metri quadrati per abitante della Basilicata ai 400 del Friuli Venezia Giulia), l'insieme dà l'immagine di un territorio quasi saturo, disordinato, una sorta di città diffusa;
secondo il dossier presentato recentemente dal Fai e dal Wwf sul consumo del suolo «Terra rubata - viaggio nell'Italia che scompare», nei prossimi 20 anni la superficie occupata dalle aree urbane crescerà di circa 600 mila ettari, pari ad una conversione urbana di 75 ettari al giorno, e raffigurabile come un quadrato di 6.400 chilometri quadrati;
la pianificazione urbanistica e l'assetto del territorio sono, quindi, inevitabilmente strettamente connesse. Il governo del territorio include, infatti, l'urbanistica, l'edilizia, i programmi infrastrutturali, il contrasto al dissesto idrogeologico, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio;

gli interventi per la tutela e il risanamento del suolo e del sottosuolo vanno, quindi, necessariamente coordinati - se vogliono essere realmente efficaci - con le leggi urbanistiche e con i piani regolatori, soprattutto con quelli urbanistici comunali, e non soltanto con i grandi piani territoriali. Spesso, infatti, gli enti locali - per motivazioni politiche, quali, ad esempio, l'approvazione dei piani urbanistici o la destinazione delle aree edificabili - non attuano il principio della prevenzione e, a volte, strutture pubbliche, quali scuole, caserme, ospedali, stazioni, vengono costruite in aree a rischio, come, per esempio, quelle nelle prossime vicinanze dei fiumi,


impegna il Governo:


ad avviare, in raccordo con le regioni, un piano pluriennale per la difesa del suolo nel nostro Paese, quale vera e prioritaria opera infrastrutturale in grado non solamente di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio, ma di attivare migliaia di cantieri, con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;
a individuare ulteriori risorse, nonché lo «sblocco» di risorse già previste per la prevenzione del rischio idrogeologico, anche attraverso:
a) la rimodulazione di delibere Cipe e di fondi esistenti;
b) la revisione - in accordo con le regioni - delle priorità della «legge obiettivo» al fine di mettere al primo posto le opere di difesa del suolo, a cominciare dai piani stralcio predisposti dalle autorità di bacino per la messa in sicurezza delle aree più a rischio;
c) l'individuazione di ulteriori forme di finanziamento, peraltro già ipotizzate dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, quali, per esempio, l'istituzione di un fondo rotativo finalizzato alla messa in sicurezza del territorio, la previsione di un credito d'imposta per investimenti che hanno effetti positivi sulla sicurezza del suolo, la previsione di una fiscalità finalizzata e quindi di una possibile tassa di scopo;
ad attivarsi affinché le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per gli interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico possano beneficiare dell'esclusione dai vincoli del patto di stabilità, che rappresentano un fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
a velocizzare i tempi medi di trasferimento delle risorse, già stanziate, a favore dei territori colpiti da calamità naturali;
a individuare le opportune iniziative normative affinché i comuni provvedano a redigere in tempi brevi dei piani attuativi minimi per la messa in sicurezza del loro territorio, individuando da subito le aree a rischio prioritario;
a integrare le risorse del fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la prevenzione del dissesto idrogeologico;
a prevedere, nell'ambito delle proprie prerogative e in stretto coordinamento con gli enti locali interessati, una mappatura degli insediamenti urbanistici nelle aree a più elevato rischio idrogeologico, individuando idonee forme di agevolazione finalizzate alla loro eventuale delocalizzazione, prevedendo contestualmente il divieto assoluto di edificabilità, in dette aree;
ad adottare opportune iniziative normative volte a prevedere una disciplina rigorosa in materia di pianificazione urbanistica e di governo del territorio, che contenga principi irrinunciabili, omogenei e condivisi in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo e rigoroso per le regioni, con particolare riferimento alla necessità di riconoscere il territorio come bene comune e risorsa limitata, perseguendo l'obiettivo di limitare il consumo del suolo, anche attraverso il contenimento della diffusione urbana, disincentivando nuovi impieghi di suolo a fini insediativi e

infrastrutturali e favorendo il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.
(1-00891)
«Piffari, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini».

La Camera,
premesso che:
il regime dei minimi è stato introdotto a decorrere dal periodo d'imposta 2008 dai commi da 96 a 117 dell'articolo 1, legge n. 244 del 2007, ed è stato modificato dall'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
per effetto della modica apportata dalla legge di conversione, è possibile per il contribuente beneficiare del regime dei minimi limitatamente al periodo d'imposta nel corso del quale la persona fisica ha compiuto trentacinque anni;
il comma 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 del 2011 si riferisce alle persone fisiche che continuano a rispettare i principi fissati per accedere al regime agevolato dei contribuenti minimi secondo le disposizioni di cui alla legge n. 244 del 2007. In particolare, afferma che, nei confronti di tali soggetti, restano fermi gli obblighi di conservazione dei documenti ricevuti ed emessi, ma essi sono «esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili, rilevanti ai fini delle imposte dirette e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché dalle liquidazioni e dai versamenti periodici rilevanti ai fini dell'iva previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 100. I soggetti di cui al periodo precedente sono altresì esenti dall'imposta regionale sulle attività produttive di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446»;
a decorrere dal 1o gennaio 2012, i contribuenti che non rispetteranno i requisiti ulteriormente introdotti dalla manovra correttiva dovranno necessariamente fuoriuscire dal regime agevolato in esame e tenere conto delle ordinarie regole di tassazione. Ne deriva che gli «ex minimi» dovranno assoggettare le operazioni effettuate all'iva e versare le imposte sul reddito secondo le disposizioni ordinarie previste dal Testo unico dell'imposta sui redditi;
le disposizioni introdotte dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 del 2011 affermano che «a partire al 1o gennaio 2012, il regime di cui all'articolo 1, commi da 96 a 117, della legge 24 dicembre 2007, si applica» solo alle persone fisiche che rispetteranno i suddetti nuovi requisiti necessari per l'accesso o la permanenza nel regime agevolato dei contribuenti minimi. Poiché il comma 113 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 2007 che prevede che «i contribuenti minimi sono esclusi dall'applicazione degli studi di settore d i cui all'articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427» si applica solo a tali soggetti, ne deriva che gli «ex minimi» saranno soggetti alle norme sugli studi di settore;
sussistono dubbi circa l'assoggettamento dei soggetti «ex minimi» alle norme sugli studi di settore;
non è chiaro per quale motivo lo stesso soggetto fosse prima stato esentato dall'applicazione degli studi di settore, vista la ridottissima condizione organizzativa ed economica, mentre adesso, nonostante tali condizioni non siano variate, gli studi di settore si rendono nuovamente applicabili;
in base alle precisazioni dell'amministrazione finanziaria i soggetti «ex minimi» possono essere ugualmente non assoggettati agli studi di settore se si avvalgono delle disposizioni previste per la cosiddetta marginalità economica;
l'Agenzia delle entrate ha predisposto un elenco, aperto e integrabile, delle cause che giustificano l'eventuale non congruità dei ricavi o dei compensi dichiarati rispetto alle risultanze degli

studi di settore. Tale elenco, peraltro, fornisce descrizioni sintetiche di circostanze delineate nelle circolari n. 31/E del 22 maggio 2007 e n. 38/E del 12 giugno 2007, sebbene si preoccupi di dettagliare alcune specifiche fattispecie. Al riguardo, l'amministrazione finanziaria ha precisato che, nell'ambito delle giustificazioni sopra ricordate, è possibile far valere, ad esempio, la marginalità economica dell'attività svolta con riguardo, in particolare: a) alle ridotte dimensioni della struttura; b) all'assenza di personale dipendente e di collaboratori; c) allo scarso potere contrattuale nei confronti di imprese committenti; d) alla ridotta articolazione del processo produttivo;
le ridotte dimensioni, l'assenza di personale e altro corrispondono alle caratteristiche dei soggetti minimi che, per l'appunto, esercitando un'attività del tutto marginale, erano stati esentati dalla comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore;
la condizione di marginalità economica costituisce causa giustificativa di non congruità dei ricavi o dei compensi dichiarati rispetto alle risultanze degli studi di settore ed ora, nonostante che la modifica legislativa inserisca gli «ex minimi» tra i soggetti per i quali si applicano gli studi di settore, le precisazioni dell'amministrazione finanziaria inducono a ritenere percorribile la strada che esclude l'applicabilità degli studi nei confronti di quei soggetti che per organizzazione e, in generale, per struttura esercitano l'attività in condizioni di marginalità economica;
il regime del beneficio fiscale è applicabile anche oltre il quarto periodo di imposta successivo a quello di inizio attività, ma non oltre il periodo di imposta di compimento del trentacinquesimo anno di età;
appare evidente che il perdurare dell'inserimento degli «ex minimi» tra coloro ai quali si applicano gli studi di settore non può che causare la chiusura di migliaia di attività con forti ripercussioni sociali,


impegna il Governo:


ad assumere iniziative normative affinché:
a) il regime agevolativo resti in vigore alle condizioni previste dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, innalzando l'aliquota dal 5 per cento all'8 per cento;
b) si preveda una deroga del regime agevolativo per le imprese, innalzando l'età del titolare da 35 anni a 40 anni e abbassando il riferimento al fatturato da 30.000 euro a 25.000 euro.
(1-00892)
«Cesario, Moffa, Calearo Ciman, Catone, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel maggio 2008 il Governo ha adottato un pacchetto di misure d'emergenza che conferivano poteri straordinari ai prefetti di Napoli, Roma e Milano per l'adozione di provvedimenti aventi come destinatari i rom residenti nei cosiddetti campi nomadi di Campania, Lazio e Lombardia. Nel maggio 2009 lo stato di emergenza è

stato prorogato fino alla fine del 2010 ed esteso alle regioni del Piemonte e del Veneto;
le predette misure d'emergenza sono state utilizzate per condurre un censimento dei campi nomadi e, conseguentemente, delle persone di etnia rom e sinti residenti in Italia, che ha implicato il rilevamento delle loro impronte digitali, o delle loro fotografie, o dei loro documenti e la creazione di una o più banche dati rom presso le amministrazioni locali responsabili del censimento. Secondo il Ministero dell'interno, durante il primo anno della cosiddetta «emergenza nomadi», 167 campi rom sono stati soggetti al censimento e sono stati compiuti controlli d'identità su 12.346 persone, di cui 5.436 erano minori. Il censimento è proseguito nel 2009 e 2010 con l'estensione dell'emergenza ad altre due regioni. Il Ministero, dopo le garanzie fornite all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e alla Commissione europea con le linee guida del luglio 2008, non ha mai riferito su quale sia stato e quale sarà l'impiego dei dati personali sensibili raccolti;
dal mese di dicembre 2009, le autorità amministrative del comune di Roma, in accordo con il prefetto-commissario, hanno avviato le procedure di raccolta di rilievi dattiloscopici e fotografici finalizzate: 1) al rilascio della tessera Dast, necessaria agli abitanti per poter risiedere negli insediamenti autorizzati; 2) alla richiesta di protezione internazionale, necessaria per regolarizzare la posizione giuridica al fine di rilasciare - sussistendone i presupposti - il permesso di soggiorno per motivi umanitari;
la procedura è stata decisa con l'intento dichiarato di risolvere il problema dello status giuridico degli apolidi di fatto che non sono in possesso di alcun documento, peraltro chiedendo a questi «cittadini di nessun paese» il passaporto per poter rilasciare loro il permesso di soggiorno;
secondo le informazioni fomite all'Associazione 21 luglio (associazione per la difesa dei diritti umani) da un vice-prefetto della prefettura di Roma, queste operazioni, fino al 31 luglio 2011, hanno coinvolto tutti gli abitanti degli insediamenti formali di Salone, Gordiani, Camping River, Candoni, Castel Romano, Cesarina, Lombroso, il centro di via Salaria e gli insediamenti sgomberati e da sgomberare: ex Casilino 900, ex La Martora e Foro Italico. Secondo la stessa fonte, al 31 luglio 2011, «le persone richiedenti protezione internazionale sono state 693. Di queste richieste, 327 istanze sono risultate incomplete (per lo più carenti della necessaria documentazione); 119 sono stati i permessi di soggiorno rilasciati per motivi umanitari; 56 sono stati invece quelli rifiutati; 57 richiedenti sono in attesa di essere convocati dalla competente Commissione territoriale per il colloquio; 134 sono le persone cui notificare la decisione della predetta Commissione»;
i rilievi dattiloscopici e fotografici sono stati utilizzati in entrambe le procedure e hanno però riguardato non solo gli apolidi di fatto, ma anche coloro che erano già in possesso di un documento di identificazione, i rom cittadini italiani, i rom in possesso della cittadinanza di uno dei Paesi membri dell'Unione europea e i rom in possesso di un permesso di soggiorno (o che in passato lo avevano ottenuto) cittadini di un Paese terzo;
in due casi sono stati riportati episodi che hanno visto il coinvolgimento di minori con età inferiore a 14 armi nella procedura di raccolta dei dati dattiloscopici e fotografici;
secondo la documentazione raccolta dall'Associazione 21 luglio, nelle suddette procedure di raccolta dati sono state interessate esclusivamente persone appartenenti alle comunità rom e sinte. I rom sono stati il più delle volte accompagnati con un mezzo della società di trasporto pubblico (Atac) negli uffici della questura di Roma - ufficio immigrazione - di via Teofilo Patini a Roma presso uno sportello a loro dedicato dove è stato apposto un cartello con la scritta «Sportello Nomadi-No

asilo politico». Presso questo ufficio sono state rilevate le impronte digitali d ciascuno individuo rom con una età superiore a 14 anni. Sono state scattate foto alla stessa persona, da sola e insieme all'intero gruppo familiare. I bambini con età inferiore a 14 anni sono stati fotografati con i genitori. Secondo alcune testimonianze è stata rilevata l'altezza di ogni persona. Tre persone rom intervistate hanno affermato che è stata registrata anche l'eventuale presenza e tipologia di tatuaggi. In due casi è stato riportato il coinvolgimento di minori con età inferiore a 14 anni nella raccolta di impronte digitali;
durante le operazioni che hanno coinvolto gli abitanti dell'insediamento di Casilino 900, effettuate fra il dicembre 2009 e il gennaio 2010, un gruppo di montenegrini non-rom abitanti nel campo, non è stato coinvolto nelle procedure di raccolta foto e impronte digitali che sono state invece utilizzate per i rom abitanti del campo. Inoltre un gruppo familiare di rom con cittadinanza italiana, abitante nello stesso campo, che aveva rifiutato di sottoporsi alle procedure di raccolta dei rilievi dattiloscopici e fotografici, non ha potuto partecipare al trasferimento in un altro insediamento formale e non è stata proposta una sistemazione alternativa;
nel corso di una visita effettuata dagli osservatori dell'Associazione 21 luglio presso l'insediamento Tor de Cenci a Roma una donna non rom con cittadinanza italiana - abitante nel campo e sposata con un rom con cittadinanza macedone anch'egli residente nello stesso insediamento - ha affermato di aver potuto non partecipare alla procedura di raccolta dei rilievi dattiloscopici e fotografici perché non appartenente alla comunità rom mentre altri abitanti rom, con cittadinanza italiana, dello stesso campo hanno dovuto seguire la procedura per poter ottenere di risiedere in un «villaggio attrezzato» previsto dal piano nomadi;
le informazioni sono state archiviate in un ambiente appositamente realizzato all'interno dell'ufficio stranieri della questura di Roma. Durante il monitoraggio delle operazioni di raccolta dei rilievi dattiloscopici e fotografici un ricercatore dell'Associazione 21 luglio presso l'ufficio immigrazione della questura di Roma, ha potuto brevemente visionare una scheda sui cui ha potuto leggere: «Titolo scheda - Task Force Nomadi; campi per l'inserimento di nome, cognome, insediamento di provenienza e numero di accesso allo sportello "per nomadi"»;
le linee guida del 17 Luglio 2008 («Linee guida per l'attuazione delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 maggio 2008, nn. 3676, 3677 e 3678, concernenti insediamenti di comunità nomadi nelle regioni Campania, Lazio e Lombardia») affermano quanto segue: «Principi fondamentali. L'attuazione delle ordinanze deve avvenire nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della persona, in conformità con i principi generali dell'ordinamento giuridico e delle direttive comunitarie, come espressamente richiamato nell'articolo 3 dei provvedimenti. In tal senso, le operazioni demandate ai Commissari non devono riguardare specifici gruppi, soggetti, o etnie, ma tutti coloro che risultano presenti negli insediamenti, autorizzati od abusivi che siano, qualunque sia la nazionalità o il credo religioso. Sarà cura dei Commissari procedere in modo da escludere effetti che possono essere considerati direttamente o indirettamente discriminatori [...]»;
per quanto riguarda le procedure di raccolta dei rilievi dattiloscopici e fotografici le stesse linee guida stabiliscono: «Identificazione. Per garantire la necessaria identificazione - a tutela del diritto all'identità della persona - le ordinanze prevedono che si possa procedere, anche nei confronti dei minori e in relazione alle esigenze sopra richiamate, a rilievi segnaletici. Tale modalità comprende, com'è noto, diverse forme di riconoscimento (descrittive, fotografiche, dattiloscopiche e antropometriche). Pur restando nella discrezionalità dei commissari determinare

quale forma di riconoscimento sia da adottare, in relazione alla finalità di rendere certa l'identificazione, va aggiunto che i rilievi dattiloscopici devono essere effettuati, secondo le ordinarie procedure previste dalla legislazione vigente, nei casi in cui l'identificazione, che deve essere certa, non sia altrimenti possibile in base a documenti disponibili e circostanze attendibili, sulla base di quanto previsto dal Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e relativo regolamento di esecuzione [...]»;
le linee guida affermano espressamente che «Tutti i rilievi effettuati non dovranno essere oggetto di alcuna raccolta autonoma, bensì saranno conservati negli archivi già previsti dall'ordinamento come, ad esempio, l'archivio stranieri della questura e della prefettura, per coloro che avviano la pratica per il permesso di soggiorno, o quello della cittadinanza per coloro che ne richiedono il riconoscimento»;
il prefetto-commissario Giuseppe Pecoraro, aveva dichiarato in una intervista a un ricercatore dell'Associazione 21 luglio, nel gennaio 2010, che la procedura di raccolta dei rilievi dattiloscopici e fotografici riguardanti le comunità rom e sinte a Roma sarebbe servita a «dividere i buoni dai cattivi». Dai riscontri effettuati con un'indagine svolta dall'Associazione 21 luglio tra il dicembre 2009 e il gennaio 2012 appare evidente come tale procedura violi le norme nazionali e internazionali in materia di discriminazione etnica o razziale;
ed invero le operazioni di raccolta dei rilievi dattiloscopici e fotografici effettuati all'interno degli insediamenti romani hanno riguardato esclusivamente rom e sinti al di là del loro status giuridico. Sotto l'apparente copertura fornita dalla definizione di «nomadi» sono stati interessati dalla procedura solo e tutti i componenti delle comunità rom e sinte dei campi oggetto delle operazioni delle forze di polizia;
l'identificazione ha riguardato i rom e i sinti a prescindere dalla presenza dei requisiti normativi tassativamente indicati dall'articolo 4 R.D. n. 773 del 1931 Testo unico pubblica sicurezza secondo cui: «L'autorità di pubblica sicurezza ha facoltà di ordinare che le persone pericolose o sospette e coloro che non sono in grado o si rifiutano di provare la loro identità siano sottoposti a rilievi foto segnaletici». Le persone rom intervistate spesso hanno riferito di essersi sentiti direttamente o indirettamente costrette a sottoporsi alla procedura di raccolta di impronte e fotografie. L'alternativa sarebbe stata quella di non poter continuare ad avere un alloggio nell'insediamento informale che sarebbe stato da lì a poco sgomberato o all'interno di un «villaggio attrezzato». A fronte delle 5.000 persone rom sottoposte alle procedure, al 31 luglio 2011 sono stati solo 119 i permessi di soggiorno per motivi umanitari rilasciati dalla questura di Roma. Secondo i riscontri effettuati, al termine della procedura di richiesta protezione internazionale molti rom apolidi di fatto e quindi evidentemente impossibilitati a ottenere un qualsiasi documento che attesti la loro identità non hanno potuto ottenere dalla questura di Roma il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari perché privi del passaporto;
sono stati rilevati dati, la cui raccolta non è legittimata da alcuna forma di censimento o identificazione in base alla normativa italiana, in particolare tramite foto che coinvolgono l'interno gruppo familiare o i minori di 14 anni congiuntamente ai genitori. Esiste la possibilità che tali operazioni abbiano permesso la creazione di una banca dati con le informazioni archiviate in un ambiente appositamente realizzato all'interno dell'ufficio stranieri della questura di Roma e con una procedura esclusivamente predisposta per le persone rom e sinte e diversa dal resto della popolazione e di coloro che richiedono la protezione internazionale;
il termine informale «censimento», utilizzato delle autorità locali e dai media per individuare tali procedure di raccolta e archiviazione di impronte e foto delle persone rom e sinte a Roma, sembra agli

interroganti voler dunque nascondere il reale intento delle operazioni: un'identificazione e schedatura di massa di rom e sinti realizzate su base etnica;
l'Associazione 21 luglio, in un memorandum inviato il 31 gennaio 2012 al CERD (The Committee on the Elimination of Racial Discrimination) delle Nazioni Unite, in base alla documentazione prodotta ha chiesto alle autorità competenti, senza ricevere ad oggi nessuna risposta: a) la chiusura dello sportello, ubicato a Roma presso i locali dell'ufficio immigrazione della questura, dedicato esclusivamente alla procedura di raccolta e archiviazione dei rilievi dattiloscopici e fotografici che ha coinvolto le comunità rom e sinte; b) attraverso il coinvolgimento del garante per la protezione dei dati personali, la cancellazione di tutti i dati che sono stati raccolti in base alla dichiarazione dello stato di emergenza a prescindere dalla comprovata legittimità in sede giudiziaria, caso per caso, della procedura posta in essere;
a giudizio della prima firmataria del presente atto la creazione di una o più banche dati sui rom tramite la raccolta e il trattamento di dati sensibili di natura etnica riguardanti i soli rom viola il codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e l'articolo 8 della direttiva europea 95/46/CE sulla protezione dei dati personali, che vieta ai Governi di raccogliere informazioni sull'origine razziale senza un obiettivo dichiarato e senza adeguate tutele. In Italia i dati sono stati ottenuti senza consenso informato o chiara necessità e con il coinvolgimento ad avviso degli interroganti intimidatorio e illegittimo delle Forze di polizia e dell'esercito, in violazione del diritto al rispetto della vita privata e all'abitazione garantito dall'articolo 8 della CEDU e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea -:
se il Governo intenda verificare il rispetto da parte dell'autorità amministrativa delle ordinanze di attuazione connesse alla dichiarazione dello stato di emergenza del 21 maggio 2008 e delle linee guida emanate dal Ministero dell'interno il 17 luglio 2008;
se le identificazioni effettuate dopo l'adozione delle linee guida del 2008 e nel contesto dell'estensione temporale e geografica dell'emergenza nomadi (2009-2010) siano avvenute in ottemperanza alle garanzie di consenso informato e libero e di anonimato dei dati etnici richieste dalla legge;
se le autorità incaricate della raccolta e del trattamento di tutti i dati personali acquisiti nei campi nomadi dal 2008 in poi siano le stesse identificate come responsabili dell'attuazione delle misure emergenziali;
se i dati del censimento dei nomadi siano accessibili e modificabili da parte delle persone censite e con quali modalità;
se i dati siano mantenuti per un obiettivo specifico, e quale esso sia;
se i dati siano stati utilizzati ad oggi, con quale obiettivo e in quale forma (anonima o meno);
se il Governo intenda verificare la presenza dello sportello «per nomadi» all'interno della, questura di Roma e, se del caso, se non intenda disporne l'immediata chiusura alla luce del memorandum inviato il 31 gennaio 2012 dall'Associazione 21 luglio al CERD (The Committee on the Elimination of Racial Discrimination) delle Nazioni Unite;
se il Governo intenda verificare il rispetto da parte dell'autorità amministrativa della sentenza del Consiglio di Stato del 16 novembre 2012 con la quale è stato annullato lo stato di emergenza decretato il 21 maggio del 2008 con le ordinanze nn. 3676, 3677 e 3678, concernenti insediamenti di comunità nomadi nelle regioni Campania, Lazio e Lombardia e tutti i provvedimenti ad esso connessi.
(4-15107)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il 26 gennaio 2012 la trasmissione «gli intoccabili» in onda sulla rete La7 condotta dal giornalista Gianluigi Nuzzi, autore del famoso bestseller Vaticano spa, ha fatto vedere una lettera confidenziale scritta 30 settembre 2011 dal presidente dello IOR, Ettore Gotti Tedeschi al segretario di Stato del Vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone nella quale delinea la strategia concordata con il Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore Giulio Tremonti per limitare i danni per Italia e Vaticano dall'azione europea sul fronte dell'Ici. Successivamente non hanno reagito né il Ministro pro tempore Tremonti né la Santa Sede la quale ha invece reso pubblico il 9 febbraio un lungo comunicato in relazione alla puntata de «gli intoccabili» del giorno precedente peraltro oggetto dell'interrogazione 4-14897 del 14 febbraio;
il contenuto della lettera è il seguente:
«RISERVATO E CONFIDENZIALE - SINTESI DEL PROBLEMA ICI (Memoria per SER il Card. Tarcisio Bertone, suggeritami riservatamente dal Ministro del Tesoro). Su denuncia del mondo radicale (2005) la Comunità Europea viene spinta a contestare l'esenzione ICI sugli immobili della Chiesa non utilizzati per fini religiosi, pertanto quelli "commerciali", cioè scuole, collegi, ospedali, eccetera... (esclusi quelli che ricadono sotto il Trattato dei patti Lateranensi). Nel 2010 la CE avvia una procedura contro lo Stato italiano per "aiuti di stato" non accettabili alla Chiesa Cattolica. Detta procedura evidenzia oggi una posizione di rischio di condanna per l'Italia e una conseguente imposizione di recupero delle imposte non pagate dal 2005. Dette imposte deve pagarle lo Stato italiano che si rifarà sulla CEI (si suppone), ma non è chiaro con chi per Enti e Congregazioni. Poiché la Commissione Europea non sembra disponibile a cambiare posizione, ci sono tre strade percorribili:
abolire le agevolazioni ICI (Tremonti non lo farà mai);
difendere la normativa passata limitandosi a fare verifiche sulle reali attività commerciali e calcolare il valore "dell'aiuto di Stato" dato (non è sostenibile);
modificare la vecchia norma che viene contestata dalla Comunità Europea (articolo 7, comma bis, decreto-legge n. 203 del 2005, che si applicava ad attività che avessero "esclusivamente" natura commerciale). Detta modifica deve produrre una nuova norma che definisca una CATEGORIA per gli edifici religiosi e crei un CRITERIO di classificazione e definizione della natura commerciale (secondo superficie, tempo di utilizzo e ricavo).
Si paga pertanto ICI al di sopra di un determinato livello di superficie usata, di tempi di utilizzo, di ricavo. In funzione cioè di parametri accettati che dichiarano che un edificio religioso è commerciale o no. A questo punto la Cei (e chi altri?) accetta la nuova procedura. Detta accettazione fa decadere le richieste pregresse (dal 2005 al 2011) e la Comunità Europea (Almunia) deve accettarle. Il tempo disponibile per interloquire è molto limitato. Il responsabile della Cei che finora si è occupato della procedura è mons. RIVELLA. Ci viene suggerito di incoraggiarlo ad accelerare un tavolo di discussione conclusiva dopo aver chiarito la volontà dei vertici della Santa Sede. L'interlocutore all'interno del Ministero delle Finanze è Enrico Martino (nipote del Cardinale Martino). Io posso suggerire come interloquire con il Commissario Almunia affinché ci possa lasciare un po' di tempo (fino a fine novembre) e non acceleri la conclusione della procedura. (Ettore Gotti Tedeschi - 30 settembre 2011)»;
il 19 febbraio 2012 sul quotidiano Il fatto quotidiano è stato pubblicato l'articolo «Santa ICI: il nipote del Cardinale»

di Marco Lillo il quale, in relazione alla lettera di cui sopra, fa le seguenti considerazioni:
nella lettera si legge che «L'interlocutore all'interno del Ministero delle Finanze è Enrico Martino (nipote del Cardinale Martino)» il quale, scrive Marco Lillo, «è il direttore generale per i rapporti internazionali del Dipartimento Finanze, cioè l'uomo che dovrebbe curare gli interessi dello Stato italiano nella partita dell'Ici sugli immobili della Chiesa. Questo 46enne esperto di fisco però è anche il nipote del cardinale Renato Raffaele Martino, fino al 2009 Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e dal 2010 Gran Priore del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. Martino jr ovviamente non cura solo le questioni fiscali tra Italia e Santa Sede ma tutte le trattative tra il nostro Paese e quelli stranieri»;
scrive ancora Marco Lillo, «Il banchiere spiega poi a Bertone quali sono le mosse concordate con Tremonti (allora Ministro) per evitare che Stato italiano chieda indietro l'Ici sugli anni 2005-2011: "Modificare la vecchia norma che viene contestata dalla Comunità Europea per produrre una nuova norma che definisca una categoria per gli edifici religiosi e crei un criterio di classificazione e definizione della natura commerciale (secondo superficie, tempo di utilizzo e ricavo)"»;
in pratica Gotti Tedeschi perora un compromesso onorevole che eviti guai peggiori. La rinuncia concordata al regime attuale più favorevole frutterebbe alla Santa Sede una sorta di sanatoria per il periodo che va dal 2005 al 2011 -:
se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e se e quali iniziative intenda assumere.
(4-15113)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il 14 novembre 2010 il programma televisivo della Rai «Report» trasmetteva un servizio di Bernardo Iovene sulle autorità indipendenti;
successivamente, sulla base delle notizie trasmesse, il Codacons ha depositato alla procura della Repubblica di Roma e alla Corte dei conti un esposto chiedendo di fare chiarezza su alcuni aspetti emersi nel corso del programma. In particolare, nel mirino dell'associazione sono finite le dichiarazioni di una dipendente della sede romana dell'Autorità per le comunicazioni, che avrebbe ammesso di percepire da quasi 5 anni un ottimo stipendio senza però svolgere alcun lavoro e alcuna mansione in seno all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, percependo quindi soldi solo per «scaldare la sedia». E come lei - stando sempre alle affermazioni della donna - almeno la metà dei dipendenti della sede di Roma dell'Autorità si troverebbero nelle medesime condizioni;
il 24 febbraio 2012 sul quotidiano «il fatto quotidiano» è stato pubblicato l'articolo «Stipendi d'oro e assunzioni a chiamata diretta, la Corte dei conti indaga sui dirigenti Agcom» di Valeria Pacelli;
dall'articolo si apprende che nel mese di settembre 2011 alcuni sindacati con rappresentanza in Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - albi - Confsal, la Federazione autonoma lavoratori Banca d'Italia, e della Sibc-Fisav, la federazione indipendente sindacati autorità vigilanza - hanno presentato alla Corte dei conti una dettagliata denuncia;
in detta denuncia si spiegano i meccanismi di inserimento in Autorità per le garanzie nelle comunicazioni «Coloro che vengono distaccati presso le autorità indipendenti hanno diritto a una specifica indennità aggiuntiva rispetto alla retribuzione erogata dall'amministrazione di provenienza, il cui importo è pari al 50 per cento della retribuzione riconosciuta al dipendente presso l'amministrazione di provenienza, al netto dell'indennità integrativa speciale». Il che vuol dire che bisogna parificare gli stipendi a quelli di

un parigrado che in quegli uffici già ci lavora e che quindi non è stato chiamato dall'esterno. Questo «per consentire una perequazione al personale dipendente Agcom che svolge medesime funzioni». Nella denuncia si parla di 19 dipendenti inseriti con chiamata diretta a fine 2010, alcuni in posizioni «anomale» alle quali è risultata essere riconosciuta l'indennità perequativa del 50 per cento, pure se il contratto di riferimento di provenienza è lo stesso di quello previsto per il personale dell'Autorità, in palese difformità con gli esiti di una precedente interrogazione parlamentare. Il riferimento è alla risposta che il 24 novembre del 2009 il Ministro pro tempore Brunetta diede all'interrogazione presentata dal senatore Elio Lannutti: «Sembrano mancare i presupposti per procedere all'equiparazione delle citate indennità, posto che il personale delle due autorità indipendenti percepisce un identico trattamento economico, parametrato su quello della Banca d'Italia». Insomma per i sindacati denuncianti quell'aumento del 50 per cento non era dovuto -:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se e quali iniziative di carattere normativo intenda adottare al fine di evitare, nel quadro del necessario contenimento della spesa pubblica e della promozione dell'efficienza e dell'economicità dell'operato della pubblica amministrazione, le disposizioni di risorse anche con riferimento alle autorità amministrative indipendenti.
(4-15114)

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AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:

MURER. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la Cooperazione italiana è presente ad Herat dal 2005 allo scopo di aiutare la ricostruzione del Paese dopo la caduta del regime dei talebani; dalla seconda metà del 2009, il Ministero degli affari esteri ha fatto obbligo agli esperti di risiedere all'interno di un compound messo in sicurezza con fondi del Ministero stesso;
il Ministero della difesa ed i competenti uffici del Ministero affari esteri hanno certificato che la struttura presentava le caratteristiche di sicurezza necessarie a permettere agli esperti di dimorarvi; nel giugno del 2011 il contratto di locazione per il medesimo complesso è stato rinnovato per un ulteriore periodo di 10 anni ed una spesa prevista complessiva nel decennio di circa 800.000 dollari;
in considerazione della forte presenza del contingente italiano nella Regione Ovest (di cui la provincia di Herat fa parte) il Ministero degli affari esteri ha dato indicazioni di concentrare gli interventi di cooperazione in quell'area;
in prospettiva del ritiro delle forze militari nel 2014 è in corso un processo di transizione che dovrebbe portare l'amministrazione governativa afgana ad operare su tutto il territorio; in questo contesto nella regione la presenza della cooperazione civile italiana è strumento fondamentale per dare alla popolazione afgana un'immagine direttale tangibile di ritorno alla normalità dopo anni di guerra;
i programmi della Cooperazione italiana, in accordo con le finalità stabilite dalla legge istitutiva n. 49 del 26 febbraio 1987, mirano a migliorare concretamente le condizioni di vita delle popolazioni con interventi a breve, medio e lungo termine finalizzati soprattutto al sostegno diretto delle comunità; in questa prospettiva dal gennaio del 2011 il numero dei programmi e degli esperti settoriali operanti ad Herat sono considerevolmente aumentati con conseguente rilevante aumento dell'impegno finanziario del Ministero degli esteri italiano;
pur rimanendo la sicurezza un valore di riferimento, essa non sarà mai assoluta in un teatro di guerra come è l'Afghanistan e, di conseguenza, una ragionevole

dose di rischio è inevitabile da parte di chi vi si reca liberamente come operatore allo sviluppo;
il 30 maggio il (provincial reconstruction team) (PRT) di Herat ha subito un attentato, che però non ha coinvolto direttamente l'ufficio della Cooperazione italiana, collocato altrove; al momento dell'attentato al PRT di Herat l'avvio dei nuovi programmi era entrato in fase esecutiva e la cooperazione italiana aveva ritrovato una salda immagine di affidabilità e di prestigio dopo le difficoltà sperimentate in precedenza;
nella tarda serata dello stesso giorno, dell'attentato il capo della componente civile avrebbe disposto l'evacuazione forzata del personale italiano, pur contro l'espressa volontà di alcuni esperti, presso la base del comando militare regionale di Herat ed avendo avocato a sé ogni decisione in merito;
perdurando l'indecisione circa un rientro degli esperti nella sede di Herat da parte degli organi centrali del Ministero degli affari esteri, la condizione di stretto confino in condizioni di lavoro oltremodo precarie sarebbe stata protratta ad oltranza, contro l'espressa volontà di taluni di essi, anche dopo che il 12 giugno 2011 le condizioni di sicurezza sarebbero rientrate formalmente nella normalità e di conseguenza le attività delle altre organizzazioni internazionali (e tra queste le organizzazioni non governative italiane) erano normalmente riprese;
in data 25 giugno 2011 sarebbe giunta comunicazione da parte del direttore generale della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri che era autorizzato, per chi lo volesse, il rientro nell'ufficio di Herat previa sottoscrizione di una lettera liberatoria da ogni responsabilità nei confronti della pubblica amministrazione ed avrebbe invitato il direttore UTL a prendere i provvedimenti al riguardo;
nonostante ciò, parrebbe che il capo della componente civile abbia ritenuto di non doversi attenere a quanto disposto - osteggiando anzi fortemente il personale che vi aveva formalmente aderito - incurante del fatto che questa situazione avrebbe pregiudicato l'immagine della Cooperazione italiana (e quindi il ruolo di guida dell'Italia), decretandone di fatto la fine dei programmi appena avviati -:
di quali elementi disponga il Governo;
ove i fatti sopra riportati risultino confermati, se non ritenga che il problema della sicurezza dei locali dell'ufficio di cooperazione di Herat sia stato sottovalutato durante i controlli e le verifiche che autorizzarono a suo tempo il trasferimento della Cooperazione italiana nella nuova sede; per quali motivi, nonostante un rigido protocollo di sicurezza che ha limitato in modo sostanziale la libertà di movimento degli esperti cooperatori operanti ad Herat, a detto personale siano stati fatti sempre mancare i presidi pur ritenuti formalmente necessari ad uno standard di sicurezza accettabile (elmetti, radio, giubbotti antiproiettile, veicoli blindati, e altro); per quale motivo, anche quando il Ministero ha autorizzato il rientro ad Herat a certe condizioni per riprendere normalmente il lavoro, la disposizione non sia stata fatta eseguire; perché attualmente, a molti mesi dall'attentato, l'ufficio della cooperazione italiana di Herat continui ad essere solo parzialmente operativo e le missioni degli esperti selettivamente bloccate; se tutto ciò rappresenti un cambio di strategia del Governo italiano nei confronti del nostro impegno civile in Afghanistan, con l'effetto di sbilanciare ingiustificatamente l'intervento italiano a tutto favore della componente militare, oppure sia solo il frutto di una cattiva gestione di una vicenda pur delicata che poteva però essere affrontata in modo ben diverso e più rispettoso dello spirito e della lettera della legge.
(4-15112)

AFFARI REGIONALI, TURISMO E SPORT

Interrogazione a risposta scritta:

ZAZZERA. - Al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dal Corrieredelmezzogiorno.it nel pomeriggio del 19 febbraio 2012 presso lo stadio comunale «Riccardo Spina» di Vieste si sarebbero verificati degli scontri al termine dell'incontro di calcio Atletico Vieste-Monopoli valevole per il campionato regionale di eccellenza;
all'incontro erano presenti circa 400 tifosi, di cui 100 del Monopoli; proprio questi ultimi, secondo quanto riportato dalla stampa, sin dall'inizio della partita hanno mostrato il loro malcontento nei confronti della società calcistica viestana che avrebbe negato loro uno sconto sul biglietto d'ingresso a detta dei presenti troppo costoso, tanto da indurre gran parte dei tifosi ospiti a rimanere fuori dallo stadio sino al termine della partita;
l'incontro si è concluso con la vittoria della compagine ospite con il risultato di 1-2;
al termine dell'incontro, fuori dallo stadio sarebbero iniziati i tafferugli tra i tifosi, placati non senza difficoltà dalle forze dell'ordine;
tra i feriti infatti, vi sarebbero anche cinque militari i quali avrebbero riportato lesioni guaribili dai 5 ai 7 giorni;
un uomo di Monopoli è stato denunciato, mentre altri quattro sono stati arrestati con l'accusa di resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale;
conseguentemente, l'assessore allo sport Gaetano Zaffarano avrebbe dichiarato l'intenzione del comune di Vieste di costituirsi parte civile e di offrire il patrocinio gratuito a chi ha subito danni fisici e/o materiali, nonché al gruppo sportivo Atletico Vieste;
secondo quanto risulta all'interrogante, lo stadio «Rocco Spina» di Vieste avrebbe delle carenze strutturali, in quanto privo del settore ospiti e di un parcheggio adeguato per il numero di tifosi. Le gradinate dello stadio inoltre non sarebbero fornite di vie di fuga necessarie a garantire la sicurezza durante gli incontri calcistici;
in occasione della partita Vieste-Monopoli, infine, il servizio d'ordine si sarebbe dimostrato insufficiente rispetto al numero di spettatori ospiti giunti e la società ospitante non avrebbe garantito le opportune condizioni di sicurezza finalizzate a prevenire ogni possibile contatto tra le due tifoserie -:
se il Ministro intenda chiarire i fatti riportati in premessa, se lo stadio «Rocco Spina» di Vieste rispetti la normativa in materia di sicurezza degli impianti sportivi e se il servizio d'ordine assicurato in occasione della partita Vieste-Monopoli sia stato adeguato rispetto al numero degli spettatori;
se il gruppo sportivo Atletico Vieste abbia rispettato tutte le procedure di sicurezza al fine di prevenire ed evitare incidenti in occasione della partita di cui in premessa.
(4-15101)

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:

EVANGELISTI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 17 dicembre 2011, nell'area del Banco di Santa Lucia, ad ovest dell'isola di Gorgona, dalla nave cargo «Venezia» della Grimaldi Lines, a causa di una violenta

tempesta, sono caduti in acqua 198 bidoni contenenti sostanze tossiche e altamente infiammabili al contatto con l'aria (si tratta, come ha rilevato la capitaneria di porto Livorno, di catalizzatore a base di nichel molibdeno (solido inorganico autoriscaldante, tossico N.O.S.-classe IMO 4.2 - UN 3191) di cui non è ancora chiaro quale sia il livello di pericolosità;
in tal senso, a parere dell'interrogante, le iniziali rassicurazioni, piuttosto sommarie, sono apparse del tutto insufficienti sia per la vaghezza dei resoconti da parte delle autorità competenti sia per i ritardi nel recupero del pericoloso materiale disperso in mare, dopo quasi un mese dall'incidente, che sembra sia pari a un totale di 40 tonnellate depositate sui fondali del Tirreno, all'interno del parco nazionale dell'arcipelago toscano, cioè nel cuore del Santuario internazionale di mammiferi marini Pelagos;
nei confronti dell'armatore Grimaldi è partita comunque una diffida affinché si impegnasse a ritrovare e rimuovere dal mare i fusti; peraltro, dopo tale intimazione, la compagnia ha presentato il 20 gennaio 2012 il piano per le operazioni di individuazione, mappatura ed eventuale recupero dei relitti del carico perso in mare dall'Eurocargo Venezia, con incarico affidato alla società Castalia;
la capitaneria di porto di Livorno, successivamente, ha diramato un'ordinanza con la quale si informava che a partire dalle ore 8.00 del 4 febbraio 2012 e per la durata presunta di circa 30 giorni, sarebbero state eseguite le operazioni di cui al citato piano;
dai primi risultati delle rilevazioni effettuate mediante tecnologie robotiche è stato possibile individuare sul fondale del Tirreno un primo gruppo di diverse decine di fusti, alcuni dei quali si sarebbero aperti;
tra l'altro si apprende, da agenzie stampa, che potrebbe essere stato anche il tentativo di evitare una collisione con un'altra nave che aveva la precedenza una delle cause che hanno portato alla caduta in mare dei fusti tossici al largo di Livorno a seguito della brusca accostata della nave della Grimaldi; tale supposizione sarebbe stata avvalorata dai primi risultati dell'inchiesta condotta dalla procura di Livorno, convinta che a causare l'incidente sarebbe stata la somma di due cause: il rischio collisione insieme alla burrasca che quel 17 dicembre 2011 si è abbattuta sulla costa toscana, con venti a circa 130 orari -:
di quali informazioni disponga in merito a quanto esposto in premessa;
quali iniziative di competenza sia state messe in atto per escludere definitivamente qualsiasi rischio per la salute dei cittadini e dell'ambiente;
come intenda tenere informati i cittadini su quali siano realmente le sostanze solide inorganiche autoriscaldanti disperse in mare e circa i rischi che si paventino, atteso che le uniche notizie in merito attualmente si possono desumere unicamente da fonti giornalistiche;
quali iniziative, per quanto di competenza, siano state adottate al fine di accertare la dinamica e le responsabilità dell'incidente e determinare l'impatto di questo ennesimo inquinamento marino, in modo da impedire che esso abbia gravi ripercussioni sull'area marina protetta.
(4-15108)

TESTO AGGIORNATO AL 28 FEBBRAIO 2012

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VII Commissione:

CARLUCCI e CAPITANIO SANTOLINI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
l'entrata in vigore del decreto-legge n. 64 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2010 sta

danneggiando le eccellenze italiane riconosciute a livello internazionale costruite con sacrificio e professionalità e sta creando disuguaglianze così da far insorgere quelli che a questa legge sono vincolati;
il decreto-legge sopra citato, infatti, prevede in materia di «permessi artistici» per il personale dipendente dalle Fondazioni lirico sinfoniche la sospensione di ogni possibilità di lavoro autonomo, anche se autorizzato dalla Fondazione di appartenenza;
in tal modo si mortifica la naturale promozione, nel nostro Paese e all'estero, della cultura musicale italiana;
con l'applicazione di questa legge normativa i lavoratori del settore lamentano il rischio di fallire, non solo perché costretti a cancellare concerti e pagare penali, ma anche perché le agenzie non vogliono più un gruppo che non possa rispettare impegni presi;
questo sta facendo perdere loro credibilità e li sta mettendo in una condizione che è impossibile da sostenere: il loro nome, la loro professionalità e correttezza non sono più difendibili; e tutte le contrattazioni su eventi futuri sono ferme;
ciò che si lamenta è che nessuno di questi lavoratori possa protestare con la propria arte, fuori dal proprio orario di lavoro, per far conoscere quello che sta succedendo, perché per poter suonare o cantare si ha bisogno del permesso del teatro che però è impossibilitato a darlo per via della legge n. 100, penalizzando, così, l'arte italiana della musica che è riconosciuta in tutto mondo -:
quali iniziative di competenza, anche di tipo normativo, ritenga opportuno assumere al fine di permettere agli addetti del settore di esercitare la propria professione anche fuori dall'orario di lavoro e organizzare un tavolo di trattative per ridiscutere il rinnovo del contratto di lavoro.
(5-06270)

GHIZZONI, DE BIASI e DE PASQUALE. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
in data 31 ottobre 2011, una nota (prot. 0016902 S.37.04.04.14) della direzione generale per lo spettacolo dal vivo ha rammentato alle fondazioni lirico-sinfoniche la speciale disposizione contenuta nel primo comma dell'articolo 3 della legge 29 giugno 2010, n. 100, in base alla quale, in carenza della sottoscrizione del contratto collettivo di lavoro, le prestazioni di lavoro autonomo sono vietate dal 1° gennaio 2012;
in data 19 gennaio 2012, la circolare del direttore generale del Ministero per i beni e le attività culturali, Salvatore Nastasi, indirizzata ai presidenti dei collegi dei revisori dei conti e ai sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche, specifica che tutte le prestazioni relative all'area per la quale il lavoratore è inquadrato (area artistica o tecnico-amministrativa) rese al di fuori della fondazione, sia nelle sue giornate di impegno lavorativo, anche se non retribuite, sia nel periodo in cui il lavoratore si trova nella situazione di mera «disponibilità» per il teatro, contrastando la ratio della norma, non possono essere autorizzate dagli amministratori;
l'articolo 3 della legge 29 giugno 2010, n. 100, precisa che restano ferme le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274 e 508 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, e quelle di cui all'articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992 n. 498;
l'articolo 267 del decreto 16 aprile 1994, n. 297, chiarisce che il divieto di cumulo di impieghi di cui all'articolo 508 non si applica al personale docente dei conservatori di musica e delle accademie di belle arti;

l'articolo 9 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, prevede che coloro che vengono a trovarsi in situazioni di incompatibilità possono optare entro 30 giorni per la trasformazione del rapporto in contratto a tempo determinato di durata biennale e che le attività di lavoro autonomo o professionale svolte dai dipendenti a tempo indeterminato sono consentite - a carattere saltuario - per prestazione di alto valore artistico e professionale;
i criteri per la concessione delle autorizzazioni sono stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro entro 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge;
in base alla circolare del 19 gennaio 2012, la scuola di musica di Fiesole, dopo 38 anni di attività, si troverebbe nelle condizioni di chiudere le pratiche formative, dalla scuola di base all'Orchestra giovanile italiana ai corsi di perfezionamento, dal momento che il 50 per cento dei suoi docenti sono dipendenti di enti lirici e che la sua struttura giuridica, pur prevedendo un consiglio di amministrazione dove sono presenti il Ministero degli affari esteri, il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, non riceve lo stesso trattamento riservato ai conservatori e alle accademie;
la scuola in questione ha avviato da anni la pratica per essere inserita nel settore dell'alta formazione -:
se in assenza del contratto collettivo nazionale di lavoro e in attesa dell'auspicata riforma della legge 29 giugno 2010, n. 100, non ritenga opportuno sospendere la circolare e demandarne l'oggetto al libero rapporto fra ANFOLS e organizzazioni sindacali.
(5-06271)

ZAZZERA, PALAGIANO e DI PIETRO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi giorni, media nazionali e locali, riportano la notizia dell'alienazione di «Villa a Tritone» a Sorrento, l'immobile più prestigioso della città, che sorge a picco sul Golfo di Napoli;
la villa comprende 12.000 metri quadrati di proprietà, inclusi i resti di una villa romana e una collezione di materiali archeologici con 145 reperti «dettagliatamente descritti nell'elenco allegato al decreto emesso dal Ministero per i beni e le attività culturali che li ha dichiarati di eccezionale interesse storico e archeologico»;
questa meravigliosa villa costituisce un caposaldo della storia della penisola sorrentina e della Repubblica italiana; incarnazione del mito delle sirene e leggendaria destinazione del poeta Ovidio, poi, più recentemente meta di pellegrinaggio di Torquato Tasso, nonché sede e dimora, negli anni, di politici, letterati, storici e filosofi tra i quali meritano essere segnalati Palmiro Togliatti e Benedetto Croce, che vi abitò dal 1943 al 1945;
dagli anni '70 la villa, detta anche «villa Astor», è residenza di una famiglia di ricchi armatori sorrentini, che l'hanno gestita e ne hanno curato la manutenzione per tutti questi anni, ma che oggi hanno deciso di alienare questo importante pezzo del patrimonio culturale di Sorrento, vendendolo ad una famiglia russa;
in particolare, con atto pubblico di compravendita ricevuto, in data 19 gennaio 2012, lo storico complesso immobiliare è stato venduto per il prezzo complessivo di euro 35.320.000,00 ad una famiglia russa. Una cifra molto elevata, sulla cui provenienza è necessaria la massima trasparenza, anche in base al decreto legislativo n. 231 del 2007 e successive modificazioni o integrazioni;
in ragione dell'apposizione del vincolo storico-archeologico su dette risorse mobiliari ed immobiliari (tra gli altri con decreto ministeriale 19 marzo 1993), la vendita è stata subordinata, ai sensi degli articoli 60 e seguenti del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n, 42, alla condizione sospensiva costituita dal mancato esercizio

da parte del Ministero competente o dell'ente locale, provinciale o regionale interessato, del diritto di prelazione, comunicato con denuncia di trasferimento, ricevuta dallo stesso in data 25 gennaio 2012, con scadenza nei 60 giorni successivi, in questo caso il 25 marzo 2012;
in questi stessi giorni, un'altra perla della penisola sorrentina, immortalata in tutte le stampe ottocentesche e nei dipinti dei più grandi artisti italiani - il complesso denominato «vallone dei Mulini» - è stato oggetto di contratto preliminare di compravendita;
questo sito è l'unico Vallone (i valloni erano utilizzati per indicare i confini tra un paese e l'altro della penisola sorrentina) rimasto ancora in buone condizioni, con la possibilità di osservare i resti dell'antico mulino - da cui il nome -, qualche originaria abitazione e una splendida vegetazione, proprio nel pieno centro storico di Sorrento;
dall'esame dei pubblici registri ipotecari e catastali, risulta essere stato stipulato, in data 23 dicembre 2011 (e trascritto il 20 gennaio 2012 ai numeri 3.114/2.609), un contratto preliminare di compravendita, ricevuto dal notaio Giancarlo Iaccarino, di Massa Lubrense (Napoli), con il quale Mariano Pontecorvo, già assessore ai lavori pubblici del comune di Sorrento, si è obbligato ad acquistare, entro il termine massimo del 30 ottobre 2012, dagli attuali 8 comproprietari, eredi ed aventi causa della famiglia Mathieu, il complesso immobiliare sito in Sorrento, località alla Rupe-Vallone dei Mulini, composto da 8 particelle, tutte riportate nel catasto terreni, per un'area complessiva di 4.550 metri quadri, oltre il fabbricato già adibito a mulino;
nella menzionata nota di trascrizione si specifica, inoltre, che l'intero complesso immobiliare è stato dichiarato di interesse culturale particolarmente rilevante dal Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi della legge 11 giugno 1922, n. 778, e successivi modificazioni e integrazioni, con decreto emesso in data 8 novembre 1927, e pertanto viene specificato che l'atto definitivo verrà denunciato al Ministero e sarà presentato al soprintendente del luogo ove si trova il bene, al fine di consentire l'esercizio del diritto di prelazione da parte dello stesso, ovvero degli enti territoriali interessati, vale a dire regione Campania, provincia di Napoli e comune di Sorrento;
la salvaguardia dei menzionati complessi immobiliari, storici e naturali, «villa Tritone» e «vallone dei Mulini», riguarda non solo la pubblica fruizione di questi splendidi siti culturali, da parte dei cittadini sorrentini, campani ed italiani, ma anche la produttività dell'intero comparto turistico-ricettivo della penisola sorrentina, che potrebbe annoverare detta bellezza tra le «aree di rilevante interesse culturale» -:
se il Governo intenda esercitare, relativamente ai complessi immobiliari di cui in premessa, il diritto di prelazione ai sensi degli articoli 60 e successivi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
(5-06272)

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DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:

GRANATA e DI BIAGIO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
circa 350 carabinieri ausiliari in congedo, dopo aver prestato servizio nell'Arma per 3 anni con abnegazione e spirito di sacrificio, non avendo potuto, al termine della ferma contratta, sviluppare una carriera nelle Forze armate o nelle Forze di polizia ad ordinamento militare o civile, si ritrovano oggi tra le fila del precariato;
la maggior parte degli ausiliari, al termine del percorso nell'Arma, nonostante siano risultati idonei al proseguimento di carriera, non sono stati prescelti

per la ferma quadriennale, essendo stati congedati per esubero, venendo così esclusi, di fatto, dall'immissione nei ruoli del servizio permanente delle Forze armate;
l'Arma dei carabinieri, ai fini di completamento dell'organico, ha più volte indetto concorsi pubblici, ai quali hanno avuto accesso sia ex appartenenti alle Forze armate sia privati cittadini;
il decreto legislativo n. 198 del 1995, sebbene successivamente abrogato, nel dettare norme relative al reclutamento dei carabinieri, ha richiamato la legge n. 537 del 1993 che prevedeva che il Governo emanasse uno o più regolamenti per «incentivare il reclutamento di cui alla legge 24 dicembre 1986, n. 958, e successive modificazioni, riservando ai volontari congedati senza demerito l'accesso alle carriere iniziali nella Difesa, nei Corpi armati e nel Corpo militare della Croce rossa»;
nonostante nel tempo siano state emanate norme (decreto-legge n. 64 del 2002, legge n. 226 del 2004) per il reintegro nei ruoli dell'Arma dei carabinieri degli ausiliari in congedo, solo un numero esiguo di ausiliari ha visto soddisfatte le proprie aspettative;
le quote di cui sopra non sono state mai introdotte, tanto che nei recenti concorsi banditi dall'Arma dei carabinieri per gli ausiliari in congedo non è stata prevista alcuna riserva di posti, essendo questi ultimi esclusivamente destinati agli altri Corpi delle forze armate;
uguale discriminazione si è verificata con l'approvazione della legge n. 226 del 2004 per i volontari dei vigili del fuoco, che ha trovato giusta risoluzione con l'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, il quale ha permesso nell'anno 2008 di bandire un concorso con riserva di posti a favore dei volontari ausiliari dei vigili del fuoco in congedo -:
quali iniziative, anche normative, il Ministro intenda adottare per favorire l'istituzione di quote di riserva, a vantaggio dei carabinieri ausiliari in congedo, nei concorsi banditi dall'Arma.
(4-15109)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:

BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
fonti di stampa informano che è intenzione del Governo diminuire la pressione fiscale grazie agli introiti aggiuntivi derivanti dalla lotta all'evasione;
la notizia è di per sé positiva, poiché il decreto-legge di dicembre del Governo è stato necessariamente e pesantemente incentrato sull'aumento della tassazione. Solo per esempio si ricorda l'aumento delle accise per oltre 10 centesimi sui carburanti;
uno dei maggiori freni alla crescita del Paese è rappresentato dall'elevato peso della pressione fiscale. I dati lo confermano: essa è ormai vicina al 55 per cento, tenendo in considerazione che l'Istat nei suoi dati include anche l'economia in nero;
se diminuire le aliquote è necessario, è ancor più necessario farlo in modo strutturale, non limitandosi a ridurre le tasse grazie agli introiti dell'evasione. Nel frattempo rimane sospesa l'ipotesi di un potenziale aumento dell'IVA di 2 punti percentuali, a cui si aggiungerebbero ulteriore misure riguardante l'aliquota ridotta, che passerebbe dal 10 al 12 per cento, e quella «standard» che passerebbe dal 21 al 23 per cento;
in aggiunta alla riduzione della tassazione, si dovrebbe giungere ad una forte eliminazione degli sprechi della macchina statale;

una modalità di azione che privilegi la riduzione degli sprechi, che riduca contemporaneamente le tasse e che affronti con ulteriore forza e convinzione la lotta all'evasione, sarebbe più logico, ad avviso degli interroganti, anche perché i tanti imprenditori in difficoltà, che vorrebbero ma non possono pagare potrebbero rientrare nella legalità;
si ricorda che l'Italia è uno dei Paesi che ha paga un prezzo burocratico altissimo anche per ciò che riguarda i rapporti col fisco e gli importi ad esso dovuti. È la stessa Banca mondiale che ce lo ricorda nel suo rapporto «paying taxes» che vede l'Italia sempre in fondo alle classifiche;
la troppa burocrazia, le troppe complicazioni e un peso fiscale che per le imprese arriva quasi al 70 per cento sugli utili sono i problemi da risolvere con la massima urgenza se si vuol far uscire il Paese dalle secche che lo frenano;
nella situazione attuale c'è da domandarsi come facciano le imprese a reinvestire se lo Stato si trattiene più del 65 per cento di quanto un'impresa riesce a guadagnare;
si consideri che il fisco italiano è alquanto singolare nel senso che appare incentrato sul perseguimento degli errori dei contribuenti. Si ha una forza armata (la Guardia di finanza) che interviene per scovare gli evasori e lo stesso sembra fare anche l'Agenzia delle entrate, ma i sistemi negli altri Paesi sono profondamente diversi;
in Italia non mancano i controlli, manca la semplicità nel pagamento, come sempre si evince dalla Banca mondiale;
negli altri Paesi il concetto è completamente opposto. I corrispettivi dell'Agenzia delle entrate aiutano il contribuente a completare i moduli di pagamento delle tasse in modo da limitare gli errori e le correzioni ex-post -:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere, ad iniziare da quelle finalizzate all'introduzione di norme che consentano un'azione ex-ante di semplificazione e aiuto ai contribuenti, piuttosto che correzioni ex-post, fino a quelle volte ad un abbassamento delle aliquote, quando possibile, e soprattutto ad una riorganizzazione dell'intera pubblica amministrazione e del sistema fiscale italiano, in modo da consentire un deciso abbassamento del livello della pressione che grava su tutti i contribuenti grazie alla riduzione delle spese inutili, poiché l'Italia ha la pressione fiscale della Svezia, ma il welfare dell'Irlanda, dove però la pressione fiscale è inferiore di quasi 20 punti percentuali.
(4-15106)

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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
domenica 19 febbraio 2012 l'interrogante, assieme ad Irene Testa (associazione Il Detenuto Ignoto), Ivan Innocenti (associazione Luca Coscioni) e al radicale Filippo Vignali, ha visitato le camere di sicurezza della questura di Rimini; nel sopralluogo la delegazione è stata guidata dal capo della digos, Marcello Petrotti;
questa è la situazione riscontrata: due sono le camere di sicurezza «agibili», mentre una terza è stata dichiarata non conforme;
in una della camere di sicurezza dichiarate agibili, era ristretto un ragazzo che la delegazione ha trovato sdraiato su un parallelepipedo di cemento privo di materasso e dotato solo di una coperta tipo militare; la cella era priva di suppellettili, non aveva un'adeguata aerazione né era predisposta per ricevere luce naturale

tanto che l'illuminazione al neon era molto fioca e proveniva da una plafoniera centrale sul soffitto, appositamente schermata per scongiurare eventuali danneggiamenti;
secondo quanto riferito dal dottor Marcello Pedrotti, non viene mai usata la terza camera di sicurezza dichiarata inagibile e, in caso di arresti multipli, i soggetti sono destinati direttamente agli istituti penitenziari della zona -:
quali siano i criteri per i quali una camera di sicurezza viene dichiarata agibile;
se le celle di sicurezza della questura di Rimini siano effettivamente agibili.
(4-15102)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dal quotidiano Il Piacenza del 22 febbraio 2012, un detenuto di origine magrebina avrebbe tentato il suicidio nel carcere piacentino delle Novate;
la notizia del tentato suicidio è stata diffusa da Giovanni Battista Durante, segretario generale del Sappe, il quale ha dichiarato: «L'uomo, utilizzando le lenzuola, si è impiccato alle sbarre della finestra, ma un agente, accortosi subito del gesto, ha aperto la stanza, è entrato e lo ha sollevato sulle spalle. Fortunatamente, in quel momento c'erano anche altri due detenuti nei pressi della cella che hanno aiutato l'agente. L'uomo è stato adagiato a terra e sottoposto alle successive cure del medico chiamato immediatamente dall'agente che, con grande intuito e capacità professionali, è riuscito a salvare una vita all'interno delle affollate capacità professionali, è riuscito a salvare una vita all'interno delle affollate carceri italiane: un sovraffollamento da cui non è esente il carcere di Piacenza, dove ci sono circa 200 detenuti in più rispetto ai posti previsti» -:
quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti del detenuto dopo il tentato suicidio;
se sia noto quante siano le unità dell'équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Piacenza;
quale sia il tasso di sovraffollamento del carcere in questione e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario.
(4-15103)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI del 22 febbraio 2012, il sindacato della polizia penitenziaria avrebbe denunciato l'esistenza di una «situazione gravissima» all'interno del carcere di Enna dovuta all'allagamento della caserma degli agenti di custodia, di alcune celle, di diversi locali, della biblioteca e della chiesa. In alcuni locali si sono avuti anche corto circuiti a causa dell'acqua infiltratasi nell'impianto elettrico;
l'improvviso allagamento ha reso necessario spostare alcuni detenuti in altre celle, dove però sono già in soprannumero, anche perché quella che dovrebbe essere la nuova ala del carcere è da tempo chiusa per i lavori che vanno a rilento, sicché i detenuti sono costretti a vivere in celle anguste che si allagano ad ogni pioggia -:
per quali motivi la costruzione della nuova ala del carcere di Enna non sia stata ancora completata, quanto siano costati i lavori fino ad oggi ed entro quanto tempo si preveda che la stessa possa entrare in funzione;

più in generale, cosa intenda fare per riportare il carcere di Enna all'interno della legalità costituzionale e del rispetto delle norme di leggi e regolamentari che disciplinano la vita degli istituti penitenziari.
(4-15104)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 24 febbraio 2012 il segretario dei Radicali Lucani Maurizio Bolognetti ha scritto una nota riportata dal sito di Radicali Italiani; nella nota si riporta la vicenda del detenuto settantaduenne Altomare, indigente e con problemi di incontinenza che si è rotto un femore pochi giorni fa cadendo nelle docce del carcere di Castrovillari, già oggetto di un'interrogazione parlamentare della prima firmataria del presente atto a seguito di una visita ispettiva;
nella suddetta interrogazione, la n. 4-14504 del 16 gennaio 2012, descrivendo le condizioni di detenzione non conformi alla normativa vigente, si faceva presente che «le celle non dispongono di acqua calda e le docce sono consentite a giorni alterni in appositi, degradati, locali»;
l'anziano detenuto Altomare - secondo quanto riportato nella nota di Maurizio Bolognetti - «è stato arrestato qualche mese fa in esecuzione di uno pena divenuta definitiva. Una volta tradotto nelle anguste celle del carcere di Castrovillari, l'area sanitaria del carcere gli ha affiancato un detenuto con il compito di fargli da badante. Nonostante queste cautele è però successo che pochi giorni fa Altomare sia caduto nelle docce e si sia rotto un femore. Non so di quale crimine sia accusato il sig. Altomare, ma mi chiedo se abbia un senso costringere un settantaduenne con problemi di salute in un cubicolo di due metri per tre, con un altro detenuto a fargli da assistente. Altomare attualmente è ricoverato presso il reparto ortopedia dell'ospedale di Castrovillari e noi ci chiediamo se non sia il caso di concedergli i domiciliari, consentendogli di far ritorno alla casa di riposo. Non vorremmo dover leggere, tra qualche mese, il suo nome nel bollettino diffuso dall'Associazione «Ristretti Orizzonti» su coloro che decidono di farla finita» -:
se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
se in relazione alle condizioni di salute del signor Altomare sia stato richiesto l'accertamento della compatibilità delle medesime con il regime di detenzione presso la casa circondariale di Castrovillari e, in tal caso, quale sia stato l'esito di tale istanza;
se nelle relazioni semestrali della competente ASL siano state segnalate le evidenti scadenti condizioni igienico-sanitarie delle celle e, in particolare, delle docce;
quali siano le ragioni che abbiano portato il Ministro interrogato a non prendere in considerazioni le segnalazioni contenute nell'interrogazione n. 4-14504.
(4-15110)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 19 febbraio 2012 la prima firmataria del presente atto ha visitato la casa circondariale di Rimini accompagnata dal Garante regionale dei diritti dei detenuti Desi Bruno, da Irene Testa (segretaria dell'associazione Il Detenuto Ignoto), Vincenzo Gallo (consigliere comunale del PD a Rimini), Ivan Innocenti (Associazione Luca Coscioni) e il radicale Filippo Vignali;
nell'ispezione la delegazione è stata guidata dal comandante Fernando Picini;
i detenuti presenti nell'istituto sono 204 a fronte di 150 posti regolamentari disponibili; il 65 per cento dei detenuti sono tossicodipendenti, il 70 per cento stranieri in massima parte magrebini, albanesi

e rumeni; i detenuti in attesa di primo giudizio sono 63, gli appellanti 25, i ricorrenti 21, i definitivi 77; i detenuti con posizione mista con una sentenza definitiva sono 11, mentre i detenuti con posizione mista senza definitivo sono 6; i semiliberi sono in tutto 6;
solo 20 detenuti lavorano a rotazione perlopiù impegnati in mansioni domestiche all'interno dell'istituto;
oltre alla sezione Andromeda dedicata a 16 detenuti tossicodipendenti, la casa circondariale di Rimini si articola nelle seguenti altre sezioni: la I sezione, completamente fatiscente e superaffollata, fuori da qualsiasi legalità costituzionale; la II sezione è chiusa da tempo nonostante sia stato già approvato e finanziato un progetto di ristrutturazione del valore di 200.000 euro; la III sezione (36 posti) è stata ristruttura recentemente; anche la IV sezione (30 posti) è stata ristrutturata da poco grazie alle economie realizzate con il rifacimento della V sezione (50 posti) che funge da sezione filtro per i detenuti tossicodipendenti «meritevoli» di essere trasferiti nella sezione Andromeda; esiste inoltre un progetto per costruire un padiglione penitenziario al posto del campo sportivo degli agenti: trattasi di terreno demaniale dotato di acqua, luce e altre infrastrutture, che, secondo il comandante, consentirebbe un notevole risparmio;
dei 145 agenti previsti in pianta organica, gli effettivi sono 102 con il compito di occuparsi anche del nucleo traduzioni; gli educatori sono 6; gli psicologi sono due: uno si occupa di tutti i detenuti per 36 ore mensili, un altro, invece, si occupa della sezione attenuata (Andromeda); nell'istituto operano anche due mediatori culturali, uno per gli albanesi e l'altro per i magrebini;
quanto all'istruzione, le uniche scuole funzionanti sono quelle elementari e di alfabetizzazione;
il volontariato nell'istituto è poco attivo e si limita alla messa domenicale; lo stesso comandante ha espresso l'auspicio di una presenza maggiore;
in merito all'aspetto sanitario, c'è da rilevare che i medici sono pochi e per qualsiasi evento critico, anche il minimo, è prevista la visita ospedaliera; la notte non è prevista la guardia medica e la copertura dei turni va dalle 8 di mattina alle 22.00; come previsto, il personale è fornito dalla ASL, psichiatra e infettivologo compresi;
a domanda precisa sia tutti i detenuti interpellati nella I sezione, sia il comandante hanno risposto che il magistrato di sorveglianza di riferimento, il dottor Franco Raffa, non ha mai visitato i luoghi di detenzione da quando ha assunto l'incarico; nemmeno i funzionari della Asl di riferimento hanno mai fatto le previste ispezioni per verificare le condizioni igienico-sanitarie delle celle e delle altre strutture frequentate dai detenuti e dagli agenti;
a seguito della dettagliata vista ispettiva alla I sezione, definita dal comandante il «Bronx», si segnalano le seguenti situazioni:
in quasi tutte le celle di 16 metri quadrati si trovano 6 detenuti che passano 20 ore chiusi, tolte le 4 ore d'aria; per un'altra ora al giorno hanno la possibilità di «socializzare» in un'altra cella; per oltre il 90 per cento si tratta di detenuti stranieri molto indigenti;
nella cella n. 12 vi sono ristretti 5 detenuti in due letti a castello a tre piani; si tratta di un bosniaco, un serbo, un rumeno e due marocchini; un detenuto ha lamentato il fatto di non aver ricevuto il sussidio per fare una telefonata ai familiari per avvertirli del suo stato di detenzione nel carcere di Rimini; un altro, invece, prega la delegazione di fare una telefonata alla moglie per avvisarla che l'indomani sarà trasferito a San Vittore;
nella cella n. 11 piove acqua dal soffitto dell'indecente gabinetto; il tunisino H.K. vorrebbe frequentare la scuola media, ma nel carcere non c'è mentre lui vorrebbe utilizzare al meglio il residuo pena di 1 anno e 4 mesi; ha chiesto di andare in comunità ma per fare un colloquio

con l'assistente sociale del Sert ha dovuto fare 42 giorni di sciopero della fame e il tutto si è risolto con un nulla di fatto; K.M.S. condannato a tre anni in primo grado, sposato con un'italiana, chiede di poter lavorare; M.B. ha una condanna definitiva a 5 anni di reclusione (prima volta) e ha chiesto di andare in comunità per intraprendere un percorso riabilitativo; prima di essere arrestato aveva lavorato in regola come muratore; S.I. detenuto rumeno condannato a dieci mesi per il furto di 5 bottiglie di whisky; ha già pagato il biglietto per tornarsene in Romania, ma il tribunale ha rigettato l'istanza di rimpatrio;
sempre nella I sezione, la delegazione incontra un detenuto che da 7 mesi non sente i figli minori di 4, 7, 10 e 12 anni, perché non ha i soldi per chiamarli, «solo una suora» - racconta - «mi ha dato il paio di pantaloni che indosso»; un altro detenuto che non fa colloqui né telefonate sussurra «qui puoi solo morire»;
a S.N. gli mancano da scontare solo 5 mesi, ha chiesto di parlare con il magistrato di sorveglianza, ma da ottobre non l'ha mai visto; il 4 settembre del 2009 gli è stato anche negato il permesso di andare al funerale della moglie; ha due figli che stanno con la nonna;
A.A. con fine pena nel 2016 ha presentato istanza al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) per essere trasferito dal carcere di Rimini in un istituto vicino a Foggia dove vive la sua famiglia, ma non ha mai ricevuto risposta nonostante la richiesta sia stata avanzata più di un anno fa e abbia una madre ottantottenne e una moglie con problemi psichiatrici; il detenuto fa colloqui solo ogni 4 o 5 mesi;
nonostante la drammatica situazione umana e civile che caratterizza la I sezione del carcere di Rimini, c'è anche chi in quella sezione vorrebbe rimanerci: è il caso di N., tunisino di 36 anni sposato con un'italiana e con due figlie; N. è stato assegnato al carcere di Asti, ma vorrebbe rimanere a Rimini perché la sua famiglia risiede in provincia di Ravenna; N. precisa di essere rientrato in Italia per costituirsi a Ravenna ma di essere stato «intercettato» a Domodossola e condotto a Asti;
il comandante ha molto insistito perché la delegazione visitasse le altre sezioni, in particolar modo la «Andromeda» che è il fiore all'occhiello dell'istituto; per motivi di tempo, purtroppo, non è stato possibile alla delegazione farlo per la concomitanza dell'inizio di un convegno programmato nel pomeriggio dello stesso giorno della visita al carcere;
l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell'istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati»;
il 1o comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali. (...)» -:
se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere di Rimini;
se e quando intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria e degli psicologi;

se e quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché sia assicurata un'adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
se intenda intervenire per dotare il carcere di Rimini di scuole che vadano al di là delle elementari e dei corsi di alfabetizzazione;
se intenda chiudere immediatamente la I sezione assumendo iniziative per lo stanziamento necessario alla sua ristrutturazione;
quando verrà ristrutturata e riaperta la II sezione, visto che è stato approvato e finanziato da tempo un progetto del valore di 200.000 euro;
se intenda incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
in che modo intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
cosa intenda fare, affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
se abbia mai valutato o intenda valutare la possibilità di utilizzare tecnologie tipo Skype per ridurre il costo delle telefonate effettuate dai detenuti ai loro congiunti;
quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza.
(4-15111)

...

INTERNO

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
i comuni di Santa Maria a Vico, Maddaloni, San Felice a Cancello, Arienzo e Cervino, tra loro limitrofi, hanno una popolazione complessiva di oltre 81 mila abitanti;
da un punto di vista geografico, i comuni citati, si trovano in una zona molto delicata per quanto riguarda il rischio di possibili infiltrazioni della criminalità organizzata;
a differenza di altre aree della provincia di Caserta, dove le forze dell'ordine hanno conseguito importanti successi nel contrasto delle attività criminali, nei comuni citati e nel più ampio territorio della Valle di Suessola, le attività di controllo del territorio, di repressione e di prevenzione non hanno raggiunto, a causa dei limitati mezzi a disposizione delle forze dell'ordine, gli attesi risultati;
nel corso degli ultimi mesi si è registrato un aumento degli atti criminali contro le persone e le cose, un maggiore spaccio di stupefacenti e il conseguente aumento dei furti in appartamenti;
in un territorio così vasto e complesso non solo si registra un sottodimensionamento di organici e mezzi delle forze dell'ordine che non possono oggettivamente affrontare in maniera adeguata la crescente criminalità, ma si continua a diminuire, come nel caso del comune di Santa Maria a Vico, il personale presente nella locale stazione dei carabinieri;
in altri casi, come nel comune di Cervino, non vi è nessun presidio fisso delle forze dell'ordine;
nel comune di Maddaloni pur essendoci sia un commissariato sia una stazione dei carabinieri, tale presenza è totalmente insufficiente rispetto alla vastità e alla

complessità di un territorio che è limitrofo alla provincia di Napoli;
tale situazione è stata denunciata più volte dalle amministrazioni locali, senza che sia stato preso alcun provvedimento, al contrario, il prefetto di Caserta, in data 9 dicembre 2010, ha risposto al comune di Santa Maria a Vico, affermando che non sussisterebbero i presupposti per il potenziamento della locale stazione dei carabinieri -:
quali provvedimenti intenda adottare al fine di garantire la sicurezza e l'ordine pubblico nel territorio dei comuni in questione.
(2-01375)«D'Anna».

Interrogazione a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un lancio dell'agenzia ANSA del 25 febbraio 2012, un 20enne sarebbe morto mentre si trovava in stato di arresto all'interno della camera di sicurezza della questura di Firenze;
il giovane - in stato di arresto perché accusato di aver compiuto una rapina - sarebbe morto a causa di un malore e secondo i medici intervenuti sul posto, il decesso non sarebbe stato provocato da traumi di alcun tipo;
pochi giorni fa un uomo di nazionalità marocchina, anch'esso in stato di arresto, si era impiccato sempre all'interno delle celle di sicurezza della questura di Firenze -:
quanto fosse grande la cella di sicurezza all'interno della quale l'uomo è stato trovato morto;
se la cella di sicurezza in questione godesse di illuminazione (in particolare di luce naturale) e di aerazione adeguata; se la stessa fosse attrezzata con mezzi di appoggio (per esempio sedie fisse o panche) e se nella stessa vi fosse un materasso e coperte pulite;
se la persona morta suicida abbia potuto avere accesso ad un legale fin dalle fasi immediatamente successive all'arresto e quando il suo legale sia stato informato dell'arresto dalle forze dell'ordine;
se l'uomo avesse dei parenti e se questi siano stati informati dell'avvenuto arresto;
se l'uomo assumesse dei farmaci, se il medesimo fosse un alcolizzato cronico e se sia stato visitato da un medico durante le ore trascorse all'interno della cella di sicurezza;
se non si ritenga opportuno distribuire sistematicamente uno stampato alle forze dell'ordine con l'elenco chiaro dei diritti che spettano alle persone detenute dalla polizia fin dall'inizio della loro custodia;
se non si intenda avviare un programma urgente di potenziamento, ampliamento e ristrutturazione delle camere di sicurezza all'interno delle quali dovranno essere custodite le persone arrestate in flagranza di reato prima della convalida dell'arresto.
(4-15105)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il comma 1-bis dell'articolo 1 del decreto-legge n. 97/2004, convertito, dalla legge n. 143 del 2004 subordina espressamente la permanenza dei docenti nelle graduatorie alla tempestiva presentazione dell'apposita domanda, attribuendo carattere perentorio al termine per la presentazione con la espressa previsione della cancellazione dalla graduatoria a seguito di mancata presentazione;

conseguentemente, i docenti che non hanno avanzato domanda entro il termine fissato per l'aggiornamento della graduatoria, sono stati cancellati dalla stessa per gli anni scolastici successivi;
i docenti rimasti esclusi possono chiedere il reinserimento in graduatoria, presentando domanda entro il termine di aggiornamento, con il recupero del punteggio maturato all'atto della cancellazione (comma 1-bis dell'articolo 1, del decreto legislativo n. 97 del 2004);
tuttavia, molti insegnanti pur avendo presentato richiesta di reinserimento secondo quanto previsto dalla normativa di riferimento, si sono visti negare dalle amministrazioni la possibilità di accesso alla graduatoria a causa del decreto ministeriale n. 44 del 2011 che impedisce l'ingresso ai docenti esclusi;
conseguentemente, il giudice del lavoro di Foggia, con provvedimento n. 26646/11 ha fatto finalmente luce sulla questione, accogliendo il ricorso d'urgenza presentato da una docente che non aveva fatto richiesta di aggiornamento in graduatoria;
con la succitata pronuncia il giudice ha dichiarato illegittimo il decreto ministeriale n. 44 del 2011 perché in contrasto con le leggi n. 124 del 1999 e n. 143 del 2004 di rango superiore, disponendone così la disapplicazione nella parte in cui non consente il reinserimento dei docenti esclusi, purché ne abbiano fatto richiesta nei termini di impugnazione della graduatoria;
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha quindi negato ai docenti il reinserimento in graduatoria attraverso un decreto che si pone in evidente contrasto con la legge, e ciò costituisce, ad avviso dell'interrogante, un fatto gravissimo ed ingiustificabile che, costringerà i docenti a ricorrere alla giustizia per tutelare i propri diritti -:
se il Ministro intenda chiarire la situazione di cui in premessa e se ritenga opportuno garantire il reinserimento in graduatoria ai docenti illegittimamente esclusi al fine di evitare di sovraccaricare il sistema giustizia con ulteriori sopravvenienze.
(5-06268)

CAPITANIO SANTOLINI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il contributo scolastico chiesto alle famiglie, per legge volontario, è diventato, di fatto, obbligatorio in un numero crescente di scuole che prospettano, più o meno velatamente, ritorsioni sul voto degli studenti e sulla promozione in caso di mancato pagamento;
la denuncia - corredata da prove documentali - arriva dal portale studentesco Skuola.net;
all'istituto tecnico Fazzini Mercantini di Ascoli Piceno, ad esempio, si richiede un contributo di 80 euro per l'iscrizione e si ricorda che «la mancata presentazione entro il detto termine del 20 febbraio 2012 di quanto sopra richiesto sarà considerata un'infrazione disciplinare a tutti gli effetti, con ripercussioni sulla valutazione del comportamento e quindi, sulla media dei voti e sull'ammissione alla classe successiva»;
si tratta di una comunicazione che lascia intravedere alle famiglie ripercussioni sul voto dei figli e addirittura sulla loro promozione;
sono decine le segnalazioni giunte dalle famiglie che lamentano non solo l'omissis in merito alla natura volontaria del contributo, ma anche l'indicazione che senza il pagamento del contributo la domanda di iscrizione non può essere accettata;
in tal modo i genitori si vedono costretti a pagare per evitare problemi ai loro figli;
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è dimostrato

sensibile al tema in questione, accogliendo un dossier contenente molte segnalazioni di irregolarità -:
quali iniziative concrete si ritenga opportuno adottare al fine di porre fine ad una prassi discriminatoria nei confronti di molte famiglie che non sono in grado di provvedere al pagamento di questi contributi peraltro volontari.
(5-06275)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

OLIVERIO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nell'estate 2005 la società Getek Information Communication Technology srl, allora Gepin spa, aggiudicandosi, assieme ad un consorzio capitanato da Poste italiane spa, una gara ad evidenza pubblica per la gestione del «contact center integrato INPS-INAIL», apre a Crotone un call center per l'erogazione di servizi informativi e dispositivi a favore dell'utenza (numero verde 803164). La forza lavoro viene reperita nel territorio crotonese ed acquisita esclusivamente mediante contratti a progetto;
nell'ottobre 2007 i settantatre lavoratori, in gran parte ragazzi laureati, tutti professionalmente formati direttamente dall'Inps per dare servizi e informazioni a qualsiasi tipo di utenza, vengono assunti con contratto a tempo indeterminato;
a seguito della scadenza del contratto stipulato originariamente nel 2005, l'Inps nell'ottobre 2008, bandisce una nuova gara di appalto, a procedura ristretta, all'esito della quale nel novembre 2009 l'istituto provvede ad affidare, unitamente all'Inail, la gestione del servizio di contact center Inps/Inail alla società Transcom worlwide spa con sede legale a l'Aquila, facente parte di un raggruppamento temporaneo di imprese, subentrando così ai precedenti fornitori capitanati da Poste Italiane spa e, tra questi, alla Gepin spa nel frattempo divenuta Getek Ict srl;
nel giugno 2010 la Transcom worl-wide spa inizia le attività di formazione dei propri lavoratori, ma nel frattempo la Getek Ict srl ottiene una proroga che la impegna a effettuare, in via esclusiva, il servizio fino al 25 settembre 2010;
a seguito di ciò i dipendenti di Crotone della Getek Ict srl manifestano da subito la loro preoccupazione, generata dalla perdita dell'unica commessa e dalla conseguente incertezza del mantenimento del proprio posto di lavoro dopo la scadenza del 25 settembre 2010. Grazie alla mediazione del prefetto di Crotone, dottor Vincenzo Panico, i settantatre lavoratori ottengono un appuntamento, alla presenza del vice prefetto, e delle organizzazioni sindacali con i rappresentanti della Getek Ict srl che illustrano la situazione e descrivono le difficoltà per il mantenimento del proprio posto di lavoro. Da questi ultimi si apprende che i responsabili commerciali dell'azienda hanno cercato una mediazione con la Transcom worlwide spa per verificare la possibilità di rientrare come sub-fornitori del servizio, per quanto concerne il solo sito operativo di Crotone, ma in questo contesto, l'azienda chiaramente svantaggiata, in quanto soggetto perdente nella gara, fa presente che la stessa Transcom worlwide in più occasioni ha dichiarato di avere già al proprio interno tutte le risorse necessarie per garantire la fornitura del servizio;
il 16 luglio 2010 si tiene un'ulteriore riunione sempre alla presenza del vice prefetto e la situazione appare palesemente in fase di stallo: nessun contatto è avvenuto con la Transcom worlwide spa, né vi sono state rassicurazioni da parte della Getek Ict circa una soluzione alternativa per il futuro dei lavoratori. Viene paventata dagli stessi, come ultima, ma sempre più realistica ipotesi, il ricorso agli ammortizzatori sociali;
in tale contesto, la Getek ITC srl di Crotone ha usufruito del trattamento ordinario

di integrazione salariale (CIGO) per il periodo dal 4 ottobre 2010 al 1o ottobre 2011. Dal 4 ottobre 2011 i lavoratori risultano attualmente in Cassa integrazione guadagni straordinaria pagata direttamente dall'Inps in attesa di sviluppi;
negli anni il sito di Crotone per le eccellenti capacità professionali acquisite dai propri operatori ha ottenuto il riconoscimento di massima efficienza di produttività oltre che dagli istituti Inps/Inail anche da parte del Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione pro tempore Renato Brunetta -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle problematiche esposte in premessa e del fatto che il solo sito di Crotone sia rimasto escluso nella nuova commessa, a seguito del mancato inserimento nel nuovo bando di gara del 2008 della clausola di salvaguardia dei posti di lavoro, mentre gli operatori di tutti gli altri siti sono stati invece reintegrati;
se i Ministri interrogati intendano promuovere al più presto un tavolo istituzionale negoziale, con la partecipazione del comune di Crotone, della provincia di Crotone, della regione Calabria, dei rappresentanti dell'Inps e delle Poste Italiane spa, e della proprietà della società Transcom worlwide spa vincitrice della commessa Inps/Inail, alla presenza delle rappresentanze dei lavoratori e delle parti sociali, per affrontare tutte le problematiche connesse alla crisi e predisporre delle concrete iniziative al fine di individuare le soluzioni più idonee alla salvaguardia dei livelli occupazionali, onde evitare ripercussioni di carattere economico e sociale che porterebbero ad un aumento della disoccupazione, in una zona già gravemente colpita dalla crisi economica.
(5-06273)

DI PIETRO e PALADINI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la Sigma Tau, azienda leader nel settore farmaceutico, con più di cinquant'anni di attività alle spalle e sei società che impiegano un totale di 2.500 lavoratori in tutta Italia (di cui 1.500 nel sito di Pomezia) ha acquisito nel 2011 la società americana Enzon specializzata in orfan drugs (farmaci orfani) per 300 milioni di dollari grazie ad una linea di intervento aperta da Banca lntesa (che possiede il 5 per cento di Sigma Tau finanziaria spa);
il 13 giugno 2011, ad una settimana dalla scomparsa del fondatore del gruppo, Cesare Cavazza, i figli hanno inviato una lettera a tutto il personale rassicurandolo sugli scenari futuri e preannunciandone l'imminente quotazione in borsa;
il nuovo presidente del consiglio di amministrazione Andrea Montevecchi, insediatosi dopo la pausa estiva, ha firmato la richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria a zero ore per 12 mesi per un numero massimo di 569 dipendenti, a decorrere dal 27 dicembre 2011. La lista, che riguarda 112 quadri, 401 impiegati e 56 operai, colpisce due linee di informatori farmaceutici di indubbia eccellenza, e la procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria prevede l'abbandono di alcuni progetti di ricerca e la riduzione della ricerca di base. Inoltre, a dicembre sono state messe in liquidazione due associate della Sigma Tau, la Prassis di Milano (30 addetti) e la Tecnogen di Caserta (70 addetti). Unitamente alla procedura l'azienda ha comunicato alle organizzazioni sindacali la disdetta di tutti gli accordi a partire dal 1o gennaio 2012;
i motivi della richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria, a detta dell'azienda consistono «nell'effetto combinato della crisi economica mondiale e nelle modificazioni strutturali del mercato farmaceutico che impongono una profonda revisione della struttura aziendale e del modello di business, certificata del resto dalla perdita di 20 milioni di euro a fine 2010»;

i sindacati hanno contestato immediatamente i presupposti contabili e industriali della richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria. Infatti il taglio sullo stabilimento di Pomezia, che fornisce servizi agli altri poli della Corporate, sembra poco funzionale alla «diversificazione» invocata dal management aziendale, così come l'investimento sulla Enzon e la contestuale eliminazione delle biotecnologie e della ricerca cardiovascolare, ovvero i due settori di attività strategiche svolti da Prassis e Tecnogen. In sostanza il Piano industriale, preciso sui tagli al personale, risulta inconsistente sul piano delle scelte produttive e strategiche del gruppo: la riduzione della ricerca di base e il ridimensionamento delle attività svolte nel sito di Pomezia alimentano ad oggi il sospetto di una lenta delocalizzazione;
la trattativa sulla procedura, iniziata presso la regione Lazio, su richiesta delle organizzazioni sindacali è approdata al Ministero dello sviluppo economico, per poi tornare alla regione e concludersi con mancato accordo. Il 18 gennaio 2012 sono arrivate le prime 350 lettere in cui si comunicava la cassa integrazione guadagni straordinaria, e sono state annunciate 108 esternalizzazioni, 69 per cessione di ramo d'azienda e 39 per affidamento di alcuni servizi all'esterno del perimetro aziendale;
da lunedì 6 febbraio 2012 l'azienda ha convocato a più riprese i sindacati, che hanno posto questioni come la rotazione della cassa integrazione guadagni straordinaria, la riconferma degli accordi pregressi, l'integrazione salariale alla cassa integrazione guadagni straordinaria e l'apertura per la procedura della mobilità incentivata volontaria senza addivenire ad oggi ad alcuna intesa, con evidente nocumento per le condizioni materiali dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolte;
l'inchiesta giornalistica sulla Sigma Tau trasmessa da «Presadiretta» su Raitre domenica 20 febbraio 2012 ha individuato in alcune operazioni di transfer pricing l'origine dello stato di crisi dichiarato dal gruppo. Come testimonia il «Processo verbale di constatazione» redatto dall'Agenzia delle entrate nel luglio 2010, Sigma Tau avrebbe trasferito quote di valore ad una consociata portoghese, la Defiante, con sede a Madeira, che acquista licenze e brevetti per poi rivenderli a prezzi differenti. Gli ispettori hanno quantificato in 11,55 milioni di euro i minori ricavi che il gruppo ha contabilizzato in Italia: dunque minori ricavi con un patrimonio che è diminuito da 123 a 34 milioni di euro, mentre la società Defiante ha incrementato il proprio, da 31 a 310 milioni di euro. Il tutto in costanza di un regime fiscale particolarmente vantaggioso a Madeira (aliquote al 3 per cento, Iva al 13 per cento contro il 21 per cento vigente in Italia). Ci sono tutti i presupposti per verificare se i minori ricavi sono strumentali al fine di evadere o eludere il fisco italiano -:
quali verifiche intenda promuovere in ordine alla legittimità dei presupposti di carattere contabile sui quali Sigma Tau ha incardinato la procedura di cassa integrazione, in considerazione delle contestazioni mosse dall'Agenzia delle entrate ai bilanci del gruppo;
quali iniziative intenda attivare per recuperare la trattativa, rimuovendo da tale negoziazione i rilevanti elementi di opacità riscontrati dalle organizzazioni sindacali, riaprendo insieme all'azienda, alle organizzazioni sindacali, ai rappresentanti dei lavoratori e all'istituzioni territoriali interessate un percorso di rilancio dello stabilimento di Pomezia all'interno del perimetro della corporate anche con il concorso di un rinnovato investimento da parte del Governo nel settore della ricerca e della produzione farmaceutica al fine di dare certezze ai lavoratori di Sigma Tau.
(5-06274)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

OLIVERIO, ZUCCHI, AGOSTINI, BRANDOLINI, MARCO CARRA, CENNI, DAL MORO, FIORIO, MARROCU, MARIO PEPE (PD), SANI, SERVODIO e TRAPPOLINO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il 16 febbraio 2012 il Parlamento Europeo ha approvato con la risoluzione A7-0023/12 l'accordo tra l'Unione europea e il Regno del Marocco che le liberalizza il commercio di prodotti agricoli, di prodotti agricoli trasformati, del pesce e dei prodotti della pesca; con il nuovo accordo ci sarà un'immediata liberalizzazione del 45 per cento (in valore) delle importazioni del Marocco provenienti dall'Unione europea, mentre le esportazioni dal Marocco verso l'Unione europea saranno liberalizzate del 55 per cento ad eccezione dei «prodotti sensibili» (pomodori, zucchine, clementine, cetrioli, aglio, fregole) che godranno comunque di un accesso agevolato al mercato dell'Unione;
la nuova intesa privilegia per entrambe le parti il rafforzamento di un'agricoltura industriale, ad alta intensità di capitali; inoltre l'aumento delle quote ad aliquota ridotta per una notevole gamma di ortaggi (pomodori, melanzane, zucchine, aglio, cocomeri) e frutta (arance, clementine, meloni, fragole) metterà i produttori europei ed italiani in una situazione difficilmente sostenibile senza contribuire in cambio ad uno sviluppo agricolo equilibrato in Marocco; al riguardo è opportuno ricordare che un rapporto UNICEF sottolinea che in Marocco oltre un milione e mezzo di bambini in età scolare sono privati del loro diritto alla scolarizzazione e che la maggior parte dei bambini non scolarizzati sono minacciati di sfruttamento economico mediante lo svolgimento di mansioni nell'agricoltura;
in merito a tale accordo si ricorda che il 2 agosto 2011 la Commissione agricoltura della Camera dei deputati approvando la risoluzione n. 8-00145 impegnava il Governo pro tempore innanzitutto ad evitarne l'approvazione senza le opportune modifiche che tenessero conto del rischio di trasformare in vantaggio competitivo per il Marocco i minori vincoli (rispetto all'Europa) in termini di standard qualitativi, di protezione ambientale, di condizioni dei lavoratori, di tutela sindacale e di sicurezza alimentari; al contrario l'accordo approvato dal Parlamento europeo non tiene in alcun conto gli impegni approvati dal Parlamento italiano esponendo il settore primario nazionale al rischio di svantaggio competitivo sia con riferimento ai prezzi di entrata di alcuni prodotti, ma anche alla compatibilità con le vigenti normative europee di qualità e tutela sul lavoro e sull'ambiente;
da ultimo, anche la Commissione agricoltura del Parlamento europeo ha espresso voto contrario all'accordo, perché «accentuerà le già serie problematiche a livello di competitività causate dal differenziale di costo della manodopera tra l'Unione europea e il Marocco, la cui politica agroalimentare è orientata allo sviluppo e all'esportazione di grandi produzioni» aumentando le problematiche con le quali «i produttori comunitari devono già confrontarsi con i cospicui incrementi dei contingenti scaturiti dagli accordi con gli altri paesi mediterranei»;
in particolare il parere della Commissione agricoltura del Parlamento europeo solleva una questione di enorme importanza per le produzioni di qualità italiane, laddove sottolinea che «la proposta di accordo non prevede la risoluzione delle problematiche inerenti alle indicazioni geografiche (IG), rinviate a negoziati futuri, da aprirsi in seguito all'entrata in vigore dell'accordo»;
in segno di disaccordo, l'europarlamentare Josè Bovè - relatore del citato accordo - ha ritirato il suo nome dalla relazione presentata motivando il suo voto

contrario per gli effetti negativi sui piccoli agricoltori europei, per le condizioni precarie di lavoro e ambientali in Marocco e per l'inclusione del territorio del Sahara Occidentale, che violerebbe il diritto internazionale e renderebbe l'Unione europea soggetta a sanzioni;
anche le associazioni di categoria denunciano le possibili conseguenze devastanti per i produttori agricoli italiani di ortofrutta e in particolare per quelli delle regioni meridionali, dove maggiormente si concentrerà il vantaggio competitivo del Marocco sui prodotti oggetto dell'accordo;
al riguardo è opportuno valutare gli effetti per i produttori italiani in relazione a talune produzioni marocchine, come ad esempio i pomodori, che accedendo al mercato comunitario in periodi diversi rispetto alla normale commercializzazione europea, potranno provocare gravi ripercussioni sull'andamento dei mercati e sulla volatilità dei prezzi;
è urgente organizzare un sistema di vigilanza e monitoraggio per tutelare i prodotti agroalimentari italiani salvaguardandone la qualità, la composizione organolettica e garantendone le tutele sanitarie e del lavoro che non sono minimamente confrontabili a quelle del Marocco -:
se il Ministro ritenga che l'accordo siglato in sede Unione europea con il Marocco possa determinare uno svantaggio competitivo per le produzioni agroalimentari italiane, e in caso affermativo come intenda attivarsi per salvaguardarne le peculiarità;
quali urgenti iniziative di propria competenza intenda adottare per predisporre un sistema di vigilanza e di monitoraggio sulla corretta attuazione dell'accordo che tuteli la qualità delle produzioni italiane e il consumatore anche per quel che riguarda agli aspetti sanitari e fitosanitari;
se non ritenga urgente attivarsi in sede europea affinché i negoziati relativi alle indicazioni geografiche vengano gestiti in tempi brevi e tutelando gli interessi italiani;
se non ritenga urgente attivarsi in sede europea affinché i potenziali effetti di volatilità sui prezzi causati dalla presenza sul mercato, in periodi diversi rispetto a quelli della normale commercializzazione europea, di prodotti agricoli del Marocco siano gestiti in maniera tale da non arrecare ulteriori danni alle aziende agricole italiane;
quali urgenti iniziative il Ministro intenda e possa intraprendere in ambito europeo affinché l'accordo con il Marocco sia riequilibrato, integrandolo con la riforma del regime dei prezzi di entrata, l'appianamento del differenziale sanitario e fitosanitario e con l'inserimento delle dovute clausole sociali e antidumping, così come indicato dalla stessa commissione agricoltura del Parlamento europeo;
se non ritenga urgente sostenere nelle sedi europee le filiere agroalimentari italiane in crisi e in particolare quelle dell'ortofrutta, che hanno visto ridursi drasticamente il proprio reddito a fronte della concessione ai Paesi extra Unione europea di maggiori opportunità di esportazione.
(5-06269)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

DE PASQUALE, MOSCA e DAMIANO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
Ansaldobreda s.p.a. nasce nel 2001 dalla fusione di Ansaldo trasporti e di Breda costruzioni ferroviarie, ed è la principale società italiana di costruzioni di rotabili per il trasporto su ferro (leggero,

pesante, metropolitano, suburbano, regionale, alta velocità). Controllata da Finmeccanica s.p.a., si occupa di progettazione e costruzione di treni completi ad alta velocità di elettrotreni metropolitani/suburbani e di tram, di progettazione e costruzione di equipaggiamenti elettrici di trazione e ausiliari e di apparecchiature di sicurezza e segnalamento ferroviario;
la società ha quattro stabilimenti industriali, a Napoli, Pistoia, Reggio Calabria e Palermo; ha divisioni operative all'estero, conta circa 2300 dipendenti e un portafoglio ordini di 2 miliardi di euro. La Ansaldobreda, negli ultimi sei anni ha accumulato perdite per un miliardo, ripianate dall'azionista Finmeccanica, in ultimo nel 2011 ha ricostituito il capitale della società per altri 200 milioni;
nel 2010 Ansaldobreda ha avviato un piano volto al miglioramento delle filiere produttive, dei processi e dei modelli di organizzazione, al raggiungimento di obbiettivi di efficienza, razionalizzazione e riorganizzazione di tutti i processi produttivi e prevedeva linee di sviluppo del piano. Nell'accordo vi era inoltre l'impegno a mantenere il centro di eccellenza delle tecnologie e delle produzioni meccaniche di Pistoia e di Napoli e, in coerenza con il piano di acquisizioni commerciali, si ribadiva la necessità della strategica sussistenza degli impianti di Reggio Calabria e Palermo;
in un'audizione alla Commissione lavoro del Senato sugli effetti della crisi sull'occupazione, nel settembre 2011, l'amministratore delegato di Finmeccanica Giuseppe Orsi ha dichiarato che per garantire competitività ed «eccellenze» erano necessari capitali esterni e che l'alternativa per attività non-core di Finmeccanica, come AnsaldoBreda, era il fallimento e la chiusura degli impianti. Da alcuni mesi, d'altronde, la stampa riporta notizie di possibili trattative di vendita, totale o parziale, a gruppi stranieri come Alstom, Bombardier, Siemens, General Elettric, e recentemente anche italiani;
nel gennaio 2012 la AnsaldoBreda ha predisposto un piano di rilancio triennale che punta al pareggio di bilancio nel 2014. Il piano prevede quattro linee d'azione: riorganizzazione manageriale e la riduzione dei costi; efficientamento e aumento della produttività, riequilibrio del rapporto tra lavoratori diretti e indiretti e rapporto con i fornitori; il quarto punto riguarda l'impianto di Palermo, dove viene fatta la rigenerazione delle carrozze e dove la società ritiene che il valore della produzione sia critico, per cui indica sei mesi per provare a invertire il trend. A fronte di risultati negativi, probabilmente la società dismetterà l'impianto;
inoltre è previsto un piano di esuberi: 102 nel 2012 (quando il fatturato sarà di 712 milioni), 786 nel 2013 (con i ricavi che scendono a 700 milioni) e 500 nel 2014 (quando il fatturato tornerà a salire a quota 777 milioni). Nel 2015 si dovrebbe raggiungere la piena occupazione. Per quanto riguarda i 102 esuberi di quest'anno, 75 riguardano lo stabilimento di Pistoia, 15 l'impianto di Palermo e 12 quello di Napoli. I 108 lavoratori con contratto interinale (78 a Napoli, 30 a Reggio Calabria) probabilmente non saranno confermati. Stop anche alle consulenze e progressivo azzeramento del cosiddetto «incentrato», cioè lavoro affidato a ditte esterne che però operano all'interno degli impianto di AnsaldoBreda. Un terzo dei dirigenti, circa 20 su 57, sarà tagliato;
a fronte di tali esuberi e incertezze sul futuro della Ansaldobreda, e a fronte dell'ipotesi di vendita della società, i lavoratori della Ansaldobreda e i sindacati dei lavoratori denunciano che l'ipotesi di vendita del Gruppo a player mondiali del settore non potrebbe che dare luogo ad una profonda ristrutturazione degli attuali insediamenti per tutte quelle attività di pregio che vanno al di là di ciò che possono essere le lavorazioni meccaniche tradizionali. La ricerca, lo sviluppo, la commercializzazione, la progettazione di tutto ciò che sarà utile al trasporto pubblico finirebbe inevitabilmente nei Paesi di origine dell'eventuale acquirente, sorte peggiore toccherebbe alla manodopera reperibile

a minor costo altrove, con conseguenze pesantissime sull'occupazione, sull'indotto e sull'economia dei territori dove insistono gli stabilimenti della Ansaldobreda, delle regioni (Toscana, Campania, Calabria, Sicilia) e del Paese nel suo insieme;
inoltre, l'ipotesi di vendita paventata non trova sostenibilità dal punto di vista economico perché quello dei trasporti in Finmeccanica, diversamente dal settore militare, risulta essere uno tra quelli a maggior previsione di crescita -:
se il Governo ritenga il settore industriale ferroviario nazionale come strategico per lo sviluppo del Paese e se intenda predisporre un piano nazionale di rilancio per il trasporto ferroviario;
quali azioni il Governo intenda muovere a difesa dell'occupazione negli impianti della Ansaldobreda e dell'indotto relativo al comparto ferroviario e se intenda puntare e investire sulle eccellenze industriali del settore ferroviario già presenti nel Paese.
(5-06267)

Interrogazioni a risposta scritta:

GIULIETTI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 17 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cosiddetto «Salva Italia»), ha previsto l'obbligo per le imprese e le società di indicare il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione nel modello di dichiarazione dei redditi;
a seguito dell'entrata in vigore di tale disposizione, la RAI-Radiotelevisione Italiana spa ha provveduto ad inviare indistintamente a diversi soggetti (imprese, società, studi professionali, e altri) il bollettino postale per provvedere al pagamento dell'abbonamento speciale, specificando che lo stesso è dovuto, oltre che per il possesso di un apparecchio televisivo, anche in presenza di computer con collegamento a alla rete internet, in quanto strumento «atto o adattabile alla ricezione delle radioaudizioni» (articolo 1, del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246);
il canone speciale Rai deve essere corrisposto nel caso di attività commerciali, a scopo di lucro diretto o indiretto (decreto legislativo lgt 21 dicembre 1944, n. 458) e a prescindere dall'utilizzo effettivo dello strumento;
l'obbligo del pagamento è stato affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 184 del 2002, con la quale la Consulta stabilisce la natura di tributo del canone, facendo discendere la sua obbligatorietà dal possesso stesso dello strumento: «...il collegamento dell'obbligo di pagare il canone alla semplice detenzione dell'apparecchio, atto o adattabile alla ricezione anche solo di trasmissioni via cavo o provenienti dall'estero (...), indipendentemente dalla possibilità e dalla volontà di fruire dei programmi della concessionaria del servizio pubblico, discende dalla natura di imposta impressa al canone... »;
anche la Corte di Cassazione a sezioni unite ha ribadito che il canone di abbonamento radiotelevisivo «non trova la sua ragione nell'esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che le leghi il contribuente, da un lato, e l'ente Rai dall'altro (...), ma si tratta di una prestazione tributaria, fondata sulla legge» (sentenza n. 24010 del 20 novembre 2007);
la giurisprudenza ha fornito chiarimenti circa l'obbligatorietà della corresponsione del canone speciale, ma non ha risolto i dubbi interpretativi circa la legittimità della richiesta in relazione al possesso di strumenti che l'evoluzione della tecnologia ha reso atti o adattabili alla trasmissione dei programmi televisivi (computer, videofonini, apparecchi modem e altro), né circa l'opportunità del pagamento, qualora tali strumenti non fossero utilizzati a scopo di intrattenimento, ma perché funzionali all'attività di impresa;
già nel 2008, l'Agenzia delle entrate, sollecitata da una associazione di consumatori

che chiedeva di specificare la tipologia di strumenti per l'utilizzo dei quali il pagamento del canone speciale Rai fosse dovuto, con propria risoluzione n. 102 del 19 marzo 2008 ha confermato la debenza del pagamento, ma si è dichiarata incompetente a risolvere la questione, in quanto l'individuazione specifica degli apparecchi avrebbe dovuto essere determinata dal Ministero delle comunicazioni (oggi la competenza in materia è del Ministero dello sviluppo economico). L'Agenzia ha successivamente provveduto ad inoltrare la richiesta all'amministrazione competente, senza tuttavia ottenere risposta;
l'introduzione dell'articolo 17 del decreto-legge «Salva Italia» è finalizzato all'emersione delle situazioni illegittime in cui i soggetti si sono sottratti al pagamento del dovuto, ma, in assenza della determinazione di cui sopra, obbliga al pagamento del canone speciale anche i soggetti che utilizzano gli apparecchi informatici ai fini dell'attività professionale o di impresa. In merito si ricorda che, in taluni casi, i soggetti economici si sono dotati di tali apparecchiature proprio per assolvere ad obblighi normativi, quali l'adozione della posta elettronica certificata o l'obbligo di comunicazione per via telematica tra imprese e pubblica amministrazione;
in ragione delle difficile situazione economica, le richieste di pagamento avanzate dalla RAI alle imprese e società, in relazione all'uso di strumenti non tassativamente individuati ed a prescindere dall'effettivo uso che viene fatto di questi, appare un ulteriore ed ingiustificato aggravio a carico delle imprese -:
in che modo e con quale tempistica il Governo intenda procedere all'individuazione degli strumenti per l'utilizzo dei quali si debba corrispondere il pagamento del canone speciale Rai;
attraverso quali iniziative il Governo, nelle more dell'adozione degli atti successivi necessari alla risoluzione della questione, intenda sospendere gli effetti delle richieste di pagamento inviate dalla RAI-Radiotelevisione Italiana spa per la corresponsione del canone speciale di abbonamento e, conseguentemente, l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 17 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazione dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
(4-15099)

BURTONE. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nel 1987 in località San Basilio di Pisticci si insediò il complesso turistico Club Med;
si trattò del primo marchio di richiamo internazionale che si è insediato lungo la costa jonica lucana;
il disimpegno dello storico marchio dell'industria turistica e la chiusura dell'impianto ha determinato ripercussioni negative sul territorio a partire dai circa 140 lavoratori stagionali che vi erano impiegati;
fu insediato un tavolo di confronto presso la prefettura di Matera per verificare le possibilità di riapertura della struttura ricettiva a cui ha preso parte Sviluppo Italia rappresentata dall'amministratore delegato Carlo De Romedis;
la road map della trattativa prevedeva un impegno finanziario di circa 10-15 milioni di euro per rendere più appetibile la struttura turistica agli occhi di eventuali investitori e comunque con la chiusura per la stagione estiva 2011;
a febbraio 2012 del rilancio del complesso turistico ex Club Med di Pisticci non si intravede neppure l'ombra;
la partecipazione di Sviluppo Italia non sembra aver portato fino ad ora gli effetti sperati;
se e quali iniziative il Governo intenda attivare nei confronti di Sviluppo Italia per verificare quali siano le reali intenzioni di rilancio nei confronti della

struttura ricettiva ex Club Med di Pisticci e se e quali iniziative intenda attivare per consentire la riapertura del villaggio turistico in vista della prossima stagione estiva 2012.
(4-15100)

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Apposizione di firme a risoluzioni.

La risoluzione in commissione Montagnoli n. 7-00054, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 ottobre 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Reguzzoni.

La risoluzione in commissione Montagnoli e Caparini n. 7-00169, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Reguzzoni.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04081, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04082, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04085, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04086, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04087, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04088, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04089, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04090, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05303, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 dicembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05334, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 dicembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta in commissione Montagnoli n. 5-05216, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 luglio 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Reguzzoni.

L'interrogazione a risposta in commissione Montagnoli n. 5-05674, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 novembre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Reguzzoni.

L'interrogazione a risposta in commissione Montagnoli e Bitonci n. 5-06095, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 febbraio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Reguzzoni.

L'interrogazione a risposta immediata in commissione Montagnoli n. 5-06159, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 febbraio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Reguzzoni.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta in Commissione Barbato n. 5-05594 del 25 ottobre 2011;
interrogazione a risposta in Commissione Carlucci n. 5-06133 del 9 febbraio 2012;
interrogazione a risposta in Commissione De Biasi n. 5-06192 del 16 febbraio 2012;
interrogazione a risposta scritta Palagiano n. 4-14996 del 20 febbraio 2012.