XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di martedì 21 febbraio 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
il 16 febbraio 2012 il Parlamento europeo ha approvato l'accordo tra l'Unione europea e il Marocco che liberalizza, in parte, il commercio di prodotti agricoli e di pesca;
gli obiettivi principali sono l'incremento del commercio fra l'Unione europea e il Marocco e il sostegno della transazione democratica, nonché il primo passo verso un accordo di libero scambio;
le misure commerciali con il Marocco prevedono l'aumento delle quote di scambio per una serie di prodotti, che potranno essere importati a tariffe doganali basse o pari a zero, stabilendo l'eliminazione del 55 per cento delle tariffe doganali sui prodotti agricoli e di pesca marocchini e il 70 per cento delle tariffe sui prodotti agricoli e di pesca dell'Unione europea in 10 anni;
una delle principali preoccupazioni è data dal fatto che l'accordo con il Marocco per i prodotti agricoli e della pesca rischia di avere ripercussioni negative sull'occupazione, vanificando il grande sforzo delle imprese nella valorizzazione dell'ortofrutta nel Meridione italiano; inoltre, un rapporto dell'ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), ha dimostrato che il sistema europeo di controllo e di tutela per le importazioni dal Marocco non è efficace, generando notevoli preoccupazioni;
è fondamentale tener conto dei diversi standard produttivi in termini ambientali, fitosanitari e di qualità e sicurezza alimentare dei prodotti originari del Marocco e del fatto che il sistema europeo dei prezzi di entrata per tali importazioni non tiene conto dei costi di produzione e di manodopera, cosa che si traduce in una concorrenza sleale;
il primato del settore ortofrutticolo del Sud Italia sarebbe fortemente a rischio, in quanto si assisterebbe ad un notevole aumento dei prodotti provenienti dal Marocco,


impegna il Governo:


a monitorare con molta attenzione il rispetto delle quote e rafforzare i controlli alle frontiere per evitare frodi e violazioni dei prezzi di importazione;
a definire un'azione coesa in difesa del comparto agricolo e ittico, fonte primaria dell'economia del sud Italia;
a valutare le conseguenze che ci saranno con l'apertura dell'economia europea al Marocco, al fine di ottenere che quel Paese attui le stesse direttive in materia di scambi commerciali e tutela dei consumatori, imposte agli operatori dei settori agricolo e ittico in Europa.
(1-00872)
«Grimaldi, Fallica, Iapicca, Miccichè, Misiti, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova, Mario Pepe (Misto-R-A)».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha introdotto un regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali o professionali;
tale regime si applica per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un'attività d'impresa, arte o professione o che l'hanno intrapresa successivamente al 31 dicembre 2007, con l'applicazione di

un'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali pari al 5 per cento;
il beneficio dell'imposta sostitutiva al 5 per cento è riconosciuto a condizione che:
a) nei 3 anni precedenti l'inizio dell'attività, il contribuente non abbia esercitato attività artistica, professionale o d'impresa;
b) la nuova attività non sia il proseguimento della precedente, ad esclusione del caso in cui l'occupazione già svolta abbia riguardato un praticantato obbligatorio per l'esercizio della professione;
c) nel caso in cui si prosegua un'attività di impresa di un altro soggetto, i ricavi da questo realizzati nell'ultimo periodo di imposta non superino i 30.000 euro;
le condizioni che i contribuenti devono rispettare per rientrare nel regime diventano quindi più stringenti ed aggiuntive rispetto a quelle fissate dall'articolo 1, commi 96 e seguenti, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che aveva introdotto il regime dei minimi; si stima quindi che circa 500.000 soggetti fuoriescano dal «vecchio» regime e non rientrino nel «nuovo» regime; per questi si pone il problema del passaggio da un regime che era particolarmente favorevole sia in termini di riduzione degli adempimenti fiscali, sia in termini di riduzione del carico fiscale; questi soggetti potranno usufruire di un regime semplificato che potrà essere applicato fino al verificarsi di cause di decadenza, sulla base delle regole del vecchio regime, ovvero fino all'opzione per il regime ordinario. Comunque varrà l'obbligo di applicare l'IRPEF con le regole ordinarie previste dal testo unico delle imposte sui redditi, comprese le addizionali regionali e comunali, gli oneri deducibili e detraibili e l'applicazione per le aziende del criterio della competenza economica, con la conseguente attenzione ai beni ammortizzabili e alle rimanenze di merci; l'imposta sul valore aggiunto dovrà essere versata relativamente alla liquidazione annuale, entro il 16 marzo dell'anno successivo, mentre documenti e fatture dovranno essere conservati ed utilizzati per la predisposizione delle dichiarazioni senza obbligo di registrazione; oltre a tali nuovi obblighi, i «fuoriusciti» dal regime dei minimi dovranno applicare gli studi di settore;
quest'ultimo adempimento sarà l'ostacolo più duro per chi fuoriesce dal regime dei minimi: proprio per i requisiti di accesso, il regime era idoneo ad includere una serie di professionisti non iscritti ad albi, piccoli artigiani e commercianti con un volume d'affari ridotto e con un'attività poco strutturata, e una serie di altri contribuenti che già godono di altri redditi (magari da pensione) e svolgono un'attività residuale autonoma; tali figure proprio per le caratteristiche di marginalità della loro attività non dovrebbero compilare il modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini degli studi di settore e non dovrebbero essere soggetti agli accertamenti basati su tale strumento;
già prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 98 del 2011, la Lega Nord aveva sottolineato, attraverso proposte emendative, la necessità di rivedere al rialzo i limiti per accedere al «vecchio» regime dei minimi, al fine di allargare la platea dei beneficiari, in considerazione dell'effettivo vantaggio per i contribuenti; la richiesta di estendere il regime derivava anche dalla valutazione del periodo di estrema difficoltà che le imprese, ma soprattutto le piccole aziende, gli artigiani ed i commercianti stavano affrontando e non hanno ancora superato; ora, con la fuoriuscita dal regime dei minimi, oltre a dover versare le imposte sui redditi secondo le aliquote ordinarie, gli «ex minimi» dovranno «subire» lo strumento degli studi di settore, che, nonostante i correttivi apportati, non sono in grado di rappresentare una realtà in crisi, con fatturati in diminuzione e costi in aumento; il pericolo di non rientrare nei parametri degli studi, con conseguente accertamento e versamento di imposte che

non sono in questo momento sopportabili, spingerà molti contribuenti a chiudere i battenti, con conseguenze economiche e sociali drammatiche,


impegna il Governo


ad assumere iniziative normative volte ad esonerare dall'applicazione degli studi di settore i contribuenti che sono fuoriusciti dal regime agevolato dei «minimi» a causa della carenza dei nuovi requisiti di accesso al regime introdotti dall'articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 2011.
(1-00873)
«Forcolin, Dozzo, Fugatti, Montagnoli, Comaroli, Lussana, Fogliato, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Fogliato, Follegot, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».

La Camera,
premesso che:
donne e uomini sono uguali rispetto al diritto alla salute e di fronte ai servizi socio-sanitari. Proprio per questo occorre parlare di salute della donna e di salute dell'uomo: la parità del diritto richiede la diversificazione dei modi nella sua tutela. È importante ricordare che la medicina di genere non significa medicina delle donne. Un approccio di genere significa prendere in considerazione uomini e donne al di là degli stereotipi e promuovere all'interno della ricerca medica e farmacologica l'attenzione alle differenze biologiche, psicologiche e culturali che ci sono tra i due sessi;
per questo si ha bisogno di parlare di medicina di genere che non si identifica con le malattie delle donne e degli uomini, ma cerca di capire come curare, diagnosticare e prevenire le malattie comuni ai due sessi, e che incidono diversamente su uomo e donna per la differenza di genere, e che sono, in realtà, il lavoro quotidiano del medico nel territorio e nell'ospedale: lo scompenso cardiaco, le aritmie cardiache, l'infarto del miocardio, i tumori del colon e del polmone, le malattie infettive epidemiche e poi il dolore, le cefalee, le malattie gastroenterologiche e così via. Con questa necessaria reimpostazione concettuale ci si è perfino resi conto che la donna non è immune dalle malattie che si è sempre ritenuto dovessero colpire prevalentemente l'uomo, come le malattie del cuore e dei vasi (infarto e ictus), o i tumori del polmone; addirittura si deve prendere conoscenza che le malattie cardiovascolari portano a morte più donne che uomini, e che gli effetti collaterali dei farmaci sono molto diversi nei due generi;
nel nostro Paese le donne vivono più a lungo degli uomini, - nel 2006 la loro speranza di vita alla nascita era di 84 anni, contro i 78,3 anni degli uomini -, ma spesso la loro qualità di vita e di salute è minore: si recano dal medico molto più degli uomini e lo fanno, nella maggior parte dei casi, per affrontare patologie non tipicamente femminili (il 58 per cento delle visite ambulatoriali è per una donna);
la scoperta che uomini e donne differiscono tra loro, non solo per quanto riguarda l'apparato riproduttivo sembra essere piuttosto recente in campo medico. Infatti, fino a pochi anni fa si riteneva che ciò che valeva per l'uomo fosse valido anche per la donna. Con i progressi della ricerca scientifica sono emerse però differenze sostanziali tra i generi e quanto più procedono questi studi, tanto più

emergono concrete difformità tra uomini e donne: dal DNA, molecola base della vita, che si esprime in modo diverso a seconda del sesso, a molte malattie, che hanno spinto a creare una nuova branca della medicina ancora poco conosciuta nel nostro Paese: «la cosiddetta medicina di genere»;
con l'espressione «medicina di genere» si intende la distinzione in campo medico delle ricerche e delle cure in base al genere di appartenenza, non solo da un punto di vista anatomico, ma anche secondo differenze biologiche, funzionali, psicologiche e culturali, oltre che di risposta alle cure. Una serie ormai vasta di studi dimostra che la fisiologia degli uomini e delle donne è diversa e tale diversità influisce profondamente sul modo in cui una patologia si sviluppa, viene diagnosticata, curata e affrontata dal paziente. Per questo chi lavora nel campo della salute - medici, ricercatori, aziende farmaceutiche, ma anche istituzioni pubbliche e società scientifiche - devono preoccuparsi che le risposte e le soluzioni - assistenza, terapie, farmaci - siano adeguate alle caratteristiche della persona, incluse quelle di genere;
la medicina di genere applica alla medicina il concetto di bio-diversità per garantire a tutti, uomini o donne, il migliore trattamento auspicabile in funzione delle specificità di genere. Questo oggi non avviene ancora in misura soddisfacente in diversi ambiti della medicina e della farmacologia: ad esempio, per minimizzare i rischi di una nuova molecola sulle donne in età fertile se ne limita la partecipazione negli studi clinici. Se questo tutela correttamente le donne in età fertile, non permette di acquisire un livello di conoscenze adeguate sulla risposta specifica delle donne ai farmaci, anche in tempi diversi da quelli dell'età fertile;
donne e uomini presentano nell'arco della loro esistenza, patologie differenti o differenti sintomi di una stessa patologia e, quindi, si ritiene necessario un approfondimento scientifico della medicina dedicata alla donna; la «medicina di genere» rappresenta il tentativo di approfondire la diversità tra i sessi applicandola alla medicina, così da garantire ad entrambi il miglior trattamento possibile. Questo concetto si evidenzia, infatti, a livello anatomico, ma anche e soprattutto a livello biologico, funzionale, psicologico, sociale, ambientale e culturale; l'ottica di genere difatti non è ancora pienamente utilizzata per programmare gli interventi di promozione della salute e ancora persistono pregiudizi di genere nello studio dell'eziologia, dei fattori di rischio, nelle diagnosi e nei trattamenti. Proprio perché è stato fatto pochissimo e si è ancora lontani da una politica sanitaria che rispetti le distinzioni di genere, la Commissione europea ribadisce la necessità che quanto prima si promuova una politica in difesa della salute tenendo conto della diversità di genere ed il Consiglio dell'Unione europea sollecita una maggior conoscenza da parte degli operatori sanitari per affrontare le disuguaglianze nella salute e garantire parità di trattamento e di accesso alle cure. La conoscenza delle differenze di genere favorisce, infatti, una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi;
l'approccio di genere non rientra ancora nelle scelte di programmazione per gli interventi a tutela della salute nel nostro Paese e nemmeno nei programmi universitari. Esistono ancora stereotipi e pregiudizi di genere, nella ricerca biomedica e nella medicina: dallo studio delle cause ai fattori di rischio per la salute, dai sintomi alla diagnosi. La medicina di genere (MDG) non è quindi una nuova etichetta della medicina della donna ma un percorso trasversale tra le discipline mediche; un nuovo approccio non più rimandabile di cui l'organizzazione sanitaria deve prendere atto per agire di conseguenza;
c'è bisogno di un nuovo approccio scientifico al genere che si traduca in una ricerca biomedica sempre più capace di indagare la complessità biologica della

differenza di sesso, accanto alla necessaria attenzione alla differenza con cui i due generi sono interpretati nell'organizzazione sanitaria, per evitare diseguaglianze che ricadono sulla sofferenza dell'individuo e sui costi della sanità. La spesa sanitaria viene sempre più considerata un investimento per la salute e, quindi, come uno dei principali determinanti della crescita di un Paese. Il livello di diseguaglianza di genere, soprattutto nell'erogazione di servizi, non corrispondente alle esigenze dei fruitori, è considerato un indice della qualità di vita di una nazione. Un'appropriatezza di genere nella protezione della salute dell'uomo e della donna può essere misurata con indicatori economici;
l'invito pressante dell'ONU/WHO, e in particolare l'articolazione del terzo Millennium Development Goal - MDG3 (che richiama attenzione e impegni più costanti non solo nell'empowerment della donna, e al miglioramento educativo della stessa, ma anche sugli interventi sulla salute che estendano l'aspettativa di vita dell'uomo in modo comparabile con la donna), ha stentato nel trovare una risposta nel fertile terreno italiano, storicamente abituato ad affrontare nella realtà di tutti i giorni la necessità di superare distanze o differenze culturali, e di intervento, per esempio, sulla salute e la sua protezione. Il concetto di pari opportunità non è di ieri e risale a indirizzi ben chiari nella costituzione della Repubblica (ormai oltre i sessanta anni di età). Pur tuttavia le classifiche ultime vedono la posizione italiana scendere progressivamente al 74mo posto in una classifica ideale di livello di pari opportunità;
secondo i dati del Ministero della salute il 6 per cento delle donne soffre di disabilità (vista, udito, movimento) contro il 3 per cento degli uomini, il 9 per cento soffre di osteoporosi contro l'1 per cento degli uomini, il 7,4 per cento di depressione contro il 3 per cento degli uomini. Ci sono poi malattie autoimmuni che colpiscono prevalentemente il sesso femminile, come ad esempio l'artrite reumatoide e questo dimostra che ci sono differenze tra il sistema immunitario maschile e quello femminile. Le malattie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini sono: osteoporosi (+736 per cento), malattie tiroidee (+500 per cento), depressione e ansietà (+138 per cento), cefalea ed emicrania (+123 per cento), Alzheimer (+100 per cento), cataratta (+80 per cento), artrosi e artrite (+49 per cento), calcolosi (+31 per cento), l'ipertensione arteriosa (+30 per cento), il diabete (+9 per cento), le allergie (+8 per cento) e alcune malattie cardiache (+5 per cento);
secondo gli ultimi studi condotti dai ricercatori della New York university school of medicine, il rischio di morte per malattie cardiache è complessivamente molto più alto nelle donne che negli uomini. In Italia, circa 33mila donne ogni anno restano vittime di un attacco cardiaco. Anche in questo caso sono coinvolti gli ormoni femminili che, in età fertile proteggono l'apparato cardiocircolatorio; col sopraggiungere della menopausa, tale effetto protettivo viene a mancare. Comunque, la malattia cardiovascolare resta il killer numero uno per la donna e supera di gran lunga tutte le cause di morte. Anche la diagnosi è sottostimata, e avviene in uno stadio più avanzato rispetto agli uomini, la prognosi è più severa per pari età ed è maggiore il tasso di esiti fatali alla prima manifestazione di malattia. Nonostante ciò, è sempre stata invece considerata una malattia maschile e questo ha creato un pregiudizio di genere che riguarda l'approccio ai problemi cardiovascolari delle donne. La conseguenza è che l'intervento preventivo, a differenza degli uomini, non si rivolge verso gli stili di vita delle donne, ma fondamentalmente al controllo di quello che è considerato il principale fattore di rischio, e cioè la menopausa, con la somministrazione di ormoni che a lungo hanno esposto le donne ad altri fattori di rischio;
una differenza esiste anche per quanto riguarda l'obesità e le sue conseguenze: infatti, pur se tale patologia interessa

in egual misura uomini e donne, tra le donne obese la complicanza diabetica è molto più marcata rispetto agli uomini. Le patologie psichiche sono prevalenti e in crescita tra le donne. In particolare, la depressione è la principale causa di disabilità delle donne di 15-44 anni: essa presenta una prevalenza dell'11 per cento nei dati di HS. Una ricerca effettuata tra i medici di medicina generale rivela che il 20 per cento delle donne del campione usa ansiolitici contro il 9 per cento degli uomini, e il 15 per cento usa farmaci antidepressivi, SSRI (inibitori del reuptake della serotonina) contro il 7 per cento degli uomini. Anche negli Stati Uniti i farmaci psicotropi vengono prescritti per i 2/3 alle donne, e numerose ricerche hanno evidenziato che essi tendono a provocare loro maggiori effetti collaterali, in considerazione del fatto che le variazioni ormonali cicliche mensili, oltre a quelle indotte dall'uso contemporaneo di terapia contraccettiva o sostitutiva ormonale, possono avere un azione negativa sul tipo di farmaco, sulla dose necessaria per ottenere l'effetto ricercato e sul tipo di risposta. Ma in realtà, andrebbe verificato quanto spesso nelle ricerche, nei risultati dei trial clinici, nella valutazione degli effetti collaterali dei farmaci, si tiene conto della differenza di genere, soprattutto considerando il fatto che le donne consumano più farmaci rispetto agli uomini;
infine, quando si parla di salute della donna non si può dimenticare, come purtroppo spesso avviene, l'entità del problema «violenza» a tutti i livelli. La violenza sessuale, fisica, psicologica, economica contro le donne rappresenta ormai una grande emergenza e una grande questione di civiltà. I dati 2006 dell'Istat dimostrano che in Italia le donne tra 16 e 70 anni vittime di violenza, nel corso della vita, sono stimate in quasi 7 milioni. Il 14,3 per cento delle donne, che abbiano o abbiano avuto un rapporto di coppia, ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal partner, ma solo il 7 per cento la denuncia. La violenza contro le donne ha una forte rilevanza sanitaria, per le conseguenze immediate delle lesioni fisiche e per gli effetti secondari: depressione, ansia e attacchi di panico, disturbi dell'alimentazione, dipendenze, disturbi sessuali e ginecologici, malattie sessualmente trasmissibili, disturbi gastrointestinali e cardiovascolari;
secondo l'ultima indagine ISTAT su «Condizione di salute e ricorso a servizi sanitari», un'indagine che viene svolta con cadenza quinquennale, le donne di età media hanno, rispetto agli uomini, una percezione negativa del proprio stato di salute. In effetti, esse sono affette con maggiore frequenza degli uomini da quasi tutte le patologie croniche e in particolar modo, come si è visto, da patologie osteo-articolari, malattie neuro-degenerative, diabete, disturbi della funzione tiroidea, ipertensione arteriosa, vene varicose, osteoporosi e cefalea;
il problema della medicina di genere nasce anche dal fatto che gli studi di nuovi farmaci, di nuove terapie e dell'eziologia e dell'andamento delle malattie sono stati condotti considerando sempre come fruitori i maschi. Di conseguenza le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un vizio di fondo: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile che sottovaluta le peculiarità femminili. Le caratteristiche specifiche della salute delle donne vengono sottovalutate anche all'interno di una ricerca medica che è prevalentemente centrata sull'uomo. Sussiste una sorta di pregiudizio scientifico che considera le malattie delle donne come una derivazione biologico-ormonale di quelle degli uomini con una prevalente derivazione socio-ambientale e lavorativa;
il problema di individuare un approccio alla medicina basato sul genere nasce dal fatto che tutti gli studi sperimentali sui farmaci sono sempre stati condotti considerando come finitori i maschi, perché sono fisiologicamente più stabili e per la difficoltà scientifica a portare

avanti una sperimentazione nel sesso femminile. Di conseguenza le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un difetto alla base: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile, che sottovaluta le peculiarità femminili ed in particolare il ruolo degli ormoni;
la medicina di genere permette, dunque, di evidenziare anche nel campo della ricerca farmacologica, le diverse risposte all'assunzione dei farmaci tra gli individui di sesso maschile e quelli di sesso femminile, che, per esempio, sembrano essere più inclini a reazioni avverse. Sarebbe, pertanto, auspicabile uno studio mirato di questo tipo in tempi brevi, considerando che il consumo dei farmaci da parte delle donne è percentualmente più elevato rispetto a quello degli uomini. La conoscenza delle differenze di genere favorisce, infatti, una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi;
la prima sperimentazione farmacologica riservata alle donne risale al 2002 quando, presso la Columbia university di New York fu istituito il primo corso di medicina di genere. La prima volta che in medicina venne menzionata la cosiddetta «questione femminile» fu nel 1991 quando Bernardine Healy, direttrice dell'Istituto nazionale di salute pubblica, sulla rivista New England journal of medicine parlò di «yentl syndrome» a proposito del comportamento discriminante dei cardiologi nei confronti della donna. Solo 10 anni dopo però venne avviata una sperimentazione riservata alle donne, nel 2002 quando la Columbia University di New York istituì il primo corso di medicina di genere, «a new approach to health care based on insights into biological differences between women and men». Un corso dedicato allo studio di tutte quelle patologie che in modo diverso riguardano entrambi i sessi. La stessa OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ha inserito poi la medicina di genere nell'equity act a testimonianza che il principio di equità implica che la cura sia appropriata e sia la più consona al singolo genere. Recentemente ci si è resi conto di significative differenze nell'insorgenza, nello sviluppo, nell'andamento e nella prognosi delle malattie. Gli organi e gli apparati che sembrano differire maggiormente sono il sistema cardiovascolare, il sistema nervoso e quello immunitario. Per esempio, la malattia cardiovascolare, considerata da sempre una malattia più frequente nell'uomo, è in realtà il killer numero uno per la donna tra i 44 e i 59 anni. Eppure esiste ancora la tendenza a sottovalutare l'approccio ai problemi cardiovascolari delle donne;
senza un orientamento di genere, la politica della salute risulta metodologicamente scorretta, oltre che discriminatoria. Per esempio:
a) l'interesse per la salute femminile è prevalentemente circoscritto agli aspetti riproduttivi: la medicina materno-infantile è parte integrante e prioritaria della medicina di genere, ma non esclusiva;
b) le donne sono al primo posto nel consumo di farmaci, ma sono poco rappresentate negli studi clinici o farmacologici. Di conseguenza, sono maggiormente esposte a possibili reazioni avverse al momento dell'assunzione di farmaci dopo l'immissione in commercio, con l'evidenziazione di riscontri di una minore efficacia nel loro uso, con effetti collaterali e indesiderati più frequenti e più gravi rispetto agli uomini;
c) rispetto alle condizioni di lavoro, sono state considerate sino ad oggi quasi esclusivamente le caratteristiche del lavoratore maschio. Delle donne si parla soltanto nel periodo della gravidanza, in rapporto esclusivamente ai rischi del nascituro. Gli infortuni e le malattie professionali che riguardano le donne (come le dermatosi e i disturbi muscolo-scheletrici) non sono sufficientemente presi in considerazione;

d) non viene prestata attenzione agli eventi patologici connessi con il lavoro domestico, in particolare gli infortuni;
e) non si considera il maggior rischio psico-sociale che colpisce le donne e che è dato dal doppio carico di lavoro;
nelle sperimentazioni dei medicinali, in effetti, vengono utilizzate quasi esclusivamente soggetti di sesso maschile, questo perché le donne, a causa del loro complesso sistema ormonale, prolungano i tempi necessari per una sperimentazione, necessitano di regole ben più precise, devono usare un anticoncezionale per evitare gravidanze durante lo studio e così creano troppi problemi alle lobby per cui più semplicemente non vengono inserite nelle sperimentazioni farmacologiche;
proprio per questo però è da non sottovalutare il fatto che gli ormoni femminili possono interferire con l'efficacia di molti farmaci, come gli antistaminici, gli oppiacei, gli antibiotici e gli antipsicotici; di conseguenza gli effetti farmacologici ne potranno risultare amplificati o ridotti. In sostanza, molto spesso, vengono prescritti farmaci di cui si conosce perfettamente il meccanismo d'azione sull'uomo ma non sulla donna, rischiando di non curare o curare in maniera sbagliata le patologie di cui è affetta la donna;
anche i medicinali più comuni, in base a recenti studi scientifici, possono avere degli effetti diversi su donne e uomini. Tra tutti, l'esempio che più ha fatto discutere negli ultimi anni è, senza dubbio, l'aspirina. Alcune ricerche, la più importante delle quali è quella condotta nell'ottobre 2007 da Tood Jerman della university of British Columbia hanno scoperto che la terapia a base di aspirina potrebbe essere inutile per le donne nella protezione dall'infarto del miocardio. In questo studio è stato dimostrato, infatti, attraverso 23 trial con oltre 100.000 pazienti in quarant'anni, che l'aspirina riduce il rischio di infarto del miocardio negli uomini, ma nelle donne questo effetto di prevenzione è fortemente ridotto;
il dolore cronico colpisce le donne in maniera maggiore e spesso del tutto differente rispetto agli uomini. In Italia, secondo uno studio epidemiologico svolto dalla IASP, il dolore cronico interessa il 26 per cento della popolazione, di cui il 56 per cento è rappresentato da donne. Tra uomini e donne cambia sia la frequenza sia l'intensità sia il tipo di dolore. Emicrania, fibromialgia, cefalea e artrite reumatoide - tutte patologie il cui sintomo prevalente è il dolore e che, per questo necessitano di una adeguata terapia - sono molto più frequenti nel sesso femminile;
uno studio del 2009, condotto dal dipartimento di anestesiologia della seconda università di Napoli in collaborazione anche con l'università di Siena e quella di Chieti ha valutato l'importanza degli ormoni gonadici (testosterone, estradiolo) nella terapia del dolore. In particolare, è stato dimostrato che l'uso di alcuni oppioidi può avere effetti diversi sulle donne a seconda dell'età riproduttiva e sugli uomini, mentre altri farmaci della stessa categoria possono non agire sull'asse ipotalamo-ipofisi-gonadico;
gli ormoni femminili influenzano anche altri tipi di malattie, ad esempio quelle dello stomaco. Dall'ulcera gastrica, che colpisce prevalentemente le donne rispetto agli uomini, si può guarire con più facilità grazie all'azione degli ormoni femminili, in particolare grazie al progesterone, che inibisce la formazione dei succhi gastrici, ed agli estrogeni, che nella fase pre-menopausale, o meglio ancora in quella della gravidanza, garantiscono la protezione della mucosa dello stomaco;
in Italia, nel 2005, è nato l'osservatorio O.N.D.A. (Osservatorio nazionale sulla salute della donna), che si occupa della salute della donna e che collabora con tutti gli istituti preposti a livello nazionale, per studiare, informare, educare e stimolare una grande attenzione su queste tematiche; senza un orientamento di genere, le misure politiche a tutela della salute risultano metodologicamente scorrette,

oltre che discriminanti. Per questo motivo la medicina di genere è ormai una realtà dalla quale non si può prescindere,


impegna il Governo:


a predisporre iniziative di prevenzione sostenute da periodiche campagne informative centrate di volta in volta su obiettivi chiave: incidenti domestici, obesità, patologie cardiovascolari, tumori del seno, violenza femminile e altro;
ad assumere iniziative volte a consigliare l'uso di acido folico alle donne in periodo fertile e a valutare l'utilità dell'assunzione di iodio nelle donne gravide;
a promuovere il potenziamento, omogeneo sul territorio nazionale, della ricerca medica, scientifica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere, al fine di tutelare realmente, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, la salute di tutti i cittadini, ponendo al centro dell'attenzione del sistema socio-sanitario la medicina materno-infantile, senza per questo estromettere la donna dalla sperimentazione farmacologica;
a promuovere l'inserimento della «medicina di genere» nei programmi dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e delle scuole di specializzazione come un modo di favorire l'interdisciplinarietà nell'ottica di genere, anche attraverso successivi master dedicati a chi, nel post laurea, voglia approfondire questa materia, per incidere sulla cura e sulla prevenzione delle malattie;
a promuovere percorsi che garantiscano all'interno delle strutture sanitarie pubbliche l'esistenza o la realizzazione di un dipartimento dedicato alla medicina materno-infantile e alla medicina di genere per avere un approccio migliore di fronte alle numerose richieste di assistenza della donne italiane;
ad incentivare la pratica degli screening (pap test e mammografia), con particolare riguardo alle donne immigrate che molto spesso non ne sono a conoscenza;
a ricercare strategie di stimolazione degli stili di vita preventivi (contrasto del fumo/attività fisica/dieta) specifici per le donne, posto che le motivazioni per cui esse fumano, non praticano sport, mangiano troppo o bevono, sono diverse da quelle degli uomini, e che ben il 47 per cento delle donne non pratica alcuna forma di attività fisica e solo il 16 per cento dichiara di fare sport con continuità a causa degli impegni familiari (principalmente la cura dei figli e della casa).
(1-00874)
«Binetti, Mondello, D'Ippolito Vitale, Capitanio Santolini, Carlucci, Anna Teresa Formisano, Nunzio Francesco Testa, Calgaro, De Poli, Delfino».

La Camera
premesso che:
l'emergenza maltempo che ha investito il Paese tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio 2012 ha palesato le criticità normative, amministrative e organizzative che ancora condizionano le attività di previsione, prevenzione e comunicazione nonché la pianificazione dell'intervento sul territorio e il coordinamento del soccorso;
nello specifico, i fenomeni meteorologici e le loro conseguenze hanno evidenziato le difficoltà operative del dipartimento di protezione civile, sia nel coordinamento degli interventi sia nel raccordo con gli enti locali;
l'istituzione del servizio nazionale della protezione civile è avvenuta con la legge 24 febbraio 1992, n. 225;
il servizio nazionale di protezione civile si configura come un sistema complesso che comprende tutte le strutture e le attività messe in campo dallo Stato per tutelare l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni che derivano da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi;

con la modifica del Titolo V della parte seconda della Costituzione, la disciplina concernente le attività di protezione civile è diventata materia di legislazione concorrente, ferma restando la determinazione dei principi fondamentali da parte della legislazione statale;
il dipartimento della protezione civile, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha il compito di indirizzare «le attività delle componenti e delle strutture operative del Servizio Nazionale di Protezione Civile, e in caso di dichiarazione dello stato di emergenza, le coordina, in accordo con i Governi regionali»;
l'articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, riconosce l'applicazione della disciplina dello «stato di emergenza e potere di ordinanza» di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, anche «con riferimento alla dichiarazione dei grandi eventi rientranti nella competenza del Dipartimento della Protezione Civile e diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza»;
il riconoscimento della suindicata competenza anche su versanti che non rientrano nella originaria missione operativa della protezione civile rappresenta un limite funzionale e un'oggettiva dispersione di potenziale e di risorse;
tra il 2008 e il 2010 la protezione civile è stata potenziata sotto il profilo delle dotazioni organiche e finanziarie in considerazione dei compiti assegnati ad essa dalla Presidenza del Consiglio dei ministri attraverso ordinanze di necessità ed urgenza;
alla luce della suindicata configurazione, dell'incremento dei poteri e del coinvolgimento in molteplici attività estranee alla sua missione originaria, il dipartimento è divenuto una sorta di «struttura tuttofare»; successivamente, è stato anche coinvolto in inchieste che almeno al momento hanno evidenziato come l'utilizzo di procedure straordinarie per lo svolgimento di funzioni ordinarie aprisse delle gravi criticità, sia sotto il profilo della trasparenza che dell'efficienza, nella gestione delle competenze e delle risorse assegnate; anche per questa ragione si è proceduto a modificare la legislazione di riferimento;
con il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, la configurazione operativa e decisionale della protezione civile è stata modificata; in particolare, l'articolo 5 della legge n. 225 del 24 febbraio 1992 prevede che le ordinanze, anche in deroga alle disposizioni vigenti, cui la protezione civile può provvedere per l'attuazione degli interventi di emergenza, siano emanate di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Inoltre, dispone il controllo da parte della Corte dei Conti su tutti gli interventi di natura finanziaria, con la conseguenza di vincolare e rallentare notevolmente l'operatività della stessa;
alle suindicate criticità di tipo operativo, se ne aggiungono altre connesse alla dichiarazione dello stato di emergenza in capo alle singole regioni. Nello specifico all'articolo 5, comma 5-quater è previsto che «A seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, il Presidente della regione interessata dagli eventi (...) qualora il bilancio della regione non rechi le disponibilità finanziarie sufficienti per effettuare le spese conseguenti all'emergenza ovvero per la copertura degli oneri conseguenti alla stessa, è autorizzato a deliberare aumenti (...) dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla regione, nonché ad elevare ulteriormente la misura dell'imposta regionale di cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, fino a un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita»;
tali condizioni compromettono l'immediatezza operativa che dovrebbe caratterizzare l'intervento della protezione

civile e definiscono un modello di intervento che mal si concilia con la necessità di un'azione tempestiva e con l'obiettivo della salvaguardia del cittadino e del territorio di fronte all'emergenza;
inoltre, tali parametri operativi rendono di fatto complessa e farraginosa l'applicazione delle procedure previste dalla legge, sia rispetto alle attività di intervento che di coordinamento;
è ragionevole ritenere che sia necessario un coordinamento maggiormente strutturato delle attività centrali e locali del dipartimento, attraverso l'attivazione di una sala operativa unificata permanente sul modello di quella prevista dalle regioni nell'ambito delle funzioni di programmazione, organizzazione, coordinamento e controllo delle attività volte alla previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi;
appare indispensabile e non più differibile un intervento, anche di natura normativa, volto a garantire meccanismi di intervento rapidi e coordinati da parte di ciascun attore coinvolto nelle dinamiche di monitoraggio, intervento e soccorso in caso di evento calamitoso,


impegna il Governo


ad assumere con la massima celerità, iniziative normative volte alla modifica della disciplina concernente il servizio nazionale di protezione civile, al fine di migliorarne l'operatività e la capacità di intervento e coordinamento a fronte di calamità naturali, catastrofi e altri eventi calamitosi.
(1-00875)
«Di Biagio, Della Vedova, Briguglio, Giorgio Conte, Patarino, Menia, Divella».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
le banche italiane hanno preso in prestito dalla Banca centrale europea, al tasso dell'uno percento, 116 miliardi di euro, oltre un quarto dei 489 erogati da Francoforte nell'asta straordinaria di dicembre 2011;
si tratta di un'iniezione di liquidità che dovrebbe mettere al riparo dalle prossime tempeste monetarie i 523 istituti europei che ne hanno beneficiato;
la speranza che una tale iniezione di liquidità servisse, a sua volta, ad allargare la forte stretta creditizia in atto da più di un anno, dando così un po' di ossigeno soprattutto alle nostre piccole e medie imprese è stata subito smentita;
lo stesso Ignazio Visco, direttore della Banca d'Italia in una intervista alla CNN ha ammesso, seppure con il linguaggio diplomatico proprio del ruolo che ricopre, che «il rischio di una sostanziale difficoltà del credito potrebbe esserci nel finanziare l'economia reale» (La Repubblica 28 gennaio 2012);
le notizie che si ricavano dalla stampa e dagli addetti al settore dicono che la maggior parte dei fondi delle banche sono riversati nell'acquisto di obbligazioni del debito pubblico soprattutto italiano che come è noto possono rendere fino al 7 per cento;
in questo modo le banche, di fatto, si arricchiscono ma non si contribuisce certo a rilanciare lo sviluppo e l'occupazione e le attività continuano a chiudere con tutte le conseguenze del caso;

a questo impiego del denaro per la raccolta di titoli pubblici le banche sono state del resto «invitate» dallo stesso Presidente della Banca centrale europea Mario Draghi quando ha detto che le banche devono sostenere le obbligazioni statali con i nuovi fondi anche perché Banca centrale europea non può sostenerli all'infinito (Il fatto quotidiano 21 dicembre 2011);
tutto questo accade mentre le piccole e medie aziende non riescono più ad ottenere credito dalle banche e devono pagare anche crediti modestissimi con sempre più pesanti fidejussioni ed ipoteche;
gran parte delle piccole e medie imprese, che, come è noto, costituiscono oltre il 90 per cento dell'economia reale del Paese, non riesce più ad ottenere liquidità nemmeno per pagare i fornitori, l'IVA, i contributi, e gli stessi dipendenti ed è quindi sulla strada che porta in breve termine alla Chiusura Certa;
nel frattempo mentre le banche portano avanti tali operazioni speculative, con un prestito all'1 per cento, le piccole e medie imprese finanziano le banche con i loro debiti che hanno un tasso di interesse a due cifre con uno spread ancora più drammatico, e impossibile da sostenere, di quello che appare sui giornali tutti i giorni ma di cui nessuno parla, soprattutto i grandi giornali che fanno capo alle grandi banche;
anche laddove l'economia rimane più dinamica o meno comatosa come nel Nord-est due terzi delle imprese si rivolgono ormai alle banche per ragioni di cassa;
nonostante ciò il 52 per cento delle aziende vorrebbe ancora che fossero dati fondi per investimenti, per l'innovazione e per affrontare meglio: i vecchi e soprattutto i nuovi mercati (I Group 29 gennaio 2012);
è facilmente dimostrabile che se, i quasi 120 miliardi di euro che sono stati di fatto «regalati» alle banche fossero stati destinati, al contrario, all'economia reale, attraverso il finanziamento alle imprese, si sarebbe potuto dare un contributo concreto allo sviluppo e all'occupazione nel Paese;
se, infatti, le banche avessero destinato questi 120 miliardi di euro a finanziamenti a interessi moderati, ottenibili con sistemi semplificati entro 30 giorni al massimo, e rimborsabili con un minimo di cinque anni, in basi a semplici calcoli, si sarebbe potuto finanziare e rilanciare 3 milioni di aziende;
si riporta a titolo di esempio, una ricostruzione sulla possibile distribuzione dei 120 miliardi di euro in base ai dipendenti, per tre milioni di aziende:

n. Dipendenti per azienda n. Aziende Finanziamenti per Azienda Totale Finanziamento
Da 1 a 3 dipendenti 1.5000.000 12.000,00 euro/cad. Az. 18 miliardi di euro
Da 3 a 8 dipendenti 1.000.000 24.000,00 euro/cad. Az. 24 miliardi di euro
Da 9 a 15 dipendenti 200.000 50.000,00 euro/cad. Az. 10 miliardi di euro
Da 16 a 25 dipendenti 100.000 100.000,00 euro/cad. Az. 10 miliardi di euro
Da 26 a 90 dipendenti 100.000 250.000,00 euro/cad. Az. 25 miliardi di euro
Da 91 a 150 dipendenti 66.000 500.000,00 euro/cad. Az. 33 miliardi di euro
Totali: oltre 10 milioni di dipendenti 2.966.000 Az.   120 miliardi di euro

questi semplici calcoli, anche se in maniera approssimativa, dimostrano che se ci fosse la volontà politica, si potrebbero fare scelte coraggiose nell'interesse generale del Paese, rilanciando lo sviluppo in maniera decisa -:
se il governo intenda, stante il ritardo oggettivo nei provvedimenti tesi al rilancio dello sviluppo e dell'occupazione, assumere iniziative normative urgenti affinché le banche siano tenute a finanziare, con una quota maggioritaria dei prestiti ottenuti dalla Banca centrale europea, le imprese attraverso mutui a tassi agevolati;
se non si ritenga necessario, in ogni caso o in alternativa, assumere iniziative d'intesa con i partner europei, affinché la Banca centrale europea predisponga un ulteriore e consistente prestito, alle medesime condizioni, per le banche europee, con la clausola, in tal caso, che tali fondi siano destinati esclusivamente a finanziare le imprese e di conseguenza lo sviluppo attraverso mutui a tassi agevolati agli artigiani e alle piccole e medie imprese.
(2-01369) «Gianni».

Interrogazioni a risposta in Commissione:

PICIERNO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella notte tra il 7 e l'8 giugno 2011, nell'ex caserma «Andolfato», adibita a centro identificazione ed espulsione (Cie), secondo quanto previsto dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 aprile 2011, si sono verificati taluni fatti tanto gravi da richiamare, già in passato, l'attenzione del Parlamento. Difatti, secondo alcune testimonianze, a seguito di un incendio propagatosi all'interno della tendopoli ed il successivo intervento delle forze dell'ordine, avrebbero avuto luogo scontri ed episodi di violenza con feriti tra gli ospiti della struttura;
da quanto risulta, alcune organizzazioni operanti in ambito umanitario avevano presentato un esposto alla magistratura in riferimento al trattenimento oltre le 48 ore operato dalle autorità senza l'autorizzazione del giudice competente;
il presidente del tribunale civile, deputato alle udienze per le convalide del trattenimento, ritenne, peraltro, necessario trasmettere gli atti alla procura di Santa Maria Capua Vetere, per i trattamenti disumani e degradanti cui erano sottoposti i detenuti tunisini nell'ex caserma «Andolfato». In seguito agli episodi di cui sopra, il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha posto sotto sequestro la tendopoli dell'ex caserma «Andolfato»;
a metà giugno 2011, a seguito anche di numerose interrogazioni parlamentari e delle ripetute visite e effettuate dalla commissione diritti umani del Senato della Repubblica, fu decretata la chiusura del centro identificazione ed espulsione di Santa Maria Capua Vetere, in quanto reputata struttura inidonea a qualsiasi ospitalità;
dalla Gazzetta ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2012, si apprende che con una nuova ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri, del 23 gennaio 2012, si è stabilito che la struttura di Santa Maria Capua Vetere continua ad operare come centro di identificazione e di espulsione, ai sensi dell'articolo 1 della citata ordinanza, fino al 31 dicembre 2012, e con una capienza fissata in duecento posti;
alla base della citata ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri sembra esservi la necessità di misure adeguate a fronteggiare l'arrivo di migranti e profughi, di nazionalità non libica, arrivati in Italia dalla Libia a partire dal febbraio 2011. Atteso che si tratta di persone costrette a fuggire dalla Libia, non solo a causa del conflitto, ma anche per un'offensiva di tipo razzista che ha colpito soprattutto persone provenienti dall'Africa sub-sahariana, sembra che si possa a pieno titolo parlare di «profughi»;
lo stato di «emergenza umanitaria», che fu decretato dal Governo pro tempore nel 2011, mediante tre successivi decreti

del Presidente del Consiglio dei ministri, riconosceva l'esigenza di accogliere i circa ventottomila profughi, ospitandoli in strutture alberghiere e centri di accoglienza;
con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 ottobre 2011, recante «Proroga dello stato di emergenza umanitaria in relazione all'eccessivo afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa», il Governo ha prorogato lo stato di emergenza umanitaria fino al 31 dicembre 2012, provvedendo all'ulteriore finanziamento per il mantenimento in accoglienza dei profughi già ospitati in albergo ed altre strutture;
il Governo ha, peraltro, prorogato il permesso di soggiorno rilasciato ai tunisini arrivati in Italia antecedentemente al 5 aprile 2011;
la proroga dello stato di emergenza a tutto il 2012 sembra in qualche modo riconoscere le difficoltà in cui versano queste persone arrivate in Italia, alle quali, come richiesto dalle più importanti organizzazioni che si occupano di rifugiati, andrebbe rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ancorché il nostro Paese non si sia ancora dotato di una moderna, efficace ed organica legge in materia di asilo e rifugiati. Va evidenziato, inoltre, che quanto previsto in merito al permesso di soggiorno per i cittadini tunisini, non è applicato nei confronti degli altri rifugiati, configurando anche una disparità di trattamento tra persone, accomunate da gravi difficoltà e sofferenze;
la provincia di Caserta ha già vissuto notevoli tensioni, dovute alla mancanza di attenzione verso una fascia di popolazione immigrata, particolarmente vulnerabile, che chiede da tempo dignità ed emersione sociale e civile e che richiederebbe un supplemento di valutazione da parte del Governo. La carenza di personale dedito all'espletamento delle funzioni proprie dell'ufficio immigrazione e profughi, che sarebbe, peraltro, impiegato in parte cospicua per la sorveglianza dei detenuti nel ricostituendo centro di identificazione e di espulsione, pone ulteriori interrogativi e perplessità sull'ordinanza del 23 gennaio 2012;
va, inoltre, tenuto conto del concreto pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata, potenzialmente attratta dalle somme milionarie previste dagli articoli 2 e 3 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio sopra citata, sempre attenta ed interessata ad insinuarsi nelle pieghe della disperazione degli immigrati;
la decretata emergenza umanitaria riguarda soprattutto i cittadini stranieri che hanno chiesto uno status di protezione; tali persone sono già state precedentemente identificate al fine di permetterne l'ingresso nelle strutture di accoglienza, rendendo, dunque, incomprensibile la necessità di trattenerli nei centri di identificazione ed espulsione (Cie) -:
quali siano le motivazioni che hanno indotto il Governo a disporre che continui ad operare una struttura che, per le sue caratteristiche, è non solo del tutto inadeguata ad ospitare persone in condizioni accettabili, ma ha già dimostrato di produrre gravi situazioni di pericolo, di ordine pubblico e sicurezza, tanto da essere stata chiusa nel corso del 2011;
se non si ritenga opportuno ritirare ovvero apportare modificazioni all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 gennaio 2012, al fine di utilizzare le risorse, in esso disposte, in modo da garantire accoglienza più adeguata e sicura, sia per gli ospiti sia per il personale addetto.
(5-06216)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
Terna s.p.a. è gestore della rete di trasmissione nazionale (RTN) che costituisce

la rete elettrica ad alta e altissima tensione su tutto il territorio nazionale alla quale afferiscono, tanto gli elettrodotti ad alta tensione (AT) ed altissima tensione (AAT), quanto le stazioni elettriche (SE) di smistamento nonché le stazioni elettriche di trasformazione da alta e ad altissima tensione (AT/AAT). In maniera semplificata, è come se gli elettrodotti rappresentassero le «linee» della rete e le stazioni elettriche i «nodi» della rete;
Terna si definisce committente/proprietaria delle stazioni elettriche in questione e ne chiede puntualmente la voltura (anche se l'autorizzazione avviene in capo ad altro soggetto) a riprova, a giudizio degli interroganti, che sono opere della Rtn;
la normativa in materia di procedimenti autorizzativi delle suddette stazioni, viene individuata nell'articolo 12, comma 3, del decreto legislativo n. 387 del 2003 il quale prevede che «La costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o altro soggetto istituzionale delegato dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico...»;
l'articolo 1-octies del decreto-legge 8 luglio 2010, n. 105 «Misure urgenti in materia di energia», convertito con la legge 13 agosto 2010, n. 129, stabilisce, in materia di «Opere connesse agli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili» che «Le opere connesse e le infrastrutture indispensabili di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, comprendono le opere di connessione alla rete elettrica di distribuzione e alla rete di trasmissione nazionale necessarie all'immissione dell'energia prodotta dall'impianto come risultanti dalla soluzione di connessione rilasciata dal gestore di rete»;
occorre tenere infatti presente che ogni società proponente un impianto di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, con potenza superiore a 10 megawatt deve chiedere la connessione alla società Terna s.p.a. che possiede e gestisce la rete di trasmissione nazionale (RTN) e che è tenuta a rilasciare una soluzione di connessione denominata «preventivo di connessione» e tecnicamente definito STMG (soluzione tecnica minima generale). In tale documento vengono specificatamente indicate, da Terna, quali sono le opere di connessione distinguendole tra «impianto di utenza per la connessione» ed «impianto di rete per la connessione» attenendosi a quanto prevede l'Autorità per l'energia elettrica e il Gas (AEEG) che, con deliberazione 23 luglio 2008 - Arg/elt/99/08, ha chiarito che l'impianto di utenza per la connessione insieme all'impianto di rete per la connessione costituiscono l'intero impianto di connessione - allegato A, articolo 1, comma 1.1, lettere p), q), r);
in materia è poi sopraggiunto l'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale 10 settembre 2010 nel quale si precisa che una stazione di raccolta può trovarsi nell'autorizzazione unica del generico impianto fotovoltaico/eolico, se specificatamente inserita nel preventivo di connessione;
esaminando una serie di preventivi di connessione, risulta che viene citata la stazione elettrica, ma il preventivo riguarda solo:
l'elettrodotto di 150 kV che rappresenta l'impianto di utenza per la connessione;
lo stallo di collegamento nelle stazione elettrica delle RTN che rappresenta l'impianto di rete per la connessione che rappresenta una piccola parte dell'intera stazione;

in base all'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011, «I gestori di rete, per la realizzazione di opere di sviluppo funzionali all'immissione e al ritiro dell'energia prodotta da una pluralità di impianti non inserite nei preventivi di connessione, richiedono l'autorizzazione con il procedimento di cui all'articolo 16, salvaguardando l'obiettivo di coordinare anche i tempi di sviluppo delle reti e di sviluppo degli impianti di produzione»;
in quanto opere della Rtn, le stazioni elettriche dovrebbero inoltre essere presenti nel piano di sviluppo (PdS) approvato dal Ministro dello sviluppo economico, come prevedono l'articolo 9, comma 1, lettera d), del decreto del Ministero delle attività produttive 20 aprile 2005, l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011 e, da ultimo, anche l'articolo 36, comma 12, del decreto legislativo n. 93 del 1o giugno 2011;
il suddetto piano di sviluppo (PdS) della rete di trasmissione nazionale (RTN) è un documento che deve essere predisposto annualmente ed essere approvato dal Ministero dello sviluppo economico prima che le opere elettriche (nella fattispecie stazioni elettriche trasformazione) siano autorizzate. Inoltre, tale piano di sviluppo deve essere sottoposto annualmente a valutazione ambientale strategica (VAS) ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, prima del decreto liberalizzazioni (articolo 23 del citato decreto) che introduce invece il concetto di assoggettabilità alla valutazione ambientale strategica;
in Puglia è accaduto che, su richiesta dell'Agrienergy di Bari s.r.l, la regione Puglia (determinazione dirigenziale del servizio energia, reti e infrastrutture materiale per lo sviluppo - n. 219 del 30 settembre 2010, pubblicata sul BURP n. 161 del 21 ottobre 2010) nel rilasciare l'autorizzazione unica per un impianto fotovoltaico di circa 10 mega watt (9,936 mega watt) alla suddetta società, (autorizzazione poi annullata in autotutela, successivamente ritornata efficace e oggi nuovamente in fase di riesame da parte della regione Puglia) ha autorizzato anche la stazione elettrica di Terna in agro di Spinazzola (capacità di 1000 mega watt), nella provincia di Barletta-Andria-Trani, per il collegamento sulla linea ad altissima tensione 380 kV denominata «Matera-Bisaccia», ex «Matera-S. Sofia»;
detta stazione occuperà 75.000 metri quadrati di superficie, più le opere accessorie, in un ambiente puramente agricolo, e sarà funzionale ad almeno 18 impianti da fonte rinnovabile per i quali è stato rilasciato il preventivo di connessione;
l'autorizzazione della regione Puglia è stata rilasciata nonostante fossero emerse irregolarità paesaggistiche ed ambientali, irregolarità nella procedura espropriativa, varianti progettuali mai autorizzate, parere contrario da parte della Soprintendenza (settembre 2011) e dichiarazione da parte di un dirigente Terna (dottor Evaristo Bartolomeo) non corrispondente a realtà laddove afferma che la società Terna: «nell'ambito dei suoi compiti istituzionali e del vigente programma di sviluppo della Rete di Trasmissione Nazionale (Rtn), approvato dal Ministero per lo sviluppo economico, ha in progetto la realizzazione di una nuova Stazione Elettrica di trasformazione 380/150 kV in provincia di Barletta-Andria-Trani (BAT), in Comune di Spinazzola»;
in realtà, il piano di sviluppo vigente all'epoca dell'autorizzazione (PdS 2009) non prevedeva alcuna stazione elettrica nel comune di Spinazzola, che non è presente neppure nei piani di sviluppo successivamente approvati, ma solo nella successiva proposta al piano di sviluppo 2011 della Rtn. In tale proposta, a pagina 124 nella sezione «Nuove esigenze di sviluppo rete», la società Terna cita la stazione elettrica di Spinazzola ed afferma che «in data 30 settembre 2010 è stato emesso dal Ministero dello sviluppo economico il decreto autorizzativo alla costruzione ed all'esercizio della futura SE 380 kV di Spinazzola». Il Ministero dello

sviluppo economico - tuttavia non avrebbe potuto mai emettere il decreto autorizzativo della stazione elettrica di Spinazzola assente in un piano di sviluppo approvato dallo stesso Ministero. Anche a volerla considerare un'inesattezza essa viene ribadita anche a pagina 20 del rapporto ambientale (volume regione Puglia) relativo alla proposta del piano di sviluppo 2011. Inoltre, analoga questione si ripete anche per la stazione elettrica di Montesano che di seguito verrà analizzata;
nonché per la stazione elettrica di Castellaneta (provincia di Taranto) anch'essa considerata autorizzata dal Ministero dello sviluppo economico nella proposta del piano di sviluppo 2011, pur non avendo mai ricevuto dal Ministro alcuna autorizzazione;
analogamente a quanto accaduto per Spinazzola, il servizio energia della regione Puglia con nuova determina dirigenziale n. 66 del 1o marzo 2011 (pubblicata sul BURP n. 40 del 16 marzo 2011) nell'autorizzare un impianto fotovoltaico della potenza di circa 10 megawatt della Vecom s.r.l. ha autorizzato anche una stazione elettrica di Terna nel comune di Gravina in Puglia (provincia di Bari) da collegare in entra-esce alla linea a 380 kV «Matera - S.Sofia»;
in questo modo le mega stazioni elettriche di Terna non passano il vaglio che deriverebbe da un inserimento nel piano di sviluppo, sono sottratte all'applicazione dell'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 28 del 2011 e vedono la regione rilasciare autorizzazioni in via surrettizia che preoccupano particolarmente per quanto riguarda la Puglia dove le stazioni di Terna previste nella regione sono almeno 23:
1.stazione Terna a Deliceto (Foggia) già realizzata;
2.stazione Terna a Troia (Foggia) già realizzata;
3.stazione Terna a Gastellaneta (Taranto) in costruzione;
4.stazione Terna a Galatina (Lecce) in costruzione;
5.stazione Terna a Brindisi Sud (Brindisi) in costruzione;
6.stazione Terna a Gravina di Puglia (Bari) già autorizzata;
7.stazione Terna a Spinazzola (Barletta-Andria-Trani) già autorizzata;
8. stazione Terna a Erchie (Brindisi) già autorizzata;
9. stazione Terna a Cerignola (Foggia) in autorizzazione;
10. stazione Terna a Manfredonia (Foggia) in autorizzazione;
11. stazione Terna a Torre Maggiore (Foggia) in autorizzazione;
12. stazione Terna a Lucera (Foggia) in autorizzazione;
13. stazione Terna a San Paolo Civitate (Foggia) in autorizzazione;
14. stazione Terna a Latiano (Brindisi) in progettazione;
15. stazione Terna a Palo del Colle (Bari) in progettazione;
16. stazione Terna a Leveranno (Lecce) in progettazione;
17. stazione Terna a Crispiano (Taranto) in progettazione;
18. stazione Terna a Cellino San Marco (Brindisi) in progettazione;
19. stazione Terna a Francavilla (Brindisi) in progettazione;
20. stazione Terna a Castel Nuovo di Daunia (Foggia) in progettazione;
21. stazione Terna a Casamassima (Bari) in progettazione;
22. stazione Terna a Ruvo di Puglia (Bari) in progettazione;
23. stazione Terna a Andria (Barletta-Andria-Trani) in progettazione;
uno studio di valutazione ambientale strategico che considerasse, nella sola

regione Puglia, tutte le stazioni elettriche elencate oltre a quelle già presenti sul territorio, nonché le stazioni elettriche di utenza necessarie per ciascun impianto eolico (alcune migliaia di metri quadrati di superficie per ciascuna di esse), dovrebbe a giudizio degli interroganti necessariamente avere esito negativo per una notevole ed ingiustificata invasività sull'ambiente e sul paesaggio. Per tale motivo, tali stazioni elettriche vengono autorizzate, possibilmente realizzate in tempi rapidi (10-12 mesi) e solo successivamente inserite, un po' per volta, nei piani di sviluppo. Ciò evita di fornire, a chi dovrebbe eseguire la valutazione ambientale strategica, il quadro complessivo di tutte le opere elettriche che si vorrebbero inserire sul territorio;
analogamente a quanto accaduto per la stazione di Spinazzola e quella a Gravina in Puglia, la stazione elettrica di Terna 220/380 kV nel comune di Montesano S.M. (provincia di Salerno) da collegare sulla linea 220 kV denominata «Rotonda-Tusciano» destinata ad occupare una superficie di oltre 70.000 metri quadrati è stata autorizzata dalla regione Campania (decreto dirigenziale dell'A.G.C. 12 - sviluppo economico - settore 4 - n. 377 del 14 luglio 2010) con l'autorizzazione all'impianto eolico di 40 mega watt della Essebiesse Power S.r.l., senza che fosse indicata nel relativo preventivo di connessione, e poi è stata successivamente volturata a Terna s.p.a. con decreto dirigenziale n. 191 del 15 aprile 2011. Anche in questo caso si segnalano irregolarità paesaggistiche ed ambientali e l'uso improbo da parte della regione del parere della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici in un primo momento concesso per una stazione elettrica di dimensioni minori localizzata nel comune di Casalbuono ai fini della realizzazione di una stazione più grande nel comune di Montesano sulla Marcellana. Si evidenzia, inoltre, la sospensione dei lavori e il sequestro del cantiere della stazione Terna da parte del Corpo forestale dello Stato attivato dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Sala Consilina (novembre 2011) e, successivamente, da parte del comune di Montesano, l'ordinanza di demolizione della stazione elettrica. Infine, tale stazione elettrica, già autorizzata, è assente nel piano di sviluppo vigente all'epoca dell'autorizzazione (PdS 2009) e comunque non presente in tutti i piani di sviluppo successivamente approvati, ma presente solamente nella proposta al piano di sviluppo 2011 del Rtn. In tale proposta, a pagina 124 nella sezione «Nuove esigenze di sviluppo rete», la società Terna cita la stazione elettrica di Montesano ed afferma che «in data 14 luglio 2010 è stato emesso dal Ministero dello sviluppo economico il decreto autorizzativo alla costruzione ed all'esercizio della futura SE 380 kV di Montesano sulla Marcellana». Il Ministero dello sviluppo economico non avrebbe potuto mai emettere il decreto autorizzativo della stazione elettrica di Montesano assente in un piano di sviluppo approvato dallo stesso Ministero;
a parere degli interroganti, tale inesattezza non sembra imputabile ad una semplice svista o errore materiale, poiché ribadita anche a pagina 20 del rapporto ambientale (volume regione Campania) relativo alla proposta del piano di sviluppo 2011;
è poi in via di autorizzazione presso la regione Campania la stazione Terna 150/380 kV ad Ariano Irpino (Avellino) da collegare sulla linea 380 kV denominata «Benevento 2 - Foggia»;
risulterebbero irregolarità paesaggistiche ed ambientali, il parere contrario da parte della Soprintendenza (maggio 2011) e il parere contrario del consiglio comunale che aveva espresso il proprio parere favorevole esclusivamente all'impianto eolico, pensando di non doversi esprimere anche sulla stazione elettrica ritenendola un'opera elettrica soggetta ad un a sé stante iter autorizzativo. Tale stazione elettrica è assente da ogni piano di sviluppo e non figura neppure nella proposta al piano di sviluppo 2011 della Rtn;
è in via di autorizzazione presso la Regione Basilicata, la stazione Terna 150/380 kV

nel comune di Montemilone (Potenza) da collegare sulla linea 380 kV denominata «Matera-S. Sofia». Tale stazione elettrica di circa 75.000 metri quadrati di superficie, è inserita nella medesima richiesta di rilascio dell'autorizzazione unica riguardate l'impianto eolico della Novawind Sud S.r.l. della potenza di 84 mega watt ricadente nel comune di Lavello (Potenza). Risulta il parere contrario da parte della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Basilicata (agosto 2011). Contro il provvedimento della Soprintendenza vi è stato ricorso al TAR Basilicata, da parte della Novawind Sud S.r.l, con richiesta di sospensione puntualmente respinta in data 25 gennaio 2012 dal TAR Basilicata. Tale stazione elettrica è assente nei piani di sviluppo e non figura neppure nella proposta di piano di sviluppo 2011 della Rtn;
si fa presente inoltre che la regione Campania ha inviato all'amministrazione del comune di Polla (provincia di Salerno) una nota per la partecipazione ad una conferenza di servizi in merito alla realizzazione di un impianto eolico di 48 mega watt della società Green Energy S.r.l. con sede a Napoli, da realizzare a Caggiano e Polla. In realtà, già nel 2008, le amministrazioni di Polla e Caggiano avevano già espresso parere favorevole all'impianto eolico. Nella nota di invito alla conferenza di servizi, la regione Campania fa cenno ad una novità, non annunciata dall'azienda due anni prima: la realizzazione di una mega-stazione elettrica di Terna s.p.a. su una superficie di 60.000 metri quadrati nell'ambito del progetto della società Green Energy s.r.l.;
nel maggio 2011, il comune di Polla, respinge la realizzazione della centrale Terna affermando che: «non era prevista ed è troppo grande» e accennando ad un sospetto: «le società che hanno presentato progetti di parchi eolici nei Comuni vicini a quello di Polla... fanno presupporre che le stesse siano tra loro collegate, in particolare evidenziandosi che due di esse risultano avere la sede legale al medesimo indirizzo, e ciò fa sorgere dubbi sulla trasparenza degli atti proposti»;
la struttura viene considerata necessaria, in un precedente verbale regionale, da Terna s.p.a., Green Energy S.r.l. e Eolica Campana S.r.l., società quest'ultima che ha presentato un progetto da 50 mega watt eolici ad Atena Lucana. Anche in questo caso la stazione elettrica è assente dai piani di sviluppo e non figura neppure nella proposta al piano di sviluppo 2011 della RTN;
la futura stazione elettrica di Terna nel comune di Polla sembra essere meta ambita, per allacciare e trasportare l'elettricità, da parte di tanti altri impianti eolici. Infatti, sono presenti almeno quatto parchi eolici collegati alla futura stazione elettrica di Terna: il 25 marzo 2011, la società Compagnia Generali Investimenti s.r.l. con sede legale a Milano ed amministrativa a Napoli, presenta alla regione Basilicata un progetto per un impianto eolico situato nei comuni di Vietri di Potenza e Savoia di Lucania, composto da 20 aerogeneratori della potenza di 3 mega watt cadauno con relative opere di allacciamento alla Rtn nel comune di Polla (Salerno) e Sant'Angelo Le Fratte; il 3 marzo 2011, la società Genertech s.r.l. con sede legale a Potenza presenta alla regione Basilicata un progetto per un impianto eolico di 8 aerogeneratori situati nel comune di Sant'Angelo le Fratte con relative opere di allacciamento alla Rtn nel comune di Polla (Salerno);
l'8 marzo 2011, la società Burgentia Energia s.r.l. con sede legale a Tito Scalo presenta alla regione Basilicata un progetto per un impianto eolico di 8 aerogeneratori situato nel comune di Brienza con relative opere di allacciamento alla Rtn nel comune di Polla (Salerno); nel luglio 2011, la società Agrienergia Lucania Società Agricola s.r.l. con sede a Postiglione (Salerno) presenta alla regione Basilicata l'istanza per lo screening alla VIA relativa ad un progetto di impianto eolico nel comune di Savoia di Lucania, composto

da 15 aerogeneratori della potenza di 2 mega watt cadauno, con relative opere di allacciamento alla Rtn nel comune di Polla (Salerno);
infine si segnala che rispetto alla stazione di Spinazzola, grazie all'accesso agli atti (da parte dell'ingegner Donato Cancellara) presso alcuni comuni, essa servirà per svariati impianti eolici ricadenti sia nella regione Puglia che nella regione Basilicata, come:
impianto eolico denominato «La Tufara» di 90 mega watt della società Guastamacchia S.p.A.;
impianto eolico denominato «Macchia» di 39.6 mega watt della società Guastamacchia S.p.A.;
impianto eolico di 33 mega watt della società TRE Tozzi-Renewable S.p.A.;
impianto eolico di 63 mega watt della società TRE Tozzi-Renewable S.p.A.;
impianto eolico denominato «Casalini» di 37.5 mega watt della società Alisei Wind S.r.l.;
impianto eolico denominato «Piano di Cammera» di 37.5 mega watt della Castel del Vento S.r.l.;
impianto eolico denominato «Ariaccia» di 37.5 mega watt della società Andromeda Energy S.r.l.;
impianto eolico denominato «Santissima» di 63 mega watt della società Eolica Spinazzola S.r.l.;
impianto eolico denominato «Santa Lucia» di 81 mega watt della società Eolica Spinazzola S.r.l.;
impianto eolico di 20 mega watt della società Quattordici S.p.A.;
impianto eolico di 81 mega watt della società Eolica Pugliese s.r.l.;
impianto eolico di 114 mega watt della società Sviluppo Energia S.r.l.;
impianto eolico di 84 mega watt della società Valore Energia S.r.l.;
impianto eolico di 57.8 mega watt della società Meltemi Energia S.r.l.;
impianto eolico di 37.5 mega watt della EDP Renevables Italia S.r.l.;
impianto eolico di 270 mega watt della società FRI-EL S.p.A.;
tuttavia, nella proposta del piano di sviluppo 2011, la stazione elettrica di Spinazzola viene presentata come un'opera che «consentirà la connessione degli impianti fotovoltaici locali» e nulla dice circa gli impianti eolici. Nello stesso allegato al PdS 2011 «connessioni alla RTN», riportante tutte le connessioni pervenute nel 2010, si citano solo 2 impianti fotovoltaici dell'Agrienergy di Bari S.r.l. e della Solare di Minervino s.r.l., e nessuno degli impianti eolici citati che hanno comunque avuto il rilascio del preventivo di connessione entro il 2010;
ad oggi nessun impianto fotovoltaico, con connessione alla ipotetica stazione di Spinazzola, è stato realizzato e, in base alla chiusura del registro per i megaimpianti fotovoltaici da parte del GSE, è realistico pensare che nessuno di questi mega-impianti fotovoltaici verrà mai realizzato, per impossibilità di accedere agli incentivi statali;
da ciò deriverebbe l'inutilità della stessa stazione elettrica di Spinazzola nel modo in cui è stata presentata da Terna nella proposta del PdS 2011. Ovviamente, è sulla base di tale proposta che è stato concesso fare osservazioni e non si ritiene giustificabile riportare informazioni inesatte impedendo di fatto, a coloro che dovrebbero fare osservazioni, il quadro chiaro della questione;
ad oggi, non esiste alcun piano di sviluppo vigente che abbia approvato la stazione elettrica della Rtn in agro di Spinazzola. Ed inoltre, pur se ci fosse stato, ciò non significa aver individuato l'esatto sito di realizzazione poiché nel piano di sviluppo è presente una localizzazione estremamente grossolana qual è quella richiesta dalla VAS nella prima fase di studio a «livello strategico». L'esatto

sito preposto all'accoglimento dell'opera elettrica, sia pur rimanendo in agro di Spinazzola, deve derivare da un'analisi delle ipotesi localizzative alternative passando dal «livello strategico» al successivo «livello strutturale» ed infine a «livello attuativo»;
ad oggi, non risulta sia stata fatta alcuna analisi delle ipotesi localizzative alternative, né che, qualora non vi fossero, ciò sia documentato e dimostrato al fine di evitare, come spesso accade, che la scelta del sito sia dettata dalla convenienza progettuale piuttosto che dalla reale assenza di alternative offerte dal territorio -:
se sia vero quanto riferito in premessa ed in particolare se le stazioni siano state autorizzate o in corso di autorizzazione, nonostante siano assenti dal piano di sviluppo e quindi non siano state oggetto di preventiva autorizzazione da parte del Ministro dello sviluppo economico come prevedono l'articolo 9, comma 1, lettera d), del decreto del Ministero delle attività produttive 20 aprile 2005, l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, e da ultimo anche l'articolo 36, comma 12, del decreto legislativo 1o giugno 2011, n. 93;
se si possa considerare valido l'iter autorizzativo delle stazioni citate in premessa per il solo fatto che la stazione elettrica sia solo nominalmente menzionata nei preventivi di connessione rilasciati da Terna agli impianti, posto che appare agli interroganti un modo surrettizio quello di far presentare in regione dalla società proponente l'impianto anche il progetto relativo alla stazione;
se non ritenga il Governo di inviare con la massima urgenza un'ispezione del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di accertare quanto rappresentato in premessa circa l'operato di Terna in Basilicata, Puglia e Campania, segnalando le eventuali violazioni di legge all'autorità giudiziaria per i seguiti di competenza;
come intenda il Governo rafforzare, anche rispetto al pregresso, la tutela dell'ambiente e del paesaggio conformemente a quanto richiesto dalle direttive della Commissione europea che più volte hanno ribadito la necessità e l'urgenza di innalzare il livello di attenzione per le ricadute ambientali e paesaggistiche in merito alla costruzione delle infrastrutture energetiche nonché dal Protocollo sull'efficienza energetica e sugli aspetti ambientali correlati (entrato in vigore il 16 aprile 1998);
come intenda il Governo affrontare quello che appare agli interroganti l'anomalo ed inquietante proliferare di mega-stazioni elettriche di Terna Spa nella regione Puglia, ciascuna delle quali ricopre, puntualmente, decine di migliaia di metri quadrati di superficie di terreno agricolo ad alta produttività, in contesti estranei a qualunque tipo di attività economica industriale come quella che si vuole realizzare.
(5-06224)

Interrogazioni a risposta scritta:

MURGIA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
la Repubblica ha il dovere di tutelare il pluralismo dell'informazione e di garantire il diritto alla libera espressione delle proprie opinioni tramite prodotti editoriali;
le erogazioni di contributi a favore di testate di partito, edite da cooperative e legate al mondo del no-profit sono disciplinate dalla legge n. 250 del 1990 e successive modificazioni e integrazioni;
negli anni la contribuzione garantita dalla sopraccitata legge ha raggiunto un livello talmente basso da mettere in pericolo la continuità aziendale di un centinaio di società editrici;
a quanto consta all'interrogante il dipartimento per l'editoria presso la Presidenza del Consiglio ha deciso di bloccare il finanziamento per decine di beneficiari

in attesa della conclusione di un procedimento di verifica in cui sarà coinvolta anche l'Avvocatura dello Stato;
qualunque procedimento amministrativo deve rispondere ai criteri di trasparenza, efficacia ed efficienza ed essere imperniato sulla collaborazione durante la fase istruttoria tra l'amministrazione ed i destinatari del provvedimento così come stabilito dalla legge n. 241 del 1990;
il dipartimento per l'editoria sembrerebbe deciso ad agire senza curarsi dei diritti, degli interessi legittimi e delle aspettative delle società coinvolte nonché delle richieste di chiarimenti e informazioni -:
se nelle more del procedimento di verifica la Presidenza del Consiglio abbia accantonato i relativi fondi per evitare che al termine del procedimento tali fondi non risultino più disponibili;
se il dipartimento per l'editoria abbia terminato l'istruttoria sulle testate coinvolte e che tipo di quesito sia stato formulato alla Avvocatura dello Stato;
se la Presidenza del Consiglio intenda garantire una rapida risoluzione della vicenda, per evitare la chiusura delle testate e la conseguente disoccupazione di giornalisti, poligrafici ed amministrativi;
se la Presidenza del Consiglio sia a conoscenza del numero e dei nomi delle testate coinvolte nel procedimento di verifica di cui in premessa.
(4-15008)

LARATTA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il comune di Reggio Calabria è stato oggetto di una verifica ispettiva disposta dal dipartimento della ragioneria generale dello Stato (nota ragioniere generale dello Stato n. 0067455 S.I. 2296/V del 9 giugno 2011);
tale ispezione è stata eseguita dal 14 giugno all'8 luglio 2011 ed ha prodotto una corposa relazione depositata il 27 settembre 2011 protocollo 0100844;
al capitolo I, paragrafo 1.12, alla voce «omesso versamento di ritenute erariali» si denuncia il fatto che sono stati omessi i versamenti erariali riferiti alle trattenute IRPEF su lavoro dipendente e su quello autonomo;
tale grave omissione, condotta dal 2007 e reiterata almeno sino al 2010, ha impedito l'introito certificato di oltre 20 milioni di euro (precisamente euro 20.881.582,95);
tali gravi comportamenti, non hanno trovato, a tutt'oggi, una completa definizione da parte dell'amministrazione comunale né nella precisa determinazione, né nell'individuazione dei responsabili per ogni necessaria ed ordinaria costituzione in mora;
non risulta prevista, nel bilancio di previsione 2011, alcuna somma utile al versamento, anche pro-quota, di tali imposte trattenute e non versate;
tale circostanza rende il bilancio di previsione 2011 - all'attualità già consumato - inattendibile nelle poste di uscita - così come evidenziato anche per altri motivi, dalla Corte dei conti - Calabria - sezione di controllo nella deliberazione n. 607/2011;
nella stessa deliberazione 607/2011 la Corte dei conti, non ritenendo sufficienti le giustificazioni e gli atti prodotti dal sindaco, dall'assessore al bilancio e dal dirigente settore finanziario, ha sancito la presenza di «nove gravi irregolarità contabili» tali da rendere del tutto inattendibile il bilancio di previsione 2011 con una conseguente incapacità dell'ente a garantire l'equilibrio dei conti comunali;
risulterebbe accertata, in sede di ispezione ministeriale e confermata dalla Corte dei conti nella citata deliberazione n. 607, la violazione del patto di stabilità per gli anni 2007-2009-2010 e 2011, senza

che siano state applicate le sanzioni conseguenti che in un'ottica di veridicità, attendibilità e prudenza avrebbero dovuto trovare allocazione tra le poste del bilancio di previsione 2011. Tra questi, quelli più importanti ai fini del recupero erariale, la riduzione del trasferimento sulla dotazione ordinaria e la restituzione del 30 per cento dell'indennità di sindaco ed assessori e dei gettoni di presenza dei consiglieri;
risulta all'interrogante che siano stati falsamente certificati versamenti nei modelli di dichiarazione (mod. 770 - CUD lavoratori dipendenti - Certificazioni di lavoro autonomo), violando le norme previste per tali tipo di comportamento;
a tutt'oggi, a quanto consta all'interrogante, non sono stati prodotti atti utili al superamento dei gravissimi rilievi formulati dagli ispettori della ragioneria generale dello Stato;
il tentativo, annunciato anche agli organi di informazione, di rateizzare in 72 mesi le somme dichiarate e non versate, a quanto risulta all'interrogante non sarebbe andato a buon fine per l'impossibilità a prestare una garanzia fideiussoria;
per alcuni anni di tale mancato versamento potrebbero intervenire i tempi di prescrizione;
l'ente comunale di Reggio Calabria subisce una serie di commissariamenti ad acta, da tutte le giurisdizioni, l'ultimo in ordine di tempo da parte del Consiglio di Stato, con la nomina dell'assessore della regione Calabria Giacomo Mancini Jr -:
quali iniziative, di natura ordinaria e straordinaria, il Governo abbia assunto o intenda assumere nell'ambito di ulteriori verifiche, controlli e provvedimenti, per quanto di competenza, sulla base delle risultanze dell'ispezione ministeriale e della deliberazione della Corte dei conti per:
a) determinare con precisione la somma omessa al versamento;
b) verificare se siano stati prodotti dagli uffici dell'Agenzia delle entrate tutti gli atti interruttivi e propedeutici al recupero delle somme non versate;
c) accertare se siano stati adottate le necessarie attività di contestazione formale e ove del caso conseguente applicazione delle sanzioni relativamente alla violazione del patto di stabilità;
d) realizzare le condizioni utili al recupero delle somme alle casse dello Stato.
(4-15019)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il 14 febbraio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha firmato il decreto con cui nomina il dottor Luigi Roth commissario incaricato della realizzazione del padiglione italiano dell'Expo 2015 di Milano;
tale nomina è intervenuta dopo le perplessità che a più livelli aveva sollevato il decreto con il quale il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, Silvio Berlusconi, aveva affidato a Roberto Formigoni, in qualità di commissario generale dell'evento, la scelta del responsabile del padiglione italiano, da lui già individuato nella persona di Luigi Roth;
lo stesso Vicente Loscertales, segretario generale del Bureau International des Expositions (BIE), l'ente che assegna l'Expo e che segue e vigila sulla regolarità anche dell'edizione milanese, ha avuto modo di esprimere abbastanza chiaramente il suo disagio di fronte a una prassi irrituale nella tradizione delle esposizioni, rafforzando la perplessità di Palazzo Chigi;
infatti, l'articolo 13 della convenzione relativa alle esposizioni internazionali, stabilisce che il Governo di ogni paese partecipante in una Esposizione nomina un Commissario Generale di Sezione nel caso

di una Esposizione registrata o di un Commissario di Sezione nel caso di una Esposizione riconosciuta che lo rappresenti di fronte al Governo invitante. Il Commissario Generale di Sezione o il Commissario di Sezione ha la responsabilità esclusiva per l'organizzazione della Esposizione del suo paese. Egli informa il Commissario Generale della Esposizione o il Commissario del Padiglione del contenuto di questa Esposizione e assicura che i diritti e gli obblighi degli espositori siano rispettati;
in base al principio base che regola l'esposizione universale, che si fonda cioè su sezioni nazionali, i commissari di sezione di tutti i Paesi partecipanti sono «responsabili esclusivi» dell'organizzazione dell'esposizione del proprio Paese e, quindi, liberi delle proprie decisioni nei confronti dello stesso commissario generale e del comitato organizzatore; il commissario di sezione «è, in fondo, padrone nella sua sezione. Così che, in base alle competenze ricevute dal suo Governo, può liberamente o in consultazione con altre autorità nazionali sviluppare il programma della partecipazione, regolare la destinazione o la distribuzione delle sedi, procedere con l'ammissione degli espositori e usare il suo potere di polizia per disciplinare il tutto. Egli rimane libero nelle sue decisioni rispetto al Commissario Generale del Governo...»; (MEIZOZ, Roger: La Réglementation des expositions sur le plan international. Genève 1965: Librairie Droz.. pag. 54);
superata da parte dell'attuale Governo l'irrituale scelta compiuta da quello precedente di, delegare al commissario generale Roberto Formigoni la nomina del commissario di sezione italiano, è cambiata la forma, ma non è cambiata la sostanza: il commissario designato è, appunto, il dottor Luigi Roth, nome indicato a suo tempo da Formigoni, da lui riproposto e concordato il 24 gennaio 2012 con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà e il 14 febbraio, a nomina avvenuta, prontamente annunciato alla stampa dallo stesso Formigoni;
«La persona prescelta è il dr. Luigi Roth, secondo la mia indicazione condivisa dal presidente Monti», ha dichiarato Formigoni. «La nomina spetta a me - aveva spiegato - ma ho preferito lavorare per coinvolgere anche il Governo e quindi ho parlato col Presidente del Consiglio, per condividere la scelta della persona»;
mentre la nomina del dottor Luigi Roth quale commissario per l'Italia a Expo Milano 2015 è stata accolta «con soddisfazione» da Giuliano Pisapia, sindaco di Milano e commissario straordinario del Governo per Expo 2015, polemico, invece, è stato il commento alla nomina da parte del presidente del consiglio comunale di Milano, Basilio Rizzo, che ha rilevato la preminenza del legame di Roth con la regione Lombardia: «Quella di Roth mi sembra una scelta troppo legata alla Regione, non capisco dove sia l'accordo con il Comune»;
la stessa credibilità di Roberto Formigoni, in quanto governatore della Lombardia, è fortemente intaccata dalla vicenda delle firme false denunciata dai Radicali e dalle inchieste della magistratura di questi mesi su ipotesi di reato molto gravi che coinvolgono a diverso titolo figure di primo piano di regione Lombardia;
il commissario generale Roberto Formigoni, che controlla il cosiddetto tavolo delle infrastrutture e cioè la gestione degli ingenti lavori pubblici necessari all'Expo, è nello stesso tempo presidente del consiglio di sorveglianza di Infrastrutture Lombarde, società stazione appaltante voluta dal presidente della regione Formigoni e da lui costituita nel 2003, controllata da regione Lombardia e convenzionata sia con Expo 2015 spa per la predisposizione di tutte le procedure di evidenza pubblica sia con Arexpo spa per l'acquisizione e gestione delle aree del sito Expo; mentre Roth avrà il compito di rappresentare e tenere i rapporti con i Governo, ma soprattutto di affidare a un archistar il progetto per la realizzazione del padiglione più importante di Expo 2015, quello

della nazione ospitante, e di tenere i rapporti con le aziende italiane che accetteranno di partecipare;
al di là del tentativo, fallito, di arrivare a una nomina diretta del responsabile del Padiglione Italia, occorre evidenziare altresì lo stretto legame politico-professionale tra il commissario generale Roberto Formigoni e il neo commissario di sezione Luigi Roth che risale:
a) alla nomina e alla riconferma dello stesso Roth a presidente della Fondazione Fiera Milano nel 2001 e nel 2006, con decreti di nomina spettanti alla giunta regionale lombarda presieduta dal governatore Formigoni dal 1995;
b) alla nomina di Luigi Roth, risalente al 1996, a presidente della società Ferrovie Nord Milano, nomina anche in questo caso spettante alla giunta regionale lombarda presieduta anche allora da Roberto Formigoni; Roth assumerà contemporaneamente il ruolo di amministratore delegato della stessa società e di presidente e amministratore delegato di Ferrovie Nord Milano Esercizio spa;
c) alla nomina di Luigi Roth nel 2009 per volontà di Roberto Formigoni alla guida del consorzio destinato a realizzare a Milano l'immenso polo ospedaliero città della salute voluto e finanziato da regione Lombardia;
d) alla nomina nel 2005 di Luigi Roth nel consiglio di amministrazione della Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena di Milano, nomina derivata dalla partecipazione di Fondazione Fiera Milano nella Fondazione Ospedale Maggiore, operazione voluta da Luigi Roth e da Roberto Formigoni (l'operazione è stata possibile attraverso una modifica all'articolo 4 dello statuto dell'8 ottobre 2004 approvata con decreto del presidente della regione del 26 novembre 2004 che ha permesso a Fondazione Fiera Milano di ampliare la propria mission). La Fondazione Fiera Milano è «entrata» portando in dote circa 13 milioni di euro in sette anni. Roth ha dichiarato che l'idea di questa collaborazione è nata «da un incontro in Regione con il Presidente Roberto Formigoni»;
e) alla comune appartenenza e/o vicinanza al movimento confessionale Comunione e Liberazione, Movimento dall'interno del quale è nata l'associazione imprenditoriale Compagnia delle Opere alla quale si stima che siano iscritte oltre 70 mila società. La vicinanza di Luigi Roth a Comunione e Liberazione e a Roberto Formigoni è regolarmente evidenziata da un quindicennio dai media italiani nonché rafforzata dalle numerose presenze in qualità di conferenziere del dottor Roth al Meeting di Rimini, evento annuale promosso da Comunione e Liberazione (quattro partecipazioni nel corso degli anni). Roth è inoltre Gentiluomo di Sua Santità, membro laico, dunque, della Famiglia Pontificia;
anche alla luce della recente stretta sui doppi incarichi e su potenziali conflitti d'interesse, la scelta del dottor Luigi Roth, che attualmente ricopre contemporaneamente incarichi di vertice in istituti bancari (presidente di Banca Popolare di Roma, Gruppo CARIFE e consigliere di amministrazione di Mediorbanca, Gruppo BPER) e in imprese a controllo pubblico e privato (presidente di Terna spa, presidente di TELAT Srl, consigliere di amministrazione in Pirelli & C. spa, consigliere di amministrazione di Autostrada Torino Milano spa), non appare agli interroganti la più indicata quale commissario per l'Italia a Expo Milano 2015 -:
come intenda operare per assicurare che l'incarico del dottor Luigi Roth quale commissario del padiglione Italia sia esercitato con la massima trasparenza e indipendenza rispetto sia al suo principale e dichiarato sponsor sia rispetto al sistema di potere economico lombardo di cui il presidente della regione Lombardia e commissario generale dell'Expo è espressione e di cui lo stesso commissario di sezione nella sua brillante carriera ha fatto e fa tuttora parte.
(4-15022)

AFFARI ESTERI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere - premesso che:
il Myanmar (già Birmania) è un paese in piena trasformazione politica, impegnato in un processo di apertura e di graduale evoluzione in direzione democratica delle sue istituzioni;
dopo la liberazione di Aung San Suu Kyi nel novembre 2010 e il discorso di insediamento del nuovo Presidente eletto Thein Sein nella seconda parte del 2011 - sorprendente per il suo spirito di apertura - sono stati compiuti positivi passi in avanti, con riforme economiche mirate e con l'avvio di un processo - graduale e dagli esiti ancora incerti - volto ad affrontare le questioni etniche e di un necessario maggiore rispetto dei diritti umani;
Aung San Suu Kyi dopo aver incontrato Tomas Quintana, l'Inviato dell'Onu per i diritti umani ha dichiarato: «Dal mio punto di vista, penso che il Presidente voglia ottenere dei veri cambiamenti positivi». Gli stessi concetti sono apertamente condivisi da molti leader democratici del paese;
sulla questione etnica Aung San Suu Kyi ha scritto una lettera aperta al governo e alle minoranze, appellandosi ad un cessate il fuoco e alla riconciliazione nazionale. Suu Kyi si è detta pronta «a fare tutto quello che è in mio potere per cercare di fermare i conflitti armati e costruire la pace nel paese». Al contrario del passato il governo si è detto pronto a discuterne e a tenere conto delle proposte dell'opposizione;
il presidente Thein Sein ha invitato i birmani in esilio a tornare a casa e per coloro che hanno accuse pendenti sono in preparazione provvedimenti di sostanziale amnistia;
il 19 agosto 2011 Aung San Suu Kyi si è recata a Naypydaw ad incontrare il Presidente, facendosi fotografare pubblicamente insieme, in segno di distensione, sotto il ritratto di Aung San, il padre della patria e di Suu Kyi. Nella stessa giornata, la leader democratica ha partecipato ad un importante workshop economico insieme allo stesso Presidente e a quattro ministri;
gran parte dell'attività censoria è stata rimossa e i giornali pubblicano regolarmente notizie su Aung San Suu Kyi e sul suo partito, così come articoli o interviste alla leader democratica;
il governo ha creato comitati ad hoc per le riforme economiche, in campo agricolo e per combattere la povertà. Ai lavori dei gruppi o ai seminari vengono invitati esperti in passato assai critici con il regime e le loro opinioni sono ascoltate con attenzione. In più occasioni è stato chiesto l'intervento di esperti internazionali del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, che finora non avevano accettato di collaborare con il Myanmar;
nella Camera Bassa del Parlamento, i partiti di opposizione hanno presentato un mozione che richiedeva la liberazione dei prigionieri politici e che è stata approvata anche con il voto dei rappresentanti dei militari, che occupano il 25 per cento dei seggi;
a ottobre 2011 è stato approvato il provvedimento lungamente atteso di amnistia per 6.000 detenuti, compresi 200 prigionieri politici. Dall'inizio del 2012 altri prigionieri di coscienza sono stati liberati, contribuendo a rimuovere con queste misure uno dei maggiori ostacoli alla cancellazione delle sanzioni;
importanti intese sono state firmate con quasi tutte le minoranze etniche. La Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) è un partito legale. Aung San Suu Kyi

parteciperà alle elezioni suppletive del primo aprile ed è stata invitata ad entrate nella compagine governativa;
Ministri degli esteri e Primi Ministri di tutto il mondo, incoraggiati dal nuovo clima politico, si sono recati in questi mesi in Myanmar: tra loro, anche il Segretario di Stato USA Hillary Clinton, il Ministro degli esteri francese, quello inglese, quello giapponese e diversi ministri della Repubblica Federale Tedesca. Da ultimo, ha svolto la sua visita il Vice Primo Ministro del Lussemburgo;
l'Italia è l'unico tra i 4 paesi europei con un'ambasciata in funzione nella capitale Yangon che non ha ancora inviato una delegazione di governo in visita nel Myanmar nel corso di quest'ultimo anno, così significativamente segnato da importanti progressi nel processo politico ed istituzionale birmano nel segno dell'apertura e di una potenziale futura riconciliazione nazionale;
l'Italia ha avuto occasione di svolgere un ruolo significativo sulla scena europea e di acquisire un importante credito di fiducia e di credibilità verso il Myanmar, anche grazie al lavoro svolto negli ultimi anni da Piero Fassino, in qualità di Inviato Speciale dell'Unione Europea per il Myanmar/Birmania -:
quali valutazioni esprima il Governo italiano sui recenti sviluppi del processo politico birmano e se non ritenga utile e urgente programmare, sin dalle prossime settimane, una visita ufficiale in Myanmar, per assicurare il pieno sostegno italiano agli sforzi in atto per la pacificazione, la democratizzazione, il rispetto dei diritti umani fondamentali e il pieno sviluppo sociale ed economico del paese.
(2-01372)
«Mogherini Rebesani, Pistelli, Maran, Veltroni, Farinone, Fontanelli, Gnecchi, Marchi, Melandri, Motta, Murer, Pes, Picierno, Rosato, Schirru, La Forgia, Recchia, Sereni, Garofani, Gentiloni Silveri, Servodio, Tullo, Zampa, Rugghia, Gianni Farina, Vaccaro, De Micheli, Losacco, Pierdomenico Martino, Santagata, Brandolini, Farina Coscioni, Bernardini, Fedi».

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:

BURTONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi il consiglio provinciale di Matera ha approvato la proposta di aggiornamento del «piano provinciale di organizzazione della gestione dei rifiuti», che consentirà l'avvio delle procedure di valutazione ambientale strategica (Vas);
il piano prevede la realizzazione di due «piattaforme» comprensoriali a Ferrandina e a Colobraro per il trattamento dei rifiuti e la produzione di compost verde e l'ampliamento delle discariche di Pisticci, Salandra, Colobraro e Tricarico;
in riferimento all'ampliamento della discarica di Pisticci va evidenziato un serio problema e cioè che la discarica è attualmente ai limiti della sua capienza ed è ormai esaurita anche perché ultimamente ha dovuto fronteggiare anche gli arrivi di rifiuti dal capoluogo di regione vista l'emergenza nella raccolta e smistamento venutasi a creare a Potenza e nel Potentino;
la discarica cade in un comprensorio già molto a rischio dal punto di vista ambientale, posto che la Val Basento costituisce sito da bonificare di interesse nazionale e che la questione dell'inquinamento derivante dalle discariche (ad esempio, quella di Pisticci) è stato già posto da

tempo alla attenzione del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
per i poveri cittadini residenti nelle vicinanze della discarica non vi è pace per tutte le problematiche connesse alla presenza di un impianto del genere che li costringe a vivere segregati in casa per 365 giorni all'anno, tant'è che ora i cattivi odori giungono con una certa sistematicità persino al quartiere residenziale di Pisticci Scalo;
ipotizzare un ampliamento della stessa discarica senza aver coinvolto le popolazioni locali e in presenza di una quota di raccolta differenziata ben al di sotto delle soglie minime è oggettivamente un problema -:
se non ritenga, nell'ambito delle sue competenze, verificare la situazione concernente la discarica di Pisticci e valutare se vi sono le condizioni per evitare l'ampliamento del citato impianto.
(3-02116)

Interrogazione a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
dall'ottobre 2011, nel comune di Santa Cesarea Terme (Lecce), sono iniziati i lavori di consolidamento e messa in sicurezza della falesia di Porto Miggiano e di fruibilità della sottostante spiaggetta;
si tratta di un'opera finanziata con delibera del CIPE 35/2005 - accordo di programma quadro in materia di difesa del suolo - codice D. S. Adb «05» in base a un progetto che prevede la rimozione dei banchi rocciosi pericolanti, il consolidamento e la costruzione di una scogliera artificiale in modo da impedire al moto ondoso di erodere la base del costone;
il 1° febbraio 2012, il sindaco di Santa Cesarea Terme, Daniele Cretì, ha affermato che i lavori in questione «sono svolti al fine di tutelare la pubblica incolumità, non prevedendo costruzioni di alcun genere in quanto finalizzati alla pubblica e libera balneazione, che tale rimarrà alla conclusione dei lavori»;
sul cantiere sono recentemente intervenuti i carabinieri del nucleo operativo ecologico di Lecce che hanno acquisito la documentazione relativa ai lavori di consolidamento del costone roccioso disposti dal comune, dopo gli allarmi lanciati dalle associazioni ambientaliste, tra cui il comitato tutela di Porto Miggiano e Save Salento, secondo cui i lavori sono troppo invasivi per un'area fragile e già soggetta a speculazioni edilizie;
infatti, l'area in questione, che corrisponde al comparto 19/s del piano regolatore generale del comune di Santa Cesarea Terme, ha visto la realizzazione negli ultimi anni di due grandi strutture turistiche, l'Augustus e il Diciannove, a pochi metri dalla falesia considerata a rischio e a pochi passi da una torre d'avvistamento del XVI secolo di alto valore storico-artistico;
l'importanza e la pesantezza delle opere di consolidamento del costone roccioso paiono essere funzionali ad allargare la fruibilità delle strutture ricettive che occupano il comparto 19, più che a tutelare la «pubblica incolumità» e la «libera balneazione» di chi vuole fruire della spiaggetta sottostante;
dalle immagini relative ai lavori, sembra infatti che questi siano più ampi di quanto stabilito, perché la parte di costone sopra la spiaggetta è stata privata di molta roccia e, inoltre, secondo documentazione della capitaneria di Porto, i blocchi di calcestruzzo utilizzati non avrebbero dovuto toccare l'acqua, come invece è accaduto;
l'area di Porto Miggiano è considerata dal PUTT della regione Puglia come «area soggetta a vincolo panoramico», è

classificata come «PG3 - area a pericolosità geomorfologica molto elevata» dal PAI e ricade nel sito di interesse comunitario «Costa Otranto - S. Maria di Leuca» cod. IT915002;
l'area in oggetto è stata invece esclusa dal parco «Otranto-Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase», un'area protetta nella quale sarebbe dovuta naturaliter ricadere e lì si sarebbe salvata da future colate di cemento;
l'intervento nell'area di Porto Miggiano è solo l'ultimo di un'opera di deturpamento selvaggio del paesaggio, di incuria e di abuso edilizio in atto da oltre dieci anni nel territorio di Santa Cesarea Terme in una zona - va ricordato - dichiarata di notevole interesse pubblico ai sensi della legge n. 1497 del 1939, decreto ministeriale 4 luglio 1970, «perché presenta ancora intatta la sua originaria bellezza e forma degradando repentinamente verso il mare, un altopiano roccioso a guisa di anfiteatro circoscritto da una pineta di origine artificiale, impiantata nel 1933, la quale tende sempre ad espandersi con i nuovi rimboschimenti; inoltre per le sue macchie verdi ed essenze locali costituisce un quadro naturale di grande suggestività, nonché, per i resti di antichi monumenti, un complesso di cose immobili avente valore estetico e tradizionale»;
per di più, la già grave situazione nel territorio di Santa Cesarea sarebbe resa ancora più devastante con la realizzazione dei nuovi progetti edilizi che sono stati presentati o annunciati in altri comparti del comune: dal piano di lottizzazione del comparto 13/s (oggetto dell'interrogazione n. 4-11976 del 18 maggio 2011 con risposta del Ministro del 7 novembre 2011 pubblicata nell'allegato B della seduta n. 546 della Camera dei Deputati), comparto oggi sommerso da un'intensa macchia mediterranea, con presenza di bosco ed essenze arboree di eccezionale importanza, cresciuta sul ciglio di una scarpata della litoranea per Castro sopra Porto Miggiano e sul quale sarebbe previsto un complesso turistico-residenziale, esteso su 15 ettari e che prevede la realizzazione di 536 unità abitative e ristoranti, negozi, piscine, strutture sportive e opere di urbanizzazione connesse, all'inaccettabile progetto del comparto 25/s (Villaggio Paradiso) di mega villaggio turistico con una previsione di circa 3.000 residenti su un'area di oltre 50 ettari all'ombra della Torre Minervino sulla via per Porto Badisco;
nella stessa località Porto Miggiano si paventa inoltre da anni la creazione di un porto turistico da 700 imbarcazioni con possibile scalo per navi da crociera che, se realizzato, devasterebbe definitivamente un luogo che fino a poco meno di due anni fa era tra le meraviglie della natura salentina;
riguardo a un nuovo approdo, il sindaco di Santa Cesarea Terme, Daniele Cretì, pur affermando che si tratta di «un'ipotesi irrealistica sopratutto per mancanza di fondi» si è detto «molto favorevole alla creazione di un porto turistico», anche se per il sindaco Porto Miggiano «non ha le caratteristiche per ospitare navi, al massimo la crociera può fermarsi a largo e con le scialuppe consentire ai passeggeri di visitare il luogo, un po' come succede nelle isole greche»; Carlo Taurino, presidente dell'Assonautica della provincia di Lecce, ha rivelato che l'interesse per la costruzione di un porto c'è: «Il nostro interessamento esiste e abbiamo mandato una lettera d'intenti al sindaco ma non abbiamo mai avuto un riscontro. Rimango convinto che Santa Cesarea abbia bisogno di un porto turistico perché ha tutte le carte in regola per essere la "Montecarlo" del Salento»;
ad avviso degli interroganti appare emergere il rischio del mancato rispetto di norme generali di tutela nei processi autorizzativi di singoli e particolari piani di lottizzazione, laddove le valutazioni, soprattutto quelle di impatto territoriale, ambientale e paesaggistico, non andrebbero effettuate separatamente su più progetti frammentati, ma dovrebbero avere un carattere complessivo per verificarne correttamente gli effetti cumulativi;

a parere degli interroganti progetti di creazione di un porto turistico nella zona di Porto Miggiano suscitano notevoli perplessità dal punto di vista della compatibilità, con un'idea di turismo sostenibile e con la salvaguardia di un ambiente e un paesaggio tra i più preziosi della penisola salentina -:
se sia compatibile dal punto di vista idro-geologico e della sicurezza pubblica la presenza di due grandi strutture turistiche a pochi metri dal ciglio della falesia di Porto Miggiano che risulta classificato nel Pai (piano assetto idrogeologico) come «area a pericolosità geomorfologica molto elevata», tant'è che si è proceduto alle opere di consolidamento della falesia stessa;
se sia compatibile con i vincoli paesaggistici e culturali la costruzione delle suddette strutture turistiche a pochi passi da una torre d'avvistamento del XVI secolo di pregiato valore storico-artistico;
cosa intendano fare, per quanto di competenza, per preservare da una logica speculativa, che richiama i peggiori interessi edilizi di vecchia memoria, l'intero paesaggio naturale e artistico di Santa Cesarea Terme, la cui bellezza e singolarità, che sono il vanto della comunità salentina, andrebbero tutelate come un patrimonio dell'umanità.
(4-15018)

TESTO AGGIORNATO AL 15 MARZO 2012

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

MURGIA e FRASSINETTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
secondo il documento presentato dal soprintendente del Teatro lirico di Cagliari, Gennaro Di Benedetto, occorrerà un nuovo mutuo «che garantisca la continuità dei flussi in linea con le necessità produttive» per rilanciare il prestigioso teatro sardo;
costi e ricavi non sono mai in pari e gran parte delle risorse vengono impiegate per il personale che ammonta a 270 unità;
i tagli hanno colpito maggiormente i dipendenti precari piuttosto che quelli stabili;
le previsioni del soprintendente sembrerebbero essere positive con una previsione di chiusura in attivo per il prossimo triennio, di circa 1 milione di euro, mentre la perdita nel 2010 è stata 1 milione e mezzo;
lo Stato versa alla Fondazione teatro lirico di Cagliari circa 9 milioni di euro per il 2011, mentre la regione si attesta più o meno sulla stessa cifra, con contributi straordinari di 500 mila euro nel 2011 (nel 2010 di 200 mila euro);
il comune di Cagliari versa 2 milioni e 400 mila euro annui;
complessivamente, la cifra annua che il teatro lirico di Cagliari può gestire ammonta a 22 milioni e mezzo;
ciò che si ricava dalle vendite al botteghino e da altre vendite ammonta a circa 1 milione 800 mila nel 2010, per 115 mila spettatori suddivisi in 113 recite fra lirica e concertistica, con il 40 per cento dei posti normalmente vacanti;
i risparmi hanno inciso soprattutto sui costi medi di una recita: 66 mila nel 2008, 31 mila nel 2010, mentre per i concerti si è arrivati agli attuali 12 mila;
con i ricavi si copre una media del 76 per cento dei costi di produzione;
17 milioni di euro vengono spesi solo per il personale, pari a circa il 60 per cento dei costi complessivi, a discapito delle produzioni;
gli spettatori sono comunque passati dai 59 mila del 2008 ai 63.585 del 2010;
in Sardegna vi sono realtà di eccellenza per la produzione lirica e sinfonica;

è in corso un violento e paralizzante scontro tra sindacati e soprintendente che impedisce il normale svolgimento delle attività in cartellone, con astensione improvvisa di parte delle maestranze del lirico, con i danni economici e di immagine per il teatro e la stessa città;
i lavoratori bocciano il piano industriale perché «prevede solo tagli e sacrifici» -:
di quali elementi disponga in merito ai fatti riportati in premessa;
quale strategia intenda metter in campo per restituire al teatro cagliaritano il prestigio perduto;
quali iniziative di competenza intenda intraprendere per rilanciare le produzioni culturali, aumentare il numero di spettatori e ripristinare serenità nei rapporti tra soprintendente, tecnici e musicisti, ognuno nel rispetto del ruolo affidato;
se non ritenga opportuno convocare immediatamente un tavolo di confronto tra le parti, svolgendo un ormai non più derogabile ruolo di mediazione attiva, al termine del quale sia possibile assumere decisioni che sblocchino il gravissimo stallo nel quale si trova il Teatro.
(5-06215)

Interrogazione a risposta scritta:

REGUZZONI e MONTAGNOLI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
la cupola del Santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno, in provincia di Varese, è considerata il più bel paradiso affrescato d'Europa, realizzato da Gaudenzio Ferrari, celebre pittore e scultore italiano vissuto a cavallo fra il XV e il XVI secolo;
la cupola è contornata da venti statue in legno realizzate dall'artista Giulio Oggioni e dipinte da Alberto da Lodi (su disegno dello stesso Ferrari) fra il 1540 e il 1544;
le opere sono state rimosse dai loro alloggiamenti per essere restaurate, ma dopo essere state esposte per cinquecento anni sono interessate da numerosi problemi, come spaccatura e sollevamento del legno, del colore, delle dorature e presenza di tarli;
le venti statue necessitano di un primo intervento di restauro dedicato alla messa in sicurezza, e di un secondo step per completare la procedura di recupero completo;
per la sola rimozione delle statue sono già stati investiti fondi cospicui, e per le opere di restauro serviranno altre decine di migliaia di euro -:
se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere, in termini di risorse economiche, tecniche e umane, ai fini di agevolare il recupero dell'importante patrimonio artistico e culturale costituito dalle venti statue del santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno.
(4-15009)

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ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
l'attenzione più volte assicurata dal Governo alle nuove generazioni rischia di essere vanificata dall'assenza di un esplicito impegno a sostenere la natalità attraverso un riconoscimento fiscale del valore dei figli, quale investimento a beneficio di tutta la collettività, come insegna l'esperienza di vari Paesi europei;

a fronte dell'assenza di uno specifico impegno in tal senso, necessita una chiarificazione inequivocabile l'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetto «Salva Italia», che prevede che la revisione dell'Isee entro il 31 maggio 2012, è volta anche a determinare la concessione o la esclusione del beneficio delle agevolazioni fiscali;
è infatti ben noto agli esperti che il sistema di imposizione sul reddito basato sulla progressività, se garantisce la solidarietà tra i cittadini presi individualmente (equità orizzontale), penalizza le famiglie con figli (se non adeguatamente controbilanciato), perché colpisce in egual modo sia le quote di reddito destinate a provvedere ai bisogni elementari per la sussistenza della prole, che quelle fasce di reddito che garantiscono consumi di lusso o risparmi vantaggiosi ai single, come a suo tempo riconobbe la Corte costituzionale tedesca;
per evitare quindi tale penalizzazione è necessario un chiaro intervento di equità orizzontale sul modello del fattore famiglia (elaborato dal Forum delle associazioni familiari), parametrato unicamente sul numero dei figli, seppure con una scala che cresce con un ritmo inferiore alla proporzionalità;
è chiaro che tale bilanciamento non può essere realizzato attraverso l'Isee, nella vecchia o nuova formula, perché essendo parametrato sul reddito e sul patrimonio comporterebbe la singolare applicazione dell'Irpef con una doppia progressività ai danni delle famiglie con figli (che pure la solidarietà la realizzano già, generando ed educando le nuove generazioni) e rappresenterebbe la negazione pressoché assoluta del criterio della equità -:
se non ritenga necessario ed in tempi rapidi assumere iniziative normative per introdurre nel sistema fiscale italiano meccanismi di chiara equità orizzontale non confusi con indici di equità verticale, in vista di una reale giustizia nel trattamento fiscale delle famiglie con figli, anche ai fini di sostenere la natalità;
se non ritenga, altresì, di assumere iniziative volte a modificare gli attuali parametri della scala Isee, sul modello introdotto dal cosiddetto quoziente Parma, dato che da tutti gli esperti è stato riconosciuto che gli attuali pesi penalizzano le famiglie ed in particolare, quelle numerose.
(2-01367)
«Capitanio Santolini, Galletti, Adornato, Binetti, Bosi, Buttiglione, Calgaro, Carlucci, Enzo Carra, Cera, Cesa, Ciccanti, Compagnon, De Poli, Delfino, Dionisi, Anna Teresa Formisano, Libè, Lusetti, Mantini, Marcazzan, Mereu, Ricardo Antonio Merlo, Mondello, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Poli, Rao, Ria, Ruggeri, Tassone, Nunzio Francesco Testa, Zinzi».

TESTO AGGIORNATO AL 23 FEBBRAIO 2012

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GIUSTIZIA

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
durante le passate festività natalizie, il sito di commercio on-line della società Madhitech ha raccolto circa duemila adesioni per l'acquisto di materiale elettronico ed elettrodomestici, attraverso il pagamento di un bonifico bancario a un tale sig. Pietro Vandalo su un conto corrente della Banca delle Marche a Roma indicato sul portale;
sembra che siano presenti su alcuni Forum, nonostante le numerose recensioni fasulle positive, testimonianze di truffati, tanto che su Facebook è stato creato un gruppo che riunisce i malcapitati;

inoltre, è stato realizzato un video su YouTube, al fine di segnalare le false informazioni inserite nella rete per confondere i consumatori;
pare che gli importi della truffa siano stati stimati da 250 euro fino a 3.000 euro -:
se non ritengano opportuno verificare le informazioni sopraesposte e, qualora risultino corrette, intervenire con urgenza, al fine di evitare che altri ignari sventurati possano essere vittime di tale truffa;
quali strumenti intendano adottare affinché tali episodi, sempre più numerosi, vengano individuati tempestivamente.
(2-01370)
«Stucchi, Consiglio, Vanalli, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Crosio, Munerato, Dussin, Desiderati, Di Vizia, Fabi, Fogliato, Forcolin, Follegot, Fugatti, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lussana, Maggioni, Martini, Meroni, Laura Molteni, Molgora».

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere - premesso che:
lo scorso 21 aprile 2011 il Parlamento ha approvato una legge, la n. 62 del 21 aprile 2011, «Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori»;
si tratta di un provvedimento di civiltà, fortemente voluto dal nostro gruppo, che ha richiesto anni di lavoro in commissione, sia nel corso di questa legislatura che nella precedente, e che ha affrontato un tema delicatissimo quale quello dei bambini costretti a vivere all'interno del carcere perché figli, minori, di detenute;
il testo approvato è stato l'unico che è riuscito a «fare sintesi» cercando di dare una risposta sufficiente a due esigenze che finiscono quasi irrimediabilmente per contrapporsi: la prima esigenza, fondamentale, è quella di evitare con ogni mezzo che i bambini, innocenti per definizione, siano costretti a vivere e crescere dietro le sbarre, la seconda, che comunque deve essere tenuta comunque in debita considerazione, è quella di garantire la sicurezza dei cittadini anche nei confronti di quelle madri di figli minori che si siano rese responsabili di delitti, talvolta anche gravi;
con l'approvazione di questa legge ha visto il suo compimento un percorso di avvicinamento, che ha avuto una sua complessità e necessaria gradualità, iniziato nel 1975 quando si introdusse la prima disciplina a favore delle madri con minori condannate e già in fase di espiazione di pena detentiva, e che è proseguito poi con la legge 8 marzo 2001, n. 40, che fu fortemente voluta dall'allora Ministro per le pari opportunità Finocchiaro, con l'adesione, anche allora, di pressoché tutte le forze rappresentate in Parlamento e che si è completato alla luce dell'esperienza fatta, per migliorare ed eliminare alcune delle contraddizioni emerse nella pratica di questi anni;
il DAP, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha fornito in alcuni numeri, riferiti però all'inizio dello scorso anno: ai tempi dunque si parlava di 42 detenute madri con bambini minori di 3 anni negli istituti penitenziari italiani, per un totale quindi di 43 figli, mentre ben 14 delle detenute madri si trovano recluse in carceri del Lazio, 7 in Lombardia, 6 in Piemonte, 4 in Toscana e in Campania, 3 in Puglia, 2 in Abruzzo, 1 in Veneto e in Emilia-Romagna. Altre 4 detenute a inizio anno risultavano in stato di gravidanza: 2 nel Lazio, 1 in Toscana e in Abruzzo. Gli asili nido negli istituti penitenziari sono 16: 3 in Sardegna 2 in 1 in Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia (dove ve ne è un altro ma non funzionante), Sicilia, Umbria e Veneto

nessuno, e nessuno, allo stato, risulta in allestimento;
le donne in carcere costituiscono una percentuale del 4 per cento dell'intera popolazione carceraria, percentuale caratterizzata, inoltre, da una stragrande maggioranza di condanne per reati a bassa pericolosità sociale. Alla data dello scorso 7 settembre, le donne detenute nelle carceri italiane erano 2.969 e le regioni con maggiore densità la Lombardia (632), il Lazio (434) e la Campania (283);
anche il Ministro Severino, in seguito ad una visita al Nuovo complesso penitenziario di Firenze, Sollicciano, ha dichiarato: «gli ultimi dieci minuti della mia visita li ho passati nel nido. Credetemi, è straziante vedere dei bambini che con le loro madri sono in carcere. Ma le case famiglia, l'attivazione di sistemi alternativi al carcere credo che siano la vera soluzione praticabile. Un bambino non si può svegliare la mattina e vedere davanti a sé le sbarre di un carcere. Non si può pensare che al compimento dei tre anni venga strappato dall'unico luogo che ha conosciuto e dalla madre, con la quale ha vissuto i primi tre anni della sua vita, e portato via. Credetemi, è una pena immensa. Oggi si cerca di alleviare con gli asili nido. Ho incontrato operatori straordinariamente bravi, che aiutano le mamme. Ma non è quella la strada principale»;
invero ad oggi, però, risulta non essere stato emanato il regolamento di attuazione della n. 62 del 21 aprile 2011, che, tra le altre misure, prevede che in presenza di determinate condizioni le detenute madri possano scontare la pena insieme ai loro figli in strutture apposite, fuori dalle carceri («Istituti a custodia attenuata per detenute madri»);
inoltre le strutture di cui sopra, destinate alle madri detenute, grazie a questa legge, dovrebbero entrare in funzione, laddove non siano già operative, nel gennaio 2014;
se il Governo abbia effettuato un monitoraggio più recente in materia e non ritenga urgente rendere immediatamente operativa, attraverso l'approvazione del regolamento di attuazione, la legge n. 62 del 21 aprile 2011, e quali siano gli istituti a custodia attenuata per detenute madri già operativi.
(2-01371)
«Rossomando, Mastromauro, Ciriello, Rigoni, Giachetti, Cilluffo, Baretta, D'Antoni, Samperi, Maran, Ferranti, Colombo, Andrea Orlando, Merloni, Mosca, Ferrari, Fiano, Quartiani, Bressa, Gentiloni Silveri, Iannuzzi, Grassi, Boffa, Vico, Cuomo, Capodicasa, Migliavacca, Sereni, Soro, De Biasi, Ginoble, Misiani, Tenaglia, Minniti, Melis».

Interrogazione a risposta orale:

MURGIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la Costituzione prevede la garanzia giurisdizionale per tutti i cittadini;
i tribunali di Nuoro e Sassari sono costretti a lavorare con pesanti vuoti nella pianta organica;
la mancanza di giudici finisce per influenzare pesantemente le attività in ambito civile, penale e della magistratura di sorveglianza;
il Consiglio superiore della magistratura autorizzava, con propria circolare, l'impiego di magistrati onorari al posto dei magistrati ordinari sia nel tribunale di Nuoro sia in quello di Sassari;
le carceri sarde presentano un livello di sovraffollamento preoccupante per la sicurezza dei detenuti e degli operatori di polizia penitenziaria;

il Governo ha più volte esternato la volontà di riformare l'ordinamento giudiziario -:
se il Governo non ritenga necessario affrontare con urgenza la carenza d'organico nei tribunali di Nuoro e Sassari;
come il Governo intenda alleviare le problematiche connesse al sovraffollamento delle carceri;
se il Governo non ritenga necessario assumere ogni iniziativa di competenza per garantire la sopravvivenza degli uffici del giudice di pace e delle sedi distaccate dei tribunali sardi, tenuto conto delle peculiarità del territorio sardo.
(3-02115)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel suo ultimo libro, intitolato «Colpo al cuore. Dai pentiti ai metodi speciali: come lo Stato uccise le Br. La storia mai raccontata», il giornalista, scrittore e opinionista Nicola Rao si sofferma diffusamente anche sui metodi e sul trattamento violento riservato negli anni '70 e '80 dalle forze dell'ordine ai presunti terroristi durante gli interrogatori di polizia;
in particolare, Nicola Rao cita la speciale squadretta addetta alle sevizie - tra le quali rientrava anche la tecnica del waterboarding ovvero del soffocamento con acqua e sale - a capo della quale allora vi era il funzionario dell'Ucigos (oggi Polizia di prevenzione) conosciuto con il nome di «Professor De Tormentis»: la squadretta in questione si muoveva - tra la fine degli anni Settanta e i primissimi anni Ottanta - tra le questure e le caserme d'Italia per estorcere informazioni ai militanti, o supposti tali, delle Brigate Rosse;
già il 17 giugno 2007 Salvatore Genova, uno dei funzionari di polizia protagonisti dell'antiterrorismo dei primi anni Ottanta, persona coinvolta nell'inchiesta contro le sevizie praticate ai brigatisti che avevano sequestrato il generale Dozier, cominciò a testimoniare quanto aveva visto rilasciando una intervista a Matteo Indice sul Secolo XIX. La prima firmataria del presente atto ritiene utile riportarne alcuni significativi stralci: «(...) Ci furono torture e pestaggi inutili anche nel periodo della lotta al terrorismo, nei confronti di alcuni brigatisti arrestati. Ma allora, come oggi, nonostante ripetute sollecitazioni a fare chiarezza, lettere protocollate e incontri riservatissimi, ci si è ben guardati dall'avviare i doverosi accertamenti. Si è preferito, in base a logiche di potere, lasciare che l'opinione pubblica rimanesse nell'incertezza, con il risultato di delegittimare tutto il Corpo (...). Tutto ciò dimostra come nella storia d'Italia, nei casi in cui più gravemente la polizia s'è macchiata di aggressioni "politiche" ad opera di gruppi molto ristretti, si è aggirata la strada più coerente, quella dell'inchiesta amministrativa. (...) Nei primi anni Ottanta esistevano due gruppi di cui tutti sapevano: "I vendicatori della notte" e "I cinque dell'Ave Maria". I primi operavano nella caserma di Padova, dov'erano detenuti i brigatisti fermati per Dozier (oltre a Cesare Di Lenardo c'erano Antonio Savasta, Emilia Libera, Emanuela Frascella e Giovanni Ciucci). Succedeva esattamente quello che i terroristi hanno raccontato: li legavano con gli occhi bendati, com'era scritto persino su un ordine di servizio, e poi erano costretti a bere abbondanti dosi di acqua e sale. Una volta, presentandomi al mattino per un colloquio, Savasta mi disse: "Ma perché continuano a torturarci se stiamo collaborando?". Le violenze avvenivano di notte, naturalmente, e poi è stato facile nascondere le acque mandando sotto processo le persone sbagliate. Le stesse che ancora oggi, pur assolte, continuano a ricevere minacce. E allora: perché per quasi vent'anni, a dispetto delle reiterate sollecitazioni, non si è mai voluta affrontare sul serio quella pagina? (...)

Ovunque era nota l'esistenza della "squadretta torturatori" che si muoveva in più zone d'Italia, poiché altri Br (in particolare Ennio Di Rocco e Stefano Putrella, bloccati dalla Digos di Roma) avevano già denunciato procedure identiche. Non sarebbe stato difficile individuarne nomi, cognomi e "mandanti" a quei tempi (...)»;
una settimana dopo l'intervista di Salvatore Genova, colui che negli anni ottanta il funzionario dell'Ucigos meglio noto come «Professor De Tormentis» decise di rilasciare le seguenti dichiarazioni allo stesso Matteo Indice del Secolo XIX: «Ammesso, e assolutamente non concesso, che ci si debba arrivare, la tortura - se così si può definire - è l'unico modo, soprattutto quando ricevi pressioni per risolvere il caso costi quel che costi. Se ci sei dentro non ti puoi fermare, come un chirurgo che ha iniziato un'operazione, devi andare fino in fondo. Quelli dell'Ave Maria esistevano, erano miei fedelissimi che sapevano usare tecniche "particolari" d'interrogatorio, a dir poco vitali in certi momenti (...). Io ero un duro che insegnava ai sottoposti lealtà e inorridiva per la corruzione. Occorreva ristabilire un forma di "auctoritas", con ogni metodo. Tornassi indietro, rifarei tutto quello che ho fatto (...)»;
l'argomento dei metodi violenti e delle vere e proprie torture praticate dai funzionari di polizia nei confronti dei terroristi, è stato affrontato anche da Paolo Persichetti in un articolo apparso sulla rivista online contropiano.org intitolato: «Tortura: "De Tormentis" e i Cinque dell'Ave Maria». Nella circostanza Persichetti, dopo aver ricordato le dichiarazioni rilasciate alla stampa da Salvatore Genova e dal cosiddetto «Professor De Tormentis», ha scritto quanto segue: «(...) Oggi l'identità di De Tormentis è un segreto di Pulcinella. Lui stesso ha raccontato di aver prestato servizio in polizia per quasi tre decenni, uscendone con il grado di questore per poi esercitare la professione di avvocato. Accanto al questore Mangano partecipò alla cattura di Luciano Liggio; poi in servizio a Napoli sia alla squadra mobile che all'ispettorato antiterrorismo creato da Emilio Santillo, per approdare dopo lo scioglimento dei nuclei antiterrorismo all'Ucigos dove ha coordinato i blitz "più riservati". De Tormentis riferisce anche di essere raffigurato in una delle foto simbolo scattate in Via Caetani, tra gli investigatori vicini alla Renault 4 dove si trovava il corpo senza vita di Aldo Moro. In rete c'è traccia di un suo articolo scritto nel gennaio 2001, su un mensile massonico, nel quale esalta le tesi del giurista fascista Giorgio Del Vecchio, elogiando lo Stato etico, e rivendica per la polizia "i poteri di fermo, interrogatorio e autonomia investigativa". Nel 2004 ha avuto rapporti con Fiamma Tricolore di cui è stato commissario per la federazione provinciale di Napoli e, dulcis in fundo, ha partecipato come legale di un funzionario di polizia, tra l'86-87, ai processi contro la colonna napoletana delle Br, che non molto tempo prima aveva lui stesso smantellato senza risparmio di metodi "speciali". Una singolare commistione di ruoli tra funzione investigativa, emanazione del potere esecutivo, e funzioni di tutela all'interno di un iter che appartiene al giudiziario, che solo in uno stato di eccezione giudiziario, come quello italiano, si è arrivati a consentire (...)»;
in chiusura del suo articolo Persichetti scrive: «All'epoca Amnesty censì 30 casi di tortura nei primi tre mesi dell'82; il Ministro dell'Interno Rognoni ne riconobbe 12 davanti al Parlamento, ma il fenomeno fu molto più esteso (cf. «Le torture affiorate», Sensibili alle foglie, 1998). La tortura, scriveva Sartre: "Sconfessata - a volte, del resto, senza molta energia - ma sistematicamente applicata dietro la facciata della legalità democratica, può definirsi un'istituzione semiclandestina";
il movimento radicale, che da sempre basa la sua iniziativa politica ispirandosi ai fondamenti della lotta nonviolenta, rileva come le parole prima citate dei funzionari di polizia siano significativa testimonianza di una situazione che, nel suo essersi verificata, sarebbe assolutamente

incompatibile con lo Stato democratico e di diritto, oltre a essere insostenibile davanti a quanto l'esperienza umana di ogni cultura insegna, e che trova in Gandhi immediata rispondenza nell'assunto che «la violenza semplicemente moltiplica il male» e che nel conseguente rifiuto di qualsiasi violenza quale mezzo disponibile di ogni società politicamente organizzata, contravviene in assoluto alla Costituzione (articoli 2, 13, 27, 28, 33, 54) e ad ogni legge nazionale in materia, e alle convenzioni internazionali più importanti quali la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (articolo 5), il Patto internazionale sui diritti civili e politici (articoli 6 e 7), la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti;
in particolare, si rileva che l'Italia, non prevedendo nell'ordinamento delle sue leggi alcun reato specifico, né norme specifiche a protezione delle vittime e dei testimoni di atti di tortura, contravviene in modo continuato a quanto ratificato in sede ONU nel Patto internazionale sui diritti civili e politici (articoli 2 e 3) e nella Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti (articoli 2 e 4);
l'8 giugno 2011 la Camera dei deputati ha accolto l'ordine del giorno n. 9/1439-A/2 presentato dall'interrogante che impegna il Governo:d assumere un'iniziativa normativa per introdurre nel nostro codice penale il reato di tortura -:
se il Ministro interrogato disponga di elementi in ordine all'identità ed al ruolo svolto all'epoca dei fatti dal funzionario dell'Ucigos (oggi Polizia di prevenzione) conosciuto come «professor De Tormentis»;
se non ritengano opportuno promuovere immediatamente, eventualmente anche attraverso la costituzione di una specifica commissione d'inchiesta, ogni utile approfondimento in merito all'esistenza, ai componenti e all'operato dei due gruppi addetti alle sevizie e meglio noti come «I vendicatori della notte» e «I cinque dell'Ave Maria», ai quali fanno riferimento gli ex funzionari della polizia di Stato nelle interviste riportate in premessa;
se il Governo non intenda adottare con urgenza, iniziative normative volte all'introduzione nell'ordinamento italiano del reato di tortura e di specifiche sanzioni, nonché dispositivi volti alla certa individuazione e persecuzione di eventuali atti di tortura e dei responsabili, in attuazione di quanto da lungo tempo ratificato in sede ONU nel patto internazionale sui diritti civili e politici e nella Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti;
se il Governo non intenda assumere iniziative anche normative volte a prevedere opportuni risarcimenti per le vittime di atti di tortura o violenze da parte di funzionari dello Stato, e per i loro familiari;
se, più in generale, il Governo: a) non intenda adottare con urgenza provvedimenti atti a contrastare ogni fenomeno di violenza non giustificabile sui cittadini da parte di funzionari delle forze dell'ordine nell'esercizio delle loro funzioni; b) non intenda promuovere la professionalizzazione del personale delle forze dell'ordine attraverso addestramenti che indichino e prediligano percorsi alternativi all'uso della violenza nell'esercizio delle loro funzioni.
(5-06219)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'edizione romana del Corriere della sera del 13 febbraio 2012 riporta l'intervista al direttore del carcere di Regina Coeli incentrata sulle drammatiche condizioni dell'istituto romano e sull'ultimo decesso verificatosi nell'istituto l'11 febbraio 2012;
il direttore Mauro Mariani, che dirige il penitenziario romano da 12 anni, si

esprime in questo modo a proposito della chiusura dell'istituto più volte paventata nell'ultimo decennio: «Non la mettiamo così... Diciamo che l'istituto ha certamente i suoi problemi. Le aree trattamentali sono limitate, consideriamo che come carcere Regina Coeli nasce nel 1880, quando... la detenzione era essenzialmente punitiva, contenitiva, e la struttura era orientata di conseguenza. In questo lungo percorso fino a oggi gli spazi ce li siamo ricavati con le unghie e con i denti. Pensi che i campi di calcio non sono mica rettangolari, ma trapezoidali...»;
quanto alle condizioni dell'istituto, il dottor Mauro Mariani risponde così al giornalista Fabrizio Peronaci che gli chiede quali siano le emergenze di Regina Coeli: «Sovraffollamento, carenza di personale, scarse risorse. Ma è un problema generale, siamo nella media di tutte le carceri italiane... Si sa che a Regina Coeli ci sono 1.200 detenuti, che dovrebbero essere poco più di 700 e che il 30 per cento sono tossicodipendenti. È questione nota che mancano agenti penitenziari: oggi sono 490, quando la pianta organica ne prevede 630». Per non parlare della carenza di psicologi. «Pochi anche quelli, ma il nodo maggiore è il numero limitato di ore per l'osservazione e il trattamento: una decina al mese. E d'altronde è risaputo anche l'effetto porte girevoli...». «Sì, insomma, il problema degli arrivi continui e degli ingressi brevi, di pochi giorni... L'alta mobilità complica il lavoro. Consideri che i condannati definitivi sono solo 130, e che Regina Coeli è davvero una realtà complessa: tantissimi detenuti sono molto poveri, in gravi difficoltà sociali, senza contatti. Il 50-60 per cento stranieri...»; Fabrizio Peronaci chiede ancora «Ma negli ultimi 12 anni, con lei al vertice, cosa è cambiato?» e il direttore Mariani risponde «Intanto, la struttura si è aperta, mentre quando arrivai era un mondo chiuso. Qui adesso entra moltissimo volontariato per l'assistenza. E poi ci sono le attività, la biblioteca, il teatro, le iniziative di approccio psicologico e relazionale per i sex offender, il lavoro esterno di due detenuti che, per un carcere giudiziario, è una bella conquista...». Alla sollecitazione del giornalista che definisce la casa circondariale di Regina Coeli immersa «in un contesto degradato degno di un penitenziario di Bangkok», Mauro Mariani replica «Guardi che abbiamo ristrutturato l'80 per cento del complesso, e non è poco... Posso portare le foto, ha presente com'era? Prima, seconda, quarta e quinta sezione sono state ristrutturate, nella sesta iniziamo questo mese, a conti fatti manca solo l'ottava...». Infine, quando il giornalista ricorda al direttore: «Marco Pannella però, in visita a Regina Coeli lo scorso Natale con Rita Bernardini, parlò di docce non funzionanti, acqua fredda, vetri rotti, mancanza del riscaldamento», Mariani risponde: «Sì, la parte idraulica ha qualche problema. Le reti sono vecchie e in effetti necessitano di manutenzione continua. Il mio, le assicuro, è davvero un mestiere del fare...»;
all'indirizzo Facebook riscontra anche la notizia della morte avvenuta nella notte tra il 30 e il 31 dicembre 2011, sempre nel carcere di Regina Coeli, di Massimo Loggello; a quanto si legge nella nota, il signor Loggello sembra sia morto per un infarto a causa del ritardo dei soccorsi e dell'inesperienza nell'uso del defibrillatore da parte degli intervenuti;
la prima firmataria del presente atto ha presentato numerose interrogazioni sul carcere Romano di Regina Coeli, tutte rimaste senza risposta; in particolare, quella presentata il 29 novembre 2011 (5-05757) e riguardante una visita ispettiva effettuata il 22 novembre, fu trasmessa, per la drammaticità della situazione riscontrata definita di vera e propria emergenza umanitaria, anche al presidente del tribunale di Roma Giuseppe Tamburino, attuale capo del Dap, che però non ritenne di intervenire, mentre nulla si sa della richiesta rivolta dagli interroganti al Ministro di effettuare, negli ambiti di competenza, ispezioni all'interno della casa circondariale di Regina Coeli -:
quanto siano costate alle casse dello Stato le ristrutturazioni eseguite all'interno

della casa circondariale di Regina Coeli e se sia mai stata valutata la chiusura e la destinazione di quei fondi alla costruzione di un nuovo istituto;
quanti fondi siano stati destinati negli ultimi 5 anni alla manutenzione ordinaria dell'istituto romano;
se intenda intervenire d'urgenza per risolvere il vero e proprio stato di emergenza umanitaria all'interno di Regina Coeli per garantire il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
di quali informazioni disponga in merito al decesso di Tiziano De Paola e se non ritenga di disporre un'indagine amministrativa interna;
quali siano le informazioni in merito al decesso di Massimo Loggello, e in particolare se siano state avviate indagini da parte della magistratura e/o accertamenti dell'amministrazione penitenziaria per individuare eventuali responsabilità.
(5-06220)

PILI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel carcere denominato casa circondariale di Macomer (Nuoro) nella zona industriale Bonu Trau - nella giornata di venerdì 17 febbraio 2012 - nell'ala destinata ai detenuti in regime di Alta Sorveglianza 2, un agente penitenziario ha rischiato la vita per una gravissima aggressione subita da un detenuto in regime di alta sorveglianza per terrorismo islamico;
l'aggressione subita dall'agente di polizia penitenziaria di Macomer da parte del terrorista islamico, che risulterebbe riconducibile all'organizzazione criminale Al Qaeda, poteva avere conseguenze tragiche;
uno dei cinque terroristi presenti al fatto - secondo la ricostruzione dei fatti - rifiutava di farsi perquisire provocando l'agente e un altro lanciava sull'agente Valerio Agus una caffettiera in faccia, provocandogli un gravissimo trauma cranico con perdita di coscienza, profonde ferite lacero contuse in regione frontale poi suturate in ospedale e un trauma cervicale con stato commotivo;
tale fatto poteva anche preludere ad un tentativo di sommossa;
si tratta di un'aggressione che - hanno detto i medici - poteva avere conseguenze drammatiche considerato il corpo contundente utilizzato per aggredire l'agente;
il detenuto ritenuto responsabile del gravissimo gesto è stato posto in isolamento per quindici giorni ma è sin troppo evidente che si tratta di una misura restrittiva assolutamente inadeguata alla rilevanza dei fatti;
con lettera circolare n. 3619/6069 del 21 aprile 2009 l'amministrazione penitenziaria aveva proceduto alla riorganizzazione del circuito destinato al contenimento di detenuti ed internati appartenenti alla criminalità organizzata, ristretti per reati di mafia, di terrorismo nazionale ed internazionale o posti al vertice di associazioni dedite al traffico di sostanze stupefacenti;
in tale riorganizzazione è previsto il sottocircuito A.S. 2, dove vengono inseriti automaticamente i soggetti imputati o condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza (delitti di cui agli articoli 270, 210-bis, 270-ter, 270-quater, 270-quinquies, 280, 280-bis, 289-bis, 306 codice penale);
appare fin troppo evidente che, anche alla luce del gravissimo episodio, il braccio A.S.2 del carcere di Macomer, destinato ai terroristi islamici, deve essere immediatamente chiuso considerata l'assenza di compatibilità ambientale, di requisiti di sicurezza e di personale sufficiente a gestire la struttura in termini adeguati;
l'edificio è stato costruito negli anni Ottanta e utilizzato dal 1994, inizialmente come casa mandamentale, e in seguito,

senza alcuna sostanziale modifica, destinato anche a detenuti sottoposti a regime di alta sicurezza;
risulta improcrastinabile che i soggetti legati al terrorismo islamico e dislocati nel carcere vengano immediatamente allontanati dalla Sardegna, considerata l'inadeguatezza delle strutture penitenziarie sarde a un certo tipo di detenuti;
si rende urgente l'immediata adozione di un provvedimento di allontanamento dall'istituto di Macomer di questi soggetti;
tale situazione è stata riscontrata dall'interrogante nel corso di una visita al carcere tenutasi domenica 20 febbraio, accompagnato dal vice sindaco di Macomer dottor Giovanni Biccai e nel corso di incontri con i dirigenti del carcere, i medici che hanno prestato primi soccorsi all'agente, i sindacati e gli agenti;
dal sopralluogo nel carcere di Macomer si evince, a giudizio dell'interrogante, che la dislocazione di tali detenuti in quell'istituto ha il solo obiettivo di utilizzare la Sardegna come una sorta di terra di confino pur non avendo strutture e personale sufficiente a gestire simili situazioni -:
se abbia acquisito gli atti relativi alla gravissima aggressione di cui è stato vittima un agente penitenziario nel carcere di Macomer;
se il detenuto autore del grave gesto rientri tra quelli sottoposti a regime di alta sorveglianza e se lo stesso sia coinvolto in fatti legati al terrorismo islamico;
se non ritenga necessario provvedere con urgenza ad adottare iniziative finalizzate ad allontanare dal carcere di Macomer i detenuti sottoposti a regime di alta sorveglianza legati al terrorismo internazionale e islamico, considerata la loro pericolosità e la carenza di personale rispetto a questo tipo di detenzione.
(5-06222)

PILI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo notizie assunte dall'interrogante l'amministrazione penitenziaria avrebbe predisposto o starebbe predisponendo un piano relativo all'attivazione dei nuovi carceri sardi che prevedrebbe il trasferimento dal resto d'Italia in Sardegna di oltre 2.000 nuovi detenuti;
se tale piano fosse confermato ci si troverebbe dinanzi ad un deprecabile tentativo di scaricare sulla Sardegna la tensione carceraria del resto d'Italia;
occorre cominciare a prevedere un riparto di tali assegnazioni rispetto alla localizzazione territoriale dei reati e degli stessi carcerati;
non si può in alcun modo ritornare a quella che all'interrogante appare la tribale concezione di isola uguale maggiore sicurezza, considerato che questo sarebbe un tentativo inaccettabile;
in questi ultimi giorni sarebbero giunti in Sardegna quasi 100 nuovi detenuti provenienti dal resto d'Italia e già dislocati nelle carceri sarde;
tale trasferimento non può essere rilevato come fatto di routine, perché tutto ciò non sarebbe credibile;
la Sardegna ha solo oggi una carenza di almeno 200 uomini di polizia penitenziaria, per non contare gli aspetti rieducativi e socio sanitari interni alle carceri;
l'arrivo di nuovi detenuti porterebbe al collasso il sistema carcerario sardo;
i tanti operatori del sistema penitenziario sardo hanno espresso gravissima preoccupazione per l'accelerazione messa in atto sul piano di trasferimento di detenuti dal Nord Italia verso la Sardegna;
risulta, all'interrogante che nelle prossime settimane si punterà ad incrementare in modo consistente il numero della popolazione carceraria sarda senza aver affrontato in modo attento e organico la questione prioritaria e fondamentale della carenza del personale;

appare indefinito il piano di riempire le nuove carceri senza aver definito in alcun modo la logistica relativa alla chiusura delle vecchie e senza aver in alcun modo affrontato la questione del personale;
i dati delle nuove carceri e soprattutto le nuove imminenti aperture porterebbero ad un incremento considerevole della popolazione carceraria sarda di 200 nuovi detenuti;
già da questo mese, è previsto il 29 febbraio, verrà aperto in tutta fretta il carcere di Massama, che rispetto all'attuale capienza del carcere di Oristano di 142 detenuti, avrà una capienza di 320 posti e una tollerabilità di 480;
nei giorni scorsi si è avviata l'apertura del carcere di Nuchis a Tempio che avrà una capienza di circa 300 detenuti a fronte degli attuali 20;
si sta predisponendo l'apertura della nuova ala del carcere di Bade è Carros a Nuoro con 200 nuovi posti;
il carcere di Bancali di Sassari avrà una capienza tollerabile di oltre 900 detenuti a fronte di circa 180 attuali di San Sebastiano (Sassari);
il nuovo carcere di Uta, la cui apertura risulta ancora incerta per i noti problemi legati alla conclusione dei lavori, dispone di oltre 1.000 posti a fronte di 500 detenuti nel carcere di Buon Cammino;
tale situazione lascia prevedere un dislocamento verso l'isola di almeno 2.000 nuovi detenuti che andranno a sommarsi agli attuali detenuti -:
se non ritenga necessario fornire elementi sul piano di riempimento delle carceri sarde, sulla tempistica, sulla logistica e soprattutto sul personale da utilizzare nell'attivazione di tale piano;
se non ritenga necessario far conoscere in modo trasparente e preventivo la tipologia dei reati commessi dai detenuti destinati ad eventuale trasferimento in Sardegna;
se non ritenga di dover adottare nuovi criteri di riparto dei detenuti tenendo conto eventualmente, a seconda del reato, della territorialità non solo del detenuto ma anche dell'effettivo compimento dello stesso reato;
se non ritenga necessario coinvolgere le istituzioni sarde al fine di definire tale delicata situazione del sistema carcerario sardo, anche alla luce dei problemi già sollevati in altri atti di sindacato ispettivo relativamente alla condizione e all'assistenza sanitaria nelle carceri sarde;
se non ritenga di valutare il dislocamento in Sardegna dei tanti operatori penitenziari residenti o nati in Sardegna che avessero o volessero fare domanda di assegnazione nella propria regione d'origine.
(5-06223)

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, il 17 febbraio 2012 Pino Cobianchi, 58 anni, si è impiccato nella cella del carcere di Opera a Milano dove era detenuto;
Cobianchi era condannato all'ergastolo ed all'isolamento diurno per gli omicidi di tre prostitute tutti avvenuti nel 2003 in provincia di Toscana. Più altri scampoli di pena, per una serie di rapine commesse con lo pseudonimo di «Robin Hood» e alcuni furti e incendi. Era stato a lungo recluso al carcere Don Bosco di Pisa, dopo aver peregrinato per 26 anni in varie carceri italiane: nel '79, infatti, era stato condannato a Milano per un delitto commesso l'anno prima al velodromo Vigorelli, dove aveva ucciso un diciottenne di vita che taglieggiava;

secondo il legale dell'uomo, avvocato Laura Antonelli, «i familiari del signor Cobianchi non sono stati informati del decesso, ma sono stata io a dar loro la notizia, eppure quello di essere informato è un preciso diritto del familiare contemplato dall'ordinamento penitenziario»;
da inizio anno sono 8 i detenuti che si sono tolti la vita e 21 il totale dei decessi avvenuti nelle carceri (di cui 9 per cause ancora da accertare). Dal 2000 ad oggi 700 detenuti si sono uccisi, mentre ammonta a 1.954 il totale dei «morti di carcere». Cifra che supera le 2.000 unità, sommando le vittime tra le fila della polizia penitenziaria: 85 per suicidio e 6 per «incidenti sul lavoro» -:
al di là dell'inchiesta aperta dalla magistratura per accertare eventuali responsabilità penali con riferimento al suicidio del signor Cobianchi, se non ritenga - in via cautelativa - di dover verificare, attraverso un'approfondita indagine interna, se nella morte dell'uomo non siano ravvisabili eventuali profili di responsabilità disciplinare del personale di polizia penitenziaria;
per quali motivi i familiari dell'uomo non siano stati avvisati dell'avvenuto decesso dalla direzione dell'istituto penitenziario milanese e se - con riferimento a tale omissione - non ritenga opportuno adottare gli opportuni provvedimenti disciplinari;
quali provvedimenti intenda adottare al fine di ridurre l'alto tasso dei decessi e dei suicidi delle persone detenute e degli agenti di custodia.
(4-15005)

SISTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
tutti gli uffici giudiziari del circondario di Bari (piazza de Nicola, via Nazariantz, tribunale per i minorenni, uffici del giudice di pace) versano in una situazione ormai conclamata e grave per quanto attiene ai profili di manutenzione, strutturali (cadute calcinacci dalla facciata di edifici, allagamenti per intasamenti della fogna, fessure nelle pareti, infiltrazioni di umidità) nonché di funzionamento e sicurezza degli impianti, quali quelli elettrici e di climatizzazione e, ancora, di elevazione;
nell'anno 2002, il palazzo di via Nazariantz è stato dichiarato abusivo e sottoposto a sequestro dalla procura di Bari con facoltà d'uso (abuso edilizio in quanto sorto in area destinata a servizi per la residenza all'interno di un progetto di edificazione che non fu, come invece avrebbe voluto la legge, in un piano di lottizzazione), posizione successivamente sanata da una delibera di giunta su ritipizzazione delle aree interessate;
nei suddetti uffici sono in atto violazioni al decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di igiene e sicurezza sul lavoro (si pensi alla mancanza del certificato di prevenzione incendi e al non funzionamento delle luci di emergenza e dell'illuminazione di sicurezza per lo stabile di piazza de Nicola);
a quanto consta all'interrogante numerose sono state le richieste di intervento formulate dai capi degli uffici giudiziari al sindaco di Bari, dottor Michele Emiliano, responsabile ex lege n. 392 del 1941 delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari, tra cui quelle di riscaldamento, di manutenzione, di illuminazione e di riparazione degli impianti; né tanto meno risulta sollecitato alcun intervento nei confronti degli enti proprietari degli immobili per la effettuazione delle opere strutturali di manutenzione straordinaria di loro competenza;
nelle prime due settimane del mese di febbraio 2012, gli uffici del circondario di Bari, nonostante le rigide temperature atmosferiche abbiano portato ad emanare ordinanze sindacali di chiusura degli uffici pubblici, hanno continuato con responsabilità e dovere a prestare - per quanto umanamente possibile - il proprio lavoro a vantaggio del sistema giustizia;
ciò nonostante il mancato funzionamento dell'impianto di riscaldamento e

l'inaccettabile situazione in cui versano i suddetti uffici ha costretto il personale amministrativo e i magistrati, nonché gli avvocati, a rinviare numerose udienze in materie delicate (come ad esempio cause di separazione e divorzio) con conseguenti difficoltà e/o impossibilità nello svolgimento delle funzioni giudiziarie e turbativa al pubblico servizio;
alcuni capi ufficio hanno doverosamente autorizzato, con il primario fine di garantirne la salute, il personale amministrativo a evitare, dopo la prestazione amministrativa mattutina, il programmato rientro pomeridiano -:
quali iniziative ed in quali tempi il Ministro intenda adottare per evitare che questa grave situazione perduri e per accertare le cause che l'hanno determinata, affinché possa essere salvaguardata la salute, la dignità e la sicurezza dei dipendenti e degli operatori di giustizia, avvocati e utenti, nonché della funzione giudiziaria.
(4-15015)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato, tra gli altri, dal quotidiano Il Messaggero, il 9 ottobre 2011, un cittadino georgiano senza fissa dimora di 25 anni, Georgi B., è morto in una camera di sicurezza della questura di Milano. Il ragazzo era stato arrestato per aver tentato di rubare apparecchiature elettroniche in uno store Feltrinelli in corso Buenos Aires insieme ad altri due connazionali;
dopo l'arresto, il ragazzo era stato rinchiuso in una cella di sicurezza della questura di Milano, in via Fatebenefratelli, in attesa del processo per direttissima atteso per il giorno dopo. Ma quando gli agenti sono entrati nella stanza per prelevarlo, si sono accorti che non respirava più;
il corpo del ragazzo non presentava nessun segno di violenza, e il malore resta la causa più probabile del decesso -:
quali siano le cause che hanno provocato il decesso dell'uomo;
se risulti se nel caso di specie siano state valutate - dalle forze dell'ordine e/o dal magistrato inquirente titolare delle indagini - le condizioni di salute della persona arrestata, al fine di una sua custodia presso un luogo alternativo alla camera di sicurezza;
se risulti se nel caso di specie non vi fossero altre specifiche ragioni di necessità che imponevano la custodia del cittadino georgiano presso un luogo di custodia alternativo alla camera di sicurezza della questura di Milano e se risulti se le forze dell'ordine e il magistrato inquirente che hanno proceduto all'arresto le abbiano valutate e prese in considerazione;
quanto fosse grande la cella di sicurezza all'interno della quale l'uomo è stato trovato morto;
se la cella di sicurezza in questione godesse di illuminazione (in particolare di luce naturale) e aerazione adeguata; se la stessa fosse attrezzata con mezzi di appoggio (per esempio sedie fisse o panche) e se nella stessa vi fosse un materasso e coperte pulite;
se non si ritenga opportuno distribuire sistematicamente uno stampato alle forze dell'ordine con l'elenco chiaro dei diritti che spettano alle persone detenute dalla polizia fin dall'inizio della loro custodia;
se non intenda avviare un programma urgente di potenziamento, ampliamento e ristrutturazione delle camere di sicurezza all'interno delle quali dovranno essere custodite le persone arrestate in flagranza di reato prima della convalida dell'arresto.
(4-15017)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
l'aeroporto militare «Carlo Romagnoli» di Grazzanise (in provincia di Caserta) - aperto al traffico civile autorizzato dal 25 novembre 2004 - è, da anni, al centro di un progetto di ampliamento che prevede l'apertura dello scalo al traffico internazionale ed intercontinentale, oltre che nazionale, business e turistico, con lo scopo di diventare, a partire dal 2012 (o almeno nelle intenzioni iniziali) lo scalo principale del sistema aeroportuale della Campania;
il progetto è partito nel 2008, con un accordo di programma finalizzato a trasformare Grazzanise da scalo militare ad aeroporto internazionale e creare, così, un sistema aeroportuale integrato che comprenda anche l'aeroporto di Salerno-Pontecagnano;
nell'aprile 2008, vi è stato l'affidamento alla società Gesac - già concessionaria fino al 2043 dell'aeroporto di Capodichino - della gestione del nuovo scalo di Grazzanise;
nell'agosto 2008, è stato sottoscritto un accordo di programma tra regione Campania e Presidenza del Consiglio dei ministri sulle grandi infrastrutture e le grandi opere da finanziare in Campania, sulla base della cosiddetta nuova «legge obiettivo», e tra le opere destinatarie dei finanziamenti era compreso anche l'aeroporto di Grazzanise;
nel luglio 2009, è stato sottoscritto tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l'Enac, la Gesac e l'assessorato ai trasporti della regione Campania, un protocollo per la definizione di tutti i passaggi necessari all'avvio della progettazione, della realizzazione e della gestione del nuovo aeroporto;
nonostante nel tempo si siano susseguite, da parte delle istituzioni interessate, numerose richieste alla Gesac di accelerare, per quanto possibile, i tempi della progettazione, in modo da poter ottenere dal Cipe i fondi Fas già previsti dall'accordo regione-Governo sulla legge obiettivo dell'agosto 2008, e arrivare, così, al più presto all'inizio dei lavori, ad oggi, tuttavia, non è stato ancora raggiunto alcun obiettivo concreto;
la realizzazione dell'aeroporto di Grazzanise, infatti, è una questione ancora aperta che si protrae oramai da troppi anni senza che si sia ancora giunti ad una soluzione chiara e condivisa;
nonostante tale infrastruttura sia anche inserita nel «programma infrastrutture strategiche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti» del settembre 2010, il progetto si trova, tuttavia, in una fase di stallo, resa ancora più grave dalla generale confusione circa la reale volontà dei soggetti protagonisti della vicenda di portare ad effettivo compimento l'opera;
a fronte delle posizioni «bipartisan» favorevoli alla realizzazione di un aeroporto internazionale a Grazzanise, la questione, soprattutto negli ultimi giorni, sta registrando una decisiva battuta d'arresto: da recenti e confuse notizie di stampa, infatti, emerge, che il Governo avrebbe escluso uno stanziamento di fondi per lo scalo casertano;
è arrivata anche la netta chiusura del presidente della regione Campania, Stefano Caldoro, il quale ha chiarito apertamente che per il progetto di Grazzanise «non ci sono fondi, non rientra tra i progetti strategici del governo»;
va ricordato, poi, che il 14 febbraio 2012, la seduta monotematica del consiglio regionale della Campania sul futuro dell'aeroporto di Grazzanise è stata chiusa per mancanza del numero legale: dopo la relazione dell'assessore ai trasporti, Vetrella,

e alcuni interventi dei consiglieri dei diversi gruppi che avevano appoggiato la realizzazione dell'aeroporto a Grazzanise, il consiglio, infatti, si è aggiornato prima del voto, ma alla ripresa è stato proposto un emendamento dal titolo «iniziative volte alla realizzazione ed al compimento definitivo dello scalo aeroportuale nel comune di Grazzanise» in cui il consiglio avrebbe impegnato la giunta regionale a «chiedere al governo di prevedere in Campania la realizzazione di un aeroporto internazionale da inserire nel piano per il sud e nella programmazione di settore con una contestuale valorizzazione degli scali di Napoli-Capodichino, Salerno-Pontecagnano e di Capua»; si è quindi aperto un nuovo dibattito con gli interventi di alcuni consiglieri che si sono detti contrari a votare l'emendamento e l'assessore Vetrella ha poi precisato che «I soldi necessari ai progetti fanno parte del piano Sud del governo, non sono fondi a disposizione della Regione e quindi bisogna chiederli al governo»; Vetrella ha anche ricordato che «non è la Regione Campania a decidere dove si fa un aeroporto» ma che «nel 2011 abbiamo ottenuto un grande risultato quando l'Enac ha messo per iscritto dove bisogna fare gli aeroporti in Italia, considerando Grazzanise un luogo strategico»; al termine dell'intervento, poi, l'assemblea ha votato con voto elettronico la risoluzione proposta dal consigliere di opposizione, Oliviero, ma la votazione non è risultata valida per la mancanza del numero legale;
la questione riveste, senza dubbio, un'importanza fondamentale per cui, al di là delle inevitabili polemiche politiche, è necessario che tutti gli attori politico-istituzionali coinvolti assumano un atteggiamento responsabile e realistico al fine di definire le opportune strategie di intervento;
alla luce della grave crisi economico-finanziaria che sta investendo il nostro Paese, è opportuno innanzitutto verificare, in maniera approfondita e concreta, la fattibilità e la sostenibilità economica del progetto di realizzazione del nuovo scalo, valutando complessivamente tutti i costi, anche quelli connessi ai necessari adeguamenti infrastrutturali (si è parlato di una spesa di oltre un miliardo e 100 milioni di euro) nonché predisporre adeguati ed efficaci meccanismi di controllo e di monitoraggio delle procedure al fine di garantirne la correttezza, la legittimità e la trasparenza -:
se l'aeroporto di Grazzanise - infrastruttura considerata da più parti di vitale importanza sotto il profilo territoriale ed economico, in considerazione delle possibili e connesse opportunità di sviluppo e di occupazione - sia ancora considerato, nell'ottica di una ridefinizione e razionalizzazione del piano nazionale per gli scali aeroportuali, una delle opere prioritarie strategiche e destinato a diventare lo scalo di riferimento del Mezzogiorno;
se non ritenga opportuno chiarire, in maniera definitiva ed inequivocabile, quali siano i reali intendimenti del Governo, riguardo alla delicata questione espressa in premessa, soprattutto con riferimento alla concessione di eventuali stanziamenti necessari ed, in ogni caso, quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di garantire la tempestiva definizione della vicenda.
(2-01368) «Paglia, Muro, Della Vedova».

Interrogazione a risposta immediata:

RAISI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'Aero Club d'Italia è un ente pubblico non economico finanziato con contributi del Coni e dei Ministeri vigilanti, con l'imposizione di tariffe a carico di titolari di attestati e proprietari di apparecchi per il volo da diporto sportivo e con quote a carico di affiliati e altri utenti dell'ente;
dalla data del 17 dicembre 2010 - e fino al prossimo 16 aprile 2012, data di

scadenza della seconda proroga, concessa in data 16 gennaio 2012 - l'Aero Club d'Italia è amministrato da un commissario straordinario, il senatore Giuseppe Leoni, iscritto al gruppo parlamentare della Lega Nord;
l'articolo 7 della legge n. 340 del 1954 limita ad un anno la durata massima dei casi di commissariamento dell'Aero Club d'Italia;
ad oggi non si conoscono le motivazioni per cui il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti abbia confermato, per la terza volta consecutiva, il mandato conferito al senatore Leoni, avuto riguardo alla circostanza che l'incarico di commissario dell'Aero Club d'Italia, originariamente concesso in data 17 dicembre 2010 per sei mesi, era già stato prorogato nel mese di luglio 2011; questo, nonostante l'evidente inerzia del commissario Leoni, che a quella data (luglio 2011) ancora non aveva provveduto ad adempiere al preciso incarico conferitogli con decreto di nomina del 17 dicembre 2010 a firma del Ministro Matteoli;
va, inoltre, segnalato che il senatore Leoni, succedendo quale commissario straordinario al presidente avvocato Mario Testa, ebbe già a ricoprire la carica di commissario negli anni 2002/2004, divenendo poi presidente dell'ente fino al nuovo commissariamento avvenuto nel dicembre 2010, allorché fu, nuovamente, nominato commissario del medesimo ente pubblico che precedentemente aveva presieduto;
stabilisce la Costituzione della Repubblica, all'articolo 51, che tutti i cittadini hanno diritto di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza; qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni, quali quella dello svolgimento - per ben oltre un anno - della carica di commissario straordinario di un ente, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori dell'ente stesso, ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati, si è dunque in presenza di violazione della ratio del dettato costituzionale;
nel caso dell'Aero Club d'Italia, il commissario straordinario, senatore Leoni, eccedendo dal proprio mandato, ha proposto rilevanti modifiche statutarie, che incidono profondamente sull'assetto partecipativo ed elettorale dell'ente, e sta svolgendo, a parere dell'interrogante, il proprio mandato di gestione commissariale con chiari intenti elettorali;
sembrano, inoltre, ravvisarsi, ad avviso dell'interrogante, sia illeciti amministrativi, sia fattispecie apparentemente penalmente rilevanti, che necessariamente devono essere sottoposte all'attenzione del Ministero sorvegliante nonché, per quanto di competenza, dell'autorità giudiziaria, in quanto emergerebbe da una serie di documenti l'utilizzo, da parte dello stesso commissario straordinario, senatore Leoni, di denaro di un ente pubblico, quale l'Aero Club d'Italia, per sostenere i costi di un'azione privata e personale;
il senatore Giuseppe Leoni, infatti, a mezzo dei propri legali di fiducia, Nikita e Giovanvincenzo Placco, conveniva in giudizio avanti al tribunale di Roma il signor Oriano Callegati per essere risarcito a seguito di asserite offese alla propria personale onorabilità, come si evince dalle conclusioni dell'atto in cui testualmente si legge: «ledono gravemente l'immagine e l'identità personale del medesimo»;
dal tenore e dalla lettera dell'atto in questione risulterebbe chiaramente che la causa è stata radicata dal senatore Leoni uti singulo e, quindi, non quale presidente e legale rappresentante dell'Aero Club d'Italia;
pertanto, l'Aero Club d'Italia nel contenzioso civile in questione non è né attore, né convenuto, né intervenuto e nemmeno evidentemente interessato ad agire in giudizio, non avendo partecipato al procedimento di primo grado;

il tribunale di Roma, con sentenza n. 4310 del 2011, rigettava la domanda risarcitoria proposta dal senatore Giuseppe Leoni nei confronti del signor Oriano Callegati;
successivamente, in data 20 luglio 2011, il senatore Leoni, persa la lite processuale personale, nella sua veste di commissario straordinario dell'ente pubblico Aero Club d'Italia deliberava di addebitare ad Aero Club d'Italia spese e competenze dei propri legali, ovvero dei difensori dei propri personali interessi nel giudizio di cui sopra;
la delibera commissariale citata ha ad oggetto, infatti, la liquidazione ed il pagamento all'avvocato Placco sia delle spese del primo grado di giudizio sia del grado di appello;
pur essendo stato il grado d'appello interposto, evidentemente personalmente e non nella qualità di legale rappresentante dell'ente (non è, infatti, rituale, né ammissibile che un terzo estraneo al giudizio interponga appello), il senatore Leoni sottoscriveva strumentalmente una delibera commissariale, con la quale, al fine di ottenere la liquidazione delle proprie personali spese con le casse dell'Aero Club d'Italia, ha inteso creare l'inveritiera apparenza che l'ente pubblico Aero Club d'Italia fosse parte processuale e, come tale, interessata all'interposizione dell'atto di appello;
la spesa deliberata dal commissario di Aero Club d'Italia, ed addebitata all'Aero Club d'Italia per pagare i legali che hanno difeso il senatore Leoni in proprio, ammonta ad euro 15.276,27;
la citata delibera commissariale, oltre ad attenere a fatti e spese estranee all'ente, appare, altresì, non corrispondente al vero nella parte dispositiva, laddove il senatore Leoni afferma che l'avvocato Placco lo avrebbe difeso nella qualità di presidente di Aero Club d'Italia;
detta delibera risulterebbe, secondo l'interrogante, palesemente illegittima ed inveritiera, atteso che gli importi addebitati ad Aero Club d'Italia non afferiscono ad una posizione processuale in cui l'ente medesimo è coinvolto, ma ad una posizione processuale in cui è, invece, coinvolto il senatore Leoni personalmente, così come si evince chiaramente dagli atti di causa -:
se il Ministro interrogato, considerato che i fatti sopra evidenziati creano un vulnus irreparabile nel rapporto fiduciario e di garanzia di buon andamento cui il ruolo di commissario straordinario dovrebbe essere informato, intenda confermare o revocare al senatore Giuseppe Leoni l'incarico di commissario straordinario dell'ente e se, in ottemperanza ai principi costituzionali che regolano l'accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive pubbliche in condizioni di uguaglianza (articolo 51 della Costituzione) e agli opportuni principi di correttezza istituzionale, trasparenza e uguaglianza condivisi ed applicati anche nella pubblica amministrazione (articolo 60 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000), non ritenga conveniente inserire nell'emanando statuto dell'Aero Club d'Italia, ovvero emettendo altro provvedimento, una disposizione normativa per la quale colui che ha svolto la funzione di commissario straordinario dell'ente stesso risulti, in seguito, ineleggibile a qualsiasi carica e/o funzione elettiva all'interno dell'Aero Club d'Italia.
(3-02122)

Interrogazione a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. - Per sapere - premesso che:
da notizie stampa si apprende che l'Anas ha aggiudicato i lavori per il progetto di ammodernamento della strada statale 275;

si tratta di un bando di gara che, come evidenziato nell'interrogazione 5-02661, è stato pubblicato il 28 dicembre 2009 sulla Gazzetta Ufficiale per l'affidamento da parte di Anas dei lavori di allargamento della statale Maglie-Leuca secondo un progetto che prevedeva un allargamento del tratto stradale da Maglie fino a Montesano Salentino, e poi la realizzazione ex novo di un tratto fino a Leuca con la costruzione di un viadotto a San Dana, di mezzo chilometro con tredici coppie di piloni alti nove metri e una galleria di 70 metri oltre ad una gigantesca rotatoria di 450 metri di diametro;
si tratta di un'opera che per quanto risulta agli interroganti è stata fortemente contestata ed oggetto di contenziosi e di un tortuoso e discutibile iter, che a distanza di alcuni anni ha portato ad una diversa soluzione progettuale rispetto a quanto originariamente previsto per gli ultimi sette chilometri attraverso la sostituzione del viadotto di tredici campate a quattro corsie con una galleria a due corsie (come si evince dal verbale d'incontro tra regione Puglia, provincia di Lecce, Anas e Governo del 3 marzo 2011 con il quale la regione Puglia e la provincia di Lecce rinunciano agli effetti della sentenza n. 2634/2010 del Tar Puglia e al contenzioso che era in essere presso il Consiglio di Stato) e che interessa i territori dei comuni di Alessano, Cagliano del Capo e Castrignano del Capo;
l'Anas risulta aver nel contempo avviato, nel mese di gennaio 2012, le procedure espropriative, con comunicazione a tutte le ditte interessate dell'approvazione del progetto definitivo e contestuale dichiarazione di pubblica utilità;
secondo quanto risulta agli interroganti sono tutt'ora in corso contenziosi, tanto in sede amministrativa da parte dei proprietari dei terreni espropriati che in sede penale a Roma e a Lecce da parte del Comitato «No-275» che denunciano e documentano profili di nullità assoluta del progetto legati all'ammodernamento della strada statale 275 tali da invalidare, tra gli altri atti, anche il verbale d'incontro del 3 marzo 2011;
poiché ad avviso degli interroganti non si tratta di tutta evidenza di una variante in corso d'opera ma di una nuova rimodulazione dell'intero progetto, si segnala che:
a) a quanto consta agli interroganti le importanti modifiche al progetto sotto l'aspetto localizzativo non sono state fatte rientrare nella inderogabile competenza del CIPE;
b) mancherebbe un piano finanziario che determini l'esatto quadro di spesa pubblica (in difetto o in eccesso rispetto a quella già impegnata e posta a base della gara d'appalto indetta da Anas spa);
c) non risulterebbe rispettata in alcun modo l'inderogabile procedura di cui all'articolo 165, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006, espressamente richiamata dall'articolo 169, comma 5, stesso testo, nonostante siano presenti importanti evidenze di natura storico-archeologica rilevate da esperti dell'università del Salento e segnalate al competente ufficio territoriale della Soprintendenza per i beni archeologici per la Puglia, sede di Taranto in data 3 giugno 2011;
d) non vi sarebbe stato alcun coinvolgimento degli enti locali direttamente interessati;
e) sarebbe stata omessa da parte dell'amministrazione pubblica la valutazione ambientale strategica secondo i contenuti previsti e tassativamente disciplinati dalla direttiva CE n. 42/2001 e dal decreto legislativo n. 152 del 2006 -:
quali iniziative si intendano assumere per verificare la regolarità dell'affidamento ed il rispetto della norme a tutela dell'ambiente, del paesaggio e dei beni culturali.
(4-15021)

INTERNO

Interrogazione a risposta immediata:

LIVIA TURCO, BRESSA, MARAN, VILLECCO CALIPARI, AMICI, GIACHETTI, QUARTIANI, BORDO, D'ANTONA, FERRARI, FIANO, FONTANELLI, GIOVANELLI, LO MORO, MINNITI, MURER, POLLASTRINI, SARUBBI, VASSALLO e ZACCARIA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 6 ottobre 2011, adottato di concerto con il Ministro dell'interno, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2011, in ottemperanza alla norma prevista dalla legge n. 94 del 2009 (il cosiddetto pacchetto sicurezza), è stato stabilito il versamento di una tassa per i cittadini stranieri non comunitari per il rilascio od il rinnovo del titolo di soggiorno a decorrere dal 30 gennaio 2012;
l'importo della tassa sui permessi di soggiorno varia dagli 80 ai 200 euro, a seconda dei casi così come riportati:
a) 14,62 euro per la marca da bollo da apporre sull'istanza;
b) 27,50 euro per il rilascio del titolo in formato elettronico;
c) 30 euro per la spedizione tramite Poste italiane;
d) 80 euro per il rilascio/rinnovo di titolo di soggiorno di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari ad un anno;
e) 100 euro per il rilascio/rinnovo di titolo di soggiorno di durata superiore ad un anno e inferiore o pari a due anni;
f) 200 euro per il rilascio del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo e per i titoli di soggiorno rilasciati ai sensi dell'articolo 27, comma 1, lettera a), del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 ovvero per i dirigenti o personale altamente specializzato che ha fatto ingresso in Italia al di fuori delle quote previste dai decreti flussi;
tale norma è discutibile non solo perché incide sugli stranieri che già contribuiscono con il loro lavoro alle finanze dello Stato, ma perché reperisce le risorse necessarie alle espulsioni gravando su chi è regolarmente presente sul territorio;
è sulla regolarizzazione di chi non lo è e sull'emersione del lavoro nero che le fonti di finanziamento alle politiche migratorie e di integrazione vanno trovate -:
quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere affinché tale tassa non incida in maniera così rilevante in un momento di crisi economica e sociale, che colpisce non solo gli italiani, ma anche i lavoratori stranieri presenti nel nostro Paese.
(3-02117)

Interrogazione a risposta scritta:

MINNITI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il dipartimento della pubblica sicurezza, a fronte di gravi disallineamenti della pianta organica dovuti alla accertata carenza di 7.143 unità nel ruolo dei Sovrintendenti della Polizia di Stato, ha indetto con decreto ministeriale 19 settembre 2008, un concorso interno, per titoli di servizio ed esame scritto, a 108 posti per l'accesso al corso di formazione professionale per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente del ruolo dei sovrintendenti della polizia di Stato, numero di posti successivamente elevato a 291 con decreto ministeriale 3 luglio 2009 (posti relativi alle vacanze di organico del 2001);
il bando in questione ha prodotto una graduatoria di 1.300 idonei (cfr. decreto di rettifica della graduatoria di merito 333-B/12.O.4(08)/4483 del 7 maggio 2010). Il Dipartimento della pubblica sicurezza ha ritenuto di far transitare nel ruolo solo 291 idonei;

successivamente il dipartimento della pubblica sicurezza, con decreto ministeriale 23 luglio 2009, ha bandito un concorso interno di identica fattura per 116 posti, poi elevati a 350 (ampliamento determinato dal decreto del Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza del 28 febbraio 2011, ai sensi dell'articolo 2, comma 5, del decreto legislativo 28 febbraio 2001, n. 53, concernente disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197, in materia di riordino delle carriere del personale non direttivo della Polizia di Stato);
quest'ultimo bando ha anch'esso prodotto un'ulteriore graduatoria (cfr. decreto n. 333-B/12.O.4(09)/7312 del 2 novembre 2011) con ulteriori 1.300 idonei, ma il Dipartimento ha ritenuto di far transitare nel molo solo 350 unità;
allo stato attuale delle cose, vi sono quindi all'incirca 2.000 idonei alla qualifica di vice sovrintendente del ruolo dei sovrintendenti della polizia di Stato che, avendo già superato un esame, potrebbero da subito essere inviati al previsto corso di formazione professionale, facendo venire meno la necessità di ulteriori procedure concorsuali, ma il dipartimento di pubblica sicurezza, come si evincerebbe dalla circolare n. 557/RS/01/67/3118 del 24 gennaio 2012, sembra orientato a bandire un nuovo concorso interno;
una scelta di questa natura, nell'attuale quadro deficitario di finanza pubblica, non è ad avviso dell'interrogante, proprio conforme al rispetto dei principi di economicità gestionale e di buon andamento della pubblica amministrazione, dal momento che, a titolo esemplificativo, l'attivazione della procedura concorsuale relativa a 136 sovrintendenti effettivi (cfr. la circolare n. 557/RS/01/67/3118 del 24 gennaio 2012; la cifra di 136 unità corrisponde alle vacanze di organico residue del 2003, secondo i particolari meccanismi di avanzamento previsti dal decreto legislativo n. 53 del 2001) comporterebbe, secondo calcoli approssimati per difetto, una spesa di almeno 5,5 milioni di euro;
qualora si procedesse, di contro, all'immissione in ruolo dei circa 1.500 sovrintendenti effettivi risultati idonei ai due concorsi degli anni scorsi (la cifra di 1.500 unità è stimata e si ottiene calcolando sia le rinunce sia gli idonei ad entrambi i concorsi), l'onere di spesa per l'amministrazione sarebbe di 2,5 milioni di euro, un costo significativamente inferiore della metà rispetto ai 5,5 milioni di euro necessari per l'attivazione di una singola procedura concorsuale, senza considerare che una tale «infornata» di personale consentirebbe di coprire, pressoché per intero, le vacanze di organico relative agli anni 2003, 2004, 2005 e 2006;
sul piano del diritto, inoltre, essendo giuridicamente lo scorrimento della graduatoria un atto organizzativo interno di carattere ampiamente discrezionale (la cui esecuzione può essere correlata a gravi problematiche esistenti in seno alla pubblica amministrazione, alle disponibilità di bilancio, a scelte programmatiche compiute dagli organi di indirizzo e che deve tenere conto di tutti gli altri elementi di fatto e di diritto rilevanti nella concreta situazione), risulta pienamente legittimo da punto di vista giuridico-amministrativo adottare detto istituto anche in presenza dei particolari meccanismi di avanzamento previsti dalle disposizioni vigenti (decreto legislativo n. 53 del 2001) qualora esso comportasse ingenti risparmi della spesa pubblica a fronte di rilevanti benefici per la pubblica amministrazione;
in questo senso, l'ordinamento giuridico amministrativo impone ad ogni singola amministrazione di far prevalere comunque nelle scelte l'interesse pubblico sugli interessi seppur legittimi di singoli soggetti o di singole categorie di soggetti. La discrezionalità della pubblica amministrazione in questo senso è insindacabile e, quando opportunamente e oggettivamente motivata, diventa inoppugnabile perché tesa a perseguire scopi superiori e prevalenti rispetto a tutti gli altri nonostante siano questi ultimi tutelati e garantiti;
in questo senso, procedendo allo scorrimento delle graduatorie degli idonei

attraverso un provvedimento ministeriale ad hoc di carattere straordinario, in ottemperanza ai principi di buon andamento, efficienza ed economicità della pubblica amministrazione, diverrebbero possibili:
il soddisfacimento delle improrogabili esigenze di copertura delle pregresse vacanze di organico, senza attendere gli esiti di ulteriori procedure concorsuali previste;
l'adozione di un criterio di salvaguardia di interessi prioritari (interesse pubblico su tutti), che impone delle scelte organizzative in grado di ristabilire in tempi brevi una aliquota di sovrintendenti sufficiente a garantire il buon funzionamento degli uffici periferici a salvaguardia dell'interesse pubblico;
il perseguimento del criterio di economicità, che impone di ridurre drasticamente i costi dell'amministrazione e la necessità di adottare una politica di rigoroso contenimento della spesa pubblica in linea con le attuali esigenze di bilancio;
un maggior equilibrio degli assetti organizzativi e un parziale riallineamento della pianta organica in rapporto alle altre forze di polizia ai fini di una corretta e più vantaggiosa ripartizione perequativa delle risorse in vista di futuri stanziamenti al fondo istituito con il decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27 (cosiddetto decreto sicurezza);
il corretto funzionamento degli uffici periferici e il contestuale potenziamento del servizio pubblico al cittadino, con inserimento nel ruolo dei sovrintendenti di personale giovane, preparato, competente e soprattutto motivato, che risulterà composto da operatori di polizia che hanno maturato un'anzianità media che si attesta tra i 15 e i 20 anni di servizio, quindi ancora debitamente motivati, visto il largo margine che li separa dall'età pensionabile;
il mantenimento inalterato, e per un congruo numero di anni, delle aliquote di sovrintendenti, che renderà più gestibile, oltre che stabile e duraturo, il ricollocamento delle risorse umane -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della complessa problematica testé esposta;
se il Ministro considerate le attuali e stringenti difficoltà della finanza pubblica ed i costi necessari per sostenere una nuova procedura concorsuale, non intenda adottare iniziative normative, per procedere allo scorrimento delle graduatorie degli idonei ai concorsi di cui sopra, in deroga al principio dell'annualità dei concorsi previsto dagli articoli 2 e 12 del decreto legislativo n. 53 del 2001 (immissione in ruolo dei sovrintendenti).
(4-15012)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:

GHIZZONI, COSCIA e ROSSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 11, comma 14 della legge 3 maggio 1999, n. 124 prevede che «Il servizio di insegnamento con contratto a tempo determinato [...] è valutato come anno scolastico intero, se ha avuto la durata di 180 giorni, oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale»;
il mancato rispetto della previsione normativa sopracitata, e più specificamente la mancata assunzione in servizio con decorrenza dal 1° febbraio, comporta - ai sensi del decreto ministeriale 13 giugno 2007, n. 53 - la «perdita della possibilità di conseguire supplenze per il medesimo insegnamento in tutte le scuole in cui si è inclusi nelle relative graduatorie»,

sanzione, questa, applicabile nei casi di volontaria rinuncia del diretto interessato a prendere servizio dopo l'accettazione dell'incarico;
com'è noto, il 1° febbraio 2012 molti istituti scolastici di ogni ordine e grado in numerosi comuni italiani sono stati chiusi in forza di ordinanze dei sindaci per precipitazioni nevose, con la conseguenza che molti supplenti temporanei non hanno potuto prendere servizio per una evidente causa di forza maggiore;
in più, nonostante le avverse condizioni metereologiche, agli interroganti risulta che alcuni supplenti si siano comunque presentati presso quegli istituti che risultavano occasionalmente aperti per contingenti esigenze di servizio, al fine di notificare ai dirigenti scolastici la propria disponibilità all'assunzione dell'incarico;
in molti di questi casi, tuttavia, risulta che numerosi dirigenti scolastici degli istituti chiusi, si siano rifiutati di riconoscere gli effetti giuridici ed economici dell'assunzione in servizio, con decorrenza dal 1° febbraio, ai supplenti temporanei che non hanno evidentemente potuto prestare servizio esclusivamente per una oggettiva causa di forza maggiore, così determinando la conseguente lesione delle posizioni giuridiche dei soggetti interessati, per la tutela delle quali si stanno aprendo numerosi contenziosi;
il Ministro interrogato ha dichiarato di aver avviato una ricognizione generale finalizzata a valutare l'emanazione di un'ordinanza ministeriale «salva-anno» per le scuole che a causa della chiusura non raggiungeranno il tetto dei 200 giorni stabiliti per legge -:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere anche iniziative volte a porre rimedio alla conseguenza che la materiale impossibilità per il personale supplente di assumere servizio con decorrenza dal 1° febbraio può determinare in termini sia di grave lesione delle relative posizioni giuridiche soggettive, previdenziali ed assistenziali, sia di incidenza sul diritto all'intera retribuzione mensile.
(5-06218)

Interrogazione a risposta scritta:

MURGIA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
gli istituti scolastici primari e di secondo grado sono oggi distribuiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale;
l'attuale geografia delle autonomie scolastiche consente agli alunni di poter assolvere senza troppe difficoltà il proprio obbligo scolastico;
in passato l'autonomia speciale di alcune regioni o la particolare conformazione orografica di alcune zone del Paese avevano già consentito deroghe ai parametri imposti dal dicastero;
il Ministero intende portare avanti un programma di graduale razionalizzazione delle autonomie scolastiche;
il procedimento coinvolgerà centinaia di istituti in tutte le regioni e, secondo alcune stime, oltre cinquanta autonomie nella sola Sardegna;
la Sardegna presenta dati relativi al tasso di abbandono scolastico di sicuro rilievo;
lo statuto speciale consente all'amministrazione regionale di collaborare con il Ministero dell'istruzione, dell'università e delle ricerca a proposito dell'organizzazione e dello svolgimento del servizio scolastico -:
se il Governo non ritenga opportuno rimodulare, anche mediante le necessarie iniziative normative, i nuovi parametri di dimensionamento degli istituti scolastici, in modo che tali parametri tengano conto di particolari situazioni legate alla rete dei trasporti ed alla distribuzione della popolazione sul territorio;

quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per venire incontro alle esigenze della regione e degli enti locali che si ritroveranno privi dell'istituzione scolastica nel prossimi anni.
(4-15014)

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

DAMIANO, DELFINO, BELLANOVA, BERRETTA, BOCCUZZI, GATTI, GNECCHI, MATTESINI, RAMPI e SCHIRRU. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
Alpitour, azienda leader nel settore del turismo e dei viaggi in Italia, dopo sessantaquattro anni di attività a Cuneo, ha comunicato il 13 settembre 2011 la chiusura definitiva di questa sede storica con trasferimento a Torino, dal luglio 2012;
questa azienda di servizi costituisce per il territorio e l'economia cuneese una delle realtà più importanti in termini di occupazione, innovazione e prestigio a livello internazionale, occupando più di trecento addetti nei vari settori;
la maggioranza dei contratti a tempo indeterminato riguarda donne e madri, che già adesso devono sostenere il peso di una gestione familiare che ancora in Italia troppo spesso grava su di loro in misura eccessiva;
il trasferimento richiederà comunque per tutti i lavoratori tempi lunghi di tragitto, dalle tre quattro alle quattro ore di viaggio, creando difficoltà di organizzazione familiare a fronte, inoltre, di previsti tagli della regione nel settore dei trasporti, che acuiranno il disagio dell'eventuale spostamento nella nuova sede lavorativa;
nel comunicato stampa trasmesso in data 12 gennaio 2012 dal Gruppo Alpitour, i dati preliminari per l'esercizio 2010-2011, esaminati in consiglio di amministrazione, confermano i risultati positivi del bilancio e smentiscono la tesi del management uscente, secondo la quale l'efficienza sarebbe data dalla concentrazione di tutti i lavoratori nella sede di Torino -:
quali iniziative intenda assumere per garantire il livello occupazionale attuale nell'area, possibilmente incrementandolo e premiando un territorio che ha molte risorse da offrire, grazie anche ai lavoratori che hanno contribuito ad accrescere il prestigio dell'azienda Alpitour a livello internazionale, mantenendo un risultato positivo di bilancio, nonostante il fatto che l'anno trascorso sia stato segnato da una grave crisi non solo nel settore turistico.
(5-06221)

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'agenzia ANSA il 20 febbraio 2012 ha informato della morte di un operaio di nazionalità croata, schiacciato sotto il peso di un blocco di metallo staccatosi all'improvviso;
l'operaio era dipendente della ditta siderurgica Ormis, di Castegnato, in provincia di Brescia -:
di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
se le normative vigenti sulla sicurezza del lavoro risultino essere state osservate;
quali iniziative di competenza si intendano promuovere o adottare in ordine a quanto sopra esposto, tenuto conto che dall'inizio dell'anno sono almeno 72 le vittime nel mondo del lavoro, 1.234.645 gli infortuni e 291 gli invalidi.
(4-15004)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
un operaio il 20 febbraio 2012 ha perso la vita mentre lavorava su una gru a Grosseto;
la vittima, il signor Flavio Montagnani, stava sostituendo un vetro alla cabina della gru con cui movimentava materiale edile, quando il braccio meccanico lo ha colpito al torace, uccidendolo all'istante -:
di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
se, nel caso in questione, siano state rispettate le norme e le procedure di sicurezza.
(4-15006)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per sapere - premesso che:
la società «Autostrade per l'Italia» ha comunicato che nella notte del 21 febbraio 2012 si verificato un incidente mortale sul lavoro, di cui è stato vittima un operatore di una delle imprese appaltatrici dei servizi invernali;
un operaio, il signor Silvano Della Casa, durante le abituali fasi di caricamento di un automezzo spargisale presso il posto di manutenzione di Ronco Scrivia, in provincia di Genova, è caduto dalla scaletta su cui era salito, per cause ancora non chiarite ed è deceduto -:
di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
se, nel caso in questione, si siano rispettate le norme e le procedure di sicurezza.
(4-15007)

VACCARO e MOSCA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
è recentemente apparso sul blog «Errori di Stampa» la foto di un contratto di collaborazione stipulato dalla RAI dove si legge, al punto 10, una clausola che recita: «Nel caso di Sua malattia, infortunio, gravidanza, causa di forza maggiore od altre cause di impedimento insorte durante l'esecuzione del contratto. Ella dovrà darcene tempestiva comunicazione. Resta inteso che, qualora per tali fatti Ella non adempia alle prestazioni convenute, fermo restando il diritto della Rai di utilizzare le prestazioni già acquisite. Le saranno dedotti i compensi relativi alle prestazioni non effettuate. Comunque, ove i fatti richiamati impedissero, a nostro avviso, il regolare e continuativo adempimento delle obbligazioni convenute nella presente, quest'ultima potrà da noi essere risoluta di diritto, senza alcun compenso o indennizzo a Suo favore»;
una simile clausola penalizza le donne in maniera palese e intollerabile, violando apertamente le disposizioni contenute nell'articolo 3 della Costituzione;
la RAI è una società pubblica avente ad oggetto il servizio pubblico generale radiotelevisivo ai sensi degli articoli 2, comma 1, lettera h), 17 e 20 della legge 3 maggio 2004, n. 112 e successive modificazioni -:
se il Governo ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia immediatamente eliminata la clausola stessa da tutte le tipologie contrattuali sottoscritte dalla suddetta società radiotelevisiva;
quali iniziative intenda assumere per promuovere la parità di genere all'interno di tutti i luoghi di lavoro in generale e di quelli pubblici in particolare.
(4-15023)

TESTO AGGIORNATO AL 28 FEBBRAIO 2012

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:

RUVOLO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
con l'approvazione dell'accordo tra l'Unione europea e il Marocco sulla liberalizzazione dei prodotti agricoli e ittici si rischia di dare un colpo mortale a settori produttivi del nostro Paese, che già la crisi economica e l'ondata del maltempo, per quanto riguarda l'agricoltura, avevano messo in ginocchio;
è indubbio che il Marocco, con questo accordo, sia stato privilegiato rispetto agli altri Paesi del Mediterraneo ed è non solo comprensibile, ma condivisibile la preoccupazione degli agricoltori e dei pescatori italiani, che temono che ora il commercio dei loro prodotti subisca una battuta d'arresto di fronte alla concorrenza sleale che questo accordo ha di fatto siglato;
appare del tutto evidente che con questa approvazione si è voluto favorire i Paesi del Nord Europa che tendono ad aumentare il loro giro di affari con i Paesi del Nord Africa, colpendo allo stesso tempo i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo, nel nostro caso soprattutto il Mezzogiorno, che risulteranno gravemente danneggiati da una concorrenza sleale;
non è accettabile che l'Europa non preveda, stante la situazione che è stata volutamente creata, interventi compensativi atti ad equilibrare i costi superiori che le nostre aziende sopportano;
allo stesso tempo, visto che l'accordo non prevede norme e clausole sui fitofarmaci e sugli standard di salvaguardia ambientale, è chiaro che dal Marocco arriveranno prodotti a costi più bassi senza le stesse garanzie, per i consumatori, date dai nostri produttori agricoli e pescatori;
ancora una volta si sono colpite le regioni più deboli da un punto di vista economico e ciò non può che allargare il divario economico già esistente tra il Nord e il Sud del Paese, con tutte le conseguenze, sul piano occupazionale e sociale, facilmente immaginabili;
appare evidente che, a questo punto, il Governo italiano non potrà fare a meno di vigilare attentamente sul rispetto integrale dell'accordo in tema di quote e di controlli e che dovrà affrontare seriamente la situazione di grave crisi economica a cui andranno incontro interi settori produttivi, già duramente colpiti dalle recenti misure «salva Italia»;
per il settore agricolo, in particolare, appare necessario, per bilanciare almeno in parte i danni economici futuri, ripensare o rivedere al ribasso la recente introduzione dell'imu, che si è già calcolato che porterà, insieme alle altre misure introdotte dal decreto-legge in oggetto, a perdite tra il 10 e il 20 per cento per gli attuali redditi delle aziende agricole;
tutto ciò non fa che approfondire il divario tra le scelte politiche tese al rientro del debito e quelle che dovrebbero rilanciare l'economia e la produzione nel nostro Paese, che non solo sono decisamente in ritardo nell'agenda politica del Governo, ma che vengono «stroncate» alla base dalle scelte politiche dell'Europa, che colpisce i Paesi più in difficoltà a tutto vantaggio delle economie più forti -:
come il Governo intenda, concretamente, scendere in campo a difesa degli interessi dei nostri agricoltori e pescatori e se non ritenga necessario ed urgente prevedere, pena il mancato recepimento dell'accordo, che siano introdotte procedure produttive in Marocco, per i prodotti esportati in Europa, quantomeno simili a quelle a cui sono sottoposte le aziende italiane, attivandosi, al contempo, affinché

siano previste misure di sostegno e rilancio dei nostri prodotti in sede europea.
(3-02118)

NUOVA FORMULAZIONE

RUVOLO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
con l'approvazione dell'accordo tra l'Unione europea e il Marocco sulla liberalizzazione dei prodotti agricoli e ittici si rischia di dare un colpo mortale a settori produttivi del nostro Paese, che già la crisi economica e l'ondata del maltempo, per quanto riguarda l'agricoltura, avevano messo in ginocchio;
è indubbio che il Marocco, con questo accordo, sia stato privilegiato rispetto agli altri Paesi del Mediterraneo ed è non solo comprensibile, ma condivisibile la preoccupazione degli agricoltori e dei pescatori italiani, che temono che ora il commercio dei loro prodotti subisca una battuta d'arresto di fronte alla concorrenza sleale che questo accordo ha di fatto siglato;
appare del tutto evidente che con questa approvazione si è voluto favorire i Paesi del Nord Europa che tendono ad aumentare il loro giro di affari con i Paesi del Nord Africa, colpendo allo stesso tempo i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo, nel nostro caso soprattutto il Mezzogiorno, che risulteranno gravemente danneggiati da una concorrenza sleale;
non è accettabile che l'Europa non preveda, stante la situazione che è stata volutamente creata, interventi compensativi atti ad equilibrare i costi superiori che le nostre aziende sopportano;
allo stesso tempo, visto che l'accordo non prevede norme e clausole sui fitofarmaci e sugli standard di salvaguardia ambientale, è chiaro che dal Marocco arriveranno prodotti a costi più bassi senza le stesse garanzie, per i consumatori, date dai nostri produttori agricoli e pescatori;
ancora una volta si sono colpite le regioni più deboli da un punto di vista economico e ciò non può che allargare il divario economico già esistente tra il Nord e il Sud del Paese, con tutte le conseguenze, sul piano occupazionale e sociale, facilmente immaginabili;
appare evidente che, a questo punto, il Governo italiano non potrà fare a meno di vigilare attentamente sul rispetto integrale dell'accordo in tema di quote e di controlli e che dovrà affrontare seriamente la situazione di grave crisi economica a cui andranno incontro interi settori produttivi, già duramente colpiti dalle recenti misure «salva Italia»;
per il settore agricolo, in particolare, appare necessario, per bilanciare almeno in parte i danni economici futuri, ripensare o rivedere al ribasso la recente introduzione dell'imu, che si è già calcolato che porterà, insieme alle altre misure introdotte dal decreto-legge in oggetto, a perdite tra il 10 e il 20 per cento per gli attuali redditi delle aziende agricole;
per i nostri pescatori, già colpiti dal «caro carburante», che ha colpito pesantemente tutto il comparto agroalimentare, e dall'introduzione dell'iva sul gasolio, questo nuovo accordo determinerà la chiusura definitiva di molte piccole e medie imprese che stanno cercando disperatamente di resistere all'attuale crisi economica;
tutto ciò non fa che approfondire il divario tra le scelte politiche tese al rientro del debito e quelle che dovrebbero rilanciare l'economia e la produzione nel nostro Paese, che non solo sono decisamente in ritardo nell'agenda politica del Governo, ma che vengono «stroncate», alla base dalle scelte politiche dell'Europa, che colpisce i Paesi più in difficoltà a tutto vantaggio delle economie più forti -:
come il Governo intenda, concretamente, scendere in campo a difesa degli interessi dei nostri agricoltori e pescatori e se non ritenga necessario ed urgente prevedere, pena il mancato recepimento dell'accordo, che siano introdotte procedure produttive in Marocco, per i prodotti esportati in Europa, quantomeno simili a quelle a cui sono sottoposte le aziende italiane, attivandosi, al contempo, affinché siano previste misure di sostegno e rilancio dei nostri prodotti in sede europea.
(3-02118) (Nuova formulazione).

COMMERCIO, LO MONTE, LOMBARDO e OLIVERI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il 16 febbraio 2012 il Parlamento europeo, in sessione plenaria e con una votazione sofferta (369 voti favorevoli, 225 voti contrari e 31 astensioni), ha dato il via libera all'accordo sul libero scambio di alcuni prodotti ortofrutticoli ed ittici fra l'Unione europea ed il Regno del Marocco, destinato ad avere gravi ripercussioni sul sistema agricolo siciliano;
il voto sull'accordo, che secondo i favorevoli ha l'obiettivo di sostenere la transizione democratica che è iniziata in seguito alla «primavera araba», svolgendo un ruolo chiave per lo sviluppo economico e la stabilizzazione politica del Marocco, è stato seguito da una risoluzione con la quale i deputati europei chiedono alla Commissione europea di monitorare con molta attenzione il rispetto delle quote, di rafforzare i controlli alle frontiere per evitare frodi e violazioni dei prezzi all'importazione e di valutare l'impatto dell'accordo sugli agricoltori europei;
il Marocco è un Paese amico che negli ultimi anni si è sempre più avvicinato all'Europa ed è legittimo che ricerchi aperture nell'esportazione dei propri prodotti verso i Paese europei. Tutto questo, però, non deve consentire concessioni squilibrate che arrecano pregiudizio alle produzioni del Sud Europa e del Sud Italia, segnatamente al comparto ortofrutticolo, il più colpito da detto accordo bilaterale;
nello specifico il suddetto accordo commerciale stabilisce l'aumento delle quote di scambio per una serie di prodotti che potranno essere importati a tariffe doganali basse o pari a zero. Verrà, infatti, eliminato immediatamente il 55 per cento delle tariffe doganali sui prodotti agricoli e di pesca provenienti dal Marocco (dal 33 per cento attuale) e il 70 per cento delle tariffe sui prodotti agricoli e di pesca dell'Unione europea in 10 anni (rispetto all'1 per cento attuale);
a salvaguardia dei produttori europei, non saranno liberalizzate produzioni di pomodori, zucchine, cetrioli, aglio, clementine e fragole e sono previste delle quote di scambio che tengono conto della produzione stagionale europea per i suddetti prodotti, in modo da evitare distorsioni sul mercato comunitario. Inoltre, il Marocco avrà l'obbligo di rispettare, nell'esportazione dei propri prodotti, gli standard sanitari europei;
il Governo marocchino si farà trovare preparato all'appuntamento avendo già lanciato, con l'aiuto della stessa Unione europea, un «piano verde» per l'agricoltura che prevede una serie di misure, tra le quali la spesa di un miliardo di euro l'anno per almeno 10 anni, che ha già consentito al Paese, per il solo settore agrumicolo, di realizzare 1.200 ettari di nuovi impianti per la produzione di agrumi, e che contribuiranno per il 2012 ad aumentare del 6 per cento l'offerta rispetto alla stagione precedente, per un totale di 1,86 milioni di tonnellate. Tale trend dell'offerta di agrumi marocchini si tradurrà in un incremento dell'8 per cento delle esportazioni, andando così a migliorare il risultato della produzione di arance marocchine, a tutt'oggi stimata in 975.000 tonnellate, pari al 52,3 per cento del totale della produzione agrumicola;
quest'accordo, che giunge in un contesto già particolarmente difficile dal punto di vista economico e sociale per il settore agricolo siciliano, così concepito avrà un impatto catastrofico sugli agricoltori, in particolare nel sensibile settore dell'ortofrutta, con ripercussioni drammatiche sull'occupazione nelle zone rurali e nelle aree interne della regione, spingendo oltre l'orlo del baratro praticamente il 90 per cento delle imprese agricole siciliane;
infatti, il rischio per i produttori siciliani sarà quello di ritrovarsi a dover

competere con arance che dal Marocco approdano a Palermo a 30-35 centesimi al chilo. Un prezzo che, grazie agli attuali dazi doganali, equivale più o meno a quello applicato sulle arance siciliane. Di contro, in futuro, in virtù del suddetto accordo, potrebbero arrivare a 17-18 centesimi al chilo: una corsa al ribasso insostenibile per i produttori dell'isola. Un discorso simile varrà per i limoni, il cui prezzo al chilo potrebbe scendere a 15 centesimi al chilo contro i 30 attuali, e le zucchine, la cui quotazione precipiterebbe anche a 40 centesimi contro i 90 centesimi attuali;
l'accordo prevede l'apertura delle frontiere del Paese ad un'economia, quella marocchina, che non è chiamata a rispettare le stesse regole in materia di scambi commerciali e di tutela della salute del consumatore, che, invece, devono rispettare gli operatori dei settori agricolo e ittico in Europa. Non sarebbe, pertanto, opportuno, a parere degli interroganti, permettere che i mercati italiani, giustamente sottoposti a rigide regole di controllo e di sicurezza alimentare per il rispetto e la tutela della salute dei consumatori, competano con altri che queste regole non sono chiamati a rispettare;
con l'approvazione dell'accordo, i nostri mercati saranno invasi da prodotti realizzati con standard produttivi, ambientali e fitosanitari molto distanti da quelli italiani. Il costo del lavoro in Marocco, infatti, è molto più contenuto di quello medio europeo e, in particolare, di quello italiano e nel Paese l'applicazione dei diritti fondamentali ha ancora molte lacune e non ci sono garanzie che la sicurezza alimentare sia basata su principi e procedimenti del tutto analoghi a quelli italiani;
l'obiettivo di favorire l'export dei Paesi mediterranei, rimuovendo gli ostacoli tariffari a carico delle merci, dovrebbe piuttosto essere perseguito reintroducendo con determinazione chiari principi di reciprocità delle condizioni produttive, adottando idonee misure compensative a vantaggio degli agricoltori europei che ne subiscono le conseguenze;
le regioni euromediterranee devono insistere perché l'Unione europea dia la priorità ai negoziati commerciali multilaterali piuttosto che ai negoziati bilaterali, quali quello con il Marocco -:
come il Governo intenda correggere gli effetti distorsivi e fortemente penalizzanti per il settore agricolo italiano, in particolar modo per il settore agrumicolo siciliano, e tutelare le produzioni tipiche di quest'ultimo e se non ritenga di dover introdurre misure compensative in favore degli agricoltori delle regioni meridionali pesantemente danneggiati dagli effetti dell'accordo in premessa.
(3-02119)

Interrogazione a risposta scritta:

BERTOLINI. - Al Ministro politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi, nel primo rapporto sui crimini agroalimentari in Italia, è stata presentata l'entità delle contraffazioni dei prodotti agroalimentari made in Italy;
in particolare risulta che alcuni prodotti importantissimi per l'economia non solo della provincia di Modena, ma dell'intera Emilia Romagna, quali il parmigiano reggiano, l'aceto balsamico di Modena e il prosciutto di Modena e di Parma, pare siano tra i più contraffatti;
la diffusione e l'entità del fenomeno del falso made in Italy ed il volume di affari connesso a pratiche commerciali improprie ed illegali, nei settore agroalimentare, sono ormai divenuti di tale rilievo da determinare lo sviluppo di vere e proprie «agromafie», la cui crescita ed espansione appaiono supportate dall'inadeguatezza del sistema dei controlli e della comunicazione dei dati e delle informazioni, con riferimento sia alla fase dell'importazione dei prodotti agroalimentari, sia riferimento alle successive operazioni di trasformazione, distribuzione e vendita;

nel rapporto citato si stima che il volume d'affari complessivo delle «agromafie» sia quantificabile in 12,5 miliardi di euro (5,6 per cento del totale), di cui: 3,7 miliardi di euro da reinvestimenti in attività lecite (30 per cento del totale) e 8,8 miliardi di euro da attività illecite (70 per cento del totale);
con 60 miliardi di euro fatturati dal falso made in Italy, solo nell'agroalimentare, e ben 164 milioni di euro, che ogni giorno vengono sottratti all'agroalimentare nazionale, dalla lotta alla contraffazione alimentare e dal contrasto alle «agromafie» potrebbero essere recuperati fino a 300 mila nuovi posti di lavoro;
sempre secondo tale rapporto, per giungere ad un pareggio della bilancia commerciale del settore agroalimentare italiano, a importazioni invariate, sarebbe sufficiente recuperare quote di mercato estero per un controvalore economico pari al 6,5 per cento dell'attuale volume d'affari del cosiddetto Italian sounding, ovvero quei prodotti alimentari fatti all'estero che, pur senza essere una vera e propria contraffazione, evocano in qualche modo una origine italiana, suggestionando i consumatori stranieri e procurando in ogni caso un danno economico significativo ai produttori italiani;
il contrasto alla contraffazione alimentare è considerato prioritario dalle associazioni di categoria e dalla maggioranza dei cittadini italiani -:
se sia a conoscenza del rapporto sulle «agromafie» e quale sia l'incidenza che tale fenomeno ha per i prodotti agroalimentari italiani ed in particolare per quelli della regione Emilia-Romagna;
se e di quali ulteriori dati disponga in merito a tale fenomeno;
se e quali iniziative intenda adottare per contrastare in modo più deciso la contraffazione alimentare, che arreca un danno economico di rilievo ad uno dei settori più importanti della nostra economia;
se non ritenga necessario predisporre controlli, insieme agli altri partner europei, volti ad evitare il cosiddetto Italian sounding, che colpisce consumatori ed agricoltori, a maggior ragione in questo momento di grave difficoltà economica.
(4-15013)

...

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
una donna di 27 anni, la signora Francesca Emanuela Motta, è deceduta il 19 febbraio 2012 al pronto soccorso dell'ospedale Santissimo Salvatore di Paternò dove i medici erano in attesa che si liberasse un posto in una struttura della città per ricoverarla;
la signora Motta, secondo notizie di stampa, sarebbe stata colpita da un'embolia ed era stata trasportata in ospedale nel pomeriggio del 19 febbraio 2012, e vi è rimasta per tre ore, fino a quando alle 21, è giunta la comunicazione che sarebbe stato possibile il ricovero al nuovo ospedale Garibaldi di Catania, ma la paziente è però deceduta prima di poter essere trasferita -:
di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere o adottare per fare piena luce sulla vicenda.
(5-06214)

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da quanto riferito da agenzie e siti internet, i senatori Ignazio Marino e Domenico

Gramazio, nel corso di una loro visita ispettiva in alcuni pronto Soccorso di Roma hanno accertato che una donna di 59 anni, in coma dopo un trauma cranico, ricoverata presso il Policlinico Umberto I, risultava legata su una barella con delle lenzuola;
la donna era in attesa di ricovero da quattro giorni;
la paziente - secondo quanto accertato - aveva solo la flebo con l'acqua fisiologica e i sanitari hanno spiegato che erano in attesa, da un minuto all'altro, di poterla trasferire in un altro reparto per darle assistenza;
come già detto, la signora è rimasta in barella per quattro giorni nella cosiddetta «piazzetta», area del pronto soccorso dove vengono lasciati i pazienti in mancanza di posti letto per i ricoveri -:
di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative urgenti intenda promuovere o adottare, per quanto di competenza, in relazione a quanto sopra esposto.
(4-15011)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto denunciato dal medici del Cedig di Trieste, centro per il supporto al disturbo delle identità di genere, la regione Friuli Venezia Giulia avrebbe negato la disponibilità all'utilizzo di una sala operatoria per il cambio di sesso;
il professor Carlo Trombetta, specialista in urologia e coordinatore del Cedig (Centro per il supporto al disturbo delle identità di genere) ha recentemente dichiarato che: «In questi anni abbiamo creato con il Cedig un'équipe di endocrinologi, psichiatri, ginecologi e chirurghi plastici. Sono stati organizzati del corsi di formazione per gli infermieri. Ma non abbiamo più la disponibilità delle sale operatorie»; se un tempo le sale a disposizione erano due, ora il Cedig ne può utilizzare una sola al mese con 47 Interventi in lista d'attesa: «Da quando ci sono gli attuali responsabili non possiamo più fare questi interventi. I quattro che vengono effettuati in un anno li inserisco all'interno del mio master e lo stesso viene fatto dal collega Zoran Arnez che ne riesce a fare altri quattro. Ma non si può far aspettare quattro anni per un intervento quando ogni giovedì riceviamo in ambulatorio persone che scelgono di cambiare sesso e che vengono da tutta Italia, inoltre è stata anche abolita l'Unità semplice identità di genere»;
nel solo capoluogo del Friuli Venezia Giulia gli interventi per il cambio di genere praticati negli ultimi 18 anni sono stati 450; Trieste fin dal primi anni Novanta è stato un centro di riferimento per le persone transessuali. Dal 1994 sono stati praticati 350 interventi di cambio sesso da uomo a donna e 100 viceversa da donna a uomo; gli interventi chirurgici per il cambio di sesso sono poco frequenti e considerati meno urgenti degli altri. Per queste ragioni le sale operatorie per simili interventi spesso vengono negate;
a giudizio degli interroganti fatti come quelli esposti aumentano le difficoltà e il disagio che invece occorrerebbe combattere promuovendo maggiore aiuto e sostegno alle persone transessuali e transgender -:
di quali elementi disponga sui fatti di cui in premessa e quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati riguardo alla messa in campo di azioni che tengano conto della necessaria tempestività che occorre per questa fattispecie di interventi chirurgici e per combattere le lunghe liste di attesa che si protraggono per anni in centri di eccellenza come il Cedig di Trieste;

quanti interventi di cambiamento di sesso siano stati eseguiti in Italia, anno per anno, negli ultimi 5 anni e in quali regioni.
(4-15016)

PALAGIANO e MESSINA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
con decreto della regione Sicilia, n. 22073 del 9 maggio 1997, viene istituita la banca del sangue cordonale di Sciacca;
un successivo decreto regionale, il n. 30449 del 28 ottobre 1999, identifica il servizio di medicina trasfusionale degli ospedali civili riuniti di Sciacca quale centro di riferimento regionale per la Banca suddetta;
nel 2008 - dopo un'interruzione dell'attività, durata circa due anni - la banca viene sottoposta ad un'ispezione del centro nazionale sangue (CNS) che richiede nove azioni correttive per poter inserire le unità di sangue cordonale nel registro internazionale e quindi renderle disponibili per il trapianto;
nel 2009 la regione Sicilia finanzia due progetti (1.500.000 euro) finalizzati alla realizzazione delle azioni correttive suddette e alla ripresa dell'attività di raccolta, affidando temporaneamente la realizzazione di tali progetti al dottor P. Gallerano, in quanto dirigente facente funzione di primario dell'unità complessa (UOC) di medicina trasfusionale dalla quale dipendeva la banca del sangue cordonale;
dal febbraio 2009 al giugno 2011, l'attività del personale di ruolo e del personale volontario è pressoché completamente incentrata sull'attività di raccolta - dalla ripresa delle attività al 31 dicembre 2010, la banca ha raccolto 3.333 unità cordonali da donatrici volontarie e 282 unità cordonali dedicate - e non sono state messe in campo azioni correttive;
nel luglio 2011, il dottor Buscemi è nominato direttore della UOC di medicina trasfusionale e, di conseguenza, della banca del sangue cordonale a seguito di un concorso pubblico;
nell'agosto/settembre 2011 vengono assunti con contratto annuale otto dirigenti biologi, gli stessi che svolgevano l'attività di volontariato nel periodo precedente;
in meno di sette mesi di attività, per quanto risulta agli interroganti il dottor Buscemi, dopo un'accurata quanto rapida analisi dell'esistente, ha avviato le azioni correttive indicate dal centro nazionale sangue in modalità condivise con il Centro regionale sangue diretto dal dottor A. Mele, nominato peraltro commissario ad acta della banca del sangue cordonale (decreto regionale 2084 del settembre 2010);
il 7 febbraio 2012 viene trasmesso un nuovo decreto regionale, n. 0198, che nell'articolo 3 punto 2, specifica che «ritenuto di dovere assicurare una continuità gestionale al progetto di qualificazione della Banca, il responsabile dei progetti finanziati da questo assessorato nell'anno 2009 viene identificato come responsabile della Banca cordonale di Sciacca ed opera in regime di autonomia gestionale e finanziaria al fine del raggiungimento degli obiettivi del presente decreto»;
nelle motivazioni del decreto regionale succitato non si rilevano inadempienze nell'operato del dottor F. Buscemi che possano giustificare l'essere esautorato dalla direzione della banca del sangue cordonale; peraltro nei sette mesi di attività non vi è mai stata una contestazione, né è mai stata fatta un'ispezione per verificare l'attività del direttore;
in questo modo, di fatto, Il dottor Buscemi, regolare vincitore di un concorso viene destituito della responsabilità di direttore di un importante centro sanitario regime, a favore del responsabile dei progetti finanziati dalla regione nel 2009 (dottor P. Gallerano), senza apparenti ragioni a parere degli interroganti;

è bene ricordare che, secondo l'accordo della Conferenza Stato-regioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 113, 17 maggio 2011, nella parte relativa alle linee guida per l'accreditamento delle banche di sangue da cordone ombelicale, si legge che «la Banca, in coerenza con la legge 21 ottobre 2005 n. 219 e fatte salve le situazioni esistenti, è una articolazione organizzativa del servizio trasfusionale». Infatti, in Italia non esiste alcuna banca cordonale in regime di autonomia gestionale e finanziaria e tutte le 18 strutture operative in Italia fanno capo ad una unità di medicina trasfusionale e solo in pochi casi, per situazioni preesistenti al 2005, appartengono ad altre UO, ad esempio ematologia;
sempre secondo lo stesso accordo Stato-regioni «il direttore del Servizio Trasfusionale, presso cui insiste la Banca fatte salve le situazioni di afferenza esistenti, sovrintende alle attività della Banca ed è responsabile della sua organizzazione complessiva». In tutte le banche cordonali italiane, il direttore dell'unità di medicina trasfusionale è, dunque, il direttore della banca tranne in quelle poche che afferiscono ad ematologia;
nonostante in questi cinque anni non siano stati realizzati trapianti allogenici non consanguinei con le unità di sangue cordonale provenienti da Sciacca, la banca ha un costo di 600.000 euro l'anno relativo all'azoto liquido e di 180,000 euro per il trasporto. Tali costi, negli ultimi mesi, durante la gestione del dottor Buscemi, sono stati notevolmente ridimensionati;
la regione Sicilia, nel 2010 ha stanziato altri due finanziamenti di 650.000 euro, e di 900.000 euro, che non sono stati ancora attivati dalla regione -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti relativi alla banca del sangue cordonale di Sciacca, se ritenga proporzionati i costi della banca in relazione ai benefici che finora non sono emersi anche alla luce delle esigenze di razionalizzazioni della spesa sanitaria in Sicilia e quali iniziative di competenza ritenga di assumere anche in forza delle attribuzioni del Centro nazionale sangue.
(4-15020)

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:

DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, all'articolo 1, prevede che: «Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento, giusta le norme di cui al presente decreto». La Corte costituzionale nel 2002 ha riconosciuto al canone Rai la natura sostanziale di imposta per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo, al cui finanziamento il canone è destinato. Quindi, il canone di abbonamento è da riconoscere in forza della mera detenzione di un apparecchio televisivo indipendentemente dall'utilizzo che ne venga fatto o delle trasmissioni seguite o che per motivi orografici non sia

possibile ricevere uno o più canali della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo;
il gettito totale della tassa di possesso dell'apparecchio televisivo, cosiddetto canone Rai, è cresciuto dai 1.404 milioni di euro nel 2002 a 1.678 milioni di euro nel 2010;
la Rai, Radiotelevisione italiana spa, anche come conseguenza dell'entrata in vigore dell'articolo 17 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, laddove prevede che «le imprese e le società (...), nella relativa dichiarazione dei redditi, devono indicare il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione e la categoria di appartenenza (...), ai fini della verifica del pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo speciale», sta conducendo una massiccia campagna nei confronti delle imprese, ricordando che le disposizioni normative in essere impongono l'obbligo del pagamento di un abbonamento speciale a chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive al di fuori dell'ambito familiare;
la direzione amministrazione abbonamenti della concessionaria per il servizio pubblico radiotelevisivo nelle scorse settimane ha inviato a milioni di imprese e contribuenti la richiesta di corresponsione della tassa con questa missiva: «La informiamo che le vigenti disposizioni normative impongono l'obbligo del pagamento di un abbonamento speciale a chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive al di fuori dell'ambito familiare, compresi computer collegati in rete (digital signage e similari), indipendentemente dall'uso al quale gli stessi vengono adibiti, come, ad esempio, la visione di filmati, dvd, televideo, filmati di aggiornamento ed altro. Nel caso in cui non avesse ancora provveduto al pagamento del canone, pur detenendo tali apparecchiature presso i suoi locali, La invitiamo ad effettuare il relativo versamento per evitare così di incorrere nelle sanzioni previste dalla legge (...) La informiamo, inoltre, che agli organi di controllo è demandato il compito di verificare sul territorio il regolare pagamento del canone»;
la Rai non può di propria iniziativa riscuotere il canone per apparecchi diversi dal televisore tradizionale senza previa decisione in tal senso del Ministero dello sviluppo economico ed è evidente come la discriminazione fra computer collegati e non collegati in rete non ha alcun fondamento normativo, poiché il canone è dovuto per la detenzione di apparecchi «atti o adattabili»;
per quanto riguarda l'individuazione della tipologia di apparecchi che determinano l'obbligo del pagamento del canone Rai, l'Agenzia delle entrate, con nota del 15 marzo 2008, protocollo n. 954-38963, ha avuto modo di affermare che «spetta al Ministero delle comunicazioni procedere a tale individuazione» ed in effetti l'Agenzia delle entrate ha poi proceduto a chiedere al predetto Ministero di fornire precisazioni riguardo la problematica, senza peraltro ottenere mai risposta. Agli interroganti appare ora aggressivo e intollerabile l'atteggiamento della Rai, che, facendo leva sul nuovo obbligo per le imprese introdotto dall'articolo 17 del decreto-legge «salva Italia», si sostituisce di fatto al legislatore nel tradurre in regola concreta una norma che certamente non ha come scopo quello di obbligare al pagamento del canone chi utilizza i propri strumenti di lavoro per finalità intrinseche e a volte addirittura per effetto di norme che obbligano l'impresa a dotarsene (si consideri l'obbligo per le società di dotarsi di posta elettronica certificata e la previsione che i contatti tra imprese e pubblica amministrazione debbano avvenire esclusivamente in forma telematica);
Marco Venturi, presidente di R.ETE. Imprese Italia, ha scritto al Ministero dello sviluppo economico segnalando come «La richiesta del pagamento del canone a tutte le imprese, senza un riscontro delle reali situazioni operative, sembra piuttosto rispondere

ad una non dichiarata ma evidente esigenza "di far cassa". In questo caso, però, a prescindere dalle interpretazioni formali delle norme in vigore, che pure potrebbero portare all'assurdo riconoscimento della conformità a legge di quanto preteso dalla Rai, le associazioni che compongono R.ETE. Imprese Italia si oppongono fermamente all'applicazione di quello che appare un insensato nuovo balzello, basato sulla teorica eventualità dell'accesso a un servizio, piuttosto che sull'utilizzo reale del medesimo. La palese iniquità della situazione ci induce a richiedere al Governo un immediato intervento affinché vengano modificate le norme che impongono il pagamento del canone televisivo, escludendo quanto meno qualsiasi obbligo di corrispondere il canone in relazione al possesso di apparecchi che fungono da strumenti di lavoro per le aziende, quali computer, telefoni cellulari e strumenti similari»;
è evidente che obbligare un'azienda a pagare un abbonamento tv per il solo fatto di avere dei personal computer è paradossale. In primo luogo, perché quei personal computer sono, nella stragrande maggioranza dei casi, meri strumenti di lavoro indispensabili a qualunque attività lavorativa e, in secondo luogo, perché in un momento di grave crisi economica colpire il sistema produttivo con l'ennesima gabella, con un gettito stimato superiore al miliardo di euro, è una manovra ingiustificata quanto depressiva;
il computer è uno strumento indispensabile allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa e l'inclusione dello stesso fra gli apparecchi tassati significherebbe, di fatto, imporre una nuova imposta sull'innovazione, sullo sviluppo tecnologico e sul lavoro;
nel marzo 2007 l'Associazione per i diritti degli utenti e consumatori (Aduc) ha interpellato gli operatori di «Rispondi-Rai» (numero a pagamento 199.123.000), il Ministero dell'economia e delle finanze, la Guardia di finanza, l'Agenzia delle entrate al fine di chiarire se e con quali modalità il computer sia soggetto al pagamento del canone Rai. Le risposte sono state varie e contraddittorie. Secondo alcuni operatori di «Rispondi-Rai», il personal computer (indipendentemente dalla presenza di una scheda tv o di una connessione internet) o un monitor di qualsiasi tipo, anche in assenza di un computer, sono apparecchi «atti o adattabili» e, quindi, soggetti al corrispettivo del canone Rai, come il televisore, il videoregistratore, il registratore dvd, il videofonino, il tvfonino, il decoder, il monitor del citofono, il modem, il navigatore satellitare, la videocamera e la macchina fotografica digitale. L'Agenzia delle entrate non ha risposto alla domanda, invitando l'Aduc a rivolgersi agli operatori «Rispondi-Rai». Il Ministero dell'economia e delle finanze, ufficio legislativo-finanze, non è stato in grado di rispondere, così come numerosi uffici e comandi della Guardia di finanza;
il 28 settembre 2007 l'Aduc ha condotto un'ulteriore indagine per capire quali siano gli apparecchi sottoposti al pagamento della licenza temporanea di importazione per i turisti che giungono in Italia provvisti di videofonini, pc o apparecchi tv e quali siano le modalità di pagamento. Il servizio «Rispondi-Rai» ha fornito risposte diverse e contraddittorie: qualcuno ha risposto che il turista con tv sull'auto o con videofonino in arrivo all'aeroporto deve pagare il canone per l'intero anno in cui è effettuata la visita, anche se breve; qualcun altro ha affermato che i turisti stranieri non devono pagare nulla e qualcun altro ancora ha dichiarato che non è necessario pagare solo se il canone è già pagato da coloro che lo ospitano (amici, albergo ed altri). L'Aduc ha anche contattato l'Agenzia delle entrate, l'ufficio del direttore dell'Agenzia delle dogane, il direttore dell'area gestione tributi e rapporto con gli utenti, ma nessuna risposta è stata fornita, con l'invito a richiamare in futuro. Anche gli uffici doganali periferici di Pontechiasso (Como) e Roma Fiumicino, deputati alla riscossione di tale tributo, non hanno saputo rispondere alla domanda. Su questo è stata depositata l'11

ottobre 2007, nella XV legislatura, un'interrogazione ai Ministri dell'economia e delle finanze e delle comunicazioni, a cui non è stata data risposta;
il 15 ottobre 2007 l'Aduc ha condotto una terza indagine per capire se anche gli esercizi pubblici debbano pagare il canone speciale di abbonamento qualora in possesso di un computer. Per questo l'associazione si è rivolta agli uffici regionali della Rai, all'ufficio normative e contratti del servizio pubblico, al Ministero dell'economia e delle finanze ed all'Agenzia delle entrate. Ancora una volta l'Aduc ha riscontrato confusione e contraddittorietà nelle risposte: alcuni non hanno saputo rispondere, altri hanno sostenuto che un computer è soggetto a canone solo se impiegato per guardare la tv, altri ancora hanno detto che il canone lo si paga indipendentemente dall'uso che si fa dei computer, in quanto trattasi di una tassa sul possesso e non sull'utilizzo. L'Aduc ha anche ricevuto conferma da diverse sedi regionali che, contrariamente al canone ordinario, la Rai non persegue con altrettanta aggressività la riscossione del canone speciale, in quanto consapevole di ciò che significherebbe per molti piccoli esercizi commerciali, i cui gestori, peraltro, pagano già il canone per casa loro. In altre parole, le manchevolezze della legge vengono supplite dalla sua parziale non applicazione;
il 29 ottobre 2007 l'Aduc ha posto una richiesta ufficiale alla Rai per sapere se il canone fosse dovuto anche per un personal computer. Il 25 novembre 2007 la Rai ha risposto di non poter rispondere, dichiarando competente l'Agenzia delle entrate: «Con la presente vi informiamo di aver inoltrato la vostra lettera pari oggetto datata 29 ottobre u.s. per competenza all'Agenzia delle entrate. Sarà nostra cura rendervi noti i termini della risposta non appena perverrà. Con i migliori saluti, Stefano Argenti (direttore direzione amministrazione abbonamenti)»;
il 25 febbraio 2008 l'Aduc ha proposto una richiesta ufficiale alla direzione centrale dell'Agenzia delle entrate, così come indicato dalla Rai, su quali apparecchi siano soggetti alla tassa sul possesso di «apparecchi atti o adattabili». Il 19 marzo 2008 la direzione centrale normativa e contenzioso dell'Agenzia delle entrate si è dichiarata incompetente, come già la Rai, indicando il Ministero delle comunicazioni quale soggetto competente in materia: «In merito agli apparecchi il cui possesso determina l'obbligo di corrispondere il canone per l'abbonamento televisivo - risponde l'Agenzia - si fa presente che detta attività esula dalla competenza istituzionale della scrivente, in quanto spetta al Ministero delle comunicazioni procedere a tale individuazione. In ragione di ciò, al predetto Ministero, con nota. 67800 del 2007, è stato chiesto di fornire precisazioni riguardo la problematica in trattazione». Altrettanti quesiti sono stati posti, in alcune regioni, alla rispettiva direzione regionale dell'Agenzia delle entrate: le risposte sono state inizialmente contraddittorie, con alcune che dicevano che bisognava pagare e altre no, ma, dopo lo «sbandamento» iniziale, anche con comunicazioni di correzione alle missive precedenti, si sono tutte allineate all'attesa di un chiarimento da parte del Ministero dello sviluppo economico;
il Ministero dello sviluppo economico, in risposta ad interrogazioni parlamentari, non ha chiarito, né disposto quali apparecchi siano obbligati alla corresponsione della tassa di possesso: «In considerazione del fatto che non sussiste ancora un'interpretazione univoca circa l'individuazione degli apparecchi, diversi dai televisori tradizionali, atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni, si ritiene opportuno procedere ad un approfondimento tecnico-giuridico della questione, anche attraverso il confronto con il Ministero dell'economia e delle finanze, l'Agenzia delle entrate e la concessionaria del servizio pubblico» -:
se non ritenga doveroso ed urgente chiarire inequivocabilmente quali apparecchi tra videoregistratore, registratore dvd, computer senza scheda tv con connessione

ad internet, computer senza scheda tv e senza connessione internet, videofonino, tvfonino, ipod e apparecchi mp3-mp4 provvisti di schermo, monitor a sé stante (senza computer annesso), monitor del citofono, modem, decoder, videocamera, macchina fotografica digitale siano soggetti alla corresponsione della tassa di possesso dell'apparecchio televisivo cosiddetto canone Rai e quali iniziative di competenza intenda assumere per rimediare al comportamento, ad avviso degli interroganti, illegittimo della concessionaria del servizio pubblico per la richiesta di pagamento del canone speciale su apparecchi diversi dalla televisione.
(3-02120)

SAGLIA e BALDELLI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il Governo è tenuto ad adempiere ad impegni presi in sede europea sul «programma 20-20-20» sulle riduzioni delle emissioni inquinanti, sull'incremento dell'energia elettrica da fonti rinnovabili e sull'efficienza energetica -:
quando il Governo intenda procedere all'emanazione dei decreti attuativi del decreto legislativo n. 28 del 2011 per la promozione di fonti energetiche rinnovabili.
(3-02121)

Interrogazione a risposta in Commissione:

MARCHIGNOLI e LULLI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nella città di Imola è ubicato uno stabilimento della CNH, facente parte del gruppo FIAT, nel quale oggi sono sospese a zero ore in cassa integrazione 120 persone;
in data 9 settembre 2009, preso atto del piano di razionalizzazione illustrato dalla CNH Italia il 23 giugno, l'8 e il 30 luglio dello stesso anno alle organizzazioni sindacali e al Ministero dello sviluppo economico, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali alla presenza del Ministro pro tempore Maurizio Sacconi e della regione Emilia Romagna, è stato sottoscritto tra le parti un verbale di accordo per il ricorso alla cassa integrazione straordinaria per crisi a decorrere dal 31 agosto 2009 e per la durata di 12 mesi. Dal 31 agosto 2010 si è ricorso a un ulteriore periodo di cassa integrazione in deroga per un periodo di otto mesi e attualmente è in corso la cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale per cessazione totale di attività del sito per la durata di 24 mesi (12 mesi prorogabili di altri 12 mesi gestendo positivamente almeno il 30 per cento del personale dichiarato in esubero) con scadenza per il primo anno al 30 aprile 2012;
nel verbale di accordo del 9 settembre 2009 veniva concordato di costituire un gruppo di lavoro presso il Ministero dello sviluppo economico, di intesa con la regione Emilia Romagna e con la partecipazione di CNH/FIAT, finalizzato alla individuazione di diverse soluzioni industriali per il sito di Imola;
nel dicembre 2010 la regione Emilia Romagna con l'ausilio della società regionale ASTER ha presentato al Ministero dello sviluppo economico un progetto volto alla reindustrializzazione dell'area interessata e in grado di assicurare la produzione e l'assemblaggio di veicoli elettrici e della relativa componentistica e il concomitante avvio di un centro di ricerca funzionale alle produzioni;
successivamente il 20 aprile 2011 si è svolto un incontro presso il Ministero dello sviluppo economico presenti la regione Emilia Romagna, la provincia di Bologna e le organizzazioni sindacali, per un aggiornamento sullo stato di avanzamento delle attività svolte dal gruppo di lavoro istituito a suo tempo -:
di quali elementi disponga il Governo in merito alle questioni riportate in premessa;

se esistano iniziative al riguardo tese ad assicurare tutte le condizioni possibili per sostenere il sito produttivo CNH Italia di Imola anche attraverso l'attivazione e il sostegno finanziario di progetti di riconversione industriale concreti e condivisi con la regione Emilia Romagna, le imprese interessate, i sindacati e gli enti locali, capaci di scongiurare la messa in opera dei piani di chiusura dello stabilimento e la riduzione strutturale della sua capacità produttiva;
se non si ritenga infine necessario attivarsi per dare continuità agli ammortizzatori sociali e per garantire prospettive occupazionali.
(5-06217)

Interrogazione a risposta scritta:

FAVA. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il regio decreto n. 246 del 1938, all'articolo 1, recita espressamente: «Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni, è obbligato al pagamento del canone di abbonamento». La presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di onde elettriche o di un dispositivo idoneo a sostituire l'impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici, fa presumere la detenzione o l'utenza di un apparecchio radioricevente;
in base a tale norma la Rai, nella massima libertà interpretativa ed in piena autonomia, ha deciso di obbligare al pagamento del canone speciale tutte le imprese che detengono dispositivi video destinati agli usi più vari e disparati, monitor, computer, videofonini, finanche i sistemi di videosorveglianza;
il canone Rai dovrà essere pagato anche da possessori di pc, iphone e videofonini. Fioccano, come prevedibile, le proteste. L'azienda, infatti, ha chiesto il pagamento del canone ad alcune aziende e studi professionali in possesso di uno o più pc collegati alla rete;
dopo le indiscrezioni e le polemiche circolate su internet, anche le associazioni dei consumatori confermano l'arrivo di segnalazioni da parte di aziende e studi professionali a cui la Rai richiede il pagamento del canone TV per la detenzione di uno o più computer collegati in Rete;
le associazioni di categoria delle imprese prevedono che le realtà produttive dovranno mettere in previsione un esborso complessivo di 980 milioni -:
se il Governo sia a conoscenza della situazione e non intenda intervenire al fine di evitare che venga introdotto l'obbligo per un'azienda di pagare un abbonamento TV per il solo fatto di avere dei pc, essendo quest'ultimo uno strumento ormai indispensabile allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, e considerato che l'inclusione dello stesso fra gli apparecchi tassati significherebbe di fatto imporre una nuova imposta sul lavoro.
(4-15010)

...

Apposizione di firme ad una risoluzione.

La risoluzione in commissione De Camillis e Cicu n. 7-00783, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 febbraio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Beccalossi, Paolo Russo.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta in commissione Siragusa n. 5-05502, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 ottobre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: De Pasquale, Coscia.

L'interrogazione a risposta in commissione Ghizzoni e altri n. 5-05642, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 ottobre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capitanio Santolini.

L'interrogazione a risposta scritta Marcazzan n. 4-14985, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 febbraio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Compagnon.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta scritta Bernardini n. 4-14252 del 15 dicembre 2011;
interpellanza Stucchi n. 2-01330 del 24 gennaio 2012;
interrogazione a risposta in commissione Zamparutti n. 5-06081 del 1o febbraio 2012;
interrogazione a risposta immediata in Assemblea Mariani n. 3-02084 del 7 febbraio 2012;
interrogazione a risposta immediata in Assemblea Dozzo n. 3-02087 del 7 febbraio 2012;
interrogazione a risposta scritta Bernardini n. 4-14885 del 14 febbraio 2012.