XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di giovedì 1 dicembre 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:

La III Commissione,
premesso che:
dall'ultimo rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) sul programma nucleare iraniano, rilasciato l'8 novembre 2011, risulta che l'Iran si trova in uno stadio avanzato nella costruzione della bomba atomica, smentendo gli scopi esclusivamente civili dell'arricchimento di uranio sostenuti dal regime di Teheran;
in particolare, il rapporto spiega come «l'Iran ha condotto attività rilevanti per lo sviluppo di un ordigno esplosivo nucleare», riferendosi in particolare a quattro processi che sarebbero ancora in corso: a) gli sforzi per ottenere materiali nucleari a fini militari e civili da individui e organizzazioni militari; b) lo sviluppo di materiale nucleare in siti non dichiarati agli ispettori; c) l'acquisizione di informazioni e documenti da un network clandestino al fine di realizzare un ordigno; d) lo sviluppo del disegno di una testata nucleare, incluse le componenti per sottoporla ai necessari test;
il rapporto AIEA chiarisce come l'Iran sia già in possesso di missili come gli Shahab-3, sui quali può essere montata una testata nucleare, che, con una gittata di 2.000 chilometri, sono in grado di colpire Israele e come si stia lavorando allo sviluppo delle versioni successive (Shahab 4 e 5), che sarebbero in grado di raggiungere l'Europa;
preso atto dei contenuti del rapporto, gli Stati Uniti, attraverso il segretario di Stato, Hillary Clinton, e quello al tesoro, Timothy Geithner, hanno annunciato nuove sanzioni contro l'Iran mirate soprattutto sul settore energetico e finanziario: il presidente Barack Obama ha dichiarato che gli Stati Uniti non daranno tregua nel dare la caccia alle attività illecite dell'Iran, in quanto Teheran «ha scelto la via dell'isolamento»;
la Gran Bretagna ha deciso di recidere ogni legame finanziario col Paese mediorientale, in quanto, come spiegato dal Ministro degli esteri William Hague, «il rapporto dell'AIEA ha fornito prove dettagliate e credibili delle dimensioni militari del programma nucleare iraniano»; come forma di ritorsione il parlamento iraniano ha approvato una legge che impone al Ministero degli affari esteri di ridurre entro due settimane le relazioni con la Gran Bretagna a livello di incaricati d'affari e l'ambasciata è stata attaccata e devastata il 29 novembre da una folla che, non impedita dalle forze di sicurezza iraniane, ha sequestrato per alcune ore sei diplomatici inglesi;
il Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, ha affermato il 22 novembre che l'Italia sostiene con piena convinzione il piano di sanzioni economiche nei confronti dell'Iran annunciato dall'amministrazione statunitense, in quanto le conclusioni dell'ultimo rapporto dell'AIEA hanno fornito ulteriori motivi di grave preoccupazione alla comunità internazionale; il Ministro ha anche dichiarato che «l'Italia si sta attivando affinché sanzioni analoghe a quelle annunciate dagli Stati Uniti vengano adottate quanto prima anche dall'Unione Europea»;
il 22 novembre 2011 a Bruxelles gli Stati membri dell'Unione europea hanno raggiunto un accordo di principio per estendere ad altri 190 nomi, tra personalità del regime ed entità economiche iraniane le sanzioni consistenti nel blocco dei beni e la sospensione dei visti di ingresso;
il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha di recente concluso la sua revisione periodica dello stato dei diritti umani nella Repubblica islamica dell'Iran, nella quale viene descritta una situazione gravissima di violazioni a ogni livello, in particolare contro le donne, gli oppositori politici, gli studenti che hanno partecipato alle iniziativa di protesta post

elezioni presidenziali del 2009, e gli omosessuali; il 21 novembre l'assemblea generale dell'Onu ha approvato la risoluzione annuale di condanna delle violazioni dei diritti umani in Iran, con 86 sì (sei in più dell'anno scorso), mentre i contrari sono scesi da 44 a 32;
il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad nel corso del suo mandato ha continuato a minacciare Israele e gli Stati Uniti, l'ultima volta solo il 23 settembre dagli scranni delle Nazioni Unite, indicando come suo nemico storico il mondo libero e lo stile di vita occidentale,


impegna il Governo:


a vigilare affinché sia assicurata la piena applicazione delle sanzioni già previste nei documenti ufficiali dell'Unione europea e dell'Onu;
ad attivarsi in sede comunitaria al fine di giungere all'adozione di una forte posizione unitaria, volta a porre in essere ogni azione necessaria a inasprire le sanzioni contro il regime iraniano nel tentativo di dissuaderlo dal portare avanti il programma nucleare;
a sostenere l'AIEA nel suo impegno contro la proliferazione per l'accertamento integrale dello stato di avanzamento dei programmi iraniani.
(7-00737)
«Nirenstein, Corsini, Adornato».

La III Commissione,
premesso che:
il Governo centrale cinese opera da oltre mezzo secolo una politica discriminatoria nei confronti della popolazione della regione autonoma del Tibet, avendone costretto all'esilio la massima autorità spirituale e politica;
dall'esilio il Dalai Lama e il suo Governo, fuggito con lui in India, hanno continuato a chiedere senza successo l'apertura di un canale diplomatico reale con Pechino per negoziare le condizioni di vita e di libertà religiosa nell'area;
il Dalai Lama e il suo Governo hanno rinunciato sin dagli anni Ottanta del secolo scorso a ogni idea di indipendenza per il Tibet, chiedendo soltanto una politica di autonomia linguistica e il rispetto della libertà religiosa della popolazione;
Pechino ha operato nell'area almeno tre grandi repressioni contro i tibetani: nel 1959, nel 1989 e nel 2008, colpendo soprattutto i monasteri e i religiosi ivi presenti, sviluppando nel contempo una politica di immigrazione in Tibet per i cinesi di etnia han;
per protestare contro questa situazione, dal marzo 2011 undici fra monaci e monache tibetani si sono auto-immolati con il fuoco per le strade di diverse aree del Paese, chiedendo in punto di morte autonomia per il Tibet e il ritorno del Dalai Lama;
lo stesso Dalai Lama ha condannato questi gesti, invitando i suoi seguaci a non sacrificare le proprie vite ma a usare più saggezza per contrastare i soprusi compiuti dal Governo cinese;
in Tibet è reato - punibile con la reclusione da 2 a 5 anni - chiedere il ritorno del Dalai Lama, affiggere una sua immagine o possedere uno qualunque dei suoi scritti;
il Parlamento europeo ha approvato lo scorso 27 ottobre una risoluzione al riguardo, richiamando le autorità cinesi al rispetto dell'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo,


impegna il Governo:


ad intervenire con urgenza, sollecitando un'incisiva azione europea, per esprimere al Governo cinese viva e forte preoccupazione rispetto al protrarsi di una situazione di aperta violazione dei diritti umani, culturali e religiosi del popolo del Tibet;

ad attivarsi presso tutte le sedi della comunità internazionale per studiare interventi comuni di sostegno del popolo del Tibet, dei religiosi buddhisti e di tutti coloro che in maniera pacifica chiedono il rispetto dei propri diritti come sancito dalla stessa costituzione cinese.
(7-00738)
«Adornato, Boniver, Mecacci, Nirenstein, Maran, Vernetti».

La VIII Commissione,
premesso che:
il Governo pro tempore ha approvato, in data 3 agosto 2011, il disegno di legge recante divieto di commercializzazione di sacchi non biodegradabili per asporto merci del 3 agosto 2011, con il quale si intende circoscrivere il campo di applicazione del suddetto divieto di commercializzazione contenuto nell'articolo 1, comma 1130, della legge 26 dicembre 2006, n. 296, come modificato dall'articolo 23, comma 21-novies, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102;
tale disegno di legge si è reso necessario a seguito dell'assenza della prevista sperimentazione e dei provvedimenti necessari al raggiungimento graduale degli obiettivi fissati dal legislatore, determinando così alla data di entrata in vigore del divieto di commercializzazione in via definitiva (il 1o gennaio 2011), l'insorgenza di dubbi interpretativi e difficoltà nell'applicazione del divieto medesimo;
in occasione dell'ultima riunione della Conferenza Stato-regioni il disegno di legge richiamato non è stato oggetto di discussione e ne è stato disposto pertanto il rinvio alla successiva convocazione;
nell'ambito della riunione tecnica della Conferenza Stato-regioni è stato evidenziato che gli spessori indicati dal disegno di legge del 3 agosto 2011 al fine di definire con precisione univoche caratteristiche per i sacchetti riutilizzabili, risultano eccessivi (400 micron), stante che misure inferiori ai 400 micron possono ugualmente salvaguardare le esigenze dell'ambiente e rispondere in maniera efficace alle esigenze del mercato,


impegna il Governo


ad assumere iniziative per ridurre il limite minimo dello spessore di sacchi da asporto non biodegradabili per i quali opera il divieto di commercializzazione di cui alle premesse.
(7-00736)«Mariani, Trappolino».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

PILI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nella Gazzetta Ufficiale n. 178 del 31 luglio 2008 risulta pubblicata da parte del Ministero dell'economia e delle finanze l'attribuzione e assegnazione dei beni appartenenti alla soppressa Federazione cassa mutua artigiana, all'ente nazionale per la previdenza degli infortuni (ENPI) e all'Istituto nazionale assicurazioni malattia (INAM) ubicati nella regione Sardegna;
con decreto interministeriale del 7 luglio 2008 del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con la regione Sardegna, ai sensi e per gli effetti del quarto comma dell'articolo 65 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, all'Ispettorato generale di finanza, settore enti in liquidazione, già Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti (IGED), del Ministero dell'economia e delle finanze, è stata disposta l'attribuzione -

per essere realizzati dei seguenti beni immobili e dei relativi beni mobili in essi allocati, appartenenti:
alla ex Federazione nazionale cassa mutua artigiani, ubicato in Nuoro, in via Gramsci, 11;
all'ex Ente nazionale per la previdenza degli infortuni (ENPI), ubicato in Iglesias, in via del Buon Cammino o via Trexenta, 21;
all'Istituto nazionale assicurazioni malattia (INAM), ubicati in provincia di Sassari nei comuni di Monti, in via Prato snc; di Pozzomaggiore, in via San Pietro snc e di Burgos, in via RG Pianu (oppure via E. Costa);
la Gazzetta Ufficiale G.U. - Serie generale - n. 276 del 26 novembre 2009 - ha pubblicato il decreto 11 novembre 2009 recante: Individuazione della società trasferitaria dei patrimoni degli enti disciolti di cui all'articolo 41, comma 16-ter, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n, 14 e del soggetto liquidatore degli enti di cui al comma 16-octies dello stesso articolo 41, nonché elencazione degli enti disciolti estinti;
l'articolo 41, commi da 16-ter a 16-novies, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, che, per le finalità di cui all'articolo 1, comma 484, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, prevede alla data del 1o luglio 2009, il trasferimento, alla società Fintecna o società da essa interamente controllata, dei rapporti in corso, delle cause pendenti e del patrimonio immobiliare degli enti disciolti in essere alla data del 30 giugno 2009, con esclusione degli enti di cui al comma 16-octies, nonché di quelli posti in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell'articolo 9, comma 1-ter, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112 e ad esclusione, altresì, delle questioni riguardanti i pregressi rapporti di lavoro con gli enti disciolti e la gestione del relativo contenzioso;
il comma 16-ter del sopracitato articolo 41, il quale prevede, inoltre, che, alla data del trasferimento, gli enti disciolti in essere al 30 giugno 2009 sono dichiarati estinti;
con nota del 4 maggio 2009, n. 3798 la Fintecna Spa comunica di aver designato la società interamente controllata denominata «Ligestra Due Srl» quale trasferitaria e soggetto liquidatore ai sensi della sopra richiamata normativa;
il ragioniere generale dello Stato Canzio l'11 novembre 2009 con proprio decreto ha disposto:
«Articolo 1 - La società trasferitaria dei rapporti in corso, delle cause pendenti e del patrimonio immobiliare degli enti disciolti in essere alla data del 30 giugno 2009 di cui all'articolo 41, comma 16-ter del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, ad esclusione delle questioni riguardanti i pregressi rapporti di lavoro con gli enti disciolti e la gestione del relativo contenzioso, nonché soggetto liquidatore degli enti di cui al comma 16-octies dello stesso articolo 41, è individuata in Ligestra Due Srl, con sede in Roma, via Versilia, n. 2;
Articolo 2 - Gli enti disciolti dichiarati estinti alla data del 1o luglio 2009, ai sensi del sopracitato articolo 41, comma 16-ter, sono quelli di cui all'allegato elenco che fa parte integrante del presente decreto».
con decreto 21 dicembre 2010 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 28 dicembre 2010 il Ministero dell'economia e finanze (ragioniere generale dello Stato) ha pubblicato la ricognizione del patrimonio immobiliare degli enti disciolti, in essere al 30 giugno 2009, trasferito a Ligestra Due Srl, ai sensi dell'articolo 41, comma 16-ter, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14;
il comma 16-sexies del sopracitato articolo 41 prevede che la «società trasferitaria» proceda alla liquidazione del patrimonio trasferito;

il ragioniere generale dello Stato Canzio con il proprio decreto del 21 dicembre 2010 ha disposto:
«Articolo 1 - 1. Alla data del 30 giugno 2009 sono di proprietà degli enti disciolti elencati nel decreto dirigenziale del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato dell'11 novembre 2009 citato in premessa, e pertanto costituiscono oggetto di trasferimento ai sensi della normativa richiamata, gli immobili di cui all'allegato A che fa parte integrante del presente decreto, anche qualora gli immobili stessi risultino essere formalmente intestati ad enti in precedenza estinti. In detto allegato A per ciascun immobile è indicato il relativo ente proprietario alla data del 30 giugno 2009.
2. Il trasferimento dei beni di cui ai nn. 38, 40 e 46 dell'allegato A è sottoposto alla condizione risolutiva del mancato riconoscimento, in sede di conferenza di servizi con la Regione interessata, dell'assegnazione dei beni medesimi al Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 65 della legge n. 833 del 1978.
3. Il trasferimento dei beni di cui ai nn. 36, 166, 167, 168, 169, 170, 171, 261, 346 e 370 dell'allegato A è sottoposto alla condizione risolutiva dell'esito dei giudizi pendenti per la rivendica della proprietà dei beni immobili medesimi.
Articolo 2 - Il presente decreto ha effetto dichiarativo della proprietà degli immobili in capo agli Enti di cui all'articolo 1 in assenza di precedenti trascrizioni e produce gli effetti previsti dall'articolo 2644 del codice civile, nonché effetti sostitutivi dell'iscrizione dei beni in catasto.
1. La «società trasferitaria» citata in premessa provvede, se necessario, alle conseguenti attività di trascrizione, intavolazione e voltura.
2. Eventuali accertate difformità relative ai dati catastali indicati non incidono sulla titolarità del diritto sugli immobili.
Articolo 3 - Contro l'iscrizione dei beni nell'elenco di cui all'articolo 1 è ammesso ricorso amministrativo al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della ragioneria generale dello Stato entro sessanta giorni dalla pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, fermi gli altri rimedi di legge»;
Nel medesimo decreto risultano iscritti i seguenti immobili riportati con riferimenti catastali e comunali come segue:

351 EGAS Sardegna
Alghero (SS) - località Fertilia
49 804
352 EGAS Sardegna
Alghero (SS) - località Fertilia
49 431
353 EGAS Sardegna
Alghero (SS) - località Fertilia
49 433
354 EGAS Sardegna
Alghero (SS) - località Fertilia
49 434
355 EGAS Sardegna
Alghero (SS) - località Fertilia
49 430
356 EGAS Sardegna
Alghero (SS) - località Fertilia
49 189
357 EGAS Sardegna
Alghero (SS) - località Fertilia
49 191
358 EGAS Sardegna
Alghero (SS) - località Fertilia
49 192
359 EGAS Sardegna
Alghero (SS) - località Fertilia
49 193
360 EGAS Sardegna
Alghero (SS) - località Fertilia
 
49 108
109
361 EGAS Sardegna
Alghero (SS) - località Fertilia
49 133
362 CMC/CA Sardegna
Cagliari - Via Maddalena, 52
18 1476 37
363 ENPI Sardegna
Iglesias (CA) Via Trexenta, 21
L 2 104 9
364 INAM Sardegna
Monti (SS) Via Sebastiano Ledda
15 468
365 CMA/FED Sardegna
Nuoro - Via Gramsci, 11
52 2894 7
366 CMA/FED Sardegna
Nuoro - Via Gramsci, 11
52 2894 25
367 INAM Sardegna
Pozzo Maggiore (SS) - Via S. Pietro, 39
 
22 49
50
368 ANCC Sardegna
Sassari - Via Amendola 82 int. A
109 4562 91
369 ANCC Sardegna
Sassari - Via Amendola 82 int. B
109 4562 91

tra gli enti disciolti risulta l'ente giuliano autonomo di Sardegna che rappresenta una parte fondamentale della storia di Fertilia e quindi della Sardegna ed appare evidente che i beni provenienti dall'ente disciolto rientrino senza dubbio alcuno nella fattispecie dei beni di cui all'articolo 14 dello statuto autonomo della Sardegna;
analoga valutazione di pertinenza all'articolo 14 del citato statuto sardo va proposta per l'intero patrimonio immobiliare iscritto nell'allegato al decreto del 21 dicembre 2010 a firma del ragioniere generarle dello Stato;
in data 19 aprile 2011, oltre i sessanta giorni previsti dal decreto del ragioniere generale dello Stato, la regione Sardegna avrebbe rivendicato i beni indicati nel decreto stesso contraddistinti con i numeri da 351 a 369 dell'allegato A del decreto dirigenziale;
sempre nella missiva del 19 aprile 2011 seppur tardivamente la regione Sardegna avrebbe diffidato la ragioneria generale dello Stato dal compiere qualunque atto possa ledere il diritto della Regione di vedersi riconosciuta la titolarità dei beni richiamati;
nella stessa comunicazione la regione ha formulato la richiesta di annullamento parziale in autotutela del decreto dirigenziale nella parte in cui prevede il trasferimento alla Ligestra Due dei beni immobili in questione;
il 19 settembre 2011 la società Ligestra Due con propria raccomandata A.R. ha comunicato alla Regione che «entrambe le richieste debbono essere fermamente respinte, non configurandosi nella specie il presupposto giuridico suscettibile in astratto di fondare l'invocata rivendicazione»;
la stessa società Ligestra Due ritiene «dirimente la circostanza che l'effetto traslativo della proprietà del patrimonio immobiliare degli enti questione a favore della scrivente società conferitaria è stato prodotto direttamente dalla norma di legge contestualmente alla declaratoria di estinzione degli enti suddetti»;
la Ligestra Due nella missiva arriva a sostenere che «risulta evidente che i diritti dominicali sui beni in questione sono stati acquisiti da Ligestra Due in applicazione di un atto normativo di rango primario il quale, oltre ad essere insuscettibile di qualsivoglia sindacato diretto, è assistito da una forza cogente che ne rende ontologicamente indisponibile il contenuto precettivo, rendendo dunque in radice impraticabile qualunque ipotesi di autotutela»;
analoga posizione di rigetto delle istanze della regione sarda sarebbe stata proposta dalla ragioneria generale dello Stato il 29 agosto 2011 il cui contenuto non risulta noto;
a prescindere dalla tardiva azione di rilievo da parte della regione e l'assenza di un atto di impugnazione di rango costituzionale, è da ritenere ad avviso dell'interrogante inopportuno e irrispettoso del leale rapporto di collaborazione tra soggetti istituzionali il comportamento e le argomentazioni proposte dalla società Ligestra Due nella risposta alla regione Sardegna;
pur essendo in presenza di una dichiarata intesa della regione Sardegna al decreto interministeriale del 7 luglio 2008 con il quale sono stati attribuiti all'ispettorato generale di finanza, settore enti in liquidazione, già Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti (IGED), del Ministero dell'economia e delle finanze, i beni immobili e dei relativi beni mobili in essi allocati richiamati nello stesso decreto del 28 dicembre 2010, si tratta sempre secondo l'interrogante di

una violazione delle norme che regolano il rapporto tra Stato e regione Sardegna con particolare riferimento all'articolo 14 dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna in materia di immobili;
l'articolo 14 dello statuto speciale per la Sardegna legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58 dispone: «1) La Regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo; 2) I beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione. I beni immobili situati nella Regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della Regione»;
la Corte costituzionale con sentenza n. 383 del 1991, in merito al ricorso proposto da altra regione a statuto speciale, la regione Valle d'Aosta, aveva sostenuto l'automatico passaggio dei beni alla stessa regione anche in virtù del seguente esplicito riferimento alle regione Sardegna: «Del resto l'articolo 14 dello Statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) mentre stabilisce, al primo comma, che la regione, nell'ambito del suo territorio, succede allo Stato nei beni demaniali e, al secondo comma, che restano allo Stato i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale, da rilievo alla sopravvenienza, in quanto prevede che la detta causa di esclusione possa cessare, con l'effetto in tal caso che la successione si realizza, in un momento posteriore all'entrata in vigore dello Statuto»;
la Corte costituzionale nella stessa sentenza disponeva: «Va dunque dichiarato che non spetta allo Stato porre in vendita a privati, con l'impugnato avviso d'asta, l'immobile in questione, appartenendo questo al demanio della Regione Valle d'Aosta;
le disposizioni contenute nei primi due commi dell'articolo 14 dello statuto della regione Sardegna di rango costituzionale dispongono che la Regione succeda, nell'ambito del suo territorio, nei beni e nei diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare, regola generale esplicitata nel primo comma;
il secondo comma del citato articolo 14 introduce un'eccezione: la successione non avviene e i beni restano di proprietà dello Stato quando sono utilizzati (connessi) per servizi di pertinenza statale;
l'eccezione, però, ha un limite ben preciso: l'utilizzazione deve essere attuale, di guisa che se tale utilizzo viene a cessare cade il presupposto della medesima eccezione ed i beni non più utilizzati ricadono nella regola generale e seguono la sorte degli altri beni statali e, cioè, la loro proprietà è trasferita ope legis alla regione;
la chiara e univoca statuizione dell'articolo 14, secondo cui «i diritti patrimoniali connessi a servizi di competenza statale» restano allo Stato «finché duri tale condizione» non può dare luogo a dubbi interpretativi;
la congiunzione temporale «finché» attribuisce, infatti, un sicuro valore dinamico alla norma. Nel senso che transitano nel patrimonio regionale non solo i beni che, alla data di entrata in vigore dello statuto speciale, non erano più connessi a servizi statali, ma anche quelli la cui connessione sia venuta meno successivamente;
l'applicazione di tale disposto si rileva nella nota n. 2/20680/10-1-20-20/89 dell'aprile 1989, quando l'allora Ministro della difesa Zanone comunicava al presidente della regione di aver impartito disposizioni agli organi tecnici della difesa, per l'avvio della procedura prevista per la cessione all'amministrazione finanziaria dei beni demaniali non più necessari alle Forze armate;
il significato proprio dato dal legislatore alla norma porta sicuramente a dare rilievo alla sopravvenienza e, cioè, al sopravvenuto venir meno della connessione del bene con il servizio statale;

tale sopravvenienza rappresenta il limite all'eccezione di cui al secondo comma dell'articolo 14 e fa, quindi, rivivere la regola generale della successione della regione Sardegna nella proprietà dei beni dello Stato;
la cessazione di connessione a servizi statali come dispone la richiamata sentenza della Corte costituzionale è venuta a cessare proprio nel momento in cui l'amministrazione dello Stato ha posto in vendita o attivato forme di concessione e comodato a soggetti privati o pubblici del bene stesso;
con riferimento alla regione Sardegna non esiste nessuna disposizione normativa che possa configurarsi come ostativa al trasferimento dei beni statali alla regione stessa, quando la «dismissione» avvenga in data successiva all'entrata in vigore dello statuto sardo;
il Consiglio di Stato in sede consultiva con il parere della terza sezione del 12 febbraio 1985 n. 158 ha espresso formale parere su richiesta del Ministero della difesa proprio sull'applicazione dello statuto sardo;
l'organo consultivo in quel parere, - in estrema sintesi - si è pronunziato nel senso che l'articolo 14, secondo comma dello statuto sardo stabilisce che i beni immobili connessi a servizi di competenza statale restano allo Stato soltanto finché duri tale condizione, riconoscendo, così, allo Stato la funzione di uso e non anche di disposizione degli immobili stessi;
lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze nel 2002-2004 dovette soccombere rispetto all'attuazione dell'articolo 14 proprio in relazione ai beni di enti dismessi come per esempio la manifatture tabacchi di Cagliari di proprietà dell'ETI -:
se non ritenga il Ministro dell'economia e delle finanze di dover adottare urgenti atti verso la società Ligestra Due al fine di evitare l'inaccettabile violazione di una norma statutaria della regione autonoma della Sardegna;
se non intenda il Ministro di dover revocare con proprio atto i decreti richiamati e in particolar modo quello relativo all'inserimento della parte sarda del patrimonio degli enti disciolti (28 dicembre 2010) al fine di evitare un contenzioso costituzionale che ha già di fatto sancito l'automaticità del passaggio del patrimonio dello Stato una volta dismesso e non funzionale alla regione Sardegna;
se non ritenga necessario predisporre un provvedimento-circolare che stabilisca con chiarezza le procedure per l'individuazione e il trasferimenti alla regione autonoma della Sardegna del patrimonio dello Stato e delle società collegate;
se non ritenga necessario avviare un'urgente e puntuale ricognizione dei beni immobili dello Stato in Sardegna, per procedere ad una rapida cessione degli stessi alla regione autonoma della Sardegna in base ai dettati dello statuto autonomo della Sardegna, articolo 14, legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58.
(5-05786)

GERMANÀ. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nel territorio della regione siciliana, ricco di peculiarità, si verificano frequentemente fenomeni calamitosi, di natura idraulica ed idrogeologica che, non solo comportano danni economici rilevanti, ma soprattutto causano gravissimi disagi alle popolazioni residenti con conseguenze talora mortali e drammaticamente dolorose, generate anche da piogge che seppur intense sono brevi, ed appare quindi un paradosso che questo tipo di precipitazioni producano effetti non proporzionati con le altezze di pioggia, a causa della presenza di una concatenazione di cause che contribuiscono ad incrementare il rischio, per frequenza di accadimento e gravità, del verificarsi di frane, smottamenti ed esondazioni;

il caso «sui generis» della Sicilia, già caratterizzata da una conformazione morfologica e geografica del tutto peculiare, è aggravato sia dalla scelleratezza dell'opera e delle attività umane, sia dall'incuria e dal disinteresse che emergono prepotentemente anche dall'evidente constatazione che, su numerosi fondi limitrofi a strade di uso pubblico e ad alvei dei torrenti, insistono siepi, piante ed essenze arboree in genere, che possono creare forme di pericolo per la pubblica e privata incolumità qualora si verifichino condizioni atmosferiche avverse quali piogge, neve, vento e/o eventi calamitosi con profonde ripercussioni sulla circolazione stradale e/o sul deflusso delle acque dei torrenti;
è necessario un breve inciso avente ad oggetto le conseguenze della mancata pulitura degli alvei infatti, la pluridecennale sedimentazione del solido alluvionale, trasportato dalle ricorrenti piene, ha provocato l'ostruzione degli alvei stessi, tanto da ridurne la sezione di deflusso fino a non poter contenere nemmeno le piccole ed ordinarie portate, causando inoltre il progressivo innalzamento degli affluenti e dell'intera rete di fossi e canali di scolo di pianura che, direttamente o non, si immettono nel fiume compromettendo il delicato equilibrio idrogeologico esistente tra il fiume e la pianura che lo costeggia, nella quale si riduce ulteriormente la pendenza dei tronchi terminali degli affluenti e dei canali di scolo già vicina ai valori minimi, ne consegue quindi la difficoltà di deflusso, il ristagno ed un'accentuata sedimentazione del trasporto solido, tali da produrre a loro volta, l'intasamento di alveo, canali e fossi, l'ostruzione dei tombini stradali e ferroviari, ed in definitiva, la crisi dell'intera rete idrografica;
da questa disamina, in riferimento al rischio idraulico, si evince chiaramente che una delle cause più frequenti delle esondazioni localizzate, è appunto la riduzione di deflusso delle opere idrauliche quali tombini e attraversamenti fluviali in genere, anche a causa di vegetazione spontanea infestante e di accumuli di rifiuti ed inerti costituendo una sorta di «micro discarica» che, al manifestarsi di eventi-meteo avversi intensi, anche se non estremi, possono determinare l'esondazione delle acque degli impluvi che, in presenza di beni antropici sparsi, centri abitati, aree industriali, comporta occasione di rischio;
è categorico, in un'ottica di rinnovata e necessaria attenzione verso il territorio, rendere lo stesso meno vulnerabile e di conseguenza ridurre, almeno localmente, il rischio idraulico, effettuando un controllo continuo ed adeguato al fine di mantenere efficaci ed efficienti le opere idrauliche garantendo contestualmente il corretto smaltimento delle acque all'interno degli alvei fluviali;
unitamente alla sorveglianza e manutenzione ordinaria dello stato funzionale di ripe, argini ed aree golenali nonché di quelle opere ed infrastrutture che potrebbero influire, soprattutto in regime di piena, sul deflusso anche regolato delle acque, sarebbe opportuno provvedere alla sollecita e ben più semplice rimozione sia del materiale vegetale accumulato, sia delle carcasse e dei rifiuti presenti presso le pile dei ponti e di altri manufatti presenti negli alvei e lungo le sponde dei corsi d'acqua, anche minori, che non solo ostruiscono ma provocano anche lo sbarramento temporaneo del corso d'acqua;
in relazione a quest'ultima fattispecie, dovrebbe essere posto il duplice obbligo di effettuare, con mezzi idonei, interventi di asportazione dai corsi d'acqua, di tutto il materiale depositato dalle acque di piena e segnatamente vegetali, terra, fango, sabbia e ghiaia, e di rimuovere dall'alveo degli stessi corsi d'acqua, di ogni ostacolo che impedisca il normale deflusso delle acque o che possa modificarne il livello, ovviamente per adempiere all'obbligo di asportazione e rimozione, non potrà assolutamente elusa e/o infranta la disposizione che impone che tutti i rifiuti vegetali e non vegetali derivanti dai lavori di pulizia dei corsi d'acqua dovranno essere smaltiti e/o recuperati secondo quanto previsto dal decreto legislativo

n. 152 del 2006 ricordando che è altresì vietato procedere alla pulizia dei fossi attraverso l'incendio della vegetazione e l'uso di diserbanti e disseccanti, e rimuovere le ceppaie degli alberi che sostengono le sponde del corso d'acqua;
analizzando nel dettaglio la situazione venutasi a creare in Sicilia, va rilevato che, in applicazione della vigente normativa nazionale così come definita dal decreto-legge n. 180 del 1998, il cosiddetto «decreto Sarno», l'assessorato territorio e ambiente, avrebbe dovuto redigere i piani di assetto idrogeologico (P.A.I.), perimetrando le aree del territorio siciliano che risultano soggette a rischio idrogeologico e per le quali debbono sia adottarsi le misure di salvaguardia sia predisporsi programmi di intervento urgenti;
nei piani di assetto idrogeologico vengono individuate aree a rischio differenziato, in un range che va da R1 moderato, fino a R4 molto elevato, tenendo conto, in base all'atto di indirizzo e coordinamento previsto dal comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 180 del 1998 ed adottato con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 29 settembre 1998, «quale elemento essenziale per l'individuazione del livello di pericolosità, la localizzazione e la caratterizzazione di eventi avvenuti nel passato, riconoscibili o dei quali si ha, al momento presente, cognizione»;
è opportuno sottolineare inoltre, che l'atto di indirizzo e coordinamento menzionato, è stato redatto per consentire alle autorità di bacino ed alle regioni, in primo luogo a quelle ove l'attività di pianificazione si trovi all'inizio dell'attività conoscitiva, di realizzare documenti il più possibile omogenei e confrontabili a livello nazionale, grazie all'esplicazione di criteri generali per l'individuazione e la perimetrazione delle aree a rischio che vanno comunque considerate come suscettibili di revisione e perfezionamento, e per le quali devono essere adottate le misure di salvaguardia predisponendo programmi di intervento urgenti;
dopo aver chiarito la disciplina applicabile a livello nazionale, è necessario analizzare l'attività di censimento dei nodi a rischio idraulico, condotta dal dipartimento regionale di protezione civile, quale integrazione delle informazioni contenute nei piani di assetto idrogeologico, infatti, nel comunicato del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 ottobre 2006 e nella direttiva del Presidente del consiglio dei ministri del 5 ottobre 2007, è stato osservato che le rilevazioni dei piani di assetto idrogeologico possono risultare insufficienti per le azioni di protezione civile, in quanto i criteri di selezione e classificazione, non contemplano situazioni localizzate nelle quali è frequente il verificarsi di condizioni critiche;
da tutto ciò discende quindi che, le operazioni preventivamente programmate di manutenzione ordinaria degli alvei e delle sponde, si configurano come azioni volte alla prevenzione del rischio idraulico, a tutela della pubblica e privata incolumità, e come tali devono necessariamente rientrare tra le attività ordinariamente svolte dagli enti competenti ovvero province, comuni, geni civili, consorzi di bonifica, ai quali il dipartimento regionale della protezione civile-regione Siciliana deve offrire supporto, stimolo ed incentivo;
infine, ulteriore corollario dell'abbandono e dell'assoluta mancanza di manutenzione dei fiumi e dei torrenti, è il disagio patito da migliaia di imprenditori agricoli siciliani che, non solo sono impossibilitati a pulire il letto dei fiumi a proprie spese, ma si vedono anche opporre il diniego e ripetuti rifiuti da parte delle autorità competenti adducendo quale giustificazione, la mancanza di fondi da destinare alla corretta manutenzione ed alla pulizia ordinari;
tutto ciò è anche foriero di ripercussioni negative ai danni della finanza pubblica che, a seguito di un'intensa opera di class action, ha dovuto corrispondere un risarcimento per i danni causati da una piena, e ad oggi si sta assistendo alla nascita di comitati di cittadini, associazioni di volontari o comunque forme collettive di azioni che, pur affrontando il

rischio di qualche difficoltà derivante dalla natura demaniale del bene, hanno adito le vie giudiziarie presentando numerose denunce di danno temuto, ai sensi dell'articolo 1172 del codice civile, in base al quale «chi ha ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti, pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso, può denunziare il fatto all'Autorità giudiziaria ed ottenere, secondo le circostanze, che si provveda per ovviare al pericolo»;
sarebbe necessario effettuare in alcuni siti significativi posti sul reticolo idrografico del territorio regionale, la pulitura degli alvei e delle sponde dei fiumi e corsi d'acqua dai rifiuti, sterpaglie ed arbusti, che riducono la sezione di deflusso in caso di piena, incrementando il rischio di esondazione verificabile anche in condizioni di altezze di pioggia non particolarmente elevate;
sarebbe altresì indispensabile porre attenzione sul reticolo idrografico minore, di competenza regionale e locale, escluso dalle sistemazioni di bacino previste dalle norme per la gestione della pianificazione territoriale, che viene spesso interessato da fenomeni calamitosi su scala locale;
sarebbe infine necessario, in assenza di un azione preventiva e programmata, promuovere attività di pulizia e piccola manutenzione degli alvei, coordinata dagli enti territoriali competenti, diretta da personale tecnico esperto e coadiuvata anche da imprese esterne o ditte specializzate nell'eliminazione di rifiuti speciali e/o pericolosi e di grandi dimensioni -:
quali impegni e quali opportune iniziative di competenza si intendano assumere affinché si pongano in essere attività volte alla previsione ed alla prevenzione del rischio idrogeologico, posto che studi accurati hanno dimostrato che a fronte di ogni milione di euro destinato alla prevenzione, se ne risparmierebbero 5 da impiegare in caso di eventi calamitosi per fronteggiarne le conseguenze e i disastri;
considerata la sussistenza di diverse situazioni di emergenza in Sicilia e di diversi commissariamenti di protezione civile in atto se non si ritenga, nell'ambito dell'attività di ripristino e conservazione del territorio in essere, di compiere quegli interventi, anche di piccola manutenzione, che sono necessari per far fronte alle problematiche descritte in premessa.
(5-05787)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nonostante l'agenzia di rating Standard & Poor's, non abbia superato l'esame dell'Esma (European securities and markets authority), non sia registrata tra le agenzie di rating certificate, quindi non sia abilitata ad emettere pagelle sull'Italia, nei mesi scorsi ha declassato l'Italia portandola da A + ad A. Da questa constatazione, Adusbef e Federconsumatori hanno inviato una formale diffida alle società di rating ad emettere qualsiasi rapporto di valutazione sull'Italia. Le due associazioni avevano denunciato Moody's e Standard & Poor's alle procure della Repubblica per i report falsi emessi sull'Italia a partire dal 6 maggio 2010 e che vede iscritti nel registro degli indagati un analista ed il legale rappresentante della società Moody's, oltre ai tre analisti di Standard & Poor's ed i responsabili legali per l'Italia delle due agenzie. Le denunce riguardano l'agenzia Moody's con riferimento al report diffuso il 6 maggio del 2010 a mercati aperti ed i giudizi espressi sul sistema italiano in tre differenti circostanze dall'agenzia Standard & Poor's. Nell'ultimo di questi report, emesso il primo luglio scorso, l'agenzia di rating ha espresso giudizi negativi sulla manovra finanziaria quando il mercato era ancora aperto prima ancora che esistesse un testo definitivo della manovra. «Poiché Moody's e Standard & Poor's non hanno alcuna licenza

per emettere pagelle sull'Italia, perché non hanno superato l'esame di iscrizione richiesto dall'Esma, non avendo alcun titolo per poter operare in sede italiana ed europea» afferma la nota congiunta delle due associazioni «sono state diffidate ad emettere alcun rapporto per l'Italia e società italiane fino a quando non otterranno l'iscrizione»;
Carmen Carbonara, su Il Corriere del Mezzogiorno del 27 settembre 2011 scrive: «Il report di Standard & Poor's che ha bocciato l'Italia una settimana fa, finisce nel fascicolo della procura di Trani che ipotizza i reati di insider trading e market abuse a carico di una delle "tre sorelle" (le altre sono Moody's e Pitch) del rating americano. (...) Il sospetto della procura, è che l'ultimo report di S&P, che ha declassato l'Italia da A+ ad A il 20 settembre scorso, non sia obiettivo perché espresso non sulla base di valutazioni economiche, ma politiche. Non a caso gli analisti, nel declassare di un nocth (cioè un gradino) il debito italiano, hanno anche detto di aspettarsi che "la fragile coalizione di governo e le differenze politiche all'interno del Parlamento continueranno a limitare la capacità del governo di rispondere in maniera decisa alle sfide macroeconomiche interne ed esterne". Per questo acquisito dalla Presidenza del Consiglio il testo tradotto in italiano del report, che finirà all'attenzione di due consulenti già individuati dalla procura». Il 5 agosto scorso, S&P aveva declassato gli USA, facendo passare per la prima volta, il rating sovrano da AAA ad AA+. L'atto di denuncia effettuato dalla Sec (Securities and exchange commission) portò a un'immediata reazione dello stesso presidente Barack Obama, che si affrettò a smentire la veridicità di quanto affermato da S&P;
nello stesso periodo Glauco Maggi scriveva su La Stampa: «l'onda lunga dello scandalo dei mutui subprime, trasformati in obbligazioni "sgonfiate" dallo scoppio della bolla immobiliare del 2007, ha raggiunto ieri, e non è la prima volta. Standard & Poor's, e potrebbe avere conseguenze finanziarie molto serie per i conti dell'agenzia, nota per aver tolto in estate la Tripla A all'America di Obama per la prima volta. La McGraw-Hill, la compagnia di comunicazioni e analisi societarie che ha tra le sue divisioni l'agenzia di rating Standard & Poor's, ha comunicato ieri di aver ricevuto un avviso di garanzia (Wells Notice) dalla Sec (Securities Exchange Commission, la Consob Usa), in cui è stata informata che sono in corso indagini contro la sua divisione aziendale responsabile della assegnazione dei rating ai debiti societari e governativi. Questo avviso rappresenta il sospetto della Sec di un comportamento non etico tenuto dalla società ricevente, ed espone la lista completa delle questioni sotto esame. (...) Questo procedimento mira a concludersi con una ingiunzione civile, e la Sec potrà infliggere a S&P una pesante punizione pecuniaria sotto forma di risarcimento per i danni materiali procurati, e di richiesta di restituzione delle commissioni incassate in relazione al rating controverso. La Standard & Poor's Ratings Services, in particolare, deve difendersi dall'accusa di aver violato la legge federale sulle emissioni di titoli mobiliari per il rating AAA dato nell'agosto 2007 a una offerta da 1,6 miliardi di dollari di obbligazioni, commercialmente note come Delphinus Cdo 2007-1, sottoscritte per i 3/4 dalla Mizuho International Plc (gruppo finanziario giapponese Mizuho), e gestite dalla Delaware Asset Advisors. La polemica sulla "generosità" delle agenzie di rating nel valutare con addirittura tre A questi debiti costruiti sulla bolla del mattone è annosa: Delphinus crollò al rating spazzatura già a fine 2008. La causa civile avviata ora si aggiunge ad altre iniziative legali della stessa Sec e del dipartimento della Giustizia contro le agenzie di rating e le maggiori banche americane negli Usa, sempre per questi bondbond. I Cdo, collateralized debt obligations, erano la famiglia di titoli più in voga nella stagione di boom immobiliare del decennio scorso. La loro caratteristica era di essere "garantiti" da assets (beni) "collaterali", come le rate dei mutui o di altri crediti da restituire negli anni a venire. Non era, in sostanza, l'emittente

nominale del bond a rispondere del buon fine del credito di fronte agli investitori acquirenti dei Cdo, ma una miriade di altri debitori. Quando i prezzi delle case sono caduti e i mutuatari non hanno potuto o voluto onorare le rate, i Cdo sono diventati titoli "tossici", non più in grado di pagare le cedole né di restituire il capitale. La riduzione, e in molti casi l'azzeramento, del loro valore di libro da parte delle banche che li avevano in portafoglio ha portato ai deficit di bilancio e alla crisi del sistema finanziario, che non è ancora stata superata»;
oltre al presidente Obama, anche la Corte Federale australiana ha intentato una causa contro Standard&Poor's; il 6 ottobre scorso, ha avuto il via la prima udienza del processo contro l'agenzia di rating, finita sotto inchiesta per aver assegnato un giudizio altissimo (tripla A) a dei prodotti derivati che si sono poi rivelati tossici. Il procedimento era stato aperto dopo una denuncia da parte di tredici comuni del South Wales che avevano investito in derivati (Constant Proportion Debt Obligation notes) perdendo 15 milioni di dollari australiani (circa 14,3 miliardi di dollari americani) e che hanno accusato l'agenzia di aver commesso «errori significativi» nell'assegnare il massimo rating possibile ai prodotti. I derivati furono acquistati alla fine del 2006 tramite la Local Government Financial Service e divennero carta straccia due anni dopo con l'esplodere della crisi dei mutui. Standard & Poor's ha rivendicato «il rigore e la ragionevolezza» del processo di valutazione dei derivati incriminati e ha affermato che «il rating è un'opinione su possibili eventi futuri e non un'affermazione di fatto» e che «l'assegnazione della tripla A non significa che l'agenzia abbia determinato che quello strumento non andrà in fallimento». L'agenzia ha inoltre respinto l'accusa di non aver avuto un modello interno per stabilire il rating di questi complicatissimi prodotti finanziari, alle radici della crisi dei mutui, e di essersi basata sulle valutazioni dello stesso creatore dei Cdpo, la banca Abn Amro;
basandosi sulle denunce effettuate da Adusbef e Federconsumatori, il 3 agosto 2011 la procura di Trani ha ipotizzato l'accusa di manipolazione del mercato, tramite «giudizi falsi, infondanti o comunque imprudenti» sul sistema economico-finanziario e bancario italiano, nei confronti delle agenzie di rating Standard & Poor's e Moody's. Sei persone risulterebbero indagate nell'ambito dell'inchiesta: tre analisti «con funzioni apicali» di S&P, uno di Moody's ed i responsabili per l'Italia delle due agenzie. Nell'ordine di esibizione di atti, gli analisti di Standard & Poor's indagati vengono individuati in Eilen Zhang, Frank Gill e Moritz Kraemer (quest'ultimo responsabile per il debito europeo), ai quali si aggiunge un non identificato dirigente senior analyst di Moody's e un numero imprecisato di «persone da identificare». Per quanto riguarda Moody's, gli indagati sono accusati del reato di «manipolazione del mercato» per avere «elaborato e diffuso» il 6 maggio 2010, «a mercato aperto, verso le ore 11.15, notizie false (anche in parte) sulla tenuta del sistema economico e bancario italiano». Nel report sarebbero stati espressi «giudizi da ritenersi falsi, infondati o comunque imprudenti secondo quanto asserito da altre agenzie di rating oltre che dalle supreme autorità nazionali». Secondo la procura, «in conseguenza della diffusione dei giudizi di Moody's si determinava un'alterazione (da quantificare) di strumenti finanziari». I tre analisti di S&P sono invece accusati, oltre che di «manipolazione del mercato» anche di «abuso di informazioni privilegiate» per aver «elaborato e diffuso», nei mesi di «maggio, giugno e luglio 2011 - anche a mercati aperti - notizie non corrette (dunque false anche in parte), comunque esagerate e tendenziose sulla tenuta del sistema economico-finanziario e bancario italiano»;
in particolare, il 20 maggio 2011 «divulgavano in un report l'avvenuto "taglio dell'outlook del debito sovrano dell'Italia da stabile a negativo", con "giudizi/previsioni da ritenere falsi, parzialmente infondati e comunque imprudenti, tendenziosi

e scorretti (anche nelle forme di comunicazione) secondo quanto asserito da altre Agenzie di rating (Moody's e Fitch), oltre che dalle supreme Autorità nazionali (Ministero Economia) che smentiva - alla stregua di dati macroeconomici ufficiali - il giudizio di S&P che (con)causava sensibili perdite di titoli azionari, obbligazionari e dei titoli di Stato nazionali". Inoltre, "il giorno venerdì 1o luglio 2011 poco dopo le 13 (prima della chiusura dei mercati) elaboravano e divulgavano in un'ulteriore nota giudizi negativi sulla manovra finanziaria presentata in Consiglio dei ministri dal Ministro dell'Economia quando il testo della stessa non era ancora ufficiale e definitivo, così determinando ulteriori turbolenze sul mercato dei titoli e sulle aste dei titoli di Stato». Con la propria inchiesta, la procura di Trani è, per ora, l'unica al mondo a mettere sotto attacco le due maggiori agenzie mondiali di rating con l'accusa di "manipolazione del mercato" e, sembra, per "aggiotaggio";
il primo atto della procura di Trani è stato l'acquisizione, presso la Consob, della documentazione relativa alle procedure autorizzative che consentono alle agenzie di svolgere attività di rating sui mercati finanziari, ed il successivo sequestro di altri documenti presso le sedi di Milano delle agenzie di rating Moody's e Standard & Poor's. Le indagini, svolte con l'ausilio del Nucleo di polizia tributaria di Bari della Guardia di finanza, riguardano due procedimenti paralleli aperti. Il primo procedimento, nei confronti di Moody's, risale al report diffuso il 6 maggio 2010 a mercati aperti in cui si affermava che il sistema bancario italiano era a rischio (valutazione che fu corretta dalla stessa agenzia Moody's e smentita da soggetti istituzionali), che provocò il crollo in Borsa dei titoli bancari e che la Procura ha giudicato basato su giudizi «infondati e imprudenti». Il secondo, più recente, riguarda invece Standard & Poor's e, in particolare, tre report, l'ultimo dei quali emesso il primo luglio 2011 a mercati aperti che esprimeva giudizi negativi sulla manovra economica del Governo italiano «quando non era ancora ufficiale, non esisteva un testo definitivo e non era stata ancora presentata in Consiglio dei ministri». Gli altri due report S&P risalgono al 20 e al 23 maggio in cui si esprimevano giudizi negativi sul debito pubblico italiano;
Adusbef e Federconsumatori hanno ricordato, inoltre, che sono «nove le agenzie, che hanno già dimostrato di avere i requisiti necessari e hanno superato l'intero percorso previsto dal regolamento europeo ed hanno piena legittimità ad emettere le pagelle, al contrario delle tre sorelle del rating. Pitch, Moody's e Standard & Poor's, che non avendo superato l'esame previsto, sono state bocciate il 24 agosto scorso dopo le inchieste penali della Repubblica di Trani»;
prima del declassamento francese, anche il ministro delle finanze, François Baroin, chiese alle autorità di vigilanza europee sui mercati di aprire una inchiesta sull'errore di Standard & Poor's, che aveva annunciato il downgrade della Francia. «Baroin - si legge in una nota diffusa a Parigi dal Ministero dell'economia - ha chiesto all'autorità europea dei mercati finanziari e all'autorità (francese, ndr) dei mercati finanziari un'indagine in seguito all'errore di trasmissione di un messaggio sul rating di eredità della Francia». In particolare, si legge ancora nel comunicato, il ministro chiede ai due organi di «indagare sulle cause e sulle eventuali conseguenze di questo errore». La notizia del downgrade della tripla A francese e la smentita di S&P's hanno avuto immediate ripercussioni sui mercati. Molti inoltre sono convinti che l'agenzia abbia soltanto sbagliato i tempi e che, entro la fine dell'anno, il downgrade arriverà davvero;
la Commissione europea ha assicurato che presenterà un progetto di legge per aumentare la trasparenza della valutazione dei debiti sovrani da parte delle agenzie di rating. «È un incidente grave», dice Chantal Hughes, portavoce del commissario ai servizi finanziari Michele Bamier. «Nella situazione attuale dei mercati,

estremamente volatile e tesa, gli attori dei mercati devono dare prova di rigore e di un particolare senso di responsabilità». L'errore tecnico di Standard and Poor's sulla tripla A francese aveva fatto fare un balzo ai rendimenti sui titoli di Stato a dieci anni e lo spread col bund -:
quali interventi il Governo intenda adottare, nelle sedi internazionali, al fine di imporre regole più restrittive e controlli più serrati sull'attività di società private che, come Standard & Poor's, prive della necessaria autorizzazione dell'Esma abilitate per operazioni in Italia, possano continuare ad emettere report valutativi anche su istituzioni, enti locali e banche italiane, anche in considerazione degli effetti sui mercati finanziari delle valutazioni diffuse, a stampa ed operatori, talvolta con tempistiche sospette.
(4-14130)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
nei giorni 22, 29 e 30 novembre 2011, da fonti di stampa si è potuto apprendere che il nome del dottor Filippo Milone risulta essere citato nell'indagine Enav-Finmeccanica con riferimento a un contributo sollecitato dallo stesso Milone in occasione della convention del Pdl a Milano e che il medesimo sarebbe stato anche arrestato per le tangenti all'ospedale di Asti, poi condannato in via definitiva a un anno e 7 mesi per concorso in abuso di ufficio (cui è seguita la riabilitazione); il giorno 28 novembre 2011, il dottor Filippo Milone è stato nominato Sottosegretario di Stato alla difesa; il Ministro della difesa ha la facoltà di delegare ai Sottosegretari la trattazione di alcune della materia di propria competenza -:
se quanto riportato nelle fonti di stampa di cui in premessa corrisponda al vero, se siano stati già a conoscenza delle vicende giudiziarie in cui è stato coinvolto il dottor Milone e quali immediate iniziative intendano promuovere in merito;
se non si ritenga opportuno che al dottor Filippo Milone non sia data la delega alla trattazione delle materie per l'area del procurement e della ricerca, concernenti il settore degli armamenti terrestri, navali aeronautici e dei sistemi di telecomunicazione, con particolare riferimento alla trattazione, secondo gli indirizzi del Ministro, delle problematiche connesse ai programmi di ammordernamento e rinnovamento di cui alla legge 4 ottobre 1988, n. 436, e ai rapporti con l'Organismo congiunto per la cooperazione degli armamenti (OCCAR), alla lettera di intenti (LOI), all'Agenzia di difesa europea (EAD), nonché con il Ministero dello sviluppo economico e con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in relazione alle tematiche difesa-industria e difesa-ricerca.
(4-14132)

...

AFFARI ESTERI

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere - premesso che:
si fa riferimento a precedenti atti ispettivi, sulla situazione drammatica dei cristiani in Pakistan evidenziata dalla riflessione del vescovo, Presidente dell'episcopato cattolico, che si riporta qui di seguito integralmente; Monsignor Joseph Coutts: «Provano a convertire all'Islam anche me» lo sfogo del vescovo di Faisalabad, in Pakistan, sul crescente fanatismo musulmano «In Pakistan le minoranze sono sempre state svantaggiate, ma mai come in questo momento». Lo sfogo, raccolto dall'organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), è del presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, monsignor Joseph Coutts. Come informa un comunicato stampa pubblicato oggi dalla nota associazione, il vescovo di Faisalabad

(nella provincia del Punjab) si dichiara molto preoccupato per il crescente estremismo e la maggiore intolleranza nei confronti della comunità cristiana nel suo Paese. «Siamo sempre stati discriminati, ma la nostra condizione non è mai stata così difficile», ha dichiarato il presule, il quale chiede al governo del Pakistan che i cristiani siano finalmente trattati come «cittadini a pieno titolo» e che sia riconosciuto anche l'immenso contributo che essi danno alla società. Come sottolinea il comunicato di ACS, i cattolici sono appena 1,2 milioni su un totale di 180 milioni di abitanti, ma è la Chiesa a gestire gran parte dei servizi sociali, educativi e sanitari e gli aiuti allo sviluppo. La sola diocesi di Faisalabad amministra 82 scuole, «strutture di cui beneficiano tutti i pakistani, qualunque sia la loro fede», così ha ribadito monsignor Coutts. Le discriminazioni che subiscono i cristiani, anche in ambito lavorativo o scolastico sono numerose. Non solo gli alunni non musulmani devono studiare su libri di testo che spesso alimentano l'odio interreligioso ma neppure possono usufruire dei crediti extra offerti a chi frequenta le lezioni di Corano per migliorare il loro voto. «Poi nelle scuole - prosegue il vescovo - i ragazzi subiscono costanti pressioni affinché si convertano all'Islam come tutti i fedeli del resto. Io stesso ho ricevuto lettere in cui mi s'invitava ad abbandonare la mia religione». Nel nordovest del Pakistan, l'estremismo prende di mira anche la stessa maggioranza musulmana, come dimostrano i vari istituti femminili distrutti nel corso degli ultimi mesi, con l'obiettivo di ostacolare l'istruzione delle ragazze. «Sono disposti a tutto, ad uccidere ed essere uccisi. E anche molti musulmani che non erano d'accordo con loro sono stati assassinati», ha sottolineato monsignor Coutts. Ma questo non impedisce al vescovo di cogliere segni di speranza. «Gli estremisti - così ha concluso il vescovo di Faisalabad - non sono che una minoranza e a dispetto delle enormi difficoltà la Chiesa cattolica continuerà a promuovere servizi per il bene della società e ad impegnarsi per favorire il dialogo attraverso le buone azioni -:
quali iniziative a livello internazionale intenda intraprendere per garantire il rispetto di elementari diritti umani anche eventualmente attraverso sanzioni nei confronti del paese in questione.
(2-01283) «Garagnani».

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nell'ottobre del 2010 a Macerata, ai piedi della collina di Barsento, nel comune di Noci nel Barese, i cittadini scorgono una lunghissima colonna di fumo nero, provocata dall'incendio di 100 quintali di copertoni di veicoli ammassati illegalmente e incendiati da ignoti. Intorno allo scorso ferragosto, in provincia di Ferrara, a Cassana, un intero capannone con 100 quintali di pneumatici brucia per una notte intera. La nube tossica costrinse alcune famiglie ad abbandonare le loro case. Per gli inquirenti anche in questo caso l'origine sarebbe dolosa. Qualche giorno prima, a Livorno, trama identica. Rogo di gomme all'interno di una ditta e per gli investigatori la matrice sarebbe dolosa. Nel dicembre del 2010, invece, a Isola Gran Sasso, all'interno del Parco nazionale, le forze dell'ordine trovarono una discarica enorme di gomme mischiate ad altri materiali; lo stesso a Trebiciano (frazione del comune di Trieste), a Piacenza, a Novi (Modena), a Otricoli (Temi), a Giuglionesi (Campobasso), a Lodi, a Mirandolo (Pavia), a Termolim a Pordenone; a Gattinara (Vercelli), a Mediglia (Milano);

per questo Ecopneus (una società senza scopo di lucro fondata dai produttori di gomme che detengono l'80 per cento del mercato per il rintracciamento, la raccolta e la destinazione finale dei pneumatici fuori uso) con la collaborazione di Legambiente, ha raccolto tutti questi dati in un dossier chiamato «Copertone Selvaggio» 2011 da cui emerge che, in Italia, ogni anno, vengono dismessi 380 mila tonnellate di pneumatici esausti di cui oltre 100 mila si disperdono in mille rivoli, per poi sparire nel nulla. Numeri troppo elevati per essere una casualità. La spiegazione del fenomeno è complessa. «Si andava dal singolo automobilista che non voleva pagare i costi di smaltimento e se ne disfaceva in proprio», spiega Giovanni Corbetta, direttore Ecopneus, «al gommista che piuttosto che spendere da 0,20 a 0,35 centesimi di euro al chilo per un corretto disfacimento si affidava a metodi illeciti»;
un business molto interessante anche per le ecomafie. Per gli investigatori gli pneumatici dismessi sono una delle tipologie di rifiuti più ricercate perché possono avere vari utilizzi come nell'edilizia e nell'impiantistica sportiva. Non a caso sono stati scoperti traffici illegali con vari paesi in via di sviluppo. Dallo scorso settembre, però, tutto potrebbe essere più difficile. Gli automobilisti che comprano e montano gomme nuove trovano una voce nello scontrino che indica il contributo che versano per i costi di gestione e recupero dei pneumatici fuori uso (Pfu). In questo modo, tutto sarebbe più trasparente per il consumatore ed anche più riscontrabile. Il principio è quello della responsabilità del produttore che è già adottato in altri Paesi europei tra cui Spagna e Francia. Dal 2010 anche in Italia, infatti, è illegale smaltire in discarica i pneumatici, che vanno trattati separatamente. Le nuove regole sono fissate nel decreto ministeriale dell'11 aprile 2011 e le aziende sono responsabili e garantiscono la gestione dei pneumatici esausti per una parte che equivale alla quota di mercato nel precedente anno solare. Il decreto ha fissato una scaletta. Entro il 2011 il 25 per cento pneumatici esausti deve essere recuperato rispetto al quantitativo immesso nel 2010. Entro il 2012, l'80 per cento e dal 2013 il 100 per cento di recupero rispetto al quantitativo immesso nell'anno solare precedente. In questo modo dovrebbero diminuire gli introiti per il «mercato nero», che determina non solo vere e proprie bombe ecologiche pronte a scoppiare, ma anche ammanchi nelle casse dello Stato e delle aziende che operano onestamente;
per gli analisti di «Copertone Selvaggio 2011» la perdita economica per il bilancio statale è fra i 140 e i 170 milioni di euro solo per il mancato gettito di Iva sulle vendite di pneumatici e una decina di milioni di euro per il mancato pagamento sulle attività di trattamento dei pneumatici e sugli smaltimenti. I mancati ricavi degli impianti costretti a lavorare a regime ridotto possono quantificarsi in 30 milioni di euro mentre gli eventuali costi di bonifica delle 1.334 discariche abusive di pneumatici sequestrate tra settembre 2005 e 2011 oscillerebbero fra i 400 e i 500 milioni. Gli inquirenti stanno sequestrando discariche illegali a ritmo serrato. Solo nell'ultimo anno, ne sono state individuate 286 ed è stato calcolato che l'area «virtuale» occupata sarebbe di 822 mila metri quadri. Un dato che sale a circa 7 milioni se si considera il periodo dal 2005 ad oggi. L'attività giudiziaria, nel tempo, ha portato all'emissione di 58 ordinanze di custodia cautelare, alla denuncia di 413 persone e al coinvolgimento di 122 aziende. Le inchieste hanno riguardato 16 regioni italiane con collegamenti in otto Paesi stranieri dove le ecomafie facevano soldi a palate. In Italia, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, regioni dove le mafie sono, purtroppo, radicalmente presenti, occupano le prime posizioni della classifica. In queste ultime, infatti, sono stati scoperti nell'ultimo anno 234 siti illegali estesi per 650 mila metri quadrati (l'81,8 per cento di quelli scoperti in Italia). La Campania è la regione dove se ne sono scoperti di più, 98 (il 34,3 per cento del totale nazionali La Sicilia, è al secondo posto con 53 siti (121.800 metri quadrati), seguono la Calabria con 45

(129.650 metri quadrati) e la Puglia con 38 (217 mila metri quadrati);
proprio in questa regione c'è la provincia «maglia nera» per discariche sequestrate nell'ultimo anno: Lecce. Con 28 siti individuati per 131 mila metri quadrati; al secondo posto, con 24 discariche illegali scoperte ma una superficie di poco superiore ai 50 mila metri quadrati, figura Caserta, seguita da Salerno con 23 siti, Napoli (20) e Benevento (17). In queste ultime città, secondo il rapporto di Ecopneus, i copertoni esausti vengono usati come combustibile per appiccare i roghi nelle discariche abusive. «Questo smaltimento illegale», spiegano gli analisti del rapporto, «è diventato il simbolo dell'ecomafia campana, dove gli "inceneritori" a cielo aperto della camorra bruciano tutto il giorno, cancellano le tracce degli scarichi illegali e lasciano spazio a nuovi conferimenti. I vecchi copertoni servono da letto di combustione e miccia per alimentare i roghi di cumuli di scorie di ogni tipo scaricati sulle strade, nei campi coltivati, nelle cave abbandonate e dati alle fiamme per 50-100 euro a carico. Il lavoro sporco, spesso, lo fanno giovani immigrati, pagati pochi spiccioli, mentre i clan senza sporcarsi le mani fanno i broker: trovare clienti e offrire servizi» -:
quali iniziative, anche normative il Ministro intenda adottare al fine di realizzare ed applicare tempestivamente una filiera controllata anche per lo smaltimento di copertoni dismessi.
(4-14107)

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
alla domanda se sia possibile risolvere la dicotomia che si è creata tra le esigenze alimentari della popolazione mondiale, sopratutto quelle dei paesi emergenti, e quelle energetiche del mondo industrializzato, che ha bisogno di quantità crescenti di carburanti, soprattutto biocarburanti, sta cercando di dare una risposta il settore della nutri-energetics, nel quale convergono gli interessi delle industrie nutraceutica (combinazione di «nutrizionale» e «farmaceutica»), alimentare, biotecnologica e di quella delle energie rinnovabili. Sebbene sia appena agli albori, si tratta di un compartimento industriale che fa già sognare gli operatori economici e i guru dell'innovazione, tanto che c'è chi sostiene che potrebbe rendere obsoleto lo sfruttamento delle derrate alimentari per la produzione dei biocarburanti. E non solo: potrebbe anche trasformare le biomasse di scarto dell'industria energetica e i rifiuti dell'industria alimentare in prodotti nutraceuticali dalle caratteristiche curative, in proteine per l'alimentazione umana (o animale) e in fertilizzanti biologici; per ora si tratta di esperienze pilota dal valore finanziario difficilmente quantificabile, ma non per questo sono meno significative, soprattutto se si tiene conto che l'industria nutraceutica - che ha visto la luce solo qualche anno fa - entro il 2015 è destinata a raggiungere i 250 miliardi di dollari di fatturato. Un recente rapporto del Wall Street Journal sostiene inoltre che si tratta di settori che svolgeranno un ruolo trainante nel nuovo modello di sviluppo ecocompatibile e rinnovabile al quale puntano i paesi avanzati in questo crepuscolo di recessione economica;
non si tratta necessariamente di esperienze startup, come ci si potrebbe aspettare da questo tipo di innovazioni. In molti casi a prendere l'iniziativa sono aziende multinazionali come l'olandese DSM o la BP Alternative Energy Ventures, che hanno annunciato un finanziamento alla Verdezyne, uno dei leader del settore, per cominciare a produrre acido adipico - composto usato tra l'altro anche per produrre lubrificanti industriali e moquette - dalla fermentazione della biomassa di rifiuti generata producendo etanolo. Lo stesso prodotto si ottiene tradizionalmente dalla raffinazione del petrolio. Un'altra esperienza è quella della brasiliana Amyris, anche lei nel settore dei biocarburanti, che dalla biomassa di scarto dei suoi distillati ha deciso di estrarre farnesene, un isomero che può essere usato

come base per cosmetici biologici e che in natura viene sintetizzato come anti parassitario da alcune specie di patate. Simili anche le esperienze delle statunitensi Aurora Algae e la Cellana. Le due aziende, che operano nel settore dei biocarburanti ricavati dalle alghe, dai loro scarti estraggono nutraceuticali che possono essere usati come integratori dietetici e cibo per l'acquacoltura, mentre l'italiana AgrOils Technologies (settore biodiesel) ha sviluppato, in collaborazione con la Creagri, un metodo per l'estrazione di principi biologici attivi dalle scorie di una pianta tropicale - la Jatropha curca - che gli rimangono per le mani dopo averne estratto gli oli per la produzione di biocarburanti. Non solo: mentre prima del trattamento le scorie erano tossiche, dopo la lavorazione della AgrOils diventano utilizzabili per produrre proteine per l'alimentazione umana ed animale;
secondo Heather Youngs, analista bioenergetica dello Energy Bioscience Institute della Berkeley University, si tratta di un trend destinato a durare: «È un buon metodo per risolvere il problema della gestione dei rifiuti, uno dei problemi più pressanti e costosi di quest'industria», ha affermato la Young. «Quei sottoprodotti - continua - hanno una profittabilità maggiore del biodiesel che invece tende a produrre profitti molto bassi, sopratutto tenendo conto del fatto che l'industria degli integratori dietetici e quella cosmetica sono costantemente alla ricerca di nuovi ingredienti per creare cibi e bevande funzionali e nuovi prodotti per la cura della persona». Anche l'industria biofarmaceutica sta puntando sui composti ricavati dai coprodotti dell'industria agricola. Un recente rapporto del bimestrale Pharma, il maggiore periodico scientifico dell'industria farmaceutica mondiale, sosteneva la validità dell'uso dell'idrossitirosolo e delle catechine - due classi di molecole che si possono estrarre dai rifiuti dell'olio d'oliva e dalla lavorazione degli scarti delle pere, delle pesche e delle mele - nella lotta ai superbatteri che stanno causando la gran parte delle contaminazioni alimentari del nostro tempo, batteri che sono immuni all'uso dei normali antibiotici a largo spettro che si usano in questi casi;
il problema dell'utilizzo dei coprodotti è particolarmente sentito dall'industria agricola e da quella alimentare, che hanno a che fare con quantità crescenti e difficilmente gestibili dei derivati del loro processo produttivo. Per fare un esempio, le acque di scarico per la produzione dell'olio d'oliva, solo nel bacino del Mediterraneo, superano i cinque miliardi di litri annuali. Come confronto, si pensi che l'incidente della DeepSea Horizon ha sversato «solo» 651 milioni di litri di petrolio nell'Atlantico. In California, per affrontare questo problema di recente s'è costituito un consorzio di aziende ed istituti accademici. Le soluzioni esaminate variano dalla liofilizzazione della biomassa alla loro digestione in una camera di fermentazione. Sistemi che, oltre a creare le condizioni ideali per l'estrazione di molecole utili al sistema cardiovascolare e digerente, permette anche di produrre gas naturali per il consumo energetico -:
quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di avviare anche in Italia un'équipe di ricercatori che siano in grado di studiare le possibilità di utilizzo dei prodotti nutri-energetics, risultanti dal particolare riciclo di biomasse di scarto.
(4-14108)

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
in tutto il mondo, ogni anno, si producono 53 milioni di tonnellate di e-waste, cioè di rifiuti elettronici, di cui solo il 13 per cento viene riciclato; in questi rifiuti sono presenti quantità enormi di piombo, arsenico, berilio e cobalto che avvelenano la terra e l'acqua. Qualche giorno fa Greenpeace ha presentato la sua ecoguida online ai prodotti elettronici, confrontando i principali produttori di cellulari, televisioni e pc in fase alle loro politiche e al loro operato sulla

riduzione dell'impatto sul clima e sulla sostenibilità della filiera. È risultato che Hp è la più virtuosa. Mentre Rim (Blackberry), Lge, Acer, Toshiba e Sharp sono le big company più arretrate in materia di politica ambientale. Se si guarda però alla composizione dei raee (i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) prodotti dall'Unione europea, la quota più alta (30 per cento) risulta essere ancora quella degli elettrodomestici, seguita dai frigoriferi (20 per cento). Poi i dvd, i cd (15 per cento) a pari merito con i computer e i telefonini. Dati alla mano - le statistiche sono delle Nazioni Unite e di qualche anno fa - ci si rende conto dunque che le cifre relative all'elettronica potrebbero essere triplicate, senza che nessuno abbia il reale polso della situazione. Solo in Europa infatti il tasso di crescita dei raee è del 3-5 per cento l'anno;
quando si parla di e-waste una delle questioni più scottanti sono le discariche abusive. A far luce su questa situazione, spesso sottovalutata dagli operatori del settore, è stata anche una ricerca promossa dall'Anci e dal centro coordinamento Raee, diffusa nei giorni scorsi alla rassegna Ecomondo di Rimini. Su un campione di 211 centri di raccolta sul territorio nazionale, è emerso che il 70 per cento ha subito effrazioni nei primi nove mesi del 2010; i compressori dei frigoriferi, per esempio, sono tra i più gettonati per il traffico illecito dei Raee. Senza queste parti rubate, i rifiuti elettronici diventano spesso inutili per un corretto recupero e riciclo. Stando ai dati del campione, il 21 per cento dei frigoriferi è stato privato di qualche elemento con un valore economico rilevante, così come il 13 per cento di monitor e televisori e l'11 per cento delle lavatrici;
dall'Italia si passa alla Colombia. Il 21 ottobre 2011 a Cartagena, alla decima conferenza delle parti della convenzione di Basilea sullo smaltimento dei rifiuti tossici, 187 Paesi hanno ribadito l'impegno a promulgare leggi che regolino e limitino la produzione di e-waste. In questi anni la convenzione di Basilea ha consentito numerosi progressi a livello internazionale, tuttavia, sussistono ancora lacune nell'attuazione delle disposizioni internazionali e molti degli Stati più sviluppati - e dunque più attivi quando si tratta di produrre Raee - hanno sottoscritto la convenzione con riserve interpretative invocando il diritto di navigazione o la sovranità territoriale. Con il risultato che l'Interpol dal 2005 a oggi nei porti europei continua a scoprire pattumiere elettroniche in partenza verso l'Africa e l'Asia in modo del tutto illegale. Le stime parlano di una quota di materiali tossici pari all'80 per cento del totale smaltita nel Sud del mondo, in violazione ai trattati internazionali. E spesso il tutto viene mascherato da interventi di aiuto umanitario o di recupero dei materiali esausti;
altro strumento che permette alla rete di vigilare è la mappa delle rotte di smaltimento. A stilarla sono stati Toxipedia e Google che hanno deciso di fare qualcosa per la salute degli abitanti dei Paesi africani. Eclatante è l'esempio del Ghana. A fine ottobre ad Accra, vicino a una discarica illegale, a ridosso di una scuola e di un mercato, sono stati rinvenuti livelli di piombo e di cadmio cinquanta volte superiori ai limiti. Un pericolo enorme per la salute. Così perfino il governo ghanese ha dovuto annettere il problema e promettere di prendere provvedimenti. Dall'Africa si passa all'Asia. Secondo il Philippine board of investment, più di 1.200.000 oggetti di seconda mano proveniente da più parti del mondo sono stati portati in discariche filippine facendo aumentare vertiginosamente i casi di tubercolosi e di tumori tra ragazzini e adulti, in seguito al contatto o all'esposizione con i materiali di cui l'elettronica si serve. Un'indagine dell'Onu ha riscontrato poi la presenza di container carichi di apparecchi elettronici provenienti da Paesi Bassi, Germania, Corea del Sud e Svizzera e scartati a mani nude dai bambini locali, provocando loro irritazioni. E, ancora, nel 2006 al porto di Abidjan, in Costa d'Avorio, una nave portacontainer olandese, la Trafigura Beheer BV, con il suo carico di rifiuti elettronici ha provocato la morte di

dieci persone ammalatesi dopo aver scaricato quei rifiuti. In Cina, infine, Paese industrializzato e mercato dei rifiuti nocivi, nel villaggio di Guiyu sette bambini su dieci nascono con problemi neurologici per troppo piombo nel sangue. Notizie che parlano da sole e che corrono sul web proprio attraverso quei telefonini e computer il cui smaltimento illegale è responsabile di così tante sofferenze -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare, sulla base anche dei risultati degli studi sopraccitati, al fine di vigilare sulle discariche abusive italiane di rifiuti elettronici, nonché sul loro rapido smantellamento, avviando un riciclo consapevole e responsabile degli stessi.
(4-14115)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nel quadro macroeconomico degli ultimi sei mesi - l'intervallo di tempo che intercorre dall'ultimo Rapporto di previsione/AFO - due tratti sembrano essere emersi con indiscutibile nitidezza: il primo è che la ripresa internazionale, pur con suoi differenziati e specifici connotati, ha guadagnato momento; il secondo è che essa ha trovato una nuova e potente minaccia nelle turbolenze innescate dalle crisi sovrane le quali cambiano in misura decisiva timing e caratteristiche delle strategie di uscita dalle politiche fiscali e monetarie espansive imposte dalla grande crisi del 2007-09. Nella lettura offerta dal rapporto AFO (ABI financial outlook), la nuova fase di incertezza non si traduce in un ritorno alla recessione, ma, almeno per i Paesi dell'area dell'euro e per l'Italia, in una prospettiva di ripresa a medio termine meno forte di quanto precedentemente atteso;
in Italia il Pil dopo una perdita cumulata pari a 6,5 punti percentuali nel biennio 2008-09 dovrebbe crescere dello 0,9 per cento quest'anno e di poco oltre nel 2011-12 (+1,2 per cento in entrambi gli anni). Solo di qualche decimo di punto in più crescerebbe l'intera zona euro. Essendo questi i mercati di più diretto interesse per la performance dell'industria bancaria italiana, i nuovi sviluppi congiunturali attenuano il recupero delle attività bancarie prefigurato nel precedente rapporto; tale recupero comunque si conferma. Nell'anno in corso il conto economico dovrebbe mostrare un modesto miglioramento (+1,5 per cento l'utile netto) che non permetterà però di recuperare le perdite registrate nel 2009 (-29 per cento). Solo a partire dal 2011 il miglioramento della redditività assumerebbe consistenza, con il Roe che si collocherebbe al 3,6 per cento (2,8 per cento nel 2009) per raggiungere il 4,5 per cento nel 2012. I dati sull'andamento del Pil nel primo trimestre 2010 e le informazioni a più elevata frequenza sulle dinamiche di domanda e offerta aggregate confermano la diversa velocità con cui le principali aree geografiche del mondo stanno uscendo dalla grande crisi. Ad un estremo si collocano i Paesi emergenti che - guidati da Cina ed India con tassi di sviluppo del 12 e 11 per cento rispettivamente - evidenziano una ripresa robusta e veloce. Nel mezzo vi sono gli Stati Uniti che mostrano una buona capacità di recupero e tassi di crescita che in questa fase di rebound non sembrano discostarsi molto da quelli potenziali. All'estremo inferiore troviamo la zona euro che sta tornando a crescere ma a tassi relativamente contenuti rispetto a quelli sperimentati in media nella fase ante crisi e sui quali incombe, soprattutto, la pesante alea generata dalla crisi greca;
nell'Eurozona tra il quarto trimestre del 2009 e i primi tre mesi del 2010 il Pil è cresciuto complessivamente dello 0,3 per cento. È proseguito il recupero della produzione industriale e della fiducia delle imprese mentre più incerto è apparso il mood dei consumatori, a cui contribuisce la situazione ancora critica del mercato

del lavoro, con un tasso di disoccupazione che ha stazionato negli ultimi mesi sul 10 per cento. Gli sviluppi non appaiono omogenei all'interno dell'area. Una situazione certamente migliore è quella che riguarda la Germania e la Francia. L'economia tedesca ha proseguito a crescere, seppur a tassi contenuti, anche nel quarto trimestre del 2009 e nei primi tre mesi del nuovo anno (+0,3 per cento l'incremento in termini cumulati), trainata principalmente dalla bilancia commerciale e dall'accumulo di scorte. L'economia francese, in crescita del +0,6 per cento t/t nel quarto trimestre dello scorso anno, ha mostrato solo un lieve incremento nei primi tre mesi del 2010, grazie soprattutto alla forte crescita delle esportazioni. Decisamente più critica si presenta la situazione dell'economia spagnola. La Spagna è uscita ufficialmente dalla recessione solo nel primo trimestre di quest'anno (dopo un anno e prezzo di contrazione del Pil), mostrando nei primi tre mesi del 2010 una crescita congiunturale pressoché nulla (+0,1 per cento t/t). La crisi dei conti pubblici spagnoli si innesca in un quadro congiunturale che vede la Spagna in una situazione sicuramente peggiore rispetto a quella degli altri partners europei, con un tasso di disoccupazione ormai prossimo al 20 per cento e una produzione industriale che non dà ancora segnali di ripresa;
il Pil italiano, dopo aver chiuso il 2009 con una nuova lieve caduta (-0,1 per cento t/t), ha registrato nei primi tre mesi del 2010 una crescita del +0,4 per cento t/t (1,7 per cento in ragione d'anno), superiore a quello ottenuta nel complesso dell'Eurozona. La ripresa è stata guidata dalle esportazioni (+21 per cento annualizzato) e, in misura minore, dagli investimenti (+2,4 sempre in ragione d'anno), presumibilmente stimolati non tanto e non ancora da un processo innescato dal recupero delle esportazioni quanto piuttosto dagli incentivi fiscali. L'andamento del primo trimestre determina contabilmente sul 2010 un effetto di trascinamento (crescita acquisita) di mezzo punto: tale sarebbe, infatti, la crescita che si avrebbe se nei restanti tre trimestri il prodotto restasse ai livelli raggiunti a marzo. Il rimbalzo del primo trimestre va prevalentemente ascritto alla bilancia commerciale (+0,4 p.p. il suo contributo alla crescita congiunturale) che ha beneficiato di un ritorno delle esportazioni (con variazioni annue del -0,4 per cento tra ottobre e dicembre e +5,3 per cento nei tre mesi successivi). In percentuale del Pil, il disavanzo delle partite correnti, in riduzione nel corso del 2009 (2,4 per cento nel quarto trimestre), è tuttavia nuovamente aumentato a inizio 2010 al 3,3 per cento. Gli ultimi dati congiunturali segnalano buone notizie sul fronte delle attività industriali: l'indice della produzione sta proseguendo il suo recupero (tra dicembre e maggio è salito complessivamente del 4,3 per cento), mentre la fiducia delle imprese sta continuando a crescere, tornando sui livelli dell'estate del 2008 (prima dell'acuirsi della crisi). Non altrettanto positive sono le notizie riguardanti la fiducia dei consumatori, il cui indice ha mostrato un nuovo calo a inizio anno. Il rilancio dell'attività economica non ha ancora avuto effetti rilevanti sul mercato del lavoro, anche se i dati più recenti mostrano un qualche iniziale arresto della perdita di posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione ha continuato d'altra parte a crescere, stabilizzandosi all'8,7 per cento con l'ultimo dato di maggio. I leading indicator dell'OCSE segnalano come nei primi mesi del 2010 il ciclo economico abbia raggiunto in Italia il suo punto di picco;
secondo l'AFO, gli sviluppi congiunturali nell'area euro sono stati, e saranno ancor più nei prossimi trimestri, pesantemente condizionati dalle nuove turbolenze connesse con la crisi dei debiti pubblici e dalle manovre fiscali restrittive varate nei principali Paesi membri. Da gennaio 2010, infatti, una possibile crisi sovrana in Grecia ha messo in allarme i mercati finanziari. Le preoccupazioni si sono spostate sulle altre economie cosiddette PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna), ed in particolare su Spagna e Portogallo. Per questi Paesi, gli spread rispetto al bund tedesco sono aumentati e anche il prezzo dei CDS ha registrato revisioni al rialzo.

La situazione è peggiorata notevolmente il 27 aprile quando l'agenzia di rating S&P ha declassato il debito pubblico della Grecia, del Portogallo e, un giorno dopo, della Spagna. Le istituzioni europee e internazionali sono state colte in certa misura di sorpresa da un possibile default da parte di uno o più Paesi aderenti all'euro. Dopo mesi di contrattazioni, il 2 maggio, l'Unione europea e il Fondo Monetario Internazionale hanno annunciato un piano di supporto al Governo greco per circa 110 miliardi di euro. Tuttavia, le tensioni non sono diminuite, come testimoniano l'andamento degli spread sui titoli pubblici e sui CDS. Al contrario, nella prima settimana di maggio, la crisi greca si è estesa ad altre nazioni europee. Gli spred sui titoli governativi e sui CDS hanno registrato nuovi massimi per i paesi ritenuti più fragili dell'euro zona. I mercati azionari hanno riportato ingenti perdite e l'euro si è svalutato nei confronti del dollaro. Il mercato dei titoli pubblici di Spagna, Portogallo e Irlanda ha registrato una marcata riduzione della liquidità. Al crescere del rischio sovrano, il mercato ha rivolto attenzione crescente alle esposizioni dei singoli sistemi bancari europei nei confronti delle economie maggiormente a rischio. I problemi europei si sono riflessi anche sui mercati internazionali azionari e delle commodities che, dopo un periodo relativamente positivo, hanno riportano marcate correzioni;
per il complesso dell'area euro l'esercizio di previsione di AFO, prefigura una crescita del Pil pari all'1,2 per cento nell'anno in corso, dopo la forte caduta registrata nel 2009 (-4,1 per cento), e solo leggermente più alta nel successivo biennio (+1,3 per cento). I rischi sulla tenuta dei conti pubblici di alcuni paesi dell'area peseranno infatti sulle capacità di crescita dell'intera Eurozona. Per i consumi privati si prevede una crescita dello 0,2 per cento, 0,4 per cento per il 2011 e 0,3 per cento nel 2012. Per gli investimenti un'ulteriore flessione per l'anno in corso (-1,8 per cento) dopo il già deludente risultato del 2009 (-11 per cento). Solo a partire dal 2011 dovrebbe segnarsi un'inversione di tendenza, con una crescita degli investimenti che sarebbe in ogni modo contenuta (+1,5 per cento nel 2011, +1,7 per cento nel 2012). La ripresa del prodotto mondiale, e conseguentemente degli scambi commerciali internazionali ulteriormente favorito dalla svalutazione dell'euro, comporterà per l'anno in corso una buona performance delle esportazioni (+8,8 per cento nella 2010, +6 per cento nella media 2011-12), migliore di quella delle importazioni che nell'intero triennio di previsione crescerebbero sempre meno dell'export. Il Pil italiano dovrebbe continuare a crescere anche nei prossimi trimestri fino a registrare in media d'anno una variazione del +0,9 per cento per l'anno in corso e del +1,2 per cento per il prossimo. Nel triennio di previsione lo scarto di crescita dell'Italia rispetto all'area Euro assommerebbe, cumulativamente, a circa mezzo punto percentuale. Nel quadro di crescita delineato, il tasso di disoccupazione è previsto ancora in aumento sia nel 2010 che nel 2011, anno in cui dovrebbe attestarsi sul 9 per cento (7,8 per cento nel 2009). A partire dal 2012, però, si dovrebbe finalmente segnare un'inversione di tendenza con una flessione di 2 decimi di punto, all'8,8 per cento -:
quali interventi i Ministri intendano adottare, sulla base delle previsione dell'AFO, al fine di rilanciare l'economia del nostro Paese, creando anche le possibilità per l'effettivo impiego dei giovani all'interno del nostro sistema lavorativo.
(4-14112)

TESTO AGGIORNATO AL 22 DICEMBRE 2011

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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

LENZI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel 2001, al fine di affrontare e tentare di arginare il fenomeno del sovraffollamento nelle carceri, si decise di rafforzare l'applicazione della misura cautelare

degli arresti domiciliari attraverso l'utilizzo del cosiddetto «braccialetto elettronico»;
si tratta di uno strumento, già molto diffuso in altri Paesi, che servirebbe, oltre a garantire la sicurezza ed il rispetto della detenzione domiciliare da parte dei detenuti utilizzando un sistema di controllo a distanza, anche ad apportare un significativo risparmio per le casse dello Stato;
venne sottoscritto a tal fine un contratto con la Telecom Italia spa per la fornitura in esclusiva dei predetti braccialetti e di tutti gli apparati necessari al relativo controllo;
il costo della fornitura risulterebbe essere stato di 11 milioni di euro all'anno, regolarmente erogati, per una durata minima di 10 anni, ma il numero di braccialetti utilizzati dal 2001 al 2011 sarebbe stato di poche unità all'anno, proprio in virtù dei dubbi connessi al loro funzionamento;
con un calcolo a spanne ciascun braccialetto avrebbe un costo di circa un milione di euro all'anno: se tutte le cifre citate rispondessero al vero ci troveremmo di fronte ad uno spreco di denaro pubblico enorme, in un settore strategico per il Paese come quello della Giustizia, e che peraltro appare privo delle risorse essenziali per un suo corretto funzionamento -:
se risponda al vero che uno strumento come il braccialetto elettronico, considerato così utile per la risoluzione di alcuni degli annosi e gravi problemi che affliggono il comparto giustizia, in particolare il sistema carcerario, e sul quale lo Stato investe comunque, da anni, ingenti risorse economiche, abbia dei problemi tecnici di funzionamento tali da non poter essere risolti nel corso di tutto questo tempo, anche considerando il continuo progresso delle tecnologie e quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di renderlo funzionante il più rapidamente possibile.
(5-05781)

MOTTA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 1, comma 2, del decreto- legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari» ha delegato il Governo ad adottare, entro dodici mesi, uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
in particolare, il citato articolo prevede la riduzione degli uffici giudiziari di primo grado, ferma restando la necessità di garantire la permanenza del tribunale ordinario nei circondari dei comuni capoluogo di provincia, nonché la riduzione delle sezioni distaccate di tribunale;
la sezione distaccata di Fidenza del tribunale di Parma, che svolge circa il 30 per cento dell'intera attività giudiziaria della provincia di Parma, esercita la propria giurisdizione su un bacino di 15 comuni dell'area appenninica e ad ovest del fiume Taro con una popolazione di circa 104.000 abitanti;
tra gli obiettivi della sopraccitata delega al Governo figura anche quello di «ridefinire, anche mediante l'attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi, l'assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane»;
in più occasioni le istituzioni cittadine e l'ordine degli avvocati hanno espresso la necessità che venisse istituita a Parma una sede distaccata della corte d'appello di Bologna. Parma infatti si trova in una posizione centrale rispetto

all'Emilia occidentale (province di Parma, Piacenza e di Reggio Emilia): si tratta di un'area di oltre 8.300 chilometri quadrati e con circa 1.200.000 abitanti, dimensioni territoriali e demografiche superiori a quelle di competenza di numerose corti d'appello e sezioni distaccate delle stesse già esistenti. Cifre attendibili stimano in circa 2.000 il carico di ricorsi annui per la sezione distaccata -:
se il Governo, nella stesura del decreto legislativo di riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, non ritenga di escludere la sezione staccata di Fidenza del tribunale di Parma da un'eventuale soppressione, alla luce della non trascurabile rilevanza che detta sezione distaccata riveste nell'amministrazione della giustizia nel territorio provinciale;
se nelle more dell'adozione del decreto legislativo sopraccitato, non ritenga di valutare concretamente la possibilità di istituire in Parma una sezione distaccata della corte d'appello di Bologna in considerazione della posizione baricentrica della città emiliana nel territorio regionale e del consistente bacino di utenza nei confronti del quale la sede medesima rivolgerebbe la propria attività.
(5-05783)

Interrogazioni a risposta scritta:

BURTONE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto previsto dal decreto ministeriale n. 145 del 2011 è stato introdotto, oltre agli obblighi formativi già previsti dalla disciplina entrata in vigore nel mese di marzo, l'obbligo di un tirocinio «assistito», con la partecipazione del neo mediatore ad almeno 20 atti di conciliazione in un biennio, prima di poter operare;
ad avviso dell'interrogante, non si possono cambiare le regole, mettendo ulteriori paletti. Chi ha deciso di conseguire l'attestato di mediatore lo ha fatto sapendo che avrebbe potuto operare da subito e che aveva soltanto un obbligo di aggiornamento biennale;
il dato che emerge in modo evidente, a giudizio dell'interrogante, è che allo stato attuale si è trattato di un business per gli organismi di formazione dei mediatori -:
se non ritenga urgente fare chiarezza sulla questione e bloccare la proliferazione di regole, non finalizzate alla efficienza della mediazione civile, con l'emanazione di un decreto esplicativo che permetta di consolidare, senza ulteriori problemi, la mediazione civile utile ad alleggerire il carico di lavoro dei tribunali.
(4-14124)

BOCCUZZI, GIULIETTI, DAMIANO, RIA, ANGELA NAPOLI, DI BIAGIO, SCANDEREBECH, GRANATA, MURGIA, MALGIERI, CAZZOLA, VERNETTI, ANTONINO FOTI, VINCENZO ANTONIO FONTANA, TRAVERSA, PAGLIA, SCAPAGNINI, PIFFARI, PALOMBA, PISICCHIO, NICCO, BINETTI, MAZZUCA, CUOMO, CUPERLO, GRAZIANO, MISITI, MOSELLA, GIOVANELLI, ALLASIA, PEZZOTTA, CALGARO, GINOBLE, BRANDOLINI, CHIAPPORI, ZAZZERA, DELFINO, NICOLA MOLTENI, GINEFRA, CATANOSO GENOESE, CAVALLOTTO, BERRETTA, GNECCHI, BELLANOVA, SCHIRRU, RAMPI, PORTAS, D'INCECCO, CAUSI, MARCO CARRA, MISIANI, TRAPPOLINO, NACCARATO, MATTESINI, GRASSI, MIGLIOLI, GATTI, LUCÀ, FIORIO, FIANO, BOBBA e CODURELLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 15 aprile 2011 si è concluso il processo di primo grado svolto in corte d'assise, per il rogo accaduto il 6 dicembre 2007, nel quale persero la vita sette lavoratori;
il processo in questione ha avuto tempi contenuti rispetto alla complessità della vicenda;
l'intero corso del procedimento è stato caratterizzato dall'intreccio delle elevate competenze tra magistratura, corpi specializzati e ricercatori universitari;
il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello è universalmente riconosciuto come un solido e fondamentale punto di riferimento per chi opera nel settore della prevenzione e del contrasto agli infortuni e alle morti sul lavoro;
nel corrente anno, a differenza degli anni precedenti si sta verificando un'inversione di tendenza rispetto agli ultimi, con un sensibile incremento del numero sia delle morti che degli infortuni;
la crisi che ha colpito il Paese, ad avviso degli interroganti ha influito sulla riduzione degli infortuni che si è verificata, in ragione dell'elevato numero di lavoratori posti in cassa integrazione o che hanno perso il lavoro;

il procuratore Guariniello intervenendo sul tema degli infortuni, molte volte ha sottolineato l'importanza dei risultati raggiunti subordinando la stessa ad un lavoro meticoloso e puntuale che si può svolgere solo con un gruppo di lavoro preparato, proponendo la nascita di una procura nazionale sugli infortuni, la creazione di nuclei specializzati di magistrati ed investigatori che sanno come lavorare ed intervenire appena accade un infortunio, delle task force organizzate che abbiano rapporti con tecnici universitari competenti -:
se il Ministro, nei limiti delle sue prerogative, intenda valutare questa proposta, discuterla con gli altri dicasteri competenti e sottoporla all'attenzione dei competenti organismi di autogoverno, assumendo iniziative normative nel senso da essa auspicato.
(4-14126)

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
da notizie di stampa e dalle informazioni contenute sul sito di Trenitalia si deduce che, con il nuovo orario ferroviario invernale, da lunedì 12 dicembre 2011, un'ulteriore mannaia potrebbe investire i servizi sulla media e lunga percorrenza penalizzando pesantemente i pendolari; tali servizi sono regolamentati con il contratto di servizio per il periodo 2009/2014 sottoscritto da Ministeri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti con la società Trenitalia nel giugno del 2011;
i servizi di utilità sociale, altrimenti chiamati servizio universale, sono parte integrante del suddetto contratto di servizio ed è specifico compito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti verificarne il rispetto;
se troveranno conferma le ipotesi in merito ad una riclassificazione e soppressione di alcuni intercity (IC) ed eurostar (ES City) strategici si penalizzerebbero interi territori colpiti dalla diminuzione del servizio sia per quanto attiene ai flussi legati al lavoro ma anche per quelli legati al turismo, con inevitabili ripercussioni negative che renderebbero più gravi gli effetti delle crisi degli ultimi anni;
in particolare, l'intenzione di Trenitalia sembrerebbe quella di sopprimere diversi treni della lunga percorrenza, di sopprimere numerose fermate per i treni eurostar (ES City), unitamente alla totale incertezza sulla futura programmazione dei treni intercity (IC);
nel territorio nazionale i servizi della lunga percorrenza, intercity (IC) ed eurostar (ES City), si integrano e fanno sistema con i servizi di competenza del trasporto regionale; la riclassificazione e la soppressione di molti intercity (IC) ed eurostar (ES City) strategici mettono in forte sofferenza i territori regionali e determinano inevitabili pressioni da parte dei cittadini che utilizzano tale servizio e che chiedono servizi ferroviari sostitutivi, di pari livello, alle regioni i cui bilanci sono in fortissima difficoltà per i pesanti tagli al trasporto pubblico locale effettuati negli scorsi anni e di cui ben 1.181 milioni di euro destinati al servizio ferroviario svolto da Trenitalia;
le conseguenze di tali tagli sono insostenibili: si prospetta un forte ridimensionamento del servizio; l'azzeramento degli investimenti in materiale rotabile; l'aumento delle tariffe, oltre a quelli già intervenuti nel corso del 2011 e in misura socialmente insostenibile; l'esubero di migliaia di dipendenti del comparto con gravi ricadute sul sistema sociale ed economico del territorio, sugli utenti, sulla congestione e sull'inquinamento; si prevedono effetti significativi anche sull'indotto, e in particolare sulle imprese di fornitura del materiale rotabile e su quelle di manutenzione

del servizio; si prospettano ulteriori costi anche in termini di contenzioso con le aziende ferroviarie e di trasporto pubblico locale, per il mancato rispetto dei contratti sottoscritti;
la scelta operata da Trenitalia sembrerebbe dettata prevalentemente da questioni connesse all'equilibrio di bilancio senza considerare in maniera appropriata le rilevanti esigenze di mobilità che dovrebbero parimenti essere tenute in considerazione nel guidare le scelte della società che è totalmente a capitale pubblico;
risulta che dall'11 dicembre 2011, Trenitalia abbia disposto di sopprimere il servizio cuccette e vagoni letto nei treni notturni che garantiscono il collegamento tra il Nord e il Sud del Paese, nonostante il servizio sia tuttora attivo e ampiamente fruito da oltre un milione e mezzo di viaggiatori all'anno, con un incremento della domanda del 12 per cento nel 2010; la decisione di Trenitalia, come denunciato dai sindacati, implica la perdita del posto di lavoro per oltre 800 lavoratori, tra addetti al servizio e lavoratori dell'indotto;
il servizio ferroviario di trasporto notturno è tuttora compreso nel perimetro dei servizi di utilità sociale e, come tale, rientra nell'ambito dei servizi «contribuiti»: sono questi i servizi con un livello di capillarità elevato, volti a soddisfare la domanda di mobilità più «debole», dislocata e frammentata sul territorio, con una limitata capacità a pagare;
nonostante le risorse scarse - e lo squilibrio tra costi e ricavi (inclusi tra questi, i contributi pubblici) - resta un servizio essenziale, anche in ragione delle alternative modali esistenti; l'insufficiente livello della domanda e la velocità commerciale più limitata (anche a motivo della caratteristiche dell'infrastruttura), il gap strutturale tra costi e ricavi non giustificano ulteriori riduzioni o tagli al servizio;
il decreto legislativo n. 68 del 2011, in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, con l'articolo 40 disciplina specificamente il trasporto pubblico locale, prevedendo, tra le altre cose che, al fine di garantire una integrazione straordinaria delle risorse finanziarie da destinare al trasporto pubblico locale il Governo promuova il raggiungimento di un'intesa con le regioni affinché, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 29, ultimo periodo, della legge di stabilità 2011 (legge n. 220 del 2010) sia prorogato sino al 31 dicembre 2012, l'accordo con le regioni di utilizzare per tali spese il Fondo sociale europeo per gli anni 2009-2010 e sia modificata la regola di riparto del concorso finanziario delle regioni alle spese previste dal programma comunitario;
a tale provvedimento non è stata data alcuna concreta attuazione;
il 27 ottobre la Camera dei deputati ha approvato svariate mozioni relative al sistema di mobilità pubblica con particolare riferimento alle risorse necessarie per il finanziamenti del trasporto pubblico locale; in particolare la mozione 1-00715 ha impegnato il Governo ad utilizzare le maggiori entrate accertate, rispetto a quelle iscritte in bilancio, derivanti dall'asta delle frequenze analogiche per reintegrare le risorse per il trasporto pubblico locale necessarie a garantire la continuità del servizio pubblico e superare la grave emergenza del momento, anche favorendo interventi per il rinnovo del parco circolante e ad assumere le necessarie iniziative normative coerenti con gli obiettivi e le finalità individuate a livello comunitario con il piano d'azione sulla mobilità urbana, nonché con le indicazioni delineate nel parere espresso dalla Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, approvato all'unanimità nella seduta del 21 luglio 2010, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, in occasione dell'esame del suddetto piano;
le associazioni e i comitati di pendolari di tutta Italia, affiancati da associazioni di consumatori e da organizzazioni

sindacali hanno deciso di rivolgere nuovamente al Governo il loro pressante appello per salvare il trasporto pubblico sperando in un diverso e positivo accoglimento delle loro istanze che provengono da milioni di cittadini di tutta Italia;
i pendolari sottolineano che togliere risorse al trasporto pubblico (treni, autobus, metropolitane, e altro) è un grave errore strategico poiché se da un lato viene limitato il diritto alla mobilità dei cittadini, dall'altro si aumentano i costi sociali legati a incidentalità, congestione ed inquinamento, si deprime l'economia e lo sviluppo economico e si causa un generale peggioramento della qualità della vita -:
quali iniziative normative di competenze intenda assumere il Governo al fine di disporre l'immediato reintegro delle risorse per finanziare il sistema della moralità pubblica, sia in riferimento al trasporto pubblico locale, le cui risorse sono state pesantemente decurtate alle regioni, sia in riferimento al servizio universale;
se la decisione di riclassificare e sopprimere alcuni treni a media e lunga percorrenza a partire dal nuovo orario invernale, possa compromettere gli obblighi di servizio pubblico cui è tenuta Trenitalia e quali iniziative intenda intraprendere per soddisfare le rilevanti esigenze di mobilità dei cittadini e non penalizzare ulteriormente i pendolari.
(2-01284)
«Velo, Meta, Lovelli, Ginefra, Boffa, Cardinale, Tullo, Fiano, Pierdomenico Martino, Realacci, Bratti, Morassut, De Torre, Esposito, Lulli, Vico, Fluvi, Pizzetti, Bordo, Mattesini, Nannicini, Sereni, Gatti, Murer, Fontanelli, Sani, Maran, Sposetti, Mariani, Ghizzoni, De Pasquale, Bellanova, Gnecchi, Motta, Marchignoli, Trappolino, Marchi, Marantelli».

Interrogazioni a risposta scritta:

LO MORO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nell'ottobre 2008, avendo raccolto sul territorio l'esigenza di uno svincolo autostradale con accesso diretto all'area industriale di Lamezia Terme, l'interrogante ha richiesto all'Anas spa che l'opera venisse valutata e inserita tra le priorità infrastrutturali per la Calabria nell'ambito della programmazione degli interventi previsti da Governo, Anas spa e regione, in coerenza con una logica di sviluppo nazionale e regionale finalizzata a valorizzare le potenzialità di attrazione produttiva e le infrastrutture logistiche presenti nell'area lametina in un'ottica di integrazione funzionale con il porto internazionale di Gioia Tauro;
le motivazioni di tali sollecitazioni sono tuttora valide e largamente condivise. La realizzazione dello svincolo, infatti, consentirebbe di eliminare considerevoli quote di traffico pesante dalla strada statale 18 nel tratto Sant'Eufemia Lamezia-Ponte dell'Angitola, legate anche agli importanti insediamenti turistici presenti nella zona, che determinano attualmente gravi pericoli per la sicurezza dei mezzi e delle persone testimoniati dai numerosi incidenti stradali, purtroppo anche mortali, che si sono verificati lungo la strada statale 18 nel corso degli anni, nonché di mitigare, mediante la riduzione dei tempi di percorrenza, l'impatto sul territorio delle centinaia di veicoli pesanti che quotidianamente transitano da e per l'area industriale per servizi offerti alle aziende insediate ed anche alle infrastrutture a carattere sovracomunale presenti nell'area;
con nota del 6 agosto 2009 il presidente Anas spa, ingegner Pietro Ciucci, nel riscontrare la missiva dell'interrogante, comunicava l'avvio da parte dell'ente di uno studio di fattibilità tecnica per la realizzazione dello svincolo autostradale A3 SA/RC per l'accesso diretto all'area industriale di Lamezia Terme, sottolineando

che la collocazione di un nuovo svincolo, in posizione baricentrica rispetto agli svincoli di Lamezia Terme e Pizzo Calabro, rappresentava una soluzione progettuale di indubbia valenza per il futuro sviluppo socio-economico del territorio lametino e per l'espansione dell'area industriale di Lamezia Terme;
nel settembre 2009, nel corso di un incontro a Lamezia Terme, il condirettore generale dell'Anas spa, Stefano Granati, nell'evidenziare il giudizio positivo espresso sul progetto dal presidente Ciucci, confermava che l'ente stava affrontando e valutando il progetto sia in termini tecnici che di fattibilità finanziaria;
nell'agosto 2010 Anas spa ha bandito l'appalto per i lavori di ammodernamento ed adeguamento del tratto autostradale della SA/RC compreso tra il chilometro 320 + 164 (svincolo di Lamezia Terme) ed il chilometro 331 + 400 (ponte sul torrente Rendace in comune di Curinga) per un importo complessivo di circa 88 milioni di euro, di cui 81,6 per lavori e 6,4 per oneri relativi alla sicurezza;
nei lavori appaltati, che riguardano anche l'area interessata dallo svincolo ipotizzato per l'accesso diretto all'area industriale, non è prevista la realizzazione dell'infrastruttura. Diventa perciò necessario decidere in via definitiva il da farsi, per evitare di dover reintervenire sulla stessa area per realizzare un'opera che sarebbe molto più conveniente ed opportuno eseguire contestualmente ai lavori già appaltati -:
se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra riferito;
se lo studio di fattibilità tecnica per la realizzazione dello svincolo autostradale A3 SA/RC per l'accesso diretto all'area industriale di Lamezia Terme sia stato ultimato e con quali risultati;
se e come si ritenga di intervenire per consentire la progettazione e la realizzazione dell'opera prima del completamento dei lavori appaltati dall'ANAS sullo stesso tratto autostradale.
(4-14114)

BITONCI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
organi di stampa locale (Mattino e Gazzettino di Padova) riportano la notizia secondo la quale alcuni treni locali che collegano Vicenza con la stazione di Padova evidenziano quotidianamente gravi disservizi e notevoli carenze; tali disservizi diventano ancor più evidenti, per gli utenti, che salgono da stazioni «secondarie» lungo il tragitto;
i quotidiani utilizzatori dei mezzi, principalmente studenti universitari e lavoratori pendolari, lamentano da diverse settimane, infatti, la carenza di idonee carrozze per il trasporto delle persone, cosicché i pochi vagoni a disposizione risultano sovraffollati ed oltre ad essere inadatti a trasportare un numero di passeggeri adeguato, mettono altresì a repentaglio la sicurezza di chi ne usufruisce;
negli ultimi giorni la problematica si è ulteriormente intensificata, con gravi ritardi lungo le linee coinvolte dal disservizio e con le proteste degli utilizzatori del servizio, che, come riportato a mezzo stampa, stanno valutando l'ipotesi di adottare significative forme di protesta -:
se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, adottare urgenti iniziative al fine di tutelare i cittadini coinvolti dai disagi sopra descritti.
(4-14125)

...

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:

CALEARO CIMAN, GIORGIO CONTE e SBROLLINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi è apparsa sui quotidiani la notizia riguardante le auto del 113, appartenenti alla questura di Vicenza, attualmente ferme in quanto guaste;

su otto auto Alfa 159 solo due allo stato attuale funzionano, mentre mancano i fondi per riparare le altre;
a causa di ciò, le due uniche auto a disposizione vengono utilizzate 24 ore al giorno (hanno già effettuato almeno 200 mila chilometri), mentre una parte del personale è costretta a viaggiare su altri modelli non blindati, con evidente rischio per la propria sicurezza;
a ciò si aggiunge la problematica situazione riguardante la carenza di personale nella medesima questura;
di recente alcune centinaia di nuovi agenti hanno concluso i corsi ed è stato disposto un cambio di sede per 1.200 poliziotti;
tuttavia, nessun arrivo è previsto a Vicenza dove l'età media del personale in servizio continua a salire ed il numero di agenti cala, anno dopo anno, per i pensionamenti;
è evidente come una situazione del genere non possa non generare gravi carenze nel controllo del territorio -:
se il Ministro non intenda assumere le iniziative di competenza stanziando le risorse necessarie affinché la questura di Vicenza sia messa in condizioni di svolgere il proprio lavoro e garantire la sicurezza di tutti i cittadini.
(5-05784)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
compresa tra la Lanterna e l'aeroporto Cristoforo Colombo, Sampierdarena, a Genova, è una storica enclave strappata all'assedio del dominante tifo genoano grazie alla sua storia diversa: qui nacque l'Uc Sampdoria, nel 1946, fondendo la Sampierdarenese e l'Andrea Doria, società dell'Ottocento, oggi, è un quartiere ad appannaggio di baby gang. I giovani che vi abitano provengono soprattutto dal Sud America; insieme alle loro famiglie hanno portato le loro abitudini nella città riservata e iniziato a cambiare i nomi dei quartieri. In seguito, però, sono arrivati gli scontri alla sudamericana: mazze da baseball, coltelli, forchette arrotate. A seguire gli omicidi, tre in sei anni. L'ultima rissa tra Latin e Diamantes sull'autobus numero uno in movimento ha sfondato un bus e terrorizzato i passeggeri. Bastoni tra le mani dei sudamericani sopra il mezzo, spranghe per chi stava sotto. Non è noto perché Genova, la città che non figlia più, ha conosciuto in anteprima il fenomeno delle pandillas, le bande latine. In questa città i sudamericani migranti hanno fondato alla fine dei Novanta, prima nel centro storico poi spostandosi per contagio verso Ponente, le gang-nazione ispirate alle città di provenienza: a Quito, a Medellin, a Puerto Rico e ancor più a Chicago, approdo delle bande negli anni Quaranta. Si autodefiniscono gang-nazione perché il cordone ombelicale - il paese di provenienza - è presente in ogni azione e nei riti: «Siamo un gruppo di persone, una raza, con un solo governo»;
grazie a un enorme flusso migratorio iniziato nel 1999 con il crollo dell'Ecuador dollarizzato (il 27 per cento delle persone lasciò il paese), a Genova si è sistemata la comunità ecuadoriana più grande d'Italia: ventimila persone. È di gran lunga il ceppo straniero più importante della città, da solo vale il tre per cento. La metà abbondante degli studenti forestieri, oggi, viene dall'Ecuador, e per loro Genova non ha molto da offrire. «Ho solo amici sudamericani ed è meglio così, non devo imparare una nuova lingua», dicono gli adolescenti: «Appena salgo sul bus i vecchi cercano con la mano il loro portafogli, per proteggerlo». Gli ecuadoriani di primo sbarco sono tutti sotto i quarant'anni e con low cost successivi hanno fatto arrivare le mogli, i figli, i cugini, i nipoti. Hanno trovato tutti lavoro in una città in crisi strutturale e dentro una crisi mondiale. A Sampierdarena e al Campasso, alla Certosa, a Rivarolo, oltre la ferrovia alla Fiumara si stanno comprando il loro «due camere e salotto». Lo raccontano all'immobiliare casa latina, dove le impiegate

sono sudamericane: «Vendiamo otto appartamenti al mese, quando un'agenzia con una clientela italiana ne vende solo due». In questa semiperiferia post-industriale 75 metri quadrati costano 180 mila euro. Gli ecuadoriani, comunità in salute, insieme al pan duce hanno importato Latin King e Vatos Locos, Manhattan e Los Diamantes. Sono bande violente formate a Quito e a Guayaquil, città, tra l'altro, con un'ampia comunità genovese. Lo sono diventate anche a Genova. Le pandillas da esportazione hanno affinato gli interessi, i territori da controllare e tutti i fine settimana fanno registrare numerosi scontri;
nel maggio del 2006 un'operazione del commissariato di Prè, diventata tesi di studio giudiziario, certificò in città 435 affiliati e diciassette bande. È l'ultimo dato conosciuto. Cinque anni fa in giro per le strade di Genova c'erano quattromila ragazzi sudamericani, uno su nove stava in una gang e le cose - dicono gli esperti - non sono cambiate. Furono quattordici gli arrestati allora, perlopiù adolescenti. Tra loro, i capi ventenni dei Latin e dei Netas (significa «La nuova vita», ma anche «Lotta e resistenza»). La polizia contò trentotto episodi criminali, sequestrò mazze ferrate, una pistola. L'operazione Pandillas aveva seguito l'operazione Colors, ed entrambe per i loro aspetti folk e tribali, i riti di iniziazione, gli stupri delle donne costrette ad aderire, erano planate sui notiziari della Cnn. Quindi nelle case di Quito, Medellin, Chicago. Il messaggio era arrivato: i ragazzi migranti continuavano a dettare legge lontano, ricevevano le strategie dai «capi supremi» e le imponevano sul nuovo territorio. Di più, iniziavano ad affiliare disadattati italiani. Dopo la Cnn arrivarono i dibattiti in consiglio comunale, gli interventi della prefettura e dell'università di Genova, quindi le iniziative del centro sociale Zapata e dei ricercatori marxisti. Una coltellata in via di Sampierdarena, in una notte di festa allo Zapata, diede la morte a Stefano Perez Soto, 17 anni. Dicembre 2009, era il terzo omicidio nella storia genovese delle pandillas. Seguiva il ragazzo colombiano ucciso alla discoteca Victor Latino (in centro, nel 2003) e l'operaio dominicano all'Estrella (al porto, nel 2008). Il colpo al cuore di Perez Soto spezzò la tela dell'integrazione; le gang tornarono a picchiarsi in strada, con nuovi protagonisti come i Diamantes, cresciuti a Cornigliano sulle ceneri dei Rebeldes, a sfidare gli eterni Latin Kings;
con quella morte il fenomeno delle baby gang sudamericane a Genova si è parcellizzato senza spegnersi, frantumandosi in cento ritorsioni. Nelle ultime due stagioni, inoltre, si sono intensificati i gesti brutali compiuti per meritare di essere accolti in banda: ecuadoriani hanno pestato a sangue due clochard rumeni nei giardinetti della stazione Brignole e il barista intervenuto per difenderlo. Il pubblico ministero Patrizia Petruzziello definisce le bande che ha affrontato in alcuni processi «istituzioni clandestine dove si gestisce una giustizia interna con atteggiamenti fortemente omertosi». Global gang, ma anche mafie latine;
se Genova è la culla delle gang sudamericane in Italia, oggi è Milano la città dove sono più agguerrite. I gruppi rivali si contendono a colpi di coltello o di spranga i mezzanini del metrò o le piazze e i parcheggi di periferia. In palio il controllo delle rapine e dello spaccio di cocaina. Il commissariato Mecenate, Milano orientale a corona dell'aeroporto di Linate, ha sequestrato immagini dure ed esplicite girate dagli affiliati. Si vedono donne costrette a prendersi cinghiate per guadagnare l'ingresso nel gruppo e, quindi, a loro volta pronte agli scontri più cattivi. Le pandillas qui sono diventate organizzazioni criminali che si mantengono spacciando cocaina (sempre all'interno del gruppo sudamericano, mai in piazza) e realizzando rapine in strada con una frequenza impressionante;
al commissariato Mecenate, che tra maggio e giugno ha chiuso due operazioni anti-gang, spiegano come l'ultima modalità di attacco dei «piranhas» si consumi nei parcheggi: coltello alla mano, si spoglia un ragazzo, una donna, un anziano e ci si

fanno consegnare le chiavi dell'auto con cui si andrà a svaligiare una banca. Sette colpi li hanno realizzati così. Nelle ultime stagioni, si sono contati sei omicidi da gang tra Milano e la sua provincia, l'ultimo ad agosto in Brianza, a Sovico. Sfondo naturale di questa violenza sono rimasti gli scontri tra peruviani ed ecuadoriani, i Commando e i Netas. Si contendono mezzanini del metrò milanese e piazze di periferia. Alcuni psicologi hanno provato a seguire le famiglie immigrate di questi ragazzi violenti e ora spiegano: «L'arrivo in Italia degli adolescenti è troppo duro, spaesante. Il rifugio nella banda diventa un approdo naturale. Noi chiediamo alle loro madri di educarli da capo, partorirli una seconda volta». Gli anni più recenti hanno visto lo sbarco a Milano dei duri Trinitarios (dominicani) e dei salvadoregni Ms, i Mara Salvatrucha, Maria salvatrice. Dio e la Madonna, patria e libertà. Molti di loro si sono forgiati nei dodici anni di sanguinosa guerra civile del Salvador e poi hanno messo base a Los Angeles per diventare una gang criminale capace di affiliare mezzo milione di ragazzi. Lo sbarco in Europa è questione degli ultimi mesi. Ai Trinitarios apparteneva il dominicano di 21 anni che fece fuori un egiziano in via Padova, lo scorso febbraio -:
quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di creare gli strumenti adeguati al contrasto e allo sradicamento delle baby gang sud americane nel Nord Italia.
(4-14111)

BERTOLINI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. - Per sapere - premesso che:
in Italia sono in continuo aumento gli episodi di violenza da parte di stranieri, soprattutto di religione islamica, nei confronti delle mogli e dei figli, compiuti in nome del fondamentalismo islamico, che spesso si concludono con la morte delle vittime;
l'ennesima tragedia si è consumata a Sorbolo Levante, frazione di Brescello in provincia di Reggio Emilia la scorsa settimana: una donna marocchina di 35 anni, Rachida Rida, è stata assassinata dal marito di 39 anni, Mohamed El Ayani suo connazionale;
alla base della tragedia ci sarebbe stata la volontà della donna di convertirsi alla religione cattolica: la donna nei mesi precedenti aveva preso contatti con la parrocchia di Brescello ed aveva iscritto le due figlie, rispettivamente di 11 e 4 anni, ad un gruppo ricreativo della stessa parrocchia, per farle integrare meglio nella comunità;
dall'autopsia, eseguita presso il policlinico di Modena, si evince che la donna è stata barbaramente uccisa da oltre dieci colpi di martello da cucina, inferti sulla testa, che le hanno sfondato il cranio;
l'uxoricida, ora in carcere presso la casa circondariale di Reggio Emilia, avrebbe dichiarato agli inquirenti di aver colpito la donna con un paio di fendenti e che l'avrebbe fatto per gelosia;
altro elemento impressionante, emerso durante le indagini, è che la bambina di 4 anni avesse il pigiama macchiato di sangue, il che fa pensare che abbia assistito alla macabra scena, anche se dalle dichiarazioni del padre sembrerebbe che la bambina, al momento della violenza, stesse guardando la televisione;
nei prossimi giorni le due bambine, momentaneamente date in affidamento ad una famiglia di Brescello, saranno ascoltate per valutare il tipo di assistenza di cui necessitano;
violenza fisica, sottomissione, imposizione di usi e tradizioni tribali sono solo alcune delle vessazioni a cui sono sottoposte ancora troppe donne di religione islamica in Italia; si tratta di fenomeni alimentati dalla disinformazione, dall'isolamento, dal fanatismo religioso;
i tanti episodi di violenza, compiuti nei confronti delle donne musulmane ed i

loro figli, oltre a suscitare indignazione e ferma condanna, devono anche far riflettere sul fatto che la maggior parte di essi sono compiuti da componenti degli stessi nuclei famigliari e da persone del loro stesso credo religioso;
i continui episodi di maltrattamenti e violenza dimostrano ancora una volta che le politiche ispirate al multiculturalismo sono miseramente fallite che è ancora lontano il raggiungimento di una vera integrazione sociale -:
se i Ministri siano a conoscenza di tali fatti;
se e di quali eventuali altri elementi dispongano in merito a tale vicenda;
se siano in grado di fornire dati relativi a vicende che vedono coinvolte donne islamiche, vittime di violenze e soprusi all'interno dei propri nuclei famigliari, avvenuti nel nostro Paese negli ultimi cinque anni;
se non ritengano necessario avviare, con la collaborazione degli enti locali, una indagine approfondita per verificare quante situazioni analoghe, non denunciate, ci siano nel nostro Paese e per verificare la reale condizione delle donne straniere che vivono in Italia.
(4-14127)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:

BRAMBILLA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
secondo notizie di stampa, nella mattinata di lunedì 14 novembre 2011, gli alunni di una classe quinta del liceo scientifico Agnesi di Merate, assieme a due professori, avrebbero festeggiato, con tanto di torta, le dimissioni del Governo Berlusconi;
la scuola pubblica, nella realizzazione del sistema di valori costituzionali di democrazia e libertà, ha un ruolo fondamentale; come ha ricordato Piero Calamandrei: «la scuola è il complemento necessario del suffragio universale. Ha proprio questo carattere di alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali»;
l'episodio sopra segnalato risulta palesemente in contrasto con i valori di democrazia e di libertà che la scuola pubblica è tenuta a salvaguardare mantenendosi estranea a qualsivoglia disputa politica o addirittura partitica -:
se non si ritenga che ricorrano, nel caso di specie, gli estremi per l'avvio del procedimento disciplinare nei confronti dei docenti di cui in premessa;
se il Governo non ritenga necessario valorizzare, con un apposito e specifico programma, l'insegnamento nelle scuole della materia dell'educazione civica al fine di scongiurare qualunque allentamento della tensione ideale sui temi della difesa della democrazia e della libertà che sono alla base della Carta costituzionale.
(4-14113)

DIVELLA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.111, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», impone anche alle amministrazioni provinciali e comunali della provincia di Bari e Barletta-Andria-Trani di stilare i «piani di dimensionamento della rete scolastica»;
la suddetta norma, all'articolo 19, commi 4 e 5, prevede che le direzioni didattiche e le scuole medie siano soppresse per fare nascere al loro posto «istituti comprensivi con almeno mille alunni», modificando così i criteri generali,

i parametri, i tempi per il dimensionamento della rete scolastica e la correlata programmazione dell'offerta formativa previsti dalle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1998, n.233 (articolo 2, commi 2 e 3), e nel decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n.81;
la riorganizzazione della rete scolastica è finalizzata al conseguimento degli obiettivi fissati dall'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.133, e alla puntuale attuazione degli interventi e delle misure previsti dal piano programmatico di cui al comma 3 del suddetto articolo 64;
la richiesta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, invece, si limita esclusivamente all'operazione aritmetica di dividere per 1000 la popolazione scolastica di ogni provincia senza alcun altra considerazione e valutazione delle diverse esigenze territoriali, con la conseguente impressione che il dimensionamento sia imposto esclusivamente per ragioni di risparmio economico, a prescindere da una riflessione approfondita sulle condizioni che possano renderlo un modello di qualità;
nell'attuale stato di crisi generale, le scuole non sanno quale sarà il loro destino; le famiglie hanno rinunciato a pretendere qualità nella cultura dei saperi per i propri figli; le classi funzionano con 30 alunni e con insegnanti sempre più precari; gli enti locali non sanno da dove attingere le risorse finanziarie per organizzare il trasporto degli alunni e le mense scolastiche;
la Corte costituzionale, inoltre, con sentenza n.200 del 24 giugno 2009, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle lettere f-bis ed f-ter inserite nel suddetto articolo 64 del decreto-legge n.112 del 2008, affermando che le disposizioni in esse contenute invadono spazi riservati alla potestà legislativa delle regioni in materia di dimensionamento scolastico sul territorio, per cui l'organizzazione della rete scolastica è di competenza esclusivamente delle suddette regioni;
la creazione degli «istituti comprensivi», voluta dal legislatore, sta causando non poche proteste da parte degli studenti, delle loro famiglie e del personale scolastico perché essi la ritengono uno stratagemma per sottrarre ulteriori risorse in termini di personale (dirigenti, direttori dei servizi di segreteria, assistenti amministrativi e collaboratori scolastici) alle scuole della provincia di Bari e BAT -:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di evitare ulteriori tagli di posti di personale scolastico;
se non ritenga il Ministro interrogato di promuovere una modifica sostanziale almeno dell'articolo 19 del decreto-legge n.98 del 2011 sull'organizzazione scolastica;
se non ritenga il Ministro interrogato di assumere iniziative volte a rinviare la realizzazione dei nuovi «istituti comprensivi» all'anno scolastico 2013-2014, considerato che né l'ufficio scolastico regionale per la Puglia né la regione Puglia hanno effettuato una simulazione sulla reale riduzione degli organici del personale scolastico.
(4-14117)

DIVELLA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno del 15 novembre 2011, nell'edizione di Bari, ha riportato la notizia che l'ufficio scolastico provinciale di Bari e BAT, stante ad una denuncia dei sindacati, è nel caos per la riduzione dell'organico e che, quindi, il personale attualmente in servizio non è più in grado di garantire il funzionamento dello stesso ufficio;
la situazione di detto ufficio, con 65 unità di personale che addirittura vanta ancora oltre 40 giorni di ferie arretrate, con computer lenti e programmi ormai obsoleti, senza risorse finanziarie per l'acquisto persino di materiale di cancelleria,

è realmente drammatica tanto da rischiare la totale paralisi delle attività istituzionali -:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per garantire la piena funzionalità di detto ufficio scolastico provinciale di Bari e BAT.
(4-14118)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

DI GIUSEPPE. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
come denunciato da un'inchiesta della trasmissione televisiva «Presa Diretta» nella puntata di domenica 9 ottobre 2011, sembra che in Italia almeno un terzo del grano utilizzato per produrre il pane e la pasta venga importato dall'estero a prezzi di gran lunga inferiori a quelli italiani, e in condizioni di trasporto non sempre idonee a mantenere integro il prodotto;
il trasporto di materie prime alimentari, quali il grano, ammassato nelle stive delle navi per intere settimane, può causare contaminazione da micotossine che non solo deteriorano i cereali, ma possono risultare estremamente nocive per l'organismo; la pratica di importazione di questo cereale risulta comune anche a quasi tutte le aziende che producono pasta di semola di grano duro in Italia e che si riforniscono dal mercato estero per acquistare il grano, al solo fine di abbattere i costi;
un'inchiesta giornalistica, pubblicata in prima pagina sul quotidiano La Repubblica del 1o novembre 2011, rileva come un quarto del pane venduto nei supermercati proviene dalla Romania e nell'articolo si lascia intendere, tra l'altro, che lo sfilatino rumeno «precotto, surgelato, riscaldato e mangiato» risulta di scarsa qualità;
teoricamente tutti gli alimenti prodotti e/o importati e/o commercializzati in Europa (compreso il pane rumeno) dovrebbero sottostare ai medesimi requisiti di sicurezza stabiliti nel regolamento (CE) n. 178/02, «general food law». Secondo il regolamento tutte le imprese della filiera devono avere i registri relativi alla rintracciabilità dei prodotti alimentari. Nell'articolo però si avanzano anche sospetti sulla bontà della materia prima e riferendosi al pane rumeno, venduto nei supermercati, si denunciano i pericoli derivanti dall'assenza di tracciabilità del cereale utilizzato, in quanto il pane confezionato che viene dall'estero non è soggetto all'obbligo di riportare sull'etichetta la reale provenienza del prodotto;
appare chiaro che questo iter porta alla vendita di un pane che costa la metà di quello italiano in quanto una filiera estera, nello specifico, la filiera rumena si basa su un abbattimento dei costi di produzione e manodopera che l'Italia non può e non potrà permettersi;
ne consegue che due prodotti simbolo del made in Italy, come il pane e la pasta, in realtà di italiano hanno poco o niente, tutto a causa della speculazione economica e della massimizzazione dei profitti a danno della salute;
la stessa Coldiretti in un comunicato del mese di ottobre 2011 denunciava le distorsioni del mercato e della filiera del pane, ma anche della pasta e di molti altri prodotti, indicando che quasi la metà del grano impegnato per produrre la farina proviene dall'Est Europa ma anche dall'Asia, e proponeva, come alternativa, di promuovere la filiera corta e il grano di qualità che ha come obiettivo quello di sviluppare il grano tenero e ridurre gli sprechi e i rincari legati ai numerosi passaggi nel processo di trasformazione, potenziando così la sostenibilità produttiva -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, in caso affermativo, quali iniziative intenda assumere al fine di introdurre disposizioni specifiche per la tracciabilità del grano e

di tutti i prodotti derivati, strumento di tutela e sviluppo anche per le altre produzioni agroalimentari italiane di qualità;
quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di promuovere la filiera corta e il grano di qualità e se intenda adottare iniziative volte a segnalare obbligatoriamente in etichetta l'utilizzo di qualsiasi sofisticazione che deve essere conosciuta prioritariamente dai consumatori;
quali iniziative intenda assumere per impedire speculazioni su un bene primario essenziale per l'alimentazione della popolazione.
(5-05782)

CENNI, BRANDOLINI, AGOSTINI, OLIVERIO, SERVODIO, ZUCCHI, TRAPPOLINO e FIORIO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nella Gazzetta Ufficiale n. 220, serie generale, del 21 settembre 2011 è stato pubblicato il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 14 settembre 2011, emanato ai sensi dell'articolo 7, comma 2-quater, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, concernente disposizioni in materia di riconoscimento della ruralità degli immobili;
nel decreto, come evidenziato anche da apposito comunicato dell'Agenzia del territorio, del medesimo 21 settembre, sono stabilite le modalità di presentazione della documentazione concernente l'attribuzione delle categorie A/6, classe «R» e D/10 ai fabbricati rurali;
la documentazione prevista (domanda di variazione per l'attribuzione delle categorie A/6, classe «R» e D/10 ai fabbricati rurali, autocertificazione necessaria ai fini del riconoscimento della ruralità, documenti redatti in conformità ai modelli allegati al decreto), doveva essere presentata all'ufficio provinciale dell'Agenzia del territorio entro la data del 30 settembre 2011;
il 22 settembre ha fatto seguito al decreto la circolare n. 6/T che ha precisato il valore cogente del decreto;
entro il termine del 20 novembre l'Agenzia del territorio avrebbe dovuto procedere all'attribuzione della categoria catastale, previa verifica dell'esistenza dei requisiti di ruralità;
risulterebbe che qualora l'Agenzia del territorio si pronunci negativamente, il richiedente è tenuto al pagamento delle imposte non versate, degli interessi, delle sanzioni determinate in misura doppia rispetto a quelle previste dalla normativa vigente;
la documentazione richiesta e la modulistica sono risultate di non agevole compilazione ed interpretazione da parte delle organizzazioni agricole e delle imprese interessate, come segnalato durante incontri, con lettere e comunicazioni ufficiali da parte delle stesse;
come immaginabile sono state centinaia di migliaia le domante giunte e risultano essere ancora numerose le domande in fase di compilazione ed invio nonostante l'avvenuta scadenza;
le associazioni delle imprese agricole hanno chiesto ai Ministeri interessati, anche facendo riferimento allo statuto del contribuente ed ai ristrettissimi tempi che intercorrevano tra il decreto e la scadenza prevista, di valutare la possibilità di prevedere una breve proroga che posticipi la scadenza per la presentazione delle domande;
la medesima richiesta è stata avanzata con atti di natura parlamentare condivisi da tutte le forze politiche;
nonostante le richieste e gli atti sopra menzionati nella legge di stabilità recentemente approvata non è stata inserita alcuna norma relativa alla proroga in merito;
le imprese agricole italiane hanno a lungo vissuto un contesto di incertezza normativa in materia di imposizione fiscale sui fabbricati rurali -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'alto numero di domande

giunte ed ancora in fase di arrivo presso l'Agenzia del territorio;
se i Ministri siano a conoscenza del quadro di incertezza di natura fiscale che interessa centinaia di migliaia di agricoltori italiani che si sono adoperati per documentare la loro situazione ai sensi del decreto in questione, e che sono in attesa delle decisioni dell'Agenzia del territorio;
se sia intenzione dei Ministri interrogati e delle strutture amministrative interessate, accogliere comunque le domande giunte dopo la scadenza del 30 settembre 2011, o se i Ministri intendano assumere iniziative volte a una proroga di qualche mese per poter concludere definitivamente la complessa e lunga vicenda in materia di accatastamento dei fabbricati rurali.
(5-05785)

Interrogazione a risposta scritta:

GIRLANDA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
da qualche settimana l'associazione Greenpeace Italia ha diffuso via internet i risultati di una campagna di monitoraggio sulle etichette di oltre duemila scatolette di tonno dei marchi più diffusi in Italia, presso 173 punti vendita;
i risultati dimostrano, a detta dell'associazione, un ridotto grado di trasparenza da parte dell'industria del tonno in razione alla scarsità di dati relativi all'area di pesca indicata sulle etichette, presente solo nel 7 per cento dei casi;
l'inchiesta evidenzia anche come nel 97 per cento dei casi non sia indicato nemmeno il metodo di pesca utilizzato, sottolineando i rischi di una pesca eccessiva o indiscriminata, che minaccia cinque delle otto specie di tonno di interesse commerciale;
l'associazione dichiara che spesso nelle scatolette finisce tonno pescato con metodi distruttivi, come i palamiti e le reti a circuizione con «sistemi di aggregazione per pesci», che causano ogni anno la morte di migliaia di esemplari giovani di tonno, squali, mante e tartarughe marine;
sempre a detta dell'associazione non esiste ancora una scatoletta di tonno al 100 per cento sostenibile, sottolineando così l'inconsapevole complicità dei consumatori del nostro Paese nella distruzione dei mari -:
se il Ministro intenda avviare un'indagine conoscitiva in materia o altro genere di iniziative volte ad appurare la veridicità delle affermazioni suindicate riferite dall'associazione Greenpeace Italia.
(4-14121)

...

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere - premesso che:
con la manovra economica dell'estate 2011, è stata introdotta la copertura assicurativa professionale obbligatoria (lettera e) del comma 5 dell'articolo 3 del decreto legge 13 agosto 2011, n.138, convertito, con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148); la norma stabilisce che «... il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale; le condizioni generali delle polizze... possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti ...»; la norma prevede un anno di tempo per la messa a regime dell'obbligo;
la decisione, condivisibile in linea di principio, sta esasperando le tensioni tra operatori sanitari e compagnie assicurative, grazie anche alla totale assenza, diversamente da altri Paesi europei, di una

strategia nazionale e politica di approccio al problema con conseguenze economiche crescenti ed inevitabili. L'assenza di linee guida istituzionali ha posto le compagnie assicurative, nella posizione di contraente «forte», posizione rafforzata dall'obbligo di copertura assicurativa professionale appena introdotto;
le associazioni mediche (in particolare A.M.A.M.I., Associazione per i medici accusati ingiustamente di malpractice) segnalano, con riferimento alle varie formule della polizza RCT Medici che:
a) le compagnie evitano di assicurare professionisti già «sinistrati», cioè oggetto di semplici richieste di risarcimento, indifferenti al fatto che le denuncie possono concludersi in un nulla di fatto sotto il profilo penale o non dar luogo ad un risarcimento in sede civile;
b) laddove il medico riceva una disdetta per sinistro, da parte di una compagnia, altro assicuratore assumerà il rischio ben raramente e solo a fronte di premi elevatissimi;
c) determinate specializzazioni a rischio (esempio ginecologi, chirurghi plastici, medici estetici ed anestesisti) sono assicurate con clausola RD (riservato direzione) per evitare che l'intermediario (agente) possa assumere indiscriminatamente un numero indeterminato di clienti anche in assenza di sinistri;
d) la continua ascesa dei premi che sta portando all'insostenibilità dei costi delle polizze a carico dei medici. Paradossale la situazione dei ginecologi, se si considera che l'Italia è uno dei Paesi con i più bassi rischi alla nascita, per i quali le polizze possono arrivare a 14.000 euro l'anno;
e) le polizze RCT Medici contengono la clausola claims made (letteralmente «a richiesta fatta»), tramite la quale la datazione del sinistro rilevante ai fini dell'articolo 1917, comma 1 codice civile, è fatta coincidere con la richiesta di risarcimento del danno avanzata dal terzo e non più, dunque, col comportamento del danneggiante-assicurato generativo della responsabilità; a fronte del vantaggio sotto il profilo dei costi di polizza, il rischio è quello di vedersi recapitare la richiesta di risarcimento in un'epoca in cui non si gode più della copertura assicurativa;
a fronte dell'esplosione dei costi assicurativi diverse regioni (Piemonte, Toscane e da poco, anche la Liguria) stanno provvedendo ad auto assicurarsi; l'idea è quella di non stipulare polizze e rimborsare i danni, una volta verificati, pescando direttamente nei propri bilanci; nel 2009 la Toscana spendeva 45 milioni di euro per polizze; nel 2010 ha rimborsato da sola il 50 per cento dei danni da errori medici spendendo 5 milioni;
le denunce ai medici sono ai livelli medi degli ultimi cinque anni, ma aumentano quelle verso le strutture sanitarie (+10 per cento), arrivando nel complesso, secondo dati diffusi dall'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (Ania) a circa 34.000 denunce nel 2009. L'aumento tra il 2008 ed il 2009 è stato del 15 per cento; il rapporto sinistri/premi del ramo, dal 1994 al 2009, si è mantenuto su percentuali assai elevate, e nel 2009 per ogni euro di premi incassati le compagnie hanno pagati due di sinistri; considerando che un risarcimento medio vale tra 25 e 40.000 euro, i costi nel periodo 2008-2009 sono stati valutati tra 800 milioni e 1,4 miliardi di euro, a seconda della velocità di liquidazione -:
se non ritenga opportuno assumere iniziative, anche normative, per promuovere l'estensione a livello nazionale delle forme di auto copertura dei danni da «malasanità» introdotte da talune regioni;
se non ritenga di assumere iniziative, anche normative, con riferimento all'obbligo di copertura assicurativa dei medici previsto dalla lettera e) del comma 5 dell'articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 al fine di:
a) prevedere che le compagnie di assicurazione abbiano l'obbligo di assicurare

i professionisti che lo richiedano, secondo il modello e con le modalità dell'RCA auto, introducendo eventualmente una formula simile a quella del bonus-malus;
b) prevedere che la polizza assicurativa del professionista possa essere disdetta solo quando il sinistro sia stato effettivamente individuato come tale nelle sedi appropriate;
c) promuovere la redazione in concorso con l'ANIA, di un modello di polizza assicurativa RCT Medici di base, valutando se talune delle clausole oggi introdotte nelle polizze in uso non siano da considerare vessatorie e in quanto tali, da sopprimere.
(2-01282)
«Mario Pepe (Misto-R-A), Brugger».

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la produzione di amianto è fuori legge in Italia dal 1992, ma nonostante la sua pericolosità sia ormai stata ampiamente dimostrata questo materiale è tuttora utilizzato nei Paesi in via di sviluppo e perfino in alcuni stati dell'Unione europea. A Torino il processo di bonifica pare giunto alle battute finali, ma le discariche abusive e lo smaltimento sono una questione tutt'altro che risolta persino negli edifici pubblici. La ricerca sul cancro nell'ultimo decennio ha fatto passi da gigante, ma contro il mesotelioma (tumore maligno nell'80 per cento dei casi legato all'esposizione all'amianto) le terapie efficaci scarseggiano e gli strumenti per la diagnosi precoce pure. Risultato: i casi di tumore sono in costante aumento e andrà pure peggio, visto che il periodo di latenza fra l'esposizione a possibili cause e la comparsa di malattia varia fra i 20 e i 40 anni. Eppure il livello di percezione del pericolo degli italiani è troppo basso, come se l'argomento fosse avvolto da una sorta di «rassegnazione». A richiamare l'attenzione sul killer silenzioso (sono circa tremila ogni anno le morti amianto-correlate nel nostro Paese, di cui ben 1.200 per mesotelioma) è il primo convegno nazionale sul mesotelioma pleurico, svoltosi proprio a Torino, con la partecipazione di oncologi, rappresentati delle istituzioni (Inail e Ministero della salute), giuristi e associazioni delle vittime;
l'amianto è un minerale naturale a struttura fibrosa, potenzialmente indistruttibile perché resiste sia al fuoco, al calore, agli agenti chimici e biologici, all'abrasione e all'usura. Per le sue caratteristiche di resistenza e di forte flessibilità è stato ampiamente usato dall'inizio nelle costruzioni (in particolare per lastre di copertura, tubi, cisterne e pannelli antincendio), ma anche per guarnizioni, dischi dei freni, coibentazioni termiche e acustiche in navi e treni. Insomma, si nasconde ovunque: dalle tubature, alle rotaie ai rivestimenti di tetti e garage. L'Italia è stata fino alla fine degli anni '80 il secondo maggiore produttore europeo di amianto in fibra dopo l'Unione Sovietica, così sebbene sia bandito dal nostro Paese da quasi 20 anni, ne restano nell'ambiente 5 quintali per ogni cittadino, 32 milioni di tonnellate. «Il problema dello smaltimento è dei più attuali - spiega Giorgio Scagliotti, Responsabile delle Malattie dell'Apparato Respiratorio del San Luigi di Orbassano (Torino) -. Purtroppo però il livello di rischio è ancora sotto percepito dalla popolazione mentre è scientificamente dimostrata la pericolosità dell'asbesto e il suo potenziale cancerogeno, pari a quello del fumo. Non solo: va assolutamente evitata la rimozione "fai da te", la manipolazione è pericolosa e serve personale specializzato». Chi sospetta di essere a contatto con amianto può rivolgersi all'Asl o all'Arpa che dispongono di registri di aziende specializzate, iscritte all'albo e quindi autorizzate allo smaltimento;
recentemente lo Iarc (Agency for Research on Cancer) ha definito l'amianto agente cancerogeno certo (gruppo 1), oltre che per il mesotelioma pleurico, anche per i tumori di polmone, laringe, ovaio, peritoneo,

pericardio, tunica vaginale del testicolo e, seppur con evidenza limitata, per il colon-retto, lo stomaco e la faringe. È così pericoloso (è considerato responsabile di circa 120mila morti per cancro all'anno nel mondo) a causa delle fibre di cui è costituito, che possono essere presenti nell'ambiente e quindi inalate, non solo in occasione di una manipolazione o lavorazione. «Questo significa, in pratica - chiarisce Carmine Pinto, segretario nazionale dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) -, che il pericolo non riguarda soltanto gli ex lavoratori. Circa il 5 per cento dei nuovi casi riguarda infatti mogli o figli entrati in contatto con questo minerale tramite gli indumenti degli operai. E pure i casi fra la popolazione generale sono sempre più frequenti: su 10 malati, sette lo sono per motivi professionali, tre per altre cause, non sempre note. Per questo è indispensabile migliorare il livello di consapevolezza e sensibilizzare i cittadini alla rimozione delle fonti inquinanti, secondo criteri certificati e con procedure rigorose». Dagli studi condotti sugli abitanti di Casale Monferrato (dove fino a metà degli anni '80 è stata presente l'Eternit), infatti, emerge come il rischio diminuisca rapidamente con l'aumento della distanza dalla fabbrica, ma resti notevole anche a 10 chilometri di lontananza, là dove possono trovarsi case, scuole, uffici e persone che nulla ebbero a che fare con l'impianto produttivo;
«Il mesotelioma è fra le neoplasie più aggressive, colpisce più gli uomini delle donne e presenta un picco massimo intorno ai 60 anni - dice Scagliotti -. Purtroppo può svilupparsi anche 40 anni dopo l'esposizione alle fibre di asbesto, ma non esiste ad oggi un mezzo per la diagnosi precoce. Sono stati fatti studi per cercare un marker efficace, che indichi la presenza della malattia ai primi stadi, per ora però non ci sono certezze». Nel 70 per cento dei casi di mesotelioma pleurico maligno i primi sintomi (generalmente presenti da alcuni mesi dal momento della diagnosi) sono dolore toracico, dispnea (difficoltà respiratoria) e tosse, che aumentano con il passare del tempo. A cui spesso si associano astenia (stanchezza) o malessere generale; il segno più frequente è la formazione di liquido pleurico nel torace, ma ci sono pazienti che, pur presentando radiologicamente i segni della malattia, non hanno alcun sentore. Poiché il tumore viene scoperto in fase avanzata, con la chirurgia si ottengono risultati limitati. «Il mesotelioma - conclude Pinto - può essere trattato con chirurgia, radio e la chemioterapia, eventualmente in combinazione fra loro. Recentemente, poi, si sono avuti dei progressi con la chemioterapia a base di pemetrexed e platino, che ha dimostrato di migliorare sia la sopravvivenza che la sintomatologia in pazienti con malattia avanzata» -:
quali interventi di competenza il Ministro intenda adottare al fine di intensificare l'opera di bonifica dall'amianto su tutto il territorio nazionale.
(4-14110)

SCHIRRU, PES, CALVISI, OLIVERIO, FADDA e MELIS. - Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
i recenti casi di nuovi focolai di peste suina riscontrati in Sardegna hanno portato al blocco per gli allevatori sardi delle concessioni di autorizzazioni all'esportazione di carni suine fresche e prodotti a base di carne;
le mancate concessioni incidono ogni giorno più gravemente sull'economia dell'isola, con gravi perdite in termini di immagine e di quote di mercato che verranno difficilmente recuperate e con l'aggravante che i divieti imposti non impediscono tuttavia l'importazione di carni suine nell'isola;
tale situazione penalizza fortemente tutti gli allevatori, in particolar modo le oltre 400 aziende certificate che producono ed esportano i propri prodotti verso il continente e all'estero;
il blocco delle concessioni, inoltre, non ha contemplato in parallelo nessun

intervento profondo da parte delle istituzioni competenti nel rafforzamento del controllo e nel monitoraggio dell'allevamento abusivo, vero responsabile del perpetuarsi dei focolai della malattia;
diversi consiglieri regionali del Pd sardo hanno recentemente presentato - con una interrogazione alla regione - una proposta articolata in sei interventi, per debellare la peste suina, a cominciare da provvedimenti per sradicare il fenomeno dell'allevamento abusivo e per rilanciare il comparto della filiera del suino allevato in Sardegna, ferma restando la denuncia di una troppo superficiale gestione della materia da parte delle autorità preposte;
per uscire dall'emergenza ciclica sul tema dell'allevamento suinicolo e della profilassi, diviene sempre più necessaria la valorizzazione del suino autoctono di razza sarda nonché estendere la procedura della filiera HBLH, con verifica a tappeto su tutti i capi, certificando l'assenza della peste suina africana;
gli operatori del settore chiedono maggiore responsabilità da parte delle istituzioni e collaborazione tra le autorità sanitarie nazionali e quelle comunitarie, nonché l'assenso da parte del Ministero della salute su un corridoio sanitario che consenta alle aziende virtuose di esportare carni suine o insaccati certificati -:
se i Ministri siano a conoscenza di tale difficile situazione;
quali iniziative urgenti si intendano mettere in campo per salvaguardare il settore suinicolo, nell'economia dell'isola già fortemente compromessa, e per tutelare, in accordo con l'Unione europea, le aziende virtuose; quali procedure intenda avviare - in accordo con la regione Sardegna - per un rafforzamento rigoroso dei controlli sugli allevamenti e sulla tracciabilità dei prodotti, promuovendo insieme una determinante campagna di informazione che coinvolga tutti i soggetti della filiera, dagli allevatori ai macellatori e trasformatori, alle popolazioni rurali.
(4-14120)

STRIZZOLO. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
in data 9 novembre 2010 il Ministro della salute ha emanato il decreto ministeriale «Disciplina del corso di studio delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana (11A00180)» per l'istituzione della figura di infermiere volontarie della Croce rossa italiana (CRI);
tale decreto consente alle aspiranti infermiere di fregiarsi di tale titolo professionale con un corso di 2 mila ore di cui mille di tirocinio organizzato dalla Croce rossa italiana;
l'obiettivo del corso è quello di fornire le «conoscenze scientifiche e tecniche necessarie a svolgere le funzioni con l'assistenza infermieristica generale»;
le mansioni che potranno compiere queste infermiere volontarie sono pressoché identiche a quelle tradizionalmente (e per legge) svolte dagli infermieri titolati, laureati e specializzati;
al termine del corso di studi, come recita il decreto ministeriale, viene rilasciato il titolo di «diploma di infermiera volontaria»;
è previsto che sia l'infermiere «titolato» a fungere da tutor per le aspiranti infermiere;
si profilerebbe quella che all'interrogante appare una situazione ai limiti dell'abuso del titolo, visto che siffatto percorso di preparazione non universitario porta a rilasciare lo stesso titolo di infermiere di cui può legittimamente avvalersi soltanto l'infermiere che abbia seguito un iter ufficiale presso le istituzioni accademico-universitarie;
si aprirebbe la strada a commistioni poco chiare e giuridicamente dubbie fra infermieri titolati e non titolati;
gli ospedali e le aziende sanitarie italiane, che normalmente sottoscrivono convenzioni con la Croce rossa italiana, si potrebbero ragionevolmente trovare, nei

reparti e nelle ambulanze, infermieri spacciati per tali, in realtà infermieri non titolati;
si esporrebbero pericolosamente i cittadini a rischi per la loro salute nel caso di errori compiuti da infermiere non titolate che però svolgono de facto le stesse funzioni, come previsto di fatto dal decreto ministeriale, del «vero» e autentico infermiere;
nel decreto ministeriale si elencano una serie di attività, da quelle preventive a quelle assistenziali (sociali e sanitarie) passando per attività assistenziali vere e proprie;
le infermiere volontarie dopo tale corso di studi potranno anche predisporre il «piano di prevenzione e di cura»;
le infermiere potranno, fra le altre attività, «eseguire manovre di primo soccorso fra cui la rianimazione cardio-polmonare», «controllare l'assunzione di farmaci e il corretto utilizzo di apparecchi medicali», «somministrare terapie (preventive e curative)», «collaborare nelle procedure invasive», «rilevare i parametri vitali»;
il ruolo dell'infermiere laureato, al quale però si chiede di fungere da tutor delle corsiste future infermiere, viene ridimensionato come se egli non fosse in grado di svolgere autonomamente le mansioni per assolvere le quali non ha di certo studiato per «soli» 2 anni, di cui 1 di pratica, bensì ha studiato dai 3 agli 8 anni (tenendo conto della laurea di primo e di secondo livello master) presso le università;
diventerebbe paradossalmente superfluo il ruolo dell'infermiere e/o il ruolo della nuova infermiera sarebbe equivalente a quello dell'infermiere titolato visto che nel decreto ministeriale si afferma: «in assenza dell'infermiere laureato o in collaborazione con quest'ultimo ove presente, pianificare, gestire e valutare l'intervento assistenziale infermieristico» e, ancora: «Su indicazione e controllo del medico, ovvero, ove presente prestando collaborazione all'infermiere laureato con tutta una serie di compiti che erano responsabilità diretta dell'infermiere laureato inerenti l'erogazione della terapia e la somministrazione dei farmaci»;
l'attività di queste infermiere consisterà anche nel «collaborare e integrarsi con le diverse figure professionali per la realizzazione di attività diagnostiche e terapeutiche»;
si rischia concretamente di determinare confusione e incertezza sui compiti che ricadono in capo all'infermiere titolato e alle infermiere volontarie della Cri;
si rischia di dequalificare il ruolo proprio degli infermieri titolati;
si rischia non soltanto di profilare l'abuso nominale del titolo di infermiere, ma anche, fatto fondamentale, l'abuso sostanziale della professione (alla luce delle funzioni assegnate a queste figure);
si rischia di esporre il Sistema sanitario nazionale a possibili danni d'immagine oltre che a danni effettivi sui cittadini e sui pazienti, posto che in 2 mila ore di corso non si possono di certo eguagliare conoscenze e capacità dell'infermiere che consegue un diploma universitario;
si assegnano indebitamente attività prettamente sanitarie che l'infermiera volontaria, ragionevolmente, non potrà erogare con la stessa competenza e professionalità acquisite dall'infermiere titolato;
nell'attuale situazione, si rischia di produrre una ulteriore difficoltà al sistema universitario italiano e, in special modo, alle facoltà di infermieristica che, uniche, possono lecitamente rilasciare il titolo di infermiere al termine del corso di studi universitario;
si crea un pericoloso precedente dal momento che altre realtà, non soltanto pubbliche, potrebbero pretendere il diritto di erogare corsi analoghi con la stessa ufficialità del titolo in uscita;
si espone la categoria professionale al rischio di riconoscimenti, da parte dell'ente

Croce rossa italiana alla quale verrà data la titolarità dell'insegnamento e della valutazione degli esami, di percorsi esterni, sulla base di competenze pregresse autocertificate o di supposti corsi non verificabili nella serietà ed effettività della loro erogazione -:
se e in quali modi si intenda intervenire nella vicenda per impedire che questo corso di studi della Croce rossa italiana rilasci il titolo di infermiere a coloro che non sono, e non lo saranno mai, titolati e che pertanto non possono, ad avviso dell'interrogante, fregiarsi di simile status giuridico a cui non corrisponde il percorso ufficiale e sancito per legge con cui si ottiene, lecitamente, il titolo;
se, oltre a promuovere la modifica del titolo a cui abiliterebbe il corso (non infermiere, in alternativa si potrebbe parlare di operatrici volontarie, collaboratrici o termini similari), si intendano assumere iniziative per modificare le funzioni e i compiti stessi a cui sarebbero chiamate queste particolari categorie «infermiere» per superare la pratica effettiva di corsi di studi che nulla hanno che vedere con il corso di laurea che abilita al titolo o, per quanti hanno intrapreso la professione ante riforma, con il diploma funzionale al rilascio del titolo di «infermiere», salvaguardando così anche l'autorevolezza e la professionalità di un'intera categoria nonché delle istituzioni preposte a formare gli infermieri effettivamente titolati.
(4-14122)

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
l'industria siderurgica europea si trova ad affrontare sfide enormi, ristrutturazioni, delocalizzazioni, chiusure e riduzione della capacità produttiva degli impianti che minacciano la sicurezza di migliaia di posti di lavoro;
la tendenza è alla dislocazione della produzione siderurgica nei Paesi dove le condizioni sono considerate più vantaggiose (meno vincoli sociali e ambientali, disponibilità materie prime e altro) e dove è prevista una maggiore crescita economica e un maggior consumo;
nel 2010 la produzione mondiale di acciaio è aumentata di quasi il 16 per cento sul 2009, superando del 6 per cento quella del 2008, superando 1,4 miliardi di tonnellate, il livello più alto di tutti i tempi; secondo gli analisti le previsioni della crescita economica mondiale per i prossimi anni si assesterebbero attorno ad un +4/5 per cento;
nel 2000 nei 27 Paesi dell'Unione europea si produceva il 23 per cento dell'acciaio mondiale, in Cina il 15 per cento; nel 2010 l'Unione europea è al 12 per cento e la Cina al 44 per cento;
l'andamento dei prezzi e la disponibilità di materie prime incidono rilevantemente (il settore è molto concentrato ed è controllato a livello mondiale per quasi l'80 per cento da tre sole compagnie minerarie) e pesantemente sulla siderurgia italiana, basti sapere che il prezzo del minerale è aumentato dell'84 per cento rispetto al 2009, il coke ha avuto rialzi del 20 per cento, il rottame è aumentato del 63 per cento, restando comunque al di sotto del 23 per cento rispetto ai livelli massimi che si registrarono nel 2008;
nel 2010, solo 5 Paesi hanno superato o sono tornati ai livelli di produzione pre-crisi del 2008, si tratta di Cina, India, Corea, Turchia e Iran; tutti gli altri sono sotto tali livelli;
la produzione italiana è aumentata del 30 per cento sul 2009, ma è ancora sotto del 16 per cento sul 2008 (-4,8 milioni di tonnellate), con andamenti diversi nei vari comparti: i prodotti piani hanno registrato un +39 per cento sul 2009 (recuperando il 72 per cento dei volumi

del 2008); quelli lunghi hanno fatto segnare un +9 per cento sul 2009 (recuperando meno del 20 per cento dei volumi del 2008);
il 2011 ha registrato una buona ripresa fino a tutto il primo semestre; dopo l'estate è cominciata una tendenza al ribasso che, secondo tutti gli osservatori, avrà un trascinamento negativo sul primo semestre del 2012;
i prodotti siderurgici cosiddetti piani hanno goduto fino al 2010 di una domanda estera più forte, mentre i cosiddetti lunghi hanno risentito della stagnazione del settore delle costruzioni e della riduzione delle vendite nell'area MENA (medio Oriente e nord Africa);
ancora prima dell'inizio della crisi, era evidente che in prospettiva la siderurgia italiana avrebbe dovuto concentrarsi più sulla qualità delle produzioni, verso tipologie di prodotti a più alto valore aggiunto, piuttosto che sull'aumento delle quantità;
viceversa l'Italia continua ad essere un importatore netto di acciaio, anche di qualità; questa dovrebbe essere la strada da imboccare per i vari produttori e per risolvere i problemi di sovraccapacità produttiva che già si pongono in Italia come in Europa;
i maggiori gruppi siderurgici europei, compresi quelli italiani, spostano sempre di più la loro attenzione verso l'Oriente e le Americhe, riducendo la loro presenza in Europa;
le tendenze della siderurgia europea potrebbero cambiare radicalmente il ruolo e il peso della siderurgia italiana, in particolare:
Severstal ha annunciato all'inizio del 2010 di voler vendere gli stabilimenti europei per concentrare gli investimenti in Paesi a più alta crescita;
ThyssenKrupp ha scelto di dismettere alcuni settori e scorporare per vendere l'intero comparto dell'inox;
ArcelorMittal ha deciso di recente di disinvestire dall'area centrale europea per finanziare acquisizioni di miniere e di impianti al di fuori dell'Europa, arrivando a ridurre drasticamente la produzione anche con la chiusura definitiva di altiforni;
Beltrame ha annunciato la volontà di dismettere lo storico stabilimento di S. Giovanni in Val d'Arno e i siti di Belgio e Lussemburgo;
in tale contesto si è inserita la notizia della chiusura dell'altoforno delle acciaierie Lucchini di Piombino, dal 24 dicembre 2011 al 18 gennaio 2012, annunciata dall'azienda, per mancanza di ordini e della relativa cassa integrazione per 2.200 lavoratori;
si impone sul piano interno la necessità di una politica industriale impostata su ricerca e sviluppo, innovazione nei prodotti e nei cicli produttivi per attenuare gli impatti ambientali e migliorare l'efficienza energetica;
in particolare, per quanto riguarda il comparto dei prodotti «piani», ma anche per talune tipologie di prodotti «lunghi», la siderurgia italiana non può fare a meno di mantenere i due cicli integrali (Taranto e Piombino-Trieste) che forniscono acciaio di qualità soprattutto per le applicazioni qualificate;
è altresì necessario che l'Italia contribuisca a definire una strategia industriale europea per l'industria siderurgica che sia di sostegno ai singoli Stati membri dell'Unione europea, attraverso l'allocazione settoriale dei fondi strutturali europei per:
a) sostenere gli investimenti in nuove tecnologie e in nuovi processi per riqualificare gli impianti allo scopo di contribuire ad una economia europea efficiente nell'uso delle risorse e dell'energia;
b) salvaguardare la produzione europea dalla concorrenza sleale innalzando i vincoli sociali ed ambientali e gli standard di qualità dei prodotti siderurgici utilizzati nella Unione europea;

c) sviluppare posti di lavoro sicuri, stabili e qualificati per l'industria siderurgica europea -:
se il Ministro intenda convocare immediatamente un tavolo nazionale sulla siderurgia per definire alcune linee di politica industriale per il settore in direzione del consolidamento della capacità produttiva degli impianti, del sostegno della qualità dei prodotti e dell'occupazione dei lavoratori siderurgici e degli indotti;
quali iniziative urgenti intenda assumere per gli impianti di Piombino - la cui situazione richiede una immediata convocazione dei vertici della Lucchini, delle rappresentanze sindacali ed istituzionali - per gli impianti della ThyssenKrupp e della Beltrame.
(2-01281)
«Vico, Ventura, Velo, Lulli, Nannicini, Rosato, Trappolino, Froner, Boccia, Federico Testa, Bossa, Scarpetti, Cesare Marini, D'Alema, De Micheli, Zunino, Servodio, Albonetti, Gianni Farina, Lo Moro, Fadda, Sanga, Bellanova, Mastromauro, Sbrollini, Grassi, Luongo, Tenaglia, Samperi, Zucchi, Sereni».

Interrogazione a risposta orale:

FOGLIATO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
da qualche tempo sono presenti su noti media e testate giornalistiche nazionali, inserzioni promozionali relative ad un formaggio estero denominato Gran Moravia;
ad una prima e disattenta visione del messaggio in questioni, sembra di trovarsi di fronte ad un formaggio nazionale appartenente in particolare alla filiera della DOP Grana Padano quasi fosse una specifica tipologia di imballaggio volta a meglio e più ampiamente diffondere la qualità del Grana DOP agli occhi del pubblico;
anche in caso di maggiore attenzione, il primo orientamento di identificazione del prodotto caseario reclamizzato, a vedere le simbologie in tal senso utilizzate, fa immaginare, ove non si fosse certi che sia un formaggio, che si possa trattare ad ogni modo di un pregiato prodotto agroalimentare tipico e tradizionale italiano quale, soprattutto, un prosciutto DOP di Parma in ragione della corona effigiata sul marchio dello stesso formaggio oppure di un Parmigiano Reggiano DOP dovendo andare per esclusione rispetto all'eventuale dubbio che non sia la DOP Grana Padano;
tale assunto appare assai evidente se a livello visivo si analizzano alcuni simboli recati nel messaggio, tra cui soprattutto la forma del formaggio integro, del tutto uguale a quella del Grana Padano DOP, le modalità dell'etichettatura, l'evidenziazione delle certificazioni di processo oltre il colore dei caratteri e delle figure atte a distinguere il marchio. In più, poi, ci si deve aggiungere il non secondario particolare che tale pubblicità è contornata da indicazioni del produttore esclusivamente italiane e narrative produttive evocative di tradizioni casearie nazionali;
se però si approfondisce il tema e si cerca di capire dove venga effettivamente realizzato questo giovane formaggio, si nota che esso è elaborato in Repubblica Ceca;
a parere dell'interrogante, la pubblicità oggi diffusa in merito al predetto formaggio è fortemente evocativa oltre che della DOP Grana Padano, anche del più ampio e consolidato prestigio del made in Italy, tant'è vero che chi lo produce è una società italiana e prima ancora di indicare nel messaggio promozionale l'origine estera del formaggio, indica surrettiziamente la sede italiana dell'impresa oltre alla esplicita menzione che il formaggio Gran Moravia sia relativo, in quanto ad usi e consumi, al Veneto e al Nord Italia;

relativamente alle vigenti norme comunitarie e nazionali sulla tutela contro abusi e contraffazioni delle produzioni agroalimentari designate da provenienze geografiche tutelate, giova ricordare che la disciplina in tal senso applicabile definisce dettagliatamente l'estensione della tutela che viene assicurata a tali prodotti a denominazione d'origine, la quale consegue alla registrazione della denominazione nel rispetto della regolamentazione comunitaria;
in particolare vengono vietati:
l'utilizzo abusivo delle denominazioni registrate per prodotti comparabili, o comunque per prodotti per i quali si renda possibile l'indebito sfruttamento della maggiore notorietà dei prodotti tutelati;
qualsiasi usurpazione, evocazione o imitazione della denominazione. L'illiceità non viene peraltro meno neanche se viene contemporaneamente indicata la vera origine del prodotto, né se la denominazione protetta viene riportata in traduzione o accompagnata da espressioni quali «genere», «tipo», «metodo», «alla maniera», «imitazione» e altre similari;
ogni altra indicazione falsa od ingannevole relativa alla provenienza, origine, natura o altre qualità essenziali dei prodotti, usata sulla confezione o sugli imballaggi, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati, nonché l'impiego per la confezione di recipienti, che possa indurre in errore sull'origine;
gran parte dei divieti sopra espressi sembrano all'interrogante ampiamente disattesi dagli attuali messaggi di presentazione e di promozione utilizzati per il suddetto Gran Moravia;
ci si domanda al riguardo quale reputazione e rinomanza potrebbe avere tale formaggio se trasparentemente venisse indicato in maniera chiara, in risalto rispetto al resto delle immagini ed in maniera evidente che si tratti di un prodotto fabbricato nella Repubblica Ceca e che le certificazioni di cui gode non hanno alcuna attinenza con le più severe e rigorose tutele che comportano l'appartenenza ed il rispetto delle norme comunitarie relative alle tutele delle denominazioni di origine protette, di cui evidentemente il formaggio in questione oltre a non poterne far uso, neppure potrebbe aspirare ad appartenervi per evidenti motivi di genericità del prodotto -:
se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se nel merito non intendano attivarsi per ricondurre in un alveo di lealtà e di correttezza dell'informazione le azioni promozionali relative al predetto Gran Moravia soprattutto per assicurare una concreta tutela dei diritti dei consumatori, un veritiero comportamento concorrenziale ed una efficace protezione del vero made in Italy agroalimentare.
(3-01956)

Interrogazioni a risposta scritta:

BOFFA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nel marzo del 1999 fu sottoscritto tra i rappresentanti del Governo italiano, le istituzioni territoriali, alcuni imprenditori bergamaschi, i sindacati nazionali e locali, il contratto d'area per la reindustrializzazione dell'importante polo produttivo sito in Valle Caudina;
gli imprenditori bergamaschi avevano annunciato (e garantito) una occupazione di circa 800 operai (obbligandosi pure con le organizzazioni sindacali al pieno rispetto dei diritti e delle tutele sancite dalla legge in favore dei lavoratori) ed una capacità produttiva così ripartita: Benfil, attività produttiva (a pieno regime) di 8.600 tonnellate annue di filato modello cosiddetto «ring»; Tessival, una capacità produttiva di 41.728.000 metri lineari di tessuto greggio;
nel corso degli anni, le due aziende, pur nel momento di massima occupazione, non hanno mai raggiunto i livelli occupazionali e produttivi annunciati nei progetti approvati dall'Unione europea e dalla

stessa finanziati, lo si ripete, per il rilevante importo di circa 180 milioni di euro;
già dal 2008, poi, le due aziende hanno cominciato a ridurre la propria produzione fino ad arrestarla del tutto e ad oggi sono 400 i lavoratori, assunti dalla Tessival e dalla Benfil, che usufruiscono della cassa integrazione guadagni;
sulla vertenza si sono avuti diversi tavoli istituzionali proprio presso il Ministero dello sviluppo economico;
l'ultimo di questi incontri si è tenuto lo scorso 13 luglio 2011, e ha visto la partecipazione di alcuni parlamentari sanniti, tra cui il sottoscritto, il presidente della provincia di Benevento, il sindaco di Airola, una rappresentanza delle organizzazioni imprenditoriali e sindacali territoriali, diversi funzionari e dirigenti della regione Campania e della Presidenza del Consigli dei ministri;
nel corso dell'incontro, il rappresentante di Confindustria Benevento ha reso noto la manifestazione di interesse ad investire nell'area interessata di undici imprenditori e alcuni di essi hanno anche espresso la volontà di avviare la produzione entro la primavera del 2012;
preso atto da tutte le parti al tavolo del passo avanti rappresentato dal lavoro portato avanti dalla Confindustria di Benevento, i rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei ministri hanno illustrato gli strumenti legislativi a disposizione del Ministero per interventi di reindustrializzazione, si è fatto riferimento, in particolare, all'articolo 2 della legge 23 luglio 2009, n. 99 e al decreto ministeriale del 24 marzo 2010;
è stato inoltre specificato che il Ministero dello sviluppo economico potesse intervenire solo a patto che la regione Campania facesse istanza per il riconoscimento, per l'area di Airola, della situazione di crisi industriale complessa;
in tal senso la regione Campania ha proceduto, con una delibera di giunta adottata l'8 settembre 2011, ad inoltrare al Ministero dello sviluppo economico l'istanza per il riconoscimento della situazione di crisi industriale nel comprensorio caudino, con particolare riferimento all'area del comune di Airola;
la delibera è stata poi pubblicata nel bollettino ufficiale n. 64 del 10 ottobre 2011;
completato dunque anche formalmente l'iter che si era definito nella riunione del 13 luglio 2011, appariva evidente l'urgenza di procedere il più velocemente possibile per arrivare in tempi brevi a una risoluzione positiva dell'intera vertenza;
e invece, purtroppo, sono mancati ulteriori sviluppi;
è stata, intanto, convocata presso la sede del Ministero dello sviluppo economico una riunione per la definizione delle fasi attuative per l'accordo di programma relativo alla reindustrializzazione dell'area di crisi di Acerra;
in tal senso, preme evidenziare che l'accordo di programma per la reindustrializzazione di Airola è strettamente connesso alla situazione di Acerra, come stabilito nel corso dei tavoli istituzionali prima citati;
in gioco c'è il futuro di 400 lavoratori per i quali è a rischio oggi, in assenza di una concreta proposta di reindustrializzazione, anche il mantenimento degli ammortizzatori sociali (la cassa integrazione guadagni in deroga scadrà il prossimo mese di novembre);
si parla del più importante polo produttivo esistente in un territorio, quello sannita, che da tempo sta vivendo enormi difficoltà sia sul piano occupazione che sociale ed economico -:
se non ritenga urgente convocare nei prossimi giorni un nuovo tavolo istituzionale, presso la sede del Ministero, affinché sia data concretezza agli impegni assunti lo scorso luglio.
(4-14106)

JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
«Confermata la risalita del mercato italiano dell'It nel 2010, trend che troverà ulteriore consolidamento nel corso di quest'anno. Ma i ritmi sono troppo lenti, sia rispetto alle necessità di cambiamenti strutturali del Paese, che al gap d'innovazione che scontiamo a livello internazionale, il quale, invece, tende ad approfondirsi. Il ricorso all'innovazione tecnologica continua a rimanere in Italia un fenomeno troppo limitato dimensionalmente e sottovalutato in ambito politico e nei circoli decisionali e, perciò, incapace di funzionare, come avviene nei principali paesi, da leva strategica di crescita e produttività delle imprese, di efficienza e razionalizzazione della spesa pubblica». È stato un grido di allarme, quello lanciato da Paolo Angelucci, Presidente di Assinform nel presentare a Milano l'anticipazione del Rapporto Assinform 2011, predisposto come sempre con la collaborazione di NetConsulting, sull'andamento del settore Ict nel 2010, seguito tuttavia, dall'indicazione di una reale prospettiva di crescita, qualora vi sia la capacità di valorizzare il ruolo dell'innovazione nel nostro Paese. «Si può dare una rapida ed efficace scossa all'economia - ha continuato Angelucci - puntando a utilizzare l'Ict come fattore di accelerazione dei processi di sviluppo e modernizzazione, così come indica l'Agenda digitale europea. Tre gli assi di intervento prioritari in questa direzione: creazione di un quadro normativo incentivante lo sviluppo e l'utilizzo dell'innovazione finalizzato alle crescita delle imprese, in particolare di quelle che esportano, centrato sul credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo e sulla diminuzione dell'Irap, a vantaggio per i settori brain intensive come l'Information Technology, al fine di aumentare l'occupazione qualificata. Massimo supporto all'implementazione del Cad (Codice dell'amministrazione digitale), al quale vanno destinate risorse certe, dato che si tratta di un investimento strategico per migliorare la qualità e l'efficienza dell'azione pubblica, con ritorni importanti sulla riduzione della spesa corrente e come piattaforma per accelerare il processo di digitalizzazione delle imprese e l'alfabetizzazione digitale dei cittadini. Sostegno ai processi di aggregazione e innovazione delle Pmi, protagoniste per oltre il 90 per cento del nostro tessuto produttivo, ma con oggettive difficoltà a investire in nuove tecnologie. Vanno in questo senso le reti d'impresa e l'innovazione dei distretti su cui si sta impegnando il sistema confindustriale, mentre alla parte pubblica si chiede di supportare questo processo evolutivo assicurando regole e tempi certi sui pagamenti, lo snellimento delle procedure e la semplificazione normativa»;
l'allarme del presidente di Assinform è giustificato dalla faticosa realtà che vive il settore dell'Ict in Italia, che il confronto internazionale conferma in modo preoccupante. Nel 2010, infatti, il mercato mondiale dell'Ict ha ripreso a crescere con un ritmo tornato ai livelli pre-crisi, passando dal -1,5 per cento annuo registrato nel 2009, al +4,9 per cento del 2010 (It +4,4 per cento, Tlc +5,1 per cento), a fronte di una crescita del Pil globale di 5 per cento. In Italia si conferma l'inversione del trend del mercato Ict, la cui crescita, tuttavia, permane negativa: -2,5 per cento a fronte del -4,2 per cento del 2009, per un valore di mercato di 60.230 milioni di euro. Questo andamento è dovuto principalmente al segmento delle telecomunicazioni che ha subito un ulteriore decremento di -3 per cento (-2,3 per cento nel 2009), mentre la domanda di It ha recuperato 6,7 punti percentuali, rispetto al -8,1 per cento del 2009, con una diminuzione del 1,4 per cento e un valore di 18.430 milioni di euro, dato che conferma il gap dell'Italia rispetto agli altri maggiori Paesi, il cui mercato, ad eccezione della Spagna, è tornato a crescere positivamente. Il mercato IT è cresciuto, infatti, in Germania del +2,6 per cento, in Francia dell'1,5 per cento, in UK del +1,3 per cento, a fronte di una media europea di +1,2 per cento. Nei Paesi extraeuropei il mercato IT è cresciuto in USA del +5,1 per cento, mentre in Giappone l'incremento si è attestato a 0,9 per cento;

la relativa ripresa del mercato italiano dell'IT è fortemente caratterizzata da una sostanziale novità: l'accentuato risveglio della domanda di tutte le componenti tecnologiche dell'It, e in particolare dell'hardware che, dopo anni di costante calo, nel 2010 ha messo a segno una crescita di +2,8 per cento, con un recupero di ben 17,6 punti percentuali rispetto all'anno precedente chiuso con una perdita di -14,8 per cento. La dinamica dei grandi server (Sistemi High End), la cui domanda è cresciuta del 18,4 per cento, indica che molte imprese, soprattutto di dimensioni medio grandi, hanno avviato processi di rinnovamento del proprio parco tecnologico. Questo dato si riflette nella crescita positiva della domanda di software infrastrutturale: a fronte di un comparto del software che nel suo complesso ha chiuso il 2010 con -0,9 per cento, il software di base è cresciuto del +0,4, recuperando cinque punti percentuali rispetto all'anno precedente, mentre il middleware di +0,6 per cento con un recupero di 2,6 punti percentuali;
la crescita del mercato hardware è stata, inoltre, trainata sia dalle vendite di PC che di nuovi device, come i tablet, presso imprese e individui. I personal computer mettono a segno un incremento di +15,7 per cento delle unità vendute, recuperando oltre 15 punti percentuali di crescita rispetto al 2009. All'interno di questo segmento di mercato, notevoli sono i risultati dei desktop che con una crescita di +10,4 per cento recupera poco mentre di trenta punti percentuali e dei server, che passano da -20,9 per cento del 2009 a +2,4 per cento del 2010, mentre portatili con +9,4 per cento di crescita subiscono per la prima volta dopo anni in salita una lieve flessione nella crescita (+10,1 per cento nel 2009). Il 2010 è anche la prima volta dei tablet che si impongono all'attenzione con 428.570 unità vendute. Il mercato delle telecomunicazioni ha subito una calo del 3 per cento che ha portato il valore del mercato a 41.8 miliardi di euro. Le telecomunicazioni stanno subendo in questa fase gli effetti della progressiva diminuzione dei prezzi e delle tariffe dovuto all'elevata concorrenza tra gli operatori che penalizza la crescita sia del mobile (-3,2 per cento) che del fisso (-2,6 per cento);
l'andamento a valore del mercato non rende, perciò, conto della crescita della penetrazione e dell'utilizzo dei prodotti e dei servizi di telecomunicazioni che, in realtà, anche nel 2010 è stato molto intenso. Le vendite di smartphone sono ammontate a più di 4 milioni di unità, valore doppio rispetto al 2009, gli accessi a larga banda sono aumentati del 6,9 per cento superando i 13 milioni di unità e la crescita a valore degli accessi a Internet da rete fissa è stata del 7,4 per cento. La nona indagine congiunturale realizzata a febbraio di quest'anno presso un campione significativo di aziende associate Assinform conferma un clima di fiducia da parte delle imprese it. Il fatturato risulta in miglioramento per il 65,2 per cento delle aziende, contro il 47,3 per cento di novembre 2010. Gli ordinativi sono dichiarati in crescita dal 61 per cento del campione, percentuale significativamente più alta rispetto al 45,4 per cento di novembre 2010; budget delle imprese clienti in netto miglioramento per il 65,7 per cento del campione, mentre a novembre 2010 si pronunciava così solo il 46,4 per cento. Interessante anche il dato sugli organici aziendali che, se da una parte continua a segnalare una situazione di stabilità per i dipendenti, dall'altra registra una leggera inversione per i consulenti i quali, dopo il crollo subito nel periodo di crisi, si stanno riaffacciando all'orizzonte delle imprese in quanto figure specializzate necessarie per implementare nuovi progetti. Da tener presente che, in realtà, i consulenti costituiscono la gran parte dell'universo delle micro imprese in cui è frastagliato il settore it;
le stime di Assinform e NetConsulting per il 2011 indicano il consolidamento della domanda it, con una crescita annua intorno a +1,3 per cento che avrà come fattori di spinta la domanda di hardware (+3,2 per cento), e che si avvarrà anche della ripresa della domanda di software

(+1,6 per cento) e di servizi informatici (+0,6 per cento). «La ripresa degli investimenti in tecnologia - ha concluso il presidente di Assinform - è un fenomeno con importanti potenzialità. Pone le basi per la crescita della domanda di nuove applicazioni e servizi informatici, che costituiscono il vero valore aggiunto del made in Italy tecnologico e sono motore di sviluppo e di aumento dell'occupazione. In particolare, per un'economia come quella italiana trainata dall'export, l'innovazione tecnologica diventa la chiave per aprire nuove opportunità alle imprese italiane, consentendo loro di competere anche nei grandi mercati emergenti» -:
quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di incentivare il settore dell'information technology in Italia, ambito potenzialmente trainante della nostra ripresa economica.
(4-14109)

JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
secondo la Confesercenti, il 2012 si preannuncia come l'anno della non-ripresa con un prodotto interno lordo che fatica ad arrivare al +0,4 per cento, i consumi delle famiglie scendono dal +0,6 per cento di quest'anno al +0,3 per cento, con l'export che l'anno prossimo dimezza l'attuale +4 per cento. La situazione dovrebbe migliorare leggermente sul piano della disoccupazione in calo dall'8,2 per cento del 2011 al 7,9 per cento del 2012, mentre l'enorme debito pubblico che quest'anno toccherà il 120,5 per cento ridiscendere al 119,8 per cento. Un'economia ferma o quasi è la radiografia del rapporto Confesercenti-Ref che impone scelte rapide e decise soprattutto sul versante della spesa;
secondo il rapporto, l'Italia è una delle economie che hanno evidenziato le maggiori perdite di prodotto durante la crisi, e un tasso di crescita particolarmente modesta nel corso della ripresa. L'andamento dell'attività economica ha avuto anche riflessi sull'evoluzione della domanda di lavoro che, dopo una prima fase di «attesa», si è successivamente ridotta a tassi elevati, diffondendosi a tutti i settori. L'aumento della disoccupazione nel complesso, però, è stato di entità contenuta, se rapportato all'entità della caduta del prodotto. Tale effetto è la conseguenza soprattutto dell'intervento della cassa integrazione ma è anche un esito di forme di scoraggiamento che, soprattutto al Sud, hanno portato molti lavoratori ad abbandonare la ricerca di un posto di lavoro nella certezza di non essere in grado di trovarlo. In queste condizioni, si comprende come la ripresa stia risultando troppo blanda per potere determinare un recupero in tempi rapidi dell'occupazione. È anche per questa ragione che i benefici del recupero del ciclo hanno tardato ad essere avvertiti dalle famiglie. Va anche considerato che, dal punto di vista congiunturale, la ripresa ha tardato a manifestare i propri effetti sui consumatori anche a seguito dell'aumento dell'inflazione determinato dai rincari nei prezzi delle materie prime. Tale aumento ha ridimensionato il potere d'acquisto del reddito delle famiglie proprio quando il ciclo economico stava invertendo la rotta. Uno dei problemi che sono emersi con crescente evidenza nel corso degli ultimi anni è rappresentato dalle difficoltà competitive dell'economia italiana. Tali difficoltà si sono palesate nei termini di un andamento relativamente debole delle esportazioni e, nella fase più recente, anche in una crescente tendenza della domanda interna ad essere soddisfatta attraverso incrementi delle quantità importate. Il nostro saldo delle partite correnti ha continuato a peggiorare nel corso degli ultimi anni, sino a raggiungere quest'anno, secondo le stime di Ref, un valore pari al 5 per cento del prodotto interno lordo. A questo punto la dimensione del nostro deficit dei conti con l'estero inizia ad essere elevata, e questo suggerisce una particolare attenzione al tema;
nonostante le famiglie abbiano fatto registrare, in una fase congiunturale molto

difficile, una dinamica debole dei consumi, questa risulta comunque addirittura relativamente sostenuta se rapportata alla ancor più modesta crescita del reddito. Difatti, l'Italia è uno dei pochi Paesi che anche durante la crisi hanno visto ridursi il tasso di risparmio delle famiglie: le famiglie hanno cercato di contenere la riduzione del loro tenore di vita riducendo la frazione di reddito risparmiata. Si è così completato il processo, avviatosi negli anni duemila, di riduzione del nostro tasso di risparmio: la caratteristica dell'Italia come Paese caratterizzato da un elevato tasso di risparmio delle famiglie, è quindi venuta meno. Anche le tendenze dell'economia italiana risentiranno della decelerazione del ciclo internazionale. A questo si aggiunge poi l'effetto restrittivo della politica di bilancio, corrente e attesa, che limita i livelli della spesa pubblica e l'espansione di quella privata. In questo contesto, le famiglie si ritrovano a subire i contraccolpi della politica fiscale in un momento in cui non hanno avvertito ancora i benefici della ripresa. Gli aumenti dei consumi restano di modesta entità, e condizionati dall'ipotesi che la fase di riduzione del tasso di risparmio continui ancora nel biennio di previsione. Tale circostanza è però tutt'altro che scontata, nella misura in cui molte famiglie hanno esaurito l'ammortizzatore rappresentato dal flusso di risparmio, e la crisi ha anche ridimensionato la platea dei soggetti che possono contare sull'aumento del grado di indebitamento per sostenere il tenore di vita;
nelle previsioni del rapporto, quasi metà della debole crescita dei consumi nel biennio 2011-2012 è spiegata dalla riduzione del tasso di risparmio, in presenza di un andamento del potere d'acquisto delle famiglie che risulterà di segno solo marginalmente positivo. Lo scenario che si sta materializzando vedrà con tutta probabilità comportamenti delle imprese relativamente prudenti, sia perché vi sono ampi spazi di capacità produttiva inutilizzata, sia a causa della posizione finanziaria delle imprese. Il ciclo degli investimenti in Italia ripartirà quindi con ritardo rispetto alle economie che sono in una fase più avanzata del ciclo economico. La crescita del prodotto interno lordo dell'economia italiana è quindi quantificata su valori abbastanza bassi. Ma ciò che più conta è l'aspettativa in relazione alle tendenze di medio termine. È difatti soltanto da un miglioramento delle prospettive di crescita di lungo periodo che possono scaturire scenari di sostenibilità delle finanze pubbliche credibili. Il rischio, al contrario, paventato da Confesercenti, è quello di aggiungere politiche fiscali di segno restrittivo ad una situazione di crescita già fragile, compromettendo ulteriormente il tessuto produttivo, le potenzialità di sviluppo del sistema e quindi la capacità di servire uno stock di debito di dimensioni elevate come quello italiano -:
quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di poter realizzare una reale ripresa economico-produttiva, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese italiane.
(4-14116)

BURTONE. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la legge 4 novembre 2010, n. 183, relativa al beneficio pensionistico per i lavoratori dipendenti che risultano avere svolto lavori particolarmente faticosi e pesanti, e il decreto legislativo del 21 aprile 2011, n. 67, emanato a norma dell'articolo 1 della citata legge, obbligano le aziende, a richiesta dei lavoratori interessati, a rilasciare certificazione attestante lo svolgimento di lavori usuranti effettuai dai loro dipendenti nell'ultimo decennio;
a quanto consta all'interrogante, l'azienda Poste italiane Spa, in molte realtà territoriali del Paese, ha disatteso e tutt'ora disattende quanto disposto dalla legge in questione, con conseguenze negative per i lavoratori postelegrafonici aventi diritto;
tale anomala situazione ha assunto aspetti paradossali soprattutto al Centro rete postale C.M.P. di Catania, laddove, nonostante le reiterate richieste dei lavoratori

applicati nella predetta realtà produttiva, la dirigenza aziendale continua ad eludere le legittime aspettative degli interessati, con motivazioni che, sovente, paiono poco credibili -:
quali urgenti iniziative il Ministro intenda assumere affinché Poste Italiane Spa di Catania rispetti pienamente la legge 4 novembre 2010, n. 183.
(4-14119)

FAVA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
con la lettera inviata alle organizzazioni sindacali il 21 novembre 2011, è stata formalizzata da parte di Fiat e Fiat Industrial la disdetta degli accordi in vigore, alcuni risalenti agli anni Settanta. Tale disdetta è da intendersi come atto esclusivamente tecnico, in quanto l'iniziativa fa seguito alla decisione di uscire da Confindustria (ampiamente attesa dagli addetti ai lavori);
l'obiettivo che l'azienda si propone è di allineare il sistema produttivo italiano di Fiat e di Fiat Industrial agli standard richiesti dalla concorrenza internazionale e di dotarlo degli strumenti per competere con i migliori;
secondo quanto annunciato alle parti la comunicazione per recedere dagli accordi aziendali del passato rientra quindi a pieno titolo nelle iniziative intraprese per migliorare la competitività e l'efficienza della struttura produttiva;
volontà dell'azienda è di accantonare l'attuale modello contrattuale, caratterizzato da anni di contrattazione aziendale obsoleta e non più coerente con le condizioni attuali, con un impegno da parte di Fiat a definire il più presto possibile con le organizzazioni sindacali accordi più moderni in grado di assicurare la flessibilità e governabilità degli stabilimenti, garantendo alle persone condizioni di lavoro migliori e adeguati trattamenti economici;
le trattative per discutere il nuovo contratto, iniziate il 29 novembre, proseguiranno il 2 e il 5 dicembre;
a questo punto appare certa l'estensione del «modello Pomigliano» anche a Iveco;
è comprensibile la preoccupazione dei lavoratori dell'Iveco sul futuro del proprio lavoro, sulle garanzie e sugli impegni che il contratto collettivo proposto dall'azienda propone -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e intenda intervenire vigilando sulla corretta applicazione degli accordi e salvaguardando i livelli occupazionali e le tutele dei lavoratori.
(4-14123)

BERTOLINI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la linea telefonica di rete fissa, nella frazione Piandelagotti del comune di Frassinoro, in provincia di Modena, funziona a intermittenza;
dagli inizi di novembre 2011, sia famiglie che aziende hanno denunciato disservizi alle linee telefoniche, tali da provocare notevoli disagi per i residenti e le attività imprenditoriali;
ad aggravare la situazione c'è anche l'impossibilità ad utilizzare i pos, per effettuare pagamenti e questo, alla vigilia del periodo sportivo-turistico invernale, rischia di causare gravi danni alle attività commerciali, costringendo i turisti ad utilizzare per i pagamenti solamente i contanti;
tempestive e numerose sono state le segnalazioni effettuate dall'amministrazione comunale di Frassinoro per cercare di risolvere la situazione;
il rischio è di penalizzare ulteriormente le aziende ed i cittadini di un territorio, che già soffre di forti carenze strutturali, gravato da una forte debolezza dei servizi pubblici, quali quelli sanitarie postali;
inoltre, in detta località vive una popolazione principalmente di anziani per

i quali il servizio telefonico fisso riveste una funzione di sicurezza indispensabile;
in un momento di crisi generale è assolutamente necessario sostenere le imprese che operano nei territori montani e fare in modo che i residenti non siano declassati a cittadini di «serie B», rispetto a chi vive in altre zone della provincia di Modena;
tali disservizi sono un vero e proprio incentivo a quel fenomeno dello spopolamento della montagna che deve invece essere contrastato con ogni mezzo -:
se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali siano i suoi intendimenti al riguardo;
di quali ulteriori informazioni disponga in merito a tale disservizio;
quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per tutelare i cittadini e le imprese del comune di Frassinoro (Modena) e per consentire la normale vivibilità di questa importante località dell'Appennino modenese.
(4-14128)

JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
ben il 24 per cento delle imprese italiane punta sulla sostenibilità ambientale, seppur in uno scenario economico di crisi, e il 38 per cento delle assunzioni fatte nel 2011 riguarda professionisti della green economy; l'economia verde in Italia interessa un'azienda su 4, cioè 370 mila imprese che, dal 2008 a oggi, hanno investito in prodotti e tecnologie a basso impatto ambientale. Addirittura, l'Italia risulta al primo posto in Europa, con il 55 per cento delle risorse totali impegnate nella green economy. Sono questi i dati principali del rapporto GreenItaly 2011, che Symbola e Unioncamere hanno presentato a Milano, alla presenza, tra gli altri di Stefano Boeri, assessore alla Cultura del comune di Milano, Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda e Giuseppe Sala, amministratore delegato dell'Expo di Milano, a sottolineare come l'evento del 2015 ambisce a contraddistinguersi per pratiche di sostenibilità;
secondo i relatori, questa crisi si può vincere continuando a puntare su innovazione, qualità e sostenibilità. «Tre valori che, coniugati tra loro - ha spiegato Claudio Gagliardi, segretario generale di Unioncamere - consentono alle nostre imprese di intercettare le preferenze dei consumatori del mondo, di rendere i propri prodotti unici e non riproducibili, di fare efficienza puntando sulla creatività delle risorse umane e sull'uso responsabile delle risorse naturali». L'Italia ha forse saputo interpretare in maniera originale la green economy: nel nostro Paese, infatti, la vera forza delle imprese «green» non è solo nel prodotto finito, ma nella capacità delle singole aziende di integrare territorio e produzione, comprendendo tutte le fasi del processo produttivo, dalle risorse primarie alle emissioni finali. In pratica, in Italia si assisterebbe soprattutto - secondo il rapporto - alla riconversione in chiave ecosostenibile di comparti tradizionali dell'industria, più che allo sviluppo di settori innovativi legati alle rinnovabili o ad altri settori chiave. A testimoniarlo ci sono i numeri: oltre un terzo delle imprese che investono in tecnologie per la riduzione dell'impatto ambientale (il 34,8 per cento) opera all'estero - quota quasi doppia rispetto a quella rilevata per le aziende che non puntano sulla sostenibilità ambientale (meno di 2 su 5, pari al 18,6 per cento). Tanto che, entro la fine del 2011, queste imprese prevedono nuove assunzioni, addirittura al Sud. Ma c'è un altro dato che lascia positivamente sorpresi: la classifica regionale per incidenza delle imprese «green» sul totale, infatti, vede in testa il Trentino Alto Adige, seguito da Valle d'Aosta, Molise, Abruzzo e Basilicata. Segno che dalla sostenibilità può anche arrivare un rilancio per l'economia del Mezzogiorno;
dati alla mano, sono state soprattutto le medie imprese (quelle dai 20 ai 499 dipendenti) a investire su prodotti e tecnologie

a maggior risparmio energetico e a minor impatto ambientale. La parte più importante la fa il settore manifatturiero, dove la quota di imprese che realizzano investimenti in sostenibilità sfiora il 28 per cento. Per quanto riguarda l'agricoltura, invece, basti ricordare che l'Italia è il Paese al primo posto in Europa per numero di aziende che hanno scelto il metodo di produzione biologico ed è anche il maggior esportatore mondiale di prodotti biologici. Esempi positivi emergono tuttavia in tutti i maggiori settori produttivi: la concia, la carta, la ceramica, il legno-arredo, la nautica, l'edilizia, il tessile. Una crescita dunque che si collega alle eccellenze del made in Italy che offre prospettive concrete, come quelle legate all'Expo, «momento di traguardo - sintetizza Boeri - di una conversione ecologica di Milano e dell'intero paese». Proprio durante il periodo dell'Expo, verranno realizzati progetti di sostenibilità ambientale ed energetica per promuovere quei primati imprenditoriali italiani che «nonostante il periodo di crisi non sono in declino, soprattutto in Lombardia»;
la green economy si, conferma dunque un fattore propulsivo della competitività: in tempi di cassa integrazione e di licenziamenti, le 116 mila imprese che investono in tecnologie green prevedono, entro la fine dell'anno, 344 mila nuove assunzioni, per lo più a tempo indeterminato, nei settori della bioedilizia e delle costruzioni. Ciò vuol anche dire che bisogna ripensare la formazione professionale perché, nonostante l'offerta appaia ricca (soprattutto per il numero di strutture e atenei che propongono corsi e master in green economy), in realtà si evidenzia un disallineamento tra i bisogni professionali delle imprese e le competenze disponibili. Un gap che lascia intravedere il rischio di guadagni facili e pochi risultati;
«La green economy - puntualizza Marco Frey, docente di economia alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa - è un campo in cui c'è bisogno di sistematicità: il rischio, altrimenti, è che rimanga soltanto uno slogan, mentre è necessario che i business models si trasformino in un'ottica di impresa». Un concetto che anche Legambiente condivide, confermando come, almeno nello scenario della green economy, voci differenti e spesso opposte convergano tutte all'unisono. «La green economy - precisa Andrea Poggio, vicedirettore nazionale di Legambiente - non è un settore di nicchia, c'è la capacità del sistema Italia di rispondere positivamente anche a fronte di una carenza di incentivi. Servono però politiche industriali per valorizzare le eccellenze, fare rete e riuscire a competere nel mondo». Un campo nel quale l'Italia ha le potenzialità per farcela, anche in un momento critico come quello attuale -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di incentivare le imprese italiane ad adottare una policy aziendale volta alle esigenze e ai dettami delle green economy.
(4-14129)

OLIVERIO e RUBINATO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la SIMEST S.p.a. è un «ente istituzionale» che riveste un ruolo importante nel processo di internazionalizzazione delle imprese italiane, sostenendole sia in modo diretto attraverso la partecipazione nel capitale delle società estere, sia indirettamente mediante la gestione di strumenti agevolativi che consentono di finanziare, con fondi pubblici, iniziative sui diversi mercati; la SIMEST S.p.a., costituita nel 1990, è partecipata dal Ministero dello sviluppo economico che ne detiene la quota maggioritaria, pari al 76 per cento del suo capitale, mentre la restante quota, pari al 24 per cento, è detenuta da soci privati;
in particolare la SIMEST S.p.a., al fianco delle aziende italiane, può acquisire partecipazioni nelle imprese all'estero fino al 49 per cento del capitale sociale, sia investendo direttamente, sia attraverso la gestione del Fondo partecipativo di venture

capital, destinato alla promozione di investimenti esteri in Paesi extra europei; la partecipazione SIMEST consente all'impresa italiana l'accesso alle agevolazioni (contributi agli interessi) per il finanziamento della propria quota di partecipazione nelle imprese fuori dall'Unione europea;
il settore agroalimentare è uno dei settori produttivi maggiormente interessati dall'attività della SIMEST S.p.a. che può svolgere un ruolo fondamentale nell'accrescere, a livello internazionale, le quote di mercato del made in Italy agroalimentare contribuendo alla crescita del Paese;
intervenendo in una audizione alla Commissione agricoltura della Camera dei deputati l'8 novembre scorso, il Presidente nazionale della Coldiretti ha denunciato l'operato della Simest, in particolare, per il finanziamento di due società estere, Parmacotto negli Stati Uniti e Lactitalia in Romania; l'accusa è quella di finanziare, attraverso la SIMEST, imprese italiane per produrre e commercializzare all'estero prodotti che di italiano hanno solo il nome; prodotti che nascono all'estero, con materia prima e manodopera estere; in pratica una vera e propria contraffazione di Stato che utilizza ingenti risorse pubbliche per finanziare la produzione in paesi terzi di prodotti agroalimentari che nulla hanno a che fare con il tessuto produttivo del nostro paese;
la tutela e la valorizzazione delle produzioni italiane devono essere la stella polare dell'attività della SIMEST e del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali in un momento come l'attuale in cui l'impresa agricola vive una situazione di grandissima sofferenza e l'Italia paga la qualità che produce sui mercati globali; schiacciato dall'offerta di prodotti a prezzi bassi, il prodotto italiano non trova una remunerazione giusta per la qualità che esprime;
risulta quindi inaccettabile il comportamento della SIMEST che contribuisce ad incrementare il danno che il falso made in Italy produce per il sistema Paese, un danno che raggiunge i 60 miliardi di euro;
la società è sotto accusa per i casi di Lactalis (in Romania) e soprattutto di Parmacotto (negli USA), che attraverso i finanziamenti di Simest ha realizzato negli Stati Uniti una filiera produttiva che nulla ha a che fare con il sistema agroalimentare nazionale, perché completamente delocalizzata, finanziando la promozione di salumi ed insaccati, prodotti con carne straniera e venduti con il marchio «Parmacotto» e «Salumeria biellese», senza che di italiano ci fosse nulla oltre il nome;
il Gruppo Parmacotto ha già avviato negli Stati Uniti un progetto che ha portato all'apertura di un punto vendita monomarca a New York e prevede di strutturare una vera e propria catena di locali caratterizzati dall'offerta di prodotti «Italian sounding», ossia che evocano una provenienza italiana nei nomi;
il caso della Parmacotto segue quello Lactalia, società a responsabilità limitata costituita nel 2005 in Romania per la lavorazione e la commercializzazione di prodotti lattiero caseari e posseduta al 29,5 per cento dalla Simest; Lactitalia commercializza in Italia e in altri Paesi europei formaggi di «tradizione italiana» col marchio «Dolce vita» (mozzarella, pecorino, mascarpone, caciotta) e di tradizione romena tra cui anche una ricotta con la denominazione «Ricotta toscanella» che in realtà non sono ottenuti da materie prime italiane;
leggendo alcuni nomi dei prodotti venduti all'estero da Parmacotto e Lactalia (tra cui bresaola, finocchiona, salame toscano, soppressata, pecorino, toscanella) è evidente il danno che viene prodotto evocando denominazioni di territori e di prodotti che sono il frutto di secoli di storia, tradizione, impegno diligente degli imprenditori agricoli;
Alessandro Rosi, amministratore delegato di Parmacotto, ha dichiarato: «la metà circa delle carni suine lavorate nel mio gruppo, che non produce solo prosciutto

cotto, viene da fuori: Francia, Danimarca, Spagna e Germania, per lo più»... «Ciò che conta è il know how, la lavorazione delle carni. È un fatto di cultura»... «Prendiamo il caso del salame. Negli Stati Uniti ne è proibita l'esportazione, perciò nel nostro emporio di Manhattan non possiamo vendere i nostri prodotti italiani. Perciò un tecnico della nostra azienda di San Gimignano si è trasferito nel New Jersey importando lì metodi e processi di produzione in ogni passaggio, adottati in Toscana. Il risultato è che a Manhattan lei può trovare una finocchiona che non teme il confronto con quella toscana»... «Dal punto di vista culturale è una finocchiona Made in Italy. L'importante è che la carne sia di prima scelta, trattata nelle condizioni migliori...»;
in un momento di grave crisi in cui il nostro Paese è alla ricerca di azioni e risorse per il rilancio dell'economia e della crescita occupazionale, il «Made in Italy», e in particolare quello agroalimentare, è universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva e di sviluppo del Paese rappresentando oltre il 16 per cento del Pil nazionale;
l'export agroalimentare raggiunge quasi 28 miliardi di euro e ha segnato, anche durante la crisi, tassi di crescita del 13 per cento, l'Italian sounding rappresenta un pericolo mortale per il settore primario italiano perché sottrae ingenti risorse all'economia nazionale e rischiano di bloccare ogni potenzialità di crescita delle imprese italiane a causa della «saturazione» del mercato con prodotti che richiamano qualità italiane senza essere di origine nazionale, impedendo ai consumatori di effettuare una corretta comparazione sulla base della diversa qualità e convenienza con prodotti autentici del Made in Italy -:
se i Ministri interrogati ritengano che la strategia di finanziamento all'estero della SIMEST s.p.a. a favore imprese che commercializzano prodotti con una falsa identità di origine sia conforme alle funzioni e agli scopi sociali attribuiti ex lege alla medesima società e in caso contrario se non ritengano opportuno revocare il mandato di rappresentanza agli attuali amministratori di SIMEST;
se non ritengano urgente intervenire per impedire che continui l'uso improprio di risorse pubbliche per la commercializzazione sui mercati esteri di prodotti di imitazione che danneggiano le autentiche eccellenze del territorio e dell'agricoltura italiana, verificando altresì quali siano i criteri con cui la SIMEST sceglie i progetti da finanziare;
quali iniziative intendano deliberare per sanzionare quella che all'interrogante appare la più grave irregolarità commessa dai responsabili di SIMEST di violazione nel commercio da parte della società Parmacotto da essa partecipata delle norme in materia di protezione di denominazioni di origine protetta a proposito della promozione di un prodotto (salumi calabresi) che gode del riconoscimento europeo;
se non ritenga necessario intervenire per agevolare e realizzare progetti di promozione all'estero dei prodotti del Made in Italy agroalimentare eliminando quelle barriere sanitarie che, proprio nel settore della carne, ostacolano il commercio con l'estero.
(4-14131)