XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di martedì 6 settembre 2011

TESTO AGGIORNATO AL 7 SETTEMBRE 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
una siccità e una carestia, come non si ricordavano da oltre 60 anni, stanno mettendo in grave pericolo la vita di circa 12 milioni di persone e le zone più duramente colpite sono la Somalia, l'Etiopia, il Kenya, l'Uganda, la Repubblica di Gibuti, l'Eritrea, mentre fortemente a rischio sono il neo nato Sud Sudan e la Tanzania;
la commissaria dell'Unione europea agli aiuti umanitari, Kristalina Georgieva, di ritorno da una missione in Kenya e Somalia, ha comunicato che in sede europea è stato già deciso di sbloccare da subito 27,8 milioni di euro (seguiranno altri 60 milioni, disponibili in un secondo tempo e che si aggiungeranno agli oltre 70 milioni di euro già stanziati);
anche il Programma alimentare mondiale (Pam) ha già provveduto a un primo invio di aiuti, partito dal Kenya per Mogadiscio, per portare, tra l'altro, 10 tonnellate di razioni alimentari ricche di proteine e calorie per i bambini sotto i cinque anni e ovviamente altri aerei partiranno nei prossimi giorni;
secondo le previsioni delle Nazioni Unite, entro la fine di agosto 2011, il numero di affamati in Kenya passerà dagli attuali 2 milioni e 442.000 a tre milioni e mezzo;
l'emergenza umanitaria nel Corno d'Africa è stata al centro di una riunione dei Paesi donatori, tenutasi a fine luglio 2011 a Nairobi, in Kenya. Un appuntamento deciso a Roma nella sede dell'Organizzazione per l'agricoltura e l'alimentazione (Fao) dove i rappresentanti dei 191 Paesi membri della Fao, le agenzie umanitarie e le organizzazioni non governative, convocati dalla presidenza francese di turno del G20 il 25 luglio 2011, hanno proposto le soluzioni più adatte per far fronte alla crisi del Corno d'Africa, anche se forte è stato il rammarico del presidente della Fao, Jacques Diouf, quando ha affermato: «Reagiamo solo quando c'è un'emergenza» e ha poi chiesto un «aiuto massiccio e urgente» che, alla vigilia del vertice, il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, aveva quantificato in 1,6 miliardi di dollari;
gli impegni concreti, però, sono rimasti nel vago o ben al di sotto del necessario. Infatti, secondo l'ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell'Onu, per coprire i bisogni del Kenya, della Somalia, dell'Etiopia e di Gibuti - valutati in 1,9 miliardi di dollari per il 2011 - mancano ancora 1,14 miliardi di dollari;
secondo molte organizzazioni non governative, invece, si è trattato di una conferenza «inesistente per lo scarso impegno delle economie più ricche e potenti», fumo negli occhi, secondo alcuni analisti africani, in quanto il business degli aiuti, hanno affermato, perpetua la dipendenza dei Paesi che non hanno risorse appetibili ai grandi capitali internazionali e che, invece, necessiterebbero di un piano di rilancio durevole dell'agricoltura locale;
ad aggravare la situazione ci sono state anche impreviste difficoltà logistiche a far arrivare gli aiuti umanitari, soprattutto in Somalia: un primo velivolo dell'agenzia dell'Onu con 14 tonnellate di viveri ad alto valore nutrizionale sarebbe dovuto partire negli stessi giorni del vertice Fao da Nairobi, ma, per non meglio precisati problemi di dogana, il volo è stato rinviato ai giorni successivi. Altri aerei sarebbero dovuti partire successivamente per Mogadiscio, per la città etiope di Dolo e quella keniota di Wajir, lungo la frontiera con la Somalia;
anche per le organizzazioni umanitarie si è reso impossibile l'accesso al Paese per l'opposizione dei miliziani di Al Shabaab, attualmente in aperta guerra con il Governo federale transitorio, anche se

alla fine hanno acconsentito all'accesso delle stesse; la Somalia è il Paese più colpito e minacciato: un terzo della popolazione, circa 2,85 milioni di persone hanno bisogno urgente di aiuti umanitari. Diversi fattori hanno contribuito a rendere tale situazione ancora più precaria e pesante: una guerra ventennale che, come conseguenza, ha procurato il più massiccio esodo di profughi al mondo; la peggiore siccità degli ultimi 60 anni, in conseguenza della quale si è verificato il crollo della produzione agricola; l'aumento dei prezzi dei generi alimentari che ha reso costose le già poche provviste a disposizione; infine, la crisi economica mondiale che fatto collateralmente diminuire i fondi destinati alle organizzazioni umanitarie, anche perché si tratta di un Paese dove infuria la guerra, dove vige una situazione di anarchia e di conflitto da 20 anni, dove, oggi, ogni giorno più di tremila somali affluiscono dalle frontiere del Paese verso l'Etiopia e il Kenya;
gli aiuti della comunità internazionale si stanno concentrando comunque nei campi profughi al confine con il Kenya, in particolare il campo di Dadaab, il campo profughi più grande del mondo in territorio kenyota, quotidianamente alimentato da gente che arriva dal sud Somalia; in Etiopia, in particolare, sono 4,5 milioni le persone in stato di bisogno, soprattutto a Sud-Est, ma anche in altre zona più a Ovest, nelle diocesi di Soddo Osanna e Awassa. Inoltre, stanno arrivando centinaia di profughi dalla Somalia che si concentrano soprattutto nel campo di Dolo Odo, in Etiopia meridionale;
il nostro Paese si è attivato facendo partire un cargo della cooperazione italiana dal deposito umanitario delle Nazioni Unite a Brindisi con arrivo a Nairobi; a bordo del velivolo sono state imbarcate oltre 40 tonnellate di generi alimentari, quali riso, mais, olio vegetale, farina, zucchero, legumi e latte a lunga conservazione per contribuire a sostenere le oltre 440 mila persone presenti nei sovraffollati campi di Dadaab, stante la difficoltà di poter raggiungere direttamente i territori somali;
la comunità internazionale, però, continua ad avere difficoltà - nonostante le buone intenzioni - ad avviare il ponte aereo di aiuti alimentari del Programma alimentare mondiale per la Somalia, mentre le derrate alimentari ferme in Kenya dovrebbero essere depositate sulle piste dell'aeroporto di Mogadiscio e prese in consegna dagli uomini del fragile Governo di transizione somalo;
il 2 agosto 2011 si è svolta, presso la Commissione affari esteri del Senato l'audizione del vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, Amir Abdulla, che ha riferito sul massiccio intervento di emergenza dell'agenzia nella regione del Corno d'Africa. L'audizione ha coinciso con l'annuncio di un impegno dell'Italia per 3,5 milioni di euro alle operazioni del Programma alimentare mondiale in quell'enorme regione;
anche la III Commissione (affari esteri) della Camera dei deputati si è espressa sulla grave situazione in atto nel Corno d'Africa attraverso l'approvazione unanime di una risoluzione che riflette quanto già espresso in premessa;
anche il Papa è intervenuto chiedendo una mobilitazione internazionale che affronti immediatamente questa tragica emergenza umanitaria; in Kenya, oltre 3,2 milioni di persone sono colpite dalla carestia, soprattutto nel nord del Paese,


impegna il Governo:


ad adottare tutte le iniziative utili al rafforzamento dei processi di pace, soprattutto nella regione somala, e ad affrontare la grave carestia che interessa l'area con aiuti umanitari ancora più consistenti, nella direzione di quanto evidenziato in sede Fao;
a contribuire, tenendo presente che la siccità e la carestia nel Corno d'Africa

rappresentano un problema endogeno e una condizione che si ripete tutti gli anni, alla realizzazione di progetti di sostegno all'agricoltura e ai sistemi di irrigazione, in grado di aiutare l'aumento della produzione e di diversificare il sostentamento con altre attività.
(1-00705)
«Evangelisti, Leoluca Orlando, Donadi, Borghesi, Di Stanislao».
(Presentata il 4 agosto 2011)

La Camera,
premesso che:
sta peggiorando in modo continuo e repentino lo stato di emergenza nel Corno d'Africa con pesanti ripercussioni sull'intero territorio, soprattutto nel sud della Somalia che rischia pesantissime ripercussioni in termini di perdita di vite umane, una perdita che viene calcolata in milioni di persone, soprattutto tra le nuove generazioni e in particolare tra i bambini e i giovanissimi;
il complesso di cause definito dalla più grave crisi alimentare al mondo, la peggiore degli ultimi 20 anni in Africa, dalle conseguenze della guerra in Somalia che si protrae da molti anni e da una delle più gravi forme di siccità che dal 1950 si sono scatenate nel Corno d'Africa tra la fine del 2010 e l'inizio 2011, rendono urgente programmare una serie di iniziative di diversa natura, ma fortemente articolate tra di loro, che sono al di fuori delle possibilità delle popolazioni locali;
il mix di cause naturali, come la siccità, che ha determinato un'assoluta impossibilità di ottenere frutti di qualsiasi tipo dall'agricoltura locale, peraltro sempre molto primitiva, ha creato le condizioni di una carestia che si è andata contagiando tra tutti i Paesi limitrofi al Corno d'Africa, fino a non consentire più nessun possibile scambio di viveri e di prodotti agricoli; a questa drammatica situazione si è andata sommando la speculazione sui prezzi delle derrate alimentari, inviate da varie organizzazioni umanitarie, rendendoli assolutamente inaccessibili per una popolazione già provata da uno stato di povertà cronica;
tutta la regione del Corno d'Africa affronta questa gravissima emergenza causata da fattori di ordine naturale, esasperati però da fattori umani come la concomitante avidità e la corruzione, i cui effetti sono andati moltiplicandosi anche per la mancanza di interventi tempestivi ed efficaci;
alla siccità e alla carestia, oltre alla speculazione di persone senza scrupoli, si aggiunge anche la guerra in Somalia. La Somalia resta il contesto più difficile per l'azione internazionale di soccorso alle popolazioni del Corno d'Africa, stremate anche dal loro lungo peregrinare in cerca di cibo, non poche volte assalite e derubate di tutti i loro poverissimi averi. Il controllo esercitato sulle zone di passaggio da gruppi contrapposti in guerra tra di loro costituisce un ostacolo che la diplomazia non riesce a rimuovere, per cui diventa sempre più difficile per gli operatori umanitari raggiungere le zone dove si concentrano i più grandi flussi di profughi degli ultimi decenni verso il Kenya e l'Etiopia;
la vita di molti bambini è messa a rischio anche a causa dell'intensificarsi delle campagne di reclutamento forzato di bambini e bambine da parte dei gruppi in lotta tra di loro, che prelevano questi bambini dietro false promesse fatte alle loro famiglie, che sperano in questo modo di assicurare loro una vita migliore, almeno in termini di nutrizione ed alimentazione, oppure li rapiscono senz'altra spiegazione;
allo stato attuale, nel quadro complessivo di un'emergenza che tende ad allargarsi sempre di più, sono state localizzate tre aree a più alta necessità di aiuto: quella che riguarda i campi profughi sovraffollati di rifugiati somali in Kenya e in Etiopia, con ripercussioni che colpiscono anche le circostanti comunità locali, un'altra, più silenziosa, che sta provando duramente le popolazioni che

vivono nelle aree rurali dei Paesi che sono colpite dalla siccità, e la terza che colpisce donne e bambini all'interno della Somalia, incluse le popolazioni sfollate, direttamente alle prese con gli effetti della guerra e della siccità;
il 20 luglio 2011 le Nazioni Unite hanno dichiarato lo stato di carestia in due regioni della Somalia meridionale, Southern Bakool e Lower Shabelle. I tassi di malnutrizione acuta, che hanno portato alla dichiarazione dello stato di carestia, in alcune aree delle due regioni raggiungono picchi del 55 per cento, con la mortalità infantile che, in alcune zone, supera i 6 decessi al giorno ogni 10.000: nelle due regioni, le persone colpite dalla carestia sono oltre 270.000;
nella sola Somalia la metà della popolazione necessita di assistenza umanitaria. In totale, in tutti i Paesi coinvolti dall'emergenza (Somalia, Kenya, Etiopia, Gibuti) i bambini malnutriti sono 2,34 milioni, di cui circa oltre mezzo milione in modo grave e dunque in immediato pericolo di vita;
se si considera l'intera Somalia, 1,85 milioni di bambini hanno bisogno d'assistenza immediata e oltre 780.000 sono malnutriti, di cui 340.000 in modo grave ed in immediato pericolo di vita. Il Sud ospita l'82 per cento di tutti i bambini malnutriti - circa 640.000 bambini - e il 90 per cento di quelli malnutriti in modo grave: 310.000 in imminente rischio di morte. Nel Paese, le persone che necessitano assistenza umanitaria sono 3,7 milioni - oltre la metà della popolazione - di cui 2,8 milioni nel Sud, dove i bambini che necessitano assistenza sono 1,25 milioni. Tra l'inizio del 2011 e la dichiarazione dello stato di carestia, in Somalia erano già morti più di 400 bambini, una media di 90 bambini morti ogni mese, con l'86 per cento dei decessi infantili concentrato nelle regioni centromeridionali, nonostante l'Unicef e i partner avessero già curato, nello stesso periodo, oltre 100.000 bambini affetti da malnutrizione acuta;
nella regione quasi 12,4 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria integrata di cui 3,7 milioni in Somalia, 4,8 milioni in Etiopia, 3,7 milioni in Kenya e 165.000 a Gibuti. Tutte le persone colpite sono ad alto rischio di contrarre malattie potenzialmente mortali, tra cui morbillo, diarrea acuta e polmonite, con donne e bambini tra i soggetti più a rischio, che come sempre pagano le conseguenze più gravi dell'emergenza in atto: nei Paesi coinvolti - Somalia, Kenya, Etiopia, Gibuti - 2,34 milioni di bambini risultano malnutriti, tra cui circa oltre mezzo milione in modo grave e dunque in immediato pericolo di vita;
l'intervento dell'Unicef è stato tempestivo, sebbene incontri gravi ostacoli nell'accesso ad alcune delle aree colpite e stia perciò negoziando con autorità locali, e chiunque controlli il territorio, la possibilità di distribuire aiuti e attuare interventi di assistenza. Nonostante gli evidenti ostacoli, l'Unicef sostiene oltre 100 organizzazioni partner, di cui 70 nel Sud, attraverso il sistema del Cluster, ossia attraverso gruppi di coordinamento cui partecipano, per ciascun settore di intervento, autorità locali, altre agenzie Onu ed organizzazioni non governative nazionali e internazionali: in Somalia, l'Unicef guida i gruppi di intervento nei settori nutrizione, acqua e igiene, istruzione e protezione dell'infanzia, erogando la quasi totalità dei servizi d'assistenza umanitaria alla popolazione, soprattutto nel Centro e nel Sud;
il 2 agosto 2011, nel corso dell'audizione alla Commissione affari esteri del Senato, presieduta dal senatore Lamberto Dini, il vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Wfp) Amir Abdulla ha riferito sul massiccio intervento di emergenza dell'agenzia nella regione del Corno d'Africa, evidenziando l'importante ruolo dell'Italia e il fatto che sul suo territorio vi sia la base di pronto intervento umanitario di Brindisi «modello di grande efficacia che si è cercato di replicare in altre parti del mondo per poter raggiungere più rapidamente le popolazioni colpite da crisi umanitarie»;

è stato annunciato l'impegno dell'Italia per 3,5 milioni di euro alle operazioni del Programma alimentare mondiale nel Corno d'Africa;
il 9 agosto 2011 ad Addis Abeba, come ha riferito il Presidente somalo Sharif Ahmed, si è svolta una nuova conferenza organizzata dall'Unione africana per individuare modalità concrete di aiuto alle popolazioni colpite da questa drammatica situazione di emergenza; ma nonostante la volontà dei Paesi che si dichiarano potenziali donatori, la mancanza di coordinamento rappresenta un ulteriore elemento di tensione che aggrava la situazione. Sharif Ahmed ha chiesto con urgenza l'apertura di corridoi umanitari sotto protezione militare internazionale, per assicurare che gli aiuti promessi giungano effettivamente alle popolazioni che ne hanno bisogno;
per favorire la risposta umanitaria anche gli Stati Uniti sembrano pronti ad una sospensiva delle misure previste per quanti forniscono sostegno a qualsiasi titolo, anche indirettamente ad al Shabaab, che guida le milizie radicali islamiche somale che controllano alcune delle zone più colpite dalla carestia. Fonti governative di Washington hanno riferito che non saranno perseguite le organizzazioni umanitarie che compiono in buona fede sforzi per consegnare cibo e medicinale e che per questo debbano venire a patti con i guerriglieri;
il segretario del Ministero della sicurezza interna Francis Kimemia ha dichiarato che, invece di espandere il campo di rifugiati all'interno del Kenya, si dovrebbero aprire campi in Somalia, evitando in tal modo nuovi flussi somali. Inoltre, secondo Kimemia, i campi dentro la Somalia dovrebbero essere controllati dalle forze di pace dell'Unione africana (Amisom). Purtroppo però l'Amisom non sembra in grado di attuare una simile iniziativa;
le autorità keniote, che hanno ottenuto rilevanti finanziamenti dall'Onu per estendere il campo di Dadaab, sono state accusate di guadagnare molti soldi grazie alla crisi. Sono diverse le testimonianze di rifugiati che stanno pagando non solo per passare i posti di blocco gestiti da poliziotti corrotti fuori dai campi, ma anche per essere registrati velocemente al loro arrivo nella struttura di accoglienza del Kenya;
nell'appello lanciato da Benedetto XVI per aiutare il Corno d'Africa, il Papa ha espresso una «profonda preoccupazione», auspicando che «cresca la mobilitazione internazionale per inviare tempestivamente soccorsi a questi nostri fratelli e sorelle già duramente provati, tra cui vi sono tanti bambini»;
si è in presenza di una catastrofe umanitaria: 10 milioni di persone sono a rischio in Kenya, Somalia, Etiopia, Gibuti e Uganda, circa 400 mila profughi sono ospitati nel campo di Dadaab che dovrebbe contenerne 90 mila e 3 mila persone ogni giorno fuggono in Kenya dall'inferno somalo,


impegna il Governo:


a intervenire sul piano diplomatico perché gli aiuti che a livello nazionale ed internazionale vengono destinati ai Paesi del Corno d'Africa possano giungere loro senza dispersioni né sovraccarichi di costi;
a sostenere la richiesta dell'Unicef che ha lanciato un appello a tutta l'industria del trasporto aereo, affinché assicuri il trasporto gratuito o fortemente scontato degli aiuti indispensabili alle popolazioni stremate dalla carestia e dalla siccità;
a mantenere gli impegni promessi nell'ambito della cooperazione internazionale per garantire aiuti concreti sul piano economico-finanziario nei confronti dei Paesi del Corno d'Africa;
a potenziare con ogni mezzo, non solo di carattere economico-finanziario, il sostegno alle organizzazioni umanitarie internazionali, finalizzato a contrastare lo stato di emergenza in continua progressione delle aree interessate;

ad adottare iniziative normative atte a semplificare e ad agevolare il sistema di adozioni internazionali a favore dei bambini del Corno d'Africa;
a sensibilizzare ulteriormente l'opinione pubblica anche attraverso campagne d'informazione con l'obiettivo di raccogliere attraverso organizzazioni qualificate, quali la Caritas internazionale, più fondi possibili, dando alta priorità all'assistenza ai bambini;
a promuovere interventi in grado di far fronte all'emergenza dettata dall'ondata dei profughi, registrata soprattutto in Kenya, dove il campo profughi di Dadaab ha registrato durante il mese di luglio 2011 l'arrivo di 1.200 rifugiati somali al giorno;
a promuovere, anche in collaborazione con altri Paesi, politiche per l'agricoltura che permettano di sperimentare, attraverso studi e ricerche, nuove modalità di aiuto ai Paesi africani in modo più strutturale e meno episodico.
(1-00706)
«Binetti, Adornato, Enzo Carra, Buttiglione, Nunzio Francesco Testa, Calgaro, Volontè, Compagnon, Anna Teresa Formisano, Pezzotta, Ciccanti, Naro».
(Presentata il 5 settembre 2011)

La Camera,
premesso che:
in Africa orientale in questi mesi si sta verificando una delle peggiori siccità degli ultimi tempi, che coinvolge quasi 12 milioni di persone, di cui una consistente parte è rappresentata da bambini;
l'Onu ha invitato tutti i Paesi ad una solerte e solidale partecipazione alle misure di sostegno per il Corno d'Africa, dove per affrontare la carestia la stessa Organizzazione ha stimato una necessità di fondi per 1,6 miliardi di dollari;
tra le regioni più colpite c'è, in particolare, la Somalia, nella quale la siccità si è manifestata con caratteristiche tali da indurre l'Onu a dichiarare lo stato di carestia per almeno due aree del Paese. Una drammatica circostanza che insiste su un territorio già gravato da una crisi politico-militare di lunga data;
nelle aree più colpite dalla carestia le milizie integraliste islamiche Al Shabaab impediscono persino l'intervento degli aiuti umanitari, rifiutando qualsiasi forma di collaborazione con le organizzazioni umanitarie;
organizzazioni internazionali attive da anni sui territori colpiti hanno lanciato l'allarme per la popolazione, in particolar modo per quanto riguarda la Somalia, dove la situazione è catastrofica: alla mancanza di raccolti è, infatti, seguito un aumento spropositato (tra il 100 e il 200 per cento) dei prezzi di grano e altri generi alimentari fondamentali, determinando fenomeni di malnutrizione cronica e generalizzata;
il drammatico risultato di questi eventi è il fiume inesauribile di profughi, malnutriti e in condizioni igienico-sanitarie assolutamente critiche, i quali, spinti dalla fame e dalla necessità e in fuga dalla difficilissima situazione politico-militare del Paese, si dirigono verso i campi profughi situati oltre confine in regioni colpite anch'esse dalla grave siccità, come Kenya, Gibuti ed Etiopia;
la Fao ha richiesto, per gli interventi di natura urgente, 120 milioni di dollari, di cui 70 milioni sarebbero destinati al supporto della sola situazione somala;
il Governo italiano sta rispondendo a tale impegno condiviso in sede internazionale, attraverso lo stanziamento di fondi pari a 11 milioni di euro e nelle scorse settimane si è assistito all'invio dei primi voli umanitari;
alla necessità di interventi urgenti a sostegno della popolazione si aggiunge tuttavia la necessità di interventi di progettualità più estesa;

il recente aggravarsi della situazione del Corno d'Africa, a seguito di due consecutive stagioni di piogge molto scarse, insiste infatti su una condizione di criticità i cui primi allarmi da parte delle organizzazioni internazionali attive sul territorio risalgono a quasi 20 anni fa;
la cronica situazione che interessa l'area ha indotto gli osservatori internazionali a sostenere la necessità di misure strutturali e non solo emergenziali per l'area. Un impegno che la stessa Comunità europea aveva già fatto proprio con la risoluzione (P6-TA-PROV(2009)0026 B6-0033/2009) del 15 gennaio 2009 sulla situazione politica nel Corno d'Africa, includendo specifiche misure di intervento per la sicurezza regionale, la sicurezza alimentare e lo sviluppo, nonché il rispetto dei diritti umani;
tale impegno ha trovato conferma negli annunci attraverso i quali l'Unione europea, nei mesi scorsi, ha manifestato l'intento di voler potenziare l'impegno a lungo termine per le zone colpite;
la medesima Comunità europea ha stanziato, nel mese di luglio 2011, 28 milioni di euro, che si aggiungono ai 70 milioni già stanziati nel 2011 per fronteggiare la grave siccità;
una tipologia di interventi che si pone sulla linea della Banca mondiale la quale ha predisposto, al fianco di interventi di emergenza, il consistente stanziamento di fondi finalizzati a sostenere progetti di lungo termine per lo sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento,


impegna il Governo:


a predisporre in tempi brevi lo stanziamento degli aiuti, sollecitati in sede internazionale, a favore dell'uscita dalla crisi dei Paesi del Corno d'Africa coinvolti nella grave carestia;
ad attivare le opportune misure di sostegno e mediazione a livello diplomatico, per sostenere e facilitare il difficile processo di pacificazione interna ed accompagnare, nel cammino di stabilizzazione e di democratizzazione, i Paesi coinvolti dalla crisi;
ad adottare le opportune misure di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, anche alla luce del profondo legame storico tra il nostro Paese e le zone colpite, sulla situazione di crisi evidenziata in premessa;
a valutare in un contesto internazionale la promozione di programmazioni multilaterali di medio e lungo periodo finalizzate alla strutturazione in sede locale di progetti di risanamento del tessuto agricolo e alimentare, di concerto con le accreditate organizzazioni non governative che si ritengano più idonee.
(1-00707) «Di Biagio, Della Vedova».
(Presentata il 5 settembre 2011)

La Camera,
premesso che:
la drammatica situazione che sta sconvolgendo il Corno d'Africa, in particolare Somalia, Kenya ed Etiopia, e che sta rapidamente estendendosi verso Burundi, Gibuti, Sud Sudan e Uganda, sta assumendo dimensioni impressionanti. Secondo gli operatori si tratta della più grande catastrofe affrontata dall'Africa negli ultimi 60 anni, un dramma che supera per gravità e portata anche la carestia che colpì l'Etiopia tra il 1984 e il 1985 e provocò un milione di morti;
l'emergenza coinvolge oltre 12 milioni di persone in Somalia, Gibuti, Etiopia e Kenya, dove la carestia ha già causato migliaia di vittime. Il tasso di mortalità è pari a due vittime al giorno e quello di malnutrizione è al 30 per cento. La Somalia è il Paese più devastato: sono 3,7 milioni le persone colpite dalla crisi, con 3,2 milioni che necessitano di assistenza immediata;
secondo l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) sono circa mille le persone disperate che ogni

giorno fuggono dalla siccità e dalla carestia che ha colpito le regioni del sud della Somalia e arrivano a Mogadiscio in cerca di aiuto. Secondo i dati dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel solo mese di luglio 2011, sarebbero oltre 20.000 gli sfollati che sono giunti nella capitale somala. In queste regioni la distribuzione degli aiuti umanitari da parte delle organizzazioni non governative è stata ostacolata dagli Shabaab, gruppi di estremisti islamici che controllano le zone;
continua inesorabile anche l'esodo dal Paese di rifugiati stremati dalla fame e dalla guerra. Nei campi di rifugiati a Dadaab in Kenya continuano ad arrivare circa 1.500 rifugiati somali ogni giorno. Sono 60.000 dall'inizio del 2011 e 100.000 se si considera l'intero Kenya. Il flusso di somali prosegue anche verso l'Etiopia: a Dollo Ado giungono centinaia di profughi al giorno. Da gennaio 2011 sono arrivati in 74.000. Le condizioni di sovraffollamento e le conseguenze della siccità e delle successive alluvioni che hanno colpito queste zone del Corno d'Africa hanno, pertanto, prodotto una situazione insostenibile. Le Nazioni Unite hanno anche lanciato l'allarme sui possibili rischi di contagio in alcuni campi dell'Etiopia, in particolare in quello di Dollo Ado, dove si sono verificati casi di morbillo; sono, infine, stati accertati anche casi di colera a Mogadiscio, tanto che le associazioni umanitarie temono la diffusione di un'epidemia;
in questa vicenda drammatica i soggetti più colpiti sono i bambini: secondo l'Unicef la metà dei 3,7 milioni di persone colpite dalla crisi è costituita da minori di 18 anni, con un quinto della popolazione che ha meno di 5 anni. In totale, si stima che circa 554.000 bambini siano affetti da malnutrizione grave. Secondo le valutazioni riportate dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, sarebbero 10 al giorno i bambini con meno di 5 anni che muoiono nel campo profughi di Kobe a Dollo Ado. La malnutrizione resta la principale causa dell'alta mortalità, ma l'insorgenza delle epidemie rischia di aggravare il problema;
nel corso del vertice straordinario del G20 alla Fao tenutosi nel luglio 2011 per discutere le misure da adottare per affrontare la crisi del Corno d'Africa, il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha dichiarato che per far fronte alla carestia in Somalia servono 1,6 miliardi di dollari,


impegna il Governo:


a chiarire la posizione dell'Italia circa gli aiuti stanziati per fronteggiare la catastrofe umanitaria che sta sconvolgendo i Paesi del Corno d'Africa, prevedendo eventuali incrementi degli stessi dovuti alla gravità e al protrarsi della crisi;
ad essere promotore di iniziative volte a mantenere alta l'attenzione e a sensibilizzare l'opinione pubblica e l'intera comunità internazionale sul dramma in atto nei Paesi africani coinvolti, attraverso conferenze, incontri e campagne di informazione;
a mantenere un canale privilegiato e di continua collaborazione con gli operatori umanitari e le organizzazioni non governative, al fine di monitorare costantemente l'evolversi della situazione.
(1-00708)
«Mosella, Lanzillotta, Pisicchio, Tabacci, Vernetti, Brugger».

La Camera,
premesso che:
la situazione nel Corno d'Africa sta sollevando enorme allarme per il rapido deteriorarsi delle condizioni economiche e politiche, con conseguenze drammatiche per la popolazione dell'area;
la grave siccità in atto in questa regione ha determinato, dopo anni di conflitti, un ulteriore drammatico peggioramento delle condizioni di vita della popolazione, con pesanti conseguenze sulla sicurezza alimentare, la nutrizione, la salute e l'educazione, mentre il perdurare

del conflitto impedisce anche a minimi aiuti umanitari di raggiungere la popolazione duramente colpita;
secondo i dati Onu, riferiti dalla Caritas internationalis, si tratta della peggiore siccità degli ultimi 60 anni e coinvolge 3,2 milioni di persone in Kenya, 2,6 in Somalia, 3,2 in Etiopia, 117 mila a Gibuti, ed anche parte della popolazione in Eritrea;
secondo quanto dichiarato dal Food security and nutrition analysis unit e il Famine early warming systems network, più di 3,7 milioni di somali, ossia metà della popolazione del Paese, necessita di assistenza umanitaria, mentre in alcune aree del centro-sud più della metà della popolazione è denutrita e più di un quarto è in condizioni di grave malnutrizione; dati che attualmente configurano il più alto tasso di malnutrizione a livello mondiale;
le Nazioni Unite hanno segnalato che la crisi alimentare - se non vi saranno interventi più decisi - potrebbe esplodere nelle prossime settimane in una vera e propria carestia, mentre finora la comunità internazionale avrebbe reso disponibili solo 850 milioni di dollari a fronte di esigenze stimate in 1,8 miliardi;
ad oggi la risposta dei Governi europei si è concretizzata in 60 milioni di euro da parte della Gran Bretagna, 30 milioni di euro da parte della Germania, 35 milioni di euro da parte della Norvegia - un Paese con appena 4 milioni di abitanti - 12 milioni da parte della Spagna e 20 milioni per conto del Brasile, mentre da informazioni a mezzo stampa il contributo dell'Italia sembra essere ancora largamente inferiore agli impegni presi e al ruolo che il nostro Paese dovrebbe giocare nell'area;
in base alle previsioni fatte da organizzazioni non governative e network internazionali, in mancanza di un intervento immediato, le condizioni sono destinate a peggiorare ulteriormente nei prossimi mesi, anche in considerazione del fatto che gli ospedali locali non riescono a coprire tutte le necessità di sanità di base, e già tra l'aprile e il maggio del 2011 sono state interrotte le forniture di servizi sanitari a causa dell'instabile situazione politica;
le vittime più esposte, all'interno della popolazione, sono, soprattutto, i bambini, con due milioni di bambini in stato di necessità, dei quali mezzo milione in pericolo di vita secondo i dati Unicef;
il perdurante stallo delle iniziative di pace nell'area, anche alla luce delle difficoltà in cui si muovono le iniziative governative e internazionali di pace e stabilizzazione, unito ai drammatici effetti determinati dalla siccità in corso - che attualmente coinvolgono undici milioni di persone in tutta l'area - stanno trasformando la situazione nel Corno d'Africa in una vera e propria emergenza umanitaria dalle conseguenze incalcolabili, che sta, peraltro, destabilizzando indirettamente anche i Paesi vicini, a causa del continuo afflusso di profughi; l'improvvisa pressione di persone in fuga sui confini, infatti, sta rapidamente facendo salire il prezzo dei generi alimentari, che in alcune aree è aumentato addirittura del 100-200 per cento, mentre la loro disponibilità si va riducendo di giorno in giorno;
nel campo di Dadaab, in Kenya, ad esempio, si affollano oggi più di 400.000 persone ma ogni giorno giungono dalla Somalia e dall'Etiopia migliaia di nuovi profughi, esausti per il lungo cammino e per la sete, mentre una forte mobilitazione internazionale è stata sollecitata nell'area in più occasioni anche da Papa Benedetto XVI, al fine di affrontare questa tragica emergenza umanitaria;
particolare preoccupazione, all'interno del quadro regionale, sorge in merito alla situazione in Somalia, che risulta essere uno dei Paesi più colpiti e bisognoso di aiuti umanitari, mentre l'opposizione dei miliziani di Al Shabaab, attualmente in aperto conflitto con il Governo federale transitorio, ha reso a lungo impossibile l'accesso al Paese anche per le organizzazioni umanitarie;

appare dunque urgente, quanto prima, un deciso intervento della comunità internazionale sul piano politico-diplomatico, volto a ristabilire innanzitutto quelle condizioni minime che possano consentire l'arrivo di aiuti umanitari e che, fronteggiata l'emergenza, possano porre le basi per elaborare un piano di sviluppo economico, politico e sociale a livello regionale;
a tal fine, appare necessario in prospettiva un deciso coinvolgimento di tutti gli attori politico-istituzionali coinvolti nell'area, nonché della società civile organizzata, rendendola partecipe dei processi avviati e coinvolgendo le organizzazioni italiane, internazionali e locali più influenti nel tessuto sociale di Somalia, Eritrea, Etiopia, Kenya e Sudan;
è, altresì, auspicabile che lo sforzo di rispondere alle emergenze in Corno d'Africa fin qui sostenuto dall'agenzia italiana Agire onlus - un comitato che riunisce alcune autorevoli organizzazioni non governative italiane - venga fortemente sostenuto dall'azione del Governo;
nel mese di luglio 2011 la III Commissione della Camera dei deputati ha approvato all'unanimità una risoluzione di analoghi contenuti,


impegna il Governo:


ad adottare con urgenza ogni iniziativa utile nelle opportune sedi internazionali, al fine di ripristinare con urgenza quelle condizioni politico-diplomatiche minime nell'area del Corno d'Africa che permettano agli aiuti umanitari di raggiungere le popolazioni colpite;
ad adottare ogni iniziativa utile nelle opportune sedi internazionali al fine di convocare una conferenza regionale di pace, non appena le condizioni lo renderanno possibile, che coinvolga tutti gli attori regionali interessati, la parte della società civile organizzata e tutte le organizzazioni italiane, internazionali e locali più influenti nel tessuto sociale di Somalia, Eritrea, Etiopia, Kenya e Sudan, al fine di costruire iniziative volte al rafforzamento dei processi di pace e ad elaborare un progetto di sviluppo economico e istituzionale, tale da risollevare in parte le drammatiche condizioni della popolazione di questa regione;
ad adottare ogni iniziativa utile al fine di fornire contributi economici aggiuntivi, al pari di quanto fatto dagli altri Paesi europei, nonché di mettere a disposizione delle organizzazioni internazionali come l'Unicef e Caritas internationalis mezzi, vettovaglie e personale volti a fronteggiare l'emergenza, anche sostenendo una forte campagna di informazione per sensibilizzare l'opinione pubblica italiana alla tragedia in atto in quei luoghi, verso i quali l'Italia vanta legami e responsabilità storiche.
(1-00709)
«Tempestini, Touadi, Maran, Villecco Calipari, Pistelli, Narducci, Barbi, Mogherini Rebesani, Sarubbi, Bucchino».

Risoluzioni in Commissione:

La II Commissione,
premesso che:
il presidente del tribunale di Milano ha di recente avanzato la proposta di accorpare alla sede di Milano tutte le cause ora trattate dalla sezione distaccata di Legnano (e delle altre due sedi distaccate di Rho e Cassano d'Adda);
la citata proposta ha visto il voto favorevole, a maggioranza, del consiglio giudiziario, mentre per converso, hanno espresso parere contrario sia il presidente dell'ordine degli avvocati di Milano che il delegato dal procuratore generale e il segretario del consiglio giudiziario;
appare evidente che il prospettato accorpamento, lungi dal realizzare l'obiettivo di assicurare la giustizia in tempi ragionevoli, a un territorio di fondamentale importanza nel tessuto imprenditoriale e industriale del Nord-ovest, comporterebbe una dilatazione dei tempi dei

processi, tenuto conto dell'enorme carico di lavoro già gravante sul tribunale di Milano, determinando un aumento di disagi e di costi per tutti i cittadini e gli operatori economici;
pur in mancanza di investimenti nel personale, nei mezzi e nella modernizzazione, si è sempre sviluppata nella sezione distaccata di Legnano una notevole mole di lavoro. A Legnano, nel settore civile al 31 dicembre 2010 sono ancora pendenti 2.082 cause (vecchie e nuove); sono state emesse 470 sentenze; sono state iscritte a ruolo 2.240 cause, complessivamente sono stati trattati 5.182 procedimenti. Per quanto riguarda il settore penale, questo ha risentito meno dell'avvicendamento dei giudici, dal momento che le udienze sono tenute dal giudice coordinatore, nonché da un giudice onorario: solo nel 2010 sono stati iscritti 585 nuovi fascicoli ed emesse 416 sentenze; sono attualmente pendenti n. 362 processi;
i vertici dell'Unione commercianti e della Confartigianato locali hanno di recente espresso il loro forte disappunto nel configurare la soppressione della sezione distaccata di Legnano, attraverso l'accorpamento con il tribunale di Milano;
i comuni della sezione distaccata di Legnano, ora facente parte del circondario del tribunale di Milano (nello specifico i comuni della sezione distaccata di Legnano sono: Arconate, Buscate, Busto Garolfo, Canegrate, Castano Primo, Cerro Maggiore, Dairago, Legnano, Magnago, Nosate, Parabiago, Rescaldina, Robecchetto con Induno, San Giorgio su Legnano, San Vittore Olona, Turbigo, Vanzaghello e Villa Cortese), sono prevalentemente integrati nel territorio bustese - ricadente nel circondario del tribunale di Busto Arsizio - e con questo hanno forti e radicati legami ed interessi sia economici che professionali; si pensi solo a tutto l'indotto dovuto all'aeroporto di Malpensa;


impegna il Governo


ad assumere, nel più breve tempo possibile, tutte le iniziative atte a rendere operativo il trasferimento dei comuni, ora facenti parte della sezione distaccata di Legnano, nel circondario del tribunale di Busto Arsizio, con la conseguente attribuzione alla competenza di quest'ultimo del relativo carico giudiziario e della correlata dotazione di risorse umane e materiali.
(7-00684) «Nicola Molteni, Reguzzoni, Lussana, Paolini, Isidori».

La XII Commissione,
premesso che:
il tumore dell'ovaio colpisce più frequentemente le donne in età avanzata, con una massima incidenza tra i 50 ed i 65 anni di età ed è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule dell'ovaio, il più delle volte a partenza dalle cellule epiteliali (vale a dire, non da quelle che producono gli ovuli) ed anche le cellule germinali possono essere all'origine di una forma tumorale;
secondo il rapporto annuale 2006 della FIGO (Federazione internazionale di ginecologia e ostetricia) negli stadi iniziali (stadio I) la sopravvivenza a cinque anni è pari all'85 per cento, mentre negli stadi avanzati tale sopravvivenza diminuisce, scendendo al 50-30 per cento;
in Italia ogni anno vengono diagnosticati oltre 5.000 nuovi casi di tumore ovario e circa il 70 per cento di essi risulta in fase avanzata, vale a dire quando il tumore ha superato l'ovaio e si è diffuso alle strutture circostanti, nella pelvi e/o negli organi addominali;
tra i tumori ginecologici, il tumore dell'ovaio è il secondo per frequenza nei Paesi industrializzati ed è la quinta causa di morte per tumore nella popolazione femminile italiana (dopo quello alla mammella, al colon-retto, al pancreas e allo stomaco);
il tumore dell'ovaio non dà sintomi nelle fasi iniziali: solo quando le dimensioni sono critiche si manifesta un rigonfiamento

della parte inferiore dell'addome, un senso di pesantezza/tensione, una vaga dolenzia addomino-pelvica, modifiche della motilità intestinale, ed è per questo che è difficile identificarlo precocemente;
a differenza del tumore della mammella, rispetto al quale sono predisposti programmi di prevenzione e diagnosi precoce, per la prevenzione del tumore ovarico non esistono al momento programmi di screening scientificamente affidabili;
dal 2001, i programmi organizzati di screening di tumore alla mammella predisposti dal Ministero della salute sono inseriti nei livelli essenziali di assistenza (LEA), e studi accreditati hanno dimostrato che nelle aree coperte dai predetti programmi si è registrata una riduzione del 50 per cento della mortalità delle donne che hanno aderito a tale iniziativa;
la diagnosi del tumore ovarico si effettua mediante l'esame pelvico, ossia la visita ginecologica e la palpazione dell'addome; inoltre, risulta di grande utilità l'ecografia transvaginale, talvolta combinata con il dosaggio di un marker tumorale, il CA 125, i cui valori, però, possono essere elevati in molte altre situazioni, sia tumorali, sia non neoplastiche;
circa il 70 per cento delle pazienti con diagnosi di neoplasia ovarica presenta uno stadio avanzato, in quanto la malattia si è diffusa nella pelvi e nella cavità addominale;
i dati pubblicati nella letteratura internazionale dimostrano che le pazienti sottoposte a chirurgia citoriduttiva ottimale (assenza di tumore visibile al termine dell'intervento) hanno una prognosi nettamente migliore rispetto a quelle sottoposte ad una chirurgia sub-ottimale (presenza di tumore residuo);
il cancro all'ovaio ha una significativa diffusione tra la popolazione femminile europea causando circa 500 morti al giorno, ed è per tale ragione che la Commissione europea sta indagando su quanto gli Stati membri si stiano adoperando per diffondere al loro interno i programmi di screening;
in Italia i dati di una recente indagine condotta dall'Osservatorio nazionale sulla salute della donna hanno evidenziato che oltre un terzo delle donne italiane confonde tale tumore con quello all'utero, che il 70 per cento non ne conosce le manifestazioni e che, nel complesso, esiste una scarsa e poco chiara informazione,


impegna il Governo:


a promuovere un programma di prevenzione e di informazione relativa al tumore ovarico, analogamente a quanto avviene per la diagnosi precoce del tumore al seno, al fine di sensibilizzare la popolazione femminile ad effettuare esami pelvici, visite ginecologiche, ecografie transvaginali, nonché una valutazione dell'anamnesi familiare oncologica al fine di individuare le donne a rischio;
a promuovere, mutuando l'esperienza positiva e consolidata su tutto il territorio nazionale in ordine al tumore alla mammella, l'appropriatezza della diagnosi e della cura creando una rete tra medici di medicina generale (MMG), ginecologi, oncologi e riducendo i tempi tra diagnosi e terapia;
a istituire, per quanto di competenza, dei centri di riferimento per la diagnosi e la cura del carcinoma ovarico;
a facilitare l'accesso delle pazienti a terapie anche innovative.
(7-00683)
«Farina Coscioni, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti».

TESTO AGGIORNATO AL 2 APRILE 2012

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
secondo calcoli della Fondazione Meseuro, l'Italia ha perso oltre un miliardo di euro per il settore trasporti e la totalità dei finanziamenti, da Napoli in giù, per aeroporti, ferrovie e porti in virtù del cambio di strategia deciso il 16 luglio 2011 dalla Commissione europea nel finanziare i Ten (Trans european network) per gli anni 2014-2020;
la Commissione ha infatti deciso che il cosiddetto corridoio 1 Berlino-Palermo sia sostituito con il corridoio 5 Helsinki-La Valletta; con il cambio di tracciato che parte da Napoli, virando verso Bari, da cui dovrebbe partire un servizio di navi traghetto per Malta il che produrrà effetti nefasti soprattutto per le regioni meridionali tirreniche (Campania, Calabria, Sicilia);
in particolare sono l'Alta Velocità a sud di Napoli (fino a Palermo) e tutti i porti (Messina e Napoli) e gli aeroporti (Catania in primis) a pagare il prezzo più elevato;
inoltre la Commissione avrebbe modificato anche i criteri per il finanziamento di porti ed aeroporti in modo da favorire gli scali franco-tedeschi e sfavorire quelli italiani;
fino al bilancio precedente l'Italia è sempre riuscita ad assicurarci il 15 per cento dei vari fondi previsti, mentre ora, secondo le stime di Meseuro, si tratterebbe di un 10 per cento scarso quattro punti percentuali in meno rispetto a quanto l'Italia finanzia il bilancio dell'Unione (14 per cento). Secondo un articolo pubblicato dal quotidiano L'Unità del 28 luglio, sui 21,7 miliardi di euro previsti per infrastrutture e trasporti, all'Italia spetterebbero invece che 3,25 solo 2,17 con un saldo negativo di 1 miliardo ed 85 milioni di euro;
tutto questo accade mentre i movimenti della cosiddetta «primavera araba» dovrebbero rilanciare l'asse Nord-Sud e aprire l'Europa al Mediterraneo -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero;
quale posizione abbia assunto il Governo italiano in sede europea in merito alla decisione del 16 luglio;
se e quali iniziative si intendano adottare per una revisione delle priorità all'ammodernamento delle infrastrutture.
(4-13028)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
da un articolo del quotidiano ambientalista Terra del 29 luglio a firma Andrea Palladino, si apprende che nel sito di Caivano, trentamila tonnellate di rifiuti attendono da anni di essere smaltite;
lo scorso mese di febbraio, l'operazione di smaltimento affidata dalla A2A alla società di intermediazione Markab Consulting di Milano, ha visto respingere le tonnellate di rifiuti dalle autorità della Andalusia, regione del Sud della Spagna, che era stata scelta come destinataria dei residui di Caivano;
secondo l'ordinanza della Junta de Andalusia del 9 marzo scorso, il direttore generale del settore ambiente, Jesus Nieto Gonzales, solleva dubbi sulla reale composizione dei quei rifiuti che non riescono ad abbandonare la Campania: «dalle analisi

allegate alle notifiche non si capisce in maniera inequivocabile la composizione chimica dei rifiuti». E poche righe dopo si afferma che: «In ogni caso, non è possibile considerare che la categoria dei rifiuti che si vogliono spedire sia quella indicata nella notifica, che corrisponde al codice 191212.» -:
di quali informazioni disponga il Governo in merito al tipo di rifiuto stipato nell'impianto di Caivano da anni.
(4-13032)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in data 3 agosto 2011 il Ministro della difesa, rispondendo all'atto di sindacato ispettivo 4-12193, ha affermato che «[...] la presenza del militare, presumibilmente libero dal servizio, nella Valle del Panjshir, non era riconducibile ad alcuna missione autorizzata dalla direzione centrale dei servizi antidroga del predetto dipartimento di pubblica sicurezza. [...]»;
il successivo giorno 12 agosto sul quotidiano il Messaggero è stato pubblicato un articolo dal titolo «Colonnello romano ucciso in Afghanistan, spunta la pista degli smeraldi. L'ufficiale assassinato a giugno voleva comprare una miniera. I rapporti sospetti con una banca tedesca» in cui si legge «Le notizie che trapelano da questi primi mesi di indagini avviate dalla Procura di Roma per individuare i responsabili dell'agguato, dicono che Cristiano Congiu, quella mattina, si era dato appuntamento con Francesca Violetta perché insieme volevano costituire una società per entrare nel commercio delle pietre preziose» e ancora, «Aveva chiesto all'ambasciatore italiano Claudio Glaentzer di avviare la procedura speciale per l'apertura di un conto corrente presso l'istituto di credito utilizzato dall'ambasciata d'Italia a Kabul. Ma Glaentzer, dopo aver dato il consenso all'apertura del conto come è risultato dalle indagini, altrettanto rapidamente revocò la sua stessa disposizione esigendone la chiusura.»;
l'articolo a firma di Martina di Berardino si conclude «L'omicidio di Cristiano Congiu sembra assumere sempre di più i contorni di un giallo, che dà un nuovo significato a quella frase lasciata sul suo profilo di Facebook poco prima della sua morte: "Qualcuno mi vuole far tacere". Il post era apparso in rete quando aveva appreso che non gli sarebbe stato rinnovato il mandato a Kabul come esperto antidroga.» -:
se le notizie riportate nell'articolo in premessa corrispondano al vero e quali siano state le motivazioni per cui l'ambasciatore italiano Claudio Glaentzer, a seguito della richiesta del militare, abbia autorizzato l'apertura di un conto corrente presso l'istituto di credito utilizzato dall'ambasciata d'Italia a Kabul e a chi fosse stato intestato.
(4-13059)

REGUZZONI e MONTAGNOLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
lo scorso 5 agosto 2011 i territori dei comuni di Brenta, Casalzuigno, Cittiglio, Cuveglio, Cuvio, Duno, Laveno Mombello e Rancio Valcuvia, sono stati colpiti da un violento nubifragio;
in un arco di 40 minuti si sono verificate precipitazioni per 80/100 mm a fronte di medie annue di 600/700 mm e i rovesci temporaleschi sono stati accompagnati da forti raffiche di vento;
sui territori dei citati comuni si sono verificati eventi alluvionali diffusi che hanno interessato i reticoli stradali, i reticoli fognari e i reticoli di scolo idrico dei versanti pedemontani, creando danni a infrastrutture pubbliche e a numerose proprietà private;

fra le conseguenze di tali dissesti si è registrato il danneggiamento di opere di regimazione delle acque di scolo, l'impraticabilità temporanea delle strade, intasamenti di condotte fognarie e allagamenti di proprietà private;
in considerazione della grave emergenza descritta i sindaci dei comuni coinvolti hanno inviato un'istanza alle sedi competenti di regione Lombardia, direzione generale della protezione civile, prefettura di Varese e provincia di Varese, per ottenere la dichiarazione dello stato di calamità naturale locale -:
se e quali iniziative la Presidenza del Consiglio, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, intendano attuare - in termini di risorse economiche, tecniche e umane - ai fini di attenuare i disagi provocati dal grave evento atmosferico.
(4-13071)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
un documento ufficiale della Commissione europea, datato 16 luglio 2010, segnala che l'Italia ha affondato, durante l'anno 1967, nell'Oceano Atlantico, ben 23 metri cubi di rifiuti radioattivi -:
se, dagli atti depositati risulti:
a) quale fosse la provenienza dei 23 metri cubi di rifiuti radioattivi affondati dall'Italia;
b) chi, all'epoca, abbia assunto la decisione;
c) quanti siano e dove siano stati compiuti altri affondamenti di rifiuti radioattivi fino ad oggi.
(4-13075)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
in un articolo pubblicato dal settimanale «l'Espresso» del 12 agosto 2011, dal titolo «Tangenti italiane ai talebani» a firma di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi si legge «In Afghanistan mazzette ai guerriglieri per evitare attacchi contro i nostri soldati. I file di WikiLeaks rivelano: nel 2008 Bush disse a Silvio di finirla con i pagamenti. E da allora i caduti in missione sono quadruplicati. [...] fino a due anni fa le nostre perdite erano molto più basse, tanto da venire citate come prova di una voce che circolava in tutti i comandi della Nato: il Governo di Roma paga i guerriglieri per evitare attacchi. Un'accusa sempre smentita dai Ministri che adesso prende consistenza nei cablo segreti della diplomazia americana, ottenuti da WikiLeaks e pubblicati in esclusiva da "l'Espresso". Con una rivelazione fondamentale: nel giugno 2008 George W. Bush ha domandato personalmente a Silvio Berlusconi di farla finita con le tangenti ai miliziani fondamentalisti. Lo ha chiesto nel primo summit dopo il ritorno al potere del centrodestra, ottenendo "la promessa del Cavaliere ad andare a fondo nella questione". [...] I fondi per queste "operazioni coperte" sono stati gestiti dal Sismi, allora diretto da Nicolò Pollari, durante il vecchio esecutivo di Silvio Berlusconi. Come l'Espresso ha scritto nel 2005, solo nei primi due anni della missione afgana il servizio segreto militare ha ottenuto oltre 23 milioni di euro extra per "attività di informazioni e sicurezza della Presidenza del consiglio dei ministri". Ma le elargizioni sarebbero proseguite anche durante il governo Prodi. E in città non ci sono mai stati attacchi contro gli italiani. L'unico episodio grave è l'imboscata del settembre 2009, una trappola così potente da dilaniare due veicoli blindati Lince: è scattata dopo la fine di ogni regalia, poche settimane prima che il nostro contingente traslocasse nella regione di Herat. Le conclusioni

dell'inchiesta su quel massacro non sono mai state rese note. Di sicuro, nel mirino c'era proprio la Folgore: una rappresaglia per le azioni dei parà o la moratoria delle mazzette ha pesato sulla ferocia dell'assalto? [...] come raccontano i cable di WikiLeaks, in quell'autunno 2009 l'intervento personale di George Bush aveva già fatto finire le mazzette [...]»;
nell'ambito dei provvedimenti legislativi di proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, emanati nel corso degli anni 2009, 2010 e 2011, sono state autorizzate spese per complessivi euro 30.000.000 per il mantenimento del dispositivo info-operativo dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) a protezione del personale delle Forze armate impiegato nelle missioni internazionali;
gli interroganti ritengono fondamentale per la credibilità dell'azione di Governo nella lotta al terrorismo che sia reso noto come siano stati utilizzati i fondi che negli anni sono stati destinati alla citata Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) al fine di smentire le notizie che in questi giorni sono state diffuse in rete da WikiLeaks -:
se il Presidente del Consiglio dei ministri non intenda dar conto dell'utilizzo dei fondi aggiuntivi destinati dall'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) di cui in premessa.
(4-13103)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
come già evidenziato da interrogazioni parlamentari presentate in precedenti legislature e descritto in un articolo di Gianni Lannes, pubblicato su www.lindro.it dal titolo «Ilaria Alpi: la verità e gli interessi», nel 2002, l'allora direttore del Sisde, ascoltato in qualità di teste in Corte d'Assise d'Appello sull'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, per «motivi di sicurezza» ed appellandosi all'articolo 203 del codice di procedura penale, non rivelava il nome dell'informatore dei servizi segreti che, all'epoca, indicò i nomi di coloro che, a suo giudizio, potevano essere considerati tra i probabili mandanti del duplice omicidio;
tali informazioni potrebbero risultare determinanti ai fini dell'accertamento della verità sul duplice omicidio commesso a Mogadiscio il 20 marzo 1994;
inoltre tutti gli atti significativi acquisiti nell'ambito dei lavori della apposita Commissione parlamentare, tra il 2004 ed il 2006, risultano secretati per i prossimi 20 anni -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero;
di quali informazioni disponga il Governo in merito alla vicenda di cui in premessa;
se non si ritenga, considerando prevalente nel caso in questione l'interesse per la verità, assumere le iniziative di competenza per mettere a disposizione della giustizia tutte le informazioni ed i documenti del servizio segreto civile nei quali vi siano riferimenti all'organizzazione del duplice omicidio da parte di un gruppo di mandanti.
(4-13107)

...

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

NARDUCCI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
con la pubblicazione dei decreti n. 3365 del 30 maggio e n. 3933 del 1° agosto scorso, a firma dell'ambasciatore Maurizio Melani, direttore generale per la promozione del sistema Paese, sono stati disattivati o soppressi, a decorrere dal 1° settembre 2011,

oltre 30 posti dell'organico del personale docente scolastico attualmente operante all'estero;
i provvedimenti suddetti modificano sostanzialmente il decreto interministeriale a firma dei Ministri degli affari esteri, dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'economia e delle finanze, relativo al contingente del personale docente per l'anno scolastico 2010/11 e tali decisioni assunte dall'amministrazione del Ministero degli affari esteri, attraverso i suddetti strumenti di carattere amministrativo, implicano il forte rischio di non garantire nelle scuole italiane all'estero e nei corsi di lingua e cultura italiana in Europa, in particolare in Svizzera e in Germania, il regolare inizio delle lezioni, con conseguenze gravissime per l'utenza scolastica italiana in tutto il mondo e per la credibilità del nostro Paese nei confronti delle istituzioni locali, anzitutto laddove sono state contratte forme di riconoscimento bi-nazionali;
la sospensione delle nomine per i lettorati di italiano nelle università straniere, in particolare nell'area spagnola, prevista dal decreto n. 3833 del 21 luglio scorso a firma del direttore centrale per la promozione della cultura e della lingua italiana, Min. Plen. Vincenza Lomonaco, priverà nel prossimo anno accademico moltissime università straniere dell'essenziale funzione di promozione e di diffusione linguistico-culturale svolta dai lettori di italiano nelle nostre istituzioni culturali e accademiche all'estero e determinerà gravi conseguenze per le migliaia di studenti soprattutto stranieri che fruiscono di tale servizio;
il rinvio delle prove concorsuali per la destinazione del personale docente all'estero, che si protrae oramai da oltre 4 anni, ha determinato e determinerà l'esaurimento delle attuali graduatorie delle diverse materie di insegnamento previste per le istituzioni scolastiche italiane nel mondo e nei lettorati di italiano presso le università straniere, nonché l'impossibilità di reperire personale di molo in possesso di adeguate caratteristiche professionali e linguistiche da destinare alle suddette istituzioni;
come è emerso anche in occasione dell'audizione del Ministro degli affari esteri, onorevole Franco Frattini, svoltasi nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla promozione della cultura e della lingua italiana nel mondo, ai ritardi e alla mancanza di personale idoneo per determinate aree linguistiche si sopperisce attingendo alla graduatoria dei supplenti inviati, a tempo determinato, dall'Italia all'estero. Tale prassi, come noto, comporta un esborso di risorse finanziarie nettamente superiore al costo sostenuto per il personale docente in forza agli enti gestori locali, contraddicendo dunque anche gli obiettivi di risparmio che si perseguono con la manovra finanziaria adesso in discussione nel Parlamento. Inoltre, la predetta prassi incide negativamente sugli enti gestori e favorisce il loro rapido smantellamento, disperdendo in tal modo una risorsa preziosa per la promozione del nostro patrimonio culturale e linguistico all'estero;
laddove risiedono consistenti comunità di cittadini italiani e di origine italiana, la presenza di scuole italiane o di scuole a doppia uscita rappresenta una straordinaria risorsa per la promozione del nostro sistema Paese. Un esempio per tutti è il liceo artistico italo-svizzero a doppia uscita di Zurigo, frequentato dai nostri ragazzi e in prevalenza da studenti svizzeri; molti di essi proseguono gli studi nella facoltà di architettura avendo forti legami con l'arte e l'architettura italiana ma anche con i migliori prodotti dell'architettura e del design italiano -:
se il Ministro degli affari esteri in considerazione delle motivazioni sopra esposte, intenda finalmente, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avviare l'immediata indizione delle prove di selezione e l'aggiornamento delle graduatorie per permettere alle scuole italiane all'estero e alle università straniere di potersi avvalere di

personale in possesso delle professionalità richieste per la promozione e la diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo;
se il Ministro degli affari esteri, in coerenza con la manovra finanziaria per il contenimento dei costi, non intenda assumere iniziative normative consentire, nelle aree geografiche in cui ve ne fosse bisogno, il conferimento dell'incarico di docente nei corsi di lingua e cultura italiana al personale in forza agli enti gestori anziché inviare i supplenti dall'Italia.
se per la scuola media paritaria Enrico Fermi di Zurigo il Ministero degli affari esteri intenda intervenire concretamente affinché questa importante istituzione scolastica non cessi definitivamente il servizio scolastico e possa continuare ad essere l'interfaccia tra la scuola elementare statale Casa d'Italia e il liceo italiano di Zurigo.
(5-05270)

NARDUCCI e TEMPESTINI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il 12 luglio 2011 l'Iranian Revolutionary Guards Corps (IRGC) ha sconfinato nel Kurdistan iracheno con 10.000 soldati e ha dato il via a una massiccia operazione militare, bombardando i villaggi curdi e causando fino ad ora tre morti, almeno 800 sfollati e molti feriti, inclusi donne e bambini, secondo quanto affermato dalla Croce rossa internazionale;
tali azioni militari hanno avuto una evidente ripercussione sull'attività agricola, in quanto hanno danneggiato irrimediabilmente anche molti terreni adibiti ad allevamento e numerose coltivazioni, compromettendo così l'economia del luogo e la sopravvivenza dei suoi abitanti;
nonostante l'Iran abbia aderito formalmente alle principali convenzioni internazionali concernenti i diritti umani, è noto alle Nazioni Unite, Europa Amnesty International e Human Rights Watch che i curdi in Iran sono vittime di costanti violazioni dei diritti umani;
il regime islamico iraniano afferma che le sue offensive militari hanno come obiettivo le basi controllate dal Free Life Party of Kurdistan (PJAK). Tuttavia, è chiaro che questi recenti attacchi e bombardamenti nei territori del Kurdistan iracheno da parte dell'IRGC si pongono al di fuori della legalità internazionale;
il Primo Ministro del Governo regionale del Kurdistan iracheno Barham Salih, e il Ministro degli esteri del Governo centrale, Hoshyar Zebari, hanno chiesto all'Iran di porre immediatamente fine ai bombardamenti sui civili e di rispettare la sovranità dell'Iraq -:
quali azioni diplomatiche intenda il Governo porre in essere affinché siano salvaguardate le popolazioni civili del Kurdistan iracheno e si ponga termine ad azioni militari non lecite secondo il diritto internazionale.
(5-05279)

Interrogazioni a risposta scritta:

EVANGELISTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'8 febbraio 2011 la petroliera italiana Savina Caylyn - 226 metri di lunghezza e 103 mila tonnellate di stazza - con a bordo 5 italiani e 17 indiani, proveniente dal porto di Bashayer in Sudan e diretta a Pasir Gudang in Malaysia, è stata assaltata e sequestrata da 5 pirati a bordo di una piccola imbarcazione;
a distanza di quasi quattro mesi dal sequestro della Savina Caylyn, è stato rivolto alle autorità italiane, da parte del comandante della nave, un ulteriore e disperato appello telefonico nel quale lo stesso comandante, Giuseppe Lubrano Lavadera, ha denunciato le condizioni di precarietà ed estremo disagio in cui sono costretti a vivere;
a seguito delle interruzioni delle trattative, l'azione dei rapitori è divenuta

sempre più violenta, come del resto si desume dal fatto che tre uomini dell'equipaggio, il primo ufficiale Bon, il terzo ufficiale Guardascione e l'allievo di coperta Cesaro, sono stati trasferiti a terra e condotti nel deserto dove per sopravvivere sono costretti, prosegue il comandante, «a scavare buche nella sabbia per recuperare un po' di acqua»;
il 9 giugno 2011 una foto, inviata a mezzo fax, è stata inviata dai baby sequestratori somali (pare abbian poco più che 15 anni) ai familiari delle vittime. In essa si osservano i rapitori che tengono sotto tiro coi mitra alcuni marinai italiani della petroliera Savina Caylyn;
in tutto sono cinque le foto trasmesse dai sequestratori: in esse i prigionieri appaiono spaventati sotto la minaccia di mitragliatrici Rpg puntate contro di loro da pirati che sembra siano nella maggioranza dei casi minorenni e che hanno il volto coperto dalle kefiah e le cartucciere con le munizioni al collo;
Nunzia Nappa, moglie del capitano procidano Giuseppe Lubrano Lavadera, ha lanciato un accorato appello alle istituzioni per risolvere positivamente la vicenda e porre fine allo stillicidio -:
se sia a conoscenza delle problematiche esposte in premessa;
se esistano e siano in corso trattative con i sequestratori della petroliera italiana Savina Caylyn;
quali siano le iniziative e le misure adottate, o che il Governo intende adottare, per ottenere, nel minor tempo possibile, il rilascio di tutti i passeggeri della petroliera italiana.
(4-13002)

MIGLIORI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
è stata in questi giorni arrestata, durante lo svolgimento di un processo sulla cui regolarità sussistono molti dubbi, il leader dell'opposizione Ucraina e già primo Ministro del Paese Iulia Timoshenko, con un'accusa retroattiva di scelte politiche contestate dall'attuale Governo, creando un clima di enorme tensione nel Paese, in pieno contrasto con la richiesta dell'Ucraina di maggiori livelli d'integrazione europea, considerando che nel 2013 l'Ucraina avrà addirittura la Presidenza in esercizio dell'Osce;
il processo politico è stato condannato da Consiglio d'Europa, USA, PPE, e diverse organizzazioni non governative internazionali indipendenti. Il Parlamento europeo, con un'apposita risoluzione, ha invitato Janukovych ad intervenire per interrompere un procedimento politico inammissibile per un Paese che si candida alla membership con Bruxelles, anche in considerazione del fatto che, tra le clausole della sigla dell'accordo di associazione, è previsto il rispetto della democrazia, che l'arresto della Timoshenko contraddice in toto, ponendo ad avviso dell'interrogante de facto Kiev fuori dai parametri richiesti;
per discutere dell'arresto di Iulia Timoshenko, l'opposizione ha chiesto una seduta straordinaria della Verkhovna Rada, il Parlamento di Kiev, l'unico luogo - secondo il deputato del partito «Patria» Nikolai Tomenko - in cui l'opposizione può esprimere interpretazioni alternative di quanto avviene nel Paese -:
quali iniziative urgenti il Ministro intenda attuare per contrastare queste azioni liberticide, iniziative che ad avviso dell'interrogante potrebbero consistere innanzi tutto in maggiore collaborazione e scambio d'informazioni con l'ambasciatore ucraino in Italia e altresì nel richiamo in patria dell'ambasciatore italiano a Kiev per un'opportuna relazione sul fatto in essere.
(4-13004)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il giornale telematico «Notizie Radicali» nella sua edizione del 2 agosto 2011

ha pubblicato un'intervista a Kamiar Alaei, medico e ricercatore di origine iraniana;
da qualche mese il signor Kamiar Alaei, ritenuto uno dei pionieri della lotta all'AIDS in Iran è potuto tornare alla sua vita di medico e di ricercatore e attualmente lavora presso un centro di ricerca statunitense;
il signor Kamiar Alaei per lungo tempo è stato perseguitato dal regime iraniano, e ha patito una lunga carcerazione nella prigione di Evin a Teheran, da dove è uscito nel novembre del 2010;
il fratello del signor Kamiar, Arash Alaei si trova ancora in carcere a Evin, con la prospettiva di doverci restare per altri tre anni;
il centro di ricerca e cura, dove lavoravano i fratelli Alaei, a Kermanshah, era stato considerato il migliore del Medio Oriente e aveva ottenuto un finanziamento di sedici milioni di dollari dalla Nazioni Unite e rappresentava un'immagine moderna, positiva del loro Paese;
nel 2008 Kamiar e Arash Alaei sono stati arrestati. Processati a porte chiuse, sono stati condannati rispettivamente a tre e a sei anni di carcere per avere attentato alla sicurezza nazionale collaborando «con un Governo nemico». Il Governo nemico era quello degli Stati Uniti, Paese in cui i fratelli Alaei si erano più volte recati per ragioni di lavoro, senza avere mai rapporti con le autorità politiche, ma solo con istituzioni scientifiche; è di tutta evidenza, racconta il signor Kamiar Alaei nella citata intervista, che «si tratta di un capo d'accusa paradossale se si pensa che gli Stati Uniti non sono mai stati ufficialmente inseriti nella lista dei paesi dichiarati nemici dall'Iran. E quando ci siamo recati in America, siamo sempre stati regolarmente autorizzati dal nostro ministero. Tutto si svolgeva alla luce del sole»;
prima dell'arresto non c'era stata alcuna avvisaglia o percezione che il lavoro svolto fosse osteggiato o malvisto dalle autorità della Repubblica islamica; come racconta il signor Kamiar Alaei «chiunque in Iran lavori per un ente pubblico, o per una istituzione riconosciuta a livello nazionale, può recarsi temporaneamente all'estero solo se ha un regolare permesso. Questo valeva anche per noi. Tutto avveniva in assoluta legalità, secondo gli standard della Repubblica Islamica dell'Iran. Dal 2005 - anno del primo mandato di Ahmadinejad - fino ai giorni dell'arresto, avvenuto nel 2008, abbiamo concentrato tutte le nostre energie sul progetto quinquennale finanziato dall'UNDP (United Nations Development Programme). In quegli anni i viaggi negli Stati Uniti erano frequenti visti i continui scambi - necessari - e i rapporti con enti di ricerca e università all'estero. In America entravamo in contatto con centinaia di studenti iraniani che si erano trasferiti lì. Ogni anno decine di loro ripartivano per l'Iran allo scopo di lavorare due o tre mesi come volontari nel nostro centro a Kermanshah. Tanti hanno deciso di rientrare definitivamente in Iran per dedicarsi al progetto. Abbiamo contribuito a esportare una immagine vincente e all'avanguardia della Repubblica Islamica dell'Iran nel campo della ricerca scientifica. Siamo stati persino accusati di essere strumenti di propaganda per il governo iraniano, di essere troppo accondiscendenti nei suoi confronti. In realtà la priorità per noi era tutelare il più possibile il nostro progetto che avrebbe potuto salvare centinaia di vite»;
nel corso della loro attività medica e di prevenzione in Iran, i fratelli Alaei, per cercare di superare il pregiudizio rispetto alla malattia che impediva a chi aveva contratto il male di presentarsi in una clinica per curarsi, hanno iniziato a cercare le persone per strada, nelle sale da tè, nei punti di maggiore ritrovo ed aggregazione: «Prendevamo contatti con loro e un numero sempre più alto di persone accettava di farsi curare. Siamo riusciti a creare una rete sempre più fitta di relazioni in cui era possibile coinvolgere chi era diventato un nostro paziente nella

promozione della cura. La nostra struttura terapeutica mirava non solo alla cura della malattia, ma anche alla prevenzione e al sostegno sociale e morale ai familiari dei pazienti. Non a caso il nome che abbiamo scelto per il nostro centro in Kermanshah era "clinica di cura triangolare" con riferimento a questi tre obiettivi. Era importante per noi creare anche un legame di solidarietà e sostegno reciproco tra i sieropositivi, neutralizzando timori e diffidenze. A questo scopo coinvolgevamo i pazienti in attività extra ospedaliere - sulle montagne nei dintorni di Kermanshah per esempio - come la raccolta di siringhe e cose simili»;
sull'onda dei riconoscimenti nazionali e internazionali i signori Alaei hanno cercato di ottenere sostegni finanziari. L'United nations development programme approvò un progetto quinquennale (2005-2010) con un finanziamento di sedici milioni di dollari. Nell'ambito del progetto, è stato esteso il programma terapeutico anche a prigionieri e detenuti, ottenendo che le spese terapeutiche rientrassero nel finanziamento, e che dunque questi pazienti venissero curati gratis;
il centro fondato e animato dai fratelli Alaei è tuttora attivo, con medici che per gli stessi motivi continuano legalmente a viaggiare negli Stati Uniti e a rientrare nel Paese esattamente come facevano i signori Kamiar e Arash Alaei, e dunque la ragione della persecuzione appare ingiustificata e priva di alcuna logica; come lo stesso signor Kamiar afferma «se in Iran fai attivismo politico, in Iran, ti aspetti di essere arrestato da un momento all'altro. Ma quando sei un ricercatore e un medico e lo stesso governo ti dà la possibilità di fare il tuo lavoro (un lavoro che riconosce ufficialmente), è difficile darsi una spiegazione. Le università americane ed europee sono piene di studiosi iraniani che fanno ricerca non certo per aiutare i "nemici" dell'Iran, ma con l'intenzione di apprendere nozioni da mettere poi al servizio del loro paese. Questo vuol dire che potenzialmente tutti loro sono a rischio di essere imprigionati e condannati? Il paradosso consiste proprio in questo, cioè che la situazione non è ben definita. La linea che separa ciò che è lecito per il governo da ciò che non lo è non è mai netta. È come un incrocio senza
semaforo: qualcuno ti ferma e ti multa perché non hai rispettato il semaforo rosso, ma quel semaforo non esiste!» -:
se non si ritenga di dover intervenire, attraverso tutti i canali che la diplomazia mette a disposizione, in favore del signor Arash Alaei e di dover rappresentare alle autorità iraniane la contrarietà del nostro Paese e del nostro Governo in ordine a quella che agli interroganti appare la brutale e immotivata repressione che subisce;
quali iniziative in Governo intenda mettere in atto per ottenere la liberazione del signor Arash Alaei.
(4-13007)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da un articolo pubblicato sul sito www.lindro.it si apprende che a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, è prevista l'installazione di una stazione terrestre, denominata M.U.O.S. (Mobile user object system), dotata di antenne con un diametro di circa 20 metri ciascuna e finalizzata ad ottenere il controllo di tutte le comunicazioni militari (navali, aeree, e terrestri) nonché civili, da parte del Pentagono;
il radar sorgerà nella sughereta di Niscemi, in contrada Ulmo - area naturalistica protetta - su una spianata di cemento estesa per 2059 metri quadrati;
il «sistema oggetto utente mobile», è composto da 3 trasmettitori parabolici basculanti ad altissima frequenza e 2 antenne elicoidali UHF che sono collegate tra loro tramite un dispositivo satellitare. Inizialmente l'erezione del Muos era prevista in prossimità della base Militare USA di

Sigonella, ma i potenti campi elettromagnetici - notevolmente al di sopra dei limiti di legge italiana - avrebbero interferito pesantemente su qualunque apparecchiatura elettronica, e soprattutto avrebbero facilmente detonato ordigni come bombe atomiche e convenzionali (depositate ai piedi dell'Etna), o missili a distanza di chilometri, e per questo che i militari Usa hanno preferito optare per la distruzione di una riserva naturale come la sughereta di Niscemi;
l'installazione non sarebbe stata sottoposta a valutazione d'impatto ambientale, e sarebbe contro il parere comunale in violazione della convenzione europea di Aarhus;
l'iter si fonda su un accordo bilaterale tra gli Usa e l'Italia siglato dal Governo Berlusconi e ratificato nel 2006 da Romano Prodi con una clausola in base alla quale la regione Sicilia doveva dare il nulla osta;
con un decreto del 2007 la competenza per il rilascio della valutazione impatto ambientale è passata al comune di Niscemi. «Il primo nulla osta è stato annullato, il secondo non è stato concesso», avrebbe però rivelato il consigliere comunale Massimiliano Ficicchia -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero;
quali iniziative si intendano intraprendere perché sia rispettato l'iter procedurale previsto dalle varie norme.
(4-13039)

PISTELLI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
le elezioni birmane non hanno prodotto cambiamenti democratici, ma al contrario hanno agevolato la transizione da una dittatura militare a una dittatura civile;
la nuova costituzione garantisce il regime dittatoriale, ed i militari continuano a controllare i maggiori ministeri, a mantenere un blocco di rappresentanti in ogni organismo legislativo, ad avere il diritto di dichiarare lo stato di emergenza e di riprendere il potere in qualsiasi momento;
la sezione 445 della costituzione afferma: «nessuna azione legale può essere iniziata contro i detti Consigli (SPDC e lo State and law order restauration council) o alcun loro membro o membro del governo, in riferimento ad atti effettuati in attuazione dei loro rispettivi obblighi» tutelando la passata giunta militare e gli attuali leader politici da ogni azione legale per le sue violazioni dei diritti umani, come uccisioni extragiudiziali, sparizioni, detenzione arbitraria (come l'arresto e la detenzione di Aung San Suu Kyi);
la costituzione assegna ai militari un vero e proprio potere di veto sulle decisioni parlamentari;
sin dalle elezioni dello scorso anno si è registrato un aumento significativo delle violazioni dei diritti umani che possono costituire crimini di guerra e contro l'umanità. Molte importanti organizzazioni dei diritti umani e agenzie ONU dimostrano che a tutt'oggi continuano gravissime violazioni dei diritti umani e del lavoro come pure gli attacchi contro le minoranze etniche;
tali crimini commessi dall'esercito birmano includono: l'uso di massa di stupri contro le donne delle minoranze etniche, la continuazione del reclutamento forzato di bambini soldati, l'utilizzo del lavoro forzato di sminatori umani, la confisca delle terre, l'uccisione extragiudiziale deliberata di civili e attacchi armati di villaggi;
nel giugno 2011 l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) ha affermato che le denunce di casi di lavoro forzato in Birmania stanno drammaticamente aumentando, e che «non si è registrato nessun progresso sostanziale» verso il rispetto delle raccomandazioni della Commissione di Inchiesta dell'ILO del 1998, che ha dichiarato il lavoro forzato come crimine contro l'umanità;

il 27 giugno il Dipartimento di Stato americano nel suo «Rapporto sul Traffico di esseri umani 2011» ha classificato la Birmania come paese di terzo livello, una classificazione riservata ai paesi che non rispettano pienamente gli standard minimi contro il traffico di esseri umani, e che non compiono sforzi significativi in merito;
il 20 giugno l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) nel rapporto annuale «Global Trends» 2010 ha classificato la Birmania come il quinto Paese al mondo per numero di rifugiati ed il settimo Paese al mondo per richiedenti asilo;
l'Assemblea Generale dell'ONU ha approvato nel corso degli ultimi anni 20 risoluzioni ignorate dalla dittatura militare birmana e dal 1992 ha chiesto reiteratamente al Governo militare birmano di rispettare le Convenzioni di Ginevra;
nel marzo del 2010 il professor Quintana, Relatore Speciale ONU per i diritti umani in Birmania ha chiesto la istituzione di una Commissione di inchiesta ONU sui crimini di guerra e contro l'umanità in Birmania ottenendo che gli abusi «sono una politica dello stato che coinvolge le autorità dell'esecutivo, i militari e il sistema giudiziario ad ogni livello» e che secondo i rapporti esiste la possibilità che alcune di queste violazioni possono rientrare nelle categorie di crimini contro l'umanità o crimini secondo i termini dello statuto della Corte penale internazionale e che pertanto le istituzioni ONU possono considerare la possibilità di costituire una commissione di inchiesta con un mandato specifico di ricerca per affrontare la questione dei crimini internazionali;
l'Assemblea generale, a seguito del reiterato rifiuto da parte birmana di intraprendere indagini indipendenti anche con il sostegno dell'ONU, non è riuscita nel passato a assumere decisione di istituire una commissione di indagine ONU sui crimini di guerra e contro l'umanità, contribuendo a dare alla dittatura birmana un senso di impunità;
mettere fine a questa impunità potrebbe aiutare a ridurre la dimensione delle violazioni dei diritti umani e contribuirebbe a esporre la verità su quanto sta avvenendo in Birmania;
l'Unione europea sta preparando la bozza della 21o risoluzione ONU sulla Birmania;
la richiesta per la istituzione di una Commissione di inchiesta ONU è sostenuta dalla leader del movimento democratico birmano, Aung San Suu Kyi, dai governi di sedici Paesi: Australia, Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Francia, Ungheria, Irlanda, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Slovacchia, e da decine e decine di organizzazioni per i diritti umani, organizzazioni non governative e dai sindacati di tutto il mondo -:
se il Governo italiano abbia assunto una posizione formale a sostegno della istituzione di una Commissione di inchiesta ONU sui crimini di guerra e contro l'umanità in Birmania;
se il Governo intenda sostenere in sede di Unione europea ed in sede ONU tale proposta;
quali azioni il Governo italiano intenda porre in atto a sostegno della approvazione di tale commissione di indagine ONU sui crimini di guerra e contro l'umanità;
quali misure abbia posto in atto nel corso dell'ultimo anno per monitorare la attuazione del Regolamento europeo sulla Birmania con particolare riferimento ai rapporti economici e commerciali con questo Paese e alla importazione ed esportazione di prodotti dalla e verso la Birmania inseriti nella lista del Regolamento europeo;
se, in considerazione della gravità delle violazioni dei diritti umani sia stata messa in atto una procedura che garantisca che le armi prodotte nell'Unione europea non vengano vendute in Birmania attraverso la triangolazione con Paesi

terzi, che hanno rapporti con la Birmania, quali ad esempio Bulgaria, Cina, India, Israele, Pakistan, Russia, Serbia, Singapore, Corea del Nord e Ucraina.
(4-13054)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la petroliera Savina Caylyn, battente bandiera italiana, è stata sequestrata l'8 febbraio 2011 da pirati somali a 880 miglia dalle coste della Somalia con a bordo ventidue uomini di equipaggio, 17 indiani e 5 italiani, tra i quali il terzo ufficiale di coperta Crescenzo Guardascione, 40 anni il 19 agosto, procidano come il comandante Lubrano Lavadera; il direttore di macchina Antonio Verrecchia, 62 anni, di Gaeta; l'allievo di coperta Gianmaria Cesaro, sorrentino, del 1985; il triestino Eugenio Bon, 30 anni, primo ufficiale di coperta;
altri marittimi di Procida, Vincenzo Ambrosino, allievo di macchina e Gennaro Odoaldo, primo ufficiale di coperta, sono in mano a pirati somali dopo che la «Rosalia D'Amato», di proprietà della Perseveranza Navigazione, è stata sequestrata il 21 aprile 2011, a bordo della quale vi sono altri 4 italiani e 15 filippini;
un fax inviato il 9 giugno 2011 dai sequestratori della Savina Caylyn alle famiglie di tre uomini dell'equipaggio (Bon, Cesaro e Guardascione) riguardava 5 foto dei prigionieri sotto la minaccia di mitragliatrici Rpg puntate loro contro da alcuni pirati (ragazzi di 15, 16 anni, dicono i familiari dei sequestrati) a viso coperto da kefiah e casco da lavoro di bordo, le «collane» di cartuccere al collo; i pirati della Savina Caylyn hanno fatto sapere a più riprese che non rilasceranno né la nave né l'equipaggio se non saranno pagati 14 milioni di dollari;
dopo che la società armatrice Fratelli D'Amato, per tramite del suo intermediario inglese, ha offerto una cifra per il riscatto ai sequestratori molto più bassa della loro richiesta (7,5 milioni di dollari) la trattativa si è interrotta un paio di mesi fa per la grande distanza tra richiesta e offerta;
il 10 agosto, una nave militare italiana, l'Andrea Doria, si è diretta verso la «Savina Caylyn», per monitorare le condizioni dei marinai italiani anche se, da dichiarazioni rese dal Ministro della difesa, che ha anche detto di aver chiesto ad «una nave italiana di spostarsi più vicino alle coste della Somalia in modo da raccogliere il massimo delle informazioni possibili sulla situazione dei marinai» non c'è nessuna trattativa con i pirati da parte dei militari perché non è compito loro farlo;
il 22 agosto i cittadini di Procida, esasperati per l'assenza di notizie ed informazioni, hanno manifestato per chiedere con forza e determinazione la liberazione di Vincenzo, Gennaro, Giuseppe ed Enzo, i quattro marittimi isolani rapiti dai pirati somali. Migliaia e migliaia i cittadini che hanno attraversato in corteo tutta l'isola (http://www.youreporter.it/video_MARITTIMI_SEQUESTRATI_CLAMOROSA_PROTESTA_A_PROCIDA; http://www.youreporter.it/video_TUTTA_PROCIDA_IN_PIAZZA_PER_ CHIEDERE_RILASCIO_MARITTIMI) (video realizzati da Gennaro Sauno);
il 25 agosto 2011, il Ministero degli affari esteri in un comunicato ha fatto sapere che «il Governo italiano non può contemplare la possibilità di una trattativa diretta con i pirati e tanto meno di pagare riscatti per la liberazione degli ostaggi, lo vieta la legge - a cominciare da quella riflessa nelle risoluzioni Onu - che esclude qualsiasi forma di favoreggiamento delle attività di pirateria da parte degli Stati»;
il 26 agosto 2011, i cronisti di liberoreporter.it sono venuti in possesso di un file audio disponibile a questo link http://www.liberoreporter.it/NUKE/news. asp?id=7128 relativo ad una telefonata di poco più di un minuto tra un giornalista del sito e uno dei carcerieri, che si è

rifiutato di passare alla cornetta un qualsivoglia membro dell'equipaggio della Savina «finché non sarà pagato il riscatto» e dalla quale è anche emerso che i membri dell'equipaggio della nave ormai «non stanno più bene»;
come evidenziato da un articolo di Dimitri Buffa il 2 settembre 2011 per il quotidiano «L'Opinione», la Farnesina manifesta scarsa attenzione alla vicenda anche dal modo in cui comunica azioni sul caso, come il comunicato stampa in cui si dà conto, tra l'altro, di una missione del sottosegretario di Stato Alfredo Mantica, che si è recato in Somalia per incontrare il presidente del Governo somalo Sharmanke ed il presidente del Puntland, Farole, quando invece il presidente somalo si chiama Sheik Sharif Ahmed ed il presidente del Puntland si chiama Abdurahman Mohamed;
una manifestazione nazionale di protesta per il 7 settembre 2011 è stata organizzata dal coordinamento spontaneo di cittadini «Liberi Subito» e alla quale è prevista la partecipazione di migliaia di persone provenienti da Procida, Piano di Sorrento, Gaeta e Trieste per chiedere con l'intervento dello Stato per l'immediata liberazione dei marittimi prigionieri in Somalia -:
di quali informazioni disponga il Governo in merito alle condizioni dei cittadini italiani sequestrati sulle navi Savina Caylyn e Rosalia D'Amato;
quali azioni siano in corso, o si intendano mettere urgentemente in atto, per la liberazione degli ostaggi;
se e con chi si sta trattando la liberazione dei marittimi e con quale esito.
(4-13072)

SBAI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il sequestro di persona in Italia è punito dall'articolo 605 del codice penale;
la pena per il suddetto reato la reclusione da sei mesi a otto anni;
la pena è della reclusione da uno a dieci anni, se il fatto è commesso in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge;
la piccola Martina è stata nei fatti sequestrata dal padre, il signor Hassen Abdeljelidi, nazionalità tunisina, per farla vivere islamically correct;
non si conoscono, al momento, né la destinazione né lo stato di salute della bambina;
la bambina è di nazionalità italiana e quindi soggetta alle regole ed alle norme dello Stato italiano;
il Governo transitorio tunisino non ha operato in maniera tale da agevolare il rientro della bambina in Italia;
la mamma della bambina, Marzia Tolomeo, versa in gravi condizioni di salute per via della sofferenza causata dal sequestro della figlia;
episodi di sottrazione e sequestro di minore non sono nuovi nel nostro Paese e iniziano a divenire quasi quotidianità -:
come intenda il Governo procedere in relazione a questa vicenda;
se intenda il Governo fare quanto di sua competenza perché Martina ritorni a casa al più presto;
come intenda il Governo gestire i rapporti con Paesi, nel caso di specie la Tunisia, che non si uniformano alla Convenzione dell'Aja del 1980, in tema di sottrazione dei minori;
come intenda il Governo agire in relazione alla sempre crescente cifra di soggetti che operano sequestri di minore e fuoriuscita illegale dal Paese.
(4-13083)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per il turismo. - Per sapere - premesso che:
il progetto di costruzione, da parte della società Trans-Adriatic-Pipeline (TAP), di un gasdotto che dall'Albania dovrebbe approdare sulle coste pugliesi, originariamente prevedeva di portare in Italia il gas dal Caucaso, conducendo l'infrastruttura energetica direttamente a Brindisi e direttamente nella zona industriale costiera, attraverso la realizzazione di un tracciato completamente via mare (off-shore);
per motivi in gran parte ignoti, la TAP ha inteso proporre una variante atta a realizzare l'attracco a San Foca (Lecce), in località denominata «Punta Cassano», per poi proseguire con un ulteriore scavo (on-shore) di circa ben 20 chilometri sulla terraferma, fino a raggiungere il territorio di San Donato, dove si allaccerebbe alla rete Snam;
la TAP, aveva proposto inizialmente l'infelicissima soluzione di approdo a Punta Penne a Nord di Brindisi, area di pregio balneare e l'attraversamento da lì in poi, per un tratto di 16 chilometri, di campi e vigneti prima dell'allacciamento finale il che fece sollevare associazioni e la camera di commercio di Brindisi, che ne evidenziarono, nel marzo 2010, l'incompatibilità con la vocazione agricola e turistica dell'area;
a seguito delle proteste del giugno del 2010, la società TAP confermò di esser tornata a sposare definitivamente l'opzione di approdo del gasdotto a Sud di Brindisi, direttamente nell'area industriale delle centrali a carbone, di cui si auspica da decenni proprio la virtuosa loro riconversione al gas fossile per minimizzarne gli impatti in termini di emissioni al camino e di polveri sollevatesi dal carbone nei magazzini e durante la sua mobilitazione. Un'area inoltre industriale predisposta urbanisticamente ad accogliere simili infrastrutture la cui notevole intrinseca pericolosità le rende inidonee in zone balneari e turistico-insediative nonché agricole; qui infatti si trovano grosse centrali elettriche a carbon fossile, in particolare la centrale di Cerano-Federico II di Enel e la centrale Brindisi Nord di EdiPower; entrambe centrali a combustione di carbone fossile, e oggi in Cerano anche CDR (combustibile solido da rifiuti), fonti impareggiabilmente più inquinanti del gas fossile, tanto che popolazioni e ambientalisti, ma anche associazioni mediche come la LILT (Lega italiana per la lotta ai tumori) chiedono da molti anni di riconvertire quelle centrali dal carbone al gas, per migliorare gli standard di qualità dell'aria; anche a giudizio delle associazioni ambientaliste Save Salento, Tramontana e Forum Ambiente e Salute, opportunamente contattate ed informalmente incontrate dalla TAP, quello oggetto dell'ultima variante che prevede l'approdo a San Foca, costituisce un infelicissimo percorso combinato off-shore/on-shore, che, oltre al tratto marino, comporta anche la realizzazione di un enorme disastroso serpentone di gasdotto sulla terraferma, che comporta lo sventramento, danneggiamento e messa in stato di pericolo, di aree di altissima valenza insediativa, turistica, agricola, ambientale e culturale, assolutamente non industrializzate e vergini del basso Salento ed in particolare dei territori di Melendugno, Vernole, Castrì, Lizzanello, Cavallino e San Donato;
notevoli preoccupazioni si evidenziano, pertanto, per ciò che concerne il tracciato su terra, che dovrà snodarsi sul territorio della provincia per ben 20 chilometri, un'enormità, superando con una trivellazione orizzontale (circa 800 metri) una falesia, quella di Punta Cassano, già interessata da fenomeni di erosione, e

quindi tagliando trasversalmente una buona metà della penisola salentina, con un cantiere che avrà un'ampiezza compresa tra i 23 e i 30 metri e una profondità di 4 metri. Il tutto comporterà inevitabilmente una notevole movimentazione di terra, suolo e vegetazione, con l'interessamento di una fascia di territorio della costa e dell'entroterra massimamente protetta dai vincoli di carattere ambientale e paesaggistico previsti dal Piano urbanistico territoriale tematico (PUTT), nonché caratterizzata da elementi archeologici di cui l'Ecomuseo dei paesaggi di pietra di Acquarica di Lecce è testimonianza;
in seguito alla chiusura dei lavori, la fascia di rispetto (servitù) del gasdotto consisterebbe in 4 metri a destra e 4 metri a sinistra della conduttura (per 8 metri complessivi) che si dovrebbe mantenere scevra da qualsiasi opera o presenza arborea (in primo luogo ulivi), al fine di consentire le necessarie operazioni di manutenzione, di controllo e di intervento in caso d'emergenza con l'ulteriore conseguenza di consumo di suolo agricolo, in un'area, caratterizzata da piccoli insediamenti diffusi, con una infrastrutturazione che può comportare la nascita di centrali di deposito gas e soprattutto nuove centrali termoelettriche a gas fossile, e che va dunque conservata alla sua attuale vocazione rurale, turistica e balneare;
inoltre il forte sarebbe l'impatto determinato dal passaggio del cantiere nella porzione di territorio interessata dalla presenza di boschi di uliveto secolare «ogliarola» presenti nelle contrade Campana e Filandra, tra Castrì, Pisignano e Vernole, ulivi tutelati da un forte quadro normativo in materia. Si tratta di un'area già interessata da un oneroso progetto di impianto di 11 mega-torri eoliche, per la cui difesa i cittadini e le associazioni del Salento hanno dato vita ad un'intensissima mobilitazione proprio a partire dall'inizio del 2011. L'effetto combinato delle due opere di infrastrutturazione porterebbe ad uno sconvolgimento intollerabile dell'attuale cifra ambientale e paesaggistica dell'area e a preoccupanti ripercussioni sulla praticabilità quotidiana e sulla fruibilità di quei luoghi da parte di cittadini, agricoltori, proprietari, turisti e studiosi;
le contrade Campana e Filandra si avvierebbero così a rappresentare il caso esemplare del paradosso energetico vissuto dal Salento: contrade attraversate da un gasdotto per il trasporto di combustibile fossile e contemporaneamente interessate da torri eoliche che dovrebbero scongiurare l'utilizzo di combustibile fossile, senza contare poi il grave impatto e consumo di nuovo suolo agricolo per la realizzazione di tutte le ulteriori necessarie infrastrutture industriali-impiantistiche e di servizio al gasdotto lungo il suo percorso; con la realizzazione dell'ultima variante del gasdotto della TAP, il basso Salento si troverebbe inoltre in una situazione di assurdo concentramento cumulativo di più gasdotti poiché un secondo gasdotto della ditta South Stream infatti è già in progetto di sbarco, sempre a partire dai Balcani, nella rada di Otranto e che dovrebbe comportare un percorso di 1,5 chilometri a terra (on-shore), che è comunque tanto considerata la ovvia pericolosità di questi gasdotti, la frequentazione di Otranto, e l'importanza archeologico-paesaggistica di Otranto -:
per quali motivi sia stata proposta la variante dell'originario progetto che prevedeva l'attracco del gasdotto a Brindisi e direttamente nella zona industriale costiera;
se e quali azioni si intendono promuovere per evitare, secondo una logica di opportunità tecnica e geologica, di economicità, ed ambientale la realizzazione dell'ultima variante progettuale del gasdotto della TAP inerente il passaggio lungo la terraferma, nel cuore del territorio salentino, del pericoloso e impattante gasdotto;
se e quali iniziative si intendano promuovere per la riconversione delle centrali Cerano-Federico II di Enel e Brindisi Nord di EdiPower dal fossile al gas;
se siano all'esame soluzioni alternative all'approdo del gasdotto della ditta

South-Stream, sempre a partire dai Balcani, nella rada di Otranto.
(5-05272)

GRAZIANO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nel territorio del comune di Santa Maria La Fossa, in provincia di Caserta, sono allocati:
le discariche di parco Saurino, primo, secondo e terzo lotto, attive a tutto il 2004;
il sito di ecoballe di Pozzo Bianco;
il sito di stoccaggio provvisorio di Ferrandelle, ancora attivo, non bonificato perché contenente i rifiuti dell'emergenza del 2008 della regione Campania, anche se non oggetto di ulteriori conferimenti, e pertanto, divenuto di fatto una discarica all'interno della quale vi sono ancora circa 500.000 tonnellate di rifiuti a cielo aperto con immaginabili conseguenze di ordine ambientale e sanitario;
la discarica Maruzzella, primo, secondo, terzo e quarto lotto, nel comune di San Tammaro, l'ultimo ancora attivo e con una ulteriore capacità di 1.550.000 metri cubi, su un territorio contiguo, posto di fronte a 10 metri, a Ferrandelle;
un sito di stoccaggio presso la discarica di Maruzzella, ancora attivo e in fase di ampliamento;
il termovalorizzatore per la provincia di Caserta, la cui realizzazione è autorizzata dall'articolo 5 del decreto-legge n. 90 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 123 del 2008;
le discariche e i siti di stoccaggio provvisorio che insistono sul territorio del comune di Santa Maria La Fossa, come pure nei comuni limitrofi, non sono state progettate e gestite nel rispetto dei princìpi e delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 36 del 2003, recante «Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche dei rifiuti». Tale circostanza è confermata, da ultimo, dalla proposta di piano provinciale di gestione dei rifiuti per la provincia di Caserta, redatta dalla facoltà di scienze ambientali della seconda università di Napoli, presentata a Caserta in data 5 marzo 2010, presso l'aula consiliare della provincia e in corso di approvazione;
in data 4 agosto 2009, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, il presidente della regione Campania e il commissario delegato, di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 1o febbraio 2008, n. 3654, hanno sottoscritto insieme al sindaco del comune di Santa Maria La Fossa un accordo operativo, come previsto dall'articolo 5 dell'accordo di programma del 18 luglio 2008, «programma strategico per le compensazioni ambientali nella regione Campania», di cui al decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 123 del 2008, con un'assegnazione finanziaria complessiva in favore del comune di Santa Maria La Fossa di euro 16.200.000,00, e con erogazione dei fondi in complessive 5 annualità, da erogare per euro 5.832.000,00 nell'anno 2009, per euro 2.916.000,00 nell'anno 2010, per euro 1.458.000,00 nel 2011, per euro 1.458.000,00 nel 2012 e per euro 4.536.000,00 nel 2013;
il 13 luglio 2010 il sindaco del comune di Santa Maria La Fossa è stato ascoltato, su sua espressa richiesta, dalla Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. In quella sede ha denunciato la grave problematica ambientale del territorio comunale, ribadendo che le somme previste per le compensazioni ambientali necessarie per effettuare le dovute opere di bonifica e risanamento non sono state rese disponibili dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e che senza le stesse non è pensabile la realizzazione delle opere di compensazione previste;
in data 3 gennaio 2011, il sindaco del comune di Santa Maria La Fossa, il presidente

della provincia di Caserta e l'assessore all'ambiente della provincia di Caserta hanno sottoscritto l'ulteriore documento di attuazione dell'articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 196 del 2010 per interventi di compensazione ambientale e bonifica;
il Ministero dell'ambiente e della tutele del territorio e del mare con la nota n. 13613/TR/DI del 26 aprile 2011, avente ad oggetto «Accordi operativi sottoscritti in data 4 agosto 2009, ex articolo 5 dell'accordo di programma - programma strategico per le compensazioni ambientali nella regione Campania - del 18 luglio 2008», ha comunicato che, in accordo con la regione Campania e con il coordinamento della provincia di Caserta, ha concluso la verifica degli interventi previsti nell'accordo operativo sottoscritto con il comune di Santa Maria La Fossa, al fine di procedere, non appena acquisiti i fondi di copertura, all'avvio delle attività, rideterminando l'importo complessivo finanziato in euro 15.638.480,00;
più in generale ad avviso dell'interrogante il progetto di realizzazione del termovalorizzatore di Santa Maria La Fossa, peraltro non ancora avviato, andrebbe rivisto per non aggravare la già precaria situazione ambientale del territorio e sarebbe piuttosto opportuno privilegiare in questi luoghi opere di bonifica e rimozione dei rifiuti;
ad oggi tali fondi non risultato erogati, con un evidente e gravoso ritardo di tre anni -:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per assicurare il rispetto dell'accordo operativo menzionato, sottoscritto il 4 agosto 2009;
se non ritenga necessario adottare iniziative volte a favorire l'erogazione immediata delle somme previste, per permettere di avviare quelle opere di compensazione ambientale indispensabili al recupero di un'area colpita duramente dall'inquinamento.
(5-05276)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
è in corso una moria di vongole nelle acque dell'Alto Adriatico;
come riferisce un articolo del quotidiano Il Messaggero del 22 agosto 2011, pochi giorni fa i pescatori hanno denunciato una perdita di prodotto superiore al 90 per cento nonostante il fermo pesca che si erano autoimposti proprio per permettere ai molluschi di ripopolarsi;
i ricercatori impegnati a studiare il fenomeno hanno ritrovato dei micro fori su moltissimi gusci dei molluschi. Piccolissimi e particolari buchi che fanno propendere per l'ipotesi di un mollusco predatore sulla cui individuazione ci sono solo delle ipotesi;
secondo Donatella Del Piero del dipartimento di scienze della vita dell'università di Trieste, che da anni studia il fenomeno: «C'è chi propende per dei muricidi, cioè degli altri molluschi più grandi ma secondo me non sono solo loro, sulle conchiglie abbiamo trovato sia i tipici segni di questi animali che altri»;
ma il problema potrebbe essere molto più complesso di quanto si pensi. C'è infatti anche l'ipotesi che fenomeni come l'inquinamento abbiano indebolito le vongole, che sono così risultate più vulnerabili ai predatori. In questo caso di naturale in questa moria ci sarebbe ben poco. L'uomo infatti potrebbe aver sconvolto gli equilibri naturali lasciando le vongole indifese e in balia dei predatori. Un'ipotesi, questa dell'inquinamento, che nella primavera dello scorso anno ha sostenuto anche il Wwf, quando denunciò, oltre al fenomeno della moria delle vongole,

anche insoliti casi di spiaggiamento di ricci e stelle marine -:
di quali informazioni disponga in merito a quanto riferito in premessa il Governo;
se ci siano elementi di pericolosità per la salute dell'uomo.
(4-13030)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 17 agosto 2011 a Ventotene, poco prima di mezzogiorno, nella zona delle Fontanelle è crollato un costone di roccia di circa venticinque tonnellate che, nonostante l'isola sia piena di turisti, non ha causato vittime perché in quel tratto di costa non c'era nessuno;
la frana fa seguito a quella del 20 aprile di un anno fa, quando due ragazze di Morena, Sara e Francesca, rimasero uccise a seguito del crollo sulla spiaggia di Cala Rossano; a seguito di quella tragedia erano stati stanziati sei milioni di euro per Ventotene -:
se le risorse destinate alla messa in sicurezza di Ventotene risultino adeguate;
quale uso sia stato fatto dei sei milioni di euro per la messa in sicurezza dell'isola.
(4-13036)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del turismo. - Per sapere - premesso che:
nei giorni tra l'11 ed il 12 agosto, le Dolomiti orientali sono state colpite da una serie di frane che hanno causato la discesa a valle di 2 mila metri cubi di rocce e pietrisco da una delle cime più caratteristiche, sul confine tra Trentino ed Alto Adige, battuta da alpinisti, nel Parco naturale dello Sciliar, sopra la frazione di Siusi, nel comune di Castelrotto;
come riferisce un articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa del 13 agosto la prima frana si è verificata giovedì 11 verso le 8 quando tre massi di grandi dimensioni accompagnati da una pioggia di pietrisco si sono staccati da sotto l'Euringer;
la seconda frana si è verificata verso le 10.30 con la caduta di massi e ghiaia che ha sfiorato una delle vie più frequentate dagli alpinisti;
infine la terza, si è verificata il 12 agosto alle ore 8;
nonostante l'alta frequentazione turistica, solo due alpinisti in vacanza che al momento della prima frana si trovavano sulla via verso Cima Santner, sono stati sfiorati dalle pietre ma senza gravi conseguenze e altre cinque persone sono state messe in salvo dagli elicotteri di Aiut Alpin Dolomites e recuperati da Cima Santer, dato che la via per il rientro era stata resa inagibile dalla frana;
per gli uomini del soccorso alpino di Siusi si tratta di grandi smottamenti inusuali per la zona e particolarmente pericolosi;
secondo il geologo Volkmar Mair, della provincia di Bolzano, negli ultimi tempi numerosi episodi analoghi si sono verificati su tutto l'arco alpino;
solo una settimana prima in Val Venosta, 80 mila metri cubi di roccia si sono staccati dalle montagne sopra Prancines;
fatti che si aggiungono al crollo dell'anno scorso di una delle torri di Sassopiatto, a pochi chilometri in linea d'aria dallo Sciliar, mentre nel 2007 si è verificato il crollo di 60 mila metri cubi di roccia caduta da Cima Una nelle Dolomiti di Sesto Pusteria;
si tratta di una zona, quelle interessata dalle frane dell'11 e 12 agosto che

registra il «tutto esaurito» per l'alta affluenza di turisti -:
di quali informazioni disponga il Governo in merito alle frane che hanno interessato il Parco naturale dello Sciliar;
quali provvedimenti di competenza conseguenti intenda adottare per la messa in sicurezza di tutta l'area dolomitica.
(4-13037)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del turismo. - Per sapere - premesso che:
ad agosto, praticamente in tutto il litorale laziale, si sono verificati problemi relativi alle acque di balneazione. Come riporta un articolo dal titolo «Chiazze marroni in mare allarme su tutta la costa» pubblicato dal quotidiano Il Messaggero del 20 agosto infatti, a Sperlonga vi sono stati escrementi e rifiuti in mare, a Ladispoli si sono manifestate chiazze giallastre; liquami sono arrivati a Nettuno mentre a Santa Marinella i depuratori che hanno funzionato a singhiozzo hanno causato le stesse macchie tra il giallo e il marrone;
le chiazze sono oggetto di studio da parte di tecnici dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente, con il supporto della guardia costiera e non sono mancate le parole di rassicurazione da parte del comandante dell'ufficio circondariale di Terracina, Floriana Segreto, per la quale: «Il fenomeno esiste ma le analisi escludono che ci sia qualcosa di tossico perciò mi sento di tranquillizzare la popolazione»;
al lido di Fondi, intanto, alla foce del canale Canneto, è stata revocata la balneazione per uno scarico illegale;
a Nettuno, invece, l'allarme è scattato mercoledì 17 agosto 2011 alla foce del canale Loricina dove con un'ondata di acqua nera e maleodorante, per 40 interminabili minuti è uscito di tutto. Le indagini dei vigili urbani e dei tecnici dell'Arpa Lazio sono state finora senza esito -:
di quali informazioni disponga il Governo in merito ai fatti riferiti in premessa;
se davvero le macchie tra il giallo e il marrone manifestatesi praticamente lungo tutto il litorale laziale siano riconducibili solo a fenomeni naturali quali le alghe;
quali iniziative urgenti di competenza si intendano adottare a tutela della salute e dell'ambiente e affinché simili fenomeni non si ripetano.
(4-13038)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da una relazione del WWF a cura della dottoressa Rita D'Ottavio referente energia per la Basilicata, emerge che il monitoraggio ambientale relativamente all'attività del centro oli di Viggiano è stato effettuato da 3 centraline fisse rispettivamente di Agrobios (dal 2007), Arpab (dal 2006) ed ENI, indipendenti tra loro e posizionate rispetto al centro oli in modo da non poter garantire il controllo dell'aria a 360°, e da 5 centraline all'interno dello stesso per il controllo del funzionamento dei camini;
vengono monitorati solo i dati di alcuni degli inquinanti monitorati e con modalità totalmente differenti. In particolare Agrobios fornisce valori orari del monossido di carbonio, del biossido di zolfo, del biossido di azoto e dell'ozono ma non degli altri inquinanti previsti dall'autorizzazione ministeriale del 5 febbraio 1999; Arpab fornisce, a seconda degli inquinanti monitorati, il valore medio e/o il valore massimo registrato mentre l'ENI pubblica semestralmente i valori medi del

periodo relativo solo al biossido di zolfo, biossido di azoto e ossido di carbonio;
queste modalità non consentono un confronto immediato e, soprattutto, i valori medi giornalieri e i valori medi semestrali non sono in grado di rappresentare le reali emissioni degli inquinanti nell'atmosfera;
i dati inquinanti monitorati dalle tre centraline non sempre concordano, come ad esempio è avvenuto per i superamenti del valore limite di 200 ug/m3, come media giornaliera, dell'NO2, rilevata dalla centralina Agrobios per ben 29 giorni da maggio a luglio 2009 ma non da quelle di Arpab ed ENI;
quanto al superamento del valore limite dell'NMHC (idrocarburi non metano) che, pur non essendo più normato, è comunque indice di inquinamento da attenzionare come prevede il decreto del 5 settembre 2006 nell'ambito del piano di risanamento ambientale dell'area a rischio del comprensorio del Mela, emerge che la concentrazione dell'NMHC (idrocarburi non metano) rilevato dalla centralina ARPAB nel 2009 sembrerebbe bassa se non fosse che l'unità di misura non è il ppm ma l'ug/m3 ed i valori da considerare devono essere quelli orari e non le medie giornaliere. Tant'è che convertendo le rilevazioni dell'ARPAB da ppm aug/m3 ed utilizzando i dati orari, emergono sforamenti non solo del limite fissato dal vecchio decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1983 ma addirittura della soglia di emergenza del decreto della regione Sicilia;
a questo si aggiunge una frequente assenza di dati nel 2009 da parte dell'Arpab che si verifica proprio nel periodo in cui Agrobios rileva valori elevati di biossido di azoto;
la relazione annuale dell'ARPAB sulla qualità dell'aria risulta per il 50 per cento costituita da un quadro sinottico sui limiti previsti dalla normativa vigente;
a fronte della recente intesa Stato-regione che prevede il passaggio dell'attività estrattiva del centro oli Eni di Viggiano da 80.000 barili a 120-130.000 al giorno, oltre alla realizzazione di un terzo centro oli a Tempa Rossa di Corleto Perticara (è della Total) e al centro oli dell'Eni già presente a Pisticci, le problematiche ambientali e sanitarie sono destinate ad aggravarsi -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero;
quali azioni in merito si intendano assumere;
se non si ritenga di promuovere l'introduzione di norme più restrittive sulle emissioni e sul monitoraggio ambientale.
(4-13055)

ALESSANDRI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
gli impianti «a rischio di incidente rilevante» (RIR) devono essere adeguatamente protetti anche dalle catastrofi naturali, tra cui gli eventi sismici e gli altri fenomeni incidentali che possono essere da essi innescati (in particolare i maremoti, per terremoti violenti con epicentro in mare od anche, se questo è in prossimità della costa, in terra); tali impianti includono non solo quelli nucleari, ma anche numerose tipologie di installazioni e componenti chimici, in particolare i cosiddetti serbatoi di gas naturale liquefatto (Liquefied Natural Gas o LNG), che sono di grandi dimensioni (con volumi fino a 150.000 m3 ed oltre), costituiti da un serbatoio interno in acciaio criogenico ed un rivestimento esterno in cemento, ed anche i serbatoi di stoccaggio sferici o cilindrici presenti, ad esempio, negli stabilimenti petrolchimici, la cui pericolosità è funzione crescente del loro elevato numero in ciascun stabilimento;
un numero significativo di tali serbatoi ha già riportato gravi danni in vari Paesi, in occasione di eventi sismici;

come storicamente dimostrato, gran parte del territorio italiano è caratterizzata da pericolosità sismica elevata (fino a valori della magnitudo almeno pari a M = 7,0-7,5) o quantomeno significativa; alcune aree italiane, inoltre, sono esposte a consistenti rischi da maremoto, anche in zone di acque basse;
attualmente sono presenti, in Italia, più di un migliaio di stabilimenti industriali RIR soggetti agli obblighi del decreto legislativo n. 334 del 1999 (Seveso II), nei quali, cioè, sono presenti sostanze potenzialmente pericolose in quantità tali da superare determinate soglie; molti di questi sono anche soggetti all'autorizzazione ambientale integrata (AIA);
alcuni di tali impianti sono situati in aree ad elevata pericolosità sismica, come, ad esempio, in Sicilia, in quella di Milazzo od in quella di Priolo-Gargallo (dove è anche prevista la realizzazione di un importante rigassificatore); si ricorda, in particolare, che, nel 1693, la piana di Catania, che include l'area di Priolo-Gragallo, fu colpita da uno dei più devastanti terremoti verificatisi in Italia, probabilmente più violento di quello di Messina e Reggio Calabria del 1908 (M = 7,2), e che (come in seguito nel 1908) tale terremoto generò un maremoto di elevata entità; nei suddetti siti, nel caso in cui in essi fossero presenti impianti RIR non sufficientemente protetti dal terremoto, un evento di magnitudo M intorno a 7,0 (del tutto possibile) innescherebbe gravissimi incidenti, con effetti gravissimi per la popolazione e per l'ambiente, oltre che economici;
come da diversi anni riportato da alcune pubblicazioni scientifiche e, recentemente (dopo il terremoto e maremoto di Tohoku), anche dalla stampa, in Italia, nonostante siano da tempo disponibili mappe riguardanti sia il rischio sismico sia quello da maremoto, per gli impianti chimici, anche RIR (contrariamente a quanto avviene per le costruzioni civili da una parte e per gli impianti nucleari dall'altra), non esiste ancora un assetto normativo organico riguardante la loro progettazione antisismica e le misure da adottare per proteggerli (quando necessario) dal maremoto;
gli impianti chimici RIR, ad oggi, sono progettati assumendo come carico sismico quello definito dalla normativa nazionale, che si basa fondamentalmente sulle caratteristiche degli edifici civili ed utilizza un approccio probabilistico (Probabilistic Seismic Hazard Assessment o PSHA);
occorrerebbe rafforzare la nostra metodologia di definizione della pericolosità sismica, affiancando all'uso dell'approccio probabilistico quello dell'approccio deterministico (Neo-Deterministic Seismic Hazard Assessment o NDSHA), che, diversamente dal primo, si basa sulla fisica dei fenomeni in gioco e che si sta dimostrando sempre più affidabile e capace di adeguarsi rapidamente agli sviluppi derivanti dalla ricerca avanzata;
da qualche anno diverse istituzioni ed enti di ricerca stanno sviluppando metodologie per la definizione e la mitigazione del rischio sismico dei grandi impianti industriali;
sarebbe quindi auspicabile affidare ad un apposito gruppo di lavoro composto dai massimi esperti italiani in materia il compito di tradurre e rivedere la guida tecnica dell'IAEA (International Atomic Energy Agency), in modo tale da elaborare un documento nazionale di riferimento per la progettazione antisismica di nuovi impianti RIR e per l'adeguamento o miglioramento (retrofit) di quelli esistenti in base alla loro complessità e pericolosità, che permetta una significativa mitigazione della vulnerabilità sismica di tali impianti, anche a costi contenuti;
il documento di cui trattasi potrebbe anche contenere indicazioni sulla vulnerabilità sismica delle diverse tipologie di impianti RIR e criteri (sviluppati tenendo conto pure della normativa applicabile agli edifici civili) per la definizione di tecniche di mitigazione del rischio sismico di tali

impianti, sia di nuova costruzione sia esistenti, e per la relativa progettazione;
a tal fine risulterebbe molto utile anche l'esperienza già acquisita in Italia grazie agli studi effettuati nell'ambito di significativi progetti di ricerca, riguardanti sia la valutazione della vulnerabilità sismica degli impianti chimici RIR, sia la definizione di tecniche innovative di protezione dei nuovi impianti e di interventi di retrofit su quelli esistenti mediante isolamento sismico, dissipazione d'energia od altri sistemi innovativi, la cui efficacia è potenziata dalla disponibilità della definizione della pericolosità con il metodo NDSHA;
l'isolamento sismico, in particolare, potrebbe comportare elevati vantaggi per gli impianti chimici RIR, non solo perché è in grado di accrescere la loro sicurezza sismica, ma anche perché spesso permette di raggiungere tale risultato eliminando le complicazioni del loro lay-out che, nel caso di fondazioni convenzionali, si rendono necessarie per assicurare loro un'adeguata protezione dal terremoto e perché, in molti casi con tale tecnica sono agevolmente adeguabili sismicamente componenti esistenti;
sullo sviluppo dei suddetti sistemi innovativi e sulla loro applicazione alle diverse tipologie di strutture (civili ed industriali) l'ENEA vanta un'esperienza ultraventennale; in particolare, per quanto attiene all'uso di tali sistemi negli impianti chimici RIR, sono da citare gli studi condotti nell'ambito dei progetti di ricerca ISI (valutazione dell'applicabilità dell'isolamento sismico alla protezione sismica di componenti di Impianti industriali) ed INDEPTH (Development of Innovative DEvices for Seismic Protection of PeTrocHemical Facilities), che hanno anche evidenziato l'importanza di stime adeguate dello spostamento del suolo, rese possibili dall'applicazione di NDSHA;
il progetto INDEPTH (2002-2005), promosso dall'ENEA e parzialmente finanziato dalla Commissione europea, è stato da essa affidato, oltre che all'ENEA, al CESI di Seriate (BG), che lo ha coordinato, all'industria manifatturiera di isolatori sismici FIP industriale di Selvazzano Dentro (PD), nonché a partner tedeschi, greci, spagnoli, inglesi e svedesi; in tale progetto sono stati studiati e sviluppati sistemi antisismici per strutture critiche presenti in impianti chimici, prendendo in considerazione, in particolare, serbatoi di stoccaggio e grandi serbatoi criogenici LNG;
i serbatoi di stoccaggio sferici si sono rivelati particolarmente vulnerabili dal punto di vista sismico, a causa della grande massa del fluido in essi disposta ad una notevole altezza dal suolo e della scarsa resistenza ai carichi orizzontali offerta dal sistema dei controventi in essi presente;
per il loro retrofit, è risultato che, quando il valore di progetto dell'accelerazione massima orizzontale del terreno in caso di sisma (Peak Ground Acceleration o PGA) è superiore a 0,25 g, l'inserimento di controventi dissipativi comporta una notevole riduzione del danno causato dal sisma, rispetto ad interventi di rinforzo convenzionali, a parità di costo, assicurando protezione fino a valori di PGA pari a circa 0,6 g; per i suddetti serbatoi, se di nuova costruzione, invece, si è verificato che, per valori di PGA superiori a circa 0,25 g, l'isolamento sismico evita danni a costi inferiori rispetto a quelli richiesti dalla progettazione tradizionale;
per i serbatoi LNG, visti le grandi dimensioni ed i notevoli pesi in gioco, l'isolamento alla base è stata considerata la soluzione di riferimento per la protezione sismica, per valori di PGA maggiori di 0,25 g;
più in generale, l'ENEA dispone di notevoli altre competenze nel settore impiantistico, sviluppate in ambito nucleare, che potrebbero essere molto utilmente impiegate a supporto della progettazione strutturale e realizzazione di nuovi impianti e componenti chimici RIR e di interventi di retrofit su quelli esistenti;
tali interventi, non potendo essere simultanei, potrebbero essere pianificati

secondo una priorità oggettivamente definita anche in accordo con le stime di pericolosità dipendenti dal tempo, basate sull'identificazione, sistematicamente aggiornata, delle aree dove risulta aumentata la probabilità di un forte terremoto -:
se le circostanze descritte in premessa siano fondate ed in caso affermativo, se non si intendano adottare provvedimenti volti a superarle, anche tenendo conto delle soluzioni ipotizzate in premessa;
se non sia valutabile l'opportunità di istituire un gruppo di lavoro italiano, integrato, se ritenuto opportuno, da alcuni esperti di fama internazionale, con lo scopo di scrivere la guida tecnica (GT) per la progettazione antisismica degli stabilimenti RIR, utilizzando, per la definizione della pericolosità sismica, come documento di base l'analoga guida tecnica elaborata dall'IAEA per la realizzazione degli impianti nucleari e tenendo conto, allo stesso fine, dei più recenti sviluppi in campo sismologico;
se, nelle circostanze che potranno scaturire dalla GT, non si intenda valutare la necessità di costituire un comitato nazionale per la messa in atto di quanto in essa contenuto e stabilire una procedura che preveda che il gestore calcoli, con la metodologia definita dalla GT, il terremoto di riferimento per la progettazione degli impianti chimici RIR nelle aree in cui essi sono ubicati, verifichi, con tale input, l'adeguatezza degli impianti e, se del caso, definisca gli interventi strutturali di protezione o miglioramento/adeguamento sismico, in accordo con i criteri pure definiti nella GT;
se, per l'effettuazione delle attività sopra descritte, non si ritenga utile far riferimento anche alle competenze disponibili in seno all'ENEA, riguardanti sia la progettazione antisismica sia, più in generale, l'impiantistica.
(4-13060)

...

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta orale:

VELTRONI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia entrato in vigore il 14 maggio ha introdotto con l'articolo 4, commi 1 e 16 alcune significative modifiche al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio;
la prima di queste modifiche, contenuta nell'articolo 4, comma 1 e comma 16, lettera a), consiste nell'innalzamento da cinquanta a settant'anni della soglia temporale oltre la quale è possibile sottoporre gli immobili appartenenti al patrimonio pubblico o a enti no profit, compresi quelli religiosi, ad accertamenti per verificarne il grado di interesse culturale e, eventualmente, far valere la tutela. La modifica interviene in un quadro da lungo tempo consolidato, in vigore sin dalla legge Bottai del 1939, ripresa poi dal testo unico del 1999 e dal Codice del 2004, e viene ad alterare la natura dell'intervento pubblico in un ambito significativo per la storia e l'identità culturale del nostro Paese;
come si afferma esplicitamente nel decreto, l'elevazione è dovuta, nell'ordine, all'esigenza di accelerare le procedure per realizzare le opere pubbliche (comma 1) e all'esigenza di dare massima attuazione al federalismo demaniale (comma 16). Di fatto, cioè, si procede a una liberalizzazione degli interventi su un patrimonio architettonico potenzialmente da tutelare da eventuali alterazioni, rendendo possibili manomissioni o spoglio degli arredi senza che il Ministero abbia più alcun titolo per intervenire a difesa di uno dei più vasti e diffusi contesti culturali di cui dispone, ovvero il patrimonio culturale in proprietà di enti, anche ecclesiastici;

a titolo esemplificativo, il provvedimento rischia di mettere a repentaglio opere o palinsesti urbanistici di pregio quali: il salone per le esposizioni e il palazzo del lavoro di Pier Luigi Nervi, la chiesa di S. Maria Maggiore di Francavilla al mare di Ludovico Quaroni, la sede del politecnico di Napoli di Luigi Cosenza, il quartiere sperimentale QT8 di Milano di Piero Bottoni, con opere di Vico Magistretti, Marco Zanuso, il quartiere Ina casa del Tiburtino di Ludovico Quaroni e così via;
va altresì rilevato che la disposizione contenuta nel decreto comporta alcune incongruenze e disparità di trattamento visto che l'allentamento della tutela si rivolge soltanto al patrimonio degli enti no profit, escludendo tutti gli altri proprietari privati;
una seconda, ad avviso dell'interrogante, infausta modifica al codice apportata dal decreto è quella prevista all'articolo 4, comma 16, lettera d), dove viene soppresso l'obbligo di denunciare il trasferimento della detenzione di beni immobili vincolati, previsto già dalla legge Bottai e in seguito recepito nel Testo unico del 1999 e nel codice del 2004. Come non è difficile capire, l'obbligo era previsto al fine di consentire la rapida individuazione del proprietario, responsabile della sua corretta conservazione. La modifica, così, renderà difficili e inutilmente onerose le funzioni di vigilanza dell'amministrazione sugli immobili vincolati, favorendo eventuali interventi lesivi;
la terza e la quarta modifica, contenute all'articolo 4, comma 16, lettera e) rappresentano forse il vulnus più grave alla tutela e consistono in uno stravolgimento dell'articolo 146 del codice, in materia di autorizzazione paesaggistica, dove il parere che il soprintendente era chiamato a esprimere per gli interventi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico era ritenuto «vincolante»;
con il decreto-legge citato, invece, il parere del soprintendente diventa obbligatorio ma non più vincolante, una volta che i vincoli paesaggistici siano stati dotati delle prescrizioni d'uso, vale a dire una volta che le regioni abbiano rivisto le loro pianificazioni paesistiche d'intesa con le soprintendenze per adeguarle alle nuove prescrizioni dettate dal codice e una volta che i comuni abbiano adeguato le loro pianificazioni urbanistiche. Altra preoccupante modifica, il soprintendente avrà tempo novanta giorni dalla ricezione del progetto per esprimere il proprio parere o varrà il principio del silenzio assenso. Un meccanismo che, con la restrizione delle risorse finanziarie e amministrative a disposizione delle soprintendenze, finirà per rendere inevase numerosissime pratiche di tutela a discapito dell'integrità del paesaggio, patrimonio essenziale, per l'identità culturale e civile dell'Italia, come stabilito dall'articolo 9 della Costituzione -:
come il Ministro intenda rimediare a questo esplicito pregiudizio alle prerogative del proprio dicastero dalle possibili conseguenze irrimediabili, considerando che la tutela del paesaggio e dei beni culturali rappresentano un elemento essenziale per l'economia del Paese, per la sua immagine e, ancor più, per la coesione sociale e l'identità storica e civile della comunità civile italiana, cosi come stabilito all'articolo 9 della Costituzione.
(3-01796)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la Puglia sembra essere terreno fertile per ecomostri sia privati, che pubblici. Casi dimenticati si possono trovare a Baia Campi, nel parco nazionale del Gargano, a qualche chilometro da Vieste; 60 mila metri cubi di cemento abusivo in riva al mare Adriatico. Un bunker cementizio che ha fatto tabula rasa della flora caratteristica del luogo; il reato di alterazione di bellezze naturali era stato acclarato definitivamente dalla Corte di Cassazione nel

1996. Si tratta di un complesso immobiliare completo, arredato, ma totalmente abbandonato, in possesso della regione Puglia, ma per il quale non si sono versate, ad oggi, le relative imposte. Per questo il comune di Vieste ha cominciato a reclamare il dovuto: 528.969,75 euro; la commissione tributaria di Foggia, con sentenza numero 197 dell'8 ottobre 2007 e sentenza numero 22 del 25 gennaio 2010 ha sanzionato il pagamento degli arretrati. Il mastodontico complesso non è mai stato utilizzato, divenendo nel tempo preda dei vandali. L'opera era stata cofinanziata dal fondo europeo sviluppo regionale: 50 miliardi di lire in appalto. Costo iniziale: 40 miliardi ottenuti con finanziamento statale e altri dieci dall'Unione europea. Altri 4 miliardi di lire sono stati erogati e spesi dalla regione nel 1994 per arredare il complesso destinato ad accogliere un albergo di 370 posti letto dotato di varie attività connesse: bar, ristorante, sala congressi, vasca relax, campi da tennis, centro interaziendale per la produzione di 15 mila pasti precotti al giorno, lavanderia, sala giochi, discoteca, scuola di perfezionamento alberghiero, nonché gli uffici e tutti i servizi annessi alle tre attività;
la vicenda ebbe inizio nel 1983, quando la regione Puglia decise di promuovere una richiesta di finanziamento Fio (Fondi investimento occupazione) per un «progetto di sviluppo integrato del turismo». Il tutto consisteva nell'edificazione di due enormi agglomerati in calcestruzzo, denominati centri pilota. Il Cipe non ammise a finanziamento la prima richiesta, in quanto la localizzazione delle strutture risultava generica. La giunta regionale pugliese con atto deliberativo n. 3876 del 30 aprile 1984 e n. 9537 del 5 novembre 1984 riformulò la richiesta, specificando il luogo d'intervento. Il motivo era la creazione di «2.500 nuovi posti di lavoro». L'adunanza del consiglio regionale il 20 dicembre 1984 deliberò «a maggioranza di voti, con l'astensione del gruppo Pci e del Msi, di approvare la localizzazione dei centri turistici direzionali (deliberazione di giunta regionale 10025 del 19 novembre 1984 )». Per la «montagna del sole» venne indicata Baia Campi, un tratto di costa incontaminato. L'area era sottoposta a vincolo idrogeologico dal 1923, paesaggistico e forestale dal 1971 (decreto ministeriale del 16 novembre 1971, ai sensi della legge n. 1497 del 1939);
nel 1986 venne elaborato il progetto. La giunta regionale, committente dell'opera, rilasciò a se stessa il 31 luglio 1986 (delibera n. 6817) il nulla osta paesaggistico. Il sovrintendente locale ai beni culturali e ambientali, il 7 ottobre dello stesso anno, esprimeva «parere negativo». I lavori di sbancamento in variante al secondo piano di fabbricazione, ebbero inizio a giugno del 1988 e terminarono otto anni dopo con due varianti in corso d'opera. L'11 gennaio 1990 scese in campo Italia Nostra con un esposto alla procura della Repubblica di Foggia. In seguito, il 19 ottobre, il giudice per le indagini preliminari A. Paggetta su richiesta del pubblico ministero Roberto Gentile, disponeva il sequestro del cantiere, revocato il 14 novembre 1990 dal Tribunale della libertà. Il 20 luglio 1994 il pretore di Vieste, Silvana Clemente, riconosceva «il reato di alterazione di bellezze naturali di cui all'articolo 734». Infatti, si legge nel dispositivo della sentenza «la costruzione del Centro turistico direzionale, in zona Baia Campi di Vieste, è stata ritenuta la causa di notevole deturpamento delle caratteristiche dell'area e del suo equilibrio paesaggistico con la condanna penale dei componenti della giunta regionale della regione Puglia e del rappresentante legale della società concessionaria dei lavori e con l'ulteriore condanna dei medesimi al risarcimento del danno ambientale a favore della provincia di Foggia e dell'Associazione Italia Nostra». Tuttavia, con il passare degli anni, la Corte d'appello di Bari ha dichiarato la prescrizione della condanna e la Cassazione ha confermato l'estinzione del reato ribadendo comunque «l'irreversibile distruzione del paesaggio» -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di monitorare la presenza di edifici, i cosiddetti «ecomostri», che

violano le regole imposte dai vincoli paesaggistici, come accaduto per la costruzione presente a Baia Campi.
(4-13015)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nella serata di mercoledì 17 agosto è stata data la notizia dello «scivolamento» del tetto del complesso abbaziale arabo-normanno di Monreale, nel Palermitano, che ha ceduto ed è scivolato giù aprendo una falla nella copertura dell'edificio;
il crollo ha interessato il dormitorio, che si trova nella parte laterale tra il celeberrimo duomo e il chiostro dei Benedettini e la parte danneggiata di Monreale era stata restaurata nel 1996;
secondo il sindaco Di Matteo, dopo l'inaugurazione, l'area era stata chiusa «per problemi con l'impianto antincendio, nonostante le nostre ripetute proteste per fare riaprire il dormitorio»; il complesso di Monreale viene considerato una delle più stupefacenti testimonianze in stile normanno -:
quali siano l'entità dei danni e gli interventi urgenti da effettuare;
come si spiega il crollo in una struttura restaurata circa quindici anni fa;
se e quali azioni il Ministro interrogato intenda intraprendere per assicurare la ristrutturazione.
(4-13035)

GIOACCHINO ALFANO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il Governo ha emanato il decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito in legge dal Parlamento, che contiene norme molto importanti riguardo all'area archeologica di Pompei e, in particolare norme relative all'assunzione straordinaria di personale sia tecnico che amministrativo;
in attuazione di tali previsioni normative la competente direzione generale del Ministero ha emanato il 4 agosto 2011 la circolare n. 330 definendo la quantificazione numerica dei profili professionali necessari nonché le modalità procedurali per il loro reclutamento;
in particolare, si prevederebbero le assunzioni di: 18 dirigenti, 69 funzionari, 68 assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza, 14 architetti, 9 archeologi, 2 amministrativi, attingendo alle rispettive graduatorie attualmente ancora in corso di validità e per un costo complessivo di circa 900 mila euro;
come era già noto in Campania non vi è nessuna graduatoria in corso di validità per i sopramenzionati profili e, pertanto il numeroso contingente di neoassunti vedrebbe esclusi candidati residenti proprio nella regione Campania;
questa procedura, se perseguita, determinerebbe, da un lato, una beffa vera e propria per i tanti giovani e seri professionisti della Campania che si vedrebbero esclusi dalla opportunità dell'inserimento lavorativo in un importante e straordinario contesto culturale e, dall'altro, provocherebbe sicuramente una grave disfunzione allo stesso Ministero poiché i neoassunti alla scadenza dell'obbligo di permanenza dei 5 anni nella sede delle Soprintendenza speciale di Napoli e Pompei quasi certamente presenterebbero istanza per poter essere riassegnati ad una sede di lavoro nella loro regione di provenienza;
il Ministro in sede di conferenza stampa il 12 aprile 2011 sollecitato su questa vicenda (come riportato da tutti i quotidiani), promise che si sarebbe rimediato a questa problematica bandendo un concorso ad hoc riservato ai residenti della regione Campania;
ad oggi non risulta che gli uffici del Ministero siano stati incaricati di provvedere a bandire tale concorso e non è chiaro se vi siano le risorse finanziarie adeguate per farlo, poiché le stesse rischiano

di essere completamente assorbite dalla procedura di assunzione prevista dalla citata circolare n. 330 del 4 agosto;
lo stesso decreto-legge, inoltre, prevede che la Soprintendenza stipuli una apposita convenzione con Ales spa (società in house del Ministero per i beni e le attività culturali), prevedendo anche l'affidamento diretto di servizi tecnici e della realizzazione degli interventi del programma straordinario per Pompei, per il quale sono stati stanziati 105 milioni di euro;
come è stato dimostrato da una recente indagine conoscitiva della Corte dei conti sullo stato di manutenzione delle principali aree archeologiche italiane (notizia ripresa anche da alcuni quotidiani) la Soprintendenza archeologica di Pompei ha accumulato oltre 230 milioni di euro di residui attivi ed ha speso (per la manutenzione delle complessive aree archeologiche di competenza) nel 2007 soltanto 165 mila euro e nel 2008 (prima della dichiarazione dello stato di emergenza) soltanto 260 mila euro, dimostrando quella che all'interrogante appare una drammatica e colpevole incapacità amministrativa a investire risorse proprio nel campo della tutela del patrimonio archeologico e in tal modo ingenerando gravi processi di incuria, degrado e abbandono che hanno provocato anche gli episodi di crollo;
l'area archeologica di Pompei è una delle aree turistiche di maggiore rilevanza mondiale con i suoi circa 2 milioni e mezzo di visitatori l'anno, che divengono circa 3 milioni se vi si sommano i visitatori delle altre aree archeologiche vesuviane;
secondo un'indagine statistica realizzata nel 2010 dall'università di Salerno, in collaborazione con l'associazione Mecenate 90, oltre l'ottanta per cento dei visitatori non proviene dall'Italia e oltre due terzi provengono da Paesi non europei;
come purtroppo è altrettanto noto, la permanenza media dei visitatori nelle aree archeologiche è quasi esclusivamente legata al momento della visita e pertanto assolutamente ridotte sono le occasioni di valorizzazione dei servizi sul territorio;
durante la gestione commissariale sono state avviate importanti iniziative rivolte a dare migliori e più adeguati servizi ai turisti e tali da produrre ricadute economiche ed occupazionali per il territorio e per le categorie economiche e produttive, quali ad esempio:
a) la disciplina del servizio di guida turistica per l'area archeologica di Pompei (da circa 24 anni mancava ogni forma di regolamentazione proprio da parte della regione): con tale regolamento erano stati stroncati ogni forma di abusivismo della professione nonché gli atteggiamenti violenti ed intimidatori da parte di alcuni facinorosi, consentendo di passare da meno di venti ad oltre 100 operatori presenti nell'area (tra cui molti giovani laureati e molte donne);
b) l'organizzazione nell'estate del 2010 di una stagione teatrale estiva in accordo con le principali istituzioni culturali regionali quali «Campania dei Festival» e il teatro di San Carlo, che aveva prodotto un cartellone di assoluto prestigio con una grandissima partecipazione di pubblico e positive ricadute economiche sulle strutture ricettive e di ristorazione del territorio vesuviano;
c) la stipula di un accordo e del relativo contratto, con la Fondazione Idis-Città della scienza (Fondazione pubblica di proprietà della regione) finalizzata alla gestione di un moderno visitor center, realizzata presso il restaurato ex Antiquarium (che era chiuso dal terremoto del 1980) in grado di introdurre il visitatore alla corretta percezione del percorso di visita degli scavi, con la possibilità di vivere le emozioni e le spiegazioni scientificamente corrette dell'eruzione del Vesuvio che ha sepolto la città di Pompei;
d) la realizzazione di laboratori dedicati ai bambini, nel progetto baby Pompei, da realizzarsi presso la restaurata casa demaniale «Pacifico» ubicata presso la biglietteria di piazza Anfiteatro, sempre gestiti dai tecnici di città della scienza che

attraverso attività ludiche e di divulgazione può spiegare anche ai più piccoli l'enorme valore culturale di Pompei;
e) la fruizione di un percorso (esterno alle mura della città archeologica), lungo le stradine sterrate percorse dai contadini per la coltivazione delle aree agricole ancora presenti, dedicato agli amanti della bicicletta che può essere noleggiata presso l'ingresso di piazza Anfiteatro e lasciata in apposite rastrelliere a ridosso delle porte di ingresso nella città antica; il servizio era affidato ad una onlus aderente alla locale sezione della Federazione italiana amici della bicicletta;
f) l'apertura del cantiere trasparente dei Casti Amanti e della Domus multimediale di Giulio Polibio: due iniziative didattiche di grandissimo rilievo culturale alle quali si accedeva con un biglietto aggiuntivo e che erano gestite dalla società che curava appunto la didattica;
g) la realizzazione presso una delle altre case demaniali restaurate (Casina dell'Aquila) collocata in una posizione centrale degli scavi, di una attività di promozione e divulgazione, anche con servizio di ristorazione basato, in accordo con l'assessorato all'agricoltura della regione Campania, sulle eccellenze enogastronomiche campane in particolare quelle a cosiddetto «chilometro zero» prodotte all'interno dell'area archeologica o provenienti dall'area vesuviana, regolarizzando la posizione di oltre cento coloni che operavano senza titolo all'interno dell'area archeologica;

ebbene il compendio di tutte queste importanti e significative attività, con la nomina a soprintendente della dottoressa T.E. Cinquantaquattro avrebbe, a quanto consta all'interrogante, subito una drastica riduzione o addirittura non ha avuto nemmeno avvio, producendo un innegabile danno alle imprese o associazioni coinvolte, all'occupazione e all'indotto locale nonché alle stesse casse della Soprintendenza, in quanto vengono meno alcune possibilità di introito nonché alla complessiva economia del territorio;
secondo dati del Ministero per i beni e le attività culturali resi noti nel mese di maggio 2011, la Soprintendenza di Pompei aveva accumulato circa 30 milioni di euro di giacenze di cassa nel periodo giugno 2010 (fine del commissariamento) - dicembre 2010 e nulla è stato fatto di nuovo, a quanto consta all'interrogante, da parte dell'attuale soprintendente, in termini di manutenzione del patrimonio archeologico e l'unica attività in essere risulta quella relativa ai programmi di manutenzione ordinaria del sito prevista e finanziata con due milioni di euro dalla gestione commissariale;
appare del tutto evidente, per quanto sopra descritto, sia in relazione ai dati riguardanti le giacenze attive accumulate in meno di un anno sia in relazione a tutti i progetti innovativi e di sviluppo che sono stati bloccati o sospesi, quella che ad avviso degli interroganti è la inadeguatezza degli attuali vertici della Soprintendenza (animata sempre a giudizio dell'interrogante solo da avversione di tipo ideologico verso quello che sin qui era stato realizzato grazie al Governo) a guidare l'enorme processo di restauri, manutenzione e sviluppo di servizi che le istituzioni nazionali e locali, i cittadini e i turisti di tutto il mondo si aspettano;
appare altrettanto evidente che il blocco di queste iniziative nonché le norme sulle assunzioni (come sopra descritte) rischiano addirittura di trasformarsi in una beffa per le giuste aspettative delle istituzioni, delle imprese, del sistema turistico e dei cittadini campani -:
come intenda provvedere in relazione alla problematica delle assunzioni che ad oggi vedrebbe esclusi proprio gli aspiranti provenienti dalla regione Campania;
quale indirizzo intenda dare ai vertici di Ales spa circa lo svolgimento delle importanti funzioni tecniche e realizzative previste dal citato decreto-legge;
quali iniziative intenda adottare affinché la Soprintendenza sblocchi gli importanti progetti di cui in premessa, che

avrebbero grande valenza economica e progettuale per l'economia del territorio e che provocano un danno erariale alla stessa Soprintendenza in termini di mancati introiti;
quali iniziative di carattere istituzionale intenda promuovere al fine di condividere, con le istituzioni locali (a cominciare dalle regioni), un progetto complessivo di manutenzione, conservazione, restauro delle aree archeologiche vesuviane con particolare riguardo, a quella di Pompei;
quali iniziative intenda adottare al fine di tutelare i molteplici interessi di carattere regionale che possono essere coinvolti nella progettazione e realizzazione dei servizi di valorizzazione (in aderenza a quanto stabilito nella Costituzione) delle aree archeologiche;
se non ritenga necessario promuovere una riorganizzazione delle strutture regionali delle Soprintendenze, prevedendo la realizzazione di una Soprintendenza specifica per Pompei e i siti vesuviani separata da quella di Napoli procedendo al contempo, alla nomina di una struttura di vertice adeguata ai prossimi enormi impegni sia tecnici che amministrativi, e garantendo processi snelli ed efficienti per l'elaborazione dei progetti, la loro concreta realizzazione e la capacità di utilizzare pienamente le ingenti risorse messe a disposizione;
quali proposte intenda avanzare al fine di realizzare in ogni caso un sistema di governance dei beni culturali campani, in accordo tra le competenze statali e regionali, in grado di soddisfare pienamente le esigenze di tutela con quelle di crescita economica del territorio, ponendo i beni culturali al centro di un moderno e sostenibile modello di sviluppo per tutto il Mezzogiorno.
(4-13065)

GIULIETTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nel 2007, nell'ambito dei progetti finanziati in occasione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, fu inserito anche un progetto denominato «Nuovo palazzo del cinema e dei congressi a Lido di Venezia»;
quel progetto fu presentato come un'opera indispensabile per la piena riuscita della Mostra internazionale del cinema;
per accelerare i lavori fu addirittura nominato un commissario straordinario nell'ambito dei cosiddetti «Grandi Eventi»;
in ripetute e pubbliche occasioni fu rappresentata la centralità del progetto e la necessità di inaugurare gli impianti entro il 2011, e non un mese dopo;
durante i lavori, è stato ritrovato un deposito di amianto e a detta degli interessati sarebbe stato «un evento imprevedibile»;
quando i medesimi interroganti chiesero notizie sull'amianto, sul blocco dei lavori, sulla necessità di prenderne atto, di non impiegare inutilmente risorse e di cambiare progetto, non più di un anno fa, il Ministero rispose che non solo non c'era problema, ma che sarebbe stato impossibile fermarli, perché ormai «era già stata raggiunta e superata la soglia minima»;
nei mesi successivi, qualsiasi richiesta di chiarimento non ha trovato incredibilmente alcun riscontro;
il nuovo Ministro, Galan, ha invece positivamente constatato che il progetto iniziale non solo non c'è più, ma che mancano ormai le condizioni per proseguire i lavori secondo le intese raggiunte nel 2007;
nel frattempo, è persino fallita la ditta appaltante, con quel che ne conseguirà sul piano giudiziario;
tra breve, si svolgerà una nuova edizione della Mostra, quella che avrebbe dovuto salutare e inaugurare il nuovo Palazzo, si ritrova invece con tanto di

voragine aperta, con i disagi prevedibili, per la Mostra e per la popolazione, per tutto l'anno -:
come e quando il Ministero intenda promuovere una commissione di inchiesta per accertare come i soldi siano stati sin qui spesi, e quali siano i responsabili di tanti errori e di un simile fallimento, allo stesso modo quali siano le ragioni per le quali sussista ancora un commissariamento straordinario, una volta sparita quella emergenza che aveva giustificato una simile procedura eccezionale;
se, prima di dare il via libera ad altre costruzioni in cemento nella stessa voragine, di convocare, cosa mai accaduta, magari a Lido, durante la prossima Mostra del cinema, una riunione non solo con La Biennale e con gli enti territoriali, ma anche aperta alla partecipazione del direttore della Mostra del cinema, e ai rappresentanti di tutte la categorie produttive dell'industria cinematografica, e chiedere finalmente anche a loro quali siano le reali esigenze del settore, di cosa abbia bisogno la mostra e quali progetti alternativi, meno costosi e meno invasivi, possano essere realizzati utilizzando le strutture già esistenti e quelle limitrofe.
(4-13074)

...

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato lo scorso 8 agosto dall'agenzia di stampa ANSA, un operaio romeno di 28 anni, Ioan Tomoroga, si è impiccato nella cella di sicurezza della caserma dei carabinieri di Pontremoli (Massa Carrara);
l'uomo era stato arrestato per il sequestro della giovane moglie avvenuto in mattinata. I carabinieri, chiamati da alcuni vicini, erano intervenuti dopo che Ioan Tomoroga si era recato nell'abitazione di Pontremoli dove la donna vive sola da una ventina di giorni dopo essersi separata dal marito con cui era sposata da 5 anni. Il romeno è stato così arrestato per sequestro di persona e rinchiuso nella cella di sicurezza della caserma di Pontremoli in attesa del trasferimento al carcere di Massa;
sembra che per evitare gesti estremi, l'uomo sia stato privato di oggetti come lacci delle scarpe, la cintura e persino i jeans. Il giovane si è però sfilato la maglietta, l'ha legata alla griglia dello spioncino sulla porta e se l'è legata al collo. Quindi si è seduto su una sedia lasciandosi cadere. La morte è avvenuta per asfissia -:
se il Ministro competente intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del ragazzo morto suicida nella caserma di Pontremoli siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte del personale dell'Arma in servizio presso la predetta struttura.
(4-13043)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
una nota dell'Adnkronos del 27 agosto 2011 dal titolo «Immigrati: Comellini (Pdm), ancora scontri in CIE Ponte Galeria, feriti agenti situazione insostenibile, militari e poliziotti esposti a continui pericoli» si legge che «"Sono stato informato che nel Cie di Ponte Galeria, a Roma, ieri sera verso le 23 una cinquantina di cittadini extracomunitari detenuti all'interno del Centro ha aggredito, con sassi e bottiglie di vetro, il personale in servizio di

vigilanza per poi darsi alla fuga. A seguito degli scontri diversi militari e poliziotti sono dovuti ricorrere alle cure dei medici a causa dei traumi riportati". Lo rende noto Marco Comellini, segretario del Pdm, Partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia. "Quanto accaduto è solo l'ennesima conseguenza del 'fare' di un governo irresponsabile e disorganizzato che è sempre troppo impegnato a cercare di sopravvivere ai suoi stessi disastri per rendersi conto delle disumane condizioni di detenzione cui sono costretti nei Cie i cittadini extracomunitari - osserva Comellini - Condizioni che diventano sempre più spesso occasioni di inaudite violenze nei confronti dei poliziotti e dei militari in servizio". "I ministri Maroni e La Russa devono aspettare che ci sia il 'morto' per intervenire? - si chiede polemicamente Comellini - Se non sono capaci di gestire la situazione lo dicano chiaramente. Ai militari e poliziotti feriti va tutta la nostra solidarietà e gli auguri di pronta guarigione". (Sin/Ct/Adnkronos) 27-AGO-11 13:38 NNNN»;
nei Centri di identificazione e espulsione dislocati in tutto il paese si verificano con sempre maggiore frequenza disordini e violenze ad opera dei cittadini extracomunitari che vi sono detenuti anche per lunghi periodi di tempo in attesa dell'esecuzione del provvedimento dell'autorità competente -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti in premessa e quali siano le immediate azioni che intendano intraprendere per garantire ai cittadini extracomunitari detenuti nei CIE adeguate e più dignitose condizioni di vita e un tempo massimo di permanenza all'interno delle strutture non superiore a quello stabilito dall'autorità che ha emesso il provvedimento di espulsione;
quanti siano stati i militati e gli appartenenti alle Forze di polizia che a seguito degli scontri hanno riportato traumi o ferite e quali siano gli immediati provvedimenti che intenderanno adottare per garantire adeguate condizioni di sicurezza ai militari e al personale delle Forze di polizia preposto alla vigilanza dei Centri di identificazione ed espulsione.
(4-13056)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
con l'atto di sindacato ispettivo 4-11736 gli interroganti, con riferimento a fonti di stampa, hanno chiesto al Ministro interrogato di conoscere quali siano state le motivazioni della decisione di inviare 10 addestratori in Libia, quali siano i loro compiti, il loro armamento;
nei numerosi articoli pubblicati nel tempo dai maggiori quotidiani italiani si è sempre affermato che il numero dei militari italiani inviati sul territorio libico fosse di dieci unità;
una nota dell'agenzia Adnkronos del 25 agosto scorso ha diffuso alcune dichiarazioni del Ministro degli esteri onorevole Franco Frattini secondo cui «Da due mesi è a Bengasi un team di militari italiani, con scopi di addestramento [...] Abbiamo mandato già 15-20 militari italiani, per l'addestramento tecnico di alcune unità di forze armate libiche, ma pensiamo di estenderlo anche alla polizia, con particolare riferimento alla polizia di frontiera e alla guardia costiera libica [...]»;
sempre da fonti di stampa si è potuto apprendere che il Ministro interrogato ha più volte escluso la presenza di militari italiani sul territorio libico;
la recente dichiarazione del Ministro degli affari esteri contraddice nettamente quanto da sempre affermato sull'argomento dal Ministro interrogato che, peraltro, non ha mai secondo gli interroganti chiarito quali fossero i reali compiti e l'armamento dei militari italiani inviati in Libia né, tantomeno, quale fosse la loro zona di operazioni;
la risoluzione 1973 (2011) sulla Libia, approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 17 marzo 2011 «Autorizza

gli Stati Membri [...] per proteggere i civili e le aree a popolazione civile minacciate di attacco nella Jamahiriya Araba di Libia, compresa Bengasi, escludendo una forza di occupazione straniera di qualsiasi forma e su qualsiasi parte del territorio libico,[...]» -:
quale sia il numero dei militari inviati sul territorio libico e se non ritenga che l'invio di militari armati, presumibilmente con compiti di addestramento alle tattiche di guerra e all'uso delle armi, possa non essere conforme ai contenuti della risoluzione citata in premessa;
quali immediate azioni intenda assumere per evitare che si protragga ulteriormente la situazione di incertezza e di possibile mancato rispetto della risoluzione conseguente all'invio di truppe armate sul territorio di uno Stato sovrano che ufficialmente non ha mai formulato nei confronti dell'Italia alcuna dichiarazione di guerra.
(4-13057)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il Consiglio di base della rappresentanza militare della legione carabinieri «Veneto» con la delibera n. 405 allegata al verbale n. 267/Xo del 10 maggio 2011 ha reso noto di aver deliberato di invitare il corrispondente comandante dell'unità di base «[...] ad eliminare nelle comunicazioni di autorizzazione degli incontri inviate ai Comandanti/Reparti la dizione "Liberi dal servizio", dizione che non è prevista dalla normativa vigente e che può, nella mentalità dell'Arma, ingenerare confusione [...]»;
gli interroganti ritengono pienamente condivisibile il contenuto della citata delibera e la richiesta dell'organismo di rappresentanza di base che è inequivocabilmente tesa a garantire la piena e incondizionata partecipazione del personale rappresentato agli incontri e/o convocazioni -:
quali siano state le azioni intraprese dal Comandante della legione carabinieri «Veneto» e quali siano state le disposizioni impartite in merito alla richiesta del Consiglio di base citato;
quali siano state le azioni intraprese al riguardo della delibera di cui in premessa dal Cocer dell'Arma dei carabinieri.
(4-13058)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il Consiglio intermedio della rappresentanza militare del comando interregionale carabinieri Pastrengo, con il verbale n. 148/X della riunione del 27 giugno 2011, ha reso noto che «[...] È pervenuto - in duplice copia - al COIR un esposto anonimo di cui si da lettura integrale e che viene allegato al verbale per gli aspetti di competenza di codesto comando interregionale. [...]»;
nell'esposto si legge «[...] il sistema rappresentanza è diventato un affare per qualcuno, basta guardare i vari La Fortuna, Tarallo, Capuano e associati. Una vera e propria cricca che si muove in un "situazione, caratterizzata dall'utilizzazione spregiudicata di un sistema di relazioni professionali e personali che li ha portati a realizzare una rete di interessi intrecciati" non legittimi. [...]». Il documento prosegue citando fatti, e nomi di altre persone, la cui gravità richiederebbe un attento esame da parte delle autorità giudiziarie competenti;
i citati La Fortuna e Tarallo sono stati più volte oggetto degli atti di sindacato ispettivo rivolti al Ministro della difesa da parte degli interroganti -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza del documento «esposto» allegato al verbale in premessa e quali siano le immediate azioni che intenda intraprendere in merito;

se il Ministro della difesa non ritenga opportuno sospendere precauzionalmente dall'incarico di delegato del Cocer i militari i cui nominativi sono indicati nell'esposto citato in premessa.
(4-13063)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul quotidiano la Repubblica del 2 settembre 2011 è stata pubblicata un'inchiesta intitolata «Incubi e raptus di follia quei traumi di guerra che l'Esercito nega» a firma di Ranieri Salvadorini in cui si legge «Piero Follesa è un reduce di Nassiriya che ha aggredito il figlio quattordicenne credendosi sotto attacco. E la sua mente lo era. È il Post Traumatic Stress Disorder (PTSD), una patologia psichiatrica che colpisce soprattutto i reduci dalle missioni militari. Rispetto al trauma provocato dalle catastrofi naturali, come ad esempio un terremoto, in guerra si aggiunge l'intenzionalità: è un tuo simile a volere la tua morte. Nelle Forze armate italiane si dovrebbero contare migliaia di storie simili a quella di Piero. In Europa, infatti, la media di PTSD tra i contingenti è del 4-5 per cento, all'interno di una stima del 10 per cento di manifestazioni minori del disturbo. Le stime crescono vistosamente negli Eserciti più aggressivi, che rispondono a regole d'ingaggio diverse da quelle dei contingenti europei: maggiore è l'esposizione allo scontro e maggiore è l'esposizione allo stress. Si arriva così al 20-30 per cento negli Usa (nel 2008 i soldati colpiti da gravi disturbi psichiatrici sono stati stimati in oltre 320 mila, su 1,6 milioni), si flette di poco in Canada o Israele, mentre in Gran Bretagna la Difesa dichiara un 3 per cento, subito smentita dalle cronache: quasi il 10 per cento dei detenuti nelle carceri britanniche (circa 20.000 persone) provengono dalle Forze armate, quasi tutti «dentro» per violenze (soprattutto domestiche) legate all'abuso di alcol e droghe. Eppure le gerarchie militari italiane invece raccontano un'altra storia: su 150.000 soldati impiegati all'estero risultano solo 2-3 diagnosi l'anno, circa 20 casi segnalati. Statisticamente zero (...)» -:
se il Ministro abbia conoscenza di dati sulla patologia psichiatrica post traumatic stress disorder relativamente al personale militare dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e all'Arma dei carabinieri che ha partecipato alle missioni internazionali;
come si giustifichi il significativo scarto statistico tra i militari italiani e stranieri con riferimento a tale sindrome.
(4-13081)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul quotidiano Il Giornale del 1° settembre 2011 è stato pubblicato un articolo intitolato «I ribelli: è nostro diritto uccidere Gheddafi» in cui si legge «[...]A diversi giorni dall'entrata delle forze ribelli nella capitale libica, nessuno sembra sapere con certezza dove si trovino il Colonnello e la sua famiglia, anche se fonti interne alla leadership ribelle sostengono che entro una settimana Gheddafi sarà nelle loro mani. "È in Libia", dice al Giornale Omar Hariri, responsabile militare presso il Governo ad interim. I ribelli lo vogliono vivo o morto. Sulla sua testa pende una taglia da 1,2 milioni di euro. "Ucciderlo è un nostro diritto", ha detto Ahmad Darrad, incaricato per gli affari interni della leadership ribelle. "Ci sta uccidendo. È un criminale e un fuorilegge. In tutto il mondo, se un criminale non si arrende, è diritto di coloro che implementano la legge ucciderlo", ha spiegato Darrad. [...] »;
simili dichiarazioni sono deprecabili e se dovessero essere tramutate in azione e Gheddafi dovesse essere ucciso ad opera dei miliziani o dei membri del Cnt libico

il fallimento dell'azione umanitaria voluta dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sarebbe evidente e completo;
l'eventuale assassinio di Gheddafi rappresenterebbe per il Governo italiano una sconfitta e un peso difficilmente sopportabile assieme a quello della concreta violazione del principio dettato dall'articolo 11 della Costituzione -:
se il Ministro interrogato non ritenga di dover censurare severamente le dichiarazioni di Ahmad Darrad e adoperarsi con ogni mezzo affinché venga impedita ogni azione violenta nei confronti di Mu'ammar Abū Minyar 'Abd al-Salām al-Qadhdhāfi (Muammar Gheddafi) e che quest'ultimo sia assicurato alla giustizia del tribunale internazionale che ha emesso il mandato di cattura affinché sia giudicato per i crimini commessi.
(4-13082)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la legge 23 marzo 1983, n. 78, disciplina le indennità delle Forze armate in relazione al peculiare tipo di rischio, disagio e responsabilità;
l'articolo 10, comma 4, della legge 23 marzo 1983, n. 78 prevede che: «Agli ufficiali e ai sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica imbarcati su navi in armamento e in allestimento è corrisposta nei giorni di navigazione, purché di durata non inferiore a 8 ore continuative, l'indennità supplementare di fuori sede nella misura mensile del 180 per cento dell'indennità di impiego operativo stabilita in relazione al grado e all'anzianità di servizio militare dall'annessa tabella I escluse le maggiorazioni indicate alle note a) e b) della predetta tabella. Tale indennità è corrisposta altresì nei giorni di sosta quando la nave si trova fuori dalla sede di assegnazione, per un massimo di 60 giorni consecutivi a decorrere dall'ultima navigazione effettuata»;
l'articolo 9, comma 14, del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2009, n. 52, a seguito delle procedure di concertazione, ha disposto che «a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto, il limite dei 60 giorni previsto dall'articolo n. 10, comma 4, ultimo capoverso della legge 23 marzo 1983, n. 78, non si applica»;
il contenuto della risposta fornita dal Ministro interrogato all'interrogazione a risposta scritta 4-11488, evidenzia un'interpretazione sistematica in contrasto con la ratio della legge che è quella di garantire l'indennità supplementare non solo per il disagio dovuto alla navigazione superiore alle 8 ore, ma anche per il disagio dovuto alla sosta fuori dalla sede di assegnazione dell'unità navale senza soluzione di continuità tra i due disagi richiamati. Il legislatore non a caso ha usato la dizione «è corrisposta altresì (...)» e non ad esempio la dizione «continua altresì (...)» -:
se il Ministro non ritenga di dover riesaminare l'interpretazione adottata affinché agli equipaggi navali sia corrisposta l'indennità supplementare connessa alle condizioni di rischio, disagio e responsabilità come disposto dal legislatore.
(4-13085)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 10 della legge 8 agosto 1990, n. 231, il decreto ministeriale del 25 settembre 1990 e il decreto interministeriale n. 192436 del 10 dicembre 1990 hanno introdotto nell'Esercito, nella Marina e nell'Aeronautica l'articolazione dell'orario delle attività giornaliere e dei connessi istituti dello straordinario e del recupero compensativo;
i successivi provvedimenti di concertazione continuano a disciplinare gli istituti dello straordinario e del recupero compensativo, da ultimo con l'articolo 14, comma 3, del decreto del Presidente della

Repubblica 16 aprile 2009, n. 52: «Le ore eccedenti l'orario di lavoro settimanale vanno retribuite con il compenso per lavoro straordinario entro i limiti massimi previsti dalle disposizioni vigenti. Le eventuali ore che non possono essere retribuite, nell'ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio, devono essere recuperate mediante riposo compensativo entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui sono state effettuate, tenuto conto della richiesta del personale, da formularsi entro il termine che sarà stabilito da ciascuna amministrazione con apposita circolare, e fatte salve le improrogabili esigenze di servizio. Decorso il predetto termine del 31 dicembre le ore non recuperate sono comunque retribuite nell'ambito delle risorse disponibili, limitatamente alla quota spettante a ciascuna amministrazione, a condizione che la pertinente richiesta di riposo compensativo non sia stata accolta per esigenze di servizio»;
il provvedimento concertato non ammette nessuna forma di forfettizzazione a differenza delle «Disposizioni applicative sull'orario di servizio e sul compenso per il lavoro straordinario», edizione 2006, e successive varianti, ove al punto 3, lettera C, lo Stato maggiore della Marina - 1o reparto personale - ufficio 2o - sezione 3a ha disposto che «nell'arco di una giornata (00.00-23.59) le ore di navigazione eccedenti l'orario lavorativo in vigore (36 ore settimanali) danno luogo alle eccedenze massime di 4,5 ore lavorative per i giorni feriali e 12,00 festivi e che le ore di navigazione di durata inferiore all'arco di una giornata (00.00-23.59) svolte in eccedenza all'orario di lavoro, sono compensate proporzionalmente alle suddette eccedenze massime»;
l'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 171, a seguito delle procedure di concertazione, rende legale l'unica forma di forfetizzazione ove dispone che «al personale impiegato in esercitazioni o in operazioni militari caratterizzate da particolari condizioni di impiego prolungato e continuativo oltre il normale orario di lavoro, che si protraggono senza soluzione di continuità per almeno quarantotto ore con l'obbligo di rimanere disponibili nell'ambito dell'unità operativa o nell'area di esercitazione, continua a essere corrisposto il compenso forfettario di impiego, istituito con l'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2002, n. 163, nelle misure giornaliere attualmente in vigore e riportate nell'allegata tabella 2, da corrispondere in sostituzione agli istituti connessi con l'orario di lavoro, per un periodo non superiore a 120 giorni all'anno»;
i contenuti delle risposte fornite dal Ministro interrogato alle interrogazioni a risposta scritta 4-12121 e 4-11251 mettono ad avviso degli interroganti in luce la difformità di applicazione degli istituti rispetto alla concertazione richiamata -:
se non ritenga necessario e urgente assumere le opportune iniziative affinché in tutte le attività di navigazione sia corrisposto all'equipaggio delle unità navali interessate lo straordinario in misura corrispondente alla durata del servizio di navigazione o in alternativa al medesimo personale sia corrisposto il compenso forfettario di impiego.
(4-13086)

TESTO AGGIORNATO AL 3 APRILE 2012

...

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della salute, per sapere - premesso che:
i medici iscritti ai corsi di specializzazione tra gli anni 1982 e 1991 non hanno percepito alcuna remunerazione nel corso della loro attività di formazione, nonostante le direttive europee in materia di formazione dei medici specialisti e dei

corsi per il conseguimento dei relativi diplomi (75/362/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975, 75/363/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975 e 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982, in seguito coordinate dalla direttiva 93/16/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993) avessero da tempo stabilito che le attività di formazione, sia a tempo pieno, sia a tempo ridotto, dovevano formare oggetto di «adeguata remunerazione» ed i relativi titoli dovevano essere riconosciuti presso tutti gli Stati membri;
l'articolo 16 della direttiva 82/76/CEE indicava esplicitamente il 31 dicembre 1982 quale termine ultimo di attuazione delle direttive, in osservanza degli articoli 5 e 189, terzo comma, del trattato che istituisce la Comunità europea;
in assenza del recepimento di tale direttiva la Corte di giustizia delle Comunità europee, con sentenza del 7 luglio 1987 (causa C-49/86), aveva conseguentemente condannato l'Italia e solo successivamente con il decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, il legislatore nazionale aveva provveduto a disporre in favore degli specializzandi una borsa di studio annuale di lire 21.500.000, applicando però tale disposizione solamente in favore dei medici ammessi alle scuole di specializzazione a decorrere dall'anno accademico 1991-1992;
tale disposizione causò un inevitabile e consistente contenzioso conclusosi in larga parte con sentenze dei tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato favorevoli ai medici ricorrenti e che portarono all'annullamento dei provvedimenti adottati dall'amministrazione;
con la legge 19 ottobre 1999, n. 370, venne attribuita ai soli medici destinatari delle predette sentenze amministrative passate in giudicato una borsa di studio annua onnicomprensiva di 13 milioni di lire per ogni anno del corso;
nel corso di questi anni, tuttavia, si è venuto a creare un imponente contenzioso nei confronti dello Stato italiano dinanzi ai giudici ordinari, promosso da numerosissimi medici, che avevano iniziato il rispettivo corso di specializzazione a decorrere dall'anno accademico 1982-1983, per ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto della mancata attuazione delle citate direttive;
solamente negli ultimi tre anni sono stati restituiti 42 milioni di euro ai medici che avevano fatto ricorso per borse di studio non erogate per un totale di oltre 1000 medici rimborsati;
con due sentenze della Corte di cassazione del 17 aprile 2009 n. 9147 e del 18 agosto 2011 n. 17350 è stato ribadito il principio che, per questo tipo di rapporti, la prescrizione è decennale e che decorre dal definitivo recepimento delle direttive;
con tale ultima sentenza, la terza sezione della Corte di cassazione ha rimesso nei termini 800 medici, riconoscendo loro il diritto al pagamento degli anni di borse di studio anteriori al 1991. Il quantum sarà determinato dalla corte d'appello, ma complessivamente ai medici assistiti dall'associazione Consulcesi Health andranno non meno di 100 milioni di euro;
la citata sentenza risolve una serie di zone d'ombra che ancora gravavano sui diritti degli ex specializzandi. In particolare, i giudici della terza sezione della Corte di cassazione hanno statuito che, in caso di una direttiva comunitaria «chiara» ma non self-executing (e che quindi necessità di una legge di recepimento), l'inerzia dello Stato fa sorgere il diritto al risarcimento, che è permanente e la cui prescrizione inizia a decorrere solo dal giorno in cui viene promulgata la legge «riparatoria». Tuttavia, se la legge «riparatoria» è «parziale sotto il profilo soggettivo» - nel senso che provvede solo per il futuro o solo per alcune categorie ma non per altre - il calcolo della prescrizione non parte per i soggetti esclusi «perché la residua condotta di inadempimento sul piano soggettivo continua a cagionare in modo permanente il danno e, quindi, a giustificare l'obbligo risarcitorio»;

inoltre, sono state già annunciate nuove class action, come quella prodotta dalla Consulcesi Health, per ottenere le differenze retributive (sino a 35 mila euro l'anno), nonché i versamenti dei relativi contributi previdenziali per gli anni di frequenza alle scuole dal 1994 al 2006, in quanto tali diritti erano stati riconosciuti sin dal decreto legislativo n. 368 del 1999, la cui attuazione è stata sospesa però fino al 2006 (fino a quell'anno i medici avevano percepito solo la borsa di studio senza ferie, pensione, maternità e malattie) -:
quali urgenti iniziative intendano adottare al fine di evitare ulteriori contenziosi, certi e scontati nell'esito, riconoscendo definitivamente a tutti medici i propri diritti acquisiti chiudendo una vicenda che risale a 29 anni fa e la cui responsabilità è imputabile esclusivamente all'inerzia dello Stato italiano nel recepire direttive europee emanate in tale materia.
(2-01185)
«Anna Teresa Formisano, Nunzio Francesco Testa, Galletti».
(Presentata il 5 settembre 2011)

Interrogazione a risposta orale:

GARAGNANI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo n. 153 del 17 maggio 1999 prevede che ogni modifica dello statuto della Fondazione bancaria deve essere approvata dal Ministero dell'economia e delle finanze. La modifica statutaria adottata dalla fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, ha limitato in modo significativo il potere degli Enti Storici del Monte chiamati a nominare i membri del consiglio di indirizzo, fulcro e motore dell'attività della fondazione, in quanto esprime tra i propri membri il presidente, detta le linee generali di intervento, approva il bilancio e quindi condiziona in un qualche modo anche il consiglio di amministrazione;
si presente che con il nuovo ordinamento elettorale, arbitro del nuovo consiglio di indirizzo diventerebbe il vecchio che con discussione pubblica e voto palese sceglierebbe i propri successori, con quali trattative o accordi è facile immaginare;
a tutto ciò, l'interrogante aggiunge l'imbarazzo per gli enti designanti che dovranno indicare più di un membro (come avveniva finora) e per coloro che dovevano designare 3 nominativi per i quali scatta l'obbligo di presentare una rosa di ben 9 candidati;
il voto palese che è suscettibile di evidenti condizionamenti, è altresì contrario ad uno specifico articolo del regolamento che all'articolo 8 terzo comma espressamente prevede: «le votazioni riguardanti persone, ed in ogni caso quelle relative alla nomina del presidente e dei membri del consiglio di amministrazione, sono effettuate a scrutinio segreto»;
gli enti designanti per ragioni ignote all'interrogante non risultano sufficientemente coinvolti nella profonda trasformazione della fondazione che di fatto ne snatura la componente territoriale a favore di una cooptazione rispondente ad altre logiche, diverse da quelle originarie -:
se il Governo intenda intervenire per salvaguardare la tradizionale impostazione della fondazione non dando corso alla modifica in quanto ad avviso dell'interrogante essa non pare conforme allo spirito della legge ed in particolare al decreto legislativo n. 153.
(3-01798)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:

BERNARDO e CONTENTO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 23 del decreto-legge n. 98 del 2011 ha disposto un aumento dell'imposta

di bollo sulle comunicazioni relative ai depositi di titoli inviati agli intermediari finanziari ai propri clienti;
da più parti sono state mosse critiche al metodo impositivo introdotto sia sotto il profilo del campo di applicazione, sia sotto il rilievo di una possibile violazione del criterio di progressività (di cui all'articolo 53 Costituzione), sia, infine, sotto l'aspetto delle conseguenze che esso comporta;
in particolare, sul piano della progressività, la nuova disposizione favorirebbe i detentori di depositi pari o superiori a 500.000 euro, ai quali essa si applicherebbe nella misura stabilita indipendentemente dall'ammontare dei titoli, mentre, in relazione alla sua applicazione, il sistema introdotto potrebbe favorire lo «spacchettamento» di un patrimonio in due o più depositi o, comunque, una forma di compensazione con altri depositi già esistenti allo scopo di diluire i titoli ottenendo un beneficio sul piano fiscale, come potrebbe fare chi supera la soglia, ad esempio, dei 149.999.999 euro;
inoltre, pur essendo stato preso in considerazione nella relazione tecnica, non sembra essere stato sufficientemente considerato l'effetto di «piazzamento» dei titoli italiani rispetto ad altri titoli stranieri dal momento che l'aumento dell'imposta, recuperata nei confronti del cliente, finisce per assottigliare i rendimenti;
le disposizioni ricordate prevedono ulteriori aggiornamenti per il futuro -:
se non ritenga opportuno promuovere la revisione delle disposizioni introdotte, allo scopo di renderle quantomeno più coerenti con i princìpi che regolano l'imposizione tributaria almeno in relazione agli sviluppi ipotizzati per i prossimi anni, se sia in grado di riferire circa le conseguenze determinate sul mercato dalle modifiche introdotte in ordine ai titoli emessi dal Ministero dell'economia e delle finanze specificatamente su quelli detenuti dal sistema bancario, e se, comunque, non ritenga di valutare, in alternativa al sistema seguito, la possibilità di procedere ad un aggiustamento della tassazione sulle rendite finanziarie, magari operando su un arco di tempo di qualche anno, in modo da assicurare una maggior coerenza tra l'ammontare dei titoli posseduti e il prelievo tributario - anche alla luce del probabile aumento dei rendimenti - e garantendo, nel contempo, i risparmiatori circa la certezza dei tributi futuri per l'intero arco di tempo considerato.
(5-05277)

FLUVI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
i commi da 2-bis a 2-quater dell'articolo 7, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, consentono l'opportunità, ai soggetti interessati, di presentare all'Agenzia del territorio, entro il 30 settembre 2011, una domanda di variazione della categoria catastale per l'attribuzione all'immobile della categoria A/6 (per gli immobili rurali ad uso abitativo) o della categoria D/10 (per gli immobili rurali ad uso strumentale all'immobile) ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili ai sensi all'articolo 9 del decreto legge n. 557 del 1993;
i soggetti interessati alla variazione della categoria catastale devono allegare alla domanda apposita autocertificazione in cui si dichiara che l'immobile possiede - in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda - i requisiti di ruralità richiesti ai sensi dell'articolo 9 sopra citato;
il riconoscimento del requisito della ruralità degli immobili assume rilievo in particolare ai fini dell'individuazione degli immobili assoggettati all'imposta comunale sugli immobili (ICI) di cui articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504;
per effettuare le necessarie verifiche sulla sussistenza o meno dei requisiti di ruralità degli immobili l'Agenzia del territorio

dispone complessivamente di cinquanta giorni di tempo (dal 30 settembre al 20 novembre 2011) e qualora l'Agenzia non si pronunci entro il 20 novembre 2011, è previsto che il contribuente possa assumere provvisoriamente, per un altro anno, l'avvenuta attribuzione della categoria catastale richiesta;
il comma 2-quater del citato articolo 7, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, rimanda ad un successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze per la determinazione delle modalità applicative e della documentazione necessaria sia ai fini della presentazione della autocertificazione prevista dal comma 2-bis, sia ai fini della convalida della stessa certificazione nell'ipotesi di cui al primo periodo del comma 2-ter, anche sulla base della documentazione che l'Agenzia del territorio e l'amministrazione comunale acquisiscono in sede di accertamento;
il citato decreto attuativo al momento non è stato emanato ed i soggetti proprietari o titolari di diritti reali su costruzioni rurali iscritte nel catasto fabbricati in una categoria diversa da A/6 e D/10, (indipendentemente dalla natura giuridica, sia persone fisiche che società di capitali) sono in attesa di conoscere le modalità applicative e la documentazione necessaria per procedere alla riclassificazione catastale degli immobili rurali -:
quali siano i tempi di emanazione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze necessario al fine di permettere l'applicazione della norma anche in considerazione della scadenza imminente del 30 settembre 2011 per la presentazione della domanda di variazione.
(5-05278)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

GARAGNANI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la lotta all'evasione sia un compito primario dello Stato ed il pagamento delle tasse sia un dovere morale prima che civico è un principio assoluto che tutti i cittadini debbono condividere, alla condizione però che le istituzioni si comportino nei confronti dei contribuenti con criteri di correttezza, giustizia e trasparenza;
in questo senso le dichiarazioni del sindaco di Bologna e di dirigenti del comune medesimo costituiscono una nota stonata, in quanto nel momento in cui chiedono l'accesso ai dati bancari ed in generale a notizie riservate del cittadino, prescindono completamente dalla situazione bolognese e dal clima ideologico da caccia alle streghe che da sempre imperversa nella nostra città o dai trattamenti di favore riservati in questi anni ad esempio alle cosiddette «cooperative rosse» o a varie iniziative legate comunque alla sinistra sia per quanto concerne la gestione di determinati eventi, sia per la locazione di gran lunga inferiore ai prezzi di mercato di numerosi immobili comunali (sarebbe interessante verificare le modalità di gestione delle feste dell'Unità in questi anni e le mancate sanzioni per le auto in sosta irregolare);
come è stato detto autorevolmente in queste ore uno stato di polizia tributaria non è sicuramente l'ideale e paralizzerebbe ogni iniziativa per timore di vendette politiche o personali, vendette politiche che nel caso di Bologna non sarebbero poi così lontano dalla realtà, stante secondo l'interrogante il persistente condizionamento politico ideologico ed il clima di invidia sociale alimentato dalla sinistra, sempre presente in città;
la possibilità che funzionari comunali su determinati input politici indaghino sui conti bancari dei cittadini, provocando tensioni evidenti, soprattutto a Bologna, proccupa l'interrogante stante la situazione dell'attuale gruppo dirigente che, secondo l'interrogante, non ha la maturità o la sufficiente coscienza civica per esercitare determinati compiti finora riservati allo Stato, ovviamente non si intende generalizzare in quanto ci sono ottimi dirigenti imparziali, ma la logica «politica spesso settaria» che si riconosce anche in

altre realtà di segno opposto, rischia di aggravare i problemi che si vogliono risolvere e tutto non ha nulla a che fare con la lotta all'evasione che se improntata a criteri di giustizia si condivide in pieno -:
se il Governo, con i mezzi suoi propri intenda stabilire precisi limiti ai poteri dei comuni a garanzia di quella libertà che non è evasione fiscale ma garanzia di tutela nei confronti dell'arbitrio.
(5-05266)

CALVISI, SCHIRRU, FADDA, PES, MARROCU e MELIS. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'entità del debito complessivo nei confronti dell'agente di riscossione Equitalia-Sardegna ed il numero di imprese sarde raggiunte da cartelle esattoriali è tale da costituire una vera e propria emergenza economica e sociale, al punto di prospettare il serio rischio di fallimento di molte aziende;
le difficoltà generalizzate di accesso al credito bancario e quelle create dai ritardi di pagamento dei grandi committenti e della pubblica amministrazione generano a loro volta ulteriori ritardi da parte delle aziende che sono costrette posticipare i pagamenti di imposte e contributi per continuare a sopravvivere e trovare liquidità;
in particolare, in molti casi la situazione debitoria nei confronti dell'erario è dovuta all'insolvenza della pubblica amministrazione che, vincolata al rispetto del patto di stabilità, ritarda i pagamenti per commesse già eseguite ed obbliga le imprese ad anticipare somme per poter iniziare i lavori che saranno recuperate solo dopo alcuni anni;
l'entità del debito fiscale preclude la partecipazione delle imprese a bandi di gara per l'appalto di opere pubbliche la cui aggiudicazione permetterebbe alle stesse una ripresa dell'attività ed un rientro accelerato del debito fiscale in essere; quindi si assiste al caso paradossale per cui imprese che non sono state pagate dalla pubblica amministrazione per commesse già eseguite, non avendo sufficiente liquidità, sono costrette a dover ritardare i pagamenti delle imposte e dei contributi e ciò preclude di fatto la loro partecipazione ad altre gare d'appalto, in quanto risultanti non in regola con i versamenti;
l'entità dell'emergenza è ancora più consistente se si guarda ai numeri delle aziende sarde che al 31 dicembre 2010 risultano indebitate con il fisco: più di 64 mila imprese sarde sono esposte per un totale di debiti 3 miliardi e 516 milioni di euro, vale a dire che il 40 per cento delle imprese sarde è gravata in media da un debito verso l'erario di circa 55.000 euro; nel 2010 hanno dovuto dichiarare fallimento 2.351 aziende sarde;
la situazione delle aziende artigiane, commerciali e anche delle imprese agricole è quindi a dir poco catastrofica e si colloca in una crisi più vasta fatta di disoccupazione, di cassa integrazione, di blocco degli investimenti, di impoverimento del tessuto industriale, di cui triste esempio è la provincia del Sulcis Iglesiente;
molti imprenditori sardi, in particolare piccole e medie imprese artigiane ed aziende agricole a conduzione familiare, che sono sempre state in regola con i versamenti delle imposte e dei contributi, oggi non sono in grado di far fronte al debito fiscale anche a causa dell'attuale sistema di computo degli interessi di mora e delle sanzioni che porta il debito a lievitare oltre ogni ragionevole misura facendo raddoppiare la cifra dovuta dopo circa cinque anni dall'accertamento;
sulle somme dovute dal contribuente all'erario vengono calcolati, in caso di ritardo nei pagamenti, costi aggiuntivi estremamente onerosi, mentre non si procede simmetricamente al computo degli interessi allorquando a vantare il credito sia il cittadino nei confronti dello Stato;
l'attuale sistema fiscale, i pignoramenti immobiliari, le procedure di fermo

amministrativo di macchinari e automezzi utilizzati per il lavoro, sia di ambito artigianale che agropastorale, rischiano di compromettere il tessuto produttivo delle imprese regionali, già gravemente colpito dalla crisi economica internazionale, non ancora conclusa;
per far fronte all'attuale crisi di liquidità delle imprese sarde sono necessarie misure urgenti che potrebbero alleviare il peso del debito fiscale ed evitare il razionamento del credito quali: l'allungamento del periodo di rateazione; il blocco dei pignoramenti; la riduzione dell'aggio di Equitalia e degli interessi di mora, la rivisitazione degli studi di settore; la sospensione della riscossione in casi eccezionali; la riduzione delle sanzioni civili in materia di contributi previdenziali; la sostituzione di garanzie reali con garanzie fideiussorie; l'accelerazione dei rimborsi erariali e l'applicazione della transazione fiscale di cui all'articolo 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni;
la Camera ha approvato nella seduta del 21 giugno 2011 l'ordine del giorno n. 9/4357-A/75 che impegna il Governo, tra l'altro, «ad individuare, di concerto con la giunta regionale della Sardegna, le aree del territorio regionale in stato di crisi ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 99 del 2009 e del decreto ministeriale del 24 marzo 2010, anche al fine di disporre una moratoria fiscale da 6 a 12 mesi ai sensi del citato articolo 19-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, dovuta quando si verificano situazioni eccezionali che alterano gravemente lo svolgimento di un corretto rapporto con i contribuenti, in alternativa la sospensione del 50 per cento dei carichi da omessi versamenti (non quelli da accertamenti); a verificare, sempre nelle suddette aree di crisi, la inapplicabilità degli studi di settore per l'anno di imposta 2008 e successivi o, in alternativa, la riduzione standard, ad esempio del 10 per cento».
nella stessa occasione il Governo ha dichiarato di sviluppare un'iniziativa specifica di approfondimento e sollecitazione di alcune problematiche nei confronti della realtà della regione Sardegna, raccogliendo gli stimoli contenuti negli ordini del giorno;
lo stesso presidente della Regione Sardegna, Cappellacci, ha dichiarato in una nota stampa che «da diverse settimane il ministro Tremonti ha ricevuto l'istanza formale per la moratoria di almeno un anno del debito con Equitalia a favore delle piccole e medie imprese sarde». «È arrivato il momento delle risposte - si legge nella nota - perché oggi occorre che lo Stato dimostri la sua volontà non solo di dare una boccata d'ossigeno, ma che vuole puntare sul sistema delle imprese. Sistema che va adeguatamente sostenuto e non indebolito in una fase cruciale per la nostra economia»;
ad oggi non risulta avviata da parte del Ministro interessato alcuna procedura necessaria, mentre avrebbe dovuto già essere convocata la regione Sardegna, per individuare congiuntamente le aree destinate a beneficiare della citata «moratoria» -:
come e in che termini temporali il Governo intenda dare attuazione all'impegno assunto con l'accoglimento del citato ordine del giorno al fine di riproporre tra le priorità dell'agenda politica le ormai improrogabili misure per la tutela dei contribuenti sardi ed, in generale, del sistema economico isolano.
(5-05273)

PES. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
in data 7 febbraio 2001 l'Enel Produzione s.p.a (allora Erga s.p.a) ed il Consorzio di bonifica dell'oristanese hanno sottoscritto un accordo per l'utilizzazione idroelettrica delle risorse idriche del Tirso, invasate dalle dighe Eleonora

d'Arborea (Cantoniera) e Pranu Antoni, gestite dal Consorzio di bonifica dell'oristanese;
in data 13 giugno 2006 è stato formalizzato - con l'assistenza degli assessorati della regione Sardegna ai lavori pubblici e all'agricoltura - un accordo provvisorio tra il Consorzio e l'ENEL spa per consentire l'inizio della produzione idroelettrica nelle due centrali del «sistema Tirso» per un periodo di sei mesi, evitando così una significativa perdita di risorsa energetica ed economica;
il Consorzio di bonifica dell'oristanese si impegnava a consentire all'Enel produzione l'inizio immediato dell'esercizio delle centrali Tirso 1 e Tirso 2, secondo le modalità e condizioni di derivazione previste nei relativi disciplinari di concessione;
l'Enel Produzione si impegnava a procedere all'avvio dell'esercizio delle centrali e a provvedere alla loro gestione temporanea in conformità alle prescrizioni contenute nei disciplinari di concessione;
in particolare, l'Enel Produzione si impegnava a garantire il rispetto della assoluta priorità delle esigenze irrigue del consorzio nella gestione degli invasi;
l'accordo prevedeva, altresì, che l'energia prodotta nelle centrali Tirso 1 e Tirso 2 sarebbe stata accertata con cadenza settimanale mediante lettura dei contatori fiscali di produzione e dei contatori dei servizi ausiliari;
l'Enel Produzione si impegnava inoltre a garantire l'accesso agli impianti di derivazione e produzione ai tecnici rappresentanti dell'assessorato dei lavori pubblici, per eventuali controlli e verifiche delle modalità di esercizio della derivazione e produzione, fornendo al Consorzio e all'assessorato dei lavori pubblici, con cadenza mensile, un resoconto dell'esercizio delle centrali «Tirso 1» e «Tirso 2»;
i ricavi della vendita di energia prodotta dalle due centrali del Tirso avrebbero dovuto essere depositati, secondo quanto prevedeva l'accordo, dall'Enel Produzione, in quota parte pari al 50 per cento un conto corrente bancario vincolato, a firma del Consorzio di bonifica dell'oristanese ed Enel Produzione;
nel settembre del 2006 tali trattative hanno avuto termine per decisione unilaterale dell'ENEL spa che, pur avendo istituito il conto corrente bancario, non ha mai provveduto al deposito previsto dall'accordo suindicato, causando un notevole danno economico al Consorzio di bonifica dell'oristanese;
in data 24 novembre 2006 il tribunale superiore delle acque pubbliche con sentenza n. 133 e n. 134, accogliendo le tesi e le richieste del Consorzio, ha annullato gli atti con cui la regione autonoma della Sardegna ed il demanio dello Stato avevano concesso a vario titolo la disponibilità delle aree ad ENEL Produzione spa e T.E.R.N.A. spa per realizzare impianti elettrici di produzione e trasmissione;
in forza delle suindicate sentenze, dotate di esecutività immediata, l'ENEL Produzione spa avrebbe dovuto cedere al Consorzio le due centrali, in quanto legittimo ed unico concessionario delle relative utenze;
in data 4 novembre 2008, con sentenze n°28547/08 e n°28548/08, la Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi presentati da ENEL Produzione spa, T.E.R.NA. spa e Agenzia del demanio avverso le sentenze del tribunale superiore delle acque pubbliche, confermando la fondatezza delle rivendicazioni del consorzio di bonifica dell'oristanese;
la mancata esecuzione delle sentenze del tribunale superiore delle acque pubbliche ha lasciato all'ENEL spa la gestione delle due centrali con rilevanti ricavi pur senza avere alcun titolo giuridico abilitante;
in data 2 febbraio 2009 il Consorzio di bonifica dell'oristanese ha chiamato in giudizio l'ENEL e la regione autonoma della Sardegna per i danni arrecategli dal luglio 2005;

la realizzazione delle due centrali per la produzione di energia elettrica nel sistema idraulico del Tirso risultano a valle del grande invaso Omodeo che ha garantito alla Sardegna centrale e meridionale di avere la garanzia delle risorse idriche necessarie per lo sviluppo dell'agricoltura in quei territori, ma, nel contempo ha creato notevoli danni, sia dal punto di vista ambientale che economico per il comparto agro-pastorale nei comuni circumlacuali dell'alto oristanese -:
se il Governo non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza, anche in qualità di azionista pubblico, presso l'ENEL spa per verificare la possibilità di chiudere la vertenza con una possibile transazione e di individuare interventi compensativi, al fine di agevolare lo sviluppo delle due centrali idroelettriche.
(5-05274)

Interrogazioni a risposta scritta:

GIANNI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nel mese di settembre 2010 l'Agenzia delle entrate ha indetto la procedura di interpello per l'individuazione di 45 funzionari da destinare alle direzioni provinciali di Catania, Palermo e Ragusa;
la dottoressa Ester Formica dal 1o settembre 2005, a seguito di procedura di mobilità tra enti di cui all'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001, è dipendente dell'Agenzia delle entrate - direzione generale della Valle d'Aosta - ufficio controlli - piazza Manzetti 2, Aosta, con la qualifica di funzionario tributario, appartenente alla terza area fascia retributiva F2;
la dottoressa Formica trasmise istanza di partecipazione all'interpello per la destinazione della direzione provinciale di Catania e sostenne il colloquio il 22 febbraio 2011, presso la sede dell'Agenzia delle entrate - direzione regionale della Sicilia, in via Roentgen 4 a Palermo;
la dottoressa Formica, il 27 luglio 2011, venuta a conoscenza che si stavano comunicando gli esiti dell'interpello, telefonò alla direzione centrale del personale selezione ed inserimento interpelli, e apprese di non essere stata individuata per essere destinata alle direzioni provinciali di cui alla procedura indetta nel settembre 2010 -:
quante furono le istanze di partecipazione alla procedura di interpello avviata nel settembre 2010 per l'individuazione di 45 funzionari da destinare alle direzioni provinciali dell'Agenzia delle entrate di Catania, Palermo e Ragusa;
quali siano i criteri e le modalità con le quali sono stati valutati e individuati i 45 funzionari destinati alle direzioni provinciali di Catania, Palermo e Ragusa mediante interpello a seguito di procedura avviata nel settembre 2010, anche con riferimento al caso trattato in premessa.
(4-13073)

REGUZZONI e MONTAGNOLI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'addizionale comunale sui diritti d'imbarco, comunemente detta «tassa d'imbarco», è dovuta ai comuni che mettono a disposizione una parte del loro territorio come sedime aeroportuale;
secondo quanto sostenuto dal presidente dell'Associazione nazionale comuni aeroportuali, Mario Aspesi, la citata tassa d'imbarco potrebbe essere parzialmente trasferita a beneficio dell'aeroporto di Trapani, sulla base del decreto-legge n. 107 del 12 luglio 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 130 relativa al finanziamento delle missioni militari;
tale provvedimento deriverebbe dal fatto che Trapani dispone di un aeroporto militare aperto anche al traffico civile e che la guerra in Libia, per consentire i decolli degli aerei dell'Aeronautica militare italiana e della NATO, ha bloccato proprio il traffico civile;
il trasferimento della tassa d'imbarco a Trapani riguarderebbe tutti i comuni

aeroportuali italiani: la situazione inerente i sette comuni del sedime aeroportuale di Malpensa sarebbe comunque fra le più gravi tenuto conto, ad esempio, che il comune di Ferno è il secondo in Italia, dopo Fiumicino, a ricevere le maggiori entrate;
le notizie apprese lasciano perplesso e sorpreso l'interrogante perché se si concretizzassero causerebbero notevoli problematiche ai comuni del sedime aeroportuale di Malpensa, che hanno già inserito nei bilanci previsionali 2011 le cifre relative gli introiti della tassa di imbarco 2010 -:
se il Governo confermi le notizie di cui sopra e possa precisare l'entità del provvedimento dal punto di vista economico;
se l'interpretazione della norma in esame, che appare all'interrogante fortemente lesiva degli interessi dei comuni sedi di aeroporti, sia da ritenersi corretta e quali iniziative si intendano assumere in proposito.
(4-13076)

MARSILIO e RAMPELLI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nel corso dell'audizione davanti alle commissioni bilancio congiunte di Camera e Senato, tenutasi il 30 agosto 2011 nell'ambito dell'indagine conoscitiva svolta in concomitanza con l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, i rappresentanti della Corte dei conti hanno ricordato che quest'ultima ha accertato nel 2008 che durante il condono fiscale del 2002-2003 erano stati dichiarati come dovuti 26 miliardi di euro;
la legge sul condono consentiva di sanare in maniera definitiva il debito verso il fisco con il versamento della prima rata, con l'obbligo di provvedere al saldo del residuo ammontare entro il settembre 2007, con conseguente iscrizione a ruolo nel caso in cui dopo il pagamento della prima rata non fossero stati effettuati i versamenti successivi;
alla scadenza del citato termine concesso per la rateizzazione del debito fiscale dovevano ancora essere versati ben 4,2 miliardi di euro da parte di un consistente numero di soggetti che avevano aderito alla sanatoria limitandosi a versare esclusivamente la prima rata;
la Corte dei conti, a seguito degli accertamenti svolti, ha rilevato l'incresciosa situazione, raccomandando vivamente all'Agenzia dell'entrate e ad Equitalia di procedere alla riscossione coattiva di questi importi;
per effetto dell'attività posta in essere per dar seguito alle raccomandazioni della Corte dei conti alla data del 31 luglio 2011 è stato riscosso oltre un miliardo di euro;
per effetto degli interessi e delle sanzioni che si sono aggiunti alla somma originariamente non riscossa l'importo ancora da riscuotere supera tuttora i 4 miliardi di euro;
gran parte di questa somma è dovuto da condonati che si erano avvalsi dell'articolo 9-bis della legge istitutiva del condono, disposizione relativa agli omessi versamenti, ammessi al condono per effetto di un'ulteriore concessione;
pertanto, per la riscossione di tali somme risulta ampiamente giustificata l'attivazione di procedure straordinarie di riscossione coattiva, sia sul piano etico - al fine di dare un segnale forte contro l'evasione fiscale e innescare finalmente un circolo virtuoso in materia - sia sul piano dell'opportunità, in considerazione dell'esigenza di reperire con urgenza risorse aggiuntive per finanziare l'ulteriore manovra di bilancio resasi necessaria in conseguenza del perdurare della crisi economica -:
quali misure urgenti intenda predisporre per riscuotere rapidamente le somme ancora dovute al fisco per effetto del condono 2002-2003;

se intenda trasmettere al Parlamento l'elenco dei soggetti iscritti a ruolo nei confronti dei quali Equitalia sta procedendo alla riscossione coattiva delle somme dovute per consentire al Parlamento di svolgere le opportune valutazioni del caso.
(4-13102)

...

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

EVANGELISTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
a seguito del sopralluogo eseguito il 3 agosto 2011 presso la casa circondariale di Livorno da parte dell'organizzazione sindacale FP CGIL e di una personale visita avvenuta il 13 di agosto 2011 è emerso quanto segue:
ampie parti della struttura sono inagibili e pertanto appare necessario acquisire le relative relazioni rilasciate dalle autorità competenti, quali l'amministrazione penitenziaria, il provveditorato interregionale per la Toscana e l'Umbria delle opere pubbliche, i vigili del fuoco di Livorno, l'AUSL 6 di Livorno;
in particolare, all'interno del padiglione D una delle scale di servizio, adibita in caso d'emergenza a via di fuga, è stata dichiarata parzialmente inagibile, rendendo quindi impossibile il passaggio di più persone contemporaneamente in caso d'emergenza (situazione aggravata dalla chiusura della porta al piano terreno di questa scala senza che questa sia presidiata H24 da un operatore per la grave carenza d'organico);
sono presenti gravissime infiltrazioni e perdite d'acqua in molteplici punti della struttura, che oltre a compromettere la stabilità strutturale degli edifici, rappresentano una potenziale fonte di infezioni virali e batteriche, in particolare nelle postazioni di accesso al passeggio del reparto femminile e del IV passeggio;
non sono presenti le cassette di primo soccorso (almeno una unità in ogni piano), comprensive dei dispositivi di protezione individuale tra i quali gli occhiali protettivi;
non è erogata al personale la dovuta informazione e formazione in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro;
i dispositivi individuali antiaggressione sono guasti e devono essere installati degli apparecchi telefonici cordless che risultino funzionanti lungo tutta l'estensione delle sezioni;
ad oggi le competenti autorità non hanno ancora ottemperato ai rilievi per la messa in sicurezza della cucina detenuti, con attenzione alla salubrità del locale assegnato alla vigilanza della cucina detenuti;
non è presente la segnaletica di sicurezza insieme ad un adeguato impianto d'illuminazione d'emergenza;
non risultano rispettate le norme di sicurezza negli uffici amministrativi ed educativi, con particolare riferimento all'illuminazione, alla metratura disponibile e all'ergonomia delle postazioni di lavoro;
non vi sono al momento le dovute condizioni di stabilità e di sicurezza della struttura, in modo da rendere superfluo l'attuale transennamento del prospetto ed è necessaria una verifica immediata dell'utilizzabilità dei ponteggi ad oggi impiegati per consentire l'accesso alla struttura dall'antistante cortile;
si è preso atto e visione delle gravi condizioni in cui versa l'intera struttura penitenziaria, nella ferma volontà di tutelare tutti i lavoratori nel rispetto della normativa vigente -:
se sia a conoscenza delle problematiche esposte in premessa;
se non ritenga di attivare, nell'ambito di quanto di propria competenza, tutte le necessarie iniziative per favorire un tempestivo

intervento che ponga rimedio alle suddette gravi carenze, a vantaggio della polizia penitenziaria, ma anche e soprattutto dei detenuti, posto che, come ben delineato dall'articolo 27 della Costituzione, le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
(4-13000)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, il due agosto 2011 un detenuto 36enne, originario di Rieti, si sarebbe tolto la vita nel carcere di Capanne;
l'uomo si sarebbe tolto la vita inalando gas da una bomboletta nel bagno della sua cella;
è il 39esimo suicidio verificatosi nelle carceri italiane dall'inizio dell'anno;
già lo scorso gennaio un 23enne, Michele Massari, si era tolto la vita nel carcere di Capanne inalando il gas all'interno di un sacchetto di plastica -:
nel rispetto e a prescindere dall'inchiesta eventualmente avviata dalla magistratura, quali siano gli intendimenti del Governo e quali siano gli esiti, allo stato, dell'inchiesta avviata nell'ambito dell'amministrazione penitenziaria al fine di accertare modalità ed eventuali responsabilità in ordine al suicidio verificatosi nel carcere di Perugia;
se il Governo non ritenga che l'alto tasso di atti di autolesionismo e di suicidi in carcere dipenda anche dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno;
quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere; in particolare, se e quali iniziative intenda porre in essere affinché gli indirizzi di gestione del sistema penitenziario siano conformi ai princìpi del nuovo regolamento penitenziario in ordine agli interventi di trattamento del detenuto;
quali siano gli intendimenti del Governo in ordine all'esigenza di riforma della legge n. 354 del 26 luglio 1975 e dunque dell'ordinamento penitenziario e dei criteri di esecuzione delle pene e delle altre misure privative o limitative della libertà.
(4-13009)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un lancio dell'agenzia AGI del 4 agosto 2011, la situazione delle carceri umbre si sarebbe fatta gravissima;
i dati parlano di un tasso di sovraffollamento del 75 per cento rapportato alla capienza regolamentare degli istituti di pena, e del 6 per cento rapportato alla capienza tollerabile (capienza regolamentare 954 posti, capienza tollerabile 1.564 posti), con 1.672 detenuti complessivi;
in particolare, solo per prendere la situazione più nota ed emblematica, a Capanne, nella sezione maschile, ci sarebbero 461 detenuti (compresi 6 disabili) a fronte di una capienza di 406 e, in quella femminile 83 detenute a fronte di 59 posti. Nella sezione maschile in circa 22 celle il terzo detenuto dorme con un materassino di gommapiuma di pochi centimetri poggiato a terra, mentre tra le donne ci sono celle con 6 detenute;
sui 379 agenti di polizia penitenziaria previsti, a Capanne ce ne sarebbero solo 241. Certe notti c'è un solo agente per cento detenuti -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tutto quanto sopra esposto e, in caso affermativo, se ritenga opportuno verificare, attraverso un'ispezione all'interno

delle carceri umbre, le condizioni delle varie strutture penitenziarie, in particolare del carcere perugino;
quali iniziative intenda intraprendere per ripristinare condizioni di vita adeguate nelle carceri umbre, corrispondenti ai dettami costituzionali e alla normativa vigente in Italia;
se, in particolare intenda intervenire al fine di garantire il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione e i collegati articoli delle norme sull'ordinamento penitenziario di cui alla legge n. 354 del 1975 e del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000;
quale sia la ripartizione del personale di polizia penitenziaria all'interno delle carceri umbre tra ispettori, sovrintendenti, agenti ed assistenti, distinguendo le unità previste da quelle effettivamente in servizio.
(4-13010)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un'agenzia ANSA diramata il 4 agosto 2011, nel carcere di Campobasso si sarebbero verificati due tentativi di suicidio nel giro di poche ore;
il primo si è registrato il 3 agosto intorno alle 13 quando un detenuto italiano di 50 anni ha tentato di impiccarsi. Il secondo, nella serata del giorno successivo, ha visto protagonista un uomo di 30 anni che ha ingerito alcune lamette. In entrambi i casi il pronto intervento degli agenti della polizia penitenziaria ha evitato il peggio;
su questi episodi il consigliere nazionale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe), Aldo Di Giacomo, ha dichiarato quanto segue: «Siamo di fronte a fatti che confermano il malessere che si registra nelle carceri italiane. Oggi siamo riusciti a salvare due vite, domani non si sa. A giorni 12 poliziotti verranno trasferiti in un'altra sede e in questa maniera il problema dell'esiguo numero di operatori di polizia penitenziaria si accentua ancora di più» -:
di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
per quali reati i detenuti che hanno tentato il suicidio si trovassero in carcere, se fossero in attesa di giudizio o condannati in via definitiva e da quanto tempo fossero detenuti;
se, prima di questo gesto, i due detenuti risultassero essere seguiti da uno psicologo;
quanti siano attualmente i detenuti ristretti nel carcere di Campobasso e quanti siano gli psicologi effettivamente in servizio presso la predetta struttura penitenziaria;
se consti che attualmente i due uomini beneficiano di un adeguato supporto psicoterapeutico.
(4-13011)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un'agenzia AGI diramata il 4 agosto 2011, nel carcere di Capanne (Perugia) un tunisino di 24 anni sarebbe stato ricoverato il 3 agosto all'ospedale Santa Maria della Misericordia del capoluogo umbro dopo aver ingerito delle lamette da barba;
le condizioni dello straniero, attualmente ricoverato nei reparto di gastroenterologia, non sarebbero gravi e già nei prossimi giorni potrebbe essere dimesso per fare rientro in carcere;
nella notte tra martedì 2 e mercoledì 3 agosto, sempre nel carcere perugino di Capanne, un detenuto di 36 anni, originario di Rieti, aveva tentato il suicidio inalando il gas di una bomboletta -:
di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;

per quali reati il detenuto che ha tentato il suicidio si trovasse in carcere, se fosse in attesa di giudizio o condannato in via definitiva e da quanto tempo fosse detenuto;
se, prima di questo gesto, risultasse essere seguito da uno psicologo;
quanti siano attualmente i detenuti ristretti nel carcere di Capanne di Perugia e quanti siano gli psicologi effettivamente in servizio presso la predetta struttura penitenziaria;
se consti che attualmente l'uomo benefici di un adeguato supporto psicoterapeutico;
se non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa di competenza al fine di verificare, anche attraverso l'avvio di un'indagine interna, se vi siano responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare in ordine al suicidio tentato dal detenuto di nazionalità tunisina;
quanti tentativi di suicidio siano stati messi in atto dai detenuti dall'inizio dell'anno;
se non si intenda immediatamente assumere iniziative volte a stanziare fondi per migliorare la vita degli agenti penitenziari e dei detenuti in modo che il carcere non sia solo un luogo di espiazione e di dannazione, ma diventi soprattutto un luogo, attraverso attività culturali, lavorative e sociali, in cui i detenuti possano avviare un percorso concreto per essere reinseriti a pieno titolo nella società.
(4-13012)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dal sito online ilpiacenza.it del primo agosto 2011, una donna detenuta nel carcere di Novate per omicidio avrebbe tentato di togliersi la vita, annodandosi un lenzuolo intorno al collo ed è stata salvata dagli agenti di polizia penitenziaria;
sulla vicenda Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, ha dichiarato: «Dopo essersi annodato il cappio intorno al collo, la donna si è lanciata nel vuoto. Solo grazie all'immediato intervento dell'agente di polizia penitenziaria in servizio nella sezione femminile è stata evitata un'altra tragedia: l'agente, è entrata nella stanza ed ha sollevato il corpo sulle sue spalle e poi, aiutata da un'altra detenuta, ha snodato il cappio e tratto in salvo la donna. Gli eventi critici nelle 206 carceri italiane si susseguono al ritmo di oltre 200 al giorno, il che rende ancora più difficile la gestione delle carceri, resa già drammatica dal sovraffollamento e dalla carenza di personale. In Italia ci sono 25.000 detenuti in più rispetto ai posti previsti e mancano 6.500 agenti. In Emilia Romagna mancano 650 agenti e ci sono 2.000 detenuti in più. A Piacenza bisognerebbe incrementare l'organico di almeno 30 agenti» -:
se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
se non si intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti della donna che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti della donna dopo questo episodio;
se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
più in particolare, quali iniziative, anche normative, si intendano assumere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta

di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora;
se non si ritenga necessario adottare misure urgenti volte ad incrementare l'organico degli agenti di polizia penitenziaria e a rimuovere il grave sovraffollamento del carcere Novate di Piacenza, in modo da garantire l'esistenza di condizioni minime di vivibilità della struttura, il rispetto pieno degli standard di sicurezza e funzionalità e l'adeguatezza della stessa alle proprie finalità costituzionali.
(4-13013)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
Gianni Lannes, giornalista che sta indagando sulle cosiddette «navi dei veleni», in un articolo dal titolo «Italia: mari nucleari» pubblicato sul sito www.costruendolindro.it, riferisce che «Uno dei più gravi problemi che la Magistratura ha dovuto affrontare è stata la scarsità dei mezzi necessari per poter effettuare ricerche, rilievi e analisi per accertare la verità sugli affondamenti»;
in particolare riferisce che recentemente il sostituto procuratore Massimo Mannucci, in servizio presso la procura della Repubblica di Livorno, si è visto negare dal Ministero della giustizia un finanziamento per recuperare un container di rifiuti che giace a 120 metri di profondità nei pressi dell'Isola d'Elba -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero e per quali motivi sia stato negato il finanziamento necessario alla prosecuzione delle indagini sull'affondamento nei nostri mari di navi contenenti rifiuti tossici.
(4-13033)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
lo scorso 10 agosto è apparso un articolo sul quotidiano La Sicilia nel quale viene descritta la situazione incandescente che sta attraversando il carcere di contrada Petrusa di Agrigento a seguito dell'elevato numero di immigrati extracomunitari di origine tunisina arrestati dopo essere sbarcati sulle coste di Lampedusa;
ad entrare nel penitenziario al confine tra Agrigento e Favara non sono ovviamente tutti coloro che approdano a Lampedusa e poi transitano da Porto Empedocle: in carcere finiscono coloro i quali vengono prima indicati e poi identificati come scafisti delle carrette del mare. Per tutti il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina è punito con la reclusione, sicché coloro i quali vengono condannati, in quanto ritenuti responsabili del reato in questione, vengono chiusi nelle celle del carcere agrigentino;
in ciascuna cella della struttura penitenziaria siciliana convivono da mesi e anni anche 4 detenuti, in condizioni ai limiti della tollerabilità umana, soprattutto quando una simile situazione si perpetua nel periodo estivo e la situazione, anche dal punto di vista igienico-sanitario, diventa devastante;
secondo le previsioni, continuando con questo ritmo di nuovi arrivi in massa, a fronte di un numero minore di scarcerazioni, c'è la quasi certezza che entro qualche giorno al Petrusa si possa sfondare lo storico muro delle 500 persone detenute, quota mai raggiunta in un penitenziario che venne inaugurato nel 1997 per accogliere al massimo 200 detenuti;
il piano carceri prevede la realizzazione di un nuovo padiglione all'interno della struttura penitenziaria in questione, consentendo così l'innalzamento della capienza del carcere agrigentino a circa mille persone. I lavori, già iniziati da tempo, procedono molto a rilento e, come

denunciato dalle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria, molto probabilmente non saranno terminati entro il termine previsto e stabilito nel progetto originario -:
quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, con urgenza, per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori dell'istituto di pena siciliano conformemente a quanto stabilito dalle norme costituzionali e dell'ordinamento penitenziario;
cosa impedisca il completamento dei lavori volti alla costruzione di un nuovo padiglione che potrebbe immediatamente consentire il trasferimento dei detenuti evitando loro di vivere nel degrado dei luoghi che oggi li ospitano, che, per la situazione di sovraffollamento, stanno infliggendo a persone già private della libertà una pena aggiuntiva inutile e offensiva della dignità umana.
(4-13040)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
su Il Velino del 10 agosto 2011 è apparso un appello rivolto «alle autorità preposte» dal leader del Movimento diritti civili, Franco Corbelli, in favore di un detenuto calabrese, A.P., recluso nel carcere di Cosenza, gravemente malato dopo una paralisi;
lo stesso detenuto ha chiesto in una lettera di essere curato prima che sia troppo tardi, descrivendo il suo dramma, la sua sofferenza, la grande ingiustizia che sta subendo;
l'uomo, durante la detenzione, è stato colpito da una paralisi e da due anni sta soffrendo di un dolore costante e atroce. A causa della sua malattia è stato anche portato nel carcere di Vibo Valentia, ma i medici gli hanno detto che oramai è troppo tardi per curare il tipo di patologia dalla quale è affetto;
Franco Corbelli, nel suo appello, parla di «fatto grave, indegno di un Paese civile e di uno Stato di diritto» e chiede «per questo detenuto un atto di giustizia giusta e umana, la possibilità di poter tentare di curare in una struttura ospedaliera adeguata questo recluso gravemente malato che rischia di morire. Una Nazione civile ha il dovere di accogliere questa richiesta. Non conosco questo detenuto, ma di fronte al dramma umano, alla ingiustizia, alla indicibile sofferenza, alla disumanità di un uomo, gravemente malato e sofferente, abbandonato e condannato a morire in carcere, ho il dovere civile e morale di intervenire, di chiedere giustizia per questa persona» -:
se questo stato di cose corrisponda alle informazioni in possesso dei Ministri interrogati;
se e come intendano procedere, negli ambiti di rispettiva competenza, perché siano fornite al detenuto le cure adeguate nel rispetto del suo stato di salute come diritto costituzionalmente garantito, posto che, ad avviso degli interroganti quanto descritto in premessa non appare compatibile con gli standard minimi di condizioni vivibili di detenzione.
(4-13041)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 10 agosto 2011 sito on-line Iltaccoditalia.info è apparso un articolo di Andrea Gabellone intitolato: «Sappe; proteste dei detenuti arrestati dopo i disordini nel Centro per immigrati»;
dalla lettura dell'articolo si apprende che le proteste degli immigrati arrestati dopo i disordini nel Centro per immigrati si sono sommate alle condizioni già oltre il limite del carcere barese; tant'è che lo scorso 8 agosto 20 profughi, arrestati proprio per gli incidenti alla periferia del capoluogo pugliese, hanno deciso di opporsi al rientro in cella dopo l'ora d'aria, il che ha comportato grandi problemi per

il personale della polizia penitenziaria, che ha impiegato più di due ore per far rientrare la contestazione;
il carcere barese è proporzionalmente il più affollato d'Italia, con oltre 530 detenuti a fronte di circa 200 posti disponibili;
il segretario nazionale del Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria, Federico Pilagatti ha dichiarato, a proposito della casa circondariale di Bari: «Ci sono stanze al primo piano della IIIo sezione con detenuti che dormono per terra, senza che possano nemmeno stare in piedi tutti insieme. Purtroppo a fronte dell'inferno che si vive giornalmente all'interno del carcere di Corso de Gasperi, si registrano solo sterili discussioni sul nuovo carcere che vanno avanti da anni e che servono solo a conquistare spazi sui mass media. Se solo si fosse voluto un nuovo penitenziario, la città di Bari lo avrebbe potuto avere oltre dieci anni fa a costo zero per le casse dello Stato. Infatti una cordata di costruttori diede la propria disponibilità a costruire un nuovo carcere in periferia ricevendo in cambio i terreni su cui sorge la struttura penitenziaria, che sarebbero stati utilizzati per tutta una serie di iniziative commerciali» -:
quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo per intervenire rispetto al grave problema del sovraffollamento del carcere di Bari, riportando le presenze dei detenuti nei limiti imposti dalla capienza regolamentare;
se - anche alla luce dei detenuti arrestati dopo i disordini nel Centro per immigrati e trasferiti presso la struttura penitenziaria barese - intenda da subito restituire un minimo di spazio vitale a tutte quelle persone ivi recluse che sono costrette a vivere in celle dove lo spazio a disposizione di ciascuna persona è addirittura al di sotto dei 3 metri quadrati al punto che alcuni detenuti sono costretti a dormire per terra senza poter nemmeno stare in piedi tutti insieme.
(4-13042)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato l'8 agosto dal quotidiano La Gazzetta del Sud, Francesco Cino, 67enne, detenuto da qualche giorno presso il carcere di Catanzaro dopo l'intervento chirurgico per l'asportazione d'un carcinoma, si è impiccato nella sua cella;
negli ultimi tempi l'uomo aveva più volte espresso, alla moglie, al figlio, ai suoi legali, il desiderio di togliersi la vita. Al medico che lo aveva operato disse: «Dottore, la prego, mi faccia morire...»; tempo fa il detenuto confessò d'essersi bevuto una intera bottiglietta di colla vinilica senza tuttavia aver subito alcuna conseguenza. Intenzioni suicidarie che avevano spinto i difensori a vergare in fretta una richiesta al giudice per le indagini preliminari di Cosenza per sottoporre Cino a una perizia psichiatrica. Lo scopo era quello di valutare le condizioni psichiche dell'uomo e la sua compatibilità col regime carcerario. Il giudice aveva autorizzato la visita specialistica che, probabilmente, avrebbe dovuto svolgersi stamattina nell'infermeria del carcere catanzarese. Ma il sessantasettenne detenuto è stato più lesto;
gli avvocati Ubaldo e Marlon Lepera hanno già preannunciato un esposto per fare piena luce sulla vicenda. L'iniziativa dei legali è finalizzata a verificare se c'è stata una flessione nel livello di sorveglianza dal momento che Cino aveva più volte esternato quella sua insana voglia d'ammazzarsi -:
se intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere di Catanzaro siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto;

quanti siano gli psicologi in servizio effettivo presso la struttura penitenziaria in questione;
se il detenuto fosse stato visitato da uno psicologo dopo aver espresso più volte l'intenzione di togliersi la vita;
se non si intenda adottare o implementare le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio.
(4-13044)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel processo penale, attualmente, non esiste un'adeguata regolamentazione delle spese del procedimento;
in caso di sentenza penale di condanna, i costi di giustizia gravano sull'intera collettività, anziché su chi ha commesso il reato;
allo stesso tempo, chi viene assolto non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per pagare il proprio avvocato;
la grande e piccola criminalità costringono lo Stato a sostenere spese per l'impiego di magistrati, di personale di segreteria, del pubblico ministero, degli ufficiali giudiziari, e così via, senza che alla condanna penale sia affiancata una condanna al rimborso di tutti i costi del processo;
invece, il cittadino innocente risulta penalizzato per aver dovuto sostenere spese che andrebbero poste a carico della parte che lo ha ingiustamente denunciato, oppure dallo Stato che ha attivato d'ufficio un'azione penale infondata -:
se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non intenda promuovere una diversa regolamentazione delle spese dei procedimenti penali.
(4-13045)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 24-25-26 giugno 2011, i detenuti e gli ergastolani del carcere di Spoleto, hanno aderito a tre giorni di sciopero della fame per manifestare la loro solidarietà alla lotta nonviolenta di Marco Pannella e dei Radicali volta a denunciare le condizioni disumane e fuorilegge dei nostri istituti di pena e, quindi, ad ottenere un provvedimento di amnistia e di indulto;
in particolare, aderendo allo sciopero della fame, i condannati all'ergastolo del carcere di Spoleto hanno chiesto alle istituzioni, tra l'altro, la dovuta attenzione sul tema del «fine pena: mai»; tema che solleva la più ampia questione dell'inattualità del codice Rocco e della dubbia compatibilità di molte delle sue norme con la realtà odierna, oltre che con i princìpi costituzionali e il diritto internazionale e comunitario;
già nel mese di marzo 2007, circa 700 detenuti, condannati all'ergastolo, avevano inviato al Presidente della Repubblica delle richieste di conversione dell'ergastolo in pena di morte, dichiarando espressamente di essere stanchi di «morire un pochino tutti i giorni» e di desiderare quindi di «morire una volta sola»;
si tratta di iniziative spontanee, realizzate, non senza difficoltà, dagli ergastolani, che, per quanto ovviamente provocatorie, rivelano tutta la tragicità e la paradossalità della condizione di chi sa che passerà il resto dei propri giorni in carcere, senza poter ravvisare, in quel «fine pena: mai», la finalità rieducativa che, sola, legittima la pena, ai sensi dell'articolo 27 della Costituzione;
nonostante la giurisprudenza costituzionale abbia sancito la possibilità di concedere anche agli ergastolani i benefici della liberazione condizionale e della liberazione anticipata, quando abbiano dato prova di un avvenuto ravvedimento o di un attivo interesse al percorso di risocializzazione,

tuttavia la realtà del carcere dimostra come le ipotesi di concessione di questi benefici siano alquanto rare, anche al di fuori delle ipotesi di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, ribadendosi come l'ergastolo sia e resti una pena perpetua, secondo gli interroganti in violazione del principio di cui all'articolo 27 della Costituzione;
l'articolo 27, comma 3, della Costituzione prevede che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato;
il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, dagli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977, dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950, dagli articoli 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, nonché dagli articoli 1, 2 e 3 della raccomandazione del comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e dall'articolo 1 della Raccomandazione (2006) 2 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo; tale garanzia è ribadita dall'articolo 1, commi 1 e 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354, che prescrive che «il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona», dovendo altresì essere attuato «secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione;
quali urgenti provvedimenti e iniziative di competenza intenda adottare, al fine di rispondere alla manifestazione di protesta e disagio attuata dai condannati alla pena perpetua affinché la questione della discussione circa il superamento dell'ergastolo sia affrontata con tutta la serietà, l'urgenza e l'attenzione che merita.
(4-13046)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un lancio di agenzia AGI del 16 agosto 2011, una giovane nigeriana, Kate Omoregbe, detenuta nel carcere di Castrovillari, da dove uscirà tra meno di un mese, nella prima decade di settembre, dopo aver scontato una condanna a quattro anni, ha chiesto ufficialmente asilo politico in Italia;
la giovane immigrata chiede di poter restare in Italia, dove si trova da dieci anni, con regolare permesso di soggiorno, e di non essere espulsa per evitare, nel suo Paese, la lapidazione per il suo rifiuto (per questo è stata anche ripudiata dalla sua famiglia) di sposare una persona molto più grande di lei e di non volersi convertire dal cristianesimo alla religione musulmana;
la richiesta di asilo, sottoscritta dalla ragazza è stata trasmessa dalla direzione del carcere di Castrovillari alla competente questura di Cosenza -:
verificata la vicenda, che cosa intenda fare il Governo per impedire il rimpatrio di Kate Omoregbe e tutelare così il suo elementare diritto alla vita evitando che l'Italia si renda compartecipe di un atto di disumana violenza.
(4-13047)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dalla agenzia di stampa ANSA lo scorso 13 agosto, nel carcere minorile Fornelli di Bari sarebbe

scoppiata una rissa tra due gruppi di detenuti contrapposti, uno barese e l'altro foggiano, che avrebbe provocato alcuni feriti poi medicati in ospedale e, quindi, riportati in carcere;
la rissa ha avuto uno strascico il giorno seguente, quando i due gruppi rivali hanno messo a soqquadro alcune celle, barricandone gli ingressi. Per la seconda volta in poche ore gli agenti di polizia penitenziaria sono intervenuti riportando la calma; è stato chiesto l'ausilio dall'esterno di altre forze dell'ordine, ma il loro intervento non è stato necessario;
nell'istituto per minorenni di Bari sono presenti in prevalenza due schieramenti di detenuti, foggiani e baresi, i quali nutrirebbero a vicenda da anni forti rancori;
per il sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) la situazione nella struttura barese, unica del genere in Puglia, sarebbe insostenibile, posto che al suo interno vi sarebbero circa trenta giovani reclusi, mentre gli agenti di polizia penitenziaria non sarebbero più di venti;
a fronte di questa situazione di estrema criticità, il centro di prima accoglienza di Taranto, sebbene senza detenuti, continua a rimanere aperto, con un inutile dispendio di uomini e mezzi -:
se non intenda spostare con urgenza uomini e risorse dal centro di prima accoglienza di Taranto all'istituto Fornelli di Bari, ciò anche alla luce della gravissima situazione di tensione che si vive all'interno della predetta struttura minorile.
(4-13048)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la mediazione familiare in Europa si sviluppa negli anni '70; il primo Paese europeo dove si è applicata la mediazione ai conflitti familiari è stato il Regno Unito; gli Stati che prevedono la mediazione familiare sono attualmente l'Inghilterra, il Galles, la Scozia, l'Irlanda del Nord, la Francia, la Germania, la Spagna, l'Austria, il Portogallo, la Finlandia, la Svezia e da ultimo l'Italia; progressivamente anche in altri Stati si sta legiferando in materia;
in Italia la mediazione familiare di fatto esiste dalla fine degli anni '80 ma, a differenza di quanto previsto negli altri Paesi, non è obbligatoria; la riforma del diritto di famiglia, con l'articolo 1 della legge n. 54 del 2006 che ha modificato, fra gli altri, l'articolo 155-sexies del codice civile, ha infatti disposto che il giudice possa, all'esito del tentativo di conciliazione, solo informare le parti circa la possibilità di intraprendere un percorso di mediazione familiare per trovare accordi per la tutela dell'interesse morale e materiale dei figli, per la salvaguardia dell'inviolabile diritto dei figli al mantenimento delle proprie indispensabili relazioni familiari;
la raccomandazione n. 98 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, su «Mediazione familiare metodo appropriato di risoluzione conflitti familiari», raccomanda agli Stati di applicare la mediazione alle dispute familiari, essendo queste delle «dispute particolari, poiché coinvolgono persone che avranno rapporti interdipendenti e continui. Dal momento che la separazione e il divorzio hanno un impatto su tutti i membri della famiglia specialmente sui bambini, il mediatore avrà più a cuore l'interesse superiore del fanciullo e dovrà incoraggiare i genitori a concentrarsi sui bisogni del fanciullo ricordando la loro responsabilità primordiale trattandosi del benessere dei loro figli e della necessità che essi hanno di informarli e consultarli» -:
se, con riferimento ai procedimenti di separazione, divorzio e affidamento dei figli, non intenda assumere le opportune iniziative normative dirette a introdurre un passaggio preliminare presso un centro accreditato, privato o pubblico, come tappa obbligatoria sotto il profilo dell'informazione, ma libera sotto quello dell'esecuzione

del percorso, per tutte le coppie che non siano riuscite a costruire un accordo con le proprie risorse.
(4-13049)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato lo scorso 9 agosto dall'agenzia di stampa ADNKRONOS, nella casa circondariale Lo Russo Cutugno di Torino mancherebbe l'acqua calda per le esigenze del personale di Polizia penitenziaria;
sulla incredibile quanto grave vicenda Leo Beneduci, segretario generale dell'Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) ha rilasciato la seguente dichiarazione: «In base alle informazioni in nostro possesso vi sarebbe l'esigenza di lavori di ripristino di non eccessiva difficoltà e persino gratuiti ma per il problema dell'acqua calda del personale, è proprio il caso di dirlo, la direzione non fa un tubo. Dopo il ripetersi di troppe e ripetute aggressioni purtroppo analoghe per modalità ed esecutori, quella dell'acqua calda al carcere di Torino più che una scoperta risulta essere l'ennesima ingiustizia perpetrata nei confronti di un personale che, in assoluta povertà di mezzi e di considerazione, continua a svolgere con abnegazione e sacrificio il proprio difficile lavoro in favore della collettività» -:
se questo stato di cose corrisponda alle informazioni in possesso del Ministero;
se non intenda disporre l'immediato avvio dei lavori di ripristino in grado di consentire l'erogazione dell'acqua calda al personale di Polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale Lo Russo Cutugno di Torino.
(4-13051)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
Ismail Ltaief è stato ristretto per alcuni mesi (fino a giugno 2010) all'interno della casa circondariale di Velletri (RM);
nel corso della detenzione all'interno del predetto istituto di pena, il detenuto è stato assegnato come lavorante presso il servizio cucina;
nello svolgimento di questa sua mansione, il signor Ltaief poteva riscontrare che alcuni agenti di polizia penitenziaria, insieme ai detenuti lavoranti, si appropriavano, illecitamente, di numerosi generi alimentari destinati ai reclusi;
per questi motivi, avendo il detenuto manifestato l'intenzione di denunciare i responsabili per il delitto di peculato, veniva gravemente minacciato e intimidito da Pirolozzi Antonio e Bussoletti Mauro, entrambi assistenti capo del corpo di polizia penitenziaria in servizio presso la menzionata casa circondariale;
a seguito di formale denuncia presentata presso le competenti autorità, il signor Ltaief veniva prelevato dalla sua cella di notte e brutalmente picchiato con un tubo flessibile di plastica e con calci e pugni da Roberto Pagani, Giampiero Cresce e Carmine Fieramosca, pestaggio avvenuto all'interno della stanza dello stesso Roberto Pagani che al momento dei fatti ricopriva il ruolo di ispettore capo del Corpo della polizia penitenziaria;
a seguito del violento pestaggio il signor Ltaief riportava lesioni personali consistite in «frattura apofisi traversa ds di L1, ecchimosi al dorso e in regione lombare, contusione costale sx», guaribili in trenta giorni e poi protrattesi oltre i giorni 40;
grazie alla denuncia presentata dal signor Ltaief, la procura della Repubblica di Velletri, nella persona del procuratore capo, dottor Silverio Piro e del sostituto procuratore, dottor Carlo Morra, apriva due procedimenti a carico del personale della polizia penitenziaria assegnato

presso il carcere di Velletri, uno per il delitto di peculato e l'altro per i delitti di violenza privata, intralcio alla giustizia e lesioni gravissime;
il procedimento penale per il delitto di peculato è tuttora in fase di indagini preliminari, mentre in relazione al procedimento penale ad oggetto i reati di violenza privata aggravata, intralcio alla giustizia aggravato e lesioni personali gravi aggravate commessi in danno del signor Ismail Ltaief, i magistrati inquirenti hanno chiesto e ottenuto l'emissione di misure cautelari nei confronti dei cinque agenti di polizia penitenziaria (tre di loro si trovano attualmente agli arresti domiciliari, mentre per altri due è stato disposto l'obbligo di dimora);
con riferimento al procedimento penale ad oggetto i reati di violenza privata aggravata, intralcio alla giustizia aggravato e lesioni personali gravi aggravate commessi in danno del signor Ismail Ltaief, il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Velletri, dottoressa Alessandra Ilari, su esplicita richiesta della pubblica accusa, ha disposto il giudizio immediato nei confronti di tutti e cinque gli imputati;
la prima udienza del processo si è tenuta presso il tribunale monocratico di Velletri, giudice dottoressa Calvanese, il giorno 14 luglio 2011. Nell'occasione il signor Ltaief, assistito dall'avvocato Alessandro Gerardi, si è costituito parte civile, essendo intenzionato a chiedere la punizioni dei colpevoli e il risarcimento di tutti i danni patiti;
della vicenda si sono occupati molti quotidiani tra i quali Il Messaggero, con un articolo del 12 febbraio 2011 («Detenuto vede agenti che rubano, loro lo pestano per farlo tacere»). Il Riformista del 14 luglio 2011 («Il detenuto Ismail denuncia: minacce e botte dalle guardie»), l'Opinione del 14 luglio 2011 («Ex cuoco del carcere pestato per aver parlato»), nonché l'agenzia di stampa ANSA sempre del 14 luglio 2011 -:
quali siano gli intendimenti del Ministro in relazione all'accaduto e se non si ritenga necessario far immediatamente chiarezza sull'intera vicenda, sia quella relativa alla sottrazione di cibo destinato ai detenuti, sia quella ad oggetto il violento pestaggio al quale è stato sottoposto il detenuto Ismail Ltaief, tutti comportamenti gravissimi di cui sono accusati agenti di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Velletri;
se e quali misure si intendano prendere per evitare, in futuro, il verificarsi di episodi analoghi all'interno dell'istituto penitenziario veliterno.
(4-13061)

GARAVINI, BORDO, BOSSA, BURTONE, GENOVESE, MARCHI, ANDREA ORLANDO, PICCOLO e VELTRONI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 22 agosto 2011, con un articolo pubblicato sulla prima pagina del quotidiano La Gazzetta del Sud, è stata data notizia del suicidio, avvenuto due giorni prima in Rosarno, della collaboratrice di giustizia Maria Concetta Cacciola, appartenente ad una delle più importati famiglie della 'ndrangheta della Piana di Gioia Tauro e moglie di un soggetto detenuto per delitti di mafia;
anche sulla base di dichiarazioni rese all'Ansa da magistrati della procura della Repubblica di Reggio Calabria, è emerso che in data 10 agosto 2011, la signora Cacciola aveva abbandonato il domicilio protetto che le era stato assegnato all'inizio della sua collaborazione dal Servizio centrale di protezione ed aveva fatto ritorno a Rosarno;
sulla base delle informazioni rese note dalla stampa, il ritorno della Cacciola a Rosarno, nel luogo cioè ove si trovano le persone che ella aveva già accusato, sarebbe stato determinato dalla volontà della donna di poter avere accanto a sé i propri bambini, i quali erano rimasti in Rosarno affidati alle cure dei propri congiunti;

la procura della Repubblica di Reggio Calabria ha rappresentato che la Cacciola, in realtà, non era una collaboratrice di giustizia, piuttosto in senso proprio una testimone di giustizia, giacché nessun delitto le era stato addebitato, essendo ella a conoscenza solo per ragioni familiari e di convivenza domestica dei delitti perpetrati da propri congiunti;
tuttavia una disposizione di carattere regolamentare interno della Commissione centrale di protezione presso il Ministero dell'interno, ha stabilito che - in casi come questi e spesso in dissenso con i magistrati che propongono le misure di protezione - il soggetto non possa essere considerato «testimone di giustizia», sebbene non abbia commesso alcun reato, ma debba piuttosto assumere la posizione ingiusta di «collaboratore di giustizia»;
tale decisione penalizza la condizione di quelle donne che, per il solo fatto di convivere in contesti mafiosi e pur senza aver commesso alcun reato, sono assoggettate al regime dei «collaboratori di giustizia», poiché ripetono le proprie conoscenze da un contesto intraneo e non estraneo al perimetro dell'associazione mafiosa di cui raccontano;
infatti sono proprio le donne a pagare il prezzo più alto di questa discutibile ed iniqua decisione della Commissione centrale la quale, contrastando la scelta della procura della Repubblica proponente, cataloga chi rompe il muro dell'omertà come «pentito» agli occhi della pubblica opinione e delle stesse leggi dello Stato;
in data 24 agosto 2011 il quotidiano calabrese Calabria Ora ha dato notizia con grande enfasi della denuncia presentata dai familiari della giovane Cacciola e di sue missive e documenti nelle quali riferirebbe di pressioni di vario genere subite al fine di collaborare con la giustizia reggina;
al di là delle indagini che saranno svolte dalla competente autorità giudiziaria, c'è necessità di sapere, in questo caso come in quello precedente della signora Giuseppina Pesce, anche lei madre di tre bambini in tenera età, se risultino rispettate tutte le procedure che regolano la gestione dei collaboratori di giustizia o se si evidenzino nell'iter, anche processuale, anomalie meritevoli di intervento da parte degli organi disciplinari -:
quali ragioni abbiano determinato l'allontanamento di Maria Concetta Cacciola dalla località protetta in cui si trovava;
quali iniziative siano state adottate dal servizio centrale di protezione per assicurare l'incolumità della Cacciola in Rosarno e, in particolare, se sia stata data informazione alla locale prefettura della situazione di rischio della donna;
se sia noto quali iniziative siano state assunte presso il tribunale dei minorenni per garantire alla Cacciola l'affidamento dei bambini nella località protetta e il ricongiungimento del nucleo familiare;
quali iniziative il Ministro dell'interno intenda adottare al fine di assicurare che la Commissione centrale di protezione modifichi la propria determinazione circa lo status di collaboratore di giustizia e ammetta chi intende, come la Cacciola, riferire fatti appresi incolpevolmente nel proprio contesto familiare al regime di favore dei testimoni di giustizia;
quali iniziative il Ministro della giustizia intenda adottare al fine di accertare che la vicenda di Giuseppina Pesce e quella drammatica di Maria Concetta Cacciola si siano svolte nella piena osservanza delle disposizioni di legge che regolano il trattamento, anche processuale, di quanti intendono collaborare con la giustizia ai sensi della legge 82 del 1991.
(4-13068)

GARAVINI, BENAMATI, GIANNI FARINA, FEDI, FIANO, MARIANI, PORTA e TOUADI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
a partire dalla metà degli anni novanta, dopo la scoperta del cosiddetto

«armadio della vergogna», dove furono occultati 695 fascicoli d'indagine, la procura militare di La Spezia, e successivamente le procure militari di Roma e di Verona, attivarono una serie di procedimenti contro i responsabili di alcuni dei peggiori eccidi compiuti nel corso della seconda guerra mondiale;
una squadra di polizia giudiziaria di madre lingua tedesca venne costituita al fine di risalire, con un lunghissimo lavoro di ricerca negli archivi tedeschi, agli imputati; la proficua collaborazione con le autorità tedesche, ha consentito in quindici anni di sviluppare indagini per centinaia di procedimenti;
sono una trentina le inchieste sugli eccidi compiuti nel nostro territorio dai militari tedeschi ancora aperte e attualmente all'esame delle procure militari di Roma e di Verona:
ad oggi sono otto i criminali tedeschi condannati in via definitiva all'ergastolo per la strage di Sant'Anna di Stazzema (560 vittime) che sono ancora in vita e non scontano la pena; tre quelli per Marzabotto (770 vittime ); uno per gli eccidi di Civitella Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio (244 vittime); uno per Branzolino e San Tomè (10 vittime), uno per la Certosa di Farneta (oltre 60 vittime) e uno per Falzano di Cortona (16 vittime);
per i condannati definitivi la magistratura militare ha emesso i relativi mandati d'arresto europeo, che la Germania ha tuttavia respinto in ragione di alcune disposizioni d'ordinamento interno che negano l'estradizione dei cittadini tedeschi condannati, a meno che gli stessi diano il loro espresso consenso;
di fronte ai rifiuti da parte dei tribunali tedeschi di consegnare i condannati, i nostri uffici giudiziari hanno inoltrato al Ministero della giustizia la richiesta di esecuzione della pena in Germania; ad oggi non hanno ricevuto alcuna risposta, lasciando adito al dubbio se siano le autorità tedesche a doversi ancora pronunciare, o se sia il Governo italiano a non avere mai inoltrato le istanze in Germania;
la reclusione in Germania del condannato per la strage di Falzano di Cortona, Josef Scheungraber, è il risultato di un secondo procedimento attivato successivamente dal tribunale di Monaco e conclusosi con una condanna definitiva tedesca;
la procura di Stoccarda, diversamente da quanto accaduto alla procura di Monaco, ha fermamente rifiutato l'avvio di un procedimento contro alcuni tra i responsabili della strage di Sant'Anna di Stazzema;
dopo che con una sentenza del 2008 la Corte di cassazione ha condannato la Germania a risarcire i parenti delle vittime della strage di Civitella, Cornia e San Pancrazio, un portavoce del Ministero degli esteri tedesco ha dichiarato che «non è possibile» un risarcimento a «singole persone», come espresso nella decisione della Cassazione, in quanto nella circostanza in questione vige «il principio internazionale dell'immunità degli Stati»; la Germania ha successivamente aperto un contenzioso davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aja;
durante il vertice bilaterale italo-tedesco che si è svolto a Trieste il 18 novembre 2008, la Germania ha riconosciuto pienamente «le sofferenze indicibili inflitte a uomini e donne italiane» durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Italia, a sua volta, ha dichiarato di «rispettare la decisione della Germania di rivolgersi alla Corte internazionale di Giustizia per ottenere una decisione sul principio di immunità dello Stato»;
le autorità tedesche hanno costantemente dimostrato di considerare il tema della memoria come una priorità etica e civile della Repubblica federale tedesca -:
se il Ministro della giustizia abbia inoltrato alle autorità tedesche le richieste di esecuzione della pena in Germania per i condannati in via definitiva in Italia e, in

caso contrario, per quale ragione non abbia ritenuto di procedere in tale senso;
quale azione diplomatica intenda esercitare il Ministro degli affari esteri nei confronti del Governo della Repubblica Federale di Germania affinché, nel quadro della tradizionale amicizia e intesa che caratterizza i rapporti italo-tedeschi, si giunga a una definitiva soluzione delle controversie, con il comune obiettivo di soddisfare l'esigenza di giustizia e di perpetuare la memoria degli eccidi di civili commessi in Italia;
quali ulteriori azioni intenda compiere il Governo per mantenere e sviluppare la memoria delle efferate stragi perpetrate in Italia e per soddisfare le legittime esigenze di giustizia dei familiari delle vittime.
(4-13077)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 30 agosto 2011 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Modica (Rg), accompagnata da Antonello Buscema, sindaco di Modica, e da Gianmarco Ciccarelli, segretario dell'associazione Radicali Catania;
la delegazione è stata ricevuta e accompagnata nel corso della visita da Giovanna Maltese, direttrice della casa circondariale, e dal commissario Maiorana, comandante di Polizia penitenziaria;
il carcere è ubicato nell'ex convento di Santa Maria del Gesù (XV secolo), a Modica Alta; l'ex convento è sede carceraria dal 1865;
l'istituto è sovraffollato: a fronte di una capienza regolamentare di 36 posti, le persone recluse sono 64, tutti detenuti comuni di sesso maschile; i detenuti stranieri sono 33 (circa il 50 per cento della popolazione detenuta); scontano una condanna definitiva 16 detenuti, mentre 48 sono in attesa di giudizio (41 imputati, 5 appellanti, 2 ricorrenti);
«i detenuti in questo carcere ce li mandano da Napoli, da Milano...», racconta la direttrice, «una settimana fa i detenuti erano 70; quando ci sono sbarchi di immigrati, i presunti scafisti li portano qua»;
gli agenti di Polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 39 (la pianta organica ne prevede 42);
la dimensione piccola dell'istituto e la professionalità della direttrice, del comandante di Polizia penitenziaria e del personale in servizio compensano, almeno in parte, criticità e problemi legati in primo luogo al sovraffollamento e alle inadeguatezze strutturali; «in questo carcere - afferma la direttrice - si respira un'aria serena»;
la direttrice riferisce sulla realizzazione delle docce all'interno delle celle, ad opera dei detenuti, nell'ambito del progetto «manutenzione edificio»; altri progetti attivi, finanziati dal Fondo sociale europeo, riguardano le pulizie e la cucina; «abbiamo liberato le docce comuni: lì faremo una minipalestra; sono inoltre attivi corsi di alfabetizzazione, informatica, teatroterapia», spiega la direttrice; che aggiunge: «fino all'anno scorso era operativo il Cefop, con una banca dati sul lavoro per mettere in relazione i detenuti e le imprese; ma purtroppo quest'anno non è stato finanziato»;
nel carcere di Modica non è presente un'area verde attrezzata per lo svolgimento dei colloqui con i familiari minorenni: «non c'è lo spazio», afferma la direttrice; «abbiamo però un'associazione che fa la clownterapia: intrattiene i bimbi in attesa del colloquio, è un progetto finanziato dalla provincia»; la piccola sala colloqui, inoltre, è allestita con quadri per i bambini;
gli ambienti detentivi si articolano in due sezioni: la seconda e la terza; ai

detenuti sono consentite 4 ore d'aria al giorno, dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 13.00 alle 15.00;
le celle hanno una zona giorno e una zona notte, generalmente con 2 letti a castello a tre piani, e ospitano da 3 a 6 detenuti; alle finestre delle celle sono applicate reti a maglia stretta; le condizioni igieniche sono buone;
A.M. un detenuto nato a Sfax (Tunisia), segnala che vorrebbe scontare la pena nel suo Paese;
nella seconda sezione sono ubicate la sala del barbiere e la cucina;
il passeggio dove i detenuti si recano durante le ore d'aria è in comune per le due sezioni; presenta una rete di sicurezza anche nella parte superiore ed è dotato di pavimentazione «antitrauma»; a disposizione dei detenuti, un calcetto balilla e un tavolo da ping pong;
incontriamo nel passeggio alcuni detenuti napoletani che vorrebbero tornare in istituti della Campania per stare più vicini alle famiglie: «mi hanno mandato qua da Poggioreale per sfollamento, sto a 1000 chilometri dalla famiglia»; «anche se a Modica si sta bene, preferiremmo tornare a Poggioreale»;
nella terza sezione è presente una sala polivalente (scuola, proiezioni, musicoterapia, biblioteca); in questa stanza i detenuti musulmani possono riunirsi per pregare; da qui si accede a una cappella in cui sono presenti mosaici realizzati dai detenuti; nell'aula corsi sono esposti i risultati del découpage: «pensiamo di fare un mercatino per natale», dice la direttrice; è attiva anche una sala informatica;
l'infermeria è in buone condizioni e c'è anche un gabinetto odontoiatrico; l'assistenza sanitaria è garantita da 11 ore al giorno di presenza medica e da 15 ore al giorno di presenza infermieristica; i medici del Sert, secondo quanto riferito, sono disponibili e presenti all'interno dell'istituto per 25 ore mensili, una volta alla settimana; i detenuti tossicodipendenti sono 28, «perlopiù locali», informa la direttrice; un detenuto è affetto da epatite C e uno è affetto da patologie di tipo psichiatrico;
all'interno del carcere sono in servizio un educatore e uno psicologo;
10 detenuti lavorano alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, 11 nell'ambito della «work experience» finanziata con i fondi europei; in totale i detenuti che lavorano sono 22, circa il 30 per cento della popolazione detenuta;
la cella n. 6, terza sezione, ospita 6 detenuti: 4 catanesi, un modicano, e un napoletano; «il vitto è buono, per la qualità del cibo non ci possiamo lamentare», affermano i detenuti; «questo carcere rispetto a Piazza Lanza è un paradiso», afferma un detenuto di Catania; il detenuto di Napoli racconta di avere una figlia di 7 mesi e la madre gravemente malata: «e io sono lontano da loro», dice commosso; alcuni dicono «purtroppo Radio Radicale qua non si sente bene»;
contigui all'istituto di pena, il chiostro in stile tardo gotico, recentemente restaurato dalla Soprintendenza e riaperto al pubblico, e la chiesa con affreschi, luoghi di valore storico e grande pregio architettonico; anche per restituire l'intero complesso alla piena fruizione dei cittadini, il sindaco Buscema suggerisce la costruzione di un nuovo carcere in un'area più idonea, «già individuata dal comune» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
se, e in che modo, intenda intervenire per fronteggiare il sovraffollamento della casa circondariale di Modica e, a tal fine, quali iniziative intenda assumere per far rientrare l'istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
se, ed in che modo, si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche e di formazione;

se, e in che modo, intenda intervenire per far sì che siano rimosse le reti a maglia stretta applicate alle finestre delle celle;
in che modo intenda operare per ripristinare il principio della territorializzazione dell'esecuzione della pena, evitando i costosissimi sfollamenti dalle carceri di altre regioni, atteso che anche la casa circondariale di Modica è sovraffollata e che la lontananza dal domicilio spesso è motivo di sofferenza per le persone ristrette e per i loro familiari, anche minorenni.
(4-13087)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un articolo pubblicato su Repubblica.it il 3 settembre 2011, nel carcere di Caltanissetta è morto un detenuto 35enne al quale era stata diagnosticata la meningite virale e che per questo motivo era stato ricoverato d'urgenza presso l'ospedale cittadino;
la vicenda è stata resa nota dal vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, che ha scritto una lettera all'amministrazione penitenziaria, in cui si esprime «preoccupazione» per il personale che, «visti i tempi di incubazione del virus (otto giorni), potrebbe essere stato contagiato»;
il sindacato della polizia penitenziaria ha rivolto un accorato appello alla direzione della casa circondariale di Caltanissetta affinché la stessa «adotti tutte le misure necessarie al fine di evitare il propagarsi dell'infezione, scongiurando la possibilità, dato che la malattia si trasmette per via aerea, che venga esportata anche fra le famiglie del personale»;
al momento a tutto il personale penitenziario risulta essere stata prescritta una terapia preventiva mentre nessuna notizia trapela su quanto sia stato eventualmente disposto per i detenuti e i loro familiari incontrati nei colloqui -:
quali notizie i Ministri interrogati abbiano raccolto su come il detenuto si sia ammalato e su come e in che tempi si sia tentato di salvarlo;
quali notizie i Ministri interrogati siano in grado di fornire sull'effettiva consistenza o assenza di un pericolo di epidemia di meningite all'interno del carcere di Caltanissetta;
se e quali iniziative intendano assumere, al fine di prevenire la diffusione della malattia tra gli altri detenuti e i loro familiari incontrati ai colloqui, tra il personale penitenziario e i loro familiari e se non ritengano opportuno disporre una campagna d'informazione e sensibilizzazione all'interno della struttura penitenziaria in questione, al fine di rendere possibile la tempestiva individuazione di eventuali ulteriori casi di malattia e il tempestivo intervento delle strutture mediche preposte.
(4-13088)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia ANSA del primo settembre 2011, all'interno del carcere di Campobasso i detenuti hanno intrapreso una nuova protesta battendo nuovamente le forchette sulle finestre del carcere e facendo sentire la propria voce sul sovraffollamento delle celle e sulle condizioni igienico sanitarie carenti;
i detenuti hanno ribadito che le proteste si ripeteranno anche nei prossimi giorni, almeno fino a quando la situazione non dovesse migliorare -:
quali dati aggiornati siano a disposizione del Governo in relazione alla situazione riscontrata presso il carcere di Campobasso, con particolare riguardo al numero di detenuti effettivamente presenti nella struttura e al tasso di sovraffollamento

in essa riscontrato, nonché al numero degli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio;
quali urgenti iniziative intenda assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del carcere di Campobasso;
in particolare, entro quali tempi preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti.
(4-13089)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un'agenzia AGI diramata lo scorso 22 agosto, Serghiei Dragan, 32enne moldavo, si è tolto la vita giovedì scorso nella sua cella del carcere di Opera;
anche in passato l'uomo aveva più volte tentato di togliersi la vita in carcere tramite impiccagione, ciononostante non era considerato un detenuto a rischio e non era sottoposto nel regime dei sorvegliati a vista -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
se intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere vicentino siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto;
se non ritenga che l'alto tasso di suicidi in carcere dipenda dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno, soprattutto per quanto riguarda le persone sottoposte al regime di isolamento o comunque ad altre forme di inasprimento del regime detentivo;
quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere.
(4-13090)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un'agenzia ANSA diramata il 2 settembre 2011, nel carcere di Maiano di Spoleto, a causa del sovraffollamento, molti detenuti sarebbero stati addirittura spostati in camerate improvvisate ricavate all'interno degli spazi ricreativi in cui sono state stipate brande di fortuna;
quanto riportato dalla nota ANSA conferma il quadro allarmante rappresentato dalla prima firmataria del presente atto nell'interrogazione n. 4-12707 depositata a seguito di una visita nel carcere effettuata il 9 luglio 2011. Interrogazione che come molte altre ancora attende risposta;
a giudizio della prima firmataria del presente atto è intollerabile che in una struttura carceraria di massima sicurezza come quella di Spoleto continui ad aumentare il numero dei detenuti e a diminuire più che proporzionalmente quello degli agenti;
in Umbria i detenuti sono cresciuti di più duemila unità e in particolare la situazione di Spoleto è al limite del collasso tanto che il Ministero, secondo quanto si apprende da fonti carcerarie, non è in grado di garantire neppure le scorte di carta igienica -:
quali dati aggiornati siano a disposizione del Governo in relazione alla situazione riscontrata presso il carcere di Spoleto, con particolare riguardo al numero di detenuti effettivamente presenti nella struttura e al tasso di sovraffollamento in essa riscontrato, nonché al numero degli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio;

quali urgenti iniziative intenda assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del carcere di Spoleto;
in particolare, entro quali tempi preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti.
(4-13091)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un'agenzia Andkronos diramata il 30 agosto 2011, il carcere di Sanremo, che potrebbe ospitare 209 detenuti, allo stato attuale ha nuovamente toccato il numero dei 370 detenuti;
la vicenda è stata denunciata dal Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (SAPPE), secondo il quale il carcere di Sanremo «dopo quello di Marassi di Genova è il più colpito da sovraffollamento, con una carenza di organico spaventosa, nei turni notturni restano a coprire la vigilanza interna non più di 8/10 unità contro le 13/14 di qualche anno fa» -:
se il Ministro sia informato sulle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria del carcere di Sanremo;
se non ritenga opportuno acquisire ulteriori informazioni - anche attraverso un'ispezione - in merito alle disfunzioni segnalate che gettano un'ombra molto grave sulla capacità dell'Italia di conformarsi alle norme del rispetto dei diritti umani che ha sottoscritto;
se non ritenga necessario adottare urgentemente ogni provvedimento idoneo a rimuovere le disfunzioni e carenze presenti nell'istituto di pena in esame, per garantire ai detenuti del carcere di Sanremo e anche al personale operante all'interno della struttura, le adeguate misure igienico-sanitarie e il rispetto degli standard di sicurezza, al fine di ristabilire un clima più adeguato al processo di rieducazione che e alla base dell'ordinamento carcerario italiano.
(4-13095)

SBAI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in Italia la lapidazione, il matrimonio e la conversione forzata costituiscono reato;
l'Italia è fra i firmatari della Dichiarazione dei diritti dell'uomo;
l'Italia non ammette la pena di morte, ex articolo 27 della Costituzione italiana;
la giovane cittadina nigeriana Kate Omoregbe è residente da dieci anni in Italia;
la stessa ha scontato per intero la pena nel nostro Paese;
in Nigeria è praticamente condannata a morte mediante lapidazione per aver rifiutato un matrimonio combinato;
la stessa pena le verrà comminata anche per non aver accettato la conversione forzata all'Islam;
la pena verrà comminata in quanto la donna è colpita da fatwa relativa alla sua conversione al cristianesimo;
in Italia esistono innumerevoli casi, taciuti, simili a quello di Kate Omoregbe -:
come intenda il Governo procedere in relazione a questa vicenda;
se intenda il Governo fare in modo che Kate rimanga nel nostro Paese con un regolare titolo di soggiorno per motivi umanitari;
come intenda il Governo gestire i rapporti in tema di giustizia e rogatorie con la Nigeria e altri Paesi che nel mondo accettano e mettono in atto pratiche barbare come la lapidazione o il matrimonio combinato.
(4-13097)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da una nota dell'organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (OSAPP), il 29 agosto 2011 presso la casa circondariale di Asti, in una delle due sezioni detentive AS3, in cui sono allocati 67 dei 170 detenuti ad alta sicurezza della struttura, per lo più appartenenti a clan di mafia, camorra e 'ndrangheta, il poliziotto penitenziario presente è stato accerchiato dai reclusi, nell'evidente tentativo di prenderlo in ostaggio ed impadronirsi del reparto;
nell'occasione l'agente di polizia penitenziaria è riuscito a rinchiudersi nel gabbiotto della sezione e a dare l'allarme;
il carcere di Asti è uno di quelli in cui il sovraffollamento è quasi del 100 per cento con 413 detenuti complessivamente presenti per 207 posti, mentre per quanto riguarda il personale, per un organico previsto di 245 unità ne risultano presenti solo 130 -:
se non si reputi opportuno intervenire urgentemente al fine di potenziare il sistema di sicurezza dell'istituto;
quali iniziative intenda assumere il Governo per intervenire tempestivamente rispetto alle più drammatiche urgenze causate dal sovraffollamento e dalla carenza di organico che si registra nella casa circondariale di Asti;
quali iniziative, più in generale, intenda assumere il Governo in relazione al complessivo fenomeno di sovraffollamento delle carceri italiane.
(4-13098)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un articolo pubblicato sul quotidiano La Sicilia del primo settembre scorso, dal titolo: «Al carcere Petrusa da giorni manca l'acqua; 500 detenuti con i nervi a fior di pelle», nel carcere di Agrigento in cui da mesi convivono mediamente cinquecento detenuti, da alcuni giorni manca anche l'acqua;
in pratica, a causa di un guasto a una pompa la casa circondariale sta vivendo un momento dal punto di vista igienico sanitario assai critico. I reclusi ovviamente non possono lavarsi, i servizi igienici sono di fatto impraticabili, anche lavarsi il viso è un privilegio che in pochi possono permettersi -:
quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di garantire la corretta e puntuale fornitura di acqua corrente alle persone recluse nel carcere di Agrigento.
(4-13100)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un'agenzia ANSA diramata 28 agosto 2011, nel carcere Don Bosco di Pisa la situazione sarebbe giunta al limite: 371 detenuti a fronte della capienza di 250; 147 agenti di custodia contro un organico previsto di 254;
nella struttura toscana il quadro si conferma molto grave e in continuo deterioramento, date le carenze di ogni tipo: da quelle per i beni di uso comune, come saponi e carta igienica, a quelle di personale, per non parlare di quelle strutturali -:
quali provvedimenti intenda adottare al fine di ridurre l'insopportabile sovraffollamento che si registra nel carcere Don Bosco di Pisa;
se non si reputi opportuno intervenire in modo deciso per sopperire alla carenza dell'organico del personale di polizia penitenziaria assegnato al carcere di cui in premessa;

quali iniziative e provvedimenti il Ministro intenda assumere con urgenza per dare attuazione agli impegni assunti davanti alla Camera con l'approvazione delle mozioni presentate sul problema delle carceri.
(4-13101)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 30 agosto 2011 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Ragusa, accompagnata da Gianmarco Ciccarelli (segretario dell'associazione Radicali Catania);
la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dalla comandante di polizia penitenziaria, commissario Maria Teresa Lanaia, e dalla vicecomandante Chiara Morales; la visita ha avuto una durata di circa cinque ore; la situazione riscontrata è la seguente: il carcere è una struttura costruita nella prima metà del secolo scorso (anni '30); l'istituto è gravemente sovraffollato: i detenuti ristretti all'interno della casa circondariale sono 195, a fronte di una capienza regolamentare di 116 posti; tale capienza regolamentare, peraltro, secondo quanto riferito, include anche i posti di alcuni reparti che, al momento della visita, risultano essere chiusi (sezione femminile e sezione minorati fisici); analogamente a quanto verificato in relazione ad altri istituti di pena, il dato sulla capienza regolamentare contenuto in una recente statistica pubblicata sul sito internet del Ministero della giustizia («Detenuti presenti e capienza regolamentare degli istituti penitenziari - Situazione al 30 giugno 2011») è di gran lunga superiore rispetto al dato fornito e riscontrato in occasione della visita: la suddetta statistica, infatti, indica per la casa circondariale di Ragusa una capienza regolamentare di 173 posti alla data del 30 giugno 2011;
i detenuti in attesa di giudizio sono circa il 60 per cento; i detenuti tossicodipendenti sono circa il 35 per cento; gli stranieri rappresentano il 70 per cento della popolazione detenuta; la percentuale dei detenuti che lavorano è soltanto del 10 per cento;
la carenza di personale di Polizia penitenziaria è particolarmente marcata: la pianta organica prevede il 117 agenti, quelli effettivamente in servizio sono 67, a cui vanno aggiunte 11 unità del Nucleo traduzioni e piantonamenti che svolgono la loro attività nei due penitenziari della provincia di Ragusa (casa circondariale di Ragusa e casa circondariale di Modica) e, fra le altre cose, garantiscono la partecipazione dei detenuti alle udienze, non di rado in altre regioni d'Italia, a causa dei frequenti sfollamenti da penitenziari del centro e del nord della penisola; «la carenza di agenti c'è ed è grave», sottolinea la comandante, «i turni degli agenti sono di 8 ore anziché di 6 ore, e le ferie sono ridotte: per gli agenti lo stress è quotidiano»; e ancora: «domani riprendono le udienze per direttissima e occorrono agenti; le persone ristrette in attesa di udienza per direttissima non dovrebbero essere ospitate in ambiente carcerario, ma in apposite camere di sicurezza; qui prima eravamo attrezzati con due camere di sicurezza, ma ora con il sovraffollamento è saltato tutto»; un agente dice: «ci sono quasi 200 detenuti e noi stasera nel turno serale siamo solo in 7: se succede qualcosa, come possiamo fronteggiare la situazione?»;
l'assistenza psicologica ex articolo 80 dell'Ordinamento penitenziario risulta essere del tutto inadeguata rispetto alle esigenze della popolazione detenuta: soltanto 7 ore al mese;
la sezione femminile è temporaneamente chiusa: 23 detenute, che erano ristrette in questo reparto, sono state trasferite in altri istituti di pena siciliani a causa della carenza di personale di polizia penitenziaria; questo reparto presenta condizioni strutturali fatiscenti; le porte di accesso alle celle, anziché avere le tradizionali sbarre e il blindo apribile, sono in

legno e non hanno alcuna apertura, fatta eccezione per uno sportellino di 40 cm quadrati (20 cm x 20 cm) all'altezza della cintola, da cui spesso «le detenute escono la testa», secondo quanto riferito dagli agenti;
da pochi mesi è chiusa anche la sezione che accoglieva persone affette da patologie fisiche invalidanti: «questo reparto è stato chiuso per inidoneità strutturale», spiega la comandante; le camere detentive, secondo quanto riferito, «prendono luce dal corridoio»;
la casa circondariale di Ragusa è dotata di un'area verde per lo svolgimento, durante la buona stagione, dei colloqui dei detenuti con i familiari minorenni;
la cucina dei detenuti si presenta in buono stato, pulita, grande e ben attrezzata;
all'interno della struttura è presente un piccolo teatro dove ogni tanto si svolgono degli spettacoli: «per fortuna la comunità esterna è molto attiva», evidenzia la comandante;
la sezione «protetti - promiscua» (sex offender, ex collaboratori, ex appartenenti a forze dell'ordine) è allocata in un'ala del carcere che precedentemente, ospitava detenuti in regime di alta sicurezza; nel reparto, che si articola su 2 piani, sono ristrette 22 persone; il piano terra si compone di 5 celle: le celle n. 1, n. 2 e n. 3 ospitano ciascuna 2 detenuti; la cella n. 4 ospita 1 detenuto; il cosiddetto «cameroncino», ricavato in quella che una volta era la stanza per la socialità, ospita 3 detenuti; nel primo piano si trovano le celle n. 5, n. 6 e n. 7, ciascuna con 2 detenuti, e il «cameroncino» (anche in questo caso ricavato nella stanza della socialità) che ospita 6 detenuti in due letti a castello a tre piani; tutte le celle di questa sezione sono sprovviste di doccia; le docce comuni (2 piatti doccia al piano terra e 1 al primo piano) si presentano in buono stato e ai detenuti ne è consentito l'utilizzo 3 volte alla settimana; un detenuto lamenta la carenza di acqua nel periodo estivo; nelle finestre di tutte le celle sono applicate le cosiddette «bocche di lupo», particolari gelosie che riducono notevolmente la circolazione dell'aria e l'ingresso di luce naturale; i detenuti trascorrono in cella 20 ore al giorno, le ore d'aria sono 4; il passeggio della sezione protetti è delimitato da una rete di sicurezza metallica anche nella parte superiore; la postazione di vigilanza (la cosiddetta «garritta») che si affaccia sul passeggio è sguarnita per carenza di agenti;
la sezione detenuti «comuni» ospita 171 persone dislocate su 3 piani: 53 detenuti al piano terra, 68 detenuti al primo piano, 50 detenuti al secondo piano; ai ballatoi dei piani sono applicate reti di sicurezza orizzontali, secondo una obsoleta concezione di struttura carceraria; in questo reparto il dramma del sovraffollamento è particolarmente evidente: nella quasi totalità dei casi, ciascuna persona ristretta dispone di uno spazio vitale inferiore ai 3 metri quadrati prescritti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo; la gran parte delle celle (i cosiddetti «cubicoli») sono ambienti piccolissimi di circa 8 metri quadrati (4 metri quadrati x 2 metri quadrati), senza doccia e con il wc a vista; le finestre, oltre alle sbarre, presentano reti metalliche a maglia stretta, un muretto che le copre per metà e le bocche di lupo applicate nella rimanente metà; in queste celle piccole e buie, che da un punto di vista regolamentare dovrebbero ospitare un solo detenuto, sono generalmente ristretti 3 detenuti; oltre a questi «cubicoli» sono presenti diverse celle di circa 15 metri quadri («cameroncini» o «camerotti»), anch'esse sprovviste di doccia e con le finestre strutturate in maniera tale da ridurre notevolmente la circolazione dell'aria e l'ingresso di luce naturale; al piano terra i «cameroncini» sono due e ospitano, ciascuno, 6 detenuti; le ore trascorse all'interno della cella, a detta di alcuni detenuti, sono più di 20: «non arriviamo nemmeno a 4 ore d'aria al giorno»; la sezione si presenta in cattive condizioni di manutenzione, ad eccezione delle docce comuni che sono in condizioni discrete;

in tanti lamentano ritardi e inadeguatezze con riferimento all'assistenza sanitaria: «ho visto il cardiologo 3 giorni fa, dopo quasi 3 mesi dalla richiesta», racconta un detenuto;
altri sottolineano difficoltà e lunghi tempi di attesa per fare un colloquio con l'assistente sociale;
nella cella n. 16 (piano terra) sono reclusi tre detenuti campani, con condanna definitiva, trasferiti a Ragusa dal carcere Poggioreale di Napoli per «sfollamento»; «la lontananza dalla famiglia ci ha proprio stroncato», affermano; visitiamo l'interno della cella: lo spazio calpestabile è limitatissimo; un detenuto racconta la traduzione da Napoli a Ragusa con il furgone blindato della Polizia penitenziaria: «è stata dura, due giorni interminabili di viaggio con una notte d'appoggio al carcere Bicocca di Catania; non abbiamo mangiato nulla; siamo arrivati qui stremati...»;
un detenuto della cella n. 9, primo piano, dice di aver fatto domanda al momento del suo arrivo, «6 mesi fa», per un colloquio con l'assistente sociale: «'ma ancora non l'ho visto...»;
molti detenuti lamentano l'assenza di attività: «stiamo tutto il giorno chiusi in cella, qui non c'è niente»; e ancora: «io vorrei lavorare, vorrei fare un corso, qualcosa!»; «fare galera così è doppia galera»; «qui non si fa niente, solo alcune ore all'aria e poi basta»; «vorremmo scuola, corsi (...)»;
il rapporto con il magistrato di sorveglianza è uno dei problemi sollevati con maggiore frequenza dai detenuti: «qui rigettano tutto»; «il magistrato di sorveglianza è rigidissimo, benefici non ne dà»; «il magistrato di sorveglianza non esiste proprio, spesso nemmeno ci risponde, e se risponde rigetta»; «sto qua da 4 anni: mai un permesso»;
nella cella n. 10, primo piano, sono presenti 2 detenuti: «siamo in 2 perché stamattina il nostro compagno di cella ha avuto un infarto; «io sono invalido, ero nel reparto minorati fisici, sono tossicodipendente e ho l'epatite C», afferma un detenuto; un altro detenuto racconta: «a me sono rimasti da scontare 11 mesi; sono preoccupato per mia figlia di 14 anni, ricoverata a Catania per una leucemia; la bambina non può più affrontare il viaggio in autobus per venirmi a trovare; ora è in ospedale con la madre»;
un detenuto della cella 11, primo piano, evidenzia: «questi muretti a metà finestra non potrebbero stare»;
nella cella 12, primo piano, sono recluse 6 persone; tra questi, F.D.C. detenuto tossicodipendente trasferito recentemente a Ragusa dal carcere di Bari, per «sfollamento»; racconta: «mi restano solo 2 mesi da scontare, a Bari andava meglio, ero in cura presso il Sert di Bari, qua invece niente»; e insiste: «a Bari stavo seguendo un programma per riabilitarmi, che senso ha avermi trasferito qua?»; un altro detenuto lamenta l'assenza di luce: «manca la luce naturale, e anche quella artificiale è insufficiente»; e ancora: «le bilancette sono rotte», indicando gli armadietti all'interno della cella;
un detenuto tunisino recluso nella cella n. 4, primo piano, dice non poter mangiare formaggio e latticini a causa di un'allergia, e denuncia ritardi e carenze nell'assistenza medica: «ho fatto richiesta di poter parlare con un dottore circa un mese fa, ma ancora non l'ho visto, ho parlato solo con un infermiere, intanto la mia allergia peggiora e sto male»;
un detenuto del primo piano lamenta l'assenza di spazio: «ma avete visto dove siamo chiusi? così c'è da impazzire; il recinto del mio cane è più grande!»;
nella cella n. 1, primo piano, è ristretto F. M. che ha un residuo pena di 1 anno; da 5 mesi si trova a Ragusa dopo aver già scontato 3 mesi nel carcere di Reggio Calabria, da cui è stato trasferito per sfollamento; «vorrei tornare a Reggio Calabria, almeno per potere fare i colloqui con la famiglia», dice Merlingeri; e prosegue: «io sto male, ho ansia, problemi di

stomaco, colite; mia moglie ha problemi di tiroide; abbiamo 6 figli di età compresa fra 3 anni e 22 anni, due di loro sono sordomuti»;
la cella n. 18, primo piano, ospita 6 detenuti rumeni; B. C. dice di essere stato trasferito dal carcere romano di Regina Coeli per sfollamento: «non ho mai preso nemmeno un rapporto, mi hanno portato qua perché Regina Coeli è sovraffollato; ma anche qui è sovraffollato!»;
molti detenuti, in particolare gli stranieri, sono completamente indigenti e non hanno i soldi per provvedere ad esigenze primarie; un detenuto tunisino ristretto nella cella n. 17, primo piano, afferma: «sto aspettando i 5 euro di sussidio mensili, mi hanno detto che la domanda è stata accettata ma ancora non ho avuto questi soldi; a me servono per comprare le lamette e poter fare la barba»; un altro dice: «qui non abbiamo il fornelletto, non abbiamo niente, nemmeno i soldi per comprare lo shampoo»;
nella cella n. 4, secondo piano, sono ospitati 6 detenuti: «siamo ammassati», lamentano; C. G. deve scontare una condanna definitiva con fine pena nel 2019: non dovrebbe essere ristretto in una casa circondariale; C. G. ha fatto richiesta di trasferimento in altri istituti (Volterra, Voghera, Mamone) dove le opportunità di lavoro sono maggiori: «ho una moglie e due bimbi. L'unica cosa che chiedo è di poter lavorare»;
all'interno della cella n. 4, secondo piano, è ristretto anche V.F.; questo detenuto ha solo 18 anni e si trova a Ragusa dal 18 luglio 2011 dopo aver scontato 6 mesi e mezzo nell'istituto per minori di Catania Bicocca;
S. M. ristretto nella cella n. 3, secondo piano, lamenta la rigidità del magistrato di sorveglianza: «mi restano da scontare 7 mesi, sto qua da 2 anni e mezzo, mia moglie sta male e mia figlia di 10 anni la vedo soltanto una volta ogni 6 mesi, ho chiesto una misura alternativa ma il magistrato di sorveglianza nemmeno mi risponde»;
nella cella n. 2, secondo piano, sono ristretti 6 detenuti; un detenuto mostra i polsi gonfi a causa di un incidente durante una partitella a pallone, e dice: «ho i polsi slogati, stanotte non ho dormito per il dolore, e non mi danno nemmeno una pomata»; in molti lamentano carenze nell'assistenza sanitaria: «per una visita specialistica dobbiamo aspettare 6 mesi»; un detenuto lamenta l'impossibilità di fare la doccia ogni giorno: «siamo costretti a lavarci con le bottiglie»; un altro detenuto lamenta carenze nella fornitura di carta igienica («soltanto 2 rotoli a testa al mese») e di detersivi: «ci danno soltanto questa bottiglia da 1 litro al mese, per tutti e 6 i detenuti»; il detersivo viene fornito in una bottiglia di plastica senza alcuna etichetta e, a detta dei detenuti, è di scarsa qualità: «non fa neanche schiuma»;
con riguardo al sopravitto, molti detenuti lamentano che i prezzi dei prodotti sono superiori rispetto al prezzo di mercato e inoltre sottolineano che non c'è varietà di articoli, per cui non è possibile scegliere fra prodotti dello stesso tipo o genere perché vi è un solo prodotto, spesso di marca e costoso;
un detenuto lamenta: «abbiamo la palestra ma non ci possiamo andare perché gli agenti sono pochi»;
il rapporto fra i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria nel carcere di Ragusa è molto buono; la comandante e la vicecomandante mostrano professionalità e conoscenza diretta della situazione e dei casi singoli; gli agenti di polizia penitenziaria lavorano con grande senso di responsabilità in condizioni difficili e stressanti, con organici gravemente insufficienti; e anche molti detenuti sottolineano questo aspetto: «con gli agenti il rapporto è buono»; «qui gli agenti pur essendo pochi sono una cosa magnifica», «in questo posto l'unica cosa buona sono le guardie»;
D. L. detenuto rumeno ormai prossimo alla liberazione, aveva chiesto al magistrato di sorveglianza di poter lavorare all'esterno, ma la sua richiesta non è

stata accolta: «mi restano da scontare soltanto 2 mesi, avevo chiesto l'affidamento al lavoro perché avevo due offerte di lavoro, una come bracciante agricolo e l'altra come agente di pulizia presso una ditta di trasporti; ma tre giorni fa mi è arrivato il rigetto»;
nella cella n. 1, secondo piano, G. M. detenuto in forza di una condanna definitiva, racconta di stare male e di aver fatto numerose domande di trasferimento: «ho seri problemi di salute, sono psicologicamente distrutto, da 2 anni soffro di insonnia, dormo solo 3 ore a notte; qui non ci possiamo muovere, siamo in cattività; a me danno il Rivotril e il Tavor, ma io sono contrario a questi farmaci, vorrei stare in una casa penale o in un centro clinico»; e prosegue: «con questo muretto a metà finestra ho perso la vista, sono entrato bene qua e ora sono distrutto, non dormo nemmeno col Tavor, ho fatto 53 istanze di trasferimento per un carcere penale dove posso lavorare ...»;
nella cella n. 9, secondo piano, sono ristretti 6 detenuti stranieri (tre tunisini, due marocchini e un egiziano); alcuni di loro lamentano le condizioni di degrado della cella: «c'è poca luce e le pareti sono piene di muffa»; H. M'H.nato a Kouribga (Marocco), è stato sfollato da istituti del nord Italia e da circa un anno non vede la famiglia residente a Imola (Bologna): «sono a Ragusa da un anno e qui la mia famiglia non è mai venuta, ho 3 figli di 12, 7 e 3 anni, ho fatto domanda per trasferimento in un carcere vicino alla famiglia; mi restano da scontare 7 mesi e ho fatto tramite il mio avvocato la richiesta per la «legge svuotacarceri», ho un domicilio, la richiesta l'ho fatta a maggio, l'ho sollecitata a luglio, ma ancora non ho avuto risposta; il magistrato di sorveglianza mi ha dato appuntamento il 16 novembre»; C. A. nato a Beni Mallal (Marocco), è stato trasferito per sfollamento dal carcere San Vittore di Milano: «sono qui da più di un anno, la famiglia sta a Milano, ho una condanna definitiva, a San Vittore ho lavorato, vorrei essere trasferito in un carcere dove c'è lavoro»; anche A. F., nato a Gafsa (Tunisia), vorrebbe lavorare: «ho fatto almeno 10 richieste per andare in un carcere dove si lavora, ho una condanna definitiva, mi restano da scontare 2 anni e 4 mesi, non ho mai avuto un rapporto»;
nella cella n. 8, secondo piano, un detenuto ci mostra i segni dei tagli che si è procurato su entrambe le braccia e sull'addome: «sono tossicodipendente, qua sono dimenticato»; un altro detenuto dice: «sono in carcere da aprile, non so nemmeno quando sarà il processo»; un detenuto del Senegal di nome I. D. racconta di essere in carcere per «clandestinità» e di essere stato trasferito dal carcere San Vittore di Milano a Ragusa nonostante mancassero soltanto 2 mesi alla fine della detenzione: «gli ultimi 2 mesi me li hanno fatti scontare qua; a Milano c'ho un cugino; domani esco»;
nella cella n. 7, secondo piano, sono ospitati 3 detenuti: 2 tunisini con condanna definitiva trasferiti dal carcere di Reggio Emilia per sfollamento, e un senegalese in attesa di giudizio, sfollato dal carcere di Milano;
nella cella n. 5, secondo piano, sono ristretti 6 detenuti stranieri (tre tunisini, due marocchini, un algerino); uno di loro è stato trasferito a Ragusa dal carcere romano di Regina Coeli, per sfollamento; altri lamentano i costi del sopravitto: «una confezione di caffè da 250 grammi costa 3,80 euro; qui non c'è lavoro, noi non abbiamo neanche un centesimo»;
molti detenuti sono a conoscenza della lotta nonviolenta per l'amnistia promossa da Marco Pannella, alcuni affermano di aver aderito praticando lo sciopero della fame: «seguiamo le vostre battaglie»; «saluti a Pannella»; «forza Radicali, forza Marco» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
se non ritenga opportuno intervenire in modo deciso e tempestivo per fronteggiare il drammatico sovraffollamento della

casa circondariale di Ragusa e, a tal fine, quali urgenti iniziative intenda assumere per far rientrare l'istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
se i dati relativi alla capienza regolamentare degli istituti di pena contenuti nelle statistiche pubblicate sul sito internet del Ministero della giustizia siano corretti e, in caso negativo, come intenda urgentemente operare per assicurare che i dati ufficiali diffusi dal Ministero della giustizia presentino caratteri di precisione e attendibilità;
quali atti intenda assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
quali urgenti provvedimenti intenda adottare per colmare il deficit di organico di polizia penitenziaria, posto che la gravissima carenza di agenti determina seri rischi in termini di sicurezza e notevoli disfunzioni per la vita dei reclusi e per le condizioni di lavoro e di vita degli agenti stessi;
quali atti intenda assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette;
se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche e di formazione;
se intenda adoperarsi per quanto di competenza al fine di potenziare l'assistenza psicologica ex articolo 80 ordinamento penitenziario;
se, e in che modo, intenda intervenire per far sì che le finestre delle celle siano conformi a quanto stabilito dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000;
se, e in che modo intenda intervenire per assicurare che in tempi rapidi le celle siano dotate di servizi igienici in conformità alle prescrizioni dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000;
se, e in che modo, intenda intervenire rispetto ai casi segnalati e alle specifiche criticità evidenziate in premessa;
se intenda verificare il rispetto e l'applicazione della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea che ha dichiarato in contrasto con il diritto europeo (direttiva «rimpatri») la legge italiana in materia di immigrazione, nella parte in cui prevede la possibilità di punire con la pena della reclusione in carcere la condizione di clandestinità dello straniero;
quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
quanti e di che tipo siano i benefici e le misure alternative alla detenzione adottate dalla magistratura di sorveglianza di Siracusa (competente per Siracusa, Ragusa e Modica) anno per anno, negli ultimi 5 anni; quanti e di che tipo siano i rigetti operati dalla magistratura di sorveglianza di Siracusa, anno per anno, negli ultimi 5 anni;
in che modo intenda operare per ripristinare il principio della territorializzazione dell'esecuzione della pena, evitando i costosissimi sfollamenti dalle carceri di altre regioni, prevalentemente del centro e del nord, atteso che anche la casa circondariale di Ragusa è gravemente sovraffollata e che la lontananza dal domicilio spesso è motivo di sofferenza per le persone ristrette e per i loro familiari, anche minorenni;
quali iniziative urgenti intenda adottare, in definitiva, al fine di ricondurre le condizioni di detenzione vigenti all'interno dell'istituto penitenziario di Ragusa alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo.
(4-13104)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
durante il secondo anniversario dell'inizio dei lavori della Brebemi, il presidente della stessa Franco Bettoni, ha affermato: «Non sono più tollerabili ritardi per un Paese che deve costruire infrastrutture per il suo sviluppo». La vicenda Brebemi, che può essere classificata come «storia di ordinaria burocrazia», rischia di ripetersi con il cantiere della Tem, la nuova tangenziale est esterna di Milano, dove si deve innestare proprio Brebemi. Qui manca ancora il via libera ai lavori da parte del Cipe. Tuttavia, nonostante il giudizio negativo di Franco Bettoni, Raffaele Cattaneo, assessore regionale alle infrastrutture, afferma che: «Non c'è solo la politica della casta e dei costi: c'è anche la politica che sa portare risultati. L'Eco di Bergamo parla di Brebemi come di un esempio tutto italiano di come i costi raddoppino durante l'iter di un'opera. Deve essere la linea del nuovo direttore». Perché, sempre secondo Cattaneo, il problema degli extracosti è causato solo da opere, legittimamente richieste dai sindaci. Poi a latere specifica che: «La prima versione del progetto messo in gara era un po' acerba»;
meno duro l'intervento del presidente della regione Roberto Formigoni: «La Brebemi è un messaggio positivo per l'Italia intera: è la prima opera del nostro Paese realizzata senza un solo centesimo di finanziamento pubblico ed è l'ennesima dimostrazione della forza del sistema regionale lombardo». Ma una critica viene volta all'Europa «che ce ne ha fatto perdere due di anni, sollevando questioni che non c'erano e stimolata da gruppi italiani». La Brebemi è un'opera che muove migliaia di posti di lavoro e produce vantaggi per l'economia. Per la precisione un prodotto interno lordo aggiuntivo di 10 miliardi di euro in 20 anni, più 68 mila posti di lavoro, rivela Mario Ciaccia, amministratore delegato di Biis (gruppo Intesa Sanpaolo), partner fondamentale dell'operazione Brebemi: «Bisogna attivare quella crescita che da sola può riportare il paese alla fiducia. Dobbiamo dimostrare al mondo che investire in Italia è conveniente e possibile, ed ognuno deve fare la sua parte. Quando i progetti ci sono e sono credibili, le risorse non mancano. Facciamo sistema e dimostriamo che siamo ancora in grado di essere portatori di fiducia»;
secondo Francesco Bettoni «la potremmo pure finire, questa autostrada, per il 31 dicembre 2012...». Potrebbe trattarsi di un anticipo sul traguardo della primavera 2013. I tecnici sono cauti. Cita infine il pericolo di «andare a finire nel mezzo dei verdi pascoli di Melzo», come accadde per la tangenziale esterna milanese, sbocco di Brebemi ma fermo da anni. Il clima però resta da fine anno con pagella buona: «Ce la stiamo facendo - dice Bettoni - nonostante tutto». Per iniziare il discorso del secondo anniversario di inizio dei lavori, Bettoni sottolinea che «l'accordo per il finanziamento totale dell'opera è stato raggiunto, con la concessione di linee di credito complessivamente per 1,911 miliardi». Ad agire sono state le banche. E poi: «La clausola nella manovra che diminuiva la defiscalizzazione è stata ritirata». «Brebemi - ha detto l'assessore regionale alle infrastrutture Raffaele Cattaneo - non peserà un euro sui contribuenti. Verrà ripagata dai pedaggi». A margine chiarisce Bettoni: «Il pedaggio sarà pari alla media delle tariffe autostradali lombarde». Milano-Brescia, sei euro circa. L'opera sembra che stia andando bene. Le riprese dall'alto mostrano un tracciato che si vede in buona parte. Il viadotto sull'Oglio, poi, si innalza fra Calcio e Urago tanto da permettere di installarvi sotto il maxi evento. Al luglio 2011 l'avanzamento delle opere su realizzazione diretta (ergo, non affidate a terzi) è del 20

per cento circa sul totale, per 182 milioni di euro pianificati. Il cantiere di Urago è al 15,2 per cento, Fara al 25,2 per cento, Cassano al 17,55 per cento;
da più parti, Cattaneo in primis, è stato sottolineato che «quest'opera avanza con l'accordo di 43 Comuni, abbiamo cercato e trovato accordi e condivisione». E un paragone eloquente: «Non siamo la Tav», quella della Val di Susa. «C'è collaborazione, è vero. I principali nodi sono stati risolti e non ci sono particolari contestazioni, resta solo qualche situazione in esame», chiosa il sindaco di Calcio Pietro Quartini. La «situazione» è quella riguardante via Filatoio, dove vi sono tre famiglie, 10 persone, tre villette proprio in faccia al cantiere. «Era stata fatta una proposta economica molto inferiore alla perizia», spiega Francesca Ranghetti, una dei proprietari. «Ma è chiaro - aggiunge - che bisogna trovare una soluzione. Qui vanno e vengono i tir, è difficile vivere, solo che per trovare una nuova casa dobbiamo avere delle garanzia, anche nella tempistica». L'accordo manca, non sono i soli; sono oltre 700 i soggetti coinvolti da espropri nella sola bergamasca. Molti seguiti dalla Coldiretti: «L'80 per cento dei casi si è chiuso bonariamente - dice il presidente, Giancarlo Colombi -. È vero, il dialogo c'è. Bisogna fare in modo che chi vede coinvolte attività o proprietà abbia un giusto corrispettivo». Si stima siano almeno una quarantina le situazioni di peso ancora da risolvere sul tracciato: case (come a Calcio) o aziende (20 quelle seguite da Coldiretti) -:
quali iniziative di competenza i Ministri intendano adottare al fine di giungere ad uno sblocco definitivo dei lavori riguardanti la Brebemi.
(4-13014)

FALLICA, STAGNO D'ALCONTRES, GRIMALDI e TERRANOVA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'aeroporto di Punta Raisi è uno dei maggiori scali del Mediterraneo; vi transitano, infatti, più di 4.000.000 di passeggeri all'anno;
nel periodo estivo si sono registrati estremi ritardi e irragionevoli disagi per buona parte dei passeggeri in transito: ritardi sugli orari di partenza dei voli, ma soprattutto sul ritiro dei bagagli. Alcuni voli hanno raggiunto come tempo di attesa del bagaglio dopo l'atterraggio anche più di un'ora, spesso, senza alcuna informazione, né assistenza ai viaggiatori; famiglie con bambini e anziani costrette a sostare dentro l'aeroporto per interminabili ore;
è intollerabile che per la scelta delle compagnie aeree di affidarsi a società di handling inadeguate a garantire soddisfacenti servizi a terra, i passeggeri debbano subire tutti questi disagi. Le esigenze di alcune società di risparmiare sui costi di gestione non devono ledere i diritti dei viaggiatori e l'immagine di un aeroporto cosi importante per il nostro Paese e per il Sud Italia -:
con quali iniziative il Governo intenda intervenire a difesa e tutela dei diritti dei passeggeri per evitare che quest'ultimi vengano ancora danneggiati da continuativi disservizi.
(4-13067)

REALACCI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in tutta l'Unione europea, dal febbraio 2011 è in vigore l'obbligo, di tenere i fari accesi, con auto in movimento, tanto sulle strade extraurbane quanto in città. La Commissione europea ha recentemente emanato una specifica direttiva per l'accensione dei fari delle auto anche nelle ore diurne;
questo strumento legislativo dovrebbe mettere fine all'anarchia normativa che per anni ha regnato su questo tema favorendo la proliferazione di normative nazionali l'una diversa dall'altra. In Italia tale obbligo è previsto dal Codice della strada sin dal 2002;
la direttiva prevede che le auto di nuova produzione dal 2011 siano dotate di una serie di impianti di segnalazione

luminosa diurna e che questi si attivino automaticamente ogni volta che viene acceso il motore. Il compito di tali luci non è quello di illuminare la strada, anche perché di giorno non sarebbe possibile, bensì di segnalare la presenza del veicolo;
molte associazioni dei produttori dell'«automotive» unitamente a quelle dei consumatori, come, ad esempio, Adusbef e Federconsumatori, si battono da tempo per abrogare tale prescrizione perché ritengono che essa costituisca, - «a fronte di uno scarso beneficio in termini di sicurezza», un aggravio di costi per gli automobilisti a causa del maggiore consumo di carburante e dell'usura delle parti elettriche e un danno per l'ambiente dovuto al maggiore inquinamento -:
se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti intenda rendere nota l'esistenza di un'indagine ministeriale che abbia verificato l'effettiva validità, in termini di miglioramento della sicurezza stradale, della prescrizione dei fari accessi nelle ore diurne, e, se così non fosse, se il Ministro non ritenga utile istruirne una per tramite degli uffici ministeriali competenti.
(4-13099)

TESTO AGGIORNATO AL 3 APRILE 2012

...

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:

VELTRONI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel giugno scorso il neosindaco di Trentola Ducenta, Michele Griffo, ha annunciato la propria intenzione di non rinnovare nel 2012 la licenza in comodato d'uso all'associazione La Compagnia dei Felicioni di uno stabile confiscato nell'aprile 2012 al camorrista Dario De Simone. La Compagnia rappresenta dal 1997 una delle più significative esperienze di uso sociale dei beni confiscati alle mafie realizzata in Italia e ha preso possesso dell'immobile di Trentola Ducenta soltanto nel 2002, cinque anni dopo la sua fondazione e già con alle spalle un'importante attività sociale Decine di minori in stato di abbandono o di grave disagio hanno trovato nella casa famiglia gestita dalla comunità di Capodarco - come nelle altre diciassette sparse su tutto il territorio nazionale - un luogo sicuro, di affetto e comprensione, educazione e formazione e gli altri bambini del quartiere hanno sempre beneficiato delle attività svolte in quella struttura finalmente restituita alla collettività. È la seconda volta che il sindaco Griffo cerca di revocare questo affidamento e nel 2002 la comunità di Capodarco dovette rivolgersi al Tar del Lazio per evitare lo sfratto. La decisione del sindaco di non rinnovare la convenzione con la comunità di Capodarco, con il contratto di affidamento dell'immobile alla scadenza prevista per il mese di aprile 2012, appare poco chiara e niente affatto comprensibile. Tanto più, considerando le dichiarazioni del tutto inappropriate utilizzate per giustificare la scelta: «La Capodarco non è nessuna associazione antimafia o anticamorra, è un'associazione a delinquere che prende i soldi per ogni bambino che sta là dentro». E ancora: «Questa Capodarco è una casa famiglia, stop. Non ha fatto mai niente contro la camorra, contro la mafia, contro il racket, contro l'usura. E una famiglia che sta in quella villa dove vengono affidati i bambini e le rette vengono pagate regolarmente dai comuni, dalla provincia e dalla regione. Ogni bambino costa circa 31 mila o 51 mila euro l'anno. Questi vivevano in un tugurio, in una stalla e gli abbiamo messi in una villa. Prendono soldi per ogni bambino e non fanno nessuna beneficienza». Anche prescindendo dal merito, si tratta di affermazioni inaccettabili, visto che all'interno della casa famiglia risiedono bambini segnalati da strutture pubbliche, in particolare dal tribunale e dai servizi sociali dei comuni, di minori che

hanno spesso un vissuto disumano a causa della disoccupazione o del mancato intervento dei servizi sociali -:
quale sia l'avviso dell'Agenzia dei beni confiscati con riferimento a quanto rappresentato in premessa e alle ragioni addotte per il mancato rinnovo e quali soluzioni alternative intenda adottare, anche tramite l'Agenzia stessa, a sostegno e a tutela dei giovani e della casa famiglia che li ospita.
(3-01799)

Interrogazione a risposta in Commissione:

BOCCI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il problema dello spaccio di stupefacenti ha raggiunto a Perugia un livello tale da generare un vero e proprio allarme sociale;
negli ultimi mesi si è verificato un numero record di morti per overdose in relazione al numero di abitanti; vi è una domanda di droghe che forze dell'ordine e operatori definiscono «impressionante», si registra una facilità a trovare stupefacenti che convoglia in città tossicodipendenti da tutto il centro Italia e una spietata guerra tra spacciatori, il più delle volte clandestini, per il controllo del mercato;
questa drammatica situazione ha provocato una discussione pubblica tra forze dell'ordine, forze sociali e istituzioni con l'obiettivo di trovare soluzioni adeguate ed efficaci;
la proposta lanciata dal sindaco di Perugia riguarda la possibilità di aprire in Umbria un Centro di identificazione ed espulsione, per rendere più agevole l'identificazione in tempi rapidi dei clandestini sorpresi a spacciare e per creare un deterrente all'arrivo di nuovi clandestini, garantendo così maggior sicurezza ai perugini che si sentono sempre più a rischio -:
se non ritenga opportuno valutare la proposta del sindaco di Perugia e prevedere l'apertura di un Centro di identificazione ed espulsione in Umbria.
(5-05267)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
in merito all'emergenza incendi che si era già manifestata in Puglia nel mese di luglio, gli interroganti - con interrogazione a risposta scritta 4-12918 del 1o agosto 2011 - avevano portato all'attenzione dei Ministri l'appello dell'associazione ambientalista Save Salento rivolta al prefetto di Lecce, affinché procedesse ad una verifica puntuale dello stato di attuazione della legge quadro n. 353 del 2000, in tema di lotta e prevenzione degli incendi, in particolare per quanto attiene all'obbligo, in capo ai comuni, di redigere un apposito catasto delle aree bruciate, finalizzato a disincentivare le speculazioni sui terreni incendiati, impedendo cambi di destinazioni d'uso, fabbricazioni successive e attività di caccia e pastorizia;
nessuna risposta è giunta in merito al quesito relativo alle iniziative assunte dal prefetto di Lecce, per quanto di competenza, mentre sono continuati a divampare nel Salento incendi quali quelli del:
10 agosto 2011: Santa Cesarea Terme (macchia);
11 agosto 2011: Strada Statale 101 «Salentina di Gallipoli», km 36,00 - km 36,200;
12 agosto 2011: Santa Maria al Bagno (30 ha pineta);
14 agosto 2011: Porto Cesareo (pineta in località Punta Prosciutto);

la gravità della situazione trova conferma anche dai dati provvisori del Corpo forestale dello Stato relativi al primo semestre

di quest'anno che, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, fanno registrare un aumento di circa il 200 per cento del numero dei roghi e di oltre il 300 per cento delle superfici totali andate in fumo;
tra il primo gennaio e il 10 agosto del 2011 in Puglia si è avuta la più estesa superficie boscata percorsa dal fuoco (2.020 ettari): seguono la Sardegna (1.829), la Campania (914), il Lazio (443), la Calabria (428), la Basilicata (357), la Lombardia (345), la Sicilia (329), il Veneto (326), il Piemonte (290), la Toscana (245), il Friuli Venezia Giulia (201), la Liguria (166), l'Abruzzo (108) il Molise (56), l'Umbria (54), le Marche (53), l'Emilia Romagna (47), la Valle d'Aosta (33) e il Trentino Alto Adige (1). Invece è la Calabria la regione con il più alto numero di roghi (486): seguono Campania (389), Sardegna (369), Puglia (299), Sicilia (272), Toscana (261), Lazio (170), Lombardia (145), Piemonte (126), Liguria (123), Basilicata (88), Friuli Venezia Giulia (65), Molise (45), Umbria (40), Abruzzo (36), Veneto (29), Emilia Romagna (22), Marche (20), Valle D'Aosta (12) e Trentino Alto Adige (11);
l'Accordo quadro nazionale regolante i rapporti tra Corpo forestale dello Stato e regioni, affida al Corpo forestale dello Stato i compiti di collaborazione nella lotta attiva agli incendi boschivi, ivi compresa la sorveglianza e la prevenzione, nonché la direzione delle operazioni di spegnimento, di monitoraggio rilevazione statistica e perimetrazione delle superfici percorse dal fuoco;
il 17 giugno 2011 è inoltre stato sottoscritto l'Accordo di programma tra la regione Puglia e il Corpo forestale dello Stato in base al quale la regione Puglia affida al Corpo forestale dello Stato il coordinamento tecnico del servizio regionale di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi sul territorio regionale nel rispetto delle direttive emanate dal Dipartimento della protezione civile;
la regione Puglia al fine di migliorare ed incrementare le azioni di contrasto agli incendi boschivi, si impegna a contribuire alle spese per il potenziamento del parco automezzi del Corpo forestale dello Stato da impegnare per il monitoraggio ed il contrasto degli incendi boschivi, con un importo pari a 350.000 euro mediante l'acquisto di automezzi. Per l'anno 2011, il Corpo forestale dello Stato si impegna all'espletamento delle funzioni stabilite dell'accordo di programma per tutta la durata della compagna Aib, dal 15 giugno fino al 15 settembre, a concorrenza dell'importo complessivo di 790.000 euro -:
se e quali iniziative il prefetto di Lecce abbia promosso, per quanto di competenza, in relazione alla verifica puntuale dello stato di attuazione della legge quadro n. 353 del 2000, in tema di lotta e prevenzione degli incendi;
se sia stato adottato e quale sia il contenuto del programma operativo, riferito al periodo di grave pericolosità di incendi boschivi, redatto dal Corpo forestale dello Stato, d'intesa con l'A.R.I.F. e con il servizio protezione civile della regione articolato nell'ambito di ciascuna provincia in distretti operativi A.I.B;
quali siano le dislocazioni dei punti fissi e mobili di avvistamento e delle squadre di pronto intervento previsti nonché i turni di servizio, i mezzi e le attrezzature in dotazione per singola postazione, relative alle località in cui si sono verificati gli incendi riferiti in premessa nei giorni dal 10 al 14 agosto.
(4-13029)

CARELLA, MORASSUT e META. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il museo «Umberto Mastroianni» o mostra permanente della donazione Umberto Mastroianni - emanazione della fondazione Umberto Mastroianni di Arpino, costituita con atto del 15 gennaio 1989 notaio Marina Stirpe di Frosinone (rep. n. 38110 - rogito n. 6122) ai sensi degli articoli 12 e seguenti del codice civile ed iscritta nel registro delle persone giuridiche tenuto dalla prefettura di Frosinone

in data 10 gennaio 2002 al nr. 3/P.A. 504 (documento n. 4) - esiste a partire dal 24 aprile 1993 e costituisce una delle istituzioni culturali più importanti della città, viva testimonianza dell'operato di uno dei più grandi scultori del Novecento, che volle onorare Arpino con la sua opera;
la fondazione, infatti, raccoglie ed espone al pubblico in una mostra permanente più di cento opere tra sculture, disegni, bassorilievi, arazzi, cartoni, bozzetti scenografici realizzati dal grande artista contemporaneo Umberto Mastroianni, oltre al suo archivio personale;
tale benemerita istituzione versa da diversi mesi in uno stato di sostanziale paralisi operativa a seguito di quella che, a parere degli interroganti, appare un'indebita ingerenza nel suo operato e nelle sue determinazioni statutarie da parte della provincia di Frosinone;
la suddetta fondazione, per il tramite del suo consiglio di amministrazione, ha provveduto a modificare, ai sensi dell'articolo 6 del suo statuto, con deliberazione n. 36 assunta in data 30 marzo 2009, parte delle sue norme statutarie prevedendo l'istituzione della carica vitalizia del suo presidente;
inaspettatamente la giunta provinciale di Frosinone decideva con una delibera (n. 267 del 23 agosto 2010) di sciogliere il Consiglio di amministrazione della fondazione ed il presidente nominava un commissario straordinario (decreto prot. 48 del 30 agosto 2010). Dietro ricorso al Tar del Lazio, sezione distaccata di Latina del presidente della fondazione detti provvedimenti venivano dichiarati nulli, con sentenza n. 1919/2010 reg. sen. e n. 00803/2010 reg. ric., depositata il 2 dicembre 2010;
nella medesima pronuncia si evidenziava altresì che l'autorità preposta alla vigilanza sulle fondazioni è la corrispondente prefettura e che tutte le variazioni statutarie apportate rispetto all'originale statuto della fondazione depositato in prefettura dovevano essere trasmesse al prefetto per la relativa iscrizione. Tale obbligo, per il quale tuttavia non sussistono termini perentori, veniva assolto dal presidente della fondazione in data 24 dicembre 2010, con la consegna al prefetto di Frosinone di tutte le variazioni statutarie effettuate anche negli anni precedenti;
nel frattempo sono proseguite le iniziative della provincia di Frosinone volte, in contrasto con le disposizioni statutarie di detta fondazione, a modificare la composizione del consiglio di amministrazione e, sostanzialmente, a sostituirsi agli organi statutari nella sua gestione, al punto di impedire l'accesso e l'ordinario utilizzo dei locali di detta istituzione, nonostante gli stessi siano di proprietà del comune di Arpino e, pertanto, degli stessi la provincia non possa disporre;
a partire dal 24 dicembre 2010, il prefetto di Frosinone è in possesso di tutte le variazioni statutarie effettuate dal Consiglio di amministrazione della fondazione Umberto Mastroianni di Arpino per la loro iscrizione ai sensi dell'articolo 25 del codice civile, tuttavia, sinora non è stato fornito riscontro in merito alla loro iscrizione nello statuto originario in ragione di una richiesta di chiarimento inviata al Ministero dell'interno;
il ritardo nella definizione della situazione sommariamente illustrata sta determinando una situazione gravissima non soltanto per il normale andamento amministrativo della fondazione stessa, ma di fatto, anche per le aspettative degli studiosi e dei cultori dell'opera di Umberto Mastroianni nonché per le più ampie attività culturali dell'ente, con risvolti negativi anche sullo sviluppo turistico e culturale della città di Arpino e di tutto territorio provinciale -:
quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di assicurare il più sollecito ripristino della normalità amministrativa nella fondazione Umberto Mastroianni di Arpino.
(4-13052)

REGUZZONI e MONTAGNOLI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nella sera del 30 agosto 2011 si è verificata una rissa, che ha poi assunto i contorni di un'aggressione, alla stazione di Busto Arsizio, in piazza Volontari della Libertà;
la colluttazione ha coinvolto un giovane magrebino, ritrovato in stato di incoscienza e condotto in ospedale, e probabilmente (le indagini sono in corso) un albanese che è stato identificato, foto-segnalato e infine rilasciato;
parte della colluttazione ha avuto per testimoni, fra l'altro, anche una mamma con il suo bambino e una giovane che aspettava le proprie amiche;
dopo l'aggressione la zona è stata raggiunta da gruppi di giovani nordafricani venuti a conoscenza dell'accaduto, e si è creata una situazione di tensione con le forze dell'ordine, per fortuna risolta senza ulteriori problemi;
le indagini per fare chiarezza sulla dinamica dei fatti sono ancora in corso e curate dal commissariato di polizia di Busto Arsizio;
la stazione di piazza Volontari della Libertà vive da tempo numerose problematiche legate al degrado e alla sicurezza, che si traducono, come denunciato frequentemente dai residenti della zona e dagli utenti della stazione, in vandalismi e scippi -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti in premessa e quali misure possano adottare per garantire una migliore sicurezza e fruibilità, valutando anche la possibilità di istituire un posto di Polizia o Polfer alla stazione di Busto Arsizio.
(4-13078)

REALACCI, IANNUZZI, VELTRONI, MARIANI, MARGIOTTA e BRATTI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la sera del 5 settembre 2010, intorno alle 22:15, mentre rincasava alla guida della sua automobile. Angelo Vassallo, sindaco di Pollica (SA), è stato ucciso da uno o più assassini allo stato ignoti;
ad oggi le indagini non hanno condotto alla individuazione dei responsabili, nonostante molteplici e contraddittorie indiscrezioni apparse sui mezzi di informazione, anche con riferimento alla ricerca dell'arma in mare nella zona di Agnone, effettuata alcuni mesi dopo il delitto;
è assolutamente necessario che i colpevoli vengano individuati ed assicurati alla giustizia: per dimostrare la presenza dello Stato in quei territori ed il rispetto della legalità, per onorare la memoria di Vassallo, per restituire un po' di pace alla sua famiglia, a chi gli era amico e alla comunità di Pollica;
Angelo Vassallo è stato un ottimo amministratore, impegnato sulla tutela dell'ambiente e della legalità. In grado di portare nell'azione politico-amministrativa i valori e i fermenti della società civile e di tradurli in buona economia;
grande è stata la capacità e l'iniziativa di Angelo Vassallo e della sua amministrazione che ha permesso di ottenere tanti risultati e un forte rilancio turistico di quei luoghi. Dal nuovo porto ad una raccolta differenziata superiore al 70 per cento, dall'azione avviata con il parco del Cilento per ottenere il riconoscimento della dieta mediterranea come patrimonio dell'UNESCO ad un ambizioso piano dei comuni del parco su risparmio energetico e fonti rinnovabili -:
quali azioni, per quanto di loro competenza e nel rispetto della funzione e dell'autonomia delle autorità inquirenti, abbiano intrapreso ed intendano intraprendere i Ministri interrogati per rafforzare la tutela della legalità nel Cilento e quali misure intendano poi mettere in campo gli stessi Ministri interrogati per permettere alle indagini sull'assassinio di Angelo Vassallo di proseguire più rapidamente.
(4-13079)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. - per sapere - premesso che:
il 14 luglio 2011 il quotidiano online www.reggionline.com «http://www.reggionline.com/» al link http://www.reggionline.com/it/2011/07/14/sequestrato-un-litro-di-droga-dello-stupro-un-arresto- 5425 riportava un articolo dall'allarmante titolo «Sequestrato un litro di "droga dello stupro": un arresto». Il pezzo riportava la notizia di un sequestro da parte della guardia di finanza di «un litro di gammabutirolattone» e dell'arresto di un cittadino reggiano di 30 anni che si era fatto spedire il prodotto dall'Olanda;
il pacco contenente la droga - si legge nell'articolo - era stato intercettato all'aeroporto di Milano, ma la consegna è stata effettuata da un finanziere che ha bussato alla porta dell'acquirente - che risiede in centro a Reggio e non ha precedenti - indossando una «pettorina» di un noto corriere espresso. Una volta entrato, l'agente si è qualificato e ha proceduto a un'ispezione che ha consentito di rinvenire anche 15 grammi di metanfetamina suddivisa in 70 dosi. In casa dell'arrestato, al momento della «consegna» c'era anche un 41 enne sassolese amico del padrone di casa, che è stato denunciato a piede libero perché aveva fornito i propri dati per il pagamento della spedizione. Lo stupefacente, infatti, era stato ordinato tramite internet;
il 10 agosto 2011 il quotidiano online www.055news.it«http://www.055news.it/» al link http://www.055news.it/notizia.asp?idn=53633 riportava una notizia simile alla precedente per fatti verificatisi a Pisa; «I militari del Gruppo Operativo Antidroga del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Firenze - si legge nell'articolo - hanno sequestrato, a Pisa, mezzo litro di Gamma-butirrolattone, meglio conosciuta come ecstasy liquida o «droga dello stupro». Il destinatario del pacco era un 42enne, disoccupato, residente a Cascina (PI). L'uomo aveva acquistato la sostanza stupefacente in Olanda tramite un sito internet. (...) Quando il 42enne si è presentato per ritirare il pacco, è stato arrestato in flagranza di reato, per possesso di sostanze stupefacenti. La droga sequestrata, acquistata ad un prezzo di 200 euro, avrebbe potuto portare alla composizione di oltre 1.000 dosi, con un valore commerciale di circa 12.000 euro. La perquisizione dell'appartamento ha portato al sequestro anche di 2.5 grammi di hashish. Il 42enne è stato condotto nel carcere di Pisa;
notizie riguardanti casi simili sono del resto all'ordine del giorno: il quotidiano on line «La Repubblica Firenze - il 15 luglio 2011, per esempio, riportava la seguente notizia «Droga dello stupro, due flaconi sequestrati. Arrestato un pratese mentre ritirava il pacco contenente il GBL, una sostanza chiamata anche ecstasy liquida. Comprato tramite internet lo stupefacente poteva essere distribuito in oltre 3000 dosi. Due flaconi contenenti gamma-butirrolattone (Gbl), sostanza stupefacente chiamata anche «ecstasy liquida» o «droga dello stupro», sono stati sequestrati dal goa della guardia di finanza di Firenze che ha anche arrestato un pratese di 37 anni. L'uomo, che gestisce un laboratorio di informatica, è stato bloccato mentre stava ritirando il pacco contenente il Gbl in una ditta di spedizioni a Calenzano (Firenze). Processato per direttissima, spiega la Guardia di Finanza, è stato condannato a due anni, 10 mesi e 2 giorni. L'arresto dell'acquirente, spiegano sempre le fiamme gialle, è stato possibile grazie a un'indagine della guardia di finanza di Milano che ha individuato un traffico di Gbl dall'Olanda all'Italia, segnalando l'arrivo di una partita anche in Toscana. La droga sarebbe stata comprata, tramite internet, dal trentasettenne pratese. La sostanza sequestrata, acquistata ad un prezzo di 200 euro, poteva portare, secondo la Guardia di Finanza, alla composizione di oltre 3.000 dosi, con un valore commerciale di circa 35.000 euro;

la prima firmataria del seguente atto di sindacato ispettivo ha ricevuto la testimonianza di P.B. che nella sua lettera scrive, tra l'altro:
«sono un libero professionista, realizzato nel mio lavoro e negli affetti che divido con un imprenditore; sono benestante, ho sempre creduto nel rispetto per gli altri, nel dovere verso il mio lavoro, e nell'essere di aiuto per chi ne avesse bisogno (mi sono molto speso in operazioni di beneficenza non solo prestando il mio contributo lavorativo gratuito ma anche sostenendo economicamente la ricerca scientifica e chi ne aveva bisogno). Ho inoltre progetti molto interessanti in corso d'opera per la mia vita futura in un paese straniero. Ovviamente sono incensurato e ho una fedina penale immacolata; in data 18 luglio 2011 mi sono trovato ad ordinare sul sito www.gblstarcleaner.com una confezione da 1 litro di GBL (Gammabutirolattone, prodotto dalla multinazionale chimica tedesca BASF). Segnalo che il sito era liberamente accessibile dai provider italiani e che l'unico Paese per il quale veniva segnalato il divieto di vendita risultava essere il Regno Unito. Segnalo altresì che per completare l'ordine ho inserito sul form del sito i miei dati anagrafici e gli estremi della carta di credito. Precedentemente era già stato effettuato un acquisto con analoga procedura lo scorso anno (confezione da 500 ml). In data odierna (8 agosto 2011) il sito risulta tuttora operativo e senza alcuna segnalazione o divieto relativo allo Stato italiano. Nel pomeriggio di giovedì 21 luglio 2011 ricevo una chiamata sul mio cellulare (numero che ho inserito negli estremi dell'ordine) da parte dell'UPS nella quale mi si chiede una data disponibile per il ritiro del prodotto. L'incaricato, specificando che si trovava esattamente davanti al mio domicilio, richiedeva la mia presenza. Trovandomi vicino a casa ho concordato un appuntamento nel giro di pochi minuti. Giunto a casa, mi sono ritrovato 12 agenti della Finanza e tempo 12 ore rinchiuso nel carcere di Vigevano incriminato quale spacciatore. Dopo 4 giorni passati nel carcere di massima sicurezza mi sono state inflitte le seguenti misure di restrizione (in attesa di giudizio): doppia firma quotidiana (h 9.00 e h 19.00) C/O Carabinieri e ritiro dei documenti per l'espatrio;
nella lettera P.B. precisa: "1) Utilizzo, come disinibitore sessuale con il mio partner, da alcuni anni lo stesso prodotto. L'acquisto lo attuo in media una volta l'anno dato che una confezione dura svariati mesi. 2) Tale consumo è sempre stato esclusivamente ad uso personale. 3) Non sospettavo minimamente che tale prodotto fosse catalogato in Italia come sostanza stupefacente (lo produce la BASF!) anche perché ho sempre pensato che le sostanze stupefacenti (eroina, cocaina, cannabis, etc. etc.) non si acquistano su internet fornendo le proprie generalità e pagando con carta di credito. Ho scoperto invece solo ora che le tabelle delle sostanze catalogate quali stupefacenti in Italia vantano 16 pagine!!! di prodotti dai nomi incomprensibili ai più (ovviamente è omesso l'alcool anche se l'Organizzazione mondiale della sanità lo considera stupefacente). 4) Il prezzo del prodotto è tale da non avermi mai fatto sospettare che fosse uno stupefacente venduto da spacciatori (1 litro costa 90 euro!). Inoltre non mi è mai successo che qualcuno mi abbia proposto di acquistare tale prodotto in discoteca o nei locali pubblici. 5) Le confezioni in vendita sul sito hanno una capacità di 500 ml, 1 litro, 2 litri, 5 litri, 10 litri. Non è pertanto possibile acquistarne un quantitativo inferiore. 6) Se il prodotto in Italia viene considerato uno stupefacente perché i potenti mezzi della finanza non bannano il sito oppure non gestiscono una segnalazione al fine di scoraggiarne l'acquisto e di informare delle conseguenze l'ignaro acquirente (Come viene fatto per il Regno Unito)? (A questa domanda fatta dal mio compagno e dall'avvocato penalista al comandante della Guardia di Finanza non è stata data alcuna risposta!) 7) Sono un libero professionista che gestisce la contabilità di varie aziende e non è assolutamente mio interesse guadagnare qualche centinaia di euro vendendo GammaButiroLattone!!! 8) 12 persone della guardia di

Finanza sono state nel mio appartamento di 60 metri quadri (1 persona ogni 5 metri quadri) e nessuno ha trovato bilancini, bottigliette o alambicchi vari che potessero far presupporre una mia attività illecita di spaccio. 9) 12 persone pagate da tutti i contribuenti italiani oltre alle spese di custodia e quelle relative al tribunale! Non era forse preferibile pagare un esperto informatico per bannare siti illegali?";
la lettera di P.B. prosegue con alcune considerazioni che la prima firmataria ritiene utile riportare:
"Io - scrive P.B. - vivo una certa situazione di stabilità. Con il mio compagno possiamo permetterci di mancare dal lavoro per quattro giorni e possiamo altresì permetterci di sostenere spese legali per svariate migliaia di euro. Se tutto questo fosse successo ad un ragazzo ventenne, privo di risorse economiche per pagarsi il miglior avvocato penalista, in un contesto sociale meno fortunato del nostro, magari più fragile caratterialmente... cosa sarebbe avvenuto di lui? Avrebbe di sicuro perso il lavoro; avrebbe avuto rovinati i suoi rapporti sociali e/o famigliari; avrebbe passato un paio di mesi in prigione (come minimo). Tutto questo perché aveva, in buona fede, fatto un acquisto on-line senza che nessuno lo avesse informato che tale acquisto, in Italia, risultava essere illegale";
l'interrogante ha potuto effettivamente verificare che il 17 agosto 2011 - giorno della stesura della presente interrogazione - il sito citato dal signor P.B. (www.gblstarcleaner.com «http://www.gblstarcleaner.com/») è perfettamente in funzione; liberamente accessibile dall'Italia, senza alcuna avvertenza per gli acquirenti;
in altri siti, come ad esempio http://cleanmagic.eu/ è espressamente segnalato che, per i residenti nel Regno Unito, il prodotto in questione non è disponibile perché vietato dalle disposizioni di quel Paese; nulla, invece, è possibile leggere su «divieti» derivanti dalla legislazione italiana le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella 1 allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 sono le seguenti: 2C-B; 2C-I; 2C-T-2; 2C-T-7; 4-metilaminorex; 4-MTA; Acetil-alfa-metilfentanil; Acetildietilammide dell'acido (+)-lisergico; Acetildiidrocodeina; Acetorfina; Acido gamma-idrossibutirrico (GHB); Alcaloidi totali dell'oppio; Alfacetilmetadolo; Alfameprodina; Alfametadolo; Alfametilfentanil; Alfametiltiofentanil; Alfaprodina; Allilprodina; Amfetamina; Amide dell'acido lisergico; Aminorex; Anileridina; Argyreia nervosa semi; Benzetidina; Benzilmorfina; Benzilpiperazina (BZP); Benzitramide; Betacetilmetadolo; Beta-idrossifentanil; Beta-idrossimetil-3-fentanil; Betameprodina; Betametadolo; Betaprodina; Buprenorfina; Butirrato di diossafetile; Catha edulis pianta; Catina; Catinone; Chetobemidone; Clonitazene; Coca foglie; Cocaina; Codossima; Delta-8-tetraidrocannabinolo (THC); Delta-9-tetraidrocannabinolo (THC); Desomorfina; Destroamfetamina; Destromoramide; Destromoramide intermedio; DET (N,N-dietiltriptamina); Diampromide; Dietiltiambutene; Dietilamide dell'acido(+)-1- metil-lisergico; Difenossilato; Difenossina; Diidroetorfina; Diidromorfina; Dimefeptanolo; Dimenossadolo; Dimetiltiambutene; Dipipanone; DMA (2,5-dimetossiamfetamina); DMHP(1-idrossi-3(1,2-dimetileptil)-7,8,9,10-tetraidro-6,6,9-trimetil-6H-dibenzo[b,d]pirano); DMT (N,N-dimetiltriptamina); DOB (4-bromo-2,5-dimetossiamfetamina); DOET(4-etil-2,5-dimetossiamfetamina); DOM (4-metil-255-dimetossiamfetamina); Drotebanolo; Ecgonina; Eroina; Etclorvinolo; Etifossina; Etilmetiltiambutene; Etilmorfina; Etonizatene; Etorfina; Etosseridina; Etriptamina; Fenadoxone; Fenampromide; Fenazocina; Fenetillina; Fenmetrazina; Fenomorfano; Fenoperidina; Flunitrazepam; Folcodina; Funghi del genere strofaria, conocybe e psilocybe; Furetidina; Gamma-butirrolattone (GBL); Idromorfinolo; Idrossipetidina; Ipomea violacea semi; Isometadone; JWH-018; JWH-073; Ketamina; Levoamfetamina; Levofenoacilmorfano; Levometamfetamina, Levometorfano, Levomoramide; Levorfanolo; Lophophora Williamsii

pianta (Peyote); LSD (Dietilamide dell'acido lisergico); MBDB (N-metil-(3,4-metilendiossifenil)-2-butanamina; MDA (3,4-metilendiossiamfetamina); MDEA (3,4-metilendiossietilamfetamina); MDMA (3,4-metilendiossimetamfetamina); Mefedrone; Meclofenossato; Mescalina; Mesocarb; Metadone; Metadone intermedio; Metamfetamina; Metazocina; Metilcatinone; Metildesorfina; Metildiidrorfina; Metilfenidato; Metopone; Mirofina; MMDA (5-metossi-3,4-metilendiossiamfetamina); Monoetilamide dell'acido (+)-1-metil-lisergico; Monoetilamide dell'acido (+)-lisergico Morferidina; Morfina; Morfina metil bromuro ed altri derivati morfinici ad «azoto pentavalente» tra i quali i derivati N-ossimorfinici (quale la N-ossicodeina); Morfolide dell'acido (+) lisergico; MPPP; Nandrolone; N-etilamfetamina; Nicocodina; Nicodicodina; Nicomorfina; N-idrossi-MDA; Noracimetadolo; Norcodeina; Norlevorfanolo; Normetadone; Normorfina; Norpipanone; Oppio; Oripavina; Paglia di papavero; Paraesil; Para-fluorofentanil; PCE (eticiclidina); PCP (fenciclidina); Pemolina; PEPAP; Petidina; Petidina intermedio A; Petidina intermedio B; Petidina intermedio C; PHP (roliciclidina); Piminodina; Piritramide; Pirrolidide dell'acido (+) lisergico; PMA (para-metossiamfetamina); PMMA (para-metossiametamfetamina); Preparati attivi della Cannabis (hashish, marijuana, olio, resina, foglie e infiorescenze); Proeptazina; Prolintano; Properidina; Propiram; Psilocibina; Psilocina; Rivea corymbosa semi; Racemetorfano; Racemoramide; Racemorfano; Salvia divinorum pianta; Salvinorina A; TCP (tenociclidina); Tebacone; Tebaina; Tilidina; TMA (3,4,5-trimetossiamfetamina); TMA-2; Trimeperidina -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa;
per quale motivo i siti che vendono il GBL - ben conosciuti, come dimostrato in premessa, dalla Guardia di finanza - siano liberamente accessibili dall'Italia;
come mai - a differenza di quanto ha stabilito il Regno Unito - nei siti citati (e in tanti altri che vendono liberamente il GBL) i competenti ministri interrogati non abbiano ritenuto quantomeno fino al 17 agosto 2011, di dover segnalare ad eventuali ignari acquirenti italiani che il prodotto in questione fa parte di quelli vietati in Italia e rientranti nella tabella I della legge cosiddetta «Fini-Giovanardi» (n. 49/2006);
se e quali iniziative di competenza intendano assumere i ministri interrogati per informare i cittadini residenti sul territorio italiano che l'acquisto on line delle sostanze citate in premessa comporta per l'acquirente un illecito penale.
(4-13108)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta orale:

CAPITANIO SANTOLINI e LIBÈ. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
con la riforma della scuola superiore, coerentemente con gli obiettivi di riorganizzazione previsti dal programma di Governo, la predisposizione di un piano programmatico di interventi finalizzati a un più razionale utilizzo delle risorse umane ha senz'altro apportato significative variazioni nella suddivisione disciplinare delle «classi di concorso», previste al fine di una rigida canalizzazione delle competenze riconosciute ai docenti;
a seguito della nota ministeriale del 14 marzo 2011, n. 272, evidenti contrapposizioni sono state rilevate in seno agli incarichi affidati a due particolari classi di concorso: la A013 (chimica e tecnologie) e la A060 (scienze naturali, chimica, geografia e microbiologia), con particolare riferimento all'insegnamento della chimica nelle scuole secondarie di secondo grado;
relativamente alla materia sopraindicata, dall'analisi delle bozze delle nuove

classi di concorso, risulterebbe che i docenti laureati in discipline chimiche della classe A013 (futura classe A-34) sono esclusi dall'insegnamento in tutti i nuovi licei, compreso lo scientifico, rimanendo «ad esaurimento» nel liceo scienze applicate;
d'altro canto, i docenti della classe di concorso A060 risultano esclusi dall'insegnamento della chimica nelle classi seconde degli istituti professionali e della quasi generalità degli istituti tecnici, in aperto contrasto con la contestuale possibilità dell'insegnamento di chimica, per la medesima classe di concorso, all'interno dei licei, addirittura con la previsione di un programma didattico senz'altro più ampio e approfondito;
entrambe le parti lamentano dunque una lesione del proprio diritto ad esercitare funzioni per le quali ritengono di possedere titoli e competenze appropriate. I docenti della classe A013, dal canto loro, ritengono indispensabile ricordare le approfondite competenze epistemologiche e laboratoriali chimiche ottenute nel proprio percorso di studi accademici e post universitari; dall'altro lato, la maggioranza dei docenti riconducibili alla classe A060 sostiene di aver legittimamente sostenuto un elevato numero di esami di chimica, acquisendo contenuti e competenze spesso superiori alle richieste dei programmi nazionali previsti;
entrambe le denunce contribuiscono a sottolineare una situazione di assoluta criticità, in cui una scelta finale poco ponderata potrebbe produrre come primo risultato, la concreta impossibilità per i docenti interessati, di raggiungere l'orario previsto per un incarico completo, obbligandoli a prestare servizio in più istituti, creando altresì inevitabili disagi sul piano dell'organizzazione scolastica e dell'insegnamento -:
se non ritenga opportuno rivedere le tabelle di attribuzione degli insegnamenti alle classi di concorso dei nuovi licei, integrandole in modo da prevedere la contestuale rielaborazione delle attribuzioni disciplinari previste per gli istituti tecnici e professionali e vagliando altri eventuali piani organizzativi in grado di contemperare le esigenze di riorganizzazione alla base dell'avvenuta riforma scolastica con l'indiscutibile necessità che né la preparazione degli studenti né l'ambizione professionale dei docenti sia svilita da decisioni poco ponderate.
(3-01795)

GARAGNANI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
si fa riferimento alle recenti assunzioni in ruolo di docenti di cui 20.000 attinti nelle nuove graduatorie e 10.000 nelle vecchie per evidenziare alcune significative anomalie;
le assunzioni a tempo indeterminato che sono state definite a Bologna ed in Emilia Romagna a dimostrazione dell'impegno del Governo per la scuola, non possono prescindere da un problema serio soprattutto nelle realtà del nord Italia fra cui la provincia e regione dell'interrogante;
l'interrogante si riferisce all'inserimento nelle graduatorie dei cosiddetti pettinisti insegnanti provenienti da altre province lontane, che superano, per il loro punteggio, chi da anni lavora localmente;
in attesa di un provvedimento del TAR del Lazio, pur tenendo conto dei criteri di uguaglianza di tutti i cittadini stabiliti anche recentemente dalla Corte costituzionale, si dovrebbe privilegiare in un qualche modo la provenienza locale di quei docenti che da anni insegnano ad esempio a Bologna, avendo maturato una certa esperienza e conoscenza della realtà, rispetto ad altri provenienti da luoghi estremamente lontani e che, cosa frequente, si fermano nelle città del nord solamente per un breve periodo, per poi tornare nei propri paesi o città di origine -:
la continuità nell'insegnamento e soprattutto l'appartenenza ad una data comunità non può essere indifferente ai fini

dell'attribuzione della cattedra, evitando comunque strumentalizzazioni o accuse di presunto razzismo;
come il Ministro interrogato intenda farsi carico di queste esigenze e, pur nell'ottica dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e se intenda predisporre un'apposita circolare in merito.
(3-01797)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

ANTONINO RUSSO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il 6 agosto 2009 è stato siglato l'accordo per l'avvio di progetti P.O.R, cosiddetti «salva precari», di durata biennale, tra la regione siciliana e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca «per garantire il successo scolastico degli alunni disabili e/o a rischio di emarginazione sociale. - 1a annualità»;
nel marzo 2011 si è avviata la seconda annualità di tali progetti;
all'interrogante sono giunte segnalazioni preoccupanti in merito alla gestione dei P.O.R da parte di alcune scuole siciliane, con particolare riferimento al pagamento delle prestazioni in capo al progetto;
i lavoratori impegnati in questi progetti hanno sottoscritto un contratto co.co.pro. di 300 ore per euro 7.800;
come è noto, la normativa vigente prevede che per il contratto a progetto i contributi vengano versati all'INPS per 1/3 a carico del lavoratore e per 2/3 a carico del datore di lavoro, ma pare che molte scuole pensino di far ricadere tutti gli oneri previdenziali sui lavoratori in contrasto con norme e con una decurtazione pesantissima della retribuzione finale;
l'applicazione difforme dell'aliquota a carico del lavoratore sulle ritenute previdenziali per i contratti di collaborazione a progetto rappresenta ad avviso dell'interrogante una grave violazione di legge e va a colpire lavoratori già fortemente penalizzati;
questa libera interpretazione dell'ammontare netto del compenso, oltre a configurarsi come una violazione della normativa vigente, crea, nei fatti, un trattamento difforme fra docenti;
anche la valutazione del servizio risulta differente in termini di punteggio: da maggio a giugno vengono considerati i singoli giorni di servizio, mentre da settembre a novembre l'intero periodo, determinando in tal modo l'impossibilità per gli insegnanti di raggiungere la valutazione dell'intero anno di servizio -:
se il Ministro sia al corrente di tale situazione e se non ritenga di doverla arginare attraverso un intervento immediato e chiarificatore.
(5-05268)

MOTTA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
l'amministrazione provinciale di Parma si è fatta promotrice dell'invio di una lettera aperta al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro interrogato e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, denunciando la grave situazione che si verrà a determinare nelle scuole della provincia di Parma a seguito dell'annunciata minore disponibilità di docenti di sostegno rispetto alle necessità;
nella provincia di Parma, infatti, sono 1237 gli alunni con disabilità che complessivamente accederanno al sistema scolastico nel prossimo anno con un incremento di 67 casi certificati rispetto all'anno scolastico appena terminato;
a fronte di questo dato l'ufficio scolastico provinciale ha avanzato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca la richiesta per 630 docenti di sostegno, ma, secondo le anticipazioni riportate dalla stampa locale, ne sarebbero

stati accordati solo 573, con una riduzione di 57 unità rispetto alle effettive esigenze;
l'organico dei posti di sostegno, sulla base della normativa vigente richiamata dall'articolo 19, comma 11, della legge n. 111 del 2011 è determinato in ragione di un docente ogni due alunni con disabilità, ferma restando la possibilità di istituire posti in deroga al fine di assicurare la piena tutela dell'integrazione scolastica: in provincia di Parma dovrebbero pertanto esserne assegnati 618, ma ne sono stati richiesti 630, al fine di evitare il ripetersi dei contenziosi legali che, lo scorso anno, videro riconosciuti a cinque famiglie il sostegno pieno e non solo per poche ore settimanali;
la situazione è ulteriormente aggravata dalle difficoltà finanziarie in cui versano gli enti locali che, negli anni, si sono sostituiti alle strutture ministeriali integrando le ore di sostegno con proprio personale con risorse complessivamente determinate, nell'anno in corso, in 5.280.000 euro;
ulteriori criticità saranno inoltre determinate dalla soppressione, disposta dall'ultima manovra economica, della figura del vicepreside, che, in particolare negli ultimi anni, ha svolto un importante ruolo di supporto alla dirigenza scolastica soprattutto negli istituti sottoposti a «reggenze» (in provincia di Parma nel 2010 erano diciotto, per il prossimo anno scolastico saranno quasi la metà del totale delle scuole) e in quei territori, come la Val Ceno Parmense, dove la razionalizzazione ha portato alla creazione di un unico istituto comprensivo che interessa cinque comuni e tredici plessi -:
se corrisponda al vero la notizia dell'assegnazione di soli 573 docenti di sostegno al sistema scolastico della provincia di Parma, con un difetto di 57 unità rispetto alle reali esigenze;
quali iniziative, il Ministro interrogato, intenda attuare con urgenza al fine di consentire un regolare avvio dell'anno scolastico e assicurare agli studenti con disabilità il necessario sostegno didattico confermando almeno l'assegnazione dei 618 docenti di sostegno, così come previsto dalla normativa vigente;
in che modo il Ministero intenda assicurare il regolare assolvimento delle funzioni di dirigenza scolastica a fronte della soppressione della figura del vicepreside, in particolare in quegli istituti scolastici guidati da «dirigenti reggenti» o che coinvolgono una pluralità di territori e plessi che con difficoltà possono essere compiutamente diretti da un'unica persona.
(5-05271)

Interrogazioni a risposta scritta:

EVANGELISTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
con la riforma della scuola secondaria superiore in un Paese che vedeva già molto ridotto l'insegnamento rispetto a tutti gli altri Paesi avanzati, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha deciso di eliminare l'insegnamento della geografia dagli istituti professionali alberghieri e turistici e dagli istituti nautici ed aeronautici e di confinarlo solo al primo e secondo anno negli istituti tecnici commerciali, mentre, al contrario, nei licei continuerà ad essere insegnato nei primi due anni da insegnanti non specialisti;
in un'epoca di globalizzazione imperante, di scambi commerciali sempre più intensi tra tutti i luoghi del mondo, di viaggi sempre più frequenti da parte di tutti, di migrazioni più o meno forzate, di conflitti che riguardano l'Italia sempre più da vicino, di compromissione quasi irreversibile dell'ambiente naturale, la geografia, con la sua interdisciplinarietà, dovrebbe svolgere un ruolo strategico ed essere parte integrante di qualsiasi piano di studi per aiutare le nuove generazioni a conoscere e soprattutto interpretare un mondo sempre più complesso;

recenti disposizioni ministeriali hanno previsto che la geografia economica, nelle scuole superiori, possa essere insegnata anche da docenti non specialisti e cioè quelli della classe A060;
i corsi di laurea afferenti alle facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali (dai quali generalmente provengono i docenti della classe A060) non prevedono, infatti, nei loro curricoli insegnamenti di geografia e/o di geografia economica, ma eventualmente di geologia e geomorfologia;
questo provvedimento produrrà pesanti danni ai docenti specialisti di geografia (classe A039), costretti a lasciare la loro sede scolastica, perché superati nelle graduatorie da docenti di scienze (classe A060) con maggior punteggio ma non abilitati all'insegnamento di questa disciplina, con la conseguenza che l'insegnamento della geografia, già penalizzato quantitativamente dalla riforma della scuola secondaria di secondo grado, sarà ulteriormente danneggiato sul piano qualitativo;
con tale decisione gli studenti non trarranno, infatti, dall'insegnamento della geografia conoscenze e competenze adeguate a causa di docenti non specializzati e quindi adeguatamente preparati;
in questi 3 anni più volte il Ministro interrogato ha ribadito di mettere al centro della sua azione di governo il merito e la qualità dell'offerta formativa;
simili inique decisioni, che innescano ulteriori «guerre tra poveri», aumentano la conflittualità sindacale e sociale e non predispongono né il corpo insegnante, già penalizzato da tagli di posti di lavoro e di stipendio, né gli studenti ad un sereno e positivo nuovo anno scolastico;
tale determinazione si rivela una somma ingiustizia nei confronti degli insegnanti specialisti in ruolo vincitori di concorso (A039) ed anche nei confronti dei precari che da anni insegnano la disciplina -:
se non ritenga utile, doveroso ed urgente riconsiderare tali decisioni e garantire l'insegnamento della geografia solo agli insegnanti specialisti, o quanto meno, affidarne l'insegnamento a docenti di altre materie (classe A060 o altre come lettere) solo ed esclusivamente in assenza - nel territorio della Provincia - di docenti di ruolo e non di ruolo abilitati in geografia.
(4-13001)

STRIZZOLO, MARAN e ROSATO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nella città di Gorizia è ubicato l'istituto scolastico autonomo «Cossar-Da Vinci», svolgente una importante funzione dal punto di vista formativo, educativo e sociale con attualmente circa 470 studenti, destinati ragionevolmente a superare comunque il limite minimo dei 500 alunni, entro la fine del 2011, in virtù della caratteristica di scuola che accoglie anche diverse persone con disagio sociale e alunni provenienti da altre scuole dopo l'avvio dell'anno scolastico;
da notizie di stampa (quotidiano «Il Piccolo», pagina 21, edizione di Gorizia-Monfalcone di domenica 7 agosto 2011) si è appreso che la direzione scolastica regionale ha deciso di non riconoscere più l'autonomia all'istituto «Cossar-Da Vinci» (con l'assegnazione di un proprio dirigente scolastico), ma di accorparlo all'ISIS «D'Annunzio», formando così un comprensivo di circa 2.000 studenti con corsi totalmente diversi fra di loro e con una oggettiva difficoltà a svolgere una adeguata e proficua attività educativa e formativa;
la decisione degli organi scolastici regionali viene motivata con l'obbligo di applicazione del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, che prevede dei limiti minimi di alunni per il riconoscimento dell'autonomia scolastica a singoli istituti e la conseguente assegnazione di un dirigente;
da parte delle istituzioni locali, vi sono state delle unanimi prese di posizione

per il mantenimento dell'autonomia scolastica del «Gossar-Da Vinci» in ragione di quanto previsto dal comma 5 dell'articolo 19 della legge richiamata che prevede una deroga - nel numero minimo di studenti - portandolo da 500 a 300 per ottenere il riconoscimento dell'autonomia scolastica «nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche»;
è del tutto evidente che Gorizia - al pari di altre realtà locali del Friuli Venezia Giulia e del Paese - si trova in una area geografica con presenze plurilinguistiche, quali la lingua friulana e la lingua slovena, riconosciute e tutelate da leggi dello stato (legge, n. 482 del 1999) e della regione (legge n. 38 del 2001);
fra le ragioni poste a supporto del mantenimento dell'autonomia scolastica in capo all'istituto «Cossar-Da Vinci» da parte di molteplici associazioni, rappresentanze istituzionali, politiche e sociali dell'area goriziana, vi è - inoltre - la considerazione della complessa e delicata funzione che il «Cossar-Da Vinci» svolge verso tanti ragazzi e ragazze, a rischio di dispersione scolastica, poco propensi allo studio teorico e per i quali le attività laboratoriali e pratiche, ivi positivamente funzionanti e consolidate negli anni grazie anche alla autonomia scolastica, rappresentano una modalità di apprendimento indispensabile per la realizzazione personale e sociale contribuendo in termini significativi a farli uscire da una condizione di disagio sociale -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di questa delicata problematica che - oltre all'istituto «Cossar-Da Vinci» di Gorizia - interessa sicuramente altri istituti scolastici italiani;
se e quali indicazioni intenda fornire agli organismi periferici del Ministero per assicurare una corretta e tempestiva applicazione di quanto previsto dal comma 5 dell'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98.
(4-13003)

JANNONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nelle sere estive, a cimentarsi nella gestione di una trattoria sociale, immersa in una cornice agreste nel cuore di Roma, sono studenti tra i 18 e i 20 anni con problemi di autismo, affiancati da compagni di scuola, genitori e operatori esperti in terapia cognitivo-comportamentale. L'attività agricola e di ristorazione rientra nell'attività dei laboratori previsti da un progetto di integrazione scolastica e avviamento al lavoro, «La cura della terra, la terra che cura, l'orto dei semplici», promosso dall'istituto agrario Garibaldi, una scuola particolare, coi suoi ottanta ettari di terreno, un migliaio di piante di ulivo, vigneti e attività legate al mondo dell'agricoltura e della zootecnia. «Per i laboratori di cucina e orto previsti dal progetto, l'istituto agrario ha messo a disposizione uno spazio apposito, che abbiamo chiamato la casa delle autonomie - dice Simona Levanto, una delle operatrici referenti del progetto -. L'obiettivo, infatti, è far sì che i ragazzi diventino il più possibile autonomi nella vita reale». Il percorso, avviato già da qualche anno, grazie alla disponibilità del preside dell'Istituto, coinvolge genitori, insegnanti, compagni di scuola, cooperative di operatori specializzati, imprese sociali, municipi e università;
quattro anni fa all'istituto Garibaldi gli studenti con disabilità erano cinque, oggi sono 102, di cui 54 con problemi di autismo. I ragazzi frequentano classi «trasversali» con piani di studio personalizzati a seconda delle attitudini, delle competenze da sviluppare e dei comportamenti da migliorare. Per esempio, le due ore di chimica si possono sostituire con due ore di cucina. Svolgono, poi, attività operative presso i laboratori dell'istituto: oltre a orto e ristorazione, anche grafica e implementazione di attività sociali. Ciascun ragazzo è affiancato da un compagno di scuola, che riceve una formazione specifica su come relazionarsi coi ragazzi autistici sul piano pratico ed emotivo. «Quest'anno abbiamo formato 95 studenti attraverso le

moderne tecniche del peer to peer - spiega lo psicologo Fiorenzo Laghi, docente di teoria e tecnica di intervento nell'arco della vita all'università "La Sapienza" di Roma -. Dopo aver selezionato quelli interessati a svolgere un ruolo di tutor nei confronti dei compagni con difficoltà, abbiamo valutato, grazie anche al coinvolgimento degli insegnanti curricolari e di sostegno, le caratteristiche dei ragazzi in termini di motivazione, personalità e attitudini. I tutor, con l'aiuto di assistenti specializzati, hanno seguito i compagni autistici nel loro percorso, affiancandoli nelle attività di laboratorio e aiutandoli a comunicare e ad assumere comportamenti adeguati rispetto alle diverse situazioni. E tra i ragazzi si è creato un rapporto di fiducia e affettività»;
«I ragazzi autistici rispondono positivamente a questo percorso, che si è dimostrato utile anche per gli altri studenti tutor soprattutto in termini di assunzione di responsabilità - sottolinea Laghi -. È la dimostrazione che è possibile creare una vera cultura dell'integrazione». E quest'estate, a turno, ragazzi autistici e tutor passano le giornate coltivando la terra, raccogliendone i frutti e utilizzandoli per preparare i pasti per loro e gli ospiti, si muovono in coppia tra i tavoli, raccogliendo le prenotazioni e servendo le portate. «Fino a qualche anno fa mio figlio non parlava, ora comunica con lo sguardo e comincia a dire qualche parola anche coi clienti della trattoria - racconta Monica, mamma di un ragazzo che fa il cameriere -. Da quando aveva tre anni le abbiamo provate tutte per farlo uscire da quel mondo tutto suo, in cui sembra non esserci nessuna possibilità di comunicare, non solo a livello verbale. Quando poi i bambini diventano adulti, l'autismo rimane e i problemi aumentano». Mentre Levanto fa notare che «all'avvio del progetto, qualche anno fa, comportamenti bizzarri o anche aggressivi erano quasi all'ordine del giorno e non sarebbe stato possibile aprire la trattoria anche ad altri clienti, oltre che a familiari e amici. Oggi si sono ridotti moltissimo, l'esperienza sta funzionando e stiamo verificando che il contatto con la gente, oltre che con la natura, è terapeutico. Così dagli inizi di giugno abbiamo deciso di aprire il laboratorio al pubblico». La sperimentazione è servita a costituire la cooperativa sociale Garibaldi, di tipo b, cioè di inserimento al lavoro di persone con disabilità. E la trattoria l'hanno chiamata «Articolo 14», come quello della legge n. 328 del 2000 che riconosce il diritto di ogni persona con disabilità ad avere un progetto individuale che lo accompagna nelle fasi della vita per integrarsi nella società -:
quali iniziative di competenza i Ministri intendano adottare al fine di promuovere l'inserimento negli ordinamenti scolastici ed universitari di percorsi formativi volti a studenti con problemi di autismo, per un migliore loro inserimento nella società e nella realtà lavorativa quotidiana.
(4-13020)

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

DAMIANO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'ISFOL (Istituto per la formazione professionale dei lavoratori) è un ente pubblico di ricerca, che svolge e promuove attività di studio, ricerca, sperimentazione, documentazione, valutazione, informazione, consulenza e assistenza tecnica per lo sviluppo della formazione professionale, delle politiche sociali e del lavoro;
all'Isfol sono affidati compiti di particolare rilevanza e delicatezza per il supporto delle politiche del lavoro finalizzate al miglioramento delle risorse umane, alla crescita dell'occupazione, all'inclusione e allo sviluppo sociale;
per effetto delle disposizioni contenute nell'articolo 26 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni,

dalla legge n. 133 del 2008 e nell'articolo 7, comma 15, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, è stato avviato un processo di riorganizzazione dell'ISFOL per la cui attuazione il Governo è tenuto ad emanare appositi decreti;
l'11 gennaio 2011, come disposto dal decreto-legge n. 112 del 2008, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 77 del 4 aprile 2011, è stato approvato un nuovo statuto dell'Istituto;
sono decorsi i termini per l'insediamento del nuovo consiglio di amministrazione e per la nomina del nuovo presidente;
in data 20 luglio 2011 è stato emanato un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali per la nomina di un commissario straordinario nella persona del presidente attualmente in carica;
relativamente all'attività di ricerca dell'Istituto, nell'ultimo biennio, sono stati progressivamente ridotti i finanziamenti per l'attività di ricerca dell'Istituto e, più in particolare:
a) risultano ridotti i finanziamenti per l'attività istituzionale e per diversi progetti per un totale pari a circa trenta milioni di euro (superiore al 33 per cento) in due anni;
b) risultano altresì non rispettate le previsioni di stanziamento contenute nel piano FSE 2008-2013 -:
se il Ministro intenda fornire elementi circa il disegno strategico che ha guidato le recenti riforme dell'assetto istituzionale dell'Isfol e, in relazione a tale disegno, quali funzioni si intendano concretamente conservare in capo all'Istituto;
in relazione a tali funzioni, di quali dotazioni finanziarie e professionali l'Istituto debba avvalersi per assolvere compiutamente ai propri scopi istituzionali;
quali misure di gestione siano state adottate e con particolare riferimento alla salvaguardia del patrimonio di competenze rappresentato dal personale qualificato dell'Isfol, perché l'Istituto stesso possa rispondere nel modo più appropriato e più efficace ai compiti ad esso assegnati.
(5-05265)

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 5 agosto 2011 in contrada Tre Fontane a Paternò, sono morti i signori Agatino Guerrero e Fortunato Caprino, mentre sistemavano le grondaie di un capannone -:
di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni - dall'inizio dell'anno risultano essere decedute almeno 313 persone per incidenti sul lavoro, 530.344 sono stati gli infortuni, 1.253 gli invalidi - assumono i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-13008)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
presso la raffineria di Gela si è verificato un grave infortunio sul lavoro. Un operatore dell'impianto cocking 2 dello stabilimento dell'Eni, il signor Salvatore Cauchi, è rimasto ustionato da un getto di vapore fuoriuscito dalla flangia di uno scambiatore di calore sul quale si stava intervenendo per effettuare lavori di manutenzione;

soccorso e trasportato in ospedale i medici hanno riscontrato ustioni di primo e di secondo grado al torace, alle braccia e alle gambe, per il 36 per cento della superficie corporea -:
quale sia l'esatta dinamica dei fatti;
quali iniziative di sua competenza si intendano adottare per sollecitare e promuovere in ordine a quanto sopra esposto.
(4-13025)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 19 agosto un uomo di 76 anni è deceduto precipitando dal tetto di uno stabile di Quattordio, nell'alessandrino, dove sembra stesse coordinando dei lavori di manutenzione -:
di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni - dall'inizio dell'anno risultano decedute sul lavoro 332 persone, 562.451 gli infortuni, 1.328 gli invalidi - assumano i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-13026)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
un uomo originario del Kosovo è deceduto la mattina del 20 agosto 2011 mentre lavorava presso uno stabilimento di Rubiera, dove erano in corso, da parte di un'impresa, operazioni di bonifica di una copertura; secondo quanto è dato sapere, l'uomo si trovava sull'edificio, quando in seguito al cedimento del tetto avrebbe perso l'equilibrio precipitando nel vuoto -:
di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni - dall'inizio dell'anno risultano decedute sul lavoro 333 persone, 562.451 infortuni, 1.328 gli invadi - assumono i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-13027)

GIANNI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
sono circa 13.000 i lavoratori socialmente utili impegnati nelle pulizie delle scuole;
questi lavoratori da 15 anni prestano servizio nelle scuole, dapprima, per 5 anni in maniera diretta come collaboratori scolastici LSU e da 10 anni con imprese in qualità di operai nelle pulizie dei plessi scolastici;
a seguito della riduzione dei fondi da parte del Ministero dell'istruzione, università e ricerca, la situazione dei lavoratori interessati è peggiorata notevolmente, e i lavoratori sono stati messi per 65 giorni in cassa integrazione e senza stipendio in quanto ad oggi non sono certi i tempi di erogazione delle competenze;
lo stipendio percepito mensilmente dagli ex lavoratori socialmente utili impegnati nelle pulizie nelle scuole è di circa 800 euro, con la cassa integrazione questo si riduce a 600 euro mensili;
il piano predisposto prevede, inoltre, la riduzione a 20 ore mensili dell'orario di lavoro a partire dal mese di gennaio 2012, con la conseguenza di un ulteriore abbassamento dello stipendio;

molti lavoratori hanno richiesto alle banche di sospendere temporaneamente il pagamento dei ratei di mutuo ma sembra abbiano ricevuto risposte negative;
si tratta in maggioranza di lavoratori ultra cinquantenni che hanno oggettivamente una grossa difficoltà a ottenere un altro lavoro;
in passato era stata prevista dall'articolo 12, comma 4, della legge n. 468 del 1997 e dall'articolo 45, comma 8, della legge n. 144 del 1999 una riserva del 30 per cento dei posti disponibili del personale Ata, tale riserva non è stata mai utilizzata per collocare almeno parzialmente i lavoratori ex LSU interessati;
se i lavoratori ex LSU fossero assorbiti come personale Ata questo potrebbe avvenire a costo zero utilizzando le risorse che oggi vengono erogate alle imprese impegnate nelle pulizie delle scuole e che come detto in precedenza stanno mettendo in cassa integrazione i lavoratori -:
se non ritengano necessario valutare la possibilità di assorbire nel personale Ata i lavoratori ex LSU impegnati nelle pulizie delle scuole utilizzando le risorse oggi destinate alle imprese che effettuano le pulizie nei plessi scolastici e dando stabilità e serenità a lavoratori che da 15 anni svolgono in maniera precaria le pulizie nelle scuole.
(4-13069)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 2 settembre 2011, un pensionato di 68 anni, il signor Girolamo Lo Manto, di Casteltermini in provincia di Agrigento, è morto dopo essere caduto dal tetto di un'abitazione;
il signor Lo Manto stava eseguendo dei lavori di manutenzione, quando, in seguito a un movimento sbagliato, avrebbe messo un piede nel vuoto e perso l'equilibrio, cadendo da diversi metri d'altezza -:
di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni - dall'inizio dell'anno risultano decedute sul lavoro 352; 596.330 gli infortuni; 1.408 gli invalidi - assume i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-13080)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 30 agosto 2011 un operaio edile appena assunto, sprovvisto della cintura anticadute, il signor Salvatore Pellino, è precipitato nel vuoto, dopo essere scivolato da una scala del cantiere di Frattamaggiore, dove stava lavorando, riportando gravi ferite;
da quanto è dato sapere, nel cantiere dove il signor Pellino non c'erano le norme di sicurezza previste dalla legge -:
di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
se sia vero che non sono state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni - dall'inizio dell'anno risultano decedute sul lavoro 352; 596.330 gli infortuni; 1.408 gli invalidi - assumono i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-13092)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 1o settembre 2011 un operaio 38enne residente a Monteroni di Lecce, il signor Claudio De Pascalis, è deceduto, dopo essere stato folgorato mentre stava effettuando una riparazione, in una villetta a due piani di viale Grassi a Lecce;
da quanto è dato sapere, l'uomo stava sistemando un pluviale, che aveva raggiunto con una scala e posto a circa quattro metri di altezza dal suolo; quasi certamente deve aver toccato un filo scoperto, e la scossa ricevuta lo ha ucciso -:
di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni - dall'inizio dell'anno risultano decedute sul lavoro 352; 596.330 gli infortuni; 1.408 gli invalidi - assumono i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-13093)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 2 settembre 2011 una persona è morta e un'altra è rimasta gravemente ferita, vittime di un grave incidente sul lavoro accaduto all'interno dello stabilimento «Forex Prefabbricati», azienda che opera presso il nucleo industriale di Bazzano, alla periferia dell'Aquila;
secondo una prima ricostruzione dei fatti una trave di circa dieci metri sorretta da catene, e sulla quale scorreva un macchinario si sarebbe staccata, piombando su tre operai, uno è morto, un altro ferito, il terzo è rimasto miracolosamente illeso -:
di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni - dall'inizio dell'anno risultano decedute sul lavoro 352; 596.330 gli infortuni; 1.408 gli invalidi - assumono i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-13096)

...

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:

RUVOLO, MOFFA, GIANNI, IANNACCONE e RAZZI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la situazione di disagio delle imprese agricole cresce a causa dell'aumento insostenibile dei costi di produzione (concimi, carburanti, energia) a fronte del forte e inatteso calo dei prezzi dei cereali, degli accresciuti problemi di mercato, specialmente per la zootecnica (significativo il mancato accordo sul prezzo del latte alla stalla), ma anche per il vino e l'ortofrutta;
la gravissima crisi finanziaria ed economica si è abbattuta con violenza sulle imprese agricole creando ulteriori difficoltà ad un settore già investito da una crisi che ha comportato la chiusura di migliaia di aziende e la perdita di moltissimi posti di lavoro;
oggi, anche in relazione alla crisi economica e finanziaria, è fondamentale ridare competitività al sistema agricolo mediante una vera strategia che, a partire

dal livello regionale dove si operano le scelte in ordine alla gestione delle misure e dei sostegni previsti dalla Politica agricola comune (Pac), sia per il primo pilastro (aiuti diretti) che per il secondo, sviluppi nelle scelte nazionali provvedimenti urgenti in particolare per l'accesso al credito e per un immediato sostegno ai prezzi dei prodotti agricoli;
in particolare, è necessario che le regioni procedano celermente al pagamento degli aiuti e dei premi alle aziende agricole, all'alleggerimento del carico burocratico che grava su di esse facendo lievitare i costi e all'immediato avvio a tutti gli interventi previsti dal programma di sviluppo rurale, diretti a sostenere le imprese nei loro impegni di investimento e nei loro obblighi di adeguamento alle normative ambientali;
oggi si assiste ad un intollerabile ed insostenibile accentuarsi dei ritardi dei pagamenti e ad un preoccupante susseguirsi di errori e inesattezze, causati da vistose carenze nell'utilizzo dei supporti informatici e dei sistemi di controllo -:
quali iniziative e provvedimenti il Governo e il Ministro interrogato intendano urgentemente assumere per il sostegno dell'agricoltura, settore fondante e strategico per lo sviluppo economico dell'Italia, in particolare nel Meridione e per contribuire al superamento delle difficoltà regionali denunciate in premessa.
(3-01800)

REGUZZONI, LUSSANA, LUCIANO DUSSIN, FOGLIATO, MONTAGNOLI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
a fronte della necessità di preservare e ripopolare la flora e la fauna acquatiche, in esecuzione del regolamento (CE) n. 1198/2006 del Consiglio, del 27 luglio 2006, è stato disposto, anche per il corrente anno, il fermo biologico per le attività di pesca per le imbarcazioni autorizzate all'uso del sistema a strascico e/o volante;
il decreto ministeriale del 14 luglio 2011 stabilisce, per quanto riguarda le imbarcazioni di cui sopra iscritte nei compartimenti marittimi da Trieste a Bari, un periodo di arresto temporaneo alle attività di pesca di 60 giorni, decorrente dal 1o agosto 2011, con possibilità demandata alle regioni di prolungare il fermo, ma non di variarlo a seconda delle diverse specificità territoriali ed ambientali;
la ricostituzione degli stock ittici, specialmente in alcune aree, come il bacino alto-adriatico dove per alcune specie marine il prelievo è arrivato a coincidere con il massimo della loro riproduttività biologica, è di vitale importanza, non solo per lo sfruttamento sostenibile delle risorse acquatiche ma anche per il futuro degli operatori del comparto ittico;
in alcune zone, come quelle lagunari, un segmento estremamente importante dell'economia territoriale è rappresentato dalla piccola pesca la cui attività risulta gravemente compromessa dall'attuazione di un fermo pesca continuativo di 60 giorni, a causa della migrazione delle specie bersaglio dalle aree interne verso l'alto mare, criticità che potrebbe tuttavia risolversi con una diversa modulazione dei giorni di arresto obbligatorio;
nonostante il fermo obbligatorio, in moltissime località della costa adriatica si trovano giornalmente quantitativi considerevoli

di pesce fresco proveniente dalla vicina costa dalmata, catturato dai pescherecci croati, non tenuti al rispetto del lungo periodo di pausa imposto agli operatori italiani -:
di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione ai fatti espressi in premessa e se non ritenga opportuno intervenire nelle competenti sedi comunitarie affinché gli sforzi degli operatori italiani non vengano vanificati dal maggior impegno di pesca dimostrato da flotte straniere che operano nello stesso mare chiuso e che, tuttavia, non sono assoggettate alle regole particolarmente restrittive imposte dall'Unione europea a salvaguardia degli ambienti marini.
(3-01801)

DELFINO, GALLETTI, NARO, CICCANTI, COMPAGNON, VOLONTÈ, MONDELLO e NUNZIO FRANCESCO TESTA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'industria ittica italiana continua da tempo ad essere caratterizzata da produttività quasi dimezzata, fatturato in caduta libera, flotta drasticamente ridimensionata e più di 17 mila posti di lavoro polverizzati negli ultimi 5 anni;
ad oggi l'unico obiettivo da raggiungere è quello di difendersi dall'assalto dei competitori esteri, asiatici e africani, che anno dopo anno hanno conquistato quote di mercato fino a raggiungere nel 2010 un tasso di prodotti ittici venduti nel nostro Paese vicino al 73 per cento, pari a 941 mila tonnellate di pesce per un valore di 3,99 miliardi di euro;
si tratta di una cifra impressionante se confrontata con i prodotti ittici italiani esportati, che risultano poco più di 135,5 tonnellate per un valore di 520 milioni di euro, e che costituisce un vero paradosso se si considera che l'Italia è bagnata da 8.350 chilometri di costa;
le cause di questo declino sono da ricercare nel fatto che vi sono troppi intermediari, punti di sbarco frammentati, imprese troppo piccole e soprattutto il prezzo del gasolio ormai alle stelle;
di conseguenza, le cooperative di pescatori sono in affanno, l'industria ittica è fortemente condizionata dagli eventi internazionali e i consumatori finiscono per mangiare solo le specie di pesce imposte dal mercato senza un'etichettatura trasparente, che in molti casi non permette di conoscere la provenienza del prodotto e di avere un'informazione completa;
tuttavia, il problema più serio è rappresentato dalla struttura delle imprese ittiche italiane;
secondo dati Ismea, nel 2009 il 66 per cento dei pescherecci che compongono la flotta italiana è gestito da micro-imprese, condizione che azzera il loro potere contrattuale nei confronti degli altri componenti della filiera, come grossisti e distributori, e del sistema creditizio;
a questo si deve aggiungere un altro aspetto di forte criticità rappresentato dai punti di sbarco che lungo le coste italiane sono oltre 800;
tale numero rende molto difficile fornire gli approdi di adeguati servizi, come il rifornimento d'acqua e di carburante, e influisce sulla vendita di quanto viene pescato ogni giorno, perché le filiere si allungano, mentre la remunerazione dei pescatori si riduce;
tutto questo mentre il pesce estero gode da tempo di una situazione privilegiata -:
se il Governo non ritenga di dover considerare quanto esposto in premessa come una vera e propria emergenza nazionale e quali misure urgenti intenda intraprendere ai fini della tutela e del sostegno dell'occupazione e delle attività produttive, come la pesca, che rappresenta un settore di primaria importanza del made in Italy.
(3-01802)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
per il rilancio dell'Istituto di maiscoltura di Bergamo è stato realizzato un business plan. Grazie a questo ulteriore passo in avanti, e una volta raccolto il consenso di istituzioni ed enti bergamaschi, si potrà avanzare una proposta concreta a Roma per scongiurare definitivamente il trasloco del centro di ricerca da Bergamo ad altre province e per realizzare l'obiettivo della trasformazione dell'Istituto di maiscoltura in un centro specializzato dedicato all'innovazione vegetale a sostegno del settore agro-industriale e cioè allargato, oltre che all'agricoltura, anche ai comparti del chimico, del tessile, del bioenergetico e della salute. «L'obiettivo - spiega Patrizio Fattorini, membro della giunta della camera di commercio (e incaricato in questo senso dal presidente Paolo Malvestiti) oltre che segretario organizzativo della Cisl, impegnato da un anno per la valorizzazione dell'ente agricolo bergamasco - era proprio quello di costruire un piano finanziario a sostegno di quella che era la nostra idea, ampiamente condivisa dalle istituzioni, dai sindacati e dalle associazioni di categoria della Bergamasca». Era, in sostanza, quello che chiedeva Paolo Cescon, commissario straordinario del Cra, il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, al quale fa capo l'Istituto di maiscoltura. E sulla stessa lunghezza d'onda era l'assessore regionale all'agricoltura Giulio De Capitani;
si è così creato un gruppo di lavoro costituito dall'ex direttore (ora in pensione) dell'Istituto di maiscoltura Mario Motto, dal direttore generale e consigliere delegato del parco scientifico chilometro Rossa Mirano Sancin e da Gian Mario Moraschini del Consorzio agrario di Bergamo. Il piano finanziario che ne è scaturito ha evidenziato le risorse necessarie per gli investimenti sulla struttura (1 milione di euro) e la gestione (1,2 milioni di euro) e anche per i ricavi previsti che ammontano a 2,2 milioni (senza contare il patrimonio immobiliare). A questo punto sono chiamati a condividere il progetto la camera di commercio, la provincia, il comune di Bergamo, la regione, i sindacati Cgil, Cisl e Uil, Confindustria Bergamo, Confagricoltura Bergamo e la Coldiretti. Una volta raccolte le adesioni, il documento sarà inviato ai primi di settembre a Roma per ricevere il consenso da parte del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali del Cra;
aggiunge il documento: «Il progetto di sviluppo del Cra di Stezzano è anche accreditato a far parte del sistema territoriale nella prospettiva di un Expo 2015 con tema l'alimentazione, la biodiversità e la salvaguardia dell'ambiente». «Il territorio sta facendo squadra - conclude Fattorini - e il progetto ora sta in piedi anche da un punto di vista economico e dunque può essere ben considerato a Roma» -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di incentivare la riconversione di istituti, già dedicati a sperimentazioni agricole, in centri di eccellenza volti a creare una rete di intense collaborazioni, anche in ambito internazionale, in coerenza con quanto si sta realizzando per l'Istituto di maiscoltura di Bergamo.
(4-13021)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
un incendio sviluppatosi il 29 agosto, intorno alle 7 di mattina, all'interno dell'allevamento avicolo lungo la strada di campagna che da Collesecco porta a Sismano, frazione di Avigliano Umbro ha in pochi minuti colpito la batteria che conteneva galli e galline;
da una prima stima sarebbero almeno 4.000 gli animali morti, ma si tratta di una cifra probabilmente sottostimata;

le squadre dei vigili del fuoco hanno lavorato fino a mezzogiorno per circoscrivere l'incendio ad uno solo dei 7 capannoni ed impedire l'estendersi del fuoco alla vicina boscaglia e alle case che si trovano a poca distanza;
l'impianto, diversi anni fa subì un incendio ma era stato recentemente rimodernato ed appartiene al gruppo Amadori -:
di quali informazioni disponga il Governo in merito alle cause dell'incendio e se l'impianto abbia regolari autorizzazioni.
(4-13062)

...

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 8 della legge n. 441 del 1982 recante «disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti», stabilisce che tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali hanno diritto di conoscere le dichiarazioni previste nella legge secondo le modalità stabilite nell'articolo 9;
l'articolo 9 fa riferimento ad un «apposito bollettino»;
quando nel 1982 fu varata la suddetta legge non esisteva ancora il world wide web, nato nel 1990, che ha consentito anche alle istituzioni di mettersi in rete pubblicando online importanti documenti ufficiali che sono così divenuti sempre più accessibili ad una vasta platea di cittadini;
le disposizioni contenute nella legge n. 441 del 1982 si applicano - oltre che ai parlamentari, ai membri del Governo, ai consiglieri regionali, provinciali e ai consiglieri di comuni capoluogo di provincia ovvero con popolazione superiore ai 50.000 abitanti - anche:
1) ai presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali di istituti e di enti pubblici, anche economici, la cui nomina, proposta o designazione o approvazione di nomina sia demandata al Presidente del Consiglio dei ministri, al Consiglio dei ministri od a singoli Ministri;
2) ai presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali delle società al cui capitale concorrano lo Stato o enti pubblici, nelle varie forme di intervento o di partecipazione, per un importo superiore al venti per cento;
3) ai presidenti, ai vicepresidenti, agli amministratori delegati ed ai direttori generali degli enti o istituti privati, al cui funzionamento concorrano lo Stato o enti pubblici in misura superiore al cinquanta per cento dell'ammontare complessivo delle spese di gestione esposte in bilancio ed a condizione che queste superino la somma annua di lire cinquecento milioni;
4) ai direttori generali delle aziende autonome dello Stato;
5) ai direttori generali delle aziende speciali di cui al regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578, dei comuni capoluogo di provincia o con popolazione superiore ai centomila abitanti;
da una sommaria ricognizione effettuata dalla prima firmataria del presente atto risulta che:
a) nel sito istituzionale del Governo www.governo.it le suddette informazioni non siano a disposizione dei cittadini;
b) quanto ai siti istituzionali dei Ministeri, alcune delle suddette informazioni siano presenti nel solo sito del Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione mentre tutti i siti degli altri Ministeri ne siano privi;
c) sui siti istituzionali di Camera e Senato siano pubblicate le sole dichiarazioni

di deputati e senatori che abbiano firmato un'apposita liberatoria;
in particolare, nei siti dei Ministeri, non sono pubblicate le situazioni patrimoniali riguardanti le figure dirigenziali, la cui nomina, proposta o designazione o approvazione di nomina sia demandata al Presidente del Consiglio dei ministri, al Consiglio dei ministri od a singoli Ministri;
la situazione sopra sommariamente e parzialmente descritta pone i cittadini elettori su un piano di disparità di trattamento in quanto coloro che risiedono nella capitale, sede delle massime istituzioni della Repubblica, sono avvantaggianti rispetto ai non residenti che, per consultare gli «appositi bollettini», devono affrontare viaggi e soggiorni anche costosissimi, se abitanti in località distanti centinaia di chilometri da Roma;
la discriminazione appena evidenziata potrebbe essere facilmente superata con un «clic», mettendo online la situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti prevista nella legge n. 441 del 1982 -:
in che modo intenda superare l'odiosa discriminazione citata in premessa fra cittadini elettori residenti a Roma e cittadini elettori residenti in altre località della Repubblica italiana;
quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere per pubblicizzare effettivamente la situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti.
(4-13094)

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SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:

PALAGIANO, DONADI e BORGHESI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nel nostro Paese più di 70 mila persone sono state contagiate tra gli anni '70 e '90 da trasfusioni, vaccinazioni obbligatorie o emoderivati infetti, contraendo malattie irreversibili quali l'Aids o l'epatite C. Tra il 1985 e il 2008 ci sono stati, tra questi, circa 2600 decessi;
l'articolo 33 del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, prevede «Per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilia ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti» uno stanziamento di 150 milioni di euro per l'anno 2007;
l'articolo 2, comma 361, della legge finanziaria per il 2008, autorizzava per le transazioni di cui sopra una spesa di 180 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008, mentre il successivo comma 362 prevedeva l'adozione di un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in cui fossero fissati i criteri in base ai quali definire, nell'ambito di un piano pluriennale, tali transazioni;
in data 28 aprile 2009 è stato emanato dall'allora Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali il decreto ministeriale n. 132, che determinava le regole per la stipula delle transazioni con soggetti danneggiati che abbiano instaurato, anteriormente al 1o gennaio 2008, azioni di risarcimento danni ancora pendenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso;
il Ministero della salute ha disciplinato altresì le «Modalità di presentazione delle domande di adesione alle transazioni ai sensi del decreto 28 aprile 2009, n. 132» attraverso una circolare ministeriale pubblicata il 22 ottobre 2009, a

seguito della quale, secondo quanto riportato sul sito dello stesso Ministero, sono state presentate 7.356 domande di adesione alla procedura transattiva;
il 5 maggio 2011 il Consiglio dei ministri ha rinviato la votazione del decreto-legge sul riconoscimento di indennizzi per quanti hanno contratto malattie a causa di una trasfusione di sangue a causa di alcuni «tecnicismi» da risolvere, secondo quanto riportato da notizie di stampa riferite al ministro interrogato, pur avendo in realtà tutta la copertura finanziaria. La votazione del decreto-legge è, in sostanza, l'ultimo passo per dare l'avvio effettivo al risarcimento;
secondo il Comitato vittime da sangue infetto «questo decreto-legge rappresenta un provvedimento di grande giustizia che pone fine a errori sanitari che hanno determinato la morte di tante persone e costringe alla malattia tanti emotrasfusi», tuttavia continua ad essere rinviato: non è stato discusso neanche nel Consiglio dei ministri del 19 maggio 2011 -:
quali siano esattamente i «tecnicismi» ai quali il Ministro interrogato ha fatto riferimento nel giustificare il rinvio dell'approvazione di un provvedimento così importante per migliaia di cittadini che da anni attendono il giusto risarcimento da parte dello Stato e in quali tempi certi intenda procedere all'emanazione dello stesso, ultimo passo per attuare la doverosa transazione nei confronti delle, purtroppo numerose, vittime del sangue infetto e delle loro famiglie.
(3-01803)

BOCCIA, MARAN, LENZI, RECCHIA, MISIANI, LETTA, GIACHETTI, QUARTIANI, GINEFRA, PEDOTO, GRAZIANO, ESPOSITO, MARANTELLI, ANDREA ORLANDO, DE MICHELI, VACCARO, MOSCA, DAL MORO, GARAVINI, MAZZARELLA, MARTELLA, VICO, BORDO, GENOVESE, MASTROMAURO, ROSSOMANDO, VELO, BOCCUZZI, CAUSI, LULLI, CESARE MARINI, SARUBBI, GIOVANELLI, FONTANELLI, CONCIA, CUOMO, IANNUZZI, REALACCI e OLIVERIO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 138 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, recante il codice delle assicurazioni private, ha previsto la predisposizione di una specifica tabella, unica su tutto il territorio della Repubblica, delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra 10 e 100 punti e del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità;
la disposizione traeva fondamento dal fatto che la monetizzazione dei danni conseguenti a incidente stradale non avveniva in modo uniforme su tutto il territorio nazionale poiché effettuata in base a tabelle elaborate da ciascun tribunale. Ciò poteva comportare, quindi, un'ingiustificata disparità di trattamento a svantaggio dei danneggiati da sinistri avvenuti nelle circoscrizioni di quei tribunali che osservavano criteri di quantificazione più restrittivi in sostanziale violazione del principio di uguaglianza;
al fine di procedere alla predisposizione della tabella è stata istituita, presso il Ministero della salute, una commissione di studio che ha concluso i suoi lavori con la redazione di uno schema, recante l'indicazione delle menomazioni e del relativo punto percentuale di invalidità da rinviare al Ministero dello sviluppo economico per la predisposizione dei valori pecuniari da assegnare ai vari punti di invalidità;
l'iter si è concluso il 3 agosto 2011 con l'approvazione, da parte Consiglio dei ministri, di uno schema di decreto del Presidente della Repubblica che è stato considerato dalle principali associazioni delle vittime degli incidenti stradali come fortemente lesivo della dignità umana e non rispondente alle esigenze di solidarietà consolatorie, riparatorie e satisfattive del danno da rc auto;
lo schema, infatti, adegua al ribasso i valori risarcitori che risultano di gran

lunga inferiori ai valori proposti dalle tabelle del tribunale di Milano, considerate congrue dalla Corte di cassazione e utilizzate dalla maggioranza dei tribunali. Secondo le vittime esse sono inadatte a risarcire integralmente il danno subito rispetto al costo della vita nelle principali città italiane;
inoltre, poiché si interviene su parametri formatisi nel corso degli anni presso l'autorità giudicante competente, è evidente il rischio di un aumento esponenziale del contenzioso sia in relazione al danno biologico ma anche per garantire alle vittime il risarcimento globale del danno secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia -:
se il Governo intenda evitare l'ingiusta penalizzazione di migliaia di famiglie che hanno già subito gravissimi danni ritirando il provvedimento di cui in premessa.
(3-01804)

ANGELA NAPOLI - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 18 agosto 2011 il policlinico Agostino Gemelli di Roma comunicava che un'infermiera del reparto di neonatologia si era ammalata di tubercolosi e che nei confronti della dipendente era stata avviata una profilassi antitubercolotica standard (nonché la sospensione dall'incarico a scopo precauzionale), unitamente ad una serie di test di controllo a scopo preventivo su circa 1000 bambini nati nell'ospedale romano;
come ha spiegato il direttore del servizio di igiene e sanità pubblica dell'asl Roma E Enrico Di Rosa, la tubercolosi può assumere «forme subdole e latenti, specie nei neonati che hanno ancora delle risposte immunitarie suscettibili. Il che, tradotto, vuol dire che, se non controllati, oltre alla Tbc, potrebbero purtroppo andare incontro anche a tipi di meningite»;
i primi controlli sono stati ristretti ai soli bambini nati tra marzo e la metà di luglio 2011, poiché si è ritenuto che il contagio fosse avvenuto solo in quell'arco temporale (ossia nel periodo in cui l'infermiera, secondo quanto affermato inizialmente, avrebbe lavorato presso la neonatologia del Gemelli);
Costantino Romagnoli, il responsabile del reparto di neonatologia, a quel punto assicurava che «il rischio non è giudicato elevato», ed altresì che «nel nido, i contatti tra personale sanitario e i piccoli non è frequente e quelli con l'infermiera sono stati sporadici»;
di fronte alla possibilità di contagio di una bambina di 5 mesi, Filippo Berloco, della direzione sanitaria del Gemelli, affermava ancora: «In questo momento nessuno può affermare con certezza che ci sia una relazione» tra la malattia della bimba e quella dell'infermiera, «anzi, piuttosto, alcuni elementi potrebbero far pensare che non ci sia una relazione. Proprio perché parliamo di un caso »vecchio«, cioè di una bambina nata il 22 marzo, pensiamo che potrebbe essere troppo presto perché in quel momento l'infermiera fosse contagiosa»;
lo stesso giorno della diffusione della notizia del primo caso di contagio Renata Polverini, presidente della regione Lazio, dichiarava: «Non bisogna creare allarmismi perché l'allarme non c'è. Le procedure messe in campo sono quelle previste dai codici internazionali, la situazione è sotto controllo». «I dati che abbiamo sono assolutamente confortanti. Il rischio di contagio è molto basso. Sui bambini che sono stati visitati oggi non sono stati riscontrati sintomi clinici. Il Gemelli proseguirà in questa azione: l'ambulatorio agirà per tre mesi, periodo che potrà anche essere prolungato ma credo che non ce ne sarà bisogno. Non è una situazione che richieda l'attivazione di altre strutture, ma stanno supportando l'attività del Gemelli anche il Bambino Gesù, lo Spallanzani e le Asl Roma E e Roma F»;
il 19 agosto 2011 la procura di Roma apriva un fascicolo di indagine in relazione alla vicenda;

il 29 agosto 2011 la stampa diffondeva la notizia che il marito dell'infermiera fosse stato ricoverato, e poi dimesso, già nel 2004 al Policlinico Umberto I per pleurite di natura tubercolare;
la direzione dell'ospedale smentiva immediatamente con una nota di aver mai ricevuto «né da parte della dipendente, cui è stata diagnosticata Tbc, né da parte delle autorità sanitarie competenti segnalazione di patologia tubercolotica, di cui sarebbe stato affetto un familiare dell'infermiera. Tutti gli altri aspetti relativi alla vicenda saranno chiariti nelle opportune sedi con le quali il Policlinico Gemelli sta collaborando fattivamente, fornendo i necessari chiarimenti che di volta in volta vengono richiesti», aggiungendo inoltre che «la struttura si è attivata subito sin dalla insorgenza del problema»;
nel frattempo, uscivano su fonti di stampa notizie che retrodatavano di molto - rispetto alle prime informazioni - la presenza dell'infermiera nel reparto neonatale;
lo stesso 29 agosto 2011 veniva reso noto che diciotto nuovi bambini erano risultati positivi al test, facendo così salire a 52 il numero dei neonati esposti al bacillo della Tbc, fra cui anche cinque nati in febbraio (e rendendo dunque necessario estendere i controlli anche ai nati in gennaio);
a fine agosto si insediava una commissione di indagine istituita dalla regione Lazio, composta da 7 esperti e presieduta dal professore di malattie infettive dell'università La Sapienza di Roma, Vincenzo Vullo, con l'obiettivo, entro 90 giorni, «di fare chiarezza da un punto di vista sanitario e amministrativo sulla questione che riguarda il Policlinico Gemelli rispetto al caso dell'infermiera affetta da tubercolosi». A margine di tale insediamento Renata Polverini, presidente della regione Lazio, dichiarava: «La commissione non presuppone alcuna epidemia, è una parola che in questo momento non è assolutamente necessario né utile usare. Non c'è alcuna epidemia»;
il 30 agosto stesso il procuratore aggiunto Leonardo Frisani ed il pubblico ministero Alberto Pioletti sentivano, come persone informate dei fatti, quattro dirigenti dei settori medico e amministrativo del policlinico Agostino Gemelli, per avere spiegazioni riguardanti «quali precauzioni vengano adottate per impedire l'insorgere di infezioni, quali visite vengano disposte per i dipendenti e quali controlli periodici vengano adottati», al fine di capire se la donna è stata sottoposta di recente a visite di controllo o almeno a quelle previste dalla normativa sulla sicurezza sui posti di lavoro;
il 31 agosto 2011, contestualmente alla comunicazione da parte della regione Lazio che il numero dei bambini risultati positivi al test «è salito a 79», il Codacons chiedeva ai pubblici ministeri romani di procedere per i reati di epidemia e disastro colposo; secondo il Codacons, «proprio l'elevato numero di soggetti ad oggi risultati positivi ai controlli escludono la fattispecie di lesioni colpose: i reati per cui procedere sono quelli di epidemia e di disastro colposo»;
il 1o settembre 2011 veniva reso noto che, secondo quanto confermato dalla stessa infermiera del Gemelli nel corso dell'audizione svolta con i magistrati della procura di Roma, la donna era risultata positiva alla Tbc già tra il 2004 e il 2005;
Fernando Aiuti, immunologo, infettivologo e presidente della commissione capitolina politiche sanitarie ha dichiarato: «Ci sono alcune anomalie. Si tratta del caso con il più alto numero di bimbi neonati contagiati in ambiente ospedaliero almeno da 50 anni. Inoltre l'epidemia non ha precedenti rispetto alla durata e all'estensione del contagio, cioè sette mesi, un tempo infinito se consideriamo che normalmente il contagio avviene in un periodo compreso tra una settimana e un mese e mezzo. Anomalo il lungo periodo intercorso prima che si scoprisse la malattia nell'infermiera. Il fatto che poi la signora in questione sia ancora ricoverata

allo Spallanzani ormai dalla fine di luglio mi fa pensare che il suo sia un caso particolarmente grave. Se c'è qualcosa da imputare al policlinico è forse il fatto di avere aspettato tre settimane prima di attivare il programma di controlli e richiamare i bambini in ospedale. Se è vero che ci sono stati contagi anche nei piccoli nati a gennaio, non si sa se agli inizi o alla fine del mese comunque, secondo me, bisognerebbe fare i test anche ai bambini nati a dicembre e novembre 2010. E non solo. Il test quantiferon che ha una certezza del 95 per cento non è stato sperimentato sui bimbi al di sotto dei cinque anni. Potrebbe esserci un buon 20 per cento di falsi negativi. Per cui sarebbe necessario riproporre a distanza di qualche mese un controllo a tutti i negativi».
al 3 settembre 2011 risultano 115, su 1.266 risultati pervenuti, i bambini positivi al test della tubercolosi, di cui uno nato il 27 luglio 2011, due giorni dopo l'allontanamento dell'infermiera malata;
molti genitori dei piccoli nati nel periodo sotto esame, come riportato e documentato da interviste apparse sui diversi mezzi di informazione, hanno protestato per non essere stati avvertiti tempestivamente dall'ospedale; alcuni di loro, nonostante i figli fossero inseriti nella lista dei bambini «a rischio», non hanno ricevuto alcuna chiamata da parte della asl ed hanno scoperto di dover sottoporre il figlio al test di controllo solo perché si sono attivati autonomamente, dovendo altresì superare resistenze, silenzi ed omissioni da parte del personale dell'ospedale;
il 2 settembre 2011, con una nota ufficiale, il policlinico Gemelli ha preso posizione sul caso Tbc sottolineando che: «In piena serenità d'animo e con fermezza il Policlinico respinge l'accusa di "aver mentito". Da parte del Gemelli non vi è stata, mai, alcuna menzogna ai genitori, di cui ogni lavoratore del Policlinico sinceramente comprende e condivide ansie e motivi di disagio»;
il 5 settembre 2011 si è avuta notizia delle prime iscrizioni sul registro degli indagati in relazione alla vicenda: la procura sembra ipotizzare il reato di epidemia colposa e omissione di atti d'ufficio, per i mancati, o insufficienti, controlli;
a fronte delle minimizzazioni circa i rischi effettivi e delle rassicurazioni fornite inizialmente dagli stessi vertici del Gemelli sta, invece, lentamente emergendo una situazione estremamente preoccupante e confusa, che va assolutamente chiarita - anche al fine di valutare eventuali responsabilità - in quanto è in gioco la salute pubblica -:
se non ritenga opportuno, per quanto di sua competenza, fornire ulteriori elementi utili a ricostruire quanto sia effettivamente accaduto al policlinico Gemelli e chiarire se la stessa struttura sanitaria abbia attivato, in maniera tempestiva ed adeguata, tutte le procedure di sicurezza previste dalla normativa vigente in materia nonché le eventuali misure necessarie per garantire l'incolumità dei pazienti.
(3-01805)

BALDELLI e DI VIRGILIO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
dopo che un'infermiera del reparto di neonatologia dell'ospedale Gemelli di Roma ha scoperto di essere tubercolotica sono scattati i «controlli preventivi» sui bambini nati nella struttura;
allo stato attuale i casi accertati di positività al test della tubercolosi sono 122 su 1415 risultati pervenuti, con una media dell'8,6 per cento;
l'unità di coordinamento della regione Lazio, chiamata a gestire l'attività di controllo sui nati al policlinico Gemelli, attraverso i suoi esperti, ha ricordato che la positività al test esprime solo l'avvenuto contatto con il bacillo;
la profilassi, definita anche dalle linee guida internazionali, evita il rischio di sviluppare la malattia a seguito dell'avvenuto contatto con il microbatterio e, secondo le informazioni provenienti dall'unità

di coordinamento, tra i neonati risultati positivi fino ad oggi e sottoposti agli ulteriori controlli nessuno è risultato ammalato di tubercolosi --:
quali siano le iniziative intraprese dal Ministero della salute in merito alla vicenda descritta in premessa e quali quelle per tutelare la salute dei cittadini ed in particolare delle fasce più deboli, onde evitare che simili situazioni si ripetano anche in futuro.
(3-01806)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
tutte le persone non autosufficienti e tutti coloro che sono affetti da gravi malattie altamente invalidanti attendono provvedimenti concreti;
con riferimento alle risorse destinate alla liquidazione del 5 per mille nel 2011, il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 26 febbraio 2011 prevede che una quota fino a 100 milioni di euro è destinata ad interventi in tema di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) per la ricerca e assistenza domiciliare dei malati;
la disposizione citata riconosce un generico contributo, ma senza esplicitare quanto andrà alla ricerca e quanto all'assistenza diretta, ossia alle persone, con il conseguente rischio che alle famiglie arriverà un contributo troppo esiguo o inesistente;
non viene specificata l'esatta indicazione delle modalità e dei tempi con cui verranno amministrati ed erogati i fondi -:
se sia intenzione prevedere e approvare un piano concreto per la gestione efficace ed efficiente del fondo messo a disposizione nel decreto «milleproroghe» (decreto-legge n. 225 del 2010) al fine di una celere distribuzione del contributo stanziato;
se si intenda destinare integralmente gran parte dei 100 milioni di euro previsti alle famiglie, prevedendo che ogni spesa accessoria o amministrativa sia a carico delle regioni che ricevono quota parte del finanziamento.
(5-05269)

ZAZZERA. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
indagini tecnico-scientifiche dicono che la città di Brindisi è tra le più inquinate dalle emissioni elettromagnetiche; sono state censite 120 stazioni radio base ma tutto questo non sembra aver frenato la proliferazione di altri apparati;
in particolare, in via Pola, quartiere Cappuccini, la stazione radio base della Telecom ha provocato forti proteste da parte dei residenti. Sempre in via Pola sono peraltro allocate anche le antenne di Wind e di Vodafone;
il comune di Brindisi, peraltro, non si è ancora dotato di un regolamento che limiti le attivazioni apparati radio base;
la suddetta struttura, installata nel 2007, è costituita da tre elementi funzionanti due dei quali non conformi alle autorizzazioni prescritte dall'Arpa Puglia che prevedeva un solo impianto in direzione 240o nord;
l'apparato, inoltre, si trova accanto ad abitazioni, scuole e luoghi di ritrovo, per questo i cittadini hanno depositato un esposto in procura chiedendone l'immediata rimozione;
la difficoltà nell'accertare il nesso causale tra l'inquinamento elettromagnetico e i danni alla salute ha portato all'archiviazione dell'inchiesta, nonostante di fatto, in quell'area della città successivamente

all'installazione delle antenne, si registri un incremento di tumori, leucemie e disturbi fisici;
anche la polizia municipale ha presentato un verbale sui ripetitori, mentre il comandante Teodoro Nigro ha depositato un esposto direttamente al settore ecologia e urbanistica del comune, con cui ha chiesto di adottare una diffida nei confronti della Telecom finalizzata alla rimozione delle antenne;
finalmente, dopo due anni, il dirigente dell'ufficio urbanistica del comune ha emesso un'ordinanza di rimozione dell'impianto, con l'immensa gioia dei residenti soddisfatti per la «grande vittoria» (la Gazzetta del Mezzogiorno del 18 febbraio 2009);
la Telecom tuttavia ha rimosso nulla, anzi si è rivolta al Tar che ha accolto l'istanza cautelare della società di telefonia;
perciò l'ordinanza di rimozione è sospesa, i cittadini sconcertati si sentono abbandonati dalle istituzioni e sottoposti al quotidiano rischio di ammalarsi gravemente;
ad avviso dell'interrogante quanto accaduto a Brindisi viola il generale principio di precauzione per il quale, nonostante sia difficile stabilire un nesso tra l'elettrosmog e i danni alla salute, è opportuno limitare la concentrazione di impianti radioattivi in un unico territorio;
inoltre, la procura dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), organismo dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha recentemente confermato che le onde elettromagnetiche potrebbero causare il cancro negli esseri umani -:
di quali dati scientifici disponga il Governo in merito alla connessione tra la presenza delle antenne per telefonia mobile e l'accertamento di malattie neoplastiche e leucemie, soprattutto nella zona di Brindisi dove sono state installate le stazioni radio base.
(5-05275)

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il bimestrale dell'Associazione Luca Coscioni «Agenda Coscioni» nel suo numero di agosto 2011 ha pubblicato una lettera firmata «Roberta», dal titolo: «Fumo canapa per non soffrire, ma lo stato me lo vieta»;
nella citata lettera Roberta racconta di essere affetta da quattordici anni «da una patologia autoimmune degenerativa, probabile "sindrome di sjogren", che rientra nella fascia delle "malattie rare"»;
i primi anni dalla scoperta della malattia sono stati molto duri: il gonfiore agli arti paralizzava la donna che pativa anche forti dolori neuropatici in tutte le parti del corpo: «Al mattino appena sveglia mi sentivo come se mi avessero preso a calci tutta la notte. E poi avevo mille altri sintomi davvero inspiegabili che si trascinano dietro queste cosiddette "malattie rare". Così iniziai a girare in cerca di una diagnosi e una cura, e in molti non capirono più di tanto, ma mi prescrivevano cortisone ad alti dosaggi che io testardamente e rischiosamente rifiutavo, vista l'ipersensibilità al problema stesso e vista la mia giovane età»;
nel corso dei vari tentativi di trovare un rimedio almeno calmante, la signora Roberta racconta di aver occasionalmente fumato canapa «che allora credevo avesse solo un effetto distensivo, lontana dal pensare che se non stavo più finendo all'ospedale era grazie a lei, e che la soluzione stava tra le mie mani (magari soluzione proprio no, ma il tenore della qualità della vita è molto più alto). Una mia amica dottoressa un giorno mi fece capire che a me avrebbe fatto bene la marijuana ma senza fornirmi troppi perché»;

dopo aver effettuato alcune ricerche empiriche la signora Roberta scopre che la canapa «è un immunoregolatore che abbassa le infiammazioni dell'80 per cento, è praticamente un cortisone naturale a zero effetti collaterali che non provoca la morte. Così iniziai ad abbassare i livelli di Plaquenil e ad alzare quelli della canapa naturale sativa. Risultato: per dieci anni non sono più entrata in ospedale con valori del sangue tollerabili rispetto alla gravità della malattia»;
sempre secondo il racconto della signora Roberta un giorno «bussano alla porta i carabinieri, trovandomi trenta grammi di canapa e nonostante dichiarassi che per me era un farmaco, lo misero sotto sequestro privandomene! Nei mesi a seguire l'autoimmunità ha avuto spazio per riprendere il suo gioco ed ora sto rischiando una protesi a una gamba a soli 36 anni per colpa dell'artrite»;
è amara la conclusione della signora Roberta: «In uno stato dove si pensa alla tolleranza zero al posto che all'umanità nel capire chi si ha di fronte, uno stato che pretende credibilità ma non ne dà a chi soffre, dico con tutti i problemi che affliggono il nostro pianeta questo dovrebbe essere il più facile da risolvere, si tratta di un gesto semplice, ragionevole ed umano e cioè restituire la canapa alla terra e a chi soffre» -:
se non ritenga di assumere iniziative, anche normative, affinché in casi come quelli della signora Roberta l'uso della canapa possa essere consentito senza che questo comporti delle conseguenze di ordine penale o l'intervento della forza pubblica;
se sia a conoscenza di casi analoghi a quelli della signora Roberta, e in caso contrario, se non si ritenga necessario e urgente almeno predisporre una mappatura, in modo da poter avere una cognizione esatta del fenomeno.
(4-13006)

JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in Italia ogni anno oltre 38 mila donne si ammalano di tumore al seno, circa una su dieci. Più dell'80 per cento dei casi riguarda persone che hanno superato i 50 anni. Un gruppo di ricercatori italiani ha studiato una tecnica, volta a proteggere le ovaie dai farmaci antitumorali per tutelare la fertilità di una donna dopo un tumore al seno, che lascia sperare le pazienti colpite da questa malattia. Lo studio, pubblicato su Jama, è stato coordinato dall'Istituto dei tumori di Genova. «Il cancro della mammella colpisce sempre più giovani: sei volte su 100 hanno meno di 40 anni - afferma nell'articolo Lucia Del Mastro, coordinatrice della ricerca dell'Ist di Genova -. Ogni anno solo in Italia sono 2.300 i casi precoci, per questo è prioritario salvaguardare la possibilità di queste donne di diventare madri». La tecnica messa a punto dai ricercatori prevede la somministrazione di un farmaco che simula l'azione di un ormone, l'Lhrh, in grado di interferire con l'attività delle ovaie. In questo modo si crea una «gabbia» che protegge i follicoli. In altre parole, secondo gli studiosi, è come se si mettessero le ovaie «al riparo» dalla chemioterapia, preservando così la funzione riproduttiva e riducendo, anche se non eliminando del tutto, i danni provocati dai farmaci antitumorali; questo consente anche di evitare la menopausa precoce: una realtà per circa quattro pazienti su dieci;
lo studio è stato condotto dal 2003 al 2008 su 281 donne in 16 centri aderenti al Gruppo italiano mammella (Gim). La tecnica messa a punto dall'Ist, spiega Marco Venturini, presidente Aiom e fra gli autori della ricerca, «consiste nella somministrazione della triptorelina, un ormone analogo all'Lhrh, che per sua natura agisce "proteggendo" i tessuti che proliferano rapidamente». Nel gruppo di pazienti trattato, l'8,9 per cento è andato incontro a menopausa precoce rispetto al 25,9 per cento di chi aveva ricevuto le cure standard, con una differenza assoluta del 17 per cento. Non solo quindi la tecnica

funziona ma, aggiunge Lucia Del Mastro, «i dati oggi disponibili non hanno indicato alcun effetto negativo sull'efficacia della chemioterapia». «Il ciclo mestruale salta nel 40 per cento di casi di donne sottoposte a chemioterapia, perché nel corso della cura i follicoli dell'ovaio vengono distrutti - spiega Del Mastro -. Utilizzando questo farmaco innovativo prima della chemioterapia, riusciamo a proteggere le ovaie e i follicoli rimangono intatti. Abbiamo applicato questa tecnica anche nei casi di tumori ormonosensibili e si è dimostrata efficace. È chiaro però che in questi casi, dopo la chemioterapia sono necessari cinque anni di terapie antitumorali. Per questo motivo l'eventuale tentativo di avere una gravidanza va rimandato»;
i ricercatori hanno verificato che bloccando le mestruazioni si fermano gli effetti collaterali della chemioterapia, mentre senza questa terapia il danno alla funzione ovarica resta. Questo risultato, dice Venturini «è importante non solo sul fronte della salvaguardia della fertilità della donna colpita da cancro dopo la chemioterapia, ma che ha delle implicazioni molto forti anche sulla problematica della menopausa precoce». La tecnica, ribattezzata «blocca-ovaie», migliora anche la qualità di vita della donna, evitandole i disturbi connessi alla menopausa. «Addormentare le ovaie non preserva al 100 per cento la fertilità», aggiunge Venturini, ma comunque «aumenta le possibilità di avere mestruazioni normali dopo le cure antitumorali». Possibilità che variano in base a diversi fattori, dal tipo di chemioterapia all'età della paziente. «La somministrazione dell'analogo dell'ormone Lhrh, almeno in donne con tumore alla mammella, potrebbe diventare uno standard - conclude Venturini - ed essere utilizzata subito dagli oncologi per tutte le donne che vogliono ridurre il rischio di una menopausa precoce indotta dalla chemioterapia»;
questa scoperta apre speranze per salvare la fertilità della donna, ma i ricercatori aspettano ulteriori conferme da nuovi test. «La tecnica può essere utile per prevenire la menopausa precoce. La prevenzione della menopausa è ovviamente condizione necessaria per la potenziale fertilità - conclude Del Mastro -. Ad oggi noi abbiamo osservato tre gravidanze nel gruppo di donne trattate con triptorelin e una gravidanza nel gruppo trattato con da sola. Sono necessari tempi di osservazione più lunghi per avere una risposta definitiva sulla capacità di questa tecnica di preservare anche la fertilità» -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di monitorare attentamente gli sviluppi della ricerca realizzata dall'équipe coordinata dalla dottoressa Lucia Del Mastro;
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di avviare una fase di protocollo e di sperimentazione, a livello nazionale, della cura studiata dai ricercatori dell'Istituto di tumori di Genova, una volta accertati gli esiti positivi della metodologia di lavoro in esame.
(4-13017)

JANNONE. - Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo l'Istituto di ricerche economiche per la pesca e l'acquacoltura, nel 2010 in Italia sono state commercializzate 900 mila tonnellate di pesce per un ricavo di circa 1.167 milioni di euro. Di queste solo 231 mila sono state pescate nel mare nostrum. Tutto il resto viene importato dall'estero, con scarsa qualità e senza tracciabilità del prodotto. Dall'indagine emerge che il pesce venduto, da Palermo a Milano, proviene nella maggior parte dei casi dal Mozambico, dal Vietnam o dal Mekong, un fiume che si trova tra la Thailandia e il Laos. Oggi in Italia la pesca è uno dei settori più aggrediti dalle importazioni selvagge dall'estero, in particolare dai Paesi asiatici. E soprattutto dalla sofisticazione alimentare. «Due terzi del pesce servito sulle tavole italiane non è

nostrano» denuncia la Coldiretti. Organismi internazionali del settore, come Nef e Ocean2012, denunciano che «dal primo maggio tutto quello che arriva sulle tavole italiane non è prodotto italiano». Per capire l'entità del fenomeno forse occorre ricordare che lo scorso anno, secondo l'Irepa - l'Istituto di ricerche economiche per la pesca e l'acquacoltura, in Italia sono state commercializzate circa 900mila tonnellate di pesce per un ricavo di circa 1.167 milioni di euro; di tutto il pesce messo in commercio, soltanto 231.109 tonnellate erano state pescate nel mare italiano. Un terzo, tutto il resto arriva dall'estero. Il problema è che molto spesso, anzi quasi sempre denunciano le associazioni di categoria e confermano le forze di polizia che da Milano a Palermo continuano con sequestri e ad aprire inchieste, il pesce che arriva dall'estero non è di buona qualità. Spesso è pericoloso perché non tracciato e non tracciabile. E soprattutto viene venduto per quello che non è;
durante un'operazione investigativa, gli uomini della capitaneria di porto di Mazara, sulle bancarelle della marina più grande d'Italia, hanno trovato i gamberetti rossi che arrivavano direttamente dal Mozambico; nonostante questo spacciati dai pescatori per «italianissimi». A Gallipoli, invece, la Guardia di finanza in mezzo al mercato del pesce all'interno del porto - meta di pellegrinaggi di turisti da tutta Italia per il folklore e la poesia dei pescatori che rientrano in porto dopo una giornata in mare e vendono il prodotto appena tirato su con le reti - ha sequestrato una bancarella che vendeva esclusivamente pesce che aveva di fresco soltanto alici e sarde fresche, i prodotti che costano di meno. Tra i falsi più diffusi c'è il pangasio, un pesce pescato nel Mekong, un fiume che si trova tra la Thailandia e il Lagos, che viene abitualmente venduto come fosse un filetto di cernia. Oppure nelle fritture servite nei ristoranti nostrani, il polpo non è del Mediterraneo ma arriva direttamente dal Vietnam. Frequente anche il caso del merluzzo fresco, o del presunto tale: dicono i sequestri dei Nas che spesso si tratta di pollak stagionato. Tra i pesci più «copiati» c'è il pesce spada, che altro non è che trancio di squalo smeriglio; oppure il caso di baccalà, in realtà filetto di brosce o del pagro fresco venduto come dentice rosa. Si registrano anche il pesce serra in luogo delle spigole, il pesce ghiaccio al posto del bianchetto, la verdesca al posto del pescespada, l'halibut atlantico al posto delle sogliole. Secondo le indagini della procura di Lecce e di Palermo «comandano» vecchi armatori che tentano di riciclarsi in qualche modo. Non sono immuni da infiltrazioni criminali che approfittano dei prezzi convenienti: il pesce non italiano costa fino a otto volte meno dell'originale. E nei ristoranti tre volte su quattro quello che si ordina viene dall'estero;
Mauro Manca, presidente dell'Associazione Acquacoltori, la parte che si occupa di pesca della Coldiretti, spiega che sicuramente tutto questo non avvantaggia i pescatori italiani: «basti ricordare che nel giro di due anni il settore ha perso il 12 per cento della produzione e l'11 per cento dei ricavi e che nei primi mesi dell'anno la quota di importazione continua a salire in maniera importante». Numeri che implicano automaticamente anche il crollo della professione propria di pescatore. Secondo il centro studi Lega Pesca sono rimasti solo 28.542 pescatori, il 61,4 per cento concentrato nelle regioni meridionali e insulari. L'età media generale oscilla tra i 41 e 43 anni solo grazie all'ingresso di giovani immigrati. Gli affari sono unicamente nelle mani degli importatori, i veri padroni della pesca in questo momento in Italia. Per comprendere quanto conviene importare il pesce dall'estero occorre rifarsi ai dati diffusi dalla Guardia di finanza, secondo i quali il costo del pesce importato è sino a otto volte inferiore rispetto all'originale. Il caso più eclatante è probabilmente quello dello squalo smeriglio, il cui prezzo di acquisto in fattura era di 2,50 euro al chilogrammo (difficilmente viene commerciato in quanto poco richiesto dal consumatore), ma che in realtà veniva venduto come pesce spada fresco a 19 euro. In questo tipo di business un ruolo di particolare

importanza - continua Manca - è quello della ristorazione che, forte di un dato statistico che attesta nel 75 per cento circa il consumo extra domestico di prodotti ittici, deve garantire anch'essa un livello accettabile di trasparenza nei confronti del consumatore, in modo da favorire ancora una volta la scelta consapevole di un prodotto italiano, rispetto ad uno di provenienza estera, elemento a oggi non garantito nella maggioranza dei casi»;
«Con tre piatti di pesce su quattro che vengono dall'estero all'insaputa dei consumatori occorre mettere in campo delle iniziative capaci di riportare sulle tavole il prodotto Made in Italy che è sicuramente più sano e gustoso degli ormai onnipresenti gamberetti asiatici o del famigerato pangasio» spiega Tonino Giardini, imprenditore marchigiano e presidente di Impresa Pesca Coldiretti. L'Agenzia di sicurezza alimentare dell'Unione europea ha segnalato la presenza di batteri in molte specie di pesci, la cui lista è molto lunga, il pescato diventa così un rischio perché tossico. Per questo l'importazione del pesce straniero non lede soltanto l'economia. Il quadro tracciato nelle scorse settimane dal Rasff (rapid alert system for food and feed), l'agenzia di sicurezza alimentare dell'Unione europea, non è affatto tranquillizzante. Nella relazione viene segnalato come siano stati trovati batteri in molluschi italiani, cadmio in calamari congelati che arrivavano dalla Spagna, salmonella brunei in cocktail di gamberi congelato proveniente dal Bangladesh e confezionato in Italia, infestazione da larve di nematodi in nasello congelato dalla Spagna, mercurio in filetti congelati di squalo blu e pesce spada sotto vuoto dalla Spagna; tutte queste varietà arrivano contaminate nelle tavole italiane. A preoccupare gli esperti c'è poi in particolare il pesce che arriva dal Vietnam, dove peraltro è permesso un trattamento per il pesce con antibiotici che in Europa è messo al bando in quanto pericoloso per la salute. Il rischio, tuttavia, non è soltanto quello dell'importazione. Uno dei problemi arriva dall'utilizzo massiccio di alcuni additivi chimici che i pescatori usano per «rinfrescare» il pesce: in sostanza viene passato per dare più lucentezza al prodotto non fresco. Il professor Gagliano Candela, tossicologo, docente universitario e consulente di decine di procure italiane, ha raccontato agli inquirenti la sua esperienza: «Avevo comprato il tonno, come prodotto freschissimo, in una pescheria. Per caso ho spento la luce in cucina e il mio tonno è diventato fluorescente. L'effetto è dovuto - spiega - a un additivo che viene utilizzato per sbiancare il pesce e renderlo brillante. Il principio è lo stesso utilizzato per i detersivi delle camice, quelli che restituiscono brillantezza ai colori». Uno degli additivi più utilizzati, nonostante sia vietato in Italia, è il cafodos. I carabinieri del Nas lo sequestrano in continuazione in tutta Italia. Di per sé non è molto tossico, ma può provocare danni di un certo rilievo a chi lo mangia;
«Il pesce - spiega il professor Alberto Mantovani, tossicologo del dipartimento di sanità alimentare e animale dell'Istituto superiore di sanità - e in particolare alcune specie come il pesce azzurro o il tonno, rilascia istamina in quantità sempre maggiori con il tempo. Mangiando quindi pesce vecchio si ingeriscono alte quantità di istamina che possono provocare un avvelenamento acuto. I rischi sono quelli di un'allergia violenta - continua - o di problemi più gravi per un certo tipo di pazienti, come per esempio i cardiopatici». Proprio a Bari, sono finite in ospedale una decina di persone dopo aver mangiato alici al cafodos. E un'altra inchiesta è partita in seguito alla denuncia di un allergico che ha avuto una crisi per colpa di pesce azzurro ormai vecchio. «I nostri pescatori il pesce lo porterebbero volentieri a terra» osserva Ettore Ianì, presidente di Legapesca. «Ma il problema è che nessuno lo compra: costa troppo, ha dimensioni ridotte. Insomma non è concorrenziale con il prodotto importato dall'estero» -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare, con la collaborazione dell'Agenzia per la sicurezza alimentare dell'Unione europea, al fine di stilare un protocollo di

tracciabilità per il pesce pescato, importato e venduto in Italia;
quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di inasprire le sanzioni nei confronti di coloro che importano pesce estero in Italia, rivendendolo come merce nostrana.
(4-13019)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la signora Grazia Vernuccio, in vacanza con il marito a Santa Maria del Focallo, vicino Ragusa, il 20 agosto 2011 è spirata tra le braccia del marito, dopo un'ora dopo essersi recata alla guardia medica, dove l'avevano lasciata andare con la prescrizione di un antispastico per i dolori che avvertiva allo stomaco;
secondo le prime notizie disponibili la signora Vernuccio, accusando fitte allo stomaco si era recata presso la guardia medica; il medico di turno - forse dopo una elettrocardiogramma risultato negativo - le avrebbe prescritto un antispastico per fermare i dolori; un'ora dopo essere tornata a casa la donna è deceduta e la diagnosi parla di arresto cardiocircolatorio; il marito della signora Vernuccio, certamente in conseguenza dell'accaduto, è rimasto vittima di un infarto -:
quale sia l'esatta dinamica della vicenda;
quali iniziative di competenza si intendano adottare e promuovere in ordine a quanto sopra esposto.
(4-13024)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
dal 14 luglio 2010 presso il terminal del porto di Voltri giace un container proveniente da Jeddah in Arabia Saudita;
detto container ufficialmente conterrebbe materiali ferrosi;
detto container, quando è transitato dinanzi agli strumenti di controllo del terminal dedicati alla ricerca di materiali radioattivi, avrebbe rivelato la presenza di notevoli quantità di cobalto 60;
detto container è stato isolato al centro del VI modulo del terminal, circondato da una barriera di altri contenitori pieni di acqua e di cemento, ma anche a poche centinaia di metri in linea d'aria dalle abitazioni del quartiere di Voltri;
detto container inizialmente doveva essere rispedito in Arabia Saudita; successivamente smaltito in un sito specializzato in Germania;
si è infine ipotizzata la messa in sicurezza sul posto, con l'ausilio di un robot che però non era mai stato utilizzato in precedenza per casi analoghi;
detto container, dopo innumerevoli vertici, summit, riunioni tecniche e commissioni ristrette risulta giacere ancora al centro del VI modulo del terminal del porto;
cittadinanza e portuali hanno ripetutamente espresso la loro preoccupazione per l'inquietante e rischiosa presenza del container, che sta arrugginendo con il suo carico;
il presidente dell'autorità portuale dottor Luigi Merlo ha denunciato ripetutamente la situazione che si è venuta a creare, chiedendo un intervento urgente da parte delle autorità costituite -:
se quanto sopra esposto corrisponda a verità;
per quale ragione a distanza di tanto tempo non si sia provveduto a rimuovere il container in questione e per responsabilità di chi il container ancora non è stato rimosso;
se sia vero che la bonifica non sia ancora stata avviata a causa degli alti costi della stessa;

quali iniziative urgenti si intendono promuovere, sollecitare, adottare a garanzia della salute delle popolazioni del quartiere di Voltri.
(4-13031)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riferito in un articolo pubblicato dal quotidiano Il Messaggero del 18 agosto a firma Michele di Branco, si apprende che dai calcoli fatti dal Politecnico di Milano attraverso una analisi certosina regione per regione lo sperpero ospedaliero dei medicinali nel nostro Paese vale 2 miliardi di euro l'anno; la spesa farmaceutica ospedaliera, come risulta dai dati Aifa, è stata pari a 4,2 miliardi nel 2010, vale a dire 1,7 miliardi in più del tetto di legge, fissato a quota 2,5 miliardi con la metà di questa spesa che viene letteralmente sprecata, poiché vengono dimenticati nei magazzini, lasciati scadere nei frigoriferi, distribuiti a pioggia ai pazienti, o prescritti e non più utilizzati, oppure non consumati da malati ormai guariti che «si dimenticano» di restituirli;
secondo una stima dell'Adoc ogni italiano (che secondo i dati Osmed spende in media 450 euro l'anno in medicinali), butta via 80 euro solo a causa delle confezioni non conformi alla terapia prevista. Inoltre molti medicinali finiscono comunque nel cestino anche perché ad esempio, alcuni beccucci dei flaconi e degli spray non consentono l'utilizzo del 20 per cento del prodotto costringendo il malato ad acquistare una seconda scatola del farmaco; inoltre, sempre secondo l'Adoc, la scadenza media di un prodotto, negli ultimi anni, è passata dai 2 anni e 6 mesi a un anno al massimo obbligando all'acquisto forzato di più confezioni destinate alla cura di patologie non croniche; se nel 2010 la spesa farmaceutica si è fermata a quota 109, secondo le stime della Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale la spesa sanitaria, nel 2014, arriverà a superare i 120 miliardi di euro -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero;
quali misure generali si intendano promuovere per razionalizzare acquisto e distribuzione dei farmaci ospedalieri oltre che per il recupero delle medicine distribuite ai pazienti.
(4-13034)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la vicenda dell'infermiera del policlinico Gemelli di Roma affetta (a sua insaputa) di Tbc, ha legittimamente suscitato sconcerto e preoccupazione tra le famiglie dei numerosi bambini ricoverati nella struttura;
risulta obbligatoria la vaccinazione antitubercolare per il personale sanitario, compresi gli studenti in medicina e gli allievi infermieri, così come per tutti coloro che lavorano in ambienti sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti;
a prevedere la vaccinazione antitubercolare sono le linee guida del Ministero della salute emanate nel 2009;
la vaccinazione antitubercolare (BCG) viene prescritta come obbligatoria dalla legge 14 dicembre 1970 n. 1008, per il personale medico ed infermieristico, per le persone conviventi con soggetti affetti da tubercolosi, per i ragazzi di età di compresa tra 5 e 15 anni residenti in zone depresse ad elevata morbosità tubercolare (indice tubercolinico maggiore del 5 per cento nei bambini di 6 anni), per le reclute all'atto dell'arruolamento;
il successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 465 del 7 novembre 2001, successivamente ha stabilito che la vaccinazione antitubercolare è ora obbligatoria soltanto per il personale sanitario,

gli studenti in medicina, gli allievi infermieri e chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo, operi in ambienti sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multifarmacoresistenti, oppure che operi in ambienti ad alto rischio e non possa essere sottoposto a terapia preventiva, perché presenta controindicazioni cliniche all'uso di farmaci specifici;
detto obbligo risulterebbe tale solo sulla carta. Come ha dichiarato il professor Fabrizio Pregliasco dell'Istituto di virologia dell'università degli Studi di Milano, «è desueta e da aggiornare», e risulterebbe, di fatto «non è rispettata dalla quasi totalità dei sanitari che oramai preferiscono, per una serie di valutazioni scientifiche, fare prevenzione solo con i controlli periodici», in quanto «il vaccino a disposizione è vecchio e la protezione in caso di contatto con il bacillo è bassa. Inoltre una volta vaccinati è possibile che i test di controllo diano falsi positivi. Insomma una situazione che dal punto di vista medico porta a preferire di non vaccinarsi, in attesa dei nuovi vaccini ancora in fase di sperimentazione, più efficaci»;
risulterebbe quindi che a vaccinarsi siano in pochissimi, quasi esclusivamente i sanitari che lavorano nei reparti di malattie infettive dove ci sono appunto coloro che si sono ammalati di tubercolosi;
da oltre ottant'anni l'unico vaccino antitubercolare esistente è un vaccino vivo attenuato, il Bcg (bacillo di Calmette-Guerin), che pur proteggendo nei primi 5-10 anni di vita non è efficace nel periodo successivo, né per la prevenzione della malattia né per l'interruzione della trasmissione della Tbc nella popolazione -:
se quanto sopra esposto ed evidenziato risulti corrispondere a verità, e in particolare se sia vero che l'obbligo di vaccinazione previsto per legge sia largamente disatteso;
quali iniziative si intendono adottare, sollecitare, promuovere a fronte di quanto accaduto e della situazione sopra descritta;
in particolare se non si ritenga opportuno e necessario accogliere l'invito della presidente dell'Associazione medici di origine straniera in Italia, dottoressa Foad Aodi, di ripristinare la Commissione salute e immigrazione del Ministero della salute, formata da esperti del settore e il cui lavoro era stato apprezzato dallo stesso Ministero;
se non si ritenga inoltre di assumere le iniziative di competenza dirette a intensificare la rete degli ambulatori dedicati ai cittadini stranieri senza permesso di soggiorno, e che siano istituite apposite consulte su sanità e immigrazione.
(4-13050)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 15 agosto 2011, il «TG2» nella sua edizione delle 20,30 ha trasmesso un reportage dell'inviato Valerio Castaldi, nel quale si documenta, con interviste e immagini, quello che non è esagerato definire un vero e proprio scandalo, a proposito dell'ospedale di Gerace, in Calabria, mai aperto, mai funzionante;
detta struttura è, come documentato dal servizio televisivo l'ennesima opera incompiuta della sanità calabra: i lavori, infatti, sono cominciati nel 1987, per poi essere interrotti a metà degli anni Novanta; all'epoca erano stati già spesi 5 milioni di euro, l'ospedale era praticamente ultimato, al punto che nel 1996 sono stati collaudati tutti gli impianti, perfino quello fotovoltaico; venne commissionata pure una targa dedicata al cittadino illustre, un botanico, che avrebbe dato il nome al nosocomio. Quasi 15 anni dopo, quella lastra di marmo campeggia all'entrata. Recita: «Ospedale Filippo Fimognari, geracese». La targa è in buone condizioni, solo un po' impolverata. Così come le cucine al piano terra e tutti i macchinari della lavanderia. Anche l'impianto fotovoltaico sembra resistere al tempo. Avrebbe fatto risparmiare un sacco

di soldi. Ma la sfilza di pannelli piazzati sui tetti non ha mai prodotto un chilowatt. In compenso, è diventata il simbolo di uno sperpero di 5 milioni di euro;
vi sono altri casi di strutture sanitarie mai utilizzate e costituiscono uno scandaloso sperpero di denaro pubblico. Gli interroganti, con apposite interrogazioni, hanno infatti segnalato con interrogazione del 3 agosto 2010 n. 4-08324, hanno segnalato il caso dell'ospedale di Lentini, i cui lavori, cominciati nel 1995, non risultano ancora terminati: resterebbero da completare le sale operatorie e da arredare e attrezzare tutta la struttura. Gare d'appalto hanno avuto una storia infinita: sospese per 18 mesi dopo un ricorso al Tar, la parziale attivazione sarebbe dovuta arrivare a mesi. Sono passati, invece, oltre dieci anni. Durante i quali nessun paziente è entrato in corsia. I soli che lo hanno fatto erano attori, perché l'unico utilizzo l'ospedale di Lentini l'ha avuto come set cinematografico: vi hanno girato «Le ultime 56 ore», con Raoul Bova, un film sui militari italiani morti per l'uranio impoverito;
con interrogazione del 3 agosto 2010 n. 4-08325 gli interroganti hanno anche segnalato il caso dell'ospedale di Rosarno in provincia di Reggio Calabria: il primo finanziamento fu dato 43 anni fa dalla Cassa per il Mezzogiorno: 346 milioni di lire; nel 1967 i cantieri vennero inaugurati. Per completare i lavori sono occorsi ben 24 anni. Altri 19 invece sono serviti a ridurlo nello stato attuale, letteralmente un letamaio: risulta essere stata razziata ed asportata abusivamente ogni infrastruttura possibile, persino gli ascensori, le ringhiere delle scale e le vasche incassate nella muratura; un anno fa il sindaco di Rosarno, dottor Gianfranco Saccomanno raccontò di aver tentato in ogni modo di far pressioni perché l'ospedale venisse utilizzato almeno in parte: «Nessuno mi ha mai dato ascolto»;
con interrogazione del 3 agosto 2010 n. 4-08326 gli interroganti hanno anche segnalato il caso dell'ospedale di Pogerola, ad Amalfi: quattro piani di stanze, in parte abbandonate, cucine, sale operatorie, tutto nel più totale degrado; la rampa d'accesso al pronto soccorso risulta essere così stretta che le ambulanze non ci possono passare; la struttura risale al 1952 e ha subito tanti lavori di ristrutturazione (l'ultimo nel 1992) ma non è mai stata aperta;
con interrogazione del 3 agosto 2010 n. 4-08327 il caso dell'ospedale di San Bartolomeo in Galdo, in provincia di Benevento, che appare essere l'opera incompiuta più vecchia d'Italia. I lavori, infatti, sono iniziati nel 1958. Nel 2008 venne perfino affissa una lapide: «Dopo 50 anni di attese, speranze, delusioni e lo sperpero di circa 24 milioni di euro, a memoria e a vergogna della incapacità politica e amministrativa dei loro rappresentanti, i cittadini posero». Quattro piani per 133 posti letto previsti, 12 mila metri quadrati attrezzati con sale di degenza complete di ossigeno e bagni funzionanti. Nelle camere i mobili imballati. Nel 2008 l'ospedale è stato cancellato dal piano sanitario nazionale e trasformato in Pronto soccorso attivo per urgenze territoriali; nel frattempo però i lavori, e lo sperpero di denaro, sono continuati -:
se sia in grado di quantificare la cifra finora spesa - meglio sarebbe dire, ad avviso degli interroganti, sperperata - per gli ospedali di Gerace, Lentini, San Bartolomeo in Galdo, Pogerola di Amalfi, Rosario;
quali iniziative di competenza del Governo si siano promosse o adottate in relazione ai casi sopra evidenziati e quali iniziative si intendano promuovere o adottare nel caso in cui nessuna iniziativa sia stata adottata e promossa e, in tal caso, quali siano le ragioni per cui non siano state adottate o promosse iniziative a fronte di vicende che giustamente costituiscono oggetto di scandalo e riprovazione da parte della pubblica opinione;
dal momento che secondo la documentazione raccolta dalla Commissione parlamentare sul sistema sanitario, sarebbero almeno 132 in sedici regioni, le

strutture sanitarie mai utilizzate, quali iniziative di competenza il Governo abbia promosso e adottato e intenda promuovere.
(4-13053)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come riferito da organi di stampa, siti web e notiziari radiotelevisivi, una bimba di undici anni, è morta il 5 agosto 2011; la piccola era ricoverata nell'ospedale siciliano di Partinico, ed è deceduta dopo l'aerosol che le era stato somministrato in seguito di una crisi respiratoria;
i genitori della bimba hanno denunciato l'episodio ai carabinieri, e in particolare il padre della bimba, secondo quanto segnalato dal sito «Tele Occidente», avrebbe raccontato che «non c'erano medici in ospedale, soltanto due infermiere»;
questo è l'ottavo neonato morto nell'arco di due anni nel nosocomio di Partinico -:
di quali elementi disponga in merito al decesso della bambina e in particolare in relazione alla presunta assenza di medici e alla presenza di solo due infermiere;
se non ritenga necessario e utile, per quanto in suo potere, acquisire ogni dato utile a conoscere lo svolgimento dei fatti, sia in merito alle eventuali criticità organizzative riscontrate, che in ordine ad iniziative amministrative, sanzionatorie e/o cautelari assunte e quali iniziative di competenza intenda adottare al riguardo, considerata la impressionante catena di decessi di neonati presso il nosocomio di Partinico.
(4-13064)

SCILIPOTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella città di Salerno, che in Campania è nota non soltanto per le bellezze paesaggistiche, ma anche per la funzionalità dei servizi pubblici, sembra si possa riscontrare qualche eventuale inefficienza del servizio sanitario, presso l'ospedale S. Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona;
l'ospedale che si definisce: «Azienda ospedaliera di rilevanza nazionale e di alta specialità» potrebbe non essere all'altezza del suo nome, se, a quanto viene riportato dalla stampa, continua ad essere protagonista di episodi di malasanità; il suo management sembrerebbe non riuscire a porvi riparo con sufficiente autorevolezza;
non mancano, in proposito, numerose interrogazioni parlamentari e denunce apparse attraverso i media;
oggi, in particolare, è lunga l'attesa al reparto ortopedico per gli interventi diretti a rimuovere le fratture e di persone in attesa da oltre otto giorni per una operazione;
numerosi continuano i casi che sono stati sottoposti all'attenzione dei media e che, sembra, spaziano tra le lunghe attese, i ritardi assistenziali, la possibile indisponibilità dei medici e delle infermiere per il ridotto numero del personale assegnato a tali compiti e la stessa tenuta in sicurezza delle strutture come, ad esempio, fili di corrente lasciati allo scoperto per mancanza di prese e che sono pericolosamente esposti nelle aree frequentate dal pubblico, bambini compresi;
ma ciò che fa più specie è la possibilità che vi possa essere una mancata disponibilità ad intervenire, tempestivamente, da parte del personale competente, per eliminare i pericoli esistenti nella struttura;
già in passato, purtroppo, per tali circostanze vi è stata una vittima: una bimba caduta nel vuoto a causa del cedimento di un'inadeguata protezione -:
quali iniziative di competenza si intendano promuovere o adottare per fare piena luce sui fatti esposti in premessa e per garantire ogni adeguata soluzione che assicuri la giusta protezione dell'utenza da

eventuali anomale carenze di sicurezza presenti nella struttura.
(4-13066)

DI BIAGIO. - Al Ministro della salute, al Ministro per i rapporti con le regioni e coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
attualmente risultano sussistere in capo alla piccola struttura ospedaliera di Venaria Reale, una cittadina di 40 mila abitanti in provincia di Torino con una forte vocazione turistica, molteplici criticità afferenti alle dinamiche di ridimensionamento e riorganizzazione della medesima struttura determinate dalle difficoltà organizzative e decisionali dell'Amministrazione locale;
la struttura ospedaliera suindicata, locata in un vecchio edificio del Centro storico della cittadina, in passato è stato un Ospedale particolarmente efficiente nonché un valido riferimento sanitario per l'intero hinterland, dotato di strutture e reparti operativi;
attualmente la struttura risulta all'interrogante depotenziata, priva di un efficiente sistema di garanzia e sostegno all'utenza cittadina e - stando al potenziale a disposizione - probabilmente non in grado di poter garantire i livelli minimi di sicurezza per gli utenti;
secondo il Piano sanitario regionale 2007-2010 la struttura attuale dell'ospedale di Venaria Reale «presenta problemi organizzativi e strutturali, che potranno essere superati attraverso una sua riconversione, ricollocandolo in una nuova sede polifunzionale che ospiterà, riqualificandoli, anche le sedi dei servizi territoriali dell'area»;
in data 26 marzo 2008 è stato firmato un protocollo d'intesa tra il Ministero della salute e la regione Piemonte per la sottoscrizione dell'Accordo di programma integrativo dell'accordo 2000, finalizzato alla «riqualificazione ed integrazione dei servizi di diagnosi e cura attraverso la realizzazione di Case della Salute e poliambulatori, l'attivazione di una rete di poli di alta complessità clinica e di una rete di ospedali del territorio di nuova edificazione, delocalizzati rispetto ai centri urbani e baricentrici rispetto ad altre strutture, alla realizzazione di interventi finalizzati all'adeguamento, umanizzazione e accreditamento dei presidi ospedalieri e sanitari esistenti ed al potenziamento dell'assistenza specialistica e diagnostica strumentale, incrementando le dotazioni tecnologiche, anche al fine di realizzare riduzioni dei tempi di attesa»;
alla luce di quanto evidenziato nel documento programmatico sugli investimenti straordinari per l'ammodernamento strutturale, tecnologico ed organizzativo del servizio sanitario regionale, nel quadro della programmazione intersettoriale della regione Piemonte, allegato al suindicato accordo, tra le risorse attivate con il medesimo e gli specifici interventi a queste collegate figura la rifunzionalizzazione del presidio ospedaliero di Venaria (Torino) mediante la realizzazione di una nuova struttura sanitaria da collocarsi nello stesso comune;
stando a quanto delineato nell'Accordo, «la decisione di realizzare una nuova struttura è dettata anche dall'impossibilità di intervenire sull'edificio esistente a causa degli insormontabili vincoli strutturali e morfologici. Peraltro dall'indagine A.Re.S.S. risulta economicamente più vantaggiosa tale soluzione rispetto alla ristrutturazione dell'attuale presidio»;
alla suindicata struttura sanitaria, in base all'Accordo, la quota destinata alle attrezzature ammonterebbe a euro 2.650.000,00, un finanziamento a carico dello Stato pari a 5.995.548,14 di euro, a cui si aggiungono le quote a carico della regione e di altri finanziatori per un importo complessivo di 15.281.900,00 euro di finanziamenti;
alla luce di quanto delineato nel suindicato Accordo, in data 22 dicembre 2009 venne definito un ulteriore Accordo di programma tra enti locali e Asl, finalizzato

alla costituzione del nuovo ospedale di distretto e poliambulatorio in una zona diversa della città di Venaria;
con l'avvento della nuova giunta regionale a partire dal marzo 2010, l'Agenzia regionale per i servizi sanitari (Aress) della regione Piemonte, annunciò l'avvio delle attività di costituzione della nuova struttura ospedaliera, ma in occasione della definizione del programma di investimenti pluriennali per l'edilizia sanitaria nel novembre 2010, l'assessorato regionale alla sanità, non ha provveduto ad annoverare la costruzione del nuovo ospedale a Venaria nell'ambito del medesimo programma, malgrado quanto indicato nel citato accordo tra il Ministero e la regione;
in queste settimane, si sono avvicendate molteplici manifestazioni di protesta contro l'amministrazione: in particolare in data 30 maggio 2011 ha avuto luogo un'importante manifestazione in difesa dell'ospedale che ha visto la partecipazione di migliaia di cittadini di Venaria, Druento e paesi vicini, bacino di utenza della struttura ospedaliera;
nel maggio 2011 un'inchiesta della procura della Repubblica di Torino ha messo in luce un ventaglio di criticità aventi come protagonista la Sanità regionale e che ha condotto all'arresto dell'assessore regionale alla sanità, indagata per turbativa d'asta. Tali dinamiche giudiziarie presumibilmente creeranno un'ulteriore impasse decisionale dell'assessorato competente nonché alle iniziative tecniche della SCR (società di committenza della regione Piemonte), tali da bloccare ogni ulteriore ipotesi di «ridefinizione» della struttura ospedaliera;
paradossalmente, malgrado quanto espressamente indicato nel citato accordo tra il Ministero e la regione, risultano invece essere stati deliberati ed effettuati impegnativi lavori di ristrutturazione delle sale operatorie della struttura ospedaliera durati circa un anno il cui costo è superiore a 1 milione di euro: investimento privo di lungimiranza organizzativa ed operativa considerando che attualmente il reparto di chirurgia della struttura è chiuso, rendendo sostanzialmente vano ogni precedente progetto di intervento e modernizzazione;
ne emerge, secondo l'interrogante, una gestione incoerente e poco programmatica dei fondi destinati dallo Stato alla regione Piemonte sul versante delle politiche sanitarie;
l'assenza di un piano chiaro di riqualificazione della struttura o di declassamento della stessa, malgrado le precise indicazioni evidenziate nel citato accordo del 2008, legittima la sussistenza di un impasse amministrativa che penalizza drammaticamente il servizio all'utenza e nel contempo comporta un deprecabile spreco di risorse pubbliche causato da una evidente quanto biasimevole inconcludenza decisionale dell'Amministrazione e delle autorità competenti;
le risorse destinate dallo Stato alle regioni per il Servizio sanitario nazionale devono necessariamente configurarsi in specifici e fattivi servizi sanitari esorcizzando ogni ipotesi di dispersione delle stesse nei bilanci regionali;
stando a quanto evidenziato dal Piano sanitario nazionale (PSN) 2011 la riconversione dei piccoli ospedali «gioca un ruolo fondamentale nella creazione della rete ospedaliera e nel potenziamento della risposta territoriale»;
alla luce di quanto tracciato nel suindicato Piano, sul fronte dei piccoli ospedali è opportuno accompagnare «gli interventi di ristrutturazione con azioni di potenziamento e riorganizzazione dei servizi territoriali, in modo da garantire che la rete di assistenza sanitaria e sociosanitaria complessiva offra servizi mirati, equi e di qualità, diffusi sul territorio» e le singole regioni hanno responsabilità in materia;
stando al medesimo piano, le scelte regionali di riconversione delle piccole strutture devono essere sostenute dalla programmazione nazionale, poiché è «necessario che Stato e le regioni si impegnino in una cooperazione sinergica per individuare

le strategie condivise al fine di superare le disuguaglianze ancora presenti in termini di risultati di salute, di accessibilità e di promozione di una sempre maggiore qualità dei servizi» -:
se sia a conoscenza delle criticità segnalate in premessa;
quali iniziative si intendano predisporre - nell'ambito delle competenze governative in materia - al fine di porre chiarezza nella gestione delle risorse destinate alla sanità piemontese per la rifunzionalizzazione dell'ospedale di Venaria e legittimate dal citato accordo stipulato tra il Ministero e la Regione nel marzo 2008 anche alla luce delle recenti criticità emerse a seguito delle indagini condotte dalla procura della Repubblica di Torino.
(4-13070)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il sangue infetto ricevuto da decine di migliaia di pazienti in tutta Italia è stato un grande scandalo che ha contrassegnato gli anni novanta;
si tratta di uno scandalo che ancora si trascina con gravi e pesanti conseguenze per le innocenti persone coinvolte e le loro famiglie;
lo studio legale torinese Trevisson e Cutaia ha recentemente presentato ricorso alla Corte europea di Strasburgo, a nome di 356 torinesi, cui una legge del 2007 assegnava un risarcimento;
in particolare, erano stati stanziati 180 milioni di euro l'anno per un decennio, al fine di chiudere il contenzioso di oltre seimila cause in tutto il Paese;
a detta dell'avvocato Cutaia, «l'attuale governo ha fatto marcia indietro, provocando così il ricorso alla Corte europea di Strasburgo, contro l'inerzia dell'attuale governo e la disparità di trattamento, dovuta al fatto che un migliaio di persone in queste condizioni è riuscita a ottenere il previsto risarcimento»;
in numerosi casi i giudici hanno riconosciuto le buone ragioni di chi ha contratto l'AIDS o l'epatite C per trasfusioni di sangue infetto, come, per esempio, è accaduto nel distretto giudiziario di Milano;
il Ministero della salute, chiamato in causa dai ricorrenti per non aver controllato il sangue gestito dalle ASL e dagli ospedali pubblici, ha ritenuto di utilizzare, quale argomento difensivo, il fatto che i marcatori dell'epatite C non stabilivano con certezza la presenza del virus nel sangue e nel plasma per le trasfusioni, e ci si avvitava sulla base di una sentenza, a sezioni unite, della Corte di cassazione del 2008, e sull'esito delle consulenze tecniche attorno al principio del «più probabile che non»; cosicché i medici legali sono diventati i veri arbitri, che hanno stabilito se la fatidica soglia del 50 per cento era stata varcata o no per ogni singolo caso;
per il caso del signor Giuliano Fecchio, in una sorta di «altalena» iniziata dal 2002 per ottenere il risarcimento, è andata che la probabilità «stabilita» si è fermata al 50 per cento, cosicché per un punto ha perso la causa; in seguito a ricorso, la Suprema corte ha stabilito che «posto che sul ministero grava un obbligo di controllo in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati), il giudice, accertatone il comportamento omissivo e in assenza di fattori alternativi, può ritenere la mancata e doverosa condotta del ministero la causa dell'insorgenza della malattia»;
a fine luglio di quest'anno, una prima sentenza torinese, del giudice Marco Ciccarelli, prende atto della citata sentenza della Corte di cassazione, stabilendo che «il comportamento omissivo del ministero non si esauriva nella sola mancata effettuazione dei markers, ma si estendeva all'attività di controllo e vigilanza in merito

alla tracciabilità del sangue», che non ci fu; o, peggio, ci fu ma non se ne tenne conto, come appunto nel caso del signor Fecchio -:
per quale ragione si è ritenuto di non dar di fatto corso ad una legge approvata dal precedente governo, che aveva stanziato 180 milioni di euro l'anno per un decennio, al fine di chiudere il contenzioso di oltre seimila cause in tutto il Paese;
alla luce delle citate sentenze e provvedimenti giudiziari, quali iniziative si intendano adottare, promuovere o sollecitare al fine di chiudere i contenziosi ancora aperti dopo oltre vent'anni dai fatti in questione;
quanti siano i pazienti infettati da sangue infetto che hanno ottenuto risarcimento, e l'ammontare del risarcimento;
quanti siano i pazienti infettati che si sono visti rifiutato il risarcimento, e con quale motivazione.
(4-13084)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'interrogante ha ricevuto dal signor Dario Todeschini una lettera che, per la sua gravità, si ritiene necessario riportare integralmente:
«...Vorrei sottoporre alla vostra attenzione la storia di mio padre per vedere se è possibile trovare una soluzione; venerdì 24 giugno 2011 mio padre di 85 anni, si reca presso il nuovo ospedale Polo Confortini di Verona per una visita di controllo e al termine, circa le ore 12, stava uscendo all'esterno quando cade a terra, procurandosi la frattura del femore e del bacino, viene portato al vicino pronto soccorso poco distante, venimmo avvisati e mi recai subito al pronto soccorso, ma mi consentirono di vederlo solo verso le 17, quando riuscii a parlargli, gli chiesi cos'era successo, mi disse sue testuali parole: ho una brutta frattura del femore e del bacino, dovete fare una denuncia all'ospedale, perché mentre uscivo le porte automatiche si sono richiuse dandomi una colpo sul braccio e facendomi perdere l'equilibrio sono caduto a terra; gli chiesi come era arrivato al pronto soccorso e lui mi disse di essere stato subito soccorso da 3-4 persone vestite di bianco, caricato su di una barella e trasportato al pronto soccorso; mi sembrava strano che un Ospedale ipertecnologico appena inaugurato solo da un mese, avesse questi problemi, poi venne ricoverato, quindi dopo il ricovero scesi all'uscita e verificai personalmente che passando lentamente, come farebbe un anziano, le porte automatiche si aprono all'arrivo e poi si richiudono subito dopo con un lasso di tempo brevissimo, 4-5 secondi o forse meno, si sono richiuse dando anche a me un colpo e poi si sono riaperte, ma mi sembra che questo non sia tanto a norma. La sera stessa, dopo il ricovero, mio fratello si recò al posto di Polizia del pronto soccorso, per fare la denuncia ma era già chiuso e gli dissero di tornare il lunedì, quando venne aperto un fascicolo per lesioni; mio padre rimase lucido fin verso il martedì-mercoledì successivo, poi peggiorò progressivamente fino alla morte avvenuta alle 4 del 30 giugno. La magistratura ci sospese le esequie per eseguire l'autopsia, onde accertare eventuali colpe, dopo questo intervento, la direzione sanitaria è uscita con un articolo su un quotidiano locale in cui afferma che secondo loro mio padre è caduto da solo e ha raggiunto il pronto soccorso con mezzi propri, ve lo immaginate un anziano che con una frattura del femore e del bacino va al pronto soccorso con mezzi propri? Come mai ora le porte automatiche sono state disattivate e rese manuali, prima e poi attualmente sono spalancate completamente?...Come mai la procura non ci ha mai convocato per sentire la nostra versione dei fatti? Sembra nessuno abbia visto niente era circa le 12 di venerdì e sicuramente gente c'è ne era. Chi erano queste 3-4 persone vestite di bianco, che lo hanno caricato sulla barella e portato al pronto soccorso, forse Angeli scesi dal Cielo? I nostri avvocati hanno cercato di sapere, facendo regolare

richiesta all'ULSS, chi fosse di servizio al momento dell'incidente nei pressi dell'atrio, ma non hanno ricevuto nessuna risposta, probabilmente perché, presumo, vige un senso di omertà per non rovinare l'immagine di un nuovo ospedale, costruito secondo me in troppa fretta, per fare una bella figura con la cittadinanza, basti pensare che stanno tuttora lavorando all'interno, dopo più di un mese dall'inaugurazione. Chiediamo solo verità e giustizia per nostro padre. Cordiali saluti Todeschini Dario» -:
quale sia l'esatta dinamica dei fatti che si sono conclusi con la morte del padre del signor Dario Todeschini con specifico riferimento ai numerosi interrogativi che il signor Dario Todeschini pone nella sua lettera;
quali iniziative si intendono adottare in ordine al caso sopra segnalato.
(4-13105)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la regione Puglia, Area politiche per la promozione della salute, delle persone e delle pari opportunità, ha siglato un accordo per la gestione degli ausili per diabetici con decorrenza dal 1o luglio 2011;
tale accordo, all'articolo 3, riguardo alla «Dispensazione degli ausili per diabetici», prevede che il farmacista, sulla base delle disponibilità di magazzino, tenga conto delle preferenze espresse dal paziente e assicuri la fornitura gratuita del glucometro compatibile con le striscette erogate; come osservato anche dall'Associazione dei medici diabetologi, dalla Società italiana di diabetologia e dall'associazione Diabete Italia, la disposizione di cui all'articolo 3 risulta in contrasto con la concezione dell'automonitoraggio quale strumento della terapia della persona con diabete, ribadita dalle linee guida internazionali (International diabetes federation 2010) e italiane (Raccomandazioni AMD-SID 2003), che sottolineano come le peculiarità tecniche specifiche dei vari glucometri debbano essere tenute in considerazione sulla base delle necessità cliniche e personali del paziente;
l'autocontrollo della glicemia, praticato in modo appropriato, assicura al cittadino diabetico buone condizioni di vita e il mantenimento di un buon controllo metabolico nel tempo, favorisce una minore insorgenza delle complicanze, causa di ripetuti ricoveri ospedalieri, che limitano il benessere vitale e la regolare attività professionale, e consente un considerevole risparmio economico;
la prescrizione dell'autocontrollo da parte dello specialista si fonda sull'educazione della persona con diabete, che impara ad interpretare i dati e a prendere decisioni terapeutiche ogni giorno;
quindi, la scelta dello strumento da usare è funzionale al tipo di malattia, all'età del soggetto, al tipo di terapia;
l'accordo della regione Puglia indebolisce il rapporto medico specialista-paziente, necessario per una corretta e costante terapia della persona affetta da una malattia cronica, qual è il diabete;
la ratio dell'accordo sembra parificare presidi essenziali per il diabetico, quali il glucometro e le strisce reattive, ad un farmaco da banco, rischiando di far prevalere il prezzo sulla qualità del presidio, mentre, come ritiene la comunità scientifica a livello nazionale e internazionale, l'autocontrollo della glicemia è parte integrante della terapia stessa;
a notizia degli interroganti, risulta che il prezzo di rimborso del servizio sanitario nazionale per ogni striscia reattiva per la rilevazione della glicemia in Piemonte sia pari a 0,53 euro; in Lombardia, a 0,513 euro; in Veneto, a 0,85; in Emilia-Romagna, a 0,32 euro, in Toscana, a 0,384; nel Lazio a 0,81 euro; in Sicilia, a 0,670; in Sardegna, a 0,412 euro; in Puglia non è invece dato conoscere il prezzo di rimborso per ogni singola striscia,

ma e praticato uno sconto del 32 per cento sul relativo prezzo di vendita -:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza del fatto segnalato;
se non ritenga necessario intervenire per quanto di competenza al fine di evitare che la disponibilità del magazzino diventi, nella prassi, il criterio di scelta per la dispensazione del presidio, così come prevede l'articolo 3 dell'accordo siglato dalla regione Puglia, secondo cui il farmacista, sulla base delle disponibilità di magazzino, tiene conto delle preferenze espresse dal paziente e assicura la fornitura gratuita del glucometro compatibile con le striscette erogate, che attribuisce di fatto al farmacista una discrezionalità che lede la libertà di scelta del paziente, indebolisce il rapporto «medico-paziente», vanifica l'impegno del team specialistico e compromette la funzionalità terapeutica dell'autocontrollo della glicemia;
se non ritenga necessario istituire un tavolo di confronto con le associazioni dei pazienti, dei diabetologi e delle aziende produttrici così da provvedere alla redazione di linee guida di riferimento per la fornitura di presidi diabetici al fine di garantire la qualità dei dispositivi, la libera scelta del paziente, promuovere un'uniformità su tutto il territorio nazionale e assicurare un risparmio della spesa pubblica.
(4-13106)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da un articolo del 29 agosto 2011 pubblicato dal quotidiano La Nuova del Sud dal titolo «Pertusillo da svuotare e pulire» emerge che «i fondali sarebbero sporchi con tonnellate di materiale sedimentato che, a fasi alterne, diventa veleno per i pesci e per l'acqua. Metalli pesanti depositati sui fondali, come alluminio, ferro e piombo» una situazione per la quale occorre procedere addirittura allo svuotamento per pulirlo;
ancora nel gennaio 2010, Maurizio Bolognetti, segretario dell'associazione Radicali Lucani e membro della direzione di Radicali italiani, a seguito di analisi autonomamente condotte aveva pubblicamente denunciato la presenza nelle acque del Pertusillo di bario (una sostanza utilizzata dalle industrie petrolifere) e altre sostanze tossiche, in concentrazioni superiori ai limiti di legge;
l'acqua del Pertusillo viene utilizzata per il 65 per cento dalla regione Puglia (prevalentemente ad uso potabile) e per la restante parte dalla Basilicata (prevalentemente ad uso irriguo);
per aver reso pubblici i risultati di alcune analisi inerenti le acque invasate nelle principali dighe lucane e aver sollevato dubbi sulla qualità delle stesse, Bolognetti era stato sottoposto ad indagini, insieme al tenente Giuseppe di Bello, per «rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio», con tanto di perquisizione disposta dalla procura di Potenza presso la sua abitazione a Latronico che è anche la sede dell'Associazione radicali lucani, al fine di conoscere le sue fonti e per poter acquisire un carteggio di posta elettronica;
dai controlli effettuati da parte dell'Arpa Basilicata a seguito della comparsa di alghe e di una moria di pesci avvenuta nel maggio 2010, è emerso che i parametri microbiologici non hanno subito variazioni significative rispetto a quelli ottenuti dall'attività di monitoraggio istituzionale svolta precedentemente alla comparsa del fenomeno algale;
le attività di controllo della qualità delle acque dell'invaso del Pertusillo, hanno avuto avvio in virtù del decreto del Presidente della Repubblica n. 515 del 1982 e risale a quell'epoca la classificazione delle acque del Pertusillo nella categoria A2, che prevedeva un trattamento fisico e chimico normale e disinfezione,

ma, come già portato all'attenzione del Governo con l'interrogazione 5-02477, con rilevazioni di scadimento delle acque dall'anno 2001 che passano dalla categoria A2 alla A3 (BUR Basilicata n. 25 del 20 aprile 2004) con l'ARPAB che dichiarava che era evidentemente «auspicabile disporre di acque di qualità migliore per le quali si hanno fasi di processo più semplici, minor produzione di sottoprodotti (tipicamente fanghi) e, in definitiva, costi di trattamento complessivamente più bassi»;
sempre nel 2001, come evidenziato anche con interrogazione 5-03182 documenti della Metapontum Agrobios, riportavano analisi chimiche condotte sulle acque e sui sedimenti di 11 siti individuati lungo l'asta fluviale del fiume Agri e di un rischio potenziale di inquinamento dovuto alla presenza di scarichi civili non correttamente depurati e alla presenza di scarichi industriali. Inoltre nello stesso documento la Metapontum segnalava relativamente agli idrocarburi policiclici aromatici che «Sono state ricercate 21 sostanze appartenenti alla famiglia degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sia nelle acque che nei sedimenti, ma mentre nelle acque sono stati riscontrati valori tutti al di sotto dei limiti di rilevabilità, nei sedimenti si è riscontrato presenza di IPA soprattutto nei sedimenti della diga del Pertusillo (Vs01) e meno in Agri Villa D'Agri (Vs10) e nel canale depuratore zona industriale (Vs07). Gli IPA più diffusi sono stati il fenantrene, il fluorantene il crisene ed il pirene, anche se nella diga sono state ritrovate tracce di benzo[a]antracene e benzo[a]pirene»;
a seguito dell'allarme destato nel 2010 per la comparsa nel Pertusillo di un fenomeno algale e di una moria di pesci, l'ARPAB ha effettuato una serie di campionamenti che hanno portato l'ente di controllo ambientale regionale ad ipotizzare che tale situazione derivasse, fondamentalmente da scarichi fognari e/o di impianti di depurazione, di scarichi di aziende produttive, in particolare zootecniche ed agroalimentari;
successivamente, è stato elaborato, un progetto denominato «Valutazione dello stato ecologico del lago Pertusillo» approvato dalla giunta regionale della Basilicata con D.G.R. n. 2013 del 30 novembre 2010, condotto in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità e con l'Istituto zooprofilattico di Foggia con l'obiettivo della caratterizzazione dello stato ecologico del Pertusillo, la formulazione di ipotesi gestionali e di misure di mitigazione degli impatti antropici eventualmente riscontrati, la valutazione di eventuali rischi per la salute della popolazione eventualmente esposta a ciano tossine ed un rapporto dettagliato dei risultati ottenuti e relative elaborazioni grafiche e cartografiche;
su delega della procura della Repubblica di Potenza, sono state compiute indagini del Noe e del NIPAF-Corpo Forestale dello Stato di Potenza sulle cause di inquinamento dell'invaso. Sono in corso di espletamento, in particolare, sopralluoghi presso gli insediamenti industriali della zona con relativi campionamenti ed analisi di possibili inquinanti nonché controlli sulle acque di scarico dei singoli impianti di depurazione e, contestualmente, sulla corretta gestione e manutenzione degli stessi;
il memorandum recentemente siglato tra Stato e regione Basilicata prevede il passaggio dell'estrazione di petrolio da 80.000 a 120/130.000 barili al giorno in Val d'Agri -:
se sia vero quanto riferito in premessa ed in particolare come spieghi il Governo la presenza di tonnellate di materiale sedimentato nel Pertusillo con metalli pesanti depositati sui fondali, come alluminio, ferro e piombo;
quali esiti abbia avuto l'attività del progetto «Valutazione dello stato ecologico del lago Pertusillo» condotto in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità;
se sia noto quali insediamenti industriali della zona siano stati oggetto delle indagini del Noe e quali siano stati gli esiti;

quali azioni si intendano promuovere per assicurare la tutela della salute e dell'ambiente a fronte della sempre più grave situazione che emerge sullo stato delle acque Pertusillo e in vista del raddoppio dell'attività estrattiva in Val d'Agri.
(4-13109)

BARBIERI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
a Modena nei giorni scorsi è stata investita in Via Emilia est una donna di 77 anni a circa 200 metri dall'entrata del pronto soccorso del policlinico di Modena;
in ossequio ai protocolli provinciali che prevedono tassativamente che al pronto soccorso vengano portati i bambini e le donne incinte mentre tutti gli altri devono essere portati all'ospedale di Baggiovara che dista circa 8 chilometri dal Policlinico di Modena;
la signora settantasettenne, in base a tale principio è stata trasportata a Baggiovara dove è deceduta a causa dei traumi subìti nell'incidente;
la responsabile dirigente del 118 Marilena Campisi ha difeso la scelta dichiarando che comunque la donna al momento del soccorso era gravissima;
un episodio simile era già accaduto nei mesi scorsi nel caso di una persona colpita da infarto a poche centinaia di metri dal policlinico e trasportato fino a Baggiovara, dove purtroppo è deceduto -:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare affinché venga assicurato su tutto il territorio nazionale a tutti i cittadini il diritto ad essere tempestivamente curati, in caso di emergenza, nelle strutture attrezzate più vicine invece di dover sottostare a protocolli che mettono in pericolo la loro vita.
(4-13110)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
un reportage di Maurizio Bolognetti, della direzione nazionale Radicali italiani, denuncia che a Tricarico e a Grassano esistono due autentiche bombe ecologiche che mettono a repentaglio la vita di migliaia di persone riferendosi alla fabbrica manifatturiera dei «Fratelli Sileo», e soprattutto all'opificio Ila di Tricarico;
centinaia di tonnellate di cemento-amianto, risalente alla fine degli anni '60, giacciono nel sostanziale disinteresse delle istituzioni;
in particolare, presso la fabbrica dei «Fratelli Sileo», ubicata a pochi metri dal centro storico di Grassano, aperta alla fine degli anni sessanta e chiusa alla metà degli anni '80, vi sarebbe un capannone, circondato da alberi sempreverdi, con le tegole in cemento-amianto vecchie almeno 40 anni che mostrano un'evidente usura;
analoga situazione per quanto riguarda l'Opificio Ila, aperto negli anni '60 e chiuso all'inizio degli anni '90, in agro di Tricarico, dove decine e decine di metri quadrati di eternit a pochi metri da campi coltivati a grano, le mucche pascolano all'interno del piazzale e tocca fare lo slalom per evitare spiacevoli incidenti;
la fabbrica dovrebbe essere stata sequestrata dall'autorità giudiziaria, ma dei sigilli non vi è traccia; in una pubblicazione scientifica intitolata «Erosioni delle coperture in cemento amianto», pubblicata nel 1991 dal bimestrale meneghino La Medicina del Lavoro, il professor Girolamo Chiappino e la dottoressa Ida Venerandi scrivono che «lo studio microscopico di campioni di coperture in cemento amianto, esposti agli agenti atmosferici per tempi variabili da 2 mesi a oltre 15 anni, ha dimostrato che fenomeni corrosivi con liberazione di fibre iniziano dopo pochi mesi, sono abbastanza evidenti dopo pochi anni e divengono imponenti tra 5 e 10 anni»;

nel nostro Paese che è stato tra i maggiori utilizzatori di amianto in Europa si registrano 4000 morti ogni anno;
la messa al bando dell'amianto risale ormai ad oltre 20 anni fa e pur non sussistendo un obbligo alla rimozione dei materiali contenenti amianto se gli stessi sono in buono stato e non c'è pericolo di dispersione delle fibre nell'ambiente, esiste un obbligo di denuncia e conservazione e, in base al decreto ministeriale del 6 settembre 1994, i proprietari e gli amministratori hanno l'obbligo di attuare un «programma di controllo e manutenzione» -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero;
di quali informazioni disponga il Governo in merito alle azioni di controllo e manutenzione della fabbrica dei «Fratelli Sileo» e dell'Opificio Ila e quali conseguenti azioni si intendano promuovere a tutela della salute e dell'ambiente;
per quale motivo un'area sotto sequestro sia priva dei sigilli e quali azioni conseguenti di controllo si intendano assumere.
(4-13111)

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:

DI BIAGIO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il gruppo FIAT-Iveco si appresta a cedere lo stabilimento Irisbus di Flumeri (Avellino) alla società Itala spa, di proprietà della DRG Motor Company, produttrice di autoveicoli modello Suv;
i circa 700 lavoratori dello stabilimento irpino, unico sito italiano di produzione di bus, vivono ormai da tempo in una situazione di totale precarietà e di incertezza sulle future sorti dell'attività e del proprio posto di lavoro;
a queste si aggiungono le perplessità dell'intero territorio della Valle Ufita, il cui indotto è quasi interamente legato alle attività dello stabilimento Irisbus;
la cessione dello stabilimento di Flumeri comporterà la riconversione delle finalità produttive con conseguente cessazione dell'attuale produttività specifica e perdita delle eccellenze acquisite anche in termini di attrezzature. È opportuno ricordare che lo stabilimento è attrezzato di un impianto di cataforesi altamente sofisticato e unico in Italia;
le criticità che hanno condotto alla decisione di vendita attengono, in prima istanza, al drastico calo dei volumi produttivi, riconducibili alla crisi degli ultimi anni;
referenti locali attestano tuttavia la sussistenza di ulteriori elementi aggravanti. In primo luogo, il graduale restringimento dell'offerta, che all'apice della produzione vantava una gamma diversificata di autobus - interurbani a medio e lungo raggio, urbani, turistici e autotelai da carrozzarsi - oggi ridotta ad una sola tipologia;
in secondo luogo, si registra la mancanza di un piano di rifinanziamento del trasporto pubblico nazionale, con conseguente calo delle immatricolazioni di autobus, nonostante gli autoveicoli circolanti necessitino in moltissimi casi di un'opportuna sostituzione, trattandosi di modelli euro 0 o euro 1;
l'operazione di vendita è stata condotta con modalità e tempistiche che le associazioni a tutela dei lavoratori ritengono inconcepibili e inaccettabili. Basta considerare che il capitale sociale del gruppo acquirente ammonta a 120 mila euro e dunque sarebbe difficilmente in grado di fornire le opportune garanzie a tutti lavoratori attualmente in servizio;

la trattativa incontra l'ostacolo deciso di tutto il territorio, dai lavoratori alle aziende dell'indotto locale, dai referenti del mondo politico alle istituzioni, per le implicazioni negative dell'operazione in ambito sociale ed economico, su un territorio già gravato da un elevato tasso di disoccupazione;
la situazione dell'azienda di Flumeri è stata più volte oggetto di atti di sindacato ispettivo, non ultima l'interrogazione a prima firma Di Pietro, n. 3-01762;
nel rispondere in Assemblea, nella seduta del 20 luglio 2011, il Ministro per i rapporti con il Parlamento ha riferito che il Ministero dello sviluppo economico segue «con impegno la delicata situazione dello stabilimento» ed è a conoscenza della situazione dei 690 lavoratori dell'azienda «di cui oltre 500 in cassa integrazione straordinaria a rotazione». Nella medesima sede ha evidenziato l'eventualità che «entro la fine dell'anno circa 90 lavoratori possano essere interessati da procedure di mobilità e dal successivo pensionamento»;
a fronte della grave situazione di criticità delineata, gli interventi finora promessi in sede parlamentare, per lo più in termini di integrazioni salariali straordinarie, non sembrano in grado di risolvere un problema che è di natura strutturale per il territorio;
le parti pervenute ai tavoli di concertazione sulla vertenza Irisbus-Iveco, tenutisi il 20 luglio 2011 e il 3 agosto 2011, riferiscono l'impressione condivisa che manchi una significativa progettualità governativa su una questione delicata, che coinvolge gravemente i lavoratori e le loro famiglie -:
quali iniziative urgenti abbiano intenzione di intraprendere per consentire un'uscita dall'impasse che sia condivisa da tutte le parti sociali coinvolte, tutelando i posti di lavoro;
quali iniziative di competenza abbiano intenzione di pianificare per favorire la crescita e lo sviluppo del polo Irisbus di Flumeri, che costituisce un'unicità a livello nazionale.
(4-13005)

JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da gennaio 2011 le borse shopper di plastica avrebbero dovuto essere estromesse dalla commercializzazione, invece, a quasi sette mesi di distanza, in alcuni supermercati vengono ancora utilizzate. Alla legge si sono adeguati solo i marchi leader della grande distribuzione organizzata. Dal primo gennaio 2011, infatti i supermercati in teoria non possono più né comprarle, né venderle e avevano pure l'obbligo di esaurire le scorte fornendo gratis ai clienti i sacchetti rimasti in magazzino. Il commercio di vicinato della bergamasca - tra fruttivendoli, macellerie, farmacie e negozi di elettronica - continua tranquillamente a imbustare i prodotti nel sacchetto non biodegradabile in contrasto con la normativa vigente. Stesso discorso per i supermarket più piccoli che spesso si nascondono dietro la classica scusa: «C'è grande confusione su questa legge. Ma poi nessuno ci ha controllato o avvisato di cambiare sacchetti quindi è tutto ok»;
il problema, in realtà, è soprattutto normativo come spiega Federdistribuzione (l'organismo che rappresenta le imprese distributive operanti nei settori alimentare e non alimentare del commercio moderno come la grande distribuzione organizzata): «Confermo che dal primo gennaio è vietata la commercializzazione dei vecchi sacchetti di plastica - spiega il direttore dell'area comunicazione Stefano Crippa -. Le indicazioni fornite dal governo circa lo smaltimento di quelli giacenti presso i magazzini dei punti vendita sono state veicolate agli operatori attraverso un comunicato stampa diramato il 30 dicembre 2010. Un comunicato al quale non è succeduto alcun provvedimento più «formale». In esso non veniva dato alcun limite di tempo allo smaltimento delle

scorte; si precisava solo che i vecchi sacchetti potevano essere ceduti solo a consumatori ed esclusivamente a titolo gratuito»;
«Da quel momento, tuttavia - prosegue Crippa - alcuni Comuni sono intervenuti con delibere o hanno promosso e sostenuto protocolli volontari tra operatori per stabilire date entro le quali doveva terminare l'operazione di smaltimento delle scorte. In mancanza di questi atti non esiste alcuna restrizione temporale. La politica di gestione dei sacchetti per l'asporto della spesa, e quindi la definizione delle quantità di scorte, è naturalmente diversa da azienda ad azienda. Alla fine del 2010 in alcuni casi si avevano scorte per qualche settimana, in altri per diversi mesi. Non deve stupire quindi che ancora adesso capiti che, in comuni nei quali non sia intervenuta alcuna decisione locale in relazione ai tempi, il cliente possa trovare nei punti vendita ancora i vecchi sacchetti. Si tratta di una soluzione necessariamente temporanea, che avrà un suo termine naturale con l'esaurimento delle scorte. Resta piuttosto il fatto che, a distanza di sette mesi dall'entrata in vigore della norma, ancora non siano stati emanati i decreti attuativi, fondamentali per risolvere alcuni aspetti importanti, come la definizione più specifica dell'oggetto, cioè quali sono i sacchetti destinati ad essere proibiti. Diversi provvedimenti di legge sono allo studio, ma finora il quadro normativo è ancora incerto, e questo rende più difficoltosa l'attività delle imprese distributive -:
quali iniziative i Ministri intendano al fine adottare, il più celermente possibile, i decreti attuativi necessari per regolamentare la tipologia di shopper da utilizzare, in sostituzione delle buste in plastica, nonché i termini di smaltimento di queste ultime da parte sia dei negozianti che dei produttori.
(4-13016)

JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
le piccole e medie imprese italiane reagiscono con caparbietà alla sfida mondiale, spesso continuando ad affermarsi nell'arena della globalizzazione, nonostante o, forse, grazie ad una presenza superiore al 97 per cento di aziende con meno di 50 dipendenti. Il problema, quindi, non è costituito dalla dimensione, quanto piuttosto dalla pesante crisi del mercato interno. Le piccole e medie imprese devono essere funzionali alla missione imprenditoriale, al tasso di innovazione, ed alla capacità di penetrazione nei mercati. Se si vuole assicurare un futuro alle imprese italiane, soprattutto manifatturiere, bisogna che esse siano in grado di affermarsi anche all'estero, ma per questo necessitano di «innovazione, prodotto e processo». Le statistiche comparative europee sostengono che l'Italia è un Paese poco innovativo. A livello di investimenti, il settore pubblico rimane nella media dell'Unione europea. Crolla invece l'apporto privato, a causa della ridotta dimensione aziendale. Ma va osservato che spesso in Italia università e centri di ricerca sono slegati dalle necessità delle imprese e quindi non tutti gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo hanno effetti concreti sul sistema produttivo;
al contrario, l'impresa italiana realizza molta innovazione continuativa non codificata, che non rientra in nessuna statistica ufficiale: è il caso dell'imprenditore che modifica a suo uso e consumo una macchina per facilitarne l'attività e magari nemmeno brevetta il mutamento. Proprio da questa esperienza pratica nasce la specializzazione italiana nella costruzione di macchine automatiche e utensili. Di certo, il nostro è un Paese nella sostanza innovativo, particolarmente in settori come l'abbigliamento, l'agroalimentare, il design, la meccanica, l'utensileria. Ricerca a parte, però, esistono per le micro, piccole e medie imprese ben altri ostacoli nella scoperta di nuovi mercati, soprattutto quelli più interessanti e quindi più lontani (per esempio, i Bric e l'Asia orientale). Il mercato unico europeo ormai è come un mercato domestico - e può

essere affrontato con una dimensione ridotta dell'azienda e del suo assetto - ma è molto affollato e altamente competitivo, mentre i mercati che crescono a due cifre, quelli più appetibili, non solo spesso sono lontani geograficamente, ma anche più ardui da affrontare, per esempio hanno bisogno di supporti amministrativi e legali maggiormente sofisticati. Purtroppo, sui mercati internazionali, l'azienda spesso si sente abbandonata a se stessa. Le piccole imprese, infatti, evidenziano sistematicamente uno stato di solitudine nell'attuazione dei processi di internazionalizzazione rispetto al mondo istituzionale deputato a queste attività sia in fase di promozione sia dopo;
l'Italia dispone di un sistema che è stato, immaginato e costruito per accompagnare all'estero la grande impresa, ma i mercati sono cambiati profondamente e le grandi - e pure molte medie - imprese all'estero si muovono da sole. Invece, essere internazionali non è più una vocazione di pochi, ma una strategia di sviluppo imprescindibile. Esiste, inoltre, una serie di nuove necessità, di sostegni reali: non ci si può limitare ad accompagnare le aziende alle fiere in giro per il mondo. E se l'Italia non vuole lanciare sul terreno quote di commercio internazionale è necessario intervenire per rendere più competitivi i territori, così come lo sono stati negli anni Sessanta i distretti. E nel territorio una delle nuove opzioni di sviluppo è la rete, nella quale assume un ruolo significativo la piccola impresa che può svolgere anche solo una parte del processo produttivo. Non c'è nulla di più lontano dall'economia globalizzata, all'apparenza, di aziende che stirano o imbustano capi di abbigliamento, sia pure destinati all'estero, eppure anche loro appartengono ad una filiera internazionalizzata e, di conseguenza, devono proiettarsi, vedersi, essere in una dimensione internazionale, E in quanto tali vanno considerate dal sistema Paese e dalle istituzioni. È all'interno della condizione di sistema-Paese, che si annida la vera criticità: un concetto ribadito anche nelle conclusioni del convegno della Cna sulla piccola e media impresa, tenutosi il 28 giugno 2011 a Roma. Tutti i protagonisti del meeting hanno chiesto scelte precise, azioni e impegni per correggere in modo coerente e determinato quello che non è funzionale allo sviluppo del Paese, per rimuovere le cause strutturali che ne franano la crescita economica -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di garantire maggiori strumenti, sia economici che normativi, alle piccole e medie imprese italiane che vogliono affermarsi in un mercato internazionale.
(4-13018)

JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la redditività dell'allevamento suinicolo italiano, nel secondo trimestre 2011, ha mostrato una riduzione del 4,5 per cento, rispetto al primo trimestre. Diminuzione che raggiunge addirittura il 28,5 per cento se confrontata allo stesso periodo del 2010. Anche nel territorio orobico lo stato di salute della suinicoltura segue la stessa lunghezza d'onda dell'andamento nazionale. È ciò che emerge dall'indagine del Crefis (Centro ricerche economiche sulle filiere suinicole) dell'università Cattolica di Piacenza-Cremona presentata nei giorni scorsi all'incontro organizzato dalla camera di commercio di Bergamo sul rapporto congiunturale del comparto delle carni suine. La presentazione del rapporto fa parte del progetto «Osservatorio delle filiere suinicole» cofinanziato da regione Lombardia e dalle camere di commercio lombarde, tra cui anche l'ente camerale orobico;
Bergamo, per quel che riguarda l'allevamento suinicolo, «rappresenta l'8,1 per cento della produzione lombarda a dimostrazione dell'importanza provinciale nel comparto. È anche per questo motivo che ci siamo candidati a presentare l'indagine del Crefis in questo trimestre e

negli eventi futuri», ha spiegato Emanuele Prati, segretario generale della camera di commercio di Bergamo. In Bergamasca «abbiamo registrato un calo nel secondo trimestre del 2011 rispetto ai primi tre mesi dell'anno e il dato è stato analogo a quello nazionale, cioè un meno 4,5 per cento di redditività nel raffronto con il primo trimestre e un meno 28,5 per cento se lo confrontiamo con lo stesso lasso di tempo del 2010», ha spiegato Giovanni Venier, rappresentante della commissione suinicoltura di Confagricoltura Bergamo. La diminuzione è dovuta soprattutto «al rapporto tra i prezzi dei suini, saliti di 5,8 per cento nel 2o trimestre passando da 1,269 euro al kg agli attuali 1,342 euro, oltre a crescere del 17 per cento rispetto allo stesso periodo del 2010, e il costo di produzione che è notevolmente incrementato nel corso del 2011, soprattutto a causa del fatto che in un anno il prezzo del mais - la voce principale tra i costi di produzione - è salito del 68,2 per cento rispetto all'anno passato», ha analizzato Gabriele Canali, direttore del Crefis;
il settore suinicolo è in difficoltà anche per la redditività delle macellazioni «scese di 1,4 per cento nel secondo trimestre rispetto ai primi tre mesi dell'anno e che vede una riduzione di 10,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2010», ha aggiunto Canali. Se i redditi da allevamento suinicolo non stanno bene, è vero che i prezzi a cui sono stati venduti i suini italiani e quelli bergamaschi sono cresciuti di 17 punti percentuali rispetto al 2010, ma «non dobbiamo dimenticarci che quando parliamo di aumento dei prezzi partiamo da un livello ancora troppo basso rispetto al passato», ha commentato Venier, che punta molto sulla redditività per recuperare il terreno perduto: «occorre produrre il massimo al miglior prezzo possibile, solo così si può rialzare la testa», ha spiegato aggiungendo che «bisogna iniziare a produrre di più e meglio e per fare ciò è necessario contenere al massimo i costi di produzione che ad oggi hanno davvero raggiunto livelli troppo elevati». Nella battaglia alla riduzione dei costi di produzione si è schierato in prima linea anche Canali secondo cui «bisogna capire quale politica agroalimentare si vuole adottare perché se il mais serve per produrre biogas o altre forme di energia invece che costituire l'elemento base nella nutrizione dei nostri suini il suo costo sarà sempre troppo alto per permettere al comparto suinicolo italiano e lombardo di essere competitivo» -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di promuovere, anche a livello europeo, misure volte a contrastare la crisi produttiva che sta investendo progressivamente il comparto dell'allevamento suinicolo.
(4-13022)

JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
a Bergamo la propensione all'impresa cresce più della media nazionale, ad indicare un segno di maggiore fiducia nel futuro e anche di fase di avviamento al superamento della crisi. Secondo i dati di Movimprese al 30 giugno 2011, le imprese registrate in provincia di Bergamo hanno superato quota 96 mila: con un incremento dell'1,38 per cento sulle 94.739 di un anno prima; sono diventate 96.049. In valori assoluti è un saldo di 1.300 aziende circa, quasi quattro al giorno, mentre nello stesso periodo in Lombardia le imprese sono salite solo dello 0,27 per cento e in Italia dello 0,33 per cento. Il moto propulsore che ha investito Bergamo, secondo l'ultima rilevazione Movimprese, condotta per Unioncamere da Infocamere, si è avuto nell'ultimo trimestre (aprile-giugno 2011), durante il quale la provincia si è attestata al quinto posto in Italia per tasso di crescita nel secondo trimestre (più 0,99 per cento), con un saldo positivo di 937 imprese (dato da 1.862 iscrizioni e 925 cessazioni), a pari merito con Prato e dietro solo a L'Aquila, Lecce, Rimini e Vibo Valentia, che registrano una crescita di poco superiore all'1 per cento. Tra le province lombarde, Monza-Brianza segue Bergamo al 18o posto nazionale, con un

incremento dello 0,8 per cento, mentre la media italiana vede una crescita dello 0,64 per cento;
tra aprile e giugno il bilancio demografico rilevato dai registri camerali vede a livello provinciale rispetto allo stesso periodo del 2010 una forte crescita delle iscrizioni (circa 180 in più), mentre sono rimaste sostanzialmente ferme le cessazioni (una dozzina in più). Al contrario a livello nazionale le iscrizioni sono rimaste sostanzialmente in linea, mentre le cessazioni hanno visto un rimbalzo negativo, così che il saldo nazionale di 38.959 unità risulta inferiore a quello del 2010, ma superiore a quelli del 2009 e del 2008. La crescita delle imprese nell'ultimo anno a Bergamo è stata spinta in particolare dalle società di capitali (più 3,18 per cento oltre 800 in più), mentre sono diminuite le società di persone. Aumentano anche le ditte individuali (600 in più) e si registra un certo fermento tra le altre forme di imprese, anche se in percentuale, più che in valori assoluti. L'andamento provinciale è sostanzialmente allineato a quello nazionale, con l'eccezione delle ditte individuali, in calo nella media italiana. La crescita di quest'ultime, secondo alcuni analisti, viene alimentata dal debutto nel lavoro autonomo di persone espulse dal mondo del lavoro dipendente o che avevano difficoltà ad entrarvi;
cresce anche il mondo dell'impresa artigiana, spesso collegato con le ditte individuali: nel secondo trimestre c'è stato un saldo positivo in Bergamasca di 249 imprese (dato da 699 iscrizioni e 450 cessazioni). Secondo dati nazionali, infine, tra i settori con maggior fermento nel trimestre, in termini di incremento dello stock di imprese registrate risultano i settori della ristorazione (più 1,33 per cento), dei servizi alle imprese (più 1,55 per cento) e delle attività tecnico-professionali (più 1,27 per cento). Per il manifatturiero la crescita si limita allo 0,18 per cento -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di definire un concreto e proficuo piano normativo ed economico volto al rilancio dei vari settori imprenditoriali italiani, con particolare riguardo alle piccole e medie realtà artigiane.
(4-13023)

...

Apposizione di una firma ad una risoluzione ed indicazione dell'ordine dei firmatari.

La risoluzione in commissione Giammanco ed altri n. 7-00657, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 luglio 2011, è stata sottoscritta anche dal deputato Vincenzo Antonio Fontana che, contestualmente, ne diventa secondo firmatario.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

L'interrogazione a risposta in commissione Pes ed altri n. 5-05264, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 agosto 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Schirru.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interpellanza urgente Iannaccone n. 2-01119 dell'8 giugno 2011;
interrogazione a risposta scritta Palagiano n. 4-12233 dell'8 giugno 2011.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
fonti di stampa hanno riportato la notizia di una ricerca scientifica in base alla quale è desumibile che il nuovo Codice dell'amministrazione digitale si inserisce in una realtà della pubblica amministrazione locale caratterizzata da una fatica nell'utilizzo dell'Itc, perché si muove ancora a fatica tra i computer e la rete, perdendo tempo e denaro a rincorrere competenze e tecnologie. Come dire che se da un lato c'è lo sforzo di innovare per rendere efficiente e pratica l'azione pubblica mediante l'informatizzazione e risparmio, dall'altro ci sono dipendenti di regioni, province, comuni, comunità montane e unioni di comuni che cercano con affanno di affrontare il sistema Ict o di sopperire a lacune informatiche di base. Tutto questo ha un costo. Il «costo dell'ignoranza informatica nella pubblica amministrazione», titolo della ricerca condotta dall'Aica (Associazione italiana per l'informatica e il calcolo automatico), in collaborazione con la scuola di direzione aziendale della Bocconi, sul mondo della PAL dove sono impiegate circa 600mila persone. Paghiamo quest'ignoranza oltre 205 milioni di euro;
secondo questa ricerca, i dipendenti della pubblica amministrazione locale usano il computer per il 69 per cento del proprio tempo lavorativo, e dichiarano di perdere almeno 47 minuti a settimana dietro alle difficoltà incontrate con lo strumento informatico. Una perdita di tempo attribuibile per un terzo alla scarsa conoscenza informatica, e per il resto ai problemi stessi dei sistemi Ict. Ma quest'improduttività si traduce anche in un costo annuo, per addetto, di circa 1000 euro. Che, confrontato con quello medio di un dipendente della PAL, porta a stimare che il tempo improduttivo speso a causa dell'ignoranza informatica valga circa 346 euro all'anno per dipendente. In totale, più di 205 milioni di euro annui;
«Spesso si pensa che mettere a disposizione strumenti Ict basti a migliorare la performance e la produttività del lavoro, senza porsi il problema di chi li dovrà utilizzare», ha commentato il presidente di Aica. Così nel tempo «le scarse competenze impediscono di sfruttare appieno i vantaggi della tecnologia, se non addirittura creano ostacoli»;
per misurare gli effetti della formazione informatica sulla produttività, sono stati sottoposti a un corso di formazione di base oltre un centinaio di dipendenti pubblici di varie amministrazioni locali. Risultato: conoscenze informatiche cresciute del 23 per cento in termini assoluti e produttività migliorata del 12 per cento;
poiché si stima che il valore dell'aumento della produttività sia di circa 3900

euro all'anno per ogni soggetto, un piano di formazione su tutti gli utenti informatici potrebbe generare nella PAL un ritorno di ben 2,2 miliardi di euro. Si tratta di stime che, nelle parole di un docente di SDA Bocconi, «devono far riflettere: la PA, nel suo insieme, dà lavoro al 14,6 per cento dei lavoratori italiani». E la pubblica amministrazione locale è, per numero di dipendenti, il terzo comparto del settore pubblico dopo l'istruzione e la sanità. «La PA locale è il soggetto più vicino a tutti noi, le sue efficienze o inefficienze influenzano la vita quotidiana e le attività delle aziende: la sua capacità di innovarsi con le tecnologie rappresenta un'opportunità per i cittadini e un volano per le imprese»;
risulta però anche che non tutte le lentezze sono imputabili all'ignoranza informatica degli utenti: analizzando le chiamate all'help desk in alcuni grandi enti pubblici locali, si è scoperto infatti che, sì, il 40 per cento delle chiamate ha come origine la scarsa perizia informatica del personale, e solo il 17 per cento i guasti nelle infrastrutture. Ma il 26 per cento dei problemi segnalati derivano da errori degli specialisti, che non hanno progettato correttamente l'infrastruttura o ne hanno trascurato l'aggiornamento. Quindi anche per gli specialisti bisogna prevedere un'adeguata formazione, perché se i problemi nascono a monte, a valle tra gli utenti rischiano di moltiplicarsi;
dove la pubblica amministrazione dimostra, in positivo, un ruolo centrale è nei progetti per l'inclusione digitale dei cittadini. Secondo l'indagine di Aica, condotta su oltre 2 mila cittadini di quattro regioni che hanno sviluppato un percorso formativo di alfabetizzazione basato sul programma europeo eCitizen (Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio, Valle d'Aosta), gli obiettivi di un utilizzo più allargato della rete sono stati raggiunti in pieno. Il 78 per cento dei cittadini a rischio di esclusione digitale, e che hanno partecipato ai corsi di alfabetizzazione, ora usa Internet, contro il 48 per cento relativo all'intera popolazione italiana sopra i 20 anni. E in particolare, contro un 31 per cento riferito ai cittadini appartenenti a categorie socio economiche simili a quelle degli «alfabetizzati». Gli scarti principali si sono rilevati per le casalinghe (82 per cento contro un 13 per cento a livello nazionale) e per i pensionati (67 per cento contro un 13 per cento);
«Il fatto che sia la PAL a promuovere le iniziative di e-inclusion - ha osservato un alto esponente di Aica - è un valore aggiunto importante, perché gli enti locali hanno quella vicinanza e conoscenza del territorio che permette di creare offerte formative aderenti alla realtà e ai bisogni dei propri cittadini». «Per il futuro - è la conclusione - possiamo solo augurarci che questi interventi si estendano e vengano sostenuti dalle amministrazioni» -:
se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva quali iniziative gravi ed urgenti intenda porre in essere per evitare il depauperamento di risorse pubbliche assolutamente da razionalizzare nell'uso secondo i criteri di efficacia, efficienza ed economicità, in considerazione del drammatico peso pendente in capo a tutti i cittadini rappresentato dal deficit e dal debito pubblico, iniziative che, ad avviso degli interroganti, potrebbero essere assunte a partire proprio dalle risultanze della ricerca che ha individuato specifiche e mirate iniziative indicate nella premessa per addivenire con rapidità alla soluzione di un problema che impoverisce il Paese sia a livello economico che culturale.
(4-11999)

Risposta. - In relazione all'interrogazione i esame, nella quale l'interrogante lamenta la perdita di produttività del settore pubblico dovuta alla scarsa conoscenza dell'Information and comunications tecnology da parte del personale dipendente, in particolare degli enti locali, si rappresenta quanto segue.

L'articolo 7-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 stabilisce che le pubbliche amministrazioni, con esclusione delle università e degli enti di ricerca, nell'ambito delle attività di gestione delle risorse, umane e finanziarie, predispongono annualmente un piano di formazione del personale tenendo conto dei fabbisogni rilevati, delle competenze necessarie in relazione agli obiettivi, della programmazione delle assunzioni e delle innovazioni normative e tecnologiche. Il piano di formazione indica gli obiettavi e le risorse finanziarie necessarie, nei limiti di quelle disponibili, prevedendo l'impiego delle risorse interne, di quelle statali e comunitarie, nonché le metodologie formative da adottare con riferimento ai diversi destinatari.
La disposizione normativa citata prevede poi che i piani di formazione delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali siano trasmessi al Dipartimento della funzione pubblica per assicurarne il coordinamento anche in funzione di una efficace programmazione degli interventi di formazione in tutti i settori, compresi quelli connessi all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
Al riguardo è anche previsto il monitoraggio diretto della formazione e della relativa spesa nelle amministrazioni dello Stato, limitatamente però alle amministrazioni centrali, con esclusione, quindi, di regioni ed enti locali, che, alla luce delle disposizioni di cui al Titolo V della Costituzione, dispongono di completa autonomia organizzativa e di pianificazione.
Tuttavia, nella consapevolezza della grande rilevanza che assume la formazione del personale della pubblica amministrazione, finalizzata a garantire un costante aggiornamento degli operatori, per una sempre maggiore efficienza dei servizi resi ai cittadini, sono state previste iniziative di sviluppo e promozione della formazione nell'ambito delle intese che il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione ha siglato con tutte le regioni e con molti enti locali.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

BITONCI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il comune di San Giorgio in Bosco (Padova), nel corso del consiglio comunale del 30 marzo 2011 ha approvato a maggioranza una mozione con la quale, in concomitanza con l'anniversario storico del sterminio perpetrato dalla Turchia nei confronti del popolo armeno, esprime la propria solidarietà invitando il Governo italiano a riconoscere con il termine di «genocidio» la violenza subita;
come riportato anche da organi di stampa locale di Padova, l'ambasciatore turco in Italia ha scritto personalmente al sindaco di San Giorgio in Bosco esprimendo la sua piena contrarietà all'iniziativa assunta dal comune evidenziando al contempo sia la falsità della ricostruzione dei fatti storici asserita dagli armeni, sia come tali iniziative, pur essendo ristrette ad un ambito comunale, potrebbero rendere più complessi i rapporti socio-economici tra l'Italia e la Turchia;
la Commissione dei diritti umani dell'Onu già nel 1973, il Papa Giovanni Paolo II, il Parlamento francese, il Parlamento europeo e la Commissione esteri del Congresso degli Usa hanno riconosciuto formalmente ed ufficialmente che la violenza perpetrata tra il 1915 e il 1917 dalla Turchia nei confronti del popolo armeno può essere denominata «genocidio»;
numerose amministrazioni locali italiane, nel corso degli anni passati, si sono espressi, così come il consiglio comunale di San Giorgio in Bosco, per il riconoscimento del genocidio degli armeni -:
se non ritenga di assumere iniziative nell'ambito delle proprie competenze, allo scopo di verificare, anche da parte del Governo la possibilità del riconoscimento di «genocidio» per i fatti occorsi al popolo armeno ad opera della Turchia tra il 1915 e il 1917.
(4-12497)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nell'interrogazione

in esame si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Il Governo italiano ritiene che la strada maestra per affrontare una questione tanto controversa quale quella del cosiddetto «genocidio armeno» risieda nel dialogo tra le parti e nell'approfondimento, senza pregiudizi e precondizioni, della ricerca storiografica (come previsto dagli stessi protocolli volti alla normalizzazione dei rapporti tra la Repubblica di Turchia e la Repubblica Armena, sottoscritti a Zurigo il 10 ottobre 2009, che contemplano misure volte a pervenire a una lettura quanto più possibile condivisa degli eventi della prima guerra mondiale nell'impero Ottomano).
Le risoluzioni dei parlamenti e dei Governi possono utilmente attirare l'attenzione su questa necessità, ma non possono e non devono sostituirsi né ai Governi interessati, né al lavoro degli storici. Per troppi anni, fattori esterni hanno infatti contribuito a determinare lo stallo delle relazioni tra Turchia e Armenia.
Il Governo italiano, che ha quindi valutato con molto favore la firma dei protocolli di Zurigo, continua ad incoraggiare entrambe le parti a procedere quanto prima alla loro ratifica affinché vengano avviate relazioni diplomatiche tra Turchia e Armenia ed i due Paesi procedano speditamente allo sviluppo dei propri rapporti bilaterali.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

BOSSA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'otto febbraio 2011 una petroliera italiana, la Savina Caylyn, della società armatrice fratelli D'Amato di Napoli, è stata attaccata e catturata da pirati, mentre era in navigazione nell'oceano indiano, a 880 miglia dalla Somalia e a 500 dall'India;
da allora, sulla Savina Caylyn, un gigante d'acciaio di 105 mila tonnellate e lungo 266 metri, i pirati tengono sotto sequestro 22 uomini d'equipaggio: 5 italiani e 17 indiani; la petroliera e i suoi 22 uomini di equipaggio sarebbero nelle acque somale, a ridosso della costa, nei pressi della «tortuga» di Harardere dove sono all'ancora almeno un'altra dozzina di navi sequestrate;
nelle prime ore successive al sequestro, la Marina militare italiana sembrava essersi rapidamente attivata portando sul posto la fregata Zeffiro, impegnata nella missione antipirateria «Atlanta» dell'Unione europea; pare che la Zeffiro sia stata impegnata in un lungo inseguimento che però non sembra aver dato i frutti sperati. L'eventuale attacco per liberare l'equipaggio era praticabile fino a che si stava in alto mare, quando a bordo c'erano solo cinque pirati in grado di mantenere un controllo relativo - in caso di un blitz - su una motonave cosi grande; una volta che la nave è approdata nella baia, non si sa quanti predoni possono essere saliti sulla petroliera e con quali armi a disposizione e l'attacco per liberare i sequestrati sembra ormai improbabile;
da più di un mese non si hanno notizie della situazione; ai cinque uomini di equipaggio italiani viene consentito sporadicamente, e molto rapidamente, di effettuare telefonate a casa per rassicurare i familiari. Dai colloqui, però, appaiono molto provati e spaventati da condizioni durissime di vita; secondo quanto ricostruito da indiscrezioni, i marinai sarebbero sottoposti a strettissima sorveglianza, una vigilanza continua e uno stato di vera e propria detenzione;
il Governo ha scelto di mantenere su questa vicenda uno stretto riserbo, dovuto probabilmente alla estrema delicatezza del caso. Intanto i giorni passano senza che ci siano evoluzioni: il mercantile continua a rimanere attraccato in un porto della Somalia e la fregata Zeffiro della Marina militare resta nelle sue vicinanza, a sorvegliarlo a vista;
la situazione di stallo genera, naturalmente, un grosso allarme nei familiari dei cinque marinai italiani sequestrati, che si chiedono con angoscia che cosa si stia

realmente facendo per garantire ai loro congiunti una rapida liberazione -:
se e come, e con quali risultati, il Ministro degli affari esteri abbia attivato i canali diplomatici a sua disposizione per intervenire sul caso in questione e quali siano le notizie disponibili sulle condizioni dei cinque italiani sequestrati;
quali siano allo stato, compatibilmente con l'ovvia riservatezza sulle operazioni, le iniziative che s'intendano assumere per la soluzione della delicata vicenda.
(4-11288)

Risposta. - L'Italia, sin dall'emersione dei primi casi di pirateria a largo delle coste somale nel 2005, si è distinta per il suo impegno costante nel contrasto al fenomeno. Il nostro Paese partecipa a due operazioni multinazionali di pattugliamento delle acque del golfo di Aden, una sotto egida dell'Unione europea, denominata «Atalanta», ed un'altra, sotto egida della Nato, denominata «Ocean Shield».
L'8 febbraio 2011, appena appreso della cattura da parte di un gruppo di pirati della petroliera italiana Savina Caylyn, con a bordo il comandante Lubrano Lavadera, gli ufficiali Bon, Guardascione, Cesaro, il direttore di macchine Verrecchia e 17 marinai di nazionalità indiana, il Governo si è immediatamente attivato. È stato dato ordine alla fregata «Zeffiro», impegnata nella zona, di individuare la petroliera, intercettata il 10 febbraio 2011. Da quel momento e per i successivi due mesi, la nostra nave militare, su cui nel frattempo era stata imbarcata una squadra del comando operativo delle forze speciali, ha monitorato la situazione da una distanza di sicurezza.
Sin dall'inizio della vicenda, l'unità di crisi del Ministero degli affari esteri si è mantenuta in costante contatto con le famiglie del personale italiano, assicurando un continuo aggiornamento sull'evolversi della situazione e ribadendo l'impegno del Governo per favorire, attraverso un ulteriore rafforzamento dell'azione politico-diplomatica, una positiva soluzione della vicenda. I contatti continuano a restare quotidiani e, su invito della Farnesina, i familiari sono stati più volte ricevuti all'unità di crisi, dove sono stati ragguagliati sull'evolvere della situazione anche da ufficiali della Marina militare, mantenendosi in contatto anche con la società armatrice.
Occorre tenere presente che quest'ultima ha voluto affidarsi fin dalle prime fasi del sequestro ad uno studio inglese di intermediazione esperto in tale tipologia di negoziati. Negli ultimi giorni, purtroppo, la stessa società armatrice ha constatato uno stallo nei contatti che non starebbero procedendo nella giusta direzione, mentre si assiste ad una drammatizzazione della minaccia da parte dei pirati.
Considerata la difficoltà dell'azione di forza, il Governo ha avviato, come di consueto in tali situazioni, un'azione intensificata su tutti quegli attori regionali e locali che potrebbero influenzare positivamente la risoluzione della vicenda.
In ambito locale, è stata avviata da parte dell'ambasciatore d'Italia presso il Governo transitorio somalo una costante azione di sensibilizzazione al più alto livello per reiterare il fermo auspicio del Governo italiano affinché nessuno sforzo venga risparmiato per una pronta risoluzione della vicenda. È stata anche ribadita l'esigenza che nessuna iniziativa che possa mettere in pericolo la sicurezza degli ostaggi, italiani e stranieri, a bordo delle navi, venga avallata o perseguita da tali autorità.
Come in analoghi casi di sequestro che hanno coinvolto connazionali all'estero, i contatti continuano anche nel contesto regionale, con le autorità della Tanzania e di Gibuti, affinché esercitino i propri buoni uffici.
Per dotare di ulteriori strumenti di protezione gli armatori italiani le cui navi transitano nel golfo di Aden e a largo delle coste somale, la Farnesina ha inoltre provveduto a dar corso a studi approfonditi, coordinati dalla Difesa, e con l'amministrazione dei trasporti e gli stessi armatori.
Dopo l'esame sia degli aspetti operativi che giuridici, si è profilata la possibilità di rafforzare la protezione delle unità mercantili tramite uno specifico intervento normativo che consenta l'imbarco di protezioni armate. La questione è stata peraltro oggetto

anche di un'indagine conoscitiva della Commissione difesa del Senato, la quale si è conclusa con l'adozione di una risoluzione che, in linea con le conclusioni dello studio coordinato dalla Difesa nei mesi scorsi, impegna il Governo ad individuare lo strumento legislativo atto a favorire soluzioni per consentire l'impiego sul nostro naviglio civile delle scorte armate imbarcate militari o civili. Agli armatori sarebbe lasciata la scelta della soluzione preferita nonché l'onere di sostenerne i costi. Tale soluzione non potrebbe certo risultare definitiva ai fini della totale eradicazione del fenomeno, per la quale è comunque necessario partire da un orizzonte più ampio che prenda in considerazione tanto le operazioni navali internazionali quanto le attività diplomatiche attualmente in corso per stabilizzare la crisi della Somalia, per le quali il Ministro Frattini è personalmente impegnato in una azione internazionale estremamente energica.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

CASSINELLI e SCANDROGLIO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
notizie di stampa confermate da autorevoli fonti riferiscono del sovraffollamento degli ospedali genovesi, ove decine di barelle sono regolarmente abbandonate nei corridoi con tanto di malati in attesa di essere visitati e non seguiti con le dovute cure per mancanza di personale;
la condizione dei nosocomi di Genova, ed in particolare di quello di San Martino, è sempre più grave, alla luce del succitato problema relativo al sovraffollamento e della mancanza di personale, circostanze che minano la qualità e l'efficienza del servizio offerto, già in difficoltà, per la situazione della sanità ligure, eccezionale per ragioni anagrafiche (il 27 per cento dei residenti è ultrasessantacinquenne) e di bilancio (già oggi vi è un buco di 145 milioni di euro) -:
se non si ritenga necessario un accertamento da parte del Ministro interrogato, anche attraverso il sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria (SiVeAS), per accertare che non siano pregiudicati i livelli essenziali di assistenza nella regione Liguria.
(4-10633)

Risposta. - Il Ministero della salute, il Ministero dell'economia e delle finanze e la regione Liguria hanno sottoscritto, in data 6 marzo 2007, l'accordo per l'approvazione di un piano di rientro dal disavanzo sanitario per il triennio 2007-2009, finalizzato al perseguimento dell'equilibrio economico ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge n. 311 del 30 dicembre 2004. Tra i principali obiettivi individuati dal piano di rientro della regione Liguria, vi era la razionalizzazione della rete ospedaliera e della rete dell'assistenza territoriale.
A seguito del superamento della verifica trimestrale ed annuale per l'anno 2009, avvenuta nella riunione congiunta del 9 dicembre 2010 del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il comitato permanente per la verifica del Livelli essenziali di assistenza (Lea), la regione Liguria ha concluso il proprio piano di rientro.
L'articolo 6 dell'intesa Stato-regioni del 3 dicembre 2009 stabilisce che le regioni in piano di rientro provvedano entro il 30 dicembre 2010 ad adottare provvedimenti di riduzione dello standard di posti letto ospedalieri e 4 posti letto per 1.000 abitanti. In virtù di tale parametro, si può sostenere che la regione Liguria (dati del 2009) conta una adeguata rete di offerta, con una dotazione di 4,23 posti letto per 1.000 abitanti (fonte: nuovo sistema informativo sanitario - NSIS, comitato Lea 2010).
Secondo i dati certificati allo stesso periodo, relativi alle schede di dimissione ospedaliera, la regione Liguria presenta un tasso di ospedalizzazione standardizzato pari a 198,3 per 1.000 (fonte: griglia Lea 2009, comitato Lea 2010) superiore al limite del 180 per cento previsto dall'intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005.

All'interno della regione, inoltre, proprio l'unità sanitaria territoriale genovese (San Martino), presenta il tasso più elevato, superiore sia a quello nazionale sia a quello regionale (fonte: atlante 2009 epidemiologia e ricerca applicata - ERA). Si soggiunge, peraltro, che la regione Liguria presenta il più alto tasso di ricovero in day hospital (83,21 per cento contro 51,77 per cento / valore nazionale) inficiato da un'elevata percentuale di prestazioni riconducibili ai diagnosis related group (DRG) a rischio di inappropriatezza (70,5 per cento contro 52,4 per cento / percentuale nazionale - fonte: rapporto schede dimissione ospedaliera/SDO 2009).
In particolare, per la fascia dei pazienti untrasessantacinquenni, si registra un'eccessiva permanenza nelle strutture di ricovero, con una degenza media in regime ordinario di 9,1 giorni (7,8 giorni è la degenza media nazionale).
Ad una eccessiva ospedalizzazione degli anziani, si contrappone un ricorso all'assistenza sanitaria, presso le strutture di riabilitazione accreditate ex articolo 26 legge n. 833 del 1978, inferiore alla media delle regioni non in disavanzo, nei diversi setting assistenziali.
In particolare nel 2008, dalle rilevazioni effettuate dal Sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria (Siveas), risulta che sono trattati in:
regime residenziale 0,8 utenti per mille abitanti, contro un valore medio delle regioni non in disavanzo di 1,3 e risultano esserci 70,4 giornate di degenza per mille abitanti, contro un valore medio delle regioni non in disavanzo di 116,3;
regime semiresidenziale 0,3 utenti per mille abitanti, contro un valore medio delle regioni non in disavanzo di 0,5 e risultano 28,8 accessi per mille abitanti, contro un valore medio delle regioni non in disavanzo di 56,4.

Anche il numero di pazienti anziani, assistiti in residenze sanitarie assistite (RSA), per mille abitanti anziani è al di sotto del valore registrato nelle regioni non in disavanzo (15,9 pazienti anziani per mille abitanti anziani contro 31,7 nel 2008).
Analogamente, in regime semiresidenziale il numero di utenti risulta inferiore al valore medio delle regioni non in disavanzo (0,5 utenti anziani per mille abitanti anziani contro 3,0 nel 2008). Tuttavia, in virtù degli obiettivi contenuti nel citato piano di rientro, nel 2009 l'attività di assistenza residenziale è stata incrementata grazie a nuovi accreditamenti.
Alla luce di quanto esposto, si ritiene che l'eccessivo sovraffollamento degli ospedali non derivi da una scarsa rete di offerta ospedaliera (sia in termini di personale che in termini di dotazione di posti letto), quanto piuttosto da un improprio utilizzo delle strutture di ricovero ospedaliero e da un insufficiente ricorso ai servizi territoriali.
La prefettura - ufficio territoriale del Governo di Genova ha precisato che i nosocomi del presidio ospedaliero unico dell'Asl 3 «Genovese» - Villa Scassi, Pontedecimo, Voltri e Sestri Ponente - e l'ospedale evangelico internazionale, hanno una dotazione organica di personale medico adeguata a garantire i livelli essenziali di assistenza.
Il Dipartimento emergenza urgenza accettazione (DEA) di II livello dell'A.O.U. «San Martino» è una struttura gestionale, composta da diverse unità operative che forniscono assistenza qualificata ai cittadini con problematiche sanitarie aventi caratteri di urgenza e/o emergenza, articolata in discipline specialistiche diverse ad alta e media intensità di cura.
Una delle unità aderenti al predetto DEA è l'unità operativa medicina d'urgenza e pronto soccorso, che gestisce sia l'accettazione dei pazienti urgenti sia il ricovero e l'eventuale trasferimento degli stessi presso le altre unità operative assistenziali, sulla base delle competenze cliniche.
Il pronto soccorso del «San Martino» è interessato da un elevato numero di accessi giornalieri, valutabile intorno ad una media di 260 pazienti, con una percentuale di ricoveri pari circa al 21,96 per cento di cui due terzi in area medica e un terzo in area chirurgica e traumatologica.

Detto nosocomio è il principale punto di riferimento per la cittadinanza dell'intera area metropolitana, sia per esigenze correlate alle specialità presenti unicamente in questa struttura sia per il radicamento di cui gode in ambito cittadino.
La più rilevante criticità organizzativa del «San Martino» è effettivamente connessa al «sovraffollamento», che determina la costante attivazione dei letti dell'unità di crisi, che era stata a suo tempo istituita per far fronte ad evenienze particolari, nonché la presenza di numerosi pazienti ricoverati in barella all'interno dell'area degenziale dell'unità operativa medicina d'urgenza.
Al fine di superare tali criticità, l'azienda ospedaliera ha posto in atto una serie di correttivi e di provvedimenti, tra cui a mero titolo esemplificativo:
l'attivazione di percorsi clinici-assistenziali definiti per le principali problematiche di patologia, anche sulla base della prevalenza statistico-epidemiologica di presentazione;
la gestione dei posti letto attraverso l'utilizzo del cruscotto aziendale, il supporto di un apposito ufficio, nonché la supervisione della Direzione medica di presidio, che si esplica anche in verifiche all'interno delle unità operative degenziali per verificare l'effettiva disponibilità di posti letto;
il ricorso al blocco temporaneo dei ricoveri programmati effettuati dalle unità operative degenziali, per gestire i momenti di maggior problematicità;
l'attivazione di un programma di trattamento degli anziani, che ha permesso di instaurare rapporti collaborativi con il territorio e di istituire due reparti di cure intermedie dotati complessivamente di 55 posti letto.

Seppur in un contesto di difficoltà di accoglienza, l'alto grado di professionalità del personale medico, infermieristico e di supporto dell'unità operative medicina d'urgenza ha comunque evitato che si verificassero situazioni di carenza assistenziale.
Quanto all'istituto «G. Gaslini», unica sede di DEA pediatrico (età 0-14 anni) di secondo livello della regione, nel corso del 2010 si sono registrati 39.000 accessi in pronto soccorso, di cui il 9 per cento con codice rosso e giallo, il 73 per cento con codice verde e il 18 per cento con codice bianco. La percentuale di ricoveri che ha fatto seguito a tali accessi è stata circa dell'11 per cento.
Il pronto soccorso dell'istituto è dotato di 5 letti di osservazione breve intensiva e di 12 letti di ricovero in medicina d'urgenza e degenza breve.
Per quanto attiene all'attività complessiva del DEA pediatrico, l'assistenza sanitaria prestata ai pazienti è sempre stata tale da non rendere mai necessaria l'interruzione dei ricoveri in elezione, nonostante l'atteso incremento degli accessi nei mesi invernali. Inoltre, malgrado alcuni periodi di criticità, non si e mai verificata la necessità di far sostare i malati in barella per periodi prolungati.
Infine, l'ente ospedaliero ospedali Galliera gestisce, di norma, le situazioni di emergenza e di «iperafflusso» in conformità ai protocolli vigenti e condivisi a livello metropolitano e regionale. Anche quando si registrano delle problematicità, vengono comunque preservati livelli adeguati di assistenza e viene costantemente garantita la tutela dei pazienti.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

CAZZOLA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
venerdì 20 marzo 2008, il TG5, nel corso dell'edizione delle 13, per rubrica «Indignato Speciale», diffondeva un servizio nel quale il signor Ernesto Corti, di ritorno da un viaggio a Mauthausen, denunciava lo stato d'abbandono e degrado in cui si trova il Monumento italiano lì eretto in ricordo dei circa «8.000 italiani» lì deportati;
la medesima denuncia, sul degrado del monumento citato, è stata nuovamente diffusa nel corso del TG 5 di giovedì 17

giugno alle ore 13, sempre nella rubrica «Indignato Speciale»;
il servizio giornalistico del 17 giugno, nel mostrare l'effettivo stato di abbandono e degrado del monumento, in particolare informa che nonostante le numerose sollecitazioni di intervento rivolte a diverse autorità da parte dello stesso Ernesto Corti «a tre anni di distanza nulla è cambiato» -:
quali iniziative intendano assumere, nell'ambito delle proprie competenze e prerogative, al fine di assicurare la dignitosa conservazione del monumento alle vittime italiane morte nel campo di sterminio di Mauthausen e conservarne in tal modo la memoria.
(4-12455)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nell'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di informazione.
La manutenzione del monumento ai deportati italiani nel campo di concentramento di Mauthausen risulta di competenza dell'Associazione Nazionale Ex-deportati (Aned).
Il monumento, pur essendo in buone condizioni generali, presenta dei cedimenti nella parte posteriore, dovuti ad infiltrazioni d'acqua. Inoltre il lato posteriore del monumento è stato utilizzato nel tempo da privati, associazioni, altri, per apporre ricordi dei caduti, molti dei quali si sono distaccati e giacciono in disordine alla base del monumento; altri, in marmo o pietre varie, sono semplicemente appoggiati con il rischio di rotture; altri ancora sono stati sistemati coprendo ricordi precedenti; taluni, realizzati in legno, sono ridotti in condizioni pessime e praticamente illeggibili; altri, in laterizio, risultano rotti in più punti.
Nel 2009, l'Aned aveva informato l'ambasciata d'Italia in Vienna della sua intenzione di restaurare tale parte del monumento, con la costruzione di un muro su cui ricollocare in maniera ordinata i ricordi esistenti e futuri. Dietro interessamento dell'ambasciatore d'Italia in Vienna, il commissariato generale per le onoranze ai caduti di guerra (Onorcaduti) del Ministero della difesa aveva quindi espresso la propria disponibilità a fornire un contributo finanziario per la costruzione di tale nuovo muro, oppure per la ripulitura delle superfici della facciata posteriore del monumento ed il riposizionamento su di essa dei ricordi già esistenti, a condizione che l'Aned avesse presentato uno specifico progetto.
Nel segnalare nel 2010 tale disponibilità di Onorcaduti alla sede Aned di Milano, l'ambasciatore d'Italia a Vienna aveva pertanto informato la medesima che l'erogazione del contributo di Onorcaduti sarebbe stata subordinata alla presentazione di un progetto di restauro approvato da tutte le parti interessate (incluse le autorità locali) e al parere favorevole del Ministero della difesa.
Per quanto di conoscenza del Ministero degli affari esteri, sinora (e nonostante vari solleciti, l'ultimo dei quali di alcune settimane fa) l'Aned non ha fatto pervenire ad Onorcaduti il richiesto progetto di restauro.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

DESIDERATI e REGUZZONI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere quante e quali deroghe agli accordi bilaterali vigenti nel campo del trasporto aereo abbia concesso l'ENAC dall'entrata in vigore delle nuove normative (decreto-legge n. 185 del 2008, convertito con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009) che hanno liberalizzato il trasporto aereo.
(4-11341)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si evidenzia come la politica aeronautica italiana posta in essere in relazione agli accordi aerei, tenga conto, sin dal 2007, delle necessità di sviluppo del traffico aereo nazionale ed in particolare dello scalo milanese di Malpensa, come si evince dalle intese raggiunte e dalle proposte avanzate nel periodo di riferimento.
Infatti, è possibile constatare che, salvo poche eccezioni, lo scalo di Milano è presente quale punto di destinazione in Italia

per i vettori esteri nelle nuove intese raggiunte con il Baharain (2007), Madagascar (2007), Seychelles (con obblighi di code sharing - 2007) Brasile (2007), Mauritius (2007), Egitto (2008), Israele (2008), Corea (2009), Cina (2009), Giappone (2009) e nelle proposte inoltrate ma non pervenute a conclusione per mancato riscontro come ad esempio nel caso di Capoverde (2008).
Altri elementi di sviluppo del trasporto aereo, su cui si richiama l'attenzione, sono rappresentati dall'incremento del tetto di frequenze riscontrabile sia negli accordi perfezionati sia nelle proposte e i contatti intervenuti con le autorità estere al fine di corrispondere a precise necessità di volta in volta manifestate dalle compagnie, dall'introduzione delle clausole di designazione comunitaria che aumenta il numero di vettori designabili da parte italiana e dalla previsione di facoltà di accordi commerciali (code sharing) riconosciute ai vettori.
Sempre in relazione allo scalo di Malpensa, l'Enac ha accolto positivamente le richieste pervenute da vettori extracomunitari, sin dalla fase di avvio del cosiddetto riposizionamento dei servizi Alitalia su Roma, al fine di correggere a favore di Malpensa lo squilibrio che, di fatto, si andava determinando.
Detta politica di apertura del traffico sullo scalo milanese è poi proseguita senza soluzione di continuità a seguito dell'approvazione dell'ordine del giorno della Camera dei deputati (AC 9/1094-A-R/2) del 10 giugno 2008 e, successivamente, in attuazione del disposto normativo di cui alla legge 28 gennaio 2009, n. 2, è stata estesa all'intero contesto aeroportuale nazionale con la politica perseguita in materia di accordi e di rilascio di autorizzazioni di diritti di traffico.
In attuazione della citata legge n. 2 del 2009, su iniziativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in coordinamento con il Ministero degli affari esteri e l'Ente nazionale per l'aviazione civile è stata avviata una generale politica di aggiornamento dei negoziati nei confronti di 39 Paesi (Algeria, Angola, Arabia Saudita, Argentina, Bangladesh, Bahrain, Bielorussia, Brasile, Capo Verde, Cuba, Egitto, Filippine, Georgia, Giamaica, Giappone, Giordania, Hong Kong, India, Israele, Kenya, Kuwait, Libia, Messico, Moldova, Nigeria, Pakistan, Qatar, Russia, Senegal, Singapore, Siria, Sri Lanka, Sud Africa, Thailandia, Tunisia, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Venezuela).
L'impegno profuso ha dato importanti risultati.
Si sono infatti conclusi gli accordi con Brasile, Croazia, Corea, Cina, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Kosovo, Hong Kong, Israele Giappone, Georgia, Giordania, Panama, Qatar, Russia (provvisoria) Sri Lanka, Singapore Sri Lanka, Taiwan, Ucraina (2 accordi), Vietnam. Detti accordi prevedono, tra l'altro, un incremento dei servizi che interessano lo scalo di Malpensa e, di norma, ulteriori destinazioni italiane. I negoziati svolti con la Nigeria, invece, non hanno condotto all'ampliamento delle intese.
Relativamente alle proposte di accordo, si è in attesa di risposta a proposte dettagliate al momento non riscontrate, avanzate in alcuni casi da lungo tempo, ai seguenti Paesi: Algeria, Arabia Saudita, Argentina, Armenia, Bangladesh, Cuba, Etiopia, EAU, Egitto (seconda fase), Giamaica, Hong Kong, India, Iran, Iraq, Kazahkstan, Kenya, Kuwait, Libia, Mauritius, Mozambico, Pakistan, Siria, Russia (seconda fase), Singapore, Turkmenistan, Tunisia, Turchia, Tajikistan. Tali proposte di accordo risultano ad oggi non riscontrate o riscontrate in via interlocutoria dalla controparte. Infine, si rappresenta che si sono avuti contatti con la Malesia per la modifica delle intese.
Tutte le proposte comprendono, tra l'altro, oltre ad un ampliamento dei servizi, lo scalo di Milano quale destinazione sul territorio nazionale.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

DESIDERATI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la legge 29 luglio 2010, n. 120, ha introdotto alcune modifiche al codice della

strada, tra cui in particolare l'introduzione del comma 2-ter e la modifica al comma 3 dell'articolo 119, che detta disposizioni in tema di accertamento dei requisiti fisici e psichici per il conseguimento della patente di guida e di revisione della patente di guida;
tali modifiche prevedono che, quando ne ricorra il caso, la commissione medica locale acquisisce la certificazione per il rilascio del documento di idoneità psicofisica alla guida, in aggiunta alla certificazione del medico monocratico;
la circolare del Ministero della salute che illustra i principi applicativi in ordine al nuovo codice della strada precisa che le persone che hanno compiuto gli 80 anni possono continuare a guidare ciclomotori e/o veicoli (patente A, B, C e D), a condizione che ottengano dalle immissioni mediche locali uno specifico attestato comprovante la persistenza dei requisiti fisici e psichici, a seguito di visita specialistica biennale;
il rinnovo della patente per gli ultraottantenni non può più essere effettuato quindi presso gli ambulatori del servizio di igiene pubblica delle Ulss o delle auto-scuole, ma può avvenire esclusivamente per il tramite della commissione medica locale, istituita presso le unità sanitarie locali capoluogo di provincia;
questo comporta una serie di problemi per le migliaia di ultraottantenni che vogliano rinnovare la patente, dovuti ai lunghi spostamenti, ai tempi di attesa e all'aumento dei costi da sostenere, oltre a causare spesso disagi a tutti i cittadini della provincia che si rivolgono al servizio sanitario del capoluogo -:
se i Ministri interrogati, in conformità a criteri di efficienza dei servizi pubblici rivolti ai cittadini, non reputino opportuno mettere in atto apposite iniziative tese ad incrementare la presenza sul territorio delle commissioni mediche preposte al rilascio del documento di idoneità psicofisica alla guida, anche prevedendone l'attivazione presso ogni unità locale socio- sanitaria.
(4-11517)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame si fa presente che la questione sulla dislocazione delle commissioni mediche locali per le patenti di guida, già evidenziatasi nel corso degli anni, è ora ancor più sentita dagli operatori sanitari e dagli utenti a seguito delle ripetute modifiche delle norme del codice della strada, da ultimo con la legge n. 120 del 2010. Tali modifiche hanno, infatti, comportato un aumento delle visite da effettuarsi presso le commissioni mediche locali, determinato sopratutto dai maggiori controlli per la dipendenza da alcool e droghe e dalla necessità di rinnovo per i conducenti che hanno superato gli ottanta anni.
In proposito il Ministero della salute sottolinea che le commissioni mediche, pur operando presso locali della azienda sanitaria locale di competenza, non sono dipendenti dalle ASL. Inoltre, mentre le Cml svolgono funzioni medico-legali, con la finalità di tutelare la salute pubblica e non già di fornire servizi di cura e assistenza, le Asl esercitano funzioni di carattere organizzativo-amministrativo.
Il Ministero della salute evidenzia, altresì, che sul territorio nazionale le commissioni mediche, pur avendo la stessa costituzione, così come previsto dalla normativa vigente, hanno una notevole difformità per quel che concerne gli aspetti procedurali: modalità di prenotazione, gestione delle liste d'attesa.
Pertanto, queste differenze e i disservizi citati nell'interrogazione in esame, dipendono dall'organizzazione delle Asl a livello locale e non certo dai ministeri competenti.
Per quanto attiene, invece, alla questione circa l'individuazione della figura del residente delle commissioni mediche, il Ministero delle infrastrutture e trasporti auspica il ritorno al sistema del codice previgente stabilendo che tale figura sia determinata ex lege in riferimento alla titolarità del servizio di medicina legale senza la mediazione dell'attuale decreto di nomina ai sensi dell'articolo 481 del decreto del Presidente della Repubblica n. 420 del 1959. Detto

provvedimento, infatti, per quanto di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non fa che recepire l'atto di nomina del responsabile del servizio di medicina legale da parte dei competenti organi della ASL, in quanto il Presidente della commissione si identifica ex lege con il titolare di tale ufficio. Si sottolinea, in proposito, che la legge n. 120 del 2010 non prevede più, tra i rimedi impugnatori avverso il giudizio della commissione medica locale, il ricorso gerarchico al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. È venuta quindi meno l'attività di riesame in sede di ricorso gerarchico dell'operato delle immissioni mediche locali che motivava il collegamento istituzionale con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Pertanto, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è dell'avviso che detta materia debba essere rivista alla luce del mutato quadro normativo e della diversa realtà su cui operano le norme.
Per quanto attiene, inoltre, alla problematica circa la carenza di offerta di commissioni mediche rispetto alla domanda, si sottolinea come questa amministrazione sia consapevole dell'inadeguatezza dell'articolo 119, comma 4, primo periodo del codice della strada, che prevede la costituzione di commissioni mediche locali «in ogni provincia presso le unità sanitarie locali del capoluogo di provincia... (omissis)...».
Infatti, fin dalla scorsa legislatura, e da ultimo nei lavori della citata legge n. 120 del 2010, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha diverse volte richiesto una modifica della succitata disposizione nel senso di stabilire che «l'accertamento dei requisiti psichici e fisici è effettuato da commissioni mediche locali che possono essere costituite, previa valutazione dei competenti organi regionali ovvero delle province autonome di Trento e di Bolzano, presso ogni Azienda sanitaria locale... (omissis)...» (cfr. emendamento 16.3 AS 1720 proponente senatore Filippi ed altri).
Si intendeva rimettere in tal modo il potere di costituzione delle commissioni mediche locali ai soggetti che, costituzionalmente, hanno competenza in materia di sanità e che hanno una maggiore evidenza della adeguatezza o meno della richiesta dell'utenza rispetto al servizio offerto. Tuttavia, tale emendamento non ha trovato il parere favorevole della Commissione programmazione economica, bilancio del Senato della Repubblica ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.
Al fine di porre comunque rimedio ai disagi, anche evidenziati dall'interrogante, giova segnalare l'articolo n. 330, comma 16, del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, «Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada». Detta disposizione prevede che con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con quello della sanità, possono essere costituite più commissioni mediche locali, con il limite, di norma, di una per ogni milione di abitanti nel capoluogo di provincia e di una per ogni cinquecentomila abitanti in ogni provincia, esclusi quelli del capoluogo... (omissis)...».
Ebbene, preme evidenziare che il Ministero delle infrastrutture e trasporti ha recentemente collaborato alla stesura del testo di una risoluzione interpretativa della succitata norma.
In particolare tale risoluzione, approvata dalla Commissione trasporti della Camera in data 28 aprile 2011 presentata dall'onorevole Velo ed altri, invita il Governo ad interpretare il citato articolo n. 330, comma 16 «nel senso di stimare il limite per la costituzione di commissioni mediche locali con riferimento alla domanda espressa dalla popolazione presente su un dato territorio, piuttosto che con riferimento al numero di abitanti, nonché coni riferimento alla domanda espressa in condizioni geografiche particolarmente svantaggiose al fine di pervenire - ove vi siano situazioni di inadeguatezza della presenza di commissioni mediche locali dichiarate dal sindaco richiedente ed accertate da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero della salute - alla costituzione di un numero di commissioni stesse adeguato alla domanda espressa dall'utenza sul territorio».
Successivamente all'approvazione della predetta risoluzione, al fine di conseguire i

risultati da essa auspicati, la stessa è stata trasmessa al Ministero della salute per procedere alla più ampia diffusione capillare presso le Asl.
Si rammenta che, in ogni caso, ai sensi del comma 16 del succitato articolo n. 330, il procedimento finalizzato all'istituzione di commissioni medico locali, anche alla luce della risoluzione interpretativa in parola, è avviato su richiesta del sindaco del capoluogo di provincia o, nell'ambito della provincia, dal sindaco del comune di maggiore importanza.
Compete, invece, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero della salute l'accertamento dell'esistenza di obiettive condizioni, attività nella quale si terrà doverosamente conto dell'interpretazione dell'articolo n. 330, comma 16, in commento, apprestata dalla risoluzione de qua.
Da ultimo, a testimonianza della volontà del Governo di porre rimedio ai disagi arrecati all'utenza, si segnala che, in sede di conversione del decreto legge 13 maggio 2011 n. 70, è stato proposto un emendamento in base al quale il rinnovo biennale della patente per gli ultraottantenni è subordinato al previo accertamento dei requisiti fisici e psichici da parte di un medico monocratico - di cui all'articolo 119, comma 2 del codice della strada - in luogo della commissione medica locale. Tale emendamento non ha, tuttavia, trovato favorevole accoglimento, ma sarà senz'altro riproposto con il primo strumento normativo utile.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

DI STANISLAO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
esiste un modello uniforme di contrassegno per i disabili riconosciuto nei Paesi membri dell'Unione Europea. Il contrassegno europeo consente a un disabile, che ha diritto a particolari agevolazioni nel paese in cui risiede, di beneficiare delle facilitazioni offerte ai disabili negli altri Paesi dell'Unione europea in cui si sposta. Il contrassegno europeo è stato introdotto in seguito ad una raccomandazione del 1998 (98/376/CE) del Consiglio, che ha previsto che i contrassegni per disabili abbiano caratteristiche uniformi e che vengano riconosciuti da tutti gli Stati membri, in modo da facilitare gli spostamenti in auto dei loro titolari;
spetta agli Stati membri rilasciare il contrassegno, in base alla propria definizione di disabilità e secondo le modalità da loro prescelte;
anche l'Italia dovrà riconoscere il «Contrassegno unificato disabili europeo» (Cude), già in vigore in 15 Paesi dell'Unione europea. Infatti, la legge entrata in vigore il 13 agosto 2010 che ha apportato una serie di modifiche al codice della strada, tra cui la norma sulla privacy che impediva al nostro Paese di adottare il tagliando azzurro, ha previsto anche l'adozione del contrassegno disabili europeo;
tuttavia, affinché il provvedimento diventi concretamente operativo occorre il regolamento di attuazione che non è stato ancora emanato;
nella strategia europea sulla disabilità 2010-2020: un rinnovato impegno per un'Europa senza barriere, la Commissione si impegna a facilitare la mobilità delle persone invalide e a promuovere il contrassegno di parcheggio europeo;
va tenuto conto dell'ulteriore problematica che è il passaggio per i disabili con le autovetture nelle zone ZTL -:
se e con quali tempi il Governo intenda emanare il regolamento attuativo che consenta di recepire concretamente la raccomandazione dell'Unione europea e riconoscere il CUDE;
se il Governo, in tale contesto, non ritenga di poter accompagnare il rilascio del CUDE, quando necessario, con un congegno affinché l'auto possa liberamente entrare, circolare e sostare anche nelle zone a traffico limitato.
(4-12219)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
La normativa attualmente vigente in Italia, articolo n. 188 del decreto legislativo 30 aprile 1993, n. 285 (codice della strada) e decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, prevede che gli utenti diversamente abili possano usufruire di importanti agevolazioni, esponendo il contrassegno previsto dall'articolo 381 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, Regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada.
Tale contrassegno, che ha validità nazionale, permette una rapida individuazione da parte degli organi di polizia stradale dei veicoli al servizio della persona diversamente abile e pone l'agente accertatore in condizione, attraverso l'esposizione dell'autorizzazione, di non rilevare eventuali infrazioni ad obblighi dai quali gli aventi diritto sono esonerati. Il fine del contrassegno è, pertanto, quello di agevolare la mobilità degli utenti diversamente abili e, nel contempo, quello di garantire loro la possibilità di usufruire delle facilitazioni previste dal codice della strada e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996, al riparo da improprie contestazioni o verbalizzazioni di infrazioni.
In passato, tutto ciò è risultato in contraddizione con il disposto dell'articolo 74, comma 1, del decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003, «Codice in materia di protezione dei dati personali», che non prevedeva l'esposizione «di simboli o diciture dai quali può desumersi la speciale natura dell'autorizzazione, per effetto della sola visione del contrassegno», vanificando in tal modo quanto sopra espresso ed esponendo gli aventi diritto ad ulteriori difficoltà.
La suddetta legge n. 196 del 2003, non ha reso possibile, fino ad oggi, l'adozione del contrassegno europeo Parking Card for disabile people, valido nella Comunità europea ed emanato con raccomandazione del Consiglio del 4 giugno 1998, che permette a tutti i cittadini della Comunità di usufruire in ogni Paese delle facilitazioni ivi previste. Quest'ultima prevede l'adozione di un contrassegno unico, di tipo europeo e contiene disposizioni relative al modello da adottare, definendone misure, colore, plastificazione, logo ed indicazioni dei dati del titolare da riportare sullo stesso.
Con l'entrata in vigore della legge 29 luglio 2010, n. 120, tali impedimenti sono stati superati. Pertanto, è possibile uniformare la normativa nazionale ai criteri contenuti nella raccomandazione 98/376/CE e garantire, di conseguenza, ai soggetti disabili il diritto di circolare e sostare liberamente nel territorio dei Paesi dell'Unione europea.
È già in corso la predisposizione dei provvedimenti normativi necessari per attuare tale intento e si assicura che la modifica al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada) avverrà in tempi ragionevolmente brevi, tenendo conto, che sarà un provvedimento di ampia portata, concernente non solo l'adozione del contrassegno europeo, ma anche tutta una serie di modifiche al Regolamento connesse alla stessa adozione.
Si segnala, infine, che l'iter approvativo prevede comunque l'acquisizione del parere del Consiglio di Stato.
Riguardo, invece, alla possibilità di accompagnare il rilascio del Contrassegno unificato disabili europeo con un congegno affinché le automobili possano liberamente entrare, circolare e sostare anche nelle zone a traffico limitato, si fa presente che la prospettata soluzione al momento non è praticabile, stante l'estrema diversità delle apparecchiature adottate, con piena discrezionalità, dalle singole amministrazioni comunali.
Peraltro, l'omologazione delle apparecchiature di controllo dei varchi viene effettuata da questo Dicastero su istanza del produttore e sono ammesse tutte le tecnologie disponibili. Non può essere privilegiata, per ovvi motivi di concorrenza, quella della comunicazione a corto raggio terra-veicolo. L'adozione di uno standard unico di comunicazione, ancorché auspicabile, non può essere imposta, essendo ricompresa

nella competenza degli enti internazionali di unificazione.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere:
quanti siano i dipendenti della Cassa Ufficiali della guardia di finanza;
a quanto ammontino nell'anno 2009 le spese e le relative voci, sostenute dalla Cassa ufficiali della guardia di finanza.
(4-06944)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame, l'interrogante ha chiesto di comunicare quanti fossero i dipendenti della Cassa ufficiale della Guardia di finanza e l'ammontare delle relative spese sostenute nell'anno 2009.
Al riguardo, il comando generale della Guardia di finanza ha riferito quanto segue.
La cassa ufficiali è un ente dotato di propria soggettività giuridica distinta ed autonoma rispetto alla Guardia di finanza, riconosciuta dalla legge istitutiva regio decreto legge 5 luglio 1934, n. 1187, convertito con legge 4 aprile 1935, n. 568.
In particolare:
la Cassa non ha organicamente personale alle proprie dipendenze;
l'intera struttura organizzativa dell'ente si avvale di un segretario - che peraltro svolge congiuntamente le medesime mansioni anche con riferimento agli altri due enti del corpo (fondo assistenza finanzieri e fondo di previdenza) - su cui gravano gli adempimenti connessi al corretto funzionamento dell'organo di governo della cassa (tenuta della contabilità e redazione del documento di bilancio, nonché esecuzione materiale delle direttive del consiglio di amministrazione);
la citata funzione di segretario è assunta dal capo ufficio enti previdenziali ed assistenziali, istituito presso il Comando generale della Guardia di finanza, che - limitatamente all'esecuzione dei compiti demandatigli dal consiglio di amministrazione dell'ente - impiega un'aliquota di personale assolutamente ridotta che opera negli stessi locali dell'articolazione di Stato maggiore e con gli stessi mezzi, svolgendo l'attività nel contesto delle altre ordinarie funzioni del predetto ufficio;
l'ente si alimenta attraverso le contribuzioni di tutto il personale dipendente appartenente alla categoria ufficiali.

Le spese correnti sostenute nell'anno 2009 dall'ente hanno avuto la sotto indicata incidenza rispetto alle entrate correnti annuali:
spese di amministrazione: 0,61 per cento;
imposte e tasse: 0,28 per cento;

Nell'anno 2009 l'Ente ha, altresì, sostenuto spese riferite alle specifiche finalità istituzionali di previdenza, a fronte della liquidazione dell'indennità spettante agli ufficiali cessati dal servizio, con un'incidenza pari all'86,6 per cento rispetto alle entrate correnti annuali.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Bruno Cesario.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere:
quanti siano i dipendenti del fondo di assistenza per i finanzieri;
a quanto ammontino nell'anno 2009 le spese e le relative voci, sostenute dal fondo di assistenza per i finanzieri.
(4-06954)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame, l'interrogante ha chiesto di comunicare quanti fossero i dipendenti del fondo

di assistenza per i finanzieri e l'ammontare delle relative spese sostenute nell'anno 2009.
Al riguardo, il comando generale della Guardia di finanza ha riferito quanto segue.
Il Fondo di Assistenza per i Finanzieri (F.A.F.) è un ente dotato di propria soggettività giuridica distinta ed autonoma rispetto alla Guardia di finanza, riconosciuta dalla legge istitutiva 20 ottobre 1960, n. 1265 e successive modificazioni.
In particolare:
il fondo non ha organicamente personale alle proprie dipendenze;
l'intera struttura organizzativa dell'ente si avvale di un segretario - che peraltro svolge congiuntamente le medesime mansioni anche per gli altri due enti del corpo (fondo di previdenza e cassa ufficiali) - su cui gravano gli adempimenti connessi al corretto funzionamento dell'organo di governo del fondo (tenuta della contabilità e redazione del documento di bilancio, nonché esecuzione materiale delle direttive del consiglio di amministrazione);
la citata funzione di segretario è assunta dal capo ufficio enti previdenziali ed assistenziali, istituito presso il comando generale della Guardia di finanza, che - limitatamente all'esecuzione dei compiti demandatigli dal consiglio di amministrazione dell'ente - impiega un'aliquota di personale assolutamente ridotta che opera negli stessi locali dell'articolazione di Stato maggiore e con gli stessi mezzi, svolgendo l'attività nel contesto delle altre ordinarie funzioni del predetto ufficio.
Le spese correnti sostenute nell'anno 2009 dall'Ente hanno avuto la sotto indicata incidenza rispetto alle entrate correnti annuali:
spese di amministrazione: 0,56 per cento;
imposte e tasse: 1,7 per cento;
manutenzione e riparazione beni mobili, impianti, attrezzature e macchinari: 0,01 per cento;
gestione beni immobili: 1 per cento.

Nell'anno 2009 l'ente ha, altresì, sostenuto spese riferite alle specifiche finalità istituzionali di previdenza ed assistenza con la sotto indicata incidenza:
liquidazione indennità di buonuscita: 39,8 per cento;
assistenza (per assistenza agli orfani, sussidi ed altre iniziative assistenziali): 11 per cento.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Bruno Cesario.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere:
quanti siano i dipendenti del Fondo di previdenza per il personale appartenente ai ruoli ispettori, sovrintendenti, appuntati, finanzieri della guardia di finanza;
a quanto ammontino nell'anno 2009 le spese e le relative voci, sostenute dal Fondo di previdenza per il personale appartenente ai ruoli ispettori, sovrintendenti, appuntati, finanzieri della guardia di finanza.
(4-06956)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame, l'interrogante ha chiesto di comunicare quanti fossero i dipendenti del fondo di previdenza per il personale appartenente ai ruoli ispettori, sovrintendenti, appuntati e finanzieri della Guardia di finanza e l'ammontare delle relative spese sostenute nell'anno 2009.
Al riguardo, il comando generale della Guardia di finanza ha riferito quanto segue.
Il fondo di previdenza per il personale appartenente ai ruoli ispettori, sovrintendenti, appuntati e finanzieri è un ente dotato di propria soggettività giuridica distinta ed autonoma rispetto alla Guardia di finanza, riconosciuta dalla legge istitutiva

regio decreto-legge 5 luglio 1934, n. 1187, convertito con legge 4 aprile 1935, n. 568.
In particolare:
il fondo non ha organicamente personale alle proprie dipendenze;
l'intera struttura organizzativa dell'ente si avvale di un segretario - che peraltro svolge congiuntamente le medesime mansioni anche per gli altri due enti del corpo (fondo assistenza finanzieri e cassa ufficiali) - su cui gravano gli adempimenti connessi al corretto funzionamento dell'organo di governo del fondo (tenuta della contabilità e redazione del documento di bilancio, nonché esecuzione materiale delle direttive del consiglio di amministrazione);
la citata funzione di segretario è assunta dal capo ufficio enti previdenziali ed assistenziali, istituito presso il comando generale della Guardia di finanza, che - limitatamente all'esecuzione dei compiti demandatigli dal consiglio di amministrazione dell'ente - impiega un'aliquota di personale assolutamente ridotta che opera negli stessi locali dell'articolazione di Stato maggiore e con gli stessi mezzi, svolgendo l'attività nel contesto delle altre ordinarie funzioni del predetto ufficio;
l'ente si alimenta attraverso le contribuzioni di tutto il personale dipendente, appartenente alle categorie ispettori, sovrintendenti, appuntati e finanzieri.

Le spese correnti sostenute nell'anno 2009 dall'ente hanno avuto la sotto indicata incidenza rispetto alle entrate correnti annuali:
spese di amministrazione: 0,06 per cento;
imposte e tasse: 1,01 per cento;
spese di gestione immobili: 0,2 per cento.

Nell'anno 2009 l'ente ha, altresì, sostenuto spese riferite alle specifiche finalità istituzionali di previdenza, a fronte della liquidazione del premio di previdenza al personale cessato dal servizio, con un'incidenza pari al 44,5 per cento rispetto alle entrate correnti annuali.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Bruno Cesario.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nel sito «Corriere.it» il giorno 13 agosto 2010, è stato pubblicato un articolo di Donatella Barus della Fondazione Umberto Veronesi, intitolato: «Cure anti-cancro, anziani discriminati. Per gli over 65 è più difficile accedere ai nuovi farmaci e alle sperimentazioni. Gli esperti lanciano una campagna»;
nel citato articolo si fa presente che le persone anziane risultano essere la maggioranza fra i malati di tumore «ma il meglio delle cure e della ricerca pare non essere per loro. Gli anziani troppo spesso sono tagliati fuori dalle terapie più avanzate e dai protocolli sperimentali, senza valide ragioni mediche, ma solo in base all'età»;
nell'articolo in questione si legge tra l'altro che «se c'è un farmaco che ribalta le prospettive di sopravvivenza... tutti i quarantenni lo ricevono, per gli anziani è un'eccezione»; e che se la speranza di vita raddoppia così non accade per gli anziani malati di tumore: ...che restano fermi alle statistiche di trent'anni fa. Ai danni dei malati ultrasessantenni si sta consumando quella che un gruppo agguerrito di oncologi non esita a definire «una discriminazione grave e inaccettabile» l'allarme è stato lanciato in occasione del Congresso dell'European haematology association (Eha) tenutosi a Barcellona;
la rivista «Ecancermedicalscience», fondata dall'Istituto europeo di oncologia di Milano, ha dato il via a una campagna di sensibilizzazione che coinvolge medici, pazienti e associazioni;

come ha spiegato il dottor Mario Boccadoro, direttore del dipartimento di oncologia e ematologia dell'ospedale San Giovanni Battista di Torino, proprio dalle malattie oncoematologiche emergono i contrasti più stridenti: «Negli ultimi dieci anni la sopravvivenza dei malati di mieloma multiplo è raddoppiata, ma se si considerano soltanto i pazienti ultrasettantenni non si nota alcun vantaggio rispetto al passato. C'è una disparità di trattamento, la comunità medica resta attaccata a vecchi schemi di cura, ricorrendo raramente ai nuovi farmaci già in commercio, come bortezomib, talidomide e lenalidomide, molto efficaci e molto meno tossici della vecchia chemioterapia»;
ancora più sconvolgenti appaiono i dati raccolti dalla European cancer patients coalition, che rappresenta 300 organizzazioni di pazienti in 42 Paesi. L'esempio è quello della leucemia mieloide cronica, una patologia che viene diagnosticata in genere in età avanzata, e la cui storia è stata rivoluzionata dall'avvento di un medicinale, l'imatinib (o Glivec), il primo vero farmaco «intelligente». «Quindici anni fa solo 30 malati su cento erano ancora vivi a otto anni dalla diagnosi, oggi sono 93 su cento» ha segnalato il dottor Jan Geissler, direttore di Ecpc, e caso raro di paziente a cui la leucemia mieloide è stata diagnosticata a 28 anni;
secondo i dati raccolti da Ecpc, l'imatinib, «gold standard» per questa forma di leucemia, è somministrato a quasi tutti i quarantenni (il 93 per cento delle donne e l'81 per cento degli uomini) e a meno della metà dei malati fra i 70 e gli 80 anni (48 per cento delle donne e 44 per cento degli uomini);
il dottor Geissler ha evidenziato come «all'ultimo congresso Asco, il principale appuntamento internazionale di oncologia, sono stati presentati due grandi studi sul nilotinib e il dasatinib, nuovi farmaci contro la leucemia mieloide cronica, malattia che viene diagnosticata dopo i 65 anni; è risultato che l'età media dei pazienti coinvolti nei trial clinici era di 46-49 anni. Abbiamo bisogno di una ricerca che rappresenti la realtà», è la conclusione del dottor Geissler;
nella classe medica, sempre a giudizio del dottor Geissler «resistono barriere mentali che fanno ritenere poco adeguati trattamenti intensi oltre una certa età»; e tutto ciò, a giudizio del dottor Gordon McVie, esperto oncologo, senior consultant all'Istituto Europeo di Oncologia e fondatore di Ecancermedicalscience, «è imbarazzante per la professione. Perché questa è assolutamente responsabilità dei medici. Vedo mancanza di conoscenza e di comprensione del problema, è una discriminazione inaccettabile. Il geriatra deve diventare un compagno di strada dell'oncologo e tutti devono essere coinvolti, medici, familiari, pazienti»;
riferisce il citato articolo, sugli anziani colpiti da tumore, trascurati dal mondo della ricerca anticancro, si sa poco, ma resiste la convinzione diffusa, fra i medici e gli stessi malati e i loro familiari, che dopo una certa età si è troppo fragili per tollerare cure intense; e che, come riconosce il professor Richard Sullivan, docente al King's College di Londra, che ha coordinato un'indagine su pazienti esperti anziani affetti da sindromi mielodisplastiche e leucemia mieloide acuta, interpellando esperti di Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Spagna, «semplicemente, molti oncologi neppure considerano l'eventualità di terapie aggressive e ritengono che gli stessi malati non siano interessati alla cosa... al 63 per cento dei malati neppure vengono prospettate altre opzioni di trattamento nonostante il fatto che fino al 20 per cento dei pazienti anziani sia un candidato adatto alla chemioterapia intensiva, per gli altri esistano comunque trattamenti non mieloablativi e in casi selezionati possano anche essere sottoposti a trapianto di staminali»;
come invita il dottor Boccadoro, i «nonni» di oggi non sono più i vecchietti di una volta e i medici devono prenderne atto. A 70 anni l'aspettativa di vita se si è in buone condizioni è almeno di 15 anni.

Non bisogna stabilire «quanto» uno è anziano solo in base alla data di nascita, ma in base a una valutazione complessa di comorbilità, malattie associate. Bisogna ripensare il concetto di fragilità, difendere i nostri anziani in buona salute e fare in modo che ricevano le cure migliori;
come osserva il professor Sullivan, «siamo di fronte al più rilevante problema sociale che i paesi sviluppati e in via di sviluppo dovranno affrontare. Oggi il 60 per cento dei malati di cancro ha almeno 65 anni. Entro il 2030 saranno il 70 per cento. Negli Stati Uniti si contano circa 10 milioni di ultrasessacinquenni sopravvissuti a un tumore, persone spesso sole, con sempre meno figli, povere, sottoposte a terapia, perciò particolarmente vulnerabili» -:
di quali elementi disponga in relazione a quanto affermato nel citato articolo, circa la discriminazione di cui sarebbero oggetto e vittime gli anziani affetti da tumore, e in particolare se per i cosiddetti «over 65» sia più difficile accedere ai nuovi farmaci e alle sperimentazioni;
se non ritenga opportuno assumere iniziative per accertare la fondatezza delle notizie riportate nel citato articolo, e - ove queste risultassero confermate - intervenire nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà perché questa discriminazione abbia a finire;
se non ritenga di dover sostenere e appoggiare la campagna informativa annunciata nel sopra citato articolo.
(4-08415)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si osserva quanto segue.
Circa il 65 per cento dei tumori vengono diagnosticati in pazienti anziani (oltre i 65 anni), ed approssimativamente l'80 per cento delle morti da tumori vengono osservate nei pazienti con più di 60 anni. Nonostante ciò, i dati dello studio Eurocare 4 indicano chiaramente come la sopravvivenza dei pazienti neoplastici anziani sia significatamente inferiore rispetto a quella dei soggetti giovani o di mezza età. La spiegazione a tali dati è riconducibile a diversi fattori. Nei pazienti anziani la diagnosi di tumore è più tardiva, ma soprattutto questi pazienti presentano una serie di comorbilità (cardiovascolari, dismetaboliche, neuro-cognitive, eccetera) che limitano significativamente la possibilità di interventi farmacologici aggressivi o l'utilizzo di nuovi farmaci il cui profilo di tossicità è spesso non completamente definito.
Nonostante i tumori siano sempre maggiormente una malattia della terza età, non esiste dubbio che l'accesso delle persone anziane alle terapie oncologiche, specie quelle più innovative, sia ancora limitato. Tuttavia, alcune considerazioni circa la discrepanza nell'accesso alle cure oncologiche tra la popolazione anziana e non, suscitano interrogativi che necessitano una risposta urgente. Per prima cosa deve essere considerato come l'aspettativa di vita sia aumentata considerevolmente negli ultimi decenni. Ciò si traduce nel fatto che anziani malati di tumore hanno comunque una aspettativa di vita di 10-15 anni, che va tenuta sempre in considerazione nella definizione del piano terapeutico.
In secondo luogo, se da un lato è assolutamente vero che spesso il paziente anziano presenta elementi di criticità che pesano nella scelta dell'approccio terapeutico più appropriato, dall'altro è utile sottolineare come esistano strumenti di valutazione multidimensionale che permettono di avere uno spaccato attendibile di quelle che sono le condizioni del singolo malato.
Attraverso tali strumenti è possibile valutare le condizioni generali, la presenza e l'entità di malattie d'organo e sistemiche, lo stato nutrizionale, la valutazione neuro-cognitiva e di autonomia nella vita quotidiana, nonché l'entità dei farmaci somministrati per patologie pre-esistenti. Proprio perché la valutazione di tali pazienti richiede lo studio e l'interpretazione di una grande quantità di variabili, è ormai una realtà che gli oncologi medici debbano essere sempre affiancati da medici geriatri.

Tuttavia, l'aspetto forse più critico riguarda la sperimentazione clinica di nuovi farmaci o associazioni farmacologiche. In tali studi la popolazione anziana non è adeguatamente rappresentata, e l'età, avanzata

di per sé costituisce un criterio di esclusione all'arruolamento. Tale aspetto, tuttavia, sicuramente criticabile, trova il suo fondamento nel fatto che una discrepanza nella rappresentazione della popolazione anziana in uno studio clinico in un braccio di trattamento, potrebbe portare alla generazione di dati incompleti, non facendo emergere, o per contro facendo sopravvalutare, l'attività di un farmaco sperimentale. Va altresì sottolineato come molti nuovi farmaci, i cosiddetti farmaci a bersaglio molecolare o farmaci intelligenti, sebbene abbiano un buon profilo di tollerabilità nei pazienti giovani, causano degli effetti collaterali quali ipertensione o sindromi dismetaboliche che assumono un peso fondamentale nella popolazione anziana, molto spesso già affetta da tali patologie. Tuttavia, un maggiore accesso degli anziani alle terapie oncologiche più innovative ed efficaci costituisce una priorità, specie alla luce dell'aspettativa di vita e del fatto che molti di questi pazienti, seppur anziani secondo un criterio anagrafico, sono in grado di ricevere le cure troppo spesso riservate ai pazienti più giovani, quando viene effettuato un accurato studio multidimensionale.
Il superamento di tale discrepanza terapeutica diviene possibile solo se si agisce a due livelli.
Il primo è una adeguata rappresentazione del paziente anziano negli studi clinici, o addirittura in studi disegnati esclusivamente per questa popolazione di pazienti, con nuovi farmaci o nuove associazioni farmacologiche. Solo attraverso i dati così generati sarà possibile e avere uno spaccato preciso di quelli che sono i dati di efficacia e tollerabilità in tali pazienti.
Il secondo punto richiede l'impostazione terapeutica nel contesto di team multi-specialistici, nei quali siano rappresentati sia gli oncologi medici che i geriatri orientati alla valutazione dell'anziano affetto da patologie neoplastiche.
Solo attraverso tali percorsi sarà possibile riservare ad una fetta consistente di pazienti anziani cure ad oggi, purtroppo, quasi esclusivamente riservate ai pazienti più giovani, evitando al contempo di trattare in modo eccessivamente aggressivo quei pazienti che presentano elementi di fragilità.
Queste istanze sono state fatte proprie dalle associazioni oncologiche internazionali, come l'Eortc (European organization for research and treatment of cancer) - che hanno realizzato una task force internazionale che si è prefissata come obiettivo primario la messa a punto di linee guida per lo sviluppo di studi clinici oncologici dedicati ai pazienti anziani. Da questo importante dibattito è emerso che per quanto riguarda i pazienti oncologici anziani debbano essere prese in considerazione, oltre ai criteri standard per valutare la risposta al trattamento, anche altri criteri quali la qualità della vita, lo stato funzionale e lo stato di indipendenza dei pazienti. In questo tipo di approccio è fondamentale lo sviluppo di banche dati relative alla valutazione dello stato funzionale dei pazienti oncologici anziani (valutazione geriatrica globale). È altresì fondamentale lo sviluppo di una stretta collaborazione con l'industria farmaceutica, al fine di sviluppare banche dati che riportino tutti i dati relativi ai pazienti oncologici anziani in termini di risposta al trattamento e di effetti collaterali e/o tossici. È essenziale che questo tipo di approccio venga realizzato in tre direzioni diverse: studi clinici con nuovi farmaci (studi di fase I/II), studi clinici con farmaci già registrati e con i quali si cerca di trattare particolarmente i pazienti oncologici anziani, e studi di monitoraggio post-marketing dei farmaci antitumorali nel gruppo di pazienti oncologici maggiormente suscettibili agli effetti secondari indotti da tali farmaci.
Per quanto riguarda il tema della prevenzione oncologica, il Ministero della salute, pur non avendo al momento valutato l'opportunità di aderire o meno alla specifica campagna di sensibilizzazione segnalata nell'atto ispettivo, in collaborazione con alcune Associazioni di volontariato maggiormente rappresentative, nel corso del 2010 ha realizzato le seguenti iniziative di comunicazione:
pubblicazione della «Oncoguida» in formato cartaceo e on-line, destinata ai

malati e agli operatori e contenente informazioni aggiornate su: strutture sanitarie, indagini diagnostiche, trattamenti terapeutici, sostegno psicologico e riabilitazione, nonché informazioni sull'assistenza e sui diritti dei malati di cancro (in collaborazione con l'Associazione italiana malati di cancro-AIMaC);
organizzazione, in collaborazione con la Federazione delle associazioni del volontariato in oncologia (Favo) della «Giornata nazionale del malato oncologico», volta a sensibilizzare la popolazione sui problemi della persona malata di cancro e di quanti sono coinvolti direttamente o indirettamente nel vissuto del malato, nonché sull'importanza della prevenzione per evitare l'insorgenza della malattia.

Per quanto riguarda il corrente anno, a partire da fine gennaio al marzo 2011 è stata attivata la campagna di comunicazione contro il tumore al seno, che rappresenta la prima campagna del Ministero della salute dedicata esclusivamente alla prevenzione del carcinoma alla mammella. Il carcinoma alla mammella costituisce infatti il tumore più frequente e la prima causa di mortalità di origine oncologica nelle donne.
Obiettivo prioritario della campagna è stato quello di sensibilizzare tutte le donne al problema e favorire una maggiore attenzione nei confronti della prevenzione, in particolare di quella secondaria. In secondo luogo, la campagna ha inteso incentivare le donne nella fascia di età a rischio ad aderire ai programmi di screening, rispondendo alla lettera invito inviata dalle strutture del Servizio sanitario nazionale e a presentarsi nei centri per effettuate la mammografia.
La campagna è stata veicolata sulle testate più diffuse della stampa specializzata femminile e, in particolare, su quelle più lette dalle donne adulte, oltre che sui principali quotidiani e sulla free press, nonché mediante l'affissione di locandine sugli impianti presenti nelle strutture sanitarie del circuito Multimedia hospital in tutto il territorio nazionale e tramite i circuiti delle affissioni cittadine e la pubblicità dinamica sui mezzi di trasporto pubblici.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, all'articolo 1-ter (Dichiarazione di attività di assistenza e di sostegno alle famiglie) ha previsto una sanatoria per colf e badanti irregolari;
la domanda per la regolarizzazione di colf e badanti - stabilisce la norma - poteva essere presentata da un datore di lavoro italiano o cittadino di un Paese dell'Unione europea o extracomunitario (se in possesso di titolo di soggiorno) che, alla data del 30 giugno 2009, occupava irregolarmente, alle proprie dipendenze, da almeno 3 mesi, lavoratori italiani o cittadini di un Paese dell'Unione europea o lavoratori extracomunitari presenti in Italia. Altro vincolo era che il datore continuasse ad occupare questi lavoratori alla data di presentazione della denuncia. I lavoratori dovevano essere impiegati come colf o badanti e, per quanto riguardava le badanti, veniva puntualizzato che la regolarizzazione poteva essere fatta anche da un componente della famiglia non convivente con la persona non autosufficiente, per la quale si rendeva necessaria l'assistenza di questa figura;
per avvalersi della procedura di regolarizzazione era previsto l'obbligo di presentare la dichiarazione di emersione fra il 1° e il 30 settembre 2009;
alla chiusura dei termini per la regolarizzazione delle badanti il numero delle domande presentate era di circa 300.000;
probabilmente, l'eccessiva onerosità della domanda, la paura di essere schedati

e la mancanza di un'adeguata campagna informativa avevano rallentato visibilmente il numero delle richieste di regolarizzazione che, secondo alcune stime, avrebbero dovuto essere almeno il doppio. Va detto, inoltre, che allora né le associazioni dei consumatori né le associazioni religiose e degli immigrati furono sentite e coinvolte nel processo di sanatoria. Anche i medici, che nell'impianto normativo erano considerati, ad avviso degli interroganti, alla stregua di «spie» sulla presenza di clandestini, non vennero coinvolti per aiutare e informare le famiglie che, avendo badanti a carico, avrebbero alleggerito il sistema sanitario;
da varie associazioni fu chiesto di promuovere una proroga dei termini al Ministro interrogato, ma a tale richiesta, a quanto consta agli interroganti, venne dato un netto rifiuto;
il Governo mediante la regolarizzazione ha fatto entrare nelle casse dello Stato 150 milioni di euro dal contributo una tantum e 4 milioni e mezzo dall'acquisto di valori bollati. Inoltre ha ottenuto una rendita di altri 90 milioni di euro l'anno di contributi previdenziali. Ma se fosse stata sanata la posizione di tutte le badanti irregolari l'incasso per lo Stato sarebbe salito a oltre 400 milioni di euro per tasse e contributi -:
se non intendano promuovere la riapertura dei termini di regolarizzazione, almeno fino alla fine dell'anno in corso, per dare una maggiore informazione e la possibilità di presentare la domanda di regolarizzazione alle famiglie che hanno intenzione di sanare la posizione delle proprie badanti.
(4-08515)

Risposta. - Con le disposizioni contenute nell'articolo 1-ter del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 - convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 - il Governo ha voluto consentire l'emersione del lavoro domestico irregolare, nell'ambito di una serie di misure volte, sul piano generale, a dare sostegno alle famiglie.
Infatti, la possibilità di dichiarare la sussistenza pregressa dei rapporti di lavoro riguardanti l'assistenza a persone affette da patologie o handicap che ne limitano l'autosufficienza, ovvero il sostegno al bisogno familiare, è stata concessa a tutte le famiglie, prescindendo dalla nazionalità del lavoratore. Il provvedimento, pertanto, ha riguardato sia i lavoratori italiani e comunitari sia quelli extracomunitari.
La misura legislativa si è mossa, tra l'altro, in stretta aderenza con gli impegni presi in ambito comunitario con il Patto europeo per l'immigrazione ed asilo, approvato dal Consiglio europeo nell'ottobre 2008, che ha vincolato gli Stati membri a non adottare sanatorie generalizzate.
L'iniziativa del Governo, infatti, è stata finalizzata a favorire il sostegno alle famiglie, facendo emergere, nel contempo, situazioni di irregolarità nel lavoro domestico.
Nel periodo di tempo previsto dall'articolo 1-ter del decreto-legge 1° luglio 2009; n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 (1-30 settembre 2009) sono pervenute 295.117 domande, di cui 179.985 per colf e 115.132 per badanti.
In merito alla possibilità di proroga o di riapertura dei termini, auspicata dagli interroganti, non si è ritenuto di procedere con un provvedimento normativo in tal senso.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Sonia Viale.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come hanno ampiamente riferito notiziari radiotelevisivi, quotidiani e siti on line il 3 settembre 2010 un bambino è nato morto all'ospedale di Padova;
risulta che i genitori del piccolo, una giovane coppia di Campagna Lupia, nel veneziano, si erano rivolti nel tardo pomeriggio del 3 settembre all'ospedale di Piove di Sacco perché la futura mamma aveva iniziato ad accusare dolori al ventre;

all'ospedale del Piovese, secondo la denuncia presentata in procura dal marito dopo aver effettuato un'ecografia avrebbero dimesso la donna, asserendo che non c'era urgenza al momento, e se comunque volevano avere una sicurezza di rivolgersi all'ospedale di Padova;
a quel punto, continua la denuncia, la coppia ha chiesto un'ambulanza per il trasferimento a Padova, ma il mezzo sarebbe stato negato per motivi burocratici, costringendo i giovani genitori a raggiungere la città del santo con i loro mezzi;
una volta a Padova la donna, dopo aver perso circa una mezz'ora per trovare il pronto soccorso ostetrico, è stata ricoverata d'urgenza in clinica ginecologica, dove le è stato praticato un cesareo senza però riuscire a salvare il bambino, già morto;
i medici sono stati costretti anche ad asportare l'utero della donna per un'emorragia interna, la donna ora si trova in coma farmacologico -:
quale sia l'esatta dinamica della vicenda;
in particolare, in cosa consistano i motivi di carattere burocratico alla base dei quali alla giovane coppia è stato negato l'uso di un'ambulanza;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, si intendano promuovere e adottare in ordine a quanto accaduto.
(4-08532)

Risposta. - Per quanto riguarda l'episodio richiamato nell'interrogazione in esame, la prefettura - ufficio territoriale del Governo di Padova ha comunicato che, il 14 settembre 2010, l'azienda U.L.S.S. n. 16 di Padova ha elaborato una relazione che è stata consegnata alla commissione di inchiesta nominata dalla regione Veneto.
Tale relazione, nella prima parte, riporta i fatti appresi dall'azienda U.L.S.S. sulla base di quanto riferito dagli operatori dell'Ospedale «Immacolata Concezione» di Piove di Sacco coinvolti nella presa in carico della paziente e delle loro relazioni, redatte in osservanza delle vigenti procedure di gestione del rischio clinico.
Nella seconda parte, il documento illustra l'organizzazione operativa adottata dall'ospedale «Immacolata Concezione» per fornire risposta alle urgenze ostetrico-ginecologiche e pediatriche.
Costituiscono parte integrante della relazione il protocollo per «La gestione del neonato in situazioni di routine e di urgenza» in uso presso il suddetto ospedale, e la nota relativa all'evento in questione a firma del direttore del servizio di urgenza ed emergenza medica - centrale operativa di coordinamento provinciale Suem 118, della stessa Azienda U.L.S.S.
Nella documentazione non si precisa nulla in ordine all'asserita negazione dell'ambulanza alla paziente, circostanza, questa, riportata soltanto dalla stampa.
Non risulta, infatti, all'Azienda U.L.S.S. n. 16 né la richiesta di ambulanza da parte dell'interessata, né il diniego del veicolo da parte del personale dell'ospedale di Piove di Sacco.
La relazione è stata acquisita dai carabinieri del nucleo antisofisticazione e sanità (Nas) di Padova, nell'ambito del procedimento penale pendente presso la procura della Repubblica - tribunale di Padova.
Sull'accaduto l'U.L.S.S. n. 16 di Padova ha attivato le procedure di audit clinico secondo le disposizioni regionali, per valutare l'evento nell'ottica della gestione della sicurezza del paziente.
In esito all'effettuazione di un audit congiunto voluto dalla regione Veneto e dal Ministero della salute, tramite un Commissione mista, avente l'incarico di indicare soluzioni per il miglioramento dell'assistenza, la stessa commissione ha identificato le aree di miglioramento di seguito indicate.

Ospedale di Piove di Sacco
1 Revisione delle modalità di acquisizione e formalizzazione del consenso informato, in particolare nei casi in cui il paziente rifiuti i trattamenti proposti, riservando particolare attenzione ai casi in cui la verbalizzazione del rifiuto del ricovero è in capo al medico del pronto soccorso,

soprattutto quando tale rifiuto avviene a seguito di consulenza specialistica.
2 Migliorare le modalità di comunicazione tra il personale sanitario ed il paziente e i familiari, in particolare di fronte a condizioni che potenzialmente possano configurare un successivo rischio di occorrenza di eventi avversi, al fine di favorire una compiuta comprensione del percorso assistenziale proposto.
3 Vigilanza da parte della direzione sanitaria sulla verifica continua dell'adeguatezza e dell'aggiornamento dei protocolli clinici da parte dei reparti e Servizi.

Azienda Ospedaliera di Padova
1 Prevedere un sistema che regoli il percorso di accesso all'ospedale e, di conseguenza, ai reparti ed unità operative presenti, che consenta il monitoraggio degli ingressi di persone e di mezzi all'interno dell'ospedale, in particolare durante le ore notturne.
2 Revisione della segnaletica relativa ai percorsi di accesso ai servizi di Pronto Soccorso generale e specialistici.
3 Revisione delle modalità di gestione della comunicazione dei turni della reperibilità e delle eventuali modifiche ed, eventualmente, della modalità di attivazione del sanitario reperibile.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il papilloma virus umano (HPV) rappresenta la causa principale dello sviluppo del cancro alla cervice uterina; il tipo di tumore che può generare al collo dell'utero è nel mondo la seconda forma di cancro più diffusa tra le donne dopo il tumore al seno, con oltre 500.000 nuovi casi ogni anno, eppure questo tumore è l'unica forma di cancro di cui si conoscono esattamente le cause e come prevenirle. Eppure le infezioni da HPV sono purtroppo ancora molto diffuse, con un impatto clinico e sociale elevato;
in Italia si registrano circa 3.500 nuovi casi ogni anno e circa 1.500 decessi. Oltre al Pap test le donne oggi hanno a disposizione il vaccino e il test HPV: quest'ultimo, grazie alla tecnologia molecolare Hybrid Capture 2 (HC2), è in grado di rilevare la presenza del papilloma virus ad alto rischio con grande anticipo rispetto al Pap test, ed è indicato per tutte le donne oltre i 30 anni di età;
i test diagnostici hanno svolto un ruolo importantissimo nel diminuire il numero dei nuovi casi e anche l'indice di mortalità; tuttavia esiste una fascia di donne che ancora non accede ai test diagnostici e rappresenta soprattutto quella su cui tale malattia incide maggiormente;
attualmente sono in commercio dei vaccini, che si rivelano efficaci a proteggere in età adulta dal rischio di contrarre il cancro alla cervice uterina. I dati che provengono dagli Stati dove, da circa un decennio, è in uso tale vaccinazione, fanno ben sperare che questo tipo di pratica preventiva contro i più diffusi tipi di papilloma virus permetterà alle donne di domani di non essere più contagiate;
già a partire dal 2008 si era provveduto a stanziare un contributo alle regioni e alle province autonome per promuovere l'agevolazione e la diffusione della vaccinazione contro l'HPV, ma in molte realtà l'assessorato regionale competente non ha prestato la giusta sensibilità ed attenzione alla diffusione delle citate vaccinazioni. Per questo motivo le aziende sanitarie locali ed i presidi sanitari, che pure, a seguito di questo contributo, hanno acquistato il vaccino, non sono state in grado di garantire la diffusione uniforme sul territorio della vaccinazione;
allo stato attuale il 56 per cento di mamme, con figlie tra gli 11 e 18 anni, dichiara di non aver ricevuto specifiche informazioni o di non aver sentito mai

parlare della vaccinazione. Questi dati trovano riscontro da quanto confermato dall'Istituto superiore di sanità: solo il 59 per cento delle adolescenti, nate nel 1997, si è sottoposto alla vaccinazione, risultato ben lontano da quello del 95 per cento che si intendeva raggiungere per questa prima coorte di giovani -:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano promuovere per la ricerca scientifica e per garantire in modo uniforme sull'intero territorio nazionale il test HPV per le donne e la vaccinazione gratuita per le adolescenti, attraverso una concreta azione di monitoraggio ed informazione, in considerazione del fatto che tutte le cittadine italiane hanno diritto a poter usufruire di tale importante strumento di prevenzione su tutto territorio tramite informazioni chiare e complete;
se intendano predisporre un piano più efficace, anche coinvolgendo le scuole, per garantire un migliore risultato delle coperture vaccinali già disponibili, al fine di accrescere la percentuale delle adolescenti che arrivano a completare l'intero ciclo dei tre richiami previsti per una corretta vaccinazione.
(4-10863)

Risposta. - Questo Ministero avverte in modo sempre più forte la necessità di strategie vaccinali omogenee e comuni, per garantire ai cittadini un uniforme diritto alla prevenzione vaccinale e, conseguentemente, indurre quell'effetto di contrasto che si intende conseguire tramite le vaccinazioni.
La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» (articolo 117), prevede che lo Stato formuli i principi fondamentali in materia di strategie vaccinali, ma non intervenga sulle modalità di attuazione di principi e obiettivi, perché ciò rientra nella competenza esclusiva delle regioni; viene salvaguardata, in tal modo, la stretta interdipendenza tra Stato e regioni.
Il Ministero della salute ha, insieme alle regioni, il compito di governare la disponibilità degli strumenti di prevenzione, incluso il vaccino anti-HPV, fornendo indirizzi coerenti ai servizi e agli operatori sulla base delle migliori evidenze scientifiche disponibili, al fine di garantire equità di accesso e parità di offerta attiva delle prestazioni sanitarie, inclusa la prevenzione primaria, a tutta la popolazione target nazionale.
A tal fine, è stato stipulato un documento di intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano concernente una «Strategia per l'offerta attiva del vaccino contro l'infezione da HPV in Italia» del 20 dicembre 2007, che ha previsto l'inserimento della vaccinazione contro l'HPV nel calendario vaccinale dell'età evolutiva. A partire dal 2008, quindi, questo vaccino è offerto attivamente e gratuitamente dai servizi vaccinali in tutto il territorio nazionale alle dodicenni (ragazze che abbiano compiuto 11 anni di età dal 1° gennaio al 31 dicembre), a partire dalla coorte delle nate nel 1997.
La scelta del target delle ragazze che abbiano compiuto 11 anni di età dal 1° gennaio al 31 dicembre 2008 (le appartenenti alla corte di nascita del 1997, che nel 2008 erano nel 12° anno di vita) è stata unanimemente indicata come prioritaria:
per indurre la migliore risposta immunitaria al vaccino e precedere l'inizio dell'attività sessuale, garantendo così la massima efficacia della vaccinazione;
in quanto il programma vaccinale si rivolge a ragazze che frequentano la scuola dell'obbligo, il che può facilitare l'offerta attiva anche a gruppi a rischio di deprivazione sociale;
per favorire la comunicazione con e attraverso le famiglie;
per mantenere la vaccinazione nell'ambito del patrimonio professionale e delle prestazioni delle strutture del servizio sanitario nazionale (Ssn) deputate all'erogazione delle vaccinazioni: una rete esistente, consolidata ed esperta di vaccinazioni, che può garantire un'equità di offerta di tale prestazione in tutto il Paese.

Peraltro, sulla base dell'autonomia conferita alle regioni a seguito della modifica

del titolo V della Costituzione, alcune di queste hanno previsto l'offerta gratuita anche per le ragazze della coorte di nascita del 1996, mentre altre regioni lo hanno fatto anche per coorti di nascita in anni precedenti.
L'intesa del 20 dicembre 2007, oltre ad individuare gli obiettivi del programma vaccinale contro l'infezione da HPV, ha definito la strategia, le azioni, le figure coinvolte ed i ruoli.
Queste indicazioni devono essere contestualizzate da ogni regione al suo interno, ai fini del raggiungimento dell'obiettivo comune del «Raggiungimento di una copertura ≥ 95 per cento, con tre dosi di vaccino, entro i cinque anni dall'inizio del programma di vaccinazione, cioè per le ragazze nate nel 2001, che saranno invitate attivamente alla vaccinazione nel 2012 e la cui copertura sarà valutata al 31 dicembre 2013».
A tale riguardo, questo Ministero verifica e supporta l'uniformità di offerta esclusivamente per quanto stabilito nell'intesa.
È altresì opportuno far presente che per il 2011 l'Italia ha aderito alla settimana europea di immunizzazione, una iniziativa dell'ufficio regionale europeo dell'organizzazione mondiale della sanità (Oms) ed attuata dagli Stati membri della regione europea. Per una settimana, nel mese di aprile, nei Paesi di tutta la regione europea, sotto lo slogan comune «Prevenire, Proteggere, Immunizzare», si sono svolte attività per informare e coinvolgere la popolazione ed i professionisti sanitari sul tema delle vaccinazioni e per affrontare le sfide future in tale ambito.
Per quanto concerne i programmi di screening, si precisa che la comunità scientifica internazionale ritiene che gli studi scientifici pubblicati in questi ultimi anni costituiscano motivo sufficiente per raccomandare l'uso del test HPV-DNA come test di primo livello nei programmi organizzati di screening.
Peraltro, è ragionevole ritenere che tale uso comporti rilevanti difficoltà organizzative e che, pertanto, sia consigliabile solo all'interno di applicazioni controllate (programmi pilota), per le quali vengano rispettate le seguenti condizioni:
1) avere l'obiettivo di testare nella pratica l'utilizzo di tale modifica delle raccomandazioni, valutandone: l'impatto organizzativo sulla logistica, le procedure e i sistemi gestionali e informativi; le specifiche esigenze informative della popolazione (anche mediante la predisposizione di materiali specifici per il nuovo modello di screening); i costi; le performances sulla base degli indicatori disponibili; la valutazione circa la necessità o l'opportunità di adottare nuovi indicatori;
2) identificare laboratori dedicati che siano aderenti a programmi di controllo di qualità esterni; è altresì necessario definire nella pratica i criteri di accreditamento di tali laboratori;
3) utilizzare test validati, in quanto utilizzati in ampi studi pubblicati;
4) modificare il processo sanitario secondo flow-chart basate sulle evidenze scientifiche;
5) utilizzare procedure univoche di gestione del prelievo citologico (in particolare, il prelievo in fase liquida e l'allestimento del vetrino solo in caso di test HPV positivo);
6) centralizzare la lettura del pap-test come garanzia di sufficienti volumi per rispondere alle esigenze di maturare competenze specifiche, adeguate alla riduzione prevedibile dei pap-test e al mutamento degli obiettivi diagnostici.

Sulla base di tali indirizzi, il Ministero della salute (tramite il piano nazionale screening 2007-2009) e il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) hanno finanziato negli scorsi anni studi pilota, specificamente monitorati, in corso di completamento in diverse regioni.
In coerenza con tale impostazione, il piano nazionale della prevenzione 2010-2012, intesa Stato-regioni e province autonome del 29 aprile 2010, ha recepito fra i propri obiettivi uno specifico sub-obiettivo

di «Innovazione screening cancro cervicale», affidando alle regioni le seguenti «Linee di intervento»:
avvio di sperimentazioni per l'utilizzo del test HPV-DNA come test di screening primario;
integrazione con i programmi di vaccinazione anti HPV.

Per quanto di propria competenza, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Miur) ha comunicato quanto di seguito riportato.
In collaborazione con l'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), il Miur ha presentato per l'anno scolastico 2010-2011 la campagna «Non fare autogol - gioca d'attacco contro il cancro».
Tale progetto educazionale, rivolto agli studenti delle scuole secondarie di I e II grado, ha il fine di sensibilizzare i giovani verso comportamenti e stili di vita corretti, in quanto fondamentali per prevenire malattie oncologiche e cardiovascolari, e si pone l'obiettivo di far comprendere ai giovani l'importanza di contrastare i principali fattori di rischio, attraverso specifiche campagne di comunicazione. Seguendo il filo conduttore del gioco del calcio, si affrontano tempi importanti, per mettere in guardia i giovani da alcuni fra i più diffusi e pericolosi comportamenti a rischio in età giovanile: fumo, scorretta alimentazione, sedentarietà, rapporti sessuali non protetti, sole e lampade solari, alcool e dipendenze, doping.
In particolare, nel citato progetto viene trattato il delicato tema della prevenzione di patologie a trasmissione sessuale, tra cui il papilloma virus e l'epatite, che possono degenerare in malattie tumorali.
Nel progetto viene sottolineato che il 15-20 per cento dei carcinomi deriva da infezioni a trasmissione sessuale che, se adeguatamente conosciute, possono essere prevenute.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

FUCCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la Società italiana di gerontologia e geriatria ha reso noto, di recente, che l'attuale disponibilità di posti letto e di spazi dedicati per l'assistenza agli anziani che soffrono di malattie croniche e acute sarebbe inferiore alle necessità imposte da un trend demografico che vede allungare sempre più l'aspettativa di vita;
inoltre, secondo la società scientifica, è opportuno potenziare la rete integrata di servizi tra ospedale e territorio sia per il crescente numero di casi cronici da seguire, sia per la necessità di razionalizzare le spese in aumento legate all'assistenza ospedaliera -:
quali iniziative, nell'ambito della politica sanitaria del Governo, si intendano assumere in merito a una nuova e più aggiornata organizzazione dell'assistenza, sia ospedaliera che domiciliare, in favore degli anziani che soffrono di malattie croniche.
(4-10845)

Risposta. - La necessità di potenziare il livello di assistenza domiciliare e residenziale per fare fronte alle mutate esigenze assistenziali di una popolazione caratterizzata dalla crescente presenza di anziani e dalla sempre maggiore diffusione di malattie croniche, è all'attenzione del Governo e del Ministero della salute già da molti anni.
Infatti, il piano sanitario nazionale 1998-2000 indicava, tra gli obiettivi di carattere generale del Servizio sanitario nazionale, anche quello di «promuovere l'assistenza continuativa ed integrata (intra ed extra ospedaliera) a favore degli anziani» e specificava, tra gli interventi da compiere prioritariamente nel triennio di validità del Psn, lo sviluppo di «forme alternative al ricovero, mediante l'assistenza domiciliare integrata (ADI), quella residenziale e semiresidenziale e l'ospedalizzazione a domicilio, favorendo l'integrazione tra le diverse forme di intervento».
Il piano sanitario nazionale 2006-2008 riporta un paragrafo specificamente dedicato al «Quadro epidemiologico: l'evoluzione demografica e l'evoluzione dei bisogni» e nel descrivere gli interventi da

sviluppare nel triennio nell'area della non-autosufficienza sottolinea che «il mutato assetto demografico impone un'accelerazione nell'attuazione delle scelte di politica sanitaria in questo campo».
«Occorre, in tal senso, agire essenzialmente sull'implementazione dell'integrazione funzionale tra le varie componenti sanitarie ospedaliere e territoriali e tra i servizi sanitari e sociali, con le modalità previste dall'attuale normativa per il raggiungimento di obiettivi comuni tramite la concertazione degli interventi e la condivisione delle risorse. In particolare è necessario:
Promuovere e migliorare per l'anziano multiproblematico la valutazione multiprofessionale e multidimensionale quale approccio integrato per l'analisi dei suoi bisogni sanitari, psichici, funzionali, relazionali e sociali per l'elaborazione del successivo piano personalizzato di assistenza, a cui tutti gli operatori concorrono per le proprie competenze secondo responsabilità certe;
Individuare per ogni paziente i care manager;
Differenziare l'assistenza domiciliare integrata (ADI) in gradi diversi di complessità, con attribuzione delle responsabilità in termini di risorse e risultato ai vari soggetti coinvolti;
Adottare la cartella unica della assistenza domiciliare;
Coinvolgere il sistema di solidarietà sociale;
Garantire la continuità delle cure, implementando l'integrazione della parte sanitaria della rete di assistenza (ospedale, medico di medicina generale, specialista territoriale eccetera) avvalendosi anche dell'apporto delle tecnologie informatiche e degli strumenti di telesoccorso e di teleassistenza per pazienti affetti da particolari patologie (ad esempio broncopneumopatici cronici in ossigenoterapia domiciliare, pazienti affetti da scompenso cardio congestizio o diabetici gravi). Sarebbe opportuno qualora fosse riscontrata l'urgenza di un ricovero ospedaliero, studiare per questi pazienti un percorso diverso da quello definito con il sistema 118...».
Considerazioni analoghe sono inserite nello schema del Psn 2011-2013, approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri il 21 gennaio 2011, nel paragrafo dedicato alle problematiche assistenziali dell'età senile.
Per quanto riguarda le iniziative in corso presso il Ministero della salute per promuovere e verificare l'effettivo perseguimento degli obiettivi programmatori indicati dai piani sanitari nazionali, si segnala che:
il Comitato permanente per la verifica dell'effettiva erogazione dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'Intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005 valuta con particolare attenzione, in ogni regione, il livello di sviluppo dell'assistenza domiciliare e dell'assistenza in Adi o in Rsa sul totale dei soggetti ultrassessantacinquenni presenti nella regione. Il mancato rispetto dello standard predefinito dà luogo ad un giudizio di «inadempienza», che impedisce l'accesso della stessa regione ad una quota del finanziamento destinato al Servizio sanitario nazionale, cui è attribuito carattere di premialità;
per le regioni assoggettate ai piani di rientro dal deficit strutturale, la verifica delle iniziative adottate per ridurre le dimensioni delle reti ospedaliere, qualificandone l'attività, e sviluppare la rete assistenziale territoriale destinata principalmente agli anziani è ancora più penetrante, atteso che le principali delibere della regione (o del Commissario ad acta) sono sottoposte a verifica preventiva da parte dei ministeri vigilanti; in occasione di tale verifica, questo ministero formula altresì suggerimenti e proposte per favorire l'efficacia e l'appropriatezza delle cure;
è in corso il progetto «Azioni di sistema e assistenza tecnica per gli obiettivi di servizio - progetto ADI» collegato al quadro strategico nazionale (Qsn), previsto dall'articolo 27 del regolamento (CE) 1083/2006. Il Ministero della salute è titolare del progetto e congiuntamente al Ministero del

lavoro e delle politiche sociali e al dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri, sta sviluppando una serie di attività progettuali finalizzate a sostenere le amministrazioni regionali del Mezzogiorno nella realizzazione dell'obiettivo di servizio S.06 - incremento della percentuale di anziani beneficiari di assistenza domiciliare integrata ADI dall'1,6 per cento al 3,5 per cento.
Obiettivo generale del progetto è supportare le regioni del Mezzogiorno nella programmazione, pianificazione, erogazione e monitoraggio, secondo criteri di appropriatezza, dei servizi di assistenza domiciliare alla popolazione anziana ultrasessantacinquenne. Fulcro del progetto è l'integrazione delle prestazioni sanitarie erogate dai distretti delle Asl, con le prestazioni di natura socioassistenziale erogate dagli enti locali, anche attraverso l'adozione di strumenti condivisi di programmazione, gestione dei servizi e valutazione dei bisogni.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

GARAVINI, BUCCHINO, GIANNI FARINA, FEDI e PORTA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
venerdì 17 e sabato 18 giugno 2011 è stato convocato, conformemente all'articolo 6 della legge 23 ottobre 2003, n. 286, il Comitato dei presidenti dei Comites di Francia a Chambéry, al quale sono invitati a partecipare anche i consiglieri del Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE) eletti in Francia e i parlamentari eletti nella ripartizione Europa;
tale riunione rappresenta un'importante occasione per coordinare l'azione di tutti i rappresentanti dei connazionali residenti in Francia;
in base al comma 3 dell'articolo 6 della legge 23 ottobre 2003, n. 286, le spese di viaggio per la partecipazione dei membri dei Comites al Comitato dei presidenti sono a carico dei singoli bilanci dei Comites;
in risposta alla convocazione trasmessa dal Comites di Chambéry, i presidenti di una pluralità di Comites francesi si sono visti costretti a comunicare l'impossibilità di partecipare al Comitato dei presidenti, in ragione dei ritardi da parte dell'amministrazione nell'erogazione dei finanziamenti cui hanno diritto, in base alla legge 23 ottobre 2003, n. 286, articolo 3, comma 6, entro il primo quadrimestre dell'anno;
i ritardi nell'erogazione dei finanziamenti non riguardano soltanto il capitolo di spesa «viaggi per il Comitato dei presidenti», ma anche il capitolo che riguarda il funzionamento dei Comites, con il risultato che gli organi di rappresentanza, in Francia come in tutto il mondo, non sono ad oggi nelle condizioni di svolgere i compiti e le funzioni che dovrebbero assicurare;
negli ultimi anni la funzionalità degli organi di rappresentanza degli italiani nel mondo è stata gravemente pregiudicata dalle decurtazioni finanziarie e dal susseguirsi di proroghe e rinvii delle elezioni di rinnovo, ad oggi non operabili prima del 2012; in tale contesto i ritardi nell'erogazione dei finanziamenti si traducono in una sostanziale paralisi degli organi di rappresentanza -:
quale sia la ragione della mancata erogazione ai Comites dei contributi che, in base alla legge 23 ottobre 2003, n. 286, articolo 3, comma 6, e alla circolare n. 4 del 6 dicembre 2007, l'amministrazione avrebbe dovuto versare entro il primo quadrimestre del corrente anno;
quali misure s'intendano adottare al fine di sbloccare al più presto la situazione dei finanziamenti per il corrente anno e per evitare che in quelli successivi abbia a verificarsi lo stesso inconveniente.
(4-11896)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di informazione.

La difficile congiuntura economica, combinata alle esigenze di risanamento dei conti pubblici, hanno reso necessaria l'adozione nel marzo 2011 della legge n. 22 del 2010 che, all'articolo 1, comma 13, ha disposto un accantonamento del 10,29 per cento delle risorse disponibili sui capitoli 3103 («Contributi in denaro ai comitati italiani all'estero - Comites») e 3106 («Contributo per le riunioni annuali dei comitati dei presidenti dei Comites»).
Per attenuare gli effetti sul funzionamento dei Comites della riduzione dei fondi disponibili, nel rideterminare l'assegnazione dei finanziamenti sono state e le risorse (5 per cento del capitolo) originariamente destinate a riserva per le situazioni di emergenza. Qualora, nel corso dell'anno, i fondi accantonati dal Ministro dell'economia e delle finanze si rendessero, in tutto o in parte, nuovamente disponibili, essi saranno erogati sino alla concorrenza del finanziamento inizialmente stabilito a favore di ciascun Comites, dopo l'esame dei bilanci consuntivi 2010 da parte di questa amministrazione.
Per quanto concerne il capitolo 3103, si fa presente che tutte le richieste di finanziamento pervenute, corredate dalla prescritta documentazione contabile, sono state evase entro i termini di legge («entro il primo quadrimestre dell'anno»).
In particolare, al 23 maggio 2011: risulta finanziato circa il 57 per cento dei Comites (n. 70 su 123); il 6 per cento circa dei comitati (n. 7) ha ricevuto un anticipo su propria espressa richiesta; per i restante 37 per cento (n. 53) non è stato possibile disporre il finanziamento, in quanto i bilanci consuntivi prodotti sono risultati incompleti ovvero non è pervenuta alcuna documentazione contabile.
Parimenti, anche per quanto riguarda il capitolo 3106, tutte le richieste di finanziamento corredate dalla prevista documentazione contabile sono state evase entro i termini di legge.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

GRIMOLDI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in data 30 dicembre 2010 accadeva un grave cedimento strutturale presso la diga di Montedoglio (AR), a seguito del quale si verificava una situazione di crisi lungo il corso del fiume Tevere ed in particolare in Valtiberina toscana ed in Altotevere Umbro;
a seguito di tale incidente si verificavano allagamenti importanti lungo il tratto umbro del fiume Tevere, nei comuni di San Giustino, Citerna, e Città di Castello e nell'abitato di Piosina;
in un primo momento a seguito del diffondersi incontrollato di notizie ufficiose, una buona parte della popolazione, conscia dei pericoli connessi con la presenza dell'invaso di Montedoglio, abbandonava le proprie case per rifugiarsi sulle colline circostanti l'alta valle del Tevere;
la crisi verificatasi a seguito dei fatti di cui in premessa, sebbene fortunatamente si sia risolta con pochi danni, ha ingenerato nella popolazione dell'Alto Tevere un elevato allarme;
tale fatto ha evidenziato problematiche di sicurezza collegate alla presenza di una delle dighe più grandi d'Europa, con una capacità di 150 milioni di metri cubi;
a quanto è dato conoscere, l'incidente si è verificato durante le procedure di collaudo finale della diga -:
di quali elementi disponga il Ministro in relazione ai fatti di cui in premessa e in particolare, se risulti che i comuni umbri siano stati preventivamente informati dello svolgimento delle procedure di collaudo e se le procedure previste dal piano di emergenza siano state rispettate;
se non intenda intervenire affinché le cause dell'incidente siano appurate nel più breve tempo possibile;
se il Ministro non ritenga opportuno che la diga di Montedoglio (AR) non venga più gestita da un ente del quale è prevista

la soppressione ma venga concessa ad una società partecipata da Ministero e regioni Umbria e Toscana.
(4-10360)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, appare opportuno premettere che le competenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti afferiscono all'istruttoria ed all'approvazione in linea tecnica dei progetti di dighe nonché alla vigilanza tecnica sui relativi lavori di costruzione e sul successivo esercizio, finalizzate alla salvaguardia della pubblica incolumità. Non rientrano, invece, nelle competenze del Ministero gli aspetti riguardanti l'individuazione dei soggetti concessionari della risorsa idrica e, quindi, delle opere di sbarramento nonché i profili economici propri della gestione delle opere ovvero degli appalti e/o contratti per la realizzazione e/o manutenzione delle stesse.
Tanto precisato, si comunicano di seguito in dettaglio le informazioni riguardanti la diga di Montedoglio sul fiume Tevere e lo specifico dissesto allo sfioratore di superficie.
In primo luogo, si informa che l'utilizzo prevalente della diga è irriguo ed è gestita dall'ente irriguo umbro-toscano, con sede in Arezzo, titolare di una concessione di derivazione settantennale a prevalente scopo irriguo (e parzialmente idropotabile), per 400 milioni di metri cubi annui, dai bacini Tevere e Arno.
Per quanto attiene agli aspetti riguardanti le procedure tecnico-amministrative ed all'esecuzione dei lavori, si evidenzia che le opere di sbarramento sono state realizzate, come stazione appaltante, dall'Ente autonomo per la bonifica, irrigazione e la valorizzazione fondiaria delle provincie di Arezzo, Perugia, Siena e Terni (poi divenuto dal 1991, ente irriguo Umbro-Toscano) su finanziamento del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, già Ministero dell'agricoltore e delle foreste.
Il progetto esecutivo delle opere venne approvato dalla IV sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con voto n. 409 del 17 maggio 1973. Le varianti apportate alle opere nel corso dei lavori sono state approvate dalla stessa IV sezione con voti n. 202 del 18 giugno 1981, n. 113 del 21 novembre 1985, n. 58 del 26 marzo 1987, n. 25 del 21 giugno 1990 e n. 479 del 20 giugno 1996.
L'appalto venne assegnato all'impresa Cogeco di Roma, successivamente confluita nella Cogefar, divenuta quindi Cogefar-Impresit ed infine Impregilo Spa di Milano. I lavori ebbero inizio nell'aprile 1977 e termine nell'ottobre 1991.
In merito alle caratteristiche dell'impianto, i dati caratteristici del serbatoio sono:
superficie del bacino imbrifero sotteso 275,80 km2
quota di massimo invaso 396,30 m s.m.
quota massima di regolazione 394,60 m s.m.
volume utile di regolazione 142,5x106 m3
volume di laminazione 15,0x106 m3
volume morto 10,5x106 m3
superficie massima dello specchio liquido 8,04 km2

Per quanto riguarda i collaudi effettuati, si evidenzia che le opere in cemento armato, tra cui lo sfioratore di superficie eseguito negli anni 1979/80, sono state oggetto di verifiche statiche secondo le norme vigenti all'epoca della costruzione; il collaudo statico è stato eseguito in data 18 settembre 1996.
La commissione, preposta al collaudo tecnico-amministrativo delle opere ha ispezionato, a più riprese, i lavori per la realizzazione delle opere stesse. L'atto finale di regolarità amministrativa è stato emesso, nelle more del collaudo tecnico dello sbarramento ai sensi dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1363 del 1959 (Regolamento dighe), in data 5 dicembre 1997. Il collaudo tecnico ai sensi dell'appena citata normativa è tuttora in corso.
Nel giugno 1989 hanno avuto inizio gli invasi sperimentali del serbatoio per livelli

idrici progressivi, regolarmente autorizzati dal servizio dighe (ufficio operante presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici) sino alla quota di 390,00 metri sul livello del mare.
Nel marzo 2006 il Registro italiano dighe, subentrato al servizio dighe, ha concesso l'autorizzazione al raggiungimento della quota 394,60 metri sul livello del mare (massima di regolazione) che è stata effettivamente raggiunta e superata di pochi centimetri (sfioro) il 27 dicembre 2010; mentre, in precedenza, la quota massima raggiunta nell'invaso è stata, in data 6 maggio 2009, di 394,1 metri sul livello del mare. Si precisa, in merito, che il raggiungimento della quota massima di regolazione è condizione, espressamente prevista dal citato articolo 14 del regolamento dighe, quale prova di carico per poter procedere all'emissione del certificato di collaudo. Ciò, di norma, a seguito del mantenimento di detta quota idrica per un periodo congruo all'assestamento delle opere e dei livelli piezometrici nelle spalle dello sbarramento e nelle sponde del serbatoio (per il controllo delle eventuali filtrazioni).
Invece, per quanto concerne l'incidente allo sfioratore di superficie si evidenzia che, a seguito di regolari comunicazioni preventive, il concessionario ha proceduto al riempimento del serbatoio portandolo allo sfioro in data 27 dicembre 2010.
Il giorno successivo, 28 dicembre 2010, i tecnici del competente ufficio tecnico per le dighe di Perugia del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno effettuato una visita ispettiva, ai sensi del citato regolamento dighe. In tale seda, anche con il supporto della completa campagna di misurazioni strumentali avviata dal concessionario in occasione dello sfioro, è stato riscontrato un regolare comportamento delle opere.
Alle ore 20,30 circa del giorno 29 dicembre 2010, si è manifestato il dissesto strutturale di parte dello sfioratore di superficie, consistito nel crollo di n. 3 conci (alti circa 9 metri) per una lunghezza complessiva di circa 30 metri, che ha comportato il rilascio di una portata di circa 600 mc/s di acqua.
Il concessionario ha diramato tempestivamente tutte le comunicazioni previste nel documento di protezione civile allegato al foglio di condizioni per l'esercizio e la manutenzione dello sbarramento.
In conseguenza si sono attivate tutte le autorità di protezione civile (prefetture; protezione civile regionali-provinciali, vigili del fuoco) con la partecipazione diretta dei tecnici dell'Ufficio tecnico per le dighe di Perugia.
Il giorno seguente, 30 dicembre 2010, i medesimi tecnici dell'Ufficio tecnico per le dighe di Perugia hanno effettuato un sopralluogo in sito riscontrando la stazionarietà del fenomeno instauratosi, senza aggravamenti (quota del serbatoio inferiore di circa 2,0 metri ed in progressiva riduzione, al pari della portata liberamente effluente).
Il rilascio incontrollato di acqua attraverso la breccia è cessato alle prime ore della mattina del 2 gennaio 2011. Successivamente, il concessionario ha proseguito ad abbassare il livello del serbatoio, di concerto con tutte le autorità preposte, mediante parziale apertura dello scarico di fondo.
In data 3 gennaio 2011, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha disposto un sopralluogo di tecnici della sede centrale, congiuntamente a tecnici dell'ufficio tecnico per le dighe di Perugia, presso la diga in parola. In tale circostanza il personale tecnico incaricato ha effettuato sia specifici rilievi dimensionali delle strutture in calcestruzzo e delle armature della parte coinvolta nel dissesto sia mirati sopralluoghi geologici in alcune parti delle sponde.
Durante tali sopralluoghi è stata riscontrata l'avvenuta cessazione dello sfioro dalla breccia ed un livello del serbatoio in progressiva diminuzione a seguito del rilascio di circa 50 mc/s di acqua dallo scarico di fondo. Non appena terminate dette prime misurazioni degli elementi interessati dal dissesto, la zona dello sfioratore è stata posta sotto sequestro dalla Procura della Repubblica di Arezzo.
In data 4 gennaio 2011, l'ufficio tecnico per le dighe di Perugia ha disposto, di concerto con l'ufficio della sede centrale del

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la riduzione del livello idrico autorizzato di invaso sperimentale del serbatoio da quota 394,60 metri sul livello del mare a quota 383,00 metri sul livello del mare. Ritenuta, la stessa, quale quota atta a garantire, allo stato, sia la sicurezza del serbatoio anche in periodo di avverse condizioni meteoriche, sia la conservazione di un cospicuo volume di risorsa idrica pari a circa 80 milioni di metri cubi.
Per quanto attiene alle attività in corso, si evidenzia che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha costituito, in data 11 gennaio 2011, uno specifico gruppo di lavoro, formato dai dirigenti degli uffici specialistici centrali del Ministero stesso (strutture, idraulica e geologia applicata) e supportato dagli uffici centrale e territoriale già competenti. A tale gruppo è stato affidato il compito, in particolare, di accertare le cause tecniche del dissesto strutturale manifestatosi e, più in generale, di approfondire le condizioni di sicurezza a lungo termine dell'opera di sbarramento delle sponde dell'invaso e delle opere complementari.
Detto gruppo di lavoro ha avviato sul campo la propria attività in data 18 gennaio 2011. Lo stesso ha in seguito riferito al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con una relazione di prima fase, (febbraio 2011), relativamente agli aspetti geologici ed idraulici del sito e del serbatoio nonché circa i prelievi di campioni in sito e le prove di laboratorio da porre in essere per completare le attività di accertamento delle cause del dissesto.
Da detta relazione di prima fase emerge comunque, nel merito delle tematiche territorialmente rilevanti, lo stato di generale sicurezza del sito. Infatti, per quanto attiene agli aspetti geologici, non sono stati rilevati fenomeni di instabilità dei versanti, innescati o riattivati dallo svaso rapido conseguente al dissesto e non si sono evidenziati nel territorio immediatamente a valle dello sbarramento significativi fenomeni di erosione spondale e di instabilità indotti dal transito dell'onda di piena. Mentre, per quanto concerne gli aspetti idraulici, è emerso che la limitazione di invaso, allo stato disposta, consente nel transitorio la laminazione di eventi di piena con elevati tempi di ritorno.
Successivamente agli esiti degli accertamenti strumentali avviati (prelievi di campioni in sito e prove di laboratorio), il suddetto gruppo di lavoro concluderà i propri lavori con la redazione di una propria relazione conclusiva che sarà comprensiva anche delle indicazioni circa gli ulteriori provvedimenti eventualmente da adottarsi.
Da ultimo, circa il futuro della gestione della diga, giova segnalare che è già previsto dalla vigente normativa - decreto milleproroghe del 30 dicembre 2009, n. 194 - che all'Ente irriguo umbro-toscano, posto in liquidazione, subentri un nuovo soggetto individuato/costituito, entro il 6 novembre 2011, dalle regioni Umbria e Toscana dando adeguata rappresentanza alle competenti amministrazioni statali.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

LENZI e GHIZZONI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la mancata autorizzazione dal prossimo anno scolastico da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca all'attivazione del liceo musicale presso l'istituto «Laura Bassi» di Bologna mortifica le attese dei 21 ragazzi che risultano già iscritti e che desiderano appagare le proprie aspirazioni formative e artistiche, frequentando un liceo musicale, e costituisce un buco nel percorso formativo dalle scuole dell'obbligo al conservatorio (alta formazione musicale);
la scelta di non autorizzare l'avvio di un percorso d'eccellenza, quale il liceo musicale in una città come Bologna, che da tempo ha già attivato nel territorio più di 21 scuole medie ad indirizzo musicale e che vanta, soprattutto, del titolo Unesco di «capitale europea della musica» appare alle interroganti ulteriormente inaccettabile

e incomprensibile e non si comprende in base a quali criteri si sia provveduto alla scelta;
va aggiunto che il Ministero ha provveduto, a giudizio delle interroganti, immotivatamente, ad autorizzare 8 istituti presenti nel territorio lombardo e veneto e solo due in Emilia Romagna;
tale scelta del Ministero, insieme al «taglio» di 130 docenti previsto per il prossimo anno scolastico a fronte di un sensibile aumento della popolazione studentesca (quasi mille studenti in più nelle prime classi), penalizza e mortifica ulteriormente la scuola bolognese -:
quali siano stati i criteri utilizzati dal Ministro interrogato per autorizzare l'attivazione dei licei musicali e quali siano state le ragioni che hanno indotto a non concedere l'avvio del suddetto indirizzo presso l'istituto «Laura Bassi» di Bologna.
(4-11579)

Risposta. - Nell'interrogazione in esame l'interrogante lamenta la mancata istituzione, per l'anno scolastico 2011-2012, di una sezione di liceo musicale a Bologna e, al riguardo, chiede di conoscere i criteri utilizzati dal Ministero per autorizzare l'attivazione dei licei musicali nonché «le ragioni che hanno indotto a non concedere l'avvio del suddetto indirizzo presso l'istituto "Laura Bassi" di Bologna».
Si premette che il Ministero, con nota n. 955 dell'11 febbraio 2011, ha fornito indicazioni per le iscrizioni alle prime classi dei licei musicali e coreutici ed ha contestualmente attribuito agli uffici scolastici regionali competenti per territorio la determinazione dell'attivazione dei predetti licei, subordinandola alla verifica della compatibilità con le risorse organiche disponibili.
Per quello che riguarda, in particolare, l'Emilia-Romagna, la competente direzione generale dell'ufficio scolastico regionale, con nota del 9 maggio 2011, ha fatto presente quanto segue.
L'ufficio scolastico regionale ha a suo tempo informato le istituzioni interessate (Conferenza regionale per il sistema formativo e assessorato scuola) circa il fatto che, con le dotazioni organiche disponibili, si sarebbe potuto attivare solamente il liceo musicale di Forlì in considerazione dell'impegno finanziario espresso dagli enti locali che consente un consistente risparmio con riferimento alla distribuzione delle dotazioni organiche. Tale posizione è stata peraltro assunta in continuità con quanto realizzato in altri territori della regione, in diverse contingenze, per la progressiva statalizzazione delle scuole paritarie o per l'ampliamento dell'orario di funzionamento delle sezioni di scuola dell'infanzia, attivate dallo Stato per il solo orario antimeridiano.
Ad illustrazione del percorso seguito, la direzione scolastica regionale ha così riassunto la successione degli atti formali che l'ufficio ha compiuto, anche d'intesa con la regione Emilia-Romagna, nel rispetto delle specifiche competenze istituzionali.
In data 10 gennaio 2011 si è svolto un incontro di carattere tecnico, preparatorio alla Conferenza regionale per il Sistema formativo dell'11 gennaio 2011, avente come ordine del giorno la programmazione territoriale dell'offerta formativa per l'anno scolastico 2011-2012. Nel corso dell'incontro sono state esaminate le richieste di nuovi indirizzi, ivi comprese quelle di attivazione di licei musicali e si è evidenziato che la richiesta della provincia di Forlì-Cesena, in una logica di governance, era supportata da un consistente impegno finanziario degli enti locali. Tale condizione - che ha reso l'avvio del liceo musicale di Forlì maggiormente compatibile con la dotazione organica disponibile - non era presente nelle altre richieste.
L'ufficio scolastico regionale ha quindi espresso il parere di considerare in via prioritaria l'attivazione del liceo musicale a Forlì, tenendo conto delle dotazioni organiche disponibili.
Nella Conferenza regionale del sistema formativo dell'11 gennaio 2011, la regione Emilia-Romagna ha informato della volontà di attivazione di tre licei musicali (Modena, Bologna, Forlì). Nell'occasione l'ufficio scolastico (nota a verbale) si è espresso «favorevolmente per l'istituzione del liceo coreutico a Reggio Emilia, per

l'unicità a livello regionale della proposta, e del liceo musicale di Forlì per il coinvolgimento delle risorse e degli intenti del territorio».
In data 11 febbraio 2011, con la sopra menzionata nota n. 955, il Ministero ha fornito indicazioni alle direzioni scolastiche regionali per le iscrizioni ai licei musicali e coreutici, specificando che gli uffici scolastici regionali hanno il compito di verificare «la compatibilità dell'attivazione di nuove sezioni di liceo musicale e coreutico con le risorse di organico assegnate».
In data 16 marzo 2011, con nota n. 6307, l'assessorato scuola della regione Emilia-Romagna è stato dall'ufficio scolastico regionale informato delle citate indicazioni ministeriali e del fatto che - valutata la congruità con le risorse di organico - si sarebbe proceduto con l'attivazione del solo liceo musicale di Forlì «per l'ampiezza delle risorse rese disponibili dal territorio», chiedendo in merito le osservazioni della regione.
L'assessore alla scuola della regione Emilia-Romagna ne ha preso atto, sia pure con riserva, con nota prot. 76100 del 24 marzo 2011.
In data 25 marzo 2011, con nota n. 8819, l'ufficio scolastico regionale ha dato comunicazione al ministero del fatto che «sentito il competente assessorato regionale, è stato valutato di attivare per il prossimo anno scolastico 2011-2012 i seguenti nuovi licei: liceo coreutico presso il liceo Matilde di Canossa di Reggio Emilia e liceo Musicale presso il liceo artistico di Forlì».
In data 7 aprile 2011, con nota n. 9618, la Direzione scolastica regionale ha comunicato agli uffici degli ambiti territoriali dell'Emilia-Romagna l'istituzione del liceo coreutico a Reggio Emilia e del liceo musicale a Forlì. In precedenza era stata resa nota agli uffici degli ambiti territoriali di Bologna e Modena la non attivazione dei licei musicali, con richiesta di immediata informazione ai dirigenti scolastici interessati, per la gestione degli atti di competenza.
In data 11 aprile 2011, con nota n. 9797, la direzione scolastica regionale ha assegnato agli uffici territoriali le dotazioni organiche del personale docente per l'anno scolastico 2011-2012, da cui trarsi, tra gli altri, gli organici del liceo coreutico e del liceo musicale istituiti.
Nella suddetta comunicazione del 9 maggio 2011, la direzione scolastica regionale ha anche sottolineato di avere rispettato il principio di compatibilità con le risorse di organico assegnate ai diversi ambiti provinciali.
Come comunicato dalla direzione scolastica regionale con nota del 7 giugno 2011, sono poi intervenuti gli impegni finanziari assunti il 18 maggio 2011 dal comune di Modena, in collaborazione con la Fondazione cassa di risparmio di Modena ed altri soggetti istituzionali del territorio, a sostegno dell'avvio del liceo musicale a Modena. La direzione scolastica, preso atto di detti impegni, ha positivamente valutato la richiesta di istituzione di un liceo musicale a Modena. Pertanto, essendosi realizzate le necessarie condizioni di avvio, l'ufficio scolastico regionale, con decreto n. 87 del 28 giugno 2011, ha disposto l'istituzione del liceo musicale presso l'Istituto «Sigonio» di Modena.
Infine, la direzione scolastica regionale ha fatto presente che non sussistono le condizioni per analoghe valutazioni riferite al territorio di Bologna.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

LUCÀ, LOVELLI, NICCO, ESPOSITO, FASSINO, DAMIANO, PORTAS, BOCCUZZI e GIORGIO MERLO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
a causa dell'alto tasso di inquinamento dei locomotori diesel utilizzati sulla tratta ferroviaria Aosta-Torino, il comune di Torino, su indicazione delle autorità competenti, ha vietato, a partire dal 12 dicembre 2010, il transito di detti locomotori nella stazione sotterranea di Porta Susa a Torino;

a causa della mancata elettrificazione della parte compresa tra Ivrea e Aosta, in quel tratto possono viaggiare esclusivamente treni a trazione diesel;
per adeguarsi al divieto di accesso dei locomotori diesel in Porta Susa, Trenitalia ha approntato misure straordinarie, che prevedono la sostituzione, da effettuarsi alla stazione di Chivasso, del locomotore diesel con uno elettrico ai convogli diretti a Torino e la sostituzione da elettrico a diesel sui treni diretti ad Aosta, con conseguenze enormi sulla puntualità, efficienza e affidabilità del servizio;
in data 21 luglio 2010 la società ITALFERR s.p.a. per nome e per conto di RFI Rete ferroviaria italiana s.p.a. ha presentato gli elaborati relativi al progetto preliminare e allo studio preliminare ambientale di «Ammodernamento della linea ferroviaria Chivasso-Aosta - Elettrificazione della tratta Ivrea-Aosta» ai fini della richiesta di verifica di assoggettabilità alla procedura di valutazione di impatto ambientale di competenza statale, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni;
a conclusione di tale procedura, la regione Piemonte, con determinazione n. 213 dell'8 settembre 2010, ha provveduto a trasmettere al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, direzione generale per le valutazioni ambientali, le osservazioni di sua competenza, come previsto dalla legge;
altri progetti di ammodernamento della linea già finanziati, quali quello della «Lunetta di Chivasso» sono stati ripetutamente bocciati dalla procedura di valutazione di impatto ambientale e rimandati a RFI per le opportune valutazioni rendendo eventualmente disponibili le risorse economiche ad essi già destinate;
dalla stampa si è appreso che, in data 11 gennaio 2011, nell'ambito di un incontro tra i rappresentanti delle regioni, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Altero Matteoli e il Ministro agli affari regionali Raffaele Fitto, è stata inserita tra le priorità del prossimo programma CIPE l'elettrificazione della tratta ferroviaria Aosta-Ivrea;
la tratta ferroviaria in questione rappresenta un collegamento strategico che interessa due capoluoghi di regione, l'intera realtà socio-economica della Valle d'Aosta e un'importante parte del Canavese, è frequentata da un numero elevato di pendolari e rappresenta, anche in considerazione dell'aumento delle tariffe autostradali, un canale fondamentale per l'afflusso di vacanzieri in territori a prevalente economia turistica -:
se risponda al vero la notizia dell'inserimento del progetto di elettrificazione della tratta ferroviaria Aosta-Ivrea tra le priorità del programma CIPE e quali siano gli eventuali tempi previsti per la realizzazione di questo progetto, specificando inoltre l'entità e la provenienza delle risorse economiche che verranno impegnate per la realizzazione dell'opera;
a quale punto della procedura prevista sia il progetto, presentato in data 21 luglio 2010 dalla società ITALFERR s.p.a. per nome e per conto di RFI Rete ferroviaria italiana s.p.a. alla direzione regionale ambiente della regione Piemonte, per l'elettrificazione della tratta Aosta-Ivrea e quali adempimenti, spettanti all'amministrazione pubblica statale o alle altre amministrazioni pubbliche regionali, siano ancora nella fase istruttoria;
quali misure e provvedimenti straordinari ritengano necessario adottare, in collaborazione con le regioni competenti, per affrontare i crescenti disagi della popolazione ed evitare l'isolamento strutturale di una parte rilevantissima del territorio nazionale.
(4-10495)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame si comunica che nell'ambito dell'accordo di programma quadro interregionale per l'adeguamento e il miglioramento del trasporto ferroviario Aosta-Torino - sottoscritto nell'aprile 2008

dai ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico, dalla regione autonoma della Valle d'Aosta, dalla regione Piemonte e da Rete ferroviaria italiana - è stato previsto lo sviluppo della progettazione preliminare per l'intervento di elettrificazione della tratta Ivrea-Aosta.
Si evidenzia che la tratta Chivasso-Ivrea è già stata elettrificata a seguito dei lavori completati nel dicembre del 2006 e si sono conclusi anche i lavori di adeguamento a sagoma e consolidamento della galleria Caluso. Attualmente sono in corso le attività per la realizzazione della nuova sottostazione elettrica di Ivrea la cui attivazione è prevista per il 2012. Il finanziamento di 21 milioni di euro per la realizzazione di tali interventi è previsto nella Tabella A - aggiornamento 2009 - del contratto di programma 2007-2011 tra lo Stato e Rete ferroviaria italiana.
Nella stessa tabella del citato contratto di programma, è previsto un finanziamento di 40 milioni di euro per la progettazione esecutiva e la realizzazione del collegamento diretto della linea Chivasso-Aosta con la linea Torino-Milano, conosciuto come «lunetta di Chivasso» e per altri interventi diffusi.
In particolare, in merito al citato intervento «lunetta di Chivasso», che consentirebbe il collegamento diretto della linea da Aosta con Torino evitando l'inversione di marcia dei treni nella stazione di Chivasso, sono state sviluppate le progettazioni preliminare e definitiva a partire da un finanziamento erogato dalla regione Valle d'Aosta. Sulla suddetta progettazione definitiva è in corso il procedimento di valutazione di impatto ambientale ai sensi della legge regionale n. 40 del 1998. Si fa presente che è in corso anche l'adeguamento del ponte sul fiume Chiusella, i cui lavori saranno completati entro il corrente anno. L'attivazione della «lunetta di Chivasso» è pianificata per l'anno 2016. Rispetto al citato stanziamento di 40 milioni di euro, previsto nella tabella A aggiornamento 2009 del contratto di programma 2007-2011, risulta necessario, sulla base delle progettazioni prodotte, un ulteriore finanziamento di 11,7 milioni di euro, richiesto nell'ambito dell'aggiornamento della stessa tabella A in corso di definizione.
La progettazione preliminare dell'elettrificazione della tratta Ivrea-Aosta con sistema a 3 KV (finanziata nell'ambito dello stanziamento di 40 milioni di euro sopracitato) è stata completata a giugno 2010 e, con la pubblicazione dell'avviso sulla G.U. del 24 luglio 2010, è stato avviato presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il procedimento di verifica di assoggettabilità ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e per la valutazione d'incidenza ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997.
Tale Ministero, con provvedimento del 18 febbraio 2011, ha disposto l'esclusione del progetto dalla procedura di valutazione di impatto ambientale (Via), con indicazione di prescrizioni che dovranno essere recepite nei successivi sviluppi dell'iter progettuale e nella fase di realizzazione dell'opera.
Per quanto concerne la progettazione preliminare dell'elettrificazione della tratta Ivrea-Aosta è stata preventivata in 81 milioni di euro la spesa di realizzazione dell'intervento che non ha, al momento, nessuna copertura finanziaria, sia per la progettazione definitiva sia per la realizzazione. I tempi stimati per la realizzazione dell'intervento di elettrificazione della tratta Ivrea-Aosta sono di circa 43 mesi con la possibilità di interruzioni di tratti di linea della durata di alcuni mesi in due periodi diversi.
Da ultimo si sottolinea che la modernizzazione della linea ferroviaria Aosta-Chivasso è inserita, fin dal 2006, in tutti i documenti di programmazione stipulati tra la regione autonoma della Valle d'Aosta ed il Governo e che, nella rimodulazione dell'intesa istituzionale quadro del 2010, in corso di rielaborazione tra la regione ed il Governo, l'opera continua a conservare il suo carattere di strategicità,

come peraltro confermato anche nell'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza attualmente in discussione presso la Conferenza unificata.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

MADIA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
in vista della realizzazione di un piano integrato a San Cesareo (Roma) in via della Resistenza angolo via Monte di Casa, località Colle Noce, durante l'esecuzione di saggi archeologici preventivi ancora in corso, ordinati dal funzionario della soprintendenza per i beni archeologici del Lazio dottoressa M. De Spagnolis, sono venuti in luce resti di un'importantissima villa romana. Gli scavi hanno avuto inizio nel mese di novembre 2009 e del rinvenimento è stata data notizia dalla dottoressa Maria Cristina Recco nel Convegno di Studi «Lazio e Sabina» tenutosi l'11 marzo 2011 presso l'Accademia Olandese di Roma;
l'area in oggetto si trova a Nord/Ovest del centro abitato, misura circa 30.000 metri quadrati, ha un ingresso posto su via della Resistenza ed un altro su via Casilina;
la villa ha per ora una superficie di circa 7.000 metri quadrati, è posta in una zona collinare, orientata verso Nord ed adiacente il tracciato viario di cui si conservano resti nei terreni circostanti;
le stanze per ora individuate sono una decina, presentano pavimenti musivi a tessere bianche e nere e policromi con paste vitree di rara bellezza, motivi ornamentali a vasi di fiori, trecce e volti umani vegetalizzati, le pareti sono rivestite da intonaco bianco e rosso diviso da una riga gialla;
verso Nord, all'esterno al muro di recinzione della villa, si individua un'area di necropoli non ancora messa in luce. Sempre procedendo verso Nord, è emersa a circa 30,00 metri dal limite della villa, una imponente struttura muraria a carattere monumentale dalla forma rettangolare con superficie di circa 400 metri quadrati, ha muri alti più di 2,00 metri, con grandi nicchie esterne. Da alcuni saggi esplorativi, si è ipotizzato trattarsi di un ninfeo monumentale e conserva d'acqua, data la presenza di rivestimento interno in cocciopesto idraulico;
adiacente tale struttura, sempre procedendo verso Nord, sta emergendo, dai sondaggi archeologici in corso, una grande struttura termale, il cui solo caldarium, occupa una superficie di 500 metri quadrati. Tutta l'area sottostante il terreno in questione è percorsa da una fitta rete di canali sotterranei per il passaggio dell'acqua da una cisterna all'altra, che sono stati parzialmente ispezionati con saggi d'indagine. Gli scavi parziali finora effettuati su Colle Noce hanno permesso di individuare un'area di altissimo interesse archeologico, per ora dell'estensione di circa 10.000 metri quadrati, con strutture murarie molto ben conservate. La cronologia delle strutture attualmente individuate della villa va dalla fine dell'età repubblicana al II secolo d.C., mentre il grande ninfeo monumentale e la struttura termale apparterrebbero alla fine del III sec.-IV d.C.;
l'estensione delle strutture, la qualità dei mosaici policromi, la ricchezza dei marmi pregiati e rari, la presenza del ninfeo e di terme monumentali, ha portato gli studiosi ad ipotizzare di essere di fronte a una villa imperiale, forse proprio la grandiosa villa citata da illustri studiosi, nella quale si sarebbe trovato Massenzio il giorno in cui fu acclamato Augusto (306 d.C.);
secondo osservazioni di esponenti dell'opposizione al consiglio comunale di San Cesareo e attraverso un atto di sindacato ispettivo in regione Lazio del consigliere onorevole Mario Di Carlo, risulta all'interrogante che il «Piano Integrato di Intervento ai sensi della legge 172/92» in località Pietrara con contestuale

adozione di variante urbanistica adottato dal comune di San Cesareo e richiesto dalla società Due Gi. Immobiliare srl non garantirebbe la conservazione del sito archeologico nella sua interezza, rispetto alla sua presumibile entità e alla tipologia insediativa prevista dal piano; si prevede infatti l'edificazione di oltre 80 metri cubi tra edilizia residenziale, commerciale e una nuova Chiesa;
il piano zona integrato originariamente autorizzato (prima del ritrovamento della villa) prevedeva una edificazione di circa 27.335 metri cubi su un'area di 28.618 metri quadri (indice 0,95) le costruzioni previste dovevano essere alte al massimo metri 10,50;
il piano di zona integrato autorizzato dopo il ritrovamento (quello in esecuzione) prevede una edificazione di circa 54.626 metri cubi su un'area di 34.566 metri quadri (indice 1,52 metri cubi) e le costruzioni previste saranno alte al massimo metri 18,50;
in pratica la società Due Gi. Immobiliare srl avrebbe ottenuto con la variante un indice edificativo maggiorato del 57 per cento rispetto al precedente -:
se il Ministro non ritenga che il rinvenimento dell'importante sito archeologico non imponga il vincolo sulla zona in questione, la sospensione del progetto di edificazione e l'avvio di un percorso per la tutela e la valorizzazione del sito.
(4-11997)

Risposta. - In risposta all'interrogazione in esame, relativa al ritrovamento di una villa romana in località San Cesareo (Roma), si osserva quanto segue.
Risulta che la competente Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, durante l'esecuzione di saggi preventivi, richiesti in data 2 luglio 2008 dalla Soc. DueGi Immobiliare s.r.l. per la realizzazione di un piano integrativo approvato dal comune di San Cesareo, saggi diretti dalla dottoressa Marisa de Spagnolis, funzionario di zona, ha portato alla luce una importantissima villa romana, probabilmente quella di Cesare e Massenzio, della cui esplorazione è stata data una prima notizia in occasione degli atti del convegno Lazio e Sabina 7 (2010), mentre due articoli sono in corso di pubblicazione negli atti del convegno Lazio e Sabina 8 (2011) e che l'area interessata dal piano integrato del comune di San Cesareo è di 30.000 metri quadri, mentre la villa ha un'estensione di 7000 metri quadri - 9000 metri quadri.
Il ritrovamento, peraltro, non costituisce in assoluto una nuova scoperta, poiché, la villa risulta, in gran parte, già scavata nel XIX secolo.
Parimenti risulta che la suddetta Soprintendenza ha portato alla luce un ninfeo monumentale di circa 500 metri quadri.
Contrariamente a quanto prospettato nel l'interrogazione, si assicura che l'area di necropoli individuata è stata completamente esplorata: trattasi, infatti, di tombe di epoca tardo antica, prive di qualsivoglia corredo che sono state scavate e documentate e gli scavi sono quasi del tutto ultimati. Resta ancora da esplorare una piccolissima parte.
È in corso di ultimazione il rilievo definitivo dell'area, sulla base del quale verrà, successivamente, avanzata la proposta di vincolo (non ancora presentata, in quanto, pur essendo stata completata l'esplorazione della necropoli, non si è ancora del tutto ultimata l'esplorazione dell'intero sito archeologico).
Pur essendo importantissima dal punto di vista storico e per la presenza di mosaici mal conservati, ma di pregio, purtroppo, ad eccezione del monumentale ninfeo, che sarà lasciato a vista, il resto della villa, completamente scavata nell'Ottocento, ed i materiali asportati, presenta strutture non ben conservate, che dovranno essere al più presto reinterrate per la loro salvaguardia, in attesa di futuri finanziamenti.
Sarà compito precipuo della Soprintendenza sopracitata valutare i progetti di costruzione e le distanze dalla villa, che, comunque, dovrà essere lasciata libera da qualsivoglia costruzione.
Si ritiene, da ultimo, che la scoperta della villa in questione ed un'adeguata

sistemazione dell'area possano restituire al comune di San Cesareo il proprio centro storico e la propria identità, sicché possa trovarsi un giusto punto di equilibrio tra il progetto di sistemazione proposto dal comune e le prioritarie esigenze di tutela del sito archeologico.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Giancarlo Galan.

MECACCI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
dall'articolo del 2 giugno 2011 pubblicato sull'Independent si apprendono le seguenti informazioni:
dal 30 marzo 2011 Ayat al-Gormezi, poetessa e studentessa di soli 20 anni, è stata arrestata e probabilmente torturata dalle autorità del Bahrein dopo aver letto una poesia pro-democrazia nel corso di una manifestazione;
Ayat è stata, infatti, costretta a costituirsi quando alcuni poliziotti col viso coperto hanno invaso la casa dei suoi genitori e hanno minacciato di uccidere i suoi fratelli se non avesse fatto ciò. Nessuno l'ha più vista da quel momento, sebbene la madre abbia parlato con lei al telefono una sola volta, durante la quale Ayat ha detto alla madre di essere stata costretta a firmare una confessione e, da allora, pare che la ragazza si trovi in un ospedale militare a causa delle torture subite;
secondo la madre, inoltre, Ayat al-Gormezi, rischia di essere processata l'8 giugno 2011 in corte marziale;
dall'articolo pubblicato sull'Independent, si apprende inoltre che:
sulla scia degli eventi in Egitto e Tunisia, anche il Bahrein è stato protagonista dal 14 febbraio 2011 di una serie di proteste che auspicavano riforme politiche e, in particolare, eguaglianza civile e politica per la maggioranza sciita, in un Paese in cui la casa reale al-Khalifa e la classe dirigente sono sunnite;
il Bahrein è il primo tra i Paesi interessati da tali proteste ad aver preso di mira le donne come bersaglio di repressione;
gli attivisti per i diritti umani sostengono che centinaia di donne siano state arrestate, e molte di loro hanno affermato di essere state picchiate selvaggiamente durante il loro periodo di detenzione;
il Governo ha, inoltre, arrestato e picchiato i reporter del luogo, e l'unico giornalista internazionale residente stabilmente in Bahrein è stato costretto a partire proprio lo scorso giugno, mentre i corrispondenti stranieri dotati di visti d'ingresso non sono riusciti a entrare nel Paese una volta arrivati sul posto;
nonostante il 15 marzo 2011 vi sia stata sia l'abolizione dello stato d'emergenza sia il richiamo al dialogo da parte del re Hamad, ad oggi non vi è alcun segno d'indebolimento della repressione: circa 600 persone sono ancora in arresto, almeno 2000 sono state licenziate e circa 27 moschee sciite, che rappresentano il 70 per cento della popolazione, sono state demolite;
come dimostrazione che la vita all'interno del Paese sia tornata a scorrere normalmente il Governo sta cercando di ospitare nuovamente la gara di Formula 1, che era stata posticipata all'inizio dell'anno a causa dello scoppio delle proteste;
dinanzi a tale intenzione, l'organizzazione Human Rights Watch ha scritto alla Federazione internazionale dell'automobile (FIA) affermando che «la gara avrebbe luogo in un ambiente di repressione implacabile nei confronti dei manifestanti pro-democrazia. Se la gara dovesse davvero aver luogo in Bahrein, ciò avverrebbe senza un quarto dello staff dell'organizzazione ospite (il Bahrain International Circuit) che è stato arrestato, inclusi due quadri; molti sono stati licenziati

o sospesi proprio con l'accusa di approvare il rinvio della gara stabilito all'inizio dell'anno» -:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra menzionati;
se alla luce di quanto riportato, il Governo intenda assumere iniziative sia a livello internazionale sia a livello bilaterale, affinché, come per il caso di Ayat al-Gormezi, si ponga fine alla repressione nei confronti di chi lotta per la democrazia.
(4-12283)

Risposta. - Quello della studentessa Ayat al Gormezi è uno dei casi su cui le ambasciate occidentali a Manama stanno cercando di raccogliere maggiori elementi, e costituisce un preoccupante esempio della grave repressione della libertà di espressione e di manifestazione in atto in Bahrein.
Nella fase attuale, una delle priorità dei Paesi dell'Unione Europea è proprio quella di monitorare i processi giudiziari a carico dei manifestanti, affinché si eviti il ricorso alla pena di morte e all'ergastolo. Vi è peraltro l'aspettativa che al termine dei procedimenti penali il sovrano conceda un perdono generale, soprattutto se il dialogo nazionale avrà successo.
L'Italia, che in Bahrein ha ricoperto la Presidenza dell'Unione Europea per il primo semestre dell'anno 2011, in assenza di una delegazione dell'Unione a Manama, è intervenuta ripetutamente presso le autorità bahreinite, per rappresentare la viva preoccupazione, propria e dell'Unione europea per la situazione in cui si trovano le centinaia di arrestati, per le condizioni di detenzione ed i possibili maltrattamenti. Ha anche espresso la convinzione circa la necessità di intraprendere processi rapidi ed equi, ed, in particolare, ha manifestato la contrarietà nei confronti della pena di morte comminata a due dimostranti accusati dell'uccisione di due poliziotti (la sentenza, confermata in appello, è pendente davanti alla Corte di cassazione e dovrà essere ratificata dal sovrano). Nello stesso senso si è ripetutamente espresso il nostro Ambasciatore nei confronti delle autorità bahreinite; anche a seguito di tali interventi osservatori internazionali sono stati ammessi alle udienze.
Sia in rappresentanza della Presidenza Unione europea che a livello nazionale il Governo italiano si è pubblicamente espresso - da ultimo con una dichiarazione del portavoce del Ministro il 21 giugno 2011 - a sostegno del dialogo nazionale tra le componenti della società bahreinita. È nostro vivo auspicio che venga quanto prima ripreso il processo di riforme avviato dal Re Hamad bin Issa Al Khalifa nel 2001, che aveva fatto del Bahrein uno dei Paesi più avanzati dell'area per le prospettive di sviluppo della forma monarchica in senso costituzionale e democratico.
Al riguardo, appare incoraggiante la recente definizione di un ordine del giorno per il dialogo nazionale, processo in seno al quale potranno essere affrontate le questioni irrisolte che hanno portato alle proteste di piazza dei mesi di febbraio-marzo, poi represse a seguito dell'imposizione dello stato di emergenza abolito solo il 1o giugno 2011.
Il dialogo nazionale dovrà affrontare e auspicabilmente risolvere le legittime rivendicazioni dell'opposizione: è nostro auspicio che tutti i partiti, entità politiche e rappresentanti dell'opposizione vi prendano parte in modo effettivo e costruttivo.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

MIOTTO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nella notte del 3 settembre 2010 dopo un ricovero prima a Piove di Sacco e poi a Padova una donna incinta al settimo mese, perdeva il bambino e subiva l'asportazione dell'utero a seguito di un distacco di placenta;
la vicenda ha avuto grande eco nella stampa ed in televisione ed ha provocato preoccupazioni estese a causa di giudizi

affrettati sull'inadeguatezza dei piccoli ospedali mentre l'ospedale di Piove di Sacco è un ospedale per acuti ed annualmente ospita 700 parti;
la commissione ministeriale ha svolto le indagini in data 17 settembre 2010 -:
quali siano le conclusioni a cui è pervenuta la commissione di esperti designata dal Ministro.
(4-08732)

Risposta. - Per quanto riguarda l'episodio richiamato nell'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura-ufficio territoriale del Governo di Padova ha comunicato che, il 14 settembre 2010, l'azienda U.L.S.S. n. 16 di Padova ha elaborato una relazione che è stata consegnata alla immissione di inchiesta nominata dalla regione Veneto.
Tale relazione, nella prima parte, riporta i fatti appresi dall'azienda U.L.S.S. sulla base di quanto riferito dagli operatori dell'ospedale «Immacolata Concezione» di Piove di Sacco coinvolti nella presa in carico della paziente e delle loro relazioni, redatte in osservanza delle vigenti procedure di gestione del rischio clinico.
Nella seconda parte, il documento illustra l'organizzazione operativa adottata dall'Ospedale «Immacolata Concezione» per fornire risposta alle urgenze ostetrico-ginecologiche e pediatriche.
Costituiscono parte integrante della relazione il protocollo per «La gestione del neonato in situazioni di routine e di urgenza» in uso presso il suddetto ospedale, e la nota relativa all'evento in questione a firma del direttore del servizio di urgenza ed emergenza medica - centrale operativa di coordinamento provinciale Suem 118, della stessa azienda U.L.S.S.
Nella documentazione non si precisa nulla in ordine all'asserita negazione dell'ambulanza alla paziente, circostanza, questa, riportata soltanto dalla stampa.
Non risulta, infatti, all'azienda U.L.S.S. n. 16 né la richiesta di ambulanza da parte dell'interessata, né il diniego del veicolo da parte del personale dall'ospedale di Piove di Sacco.
La relazione è stata acquisita dai carabinieri del nucleo antisofisticazione e sanità (NAS) di Padova, nell'ambito del procedimento penale pendente presso la Procura della Repubblica-Tribunale di Padova.
Sull'accaduto l'U.L.S.S. n. 16 di Padova ha attivato le procedure di «audit» clinico secondo le disposizioni regionali, per valutare l'evento nell'ottica della gestione della sicurezza del paziente.
In esito all'effettuazione di un «audit» congiunto voluto dalla regione Veneto e dal Ministero della salute, tramite una commissione mista, avente l'incarico di indicare soluzioni per il miglioramento dell'assistenza, la stessa commissione ha identificato le aree di miglioramento di seguito indicate.
Ospedale di Piove di Sacco
1 Revisione delle modalità di acquisizione e formalizzazione del consenso informato, in particolare nei casi in cui il paziente rifiuti i trattamenti proposti, riservando particolare attenzione ai casi in cui la verbalizzazione del rifiuto del ricovero è in capo al medico del pronto soccorso, soprattutto quando tale rifiuto avviene a seguito di consulenza specialistica.
2 Migliorare le modalità di comunicazione tra il personale sanitario ed il paziente e i familiari, in particolare di fronte a condizioni che potenzialmente possano configurare un successivo rischio di occorrenza di eventi avversi, al fine di favorire una compiuta comprensione del percorso assistenziale proposto.
3 Vigilanza da parte della direzione sanitaria sulla verifica continua dell'adeguatezza e dell'aggiornamento dei protocolli clinici da parte dei reparti e servizi.

Azienda Ospedaliera di Padova
1. Prevedere un sistema che regoli il percorso di accesso all'ospedale e, di conseguenza, ai reparti ed unità operative presenti, che consenta il monitoraggio degli ingressi di persone e di mezzi all'interno dell'ospedale, in particolare durante le ore notturne.
2. Revisione della segnaletica relativa ai percorsi di accesso ai servizi di Pronto Soccorso generale e specialistici.

3. Revisione delle modalità di gestione della comunicazione dei turni della reperibilità e delle eventuali modifiche ed, eventualmente, della modalità di attivazione del sanitario reperibile.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

MISTRELLO DESTRO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la risoluzione protocollo n. 363413 Ministero dell'economia e delle finanze del 13 marzo 1978 (allegato 11) dispone che al solfato di rame indipendentemente dagli usi è applicata un'aliquota del 6 per cento poi elevata al 10 per cento;
l'aliquota del 10 per cento risulta adeguata visto che il solfato di rame è alla base della produzione della poltiglia bordolese, ovvero il verderame, anticrittogamico per eccellenza, utilizzato soprattutto nella difesa dei vigneti degli attacchi della peronospora;
il solfato di rame e l'ossicloruro di rame, impiegati quali fitosanitari e commercializzati con l'applicazione dell'IVA pari al 10 per cento, vengono però considerati da alcune aziende del settore come fertilizzanti e, dunque, importati, acquisiti e venduti con un'aliquota del 4 per cento;
è necessario uniformare il comportamento degli operatori nell'ambito dell'applicazione delle aliquote IVA relative all'importazione ed alla vendita dei prodotti succitati, allo scopo di evitare frodi commerciali relative all'etichettatura che permette di distinguere chiaramente un concime da un fitofarmaco, impedire distorsioni di mercato causate da una concorrenza sleale, nonché tutelare gli interessi erariali che potrebbero essere lesi da una errata applicazione di una aliquota IVA agevolata;
tale modalità di tassazione difforme ha determinato tra l'altro una diminuzione delle vendite e purtroppo anche il licenziamento di molti operai -:
se non si ritenga assolutamente urgente e indispensabile disporre che sia sempre applicata la medesima aliquota del 10 per cento sul solfato di rame onde evitare l'insorgere della concorrenza sleale e di disordine amministrativo, qualunque sia l'impiego della sostanza.
(4-06670)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, concernente il trattamento ai fini IVA del solfato di rame, si fa presente quanto segue.
Il solfato di rame, come precisato dall'agenzia delle dogane, è suscettibile di molteplici impieghi: è utilizzabile come anticrittogamico (prodotto fitosanitario), come fertilizzante per terreni torbosi e stepposi, come additivo nell'industria animale, nell'industria galvanica, nell'industria elettronica ed in altri settori industriali.
Detto prodotto, al momento dell'importazione, deve essere classificato alla voce nomenclatura Combinata 2833 2500 (TARIC 00) cui corrispondono le aliquote IVA nella misura del 4 per cento del 10 per cento e del 20 per cento. In particolare, l'aliquota del 10 per cento si applica ai prodotti fitosanitari (n. 110 della tabella A, parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633) mentre l'aliquota del 4 per cento si applica ai fertilizzanti di cui alla legge 19 ottobre 1984, n. 748 (n. 19 della tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della repubblica 26 ottobre 1972, n. 633).
Come chiarito dai competenti uffici dell'agenzia delle dogane, l'analisi chimico-analitica eventualmente eseguita sul solfato di rame consentirebbe unicamente di determinare il tenore di rame e di altri elementi presenti nei diversi composti ma non fornirebbe alcuna indicazione sull'uso specifico della merce né sulla sua destinazione finale.
Da una attenta analisi della disciplina normativa concernente i fertilizzanti e i prodotti fitosanitari emerge che il regolamento (CE) 13 ottobre 2003, n. 2003/2003 annovera tra i concimi ammessi nella CE

un prodotto a base di solfato di rame contenente almeno il 20 per cento di rame solubile in acqua (allegato 1, E.1.3 (a), sale di rame).
Non è prescritta, invece, alcuna percentuale minima di rame nella composizione di prodotti «fungicidi» quali l'idrossido di rame, l'ossicloruro di rame, il solfato di rame (tribasico), l'ossido ramoso, e l'octonato di rame di cui al regolamento (CEE) 24 giugno 1991 n. 2092/91, come successivamente modificato, (le disposizioni relative al rame sono state sostituite dall'allegato del regolamento CE n. 473/2002 e successivamente modificate dall'allegato del regolamento CE n. 404/2008), recante l'elenco degli antiparassitari - Allegato II-B, 2. IV.
Pertanto, un prodotto contenente più del 20 per cento di solfato di rame potrebbe essere utilizzato sia come fertilizzante che come prodotto fitosanitario.
In ragione di tale constatazione, gli uffici dell'amministrazione hanno ipotizzato possibili soluzioni alternative per individuare l'aliquota IVA da applicare; soluzioni che, però, non sono apparse percorribili in quanto, tra l'altro, avrebbero presentato in termini di frodi commerciali le medesime criticità lamentate nell'interrogazione cui si risponde.
A parere dell'Agenzia delle entrate è opportuno che il problema si risolva ricorrendo a criteri oggettivi. Pertanto la medesima agenzia ritiene di dover confermare i chiarimenti già resi dal Ministero delle finanze con la risoluzione n. 363413 del 13 marzo 1978 (citata dall'interrogante, secondo cui le cessioni di solfato di rame e di ossicloruro di rame scontano l'aliquota IVA prevista per la categoria dei «fitosanitari» (10 per cento alla quale i prodotti sono riconducibili in base alle loro caratteristiche merceologiche e d'impiego, sebbene in taluni casi vengano utilizzati quali fertilizzanti.
Come precisato dall'agenzia, non osta alla conferma di tale orientamento di prassi l'evoluzione normativa che ha interessato la disciplina dei fertilizzanti. Infatti, sebbene la legge 19 ottobre 1984, n. 748 richiamata dal n. 19 della Tabella A, parte II, allegata a decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sia stata abrogata, la voce E.1.3 (a) - Sale di rame - dell'allegato 1 al Regolamento (CE) 13 ottobre 2003, n. 2003/2003, attualmente vigente, è identica alla voce 8.1, 3a dell'allegato 1B della legge n. 748 del 1984, non più in vigore.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Bruno Cesario.

MONAI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
consta all'interrogante che il comando regionale del Friuli Venezia-Giulia della Guardia di finanza ha reiteratamente rigettato le istanze di alcuni dipendenti, ed ex tali, tra l'altro già iscritti nel registro regionale degli esposti all'amianto, finalizzate ad ottenere il loro curriculum lavorativo che è necessario per poter godere dei benefici di legge previsti dalla legge n. 257 del 1992;
il curriculum lavorativo è un documento necessario per istruire l'iter procedurale per la concessione dei diritti derivanti dalla citata normativa;
gli interessati avrebbero tuttavia ricevuto, a quel che consta all'interrogante, informazioni abbastanza contraddittorie in relazione al rilascio di tali curricula e, parrebbe, addirittura comunicazione dell'indisponibilità della documentazione necessaria;
la sentenza n. 187 del 29 giugno 2009 del tribunale di Trieste, sezione lavoro, ha stabilito - per altri casi analoghi, riferiti ad operatori portuali - che nell'area portuale tra il 1973 e il 1996 vi era una concentrazione di amianto tale da far scattare i benefici di legge;
se gli operatori portuali sono stati esposti alle fibre di amianto è probabile che lo siano stati anche i finanzieri che hanno operato a loro stretto contatto, procedendo al controllo analitico delle merci in transito, sia quelle provenienti

dallo sbarco sia quelle destinate all'imbarco, trovandosi spesso sia a bordo (bettolina) sia sottobordo, sulla banchina, nei capannoni, e partecipando al controllo degli stoccaggi di amianto;
a riprova di ciò, il genio civile di Trieste avrebbe anche coordinato una bonifica da amianto nei locali del comando regionale della Guardia di finanza di Trieste -:
se il Ministro intenda garantire, attraverso il comando regionale del Fvg della Guardia di finanza, che al personale della Guardia di finanza in servizio ed in congedo possa essere rilasciato o ricostruito il curriculum lavorativo degli interessati, al fine di poter richiedere i benefici previsti dalla legge n. 257 del 1992.
(4-08829)

Risposta. - 1. In relazione all'interrogazione in esame, concernenti il riconoscimento ai militari della Guardia di finanza in servizio presso il comando regionale Friuli Venezia Giulia dei benefici previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto, appare opportuno evidenziare preliminarmente il quadro normativo di riferimento di più diretto interesse, rappresentato in sintesi:
a) dall'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 che ha introdotto specifici benefici pensionistici - consistenti nella moltiplicazione del periodo di esposizione all'amianto per il coefficiente di 1,5 sia ai fini del diritto di conseguimento al trattamento di quiescenza che del relativo importo - per coloro che abbiano svolto attività lavorativa, soggetta all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali gestita dall'INAIL, con esposizione ultradecennale;
b) dall'articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 che, tra l'altro, ha:
(l) fissato il coefficiente a 1,25, applicandolo solo ai fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche (comma 1);
(2) concesso la provvidenza in parola esclusivamente nei confronti dei lavoratori che siano stati occupati per un periodo non inferiore a dieci anni nelle attività lavorative comportanti esposizione all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro (comma 3);
(3) demandato le modalità di attuazione delle disposizioni contenute nello stesso articolo 47 decreto-legge n. 269 del 2003 ad un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (comma 6);
c) dal decreto interministeriale 27 ottobre 2004, all'uopo emanato, che ha, tra l'altro:
(1) esteso il beneficio in rassegna anche ai lavoratori che siano stati esposti all'amianto per periodi lavorativi non soggetti all'assicurazione obbligatoria (articolo 1);
(2) stabilito quali siano le attività lavorative comportanti l'esposizione ad amianto articolo 2, comma 2);
(3) subordinato l'avvio del procedimento di accertamento dell'INAIL alla presentazione, da parte del lavoratore interessato, del curriculum lavorativo - rilasciato dal datore di lavoro - dal quale risulti «l'adibizione, in modo diretto ed abituale, ad una delle attività lavorative» previste dal menzionato articolo 2, articolo 3, comma 3).

2. Nel merito, il predetto Comando Regionale, con riferimento:
a) ad un'altra interrogazione, di contenuto analogo a quella in oggetto, ha comunicato che:
(1) i compiti assolti dal personale della Guardia di finanza impiegato nei porti - consistenti nel riscontro sommario ed esterno dei colli, nell'assistenza ai funzionari doganali nelle visite, ovvero nella vigilanza doganale - non sono ricompresi nelle attività lavorative comportanti l'esposizione ad amianto, indicate nell'articolo 2, comma 2, del citato decreto interministeriale 27 ottobre 2004;

(2) non esistono agli atti documenti attestanti la presenza di esposizioni sopra la soglia sub 1.b.(2) nei luoghi di lavoro ove operavano i militari della Guardia di finanza (caserme, corpi di guardia e simili);
(3) l'unico documento in possesso del comando regionale, relativo alla città di Trieste, si riferisce ad una rilevazione dell'anno 2006, nei pressi della caserma della 1a Compagnia di Molo Fratelli Bandiera, i cui esiti dimostrano la presenza di fibre di amianto in misura «considerevolmente inferiore ai limiti previsti dalla legge»;
(4) la sentenza del Tribunale di Trieste si riferisce ad un «caso specifico di un operaio portuale che concretamente svolgeva le mansioni di movimentazione e manipolazione previste dalla legge»;
(5) il curriculum lavorativo «può essere rilasciato solo ove esista la prova dell'esistenza dei requisiti stabiliti dalla legge. I curricula richiesti non sono stati rilasciati perché non c'è nessun elemento per affermare che i militari istanti ne avessero diritto in base a quanto precedentemente descritto»;
(6) non è andata «perduta» alcuna documentazione dagli archivi;

b) alla tematica dell'esposizione dei militari del corpo all'amianto, oggetto di alcuni articoli cui fa riferimento anche l'atto di sindacato ispettivo a firma del Senatore Casson (4-04939), ha riferito che:
(1) agli atti del Reparto «risultano 3 decessi ipoteticamente legati ad esposizione ad amianto» ed in particolare quello di un:
a) sottufficiale - congedatosi in data 1o gennaio 1980 e deceduto per «mesotelioma pleurico» in data 4 aprile 2008 - il quale aveva prestato servizio tra l'altro in reparti della provincia di Trieste ma non nella città stessa. In merito, il menzionato Comando Regionale ha evidenziato che «dalle informazioni di competenza acquisite a suo tempo dai funzionari dell'A.S.S. nei confronti del sottufficiale stesso non sono però emersi elementi precisi circa le modalità di esposizione all'amianto, sebbene lo stesso ricordasse la presenza di tettoie in amianto»;
b) appuntato (mare) - congedatosi in data 1o settembre 1980 e deceduto per «neoplasia polmonare» in data 11 novembre 2005. I familiari del militare - «il quale aveva prestato servizio principalmente nelle città di Trieste, Venezia e Grado» - hanno avanzato una richiesta di risarcimento del danno a questo Comando Generale cui è stata fornita risposta evidenziando che «non si ravvisano, allo stato, sufficienti elementi a supporto della pretesa risarcitoria;
c) appuntato scelto - congedatosi in data 1o dicembre 1993 e deceduto in data 9 maggio 2010 per «mesotelioma pleurico sn» - il quale ha «svolto servizio normale (in particolare vigilanza doganale), tranne un periodo di circa 7 anni presso la Squadra minuto mantenimento della soppressa 19a Legione di Trieste».
(2) «sono state regolarmente eseguite le procedure di bonifica dell'amianto presente in alcuni locali della caserma, peraltro confinati dal resto dell'edificio ed accessibili solo a personale autorizzato» e che «nulla risulta rispetto all'attuale pericolosità della zona dove si trova questo Comando Regionale»;
(3) la domanda per l'iscrizione nel registro regionale degli esposti ad amianto:
a) non implica che il richiedente soffra di patologie correlate all'amianto;
b) «non comporta, di per sé stessa, benefici previdenziali o riconoscimenti di cause di servizio»;
(4) sono stati posti in essere, negli ultimi anni, interventi per garantire la sicurezza e la salubrità dei luoghi di lavoro sotto il profilo dei rischi connessi alla presenza di amianto». In particolare:
a) nelle vicinanze della caserma «Fin. M.O.V.M. A. Zara», sede della Compagnia di Prosecco, sono presenti alcuni capannoni con coperture in eternit. In relazione a ciò, è stato commissionato un monitoraggio dell'aria che ha segnalato valori

di fibre/litro nella norma. Ciò nonostante, in un'ottica di massima tutela del personale:
sono già state date disposizioni per ripetere il monitoraggio entro la fine dell'anno;
è stata avviata un'opera di sensibilizzazione nei confronti delle aziende proprietarie dei capannoni onde evitare il deterioramento delle coperture, con conseguente aerodispersione delle fibre. Peraltro, la tematica è stata portata all'attenzione del Prefetto e del Sindaco per l'adozione di eventuali provvedimenti di autorità, qualora questi si rendessero necessari nel futuro;
in occasione della recente manutenzione straordinaria della caserma de qua, si è provveduto a sostituire porte e isolanti termici che contenevano amianto, pur non presentando indici di rischio di aerodispersione di fibre nell'immediato;

b) nelle vicinanze della caserma «Fratelli Bandiera», sede della la 1a e della 2a Compagnia di Trieste, era presente, presso un'azienda privata confinante, una tettoia in eternit. Nonostante i campionamenti effettuati nell'aria avessero rilevato dei valori fibre/litro nella norma, è stata posta in essere un'opera di sensibilizzazione della proprietà - anche tramite il coinvolgimento del Prefetto - che ha indotto la stessa alla rimozione dei manufatti in eternit ed alla loro sostituzione con altri in lamiera metallica;
c) presso la caserma «A. Oltramonti», sede del Comando Provinciale di Trieste, si è provveduto alla campionatura della pavimentazione, sospettata - di contenere amianto, dagli ingegneri che stavano redigendo il documento di valutazione dei rischi, con esito negativo;
d) presso la caserma «Russo Salvatore», sede della stazione SAGF di Sella Nevea (UDINE) si è provveduto a campionatura di materiale isolante sospettato di contenere fibre di amianto, anche in tale circostanza con esito negativo.

3. In tale contesto, il comando generale della Guardia di finanza ha fatto presente che presta la massima attenzione per garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro dei propri appartenenti al fine di salvaguardarne l'integrità e l'incolumità fisica - e si è dichiarato disponibile a fornire il contributo, unitamente alle altre amministrazioni, per la formulazione dei correttivi che si ritenessero opportuni/necessari alla normativa vigente in materia.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Bruno Cesario.

MURA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il liceo musicale e coreutico è una delle nuove forme di scuola secondaria nate con la cosiddetta riforma Gelmini e regolamentata nella fattispecie dal decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010 «Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei», che ne riporta le modalità e le condizioni di istituzione;
secondo quanto riportato dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica, il liceo musicale è un percorso di studi indirizzato all'apprendimento tecnico-pratico della musica e allo studio del suo ruolo nella storia e nella cultura;
in particolare, all'articolo 12, comma 6, il decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010 indica in massimo 40 il numero di licei musicali da istituire a livello nazionale. Inoltre, solo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha facoltà di istituire tale indirizzo, subordinando la decisione alla stipula di un'apposita convenzione con i conservatori, così come indicato nell'articolo 13, comma 8, del regolamento;
nel corso dell'anno scolastico 2010/2011 i licei musicali istituiti dal Ministero sul territorio nazionale sono stati 37;

nell'ambito della programmazione dell'offerta formativa per l'anno scolastico 2011/2012 la provincia di Bologna, con delibera di giunta n. 597 del 21 dicembre 2010, ha avanzato la proposta d'istituire il liceo musicale presso l'istituto «Laura Bassi»;
la regione Emilia Romagna con delibera n. 35 del 17 gennaio 2011 ha avallato la proposta d'istituire nel territorio regionale 3 licei musicali, mentre l'ufficio scolastico regionale con il decreto n. 2 del 11 gennaio 2011 ha avanzato la richiesta di attivazione dei 3 licei musicali proposti dalla regione (Bologna, Modena e Forlì);
come da indicazioni di legge, quindi, l'istituto «Laura Bassi» di Bologna ha dichiarato non solo di possedere gli spazi adeguati e il potenziale strumentale e laboratoriale per offrire al suo interno l'offerta formativa adeguata ad un liceo musicale, ma in data 21 marzo 2011 ha perfezionato con il conservatorio di Bologna una convenzione redatta in base alle indicazioni ministeriali, al fine di poter concorrere regolarmente alla istituzione di un liceo musicale anche nel capoluogo emiliano-romagnolo;
la scelta di istituire anche nel capoluogo felsineo un liceo musicale risulta particolarmente importante anche per il titolo di cui l'Unesco ha voluto fregiare Bologna, ovvero quello di «città creativa della musica», oltre che per la lunga e radicata tradizione musicale e teatrale che ha fatto di Bologna un centro di qualità e di attenzione a livello internazionale;
nell'attesa di una risposta da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, 21 ragazzi e ragazze si sono iscritti al nuovo indirizzo presso l'istituto Bassi per veder disattese le proprie aspettative venerdì 8 aprile 2011 quando dal Ministero è stata negata l'autorizzazione all'attivazione del liceo musicale presso questo istituto;
l'imposizione di una tale decisione rappresenta un doppio smacco per la città di Bologna e per la storica istituzione scolastica felsinea nata in coincidenza con l'Unità d'Italia;
in data 12 aprile 2011 il commissario straordinario del comune di Bologna ha inviato una lettera al Ministro interrogato chiedendo di riconsiderare la posizione assunta nei confronti del liceo «Laura Bassi», al fine della sua trasformazione in liceo musicale, definendo innaturale il fatto che alla città di Bologna, per le sue tradizioni nel settore della cultura musicale, non sia consentito di istituire un liceo musicale -:
se il Ministro non abbia intenzione di provvedere diversamente a quanto fino ad oggi stabilito tenuto conto non solo dell'opportunità di arricchire la proposta formativa di Bologna, ma anche del diritto dei 21 ragazzi che hanno già espresso l'intenzione di voler affrontare il percorso di studi musicale;
se il Ministro non ritenga di informare sui criteri che hanno permesso agli altri licei musicali di essere attivati a differenza di quello di Bologna.
(4-11601)

Risposta. - Nell'interrogazione in esame, l'interrogante lamenta la mancata istituzione, per l'anno scolastico 2011-2012, di una sezione di liceo musicale presso l'istituto Laura Bassi di Bologna; al riguardo rileva che il piano territoriale dell'offerta formativa, adottato dalla regione Emilia-Romagna con delibera n. 35 del 17 gennaio 2011, prevedeva l'istituzione di tre licei musicali (Bologna, Modena e Forlì) e chiede di conoscere i «criteri che hanno permesso agli altri licei musicali di essere attivati a differenza di quello di Bologna».
Si premette che il Ministero, con nota n. 955 dell'11 febbraio 2011, ha fornito indicazioni per le iscrizioni alle prime classi dei licei musicali e coreutici ed ha contestualmente attribuito agli uffici scolastici regionali competenti per territorio la determinazione dell'attivazione dei predetti licei, subordinandola alla verifica della compatibilità con le risorse organiche disponibili.
Per quello che riguarda, in particolare, l'Emilia-Romagna, la competente direzione

generale dell'ufficio scolastico regionale, con nota del 9 maggio 2011, ha fatto presente quanto segue.
L'ufficio scolastico regionale ha a suo tempo informato le istituzioni interessate (Conferenza regionale per il sistema formativo e assessorato scuola) circa il fatto che, con le dotazioni organiche disponibili, si sarebbe potuto attivare solamente il Liceo musicale di Forlì in considerazione dell'impegno finanziario espresso dagli enti locali che consente un consistente risparmio con riferimento alla distribuzione delle dotazioni organiche. Tale posizione è stata peraltro assunta in continuità con quanto realizzato in altri territori della regione, in diverse contingenze, per la progressiva statalizzazione delle scuole paritarie o per l'ampliamento dell'orario di funzionamento delle sezioni di scuola dell'infanzia, attivate dallo Stato per il solo orario antimeridiano.
Ad illustrazione del percorso seguito, la direzione scolastica regionale ha così riassunto la successione degli atti formali che l'ufficio ha compiuto, anche d'intesa con la regione Emilia-Romagna, nel rispetto delle specifiche competenze istituzionali.
In data 10 gennaio 2011 si è svolto un incontro di carattere tecnico, preparatorio alla Conferenza regionale per il sistema formativo dell'11 gennaio 2011, avente come ordine del giorno la programmazione territoriale dell'offerta formativa per l'anno scolastico 2011-2012. Nel corso dell'incontro sono state esaminate le richieste di nuovi indirizzi, ivi comprese quelle di attivazione di licei musicali e si è evidenziato che la richiesta della Provincia di Forlì-Cesena, in una logica di governance, era supportata da un consistente impegno finanziario degli enti locali. Tale condizione - che ha reso l'avvio del Liceo musicale di Forlì maggiormente compatibile con la dotazione organica disponibile - non era presente nelle altre richieste.
L'ufficio scolastico regionale ha quindi espresso il parere di considerare in via prioritaria l'attivazione del liceo musicale a Forlì, tenendo conto delle dotazioni organiche disponibili.
Nella Conferenza regionale del sistema formativo dell'11 gennaio 2011, la regione Emilia-Romagna ha informato della volontà di attivazione di tre licei musicali (Modena, Bologna, Forlì). Nell'occasione l'ufficio scolastico (nota a verbale) si è espresso «favorevolmente per l'istituzione del Liceo coreutico a Reggio Emilia, per l'unicità a livello regionale della proposta, e del Liceo musicale di Forlì per il coinvolgimento delle risorse e degli intenti del territorio».
In data 11 febbraio 2011, con la sopra menzionata nota n. 955, il Ministero ha fornito indicazioni alle direzioni scolastiche regionali per le iscrizioni ai licei musicali e coreutici, specificando che gli uffici scolastici regionali hanno il compito di verificare «la compatibilità dell'attivazione di nuove sezioni di liceo musicale e coreutico con le risorse di organico assegnate».
In data 16 marzo 2011, con nota n. 6307, l'assessorato scuola della regione Emilia-Romagna è stato dall'ufficio scolastico regionale informato delle citate indicazioni ministeriali e del fatto che - valutata la congruità con le risorse di organico - si sarebbe proceduto con l'attivazione del solo liceo musicale di Forlì «per l'ampiezza delle risorse rese disponibili dal territorio», chiedendo in merito le osservazioni della Regione.
L'assessore alla scuola della regione Emilia-Romagna ne ha preso atto, sia pure con riserva, con nota prot. 76100 del 24 marzo 2011.
In data 25 marzo 2011, con nota n. 8819, l'ufficio scolastico regionale ha dato comunicazione al Ministero del fatto che «sentito il competente assessorato regionale, è stato valutato di, attivare per il prossimo anno scolastico 2011-2012 i seguenti nuovi licei: liceo coreutico presso il liceo Matilde di Canossa di Reggio Emilia e liceo di Forlì».
In data 7 aprile 2011, con nota n. 9618, la direzione scolastica regionale ha comunicato agli uffici degli ambiti territoriali dell'Emilia-Romagna l'istituzione del liceo coreutico a Reggio Emilia e del liceo musicale a Forlì. In precedenza era stata resa nota agli uffici degli ambiti territoriali di Bologna e Modena la non attivazione dei licei musicali, con richiesta di immediata

informazione ai dirigenti scolastici interessati, per la gestione degli atti di competenza.
In data 11 aprile 2011, con nota n. 9797, la direzione scolastica regionale ha assegnato agli uffici territoriali le dotazioni organiche del personale docente per l'anno scolastico 2011-2012, da cui trarsi, tra gli altri, gli organici del liceo coreutico e del liceo musicale istituiti.
Nella suddetta comunicazione del 9 maggio 2011, la direzione scolastica regionale ha anche sottolineato di avere rispettato il principio di compatibilità con le risorse di organico assegnate ai diversi ambiti provinciali.
Come comunicato dalla direzione scolastica regionale con nota del 7 giugno 2011, sono poi intervenuti gli impegni finanziari assunti il 18 maggio 2011 dal comune di Modena, in collaborazione con la Fondazione cassa di risparmio di Modena ed altri soggetti istituzionali del territorio, a sostegno dell'avvio del liceo musicale a Modena. La direzione scolastica, preso atto di detti impegni, ha positivamente valutato la richiesta di istituzione di un liceo musicale a Modena. Pertanto, essendosi realizzate le necessarie condizioni di avvio, l'ufficio scolastico regionale, con decreto n. 87 del 28 giugno 2011, ha disposto l'istituzione del liceo musicale presso l'istituto «Sigonio» di Modena.
Infine, la direzione scolastica regionale ha fatto presente che non sussistono le condizioni per analoghe valutazioni riferite al territorio di Bologna.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

PALADINI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il giorno 15 agosto 2010 una signora di Genova, invalida civile, ha dovuto affrontare a Londra, ove soggiornava per una brevissima vacanza, una situazione tragica, come è la morte inaspettata del marito;
per tale tragedia, sola e disperata, con pochi mezzi, ha sostenuto un'odissea che l'ha terribilmente sfinita e umiliata mentre rivolgendosi al consolato generale d'Italia, parrebbe esserle stato negato ogni diritto, primo fra tutti quello all'informazione sulle procedure da seguire in quei tragici momenti nonché il più semplice supporto di natura logistica ed assistenziale in loco; altresì la richiesta di aiuto al Ministero degli affari esteri sembrerebbe non aver avuto riscontro adeguato al cospetto di un funzionario il quale alle richieste del figlio del defunto avrebbe risposto di non sapere cosa fare;
una qualsiasi forma di umanità e di assistenza sia dovuta a chiunque, ma ancora di più, ad un connazionale che, disorientato in un Paese straniero, si rivolge al Consolato italiano per essere assistito e guidato a sopportare le gravi ed inevitabili difficoltà di un tragico evento, non ultime quelle legate alla lingua e alle diverse prassi da seguire in dette circostanze in un Paese straniero;
il Consolato non avrebbe fornito alcun genere di assistenza necessaria, né al fine di verificare l'adeguato espletamento dei soccorsi, né al fine di controllare l'operato dell'ospedale e prendere gli accordi del caso; fortunatamente in ospedale il personale inglese dimostrava rispetto e un'umanità lodevoli sia per la salma che per la signora in difficoltà; l'immobilismo del Consolato meravigliava la stessa direzione dell'albergo dove alloggiavano i parenti della persona deceduta ed era lo stesso albergo che, per tale ragione, provvedeva a mettere a disposizione della signora, una impiegata italiana;
tale esperienza evidenzia ancora una volta come il nostro Paese anche in casi di emergenza, non destini nessun tipo di fondo di assistenza per rimpatriare le salme dei nostri connazionali che perdono la vita all'estero, mentre altri Paesi come la Cina, assistono in tutto e per tutto le famiglie che vengono a trovarsi in queste situazioni -:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di elementi di criticità in seno alla gestione del Consolato italiano a Londra;

se il Ministro intenda promuovere l'esercizio di procedure assistenziali improntate ad umanità e solidarietà in caso di difficoltà od eventi tragici che possono capitare in territorio straniero, in modo che ogni cittadino italiano possa trovare negli uffici di assistenza sociale del Consolato un punto di riferimento;
se non ritenga opportuno instaurare ed incentivare fondi di assistenza per la gestione ed il rimpatrio di una salma da un altro Paese per inaspettati tragici eventi.
(4-12453)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nel presente atto parlamentare si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Il connazionale di cui si fa menzione nell'interrogazione è deceduto a Londra per arresto cardiocircolatorio il 15 agosto 2010. Il giorno successivo, non appena informato del decesso, il consolato generale a Londra si è immediatamente attivato, fornendo l'assistenza necessaria ai familiari del defunto (moglie e figlio, quest'ultimo giunto a Londra il 16 agosto).
Con riguardo alle spese, ai sensi della vigente normativa l'ufficio consolare può erogare un sussidio soltanto ai cittadini italiani stabilmente residenti nella propria circoscrizione consolare che si trovino in situazione di comprovata necessità. In caso di decesso viene fornita assistenza ai familiari indigenti residenti all'estero del connazionale deceduto mediante rimborso totale o parziale delle spese funebri sostenute in loco. Al cittadino italiano residente in Italia che si trovi all'estero ad affrontare difficoltà economiche impreviste e non possa avvalersi dell'aiuto di familiari o terze persone - come in questo caso - può invece essere concesso un prestito che l'interessato si impegna a restituire all'erario. Nel caso del connazionale in questione, il consolato generale ha opportunamente fatto presente ai familiari questa possibilità che non è stata tuttavia da loro presa in considerazione.
Per quanto riguarda il rimpatrio delle ceneri, il consolato generale ha immediatamente provveduto alla trasmissione della richiesta di nulla osta al comune italiano di residenza del defunto, non appena ottenuto il referto dell'autopsia dalle autorità competenti il 18 agosto 2010. La vigente normativa prescrive infatti che le rappresentanze consolari provvedano ad inoltrare al competente comune italiano la richiesta di nulla osta all'introduzione nel territorio nazionale e del relativo passaporto mortuario per le salme dei cittadini italiani deceduti all'estero di cui i familiari desiderino il rimpatrio.
Quanto ai tempi relativi alla cremazione e all'invio delle ceneri, si fa presente che essi sono dipesi dalle competenti istanze in loco - coroner, agenzia funebre e compagnia aerea - sul cui operato l'ufficio consolare ha una limitata capacità di incidere, nonché dalle relative procedure locali previste in materia. In virtù dei consolidati canali di comunicazione con le predette istanze, il consolato generale ha costantemente monitorato l'evolversi della situazione, facilitando le comunicazioni e la cooperazione ai vari livelli ai fini di un disbrigo per quanto possibile rapido delle procedure.
In merito a quanto richiesto dall'interrogante circa gli elementi di criticità in serio alla gestione del consolato generale, si fa presente che nel 2010 esso ha curato la traslazione in Italia delle spoglie di altri 141 connazionali e non si sono registrati rilievi circa l'operato dell'ufficio assistenza.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

SCANDROGLIO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
fin dal 2003 la Consulta del Tigullio, costituita nel settembre del 1995 dalle principali associazioni di volontariato operanti nel settore della disabilità, ha segnalato i problemi che affliggono anziani e portatori di handicap, relativamente all'accesso alla commissione medica locale (CML) di Genova, preposta al rinnovo

periodico delle patenti di guida e incardinata nella asl 3;
dai dati forniti dal responsabile della commissione medica locale di Genova, presso la asl3 le visite per i rinnovi di patente eseguite nel corso dell'anno 2009 sono state circa 8.000; di queste circa un terzo, 1.500/2.000, sono verosimilmente state effettuate su soggetti provenienti dal territorio del Tigullio, di competenza della asl4, che non dispone di analogo servizio;
la particolare orografia e vastità del territorio del Tigullio, un comprensorio di 30 comuni con circa 150.000 abitanti, acuisce i disagi, costringendo i cittadini a intraprendere lunghe trasferte in orari assai disagevoli, peraltro con impatto anche sulle attività lavorative e della salute dei soggetti più deboli;
la recente approvazione della riforma del codice della strada (legge 29 luglio 2010, n. 120) ha aumentato la frequenza dei controlli per i soggetti ultrasessantacinquenni (titolari di patenti C e D) e ultraottantenni (titolari di patente B) con assegnazione alla commissione medica locale del compito di verifica della idoneità psico-fisica alla guida (decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dell'8 settembre 2010);
la fattibilità di una commissione medica locale presso la asl4 Chiavarese dipende dall'approvazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, mentre il codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 1992, articolo 330) non ostacola la costituzione di più commissioni mediche locali in una stessa provincia, subordinandola ad una specifica richiesta del sindaco del comune di maggiore importanza e all'accertamento dell'esistenza di obiettive condizioni da parte del Ministero dei trasporti e della navigazione di concerto con il Ministero della sanità (oggi rispettivamente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero della salute);
sin dal dicembre 2003, l'allora Ministro della sanità ha concesso il proprio nulla osta alla costituzione di una commissione medica locale; presso la asl4 sono in parte reperibili le figure professionali necessarie a garantire il servizio e quest'ultimo potrebbe sostenersi coi soli oneri a carico dei richiedenti -:
se i Ministri interessati non ritengano opportuno, una volta formulata la richiesta degli enti competenti ai sensi dell'articolo 330 del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, assumere le iniziative di competenza per la costituzione di una commissione medica locale per il rinnovo delle patenti presso la asl4 ligure, al fine di alleviare i disagi e garantire la mobilità alle fasce più sensibili della popolazione del Tigullio, quali anziani ed handicappati.
(4-10956)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame si fa presente che la questione sulla dislocazione delle commissioni mediche locali per le patenti di guida, già evidenziatasi nel corso degli anni, è ora ancor più sentita dagli operatori sanitari e dagli utenti a seguito delle ripetute modifiche delle norme del codice della strada, da ultimo con la legge n. 120 del 2010. Tali modifiche hanno, infatti, comportato un aumento delle visite da effettuarsi presso le commissioni mediche locali, determinato sopratutto dai maggiori controlli per la dipendenza da alcool e droghe e dalla necessità di rinnovo per i conducenti che hanno superato gli ottanta anni.
A tal proposito, in riferimento alla carenza di offerta di commissioni mediche rispetto alla domanda, si sottolinea come questa, amministrazione sia consapevole dell'inadeguatezza dell'articolo 119, comma 4, primo periodo del codice della strada, che prevede la costituzione di commissioni mediche locali «in ogni provincia presso le unità sanitarie locali del capoluogo di provincia... (omissis)...».
Infatti, fin dalla scorsa legislatura, e da ultimo nei lavori della citata legge n. 120 del 2010, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha diverse volte richiesto una modifica della succitata disposizione nel senso di stabilire che «l'accertamento dei requisiti psichici e fisici è effettuato da

commissioni mediche locali che possono essere costituite, previa valutazione dei competenti organi regionali ovvero delle province autonome di Trento e di Bolzano, presso ogni Azienda sanitaria locale... (omissis)...» (cfr. emendamento 16.3 AS 1720 proponente senatore Filippi ed altri).
Si intendeva rimettere in tal modo il potere di costituzione delle Commissioni mediche locali ai soggetti che, costituzionalmente, hanno competenza in materia di sanità e che hanno una maggiore evidenza della adeguatezza o meno della richiesta dell'utenza rispetto al servizio offerto. Tuttavia, tale emendamento non ha trovato il parere favorevole della Commissione programmazione economica, bilancio del Senato della Repubblica ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.
Al fine di porre comunque rimedio ai disagi, anche evidenziati dall'interrogante, giova segnalare l'articolo 330, comma 16, del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, «Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada». Detta disposizione prevede che con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con quello della sanità, «possono essere costituite più commissioni mediche locali, con il limite, di norma, di una per ogni milione di abitanti nel capoluogo di provincia e di una per ogni cinquecentomila abitanti in ogni provincia, esclusi quelli del capoluogo ... (omissis)...».
Ebbene, preme evidenziare che il Ministero delle infrastrutture e trasporti ha recentemente collaborato alla stesura del testo di una risoluzione interpretativa della succitata norma.
In particolare tale risoluzione, approvata dalla Commissione trasporti della Camera in data 28 aprile 2011 presentata dall'onorevole VELO ed altri, invita il Governo ad interpretare il citato articolo 330, comma 16 «nel senso di stimare il limite per la costituzione di commissioni mediche locali con riferimento alla domanda espressa dalla popolazione presente su un dato territorio, piuttosto che con riferimento al numero di abitanti, nonché con riferimento alla domanda espressa in condizioni geografiche particolarmente svantaggiose al fine di pervenire - ove vi siano situazioni di inadeguatezza della presenza di commissioni mediche locali dichiarate dal sindaco richiedente ed accertate da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero della salute - alla costituzione di un numero di commissioni stesse adeguato alla domanda espressa dall'utenza sul territorio».
Successivamente all'approvazione della predetta risoluzione, al fine di conseguire i risultati da essa auspicati, la stessa è stata trasmessa al Ministero della salute per procedere alla più ampia diffusione capillare presso le asl.
Si rammenta che, in ogni caso, ai sensi del comma 16 del succitato articolo 330, il procedimento finalizzato all'istituzione di Commissioni medico locali, anche alla luce della risoluzione interpretativa in parola, è avviato su richiesta del sindaco del capoluogo di provincia o, nell'ambito della provincia, dal sindaco del comune di maggiore importanza.
Compete, invece, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero della salute, l'accertamento dell'esistenza di obiettive condizioni, attività nella quale si terrà doverosamente conto dell'interpretazione dell'articolo 330, comma 16, in commento, apprestata dalla risoluzione de qua.
Tanto premesso, si informa che sarà comunque esaminata la richiesta proveniente dai soggetti istituzionali competenti ai sensi dell'articolo 330 del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992 ai fini della eventuale costituzione di una commissione medica locale nel territorio interessato.
Da ultimo, a testimonianza della volontà del Governo di porre rimedio ai disagi arrecati all'utenza, si segnala che, in sede di conversione del decreto-legge 13 maggio 2011 n. 70, è stato proposto un emendamento in base al quale il rinnovo biennale della patente per gli ultraottantenni è subordinato al previo accertamento dei requisiti fisici e psichici da parte di un medico monocratico - di cui all'articolo 119, comma 2 del Codice della strada - in

luogo della commissione medica locale. Tale emendamento non ha, tuttavia, trovato favorevole accoglimento, ma sarà senz'altro riproposto con il primo strumento normativo utile.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

SCILIPOTI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
la figura e l'opera di Cesare Lombroso, personaggio estremamente controverso e di ormai accertato disvalore scientifico, rappresentano tuttora un profondo vulnus oltre che per la gloriosa scuola medico-scientifica italiana e per i suoi esimi esponenti, altresì per l'intera popolazione di una vasta area della nazione quale è il nostro Meridione. A fondamento della richiesta di cancellazione dalla toponomastica italiana della intitolazione segnalata di seguito, vengono presentati i chiari motivi suffraganti l'insussistenza di meriti onorevoli e sufficienti a conservare la denominazione stradale «Via Cesare Lombroso»;
nato a Verona nel 1835 e membro di una ricca famiglia cittadina, Cesare Lombroso (all'anagrafe Marco Ezechia Lombroso) nel 1852 si iscrisse alla facoltà di medicina dell'università di Pavia, dove si laureò nel 1858, ricoprendo successivamente docenze in ambito accademico. Riallacciandosi alle teorie del naturalista inglese Francis Galton sulla criminalità innata e biologicamente condizionata, il Lombroso sostenne nelle sue tesi come le condotte atipiche del delinquente fossero dovute non tanto a componenti ambientali-socioeconomiche (di cui non riconobbe mai il vero peso), quanto piuttosto a fattori indipendenti dalla volontà come l'ereditarietà o le condizioni nervose, che diminuirebbero la responsabilità del criminale in quanto questi sarebbe soprattutto un malato;
le convinzioni di Lombroso si basavano in particolare sulla tesi «dell'uomo delinquente nato o atavico», individuo che recherebbe nella struttura fisica i caratteri degenerativi che lo differenziano dall'uomo normale e socialmente inserito. Alla ricerca della notorietà in favore delle sue tesi equivoche e antiscientifiche, il medico Lombroso non esitò a scorticare cadaveri, mozzare e sezionare teste, effettuare i più incredibili e crudeli interventi su uomini ritenuti criminali per le misure di parti del cranio e del corpo, imbastendo incredibili teorie sulle caratteristiche somatiche dei cosiddetti delinquenti per natura. Il suo lavoro fu fortemente influenzato dalla fisiognomica, sviluppando una pseudo-scienza che si occupava di frenologia forense e psicosomatica e inducendolo a congetture quasi da allievo stregone più che da scienziato, in un contesto fondato sull'eugenetica e su certe forme di «razzismo scientifico» le cui conseguenze saranno ben visibili nei decenni successivi (infatti tali congetture furono adottate quale teoria fondante dai medici tedeschi che ne fecero derivare il principio della purezza ariana estendendo la falsa teoria di Lombroso ai caratteri somatici degli ebrei - dei rom e così via per giustificarne il successivo sterminio);
l'idea che la criminalità sia connessa a particolari caratteristiche fisiche di una persona la si ritrova, in tempi pre-scientifici, nell'Iliade di Omero (nel cui libro II la devianza di Tersite è direttamente legata alla sua bruttezza fisica), ovvero nelle stesse leggi del Medioevo che sancivano, allorquando due persone fossero state sospettate di un reato, che delle due si sarebbe dovuta considerare colpevole la più deforme. Memore proprio di queste antiche grottesche reminiscenze, Lombroso si convinse che la costituzione fisica sia la più potente causa di criminalità e, in una censurabile analisi, attribuì particolare importanza alla configurazione anatomica del cranio, individuando in questo una caratteristica anatomica (oggi chiamata fossetta di Lombroso) che egli riteneva trattarsi di un carattere degenerativo più frequente negli alienati e nei delinquenti - mentre in realtà da un punto di vista anatomico si tratta di una caratteristica

abbastanza frequente negli individui e del tutto priva di significato scientifico;
male influenzato dalle teorie di Darwin, Lombroso giunse così a sostenere che il «delinquente nato» presenta caratteristiche ataviche, ossia simili a quelle degli animali inferiori e dell'uomo primitivo: tali caratteristiche renderebbero difficile o addirittura impossibile il suo adattamento alla società moderna e lo spingerebbero sempre di nuovo a compiere reati. Cesare Lombroso delineò anche le conseguenze giuridiche della propria dottrina: poiché il crimine non è il frutto di una libera scelta ma è piuttosto la manifestazione di una patologia organica, cioè di una malattia, la pena deve essere intesa non come una punizione (poiché non ha senso punire chi non ha agito liberamente) ma semplicemente come strumento di tutela della società. Egli sostenne sempre con forza la necessita dell'inserimento della pena capitale nel quadro dell'ordinamento giuridico italiano, ritenendo che se il criminale era tale per la sua conformazione fisica non fosse possibile alcuna forma di riabilitazione;
queste sconnesse teorie furono ben presto messe in discussione dagli studi degli stessi allievi e seguaci del clinico veronese (tra i quali Enrico Ferri - docente di diritto penale a Bologna, Siena, Pisa e Roma e caposcuola della sociologia criminale), mentre oggi nessuno osa più sostenerne la validità scientifica. L'assurdità ed equivocità di pseudo studioso e scienziato di Cesare Lombroso, da tempo ormai accertata, rappresenta motivo e argomento sufficientemente fondato e utile per un sostanziale ripensamento sull'intitolazione stradale nell'ambito della toponomastica italiana, che va a demerito della migliore tradizione accademica e medico-scientifica italiana. Ma non solo, altra argomentazione sostanzia e convalida l'istanza che viene qui formulata;
la figura e l'opera di Cesare Lombroso rappresentano tuttora un profondo vulnus per l'intero Meridione d'Italia e la sua popolazione, pesantemente oltraggiati e diffamati dalla deriva antiscientifica assunta dall'attività del medico veronese: un oltraggio e una diffamazione le cui conseguenze disonorano tuttora la parte preponderante della popolazione italiana (sommando ai residenti nel Mezzogiorno i milioni di meridionali del Centro-Nord che contribuiscono alla ricchezza di questa area della nazione);
dopo la laurea in Medicina all'università di Pavia nel 1858, il successivo 1859 Cesare Lombroso si arruolò nel Corpo sanitario militare piemontese, per essere inviato poi, nel 1861, in Calabria quale «consulente medico» nella campagna di repressione del «brigantaggio»;
nella regione meridionale, basandosi sull'abbondante «parco umano» messo a sua disposizione, l'ufficiale medico Lombroso cominciò un approfondito e incontrollato studio criminologico sulle popolazioni calabresi ostili all'invasione piemontese, giungendo perfino ad indagare un improbabile rapporto delinquenziale tra linguaggio - usi - modo di vestire e le caratteristiche fisiche dei residenti. Le sue teorie (rivelatesi palesemente infondate risultando grossolana pseudoscienza) presero forma e vennero applicate con disinvoltura su poveri contadini la cui unica colpa era quella di avere le misure del cranio simili ai dati antropometrici di qualche noto delinquente del tempo. Si tratta di congetture che, purtroppo, trovarono fertile terreno in un contesto storico e in un ambiente militare molto particolari: apparve davvero provvidenziale, per i responsabili dell'esercito, aver trovato dei pretesti pseudo-scientifici per giustificare la sanguinosa repressione attuata su popolazioni inermi e costrette a difendersi da una invasione con effetti devastanti;
presero forma in tal modo scandalose mistificazioni per dare un'immagine negativa del Sud: Cesare Lombroso, tutt'altro che un rigoroso scienziato come apparso in seguito, fu praticamente «assoldato» per dimostrare sulla base di una assurda pseudoscienza che i meridionali erano

persone delinquenti per nascita. L'obnubilato medico veronese misurò la forma e la dimensione del cranio di molti ribelli uccisi o deportati dal Meridione d'Italia in Piemonte (premurosi medici militari o carcerari per anni inviarono al pseudo-studioso il corpo o almeno il cranio dei briganti meridionali - ovvero uomini e donne uccisi in battaglia oppure deceduti in galera - perché potesse misurarli, sezionarli, studiarli e cercare quindi di dimostrare la bislacca teoria del delinquente per natura), concludendo che i tratti atavici presenti riportavano indietro all'uomo primitivo. Si tratta in realtà di una delle più efferate violenze fisiche e morali messe deliberatamente in atto contro la gente meridionale, una manifestazione del tutto indegna dei presunti artefici del Risorgimento italiano, mentre sono ormai incancellabili i danni all'intera umanità che sono derivati dall'odio di Lombroso verso le popolazioni del Sud Italia;
si ritiene che la lesione della reputazione collettiva e individuale dell'intera popolazione meridionale, proditoriamente lesa da teorie e congetture di accertata infondatezza scientifica e volte a dare un'immagine negativa del Mezzogiorno, rappresenti ulteriore motivo di profondo pregiudizio, insieme al disvalore scientifico, per la conservazione di una intitolazione stradale nella toponomastica dei comuni italiani che veda l'intestazione «Cesare Lombroso», e se ne ritiene necessaria formalmente e ufficialmente la cancellazione dalla toponomastica di tutti i Comuni italiani -:
se i ministri interrogati per quanto di competenza, intendano assumere iniziative per evitare, alla luce di tutto quanto segnalato in premessa e riconosciuto dall'attuale comunità scientifica, che siano intitolate strade a Cesare Lombroso.
(4-07704)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si riportano, di seguito, gli elementi pervenuti dal Ministero dell'interno.
La toponomastica rientra nell'ambito di competenza del comune ed allo Stato residuano esclusivamente poteri di autorizzazione che sono limitati al riscontro dell'assenza di motivi ostativi relativi alla nuova intitolazione della strada o piazza che il comune intende operare.
La disciplina della materia appare alquanto datata e per alcuni aspetti frammentaria, per cui sono stati avanzati dubbi interpretativi anche in ordine alla permanenza della competenza prefettizia, prevista dal regio decreto-legge 10 maggio 1923, convertito con legge 14 aprile 1925, n. 473 «Norme per il mutamento del nome delle vecchie strade e piazze comunali» e dalla legge 23 giugno 1927, n. 1188, recante «Toponomastica stradale e monumenti a personaggi contemporanei».
In particolare, la citata legge n. 473 del 1925, disciplina il cambio di denominazione dei toponimi esistenti, prevedendo, al riguardo, che i comuni, qualora intendano mutare il nome di vecchie strade o piazze comunali debbano «ottenere preventivamente l'approvazione del Ministero della Pubblica Istruzione per il tramite delle Soprintendenze ai Monumenti».
La legge n.1188 del 1927, concernente le intitolazioni di nuove strade, oltre che di monumenti e altri ricordi permanenti, attribuisce ai prefetti la competenza ad autorizzare le intitolazioni di strade e piazze pubbliche, sentito il parere della regia deputazione di Moria Patria; prevede, altresì, il divieto di intitolare strade e piazze pubbliche, oltre che monumenti o altri ricordi permanenti, a persone che siano decedute da meno di dieci anni, demandando al Ministero dell'interno la facoltà di derogare a tale disposizione in casi eccezionali, quando si tratti di persone che abbiano acquisito particolari meriti in ambito sociale.
Con decreto del Ministro dell'interno del 25 settembre 1992, la competenza ad autorizzare le intitolazioni di strade e monumenti a personaggi deceduti da meno di dieci anni è stata delegata ai prefetti, stante la prevalenza di valutazioni di ordine pubblico.
La successiva legge 24 dicembre 1954, n. 1228, recante: «Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente» stabilisce,

infine, all'articolo 10 che «il Comune provvede alla indicazione dell'onomastica stradale e della numerazione civica», mentre il decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, recante: «Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente» stabilisce, all'articolo 41, che ogni area di circolazione debba avere una propria distinta denominazione e che «l'attribuzione dei nomi deve essere effettuata secondo le norme di cui al regio decreto-legge 10 maggio 1923, n. 1158, convertito dalla legge 17 aprile 1925, n. 473, e alla legge 23 giugno 1927, n. 1188, in quanto applicabili».
Alla luce di quanto sopra rappresentato, si fa presente che non rientra nelle competenze di questa amministrazione fornire ai comuni indicazioni in ordine alla intitolazione di nuove strade, trattandosi di iniziativa rimessa alla specifica responsabilità delle amministrazioni comunali, fatte salve le eventuali verifiche ad opera delle competenti prefetture.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Giancarlo Galan.

SORO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
sia la Regione Sardegna che la provincia di Olbia Tempio hanno adottato per gli anni 2011/2012 il piano di dimensionamento scolastico;
dall'esame dei due piani deliberati risultano delle criticità: il piano di dimensionamento scolastico Regionale, a differenza del piano provinciale, in riferimento al 2° ciclo, prevede l'accorpamento dell'istituto professionale di Oschiri all'Amsicora di Olbia con la creazione di un I.I.S.;
la previsione di tale accorpamento sta creando notevoli problemi nell'ambito delle comunità interessate;
da più di cinquanta anni l'istituto professionale di Oschiri, che rappresenta per tutto l'ambito del Monte Acuto l'unico istituto superiore esistente, ha offerto a centinaia di studenti della provincia di Olbia Tempio una valida formazione anche per l'accesso nel mondo del lavoro;
risulta che l'accorpamento non comporterebbe nessuna economia rispetto al mantenimento dello status quo che i due istituti possono essere mantenuti nel rispetto degli indirizzi delle linee guida regionali e che il mantenimento degli stessi è giustificato, nel caso dell'Amsicora di Olbia, dal forte trend demografico e dagli interventi di ammodernamento ai laboratori e alle strutture che consentiranno un rilancio già dall'anno in corso, e nel caso dell'IPIA di Oschiri sia dalla specificità riconosciuta dalle linee guida, sia dal rilancio che deriverà dall'attivazione del nuovo indirizzo relativo ai servizi socio sanitari;
dalle criticità emerse dai due piani approvati pare opportuno verificare tutte le condizioni necessarie a garantire un'offerta formativa e didattico-organizzativa che rispetti gli equilibri territoriali provinciale e regionale;
la provincia di Olbia Tempio si è impegnata già nell'anno in corso a valutare soluzioni alternative e compensative relative al dimensionamento scolastico -:
di quali elementi disponga il Ministro interrogato in merito alle criticità presenti nei due piani di dimensionamento scolastico di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo anche garantendo maggiori risorse finanziarie per il settore, posto che la previsione di accorpamento dell'Amsicora di Olbia e dell'Ipia di Oschiri sembrerebbe motivata da esigenze di razionalizzazione della spesa consentendo così l'autonomia dei due istituti nel rispetto delle indicazioni del piano provinciale.
(4-11383)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede notizie sul piano di dimensionamento della rete scolastica nella parte in cui prevede l'accorpamento di due istituti superiori della regione Sardegna.

Al riguardo si premette che l'articolo 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998 e l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1998, n. 233 rimettono all'esclusiva competenza delle regioni la determinazione della rete scolastica e dell'offerta formativa.
Tale competenza è stata confermata dalla sentenza n. 200 del 9 giugno 2009 della Corte costituzionale, a seguito della quale la Conferenza unificata non ha ritenuto più applicabile quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009, attuativo della legge n. 133 del 2008, ed ha interrotto l'iter di approvazione dell'intesa che definiva i nuovi criteri e parametri per il dimensionamento della rete scolastica.
Nell'ambito dei rapporti tra Stato e regione Sardegna la legge regionale n. 3 del 2009 (collegato alla legge finanziaria regionale), che ha superato il vaglio della Corte istituzionale con la sentenza n. 235 del 07 luglio 2010, prevede che «Nelle more di una riforma organica della normativa regionale in materia di istruzione, la Giunta Regionale, nell'ambito delle dotazioni organiche complessivamente definita in base alle vigenti disposizioni e tenuto conto delle condizioni di disagio legate a specifiche situazioni locali, definisce le modalità e i criteri per la distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche. Nel rispetto dei criteri e dell'modalità definiti dalla Giunta regionale, la Direzione generale dell'Assessorato della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport, provvede alla distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche».
Allo stato attuale non è pertanto consentito a questa amministrazione nessun intervento in materia, essendo rimesse alle competenza dell'ufficio scolastico regionale il compito di dare esecuzione alle determinazioni assunte nel piano di dimensionamento regionale.
In proposito l'ufficio scolastico regionale per la Sardegna ha fatto presente che il sistema di governance del sistema scolastico determinato in ambito regionale, relativamente all'anno scolastico 2009/2010 ed in accordo con lo stesso ufficio scolastico, prevedeva la permanenza di diverse situazioni prospettate dalle province in deroga alle disposizioni nazionali in materia di organici, formazione delle classi e riforma della scuola. Per motivi didattici ed organizzativi, queste situazioni non potevano essere prorogate nell'anno scolastico 2011/2012 e si è dovuto procedere all'accorpamento di alcune istituzioni scolastiche ed alla razionalizzazione dei punti di erogazione del servizio situati nei comuni limitrofi.
A partire dal prossimo anno la regione Sardegna ha individuato alcuni criteri che consentono di tutelare specifiche situazioni locali, come il mantenimento dei punti di erogazione del servizio di scuola dell'infanzia con almeno 10 bambini, il mantenimento della pluriclasse alla scuola primaria qualora la situazione sia in prospettiva superabile e/o composta da almeno due classi di età contigue ed il mantenimento di autonomie sotto dimensionate in presenza di situazioni territoriali prive di alternativa. In linea generale ha privilegiato le scuole dell'infanzia, primaria e secondaria di primo grado, prevedendo ove possibile l'istituzione di istituti comprensivi quale modello rispondente alle esigenze di continuità del percorso didattico-educativo.
In sostanza il piano regionale ha cercato di riequilibrare l'offerta formativa con l'attivazione di nuovi indirizzi ed evitando sovrapposizioni ed interferenze.
In questa prospettiva il rispetto dei parametri nazionali, con le eccezioni previste per i comuni montani, individuati dalla delibera della giunta regionale n. 49/16 del 21 ottobre 2005, e per le piccole isole, avviene nella tutela delle specifiche situazioni locali e in applicazione del principio di solidarietà che chiede ai grandi centri scolastici di cedere numeri a quelli più piccoli.
Sono state così previste autonomie scolastiche e punti di erogazione del servizio sottodimensionate purché compensate a livello provinciale da altre sovradimensionate, mantenendo costante il numero totale

degli alunni e garantendo il risparmio di finanza pubblica previsto.
Per il mantenimento delle istituzioni scolastiche sotto dimensionate si è principalmente tenuto conto della complessità organizzativa e didattica degli istituti professionali che gestiscono laboratori di alta specializzazione e che sperimentano, in accordo con la regione, percorsi di qualifica di primo e secondo livello e di alternanza scuola lavoro.
Il piano di dimensionamento relativo all'anno scolastico 2011/2012 ha previsto l'accorpamento di 20 istituzioni scolastiche ad altre preesistenti, la riduzione di 15 delle 64 pluriclassi esistenti, l'istituzione di otto centri di educazione per adulti, nuovi licei musicali e la chiusura di 34 punti di erogazione del servizio scolastico.
In presenza di situazioni insostenibili sia sul piano numerico che didattico ed in mancanza delle eccezioni sopraindicate, la regione è intervenuta anche in assenza di specifiche proposte delle amministrazioni provinciali.
Con riguardo alla scuola di cui trattasi il prospetto del piano di dimensionamento approvato dalla provincia nella seduta dell'8 febbraio 2011 prevedeva il mantenimento dell'istituto professionale con una popolazione scolastica complessiva di n. 182 studenti.
In senso contrario la regione con la deliberazione n. 11/12 del 1o marzo 2011 ha adottato il nuovo piano di dimensionamento della rete scolastica, a valere dall'anno scolastico 2011/2012, nel quale si prevede la soppressione dell'istituto professionale per l'industria e l'artigianato e l'aggregazione dello stesso ad altro istituto superiore.
L'ente interessato ha ritenuto così di ridisegnare l'offerta formativa avendo particolare riguardo al miglioramento delle politiche di formazione e di istruzione ed alla razionalizzazione delle istituzioni. La costruzione di una rete di punti di erogazione del servizio che fanno capo ad un'istituzione scolastica centrale nel territorio consente di prevedere un servizio più diffuso e di fornire un'offerta formativa che risponda alle esigenze ed ai bisogni dell'utenza nel rispetto delle vocazioni e delle peculiarità del contesto di riferimento.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

TIDEI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come previsto dalla legge, molte categorie (anziani, disabili, possessori di patenti speciali) per ottenere il rinnovo della patente devono obbligatoriamente sottoporsi alla visita di una apposita commissione medica per verificare l'idoneità psico-fisica;
in Italia sono circa 112 le commissioni mediche provinciali, responsabili del rinnovo delle patenti di guida e delle patenti speciali;
ogni cittadino può presentarsi, residenza a parte, in una qualsiasi delle suddette commissioni;
la procedura è uguale per tutti: ci si deve recare per ben due volte presso la commissione, la prima volta per prendere l'appuntamento; la seconda per la visita e la consegna dei documenti necessari;
le strutture sanitarie preposte ed il personale impiegato non riescono minimamente ad assicurare un servizio celere ed efficiente causando numerosi disagi per gli utenti;
per il comune di Roma e tutti i comuni della provincia, tanto per fare un esempio, tre soli ambulatori dedicati per un rinnovo che va fatto esclusivamente «di persona»;
la carenza di personale e strutture impedisce altresì la prenotazione telefonica causando quindi file interminabili davanti alle strutture sanitarie preposte che spesso iniziano alle 4.30 del mattino per prendere un semplice «numeretto informale» per poi protrarsi sino all'apertura dell'ambulatorio alle 8. In sostanza ci

si alza alle quattro di mattina, per prendere un appuntamento, qualche modulo, marche da bollo e conti correnti vari perché poi a questo segue un secondo appuntamento dove si effettua la visita e si consegnano i documenti necessari;
se si vuole ottenere il rinnovo della patente, qualsiasi categoria essa sia, in prossimità della scadenza, a fronte delle strutture a disposizione ci si deve organizzare con largo, anzi larghissimo anticipo;
le associazioni del settore, le autoscuole e molti dirigenti sanitari hanno avanzato la proposta di trasferire i suddetti compiti alle asl locali;
tale proposta riuscirebbe a snellire il congestionamento di quelle poche strutture preposte alla verifica di idoneità psico-fisica per il rinnovo delle patenti;
questa situazione che si verifica quotidianamente in tutta Italia appare vergognosa -:
se non ritengano opportuno prendere in considerazione la proposta avanzata dagli operatori del settore secondo la quale sarebbe opportuno trasferire alle asl locali funzioni e competenze necessarie a sopperire tali esigenze con conseguente decongestionamento delle pratiche in essere.
(4-10966)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame si fa presente che la questione sulla dislocazione delle commissioni mediche locali per le patenti di guida, già evidenziatasi nel corso degli anni, è ora ancor più sentita dagli operatori sanitari e dagli utenti a seguito delle ripetute modifiche delle norme del Codice della strada, da ultimo con la legge n. 120 del 2010. Tali modifiche hanno, infatti, comportato un aumento delle visite da effettuarsi presso le commissioni mediche locali, determinato sopratutto dai maggiori controlli per la dipendenza da alcool e droghe e dalla necessità di rinnovo per i conducenti che hanno superato gli ottanta anni.
In proposito il Ministero della salute sottolinea che le commissioni mediche, pur operando presso locali della azienda sanitaria locale di competenza, non sono dipendenti dalle Asl. Inoltre, mentre le Cml svolgono funzioni medico-legali, con, la finalità di tutelare la salute pubblica e non già di fornire servizi di cura e assistenza, le Asl esercitano funzioni di carattere organizzativo-amministrativo.
Il Ministero della salute evidenzia, altresì, che sul territorio nazionale le commissioni mediche, pur avendo la stessa costituzione, così come previsto dalla normativa vigente, hanno una notevole difformità per quel che concerne gli aspetti procedurali: modalità di prenotazione, gestione delle liste d'attesa.
Pertanto, queste differenze e i disservizi citati nell'interrogazione in oggetto, dipendono dall'organizzazione delle Asl a livello locale e non certo dai Ministeri competenti.
Per quanto attiene, invece, alla questione circa l'individuazione della figura del Presidente delle commissioni mediche, il Ministero delle infrastrutture e trasporti auspica il ritorno al sistema del codice previgente stabilendo che tale figura sia determinata ex lege in riferimento alla titolarità del servizio di medicina legale senza la mediazione dell'attuale decreto di nomina ai sensi dell'articolo 481 del decreto del Presidente della Repubblica n. 420 del 1959. Detto provvedimento, infatti, per quanto di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non fa che recepire l'atto di nomina del responsabile del servizio di medicina, legale da parte dei competenti organi della Asl, in quanto il residente della commissione si identifica ex legge con il titolare di tale ufficio. Si sottolinea, in proposito, che la legge n. 120 del 2010 non prevede più, tra i rimedi impugnatori avverso il giudizio della Commissione medica locale, il ricorso gerarchico al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. È venuta quindi meno l'attività di riesame in sede di ricorso gerarchico dell'operato delle Commissioni mediche locali che motivava il collegamento istituzionale con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Pertanto, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è dell'avviso che detta materia debba essere rivista alla luce del mutato quadro normativo e della diversa realtà su cui operano le norme.
Per quanto attiene, inoltre, alla problematica circa la carenza di offerta di commissioni mediche rispetto alla domanda, si sottolinea come questa Amministrazione sia consapevole dell'inadeguatezza dell'articolo 119, comma 4, primo periodo del codice della strada, che prevede la costituzione di commissioni mediche locali «in ogni provincia presso le unità sanitarie locali del capoluogo di provincia... (omissis)...».
Infatti, fin dalla scorsa legislatura, e da ultimo nei lavori della citata legge n. 120 del 2010, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha diverse volte richiesto una modifica della succitata disposizione nel senso di stabilire che «l'accertamento dei requisiti psichici e fisici è effettuato da commissioni mediche locali che possono essere costituite, previa valutazione dei competenti organi regionali ovvero delle province autonome di Trento e di Bolzano, presso ogni Azienda sanitaria locale... (omissis)...» (cfr emendamento 16.3 AS 1720 proponente senatore Filippi ed altri).
Si intendeva rimettere in tal modo il potere di costituzione delle commissioni mediche locali ai soggetti che, costituzionalmente, hanno competenza in materia di sanità e che hanno una maggiore evidenza della adeguatezza o meno della richiesta dell'utenza rispetto al servizio offerto. Tuttavia, tale emendamento non ha trovato il parere favorevole della Commissione programmazione economica, bilancio del Senato della Repubblica ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.
Al fine di porre comunque rimedio ai disagi, anche evidenziati dall'interrogante, giova segnalare l'articolo 330, comma 16, del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, «Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada». Detta disposizione prevede che con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con quello della sanità, «possono essere costituite più commissioni mediche locali, con il limite, di norma, di una per ogni milione di abitanti nel capoluogo di provincia e di una per ogni cinquecentomila abitanti in ogni provincia, esclusi quelli del capoluogo... (omissis)...».
Ebbene, preme evidenziare che il Ministero delle infrastrutture e trasporti ha recentemente collaborato alla stesura del testo di una risoluzione interpretativa della succitata norma.
In particolare tale risoluzione, approvata dalla Commissione trasporti della Camera in data 28 aprile 2011 presentata dall'onorevole VELO ed altri, invita il Governo ad interpretare il citato articolo 330, comma 16 «nel senso di stimare il limite per la costituzione di commissioni mediche locali con riferimento alla domanda espressa dalla popolazione presente su un dato territorio, piuttosto che con riferimento al numero di abitanti, nonché con riferimento alla domanda espressa in condizioni geografiche particolarmente svantaggiose al fine di pervenire - ove vi siano situazioni di inadeguatezza della presenza di commissioni mediche locali dichiarate dal sindaco richiedente ed accertate da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero della salute - alla costituzione di un numero di commissioni stesse adeguato alla domanda espressa dall'utenza sul territorio».
Successivamente all'approvazione della predetta risoluzione, al fine di conseguire i risultati da essa auspicati, la stessa è stata trasmessa al Ministero della salute per procedere alla più ampia diffusione capillare presso le asl.
Si rammenta che, in ogni caso, ai sensi del comma 16 del succitato articolo 330, il procedimento finalizzato all'istituzione commissioni medico locali, anche alla luce della risoluzione interpretativa in parola, è avviato su richiesta del Sindaco del capoluogo di provincia o, nell'ambito della provincia, dal sindaco del comune di maggiore importanza.
Compete, invece, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero della salute, l'accertamento dell'esistenza di obiettive condizioni, attività nella quale si terrà doverosamente conto

dell'interpretazione dell'articolo 330, comma 16, in commento, apprestata dalla risoluzione de qua.
Da ultimo, a testimonianza della volontà del Governo di porre rimedio ai disagi arrecati all'utenza, si segnala che, in sede di conversione del decreto-legge 13 maggio 2011 n. 70, è stato proposto un emendamento in base al quale il rinnovo biennale della patente per gli ultraottantenni è subordinato al previo accertamento dei requisiti fisici e psichici da parte di un medico monocratico - di cui all'articolo 119, comma 2 del Codice della strada - in luogo della commissione medica locale. Tale emendamento non ha, tuttavia, trovato favorevole accoglimento, ma sarà senz'altro riproposto con il primo strumento normativo utile.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

MAURIZIO TURCO, FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 14 febbraio 2008 il direttore generale della sanità militare ha emanato una direttiva tecnica in applicazione del decreto ministeriale 31 marzo 2003, inerente alle procedure applicative e alla data di introduzione delle schedule vaccinali e delle altre misure di profilassi;
nell'allegato «B» alla direttiva sono indicati le modalità e le dosi di somministrazione, le controindicazioni di ogni singolo vaccino;
dopo il devastante sisma che ha colpito la Repubblica di Haiti, ed in particolare la capitale Port au Prince, il Ministro della difesa ha deciso, motu proprio, di inviare, oltre alla portaerei Cavour, un contingente militare composto da 120 carabinieri con il compito di garantire la sicurezza durante le operazioni di soccorso alle popolazioni;
le condizione igienico-sanitarie nella Repubblica di Haiti sono state gravemente compromesse dagli eventi e quindi i rischi epidemiologici sono, attualmente, particolarmente elevati;
risulta agli interroganti che i militari scelti per partecipare alla missione denominata «Operazione White Crane» siano stati sottoposti a numerose vaccinazioni, per alcuni di essi fino a 11 vaccini somministrati contemporaneamente; non è chiaro, al riguardo, se siano state rispettate le prescrizioni di non contemporaneità e le tempistiche prescritte dalla direttiva tecnica citata;
sul sito ufficiale del Ministero della difesa, il giorno 24 gennaio 2010 è stato pubblicato un comunicato in cui si legge «A bordo della portaerei italiana il clima è sereno e il personale si sta sottoponendo ad un ciclo di vaccinazioni per poter operare agevolmente sull'isola. Reparti degli alpini della brigata Julia dell'esercito, militari dell'aeronautica, dei carabinieri e personale della croce rossa italiana, insieme agli uomini del reggimento San Marco e al personale imbarcato della Marina militare stanno affinando il piano di sbarco degli aiuti previsto per i primi giorni di febbraio, dopo aver prelevato in Brasile personale medico ed elicotteri»;
sono numerosi i casi di morte o gravi patologie contratte da militari a seguito dell'errata somministrazione di vaccini; è infatti timore degli interroganti che la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nella richiamata direttiva potrebbe avere anche gravi effetti sull'integrità fisica e la salute dei vaccinandi -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa, se corrispondano al vero, e in caso affermativo se intenda assumere immediati provvedimenti nei confronti di tutti coloro che hanno eventualmente disatteso alle modalità di somministrazione dei vaccini come stabilito dalla direttiva tecnica;
quali siano le vaccinazioni a cui è stato sottoposto il personale militare precettato per la missione di soccorso, con quali modalità e tempi di somministrazione;

quanti siano stati i casi in cui i militari sottoposti al ciclo di profilassi vaccinale hanno accusato effetti collaterali, di quale entità e con quali conseguenze;
quanti siano i militari deceduti o colpiti da gravi patologie a causa delle vaccinazioni a cui sono stati sottoposti durante il servizio o per ragioni di servizio e se risulti che gli stessi abbiano prestato il loro consenso alle vaccinazioni.
(4-05948)

Risposta. - Il tema della presunta nocività dei vaccini somministrati ai nostri militari è da tempo all'attenzione della difesa e, come noto, costituisce una delle materie oggetto della 3a «Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito», istituita con deliberazione del Senato 16 marzo 2010 che, per tale aspetto, ha ampliato il mandato della commissione rispetto a quello assegnato alle omologhe commissioni delle precedenti legislature (XIV e XV).
Queste ultime, peraltro, affrontarono entrambe tale problematica nelle rispettive relazioni conclusive, segnalando l'opportunità di svolgere ulteriori approfondimenti.
L'ipotesi che i casi di malattie e decessi siano da correlare alla somministrazione di vaccini, appare poco sostenibile sia dal punto di vista tecnico - scientifico che etico - deontologico.
Le modalità di somministrazione, infatti, sono sempre state rispondenti ai princìpi della buona pratica vaccinale e alle raccomandazioni delle organizzazioni internazionali che consentono la somministrazione, anche contemporanea, di vaccini non viventi o in associazione a vaccini viventi purché in sedi diverse, mentre indicano un periodo di almeno quattro settimane fra inoculi di vaccini viventi, qualora non somministrati contemporaneamente.
In particolare, con decreto ministeriale 19 febbraio 1997 è stata approvata, previe le opportune verifiche, la schedula delle vaccinazioni e delle profilassi, scaturita da un lavoro scientifico condotto da un gruppo di esperti infettivologi e immunologi e validata dall'Istituto superiore di sanità.
Successivamente, sulla base di considerazioni epidemiologiche e di nuove offerte di mercato, tenendo conto anche di segnalazioni di organizzazioni internazionali - quale l'Organizzazione mondiale della sanità - e delle autorità sanitarie locali dei teatri di operazione, la schedula è stata aggiornata con decreto ministeriale 31 marzo 2003 e sotto a preliminare ratifica da parte del Consiglio superiore di sanità, supremo organo consultivo nazionale decisionale in materia.
La schedina esplicita le modalità applicative dei regimi immunoprofilattici, il calendario di inoculazione, l'organizzazione e le precauzioni prima e durante le sedute vaccinali, nonché la periodicità dei richiami e/o interruzione dei cicli vaccinali.
Per ogni teatro operativo vengono emanate specifiche direttive sulla schedina vaccinale e sulle eventuali misure di chemio-profilassi antimalarica, finalizzate alla prevenzione dei rischi biologici ambientali; l'attuazione dei moduli vaccinali adattati al singolo caso in relazione al pregresso stato vaccinale, deve essere, comunque, raggiunta prima della partenza per le zone di operazioni, così da garantire una sufficiente copertura.
I vaccini acquisiti e impiegati dall'amministrazione sono tutti farmaci regolarmente autorizzati al commercio (in Italia o all'estero e, in tal caso, regolarmente importati ai sensi del decreto ministeriale 11 febbraio 1997) e dispongono di una scheda individuale, presente nelle confezioni, contenente indicazioni, controindicazioni ed eventi avversi o effetti collaterali, oltre alla composizione autorizzata.
In linea generale, la maggior parte del personale impiegato in missione, è stato già sottoposto a molte delle vaccinazioni previste, sia in età pediatrica, per effetto delle vigenti disposizioni di legge, sia al momento dell'incorporamento.
Va doverosamente osservato che la vaccinazione del personale militare risponde a princìpi di:
salvaguardia della salute pubblica (considerato l'ambiente di vita comunitario della componente militare);
protezione del singolo militare e della rispettiva famiglia;

garanzia di efficienza fisica e salvaguardia operativa della componente umana dello strumento militare;
solennemente sanciti dal dettato costituzionale (articolo 32, comma 1), la cui violazione ne costituirebbe una grave lesione.

In ambito militare, il successo delle misure vaccinali introdotte negli ultimi anni può essere sicuramente esemplificato dal significativo abbattimento di malattie infettive, quali la meningite meningococcica: oggi, non si registra più questa patologia, almeno con esiti letali.
L'Italia allinea la propria politica vaccinale militare a quella delle altre nazioni facenti parte della Nato, nel cui ambito vigono accordi di standardizzazione tra i Paesi membri (STANAG 2037) che individuano protocolli vaccinali standard, da garantirsi per tutti i militari.
Anche un ipotizzato stato immunodepressivo dovuto a stimolazioni vaccinali multiple non trova alcun supporto nella pratica medica quotidiana, laddove non emergono segnalazioni di stati immunodepressivi (sembra, di massima, che un eventuale accumulo inciderebbe più nella risposta, nel senso di una minore quantità di anticorpi prodotti) conseguenti all'esecuzione delle vaccinazioni raccomandate per l'infanzia, riferendosi alla documentazione scientifica esistente.
Gli unici casi riportati in letteratura sono unicamente riferibili al vaccino antivaioloso, non più in uso dal 1977 a seguito di direttiva dell'Organizzazione mondiale della sanità ed a quello antirosolia.
Allo stesso tempo, l'ipotesi che la somministrazione di vaccinazioni multiple possa determinare un accumulo nell'organismo di metalli pesanti (vedi mercurio e alluminio, presenti, specie in passato, in alcune preparazioni vaccinali), da cui successive malattie gravi e mortali, non appare suffragata dalla comunità medica mondiale.
A tal riguardo, ci sono infatti diversi studi che evidenziano la mancanza di associazione tra l'uso di vaccini contenenti idrossido di alluminio ed effetti avversi importanti o di lunga durata, così come a sostegno sperimentale di tali conclusioni sono poi stati recentissimamente pubblicati i risultati di due importanti e vasti studi epidemiologici, che confermano ulteriormente la sicurezza dei vaccini a base di thimerosal (la sostanza contenente mercurio usata nei vaccini).
Naturalmente - e ciò vale per i vaccini come per ogni farmaco e ogni sostanza biologicamente attiva estranea introdotta nell'organismo - non esiste la garanzia assoluta ed inequivoca che tale sostanza sia innocua, né esistono modalità tecniche d'indagine preliminare che siano in grado di assicurare tale postulata innocuità.
Non a caso, il legislatore, conformandosi a tali princìpi, ha opportunamente previsto la risarcibilità dei danni provocati dalle pratiche emotrasfusionali e vaccinali, considerando quest'ultime, comunque, atti obbligati per ragioni di preminente salute pubblica oltre che individuale (legge n. 210 del 1992).
L'ipotesi di un'eventuale associazione tra le vaccinazioni e i tumori dell'apparato emolinfopoietico, con particolare attenzione alle popolazioni dei militari, è stata approfondita in sede scientifica dall'Istituto superiore di sanità - interessato dal Ministero della salute - che ha ampiamente revisionato la relativa letteratura scientifica internazionale.
Anche con riferimento ad un'associazione causale tra il rischio di patologie neoplastiche in generale e le vaccinazioni nei militari, al momento attuale non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino in maniera chiara tale possibile nesso causale: sono stati, infatti, effettuati pochissimi studi, i cui risultati, nell'insieme, sono poco coerenti e l'evidenza è inconsistente.
Al riguardo, meritevole di segnalazione è lo studio condotto nella coorte inglese dei veterani della guerra del Golfo e in una coorte di controllo: l'incidenza di tumori tra i veterani del Golfo, su 11 anni di follow-up, è risultata identica a quella osservata nella coorte di controllo.
La letteratura scientifica e la sanità pubblica qualificata, a livello nazionale e internazionale - come illustrato dal professore

Cassone, consulente del presidente dell'Istituto superiore di sanità, in sede dell'audizione del 18 maggio 2011 presso la Commissione d'inchiesta - convengono nel ritenere che i vaccini sono gli unici farmaci in grado di eliminare, se non di eradicare, gli agenti infettivi; sono i farmaci con il maggior beneficio rispetto al rischio e rispetto ai costi e sono i farmaci che subiscono i controlli sanitari più estesi e accurati, prima e dopo l'approvazione per l'uso umano, anche perché somministrati a soggetti sani, con finalità di prevenzione.
Nella fase di predisposizione dei vaccini sono numerosi i controlli volti ad assicurare efficacia e sicurezza: gli antigeni e gli adiuvanti sono purificati al massimo livello possibile, con le migliori tecnologie in uso e la loro tollerabilità viene misurata sin dagli stadi iniziali. Durante la formulazione del vaccino ogni componente viene ripetutamente valutata in vitro e negli animali sperimentali per ogni traccia di tossicità, che deve essere esclusa al cento per cento.
Una volta conseguita l'approvazione delle competenti autorità nazionali o sovranazionali, ogni lotto di vaccino è sottoposto al cosiddetto «controllo di Stato» nel quale un'autorità europea o nazionale effettua altri e definitivi controlli che assicurino la congruità di ogni lotto a quanto approvato per l'uso umano.
Nell'ambito della medesima audizione del 18 maggio, la dottoressa Salmaso - responsabile del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto, superiore di sanità, oltre che membro esperto del gruppo europeo Emea - ha chiarito che i vaccini somministrati a personale militare non sono diversi da quelli prodotti per la generalità della popolazione e sono gli stessi che, nel caso della vaccinazioni obbligatorie vengono somministrate ai bambini, soltanto dopo l'effettuazione di controlli molto stringenti, effettuati sulla base di procedimenti centralizzati a livello europeo.
Evidenzio, altresì, che la Dottoressa Gatti - responsabile del laboratorio dei biomateriali dell'università di Modena e Reggio Emilia e docente di biomateriali alla facoltà di biotecnologie - nell'ambito dell'audizione del 2 febbraio 2011 presso la richiamata Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito - ha ribadito quanto già affermato in una precedente audizione presso la Camera dei Lords, nel 2005, precisando che i possibili effetti collaterali dei vaccini medesimi si producono nell'arco di 24-48 ore dal momento della somministrazione, non nei tempi successivi.
Fatte queste considerazioni di carattere generale sul sistema di profilassi, con riferimento ai casi di malattia e di decesso richiamati dall'interrogante, è evidente come essi non possano attribuirsi tout court alla somministrazione di vaccini: ipotesi che appare scarsissimamente fondata.
Riguardo, invece, alle «vaccinazioni a cui è stato sottoposto il personale militare precettato per la missione di soccorso», vorrei premettere che sull'isola di Haiti il rischio epidemiologico - già segnalato come «alto» nel periodo precedente il sisma - si era aggravato per i danni subiti dalle principali strutture igienico-sanitarie, comportando, ciò, una maggiore attenzione per le malattie trasmissibili per via aerea e oro-fecale, in relazione alle condizioni di vita dei sopravvissuti, esasperate dalle condizioni microclimatiche.
L'immissione di personale militare in zona di operazioni giustifica l'esigenza di una adeguata copertura vaccinale: nel caso specifico, sono stati somministrati 5 vaccini (epatite A+B, tifo, colera, meningite e poliomelite) con le modalità e le tempistiche di esecuzione delle vaccinazioni previste dalla citata direttiva, appositamente studiata per garantire una rapida immunizzazione del personale, riducendo al minimo, nel contempo, i rischi di interferenza tra le varie tipologie di vaccini inoculati; il personale vaccinato è stato informato sui rischi e sui benefici della copertura vaccinale.
Vorrei sottolineare, ancora, che buona parte del personale impiegato nell'operazione White Crane possedeva, già alla partenza, una copertura vaccinale completa (acquisita in sede d'incorporamento o in occasione di precedenti missioni all'estero),

mentre gli altri militari inviati in missione sono stati sottoposti alla somministrazione delle sole dosi di vaccino necessarie all'aggiornamento della copertura immunitaria (ovvero al richiamo delle profilassi vaccinali scadute di validità, considerato il tempo trascorso dalla sua ultima effettuazione) e, comunque, la priorità di completamento dei protocolli vaccinali è stata indirizzata a favore del personale destinato ad operare a terra, in quanto maggiormente esposto ai rischi epidemiologici dovuti alle pessime condizioni ambientali sull'isola.
Sono state praticate 2.296 vaccinazioni a 545 militari della missione White Crane, senza che si siano registrati eventi indesiderati.
Negli ultimi 6 anni sono state segnalate nel personale militare 22 reazioni avverse ai vaccini, nella quasi totalità di entità lieve, a fronte di milioni di dosi vaccinali somministrate. Le sporadiche reazioni avverse sono oggetto di notifica e di follow-up da parte dell'Osservatorio epidemiologico della difesa che ha accesso alla rete nazionale di farmacovigilanza ed effettua le segnalazioni per via telematica direttamente all'Agenzia italiana del farmaco (Aifa).
Quanto al consenso dei militari alle vaccinazioni, la già citata direttiva prevede tra i compiti e le attribuzioni dell'ufficiale medico vaccinatore «lo svolgimento di attività informativa così come previsto dalla legge 210/92, illustrando sinteticamente a tutti i vaccinandi l'importanza della vaccinoprofilassi nel controllo delle malattie infettive, con specifico riferimento ai positivi risultati ottenuti in ambito militare nonché informando sulla possibile insorgenza di effetti indesiderati [.....]. La comunicazione dovrà risultare chiara ed effettuata avvalendosi di una terminologia semplice, in rapporto al luogo e alle persone da vaccinare, possibilmente supportata dal materiale informativa allegato alla presente direttiva».
Concludendo, la Difesa e le Forze armate sono le prime a considerare la salute dei propri militari come un bene prezioso da salvaguardare, per cui costituisce una priorità assoluta proseguire le indagini con totale apertura e trasparenza, affinché possano essere raggiunte definitive certezze su tale questione, nell'interesse del personale coinvolto, delle loro famiglie e dell'Istituzione.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.>

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano La Repubblica del 16 gennaio 2008 ha pubblicato un articolo a firma di Massimo Lugli dal titolo «La Forestale vince la guerra delle divise. La Guardia di finanza cambia uniforme: colori troppo simili. Il Consiglio di stato dà torto alle fiamme gialle»;
nell'articolo si legge che il comando generale della Guardia di finanza aveva chiesto un parere al Consiglio di Stato in quanto riteneva che le uniformi degli 8000 appartenenti al Corpo forestale dello Stato fossero troppo simili a quelle dei 64000 finanzieri e che, pertanto, le prime andavano cambiate; tuttavia l'organo giudiziario, disattendendo le richieste dei vertici delle Fiamme gialle, si sarebbe invece espresso in senso opposto, ossia che le divise che dovevano cambiare colore fossero quelle della Guardia di finanza poiché trattasi di Corpo dello Stato più giovane rispetto alla Guardia forestale; sempre nell'articolo si legge che la sostituzione sarebbe comunque avvenuta a costo zero in quanto alle due uniformi estiva e invernale, se ne sostituiva una sola, seppur al costo di 250 euro ciascuna;
da notizie di stampa del gennaio 2009 risulta che una nota impresa palermitana aveva vinto un appalto per la produzione in Bulgaria di uniformi da fornire a Carabinieri e Guardie forestali, ma che nell'aprile dello stesso anno la procura della Repubblica di Palermo aveva aperto un procedimento penale a carico dei responsabili

di tale impresa per «associazione a delinquere finalizzata alle frodi nelle pubbliche forniture», relativamente alla fornitura delle uniformi fabbricate in Cina -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
se corrisponda a realtà che il cambio delle divise a 64000 finanzieri, anziché a 8000 forestali, sia stato conseguente alla decisione del Consiglio di Stato e, in questo caso, quali siano state le motivazioni che hanno indotto i vertici della Guardia di finanza ad iniziare un contenzioso poi rivelatosi perdente;
quale sia il costo complessivo dell'operazione, oppure se corrisponda a realtà che la sostituzione sia avvenuta a costo zero e, comunque, se ritenga idoneo l'utilizzo quotidiano da parte del personale della Guardia di finanza di una sola uniforme per tutte le stagioni;
quali siano i motivi che hanno ritardato di quasi tre anni l'uso della nuova uniforme e se tali motivi siano eventualmente connessi alle indagini aperte dalla procura della Repubblica di Palermo;
se allo stato attuale la fornitura del nuovo abbigliamento agli agenti della Guardia di finanza sia da considerarsi perfezionata o se persistano ancora delle deficienze.
(4-11617)

Risposta. - In relazione a quanto rappresentato dall'interrogante con l'interrogazione di cui trattasi, si fa presente quanto segue.
Il comando generale della Guardia di finanza ha rappresentato che, a decorrere dal 28 febbraio 2011, è stata adottata, sull'intero territorio nazionale, la nuova uniforme nella tonalità «grigio scuro», in sostituzione del vestiario «grigio verde» non più approvvigionato da oltre un quinquennio.
Lo stesso, comando ha provveduto a chiedere al riguardo un parere al Consiglio di Stato, il quale ha individuato nel Corpo forestale dello Stato la prima amministrazione ad aver utilizzato le uniformi di colore «grigio verde». Di conseguenza la Guardia di finanza ha concepito il nuovo modello di colore e fattezza fortemente caratterizzanti, impiegando materie prime all'avanguardia, così da rendere la GdF chiaramente distinguibile rispetto alle altre forze di polizia.
Continua il comando generale affermando che l'operazione di sostituzione delle vecchie uniformi è avvenuto a costo zero, poiché non ha comportato oneri aggiuntivi rispetto a quelli ordinariamente previsti per il normale approvvigionamento del materiale vestiario, variando solamente la tipologia di manufatti acquistati.
Inizialmente, il comando ipotizzò un'unica uniforme adatta per tutte le stagioni (confezionata con tessuto di lana di peso intermedio), successivamente, al momento della definitiva introduzione nel febbraio 2011, ritenne opportuna l'adozione di due uniformi, una invernale e una estiva, con ciò nulla differendo rispetto a quanto previsto per la vecchia uniforme «grigio verde».
Per quanto concerne i tempi di realizzazione connessi all'introduzione della nuova uniforme, il Comando Generale fa presente che le fasi di acquisizione del vestiario «grigio scuro», iniziate nel 2005, sono state sviluppate gradualmente, nel corso del periodo successivo, in modo da contemperare l'approvvigionamento annuale di quota-parte del totale necessario con le risorse disponibili in via ordinaria sui capitoli di pertinenza. Non si è quindi verificato nessun ritardo rispetto alla normale tempistica del relativo ciclo logistico, nel corso del quale, comunque, al fine di valutare, in concreto, la bontà delle scelte effettuate, sia sotto il profilo della composizione e dell'aspetto dei manufatti, sia sotto quello dell'impatto sul contesto esterno, la nuova uniforme è stata oggetto di una accurata sperimentazione e, a partire dal 2007, utilizzata nell'ambito di importanti cerimonie pubbliche, con ottimi ritorni in termini di immagine.

Da ultimo, rappresenta il comando che, alla data del 28 febbraio 2011, ogni appartenente al Corpo, sull'intero territorio nazionale, possedeva la prevista dotazione individuale di vestiario. Nel corso del prossimo biennio, saranno approvvigionati ulteriori quantitativi di vestiario, nei limiti dei fondi disponibili, atti ad implementare le attuali scorte funzionali e a garantire la vestizione del personale in formazione, di nuovo incorporamento.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Bruno Cesario.

VACCARO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in data 24 novembre 2010, è stato interdetto il traffico sul tratto della strada statale n. 18 che collega la Campania alla Basilicata e alla Calabria, nel territorio del comune di Sapri, tra il predetto comune e quello di Maratea (Potenza), per effetto del distacco di un masso dal costone roccioso sovrastante la citata strada statale 18;
gravi sono stati i pregiudizi derivati dalla drastica interruzione del trasporto su gomma, che purtroppo assorbe la gran parte delle relazioni e delle comunicazioni dell'area;
il disagio è stato mitigato dalla possibilità di fruire del collegamento ferroviario; tuttavia, il numero dei treni interregionali e gli orari di partenza ed arrivo sono del tutto incongrui per far fronte alle esigenze delle scuole e degli uffici e a quelle relative all'approvvigionamento dei beni primari;
notevoli ripercussioni, sotto il profilo economico-finanziario e turistico-ricettivo, si sono già registrate nel decorso periodo natalizio, posto che l'area interessata dal blocco stradale vive in massima parte dei proventi dell'attività alberghiera delle strutture ricettive presenti nel golfo di Policastro;
nonostante tale grave emergenza, non risulta che le amministrazioni direttamente interessate (comune di Sapri e regione Campania) si siano sin qui adoperate - né autonomamente né nel necessario concerto di istruttoria e di deliberazione - ai fini della messa in sicurezza del costone da cui il masso si è distaccato, al fine di assicurare le condizioni per la riapertura della strada al traffico;
l'associazione «Non staremo più a guardare», unitamente alle associazioni dei commercianti, dei consumatori e Utenti del golfo di Policastro, dei sindacati dei lavoratori e degli studenti delle scuole secondarie superiori, ha indetto per sabato 19 febbraio 2011 una mobilitazione generale in Sapri dalle ore 10:00 alle ore 13:00, con astensione dal lavoro e dalle occupazioni -:
quali urgenti iniziative intenda adottare il Governo per propiziare la bonifica del sito e la messa in sicurezza di tutto il costone roccioso che sovrasta la strada statale 18, nel tratto tra Sapri e Maratea, ed evitare che si ripetano distacchi di massi pregiudizievoli per l'incolumità degli utenti e la sicurezza del traffico veicolare.
(4-10979)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2 marzo 2011, si comunica che la strada statale 18 «Tirrena inferiore» nel tratto compreso tra i chilometri 218,300 e 219,000 tra i comuni di Sapri e Maratea è stata riaperta al traffico in data 8 aprile 2011. Il Genio civile della regione Campania ha provveduto all'esecuzione dei lavori di messa in sicurezza dell'area colpita dal fenomeno franoso e all'esecuzione dei lavori accessori, mentre l'Anas ha collaborato

nella gestione della viabilità alternativa e nelle verifiche del piano viabile in fase di riapertura. Tutte le attività sono state coordinate dalla prefettura di Salerno.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.

VESSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
ogni anno si svolgono le finali nazionali dei giochi sportivi studenteschi di I e II grado della disciplina corsa campestre che quest'anno si sono svolte lo scorso 20 marzo 2011 presso la località Nove (Vicenza);
alla manifestazione partecipano tutte le rappresentative scolastiche che ne hanno acquisito titolo, previa certificazione da parte delle C.O.R. dell'avvenuto svolgimento delle fasi regionali o dalle stesse individuate attraverso criteri autonomamente applicati;
per la prima volta, da quando tale iniziativa è in essere, le studentesse e gli studenti diversamente abili sono stati esclusi dalla manifestazione sportiva, sembrerebbe per l'assenza tra gli allegati dei moduli (modello COR e modello iscrizione) abitualmente previsti per gli studenti disabili, mentre quelli per i normodotati erano presenti;
tale decisione è in netto contrasto con le norme di legge sull'integrazione scolastica degli alunni con disabilità, che da sempre costituisce un punto di forza del sistema educativo italiano;
questa decisione lede la crescita individuale e sociale di questi ragazzi e deprime lo stesso valore dei giochi sportivi studenteschi, che sono un importante evento educativo in quanto non solo momento agonistico bensì veicolo di valori e di crescita della persona -:
quali siano le motivazioni che hanno portato, per la prima volta, all'esclusione dai giochi sportivi studenteschi, nella disciplina «corsa campestre», degli studenti e delle studentesse diversamente abili.
(4-11399)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nell'interrogazione in esame, si premette che questo Ministero persegue fini diretti all'educazione dei giovani in vista della crescita della persona.
Le attività motorie, fisiche e sportive correlate a tale attività sono quelle che perseguono l'obiettivo di estendere la cultura della pratica sportiva, quale mezzo idoneo a veicolare irrinunciabili valori etici, ad una platea di studenti quanto più possibile vasta. In particolare, gli studenti disabili, attraverso attività motorie condotte «insieme» e non «accanto» ai normodotati, trovano momenti di inclusione estremamente efficaci suscettibili di favorire una crescita umana ed educativa anche agli stessi normodotati.
L'attenzione della scuola è quindi rivolta alla generalità degli studenti nell'intento di perseguire quell'educazione alla cittadinanza ed alla convivenza civile che si compone dell'apporto di tutti sulla base dei talenti di ciascuno.
Non vi è dubbio, infatti, che il successo formativo di ogni alunno, considerato come persona in formazione secondo potenzialità ed attitudini proprie, costituisca la finalità ultima dell'educazione che si realizza attraverso l'istruzione.
Nei momenti in cui, attraverso fasi selettive, la pratica sportiva, di carattere prevalentemente educativo, assume connotazioni di carattere più decisamente agonistico, si entra in uno spazio certamente più prossimo e congeniale alle finalità dei partners istituzionali del Ministero nel settore sportivo, quali il Comitato olimpico nazionale italiano (C.O.N.I.) e il Comitato italiano paralimpico (C.I.P.), il cui obiettivo è quello di individuare e coltivare eccellenze che possano dare lustro al Paese con il loro inserimento nelle rappresentative che partecipano a manifestazioni sportive nazionali ed internazionali.
Così, pur coltivando tutti i soggetti coinvolti i profili preminenti delle proprie finalità istituzionali, non possono essere

estranee agli organismi sportivi finalità educative, così come non può essere estraneo a questo Ministero, accanto alla possibilità di partecipazione aperta a tutti ed al sostegno agli studenti più deboli, la valorizzazione delle eccellenze.
Va precisato che la vicenda specifica deve essere collocata nel più ampio contesto della disciplina di raccordo tra il settore delle attività sportive nella scuole e quello dello sport agonistico a cui sono istituzionalmente preposti il Comitato olimpico nazionale italiano e, relativamente all'attività sportiva per i disabili, il Comitato italiano paralimpico.
I giochi sportivi studenteschi sono promossi ed organizzati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in collaborazione con il C.O.N.I. ed il C.I.P., sulla base di appositi protocolli d'intesa a cui le federazioni sportive nazionali e le discipline associate riconosciute dal CONI fanno riferimento.
Intento comune di tutti i soggetti istituzionali coinvolti è la cooperazione, ispirata alle linee guida emanate da questo Ministero in data 4 agosto 2009, nella promozione per la generalità degli studenti dell'educazione motoria e sportiva, intesa quale espressione di un corretto stile di vita che consente di prevenire il disagio scolastico e favorire lo sviluppo dell'educazione alla legalità e solidarietà, nelle loro accezioni più ampie.
Per gli alunni portatori di handicap il processo di integrazione scolastica intende prevenire e superare la dispersione scolastica e la marginalità sociale valorizzando lo sviluppo della pratica motoria e sportiva come mezzo di apprendimento e di coesione sociale e quale contributo nella costruzione di una positiva personalità ed autostima.
I sopra menzionati accordi rinviano la loro precisa attuazione a specifici allegati tecnici predisposti congiuntamente dalle istituzioni interessate ed elaborati all'inizio dell'anno scolastico.
Il progetto tecnico relativo all'anno scolastico 2010/2011 prevedeva che le finali nazionali venissero organizzate dalle federazioni sportive che avevano manifestato il loro interesse e che avevano partecipato alle fasi precedenti dei giochi sportivi studenteschi, in collaborazione con gli uffici preposti di questo Ministero, del CONI e del CIP.
Lo stesso progetto tecnico riservava l'affidamento dell'organizzazione delle finali nazionali alle Federazioni sportive interessate in quanto, trattandosi di manifestazioni rivolte alle eccellenze emerse nelle scuole dalle attività di avviamento alla pratica sportiva e, quindi, alla loro contiguità con pratiche agonistiche di rilevante interesse per le Federazioni medesime, rispondevano alla loro intrinseca natura.
Invece, nelle loro fasi iniziali i giochi sportivi studenteschi rappresentano un percorso di avviamento alla pratica sportiva in diverse discipline e, seppur realizzati in ambito extracurriculare, si pongono in una logica di prosecuzione e sviluppo del lavoro che i docenti di educazione fisica svolgono nell'insegnamento curricolare.
A questo Ministero ed ai suoi uffici territoriali compete la gestione dell'attività sportiva degli studenti nelle fasi di istituto, comunale, provinciale e regionale e, relativamente alla corsa campestre, la selezione è stata effettuata in tutte le regioni per ogni categoria di studenti.
Per quanto riguarda la fase nazionale, si è avuto, a partire dall'anno scolastico 2009/2010, un notevole incremento delle discipline sportive presenti nelle finali nazionali dei giochi sportivi studenteschi, arrivando a coinvolgere circa venti discipline rispetto alle tradizionali quattro/cinque con le quali si esauriva lo specifico panorama di attività.
È, peraltro, vero che sin dalla diramazione della circolare all'inizio dell'anno scolastico l'allegato tecnico puntualizzava che, per l'atletica leggera campestre, la compartecipazione del Comitato italiano paralimpico con la federazione sportiva competente era eventuale, pur rimanendo ferma la possibilità per gli alunni con disabilità di partecipare alle attività di qualsiasi altra disciplina sportiva.
In proposito il Comitato italiano paralimpico, che, giova ricordarlo, è il massimo organismo pubblico preposto istituzionalmente

alla cura dello sport per i disabili, nell'ambito delle proprie scelte di politica sportiva non ha ritenuto di dover organizzare le finali nazionali di corsa campestre, orientandosi su altre discipline sportive altrettanto rilevanti sul piano dell'educazione e dell'inclusività, quali le fasi finali di atletica leggera svoltesi a Roma dal 23 al 27 maggio 2011.
Si è in tal modo, evidentemente, reputato opportuno aderire in via prioritaria alle finali nazionali in quel momento decise dalla competente federazione sportiva, cogliendo così l'occasione di offrire un momento di attenzione e di gratificazione a quei disabili che praticano la disciplina da ultimo menzionata le cui aspettative erano state in passato disattese.
Tutto ciò premesso, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è prodigato per la realizzazione di formule organizzative che valorizzano la più ampia partecipazione sul piano qualitativo e quantitativo e nessuna disattenzione, tanto meno la volontà di escludere i disabili dalla pratica sportiva, può essergli rivolta.
Si dovrebbe, infatti, parlare di discriminazione anche per quelle discipline per le quali le Federazioni sportive non hanno ritenuto opportuno effettuare lo svolgimento delle fasi nazionali, senza con ciò contravvenire allo spirito e agli scopi dei giochi studenteschi.
Si fa presente che, sulla materia oggetto della presente interrogazione, è stata presentata la risoluzione in Commissione cultura della Camera dei deputati n. 7-00525. Nella seduta del 6 aprile 2011 la stessa commissione, dopo ampio e approfondito dibattito, ha approvato la citata risoluzione con il n. 8-00116, che impegna il Governo «a intervenire sugli accordi con i partner istituzionali per ovviare ad una situazione discriminatoria che contrasta con la piena inclusione di questi alunni prevista dagli obiettivi prioritari della scuola dell'autonomia, anche attraverso progetti di diversità motoria e sportiva».
Inoltre, la Commissione bilancio della Camera dei deputati ha approvato in data 7 aprile 2011 la risoluzione n. 8-00117, che impegna il Governo «a destinare, con apposito decreto, una quota delle risorse di cui all'articolo 1, comma 40, quarto periodo, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, pari a sei milioni di euro, ad un contributo all'attività istituzionale del Comitato italiano paralimpico (C.I.P.)».
Il Ministero ha intrapreso alcune iniziative nella direzione indicata dal Parlamento, instaurando al riguardo interlocuzioni specifiche con i partner istituzionali, al fine di incrementare la partecipazione dei disabili, nei limiti connessi alle compatibilità finanziarie.
Infatti, il rapporto sinergico instaurato con il CONI ed il CIP ha consentito, mediante la compartecipazione delle Federazioni sportive all'organizzazione delle finali interessate al loro svolgimento, di ampliare il numero delle discipline presenti agli eventi citati. Tali nuove modalità hanno determinato una più ampia presenza di studenti con disabilità rispetto agli anni precedenti.
Pertanto, non ci si può riferire alla sola corsa campestre, per la quale il CIP ha ritenuto di non organizzare le finali nazionali. Questa disciplina rientra tra le molteplici attività che fanno capo alla Federazione italiana dell'atletica leggera, nell'ambito della quale, peraltro, si è verificata un'accresciuta partecipazione degli studenti con disabilità per quelle specialità che hanno visto lo svolgimento della rispettiva finale nazionale.
L'attenzione di questo Ministero alla pratica sportiva degli alunni disabili ha trovato un ulteriore momento di conferma nelle recenti finali nazionali di vela svoltesi a Policoro (Matera). In tale circostanza, infatti, la federazione interessata, di intesa con il Ministero, ha organizzato, al di fuori delle competizioni connesse alle finali, una manifestazione collaterale con imbarcazioni appositamente predisposte per i disabili. Ciò quale segnale di ulteriore doverosa attenzione nei riguardi di tali allievi.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

ZACCHERA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in ogni parte d'Italia si stanno programmando celebrazioni per il 150o anniversario dell'unità d'Italia;
molti monumenti, cippi, ricordi o testimonianze sono legati ad eventi bellici e molti di essi si trovano all'interno di strutture militari - operative o dismesse - dove hanno avuto sede (o l'hanno tuttora) reparti delle nostre Forze Armate -:
se siano state promosse iniziative tese al restauro di elementi legati al nostro Risorgimento conservati all'interno di caserme o altre strutture militari e se siano state organizzate manifestazioni per la loro massima visibilità al pubblico, soprattutto ai cittadini più giovani e quindi più storicamente lontani a fatti d'armi legati alla nostra storia militare, dalle guerre risorgimentali all'ultimo conflitto mondiale.
(4-10729)

ZACCHERA. - Al Ministro della difesa, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
in ogni parte d'Italia si stanno programmando celebrazioni per il 150° anniversario dell'unità d'Italia;
molti monumenti, cippi, ricordi o testimonianze sono legati ad eventi bellici e molti di essi si trovano all'interno di strutture militari dismesse - dove hanno avuto sede reparti delle Forze armate -:
se siano state promosse iniziative tese al restauro di elementi legati al nostro Risorgimento conservati all'interno di caserme o altre strutture militari dismesse e, in questo caso, se siano stati intrattenuti rapporti con gli enti locali interessati al fine di recuperare queste testimonianze legate a fatti d'armi legati alla storia militare italiana dalle guerre risorgimentali all'ultimo conflitto mondiale.
(4-10895)

Risposta. - Si risponde congiuntamente ad entrambe le interrogazioni in esame, in quanto attinenti alla medesima tematica.
In considerazione dell'importanza e del valore storico-culturale di monumenti, cippi, ricordi o testimonianze storiche del nostro Risorgimento - quali patrimonio inalienabile delle Forze armate - le vigenti disposizioni regolamentari dell'Esercito, le cui caserme hanno custodito o custodiscono tali cimeli, prevedono per le strutture militari dismesse che ne abbiano al loro interno, la rimozione e lo spostamento degli stessi ad altro ente o museo militare, così da mantenere viva la memoria di eventi legati alla storia del nostro Paese.
Inoltre, allo scopo di consentire il censimento dei cimeli in parola, presenti nelle caserme attive dell'Esercito, è stata di recente aggiornata la normativa sulla compilazione delle memorie storiche, prevedendo l'elencazione dei materiali di interesse storico-culturale, incluse lapidi, iscrizioni e statue.
Peraltro, proprio nella considerazione di quanto affermato dall'interrogante circa la presenza all'interno di strutture militari dismesse di «molti monumenti, cippi, ricordi o testimonianze», l'Esercito, nonostante le richiamate disposizioni interne, ha provveduto ad avviare una ulteriore verifica al riguardo.
In merito allo specifico quesito posto dall'interrogante, posso assicurare che da sempre la Difesa intrattiene rapporti con gli enti locali per recuperare le testimonianze del nostro passato.
A titolo di esempio, cito i recenti lavori di restauro e di recupero funzionale, del «Mastio della Cittadella», già sede del Museo d'artiglieria, restituito alla municipalità di Torino proprio in occasione del 150o anniversario dell'unità d'Italia.
Con riferimento, infine, ad altre attività manutentive e di restauro del patrimonio storico-culturale della Difesa, evidenzio che di recente:

sono stati promossi mirati interventi di rifunzionalizzazione del museo storico dell'Arma dei carabinieri, presso la caserma «Carabiniere Medaglia d'Oro al Valor Militare G.B. Scapaccino» di Roma, dove sono

custodite le principali testimonianze legate ad avvenimenti che hanno visto protagonisti reparti e militari dell'Arma nella storia d'Italia, dalla fondazione dell'istituzione ad oggi;
è stata stipulata una convenzione con il Ministero per i beni e le attività culturali per la manutenzione straordinaria e il restauro conservativa del complesso monumentale del Vittoriano.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
le associazioni italiane di Istanbul hanno sottoscritto un documento - inviato anche al Ministero degli affari esteri - in cui richiedono la continuità didattica per la scuola materna ed elementare statale italiana, operante ad Istanbul dal 1989;
la scuola ha svolto un ruolo molto utile per la comunità ma anche una funzione importante e prestigiosa per la promozione del nostro Paese in questa città, vera porta europea nel vicino oriente;
nella regione di Istanbul sono presenti oltre 800 imprese italiane e molte vedono la presenza di dirigenti ed operatori italiani con le loro famiglie che si trovano senza più alcuna struttura ove far apprendere la lingua italiana ai propri figli -:
quali siano le motivazioni che hanno portato alla chiusura della scuola;
se si ritenga possibile un riavvio della continuità scolastica;
quale sia in merito a questa chiusura il parere della rappresentanza diplomatica italiana in Turchia.
(4-12541)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nella interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Non risulta agli atti di questo Ministero l'esistenza ad Istanbul, almeno in tempi recenti, di una scuola statale materna ed elementare.
Ad Istanbul opera invece una scuola materna e elementare privata, che garantisce ai bambini italiani il diritto alla conoscenza e allo studio della lingua materna.
Fino all'anno scolastico 2008/2009 la scuola materna ed elementare è stata gestita dalle suore d'Ivrea. Dall'anno scolastico successivo la scuola è passata ad altro ente gestore, che, come prescrive la legge, ha dovuto riavviare le pratiche per l'ottenimento della parità scolastica, la quale potrà essere rilasciata già dal prossimo anno scolastico. Attualmente è ubicata in locali idonei ed attrezzati, messi a disposizione del consolato generale d'Italia.
Il numero esiguo degli alunni, che pur contribuisce a creare una clima favorevole all'apprendimento e alla socializzazione dei bambini, non consente tuttavia che l'istituzione acquisisca lo status di scuola statale, che richiederebbe l'adesione a parametri e criteri non rilevabili nella situazione attuale.
Non sussiste alcun timore che la scuola materna ed elementare possa essere chiusa, considerate le sue apprezzate funzioni nella comunità italiana e gli ottimi risultati conseguiti dagli alunni che potranno completare il ciclo degli studi, continuando a frequentare la scuola media statale italiana, ubicata nei locali del consolato generale e il liceo scientifico «IMI» anch'esso statale.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta una video-denuncia di mercoledì 17 giugno 2010, realizzata dal giornalista Gennaro Savio, direttore di PCIML-TV e pubblicato sul sito web youreporter.it, a partire dalla

mattina di mercoledì 16 giugno 2010, medici e infermieri precari stanno occupando la direzione sanitaria dell'ospedale Anna Rizzoli di Lacco Ameno - isola d'Ischia - e il dottor Domenico Loffredo, chirurgo, ha iniziato lo sciopero della fame;
l'iniziativa è motivata dal mancato rinnovo del contratto in scadenza il 30 giugno 2010; si tratta di quattordici medici tra cui quattro chirurghi, tre ginecologi, due ortopedici, tre pediatri e un cardiologo, cui bisogna aggiungere due radiologi e ben quaranta tra infermieri e operatori sanitari vari che operano presso l'unico ospedale pubblico dell'isola d'Ischia, che serve una popolazione residente di oltre sessantamila abitanti e milioni di turisti che ogni anno scelgono l'isola per trascorrervi le vacanze;
il nosocomio lacchese, rischia la paralisi totale poiché, circa il 50 per cento degli operatori sanitari tra poco più di quindici giorni potrebbe lasciare il posto di lavoro e la struttura sarà in grado di assicurare solo l'emergenza, mentre, a causa della carenza di organico, il reparto di nefrologia ubicato nel comune di Ischia, in via Alfredo De Luca, già da tempo non riesce più a soddisfare la richiesta dell'utenza e alcuni malati sono costretti a raggiungere la città di Napoli per potersi sottoporre alla dialisi con tutti i disagi e i pericoli per la loro incolumità che i continui e intollerabili spostamenti in terraferma comportano -:
se il Governo sia a conoscenza della condizione precaria dei medici ed infermieri dell'ospedale di Ischia, se tale situazione sia determinata dalle misure di contenimento della spesa connesse all'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali e se le criticità di cui in premessa non determinino una lesione dei livelli essenziali di assistenza considerato che l'ospedale di Lacco Ameno è l'unico dell'isola di Ischia;
per quali ragioni, poco dopo l'inizio dello stato di agitazione, siano intervenute le forze dell'ordine che hanno provveduto ad identificare alcuni operatori sanitari presenti, considerato lo scopo pacifico della manifestazione.
(4-07698)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
In merito ai quesiti, posti nell'atto ispettivo, si ricorda che l'articolo 1, comma 76, della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010) ha stabilito che, per le regioni che risultano essere in una situazione di mancato equilibrio economico, con riferimento agli anni di imposta 2006 e successivi, si applica il «blocco automatico del turn over del personale del servizio sanitario regionale fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in corso, il divieto di effettuare spese non obbligatorie per il medesimo periodo (...)».
Pertanto, nella regione Campania vige ex lege il blocco del turn over.
Tuttavia, la legge 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011) all'articolo 1, comma 52, ha previsto la possibilità di deroga a tale blocco, modificando l'articolo 2, comma 2 bis del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125 convertito con modificazioni dalla legge 1o ottobre 2010, n. 163.
Nella formulazione originaria, infatti, la norma in questione disponeva che: «Nelle regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nelle quali siano scattati, nell'anno 2010, gli incrementi automatici nella misura fissa di 0,15 e di 0,30 punti percentuali rispettivamente per l'aliquota dell'imposta regionale sulle attività produttive e per l'addizionale regionale all'IRPEF ai sensi dell'articolo 2, comma 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, il blocco automatico del turn over e il divieto di effettuare spese non obbligatorie, ai sensi dell'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nel caso in cui i competenti tavoli tecnici di verifica dell'attuazione dei piani accertino, entro il 31 ottobre 2010, il venir meno delle condizioni che hanno determinato l'applicazione delle citate misure, le predette misure non operano. La disapplicazione delle stesse è disposta con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze,

di concerto con il Ministro della salute e il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale».
Il citato articolo 1, comma 52, della legge n. 220 del 2010 ha inserito in aggiunta al testo ora riportato il seguente periodo: «Qualora i citati tavoli tecnici di verifica dell'attuazione dei piani accertino l'attuazione degli stessi in misura parziale, entro il predetto termine del 31 ottobre 2010, non operano le citate misure di blocco automatico del turn-over, nel limite del 10 per cento e in correlazione alla necessità di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza».
Pertanto, le amministrazioni competenti, su richiesta della regione interessata, vaglieranno la sussistenza dei presupposti della fattispecie prevista dalla norma.
In ogni caso, si fa presente che l'ospedale Rizzoli di Ischia (Napoli), salvo che per alcune modifiche alla sua attuale dotazione di posti letto, è confermato nella sua impostazione, quale presidio ospedaliero allocato sull'isola (HI), nella nuova organizzazione del piano ospedaliero della regione, approvato con il decreto commissariale n. 49 del 28 settembre 2010.
Tale decreto ha ricevuto formalmente il parere favorevole dei ministeri affiancanti il 9 dicembre 2010, dopo essere stato positivamente valutato nella riunione congiunta del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza (LEA) del 13 e 26 ottobre 2010.
Si fa presente, altresì, che nell'effettuare l'attività di affiancamento e verifica, i ministeri coinvolti, il tavolo e il comitato terranno in debito conto la vicenda riportata nell'interrogazione in esame, evidenziando alla regione la necessità di garantire sempre e prioritariamente l'erogazione dei LEA ai propri cittadini, in particolare nei territori meno collegati e nelle isole.
Per quanto riguarda l'intervento del personale del commissariato di pubblica sicurezza di Ischia, il Ministero dell'interno ha comunicato che esso è stato effettuato a seguito di richiesta telefonica del dirigente amministrativo della struttura, il quale ha segnalato l'occupazione del suo ufficio da parte di personale sanitario.
In tale circostanza, allo scopo di accertare se gli occupanti fossero effettivamente dei dipendenti dell'asl NA 2 nord, il personale del commissariato ha proceduto alla loro identificazione.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
un articolo pubblicato su Liberazione del 4 gennaio 2011 a firma Ercole Olmi riferisce che nel poligono di Quirra in Sardegna, i medici veterinari delle Asl sarde di Cagliari e Lanusei, a seguito di un'indagine svolta la primavera scorsa sugli allevamenti di ovini nella base militare, hanno ufficializzato uno scenario di grave criticità;
l'analisi, che è parte del «Monitoraggio ambientale al Poligono interforze Salto di Quirra» ha infatti messo in evidenza l'insorgere contemporaneo di problematiche genetiche (malformazioni) negli animali e gravi malattie tumorali nelle persone che si occupano della conduzione degli allevamenti intorno alla zona perimetrale della base militare di Capo San Lorenzo;
il 65 per cento del personale impegnato con la conduzione degli animali negli allevamenti ubicati entro il raggio di 2,7 chilometri dalla base militare di Capo San Lorenzo a Quirra, risulta colpito da gravi malattie tumorali;
in sette aziende su dodici sono stati riscontrati casi di tumore. Dal 2000 al 2010 le persone che risultano colpite da neoplasie sono dieci su diciotto e si evidenzia una tendenza all'incremento, tanto che «negli ultimi due anni sono quattro i nuovi casi di neoplasie che hanno colpito

altrettanti allevatori della zona». Per i veterinari si tratta di un «grave fenomeno sanitario», paragonabile solo ad una «antropo-zoonosi», cioè a una malattia infettiva umana trasmessa dagli animali, «che colpisce indistintamente giovani, meno giovani, anziani, decimando le persone occupate nell'allevamento degli animali nei territori di Quirra»;
anche sullo stato sanitario degli animali le considerazioni finali non sono incoraggianti. L'area più colpita è sempre quella più vicina alla base di Capo San Lorenzo. I periodi dal 1985 al 1988 e dal 2003 al 2005 sono quelli interessati dal maggior numero di malformazioni genetiche: nascita di capretti ciechi e con lesioni cerebrali, ipofertilità e altre gravi patologie. La ricerca sottolinea un caso emblematico. Tre di quattro fratelli impegnati nell'allevamento in due aziende vicine si sono ammalati di tumore nell'arco di pochi anni e «contemporaneamente anche gli animali che pascolano in quei terreni sono stati interessati da problemi sanitari e genetici. E di recente è stata registrata la nascita di un agnello con una gravissima deformità». L'insorgenza di tre casi di malattie neoplastiche in un breve arco cronologico e la contemporanea osservazione di malformazioni negli animali che pascolano nello stesso territorio «è indubbiamente indice di una elevatissima criticità dell'ambiente», ribadiscono gli scienziati;
le conclusioni della ricerca veterinaria fanno il paio con un altro dato significativo. In seguito al decreto del Presidente della Repubblica n. 37 del 2009 che disciplina le cause di servizio per militari e civili esposti a polveri di metalli pesanti, in guerra o nelle basi, sessanta sardi residenti attorno ai poligoni hanno presentato la richiesta di risarcimento. Un record se si pensa che al 7 novembre 2009 erano in tutto 329 le istanze pervenute al Ministero della difesa;
l'analisi veterinaria è una porzione del più ampio piano di monitoraggio avviato a febbraio del 2008 dal Ministero per far luce sulla cosiddetta «Sindrome di Quirra» che, come denuncia da tempo il comitato che storicamente ha guidato la lotta contro la presenza militare nell'isola, «Gettiamo le basi», vede forze armate, Ministero della difesa e Nato mantenere il doppio ruolo di controllori e controllati -:
di quali ulteriori informazioni disponga il Governo in merito al problema segnalato in premessa;
quali misure si intendano promuovere a tutela della salute dei soggetti residenti nell'area e dell'ambiente;
se e come si intenda garantire un imparziale monitoraggio della situazione nell'area di Quirra.
(4-10273)

Risposta. - L'allarme sociale suscitato da quella che la stampa definisce «sindrome di Quirra», non ha lasciato e non lascia certamente indifferente la Difesa che continua a prodigarsi concretamente e con tempestività per fare chiarezza sulle attività svolte nel Poligono interforze del salto di Quirra (PISQ) e per accertare l'eventuale impatto delle stesse sull'ambiente e sulla popolazione circostante.
Al riguardo desidero ribadire, in primis, quanto più volte affermato dalla Difesa:
le attività operative e addestrative delle varie componenti della Difesa sono effettuate nel pieno rispetto dell'ambiente circostante, sia esso fuori dai confini nazionali sia presso aree, sul territorio, interessate da poligoni;
i vari livelli di comando, e più in generale la catena gerarchica nella sua completezza, sono costantemente informati e sensibilizzati sulla tematica e sono parte attiva nell'applicazione delle misure di prevenzione a tutela del personale;
l'Italia non ha mai impiegato armamento all'uranio depleto e non risulta essere dimostrato da alcuna ricerca, anche in ambito internazionale, che esiste un nesso di causalità tra le patologie contratte dai militari impegnati nei teatri operativi, o in servizio presso i poligoni, e l'esposizione all'uranio impoverito.

La Difesa, in generale, e le Forze armate, in particolare, sono da tempo impegnate in un'attività a tutto campo finalizzata alla tutela del personale impiegato in missioni operative e in servizio presso i poligoni.
Ciò, anche attraverso ricerche e analisi prodotte da strutture proprie della Difesa o inserite nell'ambito di specifici organismi espressamente costituiti, quali il Comitato per la prevenzione e il controllo delle malattie (studi e progetti sulle vaccinazioni, esposizioni ambientali, agenti genotossici, esposizione al radon, nano particelle ambientali).
In tale quadro, il dicastero ha avviato, già da tempo, una serie d'iniziative per controllare e censire con precisione tutto il materiale utilizzato presso i poligoni: tra le principali cito l'istituzione di «Comitati per la tutela ambientale» e l'elaborazione di un «disciplinare ambientale» - adottata nel 2004 in via sperimentale e dal 2008 in maniera definitiva - che regolamenta le procedure per autorizzare le attività all'interno del poligono.
Nello specifico, l'ipotesi di una maggiore incidenza di casi di neoplasie nell'area adiacente al poligono (frazione di Quirra del comune di Villaputzu) non è stata confermata, a suo tempo, dall'apposita commissione istituita dall'Asl 8 di Cagliari, il cui direttore generale aveva indicato che le possibili cause avrebbero potuto essere, invece, ricercate proprio nel passato minerario dell'area.
Da tempi molto remoti, infatti, l'intera area è stata d'interesse minerario e, al di fuori dei perimetro del poligono (località Baccu Locci, a circa 700 metri a sud-est), è presente un'ex miniera, gestita dalla società Rumianca dal 1938 al 1965, anno della sua dismissione.
Alle medesime risultanze è pervenuta l'università degli studi di Siena, al termine dell'indagine sistematica sullo stato ambientale del PISQ e delle aree limitrofe - commissionata a tale ente, nel 2002, dalla Difesa - per accertare l'eventuale presenza di elementi tossici pesanti.
Successivamente, per fugare ogni ulteriore dubbio e dare una maggiore tranquillità alla popolazione, la Difesa ha avviato, nel 2008, una campagna di monitoraggio ambientale con lo scopo di verificare, oltre la presenza di materiale radioattivo, anche la presenza di altre sostanze inquinanti.
Allo scopo di rendere trasparente, fin dal suo nascere, l'indagine e recepire le istanze del territorio, il dicastero ha costituito, con decreto 28 aprile 2008, il «Comitato misto territoriale per l'indirizzo, l'organizzazione, il coordinamento, la verifica e il confronto delle attività e dei risultati del monitoraggio ambientale condotto nelle aree adiacenti del Poligono interforze di Salto di Quirra», costituito da rappresentanti della regione Sardegna e della provincia di Cagliari, dai sindaci dei paesi limitrofi, da responsabili delle asl di competenza, oltre che da autorità militari.
L'attività di monitoraggio, assegnata mediante procedura a evidenza pubblica, con il coinvolgimento delle autorità locali, degli enti territoriali sardi interessati alla gestione dell'ambiente e alla salute pubblica, oltre che del «Comitato Gettiamo Le Basi», è stata condotta da società indipendenti e qualificate, esterne alla Difesa.
Il Contratto, il cui capitolato tecnico definitivo è stato predisposto recependo le indicazioni delle autorità locali e regionali della Sardegna, prevede l'esecuzione di cinque lotti:
lotto 1 - controllo e monitoraggio continuo della radioattività-aerodispersa: le analisi dei filtri sono state eseguite presso un laboratorio accreditato SINAL (Sistema nazionale per l'accreditamento dei laboratori di prova);
lotto 2 - controllo e monitoraggio continuo delle radiazioni non ionizzanti (onde elettromagnetiche) in onda continua ed impulsiva presso il PISQ: il personale del PISQ eventualmente n collaborazione con l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Sardegna (ARPAS) continuerà a monitorare le emissioni elettromagnetiche attraverso la strumentazione acquisita;
lotto 3 - determinazione di agenti chimici e radioattivi in matrici ambientali e biologiche (suolo, acqua, vegetali e animali):

le attività si sono concluse con il prelievo complessivo di 1060 campioni (negli animali pascolanti sono stai analizzati alcuni organi bersaglio degli elementi chimici) che sono stati oggetto di approfondito esame;
lotto 4 - formazione del personale del poligono di Salto di Quirra e delle amministrazioni ai fini di una successiva certificazione ambientale (ISO 14001) a cura di un ente accreditato presso un organismo di certificazione (SINCERT): si e conclusa la formazione di base e avanzata del personale;
lotto 5 - realizzazione di un sistema informativo ambientale: il sistema informativo ambientale ha lo scopo di raccogliere, immagazzinare e rendere disponibili i dati delle attività di monitoraggio che vengono, altresì, inviati a una «unità di raccolta dati replicata» da installare presso la sede dell'Asl competente per territorio, così da rendere tutta l'attività quanto più trasparente possibile.

La documentazione relativa ai risultati finali delle attività di monitoraggio è stata consegnata alla commissione tecnica di esperti per l'elaborazione dei commenti definitivi, data la complessità e la numerosità dei dati stessi, soprattutto alla luce delle rispettive interrelazioni.
Il 20 maggio 2011 presso l'assessorato regionale all'igiene e sanità della regione Sardegna, alla presenza del Sottosegretario di Stato Cossiga, si è tenuta la riunione del comitato d'indirizzo territoriale per il monitoraggio ambientale del PISQ.
L'assessore alla sanità della regione Sardegna, Liori, nel sottolineare che non vi è un dato areale definitivo sullo stato di salute delle popolazioni con riferimento alle neoplasie maligne - pur osservando che i dati conosciuti non evidenziano scostamenti statistici in eccesso rispetto alle medie epidemiologiche nazionali e regionali - e nell'ottica di avviare un percorso di ricerca che dalla eventuale malattia passi alla individuazione delle cause, ha annunciato che, tramite una delibera di giunta, è stato costituito un gruppo di lavoro con l'obiettivo di condurre uno studio epidemiologico, sia sulla salute umana che nell'ambito veterinario, su tutte le aree della Sardegna nelle quali hanno sede poligoni militari (quali Capo Teulada, Capo Frasca e La Maddalena), ivi compreso il territorio di Quirra.
Nel corso della riunione, la commissione di esperti ha presentato le proprie valutazioni sui risultati dei 5 lotti, suggerendo quali azioni opportune e indifferibili:
lo studio della biodisponibilità dei contaminanti rilevati;
l'analisi storica e il monitoraggio dello stato di salute degli allevamenti del territorio;
l'analisi degli impatti sulla catena alimentare;
la conduzione di una analisi epidemiologica ad hoc sullo stato di salute della popolazione.

La commissione di esperti, sebbene abbia svolto il proprio lavoro sulla base di un capitolato tecnico già definito, ha potuto, tuttavia, fornire indicazioni preziose per lo svolgimento delle attività di monitoraggio che, sulla base della disponibilità dei fondi, sono state recepite integrando il capitolato iniziale con ulteriori aspetti, tra cui l'acquisto di ulteriori deposimetri e campionatori ad alto volume per assicurare, nell'ambito del monitoraggio dell'aria, una più precisa caratterizzazione delle prove.
Per quanto riguarda, in particolare, l'ambito veterinario, mi preme fornire alcuni chiarimenti in merito allo studio veterinario commissionato dalle Asl di Cagliari e di Lanusei, relativo alla condizione degli allevamenti nell'area del poligono, i cui esiti - che sono stati oggetto di enfatizzazione da parte dei media - sono stati consegnati direttamente alla commissione di esperti e costituiscono elemento d'indagine da parte dell'autorità giudiziaria.
Trattandosi di un'attività a margine di quella specifica svolta dal «Comitato d'Indirizzo Territoriale» e riferita ad allevamenti e pastori che gravitano in un'area

ristretta del poligono (un raggio di 2,7 chilometri attorno al distaccamento di Capo Sari Lorenzo), gli esiti dello studio veterinario dovranno essere valutati nella compiutezza delle informazioni e delle indagini in corso.
Peraltro, agli atti dei servizi veterinari dell'Asl di Lanusei non risultano essere stati segnalati, né da loro direttamente accertati, casi di moria, aborti e/o malformazioni degli animali tali da far sorgere il sospetto che le cause degli eventi medesimi siano da ricondurre a contaminazioni dell'ambiente e/o degli alimenti destinati agli animali.
Tantomeno risultano essere segnalate alterazioni a carico dell'uomo riconducibili all'assunzione di alimenti di origine animale e vegetale contaminati da sostanze tossiche.
In merito alle iniziative «.... a tutela della salute dei soggetti residenti nell'area e dell'ambiente», nella generale attenzione che la Difesa ha posto, in particolare negli ultimi anni, sulla problematica, è stato finanziato un progetto di ricerca «ad hoc», sotto l'egida del comitato per la prevenzione e il controllo delle malattie (CPCM), che prevede il «follow-up delle patologie incidenti sul personale militare e civile del Poligono Interforze di Salto di Quirra, in relazione alle esposizioni presenti negli ambienti di lavoro», a cura del professor Cocco, direttore della scuola di specializzazione di medicina del lavoro presso l'università di Cagliari.
Il professor Cocco, tra l'altro, ha già presentato i risultati dello studio statistico sull'incidenza dei tumori nel territorio e nelle zone limitrofe al PISQ (sono stati presi in esame i tredici comuni circostanti l'area del poligono), mettendo in evidenza come l'incidenza delle patologie tumorali nella popolazione residente nei comuni limitrofi al poligono sia ampiamente inferiore a quella della popolazione di riferimento.
Tuttavia, al fine di dare maggiore forza e incisività agli interventi posti in essere per il controllo dello stato di salute della popolazione e per la sicurezza alimentare, ho appreso che la Asl di Lanusei ha avviato la pianificazione per la realizzazione di un programma di interventi aggiuntivi, quali:
costituzione di un tavolo di lavoro interistituzionale (Istituto superiore della sanità/provincia/comuni/servizio della prevenzione regionale/istituto zoo-profilattico sperimentale della Sardegna) per pianificare uno studio epidemiologico dettagliato e una indagine sugli animali, per l'intera provincia, con focalizzazione sulle aree adiacenti il poligono;
potenziamento delle dotazioni organiche dei servizi veterinari;
costruzione del profilo della salute del territorio interessato.

Posto che il territorio dell'asl di Lanusei è compreso nell'ambito di competenza del registro tumori di Nuoro, sono stati analizzati i dati che si riferiscono al triennio 2003-2005 - dai quali non emergono percentuali di incidenza delle patologie tumorali, nei comuni limitrofi all'area del poligono, significativamente differenti rispetto alla media nazionale - e sono in fase di completamento le indagini per il triennio successivo.
Con riferimento alla patologia umana, l'Asl di Cagliari ha comunicato che intende promuovere l'avvio di uno studio epidemiologico retrospettivo (caso-controllo) che interessi la popolazione residente nei comuni circostanti il PISQ con il coinvolgimento dell'Asl di Lanusei, il coordinamento dell'assessorato dell'igiene e sanità della regione Sardegna con la supervisione dell'Istituto superiore di sanità.
Per quanto attiene, invece, all'ambito della sanità animale, sarà avviata un'indagine anamnestica retrospettiva sullo stato di salute degli animali, tramite la predisposizione di una scheda di raccolta dati da somministrare agli allevatori presenti nel territorio interessato dalla problematica.
La Difesa attende, comunque, con fiducia l'esito dell'attività d'indagine della procura di Lanusei, nella certezza di poter fare chiarezza sulle numerose informazioni che periodicamente riguardano la parte del territorio della regione Sardegna interessata dalla presenza della base.

Peraltro, come noto, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Lanusei ha disposto il sequestro probatorio di alcuni materiali, di alcune zone a terra del poligono e di parte dello specchio d'acqua antistante e, recentemente, di tutto il sistema radaristico di telerilevamento del poligono, limitandone fortemente le attività in programma.
Faccio presente, inoltre, che il 6 luglio 2011, il comitato d'indirizzo territoriale - che si è avvalso della commissione di esperti per tutta la durata delle attività come proprio organo tecnico - ha predisposto la relazione conclusiva delle attività svolte che, non appena formalizzata, sarà posta all'attenzione dell'autorità politica e oggetto di attenta valutazione da parte degli organi competenti.
Il comitato d'indirizzo territoriale, nel condividere le raccomandazioni della commissione di esperti, evidenzia da un lato l'approfondita analisi per ciascun lotto d'indagine e, dall'altro, l'oneroso tentativo di giungere ad una preliminare analisi congiunta tra i risultati delle attività di monitoraggio ambientale e lo storico delle attività svolte presso il PISQ.
Il comitato di indirizzo territoriale, nel raccomandare di valorizzare il patrimonio di conoscenze e di esperienze accumulato dalla commissione di esperti per le future attività inerenti la salvaguardia e la tutela ambientale delle aree interessate, rappresenta che la necessità di svolgere attività industriali/militari rispettando i vincoli ambientali del territorio non può prescindere dalla definizione di un protocollo d'intesa tra gli enti militari preposti al monitoraggio, alla sicurezza e alla protezione ambientale, il poligono e gli enti civili deputati al controllo del rischio ambientale.
Ciò, allo scopo di individuare un piano di monitoraggio continuo delle attività del PISQ valorizzando le attività svolte e consentendo l'uso proficuo da parte sia di enti civili che di enti militari dei dati rilevati e della strumentazione acquisita.
Vorrei ricordare, ancora, prima di concludere, l'impegno - assunto dal Governo con le mozioni dei senatori Scanu (1-00366) e Gamba (1-00374) discusse nella seduta del 23 febbraio 2011 - di sospendere le attività addestrative e sperimentali presso il PISQ qualora, dall'analisi comparata dei dati del monitoraggio da parte della commissione tecnica di esperti o da ulteriori indagini, disposte anche in concorso dalla regione autonoma della Sardegna, dovessero emergere oggettive situazioni di rischio per gli abitanti delle aree circostanti e per il personale della Difesa.
Ciò, quale segno tangibile dell'attenzione e della sensibilità dimostrata dal dicastero riguardo alla doverosa tutela della salute del proprio personale e dei cittadini che abitano nelle aree limitrofe del poligono: la necessità dell'amministrazione di mantenere un poligono per le attività addestrative, ancorché in una situazione internazionale molto delicata, non è mai stato e non si porrà mai in contrapposizione al prioritario diritto alla salute delle popolazioni locali e del proprio personale operante in loco.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da un articolo pubblicato sul settimanale L'espresso si apprende che, nelle Dolomiti riconosciute patrimonio dell'umanità, esiste un progetto, promosso da Franz Senfter, per una serie di nuovi impianti a Sesto in Pusteria che sarebbe stato approvato contro la valutazione di impatto ambientale ma anche contro pareri e giudizi tecnici espressi da esperti forestali internazionali;
gli impianti costeranno tra i 25 e 30 milioni di euro e vengono mascherati come collegamento tra la stazione sciistica Croda Rossa e Monte Elmo;
in pratica si tratta della costruzione di tre nuovi impianti di risalita con relative piste da sci che comporteranno il taglio di 25 ettari di foresta di abete rosso

e larice e movimenti a terra non inferiori a 150 mila metri cubi;
da notizie di stampa si apprende che alcuni mesi fa il Ministro interrogato si è già occupato della questione chiedendo chiarimenti alla provincia autonoma di Bolzano, anche in relazione ad una possibile interferenza del progetto con i siti Natura 2000 e al rispetto della direttiva europea «Habitat» -:
se corrisponda al vero quanto riferito in premessa;
quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere a tutela delle Dolomiti e per evitare i possibili danni derivanti dalla realizzazione degli impianti.
(4-10815)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame e sulla base degli elementi forniti dal commissario del Governo per la provincia autonoma di Bolzano con nota n. 021968 Gab. del 4 luglio 2011, si rappresenta quanto segue.
Gli atti approvati dalla provincia autonoma di Bolzano relativi al collegamento sciistico tra la zona «Monte Elmo» e «Croda Rossa» nei comuni di Sesto e San Candido (Bolzano) sono allo stato oggetto di contenzioso davanti al Tribunale regionale di giustizia amministrativa-sezione autonoma per la provincia di Bolzano.
In data 11 settembre 2010 il
Dachverband fur Natur und Umwelttsschutz in Südtirol (Federazione protezionisti tirolesi) e Wwf Italia Ong Onlus hanno presentato congiuntamente ricorso - iscritto al n. 192 del 2010 - avverso i suddetti atti della provincia autonoma di Bolzano.
La prima udienza davanti al Tar si è svolta il 9 febbraio 2011 e la prossima è stata fissata per il 23 novembre 2011, atteso che lo stesso Tar con ordinanza n. 181 del 2011 ha nominato un consulente d'ufficio per ottenere una valutazione tecnica relativamente all'impatto ambientale che avrebbero gli impianti sciistici in parola.
Il Ministro per i rapporti con le regioni e coesione territoriale: Raffaele Fitto.