XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di mercoledì 27 luglio 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:

Le Commissioni VIII e X,
premesso che:
il risultato del referendum del 12 e 13 giugno 2011, relativamente al quesito sulla possibilità di realizzare centrali nucleari sul territorio italiano, ha sancito il chiaro intendimento della maggioranza degli italiani a non consentire la realizzazione di tali tipologie di centrali elettriche sul territorio nazionale;
la fornitura di energia elettrica nel nostro Paese proviene essenzialmente da combustibili fossili, in particolare petrolio e gas, e in misura minore dal carbone, mentre le fonti rinnovabili mantengono una posizione in ascesa ma ancora residuale;
il veto posto tramite il referendum all'opzione nucleare pone la necessità di rivedere le priorità nelle varie alternative, ma soprattutto di valutare ogni possibile scelta tesa a sfruttare e a valorizzare le risorse esistenti con particolare riferimento alle nuove opportunità che emergono da una politica dell'energia integrata con l'ambiente;
in questo contesto e nell'ottica di una diversificazione delle fonti energetiche, appare rilevante e determinante sviluppare tutte le possibilità offerte a fini energetici dai residui di lavorazione, dai sottoprodotti e dagli scarti, ma soprattutto dai beni a fine vita o dai rifiuti opportunamente trattati, sempre che per essi non vi siano altre opportunità di impiego come materia seconda (end of waste) nei processi produttivi. Tale opportunità verrebbe agevolmente conseguita se i predetti materiali fossero trasformati in combustibile alternativo ed in particolare in combustibile solido secondario, CSS, così come definito ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera cc) del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni;
da un'analisi compiuta dal consorzio Eco Carbon e da altre fonti autorevoli, risulta che in Italia l'utilizzo dei rifiuti come combustibile non va oltre l'1 per cento mentre negli altri Stati europei le percentuali di impiego presentano quote decisamente superiori;
uno dei settori in cui il combustibile solido secondario presenta interessanti prospettive di impiego in sostituzione del carbon fossile e di altri combustibili fossili è rappresentato dalle cementerie, ove la percentuale di impiego non supera l'8 per cento contro percentuali dell'ordine del 50 per cento in Germania e addirittura dell'80/85 per cento in Paesi considerati all'avanguardia dal punto di vista ambientale come Olanda o Danimarca;
se in Italia si giungesse a percentuali simili a quelle tedesche, si avrebbe un minor consumo di carbone di importazione dell'ordine di 2 milioni di tonnellate e tenuto conto del differente potere calorifico, porterebbe ad un utilizzo di combustibile solido secondario di almeno 4 milioni di tonnellate e quantità addirittura doppie esprimendosi in termini di rifiuti urbani;
la riduzione dell'utilizzo di carbone fossile, opportunamente sostituito da CSS, porterebbe a una riduzione del consumo di risorse naturali, in conformità con la Thematic Strategy on the Prevention and Recycling of Waste della Commissione europea e sarebbe di supporto all'utilizzo sostenibile a scopi energetici di biomassa non-vergine invece di biomassa vergine, con ciò evitando le distorsioni sul mercato dei generi alimentari e dei prodotti per la produzione industriale;
valutando invece l'effetto sostituzione sulle centrali termoelettriche a carbone, anche sulla base dell'esperienza ENEL nella centrale di Fusina ove circa il 10/12 per cento del combustibile è costituito da CSS ottenuto da rifiuti urbani e

da scarti derivanti dalla selezione della raccolta differenziata della plastica opportunamente trattati, il consumo di carbone evitato sarebbe di circa due milioni di tonnellate e l'equivalente quantità di combustibile dell'ordine di altri 4 milioni di tonnellate;
i vantaggi in termini ambientali sarebbero ancora più significativi ed anche superiori a quelli dei classici inceneritori con recupero di energia. Questi ultimi, infatti, bruciando il rifiuto tal quale (cioè non trasformato in CSS) ottengono rendimenti elettrici non così elevati ed ottimizzati come nel caso delle centrali termoelettriche. Inoltre, le condizioni termiche (alte temperature e tempi di residenza) e le caratteristiche impiantistiche di una centrale a carbone (presenza di desolforatore e di una sezione catalitica di abbattimento fumi) escludono la possibilità di formazione di diossine al pari della sezione di postcombustione normalmente presente negli inceneritori;
nei forni dei cementifici il combustibile solido secondario derivante dai rifiuti ha tempi di combustione dell'ordine degli 8/12 secondi ad una temperatura di circa 1.300 gradi centigradi;
negli impianti termoelettrici per la produzione di energia la situazione è ancora migliore poiché la temperatura di combustione è nell'ordine dei 1.600 gradi centigradi ed il tempo di permanenza in forno è di circa 16 secondi;
anche la situazione delle emissioni di gas inquinanti appare vantaggiosa. Infatti, il combustibile derivato dai rifiuti solidi urbani, costituito per oltre il 50 per cento da biomasse, presenta bilanci attivi in termini di mancata emissione di CO2, contribuendo in tal modo alla riduzione dell'effetto serra e, soprattutto, al rispetto delle quote stabilite dall'Unione europea nell'ambito del protocollo di Kyoto;
l'effetto sul mancato utilizzo delle discariche sarebbe altrettanto massiccio e tale da ridurre l'utilizzo di questa forma di smaltimento alle sole frazioni residuali della preparazione del combustibile, essendo le ceneri provenienti dalla combustione, opportunamente inertizzate, riutilizzabili per altri impieghi o addirittura - come nei cementifici - reimpiegate nello stesso processo produttivo;
tale quadro tecnico di riferimento, unito alla dislocazione degli impianti utilizzatori del CSS, sarebbero ottimali anche per concorrere alla soluzione di importanti situazioni di emergenza locale nella gestione dei rifiuti solidi urbani. Regioni come la Campania, il Lazio, la Calabria, la Sicilia, la Basilicata, la Liguria, potrebbero infatti disporre, in tempi relativamente brevi, di una offerta impiantistica adeguata alle necessità di smaltimento dei rifiuti solidi urbani o delle frazioni residuali della raccolta differenziata;
queste soluzioni sarebbero di immediata percorribilità e non richiederebbero l'attesa degli attuali lunghissimi tempi dovuti alla progettazione, approvazione, autorizzazione e realizzazione di nuovi impianti di incenerimento o di cogenerazione. Infatti si tratterebbe di utilizzare impianti già esistenti garantendo altresì il rispetto del principio di prossimità nel trattamento e valorizzazione dei rifiuti generati a livello locale o regionale;
si ricorda, infine, che la produzione di CSS sarebbe di beneficio alle filiere del recupero, già operanti sul territorio italiano, che oltre ad avere una certa importanza in termini occupazionali (e quindi economici), costituiscono un partner strategico ai fini dell'attuazione della società del riciclo e recupero fortemente auspicata dalla stessa normativa comunitaria;
peraltro, con la pubblicazione del decreto legislativo n. 205 del 2010, con cui è stata recepita nell'ordinamento nazionale la direttiva 2008/98/CE sui rifiuti, è stato adottato il cosiddetto meccanismo dell' «End-of-Waste» che chiarisce quando un rifiuto, a valle di determinate operazioni di recupero, cessa di essere tale. In base ad una lettura congiunta dall'articolo 183, comma 1, lettera cc) e dell'articolo 184-ter del citato decreto le

gislativo n. 152 del 2006, apparirebbe ipotizzabile l'applicazione del criterio dell'End-of-Waste per alcune tipologie di CSS;
va altresì evidenziato, al riguardo, che il predetto decreto legislativo n. 205 del 2010 contiene ulteriori norme che introducono una serie di novità per il settore della produzione e dell'utilizzo di combustibili solidi da rifiuti che oltre ad esprimere un valore premiale alla produzione e all'utilizzo di CSS, aprono importanti prospettive per i settori interessati alla produzione e all'utilizzo dei combustibili da rifiuti;
la norma in questione, infatti, oltre ad operare una attesa distinzione tra il recupero energetico dei rifiuti (tal quale) e la produzione e dell'utilizzo dei combustibili da rifiuti (articolo 179, comma 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006), introduce la possibilità di prevedere facilitazioni procedurali (articolo 214, comma 11) e incentivi di carattere economico finanziario (articolo 216, comma 8);
il CSS offre nuove opportunità di sviluppo nell'impiego di determinati materiali quando diventano rifiuti, sia in termini di sostituzione dei combustibili fossili, sia come fonte energetica primaria alternativa, sia infine per la soluzioni di situazione di precarietà se non addirittura di emergenza del settore dei rifiuti solidi urbani,


impegna il Governo


a predisporre tutte le iniziative normative, regolamentari e di incentivazione economica, atte a garantire, promuovere ed incentivare uno sviluppo efficace ed ecosostenibile dell'impiego di combustibile solido secondario, CSS.
(7-00666) «Alessandri, Torazzi».

Le Commissioni VIII e XIII,
premesso che:
il compost può essere prodotto a partire da materiali di scarto selezionati, quali ad esempio la frazione organica dei rifiuti urbani proveniente da raccolta differenziata, alcune tipologie di fanghi di depurazione e altri scarti organici, che trattati in appositi impianti sono trasformati in un prodotto, appunto il compost, apprezzato per le sue caratteristiche ammendanti, cioè per la sua capacità di migliorare le caratteristiche chimico-fisiche dei terreni agricoli;
al compostaggio si riconosce una duplice valenza ambientale, sia per la strategicità della diffusione di forme di gestione dei rifiuti che utilizzano pratiche di raccolta differenziata, riducendo in maniera sostanziale i rifiuti da conferire in discarica, sia per l'utilità del compost quale ammendante, in grado di ripristinare e mantenere la fertilità organica dei suoli agricoli;
la produzione di compost in Italia è in continua crescita;
secondo i dati dell'ISPRA 2010, gli impianti operativi in Italia sono 290, a fronte di soli 10 impianti nel 1993, e trattano circa 3,4 milioni di tonnellate di rifiuti organici, producendo 1 milione di tonnellate di compost;
circa l'80 per cento di tali rifiuti deriva dalle raccolte differenziate;
il 70 per cento del compost prodotto è destinato alla distribuzione in pieno campo e il residuo 30 per cento alla paesaggistica e alla formazione di prodotti per il giardinaggio;
secondo i dati del 2010, in particolare nel Veneto, una delle regioni modello nella gestione virtuosa dei rifiuti, sono operativi 21 impianti di compostaggio e digestione anaerobica che trattano tutta la frazione organica (umido+verde) dei rifiuti urbani prodotti nella regione, ossia circa 630.000 tonnellate, pari al 45 per cento del rifiuto raccolto in maniera differenziata; il compost prodotto è pari a circa 242.000 tonnellate ed è destinato per il 90 per cento all'agricoltura di pieno

campo e per il restante 10 per cento alla produzione di fertilizzanti e ai ripristini ambientali;
le caratteristiche, la produzione e l'utilizzazione del compost, o ammendante compostato, quale fertilizzante sono definite nel decreto legislativo n. 75 del 2010 «Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti»;
il sistema del compostaggio in Italia rischia tuttavia di essere pesantemente compromesso, a causa dell'incertezza normativa sui limiti di concentrazione per i microinquinanti organici, di cui si è rilevata la presenza anche nell'ambito del processo di compostaggio;
secondo la sentenza n. 178/09 della Corte di Cassazione, al compost si applicano i limiti del decreto legislativo n. 217 del 2006 (ora decreto legislativo n. 75 del 2010) sui fertilizzanti e, per evitare che sul suolo siano immessi inquinanti non previsti dal decreto legislativo n. 75 del 2010, si devono anche applicare i limiti di cui alla tabella 1, colonna A, allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativa alle bonifiche, stabiliti per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale;
i contenuti di tale sentenza sono stati di fatto confermati nel febbraio 2010, dalla sentenza n. 255 della Corte di Cassazione che ha, inoltre, dichiarato l'illegittimità della delibera della giunta della regione Veneto n. 235/09, che, secondo i giudici, applica per IPA, PCDD/F e PCB limiti più elevati rispetto alla citata colonna A e quindi in contrasto con la norma nazionale;
nel maggio 2011, la provincia di Verona ha modificato le autorizzazioni di tutti gli impianti di compostaggio operanti nel proprio territorio, e recependo la citata sentenza n. 255 ha obbligato le ditte a rispettare, per il compost, anche i limiti di cui alla tabella 1, colonna A, allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 relativa alle bonifiche;
tale problematica è stata evidenziata nella Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella seduta del 5 maggio 2011, in cui è stata affermata la necessità di un intervento normativo in merito alla definizione di metodiche e limiti per verificare la presenza di microinquinanti organici nei fanghi che sono utilizzati per la produzione di compost;
dal punto di vista tecnico, il compost (ammendante) ha caratteristiche diverse dal suolo, in quanto si tratta di matrici con caratteristiche differenti, con diverso contenuto di sostanza organica che implica necessariamente un approccio analitico specifico per ciascuna matrice;
la determinazione della concentrazione di idrocarburi prevista dalla citata tabella 1, colonna A, allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, nel caso del compost e di altre matrici ad elevato contenuto di sostanza organica, fornisce risultati fuorvianti, in quanto la presenza in questi materiali di acidi umici e fulvici, di oli e grassi vegetali e animali, interferisce pesantemente con le metodiche analitiche attualmente disponibili, inficiando i risultati;
la delibera della giunta della regione Veneto n. 235/09, scaturita da un tavolo tecnico costituito dalla regione Veneto, ARPAV e le province venete, definisce quali siano effettivamente gli inquinanti non contemplati dal decreto legislativo n. 75 del 2010 che potrebbero essere introdotti nell'ambiente mediante la distribuzione di compost (individuati negli IPA, PCDD/F e PCB); successivamente, sulla base di un approccio preventivo, fissa con un apposito modello i limiti per queste sostanze, non già nel compost (che è appunto un prodotto ed ha una sua disciplina autonoma) ma nelle matrici impiegate per produrlo, suscettibili di essere apportatrici di queste tipologie di inquinanti (e cioè i fanghi di depurazione di origine non agroindustriale); inoltre, la delibera della giunta della regione Veneto n. 235/09 introduce il parametro IPA per risolvere la questione della scarsa attendibilità

del parametro «idrocarburi» applicato in quest'ambito;
l'applicazione integrale dei limiti previsti dalla colonna A della tabella 1, allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 relativa alle bonifiche, in un ambito diverso, come appunto la caratterizzazione di un prodotto destinato all'ammendamento dei suoli agricoli, impedisce, in pratica, l'utilizzo in agricoltura del compost;
l'impossibilità di utilizzare il compost in agricoltura, comporterebbe l'avvio a smaltimento nelle discariche o negli inceneritori di ingenti volumi di compost, sprecando così una risorsa e avendo poi la necessità di individuare idonei siti di smaltimento, con un conseguente aggravio dei costi di gestione che si ripercuoterebbero sulla collettività;
conseguentemente, perderebbe qualsiasi significato la raccolta differenziata e la separazione secco/umido, e ciò in aperto contrasto con la politica europea, recepita a livello nazionale, che mira a raggiungere elevati obiettivi di raccolta differenziata, per il conseguimento dei quali il recupero della frazione organica dei rifiuti costituisce un passo indispensabile;
il settore agricolo sarebbe privato di un importante mezzo tecnico, in quanto è ormai assodato che il compost prodotto a partire da matrici selezionate aumenta il contenuto di sostanza organica del terreno agrario e ne migliora significativamente le caratteristiche chimico-fisiche;
andrebbero vanificati investimenti e risorse, impedendo lo sviluppo e il consolidamento nel nostro Paese di un settore economico che è stato sempre dimostrato rispettoso e interessato alla salvaguardia dell'ambiente;
si ravvisa la necessità di un urgente intervento del Governo che regoli il settore del compostaggio a livello nazionale, raccordando più efficacemente la disciplina ambientale in materia di recupero dei rifiuti con quella relativa ai fertilizzanti, col preciso intento di fugare qualsiasi dubbio circa la piena compatibilità ambientale dell'uso in agricoltura dell'ammendante compostato;
solo attraverso la selezione delle matrici impiegate per la produzione del compost è possibile ottenere un materiale liberamente utilizzabile in agricoltura, al pari degli altri fertilizzanti;
deve essere posta la massima attenzione nel definire i parametri (e i rispettivi limiti) di qualità delle matrici impiegate per produrre il compost, che, ovviamente, devono essere pertinenti e congrui allo specifico settore, in particolare nel caso di «compost di qualità» ottenuto anche da fanghi non agroindustriali;
a tal fine, sarebbe opportuna l'istituzione di un apposito tavolo tecnico con i massimi esperti del settore;
il Governo ha in corso di definizione un decreto ministeriale per stabilire i limiti da utilizzare per i fanghi di depurazione destinati ad essere sparsi sui terreni agricoli; questi possono essere impiegati anche per la produzione del compost e, pertanto, fino alla definizione dei limiti propri per il settore del compostaggio, potrebbero essere utilizzati i limiti di cui sopra, da applicare ai fanghi di depurazione non agroindustriali impiegati per produrre il compost medesimo,


impegnano il Governo:


ad istituire con la massima urgenza un tavolo tecnico, che, entro due mesi dall'inizio dei lavori, definisca i limiti per i microinquinanti organici (e cioè IPA, PCDD/F e PCB) da applicare al settore del compostaggio e più specificamente alle matrici impiegate per la produzione del compost stesso (in particolare, i fanghi di depurazione non agroindustriale), fermo restando che la presenza di tali sostanze non costituisca un pericolo per l'ambiente ed un rischio per la salute dei cittadini;

nelle more dell'istituzione di tale tavolo tecnico e fino alla definizione dei limiti dei microinquinanti organici, ad adottare ogni iniziativa volta a chiarire la possibilità per gli organi di controllo di applicare alle matrici impiegate per produrre il compost i limiti previsti per i fanghi di depurazione, come stabiliti nel decreto ministeriale in corso di emanazione.
(7-00668) «Alessandri, Callegari».

Le Commissioni riunite X e XI,
premesso che:
con circa 180.000 dipendenti in oltre 80 Paesi, Thyssenkrupp AG è un gruppo multinazionale che opera nel campo dei materiali e delle tecnologie;
le attività e il know how del gruppo si focalizzano in due divisioni: materials e tecnologies;
la Thyssenkrupp Italia spa possiede il 100 per cento del pacchetto azionario della società, attualmente denominata Thyssenkrupp acciai speciali Terni, con stabilimenti produttivi a Terni ed è tra i maggiori produttori mondiali di laminati piani di acciaio inossidabile, prodotto core business della società;
in data 13 maggio 2011 il comitato di sorveglianza di Thyssenkrupp AG ha approvato il progetto di scorporo della divisione Stainless Global, il settore della multinazionale dedicato all'acciaio inox. La decisione di Thyssenkrupp coinvolge 3.800 dipendenti italiani e, in particolare, riguarda il sito produttivo dell'AST di Terni, un complesso industriale di eccellenza destinato alla produzione di acciaio inox che conta, a oggi, circa 2.800 lavoratori;
nonostante le rassicurazioni di Thyssenkrupp circa il mantenimento della forza lavoro - criterio che, stando alle dichiarazioni della multinazionale, sarà misura, nel caso di vendita, della credibilità della trattativa - non c'è, ad oggi, alcuna certezza circa il futuro dell'impianto di Terni;
il sito industriale di TK-AST di Terni negli ultimi anni è stato oggetto di importanti investimenti tali da qualificare il ciclo di trasformazione in direzione di una qualità riconosciuta a livello internazionale;
si è dinanzi ad una realtà industriale di straordinaria importanza e centralità per il sistema manifatturiero italiano ed europeo, caratterizzata da livelli di eccellenza produttiva e che chiuderà il biennio 2010/2011 con un utile di 53 milioni di euro. Dato il numero degli occupati, i servizi connessi e la movimentazione finanziaria, TK-AST di Terni determina in maniera profonda il carattere dell'economia ternana ed umbra;
le istituzioni regionali umbre hanno richiesto immediatamente l'intervento del Governo e della diplomazia italiana al fine di conoscere i dettagli dell'iniziativa di scorporo e invocato la massima attenzione da parte dei Ministeri competenti, affinché l'esito di questo imminente processo di scorporo non danneggi gli interessi nazionali, della collettività e dell'economia umbra e dei lavoratori;
a conferma del valore strategico dell'impianto e delle vitali interconnessioni tra TK-AST, complesso industriale di interesse nazionale e territorio, nel 2005 venne siglato, a palazzo Chigi, il «patto di territorio» tra Governo, regione Umbria, istituzioni locali, sindacati e TK-AST con il quale le parti si impegnavano nella realizzazione di investimenti e infrastrutture atte a favorire processi di sviluppo, ad innovare le produzioni e a raggiungere livelli di eccellenza. Tale accordo, scaduto a dicembre 2010, prevedeva un aggiornamento;

il 28 luglio 2011 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato convocato un incontro tra l'impresa e le organizzazioni sindacali,


impegnano il Governo


a convocare, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un tavolo di confronto tra l'impresa, le organizzazioni sindacali, la regione e le amministrazioni locali interessate e i diversi Ministri interessati, al fine di verificare le effettive strategie del Gruppo e le relative ricadute sul piano occupazionale e socio-economico sul contesto territoriale interessato, anche in coerenza con il citato «patto di territorio» tra Governo, regione Umbria, istituzioni locali, sindacati e TK-AST, a tale scopo verificando anche la possibile attivazione di strumenti di ammortizzazione sociale e di sostegno al reddito dei lavoratori.
(7-00662)
«Moffa, Vignali, Boccuzzi, Pelino, Cazzola, Damiano, Trappolino».

La V Commissione,
premesso che:
la legge finanziaria 2006 (legge 266 del 23 dicembre 2005, articolo 1, commi 331-334) ha disciplinato la corresponsione del cosiddetto «bonus bebè» del valore di 1.000 euro per ogni nuovo nato e adottato nel 2005. Tra i requisiti la legge ha previsto il limite di 50.000 euro di reddito complessivo per il nucleo familiare;
la comunicazione alle famiglie è avvenuta mediante lettera firmata dall'allora Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi. Il messaggio personalizzato e il contenuto stesso, rivolto direttamente al nuovo nato citandolo per nome, nonché il tono colloquiale e amichevole utilizzato, hanno indotto le famiglie destinatarie a credere di rientrare nei parametri richiesti per la riscossione del suddetto bonus. Per questo motivo, molti genitori - felici per la possibile provvidenza in arrivo - hanno ritenuto in buona fede perché tratti in errore, che il requisito del limite di reddito fosse da riferirsi all'importo «netto» e non al «lordo»; peraltro, la lettera non suggeriva alle famiglie di servirsi di un CAAF o di un commercialista per verificare il possesso dei requisiti richiesti in merito al reddito;
il contesto descritto ha pertanto indotto circa 8.000 famiglie destinatarie della lettera del Presidente del Consiglio a compilare un'autocertificazione che riportava il reddito netto come putativamente ritenuto, senza consapevolezza alcuna di poter incorrere in una indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato;
nelle scorse settimane - a distanza di cinque anni dai fatti descritti - sono state recapitate alle suddette 8.000 famiglie lettere che contestano l'indebita riscossione del bonus bebè - la missiva, inviata dal MEF - dipartimento della ragioneria generale dello Stato, intima la restituzione dei 1.000 euro «illecitamente» riscossi, oltre al pagamento della sanzione amministrativa (3.000 euro) nel caso sia accertata la violazione del citato articolo 316/ter del codice penale. A tale proposito, la lettera informa che il pagamento dell'importo «a titolo di sanzione amministrativa dovrà essere effettuato solo dopo che il giudice penale si sarà pronunciato in merito alla punibilità della falsa autocertificazione»;
le famiglie coinvolte stanno vivendo giorni di grave ansietà per il rischio di incorrere in un reato penale e relativa sanzione, sebbene abbiano agito in totale buona fede;
le condizioni economiche delle famiglie italiane sono progressivamente peggiorate a causa della crisi internazionale;
la risposta del Sottosegretario Giovanardi, resa in Commissione affari sociali in data 21 luglio 2011, all'atto di sindacato ispettivo 5-05150, precisa che «tali famiglie sono tenute a restituire esclusivamente la somma indebitamente percepita, senza alcuna maggiorazione a titolo di interesse o di sanzione, salvo che il fatto abbia determinato una condanna penale»;

il presunto reato riferito all'articolo 316-ter del codice penale è in procinto di essere prescritto (e in alcuni casi lo è già),


impegna il Governo:


tenuto conto delle circostanze accertate di fatto, che avvalorano l'errore putativo sopra descritto, ad assumere ogni iniziativa utile affinché gli uffici territoriali della ragioneria generale dello Stato provvedano alla acquisizione dei soli 1.000 euro.
(7-00664)
«Baretta, Ghizzoni, Tenaglia, Ferranti, Ciccanti, Baccini, Bitonci, Marinello, Samperi, Borghesi, Della Vedova, Lenzi, Toccafondi, Traversa, Gioacchino Alfano».

La V Commissione,
premesso che:
la legge comunitaria annuale è lo strumento normativo principale volto ad assicurare il periodico adeguamento dell'ordinamento nazionale a quello comunitario. La sua approvazione costituisce un'importante occasione per il nostro Paese per il controllo parlamentare circa lo stato di recepimento della normativa comunitaria e per una verifica sullo stato di trasposizione nell'ordinamento interno degli obiettivi prioritari dell'Unione europea; tra questi ultimi rileva particolarmente la coesione economica e sociale e la riduzione del divario di sviluppo all'interno dell'Unione europea - obiettivi da perseguire mediante appositi strumenti finanziari creati dalla Commissione europea (fondi strutturali e fondo di coesione);
l'impatto della crisi economica e finanziaria sull'attuazione dei programmi relativi ai fondi strutturali europei per la coesione è oramai un dato accertato e riconosciuto dalla stessa Commissione europea; quest'ultima si è mostrata aperta, di recente, a discutere con le autorità nazionali circa la possibilità di reindirizzare la programmazione dei fondi su misure anticrisi, in modo da adattarli meglio alle nuove esigenze, e circa la possibilità di aumentare temporaneamente i massimi regolamentari inerenti alla quota di cofinanziamento nazionale, con particolare riguardo al rispetto dei massimali dell'85 per cento per l'obiettivo «convergenza» e del 50 per cento per l'obiettivo «competitività regionale e occupazione», previsti dalla vigente normativa regolamentare applicabile;
la particolare congiuntura economica ha messo molti Stati membri in seria difficoltà nel reperire le risorse per il cofinanziamento e l'Italia si presenta in tale congiuntura con una situazione di particolare debolezza;
il recente Consiglio dell'Unione europea, svoltosi il 21 luglio 2011, nell'ambito delle misure adottate per assicurare la stabilità finanziaria della zona euro e dei suoi Stati membri, ha concordato l'avvio del cosiddetto nuovo «piano Marshall» per far fronte a una crisi economico-finanziaria senza precedenti e che ha comportato la paralisi anche dei progetti connessi ai programmi dei fondi strutturali necessari al rilancio economico dei Paesi fortemente in crisi;
la Commissione europea, in seguito a tale vertice, ha dichiarato la disponibilità ad aumentare, anche se solo in taluni casi, la percentuale di cofinanziamento europeo dei progetti realizzati con i fondi strutturali. A tal fine, l'intervento finanziario europeo sarà innalzato all'85 per cento, il massimo consentito, insieme alle necessarie modifiche ai programmi esistenti in modo da poter sbloccare le risorse comunitarie già stanziate, destinate alle infrastrutture e al sostegno della crescita delle regioni meno sviluppate. Tale decisione intende compensare gli effetti depressivi del consolidamento del debito e mira ad evitare che le regole relative al cofinanziamento nazionale dei programmi finanziati dalla Unione europea finiscano per rendere inutilizzabili le risorse per le politiche di coesione e, paradossalmente, produrre un effetto ulteriormente depressivo, anziché costituire un'opportunità di crescita per i Paesi gravemente in crisi;

la mancanza di liquidità a livello nazionale e regionale necessaria a contribuire al previsto cofinanziamento nell'ambito dei programmi operativi relativi al quadro strategico nazionale (QSN) al fine di accedere ai fondi strutturali europei, è una questione nevralgica anche per il nostro Paese. L'Italia sconta un forte ritardo circa lo stato di attuazione dei programmi operativi per la programmazione 2007-2013. Dalle tabelle elaborate dalla Commissione europea nel gennaio 2011 sullo stato degli impegni/pagamenti per Paese/obiettivo ed esecuzione dei fondi strutturali al 31 dicembre 2010, emergono ritardi preoccupanti sullo stato di attuazione dei programmi operativi italiani relativi al periodo di programmazione 2007-2013; la media dei pagamenti effettuati a valere sui diversi programmi operativi non supera il 15 per cento;
il regolamento (CE) 539/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 giugno 2010 ha posticipato la scadenza per la certificazione della spesa; l'Italia dovrà certificare complessivamente circa 7 miliardi di euro entro il 31 dicembre 2011; ciò comporta una spesa nel prossimo anno di un importo pari a quanto è stato speso nei primi quattro anni (dal 1o gennaio 2007 ad oggi), pena il rischio di una revoca dei finanziamenti europei;
il commissario europeo Johannes Hahn ha lanciato più volte l'allarme sul ritardo cronico italiano nell'utilizzo delle riserve comunitarie, nonostante la persistenza dei gravi problemi irrisolti del Mezzogiorno, esprimendo la profonda preoccupazione sui tempi necessari per una riprogrammazione della spesa dei fondi strutturali 2007-2013, a fronte di spese rendicontate inferiori al valore obiettivo, con pagamenti al momento giuridicamente vincolanti sotto il 20 per cento;
in tale quadro pesa anche l'applicazione della regola comunitaria del «disimpegno automatico» (cosiddetta regola N+2) che rischia di profilare concretamente una revoca dei fondi comunitari e una perdita di risorse importanti per il nostro Paese, ferma restando l'accettazione di una sua deroga concernente il primo anno che risulterebbe condivisa dalla stessa Commissione europea. Un'altra preoccupazione della Commissione europea, circa i ritardi italiani nell'attuazione dei programmi che beneficiano dei fondi strutturali, deriva dalla considerazione che la quota di cofinanziamento nazionale dei programmi comunitari sia «assoggettata al patto di stabilità interno e ciò non fa che ritardare l'assunzione degli impegni e l'erogazione dei pagamenti alle imprese» - come dichiarato dal commissario Johannes Hahn nel maggio 2011,


impegna il Governo:


a individuare le risorse necessarie volte a compensare finanziariamente l'esclusione dei cofinanziamenti nazionali, relativi ai programmi dei fondi strutturali europei, dal computo del saldo finanziario in sede di applicazione delle regole del patto di stabilità interno per le regioni e gli enti locali per il triennio 2011-2013, anche per consentire la realizzazione di spese in favore degli investimenti ed evitare una palese e ingiustificata disparità di trattamento rispetto a quanto previsto per le risorse provenienti dall'Unione europea;
a sostenere in sede europea l'ipotesi di revisione della cosiddetta «regola N+2», ossia della regola comunitaria del «disimpegno automatico», la cui rigida applicazione rischia di privilegiare l'elemento della presentazione veloce dei progetti rispetto al criterio, ben più importante, dell'efficacia dell'uso dei finanziamenti, nonché di provocare la revoca dei finanziamenti per numerosi programmi in ritardo nella loro applicazione, anche in considerazione dell'esigenza di scongiurare per il nostro Paese il pericolo di disimpegno automatico per ingenti risorse comunitarie sottratte alle politiche di sviluppo, con danni gravissimi per il rilancio degli investimenti infrastrutturali sia a livello locale che nazionale;
a farsi promotore nelle sedi europee della proposta volta ad accelerare i tempi

di valutazione per la ricevibilità da parte della Commissione europea sui grandi progetti, anche in via preliminare e in fase di definizione conclusiva, al fine di evitare una situazione di incertezza prolungata nel tempo per coloro che sono chiamati a realizzare i progetti, dalle regioni e gli enti locali alle stazioni appaltanti;
ad attivarsi in sede europea, in considerazione della difficile congiuntura economica, per sostenere la proposta concernente l'innalzamento nel massimo consentito, in via temporanea e transitoria, della quota di cofinanziamento comunitario previsto per tutti gli obiettivi, fermo restando che le ulteriori risorse siano destinate in favore degli stessi progetti di sviluppo.
(7-00667) «Gioacchino Alfano, Vaccaro».

La VIII Commissione,
premesso che:
la strada statale 434 Transpolesana (SS 434) è un'importante strada statale che collega Verona a Rovigo;
l'asse viario ha una lunghezza di oltre 80 chilometri, con sezione a quattro corsie e separazione di carreggiata a mezzo di barriera spartitraffico centrale;
il percorso, che inizia a Verona, allacciandosi alla tangenziale tra le uscite dell'autostrada A4 di Verona sud e Verona est, attraversa i comuni della bassa veronese, entra in provincia di Rovigo nel comune di Giacciano con Baruchella, attraversa Badia Polesine, Lendinara, Villamarzana (dove è stato costruito uno svincolo dell'autostrada A13) per terminare in una rotatoria in località Borsea del comune di Rovigo;
sia l'apertura dello svincolo di interconnessione con l'A13, avvenuta nel 2007, sia la prevista apertura del raccordo autostradale con l'autostrada Valdastico sud, collocano la «Transpolesana» tra le arterie di primaria importanza nell'area Nord-est;
infatti, la strada statale 434 si attesta sulla tangenziale sud-est di Verona e rappresenta una delle arterie principali di penetrazione alla città di Verona attraverso il popoloso quartiere di Borgo Roma;
gli elevatissimi volumi di traffico, le lunghissime attese alle intersezioni, i conseguenti livelli di congestione e inquinamento, hanno dato origine a numerose e ripetute forme di protesta presso le amministrazioni comunali, provinciali, regionali e nazionali, lamentando i disagi, l'invivibilità e la pericolosità delle vie che interessano una vasta e popolosa zona della città;
le statistiche consegnano dati allarmanti circa la percentuale di incidentalità che caratterizza la strada statale 434; negli ultimi anni più di un centinaio di persone sono decedute nel solo tratto veronese;
infatti, al completamento dell'arteria viaria mancano pochi chilometri dell'ultimo pezzo di collegamento tra l'autostrada A4 e la città di Verona e tale mancanza crea un imbuto al traffico di penetrazione alla città;
allo scopo di dare soluzione ai problemi di disagio evidenziati dai cittadini, le amministrazioni, ANAS, Autostrada A4, comune e provincia di Verona, hanno da tempo avviato una serie di interventi sulla grande viabilità periurbana;
in tale ambito, il completamento del collegamento fra la strada statale 434 «Transpolesana» e la via Basso Acquar, nel comune di Verona, riveste un'importanza strategica fondamentale, non solo per decongestionare la zona sud della città, ma anche e soprattutto per la funzione sovracomunale di distribuzione del traffico veicolare da e per la tangenziale sud ai grandi centri intermodali e alla contigua autostrada A4;
secondo gli elementi forniti dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti all'interrogazione 4-10689, pubblicata il 2 febbraio 2011, «il prolungamento della

strada statale n. 434 "Transpolesana" oltre l'autostrada A4 fino alla città di Verona, è compreso nel Piano investimenti ANAS 2007-2011 e precisamente nella sezione area di inseribilità dell'allegato A "Elenco opere infrastrutturali di nuova realizzazione per l'anno 2007 con proiezione programmatica fino al 2011". Si evidenzia che il costo stimato è di circa 46 milioni di euro e che l'opera rientra tra gli impegni prioritari del Governo»;
l'inizio dell'opera è fissato in corrispondenza dell'attuale svincolo fra la strada statale 434 e la tangenziale sud. Il tracciato si presenta per un breve tratto in scavo per poi proseguire in parte in trincea e in parte in galleria artificiale; per il secondo tratto sono stati studiati due diversi schemi di circolazione ai fini del collegamento con via Basso Acquar e via Avesani;
secondo quanto indicato nella relazione tecnica illustrativa del progetto, Revisione «1» 8 novembre 2004, il costo totale di progetto per l'alternativa 1 è pari a 46.150.000,00 euro,


impegna il Governo


ad assumere iniziative per inserire l'opera nell'elenco delle infrastrutture strategiche della legge obiettivo, di cui all'aggiornamento dell'allegato infrastrutture in occasione della prossima revisione del documento di economia e finanza, ed in particolare tra le opere prioritarie da avviare entro il 2013.
(7-00663)
«Guido Dussin, Montagnoli, Brancher, Bragantini, Negro, Federico Testa, Dal Moro, Fogliardi, Munerato».

La XI Commissione,
premesso che:
la legge 12 marzo 1999, n. 68, ha disciplinato il collocamento mirato, inteso come l'insieme dei supporti che consentono l'integrazione reale dei disabili nel mondo del lavoro, favorendo la conoscenza dei bisogni specifici della persona e mettendo in evidenza le capacità e le potenzialità;
la valutazione, grazie alla citata legge n. 68 del 1999, è un processo attivo, in cui i vari soggetti preposti a realizzarla sono tenuti ad esprimere un'adeguata valutazione della persona con disabilità, per metterne in luce le capacità lavorative e per individuare gli interventi più adatti a favorirne l'inserimento lavorativo;
i datori di lavoro, pubblici e privati, possono essere autorizzati, su loro motivata richiesta, ad assumere in un'unità produttiva un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento obbligatorio superiore a quello prescritto, portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in produttive della medesima regione (articolo 5, comma 8, della legge n. 68 del 1999);
la nuova normativa prevede che, prima dell'avviamento al lavoro, il disabile debba essere, ove possibile, valutato considerando il tipo d'invalidità in relazione alla preparazione professionale;
tuttavia, la valutazione finalizzata all'inserimento lavorativo - nella migliore delle ipotesi - è effettuata, tramite un semplice colloquio, da un'agenzia specializzata presso cui le varie province inviano gli interessati;
purtroppo, durante i periodi di recessione economica la tendenza è quella di dare meno spazio alle politiche di lotta alla discriminazione, soprattutto a quella che interessa i diversamente abili;
in momenti di crisi occupazionale le categorie più colpite sono quelle che già partono svantaggiate e con enormi problemi di inserimento, trascurando il fatto che il miglioramento del livello di occupazione dei diversamente abili, costituisce un valore aggiunto per l'intera società;
la coincidenza fra l'avvento della crisi economica mondiale e la ratifica della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità rende necessario un

programma di azione per l'occupazione delle persone disabili, in grado di contrastare le tendenze in corso sul mercato del lavoro, per rafforzare l'effettiva tutela del diritto al lavoro;
in Italia le persone disabili avviate al lavoro sono sempre meno e sempre più precarie, con contratti a tempo determinato, mentre l'attività ispettiva e di controllo relativa all'applicazione della legge è scarsa. I tagli ai fondi sull'inserimento lavorativo e i tagli subiti con il varo della manovra economica hanno aggravato il quadro già complesso a causa della situazione economica nazionale ed internazionale;
l'Italia è indietro sul fronte dell'inserimento lavorativo delle persone con disabilità, per questo il suo ordinamento nel settore lavorativo deve essere adeguato ai nuovi standard di tutela dei diritti delle persone con disabilità sanciti dalla Convenzione Onu ratificata anche dall'Italia nel 2009;
dai risultati della relazione sullo stato di attuazione della legge n. 68 del 1999, presentati in Parlamento, emerge un ordinamento in linea con obiettivi e principi della Convenzione, ma ancora bisognoso di alcune integrazioni normative, specialmente nel settore lavorativo;
l'articolo 27 della Convenzione Onu riconosce infatti il diritto al lavoro delle persone disabili disoccupate per quote che vanno dall'80 al 90 per cento nei Paesi in via di sviluppo e per quote variabili tra il 50 e il 70 per cento nei paesi a sviluppo avanzato e gli Stati sono obbligati a proteggere questo diritto, a tutelare i lavoratori disabili, a promuovere avanzamenti di carriera, ad assumere disabili nel pubblico impiego, ad assicurare l'esercizio dei loro diritti sindacali, a favorirne l'assunzione secondo criteri di parità di accesso e uguaglianza. La relazione evidenzia la necessità di ridefinire le priorità nell'erogazione di politiche attive a favore dei percettori di ammortizzatori sociali, soprattutto nei confronti di chi è ancorato a quote riservate;
il quarto rapporto sull'implementazione della Convenzione ONU per i diritti delle persone disabili evidenzia una discrepanza tra i buoni propositi politici espressi attraverso numerosi provvedimenti concernenti l'inclusione lavorativa dei diversamente abili e la realtà dei fatti;
a causa dei ritardi di molte amministrazioni locali la legge n. 68 del 1999 non è adeguatamente applicata; risulta disatteso lo spirito innovativo della legge che originariamente puntava sulla professionalità del disabile da inserire nel mondo del lavoro;
si ha la tendenza ad utilizzare in modo distorto ed eccessivo lo strumento della convenzione che può essere stipulata con i datori di lavoro ai sensi della citata legge n. 68 del 1999,


impegna il Governo:


ad operare tempestivamente - anche dando vita a progetti di carattere sperimentale, da programmare in pieno raccordo con il Parlamento - per la piena integrazione dei disabili, puntando sul loro completo inserimento nella vita lavorativa e contrastando, a tutti i livelli istituzionali, fenomeni di segregazione occupazionale e lavorativa di tali soggetti;
ad aumentare la percentuale degli invalidi presenti nei luoghi di lavoro pubblici;
ad introdurre sistemi di valutazione adeguati ed in grado di valorizzare l'impegno delle persone più meritevoli, in modo tale da stabilire dei meccanismi premianti nel rispetto di quanto sancito dalla citata legge n. 68 del 1999 e dalla convenzione Onu sulla disabilità.
(7-00661)
«Poli, Binetti, Delfino, Ruggeri, Calgaro, Nunzio Francesco Testa, Anna Teresa Formisano».

La XI Commissione,
premesso che:
le disposizioni di riordino di ANAS s.p.a., contenute nell'articolo 36 della legge n. 111 del 15 luglio 2011 (cosiddetta «manovra finanziaria 2011»), stabiliscono la costituzione di una nuova Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali (AISA) a partire dal 1o gennaio 2012, per svolgere le attività e competenze di cui al comma 2 del predetto articolo, attualmente svolte dall'Ispettorato di vigilanza sulle concessionarie autostradali (IVCA) e altri uffici di ANAS;
il decreto menzionato prevede, all'articolo 36, comma 5, disposizioni rispetto al riassorbimento del personale dell'IVCA e ad altri uffici di Anas s.p.a. nella costituenda AISA, per le attività e competenze di cui al comma 2;
tali attività e competenze sono attualmente svolte dall'Ispettorato attraverso l'impiego di personale costituito da risorse competenti e specializzate di cui il 30 per cento usufruisce di contratti di lavoro di tipologia differente dal tempo indeterminato. La definitiva stabilizzazione di queste risorse è attualmente impedita dalle norme di contenimento delle assunzioni nelle amministrazioni dello Stato, varate nel 2010;
l'articolo 36, comma 5, della manovra finanziaria 2011, circa il riordino di ANAS s.p.a., nel disporre l'assorbimento del personale attualmente in servizio presso l'IVCA, fa riferimento alle sole risorse con contratto di lavoro a tempo indeterminato;
un taglio del 30 per cento nell'organico, conseguente alle disposizioni di cui al decreto sopra menzionato, oltre a rappresentare un danno per le risorse stesse pregiudicherebbe il pieno ed efficace svolgimento della consistente mole di attività, di cui al comma 2 del medesimo articolo 36, assegnate alla nuova Agenzia;
tale misura potrebbe mettere in serio rischio l'operatività dell'Agenzia e, conseguentemente, la sicurezza della rete autostradale,


impegna il Governo


ad adottare opportune misure affinché nel riassorbimento del personale nella nuova Agenzia, secondo quanto disposto dall'articolo 36, comma 5, della legge n. 111 del 15 luglio 2011, siano incluse anche le risorse con rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato, permettendo di superare le criticità relative all'operatività di IVCA e al personale precario della medesima.
(7-00665) «Muro, Di Biagio».

TESTO AGGIORNATO AL 28 LUGLIO 2011

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:

GUIDO DUSSIN, NEGRO, LANZARIN e BITONCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
gli eccezionali eventi alluvionali del 31 ottobre-2 novembre 2010, che hanno colpito la regione Veneto, hanno creato ingenti danni alle opere pubbliche, ai privati e alle aziende, richiedendo uno straordinario sostegno da parte del Governo per permettere il ritorno alle normali condizioni di vita;
il Governo ha emanato provvedimenti immediati per far fronte agli eventi alluvionali, tra i quali l'ordinanza n. 3906 del 13 novembre 2010, che ha disposto uno stanziamento di 300 milioni di euro per fronteggiare i danni alle persone e ai beni mobili e immobili;
successivamente, con decreto-legge n. 225 del 2010, è stata autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per ciascuno

degli anni 2011 e 2012, per la regione del Veneto, al fine di finanziare le spese conseguenti allo stato di emergenza;
come anticipato il Governo in risposta all'interrogazione n. 3-01674, con l'ordinanza n. 3943 del 25 maggio 2011 sono stati riconsiderati i limiti di 1.000 e 3.500 euro, come riferiti al valore complessivo dei beni danneggiati, in tal modo rispondendo alle numerosissime richieste di contributo riferite a danni a beni mobili registrati e non registrati la cui spesa per la riparazione o il riacquisto sia stata di importo inferiore a 1.000 e 3.500 euro riferiti, rispettivamente a privati e attività produttive;
restano ancora da risolvere altre importanti problematiche per non vanificare le aspettative dei cittadini di ricevere un contributo per i danni subiti dall'alluvione;
in particolare l'articolo 4, comma 7 (per i soggetti privati) e l'articolo 5, comma 1, lettera d) (per le attività produttive) dell'ordinanza n. 3906 del 2010, e successive modificazioni e integrazioni, prevedono la possibilità di erogare un contributo, fino al 75 per cento del danno, per beni mobili registrati distrutti o danneggiati, sulla base delle spese fatturate per la riparazione, o in caso di rottamazione, sulla base del valore complessivo dei beni per un importo non inferiore a 500 euro per i soggetti privati e attività produttive;
tra le fattispecie di danno ammissibili a contributo ai sensi dell'ordinanza 3906 del 2010, non è prevista la radiazione dei beni mobili registrati, ma solo la rottamazione o la riparazione;
l'interpretazione restrittiva dell'ordinanza 3906 del 2010 ha reso impossibile erogare contributi per le automobili radiate, determinando tale esclusione notevoli danni sia ai cittadini che alle imprese colpiti dalla grave calamità dell'autunno scorso, nonché un'evidente disparità di trattamento tra soggetti danneggiati dall'alluvione;
secondo la risposta del Governo all'interrogazione n. 3-01674, tale interpretazione restrittiva è dovuta alla difficoltà di dimostrare il nesso di causalità tra l'evento alluvionale e il danno subito, nonché alla difficoltà di riconoscere un quid pluris al prezzo liberamente e autonomamente pattuito dalle parti in occasione della radiazione, non essendo sufficiente la circostanza che il bene sia stato danneggiato dall'evento calamitoso;
tuttavia, possono essere individuate soluzioni per constatare lo stato dei beni mobili registrati radiati a seguito dell'alluvione, similarmente a quanto avviene nel caso di rottamazione, come ad esempio attraverso la documentazione fotografica, l'acquisizione delle necessarie autodichiarazioni e il rigoroso accertamento del nesso di causalità, consentendo quindi l'ammissibilità a contributo in ipotesi di radiazione dei beni mobili registrati, con decurtazione della somma eventualmente percepita;
la rottamazione e la riparazione non sono, quindi, le uniche circostanze che offrono la prova certa che il danno sia derivato dall'alluvione; al cittadino è stata chiesta la prova del danno con la produzione di foto, di autodichiarazione e di eventuale perizia di esperto; è evidente che tale prova può essere data dal cittadino anche per le vetture alluvionate che sono state radiate; in tal caso, la documentazione fotografica e l'autodichiarazione possono essere integrate anche con una dichiarazione del richiedente il contributo circa l'antieconomicità della riparazione stessa;
il contributo da erogarsi, secondo i parametri previsti, può essere calcolato sulla base del valore che sarebbe stato attribuito al veicolo in caso di rottamazione o di quello desunto da listini correnti con riferimento al momento dell'evento alluvionale;
appare pertanto necessario prevedere l'ammissibilità a contributo in caso di radiazione, sussistendo anche in tale ipotesi l'evidenza di un danno derivante dall'alluvione;

eventuali astuzie e false dichiarazioni sulla causa del danno possono comunque verificarsi anche nei casi della rottamazione e pertanto tali circostanze non possono diventare il motivo dell'esclusione dall'ammissibilità a contributo anche degli onesti cittadini;
la crisi post alluvione che ha colpito i cittadini e le imprese della regione Veneto rende improrogabile la necessità di accogliere le sopracitate modifiche -:
quali iniziative immediate il Governo intenda adottare per integrare l'ordinanza n. 3906 del 13 novembre 2010, allo scopo di risolvere le questioni evidenziate nelle premesse, prevedendo la possibilità di erogare contributi in relazione ai danni subiti da beni mobili registrati per i quali sia avvenuta la radiazione, al fine di rendere veramente possibile il ritorno alle normali condizioni di vita per i cittadini colpiti dall'alluvione.
(5-05193)

MARIANI e BRAGA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
in questa legislatura si sono verificati numerosi eventi calamitosi, causati prevalentemente dalle precipitazioni atmosferiche di particolare intensità, che hanno interessato vaste aree del Paese, causando diverse vittime, nonché ingenti danni alle infrastrutture ed alle attività produttive;
gli episodi di maggiore rilievo hanno riguardato le regioni Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Veneto, Marche, Calabria e Basilicata;
la frequenza con cui si sono manifestati gli eventi calamitosi è aggravata dall'incuria e da una gestione dissennata dei suoli e dei bacini idrografici, nonché dall'assenza di una seppur minima politica di pianificazione, manutenzione e prevenzione sul territorio;
a rendere ancora più incerto e preoccupante il quadro, si aggiunge la scelta politica del Governo di ridurre gli stanziamenti destinati alla tutela dal rischio idrogeologico, creando non pochi dubbi sulla reale disponibilità di risorse per la costruzione, sistemazione, riparazione e manutenzione di opere idrauliche e per interventi di sistemazione del suolo e per le necessità più urgenti in caso di pubbliche calamità;
in questa situazione di incertezza si collocano le ordinanze emanate dalla protezione civile per ogni singolo evento in modo da poter gestire le situazioni emergenziali - finalizzate prevalentemente agli interventi di messa in sicurezza del territorio ed al ripristino delle strutture lesionate - per la cui attuazione è necessario che le risorse individuate nelle singole ordinanze siano effettivamente disponibili ed utilizzabili -:
quale sia lo stato di ripartizione ed effettiva erogazione delle risorse finanziarie stabilite nelle ordinanze della protezione civile relative agli eventi calamitosi che si sono verificati negli ultimi anni nell'intero territorio nazionale.
(5-05194)

PIFFARI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il volontariato di Protezione civile è divenuto, negli ultimi anni, un fenomeno nazionale che ha assunto caratteri di partecipazione e di organizzazione particolarmente significativi;
dall'alluvione di Firenze del 1966 passando dai terremoti del Friuli e dell'Irpinia fino alle recenti calamità che hanno colpito il nostro paese è iniziata l'ascesa del volontariato di Protezione civile;
negli ultimi dieci anni, il legislatore nazionale ha riconosciuto il valore del volontariato associato (legge quadro n. 266 del 1991), come espressione di solidarietà, partecipazione e pluralismo, incoraggiandone e sostenendone sia la cultura che lo sviluppo organizzativi;
nel 1992 fu istituito, con la legge n. 225 del 1992, il servizio nazionale della protezione civile, anche alle organizzazioni

di volontariato è stato espressamente riconosciuto il ruolo di «struttura operativa nazionale», parte integrante del sistema pubblico, alla stregua delle altre componenti istituzionali, come il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le Forze armate, le Forze di polizia, il Corpo forestale dello Stato, e altri contribuendo al nascere di una identità nazionale del volontariato di protezione civile;
le riforme sul decentramento amministrativo decreto legislativo n. 112 del 1998, in seno alle autonomie locali (regioni, province e comuni) e il decreto del Presidente della Repubblica n. 194 dell'8 febbraio 2001, hanno posto l'obiettivo di creare in ogni territorio un servizio di pronta risposta alle esigenze della protezione civile, in grado di operare integrando, se del caso, con gli altri livelli di intervento previsti nell'organizzazione del sistema nazionale della protezione civile (sussidiarietà verticale), valorizzando al massimo le forze della cittadinanza attiva ed organizzata presente in ogni comune d'Italia (sussidiarietà orizzontale), in piena integrazione con le forze istituzionali presenti sul territorio;
al momento, nell'elenco nazionale del dipartimento della protezione civile sono iscritte circa duemila cinquecento organizzazioni (tra le quali i cosiddetti «gruppi comunali» sorti in alcune regioni italiane), per un totale di oltre un milione e trecentomila volontari disponibili tra associazioni a carattere nazionale e di locali, queste ultime tra di loro coordinate sul territorio di comuni, province e regioni, in modo da formare, in caso di necessità, un'unica struttura;
all'interno delle organizzazioni di volontariato esistono tutte le professionalità della società moderna, insieme a tutti i mestieri e specifiche specializzazioni, quali i gruppi di cinofili e subacquei, i gruppi di radioamatori, gli speleologi, il volontariato per l'antincendio boschivo;
il ruolo insostituibile assunto oggi dal volontariato di protezione civile, nel suo ruolo di custode naturale di ciascun territorio e forza civile di tutela e protezione di ciascuna comunità, merita non solo un pieno riconoscimento, ma anche un crescente sostegno pubblico per le dotazioni di mezzi, di materiali, di attrezzature, di formazione, preparazione e aggiornamento, tanto necessarie per l'ottimale utilizzo delle energie che vengono offerte in aiuto della collettività -:
se non ritenga opportuno investire parte delle risorse destinate alla protezione civile per creare un fondo dedicato a progetti speciali rivolti a potenziare e migliorare l'infrastrutturazione e le dotazioni materiali e professionali per il volontariato territoriale.
(5-05195)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

GARAGNANI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
si fa riferimento al recente episodio di intolleranza accaduto a Bologna, ove una giovane immigrata pachistana di appena 16 anni, ha tentato il suicidio per reagire alle minacce e percosse del padre che la voleva obbligare a sposare un connazionale a lei sconosciuto;
al di la del fatto singolo al quale sta provvedendo la procura dei minori per le evidenti implicazioni giudiziarie, l'interrogante sottolinea che quanto accaduto è molto più diffuso di quanto non si creda in presenza di un clima culturale tipico di una certa sinistra presente da sempre a Bologna che tende a sottovalutare o sminuire questi episodi di fanatismo presenti nelle famiglie di immigrati mussulmani in nome di una presunta tolleranza o comprensione di usi e costumi diversi dai nostri, (Ci sarebbe molto da dire per il passato circa episodi di mancata applicazione della legge Bossi Fini da parte di alcuni settori della magistratura bolognese, oggetto di numerose interpellanze del sottoscritto);
a parole tutti si dichiarano contrari alla violazione della legge italiana ed alle

disposizioni concernenti il diritto di famiglia, nella realtà quotidiana si assiste ad una colpevole comprensione di atteggiamenti illegali in nome di quella presunta tolleranza che nella realtà dei fatti spesso diventa colpevole indulgenza verso comportamenti lesivi della dignità della donna e dei diritti fondamentali della persona;
le stesse affermazioni del presidente del tribunale dei minori pure improntate ad una esplicita volontà di protezione della giovane pachistana, si prestano ad un equivoco culturale potenzialmente devastante per una reale integrazione, là dove dice: «(...) Serve prudenza e intelligenza, qui c'è un problema culturale ma una cosa è certa: la sedicenne non farà ciò che vuole la famiglia contro la sua volontà». Il sottoscritto non intende certo fare un processo alle intenzioni, ma è indubbio che certe affermazioni se non sufficientemente chiarite si prestano ad equivoci stante anche il clima culturale di falsa integrazione che caratterizza Bologna ed altre realtà emiliano romagnole governate dalla sinistra -:
quali iniziative intenda adottare per arginare il triste fenomeno delle ragazze bambine vittime di matrimoni combinati, ripristinando a tutti gli effetti il primato della legge italiani e l'assoluto obbligo per gli immigrati di rispettarla, condizione questa essenziale per una ordinata convivenza ed integrazione che non può prescindere dal rispetto della tradizione culturale e religiosa del popolo italiano.
(5-05200)

BARETTA e LENZI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi, con grande enfasi mediatica si è tenuta alla presenza del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa e del Ministro del turismo e di circa duecento sostenitori di parte, l'inaugurazione delle rispettive sedi ministeriali all'interno della Villa Reale di Monza;
secondo quanto riportano le cronache di tale evento, in risposta alle prime obiezioni circa i costi per l'amministrazione statale di siffatta iniziativa, il Ministro per le riforme per il federalismo, confermato dal Ministro per la semplificazione normativa, avrebbe dichiarato di aver pagato di tasca propria le scrivanie che al momento rappresenterebbero, oltre a targhe e simboli di partito, gli unici elementi di arredo di tali uffici che, pertanto, non sono ancora operativi;
i giornali riportano la notizia secondo cui sarebbero stati già varati i decreti ministeriali relativi ai Ministeri per la semplificazione normativa, delle riforme per il federalismo e del turismo, in base ai quali si tratterebbe di «rappresentanze operative e con funzioni di sportello per i cittadini», la cui realizzazione non dovrà comportare maggiori oneri a carico dello Stato;
quest'ultimo aspetto suscita diversi dubbi in quanto si presume che dovrà esservi destinato del personale dei rispettivi dicasteri, dovranno essere allestite apparecchiature e utenze, ci saranno spese di rappresentanza cosi come degli oneri per l'utilizzo delle sedi;
in una fase in cui sono stati già imposti severi interventi di razionalizzazione della spesa delle amministrazioni statali, una iniziativa che inevitabilmente moltiplica i costi delle amministrazioni ministeriali appare agli interroganti irragionevole e non rispondente alle reali esigenze di un'efficiente organizzazione e trasparenza nella gestione della cosa pubblica;
anche l'idea che la vicinanza con le diverse realtà territoriali del Paese possa essere risolta con l'apertura di piccoli uffici nel comune di Monza denota, secondo gli interroganti un'idea piuttosto provinciale, legata esclusivamente agli interessi politico-elettoralistici di una componente della compagine governativa, lasciando

tutto il resto del Paese privo della possibilità di disporre di strutture analoghe. Come si vede, tale iniziativa non potrebbe che innescare un'esponenziale proliferazione di sedi e uffici in tutte le regioni italiane, con inevitabili costi aggiuntivi e disfunzioni operative;
non sono note le reali caratteristiche degli uffici ministeriali inaugurati nella Villa Reale di Monza, sia in termini di funzioni sia per quanto concerne le dotazioni di personale, le relative dotazioni e strumentazioni e la loro operatività;
si dice che le prime spese per l'allestimento di detti uffici siano state sopportate personalmente dai Ministri interessati e ci si chiede se tale procedura sia compatibile con il quadro normativo che regola il funzionamento delle amministrazioni pubbliche e diversamente a quanto ammontino gli oneri per le finanze pubbliche e a quali voci di copertura si riferiscano -:
quali siano i costi per singolo Ministero e come si intenda intervenire per assicurare che, dall'operazione complessiva, compresi i costi per i trasferimenti periodici del personale politico e dei relativi staff, non derivino nuove spese per il bilancio dello Stato essendo incomprensibili le ragioni per cui si è deciso di dar corso ad una iniziativa che finisce per assecondare le aspettative di una sola realtà territoriale o, addirittura, di una sola amministrazione comunale.
(5-05205)

Interrogazioni a risposta scritta:

DI STANISLAO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (New York 1989) afferma chiaramente la centralità della famiglia unico ambiente in grado di garantire al minore uno sviluppo psico-fisico equilibrato (preambolo);
gli istituti di protezione dell'infanzia sono regolati in Italia dalla legge n. 183 del 1984 e successive modifiche: affidamento, adozione nazionale e adozione internazionale si collocano in una posizione fra loro gerarchica che vede il primo come soluzione temporanea volta al rientro nella famiglia d'origine e, nell'adozione, una soluzione alternativa ma stabile, rispondendo tale stabilità al superiore interesse del minore;
l'adozione internazionale, in particolare, è stata regolamentata dalla legge n. 476 del 1998 di «ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l'Aja, il 29 maggio 1993»;
tra i princìpi che reggono questa Convenzione, quello cosiddetto di sussidiarietà, secondo cui l'adozione internazionale deve essere di regola applicata solo laddove non esista nessun'altra possibilità per il minore senza famiglia di essere accolto nel proprio Paese;
con la ratifica della Convenzione dell'Aja del 1993 l'impegno degli Stati, d'altra parte, è sia quello di «adottare, con criterio di priorità, misure appropriate per consentire la permanenza del minore nella famiglia d'origine» sia quello di considerare che «l'adozione internazionale può offrire l'opportunità di dare una famiglia permanente a quei minori per i quali non può essere trovata una famiglia idonea nel loro Stato di origine» (Preambolo);
i Paesi che hanno ratificato le citate convenzioni sarebbero dunque tenuti ad agire, da un lato, per la prevenzione dell'abbandono minorile e, dall'altro per il suo superamento mettendo in piedi dei sistemi che, nel caso in cui il rientro nella famiglia d'origine non sia realizzabile oppure sia contrario all'interesse del minore, consentano l'accoglienza dei minori in un ambiente familiare definitivo;
per questa accoglienza alternativa, in assenza di famiglie adottive nel Paese di origina, deve essere attivata la procedura

di adozione all'estero: come spiegato nelle linee guida sull'applicazione della Convenzione del 1993 pubblicate dalla Conferenza de L'Aja di diritto internazionale privato nel 2008, infatti, «le soluzioni nazionali come il mantenimento permanente del minore in un istituto o in numerose famiglie affidatarie temporanee non possono, nella maggioranza dei casi, essere considerate come delle soluzioni preferibili all'adozione internazionale. In questo contesto, l'istituzionalizzazione è considerata come l'ultima delle soluzioni» (si veda la guida citata cap. 2, paragrafo 2.1.1 «Sussidiarietà», comma 53);
il principio di sussidiarietà, dunque, unitamente al principio del superiore interesse del minore di cui all'articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, comporta l'obbligo degli Stati di compiere ogni sforzo affinché i minori dichiarati adottabili vengano accolti in una famiglia;
pertanto, un Paese membro della Convenzione e rispettoso dei diritti dell'infanzia dovrebbe consentire l'adozione dei minori presenti sul proprio territorio da parte di chi è residente all'estero, quando risulta accertato che ogni altra strada per trovare una famiglia in Italia è stata percorsa senza successo;
in Italia, stando alla relazione, trasmessa alla Camera dei deputati il 1o settembre 2010, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministro della giustizia, sullo stato di attuazione della legge 28 marzo 2001, n. 149 che concerne modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184, in materia di affidamento e adozione, - sono oltre 32 mila i minori che vivono in Italia fuori dalla propria famiglia d'origine, e tra questi circa 16 mila vivono in comunità anche per tempi prolungati;
infatti, stando al rapporto citato - che prende spunto dai dati diffusi dall'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza con riferimento al 31 dicembre 2007 - circa il 57 per cento dei minori accolti nelle diverse strutture affidatane vi soggiorna per un periodo superiore a due anni e addirittura il 37 per cento vi «sosta» per più di quattro anni, con la conseguenza che l'affido, da misura temporanea, viene di fatto applicato in molti casi in Italia in via definitiva;
pur mancando allo stato la banca dati per i minori adottabili, secondo una ricognizione sommaria effettuata dal Ministero della giustizia, dipartimento per la giustizia minorile, e riportata su un documento del 17 marzo 2008, erano almeno 191 i minori dichiarati adottabili da almeno sei mesi per cui nessuna famiglia adottiva è stata trovata in Italia; questo dato è stato successivamente confermato dallo stesso capo dipartimento della giustizia minorile nel corso di una audizione presso la Commissione bicamerale infanzia in data 4 maggio 2010;
i minori che non riescono a trovare una famiglia adottiva in Italia nella maggioranza dei casi appartengono alla categoria dei cosiddetti bisogni speciali, trattandosi di gruppi di fratelli, di adolescenti o di minori con disabilità o problemi di salute;
per tale «categoria» di minori la Conferenza permanente di diritto internazionale privato de L'Aja, che ha pubblicato le citate linee guida del 2008 sull'applicazione della Convenzione de L'Aja del 1993 in materia di adozione internazionale, ha invitato gli Stati membri ad aumentare gli sforzi tesi a garantire il diritto di vivere in una famiglia e a «promuovere il collocamento nazionali internazionale» (si veda il capitolo 7, paragrafo 7.3.1);
in Italia non è mai stata attivata la procedura di cui Capo II della legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 476 del 1998, articoli 40 e seguenti «Dell'espatrio di minori a scopo di adozione»;
secondo tale disciplina nel caso di adozione di un minore stabilmente residente in Italia da parte di cittadini italiani o stranieri residenti stabilmente in Paesi che hanno ratificato la Convenzione è previsto l'intervento dell'autorità centrale

straniera e degli enti autorizzati, mentre nei caso di adozione verso Paesi che non hanno ratificato, le medesime funzioni sono attribuite al consolati ed eventualmente svolte da enti da questi delegati;
nel caso di richiedenti stranieri (e potrebbe trattarsi anche di una coppia plurinazionale: uno del coniugi italiano e l'altro straniero) in applicazione della legge n. 218 del 1995 «... sussiste la giurisdizione italiana quando l'adottando è un minore in abbandono in Italia» (articolo 40, comma 5) e si applica la legge italiana quando è richiesta l'adozione di un minore «... idonea ad attribuirgli lo stato di figlio legittimo» (articolo 38), dal che discende la giurisdizione e competenza dei tribunali nazionali per questo tipo di procedura;
tale procedura necessita dunque di un coordinamento da parte della Commissione per le adozioni internazionali che regolamenta e controlla l'operato degli enti italiani;
l'attivazione della procedura indicata non comporta alcun onere per lo Stato italiano, mentre al contrario, secondo la relazione 2010 dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e della giustizia sopra citata, (che richiama i dati ISTAT), la spesa sociale sostenuta dai comuni nell'anno 2006 per l'affidamento familiare e i collocamenti in comunità ammonta a circa 470 milioni di euro e - citando la relazione - «nessuna iniziativa sistematica è stata mai messa in campo a livello nazionale e in forma concordata con le regioni e gli enti locali per avere un riscontro dei processi di esito di questi investimenti e dei lavori di cura che hanno sostenuto»-:
quali siano le motivazioni per cui l'Italia non abbia mai attivato la procedura per consentire che i minori dichiarati adottabili dai tribunali italiani e non adottati in Italia siano adottati da parte di coppie residenti all'estero;
quali siano le ragioni che ostano all'attivazione di tale procedura, considerato che l'accoglienza prolungata presso strutture temporanee - che in certi casi si protrae per l'intera infanzia e adolescenza di molti minori - è innanzitutto contraria al superiore interesse dei minori stessi e al loro diritto di vivere in famiglia ed è inoltre, paradossalmente, un peso per il bilancio degli enti locali.
(4-12827)

SANGA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in occasione del sopralluogo, organizzato con grande risalto mediatico da regione Lombardia, lunedì 25 luglio 2011, al cantiere della nuova autostrada BreBeMi, è stata rimarcata l'importanza, per il rispetto dei tempi di apertura dell'arteria, del via libera al progetto definitivo della Tem, la tangenziale esterna che collegherà la Milano-Brescia alla metropoli;
come ha dichiarato il presidente di BreBeMi spa, Francesco Bettoni, la nuova tangenziale esterna è essenziale. Non possiamo pensare di portare un flusso di traffico di 60/70mila veicoli in uscita dalla nuova autostrada nei campi di Melzo;
il presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni, ha pubblicamente sollecitato «l'immediata convocazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica, in modo da accelerare i tempi»;
il Viceministro alle infrastrutture, Roberto Castelli, ha ammesso che «la Lombardia e la BreBeMi viste da Roma sono molto lontane» e «non si capisce perché ci sia indifferenza verso quest'opera che crea posti di lavoro e sviluppo» -:
quali iniziative il Governo intenda assumere, con urgenza, per convocare il Cipe e inserire all'ordine del giorno il progetto definitivo della Tem;
quali iniziative si intendano attuare al fine di assicurare, dopo anni di attesa, il rispetto dei tempi di completamento dei

lavori e di apertura della nuova autostrada BreBeMi prevista per la prima metà del 2013.
(4-12830)

FUCCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'ISTAT ha pubblicato, lo scorso 15 luglio, un report dal titolo: «La povertà in Italia», nel quale emerge che, l'anno scorso, sono state 2 milioni 734 mila le famiglie in condizione di povertà relativa (l'11 per cento delle famiglie residenti), per un totale di 8 milioni 272 mila individui poveri (il 13,8 per cento dell'intera popolazione);
l'indice è particolarmente accentuato nell'ambito della famiglie numerose e, a livello territoriale, indica una forte incidenza nel Mezzogiorno, il che deve farci riflettere anche sui danni che ciò causa in direzione di un'inversione di tendenza nel saldo demografico italiano da tempo negativo;
le politiche a favore della famiglia, che sono un argomento di grande attualità, devono certamente andare nel senso di porre argine al fenomeno messo in evidenza dalle statistiche attraverso politiche organiche e complessive di carattere socio-assistenziale in grado di intervenire nelle situazioni di maggiore disagio sociale -:
quali iniziative, per quanto di competenza del Governo, siano in corso di attuazione o siano di imminente avvio in merito a quanto esposto in premessa.
(4-12835)

DI BIAGIO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (New York 1989) nel preambolo afferma chiaramente la centralità della famiglia unico ambiente in grado di garantire al minore uno sviluppo psico-fisico equilibrato;
gli istituti di protezione dell'infanzia sono regolati in Italia dalla legge n. 183 del 1984 e successive modifiche: affidamento, adozione nazionale e adozione internazionale si collocano in una posizione fra loro gerarchica che vede il primo come soluzione temporanea volta al rientro nella famiglia d'origine e, nell'adozione, una soluzione alternativa ma stabile, rispondendo tale stabilità al superiore interesse del minore;
l'adozione internazionale, in particolare, è stata regolamentata dalla legge n. 476 del 1998 di «ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l'Aja, il 29 maggio 1993»;
tra i principi che reggono questa Convenzione, vi è quello cosiddetto di sussidiarietà, secondo cui l'adozione internazionale deve essere di regola applicata solo laddove non esista nessun'altra possibilità per il minore senza famiglia di essere accolto nel proprio Paese;
con la ratifica della Convenzione dell'Aja del 1993 l'impegno degli Stati, d'altra parte, è sia quello di «adottare, con criterio di priorità, misure appropriate per consentire la permanenza del minore nella famiglia d'origine» sia quello di considerare che «l'adozione internazionale può offrire l'opportunità di dare una famiglia permanente a quei minori per i quali non può essere trovata una famiglia idonea nel loro Stato di origine» (Preambolo);
i Paesi che hanno ratificato le citate convenzioni sarebbero dunque tenuti ad agire, da un lato, per la prevenzione dell'abbandono minorile e, dall'altro, per il suo superamento, mettendo in piedi dei sistemi che, nel caso in cui il rientro nella famiglia d'origine non sia realizzabile oppure sia contrario all'interesse del minore, consentano l'accoglienza dei minori in un ambiente familiare definitivo;

per questa accoglienza alternativa, in assenza di famiglie adottive nel Paese di origine, deve essere attivata la procedura di adozione all'estero: come spiegato nelle linee guida sull'applicazione della Convenzione del 1993 pubblicate dalla Conferenza de L'Aja di diritto internazionale privato nel 2008, infatti, «le soluzioni nazionali come il mantenimento permanente del minore in un istituto o in numerose famiglie affidatarie temporanee non possono, nella maggioranza dei casi, essere considerate come delle soluzioni preferibili all'adozione internazionale. In questo contesto, l'istituzionalizzazione è considerata come l'ultima delle soluzioni (confronta guida citata cap. 2, paragrafo 2.1.1 «Sussidiarietà», comma 53);
il principio di sussidiarietà, dunque, unitamente al principio del superiore interesse del minore di cui all'articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, comporta l'obbligo degli Stati di compiere ogni sforzo affinché i minori dichiarati adottabili vengano accolti in una famiglia;
pertanto, un Paese membro della Convenzione e rispettoso dei diritti dell'infanzia dovrebbe consentire l'adozione dei minori presenti sul proprio territorio da parte di chi è residente all'estero, quando risulta accertato che ogni altra strada per trovare una famiglia in Italia è stata percorsa senza successo;
in Italia, stando alla relazione, trasmessa alla Camera dei deputati il 1o settembre 2010, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministro della giustizia, sullo stato di attuazione della legge 28 marzo 2001, n. 149, che concerne modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184, in materia di affidamento e adozione, sono oltre 32 mila i minori che vivono in Italia fuori dalla propria famiglia d'origine, e tra questi circa 16 mila vivono in comunità anche per tempi prolungati;
infatti, stando al rapporto citato - che prende spunto dai dati diffusi dall'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza con riferimento al 31 dicembre 2007 - circa il 57 per cento dei minori accolti nelle diverse strutture affidatarie vi soggiorna per un periodo superiore a due anni e addirittura il 37 per cento vi «sosta» per più di quattro anni, con la conseguenza che l'affido, da misura temporanea, viene di fatto applicato in molti casi in Italia in via definitiva;
pur mancando allo stato la banca dati per i minori adottabili, secondo una ricognizione sommaria effettuata dal Ministero della giustizia, dipartimento per la giustizia minorile, e riportata su un documento del 17 marzo 2008, erano almeno 191 i minori dichiarati adottabili da almeno sei mesi per cui nessuna famiglia adottiva è stata trovata in Italia; questo dato è stato successivamente confermato dallo stesso capo dipartimento della giustizia minorile nel corso di una audizione presso la Commissione bicamerale infanzia in data 4 maggio 2010;
i minori che non riescono a trovare una famiglia adottiva in Italia nella maggioranza dei casi appartengono alla categoria dei cosiddetti bisogni speciali, trattandosi di gruppi di fratelli, di adolescenti o di minori con disabilità o problemi di salute;
per tale «categoria» di minori la Conferenza permanente di diritto internazionale privato de L'Aja, che ha pubblicato le citate linee guida del 2008 sull'applicazione della Convenzione de L'Aja del 1993 in materia di adozione internazionale, ha invitato gli Stati membri ad aumentare gli sforzi tesi a garantire il diritto di vivere in una famiglia e a «promuovere il collocamento nazionale e internazionale»;
in Italia non è mai stata attivata la procedura di cui al Capo II della legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 476 del 1998, articolo 40 e seguenti «Dell'espatrio di minori a scopo di adozione»;
secondo tale disciplina nel caso di adozione di un minore stabilmente residente in Italia da parte di cittadini italiani o stranieri residenti stabilmente in Paesi

che hanno ratificato la Convenzione è previsto l'intervento dell'autorità centrale straniera e degli enti autorizzati, mentre nel caso di adozione verso Paesi che non hanno ratificato, le medesime funzioni sono attribuite ai consolati ed eventualmente svolte da enti da questi delegati;
nel caso di richiedenti stranieri (e potrebbe trattarsi anche di una coppia plurinazionale: uno dei coniugi italiano e l'altro straniero) in applicazione della legge n. 218 del 1995 «...sussiste la giurisdizione italiana quando l'adottando è un minore in abbandono in Italia» (articolo 40, comma 5) e si applica la legge italiana quando è richiesta l'adozione di un minore «...idonea ad attribuirgli lo stato di figlio legittimo» (articolo 38), dal che discende la giurisdizione e competenza dei tribunali nazionali per questo tipo di procedura;
tale procedura necessita dunque di un coordinamento da parte della Commissione per le adozioni internazionali che regolamenta e controlla l'operato degli enti italiani;
l'attivazione della procedura indicata non comporta alcun onere per lo Stato italiano, mentre al contrario, secondo la relazione 2010 dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e della giustizia sopra citata, (che richiama i dati ISTAT), la spesa sociale sostenuta dai comuni nell'anno 2006 per l'affidamento familiare e i collocamenti in comunità ammonta a circa 470 milioni di euro e - citando la relazione - «nessuna iniziativa sistematica è stata mai messa in campo a livello nazionale e in forma concordata con le Regioni e gli enti locali per avere un riscontro dei processi di esito di questi investimenti e dei lavori di cura che hanno sostenuto» -:
quali siano le ragioni della mancata attivazione della procedura finalizzata a consentire che i minori dichiarati adottabili dai tribunali italiani e non adottati in Italia siano adottati da parte di coppie residenti all'estero e quali siano le ragioni che ostano all'attivazione di tale procedura, considerato che l'accoglienza prolungata presso strutture temporanee - che in certi casi si protrae per l'intera infanzia e adolescenza di molti minori - è innanzitutto contraria al superiore interesse dei minori stessi e al loro diritto di vivere in famiglia ed è inoltre, paradossalmente, un peso per il bilancio degli enti locali.
(4-12845)

DI STANISLAO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
contestualmente agli appelli dell'Unicef e della principale organizzazione non governativa sulla gravissima carestia che ha colpito il Corno d'Africa che sta mettendo a rischio fame circa mezzo milione di bambini, emergono i dati del traffico di armi illecite verso l'Africa;
la denuncia è che in questi affari troppi Governi africani sperperano risorse necessarie a combattere la fame, la siccità, i cambiamenti climatici ed il sottosviluppo, spesso ripagando così con gli interessi gli «aiuti» forniti dai Paesi «amici»;
intervenendo nel quadro di una manifestazione co-organizzata da Amnesty international al seggio delle Nazioni unite giovedì 14 luglio, Seydi Gassama, direttore della sezione senegalese di Amnesty international, ha dichiarato: «Le armi importate illegalmente fanno delle devastazioni in Africa. È solo quando gli Stati si impegnano a dar prova di trasparenza attraverso più stringenti misure di conformità, che il trattato sul commercio delle armi potrà migliorare la vita degli uomini e delle donne nel Continente»;
l'annuale relazione della Presidenza del Consiglio dei ministri sul commercio dei materiali di armamento (pubblicata, nella sua interezza, il 17 maggio 2011) conferma di nuovo che le armi, vendute anche ai Paesi in via di sviluppo, costituiscono un settore attivo e spesso predominante nel mercato del credito;
nel 2010, il Ministero dell'economia e delle finanze ha autorizzato 1.602 transazioni bancarie il cui valore complessivo è

stato di circa 3 miliardi e mezzo di euro. Di queste transazioni, 943 si riferiscono ad autorizzazioni a operazioni di esportazione definitiva di materiali di armamento, per un ammontare poco superiore ai 3 miliardi di euro;
Gruppo Bnp Paribas (che comprende Bnp Paribas, Bnl e Fortis), è al primo posto nella classifica delle «banche armate» con 959,3 milioni di euro, pari al 31,49 per cento del totale;
dalle tabelle pubblicate, l'azienda italiana che ha incassato più denaro nel 2010 è stata l'Agusta spa, del gruppo Finmeccanica, con 823 milioni 823 mila euro: il 27,04 per cento del totale. Al secondo posto c'è l'azienda aerospaziale Avio Spa, con 433 milioni 815 mila euro (14,24 per cento) e al terzo sempre un'azienda Finmeccanica, la Whitehead Alenia Sistemi Subacquei (Wass), con 274 milioni 817 mila euro pari al 9,02 per cento);
in Italia ammontano a 434 milioni di euro le transazioni bancarie connesse al trasferimento nel 2010 di armi italiane in Africa. Algeria, Libia ed Egitto in testa alla classifica dei Paesi. Bnp Paribas in vetta a quella delle banche;
nelle tabelle la percentuale dell'Africa nelle transazioni bancarie legate al trasferimento definitivo di armi italiane all'estero, è a doppia cifra: 14,26 per cento. Spiccano l'Algeria a quota 8 per cento, Libia (99,3 milioni; 3,26 per cento) ed Egitto (21,9 milioni, 0,72 per cento), quest'ultimi attualmente terre di rivolte e conflitti interni);
anche la delegazione della Santa Sede all'ONU è intervenuta alla terza sessione dell'assemblea ONU, che si è svolta tra l'11 e il 15 luglio 2011, dedicata alla preparazione del Trattato sul commercio delle armi che si vorrebbe votare ad una Conferenza prevista nel 2012, sostenendo che le armi non possono essere trattate come qualsiasi altra merce;
non è in dubbio che la proliferazione di qualunque tipo di armi incoraggia guerre locali, violenza urbana e uccide ogni giorno troppe persone nel mondo e pertanto la comunità internazionale deve adottare uno strumento legale contro il traffico illecito con standard riconosciuti e approvati a livello internazionale;
l'importante processo che l'ONU sta portando avanti in sostanza dal 2006 per arrivare all'adozione di un Trattato sul commercio delle armi entro il 2012 tende a promuovere criteri vincolanti per regolare il commercio di armi e munizioni come anche il commercio degli strumenti tecnologici per la loro produzione;
non tende a placarsi l'esportazione di armi italiane a nazioni in conflitto, Governi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, Stati pesantemente indebitati che spendono ingenti risorse per gli apparati militari e verso i paesi del Sud del mondo (proprio questi, anzi, negli ultimi anni ne sono diventati i principali destinatari);
l'export militare sta diventando sempre di più esclusivamente un business per banche ed aziende produttrici, ma dall'altro lato aumenta sofferenze, conflitti, disordini, violazioni dei diritti umani, crisi umanitarie, crimini e terrore -:
se il Governo non ritenga di dover immediatamente arginare con maggiori controlli e restrizioni l'esportazione di armi italiane in quei Paesi, come l'Africa, il cui impatto negativo rallenta lo sviluppo integrale dei popoli che parallelamente dichiara di sostenere con gli aiuti umanitari e la cooperazione allo sviluppo;
se e come l'Italia partecipi al processo avviato dall'ONU per adottare il Trattato sul commercio delle armi che regolerebbe anche il loro traffico illecito.
(4-12854)

BERTOLINI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della gioventù. - Per sapere - premesso che:
da un articolo di stampa dell'11 luglio 2011 si apprende un notizia sconcertante:

una bambina, che oggi ha 9 anni, di Bari, è ridotta a vivere in una situazione di degrado terribile;
la bambina, nell'ottobre del 2009, scomparve e a dare l'allarme furono i genitori, il papà di 57 anni, invalido civile e disoccupato, e la mamma di 46 anni, con problemi psichici, che percepisce una pensione con cui mantiene la famiglia;
gli agenti del 112 e del 113 trovarono la bambina, dopo una serie di ricerche con lampadine tascabili, perché in casa la corrente non c'era, chiusa in un armadio in mezzo ad escrementi e materassi sporchi, che dormiva abbracciata al suo cagnolino;
gli agenti si accorsero con sconcerto che la bambina non parlava, ma abbaiava come il suo cane e mangiava in una ciotola posta sul pavimento;
a seguito di ricovero in ospedale, per un sospetto di scabbia e pidocchi, fu affidata ad una casa famiglia ove tutt'ora vive: va a scuola, siede a tavola per mangiare, ma non sa ancora parlare, infatti si esprime solo a gesti;
da questi gesti gli assistenti desumono che abbia subito abusi anche di tipo sessuale;
il pubblico ministero della procura di Bari, Angela Morea, che segue il caso, ha deciso di archiviarlo, perché la bimba non sa parlare e quindi non può sporgere denuncia, senza la quale non si possono perseguire i genitori. Violenza non dimostrabile, in quanto non ci sarebbero lesioni. Mancano le prove, mancano i capi d'imputazione e gli indagati;
si attende ancora la pronuncia del giudice per le indagini preliminari per procedere all'archiviazione, che rappresenterebbe comunque un significativo fallimento della giustizia;
più grave ancora è il fatto che la famiglia era assistita dagli assistenti sociali, che inspiegabilmente non si erano accorti di nulla, come pare di nulla si fosse accorto il sistema scolastico, che pare non avesse rilevato l'esistenza della bambina;
tutta la storia appare, oltreché grave, anche assurda: è capitata a Bari, una tra le città più moderne del sud Italia; tutte le istituzioni che dovevano intervenire non lo hanno fatto, come se fosse impossibile rendere a questa bambina giustizia;
non è accettabile che in una città come Bari possano accadere fatti così tragici, nell'indifferenza generale delle istituzioni preposte -:
se siano a conoscenza di tale fatto;
se non ritengano di intervenire, per quanto di competenza, per verificare le eventuali responsabilità di tutte le istituzioni coinvolte in questa vicenda, a partire dalla scuola;
quali iniziative di competenza intendano assumere sul piano delle politiche sociali e del sostegno alle famiglie per evitare che si verifichino casi di assoluto degrado come quello di cui in premessa.
(4-12861)

MESSINA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la società K ENERGY srl avente sede legale in Siracusa, via del Teatro n, 1, con istanza del 25 maggio 2009 (prot. 20643) indirizzata all'assessore per l'industria, autorità competente al conferimento dei titoli minerari nell'ambito della regione siciliana, ha chiesto che venga ad essa accordato, ai sensi della legge regionale del 3 luglio 2000, n. 14, un permesso di ricerca di risorse geotermiche convenzionalmente denominato «Campo Geotermico di Sciacca», in un'area estesa di 46.000 ettari che interessa i comuni di Bisacquino, Bivona, Burgio, Cala Monaci, Caltabellotta, Cattolica Eraclea, Cianciano, Lucca Sicula, Ribera, Sambuca di Sicilia, Sciacca e Villafranca Sicula;

con nota del 1o aprile 2010, l'assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità avviava la fase di notifica pubblica della richiesta, con successiva registrazione nel Bollettino ufficiale per gli idrocarburi e delle georisorse (BUIG) n. 5 - 31 maggio 2010 e chiusura della procedura di pubblico interesse sulla stessa area di ricerca il 4 agosto;
l'area di ricerca è estesa su una superficie comprendente zone siti di interesse comunitario e zone di protezione speciale e soprattutto il bacino idrotermale di Sciacca, di antica tradizione terapeutica e lo stabilimento delle stufe vaporose di San Calogero, sul Monte Kronio;
l'obiettivo della K Energy è ovviamente quello di stabilire la possibilità di produrre energia elettrica da vapore ad alta pressione in quantità economiche e con produzione continua per un periodo di molti anni. A tal fine, verranno esplorati dei pozzi e sono previsti impianti di perforazione. Se dunque il progetto di ricerca dovesse dare buoni risultati, un'area a naturale vocazione turistico-balneare e termale verrebbe trasformata in un'area industriale;
il progetto del campo geotermico di Sciacca rischia di mettere in pericolo l'integrità del bacino idrotermale. Infatti, come dimostrato nel caso di Santa Rosa in California, lo sfruttamento del bacino idrotermico provoca la riduzione del livello delle acque e la conseguente riduzione della stessa operatività degli eventuali impianti installati. Una simile evenienza, nel caso del bacino idrotermale saccense potrebbe provocare la fine del termalismo, con la riduzione o l'esaurimento delle sorgenti superficiali e profonde e la scomparsa delle stufe vaporose di San Calogero;
ancora più preoccupanti sono i fenomeni sismici associati allo sfruttamento geotermico. Le deformazioni delle rocce causate dalla sottrazione di immense quantità di calore dal sottosuolo possono innescare terremoti. Ad esempio, a Santa Rosa l'attività sismica è aumentata del 60 per cento, nella comunità di Anderson Springs si sono registrate 2562 scosse di cui ben 24 con magnitudo superiore a 4,0. Casi analoghi si sono verificati anche a Basilea in Svizzera. A maggior ragione detto rischio è attuale nella zona di Sciacca, situata nella Valle del Belice, dove ancora dopo 40 anni si vedono gli effetti del terribile terremoto del 1968;
a parere dell'interrogante, il permesso di Sciacca è solo uno degli esempi italiani di una gestione del territorio poco lungimirante e di una mancanza di programmazioni di lungo termine da parte degli amministratori locali. Ciò accade perché la gestione amministrativa e di controllo sui permessi di ricerca e sulle concessioni di coltivazioni è stata quasi completamente delegata alle regioni, prima ancora dell'approvazione di un piano energetico nazionale capace di contemperare le esigenze di sviluppo e di tutela ambientale dei territori -:
quali siano gli elementi e le analisi scientifiche a disposizione del Governo inerenti allo sfruttamento e alle problematicità delle risorse geotermiche;
quali siano gli intendimenti del Governo in merito allo sfruttamento delle risorse geotermiche.
(4-12864)

...

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:

BOSSA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nella notte tra il 23 e il 24 luglio scorsi una nave mercantile italiana di Torre del Greco (Napoli), l'«Anema e core» della Rdb armatori, è stata sequestrata nelle acque del Benin, nel golfo della Guinea;
a bordo, come componenti dell'equipaggio, ci sono venti filippini, un rumeno

(il comandante) e due italiani (primo ufficiale e allievo ufficiale, uno pugliese, l'altro ligure);
la nave mercantile trasportava gasolio per autotrazione, ed è stata sequestrata mentre navigava a 23 miglia a sud di Cotonou. L'allarme, ricevuto alle 2.40 del 24 luglio dal comando generale della guardia costiera, è stato lanciato attraverso il sistema automatico di allarme (Sas) ed è stato confermato dall'ufficiale addetto alla sicurezza della compagnia armatrice;
la capitaneria di porto di Torre del Greco ha provato più volte a mettersi in contatto con l'equipaggio del mercantile, senza successo; analoghi tentativi sono stati fatti dai familiari, che dal momento del sequestro non sono più riusciti a parlare con i loro cari e vivono, chiaramente, ore di profonda angoscia;
ancora nessun contatto tra i pirati e la società armatrice; il comandante della marina del Benin ha riferito che sono in corso pattugliamenti per ricercare la nave;
quello arrivato nella notte tra il 23 e 24 luglio 2011 è il terzo attacco dei pirati alla marineria campana, dopo il sequestro della «Savina Caylyn» (petroliera di un armatore napoletano sequestrata l'8 febbraio scorso a 880 miglia dalla Somalia con i 22 membri di equipaggio, tra cui cinque italiani) e della «Rosalia D'Amato» (assaltata il 21 aprile scorso al largo dell'Oman e trasferita a nord di Mogadiscio, con a bordo 22 uomini tra cui sei italiani). Queste due sono ancora nelle mani dei banditi con sequestri che si trascinano ormai da mesi e tengono le famiglie dei marittimi in condizioni di angosciante attesa -:
se e come e con quali risultati il Ministro degli affari esteri abbia attivato i canali diplomatici a sua disposizione per intervenire sul caso in questione e quali siano le notizie disponibili sulle condizioni dei due italiani sequestrati; quali siano, allo stato, compatibilmente con le esigenze di riservatezza legate al caso, le iniziative che si intendano assumere per la soluzione della delicata vicenda; se e come ci si stia attivando per la soluzione dei precedenti sequestri di navi mercantili italiane di cui non si ha più notizia.
(4-12834)

DI STANISLAO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'Etiopia, la Somalia, il Kenya e il Sud Sudan e adesso anche Burundi, Gibuti, Sud Sudan e Uganda; in sostanza buona parte delle regioni dei Grandi Laghi e del Corno d'Africa si trovano a fronteggiare una crisi che riguarda 11 milioni di persone in un'area delle dimensioni della Francia, colpiti da quella che l'ONU ha definito la peggiore siccità registrata negli ultimi 60 anni;
Oxfam Italia l'ha definita la peggiore crisi umanitaria del ventunesimo secolo e ha lanciato un appello affinché si trovi una soluzione a lungo termine grazie agli investimenti e alla volontà politica dei Governi e delle organizzazioni internazionali;
anche l'Unicef sta intervenendo, soprattutto in Somalia, dove oltre mezzo milione di bambini soffrono di mal nutrizione acuta e necessitano di urgenti aiuti umanitari, unitamente a Save the Children che sta sfamando e curando migliaia di bambini, ma scarseggiano le risorse per il moltiplicarsi dei bisognosi;
non ci sono ancora stime attendibili sulle morti, ma gli operatori che in questi giorni sono in prima linea dicono di non aver mai visto nulla del genere e che anche la carestia che colpì l'Etiopia tra il 1984 e il 1985 e fece un milione di morti non aveva assunto queste dimensioni;
le cause di questa situazione sono da ricercarsi nelle scarse precipitazioni verificatesi nel corso delle ultime due stagioni delle piogge. Si tratta di una conseguenza dei cambiamenti climatici in atto sul pianeta che, secondo il Centro scientifico intergovernativo per il cambiamento climatico, colpiscono con particolare gravità l'area del Corno d'Africa;

le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative presenti sul campo affermano che questa è una crisi che è stata annunciata da mesi, ma che ancora oggi, nonostante la sua gravità, non trova una attenzione diffusa da parte dei media e dei donatori;
il servizio informatico dell'ufficio dell'Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari ha dichiarato che quella in Kenya è diventata la più grande concentrazione di profughi al mondo. Oltre 370.000 persone divise nei tre campi di Ifo, Hagadera e Dagahaley;
secondo il Cesvi, una delle organizzazioni non governative da tempo operanti nel corno d'Africa, due successive stagioni delle piogge particolarmente scarse hanno determinato una situazione drammatica, con conseguenze che potrebbero ulteriormente aggravarsi nel medio periodo. In alcune aree della regione il prezzo del grano è salito tra il 100 e il 200 per cento riducendo la disponibilità di alimenti per le famiglie e per il bestiame, che rappresenta una delle principali fonti di sussistenza nell'area;
in Somalia la siccità si somma a una crisi politica e militare che non trova soluzione ormai da vent'anni, con migliaia di persone che stanno lasciando le loro case per rifugiarsi nei Paesi vicini, anch'essi allo stremo a causa della siccità;
secondo l'analisi di Development Initiatives altro elemento di valutazione è la rigidità della macchina degli aiuti: nonostante quest'anno si sia registrato un aumento della cifra destinata agli interventi umanitari, per un totale pari a 16,7 miliardi di dollari, la quota destinata alla prevenzione dei disastri resta sempre molto bassa: 75 centesimi ogni 100 dollari raccolti. E denuncia che il risultato è che quella comunità internazionale che non ha trovato 800 milioni di dollari quando il disastro si poteva evitare, adesso dovrà sborsare 1,6 miliardi, cifra chiesta come sforzo supplementare dalle Nazioni Unite ai principali donatori per superare l'emergenza -:
se e come il Governo intenda intervenire nell'immediato con soccorsi e aiuti umanitari a sostegno delle organizzazioni non governative e delle organizzazioni internazionali che operano per fronteggiare una crisi umanitaria di proporzioni insostenibili;
se il Governo non ritenga di dover intervenire nelle opportune sedi internazionali al fine di valutare un processo di uscita dalla crisi umanitaria e politica che ha colpito il Corno d'Africa.
(4-12846)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:

BRATTI, MONAI e BRAGA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da decenni, ormai, l'area del sito d'interesse nazionale dell'ex stabilimento SISAS, nel territorio dei comuni di Pioltello e Rodano (Milano) è oggetto di attenzioni ed interventi, anche di notevole importo finanziario, al fine di bonificare e riqualificare il sito su cui la vecchia fabbrica era insediata;
i fattori di criticità che hanno condotto ad una vera e propria emergenza ambientale in quest'area sono in particolare: il ritardo nell'individuazione delle risorse economiche necessarie per procedere al risanamento del terreno e al ripristino dei luoghi, la difficoltà di individuare i responsabili dell'inquinamento e la complessità del quadro della contaminazione nei SIN (in quanto, nella maggior parte dei casi, si sono susseguite negli anni attività industriali di diversa origine e intensità, compromettendo irreparabilmente l'utilizzo delle risorse ambientali e paesaggistiche);

è fatto notorio come le cronache giudiziarie di questi anni abbiano interessato, nei più gravi dei casi, proprio la gestione illecita di rifiuti speciali, spesso a elevato rischio ambientale. Da anni, milioni di tonnellate di veleni di ogni tipo viaggiano in modo invisibile sulle autostrade italiane e negli ultimi 10 anni nel nostro Paese sembrano essere sparite 174 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, di cui non si hanno notizie né di attività di recupero, né di corretto smaltimento;
in un questo contesto è ancor più inquietante apprendere che il sito d'interesse nazionale di Pioltello e Rodano è di nuovo oggetto di attenzione da parte delle autorità giudiziarie per presunte gravi irregolarità, sia in fase di aggiudicazione della gara per lo smaltimento dei rifiuti, sia in relazione alle modalità di smaltimento off site dei rifiuti stessi in impianti italiani ed esteri;
lo stabilimento ex SISAS, che occupa una superficie di 330 mila metri quadrati ed è compreso nel polo chimico di Pioltello-Rodano, è stato incluso nell'elenco dei siti di bonifica di interesse nazionale con la legge n. 388 del 2000 e perimetrato con decreto ministeriale 31 agosto 2001 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 252 del 29 ottobre 2001;
numerose sono state le interrogazioni e interpellanze presentate sul caso alla Camera e al Senato;
a seguito dei ritardi nelle operazioni di bonifica, vista l'incombente irrogazione di una multa di 490 milioni di euro da parte dell'Unione europea nei confronti della regione Lombardia, in data 16 aprile 2010, il Governo, su richiesta del presidente della regione Lombardia e d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha provveduto a dichiarare lo stato di emergenza ai sensi della legge n. 255 del 1992 per la bonifica delle discariche A e B dell'ex stabilimento Sisas;
l'ordinanza di protezione civile n. 3874 del 30 aprile 2010 (Gazzetta Ufficiale n. 111 del 14 maggio 2010) Disposizioni urgenti per la realizzazione degli interventi di bonifica da porre in essere nel sito di interesse nazionale di «Pioltello e Rodano» per le discariche A e B dell'area ex SISAS ha nominato l'avvocato Luigi Pelaggi commissario delegato per la bonifica del sito;
in conseguenza di quanto verificatosi, nel luglio 2010 il commissario delegato per la bonifica del sito SISAS ha indetto una gara, sulla base di un «progetto di intervento» redatto dall'ingegnere Claudio Tedesi (indagato insieme a Grossi per la vicenda di Santa Giulia) concernente lo smaltimento dei rifiuti residui;
la Daneco Impianti S.r.l. si è aggiudicata la gara per 36,8 milioni di euro, contro i 49 segnalati nel documento tecnico;
la Daneco è società della holding Unendo SpA, un colosso da oltre 200 milioni di euro di fatturato e oltre 3 mila clienti tra le maggiori industrie internazionali, riconducibile alla proprietà dei fratelli Colucci, Pietro e Francesco. Il gruppo dei Colucci è ultimamente tornato alla ribalta delle cronache per la vicenda giudiziaria di Latina Ambiente e Terracina Ambiente, società del gruppo accusate di frode in pubbliche forniture, con l'ombra di subappalti assegnati a prestanome dei casalesi. La Daneco è sotto accusa anche a Benevento, dove è indagata per disastro ambientale causato dallo sversamento nelle falde acquifere di migliaia di litri di percolato fuoriusciti dalla discarica gestita a Sant'Arcangelo Trimonte. In Calabria, la società Eco Inerti, controllata da Daneco, è sotto processo per aver ottenuto le autorizzazioni per realizzare una discarica per rifiuti speciali in un'area di alto valore paesaggistico falsificando i documenti tecnici sulla conformazione del territorio; in Sicilia le indagini della procura di Palermo sull'affare dei quattro termovalorizzatori riguardano anche la costruzione di un impianto a Paternò (Catania), affidato alla Sicil Power, una controllata della Daneco;
da notizie di stampa è emerso che lo svolgimento della gara per la bonifica del

SIN di Pioltello è attualmente oggetto d'indagine da parte della magistratura: secondo la procura di Milano, l'amministratore delegato della Daneco avrebbe versato una tangente di 700 mila euro al commissario di Governo, Luigi Pelaggi, per ottenere la commessa del valore di 38,6 milioni di euro, per «agevolare l'impresa nello smaltimento dei rifiuti» e far emettere provvedimenti amministrativi in violazione delle norme ambientali. Inoltre, i pubblici ministeri ipotizzano una «truffa aggravata finalizzata all'ottenimento di contributi pubblici relativi alla bonifica in misura superiore rispetto ai costi affrontati» dalla società appaltatrice, appunto la Daneco;
in base a quanto previsto dal bando di gara per la bonifica dell'ex-SISAS, la Daneco doveva smaltire entro il 31 marzo di quest'anno, pena l'applicazione dell'ingente sanzione europea, circa 280 mila tonnellate di rifiuti, di cui oltre 50 mila costituite da scorie tossiche e nerofumo;
nella conferenza stampa congiunta della scorso marzo 2011 - cui hanno partecipato Janez Potocnik, commissario europeo all'Ambiente, Roberto Formigoni, presidente della regione Lombardia, Stefania Prestigiacomo, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Franco Gabrielli, prefetto e capo della Protezione civile e Luigi Pelaggi, commissario ministeriale - sono stati resi noti alcuni dati relativi ai lavori effettuati. Alla data del 27 marzo 2011 erano stati completamente rimossi e inviati a smaltimento tutti i rifiuti abbancati negli areali delle ex discariche A e B, così come quelli a suo tempo abbancati nell'areale della ex discarica C (fine giugno 2009). Si trattava di circa 170 mila tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi, 90 mila tonnellate circa di pericolosi e 16 mila tonnellate di rifiuti inerti. Per il trasporto dei rifiuti sono stati impiegati circa 10 mila automezzi, 340 container ferroviari trasportati da 10 treni dedicati e nove navi. Lo smaltimento è avvenuto in 28 impianti italiani e tre europei;
in merito la Daneco precisava che «I rifiuti classificati pericolosi sono stati distribuiti tra dieci impianti in Italia e tre all'estero, tutti idonei a ricevere il materiale in questione»;
pochissime sono però le informazioni in merito a quali siti di conferimento siano stati scelti per ospitare i rifiuti del SIN;
nell'elenco di siti contenuto in un documento sullo stato dei lavori redatto da SOGESID nel maggio 2011, Tabella confronto quantitativi a base appalto e quantitativi finali, (oggi non più visibile dal sito internet della società in house), risultano individuate le discariche di: Ecolevante S.p.A di Grottaglie (Taranto), Geo Nova SpA di Istrana (Treviso), Pistoia Ambiente SpA di Serravalle di Pistoia (Pistoia), ASIU SpA di Ischia di Crociano, Piombino (Livorno), Pro-in S.r.L. di Sommacampagna (Verona) e Inerteco S.r.L. di Zevio (Verona), S.M.C. di Chivasso (Torino), HERAAMBIENTE SpA di Ravenna, GESTECO SpA di Cividale del Friuli (Udine), Waste Italia SpA di Mariano Comense (Como), Eco Adda SrL di Cavenago d'Adda (Lodi), Consorzio CEREA Spa di Cerea (Verona) e la BEFESA SL di Siviglia (Spagna);
particolarmente rilevante è la circostanza per cui la maggior parte delle discariche utilizzate come siti di conferimento per i rifiuti della ex-SISAS siano, più o meno direttamente, riconducibili alla proprietà della Waste Italia di Pietro Colucci;
in particolare la società Waste Italia (soggetta, attraverso Waste Italia Holding S.p.A., alla direzione ed al coordinamento di Unendo S.p.A.) gestisce alcuni impianti insieme ad altre società anche di matrice pubblica. In particolare, per la gestione di alcuni impianti sono state create le seguenti società:
Ecoadda SpA, con socio pubblico EAL, è la società titolare della concessione relativa alla gestione della discarica sita nel Comune di Cavenago d'Adda (Lodi);

SMC Spa, con socio pubblico Finpiemonte Partecipazioni, è la società attiva nella gestione di impianti di selezione/trattamento di rifiuti speciali non pericolosi, discariche ed impianti per la produzione di energia elettrica da biogas. Gestisce la discarica e l'impianto a Chivasso (Torino);
Alice Ambiente srl è la società che gestisce la discarica (o l'impianto di bonifica) di Alice Castello (Vicenza);
desta perplessità ancora maggiore la circostanza che tutte le discariche individuate siano discariche per rifiuti non pericolosi, nonostante i rifiuti rimossi dall'ex-SISAS contenessero anche idrocarburi policiclici aromatici cancerogeni tra cui benzo(a)pirene, la cui presenza in determinate quantità determina la pericolosità del rifiuti. Non a caso molti di questi impianti sono stati oggetto di indagini per violazione della normativa ambientale;
la discarica Geo Nova S.p.A. di Istrana (Treviso), la discarica di Grottaglie (Taranto) (già parzialmente sequestrata dalla guardia di finanza di Taranto nel 2007), la discarica del Cassero di Pistoia Ambiente S.p.A., nonché, a quanto risulta all'interrogante, la discarica di ASIU S.p.A. di Ischia di Crociano, Piombino (Livorno) le discariche Pro-in S.r.L. di Sommacampagna (Verona) e Inerteco S.r.L. di Zevio (Verona), la discarica la S.M.C. di Chivasso (Torino) sono tutte oggetto di indagini giudiziarie e amministrative;
per quanto riguarda la discarica di Nerva, in Spagna, secondo il dossier «Una sporca storia» pubblicato da Greenpeace già lo scorso marzo 2011, documentato da fotografie e trasmesso, anche alla Commissione dell'Unione europea, almeno una parte dei rifiuti arrivati a Nerva da Pioltello sono stati smaltiti senza ricevere il necessario trattamento, obbligatorio, di stabilizzazione e inertizzazione, in violazione di quanto imposto dalla normativa europea e in violazione del bando di gara per la bonifica dell'ex Sisas, che prevede specifici costi per il trattamento del nerofumo;
la Daneco avrebbe dunque esportato in Spagna maggiori quantità di nerofumo, rispetto a quelle dichiarate ufficialmente, facendolo passare per rifiuto non pericoloso attraverso false documentazioni. La società afferma di aver spedito a Nerva 25.000 tonnellate di rifiuti pericolosi classificati secondo il codice CER 19.13.01* - rifiuti derivanti da bonifiche contenenti sostanze pericolose -. Secondo Daneco «il sito in questione è costituito da impianti per il trattamento chimico-fisico dei rifiuti pericolosi (D9), nonché inertizzazione e stabilizzazione previsti dalla normativa vigente». Daneco avrebbe effettuato queste spedizioni di rifiuti in base ad una specifica autorizzazione all'importazione rilasciata dalle autorità andaluse;
il 7 marzo 2011, le autorità andaluse hanno inviato a Greenpeace copia dell'autorizzazione (referenza IT 013587) all'importazione rilasciata alla Daneco impianti per un totale di 60.000 tonnellate di rifiuti provenienti dall'area ex Sisas di Pioltello-Rodano. L'autorizzazione concerne rifiuti classificati con codice CER 19.13.02 ovvero rifiuti non pericolosi provenienti da attività di bonifica;
se si dovesse confermare che questa è l'unica autorizzazione esistente, la Daneco avrebbe intenzionalmente declassificato i rifiuti pericolosi spediti in Spagna a meno che le autorità andaluse non abbiano volutamente reso pubbliche informazioni parziali e, in definitiva, fuorvianti;
come si apprende da un recente articolo apparso sul quotidiano Terra il 14 luglio 2011, a seguito delle suddette denunce «La Spagna ha deciso di chiudere la discarica che ospita i veleni italiani. L'impianto di Nerva, 80 chilometri a Nord di Siviglia, gestito dalla società iberica Befesa, martedì scorso ha preso di nuovo fuoco. All'interno sono state stoccate decine di migliaia di tonnellate di nerofumo, proveniente dall'ex Sisas di Pioltello, e di cromo esavalente dell'ex Stoppani di Genova. È già il secondo incendio dall'inizio del 2011. La Befesa assicura che l'ultimo rogo ha riguardato solo la parte della

discarica che contiene rifiuti non tossici. Ma il governo dell'Andalusia intende vederci chiaro. E ieri ha disposto la chiusura cautelare dello stabilimento (...). La Befesa avrà ora dieci giorni di tempo per spiegare alle autorità le cause dell'incendio e certificare la natura del materiale che ha preso fuoco. Il timore, infatti, è che il rogo possa aver avuto un'origine dolosa con lo scopo di cancellare le tracce di scorie che nella discarica non sarebbero mai dovute entrare»;
in base a quanto confermato in occasione dell'ultima Conferenza dei Servizi del 1o giugno 2011, allo stato attuale permangono in sito solo i rifiuti dell'areale cosiddetto «lobo» (posto tra gli areali delle ex discariche B e C) e parte dei terreni contaminati al fondo della ex discarica C, oltre ai terreni che deriveranno dal completamento delle attività di «pulizia» dei fondi/pareti scavi delle ex discariche A e B («lavori complementari»), oggetto del documento progettuale «Area ex-Sisas - Interventi relativi al sistema di emungimento delle acque di falda Maggio 2011», approvato in conferenza dei servizi del 20 maggio 2011. Gli interventi prevedono lo scavo e smaltimento dei terreni contaminati e il rinterro con terreni puliti. Il fondo scavo verrà analizzato e verrà garantita la compatibilità in termini di rischio sanitario-ambientale delle concentrazioni residue (CSR);
il progetto approvato in conferenza di servizi del 1o giugno 2011 è stato elaborato, come i precedenti, da SOGESID, che ha a sua volta incaricato, come peraltro già comunicato dall'avvocato Pelaggi in più occasioni, gli stessi progettisti incaricati da Grossi, ovvero lo studio Tedesi. Il bando di gara per l'affidamento dell'esecuzione degli interventi è stato recentemente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana l'11 luglio 2011 e scadrà il 27 luglio prossimo -:
se non si ritenga necessaria e urgente un'operazione di trasparenza da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per chiarire al più presto tutte le preoccupanti vicende riportate in premessa e in particolare:
se intenda fornire la lista degli impianti di stoccaggio temporaneo e dei siti di smaltimento finale di tutti i rifiuti presenti nelle discariche A, B e C dell'area ex Sisas, con le relative quantità e tipologie di rifiuti ad essi conferiti, fornendo chiarimenti rispetto ai documentati rischi che migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi siano stati smaltiti irregolarmente nel territorio nazionale, in particolare del nord Italia, causando un inquinamento diffuso e difficilmente tracciabile;
quali controlli siano stati effettuati sull'attività della società Daneco riguardo al trasporto dei rifiuti all'estero;
se non si ritenga opportuno che si effettui e si dia comunicazione delle necessarie attività di validazione e classificazione dei rifiuti del SIN di Pioltello e Rodano;
come e se si intenda procedere nei confronti dell'avvocato Pelaggi dopo la recente apertura delle indagini per corruzione a suo carico;
se sia stata avviata un'indagine interna agli uffici, volta ad accertare le modalità di effettivo svolgimento della procedura di gara del luglio 2010, eventualmente comminando le sanzioni amministrative di propria competenza;
quali controlli si potranno garantire sullo svolgimento dell'ultima tranche di lavori, oggetto del recente bando di gara dell'11 luglio 2011;
quali strategie intenda predisporre in materia di controllo e prevenzione del fenomeno delle spedizioni illegali di rifiuti transfrontalieri, e come queste si possono interfacciare con il SISTRI;
quali siano stati i compensi attribuiti a SOGESID e con quali criteri e con quali modalità siano stati assegnati gli incarichi di progettazione esterni.
(4-12860)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:

STRIZZOLO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
recentemente la regione Friuli Venezia Giulia ha approvato un financial project per l'ampliamento del polo termale della città di Grado (Gorizia) che prevede la realizzazione di un grande albergo con parcheggio sotterraneo che comporterebbe la demolizione del complesso (contenente un pavimento musivo dell'artista Giuseppe Zigaina) delle Terme Marine, realizzato nel 1974 dall'architetto friulano Gianni Avon, scomparso nel 2006 e il ridimensionamento del palazzo dei Congressi di Marco Zanuso e dello stesso Avon;
per iniziativa di istituzioni e circoli culturali friulani e dei figli di Gianni Avon, architetti Giulio ed Elena ma anche recentemente di Italia Nostra, del FAI, della Fondazione Portaluppi di Milano, della Galleria d'Arte Moderna di Udine, dell'Archivio Progetti di Venezia, delle istituzioni universitarie di Udine, Trieste, dello Iuav di Venezia, delle Università La Sapienza di Roma, di Harvard e Losanna, ed, in ultimo della Conferenza nazionale degli ordini professionali degli architetti e degli ingegneri e paesaggisti, sono state rappresentate in più sedi le rimostranze e la netta contrarietà ad un progetto che - tra l'altro - prevede un aumento di cubatura dagli attuali 100.000 metri a 230.000 metri, secondo quanto riportato su alcuni quotidiani locali;
sul previsto progetto non vi sarebbero adeguati vincoli di tutela di opere che, seppure non antiche di più di 50 anni, rappresentano ormai in termini significativi l'identità del tessuto urbano, storico, sociale e culturale della città di Grado;
l'attuale offerta alberghiero-ricettiva di Grado risulterebbe ampiamente sufficiente a corrispondere alla domanda turistica della località in cui sono previsti già altri importanti interventi immobiliari;
in analoghe esperienze di progettati interventi urbanistici, quali l'ex colonia dell'Enel di Riccione e l'area Forte Marghera a Venezia, si sono seguiti modelli e percorsi che hanno consentito la tutela di manufatti di pregio storico-architettonico -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematica sopra sinteticamente riportata e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere per assicurare adeguata e doverosa tutela alle opere indicate presenti nella realtà urbana della città di Grado.
(4-12849)

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DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
una nave mercantile italiana della compagnia armatrice Rbd Armatori Spa di Torre del Greco (Napoli), la RBD Anema e Core, che trasportava gasolio per autotrazione, è stata sequestrata dai pirati mentre navigava a 23 miglia a sud di Cotonou nella Repubblica del Benin nel Golfo della Nigeria. L'allarme ricevuto alle 2:40 di ieri dal Comando generale della guardia costiera è stato lanciato attraverso il sistema automatico di allarme (SAS) ed è stato confermato dall'ufficiale addetto alla sicurezza della compagnia armatrice. I ventitre uomini dell'equipaggio, composto da venti filippini, il comandante di nazionalità rumena e due italiani (il primo ufficiale e un allievo ufficiale), sono stati sequestrati da tre pirati che sono riusciti a salire a bordo del mercantile con modalità che risultano al momento sconosciuti;
il sequestro del mercantile italiano «Rbd Anema e Core», avvenuto nel golfo della Nigeria è l'ultimo di una serie di attacchi dei pirati alle navi italiane che

transitano in quell'area, circa duemila ogni anno. E va ad allungare la già ampia lista degli assalti subiti in questi primi sei mesi del 2011 dalle navi dei vari Paesi in tutto il mondo che secondo il rapporto dell'International maritime bureau (Imb) della camera di commercio internazionale (Icc) salgono a quota 266, 70 in più rispetto allo stesso periodo del 2010. Con il 60 per cento degli attacchi effettuati dai pirati somali;
si ricorda che è ancora sotto sequestro la petroliera «Savina Caylyn» della società napoletana Fratelli D'Amato che l'8 febbraio 2011 viene attaccata e sequestrata dai pirati a 880 miglia dalla Somalia. A bordo ventidue membri di equipaggio tra cui 5 italiani. Contro la nave sono stati lanciati 4 razzi rpg e sparati colpi di mitra: l'attacco è avvenuto da parte di un barchino, messo in acqua da una nave madre che incrociava nella zona;
anche la motonave italiana «Rosalia D'Amato» assaltata il 21 aprile 2011 nel mare Arabico e portata verso la Somalia è ancora sotto sequestro a Nord di Mogadiscio;
con l'ultimo decreto-legge sul rifinanziamento delle missioni internazionali il Governo intende autorizzare gli armatori ad imbarcare soldati o servizi di vigilanza privata che in caso di pericolo possono intervenire con le armi, ma ha diminuito sia il contingente sia le risorse per le due missioni Atalanta e Ocean Shield di contrasto alla pirateria marittima -:
come il Governo stia affrontando i casi delle navi italiane ancora sotto sequestro alle quali si è aggiunta la «Rbd Anema e Core» e quali siano le informazioni acquisite sullo stato degli equipaggi;
se il Governo abbia un effettivo piano di contrasto alla pirateria marittima, considerando che il fenomeno è in notevole aumento e non sembra che siano stati raggiunti risultati concreti fin'ora, e se non ritenga che imbarcare soldati armati possa aumentare la violenza e scatenare ulteriori scontri invece di aumentare i controlli e prevenire, per quanto possibile, gli assalti.
(4-12825)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
Taranto risulta essere la città con la più alta presenza numerica di militari. Il portale Grnet.it riporta la notizia secondo cui nei giorni scorsi i consigli della rappresentanza militare a livello di base della Guardia di finanza e a livello nazionale della guardia costiera, attraverso specifiche delibere, hanno espresso «la loro preoccupazione per l'allarmante situazione ambientale» e le sue conseguenze;
Taranto, infatti, è la città più inquinata d'Europa e quella dalla quale viene prodotto il 90 per cento della diossina italiana;
i due consigli di rappresentanza chiedono ai loro rispettivi vertici, di avviare «indagini cliniche, nonché ambientali, più specifiche in modo tale da poter disporre di uno screening sullo stato di salute dei militari che prestano servizio nell'ambito dell'area portuale»;
in particolare il consiglio della rappresenta militare a livello nazionale della guardia costiera chiede all'ARPA Puglia e enti locali, attraverso i propri vertici militari, il «monitoraggio in continuo» in merito alla presenza nell'aria dei pericolosi agenti cancerogeni;
i militari svolgono servizio a Taranto in particolare nell'area portuale, che è di fatto all'interno della zona industriale. Il personale in servizio durante le notti, avverte un forte senso di bruciore agli occhi e alla gola. Solo per spirito di servizio, dichiarano, i militari rimangono al proprio posto di lavoro e non ricorrono agli immediati accertamenti medici;
da internet sono reperibili filmati e fotografie degli orribili fumi che si vedono e che si respirano e le strade di color rosso. Questi militari, insieme alla popolazione

civile, sono esposti costantemente a rischio di inalazione anche delle polveri, scaricate giorno e notte, quale materia prima per il funzionamento degli altiforni dell'Ilva;
il personale della guardia costiera, in qualità di «uomini di Stato», rivendica verso le istituzioni il preciso diritto di conoscere il livello di inquinamento presente nell'aria che si respira durante i servizi svolti;
ci troviamo dinanzi ormai da anni ad un disastro ambientale e sanitario -:
se il Governo sia a conoscenza della grave situazione riportata in premessa e come intenda intervenire immediatamente per sostenere le legittime richieste dei rappresentanti militari e tutelare al massimo la salute dei militari e dei cittadini tutti e l'ambiente che li circonda.
(4-12826)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in un nuovo rapporto diffuso il 20 luglio scorso da Amnesty International si denuncia l'estensione dei crimini di guerra di cui sono vittime le bambine e i bambini in Somalia, tra cui il sistematico arruolamento di soldati di età inferiore a 15 anni da parte dei gruppi armati islamisti.
«Sulla linea del fuoco. Bambine e bambini sotto attacco in Somalia» rivela l'impatto complessivo del conflitto armato in corso nel Paese. Il rapporto di Amnesty International denuncia, oltre agli arruolamenti forzati, anche il diniego dell'accesso all'istruzione e le uccisioni e i ferimenti nel corso degli attacchi indiscriminati contro aree densamente popolate;
Michelle Kagari, vicedirettore per l'Africa di Amnesty International ha dichiarato che «Se sei un bambino in Somalia rischi la vita in ogni momento: puoi essere ucciso, reclutato e spedito al fronte, punito da al-Shabab perché ti hanno trovato mentre ascoltavi musica o indossavi "vestiti sbagliati", costretto ad arrangiarti da solo perché hai perso i genitori o puoi morire perché non hai accesso a cure mediche adeguate, sottolineando che "la crisi umanitaria che ha colpito le bambine e i bambini in Somalia è anche la conseguenza del fatto che negli ultimi due anni al Shabab ha impedito l'accesso agli aiuti"»;
il rapporto analizza oltre 200 testimonianze di rifugiati somali, bambini e adulti, che si trovano attualmente in Kenya e a Gibuti. Molti hanno affermato di essere stati costretti a fuggire dalle regioni centromeridionali per evitare l'arruolamento da parte dei gruppi armati;
Il Governo federale di transizione della Somalia è a sua volta accusato dalle Nazioni Unite di aver reclutato, impiegato, ucciso e ferito i bambini nel conflitto armato. Sebbene si sia impegnato a rispettare i diritti dei minori, non ha ancora preso alcuna misura concreta per porre fine all'uso dei bambini nei ranghi delle forze che combattono dalla sua parte;
Al-Shabab, il principale gruppo armato che si oppone al Governo, ha imposto severe limitazioni al diritto all'istruzione, impedendo ad alcune alunne di frequentare la scuola, vietando l'insegnamento di alcune materie o usando le scuole per indottrinare i bambini e farli partecipare ai combattimenti. Al-Shabab sta ricorrendo sempre di più a metodi minacciosi per reclutare i bambini, offrendo loro telefonini o danaro o compiendo raid e rapimenti nelle scuole o in luoghi pubblici;
il rapporto evidenzia altresì come bambine e bambini sono stati vittime di frustate e hanno assistito a violenze terrificanti, tra cui amputazioni, lapidazioni e uccisioni compiute in pubblico dai gruppi armati islamisti. I bambini hanno anche assistito all'uccisione e alla tortura di parenti e amici -:
se il Governo sia a conoscenza del contenuto del rapporto di Amnesty International e se non ritenga di dover farsi

carico all'interno della comunità internazionale della richiesta di maggiori misure di protezione riguardanti il crescente numero di bambini somali separati dalle loro famiglie e accrescere il sostegno psicosociale e i programmi d'istruzione.
(4-12853)

ROSSA e OLIVERIO. - Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il signor Aldo Partenope proveniente dal Comando Scuole C.RE.M-Pola dal 1o settembre al 25 dicembre 1941, frequentata la «scuola cannonieri», viene «classificato definitivamente Cann.P.M» (puntatore mitragliere) in data 16 dicembre 1942;
come risultante dal foglio matricolare, dopo essere stato inizialmente destinato nelle diverse località di Taranto, Pola, La Spezia, Napoli, dall'8 febbraio 1942 al 21 gennaio 1943 viene inviato in «zona operazioni presso la Marina di Tripoli, effettivo alla Batteria della Regia Marina in qualità di Bombardiere-Cannoniere»;
in seguito ad un bombardamento sulla città di Tripoli, subisce una grave infermità otitica pacificamente riscontrata subito dopo il rimpatrio a Trapani e il successivo ricovero presso l'ospedale militare di Francavilla avvenuto dal 7 novembre 1944 al 22 novembre 1944;
dopo le dimissioni dall'ospedale medesimo, si attiva per ottenere di essere curato e far accertare tale infermità come dipendente da causa di servizio per come risultante in un documento del 1944, attendendo che le autorità preposte attivino le procedure di loro competenza previste dalle legislazioni dell'epoca in relazione all'avvio d'ufficio nel caso di militari denuncianti infermità e/o lesioni anche per presunta causa di servizio;
nei giorni dall'11 al 13 novembre 1945, a seguito di visita sanitaria di congedo ove risulta accertata l'infermità di cui trattasi, viene inviato in congedo in attesa della definizione della sua pratica pendente e di p.m.l. (provvedimenti medico legali);
in data 11 novembre 1953, non ricevendo comunicazione di alcun genere, inoltra un'istanza per la richiesta del beneficio della pensione di guerra;
non ottenendo risposta reitera la richiesta con successiva istanza in data del 7 febbraio 1955;
in data 18 giugno 1956 viene invitato a presentarsi presso l'ospedale militare di Taranto «per la definizione della pratica sanitaria nei suoi riguardi», dove rimane degente fino al 20 giugno 1956 per accertamenti, senza ottenere alcuna successiva comunicazione;
non ricevendo alcuna comunicazione, produce altre tre domande (30 giugno 1961/20 marzo 1962/26 luglio 1963) evidenziando anche gli accertamenti effettuati nel 1956 e la variazione avvenuta sul foglio matricolare di volta in volta allegato alle istanze prodotte;
non gli viene accordata alcuna provvidenza di guerra pur prevista dalle diverse legislazioni del tempo né gli viene fornita risposta alle sue diverse istanze;
inoltra un'ultima domanda indirizzata a tutte le maggiori istituzioni dell'epoca (Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica, Presidente della Camera, Presidente del Senato e Ministero del tesoro), dove unitamente alla richiesta di pensione di guerra, chiede spiegazioni in merito alla sorte delle «sue tre domande» che non hanno avuto risposta di alcun genere;
a seguito dell'istanza multipla indirizzata a tutte le istituzioni dell'epoca, il Ministero del tesoro delega la commissione per le pensioni di guerra di Catanzaro affinché effettui la visita sanitaria al signor Aldo Partenope;
in data del 25 maggio 1964, il signor Aldo Partenope viene sottoposto a visita sanitaria presso tale commissione medica la quale pacificamente accerta la presenza

della ormai grave infermità otitica e restituisce gli atti agli uffici del Ministero del tesoro di Roma;
il Ministero del tesoro accorda inizialmente il beneficio pensionistico, che risulta controfirmato per accettazione da parte dell'interessato, e contestualmente istruisce un fascicolo relativo dove dichiara in allegato il solo certificato penale, la cartella clinica del 1944 e l'esito della visita sanitaria del 1964: nessun riferimento e/o altra nota viene trascritta né con riferimento alla cartella clinica del 1945 relativa all'invio in congedo né con riferimento alla degenza dei tre giorni presso l'ospedale militare di Taranto del 1956;
interviene il comitato di liquidazione (1o ottobre 1964/19 novembre 1964) il quale solleva il problema chiedendo che gli atti (così composti omessi e mancanti) vengano inviati alla commissione medica superiore affinché accerti se l'infermità riscontrata nella visita del 1964 sia dipendente da causa di servizio e suggerisce all'ufficio del Ministero del tesoro di sottoporre Aldo Partenope a visita diretta per ulteriori accertamenti come d'altra parte sempre richiesto dal diretto interessato;
la commissione medica superiore esaminato il fascicolo così istruito con atti omessi e mancanti e chiamata in causa (2 settembre 1965), rileva che non vi è interdipendenza tra l'infermità otitica del 1944 e quella accertata nel 1964, infermità ad avviso della stessa, maturatasi successivamente nel ventennio successivo della vita civile;
la relazione viene così restituita all'ufficio del Ministero del tesoro che rigetta l'istanza pensionistica (25 febbraio 1966);
il signor Aldo Partenope propone ricorso in data 5 luglio 1966 alla Corte dei conti di Roma;
il ricorso amministrativo ottiene risposta negativa dalla commissione medica superiore, la quale soltanto in data 20 settembre 1977 riesaminando di fatto lo stesso fascicolo precedente, sfornito della importante documentazione necessaria, esprime nuovo parere sfavorevole per le stesse motivazioni decretate nell'ormai lontano 2 settembre 1965;
in data 18 agosto 1980 il signor Aldo Partenope, a seguito di un tragico incidente, concausato dalla sua stessa infermità otitica, viene a mancare;
nell'aprile 2005 a seguito di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il figlio e la moglie del signor Aldo Partenope riassumono il ricorso pendente alla Corte dei Conti dal 5 luglio 1966, nel frattempo, a seguito dell'avvenuto decentramento nelle sedi regionali, distribuito presso la sede regionale della Corte dei conti di Catanzaro;
visionato il fascicolo, i parenti del signor Aldo Partenope si rendono conto che mancano importanti documentazioni che avevano recuperato nei vari distretti militari di Catanzaro, Taranto e Vibo Marina;
i parenti riescono ad ottenere la cartella clinica del 1945 e quella del 1956 ed ulteriore documentazione di tale importanza che la Corte dei conti di Catanzaro accoglieva la domanda di trattamento pensionistico di guerra nel giugno 2007 (sentenza n. 629 del 27 giugno 2007) ravvisando il collegamento con l'infermità otitica del 1944;
successivamente seguivano altri due ricorsi di equa riparazione e di equo indennizzo;
relativamente al primo riguardante l'eccessiva durata del processo, in data 2 marzo 2009, con sentenza proc. n.833/2007 R.E.R la corte d'appello di Catanzaro accoglieva la richiesta di risarcimento a tutt'oggi in attesa di definizione; alla sentenza è già stata apposta formula esecutiva con facoltà di agire coattivamente per la riscossione del credito nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze;
per quanto riguarda l'equo indennizzo, la famiglia del signor Aldo Partenope,

inoltrava istanza del 27 settembre 2007, attraverso il distretto militare di Catanzaro ed entro i sei mesi dall'accoglimento del trattamento pensionistico di guerra da parte della Corte dei conti, avrebbe ottenuto risposta soltanto un anno dopo;
il distretto militare di Catanzaro alla quale era stata indirizzata l'istanza di cui sopra, a sua volta trasmessa in data 9 gennaio 2008 all'ufficio del Ministero della difesa competente ad adottare il provvedimento finale unitamente alla richiesta di aggiornamento della documentazione matricolare, comunicava nell'agosto 2008 che non aveva potuto dare seguito alla richiesta pervenutagli dall'ufficio del Ministero della difesa di Roma di ottenimento di ogni documentazione utile necessaria per il completamento della pratica di equo indennizzo di Aldo Partenope, restando di fatto impossibilitato all'adempimento di tale richiesta;
in data 3 settembre 2008 la documentazione mancante viene consegnata tramite lo stesso distretto militare; seguiva ulteriore comunicazione scritta del Ministero della difesa di Roma;
in seguito a due successive istanze di sollecito inoltrate dal figlio del signor Aldo Partenope (9 marzo 2009/9 gennaio 2010), in data 17 giugno 2010 sarebbe stata comunicata la «inammissibilità» della domanda «per mancanza dei presupposti di legge» senza alcun altra spiegazione e motivazione alcuna;
attualmente in merito a tale vicenda risulta pendente ricorso al TAR Calabria del 22 luglio 2010 -:
se non ritengano opportuno intervenire perché il risarcimento per l'eccessiva durata del processo - la cui richiesta è stata peraltro accolta con sentenza proc. 833/2007 R.E.R della corte di appello di Catanzaro - venga corrisposto e se non ritengano doveroso corrispondere un equo indennizzo.
(4-12857)

TESTO AGGIORNATO AL 1° AGOSTO 2011

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:

BELLANOVA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in data 12 luglio 2010, con decreto ministeriale n. 53243, all'azienda Labor Srl - Gruppo Filanto è stato concesso, per la prima volta, il trattamento di cassa integrazione in deroga ministeriale per un anno e nello specifico a copertura del periodo dal 2 gennaio 2010 al 1o gennaio 2011;
il 22 aprile 2011 presso il Ministero del lavoro è stato sottoscritto, alla presenza delle organizzazioni sindacali, un accordo con il quale si stabiliva la proroga di un anno del trattamento di cassa integrazione in deroga per l'azienda Labor Srl;
il 13 giugno 2011 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha emesso e firmato il decreto per la concessione all'azienda Labor Srl della cassa integrazione in deroga ministeriale e come da prassi ha trasmesso lo stesso al Ministero dell'economia e delle finanze per la controfirma;
a circa 45 giorni dalla trasmissione del decreto al Ministero in oggetto, purtroppo non si ha ancora notizia di una eventuale firma dello stesso. Ciò nonostante le ripetute sollecitazioni da parte dell'interrogante che ha messo ben in evidenza agli uffici ministeriali preposti un dato drammatico, vale a dire che i lavoratori della Labor Srl non percepiscono alcuna indennità dal mese di aprile 2011;
si parla, dunque, di centoventi famiglie salentine, molte delle quali monoreddito, che allo stato attuale si ritrovano bloccate in una condizione economico-occupazionale pesantissima e che quotidianamente chiedono a gran voce una effettiva risoluzione del problema -:
se il Ministro interrogato, in virtù di quanto sopra esposto, non ritenga opportuno intervenire con urgenza per chiarire

se vi siano delle motivazioni ostative che, attualmente, impediscono la firma al decreto di cassa integrazione in deroga nonostante lo stesso sia stato trasmesso da oltre un mese;
in che modo il Ministro interrogato intenda intervenire per accelerare un iter burocratico che, di fatto, ha già paralizzato la vita di centoventi famiglie dal mese di maggio 2011 sino ad oggi e rischia di protrarre per le stesse, in assenza di un intervento celere, questa situazione di enorme disagio.
(5-05196)

PALOMBA, BARBATO, MESSINA, BORGHESI e CAMBURSANO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
venerdì 8 luglio 2011 la corte dei conti sezione Sardegna, in sede di giudizio di parificazione del rendiconto 2010 della regione Sardegna, ha evidenziato che nel 2010 lo Stato italiano ha ridotto del 74 per cento i trasferimenti alla regione Sardegna: da 2.546 milioni di euro del 2009 le erogazioni statali sono passate a 683 milioni di euro nel 2010;
negli anni precedenti gli introiti statali rappresentavano circa il 25 per cento dell'intero bilancio regionale, mentre attualmente la quota si è ridotta addirittura al 7 per cento;
per sanare questa situazione, che rischia di portare alla bancarotta la regione, i giudici contabili hanno auspicato l'immediata definizione della cosiddetta vertenza entrate, il nuovo regime di compartecipazioni fiscali concordato nel 2007 tra l'ex governatore sardo Renato Soru e l'allora Presidente del Consiglio Romano Prodi;
il nuovo regime delle entrate - che riformava l'articolo 8 dello Statuto speciale della Sardegna - prevedeva trasferimenti statali per circa sette miliardi di euro a titolo di quote Iva e Irpef a fronte dell'accollo da parte della Regione Sardegna delle spese relative a sanità, trasporto pubblico locale e continuità territoriale, con un saldo netto a favore della Sardegna di circa 1.600 milioni di euro all'anno;
il nuovo regime di compartecipazioni fiscali sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2010 ma lo scorso anno il Governo ha disatteso gli impegni presi adducendo il pretesto della mancanza delle norme di attuazione del nuovo articolo 8 dello Statuto ai fini dell'attribuzione delle risorse dovute alla Sardegna;
la regione Sardegna, nonostante un pronunciamento contrario della massima Assemblea regionale, non ha sollevato il conflitto di attribuzione con lo Stato davanti alla Corte costituzionale, ma ha preferito affidarsi alla commissione paritetica, incaricata di redigere le norme di attuazione dello Statuto speciale;
la commissione ha approvato l'8 marzo 2011 le norme di attuazione ma l'erogazione delle risorse spettanti alla Sardegna (5.4 miliardi di euro per il 2011) non è stata ancora sbloccata;
oltre a non dare attuazione all'accordo sulle entrate il Governo nazionale non ha neppure ancora sbloccato i 2 miliardi di fondi Fas spettanti alla Sardegna fin dal 2008;
viceversa la manovra urgente per la stabilizzazione finanziaria, predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze nelle scorse settimane, prevede una serie di disposizioni che penalizzano ulteriormente dal punto di vista finanziario la regione Sardegna e il suo sistema autonomistico;
in particolare la manovra prevede che il contributo al risanamento della finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario debba essere di 800 milioni per il 2013 e di 1,6 miliardi per il 2014 mentre quello delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano debba ammontare a 1 miliardo di euro nel primo anno e 2 miliardi nel secondo;
in questo modo i trasferimenti alla regione Sardegna verrebbero ridotti di

circa 180 milioni nel 2013 e di 360 milioni nel 2014; i contributi per le province sarde sarebbero tagliati di circa 35 milioni all'anno e quelli per i comuni dell'isola di ben 125 milioni all'anno;
questi tagli si sommano a quelli previsti nel decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 e del decreto-legge n. 78 del 2010 che in Sardegna avevano già tagliato di 136 milioni i trasferimenti ai comuni e ridotto di 122 milioni la loro capacità di spesa in conseguenza dei vincoli del patto di stabilità; tali provvedimenti hanno decurtato le risorse per gli enti locali della Sardegna di circa 576 milioni di euro;
questa situazione di palese ingiustizia - analizzata e stigmatizzata dalla Corte dei conti regionale - sta suscitando una reazione delle forze istituzionali, politiche e sociali della Sardegna, che vedono nel comportamento del Governo una vera e propria mancanza di rispetto istituzionale rispetto all'autonomia della regione Sardegna. Anche i rappresentanti dei comuni sardi hanno annunciato una mobilitazione contro gli ulteriori tagli alle risorse che, se posti in essere, comporteranno l'assoluta paralisi degli enti locali sardi, la maggior parte con meno di mille abitanti -:
se il ministro sia a conoscenza del fatto che il taglio drastico delle risorse spettanti alla Sardegna, unitamente al mancato riconoscimento delle compartecipazioni fiscali, avrà pesantissime ricadute sull'economia regionale posto che è infatti sotto gli occhi di tutti la crisi del mondo agro-pastorale dell'isola e quella del suo turismo, penalizzato questa estate da un inusuale caro traghetti;
se per questo motivo - al fine di evitare di alimentare ulteriori tensioni sociali in una regione già in difficoltà - intenda opportunamente adoperarsi perché alla Sardegna vengano immediatamente erogate le entrate fiscali previste nella finanziaria del 2007 e se, con la stessa urgenza, intenda promuovere iniziative per correggere le norme penalizzanti dalla manovra finanziaria per evitare che il sistema degli enti locali e l'intera economia della Sardegna siano definitivamente affossati.
(5-05202)

Interrogazioni a risposta scritta:

PAGANO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la città di Gela (Caltanissetta), la sesta città della Sicilia per numero di abitanti (circa 78.000), è servita da sette uffici postali e tra questi uno dei più importanti è quello di Gela-centro, ubicato nel centro storico della cittadina, più precisamente in via Verga;
a metà del 2010 a seguito di sfratto Poste Italiane è stata costretta a lasciare l'immobile sito in via Aretusa, occupato da più di vent'anni, e agli inizi del 2011 ha aperto una nuova sede in via Verga;
dopo soltanto un mese dall'apertura avrebbe avuto luogo una serie di proteste pubbliche principalmente da parte di anziani, pensionati e soprattutto associazioni di sostegno ai portatori di handicap. Tutti lamenterebbero l'infelice ubicazione dell'ufficio e il fatto che i suddetti locali non sarebbero conformi a quanto previsto dalle norme che regolano l'accessibilità ai soggetti diversamente abili. Il malcontento interesserebbe tutti gli utenti poiché tale ufficio si affaccia su una strada molto stretta con marciapiedi pressoché inesistenti e senza parcheggio per circa duecento metri. I disagi non riguarderebbero solo i pedoni ma anche gli automobilisti considerato che le operazioni di carico e scarico merci possono essere effettuate unicamente intralciando il traffico;
gli incaricati di Poste italiane, mandati a Gela per cercare un immobile da adibire a nuova sede, avrebbero richiesto, a più proprietari e a più agenzie di mediazioni, immobili da locare che avessero i seguenti standard: altezza solaio pari a 3,5 metri, superficie, tutta su un unico piano, di metri quadrati 170-200, più

aperture, certificato di destinazione d'uso commerciale e certificato di agibilità. L'attuale ufficio, invece, pur essendo stato rifinito e arredato direttamente da Poste Italiane, non sarebbe in possesso di quasi nessuno dei requisiti sopracitati poiché consta solo di otto posti a sedere, a causa della limitatezza degli spazi, inferiori rispetto a quanto precedentemente ipotizzato da Poste italiane, ed è provvisto di una sola apertura di accesso in violazione delle norme in materia di sicurezza;
allo stesso tempo non si può sottovalutare l'ubicazione dello sportello bancomat, posto all'esterno della sede postale e sul ciglio di una strada secondaria e buia che espone i cittadini che usufruiscono del servizio al rischio di essere travolti dalle auto e di essere rapinati da malviventi;
a seguito della risonanza mediatica che ha avuto e che ha questa vicenda, l'assessore all'urbanistica del comune di Gela, durante il consiglio comunale del 19 luglio 2011, ha esposto le risultanze di un sopralluogo tecnico sull'immobile suddetto, dal quale sarebbe emerso che il locale sito al piano terra, lo stesso che ospita l'ufficio postale, sarebbe sprovvisto di certificato di agibilità. La giunta gelese avrebbe conseguentemente approvato all'unanimità una mozione che stabilisce la chiusura dell'ufficio e l'invio dell'incartamento alla procura della Repubblica -:
se il Ministro sia a conoscenza delle circostanze esposte in premessa e se non ritenga opportuno, in considerazione della elevata rilevanza pubblica svolta da Poste italiane, assumere le iniziative di competenza per predisporre per quanto di competenza la chiusura immediata del suddetto ufficio postale e la ricerca di un nuovo immobile che abbia tutti i requisiti necessari.
(4-12851)

CONSOLO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge del 6 luglio 2011, n. 98, contenente «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito dalla legge n. 111 del 15 luglio 2011», all'articolo 39 («Disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria»), quarto comma, prevede che, al fine di coprire 960 posti vacanti, alla data di entrata in vigore del decreto-legge, presso le commissioni tributarie, il consiglio di presidenza della giustizia tributaria provveda ad indire, entro due mesi dalla predetta data, senza il previo espletamento della procedura di cui all'articolo 11, comma 4, del decreto legislativo n. 545 del 1992 (concorso interno) apposite procedure concorsuali riservate ai magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili che non prestino già servizio presso le predette commissioni;
in applicazione della predetta norma, il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, con delibera n. 1556 del 19 luglio 2011, ha revocato le procedure concorsuali avviate prima dell'entrata in vigore del decreto-legge, approvate con delibere pubblicate il 5 luglio 2011, per l'assegnazione di incarichi a favore dei componenti in servizio (concorso interno), preannunciando l'indizione di procedure concorsuali destinate alla copertura dei posti vacanti con accesso riservato ai magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili che non prestino già servizio presso le predette commissioni;
la normativa richiamata conduce all'esclusione dei magistrati in servizio presso le commissioni tributarie dalle procedure concorsuali, per la copertura dei posti vacanti, ponendosi a giudizio dell'interrogante in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, introducendo un'ingiustificata discriminazione all'interno della medesima categoria magistratuale e penalizzando proprio coloro che vantano una professionalità specifica nella materia tributaria;
escludere dalle procedure dirette alla copertura dei posti vacanti proprio i magistrati in servizio presso le commissioni tributarie e, perciò, coloro che sono connotati da una specifica professionalità in materia, si pone, ad avviso dell'interrogante,

in aperta contraddizione anche con la finalità dichiarata dal comma 1 del medesimo articolo 39 di «assicurare una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria»;
per rendere la norma pienamente conforme al dettato costituzionale e alle finalità dichiarate, sarebbe opportuno procedere, per la copertura dei suddetti posti vacanti, come per le altre magistrature, in due fasi successive: in una prima fase, con una procedura concorsuale si provvede alla selezione di personale magistratuale, senza l'assegnazione dei posti; in una seconda fase, si procede all'assegnazione dei posti, con priorità per i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili che prestano già servizio presso le predette commissioni, al fine di valorizzarne la professionalità e assicurare l'efficienza del sistema -:
se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative di carattere normativo per far fronte alla problematica descritta in premessa.
(4-12855)

GIANNI FARINA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
da un certificato cronologico emesso dal pubblico registro automobilistico risulta che l'Alfa 147 targata DC612LG del 15 giugno 2006 già di proprietà di Angelina Mastandrea, deceduta il 15 luglio 2009, madre del noto imprenditore irpino Roberto Sampietro, il 5 novembre 2010 ha subìto un trasferimento di proprietà, con salto di continuità nelle trascrizioni, attraverso un atto di scrittura privata tra Roberto Sampietro e la Lima (Lavorazione Irpina Manufatti Armati) srl di Flumeri (Avellino - Strada Consortile ASI snc - 83040) di cui Sampietro è unico socio;
la vendita è stata effettuata per 15.000 euro, mentre il valore di mercato della vettura è stimato tra gli 8 e i 9.000 euro;
nel certificato cronologico Roberto Sampietro risulta residente in corso Vittorio Emanuele 1/H di Ariano Irpino, mentre la sua residenza anagrafica risulta in via San Tommaso n. 9 sempre in Ariano Irpino (Avellino);
risulterebbe quindi che l'imprenditore Roberto Sampietro abbia sovrastimato l'autovettura venduta all'azienda di sua esclusiva proprietà -:
come si spieghi il fatto che dal certificato cronologico risulti una diversa residenza del signor Sampietro e se siano state attivate verifiche da parte della Guardia di finanza in relazione al caso di cui in premessa.
(4-12858)

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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

REGUZZONI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il presidente del tribunale di Milano ha di recente avanzato la proposta di accorpare alla sede di Milano tutte le cause ora trattate dalla sezione distaccata di Legnano (e delle altre due sedi distaccate di Rho e Cassano d'Adda);
la citata proposta ha visto il voto favorevole, a maggioranza, del consiglio giudiziario, mentre, per converso, hanno espresso parere contrario sia il presidente dell'ordine degli avvocati di Milano che il delegato dal procuratore generale e il segretario del consiglio giudiziario;
appare evidente che il prospettato accorpamento, lungi dal realizzare l'obiettivo di assicurare la giustizia in tempi ragionevoli, a un territorio di fondamentale importanza nel tessuto imprenditoriale e industriale del Nord-ovest, comporterebbe una dilatazione dei tempi dei processi, tenuto conto dell'enorme carico di lavoro già gravante sul tribunale di

Milano, determinando un aumento di disagi e di costi per tutti i cittadini e gli operatori economici;
i comuni della sezione distaccata di Legnano, ora facente parte del circondario del tribunale di Milano (nello specifico i comuni della sezione distaccata di Legnano sono: Arconate, Buscate, Busto Garolfo, Canegrate, Castano Primo, Cerro Maggiore, Dairago, Legnano, Magnago, Nosate, Parabiago, Rescaldina, Robecchetto con Induno, San Giorgio su Legnano, San Vittore Olona, Turbigo, Vanzaghello, Villa Cortese), sono prevalentemente integrati nel territorio bustese - ricadente nel circondario del tribunale di Busto Arsizio - e con questo hanno forti e radicati legami ed interessi sia economici che professionali; si pensi solo a tutto l'indotto dovuto all'aeroporto di Malpensa -:
come valuti il Ministro l'ipotesi di far ricadere i comuni, ora facenti parte della sezione distaccata di Legnano, nel circondario del tribunale di Busto Arsizio ed eventualmente quali iniziative di competenza, anche normative, intenda adottare.
(4-12839)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come riportato dalle agenzie di stampa, nelle scorse settimane un detenuto di 38 anni nel carcere di Lecce è stato protagonista di un atto di autolesionismo: ha ingerito due lamette da barba ed è stato trasportato in ospedale;
il gesto è stato determinato dalle precarie condizioni del giovane costretto su una sedia a rotelle a causa di un episodio violento;
in un primo momento il detenuto era stato assegnato agli arresti domiciliari, poi revocati; occorrerebbe ricoverare il detenuto in una eventuale struttura sanitaria adeguata alle sue condizioni precarie di salute;
nonostante l'impegno e la buona volontà dei dirigenti e del personale, le condizioni del carcere di Lecce (ma, si potrebbe dire, delle tante carceri più in generale) non sono tali da consentire che siano rispettati pienamente i diritti umani -:
se non si intenda disporre il ricovero del detenuto in questione in una struttura sanitaria adeguata alle sue precarie condizioni di salute;
se ed in che misura al detenuto di cui in premessa venga garantito una adeguato sostegno psicologico;
quali iniziative immediate intendano assumere, negli ambiti di rispettiva competenza, per affrontare un problema così grave, sia per il caso specifico del carcere di Lecce, sia per le condizioni più generali delle carceri italiane.
(4-12840)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 21 luglio 2011, l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere composto da Radicali Italiani, Antigone, Ristretti Orizzonti. Il Detenuto Ignoto, A Buon Diritto e Radiocarcere, ha pubblicato la seguente mail inviata dall'avvocato Davide Mosso del Foro di Monza: «Una persona da me assistita che si trovava nel carcere di Monza in custodia cautelare, il signor Redouane Messaoudi, nato nel 1974 in Algeria, è stato trovato privo di vita la mattina di sabato 16 luglio. Ieri mattina è stata effettuata l'autopsia (alla quale peraltro non ho potuto partecipare né direttamente né tramite medico legale non avendo titolo perché non sono riuscito a contattare l'unico familiare con cui avevo parlato, un fratello che vive in Grecia). Il signor Messaoudi era in quel momento nel

reparto di psichiatria del carcere. Affetto da diabete insulinodipendente, epilettico e con diagnosi di disturbo borderline, dopo un periodo di osservazione nell'Opg di Reggio Emilia era rientrato nel normale circuito penitenziario. Prima di andare a Monza, dove si trovava da circa due settimane, era stato a Voghera. Era stato arrestato ad aprile per un'ipotesi di cessione di stupefacenti (una dose) e resistenza. L'udienza preliminare, già fissata dieci giorni fa, era stata rinviata a ieri data l'impossibilità in quell'occasione per il signor Messaoudi a comparire (era in ospedale e i medici non avevano dato nulla osta). Ieri era previsto che il giudice incaricasse uno psichiatra di svolgere perizia. Nella comunicazione del carcere sulla possibile causa del decesso si fa riferimento al reiterato rifiuto del signor Messaoudi di assumere l'insulina. Per somministrargliela forzatamente era stato ricoverato in ospedale in due occasioni. Il giorno precedente al decesso non gli sarebbe stata somministrata per due volte l'insulina perché rifiutata» -:
se siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa; quale sia l'esatta dinamica degli eventi che ha condotto alla morte dell'uomo;
se intendano avviare, negli ambiti di rispettiva competenza, una indagine amministrativa interna al fine di appurare il modo in cui siano avvenuti i fatti; se nella circostanza non siano ravvisabili profili di responsabilità disciplinare in capo al personale penitenziario e se nei confronti del detenuto in questione siano state messe in atto tutte le misure di cura e assistenza che le sue precarie condizioni fisiche richiedevano.
(4-12841)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere composto da Radicali Italiani, Ristretti Orizzonti, Radio Carcere, Antigone, A buon diritto e Il detenuto ignoto, il 4 luglio 2011, all'ospedale «Borgo Roma» di Verona, è morto K.V., cittadino greco di 47 anni. Tra le ipotesi, il suicidio o lo sballo finito in tragedia: una settimana prima, infatti, in una cella del carcere di Montorio, l'uomo aveva inalato il gas dalla bomboletta utilizzata per cucinare;
per far piena luce sulla vicenda, il pubblico ministero, dottor Francesco Rombaldoni, ha aperto un'inchiesta, anche se fino ad oggi non risultano iscritti nel registro degli indagati. Tra le ipotesi al vaglio degli investigatori, il suicidio o uno sballo finito in tragedia;
il gesto estremo dell'uomo viene giudicato quantomeno «strano» anche dalle autorità del penitenziario: il detenuto infatti non aveva mai procurato problemi e aveva tenuta una condotta irreprensibile tanto che il suo fine pena previsto per il 2013 sarebbe stato anticipato alla fine del 2011, grazie ai benefici ottenuti durante la carcerazione. Era anche ben inserito nelle attività del carcere: frequentava la redazione del giornale Microcosmo, oltre ad aver partecipato a dei corsi scolastici. Aveva dei problemi di salute, raccontano ancora dal carcere, ma era stato curato con ricovero in ospedale e anche quelle patologie vascolari si erano risolte senza complicazioni -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
quale sia l'esatta dinamica degli eventi che ha condotto alla morte dell'uomo;
se intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare il modo in cui siano avvenuti i fatti e se nella circostanza non siano ravvisabili profili di responsabilità disciplinare in capo al personale penitenziario.
(4-12842)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel carcere di Montorio di Verona lavorano 280 agenti di polizia penitenziaria di ogni grado e la pianta organica ne prevede 407;
la capienza del carcere è di circa 500 detenuti, che ad oggi sono quasi il doppio;
nello scorso mese di giugno 2011 è stato sventato un tentativo di fuga di un detenuto che aveva già raggiunto il muro di cinta;
si sono accertati tre casi di tubercolosi;
il trattamento di missione non è corrisposto dal settembre 2010; mancano fondi anche per le minime esigenze (carta, lampadine) -:
quali misure urgenti il Ministro intenda attuare per garantire, oltre ai diritti dei detenuti, quelli della polizia penitenziaria che deve sopportare, con grande sacrificio, turni di lavoro forzati;
come intenda garantire fondi indispensabili per la manutenzione ordinaria;
quali misure intenda attuare per diminuire l'affollamento, anche in considerazione delle esigenze igienico-sanitarie, onde evitare situazioni di rischio.
(4-12843)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'istituto penitenziario di Trento, fiore all'occhiello dell'amministrazione penitenziaria, è all'avanguardia dal punto di vista dell'evoluzione tecnologica per la cosiddetta «sorveglianza dinamica» della polizia penitenziaria;
la direzione di detto istituto, che procederebbe, a quanto consta agli interroganti, alla gestione del carcere e del personale ivi collocato in maniera autoritaria e «privatistica», da tempo suscita lamentele e malumori;
alla prima firmataria del presente atto, in particolare, risulta che: a) in detto istituto, data la carenza di un'equa e trasparente organizzazione del lavoro, i turni di piantonamento di detenuti presso le corsie in ospedale sarebbero di 8 ore rispetto alle usuali 6; b) nonostante la conclamata carenza di poliziotti penitenziari sarebbero state aperte nuove sezioni detentive; c) il complesso degli alloggi esterni sarebbe privo sia di un'assicurazione sugli stabili che di contratti per le manutenzioni; d) alcuni operatori del predetto penitenziario avrebbero denunciato atteggiamenti irrispettosi da parte della direzione; e) a causa del diniego della predetta direzione di inviare un detenuto a visita specialistica per presunta scabbia, poi accertata, gli agenti avrebbero rischiato il contagio e la diffusione della malattia anche all'esterno dell'istituto;
le organizzazioni sindacali di categoria avrebbero più volte segnalato tali atteggiamenti all'amministrazione;
l'attuale direzione, già nella precedente gestione del carcere di Rovereto, avrebbe provocato uguali e simili problematiche;
recentissime notizie di stampa riferiscono di un'avvenuta ispezione ministeriale presso il carcere -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra e se corrisponda al vero che presso il carcere di Trento si sia svolta un'ispezione ministeriale e, in caso affermativo, con quali esiti.
(4-12844)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
sul quotidiano La Gazzetta di Modena del 21 luglio 2011 è apparso il seguente articolo di Saverio Cioce e intitolato: «Modena,

carcere senza sapone per i detenuti; lo compra chi può, pidocchi nella sezione femminile»: «Un frigorifero conquistato. E il prossimo obbiettivo è quello di un paio di congelatori per servire acqua fredda a 150 detenuti, che con 40 gradi nelle celle, in tre per ogni stanza da nove metri quadrati, devono aspettare che passi un altro giorno, uguale al precedente. "Ormai non so più che lingua parlare - sbotta Paola Cigarini, a capo dell'associazione Carcere Città che da anni lavora con i suoi volontari nel carcere di S. Anna - Tutti dicono che la situazione è intollerabile, che cosi non si può andare avanti ma nulla cambia; ma qual è la situazione dove nessuno può far nulla? Il taglio dei fondi e i risparmi coatti hanno dato la mazzata finale a una situazione già grave. E ora mi sembra che siamo al delirio. Chi ha sete può bere solo l'acqua del rubinetto, calda o se va bene un poco più fresca quando si può miscelare con quella delle bottiglie ghiacciate dai congelatori. Sempre che funzionino, naturalmente: per tutto il carcere ce ne sono sei, uno per ogni 75 detenuti, ma ora due sono rotti e non ci sono fondi per aggiustarli. Ho mandato lettere a Coop e Conad per trovarne due anche vecchi e dismessi ma funzionanti e aspetto una risposta. Per il resto facciamo i conti con i tagli di fondi da parte del ministero». Per il carcere modenese questo significa che da due settimane non vengono più passate né le bustine di sciampo né i dentifrici e neppure i detergenti per le celle. «Chi ha il conto a zero euro, e questo vale per più della metà dei detenuti - prosegue con amarezza la Cigarini - può avere 10 euro ogni due mesi grazie a 'Porta Aperta' al Carcere: a quel punto l'alternativa è tra una saponetta in più o un pacchetto di sigarette. Ancora una volta i cittadini devono organizzarsi da soli per far fronte all'assenza dello Stato. Noi dal canto nostro ci occupiamo principalmente delle sezione femminile e siccome ci sono numeri più piccoli possiamo dare 10 euro a settimana, autotassandoci. Così almeno i detergenti sono assicurati anche se i pidocchi fanno strage. In serata avevamo programmato una cocomerata con le detenute durante un'ora d'aria; ci abbiamo rinunciato perché dieci donne su 29 hanno problemi di pediculosi e non si può correre il rischio di allargare l'epidemia. Non vogliamo neppure escluderle; aspettiamo di eliminare i pidocchi". Così dicendo dà un'occhiata al phone center dove ha accompagnato un detenuto; ha il permesso per un paio d'ore e le sta usando per telefonare alla sua famiglia in Tunisia. La vita quotidiana nel carcere di S. Anna scivola tra il caldo e le zanzare, perché tra le grate passano solo quelle; i più danarosi usano gli spiccioli per comprare gli zampironi, altro non è possibile usare. Il problema dell'occupazione per chi è dietro le sbarre è sempre lo stesso. Persino i piccoli lavoretti interni sono stati tagliati della metà. Il portavitto, il bibliotecario, il cuoco sono stati accorpati: metà spesa con metà personale che fa il doppio. La direttrice Rosa Alba Casella in questi giorni è in ferie e quando tornerà troverà sul tavolo i problemi di sempre e il bubbone sempre gonfio del sovraffollamento» -:
se non ritenga di dover disporre una visita ispettiva presso il carcere di Modena;
se non intenda dotare il carcere di Modena di un numero di congelatori adeguato a quello dei detenuti ivi ristretti;
cosa intenda fare al fine di garantire l'immediata distribuzione ai detenuti del carcere di Modena di prodotti di prima necessità, quali bustine di shampoo, dentifrici e detergenti per le celle; più in generale, quali iniziative urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, anche in considerazione della stagione estiva, al fine di rendere più tollerabili e conformi alla legge e ai regolamenti le condizioni di vita e di salute delle persone recluse all'interno dell'istituto di pena in questione.
(4-12848)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:

GAROFALO e GERMANÀ. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nella stazione ferroviaria di Capo d'Orlando si registra, ancora oggi, la carenza di condizioni essenziali minime per i passeggeri, tra le quali l'assenza dei servizi igienici in stazione;
la chiusura della toilette, derivante dalla decisione di RFI di consentire l'utilizzo dei bagni solo nelle stazioni considerate «ad alta utenza», tra le quali non rientrerebbe Capo d'Orlando, poiché non interessata da frequentazioni quotidiane elevate, ha come diretta conseguenza la violazione di quei livelli minimi di decoro che Rete ferroviaria italiana dovrebbe assicurare in tutte le stazioni della rete nazionale;
la mancanza dei servizi igienici, in una stazione frequentata quotidianamente durante la stagione invernale da molti studenti e lavoratori pendolari e nei mesi estivi interessata anche da flussi turistici, sta provocando un pericoloso abbassamento delle condizioni sanitarie nelle aree a cielo aperto limitrofe ai binari: numerose sono, infatti, le proteste dell'utenza e della cittadinanza costrette a sopportare, specie in questa stagione, un odore nauseabondo;
il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella seduta della IX Commissione del 27 ottobre 2010, in risposta ad un atto di sindacato ispettivo vertente sui medesimi disservizi della stazione di Capo d'Orlando, aveva fornito una serie di elementi informativi, tra i quali, con specifico riferimento ai servizi igienici, l'impegno, al momento disatteso, della società RFI a consegnare i locali della toilette, in comodato d'uso, all'attuale gestore del bar/tabacchi della stazione, con il preciso impegno di renderli utilizzabili per i viaggiatori -:
quali urgenti iniziative intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di consentire il ripristino delle condizioni minime essenziali per lo svolgimento del servizio pubblico ferroviario nella stazione di Capo d'Orlando.
(5-05203)

Interrogazioni a risposta scritta:

MANCUSO e NASTRI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
quella abitativa è una gravissima emergenza dei nostri giorni;
nel 2006 l'Atc (azienda territoriale per la casa) di Novara ha ultimato la costruzione di una palazzina in via san Bernardino da Siena;
secondo una convenzione siglata nel 1994 tra il comune di Novara e il Ministro per la difesa, la palazzina avrebbe dovuto ospitare gli ufficiali di carriera dell'esercito, mentre il Ministero avrebbe ceduto al comune l'edificio della cittadina caserma Perrone;
successivamente il demanio cedeva la caserma Perrone all'università che vi ha ubicato i nuovi locali dell'ateneo;
da qui un più che decennale contenzioso tra le due istituzioni che ha bloccato l'assegnazione della palazzina, rimasta disabitata, tranne che per alcuni giorni del 2006, in cui è stata abusivamente occupata;
il comune novarese aveva trovato in queste ultime settimane un accordo con il Ministero per la destinazione di 9 unità abitative della palazzina di via san Bernardino alla copertura dell'emergenza abitativa ed era in questi giorni in procinto di assegnarle ai cittadini in stato di necessità;

nella notte tra il 12 e il 13 luglio 2011 ignoti sono penetrati nella palazzina devastandola e procurando danni per 110.000 euro -:
quali azioni intenda mettere in atto il Governo per chiudere la triste vicenda e permettere, finalmente, l'assegnazione dei nove appartamenti ai cittadini novaresi.
(4-12829)

GIANNI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nel porto di Augusta (Siracusa) sono programmati importanti interventi infrastrutturali attraverso lo sviluppo e l'ampliamento di banchine e piazzali;
si tratta di interventi che una volta portati a termine potranno dare al porto di Augusta una nuova dimensione e prospettive di sviluppo interessanti;
sembrerebbe che la Commissione europea stia valutando la soppressione del Corridoio 1 relativo alla Palermo-Berlino, in quanto non rientrerebbe nel Piano europeo 2014-2020, se tali indiscrezioni fossero confermate sarebbe allarmanti;
l'eventuale soppressione del Corridoio 1, Palermo-Berlino potrebbe rappresentare un colpo mortale per lo sviluppo infrastrutturale non solo della Sicilia ma di tutto il Mezzogiorno, isolando di fatto la Sicilia e il Mezzogiorno dall'Europa;
in particolare l'esclusione dal Piano europeo 2014-2020 del Corridoio 1 farebbe venire meno i finanziamenti relativi ai lavori per il potenziamento del porto di Augusta;
appare evidente che l'eventuale scelta della Commissione europea rappresenterebbe un colpo mortale alle possibilità di riscatto sociale ed economico per la Sicilia e il Mezzogiorno;
il porto di Augusta è rispetto agli altri porti del mezzogiorno è il più vicino al Canale di Suez ed è lungo la rotta per l'Atlantico;
vi è la concreta possibilità di poter compiere un salto di qualità per il porto di Augusta ma per questo e necessario che oltre all'allargamento dei piazzali e banchine, che con questi interventi rimarrebbe un porto di medio livello come i tanti che ci sono nel Mediterraneo, è necessario procedere alla bonifica della parte inquinata e con i cassoni di colmata si può trasformare il porto di Augusta in un hub, con un molo di oltre due chilometri che arriva in acque molto profonde, questo consentirebbe l'attracco delle grandi navi portacontainer da 15 mila teus e con l'allargamento del porto, questi diventerebbe il migliore di tutto il Mediterraneo;
il Governo e la regione, ognuno per le parti di propria competenza debbono fare la loro parte opponendosi con forza alla esclusione del Corridoio 1 Palermo-Berlino dal Piano europeo 2014-2020 garantendo in ogni caso i finanziamenti sia quelli relativi all'ampliamento di banchine e piazzali sia quelli per procedere alla bonifica che garantirebbero la trasformazione del porto di Augusta nel migliore del Mediterraneo;
la questione relativa all'intervento infrastrutturale strategico sul porto di Augusta, se realizzata, non potrà che avere una importanza notevole, oltre che per la Sicilia e il mezzogiorno anche per l'Italia sia in termini di ripresa economica che di nascita di nuove imprese e occupazione -:
se confermi che la Commissione europea stia valutando concretamente l'esclusione del Corridoio 1 Palermo-Berlino dal Piano europeo 2014-2020 e se, in caso affermativo, si sia già attivato per evitare questo atto gravissimo;
come intenda garantire, in ogni caso, l'afflusso, certo e continuativo, dei finanziamenti finalizzati sia alla realizzazione dell'ampliamento di banchine e piazzali del porto di Augusta sia alla messa in sicurezza e bonifica della rada che trasformerebbe il citato porto in un hub che consentirebbe l'attracco delle grandi navi portacontainer da 15 mila teus avendo una

volta concluso i lavori a disposizione un molo di due chilometri e acque molto profonde, il che renderebbe il porto di Augusta il migliore del Mediterraneo.
(4-12852)

...

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:

BELLANOVA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella serata di venerdì 22 luglio 2011 si sono verificati alcuni incendi, sembrerebbe di natura dolosa, che hanno colpito duramente uno degli scenari paesaggistici più belli del territorio salentino e della Puglia. Si tratta della baia delle Orte, oasi naturalistica sita in località Otranto, nella quale sono andati in fumo decine di ettari distruggendo di fatto una tra le più belle pinete del territorio, ma anche del Parco di Portoselvaggio e Palude del Capitano sulla costa jonica di Nardò dove sono andati bruciati diversi ettari di macchia mediterranea;
il lavoro svolto dai vigili del fuoco, in collaborazione con la protezione civile ed alcuni volontari è stato encomiabile poiché ha permesso che fossero salvate dai roghi almeno le strutture turistico-ricettive, ma nonostante diverse sollecitazioni il sostegno del mezzo Canadair è arrivato solo dopo 18 ore;
dagli organi di stampa emerge che gli stessi vigili del fuoco abbiano protestato poiché a causa della crisi e dei susseguenti tagli si sono ritrovati quest'anno a fare a meno anche dell'ausilio di rinforzi che consentivano, in tempi precedenti, l'apertura di presidi estivi;
vi è una strutturale ed oggettiva carenza d'organico nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco nonostante attualmente vi sia l'esistenza di una graduatoria riveniente dal concorso per 814 posti per l'accesso alla «qualifica di vigile del fuoco del ruolo dei vigili del fuoco del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco» per la quale non si è proceduto ancora all'assunzione di tutti i vincitori. Va detto che già con la legge n. 296 del 2006, si era approvata una norma atta a consentire la stabilizzazione del personale discontinuo operante nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco iscritto negli apposti elenchi da almeno tre anni col fine di ottenere l'immissione in ruolo di personale già professionalizzato e ridurre contemporaneamente l'utilizzo di personale precario per l'espletamento di attività ordinarie;
il Governo Berlusconi con il piano «Soccorso Italia in 20 minuti» aveva previsto un incremento dei distaccamenti sul territorio nazionale, le stesse linee guida del «Patto per il Soccorso» stipulato dal Governo in accordo con le OO.SS. nel 2007 evidenziavano l'importanza «del potenziamento previsto dall'Amministrazione dell'interno nel progetto Soccorso Italia in 20 minuti, in modo da conseguire una presenza complessiva sul territorio molto più in linea con il rapporto operatori/abitanti del resto d'Europa». Ad avviso dell'interrogante se ci si propone l'obiettivo di migliorare il soccorso sul territorio nazionale a favore dei cittadini, implementando addirittura nuovi distaccamenti del Corpo dei vigili del fuoco, non si può non tenere in considerazione un consequenziale potenziamento d'organico che ad oggi, sembrerebbe, non essere stato avviato -:
se il Ministro interrogato, in virtù di quanto sopra esposto, non ritenga opportuno intervenire con urgenza attraverso misure idonee che diano seguito al completamento delle graduatorie dei vincitori di concorso e del personale da stabilizzare, secondo la legge finanziaria 2007 per evitare che il fuoco che ha di fatto divorato uno degli scenari paesaggistici più belli della Puglia e d'Italia possa nuovamente minacciare il territorio salentino creando pericolose situazioni di effettivo rischio anche per la cittadinanza.
(5-05201)

Interrogazioni a risposta scritta:

NACCARATO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la sera del 20 luglio 2011 nell'area adiacente alla stazione ferroviaria di Padova due bande di spacciatori, composte rispettivamente da cittadini nigeriani e magrebini, si sono scontrate violentemente. Nel corso di tale scontro cinque persone hanno riportato diverse ferite da taglio provocate dall'utilizzo di coltelli e cocci di bottiglia;
il pomeriggio del giorno successivo nel parcheggio in piazza De Gasperi a Padova una violenta lite tra due cittadini nigeriani e sfociata in uno scontro risolto a colpi di accetta e conclusosi con il ricovero in ospedale di uno dei protagonisti;
solo grazie all'immediato intervento di numerose pattuglie della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della polizia locale è stato possibile evitare che le violente contrapposizioni tra spacciatori portassero a conseguenze più gravi di quelle sopra descritte. Analogamente, l'arresto di tre persone implicate a vario titolo nelle violenze si deve unicamente alla prontezza dell'azione di contrasto attuata dalle forze dell'ordine;
il repentino aumento di azioni violente da parte di gruppi di cittadini stranieri dediti allo spaccio di stupefacenti risulta contestuale all'arrivo, nel territorio comunale di Padova, di numerosi profughi provenienti dalla Tunisia, come dimostrato dalla documentazione trovata in possesso di Abdelmoneam Dhouibi, 27 anni, cittadino tunisino dotato di regolare permesso di soggiorno rilasciato per motivi umanitari, arrestato dal personale della squadra mobile di Padova nei giorni immediatamente successivi alle violenze per possesso di sostanze stupefacenti;
la presenza costante di numerosi profughi tunisini provvisti di permesso di soggiorno per motivi umanitari negli ambienti legati al traffico di stupefacenti è sintomatica, secondo l'interrogante, della mancanza di controllo predisposta dal Governo e conferma l'incapacità dell'Esecutivo di gestire non solo l'emergenza degli sbarchi dei rifugiati ma anche la loro distribuzione sul territorio nazionale;
negli ultimi mesi i sindaci dei comuni interessati dall'emergenza profughi sono stati lasciati soli tanto nella gestione delle operazioni di accoglienza, quanto nelle azioni di prevenzione e contrasto degli effetti collaterali da questa generati;
allo stato attuale, l'emergenza profughi a Padova si è trasformata in un'emergenza di ordine pubblico per i residenti;
in seguito ai fatti di violenza sopra descritti e al fine di supplire alle inadempienze del Governo, l'amministrazione comunale di Padova è stata costretta a chiedere al Ministero della difesa l'invio di un ulteriore contingente di 25 militari dell'Esercito per garantire la sicurezza delle aree a rischio;
i canali privilegiati nell'ambito dell'accoglienza e integrazione dei rifugiati da tempo attivi e operanti a Padova, come il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), sono stati coinvolti tardivamente e in modo parziale dal Governo, nonostante la pronta e ripetuta disponibilità dimostrata dall'amministrazione comunale di Padova -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
in che modo il Ministro intenda garantire la sicurezza pubblica nel territorio comunale di Padova, e in particolare nella zona della stazione ferroviaria, alla luce dei violenti scontri tra spacciatori alimentati dall'arrivo incontrollato di profughi nordafricani;
quali concrete misure di competenza il Ministro intenda urgentemente promuovere al fine di assicurare un adeguato livello di prevenzione e contrasto del traffico di stupefacenti nel territorio comunale di Padova, e in particolare nella zona della stazione ferroviaria, garantendo l'invio di

un proporzionato apporto di risorse, uomini e mezzi ai comandi delle Forze dell'ordine nel capoluogo;
in quali tempi e in che misura il Ministro intenda correggere le fallimentari linee-guida sull'emergenza profughi fin qui adottate.
(4-12828)

BIAVA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
è stato smantellato il nucleo sommozzatori dei vigili del fuoco di Ferrara istituito con decreto ministeriale n. 4067 del 1974;
questo nucleo ha eseguito numerosissimi interventi sia nella regione Emilia Romagna e sia nelle regioni limitrofe e confinanti tra cui le Marche, il Veneto ed il Friuli Venezia Giulia;
la presenza dei sommozzatori dei vigili del fuoco è importante per il territorio della provincia di Ferrara classificato ad alto rischio acquatico vista la presenza del fiume Po e degli oltre 400 chilometri di canali attigui alle strade oltre il tratto di litorale adriatico esteso per oltre 40 chilometri da Goro a Lido di Spina;
il nucleo sommozzatori di Ferrara era composto da 4 unità fino a pochi giorni fa (19 luglio 2011) con una dotazione di un furgone, un fuoristrada ed un gommone abilitato alla navigazione fino a 12 miglia, perfettamente equipaggiati con mute individuali e mute antinquinamento ad isolamento totale;
il servizio che svolgeva il nucleo sommozzatori di Ferrara non ha un impatto critico per la spesa pubblica, anzi i costi che genera in rapporto ai servizi che svolge sono quasi non significativi: 0,006 euro/anno per ogni cittadino dell'Emilia Romagna o 0,07 euro/anno per ogni cittadino della provincia di Ferrara -:
se il Ministro interrogato non ritenga idoneo ripristinare il nucleo sommozzatori dei vigili del fuoco di Ferrara - istituito con decreto ministeriale n. 4067 del 1974 - per dare una risposta concreta e immediata al territorio della provincia di Ferrara classificato ad alto rischio acquatico;
se lo stesso Ministero non intenda, nell'ambito della riorganizzazione del servizio di soccorso subacqueo e acquatico regionale, prevedere il reintegro delle 4 unità del nucleo sommozzatori trasferite a Bologna nel nucleo dei vigili del fuoco di Ferrara, ove ripristinato.
(4-12831)

GRIMOLDI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 19 luglio 2011 alcuni giovani del centro sociale Foa Boccaccio di Monza hanno fatto irruzione nella sala del consiglio comunale della città, interrompendo la seduta sul piano di governo del territorio e hanno cominciato a leggere, con un megafono, un comunicato di protesta contro gli sgomberi dell'amministrazione;
a seguito di tale irruzione, si è arrivati allo scontro fisico con i vigili e la guardia giurata che controlla gli ingressi in municipio;
i giovani sono poi riusciti a divincolarsi e a scappare fuori dall'aula; all'uscita del comune, però, sono stati fermati dalla guardia giurata, che li ha bloccati con forza;
i giovani hanno reagito con violenza ed è nata una rissa con pugni e calci tra i giovani del centro sociale, la guardia giurata e un paio di vigili;
la guardia giurata ha riportato un trauma facciale ed escoriazioni varie e anche il vigile che era in consiglio ha avuto 10 giorni di prognosi per l'aggressione;
quanto accaduto è il segnale che serve un intervento urgente, prima che la situazione degeneri, affinché i responsabili siano identificati, denunciati e sottoposti a pene certe -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti e del perdurare della situazione di tensione a Monza e se non ritenga opportuno intervenire affinché le forze

dell'ordine possano procedere celermente nell'iter di denuncia e identificazione dei responsabili dei fatti di cui in premessa.
(4-12833)

MESSINA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
lunedì 25 luglio 2011 - nell'ambito dell'iniziativa «LasciateCIEntrare» promossa dalle organizzazioni associative della stampa e da esponenti del mondo politico, nel corso della quale parlamentari di diversa appartenenza partitica hanno effettuato visite in numerosi centri di identificazione e espulsione (Cie) sul territorio nazionale in segno di protesta contro la circolare del Ministro dell'interno n. 1305 dei 1o aprile 2011 che ha limitato la possibilità per i giornalisti di recarsi in tali strutture, con la motivazione che essi arrecherebbero intralcio all'operato degli enti gestori - il sottoscritto interrogante ha visitato il centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Mineo (Catania);
i centri di accoglienza per richiedenti asilo, previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 2004 e dal decreto legislativo 28 gennaio 2008 n. 25, sono strutture nelle quali viene inviato - per un periodo variabile di 20 o 35 giorni - lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento o che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l'identificazione o la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. I Cara rappresentano solo una delle diverse tipologie di strutture di contrasto all'immigrazione irregolare. In tale contesto centri di accoglienza (CDA), di cui alla legge n. 563 del 1995, sono strutture destinati allo straniero irregolare rintracciato sul territorio nazionale, per il tempo strettamente necessario per stabilire l'identità e la legittimità della sua permanenza sul territorio o per disporne l'allontanamento. I Cie, così ridenominati con decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, sono invece destinati al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, degli stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione, ai sensi dell'articolo 14 del Testo unico sull'immigrazione, come modificato dall'articolo 12 della legge n. 189 del 2002;
i centri in questione, gestiti a cura delle prefetture-uffici territoriali del Governo tramite convenzioni con enti, associazioni o cooperative aggiudicatarie di appalti dovrebbero in ogni caso assicurare, nel rispetto dei diritti umani e in adempimento a tutte le convenzioni internazionali - assistenza alle persone (vitto, alloggio, fornitura effetti personali e altro) assistenza sanitaria, assistenza psico-sociale e mediazione linguistico culturale, oltre alle ordinarie attività di pulizia ed igiene ambientale nonché di manutenzione delle strutture e degli impianti;
la situazione del Cara di Mineo, emersa dalla visita sopra citata, rappresenta la necessità di un intervento volto ad assicurare una migliore e più dignitosa funzionalità della struttura. In particolare, le due commissioni che si occupano dello smistamento delle pratiche concernenti ciascun immigrato richiedente asilo riescono a vagliare una media di appena settanta posizioni a settimana, a fronte di circa 1.800 persone presenti nel centro, e vi sarebbe la necessità di disporre di un servizio di interpretariato - almeno dall'inglese all'italiano - per assicurare un livello sufficiente di comunicazione e comprensione tra operatori e migranti;
tali difficoltà organizzative non sembrano essere state affrontate con la dovuta attenzione e la situazione problematica rischia di acuirsi tenendo conto del fatto che il nuovo soggetto gestore dei servizi del centro, subentrante alla Croce rossa italiana, non verrebbe individuato con una procedura ad evidenza pubblica tale da assicurare un ottimale rapporto tra le risorse umane e finanziarie disponibili e il livello del servizio di assistenza alle persone;
la recente emergenza relativa all'afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa e i frequenti episodi verificatisi

all'interno di diversi centri testimoniano il permanere di una situazione organizzativa che, oltre a rendere ancor più penosa la permanenza degli immigrati, non rende giustizia neppure al delicato lavoro svolto dalle forze dell'ordine. Le limitazioni di accesso alle strutture di accoglienza e a quelle di detenzione poste dalla predetta circolare ministeriale vanno in senso opposto alla necessità della più ampia trasparenza possibile, al fine di consentire il doveroso accertamento delle condizioni degli stranieri ospitati nei centri -:
quali iniziative il Ministro abbia posto in essere o intenda porre in essere, con urgenza, al fine di assicurare che le problematiche di cui in premessa, concernenti il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo trovino adeguata risposta e soluzione;
quali misure, in particolare, si intenda assumere - per quanto di competenza - al fine di garantire una più dignitosa permanenza nel centro da parte dei richiedenti asilo ed un più sollecito esame delle pratiche di ciascuno, assicurando in ogni caso un servizio di interpretariato efficace ed adeguato alle presenze nel centro medesimo;
con quali modalità si intenda assicurare piena trasparenza sull'affidamento dei servizi della struttura, dal momento che la Croce rossa italiana dal prossimo 31 agosto 2011 la gestione ad essa affidata;
quali iniziative si intenda assumere per migliorare sensibilmente le condizioni dei migranti presenti, permettendo in ogni caso la verifica ed il monitoraggio delle situazioni esistenti non solo ai parlamentari della Repubblica, ma anche ai giornalisti ed alle organizzazioni e agli enti riconosciuti a carattere assistenziale ed umanitario, rendendo altresì pubblici tutti gli atti relativi alla gestione dei centri al fine di consentire una esaustiva e corretta informazione sull'amministrazione e la gestione delle strutture in questione.
(4-12856)

BORGHESI e FEDERICO TESTA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'Azienda generale dei servizi municipalizzati di Verona (AGSM) ha annunciato la scorsa settimana che sarà lo sponsor ufficiale della società di calcio cittadina Hellas Verona, militante nel campionato di serie B;
il contratto di collaborazione commerciale ha un valore di 350.000 euro ed è stato presentato nella sede del Comune di Verona, alla presenza del sindaco, Flavio Tosi, dell'assessore allo sport Federico Sboarina e del presidente dell'Agsm Paternoster. Il sindaco è da sempre tifoso e fiancheggiatore del tifo più oltranzista della squadra (le brigate gialloblù);
Agsm, originariamente azienda municipalizzata, è una società per azioni, che, come risulta dalla lettura del suo bilancio è in realtà un gruppo costituito da AGSM Verona spa e dalle società partecipate AGSM Energia spa, AGSM Distribuzione spa, AGSM Trasmissione srl e dal Consorzio Industriale G. Camuzzoni scarl. Il gruppo è radicato sul territorio comunale di Verona ed in alcuni comuni della provincia;
Agsm spa è controllata al 100 per cento dal comune di Verona, che ne è il socio unico;
l'articolo 6, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 ha vietato le sponsorizzazioni da parte degli enti locali;
secondo sentenze della Corte di Cassazione ad essere vietati sarebbero in generale gli accordi di patrocinio comportanti spese; ciò che la norma tende ad evitare sarebbe dunque proprio la concessione del patrocinio - che preveda oneri, da parte delle amministrazioni pubbliche - ad iniziative organizzate da soggetti terzi, ad esempio la sponsorizzazione di una squadra di calcio;

a nulla rileva il fatto che Agsm abbia la forma giuridica di spa, poiché essendo controllata al 100 per cento da parte del comune è come se la sponsorizzazione fosse realizzata direttamente dal comune, che ne è socio unico;
tra l'altro la società opera limitatamente al territorio veronese e quindi è del tutto fuori luogo immaginare che possa svolgere una funzione di promozione commerciale in qualunque stadio italiano ove la squadra giocherà nel prossimo campionato;
la società risulta debitrice di somme rilevanti (circa 750.000 euro) nei confronti del comune di Verona -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa e se non ritenga di dover intervenire al fine di chiarire che l'articolo 6, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, vada interpretato nel senso di escludere anche le società a totale partecipazione pubblica o, in caso contrario, se non intenda assumere un'iniziativa normativa volta a includere espressamente tali soggetti nel divieto di cui all'articolo 6, comma 9, del citato decreto-legge.
(4-12859)

GRIMOLDI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 27 febbraio 1991 viene approvato il progetto di lottizzazione in località San Piero in Frassino, comune di Ortignano Raggiolo (AR), che prevede la realizzazione di un complesso di villette a schiera in via di Vanna;
nei primi mesi dell'anno successivo hanno inizio i lavori: il cantiere è composto da un totale di 6 lotti, ove è prevista la realizzazione di 27 villette a schiera di tipo duplex;
il 9 dicembre 1993 viene redatto un rapporto dalla polizia municipale di Ortignano Raggiolo in cui si denuncia il fatto che si sta costruendo case senza aver pagato la concessione edilizia (legge 28 gennaio 1977, n. 10);
il sindaco di Ortignano Raggiolo emana un'ordinanza (n. 8 del 1994) in cui ingiunge la demolizione delle opere abusive di edilizia;
il 5 novembre 2003 il comune entra in possesso in via gratuita del complesso e lo mette in asta giudiziaria con esito ad oggi negativo;
attualmente il cantiere è abbandonato ed accessibile a tutti e oltre agli edifici incompiuti sono presenti anche buche, materiali edili e cumuli di terra di scavo abbandonati;
tale situazione risulta di grave disagio, sia per la sicurezza che a livello ambientale, per la popolazione limitrofa -:
se il Governo sia a conoscenza della situazione e se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza a tutela della pubblica incolumità.
(4-12862)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
nella Gazzetta Ufficiale del 15 luglio scorso, è stato pubblicato il bando per il concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi, in attuazione dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 2008, n. 140;
all'articolo 8 del bando, in merito alla prova selettiva, viene riconosciuta ai candidati portatori di handicap, ai sensi di

quanto previsto dall'articolo 20 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, «la possibilità di svolgere le prove di esame con l'uso di ausili necessari»;
nel bando non viene fatta menzione di quanto ulteriormente disposto dagli articoli 20 e 21 della legge n. 104 del 1992 che prevede per i candidati portatori di handicap anche il diritto di usufruire di tempi aggiuntivi eventualmente necessari ed il diritto alla scelta prioritaria della sede -:
se quanto su esposto corrisponda al vero;
se non intenda integrare il bando del concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi, al fine di prevedere per i candidati portatori di handicap lo svolgimento delle prove concorsuali avvalendosi anche dei tempi aggiuntivi eventualmente necessari in relazione allo specifico handicap ed il diritto alla scelta prioritaria tra le sedi disponibili ai sensi degli articoli 20 e 21 della legge n. 104 del 1992.
(2-01171) «Berretta, Ghizzoni».

Interrogazioni a risposta scritta:

REGUZZONI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il regolamento recante «Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133», procede al riordino dei licei, collocandosi nel solco dei precedenti interventi normativi e concentrandosi su quattro aspetti: riconferma dell'identità dei licei all'interno del secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione di cui all'articolo 1 del decreto legislativo n. 226 del 2005, sul passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento;
l'articolazione del predetto sistema è declinato in 6 licei: artistico, classico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico e delle scienze umane;
i percorsi liceali di ogni tipo e indirizzo, ivi comprese le sperimentazioni, confluiscono nei nuovi licei, secondo la tabella di corrispondenza di cui all'allegato 1 del regolamento in parola;
in merito alle disposizioni particolari per l'istituzione, l'organizzazione, l'eventuale incremento delle sezioni musicali che, in sede di prima applicazione, sono costituite nel numero, rispettivamente, di 40 a livello nazionale, si dovrà tenere conto delle disponibilità di docenti per l'insegnamento dello strumento, assicurata attraverso convenzioni con i conservatori di musica, le regioni e gli enti locali, oppure mediante eventuali risorse di organico delle singole scuole, o in presenza, nelle graduatorie ad esaurimento, di personale fornito di diploma di conservatorio (articolo 13, comma 8 del citato regolamento);
il piano regionale dei servizi del sistema educativo di istruzione e formazione della Lombardia, prevede, per l'anno scolastico 2012-2013 l'istituzione di licei con indirizzo musicale presso le seguenti istituzioni scolastiche: «Olivelli-Putelli» di Darfo Boario Terme, Brescia; «Grassi» di Lecco; «D'Este» di Mantova; «Quasimodo» di Magenta, Milano; «Zucchi» di Monza; «Manzoni» di Varese. Restano da assegnare altri 5 licei coreutici di cui uno potrà essere convertito in «liceo musicale»;
nel corrente anno scolastico, il liceo artistico statale «Paolo Candiani» di Busto Arsizio ha già attivato con successo una sezione coreutica del Liceo statale musicale e coreutico, ricevendo numerose sollecitazioni dalla comunità scolastica in merito all'attivazione del percorso musicale;
il predetto liceo ha già inoltrato alle gerarchie competenti territoriali la richiesta di attivazione di una sezione a indirizzo

musicale, anche al fine di consentire la costruzione delle relazioni a livello locale con tutti i soggetti interessati, in primis con il conservatorio di Gallarate;
nel quadro di quanto disposto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 85 del 2010 sulla revisione dell'assetto ordinamentale, didattico e organizzativo dei licei, con specifico riferimento all'articolo 13, commi 6 e 7, si desume che l'istituzione delle 40 sezioni di liceo musicale previste in prima applicazione del decreto, sia le successive, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012, da autorizzare da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, avverrà a carico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ovvero con la messa a disposizione degli organici corrispondenti e necessari;
le scuole di musica di Busto Arsizio vantano un'importante tradizione;
il liceo artistico «Paolo Candiani» ha intenzione di mantenere la certificazione di qualità che, secondo la norma UNI EN ISO, ha ottenuto dall'ente certificatore Cisqcert con il seguente giudizio: «la verifica di certificazione, condotta a campione, su tutti i punti della norma di riferimento, presso la sede del liceo artistico Paolo Candiani, ha permesso di rilevare la presenza di un sistema di gestione per la qualità ben documentato e assimilato dal personale coinvolto. I punti di forza riscontrati riguardano la competenza e la motivazione del personale responsabile e la coerenza tra la pianificazione degli obiettivi, il monitoraggio dei processi, l'analisi dei dati e il miglioramento» -:
se, alla luce della serietà e alti valori didattico-formativi che caratterizzano il liceo citato, nonché delle numerosissime richieste d'iscrizione all'indirizzo musicale, non ritenga opportuno valutare favorevolmente la richiesta di attivazione, per l'anno scolastico 2011-2012, di una sezione di liceo statale musicale coreutico - sezione musicale, presso il liceo artistico «Paolo Candiani» di Busto Arsizio.
(4-12836)

OLIVERIO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi un gruppo di dipendenti Atp dell'Ufficio scolastico territoriale provinciale di Crotone, ubicato in piazza Montessori, hanno inviato al direttore generale dell'ufficio scolastico regionale, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, a tutti gli uffici scolastici regionali della Repubblica ed ai relativi uffici territoriali, nonché al presidente della provincia di Crotone, al prefetto, al questore, ai sindaci della provincia ed alle organizzazioni sindacali territoriali dei comparti Ministeri e scuola, una lettera in cui mette in evidenza le enormi difficoltà cui deve fare fronte quotidianamente per svolgere la sua attività al meglio, e ciò nonostante l'encomiabile impegno, la disponibile diligenza e la competente professionalità del direttore provinciale dottor Domenico Torchia e dei suoi collaboratori;
si tratta, specificano i suddetti dipendenti, dell'ennesima comunicazione di questo genere avanzata nell'arco dell'ultimo decennio ed in particolare dell'ultimo anno. Tutte le precedenti sollecitazioni, denunciano i dipendenti dell'ufficio suddetto, nonostante il deciso intervento da parte del coordinatore, sono rimaste sempre inascoltate; ciononostante hanno continuato ad assicurare il servizio grazie all'alto senso di responsabilità ed al proprio spirito di sacrificio;
gli impiegati dell'ufficio lamentano in particolare una grave carenza di personale amministrativo, dovuto a pensionamenti, trasferimenti ed utilizzazioni in altre regioni o province, che li costringe a ore di

straordinario non retribuite e a un insopportabile carico di lavoro, specialmente nel periodo estivo. Non meno importante, è l'inadeguatezza dei locali che ospitano gli uffici. Un piano terra e un primo piano di un condominio, carente di manutenzione, nonché di arredi, cancelleria e di altro basilare materiale tecnico, come fotocopiatrici, scanner, fax, carta, toner e così via;
inoltre i firmatari della lettera denunciano che la mancata copertura del fabbisogno finanziario occorrente per le spese necessarie al funzionamento dell'ufficio, ha condotto al mancato rinnovo del contratto d'appalto per il servizio di pulizia dei locali che, dunque, non vengono puliti con regolarità da ditta specializzata ma da «ausiliari» scolastici;
l'ufficio è, inoltre, insolvente, per mancanza di risorse, verso le utenze di fornitura di energia elettrica, gas, acqua e per il servizio telefonico, condizione che finirebbe per inficiare il suo regolare funzionamento, sebbene il solerte impegno del dirigente abbia limitato tale insolvenza, mettendo l'ufficio in condizioni di operare;
negli anni i condomini di piazza Montessori si sono, infatti, abituati ai disagi che si verificano soprattutto in estate, quando, appunto, si stabiliscono gli organici delle scuole e tanti genitori si affollano presso la sede dell'ex provveditorato sperando che il prossimo anno scolastico sia la volta buona;
l'anno scolastico 2010/2011, con i pesanti tagli alla scuola, come testimoniato dalla cronaca locale, ha raccontato la disperazione di numerosi docenti e del personale Ata rimasti inutilizzati. Disperazione mista a rabbia, anche per la disparità di trattamento adottata alla provincia di Crotone rispetto alle altre quattro province calabresi in merito alla distribuzione, nell'ambito del territorio regionale, di personale della scuola (docenti curricolari e di sostegno, personale amministrativo, tecnico ed ausiliario);
si tratta di una disparità che indigna soprattutto per quanto è lampante. Basti fare le proporzioni tra la popolazione scolastica di ciascuna provincia ed i relativi posti per docenti, docenti di sostegno e personale Ata per accorgersi che Crotone, sostengono ancora i dipendenti, è la provincia più penalizzata;
la popolazione scolastica più numerosa è quella di Cosenza con 106.440 alunni, seguono Reggio Calabria con 85.220, Catanzaro con 54.820, Crotone con 29.240 ed infine Vibo Valentia con 26.670;
a ciò si aggiunga poi che per l'anno scolastico 2011/2012 sono previsti ulteriori tagli al personale della scuola e che nella sola provincia di Crotone si perderanno circa 60 posti di personale Ata e circa 120 di personale docente. In questa situazione ci saranno scuole che non avranno gli standard minimi per aprire e numerosi saranno i disagi per i cittadini;
permanendo tale situazione, il personale annuncia che «limiterà lo svolgimento delle prestazioni lavorative all'orario ordinario, senza effettuazione di alcun orario aggiuntivo e pretenderà il rispetto delle disposizioni contrattuali che prevedono che le ferie sono un diritto del lavoratore, compatibilmente con le esigenze di servizio» -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle problematiche esposte in premessa e se ritengano opportuno intervenire affinché la direzione provinciale scolastica di Crotone sia messa nelle migliori condizioni di operare, destinando ad essa le risorse necessarie per garantire la qualità del servizio e quindi la salubrità degli ambienti scolastici, nonché il regolare svolgimento dell'attività didattica dell'anno scolastico;
se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per sospendere, vista l'enorme carenza di personale nella provincia di Crotone, i nuovi tagli paventati (anche alla luce della recente sentenza del TAR 3251/2011 che ha dichiarato illegittimi i decreti sugli organici di quest'anno e dell'anno scorso, che hanno portato a

oltre 60 mila tagli), ciò al fine di garantire la continuità della didattica e del servizio;
se non valuti altresì necessario promuovere un piano straordinario di immissioni in ruolo, non pregiudicando cosi l'esercizio del diritto allo studio degli studenti crotonesi, garantito dalla Costituzione italiana.
(4-12847)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

GATTI, SCHIRRU, CODURELLI, BELLANOVA, DAMIANO, SANTAGATA, RAMPI, GNECCHI, MATTESINI, MADIA, MURER, CENNI, MIGLIORI e MOSCA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il rapporto annuale ISTAT per l'anno 2010, conferma la drammatica condizione in cui versano le donne nel mercato del lavoro italiano; in particolare, per quel che concerne le dimissione presentate dopo la nascita di un figlio, si afferma che «secondo i risultati dell'indagine multiscopo su "Uso del tempo", oltre la metà delle interruzioni dell'attività lavorativa per la nascita di un figlio non è il risultato di una libera scelta da parte delle donne. Nel 2008-2009, infatti, circa 800 mila madri hanno dichiarato che nel corso della loro vita lavorativa sono state licenziate o sono state messe in condizione di doversi dimettere in occasione o a seguito di una gravidanza. Si tratta dell'8,7 per cento delle madri che lavorano o hanno lavorato in passato»;
inoltre, continua il rapporto, «a fronte di una sostanziale stabilità nelle diverse generazioni della quota di madri che interrompono l'attività lavorativa per la nascita di un figlio, tra le giovani generazioni sono in crescita le interruzioni più o meno velatamente imposte dal datore di lavoro, le cosiddette dimissioni in bianco che quasi si sovrappongono al totale delle dimissioni. Per le donne nate tra il 1944 e il 1953, il fenomeno riguardava meno della metà delle interruzioni per la nascita di un figlio. La situazione appare particolarmente critica nel Mezzogiorno, dove pressoché la totalità delle interruzioni legate alla nascita di un figlio può ricondursi alle dimissioni forzate»;
a questo riguardo, il 31 marzo 2010, il Sottosegretario Viespoli, in occasione della risposta all'interrogazione in Commissione n. 5-02473, riguardante proprio il deprecabile fenomeno delle «dimissioni in bianco», rendeva noto il numero delle dimissioni per maternità presentate nel corso del 2009, ammontanti a quasi 18 mila unità;
il rappresentante del Governo dichiarava anche che, «allo scopo di dare nuovo impulso agli strumenti di parità, con decreto del 12 gennaio 2009, è stato istituito uno specifico Tavolo Tecnico di studio composto da Consigliere di parità e da ispettori del lavoro che si è occupato anche del fenomeno della convalida delle dimissioni, provvedendo ad elaborare un modello di dichiarazione e un report per la rilevazione dei dati a livello nazionale, a partire dall'anno 2009. L'amministrazione che rappresento ha, quindi, provveduto a diramare i suddetti modelli al fine di garantire l'uniformità del comportamento del personale ispettivo nel delicato settore della convalida delle dimissioni (ex articolo 55 decreto legislativo n. 151 del 2001) e una maggiore efficacia al procedimento di accertamento dell'autenticità della volontà della lavoratrice o del lavoratore dimissionari, fornendo, nel contempo, specifiche istruzioni operative agli uffici territoriali. In particolare è stata ribadita la necessità di un colloquio diretto con la lavoratrice o il lavoratore interessato, i quali sono tenuti a presentarsi personalmente presso gli uffici competenti al fine di consentire l'accertamento della spontaneità delle dimissioni da convalidare nonché per ricevere informazioni in ordine ai propri diritti in materia di tutela della maternità e paternità.»;

il Sottosegretario proseguiva dichiarando che «l'intensa attività di vigilanza degli ispettori del lavoro, in collaborazione con le Consigliere di parità, ha fatto registrare, nel corso del 2009, un significativo aumento sia del controllo delle violazioni amministrative in ordine alla tutela economica delle lavoratrici madri (+ 67 per cento rispetto al 2008), sia delle ipotesi di reato in ordine alla tutela fisica delle lavoratrici madri (+ 155 per cento rispetto al 2008)»;
a distanza di quasi un anno e mezzo dall'annunciato potenziamento delle procedure di verifica riguardante l'effettiva volontà di abbandono del posto di lavoro da parte delle lavoratrici dimissionarie, sembra necessario e utile richiedere un aggiornamento dei dati relativi alle dimissioni per maternità, alle violazioni amministrative e alle ipotesi di reato a danno delle lavoratrici madri -:
quali siano i dati in suo possesso riguardo al numero delle donne dimessesi «volontariamente» a un anno dalla maternità, nel corso del 2010;
nell'anno 2010, quali siano i dati, in termini assoluti e percentuali rispetto al 2009, riguardanti le violazioni amministrative in ordine alla tutela economica delle lavoratrici madri e, se note, le ipotesi di reato contestato in ordine alla tutela fisica delle lavoratrici madri.
(5-05199)

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 26 luglio un nuovo incidente mortale sul lavoro s'è verificato nel bosco di Sant'Antonio ai confini del territorio del comune di Palena Chieti;
secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa, un operaio romeno, Stefan Borcau, di 45 anni, è morto travolto da un albero durante alcuni lavori di disboscamento. L'uomo è stato colpito alla testa ed al torace ed è rimasto schiacciato dal peso della pianta -:
quale sia l'esatta dinamica dell'incidente;
se siano state rispettate le normative previste dalla sicurezza del lavoro;
quali iniziative si intendano promuovere, sollecitare, adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensione - dall'inizio dell'anno risultano essere decedute oltre 270 persone per incidenti sul lavoro, oltre 457 mila sono stati gli infortuni, oltre mille gli invalidi - assume i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-12837)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 26 luglio si è verificato un incidente mortale sul lavoro a Casteldaccia, nel palermitano;
secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa un carpentiere, il signor Rosolino Antonino Tomasello, è morto dopo essere precipitato nel vuoto;
secondo le prime ricostruzioni dei fatti, l'uomo stava eseguendo dei piccoli lavori edili sul balcone al primo piano di un edificio in via Padre Pio, quando è caduto da un'altezza di quattro metri, finendo sul marciapiede, morendo per le lesioni riportate -:
quale sia l'esatta dinamica dell'incidente;
se fossero state rispettate le normative previste dalla sicurezza del lavoro;
quali iniziative si intendono promuovere, sollecitare, adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensione - dall'inizio dell'anno risultano

essere decedute oltre 270 persone per incidenti sul lavoro, oltre 457 mila sono stati gli infortuni, oltre mille gli invalidi - assume i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-12838)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico in materia di immigrazione), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, stabilisce all'articolo 41 che «gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno (...) sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti»;
con la legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), viene introdotta all'articolo 80, comma 19, una disposizione in materia di assistenza sociale e provvidenze economiche in favore degli stranieri soggiornanti in Italia, secondo la quale «ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali l'equiparazione con i cittadini italiani è consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno (...)»;
dal combinato disposto dell'articolo 41 del Testo unico sull'immigrazione e dell'articolo 80, comma 19, della legge finanziaria per il 2001 emergono problemi di coordinamento, posto che l'articolo 80, comma 19, sembra escludere che i possessori di un semplice permesso di soggiorno per lavoro possano ottenere quelli che sono considerati veri e propri «diritti soggettivi» derivanti dalla legislazione sociale quali il diritto alla pensione d'invalidità civile o all'assegno sociale;
stante l'attuale disciplina vigente in materia di immigrazione, e applicando l'articolo 80, comma 19, potrebbe determinarsi, come caso limite, quello di un lavoratore straniero in possesso di un permesso di soggiorno da più di un anno, ma non ancora in possesso della carta di soggiorno, che divenga, a causa di una grave patologia, totalmente inabile al lavoro; in tal caso egli non sarà più in grado né di soddisfare i requisiti previsti dal Testo unico sull'immigrazione per il rinnovo del permesso di soggiorno, ossia essere parte di un rapporto di lavoro, né tanto meno di conseguire un reddito tale da soddisfare i requisiti richiesti dalla legge per ottenere la carta di soggiorno; a sua volta, senza la stessa carta non potrà ottenere né l'assegno sociale né la pensione di invalidità civile;
tutti coloro che malauguratamente dovessero venire a trovarsi in una situazione limite come quella sopra descritta sono destinati ad essere relegati ai margini della società, correndo inoltre il rischio di non vedersi più rinnovato il normale permesso di soggiorno che era stato loro conferito, e successivamente di essere espulsi;
l'unica opportunità che hanno tali soggetti è quella di essere conviventi con familiari che possano assicurare loro il sostentamento, poiché in tale caso potrebbero esservi le condizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, secondo quanto stabilisce l'articolo 30 del succitato testo unico in materia di immigrazione;
eventuali effetti preclusivi si produrrebbero solo nei confronti dei cittadini

extracomunitari, posto che per i cittadini comunitari si applicherebbe il principio di non discriminazione sancito dal diritto comunitario;
con sentenza n. 306 del 2008, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi l'articolo 80, comma 19, legge 23 dicembre 2000 (legge finanziaria 2001) e l'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (disciplina dell'immigrazione), modificato dall'articolo 9, comma 1, decreto legislativo 30 luglio 2002, sostituito dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, nella parte in cui si prevede che l'indennità di accompagnamento, stabilita dall'articolo 1, legge 11 febbraio 1980, n. 18, possa essere concessa agli stranieri extracomunitari solo qualora risultino in possesso dei requisiti di reddito fissati per la carta di soggiorno ed ora previsti dal decreto legislativo 8 gennaio 2007 n. 3 di attuazione direttiva n. 2003/109/CE, relativa allo status di cittadini di Paesi terzi, soggiornanti di lungo periodo; secondo il giudice delle legge, infatti, la norma contrasta con il principio costituzionale del diritto alla salute, di solidarietà, del riconoscimento dei diritti fondamentali indipendentemente dalla appartenenza a determinate entità politiche; in uno dei passaggi della motivazione della citata sentenza, i giudici della Corte costituzionale scrivono: «la Corte ritiene che sia manifestamente irragionevole subordinare l'attribuzione di una prestazione assistenziale quale l'indennità di accompagnamento - i cui presupposti sono, come si è detto, la totale disabilità al lavoro, nonché l'incapacità alla deambulazione autonoma o al compimento da soli degli atti quotidiani della vita - al possesso di un titolo di legittimazione alla permanenza del soggiorno in Italia che richiede per il suo rilascio, tra l'altro, la titolarità di un reddito. Tale irragionevolezza incide sul diritto alla salute, inteso anche come diritto ai rimedi possibili e, come nel caso, parziali, alle menomazioni prodotte da patologie di non lieve importanza.»;
facendo leva sulle medesime argomentazione, con successiva sentenza n. 11 del 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale della stessa normativa, nella parte in cui esclude che la pensione di inabilità, di cui all'articolo 12 del decreto legge 30 gennaio 1971 n. 5 convertito con modificazioni dalla legge n. 118 del 1971 (nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del decreto legislativo n. 3 del 2007, per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;
contrariamente alle citate sentenze della Corte costituzionale, l'Istituto nazionale di previdenza sociale ha diramato una circolare (la n. 105 del 2 dicembre 2008) applicativa delle nuove disposizioni in materia di assegno sociale introdotte con l'articolo 20, comma 10, del decreto-legge 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (G.U. n. 195 dd. 21 settembre 2008 - Suppl. ord. n. 196), con la quale è stato specificato che, ai fini della concessione dell'assegno sociale, agli stranieri extracomunitari debba continuare ad essere richiesto, oltre ai requisiti di stato di bisogno e di età previsti dalla normativa (circolari INPS n. 303 dd. 14 dicembre 1995 e n. 208 dd. 24 novembre 2006), anche il possesso della «carta di soggiorno» o «permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti»;
è dunque evidente che l'INPS ridimensiona la portata della sentenza della Corte costituzionale n. 306/2008, cosa che costringe i cittadini stranieri legalmente soggiornanti in Italia, ma non in possesso della carta di soggiorno o «permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti» e che vogliano far valere il loro diritto alla fruizione della prestazione sociale, di dover continuare ad adire le sedi giudiziarie per ottenere un'interpretazione costituzionalmente orientata dalla norma;

con riferimento ai requisiti richiesti per l'accesso degli stranieri extracomunitari all'assegno sociale, esiste una evidente incompatibilità tra quanto stabilito dalle sentenze della Corte costituzionale citate in premessa e la circolare n. 105 del 2 dicembre 2008 diramata dall'Istituto nazionale della previdenza sociale -:
se e quali provvedimenti intenda prendere il Ministro competente affinché venga chiarito, anche mediante circolare ministeriale, che secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma nulla inibisce agli extracomunitari sprovvisti del permesso di soggiorno per lungo soggiornanti di accedere alle prestazioni assistenziali e previdenziali;
se non si ritenga opportuno intervenire per prevenire il sorgere di situazioni di discriminazione ai danni degli stranieri non più abili al lavoro a causa di sopravvenuta invalidità totale ma sprovvisti del permesso di soggiorno di lunga durata e se non si ritenga che da ciò possa sorgere il rischio, per determinati soggetti, di non vedersi più rinnovato il normale permesso di soggiorno che era stato loro conferito e di essere passibili di espulsione, e ciò soltanto in relazione a fatti imprevedibili quali la malattia;
quali altre iniziative di competenza intenda assumere in ordine alla questione che qui interessa, anche al fine di un puntuale e doveroso rispetto della normativa vigente in materia così come interpretata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 306/2008.
(4-12850)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

NASTRI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro delle politiche europee. - Per sapere - premesso che:
nel corso di una manifestazione davanti a Piazza Affari a Milano, la Coldiretti ha lanciato l'allarme sulla vendita dei prosciutti in Italia secondo cui, tre su quattro, sono in realtà ottenuti da maiali allevati all'estero, ad insaputa dei consumatori, in quanto non è obbligatorio indicare la provenienza d'origine;
l'Italia, sostiene la Coldiretti, ha importato 62 milioni di cosce di maiale destinate, attraverso la trasformazione e la stagionatura, a diventare successivamente prosciutti «made in Italy», con un inganno nei confronti dei consumatori, nonché evidenti danni per i produttori che subiscono conseguentemente una concorrenza sleale;
ulteriore elemento dannoso, a giudizio dell'associazione agricola, è rappresentato dalla differenza tra gli allevamenti italiani e quelli stranieri, in quanto mentre per i primi, i maiali sono alimentati con prodotti di qualità sulla base di rigorosi disciplinari di produzione «dop», all'estero si usano spesso sottoprodotti se non addirittura sostanze illegali, come è recentemente accaduto con lo scandalo dei mangimi alla diossina prodotti in Germania e utilizzati negli allevamenti di polli e maiali;
sul mercato è facile acquistare prosciutti, a giudizio della Coldiretti, contrassegnati dal tricolore, con nomi accattivanti come il prosciutto nostrano o di montagna che in realtà non hanno nulla a che fare con la realtà produttiva nazionale;
la situazione suesposta, a giudizio dell'interrogante, è favorita dall'inerzia da parte dell'Unione europea, che a seguito dei recenti allarmi sanitari ha deciso di estendere con un regolamento l'obbligo di indicare in etichetta la provenienza della carne di maiale, al pari di quanto è stato fatto con quella bovina, dopo l'emergenza della cosiddetta mucca pazza, ad esclusione tuttavia degli alimenti trasformati, quali salami e prosciutti, dove più spesso si nasconde l'inganno;
appare pertanto evidente, intervenire urgentemente, attraverso l'emanazione dei

provvedimenti applicativi previsti dall'articolo 4, comma 1, della legge n. 4 del 2011 che contiene norme sull'obbligatorietà dell'etichettatura di origine e sulla presentazione di tutti i prodotti alimentari, che dovranno garantire una maggiore tutela dalle contraffazioni di questi prodotti italiani, tipici e non, al fine di fronteggiare il penalizzante fenomeno della contraffazione dei maiali stranieri venduti in realtà come italiani -:
quali siano gli intendimenti del Governo, con riferimento a quanto esposto in premessa;
se non intendano, nell'ambito delle rispettive competenze, assumere iniziative al fine di estendere anche per gli alimenti trasformati l'obbligo di indicare la provenienza della carne di maiale, nonché emanare i provvedimenti applicativi esposti in premessa che possano tutelare l'intero comparto agricolo dello specifico settore interessato e salvaguardare la qualità dei prodotti alimentari italiani.
(5-05198)

Interrogazione a risposta scritta:

GIRLANDA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il settore ortofrutticolo sta vivendo una crisi di dimensioni preoccupanti, facendo registrare un calo delle vendite mediamente vicino al 30 per cento rispetto allo scorso anno, con danno stimati di milioni di euro;
tale stato di cose è dovuto sia al calo dei consumi conseguente alla crisi economica, alla psicosi derivata da fenomeni come il batterio killer, dal maltempo e dall'anomalo andamento climatico che ha accorciato i tempi di maturazione provocando una sovrapposizione non prevedibile della produzione di diverse aree dei Paesi del bacino mediterraneo, che si sta ripercuotendo con maggior incisività su prodotti come le pesche nettarine o le angurie;
il perdurare di questa situazione pone a rischio la sopravvivenza di 980 mila aziende italiane, poiché la crisi economica sui consumi delle famiglie vede pesanti effetti negativi sui bilanci degli imprenditori agricoli, che vedono i prezzi dei loro prodotti diminuire del 20 per cento della frutta, del 22 per cento per ortaggi e legumi, secondo i dati dell'indagine Censis-Confcommercio;
a questa situazione si aggiunge anche il problema della volatilità dei prezzi delle commodity, come i cereali di cui il nostro Paese è deficitario, che si riflette sulle tasche dei consumatori ma anche degli agricoltori, tanto che Confagricoltura sottolinea come il settore zootecnico sia in difficoltà dal momento che i lievi aumenti dei prezzi alla produzione non coprono i costi per gli alimenti per il bestiame che sono più che raddoppiati;
il calo delle esportazioni agricole ha acuito gli effetti della crisi, come evidenziato dai dati Istat, che rilevano la crescita delle importazioni di prodotti agricoli di quattro volte rispetto alle esportazioni nel mese di maggio, queste ultime calate del 26 per cento rispetto al mese di aprile -:
quali iniziative il Ministro intende attivare per cercare di porre rimedio a questo andamento negativo della produzione e del mercato ed in che modo il Ministro intenda implementare la promozione dei prodotti agricoli italiani sui mercati esteri, soprattutto quelli più colpiti dagli effetti della crisi.
(4-12832)

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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:

CONTENTO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
da tempo il comune di Pordenone lamenta delle oggettive difficoltà nell'inoltrare

in modo telematico agli altri enti locali e pubbliche amministrazioni i certificati di stato civile e quelli a contenuto anagrafico/demografico;
risulta, infatti, che quasi tutti gli interlocutori non riconoscano la validità della trasmissione on line, esigendo certificati e atti su supporto cartaceo;
pare che la situazione qui lamentata non sia isolata in Italia -:
quali iniziative intendano adottare per uniformare i rapporti tra enti locali e pubbliche amministrazioni circa l'inoltro di documenti di stato civile e a contenuto anagrafico direttamente via internet anziché mediante la tradizionale forma su carta.
(4-12823)

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SALUTE

Interrogazione a risposta orale:

BINETTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il Consiglio superiore di sanità (CSS) ha dato parere positivo all'introduzione in Italia del farmaco ellaOne®, l'ulipristal acetato (UPA), la cosiddetta pillola dei cinque giorni dopo, secondo la procedura che prevede, nel caso in cui un'azienda presenti la richiesta di autorizzazione all'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), di averne diritto entro 90 giorni; la stessa AIFA dovrà successivamente stabilire tempi e modi della commercializzazione del medicinale;
l'azione antinidatoria dell'ulipristal è del tutto analoga a quella del mifepristone (RU 486), molecola ampiamente studiata non solo come abortivo ad annidamento già completato, ma anche come intercettivo postcoitale;
l'uliprista inibisce o ritarda - anche se non sempre - l'ovulazione qualora venga somministrato in fase preovulatoria e, quindi, nel caso specifico che nei 5 giorni dopo un rapporto a rischio i gameti si incontrino, ostacolando così la fecondazione. A differenza della pillola del giorno dopo, che può essere presa entro 72 ore dal rapporto sessuale a rischio e la cui efficacia decresce ogni 12 ore, questo nuovo farmaco non ha evidenziato finora perdite di efficacia nell'arco dei cinque giorni in cui può essere somministrato;
l'azione svolta dal farmaco è considerato attualmente come contraccezione d'emergenza, e non aborto farmacologico, risultando in questo modo compatibile con la legge n. 194 del 1978, che regola l'interruzione di gravidanza in Italia, purché si accerti con apposito test che la donna non sia già incinta al momento dell'acquisto;
le conclusioni dello statement congiunto dell'International consortium for emergency contraception (ICEC) e dell'International federation of ginecology & obstetrics (FIGO) relativo al meccanismo d'azione delle pillole contraccettive d'emergenza a base di solo Levonorgestrel (LNG ECPs) non sembrano corrispondere a quanto descritto negli articoli dalla letteratura, specie in relazione alla capacità delle LNG ECPs di inibire l'ovulazione e alla loro supposta neutralità sul tessuto endometriale;
in supporto allo statement, gli esperti di ICEC e FIGO concludono che l'evidenza dimostra che le LNG ECPs interferiscono con il picco preovulatorio di LH, impedendo lo sviluppo e la maturazione dei follicoli e/o il rilascio dell'uovo stesso;
l'adozione di una molecola con meccanismo d'azione analogo a quello del mifepristone, ma non registrata come farmaco abortivo, è ritenuta maggiormente accettabile per la pubblica opinione. Tale informazione sarebbe non corretta visto che in ambito scientifico il possibile effetto antinidatorio dell'ulipristal sembra attualmente incontestato;
i dati che emergono dalle relazioni ISTAT del 2005, del 2008 e del 2010 segnalano un tasso di interruzioni volontarie

della gravidanza in costante riduzione, ma un costante incremento nella abortività spontanea. In particolare, rispetto al 1988 (ma anche al 1993), anno in cui gli aborti spontanei erano 55.000, essi sono aumentati di 11.000 unità all'anno nel 2001 (+20 per cento), di 17.000 all'anno nel 2005 e di (+ 30 per cento) e di 22.000 unità all'anno nel 2007 (+37 per cento);
nel 2010 è segnalato un incremento estremamente elevato nell'abortività spontanea delle donne oltre i 35 anni di età e soprattutto delle 40-44enni (gli aborti spontanei sono oltre 33.000 nella decade 35-44 anni). È però a carico delle giovanissime che si registrano gli incrementi massimi: +67 per cento nel 2005 e +80 per cento nel 2010. Va ricordato, a questo proposito, come le teen-agers siano le magari consumatrici di Norlevo, la «pillola del giorno dopo» a base di Levonorgestrel, il 55 per cento delle 360.000 confezioni annue, e come esse tendano ad agire non in un'ottica di prevenzione, ma al contrario in un'ottica di emergenza. È drammatico l'incremento dai 66.000 casi del 2001 ai 77.000 del 2007, in un periodo di soli sei anni e in assenza di qualunque modifica significativa sia nella popolazione sia nelle sue abitudini. È un incremento non giustificato che deve far riflettere;
in questo contesto l'immissione di un ulteriore prodotto come Ulipristal, che condivide le proprietà anti-progestiniche della RU486, non farebbe altro che allargare la disponibilità di sostanze capaci di determinare l'aborto anche dopo la positivizzazione del test di gravidanza. Non può infine sfuggire che, una volta reso disponibile, ellaOne potrà essere acquistato e conservato dalla donna e venire utilizzato solamente in caso di gravidanza accertata. La richiesta alla donna di un test di gravidanza negativo appare quindi illusoria, se non addirittura ingenua -:
quali urgenti iniziative il Ministro intenda assumere al fine di fermare l'introduzione nel Paese, anche se su prescrizione medica, del farmaco ellaOne ed altri con la stessa struttura molecolare, essendo la cosiddetta pillola dei 5 giorni dopo, a cui il Consiglio superiore di sanità ha dato parere positivo, un farmaco che è potenzialmente in grado di provocare un aborto;
se non ritenga opportuno informare correttamente le donne che tale farmaco è in grado di provocare un aborto, evitando in tal modo di incrementare con falsi messaggi la cosiddetta contraccezione d'urgenza che rischia di diffondere l'utilizzo di tali farmaci da parte delle donne più giovani, provocando danni alla loro salute e al loro apparato riproduttivo, con conseguenze non indifferenti qualora in futuro decidessero di volere diventare madri.
(3-01779)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:

MEREU. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per le politiche europee, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
qualche giorno fa la Corte di giustizia europea si è pronunciata in merito alla vicenda riguardante la multinazionale dell'alluminio Alcoa, respingendo il ricorso della società contro la legittimità dell'indagine della Commissione europea e la conseguente procedura d'infrazione per aiuti di Stato avviata dall'Europa per le tariffe elettriche speciali concesse agli stabilimenti di Portovesme e di Fusina;
si tratta del terzo pronunciamento di organismi comunitari in merito alla vicenda dopo quanto già stabilito dalla commissione nel 2006 e conseguentemente confermato dalla prima sentenza giudiziaria nel 2009;
la questione è alquanto delicata, in quanto la multinazionale americana potrebbe essere chiamata a restituire un ingente somma di denaro (stimabile in

circa 300 milioni di euro) dovuta a compensazioni tariffarie ottenute dal 1996 al 2010 che oggi invece le sentenze degli organismi giudiziari europei confermerebbero essere atto illegittimo in quanto configurabile come aiuto di Stato;
la situazione appare di notevole criticità e necessita di un intervento da parte del Governo nel più breve tempo possibile per evitare una tragica conclusione degli eventi che porterebbe alla inevitabile chiusura dello stabilimento, come già minacciato dalla multinazionale americana nel 2009, e al conseguente crollo di tutto il settore produttivo del Sulcis-Iglesiente, che coinvolge aziende di grande rilevanza, a cui conseguirebbe la perdita di migliaia di posti lavoro -:
quali urgenti iniziative intendano intraprendere presso l'Unione europea con riferimento alla procedura di infrazione aperta nei confronti della società Alcoa e quali eventuali misure straordinarie intendano adottare per consentire, nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato alle imprese, l'approvvigionamento di energia elettrica con tariffe agevolate e garantire cosi la prosecuzione dell'attività di tutto il polo produttivo del Sulcis-Iglesiente.
(3-01780)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

SANI e VELO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
sono sempre più numerose le segnalazioni dei disservizi relativi al servizio postale erogato da Poste Italiane nella provincia di Grosseto;
questi disservizi si aggiungono al ridimensionamento dei servizi postali attuato da Poste Italiane s.p.a. con: la riduzione dell'orario di ufficio, la riduzione del servizio di distribuzione della posta e, nei casi peggiori, la chiusura definitiva degli uffici nelle zone periferiche, montane e nei piccoli centri, prevalentemente abitate da persone anziane;
in seguito al black-out informatico verificatosi nel mese di giugno 2011 che ha bloccato gli uffici postali di tutta Italia, hanno continuato a verificarsi altri disservizi che hanno generato in alcuni casi anche danni economici a cittadini e imprese;
nella città di Grosseto, il 5 luglio 2011 si sono verificate code interminabili con pesanti disagi nella sede centrale di piazza Rosselli e in quella del quartiere di Barbanella; tra le persone in fila c'erano molti anziani che dovevano riscuotere la pensione e molte di quelle persone che, vittime della riduzione dei servizi postali nelle zone periferiche, sono costrette a recarsi nella città capoluogo per i medesimi servizi postali;
la stampa locale, proprio in questi giorni, ha raccolto le proteste di cittadini che non ricevono la posta da settimane (come il caso di Follonica riportato dal quotidiano Il Tirreno del 27 luglio 2011 lamentando che il servizio di call center non risponde ai reclami degli utenti e che la mancata consegna della posta, come bollette, tasse o altre comunicazioni urgenti, comporta evidenti danni e disagi -:
quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere nei confronti Poste italiane al fine di garantire una migliore organizzazione e qualità del servizio in favore degli utenti, mettendo fine ai continui disservizi che si stanno verificando.
(5-05197)

MARGIOTTA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
con decreto ministeriale del 5 maggio 2011 (IV conto energia), a distanza di soli 9 mesi dal precedente decreto ministeriale del 6 agosto 2010 «Incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare» (III conto energia) che aveva già drasticamente ridotto la misura delle tariffe incentivanti per la produzione di energia da fonte fotovoltaica prevedendone,

tuttavia, un nuovo assetto normativo per gli anni 2011-2013, il Ministro interrogato è nuovamente intervenuto abrogando di fatto, e con pesanti ripercussioni per gli investimenti già avviati, la disciplina prevista dal predetto decreto (III conto energia);
il decreto ministeriale del 5 maggio 2011 (IV conto energia) è stato adottato, ad avviso dell'interrogante, trascurando in massima parte i pareri resi in sede di Commissioni parlamentari e di Conferenza unificata;
il decreto ministeriale del 5 maggio 2011 (IV conto energia) non ha recepito alcuno dei suggerimenti provenienti dal mondo delle imprese e delle relative associazioni operanti nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili;
risulterebbero pendenti ed in via di presentazione numerosi ricorsi che in via di giustizia denunciano le palesi violazioni costituzionali del predetto decreto del 5 maggio 2011 (IV conto energia) con contestuale richiesta di ingenti risarcimenti danni;
sono tante e gravi le violazioni denunciate, tra le quali a mero titolo esemplificativo, l'assenza di norme di salvaguardia a tutela degli investimenti già avviati nelle more dell'adozione del decreto del 5 maggio 2011 (IV conto energia), che è ragionevole ritenere probabile la soccombenza dello Stato nei contenziosi che sono stati e saranno promossi con conseguenti gravi ed ingenti danni erariali;
ai sensi dell'articolo 8 del predetto decreto ministeriale del 5 maggio 2011 (IV conto energia), al fine di accedere alle tariffe incentivanti, è necessario che il singolo impianto fotovoltaico, al ricorrere di specifiche caratteristiche non sempre comprensibili, risulti iscritto in apposito registro formato e pubblicato dal GSE (registro per i grandi impianti);
l'iscrizione al predetto registro per i grandi impianti era possibile solo attraverso una complicata procedura on line da eseguirsi, avendo riguardo alla possibilità di beneficiare delle tariffe incentivanti previste per l'anno 2011, entro e non oltre lo scorso 30 giugno 2011;
il GSE, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, ha reso pubbliche le linee guida di interpretazione del decreto ministeriale del 5 maggio 2011 (IV conto energia) utili anche ai fini del corretto adempimento delle formalità, ad avviso dell'interrogante incomprensibili, previste ai fini dell'iscrizione al registro per i grandi impianti fotovoltaici, solo in data 11 luglio 2011, ben oltre la data ultima di decadenza per l'iscrizione degli impianti al citato registro per i grandi impianti per l'anno 2011;
in data 15 luglio 2011, il GSE ha pubblicato la graduatoria degli impianti fotovoltaici che risultavano iscritti al predetto registro per i grandi impianti per l'anno 2011;
immediatamente dopo la pubblicazione della predetta graduatoria numerosi operatori del settore nonché portatori di interessi diretti, ne hanno denunciato la illegittimità evidenziando come nella stessa risultassero iscritti, ad esempio, impianti fotovoltaici con titoli autorizzativi (ad esempio DIA) in scadenza, già scaduti, ovvero con indicazione di fine lavori antecedente al rilascio del titolo autorizzativo, nonché impianti concentrati principalmente in una sola regione (la Puglia) che come è noto al Ministero si caratterizza per ben note problematiche di infrastrutture della propria rete di trasmissione tali da impedire di fatto la realizzazione dei predetti impianti nei tempi previsti dal decreto del 5 maggio 2011, (IV conto energia);
in data 18 luglio 2011 il GSE in maniera che appare all'interrogante apodittica ed unilaterale ha pubblicato un comunicato con il quale annullava la graduatoria appena formulata riconoscendo gli errori commessi e legittimando, ulteriormente, il rischio di un grave ed ingente danno erariale in relazione ai contenziosi in essere e che saranno promossi per la giusta tutela dei diritti dei singoli operatori

che risultavano iscritti nella predetta graduatoria, ormai invalidata, o che non risultavano iscritti in assenza, ad oggi, di alcuna comunicazione dei relativi motivi di esclusione;
nonostante tutto quanto sopra descritto il Ministero nulla ha comunicato in merito, lasciando perdurare una insostenibile situazione di incertezza normativa che impedisce agli operatori del settore di programmare i propri investimenti e/o legittimamente tutelare i propri diritti acquisiti;
quanto sopra è reso ancora più grave dall'assenza ad oggi, e nonostante le recenti consultazioni referendarie che hanno imposto l'abbandono delle politiche energetiche nucleari, di comunicazioni del Ministero in merito alla politica energetica del Paese ed ai necessari investimenti da programmare per il settore delle energie rinnovabili sempre più danneggiato da normative frammentarie, temporalmente brevi e tali da svilire quell'elementare principio dell'affidamento nelle leggi dello Stato che dovrebbe essere garantito ad ogni cittadino che opera nel territorio di un Paese democraticamente evoluto avendo, peraltro, riguardo a settori strategici quale quello energetico -:
se il Governo abbia valutato appieno gli effetti negativi, per lo sviluppo del settore nonché per le casse dello Stato stanti i contenziosi in essere e in corso di instaurazione, che la previsione del registro per i grandi impianti di cui al decreto ministeriale del 5 maggio 2011 (IV conto energia) comporta per lo sviluppo del settore fotovoltaico;
quali siano le ragioni e le probabili conseguenze, in termini di danni erariali, derivanti dall'annullamento, per i riconosciuti errori da parte del GSE, della graduatoria relativa al registro per i grandi impianti pubblicata in data 15 luglio 2011, e quali iniziative si intendano adottare nei confronti della dirigenza dell'ente pubblico GSE;
se si intenda valutare l'opportunità di promuovere, stanti gli errori a giudizio dell'interrogante grossolani commessi nella gestione del predetto registro per i grandi impianti, misure di sanatoria in relazione a tutte le domande di ammissione, che risultano conformi alla legge, presentate per l'iscrizione al predetto registro entro il 30 giugno 2011;
se il Governo non ritenga opportuno modificare il decreto ministeriale del 5 maggio 2011 (IV conto energia) attraverso l'espressa abrogazione delle formalità relative al registro per i grandi impianti fotovoltaici almeno fino al 31 dicembre 2011;
se il Governo ritenga di assumere iniziative per rimuovere i limiti di potenza installabile di cui al decreto ministeriale del 5 maggio 2011 (IV conto energia), in aderenza alle necessità di sviluppo della fonte fotovoltaica di produzione di energia rinnovabile, stanti l'esito delle recenti consultazioni referendarie in materia energetica ed i relativi obblighi assunti in sede comunitaria.
(5-05204)

Interrogazioni a risposta scritta:

CONTENTO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
numerose famiglie italiane e singoli professionisti si sono iscritti al registro delle opposizioni, attivato dal Ministero dello sviluppo economico per arginare il fenomeno delle continue telefonate per attività promozionali e di marketing;
ciononostante, risulta all'interrogante che alcuni operatori, in particolare compagnie telefoniche, persistano nel contattare soggetti che ormai da tempo hanno aderito allo speciale elenco;
sistematicamente, di fronte alla richiesta di chiarimenti circa la propria condotta contraria alle vigenti disposizioni, l'interlocutore interrompe la comunicazione;
non si rende così possibile alcuna concreta azione di censura a carico del

trasgressore, atteso che tali chiamate avvengono quasi sempre mediante il così detto «numero riservato», ovvero ricorrendo ad utenze criptate non riconoscibili dai display dei normali apparecchi telefonici;
la situazione appare di una certa gravità, trattandosi di comportamenti che potrebbero far ravvisare persino delle fattispecie di rilevanza penale (vedasi, ad esempio, il reato di molestie ex articolo 660 del codice penale) -:
quali iniziative intenda adottare con la massima urgenza per far sì che le iscrizioni nel registro delle opposizioni vengano effettivamente rispettate dagli operatori commerciali, compagnie telefoniche in primo luogo;
se non ritenga necessario assumere iniziative di carattere normativo, magari con apposito regolamento, per assicurare che l'interlocutore di telemarketing sia obbligato a fornire preventivamente al soggetto contattato le proprie generalità (quale un codice identificativo) o, quanto meno, che sia vietato di effettuare chiamate attraverso numeri non identificabili o criptati.
(4-12822)

CONTENTO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
quella dei disservizi telefonici della Val d'Arzino, in comune di Vito d'Asio (Pordenone), è ormai una questione nota, trattandosi di un disagio che si prolunga ormai con cadenza più che semestrale;
ciononostante, risulta che anche in questi giorni la zona sia quasi completamente priva di servizio di telefonia mobile;
sistematicamente la rete per i cellulari lamenta problemi di funzionamento a causa di avverse condizioni meteorologiche e di guasti;
non pare andare meglio alla rete fissa, anch'essa soggetta a continui intoppi tecnici risolti anche dopo vari giorni dalle prime segnalazioni;
quella della Val d'Arzino rappresenta un'area del Friuli abitata in larga maggioranza da persone anziane, con un'orografia tipicamente montana ed una viabilità di accesso non certo agevole (il rischio di ritardi nei soccorsi diventa, quindi, eccessivamente alto per permettersi disguidi telefonici cosi prolungati e diffusi) -:
quali iniziative di competenza intenda adottare con la massima urgenza per far potenziare e migliorare il servizio di telefonia mobile e fissa in Val d'Arzino (Pordenone), evitando cosi che una problematica che si trascina da anni crei situazioni di potenziale pericolo tra la popolazione.
(4-12824)

DI PIETRO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nel nostro Paese, la problematica relativa ai ritardati dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni nelle transazioni commerciali ha assunto dimensioni sempre più gravi e insostenibili, incidendo negativamente sull'attività delle imprese, con particolare riferimento a quelle di piccole dimensioni già messe in difficoltà dall'attuale contesto economico negativo. In particolare, nelle aree del Mezzogiorno grande preoccupazione suscita l'allarme lanciato da alcune imprese che oggi si trovano a un passo dal fallimento, a causa del ritardo nei pagamenti delle prestazioni rese nei confronti della pubblica amministrazione;
un esempio emblematico di tale situazione è rappresentato dall'impresa «Sicer Sistemi S.R.L», una impresa che opera da vari decenni nel campo degli impianti tecnologici per edifici industriali e per uffici, nonché nel settore degli arredamenti degli interni ed in particolare in quello del restauro, con interventi specialistici nel recupero di arredi d'arte e di immobili storici;
per quanto risulta all'interrogante, detta impresa - che sino a poco tempo fa

impiegava circa quindici operai -, oggi rischia di incontrare gravi difficoltà nel proseguimento della propria attività, perché il Ministero per i beni e le attività culturali non avrebbe pagato fatture per circa 700.000 euro, emesse da più di un anno, in relazione a lavori eseguiti presso il polo museale di Napoli;
in base ad un recente studio condotto dalla Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa, il ritardo medio nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni è di 158 giorni, contro una media europea di 68, arrivando a ritardi massimi che, nei casi più gravi, superano i due anni e mezzo. Secondo l'ABI, l'esposizione delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione è complessivamente stimabile in 50/60 miliardi di euro e ciò si riflette negativamente sul cash flow (flusso di cassa) delle aziende, creando distorsioni della concorrenza e rendendo più difficoltosa l'integrazione economica e il commercio transfrontaliero;
in data 13 febbraio 2010 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 23 febbraio 2011 la direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011 in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Detta direttiva è entrata in vigore il 16 marzo 2011 e gli Stati membri dovranno dare attuazione a tale direttiva entro due anni, ovvero entro il 16 marzo 2013. La citata direttiva 2011/7/UE prevede che il ritardo nel pagamento può essere al massimo di 30 giorni a meno che non sia indicato diversamente dal contratto. Si può arrivare fino a 60 giorni in caso di accordo tra le due imprese e ancora oltre se espressamente previsto dal contratto, a condizione che non costituisca un'evidente ingiustizia verso la parte più debole. Per quanto riguarda invece i pagamenti dal settore pubblico verso un'impresa, il limite per i pagamenti è di 30 giorni. Ogni ritardo deve essere giustificato con motivazioni oggettive, deve essere concordato e non potrà mai andare oltre i 60 giorni -:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e in caso affermativo, quali iniziative urgenti intenda assumere al fine si risolvere la gravissima situazione in cui versano numerose imprese, quali ad esempio la citata «Sicer Sistemi S.R.L», che vantano crediti di particolare rilevanza nei confronti della pubblica amministrazione e dare piena attuazione ai principi normativi dettati alla citata direttiva 2011/7/UE in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
(4-12863)

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Apposizione di una firma ad una mozione ed indicazione dell'ordine dei firmatari.

La mozione Cazzola ed altri n. 1-00690, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 luglio 2011, è stata successivamente sottoscritta anche dal deputato Brugger che, con il consenso del primo firmatario e degli altri sottoscrittori, ne diventa decimo firmatario.

Apposizione di firme a mozioni.

La mozione Reguzzoni e altri n. 1-00671, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 giugno 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Luciano Rossi.

La mozione Lulli e altri n. 1-00696, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Trappolino.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

La risoluzione in Commissione Dima e Paolo Russo n. 7-00660, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 luglio 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Ippolito Vitale.

Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato della mozione Vannucci n. 1-00693, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 502 del 15 luglio 2011.

La Camera,
premesso che:
il Consiglio dei ministri ha deliberato il 10 marzo 2011 lo stato di emergenza per i territori della regione Marche colpiti dall'alluvione eccezionale dei primi giorni del mese di marzo 2011;
il disastroso evento ha colpito l'intera regione e parte dell'Abruzzo provocando tre vittime;
nelle Marche si sono registrate 52 zone allagate, 73 strade interrotte, famiglie evacuate, aziende allagate con blocco di attività e coste distrutte dalle mareggiate;
i danni stimati sono di circa 493 milioni di euro, oltre ai danni al settore agricolo di importo quasi corrispondente;
due giorni prima della calamità era entrata in vigore la legge di conversione del decreto-legge n. 225 del 2010, cosiddetto milleproroghe (legge 26 febbraio 2011, n. 10);
la legge aveva introdotto, all'articolo 2, i commi dal 2-quater al 2-octies, che prevedono la modifica della legge 24 febbraio 1992, n. 225, che disciplina il servizio nazionale di protezione civile;
le nuove norme prevedono che, in caso di calamità, sia sempre il Consiglio dei ministri a decretare lo stato di emergenza, ma che gli oneri per gli interventi siano in primo luogo a carico della regione;
tutto è stato descritto e confermato dalla direttiva della Presidenza dei Consiglio dei ministri subito emanata secondo la seguente procedura:
a) la regione procede ad una ricognizione delle risorse disponibili nel proprio bilancio da destinare alla ricostruzione ed agli indennizzi;
b) se queste non sono sufficienti, delibera aumenti di tributi, addizionali, tasse sino al limite massimo (irpef, irap e altro);
c) se ancora le risorse non sono sufficienti, aumenta l'accisa sui carburanti sino a cinque centesimi al litro ulteriori rispetto alle precedenti eventuali decisioni;
solo dopo aver aumentato tutto questo può chiedere, se le risorse non fossero sufficienti, l'utilizzo del fondo di protezione civile;
se le risorse del fondo non sono sufficienti, si attiva il fondo per le spese impreviste ed a questo punto, automaticamente, senza ulteriori decisioni, in quanto è previsto dalla nuova normativa, il direttore dell'Agenzia delle dogane deve disporre l'aumento dell'accisa sui carburanti corrispondente all'utilizzo del fondo per reintegrarlo;
praticamente dal 26 febbraio 2011 tutte le calamità che prevedono la dichiarazione dello stato di emergenza sono finanziate dalle regioni stesse con l'aumento massimo dell'imposizione fiscale di loro spettanza e per le quote residue dello Stato con aumento automatico delle accise sul carburante per autotrazione;
l'imposizione fiscale di una singola regione, già oggetto di una situazione emergenziale, portata al massimo incide sulla competitività delle imprese della regione medesima con rischi di tenuta e stimoli di trasferimento di azienda in altra regione;
non vi è corrispondenza fra la capacità di una singola regione e l'ammontare delle calamità. Le Marche con 1,5 milioni di abitanti, anche se utilizzassero tutte le potenzialità fiscali previste, arriverebbero a coprire 20-25 milioni di euro contro 493 milioni di danni, ma le proprie imprese sarebbero in ginocchio;

le calamità nazionali caricate sulle accise della benzina inciderebbero sulla competitività del Paese e sul potere di acquisto delle famiglie;
uno schema del genere non potrebbe reggere di fronte a disastri di grosse proporzioni, come furono quelli del Friuli, dell'Irpinia, di Marche ed Umbria, nonché dell'Abruzzo;
comuni e province avrebbero in molti casi disponibilità di fondi per attuare alcuni interventi urgentissimi, ma non possono spenderli per i vincoli del patto di stabilità interno;
desta forti perplessità il nuovo regime normativo che sottopone le popolazioni, si ribadisce già colpite da un evento calamitoso che lo stesso Consiglio dei ministri ha riconosciuto di tipo c), che significa non affrontabile dalla regione con strumenti ordinari, ad ulteriori disagi aggiuntivi costituiti dall'aumento dei tributi. Tale disposizione, infatti, appare in netta «controtendenza» con le normative emergenziali precedenti e con l'articolo 119 della Costituzione, che prevede il vincolo di solidarietà tra le regioni. In passato, il legislatore nell'affrontare tali situazioni prevedeva addirittura la sospensione dei medesimi tributi;
a tutt'oggi, non è stata emanata l'ordinanza di protezione civile, pur essendo stato dichiarato uno stato di emergenza a seguito di evento calamitoso di tipo c);
l'ordinanza non è stata emessa, in quanto la regione Marche non ha potuto oggettivamente ottemperare a quanto previsto dalle nuove norme, avendo presentato ricorso davanti alla Corte costituzionale;
l'enorme lasso di tempo trascorso, la drammaticità delle condizioni in cui persistono i cittadini e le attività produttive di un distretto, come quello calzaturiero, già colpito dalla difficile congiuntura economica, la necessità di dimostrare una viva e convinta solidarietà nei confronti di coloro che sono stati colpiti, come avvenuto nel recente passato per altre parti del territorio nazionale, richiedono che lo Stato e la regione Marche si assumano le rispettive responsabilità ed intervengano con urgenza;
dopo cinque mesi dagli eventi non è stato adottato alcun intervento finanziario;
comuni e province che hanno dovuto far fronte all'emergenza non sono in grado di pagare le ditte chiamate ad eseguire gli interventi di somma urgenza e, se lo facessero, non rispetterebbero il patto di stabilità, con negativi effetti sulla vita degli enti;
aziende, famiglie, cittadini danneggiati non hanno ricevuto alcun indennizzo con forti danni al tessuto sociale e produttivo dovuti all'incertezza sul futuro;
risultano ancora strade chiuse, frane non rimosse, situazioni di pericolo incombente non affrontate;
la mancata emanazione dell'ordinanza di protezione civile impedisce alle imprese ed ai privati cittadini danneggiati di avanzare richiesta di risarcimento dei danni subiti, facendoli rimanere in una situazione di profonda incertezza;
è estremamente urgente, dopo cinque mesi di attuazione, rivedere le norme del decreto-legge n. 225 del 2010, come convertito, che hanno modificato la legge 24 febbraio 1992, n. 225, in quanto hanno di fatto determinato la paralisi del servizio di protezione civile, con blocco delle ordinanze anche rispetto agli altri stati di emergenza successivi, riferiti, oltre che alle regioni Marche e Abruzzo, alla regione Basilicata e la fattispecie si ripeterà per i recenti eventi alluvionali avvenuti nel Nord Italia e per quelli che presumibilmente avverranno;
il Presidente dei Consiglio dei ministri ha dichiarato uno stato di emergenza di tipo c), riconoscendo, quindi, che la calamità di cui trattasi non è affrontabile

dalla regione con strumenti ordinari e non può esimersi dall'emettere la prevista ordinanza di protezione civile,


impegna il Governo:


nelle more della definizione del contenzioso aperto dalle regioni innanzi la Corte costituzionale, ad emettere le previste ordinanze di protezione civile per gli stati d'emergenza deliberati successivamente all'approvazione della legge n. 10 del 2011, per far fronte agli indennizzi alle persone fisiche ed alle imprese colpite ed agli oneri di somma urgenza sostenuti dagli enti interessati e per effettuare gli interventi più urgenti limitatamente alle necessità inderogabili e alle risorse disponibili;
a promuovere la revisione della legge 24 febbraio 1992, n. 225, per meglio definire il rapporto Stato-regioni;
a prevedere, anche mediante apposite iniziative normative, nei casi di dichiarazione dello stato di emergenza successivi alla legge n. 10 del 2011, la facoltà del Ministro dell'economia e delle finanze, previa verifica della disponibilità di cassa e delle capacità finanziarie degli enti territoriali, di autorizzare, con proprio decreto, le regioni interessate a derogare al patto di stabilità interno per un ammontare definito, ripartito fra regioni e singoli comuni o province, da destinare esclusivamente alla realizzazione di interventi di ripristino, manutenzione e prevenzione conseguenti allo stato di calamità.
(1-00693)
(Nuova formulazione) «Vannucci, Baldelli, Ciccanti, Favia, Paolini, Della Vedova, Tabacci, Abrignani, Agostini, Cavallaro, Ceroni, Ciccioli, De Torre, Ginoble, Giovanelli, Margiotta, Merloni, Pistelli, Cesa, Franceschini, Di Pietro, Galletti, Adornato, Binetti, Bosi, Capitanio Santolini, Enzo Carra, Compagnon, De Poli, Delfino, Dionisi, Anna Teresa Formisano, Libè, Lusetti, Mantini, Marcazzan, Mereu, Mondello, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Poli, Rao, Ria, Ruggeri, Scanderebech, Nunzio Francesco Testa, Lanzillotta».

Ritiro di documenti di indirizzo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
mozione Cesa n. 1-00607 del 28 marzo 2011;
risoluzione in Commissione Moffa n. 7-00658 del 26 luglio 2011.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta in Commissione Cenni n. 5-05014 del 29 giugno 2011;
interrogazione a risposta in Commissione Nastri n. 5-05154 del 21 luglio 2011;

Ritiro di una firma da un documento del sindacato ispettivo.

Interrogazione a risposta immediata in Assemblea Scanderebech e altri n. 3-01776, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 luglio 2011: è stata ritirata la firma del deputato Anna Teresa Formisano.

...

ERRATA CORRIGE

Interrogazione a risposta immediata in Commissione Beccalossi n. 5-05191 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 507 del 26 luglio 2011. Alla pagina 23603, seconda colonna, dalla riga quarantunesima alla riga quarantaduesima deve leggersi: «NASTRI e BECCALOSSI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per» e non «BECCALOSSI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per», come stampato.