XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 20 giugno 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:

L'VIII Commissione,
premesso che:
l'articolo 15 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, come modificato dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 125 del 2010, convertito dalla legge n. 163 del 2010, prevede l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di Anas spa, a far data dal 1o maggio 2011, previa adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che dovrà definire le tratte ed i raccordi autostradali in gestione diretta ANAS da pedaggiare;
tra le tratte autostradali ed i raccordi da sottoporre a pedaggiamento, che hanno avuto una prima individuazione con l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 giugno 2010 successivamente sospeso nei suoi effetti dalle decisioni del giudice amministrativo, figurano le tratte: A90 grande raccordo anulare; A91 Roma-aeroporto Fiumicino; A3 Salerno-Reggio Calabria; A18 diramazione di Catania e RA 15 tangenziale ovest di Catania; A19 Palermo-Catania; RA2 Salerno-Avellino; RA3 Siena-Firenze; RA6 Bettolle-Perugia; RA8 Ferrara-Porto Garibaldi; RA9 di Benevento; RA10 Torino-aeroporto di Caselle; RA11 Ascoli-Porto D'Ascoli; RA12 Chieti-Pescara; RA13 raccordo autostradale A/4 - Trieste - RA14 diramazione per Fernetti; RA5 Sicignano-Potenza;
si tratta di tratte stradali che necessitano di lavori urgenti di messa in sicurezza e ammodernamento;
le entrate derivanti dall'applicazione dei nuovi pedaggi verranno utilizzate dall'ANAS per la gestione delle strade e per investimenti relativi a opere e interventi di manutenzione straordinaria anche in corso di esecuzione;
nell'attuale momento di crisi economica mondiale che ha comportato, tra l'altro, impegni economici straordinari da parte del Paese, l'introduzione di pedaggi ai raccordi autostradali sembra indispensabile ai fini della gestione delle strade da parte dell'ANAS, per poter garantire liquidità finanziaria all'ANAS stessa e permettere un'adeguata manutenzione delle strade;
il termine del 30 aprile 2011 è scaduto e non risulta ancora emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che rende applicabili i pedaggi ai fini dell'attuazione delle sopracitate norme;
occorre escludere dal pedaggio le tratte che non presentino le caratteristiche tipiche richieste per le autostrade;
le nuove entrate devono essere utilizzate dall'ANAS prioritariamente per la manutenzione ordinaria e straordinaria nonché per l'ammodernamento delle strade sottoposte ai nuovi pedaggi, in termini di viabilità, sicurezza e servizi;
l'introduzione dei nuovi pedaggi non deve penalizzare eccessivamente i residenti e le imprese presenti sul territorio, che utilizzano quotidianamente tali tratte stradali principalmente per spostamenti di lavoro, qualora non esistano strade alternative di percorrenza,


impegna il Governo:


ad assumere le opportune iniziative per l'immediata emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 15, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, e successive modificazioni;
ad escludere dal pedaggio le tratte che non presentano le caratteristiche tipiche richieste per le autostrade;

ad assumere iniziative affinché le nuove entrate siano utilizzate prioritariamente dall'ANAS per l'ammodernamento, la manutenzione ordinaria e straordinaria e la messa in sicurezza delle tratte sottoposte ai nuovi pedaggi;
a prevedere agevolazioni o esclusioni dall'imposizione dei nuovi pedaggi per i cittadini residenti e per le imprese presenti sul territorio, qualora non esistano strade alternative di percorrenza.
(7-00608)
«Guido Dussin, Lanzarin, Togni, Alessandri».

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ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
secondo l'ultimo Rapporto Istat, nel corso dell'ultimo anno la popolazione ha continuato a crescere superando i 60 milioni 600 mila residenti al 1o gennaio 2011, con un tasso d'incremento del 4,3 per mille. Rispetto all'anno precedente risultano in calo tanto le nascite quanto i decessi, le prime in misura maggiore dei secondi. Ne consegue una dinamica naturale di segno ancor più negativo (-0,5 per mille) rispetto all'anno precedente. La fecondità è in lieve calo (1,4 figli per donna) e sembra essersi conclusa, soprattutto da parte delle donne italiane, la fase di recupero cui si era assistito per ampia parte dello scorso decennio. La vita media compie ulteriori progressi: 79,1 anni per gli uomini, 84,3 anni per le donne con, rispettivamente, un guadagno di tre e due decimi di anno sul 2009. La dinamica migratoria è ancora una volta determinante ai fini della crescita demografica. Il saldo migratorio netto con l'estero si mantiene sui livelli del 2009, risultando pari al 6,0 per mille;
i cittadini stranieri residenti, pari a oltre 4 milioni e mezzo, sono in costante aumento e costituiscono il 7,5 per cento totale. Per il quarto anno consecutivo la dinamica naturale (differenza tra nascite e decessi) registra un saldo di segno negativo, in misura, tuttavia, ancora più accentuata di quella del precedente triennio: -30 mila 200 unità nel 2010, contro -22 mila 800 unità nel 2009, -8 mila 500 unità del 2008 e -6 mila 900 unità del 2007. Le nascite sono stimate pari a 557 mila unità, da cui deriva un tasso di natalità pari al 9,2 per mille residenti. Rispetto al 2009, si rilevano 12.200 nascite in meno, mentre per rilevare un numero di nascite inferiore a quello del 2010 occorre tornare al 2005, anno in cui se ne rilevarono 554 mila. La riduzione delle nascite rispetto all'anno precedente (-2,1 per cento) risulta alquanto generalizzata su scala territoriale, tranne che per Molise (+2,3 per cento) Abruzzo (+1,5 per cento), Provincia autonoma di Bolzano (+0,6 per cento) e Lazio (+0,1 per cento). Analizzando la composizione delle nascite secondo la cittadinanza della madre risulta che le nascite da madre italiana, pur continuando a rappresentare una quota di gran lunga prevalente, registrano un calo di oltre 13 mila unità sul 2009. Contestualmente, il contributo alla natalità delle madri di cittadinanza straniera si fa sempre più importante. Si stima, infatti, che nel 2010 oltre 104 mila nascite (18,8 per cento del totale), siano attribuibili a madri straniere (erano 35 mila nel 2000, pari al 6,4 per cento e 103 mila nel 2009 pari al 18,1 per cento), di cui il 4,8 per cento con partner italiano e il restante 14 per cento con partner straniero. Tali dinamiche di natalità sono il risultato di comportamenti riproduttivi simili a quelli del 2009, che sottolineano una lieve controtendenza rispetto a quanto rilevato nella prima parte dello scorso decennio. Nel 2010 il numero medio di figli per donna (TFT) è infatti stimato a 1,40, di poco inferiore all'1,41 del 2009.

Contrariamente alle positive prospettive emerse nei primi anni 2000, sembra dunque essersi assestata la fase di recupero della fecondità nazionale. Tale fenomeno si conferma anche nel contesto territoriale, laddove si registrano modeste variazioni del TFT, perlopiù di segno negativo;
il primato della maggiore riproduttività spetta alle regioni del Nord, con in testa le due Province autonome di Trento e Bolzano (1,59 e 1,57 figli per donna, rispettivamente), seguite dalla Valle d'Aosta (1,54). Inoltre, a conferma del fatto che la fecondità risulta ormai più favorevole nel Nord del Paese, anche le donne della Lombardia (1,48), dell'Emilia-Romagna (1,46) e del Veneto fanno registrare livelli superiori alla media nazionale. Le donne siciliane (1,41) e campane (1,40), che fino a non molti anni fa detenevano il primato della fecondità, risultano solo al settimo e all'ottavo posto, rispettivamente, della graduatoria regionale. In fondo alla stessa, con livelli di ridotta fecondità si ritrovano tre regioni del Mezzogiorno: Basilicata (1,19), Molise (1,16) e Sardegna (1,13). La riduzione della fecondità interessa soprattutto le donne di cittadinanza italiana, passate nel giro di un anno da 1,33 a 1,29 figli per donna. In considerazione della progressiva uscita di scena da parte delle generazioni baby boomers, per quel che riguarda l'età del ciclo riproduttivo, sembrerebbe così essersi pressoché esaurito il trend di recupero degli ultimi anni. La fecondità nazionale è concretamente sostenuta dal contributo delle donne straniere che, nel 2010, hanno procreato mediamente 2,13 figli. L'apporto all'indice di fecondità nazionale (1,40 figli) è valutabile nella misura del 12 per cento contributo identico a quello del 2009. L'immagine territoriale della fecondità delle donne straniere rispecchia quella della fecondità complessiva;
per quanto riguarda i decessi, la stima ad essi relativa sfiora le 587 mila unità per un tasso di mortalità pari al 9,7 per mille (9,8 per mille nel 2009). Come conseguenza di una minor mortalità rispetto all'anno precedente, la speranza di vita alla nascita registra nel 2010 un'ulteriore balzo in avanti. Gli uomini raggiungono il livello di 79,1 anni (+0,3 rispetto al 2009), le donne quello di 84,3 anni (+0,2). Prosegue, dunque, il processo di riavvicinamento degli uomini alle donne per quel che interessa le condizioni di sopravvivenza. La differenza di genere, che raggiunse il massimo di 6,9 anni nel 1979, risulterebbe oggi ridotta a soli 5,2 anni. Non è per nulla un paradosso che un Paese in cui un neonato può contare di vivere così a lungo come in Italia, è soprattutto un Paese dove in primo luogo migliorano le condizioni di sopravvivenza della popolazione anziana. All'età di 65 anni la speranza di vita residua è nel 2010 di 18,3 anni per gli uomini (+0,2 sul 2009) e di 21,9 anni per le donne (+0,2). Il margine di miglioramento della sopravvivenza da un anno all'altro che si riscontra alle età infantili è all'incirca il medesimo di quello guadagnato dagli anziani, sempre più artefici pressoché esclusivi dei progressi di sopravvivenza attuali e grazie ai quali dipenderanno sempre di più quelli futuri. Il quadro della sopravvivenza che emerge a livello territoriale conferma, per l'ennesimo anno, che le regioni del Paese più favorite sono quelle del Nord-est e del Centro;
tanto nelle prime quanto nelle seconde gli uomini possono contare su una vita media di 79,4 anni, con il primato regionale detenuto dalla provincia di Bolzano (80,2 anni), seguita dalle Marche (80 anni). Tra le donne, le regioni del Nord-est hanno nel complesso una vita media di 84,8 anni, dunque superiore a tutte le altre ripartizioni geografiche. Per le donne del Centro la vita media è più bassa e pari a 84,5 anni: tuttavia, è proprio una regione del Centro, le Marche, a detenere il primato di sopravvivenza femminile (85,5 anni), seguita dal Trentino-Alto Adige (85,3 anni). In presenza di una dinamica naturale negativa, ma il cui contributo al processo di rinnovamento dal basso (nascite) e dall'alto (decessi) della piramide della popolazione rimane comunque importante, la crescita demografica del Paese è da attribuire, ancora una volta, alla

dinamica migratoria. Nel 2010 la stima del saldo migratorio è pari a 291 mila unità in più dall'inizio dell'anno, per un tasso migratorio pari al 4,8 per mille, in calo rispetto al 2009, anno in cui il saldo migratorio risultò pari a +318 mila unità (con un tasso del 5,3 per mille);
l'incremento totale della popolazione, dato dalla somma del saldo naturale (-0,5 per mille), del saldo migratorio netto con l'estero (+6 per mille) e del saldo migratorio interno e per altri motivi (-1,2 per mille), è positivo anche nel 2010 in misura pari a 4,3 per mille residenti (+4,9 per mille nel 2009). L'anno appena conclusosi farebbe così riscontrare un incremento di 261 mila unità, determinando una popolazione totale di 60 milioni 601 mila residenti a fine 2010. Gli stranieri residenti in Italia ammontano a 4 milioni 563 mila al 1o gennaio 2011, facendo così registrare un incremento di 328 mila unità (per un saldo totale del 7,5 per cento) rispetto al 1o gennaio 2010. A questa stima concorrono 376 mila unità in più per effetto delle migrazioni con l'estero, 73 mila unità in più per effetto della dinamica naturale positiva (78 mila nati stranieri contro appena 5 mila 8 decessi), circa 57 mila unità in meno per effetto delle poste migratorie interne e per altri motivi e, infine, 64 mila unità in meno per acquisizioni della cittadinanza italiana. La comunità straniera più rappresentata, con circa 1 milione di presenze, è quella rumena, cui segue la comunità albanese (491 mila) e quella marocchina (457 mila). Tra i Paesi asiatici la prima comunità è quella cinese, con 201 mila presenza. Livelli di incidenza superiori al 10 per cento si riscontrano in Emilia-Romagna (11,3 per cento), Umbria (11 per cento), Lombardia (10,7 per cento) e Veneto (10,2 per cento). Il peso percentuale della popolazione straniera risulta relativamente più basso nel Mezzogiorno (2,9 per cento), il minimo è in Sardegna (2,2 per cento);
negli ultimi dieci anni la percentuale di individui di 65 anni e oltre è aumentata 1,8 milioni di individui per questa classe di età. Nello stesso periodo, il numero di ragazzi fino a 14 anni di età è aumentato di circa 348 mila unità, portando la relativa quota al 14 per cento del totale (14,3 per cento nel 2001). Anche la popolazione in età attiva, pur aumentando nell'arco del decennio di 1 milione 456 mila unità, ha oggi minor peso percentuale rispetto al 2001, il 65,7 per cento contro il 67,3 per cento. Particolarmente veloce è stata anche la crescita della popolazione di 85 anni e oltre. Nel 2001, i cosiddetti «grandi vecchi» erano 1 milione 234 mila, pari al 2,3 per cento del totale. Oggi, sono 1 milione 675 mila, pari al 2,8 per cento del totale. La stima delle persone ultracentenarie si è addirittura triplicata dal 2001 al 2011, da circa 5 mila 400 individui a oltre 16 mila. Oltre i 65 anni di età le donne sono in numero nettamente superiore rispetto agli uomini poiché, come noto, vivono mediamente più a lungo. Tuttavia, il rapporto donne/uomini dai 65 anni in poi si sta riducendo. Nel 2001 c'erano 143 donne di 65 anni e oltre ogni 100 uomini della stessa classe di età, oggi ce ne sono 137. Anche il rapporto di genere relativo alla popolazione ultracentenaria sta diminuendo. Nel 2001 c'erano, approssimativamente, cinque donne ultracentenarie ogni uomo ultracentenario, mentre oggi tale rapporto è sceso a quattro su uno. Come conseguenza dell'aumento della popolazione anziana, l'età media della popolazione continua a crescere: da 41,7 anni nel 2001 a 43,5 nel 2011. Tuttavia, c'è da considerare che il profilo strutturale per età della popolazione varia considerevolmente sul piano territoriale, benché tutte le regioni, nessuna esclusa, siano interessate dal processo di invecchiamento -:
quali interventi il Governo intenda realizzare, sia tramite azioni economiche che con attenzione alle politiche sociali, al fine di incentivare la crescita demografica del nostro Paese.
(4-12386)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
una nota dell'agenzia stampa Dire del 17 giugno 2011 ha diffuso la notizia: «Ustica. 21 aerei militari attorno al DC9, c'è documento NATO - Mostrato oggi in diretta TV dal giornalista Andrea Purgatori - Un documento della Nato, citato nel dispositivo di sentenza-ordinanza del giudice Rosario Priore, testimonia la presenza nei cieli di Ustica di 21 aerei militari contemporaneamente al DC9 dell'Itavia precipitato in mare con il suo carico di 81 passeggeri. A mostrarlo per la prima volta in assoluto è il giornalista Andrea Purgatori, ospite questa mattina della trasmissione in onda su Rai Tre Agorà. Il documento, inviato dalla Nato, oltre ai magistrati, anche alla Presidenza del Consiglio e al Ministero della difesa, pare dunque smentire le ricostruzioni secondo le quali il DC9 volava, quella sera del 27 giugno del 1980, in un cielo sgombro da altri mezzi e certifica, invece, la presenza nelle sue immediate vicinanze di 21 aerei militari e di una portaerei; si tratta per lo più di velivoli britannici e americani, ma di cinque non viene rivelata la nazionalità (l'ipotesi fatta in trasmissione è che si possa trattare di aerei e libici). Questa testimonianza, assieme a numerose perizie, spiega la presidente dell'associazione delle vittime della strage di Ustica, Daria Bonfietti, in collegamento dal museo della memoria di Bologna, è alla base della sentenza del giudice Priore che è arrivato a concludere che l'aereo civile è stato abbattuto nel contesto di un'azione di guerra, rigettando la tesi dell'esplosione della bomba a bordo, che ancora trova illustri sostenitori, come il sottosegretario Carlo Giovanardi [...] L'approfondimento su Ustica fatto da Agorà si conclude con l'appello di Purgatori, che ricorda che l'indagine è ancora aperta e che i giudici italiani hanno presentato alcune importanti rogatorie all'estero per avere i documenti necessari ad una ricostruzione completa di quanto accaduto quella notte. "Il Governo dovrebbe supportarli", chiede il giornalista, lamentando il fatto che c'è ancora chi sostiene la tesi della bomba a bordo»;
da fonti di stampa si è appreso che il 1o luglio 2010 il Ministro della giustizia Alfano ha firmato e inoltrato alle autorità competenti le quattro richieste presentate dalla procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta sul disastro aereo nei cieli di Ustica dove persero la vita gli 81 passeggeri del DC9 Itavia nel 1980. Le rogatorie sono dirette verso Usa, Francia, Belgio e Germania -:
quale sia lo stato dei procedimenti di rogatoria internazionale citati nell'agenzia di cui in premessa e quali immediate azioni intenda intraprendere il Presidente del Consiglio per sollecitare la conclusione degli stessi e quindi l'acquisizione delle documentazioni richieste;
se si intenda agevolare ogni iniziativa, anche giudiziaria, tesa ad accertare la verità sui fatti di Ustica.
(4-12393)

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:

FUGATTI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la norma di attuazione che definiva un nuovo assetto organizzativo per il parco nazionale dello Stelvio è tuttora bloccata;
gli organi di gestione previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 novembre 1993 sono in scadenza;
è necessario salvaguardare la continuità delle diverse attività e funzioni svolte dai rispettivi organi, anche per la particolare forma di amministrazione che riconosce

lo statuto di autonomia delle provincie autonome di Trento e Bolzano -:
se gli organi attualmente in carica possano essere prorogati fino all'entrata in vigore delle nuove norme al fine di salvaguardare le funzioni e l'autonomia organizzativa dei tre comitati dai quali dipendono la salvaguardia dei livelli occupazionali e le molteplici attività di sostegno al turismo che costituisce fonte economica primaria per le valli interessate dalla presenza dell'area protetta.
(5-04924)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
come un virus, con diverse modalità di trasmissione e una micidiale capacità di contagio, il fenomeno delle ecomafie avvelena l'ambiente, inquina l'economia, mette in pericolo la salute delle persone, uccide in maniera brutale. Questa «nuova industria» non manca di liquidità perché nessuno si può rifiutare di pagare. Non ha bilanci in sofferenza perché, se nel 2010 gli incassi sono stati di poco inferiori rispetto all'anno precedente (19,3 miliardi di euro contro i 20,5 del 2009), è pur sempre in attivo. È il ritratto che emerge da «Ecomafia 2011», il rapporto curato da Legambiente presentato a Roma nella sede del Cnel. Nell'anno delle celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia, c'è un'altra strada che unisce il nostro Paese da un capo all'altro. È quella della criminalità ambientale: un cammino fatto di 82.181 tir carichi di rifiuti, uno dietro l'altro, lungo 1.117 chilometri, più o meno da Reggio Calabria a Milano. Un'interminabile autocolonna immaginata sommando i quantitativi di immondizia (2 milioni di tonnellate) sequestrati solo in 12 delle 29 inchieste per traffico illecito di rifiuti messe a segno dalle forze dell'ordine nel corso del 2010. Ben 540 campi da calcio, invece, possono rendere l'idea del suolo consumato nel 2010 dall'edilizia abusiva, con 26.500 nuovi immobili stimati. L'equivalente di un'intera città illegale, con 18.000 abitazioni sorte dal nulla;
sono ben 290 i clan impegnati nel business dell'ecomafia censiti nel rapporto di Legambiente, 20 in più rispetto al 2009; 19,3 miliardi di euro invece è il giro d'affari stimato per il 2010. Nel complesso, la Campania continua a occupare il primo posto nella classifica dell'illegalità ambientale, con 3.849 illeciti, pari al 12,5 per cento del totale nazionale, 4.053 persone denunciate, 60 arresti e 1.216 sequestri, seguita dalle altre regioni a tradizionale presenza mafiosa: nell'ordine Calabria, Sicilia e Puglia, dove si consuma circa il 45 per cento dei reati ambientali denunciati dalle forze dell'ordine nel 2010. Un dato significativo ma in costante flessione rispetto agli anni precedenti, in virtù della crescita, parallela, dei reati in altre aree geografiche. Si segnala, in particolare, quella Nord-Occidentale, che si attesta al 12 per cento a causa del forte incremento degli illeciti accertati in Lombardia. In totale i reati accertati sono stati 30.824, con un incremento del 7,8 per cento rispetto al 2009: più di 84 al giorno, 3,5 ogni ora. Gli illeciti relativi al ciclo illegale di rifiuti (dalle discariche ai traffici illegali) e a quello del cemento (dalle cave all'abusivismo edilizio) rappresentano da soli il 41 per cento sul totale, seguiti dai reati contro la fauna, (19 per cento), dagli incendi dolosi (16 per cento), da quelli nella filiera agroalimentare (15 per cento). Dietro questi numeri c'è l'impegno di tutte le forze dell'ordine: Corpo forestale dello Stato, Comando tutela ambiente dei carabinieri, capitanerie di porto, guardia di finanza, Agenzia delle dogane e in particolare l'ufficio antifrode contro i traffici internazionali di rifiuti e di specie protette, Polizia di Stato e polizie provinciali;
il 2010 è un anno da record per le inchieste sull'unico delitto previsto dal testo unico ambientale (articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006), quelle contro i professionisti del traffico illecito di veleni: sono state ben 29, con 61

persone arrestate e 597 denunciate e il coinvolgimento di 76 aziende. Sempre nel corso del 2010, le forze dell'ordine hanno accertato circa 6.000 illeciti relativi al ciclo dei rifiuti (circa un reato ogni 90 minuti). La classifica a livello nazionale è guidata, anche in questo caso, dalle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (nell'ordine Campania, Puglia, Calabria e Sicilia), ma cresce anche il numero di reati accertati nel Lazio e in Lombardia. Il fenomeno si è ormai allargato a tutto il Paese, consolidandosi in strutture operative flessibili e modulari, in grado di muovere agevolmente tonnellate di veleni da un punto all'altro dello stivale. E spesso la destinazione finale è all'estero. L'Agenzia delle dogane ha inoltrato alle autorità competenti più di 100 notizie di reato per traffico internazionale di rifiuti e ha sequestrato nei porti italiani ben 11.400 tonnellate di rifiuti industriali. Il 60 per cento di questi diretti in Cina, il 12 per cento in Corea del Sud, il 10 per cento in India, il 4 per cento in Malesia;
in campo edilizio, nel 2010 sono stati accertati 6.922 illeciti, con 9.290 persone denunciate, più di una ogni ora. La Calabria è la prima regione come numero d'infrazioni (945) seguita dalla Campania, dove si registra il maggior numero di persone denunciate (1.586), e dal Lazio. Secondo le stime del Cresme, nel 2010 sono stati 26.500 i casi gravi di abusivismo, tra nuove costruzioni (18.000), ampliamenti e cambiamenti di destinazioni d'uso. Lungo le coste della Calabria, regione con il 100 per cento dei comuni interessati da aree a rischio idrogeologico solcata da torrenti e fiumare, è accertato un abuso ogni 100 metri, 5.210 in tutta la regione e 2.000 nella sola provincia di Reggio Calabria. Secondo dati del Cnr, anche la Campania dal 1950 al 2008 è stata fra le regioni più colpite da eventi franosi, che hanno causato 431 morti, e da inondazioni con 211 vittime. Ebbene, in un così fragile territorio in dieci anni sono state realizzate 60.000 case abusive, 6.000 ogni anno, 16 al giorno;
anche le frodi alimentari sono state al centro dell'intenso lavoro di tutte le forze dell'ordine, in particolare del Comando carabinieri per la tutela della salute e del Nucleo agroalimentare del Corpo forestale. Nel 2010 sono state 4.520 le infrazioni accertate nel settore, 2.557 le denunce e 47 gli arresti; mentre il valore dei sequestri ha raggiunto una cifra che supera i 756 milioni di euro. Il maggior numero di reati è stato riscontrato nel settore delle carni e allevamenti (1.244), della ristorazione (1.095) e dei prodotti alimentari vari. Le strutture chiuse e sequestrate sono state 1.323 con il ritiro di quasi 24 milioni di chili/litri di merci. Secondo la Confederazione italiana agricoltori (Cia) il fatturato si aggira sui 7,5 miliardi di euro;
il business dell'arte rubata ha incassato invece più di 216 milioni di euro, con 983 furti di opere d'arte (l'anno prima erano stati 1.093), quasi tre al giorno, accertati nell'ultimo anno per 20.320 oggetti trafugati (erano 13.219 nel 2009). Sono state indagate 1.237 persone e 52 sono state arrestate. Da segnalare anche i furti nel settore dei libri, documenti antichi e beni archivistici di rilevante interesse storico-culturale, a danno di istituti, enti e biblioteche pubbliche e private dove spesso gli ammanchi sono ignorati a causa dell'incompleta catalogazione e della estrema facilità di trasporto e parcellizzazione dei beni trafugati. Nel 2010 il numero di documenti e libri denunciati come sottratti è stato nettamente superiore a quello registrato nel 2009 (11.712 a fronte di 3.713). Da sottolineare gli ottimi risultati investigativi in fatto di recupero di oggetti d'arte: nel 2010 la cifra sale a quota 84.869, dei quali 79.260 provenienti direttamente da furti;
sempre nell'ultimo anno le forze dell'ordine hanno accertato 5.835 reati commessi contro la fauna, quasi 16 al giorno: un aumento del 13,2 per cento rispetto al 2009 per un business che ogni anno si aggira intorno ai tre miliardi di euro ed è sempre più globalizzato. Secondo il Corpo forestale dello Stato, la stragrande maggioranza

degli accertamenti, oltre 39.000, è avvenuta in ambito doganale a causa dell'espansione globale dei mercati orientali (a partire da quello cinese) con un volume d'affari illegale che supera ormai, a livello mondiale, i 100 miliardi di euro all'anno. A concludere affari con l'ecomafia è spesso un gruppo molto numerose di esponenti dell'impresa italiana: l'ampia disponibilità di denaro liquido da una parte, competenze professionali e società di copertura dall'altra hanno trovato nel business ambientale una perfetta quadratura, come spiega nel dossier di Legambiente il magistrato Roberto Scarpinato, che parla proprio di «sistemi criminali», ossia network illegali complessi dei quali fanno parte soggetti appartenenti a mondi diversi -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di contrastare il fenomeno delle ecomafie, che, secondo quanto emerso dal rapporto Legambiente, non si occupa più soltanto di «immondizia», ma è andato ad intaccare anche i settori edile ed agroalimentare.
(4-12379)

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Sardegna ogni anno assistono complessivamente alla cementificazione di circa 10mila ettari di territorio. Di questo suolo cancellato, ben 5mila ettari sono ambienti naturali, coperte da vegetazione spontanea. Un dato che riguarda soprattutto la Sardegna, dove gran parte dei nuovi edifici sorge su aree coperte da vegetazione mediterranea, e in misura minore le province pedemontane dell'ovest Lombardia, che subiscono la perdita di preziose foreste collinari e di pianura. Questi alcuni dei dati contenuti nel rapporto 2011 sul consumo di suolo (INU edizioni) presentato nei giorni scorsi da Legambiente e INU. Il consumo di suolo non produce solo ferite al paesaggio, ma una vera e propria patologia del territorio. Per questo Legambiente e INU hanno costituito a Milano il centro di ricerca sui consumi di suolo (CRCS) che, grazie ad un progetto di ricerca portato avanti con la collaborazione scientifica del dipartimento di architettura e pianificazione del politecnico di Milano e sostenuto da fondazione Cariplo, ha consentito di raccogliere informazioni, dati e metodi di misura prodotti da studiosi e istituzioni regionali: «il rapporto restituisce un quadro del consumo di suolo agricolo e naturale che non è rallentato ed è avvenuto a velocità differenti, in modo sempre più disperso sul territorio - dichiara Paolo Pileri del politecnico di Milano, uno dei curatori del rapporto -. Ad essere erose sono le risorse agricole e di biodiversità che costituiscono uno dei beni comuni più importanti, oltre ad essere un fattore competitivo nel rapporto con altri Paesi europei nei quali sono in atto da tempo politiche ambientali ed urbanistiche incisive contro il consumo di suolo e i suoi costi sociali. Per questa ragione, contabilità come questa risultano indispensabili per comprendere quanto sia opportuno ed urgente frenare la perdita di suoli liberi»;
uno degli effetti più rilevanti del consumo di suolo è la perdita di superfici agricole, che si riducono ogni anno di 9.400 ettari tra Emilia Romagna, Lombardia e Friuli Venezia Giulia. Una perdita che equivale alla scomparsa di due medie aziende agricole al giorno, un dato impressionante per un Paese la cui immagine è così fortemente ancorata alla produzione agricola: si tratta di una minaccia incombente sul nostro futuro produttivo, considerando che la filiera alimentare rappresenta il 15 per cento del prodotto interno lordo nazionale e produce esportazioni nell'ordine dei 26 miliardi annui. Nella sola Lombardia le urbanizzazioni hanno già causato la perdita di un quarto delle superfici agricole produttive. «Il territorio italiano si sta rapidamente metropolizzando - rileva il presidente INU, Federico Oliva -. Alla città tradizionale si sta sostituendo una nuova città nella quale accanto alla periferia si sono sviluppate aree a bassa densità sollecitate da motivazioni

economiche (il minor costo delle aree) e dalla ricerca di una miglior qualità della vita. Questa nuova città, in cui vive oltre il 60 per cento dell'intera popolazione italiana, presenta una generale condizione di insostenibilità: per l'elevato consumo di suolo, per l'aumento del traffico motorizzato individuale che sollecita, per i nuovi squilibri e le nuove forme di congestione che determina, per la mancanza di spazio pubblico. Contenere la metropolizzazione del territorio e il crescente consumo di suolo deve dunque essere una priorità per le politiche territoriali del nostro Paese»;
nella visione delle organizzazioni fondatrici di CRCS c'è la necessità di affermare, attraverso una riforma normativa, capisaldi giuridici che stabiliscano lo status di «bene comune» per il suolo, e ne facciano discendere norme che disincentivino l'urbanizzazione espansiva. «Nella legislazione italiana, e in quella delle regioni, mancano ancora regole efficaci sulle facoltà di trasformazione dei suoli - dichiara Damiano Di Simone, presidente di Legambiente Lombardia -». Ad incidere sulle dinamiche di consumo di suolo c'è anche il fenomeno turistico: è il caso della provincia di Rimini, che con il 21 per cento di aree urbanizzate ha un indice di copertura più che doppio rispetto alla media della regione Emilia Romagna, ma spicca anche la provincia sarda di Olbia Tempio, non tanto per il dato di copertura - che è pur sempre quello di una regione a bassa densità di urbanizzazione - quanto per la velocità con cui il cemento divora fette di territorio. Con 25,1 metri quadri per abitante all'anno la provincia del nord-est sardo presenta la più alta velocità di urbanizzazione pro-capite, un dato doppio di quello medio regionale e ben 6 volte più alto di quello di una regione come la Lombardia. La popolazione sarda, complessivamente, è cresciuta pochissimo: solo 12.000 abitanti in cinque anni;
per quanto riguarda le altre regioni italiane, i contributi forniti dai circa 30 autori del Rapporto hanno permesso di introdurre nuovi elementi di conoscenza, che dovrebbero spingere a sviluppare una più sistematica attività di monitoraggio delle trasformazioni del suolo, come auspicato dai ricercatori del JRC (centro comune di ricerca della Commissione Europea) di Ispra, le cui analisi evidenziano come il problema sia comune a tutti gli Stati europei, sebbene l'Italia risulti tra i Paesi in cui più vistoso è il sacrificio di superfici agricole. Gli studiosi dell'ISTAT in particolare mettono in guardia circa la crescita delle superfici edificate in alcune regioni del centro-sud (Marche, Molise, Puglia e Basilicata), mentre l'università di Venezia (IUAV) espone dati estremamente allarmanti dell'espansione del cemento nell'area della pianura veneta centrale, tra Venezia, Padova, Vicenza e Treviso, dove il 22 per cento del territorio è coperto di cemento, con gravi e inevitabili ripercussioni idrogeologiche. Non sfuggono nemmeno le verdi province alpine: è il caso dell'Alto Adige che, in termini di territorio effettivamente insediabile (quindi, in sostanza, le aree di fondovalle), ha già sacrificato oltre il 28 per cento dei suoi terreni, mentre in una situazione leggermente migliore si colloca la Toscana che, nonostante la forte concentrazione urbana nella fascia tra Firenze, Livorno e la Versilia, presenta un indice medio di copertura del 7,4 per cento -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di preservare i territori agricoli e naturali intaccati in questi anni dal forte sviluppo edilizio, non sempre attuato secondo le norme predisposte dalle varie regioni.
(4-12384)

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DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
un comunicato stampa dell'Ansa del giorno 16 giugno 2011 ha diffuso la notizia

secondo cui «[...] la procura della Repubblica di Lanusei ha disposto il sequestro probatorio per sei mesi di una dozzina di postazioni radar militari fisse e di una mobile nel poligono sperimentale interforze del Salto di Quirra [...] Il sequestro dei radar è stato deciso per consentire accurate analisi, affidate a un consulente della procura, sui livelli di onde elettromagnetiche prodotte dalle postazioni, comprese quelle a mare di Capo San Lorenzo e a capo Bellavista, poco al di fuori del poligono. Le verifiche seguono la denuncia, raccolta dalla procura, di almeno cinque casi di abitanti della zona morti dopo essersi ammalati di linfomi e altre forme di tumore. Il nuovo provvedimento di sequestro, che non impedirà comunque le attività già autorizzate dalla Difesa nel poligono, rientra nell'inchiesta aperta a gennaio dalla procura di Lanusei per omicidio plurimo e gravi danni ambientali dopo l'abnorme numero di casi di tumore fra gli abitanti di Quirra e dintorni e di malformazioni negli animali nati negli ovili del posto. [...] I dodici radar dell'aeronautica sequestrati sono utilizzati per le attività del poligono, compreso quello di capo Bellavista, che è sotto la direzione della base di Perdasdefogu. Negli accertamenti dei giorni scorsi nelle postazioni, un ispettore di polizia incaricato dalla procura ha riferito che, durante controlli tecnici effettuati per rilevare il livello di emissione di onde elettromagnetiche, i militari addetti avevano abbassato la potenza dei radar. In questo modo, la prova era risultata negativa [...]»;
la 3a Divisione del comando logistico dell'Aeronautica militare assicura i servizi di supporto operativo, tecnico e logistico nei settori di esercizio e di manutenzione dei sistemi della difesa aerea, dell'assistenza al volo, delle telecomunicazioni e della meteorologia. Sovraintende alle attività di esercizio e di manutenzione dei sistemi automatizzati, curando l'addestramento del personale tecnico al fine di mantenere costantemente elevata l'operatività della Forza armata. Concorre poi a definire la politica manutentiva dell'Aeronautica militare nel settore di competenza, ed emana le normative tecnico-operative relative all'impiego e alla manutenzione dei sistemi di cui detiene la supervisione. Sempre la 3a Divisione definisce, inoltre, gli obiettivi per i reparti dipendenti ed emana le normative tecniche per l'esecuzione degli interventi manutentivi e di revisione, da effettuarsi sui singoli sistemi e apparati in uso in Forza armata, nonché quelle per l'immagazzinamento, la conservazione, la distribuzione, la dismissione e l'alienazione di tutti i materiali di competenza. Promuove l'attività di studio, di sviluppo e sperimentazione dei programmi sia a livello nazionale sia internazionale. Attualmente la 3a divisione e articolata sul 1o reparto sistemi difesa aerea, assistenza al volo, telecomunicazioni e sul 2o reparto sistemi automatizzati;
in particolare il 1o reparto assolve i compiti della 3a divisione nel campo del supporto tecnico-operativo e logistico-operativo ai sistemi della difesa aerea, dell'assistenza al volo e delle telecomunicazioni infrastrutturali, radio e satellitari -:
chi e per quale motivo abbia ordinato ai militari di abbassare la potenza dei radar durante i controlli tecnici effettuati per rilevare il livello di emissione di onde elettromagnetiche, quale sia la tipologia dei sistemi radar, quale sia il loro impiego, quale sia la banda di frequenza di ogni sistema e la sua potenza massima di picco, quali siano i diagrammi di irradiazione in relazione alla posizione di ogni singolo sistema radar oggetto dell'ordinanza di sequestro;
chi, per quale motivo e come, gestisca i radar posti sotto sequestro, chi ne curi la manutenzione e quali siano le attività manutentive di routine e quelle programmate e a quale livello di intervento tecnico;
chi conservi stabilmente la documentazione tecnica dei sistemi radar interessati dal provvedimento di sequestro e se le attività di misurazione delle emissioni elettromagnetiche effettuate siano state annotate sui registri di servizio;
se il Ministro interrogato non ritenga di dover riferire sulla situazione dei poligoni

sardi e in particolare se l'attività di alterazione delle misurazioni in premessa sia connessa e conseguente alla emanazione del documento con cui lo Stato maggiore della difesa ha impartito le disposizioni relative al linguaggio della comunicazione che i militari devono adottare nei confronti dei media e richiamato nell'interrogazione n. 4-12303.
(4-12383)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il Consiglio intermedio di rappresentanza militare (COIR) delle forze operative terrestri con delibera n. 16 del 7 giugno 2011 ha chiesto al COCER Esercito di attivare la procedura prevista dall'articolo 21, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2009 per addivenire alla corretta applicazione della norma istituita del compenso forfettario d'impiego (C.F.I.) per il personale delle forze armate di cui all'articolo 9, comma 6 e 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 163 del 2002 e seguenti decreti di recepimento delle concertazioni.
Il COIR in tale delibera evidenzia che lo S.M.E. con la direttiva sull'istituto dello straordinario ed istituti connessi (4a serie aggiunte e varianti) ha stabilito che il C.F.I. «[...] inoltre, tenuto conto della natura del C.F.I. che è giornaliero, non frazionabile e da corrispondere per l'intera giornata calendariale, qualora l'inizio/termine dell'attività non coincida con l'inizio/termine del giorno calendariale, il maggiore impiego del personale in tali giornate deve essere remunerato con lo straordinario/recupero compensativo.[...]»;
l'articolo 6 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 163 del 2002 stabilisce «A decorrere dal 1o gennaio 2003 in attuazione all'articolo 3 della legge 29 marzo 2001, n. 86 è istituito il compenso forfettario d'impiego nelle misure giornaliere riportate nell'allegata tabella 3 da corrispondere in sostituzione agli istituti connessi con l'orario di lavoro» e «il compenso di cui al comma 6 è corrisposto al personale impiegato in esercitazioni od operazioni militari, caratterizzate da particolari condizioni di impiego prolungato e continuativo oltre il normale orario di lavoro, che si protraggono senza soluzione di continuità per almeno quarantotto ore con l'obbligo di rimanere disponibili nell'ambito dell'unità operativa o nell'area di esercitazione»;
alcuni enti dell'Esercito italiano stanno procedendo a carico del personale dipendente al recupero forzato delle somme corrisposte per il primo e l'ultimo giorno di esercitazioni effettuati negli scorsi anni -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
quali siano i reparti e quale il totale delle somme per le quali è stata disposta la ripetizione nei confronti del personale militare, per ogni singola forza armata;
se il Ministro non ritenga di dover disporre la sospensione delle procedure di recupero e nel contempo di richiedere al Consiglio di Stato la corretta interpretazione della normativa in premessa, diversamente quale sia l'uso delle somme recuperate e se non ritenga di doverle destinare al finanziamento dei provvedimenti normativi in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale non direttivo e non dirigente delle Forze armate e delle Forze di polizia di cui all'articolo 3, comma 155, ultimo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350.
(4-12390)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:

VITALI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il 28 ottobre 2010, le regioni italiane all'unanimità, con un ordine del giorno

adottato in sede di Conferenza dei presidenti, hanno chiesto al governo nazionale di intervenire in favore delle aree svantaggiate o in ritardo di sviluppo del Paese con sgravi contributivi e con una moratoria sulle procedure esecutive poste in essere da Equitalia a carico dei contribuenti allo scopo di individuare le migliori possibili soluzioni operative e normative, volte a scongiurare la chiusura di migliaia di piccole e medie imprese e imprenditori individuali;
nella regione Puglia la scure di Equitalia si è abbattuta negli ultimi anni in particolare su tre settori da tempo in difficoltà: l'agricoltura, il tessile manifatturiero, i fornitori di servizi sanitari; il calo della redditività di questi tre settori, unita alla scarsa capitalizzazione delle imprese ha fatto esplodere il debito fiscale e contributivo; le situazioni debitorie sono talmente gravi da tradursi, in molti casi, anche nella chiusura per messa in liquidazione, spesso per iniziativa proprio di Equitalia, di moltissime aziende;
la gravità e la natura peraltro subdola della crisi che sta attraversando i settori produttivi può evincersi dai seguenti dati:
a) al 31 dicembre 2010, secondo quanto diramato dalla stessa Equitalia confermano la tendenza in aumento dei contribuenti che scelgono la strada del pagamento a rate per saldare i debiti fiscali e contributivi; relativamente alla regione Puglia a tutto il 2010 ben 92.381 contribuenti (circa il 9 per cento dei richiedenti sul piano nazionale) avevano avanzato richiesta per un piano di rateizzazione per somme complessivamente pari a 1,036 miliardi di euro (l'8 per cento circa del totale delle somme);
b) nel mese di maggio 2011 la CGIA di Mestre (recentemente elogiata dal Ministro Tremonti per l'accuratezza delle sue indagini) ha diffuso uno studio dal quale risulta che in Puglia le riscossioni coattive sono cresciute del 19,4 per cento; da osservare che, a parte la Lombardia, le regioni con la maggiore crescita di riscossione coattiva sono quelle agricole: Sardegna (+25,7 per cento), Molise (+25,1 per cento) e Puglia;

per quel che riguarda l'agricoltura secondo un'indagine Eurostat, dal 2000 al 2009 i redditi delle imprese agricole in Italia sono diminuiti del 35,8 per cento contro un aumento del 5,3 per cento nell'Unione europea, mentre il nostro Paese risulta essere tra gli Stati con il calo dei redditi maggiore insieme a Danimarca (46,2 per cento) e Lussemburgo (35,6 per cento); il calo è dovuto dal contemporaneo aumento dei prezzi di combustibili, mangimi e fertilizzanti a fronte della riduzione dei prezzi di vendita dei prodotti; tuttavia la situazione di crisi è anche da imputare ai ritardi della Pubblica amministrazione: nella sola provincia di Taranto, i produttori agricoli risultano creditori nei confronti dello Stato di somme superiori ai debiti complessivi, in quanto sono ancora in attesa della liquidazione di provvidenze a valere sulle calamità 2003-2004;
a fine aprile 2011 Equitalia in un tavolo di confronto istituzionale, convocato al fine di affrontare le questioni segnalate dai rappresentanti del comparto agricolo della Puglia, ha offerto di rateizzare i debiti in cartella fino a un massimo di 72 rate (6 anni), con rate minime anche di 100 euro al mese; aggiungendo, in favore del contribuente che dimostri il peggioramento della propria situazione economica, la possibilità di allungare i tempi dei pagamenti a rate di ulteriori 6 anni;
non minore, anche se ormai cronicizzata è la crisi del settore tessile-abbigliamento-calzaturiero (TAC) pugliese; nonostante gli Accordi di programma e gli interventi con risorse comunitarie le organizzazioni imprenditoriali di settore e gli esponenti politici locali da tempo chiedono l'adozione di diverse misure ed in particolare la riduzione dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione e la sospensione delle azioni esecutive da parte di Equitalia;

per quanto riguarda il settore delle forniture sanitarie le associazioni di settore hanno fatto presente di essere ormai al tracollo con oltre 300 giorni di ritardo nel pagamento delle fatture a causa della pesantissima situazione economico-finanziaria della sanità pugliese; il rischio maggiore riguarda l'occupazione, che sta già subendo una flessione in quanto le imprese stanno adottando misure di forte riduzione del personale per tentare, sino a quando sarà possibile, di rimanere sul mercato; il paradosso vuole che siano sull'orlo del fallimento aziende economicamente sane, oberate dalla crescita esponenziale degli oneri fiscali e contributivi, ma incapaci di incassare quanto loro dovuto dalla pubblica amministrazione;
il 7 giugno 2011 la Camera ha approvato diverse mozioni in materia fiscale, con le quali il Governo si è sostanzialmente impegnato:
a riformare il meccanismo di calcolo delle sanzioni tributarie, evitando che la sanzione irrogata da Equitalia per il ritardo nel pagamento da parte del contribuente, sommata agli interessi ed agli aggi di riscossione, si trasformi in un aggravio di costi ingiustificato;
ad adottare le opportune iniziative normative volte a rendere strutturale la possibilità di concedere al debitore un nuovo e diverso piano di rateazione, qualora si sia comprovato il peggioramento della situazione di difficoltà economica del debitore stesso;
ad impedire che il debito fiscale e contributivo, se esso non raggiunga almeno la somma di 20.000 euro, possa portare all'iscrizione di ipoteche o all'espropriazione;
a valutare la possibilità di assumere iniziative volte a istituire presso la Cassa depositi e prestiti un fondo rotativo che anticipi i pagamenti ai fornitori delle pubbliche amministrazioni stesse;
ad attenuare il principio del solve et repete (prima paghi e poi contesti);
a rafforzare gli strumenti di autotutela del contribuente al fine di garantire la correttezza dei rapporti fra amministrazione e cittadini;

l'articolo 19-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 prevede che «Se si verificano situazioni eccezionali, a carattere generale o relative ad un'area significativa del territorio, tali da alterare gravemente lo svolgimento di un corretto rapporto con i contribuenti, la riscossione può essere sospesa, per non più di dodici mesi, con decreto del Ministero delle finanze»;
e il comma 20 dell'articolo 4 della Finanziaria 2004 prevede che: «La riscossione dei contributi previdenziali dovuti dalle imprese agricole colpite da eventi eccezionali, ivi comprese le calamità naturali dichiarate ai sensi del comma 2 dell'articolo 2 della legge 14 febbraio 1992, n. 185, e le emergenze di carattere sanitario, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 19-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 -:
se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza affinché gli impegni adottati dal Governo, in attesa di essere trasformati in norme cogenti, comportino il fermo della riscossione o quanto meno delle azioni coattive di Equitalia, quanto meno nelle aree di maggiore crisi economica, in applicazione del citato 19-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 e, per quanto riguarda il comparto agricolo, in applicazione del citato comma 20 dell'articolo 4 della finanziaria per il 2004;
se non ritenga opportuno, in sede di riforma fiscale, riformare radicalmente gli studi di settore, essendo tale istituto assolutamente non in grado di adattarsi alle condizioni del ciclo economico, configurandosi invece come elemento di aggravio delle fasi economiche negative;
se non ritenga opportuno consentire l'accesso alla contabilità semplificata (oggi permessa alle imprese con ricavi fino a

500 mila euro) a tutte le imprese con ricavi non superiori al milione di euro, in modo da semplificare gli adempimenti della gran parte delle imprese italiane.
(3-01703)

Interrogazione a risposta in Commissione:

MARGIOTTA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
con successive delibere CIPE nn. 107/2006 e 146/2006 veniva assentito finanziamento alla Regione Basilicata per l'opera «completamento schema idrico Basento-Bradano, attrezzamento settore G»;
l'opera è di notevole importanza per la Basilicata, in particolare per l'economia agricola dell'area nord, ed è finalizzata a rendere fruibili gli invasi realizzati a partire dagli anni '60 a monte della rete irrigua in progetto;
l'opera è da sempre molto attesa dalle popolazioni dei luoghi;
la regione non ha potuto ancora attivare, a cinque anni di distanza dalle delibere CIPE, l'iter per la realizzazione delle opere; ciò in quanto è necessario individuare, in adempimento al dettato dell'articolo 3 del decreto interministeriale n. 622, mediante procedura concorsuale, l'istituto di credito con cui stipulare contratto di mutuo dell'importo di 69.302.000,00 euro;
la regione Basilicata in data 22 novembre 2010 ha scritto al Ministero dell'economia e delle finanze, e per conoscenza al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per ottenere chiarimenti in merito ai tassi e agli spread da applicare;
in assenza di risposta, la regione Basilicata ha scritto nuovamente in data 10 marzo 2011, sollecitando nuovamente il Ministero a dare riscontro alle proprie richieste;
a tutt'oggi non risulta alcun riscontro: ciò sta determinando ulteriori ritardi, in quanto non è possibile attivare la procedura per l'individuazione dell'istituto di credito, operazione propedeutica alla gara per la realizzazione dell'opera;
tutto ciò determina grave danno ai cittadini, che attendono l'importante infrastruttura, ed all'economia stessa della regione, che trarrebbe vantaggio dall'appalto di lavori di importo elevato -:
quali iniziative intenda assumere il Governo, ed in particolare i due Ministeri interessati, per sbloccare tale incresciosa situazione di impasse.
(5-04925)

Interrogazione a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il tasso medio di evasione fiscale degli italiani è del 13,5 per cento del reddito dichiarato. La stima è del gruppo di lavoro insediato guidato dal presidente Istat, Enrico Giovannini. In pratica, si potrebbe affermare che tale situazione comporterebbe la mancata dichiarazione, da parte di ogni contribuente, di 2.093 euro. Il rapporto segnala altri dettagli sull'evasione, come i picchi tra autonomi (56 per cento) e rentiers (83 per cento) e nel centro Italia. I giovani tendono a evadere di più. Preoccupazioni destano anche i dati sul sommerso, che «vale» 275 miliardi, con l'agricoltura in testa, poi servizi ed industria. Tre milioni i lavoratori in nero, soprattutto al sud (primato in Calabria);
mentre al centro come nel Nord d'Italia, nel periodo 2001-2009, si assiste a una tendenziale diminuzione del tasso di irregolarità, le regioni del meridione presentano livelli di irregolarità superiori alla media nazionale. Fa eccezione il solo Abruzzo. Se poi si guarda ai settori produttivi in cima al podio del cosiddetto

valore aggiunto sommerso c'è l'agricoltura con il 32,8 per cento di quello totale del settore (9,1 miliardi di euro), seguita dal terziario al 20,9 per cento (212,9 miliardi) e dall'industria con il 12,4 per cento (52,8 miliardi). È solo una parte dell'analisi sull'economia sommersa in Italia che emerge dallo studio conclusivo del presidente dell'Istat, Enrico Giovannini. Uno studio che vuole essere la sintesi del lavoro svolto dal tavolo tecnico per la riforma fiscale, cui è stato affidato il compito di analizzare la cosiddetta «economia non osservata». Nei prossimi giorni il coordinatore del tavolo Giovannini e gli altri tre responsabili degli altri tavoli tecnici (Vieri Ceriani, Piero Giarda e Mauro Marè) incontreranno il Ministro dell'economia e delle finanze per commentare il lavoro svolto con le parti sociali da ottobre fino ad oggi. Per quella data il presidente dell'Istat avrà chiuso definitivamente le oltre 130 pagine del rapporto, oggi ancora in bozza, da cui emerge chiaramente che l'economia sommersa in Italia vale da un minimo di 255 a un massimo di 275 miliardi di euro, pari rispettivamente al 16,3 e al 17,5 per cento del Pil. Per il 37 per cento l'economia sommersa è dovuta proprio dal lavoro non regolare. Infatti, una componente rilevante del sommerso economico è rappresentata dal valore aggiunto non dichiarato e alla cui produzione partecipano lavoratori non regolari che oggi in Italia sfiorano i 3 milioni di unità (si veda il servizio qui a fianco). Per unità di lavoro regolari, spiega il rapporto, si intendono le prestazioni lavorative registrate e osservabili dalle istituzioni fiscali e contributive, nonché da quelle statistiche e amministrative. Mentre tra i non regolari rientrano le prestazioni lavorative che non rispettano le regole fiscali e contributive in vigore, quindi non osservabili. Sono escluse dalla stima - chiarisce ancora il rapporto Giovannini - tutte le diverse forme d'irregolarità parziale (il cosiddetto «lavoro grigio»): pagamenti ridotti dei contributi, retribuzioni fuori busta o ancora utilizzo irregolare di contratti di prestazione d'opera;
nel rapporto vengono confrontati in particolare, con diversi correttivi, i redditi contenuti nell'indagine campionaria sulle famiglie della Banca d'Italia, incrociati con i dati fiscali contenuti negli archivi della Sogei. Ne risulta che in media non sono stati dichiarati al fisco 2.093 euro a contribuente. È una media, ovviamente, e dunque non fotografa con assoluta fedeltà il tasso di reale evasione diviso per aree geografiche e singole categorie di contribuenti. Per questo occorre ricorrere a un calcolo più sofisticato, che tenga conto del «tax gap» effettivo, pari al 17,4 per cento al centro (2.936 euro), al 14,5 per cento al Nord (2.532 euro) e al 7,9 per cento al Sud (950 euro). Interessanti i risultati relativi a una sorta identikit dell'evasore medio nel nostro paese. Si apprende così che l'evasione maschile è pari al 17,3 per cento contro il 9,9 per cento di quella femminile. I contribuenti più giovani mostrano «una maggiore propensione ad evadere, così come i residenti del centro Italia rispetto alle altre zone geografiche». Un dato che appare però in contraddizione con le stime ufficiali dell'economia sommersa, che concordemente collocano nel Mezzogiorno la quota di «shadow economy» più consistente. Differenza che si deve in parte ai due diversi aggregati, in parte alla maggiore incidenza nel Sud dei lavoratori impiegati nel settore pubblico e di pensionati. Questi ultimi mostrano, come del resto era da attendersi, una propensione pressoché nulla ad evadere, mentre «i lavoratori autonomi, gli imprenditori e coloro che posseggono solo redditi da fabbricati risultano evadere maggiormente». Per i lavoratori autonomi il tasso di «non compliance», vale a dire di mancata adesione spontanea agli adempimenti tributari, è pari al 56,3 per cento. L'identikit si completa con i lavoratori autonomi soggetti agli studi di settore, «che tendono a dichiarare all'amministrazione finanziaria fatturati appena superiori a quelli presunti e i detentori di soli redditi da fabbricati potrebbero presentare un elevato tasso di evasione dovuto ad una eventuale sovrastima delle rendite catastali». La «non compliance» è dell'83,7

per cento per i possessori di immobili offerti in locazione, e del 44,6 per cento per il lavoratore autonomo che può contare anche su un reddito da lavoro dipendente o da pensione. I giovani tendono a evadere più degli anziani. I dati mettono in luce un'evasione del 19,9 per cento al di sotto dei 44 anni (in media 3.065 euro), che scende al 10,6 per cento tra 44 e 64 anni (1.945 euro a testa), e al 2,7 per cento per chi ha più di 64 anni (314 euro);
il rapporto indaga anche la struttura delle nostre imposte. L'Iva, ad esempio, è uno dei tributi più evasi: la differenziazione in tre aliquote (4 per cento, 10 per cento e 20 per cento) può consentire al contribuente che abbia intento di evadere - rileva lo studio - di applicare un'aliquota ridotta a un bene che si trova in regime normale «ottenendo quindi un risparmio di imposta senza intaccare la dichiarazione della base». I risultati della lotta all'evasione sono riassunti in un capitolo a parte. Nel 2010 sono stati disposti 905.556 controlli formali, 9.559 verifiche e 705.580 accertamenti. Gli incassi complessivi ascrivibili al recupero dell'evasione sono stati pari a 10,5 miliardi nel 2010, contro i 4,2 del 2009. Nonostante la crisi economica si segnalano nel 2010 «significativi incassi». Il riscosso 2010 è stato per 6,6 miliardi frutto di versamenti diretti, per 4 miliardi di ruoli;
i dati sul sommerso, riferiti al 2008, rappresentano la base di partenza per tutte le elaborazioni successive e che si spingono a fornire nuove valutazioni sull'evasione fiscale (si veda il servizio nella pagina a fianco). Dalla lotta al sommerso e all'evasione fiscale - come ha sottolineato in settimana il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi - potrebbero essere recuperate, almeno in parte, le risorse necessarie per la riforma fiscale. Tra il 2000 e il 2008 il valore aggiunto prodotto nel sommerso ha seguito un andamento alterno: a un pesante incremento nel 2001, «che, nell'ipotesi massima, ha portato il peso del sommerso al 19,7 per cento del Pil», è seguita una fase decrescente. La nuova inversione verso l'alto è giunta nel 2008: l'ipotesi massima è passata dal 17,2 per cento nel 2007 (il valore più basso nel periodo 2000-2008) al 17,5 per cento, tornando di fatto ai livelli del 2006. Dallo studio emerge, inoltre, che una quota del 55,6 per cento del sommerso (153 miliardi) è riferibile alla «correzione del fatturato e dei costi intermedi», mentre il 37,2 per cento (102 miliardi), come detto, al lavoro non regolare. Ci sono poi 19,6 miliardi indicati sotto la voce «riconciliazione stime offerta e domanda». Lo studio Giovannini cerca di fornire un dettaglio maggiore. Secondo gli ultimi dati disponibili riferiti al 2005 emerge che l'economia sommersa raggiunge il 56,8 per cento nei servizi offerti da «alberghi e pubblici esercizi». A ruota i «servizi domestici» con un 52,9 per cento. L'istruzione, sanità e servizi sociali fanno registrare un valore aggiunto prodotto nell'area del sommerso del 36,8 per cento. Nel complesso l'industria in totale ha una quota di sommerso pari all'11,7 per cento, agricoltura, silvicoltura e pesca tocca il 31,1 per cento e l'intera area servizi supera il 21,7 per cento;
nelle costruzioni, spiega ancora lo studio Giovannini, si annida la quota maggiore di economia in nero con il 28,4 per cento. Seguono «tessile, abbigliamento, pelli e calzature» con il 13,7 per cento, «altri prodotti industriali» con l'11 per cento, «alimentari, bevande e tabacco» con il 10,7 per cento. Le differenti composizioni settoriali e dimensionale delle differenti attività economica incidono sono anche alla base delle enormi distanze nei tassi di irregolarità tra le differenti aree del Paese. Nel 2009, l'anno in cui la frenata dell'economia mondiale ha dispiegato gli effetti più pesanti sull'occupazione, i confini delle attività sommerse sono tornati ad allargarsi, dopo un triennio di lenta ma costante contrazione, sfiorando quota tre milioni. Al top alberghi e bar. Secondo il monitoraggio del tavolo tonico, nel 2009 era irregolare il 12,2 per cento dei lavoratori italiani, con un incremento di tre punti base rispetto all'11,9 per cento registrato l'anno prima. Questa dinamica è frutto di due fattori convergenti: la crisi,

che ha assottigliato di 670 mila unità la platea del lavoro regolare, e l'estendersi del ricorso alla cassa integrazione e agli ammortizzatori sociali. Diminuita la base di calcolo, il leggerissimo aumento di lavoratori irregolari (poco meno di 8 mila unità in più rispetto all'anno prima) moltiplica i propri effetti sulla composizione complessiva della torta del lavoro. La battuta d'arresto del 2009 non cancella comunque del tutto l'evoluzione positiva che il tasso di regolarità del lavoro aveva imboccato negli anni precedenti. I numeri della relazione mostrano tra 2001 e 2008 un'erosione costante dello spazio lasciato al sommerso, che aveva visto diminuire il tasso di irregolarità del lavoro italiano dal 13,87 per cento registrato nel 2001 all'11,9 per cento raggiunto nel 2007 e nel 2008. I tecnici attribuiscono questa dinamica soprattutto all'evoluzione normativa, che iniettandosi dosi di flessibilità a un mercato prima ingessato aveva permesso al lavoro regolare di invadere fette di territorio crescente prima appartenuto alle attività non registrate. Questa evoluzione è avvenuta in due fasi, e la sua spiegazione trova riscontri nel confronto fra la dinamica del «nero» che si registra fra i lavoratori dipendenti e quella che caratterizza gli autonomi. Nella prima fase, l'introduzione dei cosiddetti «contratti co. co.co.» aveva allargato gli spazi del lavoro autonomo, mentre dal 2004 in poi l'entrata in vigore della legge Biagi e dei decreti attuativi hanno riportato nell'alveo del lavoro dipendente molte collaborazioni autonome solo nel nome. La prova del nove degli effetti di questa doppia evoluzione si ha nell'aumento del tasso di regolarità del lavoro dipendente, che passa dall'86 per cento del 2006 all'87,1 per cento del 2008 (prima di arretrare nel 2009 per la crisi), mentre la curva nel lavoro autonomo segue una direzione contraria. L'estensione del «nero» fra gli autonomi si spiega anche con la dinamica sociale che vede crescere il bisogno di servizi da parte delle famiglie, con una tendenza che moltiplica le posizioni saltuarie (in particolare le colf) su cui strumenti come il voucher non hanno ancora dato gli effetti sperati in termini di regolarizzazione;
a livello settoriale, l'agricoltura conferma ovviamente anche nel campo del lavoro il primato che registra in tutti gli indicatori dell'economia sommersa. In agricoltura un lavoratore su quattro è irregolare, e tranne una battuta d'arresto fra 2003 e 2004 la tendenza costante all'aumento del «nero» non sembra trovare ostacoli significativi. Al capo opposto della classifica c'è il mondo dell'industria, che nelle sue parti centrali appare quasi immune dal lavoro irregolare (tasso di regolarità al 95,6 per cento): un discorso a parte merita l'edilizia, dove il ricorso a lavoro irregolare si intreccia anche con il nodo dell'immigrazione clandestina e registra tassi più che doppi rispetto al resto dell'industria. Tra i servizi, invece, primeggiano i lavori saltuari reclutati senza comunicarlo all'amministrazione finanziaria da alberghi, ristoranti e servizi ricettivi in genere, dove quasi un lavoratore ogni cinque agisce ancora senza contratto. Nel «mare magnum» del sommerso vi sono anche i contributi evasi, o versati solo in parte, fenomeno da ricondurre per gran parte al lavoro irregolare, che non presenta valori eclatanti come quelli dell'evasione fiscale accertata, e che tuttavia richiede un'attenta e costante azione di intelligenze. Il rapporto del presidente Giovannini evidenzia nello scorso anno 67.955 situazioni di irregolarità ai fini dei versamenti Inps su 88.123 aziende ispezionate. I lavoratori irregolari sono stati pari a 77.636 (sempre per quel che riguarda i versamenti Inps) di cui 65.086 totalmente in nero. Per quel che riguarda i contributi Inail, la situazione appare anche più critica: su 24.584 aziende ispezionate, 21.221 sono risultate irregolari. Per i contributi Enpals le irregolarità ammontano a 443 su 613 aziende ispezionate. Nel totale, le posizioni irregolari sono state 171.810 (su 262.14 aziende ispezionate). La conclusione del rapporto è che l'azione di vigilanza nel 2010 evidenzia «risultati significativi sotto il profilo dell'efficacia dell'azione ispettiva». Continua in sostanza

a registrarsi una «sempre più incisiva attività di intelligenze volta all'individuazione di quei fenomeni di violazione sostanziale e di rilevante impatto sul piano economico e sociale»;
in particolare, si pone l'accento sull'incremento del 27 per cento delle sanzioni per il lavoro in nero e del 139 per cento per appalti e amministrazione illecita. Seguono le violazioni in materia di disciplina dello Statuto (+150 per cento), le truffe nei confronti degli istituti previdenziali (+33 per cento), le ipotesi di reato relative a evasioni contributive (+29 per cento). Gli illeciti in materia di sicurezza del lavoro hanno evidenziato un aumento del 45 per cento. Infine, le violazioni relative alla tutela economica delle lavoratrici madri sono cresciute del 215 per cento. I risultati relativi all'attività di vigilanza Inps distinta per regioni evidenziano un recupero di contributi e premi evasi per 1,2 miliardi. Il primato spetta alla Campania, con 240 milioni, poi la Sicilia con 125,5 milioni, e la Lombardia con 115,3 milioni. Nel totale, le entrate contributive di competenza Inps riferite al 2009 sono risultate in calo dell'1,8 per cento rispetto al rendiconto 2008. Quanto all'assestamento del bilancio di previsione 2010, le entrate contributive sono risultate in calo dell'1,6 per cento) L'attività di business intelligence - rileva il rapporto - «è in continua evoluzione e sarà sempre più orientata alla rilevazione di indicatori di rischio per indirizzare gli accertamenti amministrativi e ispettivi verso quelle aziende che mettono in atto comportamenti finalizzati all'evasione ed elusione contributiva» -:
alla luce dei dati emersi dal rapporto condotto dal presidente Istat Giovannini, quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di ridurre il fenomeno dell'evasione fiscale, soprattutto all'interno del comparto lavorativo privato;
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di indurre le aziende ispezionate da Inps, Inail e Ministero del lavoro e delle politiche sociali a versare le quote contributive necessarie per regolarizzare la propria posizione;
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di contrastare il lavoro sommerso, relativo soprattutto all'ambito agricolo, proponendo anche riforme attinenti ai lavori stagionali.
(4-12382)

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GIOVENTÙ

Interrogazione a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro della gioventù, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
molto spesso bambini ed adolescenti vengono esclusi, insultati e maltrattati dai compagni, divenendo capri espiatori di una violenza talvolta invisibile, ma quotidiana che spesso finisce su Internet. Il fenomeno del «bullismo» con la sua deriva multimediale, è ormai tristemente noto. Non solo in America, in Inghilterra e nei Paesi scandinavi, dove una serie di misure preventive sono state già prese a partire, dagli anni '80, ma anche in Italia, in Francia e negli altri Paesi europei. In Francia, il Ministro della pubblica istruzione, Lue Chatel, ha organizzato in maggio le prime «Assises Nationales sur le harcèlement à lécole». Un rapporto dell'Unicef, pubblicato in aprile, aveva mostrato che un bambino su dieci, a scuola, è vittima di violenze verbali e fisiche. E che le vittime portano con sé, per sempre, le cicatrici di questi insulti e di questi atti di violenza subiti quando erano ancora troppo piccole per difendersi da sole;
«è un errore - dice Luca Bernardo, pediatra fondatore del primo ambulatorio anti-bulli al Fatebenefratelli di Milano e presidente della commissione ministeriale sul fenomeno costituita al Miur - anche perché in questo modo si coltiva l'intolleranza. In ospedale da noi sono arrivati bimbi di quattro o cinque anni feriti in

modo serio da compagni di scuola e quasi sempre si trattava di piccoli percepiti come «diversi», anche solo per il colore della pelle. I bambini di quell'età non sono consapevoli della propria violenza, ma assorbono tutto quello che sentono dagli adulti». Bernardo sta lavorando con altri colleghi a un nuovo codice che unifichi la percezione del fenomeno da Nord a Sud, dalle scuole «bene» a quelle di frontiera. «Come mai - si chiede Bernardo - quando telefoniamo a certe scuole di Milano nell'ambito dei nostri monitoraggi ci sentiamo dire «da noi non capita niente del genere»? È urgente definire che cosa intendiamo parlando di bullismo, evitare ogni equivoco tra eccessi di rimozione e altri di ipersensibilità. Per questo vogliamo creare un referente antibullismo per ogni scuola». Dall'altra parte delle Alpi, un maestro della psicologia infantile come Aldo Naouri è deciso: «Se consentiamo al nostro bambino di quattro o cinque anni di essere violento non solo non lo educhiamo, ma lasciamo che in lui cresca un'angoscia che più tardi lo porterà ad essere un bambino ed un ragazzo difficile. La violenza deve essere punita, con le parole e con gli atteggiamenti in casa e a scuola. L'aumento del bullismo non è solo collegato alla maggiore sensibilità e denunce. In Francia, tra le prime frasi che un bambino impara alla scuola materna e ripete di continuo c'è «j'attaque» che vuol dire «sto per picchiarti, sto per saltarti addosso...» Ma i piccoli bulli dell'asilo, nonostante tutto, crescono, e qualche volta passano dalla fase del gioco a quella della molestia telematica, lo stalking da Facebook che può «macchiare» irreparabilmente l'immagine dei compagni, delle compagne soprattutto;
fino a dieci, undici anni, i ragazzini giocano, agiscono per lo più in gruppo - racconta Cristina Bonucchi, psicologa della Polizia di Stato che analizza i crimini informatici - ma da quell'età in poi dal gioco si può passare alla persecuzione personale. È vero, occorre più informazione e sensibilità nelle scuole, ma serve anche una percezione corretta degli strumenti più efficaci: i grandi operatori come Facebook o Youtube hanno interesse a combattere i possibili reati commessi attraverso di loro, dunque rispondono in tempi rapidi alle segnalazioni degli utenti su contenuti scorretti, rimuovendoli. La denuncia alle forze dell'ordine, naturalmente, va fatta, ma occorre considerare che deve essere affidata a un adulto e che anche il titolare della connessione internet è quasi sempre un adulto. Meglio prevenire, andando nelle scuole e combattendo sul nascere certi fenomeni come la creazione di gruppi Facebook generici, «tutti contro lo scemo», che sono perfettamente riconoscibili da chi è vittima del fenomeno ma non configurano alcun reato fino a quando non vengono messi in rete nomi, cognomi, immagini»;
al nostro sito - spiega Bernardo - possono accedere tutti i ragazzi che hanno problemi di bullismo e consultarsi tra loro. Sta funzionando molto bene e i partecipanti sono già centinaia. Allo stesso tempo però bisogna chiarire che il cyber bullismo è un reato da non prendere alla leggera, proprio come quel primo spintone dato troppo forte all'asilo, che deve essere sanzionato anche davanti ai genitori quando vengono a prendere il proprio figlio: in caso contrario, nella mente del bambino passerà l'idea che certe cose possono restare nascoste. L'Italia, tuttavia, non ha ancora immaginato alcuna forma di legge sul fenomeno, a differenza della Svezia: nel 1998 è stata creata la Polizia postale, ma senza un programma specifico con indicazioni chiare per i dirigenti scolastici e le famiglie resterà sempre una diversità tra scuole dove il bullismo viene denunciato e altre dove resta sommerso;
ora che il bullismo ha ricevuto un nome, è stato riconosciuto e classificato, occorrono idee più precise ed efficaci per contrastarlo. In caso contrario, e in un Paese dove l'atteggiamento «protettivo» dei genitori sui figli è ancora troppo forte, si rischia di incoraggiare quello che Naouri chiama «contagio»: «Non è un caso - dice - se il bullismo femminile che tanto ci inquieta cresce soprattutto al liceo, quando le ragazze iniziano a imitare

i comportamenti, sessuali e non solo, dei maschi. E non è vero neppure che il fenomeno sia in crescita soltanto perché oggi viene denunciato. Un tempo i bulli esistevano già, erano i due o tre ragazzi "cattivi" di ogni scuola, ora sono troppi». E precocemente tecnologici: se è vero che a quattro o cinque anni si è tentati di imitare gli eroi dei cartoni, è altrettanto vero che a dieci o undici ci si iscrive, grazie ad una piccola bugia, ai social network. «E in un mondo dove contano gli amici che hai su Facebook - conclude Luca Bernardo - il danno che può provocarti chi te li fa perdere e ti diffama per sempre è incalcolabile»! -:
quali interventi il Governo intenda adottare al fine di contrastare efficacemente il fenomeno del cyber-bullismo, in preoccupante espansione soprattutto nella prima età adolescenziale.
(4-12381)

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GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'8 giugno 2011 è deceduto nel carcere di Poggioreale a Napoli Domenico Piscopo, 52 anni;
nel carcere di Poggioreale sono presenti circa 2.700 detenuti a fronte di una capienza di 1.400 posti;
secondo quanto riferito dalla stampa e dall'associazione Antigone, l'uomo con gravi problemi di salute, avrebbe cominciato ad avvertire forti dolori al braccio diverse ore prima del tragico evento;
l'interrogante ritiene sia importante che si svolgano indagini approfondite per ricostruire la dinamica dell'accaduto e la verifica dell'efficacia dei soccorsi, anche a garanzia degli stessi operatori penitenziari -:
quale sia stata la dinamica degli eventi e la tempistica del soccorsi;
quali fossero le figure professionali sanitarie in servizio nel reparto al momento dell'emergenza;
quale modello organizzativo sia dato all'interno della struttura penitenziaria per fronteggiare i casi di emergenza sanitaria;
se e con quale personale all'interno della predetta struttura siano garantiti livelli essenziali di assistenza sanitaria.
(4-12375)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:

LO MONTE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la barriera autostradale dell'A-20, con uscita denominata Villafranca Tirrena è allocata nel territorio del comune di Messina e serve i quartieri Ponte Gallo-Ortolluzzo della zona nord dello stesso comune;
i cittadini residenti in tali quartieri, per l'utilizzo del tratto autostradale dal casello al centro di Messina e viceversa, da oltre 40 anni, pagano un pedaggio di euro 1,10, al contrario dei cittadini che utilizzano le uscite denominate Tremestieri Etneo, Boccetta, Messina Centro, Gazzi e San Filippo, anch'esse ricadenti nel territorio del comune di Messina, agendo l'autostrada stessa, in questo caso, come tangenziale per cui non è dovuto alcun pedaggio;
siamo di fronte ad un palese caso di difformità di trattamento rispetto a cittadini residenti nello stesso comune di Messina,

visto che sia l'uscita di Villafranca Tirrena che le altre ricadono tutte nel territorio del comune di Messina e che solo le seconde sono esentate dal pagamento del pedaggio;
il Consorzio autostrade siciliane (Cas), con nota protocollo 12912 del 10 giugno 2011, inviata all'Anas spa, segnatamente all'Ispettorato vigilanza concessioni autostradali di Roma e all'ufficio ispettivo territoriale di Misterbianco (Catania), ha evidenziato che il pagamento del pedaggio autostradale alla barriera di Villafranca Tirrena, nel comune di Messina, sia da considerarsi «un abuso» ed «un atto di ingiustizia», nella considerazione che si è in presenza di un tratto autostradale da considerarsi «una semplice bretella» e quindi assimilabile alle analoghe uscite di Tremestieri Etneo, Boccetta, Messina Centro, Gazzi e San Filippo, dove non si paga pedaggio;
il Cas nella stessa nota, sottolineando come tale disparità di trattamento è vissuta nei quartieri Ponte Gallo-Ortolluzzo come una discriminazione al punto che il pagamento del pedaggio sulla tangenziale alla barriera di Villafranca Tirrena è considerato una vessazione, con un'analisi circostanziata di costi benefici, ha ipotizzato tre soluzioni possibili che prevedono agevolazioni per l'utenza e vantaggi per il Consorzio sia in termini di efficienza del servizio sia come maggiore disponibilità di risorse umane -:
se il Ministro interrogato ritenga di dovere intervenire con tempestività su Anas per eliminare il pagamento del pedaggio alla barriera di Villafranca Tirrena, direzione centro e ritorno, tenendo conto del ventaglio di proposte individuate dal Consorzio autostrade siciliane, in modo che i residenti dei quartieri Ponte Gallo-Ortolluzzo del comune di Messina non continuino a subire una palese disparità di trattamento ed ingiustizia, rispetto ai fruitori delle altre uscite della tratta autostradale ricadente nel territorio comunale di Messina.
(4-12376)

GIRLANDA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per i rapporti con le regioni e coesione territoriale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
in Germania dal 1o settembre 2011 i treni regionali saranno interamente gratuiti per i disabili con grave handicap;
tale tipologia di progetto è stata sperimentata anche nel nostro Paese, nell'ambito di alcune tratte ferroviarie con grande afflusso di utenza, come la Torino-Milano;
tale forma di beneficio potrebbe aiutare concretamente i disabili, soprattutto coloro i quali presentano esigenze di natura lavorativa o sanitaria, che rendono obbligatoria una mobilità di tipo periodico o pendolare;
occorre effettuare gli investimenti per le eventuali necessarie modifiche sulle carrozze dei treni per ovviare agli handicap dovuti alla ridotta capacità motoria -:
se i Ministri interrogati ritengono possibile avviare un percorso che porti all'emulazione del modello tedesco, favorendo la gratuità dei treni regionali a livello nazionale per i disabili con grave handicap e se, a tale scopo, intendano avviare indagini conoscitive a livello ministeriale.
(4-12392)

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INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:

GNECCHI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
sulla problematica degli oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi degli amministratori locali, l'interrogante ha presentato già due atti di sindacato ispettivo con l'intento di segnalare ai Ministri interrogati quanto sia urgente una rivisitazione delle norme vigenti;

attualmente agli enti locali a vari livelli è consentita la facoltà, tramite chiamata esterna, di affidare ruolo di amministratore locale o di altra figura definita dagli statuti regionali/comunali, o prevista da specifiche leggi regionali, anche a soggetti non eletti, senza però che sia stata modificata la normativa originaria per il riconoscimento delle assenze dal lavoro e la copertura previdenziale;
è quanto mai urgente una verifica delle leggi statali, regionali e degli statuti comunali per verificare quali figure non elette, ma nominate per assolvere compiti pari in termini istituzionali a figure elette, si siano aggiunte, ma ovviamente non potevano essere contemplate dall'articolo 31 della legge n. 300 del 1970 che ha disciplinato i diritti in questi campi, per capire come vadano aggiornate le norme attinenti lo status degli amministratori o le altre figure con obblighi civici o istituzionali, rispetto agli obblighi di natura previdenziale;
di seguito si riporta un ennesimo caso che conferma la necessità di procedere a una modifica normativa sulla materia: il comune di Roma, nel 2001 ha previsto nello statuto comunale l'istituzione dei municipi e le conseguenti figure di assessore municipale;
a ricoprire uno dei suddetti incarichi di assessore municipale, è stata nominata anche una dipendente del comune di Roma (Luigia Di Virgilio), alla quale è stata concessa l'aspettativa per svolgere il mandato politico, ma il comune di Roma, a seguito di un parere del Ministero dell'interno, non intende farsi carico degli oneri previdenziali assistenziali, non si tratta di un caso isolato, sono molte le persone che si sono ritrovate in difficoltà e con periodi contributivi scoperti a posteriori;
il caso di cui sopra ha comportato un corposo carteggio fra Ministero dell'interno, Inpdap e comune di Roma ma alla fine, considerata la non chiarezza delle norme e la precisa intenzione del comune di Roma di scaricare l'onere dei contributi previdenziali sugli assessori municipali, l'interessata ha dovuto dimettersi forzatamente dall'incarico di assessore municipale e rinunciare all'attività politica;
è alquanto singolare che il comune di Roma, proceda per statuto ad istituire gli assessori di municipio, ai quali viene riconosciuta anche dal Ministero nel parere espresso, la possibilità dell'aspettativa per mandato politico e nessuno si sia attivato per chiarire preventivamente, quindi prima della nomina degli assessori municipali, gli aspetti relativi agli oneri previdenziali -:
se non ritengano i Ministri interrogati di attivarsi per assumere le necessarie iniziative dirette a correggere le norme vigenti sugli aspetti previdenziali, assistenziali e assicurativi, per consentire a coloro che vengono chiamati o nominati a svolgere un mandato politico a livello locale, di poterlo espletare alle identiche condizioni degli amministratori eletti.
(5-04927)

Interrogazioni a risposta scritta:

CIMADORO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo l'articolo 39 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne;
in materia di detenzione delle armi, la disciplina dettata dall'articolo 39 è diretta al presidio dell'ordine e della sicurezza pubblica, alla prevenzione del danno che possa derivare a terzi dall'indebito uso e dall'inosservanza degli obblighi di custodia, nonché dalla commissione di reati che possano essere agevolati dall'utilizzo del mezzo di offesa;
qualora a carico del detentore emergano un insieme di elementi che, valutati globalmente, integrano il venir meno del necessario affidamento per continuare a

detenerle, ciò determina la legittimità del provvedimento di divieto di detenzione;
stando a quanto stabilito dalla legge, dunque, nonostante il decreto legislativo n. 204 del 2011 abbia recentissimamente apportato rilevanti modifiche alle norme in materia di armi, l'unico titolare del divieto di detenzione di armi è, come si è già detto, il prefetto;
la giurisprudenza ha costantemente affermato che la misura si ricollega ad un giudizio ampiamente discrezionale in ordine alla capacità personale di abuso da parte dei soggetti detentori, e trova giustificazione tutte le volte che, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, non vi è la certezza della completa affidabilità del soggetto (Tar Campania, Napoli, sez. III, 21 febbraio 2002, n. 1066; Cons. giust. amm. Sicilia, Sez. giurisd., 11 ottobre 1999, n. 429);
tuttavia la decisione del prefetto deve essere supportata da adeguata istruttoria a volte con comunicazione di avvio del procedimento, il che fa spesso sorgere la necessità di adottare soluzioni temporanee;
secondo la giurisprudenza (Tar Puglia sent. n. 5361/04, TAR Lombardia, sent. 1250/2008) il pericolo di abuso delle armi richiede un adeguata valutazione non del singolo episodio ma anche della personalità del soggetto sospettato che possa giustificare un giudizio necessariamente prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità;
secondo la giurisprudenza, dunque, la mera denuncia all'autorità giudiziaria non è circostanza che da sola possa giustificare la revoca ovvero il diniego del porto d'armi;
dette cautele, peraltro, sono ancor più necessarie quando l'interessato esercita determinati tipi di professione, come ad esempio la guardia giurata -:
se e quali iniziative, anche normative, il Governo intenda assumere alla luce di quanto descritto in premessa, al fine di evitare che una semplice denuncia presentata all'autorità giudiziaria possa determinare automaticamente l'adozione di un provvedimento cosiddetto «di ritiro cautelare» di un'arma, specie nelle ipotesi in cui non ricorrano motivazioni tali da giustificare detto ritiro e qualora il detentore dell'arma eserciti un tipo di attività professionale strettamente connesso all'utilizzo delle armi.
(4-12378)

JANNONE. - Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
secondo i dati del rapporto «L'immigrazione per lavoro in Italia», nel 2009 la popolazione straniera presente nell'Unione europea ammontava a poco più di 32 milioni, il 6,4 per cento della popolazione complessiva (circa 500 milioni). È la Germania a registrare la presenza straniera più numerosa (22,4 per cento) seguita dalla Spagna (17,6 per cento), dalla Gran Bretagna (13,1 per cento), dall'Italia (12,1 per cento) e dalla Francia (11,6 per cento). Questi cinque paesi da soli raccolgono quasi l'80 per cento della popolazione immigrata presente nei 27 paesi che compongono l'Unione europea. Tra il 2000 e il 2008 l'incremento demografico osservato nell'Unione euopea è trainato dalla componente straniera. Questa varia del 3,7 per cento a fronte di un aumento della popolazione complessiva dello 0,6 per cento. La popolazione straniera continua la sua crescita anche durante la recessione economica del 2009: +4,3 per cento rispetto al +0,4 per cento totale. Tra i primi 5 Paesi per presenza immigrata, Spagna e Italia sono quelli che, sia nel periodo precedente la crisi che nel 2009, osservano una crescita più sostenuta, con un incremento notevole dell'incidenza degli stranieri: per la Spagna questa passa dal 2 per cento del 2000 al 12,3 per cento del 2009; per l'Italia dal 2,2 per cento al 6,5 per cento. Germania e Francia che già al 2000 segnano una quota elevata di stranieri vedono una variazione della popolazione immigrata praticamente nulla. Fino a

metà degli anni '80 la crescita della popolazione straniera in Italia ha registrato un andamento costante del 7 per cento. Negli anni '90 questa è passata da 500 mila a oltre 1 milione. Il vero cambio di marcia si ha però a metà anni duemila, quando la popolazione straniera raddoppia passando da 2 milioni a 4,3 milioni;
nei cinque anni precedenti la crisi economica (tra 2003 e 2008) quasi tutti i Paesi europei si sono caratterizzati per un aumento sostenuto dell'occupazione. In molti di essi tale crescita è stata trainata dalla componente immigrata. Irlanda, Spagna, Italia e Gran Bretagna registrano, in questo periodo, tassi di variazione degli occupati stranieri superiori al 10 per cento a fronte di aumenti complessivi tra l'1 e il 3 per cento. La crisi economica ha interrotto questo processo di crescita. Tra il 2008 e il 2010 gli occupati stranieri nell'Unione europea sono diminuiti dello 0,8 per cento contro una flessione complessiva del 2,4 per cento. In Italia, secondo i dati Istat, il bilancio nei due anni della crisi (2009 e 2010) indica una perdita di 554 mila posti di lavoro (realizzata per più di due terzi nel primo anno), ripartiti tra un calo degli occupati italiani pari a circa 863 mila unità (-4,0 per cento) ed ad una crescita dell'occupazione immigrata di 309 mila unità (+17,6 per cento). A questo si aggiunge la diminuzione del tasso di occupazione, l'incremento del tasso di disoccupazione e del numero di persone in cerca di occupazione sia per gli italiani che per gli stranieri. Tra il 2008 e il 2010, a fronte di un leggero calo della popolazione italiana dai 15 anni in su (-63 mila, -0,1 per cento), si è registrato un aumento significativo di quella straniera (+626 mila, +24,4 per cento). Tali dinamiche demografiche si riversano sull'occupazione in modo diverso. Nel caso dei cittadini italiani alla diminuzione del numero di occupati (-863 mila) si accompagna l'incremento dei disoccupati (+281 mila) e degli inattivi (+519 mila). Nel caso degli stranieri l'aumento della popolazione si riversa in ognuno dei tre aggregati: occupati (+309 mila), disoccupati (+104 mila) e inattivi (+213 mila);
negli ultimi due anni il numero di disoccupati presenti in Italia è passato da 1,7 milioni del 2008 ad oltre 2 milioni nel 2010. L'aumento ha riguardato per 281 mila unità la componente italiana e per 104 mila quella straniera, con una variazione percentuale superiore al 60 per cento, concentrato soprattutto nel primo anno di crisi. Più contenuta, ma di ampiezza rilevante, la crescita della componente italiana (+18,4 per cento) che nel primo anno di crisi ha visto il 62,6 per cento dei licenziamenti. Senza ombra di dubbio sono i maschi i più colpiti dalla crisi. Infatti l'incremento delle persone in cerca di occupazione è pari al 34,6 per cento tra il 2008 e il 2010, contro l'11,6 per cento registrato dalle femmine. Variazione percentuale che si fa consistente tra gli stranieri: +101,5 per cento e +37,9 per cento rispettivamente per maschi e femmine, contro il 28,7 per cento e l'8,4 per cento degli italiani. All'incremento delle persone straniere in cerca di occupazione si affianca una crescita consistente del tasso di disoccupazione. Il 2009 e il 2010 si sono caratterizzati per la crescita delle ore concesse di cassa integrazione guadagni superando anche i valori raggiunti con la crisi del 1984 e del 1993. I lavoratori coinvolti sono risultati circa 554 mila nel 2009 e 729 mila nel 2010 pari rispettivamente a circa il 3 e il 4 per cento dei lavoratori complessivi;
nel 2009 il Sistema informatico delle comunicazioni obbligatorie (CO), contenente i dati raccolti in maniera continuativa dai datori di lavoro, ha registrato un saldo modesto o negativo per molte categorie. A spiegare la crescita occupazionale del 2009 sono essenzialmente i settori del terziario a maggiore componente femminile: alberghi e ristoranti, istruzione, sanità e no profit. Attualmente sono disponibili i primi sei mesi del 2010, anche se, a causa della stagionalità dei dati, risulta prematuro formulare ipotesi sulla grandezza del saldo. Il 2010 si profila come un anno di transizione in cui si stabilizzeranno i processi iniziati l'anno precedente, con flebili segni di ripresa. Si può affermare che, negli ultimi 20 anni, l'invecchiamento della popolazione

italiana e la crescita della scolarizzazione dei giovani che entrano più tardi nel mercato del lavoro hanno creato molti spazi vuoti nelle forze di lavoro. Fino al 2000 in Italia il saldo tra generazioni era positivo e quindi non vi era alcun fabbisogno occupazionale aggiuntivo dall'estero; da quel momento si affaccia un crescente disequilibrio tra generazioni: al 2004 a fronte di 2,120 milioni di potenziali uscenti vi erano 1,671 milioni di potenziali entranti, con un fabbisogno da coprire di 449 mila posti di lavoro in teoria lasciati vacanti. Il divario è andato allargandosi nel 2008. A questi spazi vuoti di lavoro si è fatto fronte con la maggiore partecipazione delle donne e della popolazione più anziana (oltre i 54 anni) e con il flusso di lavoratori stranieri (che ha aumentato di intensità negli ultimi 10-15 anni);
il dato più rilevante risulta essere il continuo invecchiamento della popolazione: la quota di persone anziane, cioè oltre i 64 anni, ammonterebbe al 23,2 per cento del totale al 2020, contro il 13 per cento dei giovani (meno di 15 anni). La popolazione in età lavorativa (15-64 anni) si assottiglierebbe ulteriormente (63,8 per cento) e risulterebbe mediamente più vecchia: nel 2020 ci sarebbe il 25,9 per cento dei residenti tra i 15 e i 39 anni, nettamente inferiore al 30,9 per cento segnato dieci anni prima, mentre la quota dei residenti tra i 40-64 anni si porterebbe al 37,9 per cento rispetto al 34,9 per cento del 2010, accrescendo ulteriormente il divario rispetto alla classe di età immediatamente più giovane. Il fabbisogno di manodopera è legato contemporaneamente alla domanda e all'offerta di lavoro. Il modello proposto prevede la stima indipendente di domanda e offerta di lavoro e il loro incrocio determinerà l'eventuale fabbisogno di manodopera. Dal lato dell'offerta si prevede tra il 2010 e il 2020 una diminuzione della popolazione in età attiva (occupati più disoccupati) tra il 5,5 per cento e il 7,9 per cento: dai 24 milioni e 970 mila del 2010 si scenderebbe a una valore compreso tra i 23 milioni e 593 mila e i 23 milioni circa nel 2020. Dal lato della domanda gli occupati crescerebbero in 10 anni ad un tasso compreso tra lo 0,2 per cento e lo 0,9 per cento, arrivando nel 2020 a quota 23 milioni e 257 mila nel primo caso e a 24 milioni e 902 mila nel secondo. Sono state fatte tre ipotesi di fabbisogno: un'ipotesi minima, un'ipotesi di massima e l'ipotesi più probabile. Nello scenario di minimo fabbisogno si stima che non ci sarà praticamente necessità di ulteriore manodopera almeno per i prossimi dieci anni. Tuttavia è un mercato ben distante dalla realtà attuale, verso il quale si può al massimo «tendere», peraltro non senza rischi, come ad esempio quello di acuire ulteriormente il divario territoriale Nord-Sud. L'ultimo scenario risulta il più probabile perché si pone in mezzo tra quello di minimo e quello di massimo: nel periodo 2011-2015 il fabbisogno medio annuo dovrebbe essere pari a circa 100 mila, mentre nel periodo 2016-2020 dovrebbe portarsi a circa 260 mila -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di incrementare il mercato del lavoro italiano, volgendo particolare attenzione soprattutto al target giovanile.
(4-12385)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
sul sito del Ministero dell'interno si legge un comunicato stampa del 17 giugno 2011 con il quale è annunciato: «Varato il piano di potenziamento per il controllo del territorio nelle località turistiche»; dal comunicato si apprende che «[...] viene prevista la disponibilità di 2.801 unità delle Forze di polizia [...] il piano di potenziamento verrà articolato senza incidere sui dispositivi già esistenti e sui servizi predisposti per le aree metropolitane poiché la maggior parte del personale impiegato sarà costituita da frequentatori di corsi d'istruzione che dovranno svolgere il tirocinio pratico sul territorio»;
il segretario generale del COISP, Franco Maccari, con un comunicato del 17

giugno ha affermato: «Il ministro pensa di potere mandare allo sbaraglio un'ampio dispiegamento di giovani volenterosi ma inesperti, mettendo a rischio la loro sicurezza e quella dei cittadini a cui si vuole dare una "percezione" di controllo del territorio»;
quanto affermato dal segretario generale del Coisp è, ad avviso degli interroganti, pienamente condivisibile -:
quanti siano gli allievi frequentatori di corsi d'istruzione in possesso della qualifica di agenti di polizia giudiziaria e quanti siano quelli in servizio permanente effettivo destinati a soddisfare l'esigenza di cui in premessa, e con quali costi;
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno e urgente provvedere diversamente al servizio di cui in premessa e in tal caso come.
(4-12389)

DE ANGELIS. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in occasione delle elezioni amministrative di Barletta del 15 e 16 maggio 2011 sono apparse diverse notizie sul rischio della compravendita del voto in particolare sul sito locale Barlettalife.it diretto dal giornalista Michele Sarcinelli;
in data 26 aprile 2011 un articolo a firma di Luca Guerra dal titolo «Rappresentante di lista... o voto in affitto? Il grande dilemma di ogni tornata elettorale. Occhio alle e-mail e ai messaggi 'sospetti'» illustrava una pratica di compravendita del voto attraverso l'utilizzo di rappresentanti di lista, reclutati tramite chat mail di Facebook;
pare che questo metodo di reclutamento abbia caratterizzato la tornata elettorale 2011 a Barletta, che ha visto in lizza ben 11 candidati sindaci e 733 aspiranti al ruolo di consigliere comunale, numeri record, mai visti all'ombra del Colosso;
il meccanismo prevede che simpatizzanti di un partito o di un candidato aggiungano 'amici' tra i loro «contatti», destinatari di e-mail con l'invito a fare i rappresentanti di lista, spesso e volentieri specificando spesso anche il nome del candidato per il quale si sta esercitando questa azione di propaganda;
in data 27 aprile 2011 un articolo a firma di Ida Vinella dal titolo «Noi giovani "prostituiti" per pochi euro. Barlettalife continua nell'inchiesta sulla compravendita dei voti. La vera libertà è nell'esprimere la propria idea», raccontava di una «segnalazione giunta in redazione da parte di un giovane lettore» e riportava, oscurati i nomi, la conversazione intercorsa sul social network Facebook tra «giovani 'dipendenti' di un candidato, e altrettanto giovani 'vittime' assoldate per pochi euro sì, ma importanti - quasi fondamentali - per chi non lavora, per chi dipende ancora dai genitori e ha bisogno di pagarsi una pizza con gli amici, per chi studia e vorrebbe recuperare il costo del biglietto del treno»;
in data 30 aprile 2011, sempre sul sito internet Barlettalife.it Savino Montaruli, presidente dell'associazione «Io ci sono» in una nota dal titolo «Compravendita di voti, accertiamo le tante sporche verità» chiedeva alla magistratura di chiarire alcune questioni in merito all'utilizzo dei «rappresentanti di lista»;
in data 14 maggio 2011 un editoriale dal titolo «Altro sistema per la compravendita del voto: istruzioni per l'uso. Indispensabile la complicità del presidente di seggio o dello scrutatore. Appare complesso ma possibile, e le sanzioni sono immediate», denunciava come «la redazione tutta, indistintamente, operatori di ripresa, redattori, fotografi e impaginatori hanno contribuito a segnalare ai lettori e forse suggerito alle autorità competenti i vari sistemi di compravendita del voto adottati con disinvoltura da coloro che potrebbero governare la nostra e le altre città limitrofe, interessate alla tornata elettorale

per il rinnovo delle cariche amministrative»;
in data 20 maggio 2011 il quotidiano La Gazzetta del Nord Barese - inserto locale de La Gazzetta del Mezzogiorno per le città della sesta provincia pugliese - riportava una lettera denuncia, in riferimento alla compravendita del voto, dal titolo «Giovane barlettana "Io, nella bolgia dei rappresentanti di lista"», in cui una giovane elettrice di Barletta raccontava la sua prima esperienza da elettrice e da rappresentante di lista e la situazione che la stessa ha vissuto durante le operazioni di spoglio di lunedì 16 maggio, la quale si concludeva ponendosi due domande: «qualcuno chiederà le dimissioni del consigliere neo eletto il cui nome è stato fotografato in cabina elettorale o il 'sindaco del fair-play' appoggerà la versione per cui l'episodio è stata una goliardata in un gioco che finisce sempre per capovolgere il ruolo di vittima e persecutore? E chi ha venduto il suo voto per '50 euro più un cellulare' è cosciente di aver svenduto anche gli occhi per guardare, la mente per discemere e giudicare e la sua voce per protestare? Buona fortuna Barletta, ne avremo tutti bisogno»;
nei giorni successivi sono apparsi altri articoli di stampa, striscioni per strada, e trasmissioni televisive locali su questa sospetta compravendita del voto -:
se i Ministri interrogati siano al corrente di quanto descritto e se risulti se le notizie denunciate rispondano al vero;
quali iniziative normative di competenza intendano adottare al fine di definire in maniera più compiuta la disciplina, con particolare riferimento ai rappresentanti di lista, al fine di evitare condizionamenti, di qualsiasi natura, sull'espressione del voto amministrativo, alla luce degli episodi descritti in premessa.
(4-12394)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:

PIFFARI e ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
con la circolare n. 21 del 14 marzo 2011 sugli organici, il Ministero, in attesa di definire le nuove classi di concorso, ha stabilito che le discipline nelle classi prime e seconde investite dalla riforma, continueranno a fare riferimento alle classi di concorso oggi esistenti e avranno quindi carattere transitorio anche per il prossimo anno scolastico 2011/12, così come è accaduto in quello appena concluso;
le ore degli insegnamenti delle classi del nuovo ordinamento e quelle delle classi successive, contribuiranno alla costituzione di cattedre orarie interne alla scuola;
suddetta circolare stabilisce, a riguardo, numerose «atipicità» medianti le quali si assegna l'insegnamento di una stessa disciplina a più classi di concorso;
in caso di personale in esubero, ad esempio nella classe A060, le ore o cattedre di geografia (classe A039) verrebbero assegnate agli insegnanti di scienze, con ulteriore tagli alla disciplina oltre a quelli previsti dalla riforma;
in alcune scuole è stata adottata l'autonomia che consente alle stesse un margine di cambiamento dei quadri orari che, a quanto risulta all'interrogante, in taluni casi ha penalizzato ulteriormente l'insegnamento di geografia;
il decreto ministeriale 30 gennaio 1998 n. 39, «Testo coordinato delle disposizioni impartite in materia di ordinamento delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento tecnico - pratico e di arte applicata nelle scuole e istituti di istruzione secondaria e artistica», nella tabella allegata «A», precisa che i titoli di ammissione richiesti per l'insegnamento

della classe di concorso A039 sono le lauree in economia e commercio, geografia e lettere;
le lauree in economia e commercio e in lettere sono titoli di ammissione al concorso, purché il piano di studio seguito abbia compreso i corsi annuali (o due semestrali) di geografia (due annualità), geografia economico-politica, geografia umana (tabella A/4 contenuta nello stesso decreto);
in precedenza di tale decreto, i titoli di ammissione previsti comprendevano qualsiasi laurea purché il piano di studi seguito avesse compreso almeno due corsi annuali o uno biennale di geografia (sostenuti entro l'anno accademico 1993/1994), qualsiasi laurea purché congiunta a diploma di specializzazione in geografia (conseguito entro l'anno accademico 1993/1994);
il decreto n. 39 del 1998, ha aumentato gli esami universitari richiesti per l'accesso all'insegnamento della geografia da due a quattro, rendendoli più specifici lasciando desumere la volontà del legislatore di riservare la classe A039 a docenti in possesso di nozioni e cognizioni socio-economiche, secondo la ratio già avviata dal Ministero dell'istruzione nel 1994, con l'emanazione del decreto ministeriale n. 334 del 24 novembre;
l'orientamento seguito dal legislatore parrebbe confermata con l'emanazione del decreto ministeriale 9 febbraio 2005, n. 22, integrativo al decreto ministeriale n. 39 del 1998, che estende la possibilità d'inserimento nella classe A039 da ulteriori possessori dei seguenti titoli ad indirizzo economico, recitando all'articolo 2 «... sono aggiunte le lauree in "Economia assicurativa e previdenziale; Economia del turismo; Economia delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni internazionali; Economia delle istituzioni e dei mercati finanziari; Economia e finanza; Economia e gestione dei servizi; Economia e legislazione per l'impresa"»;
dalla lettura della nota ministeriale n. 272 del 14 marzo 2011, avente ad oggetto le classi di concorso su cui confluiscono le discipline relative al primo e secondo anno di corso degli istituti di IIo grado, interessati al riordino, si evince che la classe A039 è estromessa da tutti gli indirizzi professionali restando «confinato», come classe «atipico» (in concorrenza con lo classe A060) sui due soli indirizzi economici (amministrazione e turismo), contro le molto più numerose possibilità d'inserimento consentite alla classe A060 in tutti gli indirizzi liceali, tecnici e professionali;
la normativa vigente stabilisce che l'insegnamento di geografia negli istituti tecnici compete alla classe di concorso A039 e non riconosce agli insegnanti di tale classe la reciprocità d'insegnamento riconosciuta invece ad altre classi di concorso -:
se il Ministro interrogato ritenga opportuno rivedere in senso più equo la definizione e i criteri di definizione delle cosiddette classi di concorso atipiche;
se e come intenda intervenire per evitare discriminazioni tra le diverse classi di concorso a insegnamento, scongiurando evidenti lesioni dei diritti dei lavoratori, rappresentate dalla negazione della reciprocità d'insegnamento, delle pari opportunità d'assegnazione e del differente riconoscimento dei requisiti di idoneità.
(4-12374)

JANNONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'università degli studi di Bergamo, all'interno della kermesse di incontri di «Unibergamorete», ha anticipato i dati del rapporto Stella 2011 che verranno presentati tra qualche settimana a livello nazionale. Dalle anticipazioni emerge che, se la media dei laureati nel settore pubblico può contare, a un anno dal conseguimento del titolo di studio, uno stipendio tra i 750 e i mille euro al mese, quelli nel privato se la cavano meglio con una mensilità tra

1.000 e i 1.250 euro; il dato confortante è che lo stipendio non è diminuito rispetto all'anno precedente alla crisi. Per i laureati bergamaschi però la buona notizia è che a 12 mesi dalla laurea, hanno un impiego 84,3 laureati su 100 in possesso di un diploma di laurea triennale e 84,6 laureati su 100 con laurea specialistica. Un numero consistente soprattutto se si conta che la media lombarda è, rispettivamente, intorno a 83,4 e 83,6 - quindi leggermente inferiore - e addirittura la situazione italiana è intorno al 75,1 e 78 su 100 per triennalisti e specialisti. La maggior parte dei laureati bergamaschi sono impegnati nel settore privato, soprattutto quelli che hanno seguito un percorso in ingegneria mentre il pubblico resta un ottimo canale di ingresso per insegnanti e percorsi giuridici. La ricerca - ha spiegato Silvia Biffignandi, direttore del Centro di analisi statistiche e indagini campionarie di ateneo - ha rilevato l'inserimento lavorativo nel 2009 dei laureati 2008: si tratta di un campione piuttosto significativo. In tutto sono stati contattati infatti 2.127 laureati, circa il 50 per cento del totale. La ricerca riguarda poi in totale 31.430 laureati principalmente lombardi (20 mila) ma anche di altre città come Pisa, Napoli e Palermo. L'anno è quello della crisi economica per cui la ricerca misura la tenuta del territorio sull'occupazione giovanile in un periodo di difficoltà generale;
se si analizza il dato complessivo dell'ultima indagine con quelle realizzate negli anni precedenti, si nota che la crisi ha inciso anche sull'occupazione dei laureati, ma non in modo così preoccupante: si è passati, almeno sulla carta, da nove laureati su dieci impiegati a un anno dalla laurea a poco più di otto laureati su dieci. Una variazione sensibile ma non allarmante. Da notare che, nel frattempo, è aumentato il numero di coloro che studiano, dal 31,4 per cento al 32,4 per cento: chi non trova lavoro quindi continua ad investire sulla propria formazione culturale e professionale. Preoccupante invece il numero di coloro che non studiano e non lavorano, raddoppiati in tre anni (dal 3,1 per cento al 7,2 per cento del totale dei laureati). Per quanto riguarda gli sbocchi professionali - ha sottolineato Biffignandi - gli orientamenti dell'ateneo bergamasco sembrano incrociare bene le richieste del territorio: trovano lavoro infatti 91 giovani ingegneri su 100 ma anche l'88,7 su 100 dei laureati in materie economiche. Più difficile per l'ambito letterario ma non per l'insegnamento con 92 impiegati su 100;
infine la ricerca prende in considerazione la situazione a tre anni dalla laurea: anche qui il dato sembrerebbe confortante. Il 93,4 per cento di coloro che lavoravano dopo la laurea nel 2007, continuano a lavorare. Il 73,9 per cento di chi era in cerca di lavoro ha trovato un posto e il 58,1 per cento di chi studiava ha trovato una collocazione professionale. Resta ancora in cerca di un lavoro il 14,3 per cento di chi cercava tre anni fa e il 29,9 per cento continua a studiare. Per Giovanni Chiabrera, responsabile del progetto Fixo per Italia Lavoro, l'agenzia tecnica del ministero del lavoro, bisogna però puntare su un ingresso alla prima retribuzione in età meno avanzata: oggi il primo stipendio è intorno ai 26-27 anni. «Per abbassare la media dell'età d'ingresso al mondo del lavoro - ha spiegato - bisogna puntare su l'alto apprendistato». Anche Enrico Zucchi, assessore provinciale all'Istruzione, formazione, lavoro e sicurezza, ha anticipato i dati appena censiti degli avviamenti professionali in Bergamasca. Un breve excursus su numeri che verranno analizzati con le parti sociali e gli addetti ai lavori e presentati insieme a un piano di sviluppo locale. Intanto il dato sottolinea un calo degli avviamenti professionali passati da 135 mila persone a 106 mila dal 2007 al 2010. Diminuiscono poi i contratti a tempo indeterminato (dal 41,22 per cento al 28,98 per cento in tre anni), i tempi determinati sono aumentai dal 32,13 per cento al 39,36 per cento. Crollo per l'apprendistato dall'8,33 al 5,95 per cento mentre crescono gli interinali passati dall'8,23 per cento al 13,46 per cento -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di creare una proficua

sinergia fra le università e le esigenze lavorative del territorio in cui sono ubicate, per un migliore inserimento degli studenti nel mercato del lavoro come accaduto a Bergamo.
(4-12380)

JANNONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
ad oltre trent'anni anni dall'emanazione della legge n. 577 del 1977, che ha dato avvio al processo di integrazione dei ragazzi con disabilità nelle scuole pubbliche, si può affermare che i risultati conseguiti mostrano in Italia livelli elevati di inserimento. L'integrazione scolastica, però, è un concetto che va al di là del mero aumento di iscritti nelle scuole: il livello di integrazione, infatti, si misura anche attraverso informazioni che descrivono sia le risorse umane messe in campo sia la presenza di strutture scolastiche accessibili. Nelle scuole primarie e secondarie di I grado statali e non statali, negli ultimi 20 anni, si è assistito a una crescita progressiva della presenza di alunni con disabilità. Per la scuola primaria si è passati dall'1,7 per cento di alunni con disabilità sul totale degli iscritti nell'anno scolastico 1989/1990 (poco più di 54 mila alunni con disabilità) al 2,6 per cento nell'anno scolastico 2009/2010. Per la scuola secondaria si sono registrati incrementi superiori: nel 1989-90 la percentuale di alunni con disabilità rappresentava l'1,9 per cento del totale degli alunni (poco più di 45 mila alunni con disabilità), mentre nell'anno scolastico 2009/2010 tale percentuale raggiunge il 3,3 per cento della popolazione scolastica. Gli alunni con disabilità presenti nella scuola dell'obbligo nell'anno scolastico 2009/2010 sono poco più di 130 mila; di questi, circa 73 mila sono studenti della scuola primaria e circa 59 mila della scuola secondaria di I grado. In entrambi gli ordini scolastici le alunne con disabilità rappresentano solo un terzo della popolazione (nella scuola primaria sono 32,6 per cento e nella scuola secondaria il 37,3 per cento degli alunni con disabilità);
secondo il rapporto Istat, nella scuola primaria la popolazione scolastica con disabilità ha un'età media intorno ai 9,7 anni e ben il 33 per cento degli alunni frequentanti ha un'età superiore ai 10 anni. Nella scuola secondaria di I grado l'età media della popolazione con disabilità è pari a 13,5 anni, con una percentuale di alunni con età superiore ai 15 anni pari al 20 per cento. Questi dati evidenziano un elevato livello di ripetenza nella popolazione con disabilità, fenomeno negativo in quanto, in alcuni casi, testimonia un semplice prolungamento nel tempo del progetto riabilitativo del'alunno con disabilità, soprattutto in mancanza di servizi territoriali capaci di prendere in carico tali persone. Il 25,8 per cento degli alunni con disabilità ha problemi nello svolgere in modo autonomo almeno una delle seguenti attività: spostarsi all'interno della scuola, mangiare e andare in bagno in modo autonomo; il restante 74 per cento degli alunni della scuola primaria non presenta problemi di questa natura. Nella scuola secondaria di I grado si trova un quadro simile, con il 78,7 per cento degli alunni con disabilità senza problemi di autonomia e il 21,1 per cento con problemi di autonomia. Le differenze territoriali per queste tipologie di problemi sono trascurabili, mentre risultano essere molto più evidenti per le tipologie di problemi non tradizionalmente rilevate. Infatti, a livello nazionale ben il 26,4 per cento degli alunni ha difficoltà nell'apprendimento ed il 26 per cento ha difficoltà nell'attenzione, con valori che sul territorio vanno dal 18,3 per cento di alunni con difficoltà nell'apprendimento e dal 19,8 per cento di alunni con difficoltà nell'attenzione nelle regioni del Nord, al 34,7 per cento e al 34,6 per cento rispettivamente, nel Mezzogiorno;
il quadro delle difficoltà presenti nella popolazione con disabilità della scuola secondaria di I grado rispecchia quanto riscontrato negli alunni della scuola primaria. Le difficoltà visive e uditive sono presenti, rispettivamente, in circa il 4 per cento della popolazione, mentre l'11,2 per cento della popolazione ha problemi di tipo motorio. Si riscontrano forti

differenze territoriali, anche in questo ordine scolastico, per quanto concerne le difficoltà di apprendimento e le difficoltà nell'attenzione, le quali sono presenti rispettivamente nel 34,3 per cento e nel 23,9 per cento degli alunni con disabilità, con il valore minimo riscontrabile negli alunni con disabilità del Nord (rispettivamente 26,4 per cento e 17,5 per cento) e un valore massimo nel Mezzogiorno (rispettivamente 40,9 per cento e 32,1 per cento). Confermata, anche in questo caso, appare la prevalenza al Nord e al Centro di alunni con una sola difficoltà (rispettivamente 55,4 per cento e 54,4 per cento), mentre nel Mezzogiorno sono il 42,9 per cento gli alunni con una sola difficoltà e 34,6 per cento quelli con tre difficoltà o più. Quest'ultimo risultato, letto insieme alla maggiore presenza di alunni non autonomi, sembra evidenziare, per entrambi gli ordini scolastici, una maggiore complessità di bisogni nella popolazione scolastica con disabilità del Mezzogiorno rispetto a quella del resto della penisola;
l'inserimento a scuola dell'alunno con disabilità dovrebbe essere accompagnato dalla costruzione di un progetto educativo individuale basato sulla predisposizione della diagnosi funzionale da parte della ASL, del profilo dinamico funzionale da parte di una equipe multidisciplinare e del piano educativo individualizzato, redatto sempre da una equipe multidisciplinare. Il 95 per cento degli alunni con disabilità, in entrambi gli ordini scolastici, ha una diagnosi funzionale. Per quanto riguarda il programma educativo individuale le percentuali aumentano nuovamente per la scuola primaria, con valori superiori al 93 per cento, e per la scuola secondaria, con valori superiori al 96 per cento. L'avere o meno una certificazione che attesti il proprio stato di disabilità è normativamente propedeutico all'erogazioni da parte del sistema scuola dei servizi per l'integrazione. Nella realtà scolastica però la situazione è ben più differenziata. Nella scuola primaria il 72,7 per cento degli alunni con disabilità possiede una certificazione di disabilità (legge n. 104 del 1992): la percentuale più alta si riscontra al Nord (84,5 per cento), mentre la più bassa nel Mezzogiorno (63 per cento);
alcune volte per un alunno con disabilità il tragitto da casa a scuola può rappresentare il primo ostacolo da superare. Sono solo circa il 18 per cento gli alunni con disabilità della scuola primaria e circa il 21 per cento quelli della scuola secondaria di I grado che usufruiscono del trasporto pubblico messo a disposizione dai comuni. Il restante 5 per cento degli alunni della scuola primaria e l'8 per cento di quelli della scuola secondaria usufruisce di un trasporto casa-scuola fornito da altro ente locale o da privati. Nel mondo della scuola l'ambiente, in senso stretto, è ancora oggi poco accessibile e la presenza di scuole con strutture per il superamento delle barriere architettoniche appare ancora troppo bassa, seppure in aumento Per entrambi gli anni scolastici (2008/2009 e 2009/2010), infatti, le scuole secondarie di I grado presentano una condizione architettonicamente più accessibile agli alunni con disabilità rispetto alle scuole di ordine inferiore. In generale, la situazione relativa all'abbattimento delle barriere architettoniche sembra migliorare per entrambi gli ordini scolastici passando da un anno all'altro. L'analisi sul territorio, pur evidenziando differenze marcate tra le diverse regioni, mostra come anche nelle regioni più «virtuose» il 30 per cento delle scuole non abbia ancora terminato l'abbattimento delle barriere architettoniche. Il gradiente Nord-Sud è molto evidente in entrambi gli anni scolastici e ordini di scuola per quanto concerne la presenza di scale a norma e di servizi igienici accessibili, mentre la situazione delle scuole, per i percorsi interni ed esterni, sembra essere meno caratterizzata territorialmente;
nell'anno scolastico 2008/2009 le scale e i servizi igienici a norma sono presenti in più del 70 per cento delle scuole primarie e secondarie di I grado, mentre, complessivamente, poco più del 50 per cento delle scuole sembra avere dei percorsi interni ed esterni non accessibili agli alunni con disabilità motoria o sensoriale.

La provincia autonoma di Trento ha il minor numero di scuole non a norma, soprattutto per ciò che riguarda le barriere fisiche, mentre in Calabria si trova la quota più alta di scuole non a norma. Nell'anno scolastico 2009/2010 la situazione sembra essere leggermente migliorata: le scale e i servizi igienici a norma sono presenti in più del 75 per cento delle scuole primarie e secondarie di I grado, mentre, complessivamente, poco più del 65 per cento delle scuole sembra avere dei percorsi interni ed esterni accessibili. Tra le regioni più virtuose, alla provincia autonoma di Trento si aggiungono la Lombardia e la provincia autonoma di Bolzano, mentre sono la Calabria e la Valle d'Aosta a presentare i valori più bassi, ma solo per quanto riguarda i percorsi interni ed esterni. L'analisi delle differenze tra i due anni scolastici oggetto di indagine mostra, su tutto il territorio nazionale, un aumento del numero di scuole che hanno abbattuto le barriere architettoniche. In quasi tutte le regioni si osserva un miglioramento percentuale della situazione per tutte le caratteristiche architettoniche analizzate, in particolare per ciò che concerne i percorsi interni ed esterni, che partendo da livelli molto bassi avevano dei margini di miglioramento maggiori. Gli incrementi più elevati si riscontrano per la scuola primaria in Liguria, Abruzzo, Basilicata e Calabria, mentre per la scuola secondaria di I grado in Valle d'Aosta, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo e Calabria. Guardando all'offerta integrata di servizi, in termini di strumenti e persone, che le scuole statali e non statali e gli enti locali mettono in campo al fine di rispondere ai bisogni della popolazione scolastica con disabilità, emerge in primo luogo l'importanza dell'utilizzo dell'informatica nella didattica speciale. La tecnologia ha, infatti, una funzione di «facilitatore» nel processo di integrazione sociale dell'alunno con disabilità, soprattutto nel caso in cui la postazione informatica è situata all'interno della classe in cui è presente l'alunno;
il Rapporto ha chiesto alle scuole di segnalare la presenza di postazioni informatiche con hardware (periferiche speciali) e software specifico per la didattica speciale per alunni con diverse tipologie di disabilità. Nello specifico viene misurata: la presenza della postazioni, la sua disponibilità quotidiana (presenza delle postazioni in classe) e la sua gestione in autonomia (postazioni di proprietà della scuola). Infine, è stato valutato il reale utilizzo della tecnologia nella didattica da parte dei docenti di sostegno. Nell'anno scolastico 2008/2009, le scuole italiane primarie e secondarie di I grado che hanno postazioni adattate per alunni con disabilità sono, rispettivamente, circa il 60 per cento e il 67 per cento. Nell'anno scolastico successivo (2009/2010) si osserva un sensibile aumento delle scuole con postazioni informatiche. La situazione è diversificata per i due ordini scolastici e la regione con la percentuale più alta di scuole primarie con postazioni informatiche adattate è la Liguria (82,2 per cento delle scuole), mentre quella con la percentuale più bassa è la Valle d'Aosta (48,1 per cento delle scuole). Tra le scuole secondarie di I grado sono quelle dell'Umbria a essere maggiormente dotate di postazioni informatiche (84,3 per cento delle scuole), mentre è il Molise (con il 57,6 per cento delle scuole) ad avere meno postazioni informatiche adattate. In questo contesto, la disponibilità di postazioni informatiche nelle classi anziché in laboratori separati assume molta importanza. Questo consente, infatti, all'alunno con disabilità di svolgere tutte le attività didattiche quotidiane insieme ai compagni, favorendo il processo di integrazione degli studenti con disabilità. La presenza della tecnologia informatica nelle scuole non garantisce, però, che questa sia effettivamente utilizzata per la didattica. In Italia, nell'anno scolastico 2009/2010, nel 67,8 per cento delle scuole primarie e nel 74,3 per cento di quelle secondarie di I grado, con almeno una postazione informatica, tutti gli insegnanti di sostegno utilizzano la tecnologia per la didattica speciale: solo nel 43,8 per cento delle scuole primarie e nel 53,7 per cento delle scuole secondarie tutti i docenti di sostegno hanno frequentato

corsi specifici accreditati in materia di tecnologie educative per la didattica speciale. Sono intorno al 50 per cento le scuole per ogni ordine i cui docenti di sostegno non hanno mai frequentato questo tipo di corsi (56,2 per cento delle scuole primarie e 46,3 per cento delle scuole secondarie di I grado). La situazione non sembra avere un gradiente territoriale significativo;
il processo di integrazione scolastica passa, anche e soprattutto, attraverso «lo sviluppo delle competenze dell'alunno negli apprendimenti, nella comunicazione e nella relazione nonché nella socializzazione, obiettivi raggiungibili attraverso la collaborazione ed il coordinamento di tutte le componenti in questione nonché dalla presenza di una pianificazione puntuale» degli interventi da mettere in atto. Per quando riguarda l'apprendimento, la figura professionale di riferimento è quella del docente curriculare e del docente di sostegno, cui si affiancano, per lo sviluppo della comunicazione, delle relazioni e della socializzazione, altre figure professionali, tra le quali l'assistente educativo culturale (AEC), il facilitatore della comunicazione, il comunicatore per sordi e il collaboratore scolastico con assegnazione specifica per l'assistenza agli alunni con disabilità. L'indagine dell'Istat mostra che, oltre agli insegnanti di sostegno, lavorano nelle scuole statali e non statali circa 13 mila assistenti educativi culturali (AEC), 700 comunicatori per sordi, 1.500 facilitatori della comunicazione e 20.289 collaboratori scolastici con assegnazione specifica per l'assistenza agli alunni con disabilità. Le distribuzioni regionali della percentuale di scuole con almeno un alunno con disabilità mostra che al Nord è maggiormente presente l'AEC, mentre il collaboratore scolastico è più presente nelle regioni del Sud. Entrambe le figure professionali si occupano dell'assistenza materiale degli alunni con disabilità non autonomi, ma mentre l'AEC è una figura aggiuntiva che ha esclusivamente questo compito, il collaboratore scolastico aggiunge alle sue mansioni ordinarie anche l'assistenza materiale ai bambini con disabilità. La figura del facilitatore della comunicazione è quella che, tra tutte le figure professionali indagate, risulta la meno diffusa nelle scuole, vista la specificità di utenza verso la quale questa figura si rivolge 16 (alunni con forti disabilità di tipo cognitive o alunni autistici). In Italia, la quota delle scuole primarie con questa figura professionale è pari al 5 per cento, mentre quella delle scuole secondarie di I grado è pari al 6,1 per cento -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di migliorare le possibilità di apprendimento scolastico dei bambini e ragazzi disabili, frequentanti scuole sia di I che di II grado, introducendo, tramite apposita normativa nazionale figure di sostegno quali quelle indagata dal rapporto Istat sopraccitato.
(4-12387)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
l'Associazione italiana esposti amianto, AIEA VBA, ha fatto notare come i militari della Guardia di finanza abbiano convissuto con sostanze tossiche e nocive (irritanti e fibrosanti) come l'asbesto nello svolgere la loro attività lavorativa. Infatti, in molti luoghi di servizio comprese alcune caserme e mense, come a Trieste e dintorni, dove proprio nella sede del comando regionale della guardia di finanza del Friuli Venezia Giulia sono state asportate numerose tonnellate di materiali contenenti amianto solamente dal 1999 al 2002 con evidente ritardo dalla prima legge sull'amianto, varata nel 1991, con documentazione comprovante disponibile c/o il Movimento dei finanzieri democratici;

si tratterebbe in particolare della zona dell'ex fabbrica macchine (sede dell'ex industria pesante al passeggio Sant'Andrea), dove è ubicata la citata caserma (ricavata da un edificio industriale) ed il rudere (fino a poco fa, e probabilmente tutt'ora, mai mappato e censito per amianto), area in cui si sono verificate morti per mesotelioma della pleura (patologia sentinella per asbesto) e dove qualcuno ha effettuato, recentemente, dei carotaggi sul sottosuolo di cui però non se ne conosce gli esiti;
le Guardie di finanza che possono essere state esposte all'amianto non possono contare su alcuna forma di tutela quali ad esempio: la sorveglianza sanitaria, riconoscimenti medico-legali o previdenziali -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero;
se e quali iniziative si intendano adottare per l'adozione di protocolli sanitari per: la formazione-informazione del personale sul rischio amianto; il riconoscimento d'ufficio di patologia professionale per esposizione all'asbesto ed infine la mappatura ed il censimento dell'amianto nelle strutture adibite a luoghi di servizio della Guardia di finanza.
(4-12377)

MARINELLO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, ha apportato importanti modifiche in materia di ricongiunzione dei contributi;
in particolare, è stata disposta l'abrogazione di alcune disposizioni normative, tra cui la legge 2 aprile del 1958 n. 322 (costituzione della posizione assicurativa all'INPS), l'articolo 40 della legge 22 novembre del 1962, n. 1646, l'articolo 124 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre del 1973, n. 1092 (dipendenti civili, statali, militari in servizio permanente e continuativo) e l'articolo 40, comma 3, della legge 24 dicembre 1986, n. 958;
in particolare, il comma 12-septies dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010 ha previsto, a decorrere dal 1o luglio 2010, l'onerosità per le lavoratrici e i lavoratori della ricongiunzione della contribuzione versata a fondi diversi dall'INPS;
nel caso specifico di lavoratori con rapporto di lavoro a tempo determinato, per periodi superiori ad un anno, presso la pubblica amministrazione, la disciplina di riferimento è quella dettata dalla legge n. 1077 del 1966 che prevede l'iscrizione all'INPDAP e all'articolo 1, comma 3, prevede l'applicazione della legge n. 322 del 1958, abrogata proprio dal decreto-legge n. 78 del 2010;
la normativa dettata dall'articolo 12, comma 12-septies, non può trovare applicazione retroattiva su di un diritto acquisito in virtù di un contratto stipulato con la pubblica amministrazione ai sensi della legge n. 242 del 2000 conclusosi, nel caso di riferimento, nel dicembre 2008 e dunque soggetto soltanto alla normativa vigente in quel periodo;
le nuove disposizioni penalizzano gravemente alcune categorie di lavoratori che, al fine di accedere al trattamento, non potendosi avvalere della ricongiunzione gratuita, potrebbero essere costretti a non vedere riconosciuti determinati periodi contributivi o a dover pagare cifre considerevoli per avere il diritto alla pensione INPS;
con questo provvedimento i lavoratori interessati si sono trovati, con effetto retroattivo, senza le certezze e i diritti che solo qualche giorno prima erano in vigore -:
se il Ministro interrogato non ritenga, in considerazione della disparità di trattamento venutasi a creare con le norme

introdotte con il decreto-legge n. 78 del 2010, di promuovere gli opportuni provvedimenti correttivi che consentano di ripristinare le condizioni precedenti, anche al fine di evitare situazioni di discriminazione per i lavoratori e le lavoratrici penalizzati da tale normativa.
(4-12391)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

OLIVERIO, ZUCCHI, MARCO CARRA, FIORIO, BRANDOLINI, DAL MORO, PIZZETTI, AGOSTINI, CENNI, CUOMO, MARROCU, MARIO PEPE (PD), SANI, SERVODIO e TRAPPOLINO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
nel mese di aprile 2010, il Comando carabinieri politiche agricole e alimentari ha diffuso una relazione di approfondimento sui dati utilizzati per il calcolo del prelievo supplementare relativo alle cosiddette «quote latte» che avrebbe evidenziato una presunta incompatibilità del numero delle vacche da latte presenti nelle stalle e la produzione lattiera;
in data 14 aprile 2011, l'Agea ha dichiarato - attraverso un comunicato stampa - di non avere cognizione diretta degli esiti delle indagini di polizia derivate dalla summenzionata relazione del Comando carabinieri politiche agricole e il Sottosegretario Roberto Rosso, rispondendo ad un'interrogazione in Commissione Agricoltura alla Camera dei deputati il 25 maggio 2011, ha assicurato che «In base all'esame effettuato dai competenti servizi del Ministero e dell'AGEA, è emerso che la relazione di approfondimento dei Carabinieri, basata sul semplice confronto di banche dati, non contiene elementi in grado di dimostrare che in passato si siano verificate irregolarità tali da incidere in modo apprezzabile sul calcolo del prelievo. Va inoltre rilevato che il contenzioso proposto da un numero limitati di allevatori si è risolto al momento, in sede di Consiglio di Stato, in maniera favorevole all'Amministrazione e non si ritiene al momento necessario intervenire con specifiche disposizioni normative»;
il 7 aprile 2011 l'Agea ha ricevuto, presso la sua sede, una delegazione di produttori di latte che argomentavano la richiesta di un'ulteriore sospensione dei pagamenti delle multe dovute per aver «splafonato» rispetto alle quote di produzione assegnate loro, mettendo in discussione la legittimità delle multe applicate alle aziende italiane per gli esuberi produttivi;
nonostante la sua mera funzione amministrativa e di controllo Agea è stata oggetto di numerose contestazioni da parte di produttori che si sono manifestate con sit in davanti la sede di via Salandra con attacchi al suo funzionamento in numerosi articoli di giornali, pressioni politiche attraverso prese di posizione di esponenti politici di primo piano, di minacce su blog e strumenti vari di rete affinché assumesse provvedimenti «rivolti a trovare soluzioni» al problema delle quote latte, nonostante la sua oggettiva incompetenza;
rispetto al passato il tema prevalente non è più dunque l'adeguatezza della quota nazionale, bensì l'effettività della produzione di latte. A tal proposito, come si legge in una lettera congiunta diffusa il 14 aprile 2011 dal presidente di Agea, professor Dario Fruscio e dall'ex commissario di Governo per le quote latte, dottor Paolo Gulinelli, negli ultimi 8 anni la produzione nazionale dichiarata, e riscontrata attraverso le fatture, è risultata stabilmente attestata intorno agli 11 milioni di tonnellate (consegne alle latteria e vendite dirette), con una oscillazione percentuale intorno al 4 per cento;
sempre nella summenzionata lettera, il presidente dell'Agea e il commissario aggiungono che: «Per tentare di vanificare l'attendibilità delle multe per i periodi pregressi agli interessati non resta altro mezzo che gettare dubbi sull'origine e

sulla quantità del latte commercializzato in Italia, senza considerare le gravi conseguenze che tali incertezze potrebbero provocare nei consumatori, con immediati riflessi sul prezzo del latte e dei suoi derivati»;
a seguito dell'incontro tenutosi il 7 aprile 2011 presso la sede dell'Agea, secondo notizie di stampa, alcuni esponenti dei Cobas latte avrebbero avuto un incontro con il Ministro Umberto Bossi al quale avrebbero chiesto il commissariamento dell'Agea per bloccare le azioni di revoca di quote e di ingiunzione di pagamento, nonostante la sua oggettiva incompetenza. Infatti, Agea, nel merito della propria azione, opera dentro una cornice legislativa di carattere europeo e nazionale di intesa con le regioni e non ha competenze proprie su proroghe o rateizzazioni che spettano alle valutazioni del legislatore che nel settore ha già definito in un quadro europeo metodologie e azioni operative;
nella risposta ad un'interrogazione in Commissione agricoltura della Camera dei deputati del 25 maggio 2011, il Sottosegretario Roberto Rosso ha dichiarato che: «Per quanto riguarda la revoca delle quote latte, faccio presente che il meccanismo di revoca previsto dall'articolo 72, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1234/2007 non è applicato in Italia dalla campagna 2009/2010 ed è in corso di emanazione un provvedimento che proroga la non applicazione anche per la campagna 2011/2012. Circa la sospensione del pagamento della sesta rata del programma di rateizzazione del prelievo supplementare la Commissione europea, su specifico quesito posto dal Ministero, ha precisato che la sospensione del pagamento non è compatibile con il diritto comunitario e con gli impegni assunti dal Governo italiano. In materia di criteri di compensazione, premesso che nelle ultime due campagne la quota nazionale non è stata superata, non si ritiene di dover apportare modifiche alle disposizioni contenute nel decreto-legge n. 49 del 2003, convertito nella legge 30 maggio 2003 n. 119. Anche per l'assegnazione delle quote non sono al momento previste modifiche all'impianto normativo attualmente in vigore»;
in data 12 maggio 2011 il Ministro Romano ha proposto al Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi la nomina di Fausto Martinelli a commissario straordinario per le quote latte in sostituzione del dottor Paolo Gulinelli, il cui mandato scadeva il 15 maggio 2011. La nomina non è stata ancora perfezionata dal Consiglio dei ministri;
ad oggi l'Agea ha «evitato» il commissariamento e, come si apprende da notizie di stampa, il Ministro Romano ha annunciato di avere aperto un tavolo con i Cobas con l'obiettivo di «convincerli» a pagare aderendo alla rateizzazione e per questo ha annunciato, in occasione dell'assemblea di Confagricoltura, di essere disponibile a presentare un decreto che riapra i termini della legge n. 33 del 2009, promossa dall'ex Ministro Zaia;
il 30 giugno 2011 scadrà la seconda proroga per il pagamento della prima rata della rateizzazione varata con la legge n. 33 del 2009 e della settimana rata prevista dalla legge 30 maggio 2003, n. 119 che ha autorizzato una nuova rateizzazione del debito pregresso -:
se il Ministro interrogato intenda pronunciarsi definitivamente sulla questione relativa alla correttezza dei dati riguardanti l'origine e la quantità del latte commercializzato in Italia, confermandone la correttezza stessa, per porre fine a qualsiasi contestazione in merito alle sanzioni fino ad ora comminate ai produttori cosiddetti «splafonatori» e come intenda chiarire la posizione del Ministero riguardo all'ipotesi di commissariamento dell'Agea direttamente o indirettamente richiesta da quei settori che hanno operato nell'illegalità, e che hanno richiesto di fatto il licenziamento del presidente e del consiglio d'amministrazione di Agea;
se il Ministro interrogato intenda assicurare che il Governo non sospenderà la riscossione del prelievo dei pagamenti previsti dai piani di rateizzazione, anche per

rispetto dei princìpi di trasparenza e legalità nei riguardi di quel 95 per cento degli operatori del settore che hanno già pagato le multe dovute, posto che un orientamento diverso da quello sopra descritto (nel senso che sosterrebbe le tesi illegittime dei Cobas latte) esporrebbe il nostro Paese ad una procedura di infrazione dalle conseguenze giuridiche e finanziarie dirompenti che potrebbe addirittura prevedere il ritiro del beneficio di aumento della produzione di latte attribuita all'Italia durante il negoziato sul health check della Pac;
se il Ministro interrogato intenda valutare l'attività svolta da Agea in merito alla vicenda delle quote latte e della riscossione delle relative rate in coerenza con l'indirizzo legislativo, così garantendo quella «copertura» istituzionale agli organi che si trovano ad operare dietro enormi pressioni, riferendo, nell'occasione, anche in ordine all'attuale posizione lavorativa dei responsabili apicali del NAC che hanno redatto la redazione di approfondimento di cui in premessa.
(5-04929)

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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:

MARCO CARRA. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
si apprende, dalla stampa locale, che il sindaco di Mantova si è autonominato presidente del «Centro Internazionale di Palazzo Te»;
il «Centro internazionale di Palazzo Te» è l'ente che si occupa della gestione operativa di Palazzo Te, palazzo di proprietà comunale, il quale vive di contributi dell'amministrazione comunale di Mantova;
si è in presenza di una sovrapposizione inquietante del ruolo dell'amministrazione comunale che si trova ad essere, contemporaneamente, controllore e controllato;
per questa ragione vi sono inoltre dubbi sul fatto che il conferimento di tale incarico possa essere considerato pienamente conforme alla normativa vigente;
l'ispettorato per la funzione pubblica svolge, tra l'altro, attività di verifica sul «corretto conferimento degli incarichi» da parte delle pubbliche amministrazioni -:
se il Ministro intenda dar corso ad un'ispezione specifica dell'ispettorato della funzione pubblica per valutare la correttezza del conferimento dell'incarico di presidente del «Centro internazionale di Palazzo Te» da parte del sindaco di Mantova.
(4-12388)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere - premesso che:
con il decreto ministeriale 5 maggio 2011 si ridisegnano gli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili;
all'articolo 14, comma 1, punto d), del citato decreto è prevista una maggioranza del 10 per cento dell'incentivo per la costruzione di impianti fotovoltaici a condizione che «i costi di investimento per quanto riguarda i componenti diversi dal lavoro siano riconducibili per non meno del 60 per cento ad una produzione realizzata all'interno della Unione europea»;
all'articolo 12, comma 5, inoltre, è stabilito che «ai fini dell'attribuzione delle tariffe incentivanti, più impianti fotovoltaici realizzati dal medesimo soggetto responsabile

o riconducibili a un unico soggetto responsabile e localizzati nella medesima particella catastale o su particelle catastali contigue si intendono come unico impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti. Entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, il Gse definisce e pubblica ulteriori requisiti e regole tecniche volti ad evitare il frazionamento di un impianto in più impianti di ridotta potenza» -:
se, con riferimento al primo aspetto di cui in premessa non ritenga necessario predisporre immediatamente una circolare esplicativa che chiarisca quali siano i termini per i quali vale il principio di produzione in un Paese dell'Unione europea se il maggiore incentivo possa essere previsto anche in caso di produzione avvenuta in un Paese europeo non appartenente all'Unione europea da parte di un'impresa residente fiscalmente e giuridicamente in un Paese dell'unione;
se non intenda specificare meglio, come andrebbero interpretati, ai fini dell'assegnazione delle tariffe incentivanti in funzione della tabella di cui all'allegato 5 del decreto ministeriale 5 maggio 2011, i casi in cui viene meno l'unitarietà di attribuzione ad un unico proprietario degli impianti come il caso di vendita da parte degli impianti a terzi.
(2-01132) «Libè».

Interrogazioni a risposta in Commissione:

MATTESINI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in data 20 aprile 2010 il tribunale di Roma dichiara lo stato di insolvenza di Agile Srl e dà inizio al commissariamento giudiziale;
in data 30 giugno 2010 i commissari giudiziali depositano il programma al tribunale e lo inviano al Ministero dello sviluppo economico;
in data 12 luglio 2010 il Ministero dello sviluppo economico ha depositato il parere positivo quanto all'ammissione al commissariamento straordinario;
in data 14 luglio 2010 è stata depositata al tribunale di Roma l'ammissione alla amministrazione straordinaria;
in data 3 luglio 2010 sono stati nominati i commissari straordinari;
la Data Room è già stata aperta a coloro che hanno manifestato interesse a fare offerte su Agile Srl;
in data 1o giugno 2010 il Tribunale di Arezzo dichiara lo stato di insolvenza di Eutelia SpA e nomina i commissari giudiziali;
il 14 luglio 2010 il tribunale di Arezzo con il parere positivo del Ministero dello sviluppo economico dichiara aperto il commissariamento straordinario;
il 27 luglio vengono nominati i commissari giudiziali nelle stesse persone dei commissari straordinari;
in data 10 dicembre 2010 il Ministero dello sviluppo economico nomina il comitato di sorveglianza;
in data 17 dicembre 2010 il tribunale di Roma dichiara antisindacale la cessione di Agile, ma conferma valida la vendita. Eutelia Spa paga una penale ad Agile Srl per antisindacalità;
il 7 marzo 2011 il Ministero dello sviluppo economico approva il programma di cessioni dei complessi aziendali Eutelia;
il 10 marzo 2011 il programma di cessioni dei rami di Eutelia è depositata alla cancelleria del tribunale di Arezzo;
in data 8 aprile 2011 tramite comunicato stampa, i commissari informano che la procedura di cessione è stata approvata tramite bando di gara;
il 6 maggio 2011 viene approvato dal Consiglio dei ministri il cosiddetto «decreto sviluppo» che contiene una parte nella quale si tratta di situazioni come Eutelia ed Agile. Nel decreto si prevede

che per aziende che hanno fatto cessioni e che poi entrambe, l'azienda ceduta e quella cedente, siano state dichiarate insolventi, per quanto attiene il tema dei passivi, l'azienda cedente è solidale con quella ceduta nel passivo. Inoltre chiede un «coordinamento» dei bandi di vendita separati per ottimizzare il disegno industriale pur mantenendo le società e le procedure separate;
il 3 maggio il Presidente della Repubblica firma il decreto-legge;
il cosiddetto «decreto sviluppo» è in questi giorni in discussione alla Camera e sarà approvato, con il voto di fiducia, il giorno 22 giugno 2011;
a questa data non è ancora uscito il bando, nonostante siano state ricevute manifestazioni di interesse plurime sia sua Eutelia che su Agile e due cordate abbiano anche manifestato interesse in modo ordinato sulle due procedure con un chiaro piano industriale;
la regione Toscana, la Provincia di Arezzo, il Comune di Arezzo, la Camera di commercio di Arezzo, CGIL, CISL e UIL di Arezzo, hanno manifestato al Ministero dello sviluppo economico la preoccupazione del protrarsi di tale situazione di stallo e la conseguente richiesta di accelerare l'uscita del bando stesso;
è stata approvata all'unanimità dalla Commissione lavoro della Camera una risoluzione (7-00569) che impegna il Governo, tra l'altro, «a valutare le proposte di piano industriale presentate dalle rappresentanze sindacali unitarie della società ex Eutelia-Agile come elemento utile nell'affrontare i problemi attuali delle due società (...)»;
da giugno 2010 al giugno 2011 il fatturato mensile di Eutelia è sceso da 13,5 milioni di euro al mese ad 8 milioni di euro al mese e la società che ha prodotto cassa in ogni mese dell'ultimo anno sta cominciando ad assorbire cassa;
il coordinamento nazionale delle RSU e delle organizzazioni sindacali FIM, FIOM, UILM, hanno proclamato per il giorno 15 lo sciopero di 8 ore per tutto il personale di Agile-Eutelia esprimendo seria preoccupazione per il futuro occupazionale e chiedendo la velocizzazione dell'iter burocratico di emissione del bando;
il Ministro ha manifestato l'intento di dare avvio la bando di gara solo quando il decreto-legge sarà definitivamente convertito in legge e ciò dovrà avvenire entro il 13 luglio 2011 -:
se il Ministero sia intenzionato ad elaborare il bando di gara in modo tale da poterlo rapidamente emettere dopo l'approvazione definitiva del cosiddetto «decreto sviluppo» e cioè nei giorni immediatamente successivi al 13 luglio 2011.
(5-04926)

CROSIO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
da oltre una settimana i cittadini della provincia di Sondrio, in particolare della Valchiavenna, sono vittime di gravi disservizi da parte della compagnia telefonica Telecom Italia, in riferimento ai mal funzionamenti o addirittura all'isolamento completo delle linee telefoniche e delle linee Adsl, che stanno causando gravi disagi a tutta la cittadinanza;
le richieste degli utenti agli sportelli telefonici della compagnia Telecom per avere spiegazioni sulle cause del guasto e soprattutto per chiedere un immediato intervento, hanno avuto risposte poco chiare, lasciando i cittadini nell'incertezza dei tempi di ripristino;
gli imprenditori, i commercianti e le piccole e grandi aziende presenti sui territori coinvolti da questo disservizio, che utilizzano telefono, fax e internet come strumenti base per il proprio lavoro, indispensabili per lo svolgimento della regolare attività, vengono danneggiati dalla situazione che si protrae da una settimana sia in termini di immagine con i propri fornitori e clienti, sia in termini economici;

la società Telecom è incaricata, ai sensi dell'articolo 58, comma 3, del decreto legislativo 259 del 2003, «Codice delle Comunicazioni elettroniche» di fornire il servizio universale telefonico su tutto il territorio nazionale;
ai sensi dell'articolo 61, comma 4, del medesimo codice, nell'ambito della direttiva per la qualità e le carte dei servizi di telefonia vocale fissa e per il servizio universale (delibera 49/09/CSP), l'autorità ha fissato i valori obiettivo, ossia gli standard generali degli indicatori di qualità del servizio universale per la telefonia vocale fissa, che l'impresa designata, attualmente Telecom Italia, si deve impegnare a raggiungere;
tra gli obiettivi di qualità è espressamente indicato, fra gli altri, il tempo di riparazione dei malfunzionamenti che non deve superare le 48 ore;
gli utenti lamentano una notevole discordanza fra gli standard imposti alla compagnia telefonica e quelli effettivamente applicati, ritenendo ingiusto il pagamento del canone a fronte di un mancato servizio da parte di Telecom Italia, anche perché il canone è finalizzato a mantenere ed ammodernare la linea telefonica;
la società Telecom Italia, ai sensi dell'articolo 14-bis della legge n. 223 del 2006, ha presentato all'Autorità garante per le comunicazioni degli impegni in cui indica, fra gli obiettivi, quello di soddisfare i clienti finali attraverso concreti interventi per lo sviluppo e il miglioramento della qualità della rete e dei servizi -:
quali azioni il Ministro, per quanto di sua competenza, intenda intraprendere al fine di tutelare i diritti degli cittadini utenti della zona della Valchiavenna, che hanno subito e continuano a subire disagi nella propria vita personale e professionale a causa dei disservizi imputabili alla compagnia Telecom Italia;
se il Ministro sia in possesso della documentazione relativa al rispetto degli impegni assunti dalla compagnia telefonica Telecom Italia nei confronti dello Stato come fornitore di servizio universale telefonico e nei confronti degli utenti consumatori, e se non ritenga opportuno divulgare i dati relativi all'effettivo utilizzo delle risorse economiche derivanti dal canone mensile per gli interventi di mantenimento e ammodernamento della linea telefonica.
(5-04928)

CROSIO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
gli uffici postali di tutta Italia, negli ultimi giorni, sono rimasti bloccati per intere ore a causa di gravissimi disservizi imputabili al mal funzionamento del nuovo software installato dall'azienda, rendendo impossibile espletare le normali operazioni postali e privando quindi i cittadini, nei fatti, di uno dei diritti pubblici essenziali;
il guasto al sistema informatico ha reso impossibile ritirare le pensioni, spedire e ricevere raccomandate urgenti, pagare bollettini e multe nei termini di scadenza, causando quindi, oltre a malumori e proteste, anche danni economici ai cittadini;
quanto accaduto negli ultimi giorni si discosta notevolmente da quanto si legge sul sito di Poste italiane, in cui la società si vanta di aver elevato in breve tempo e in maniera significativa gli standard di efficienza, e di aver incontrato il crescente apprezzamento dei clienti e si discosta altrettanto notevolmente dagli obiettivi di qualità espressi con chiarezza nel contratto di servizio stipulato con il Ministero;
il decreto legislativo n. 261 del 1999, adottato in attuazione della direttiva 97/67/CE, che stabilisce regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio, riconosce carattere di attività di preminente interesse generale alla fornitura dei servizi postali, nonché alla realizzazione ed all'esercizio della rete postale pubblica;

Poste italiane s.p.a. è una società di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze, che ha il compito di assicurare la fornitura, su tutto il territorio nazionale delle prestazioni comprese nel servizio universale, pena una multa fino a 1.500.000 di euro, come previsto dall'articolo 13 dell'attuale contratto di programma -:
quali azioni il Ministro intenda intraprendere per far sì che gli utenti vittime dei gravi disservizi postali di questi giorni, che hanno visto negato il proprio diritto ad usufruire di un servizio di preminente interesse generale, come stabilito dal decreto legislativo n. 261 del 1999, non subiscano danni anche in termini economici a causa dei ritardati pagamenti di bollettini postali, prevedendo adeguate forme di ristoro per i cittadini che non i abbiano potuto onorare le scadenze.
(5-04930)

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Apposizione di una firma ad una interrogazione.

L'interrogazione a risposta scritta Barbaro n. 4-11453, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Concia.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Marco Carra n. 5-04368 del 9 marzo 2011 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12388.

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ERRATA CORRIGE

Risoluzione in Commissione Torazzi n. 7-00606 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 486 del 15 giugno 2011. Alla pagina 22496, seconda colonna, dalla riga diciassettesima alla riga diciannovesima deve leggersi: «nella cosiddetta legge "Parmalat" (decreto-legge n. 34 del 2011, convertito dalla legge n. 75 del 2011)», e non «nella cosiddetta legge "Parmalat" (decreto-legge n. 26 del 2011, convertito dalla legge n. 26 del 2011)», come stampato.

Interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco e altri n. 4-12343 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 487 del 16 giugno 2011. Alla pagina 22544, prima colonna, alla riga trentaseiesima, deve leggersi: «La Nuova Sardegna appaiono in linea con» e non «L'Unione Sarda appaiono in linea con» come stampato.