XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 30 maggio 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:

La Camera,
premesso che:
la vicenda degli aumenti fuori misura delle tariffe per i collegamenti marittimi è diventata una vera e propria emergenza per la Sardegna;
a seguito della procedura di privatizzazione della società Tirrenia, tuttora in corso e in via di definizione, è divenuta carente l'attività commerciale che la stessa svolgeva con la Sardegna; gli effetti sono rilevanti con ritardi nelle prenotazioni estive, la cancellazione di alcune linee di collegamento e, appunto, l'aumento indiscriminato delle tariffe - con rincari dal 50 per cento al 120 per cento - da parte delle altre compagnie a scapito dei residenti in Sardegna, del trasporto merci e della mobilità turistica con grave danno per l'economia della Sardegna;
in particolare, la società Tirrenia ha in parte interrotto e in parte ridotto le linee del nord Sardegna per Genova, consentendo, di fatto, di conquistare una posizione di vantaggio competitivo a diversi vettori tale da consentire, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, alle stesse società di effettuare una sorta di «cartello sulle tariffe» e di consolidare una posizione dominante dannosa per la crescita dell'economia turistica e commerciale della Sardegna;
in relazione all'aumento delle tariffe ha inciso in maniera determinante la decisione del Governo di autorizzare nel 2009 la società Tirrenia a svolgere in regime di libero mercato, quindi senza limiti tariffari, durante la stagione estiva le tratte più redditizie tra cui Civitavecchia-Olbia e Genova-Porto Torres, creando così i presupposti per scardinare il sistema tariffario fino ad allora calmierato proprio dalle tariffe applicate dalla Tirrenia;
il ciclo di audizioni programmato dalla IX Commissione della Camera dei deputati - già avviate nella prima settimana di maggio 2011 - con le compagnie private che effettuano il servizio di trasporto marittimo e con il commissario della società Tirrenia hanno rafforzato l'ipotesi che ci si trovi di fronte ad una sorta di «cartello delle tariffe» fra le compagnie;
su tale cartello che, con ogni probabilità, è stata favorito dalle carenze di trasporto della società Tirrenia, è opportuno che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato e le autorità competenti effettuino i dovuti approfondimenti in quanto i rialzi dei costi delle materie prime energetiche e dei servizi nautici, indicati come giustificazione degli aumenti dalle compagnie di trasporto private, in realtà sono insufficienti a motivare tali incrementi tariffari;
dietro quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare «l'operazione cartello» delle compagnie private che effettuano il trasporto marittimo si individua, inoltre, una linea di interesse che punta direttamente all'acquisizione della società Tirrenia a prezzi di favore; la compagnia pubblica ha per decenni calmierato le tariffe; ora è in amministrazione straordinaria per essere liquidata; il suo valore è notevole, si parla di circa un miliardo di euro, ma il Governo ha ricevuto una offerta per 380 milioni di euro proprio dagli armatori che hanno raddoppiato le tariffe; nel caso in cui la Tirrenia venisse incorporata nei gruppi concorrenti che oggi guidano l'incremento delle tariffe, queste ultime continuerebbero ancora a crescere forti del fatto che si varrebbe a costituire di fatto una situazione di monopolio del trasporto marittimo per la Sardegna;
infatti, se le operazioni di acquisizione degli armatori privati del gruppo SNAV, MSC e Moby dovessero andare in porto, essi si troverebbero senza dubbio in una posizione di privilegio tale che le «operazioni di cartello» viste in questo

periodo si consoliderebbero a scapito dei diritti dei cittadini residenti e soprattutto a scapito dell'economia turistica e commerciale della regione;
come denunciato dall'amministrazione provinciale di Cagliari in un incontro sulla questione il 30 aprile 2011 «il rilevante aumento delle tariffe registrato dall'inizio dell'anno sta generando una situazione di grave pregiudizio per tutti i cittadini residenti in Sardegna, ma non solo, nonché per il sistema economico e turistico dell'Isola. Il rincaro applicato dalle compagnie di navigazione e le incertezze sulla privatizzazione della Tirrenia si riflettono negativamente sulla possibilità che i cittadini sardi possano spostarsi sul territorio nazionale con pari opportunità e servizi soddisfacenti, a costi sostenibili. La grave situazione venutasi così a creare sta inoltre condizionando negativamente l'economia dell'Isola, in particolare quella turistica, tanto più in prossimità della stagione estiva»;
è urgente, quindi, porre rimedio alla situazione che si è concretizzata nel trasporto marittimo per la Sardegna al fine di evitare un altro duro colpo all'economia dell'isola di cui il turismo rappresenta una componente considerevole; gli operatori del settore ricettivo alberghiero già denunciano un crollo del 35 per cento delle prenotazioni per la prossima stagione estiva a seguito dei rincari delle tariffe dei traghetti;
il Governo deve intervenire sulla vicenda in maniera più puntuale rispetto a quanto fatto fino ad ora, sopratutto per quel che riguarda gli oneri di servizio che la società Tirrenia, nonostante la gestione commissariale, deve ancora svolgere in relazione alla garanzia della tutela della continuità territoriale così come disposto dalle convenzioni ancora in essere ai sensi dell'articolo 19-ter del decreto-legge n. 135 del 2009;
per contrastare l'aumento eccessivo dei costi dei traghetti la regione Sardegna ha deciso di noleggiare alcune navi, attraverso la controllata Saremar, per garantire già dalla prossima estate collegamenti marittimi con l'isola a prezzi concorrenziali. Tale soluzione comunque non affronta la questione nell'ottica politica di lungo termine e non sembra risolvere, nemmeno, il problema attuale della Sardegna in quanto gli elevati costi del trasporto marittimo consentono alla flotta regionale di effettuare collegamenti solo con la parte nord della regione, garantendo solo le tratte Olbia-Civitavecchia e Genova-Porto Torres;
nel frattempo, il Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato il commissario per la gestione della società Tirrenia in amministrazione straordinaria ad accettare l'offerta della Compagnia italiana di navigazione (CIN) che riunisce i principali operatori del settore che sono gli stessi armatori che hanno raddoppiato le tariffe dei traghetti sulle tratte da e per la Sardegna. Con l'autorizzazione si avvia la fase conclusiva del processo di privatizzazione della società di navigazione che prevede, tra l'altro, l'autorizzazione preventiva al closing da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato,


impegna il Governo:


a fare in modo che, nell'attuale fase di vera e profonda emergenza, la compagnia di navigazione Tirrenia svolga pienamente la propria missione pubblica di garanzia dei collegamenti marittimi, assicurando la continuità territoriale, ai residenti e ai non residenti, e la naturale funzione di calmiere delle tariffe;
a promuovere la definizione di un quadro normativo che, in accordo con l'Unione europea e nel rispetto delle prerogative della regione Sardegna, risolva in maniera definitiva la continuità territoriale marittima con la Sardegna, così come avvenuto nel settore del trasporto aereo;
a fornire con urgenza elementi al Parlamento sulle procedure di privatizzazione in atto relative alla società Tirrenia spa e a chiarire le motivazioni che non hanno consentito alla Tirrenia spa di dare

corretta attuazione agli obblighi previsti dal contratto di servizio per garantire la continuità territoriale;
a valutare l'opportunità, anche alla luce della situazione fino ad ora illustrata, di assumere iniziative per istituire in tempi brevi una autorità indipendente per il settore dei trasporti con compiti di regolamentazione del mercato di riferimento.
(1-00642)
«Meta, Calvisi, Fadda, Marrocu, Melis, Arturo Mario Luigi Parisi, Pes, Schirru, Soro, Tullo, Velo, Lovelli».

Risoluzioni in Commissione:

La VII Commissione,
premesso che:
nel 2015 si svolgeranno i mondiali di canottaggio;
da diversi anni, la provincia di Varese è protagonista di numerose e importanti manifestazioni remiere nazionali e internazionali: il Campionato italiano assoluto del 2008, il Festival dei giovani del 2009, il Meeting nazionale del 2010, la Coupe de la Jeunesse del 2007-2009 e 2010, la Gara nazionale Svizzera del 2009 e 2010;
significative sono state anche le numerose regate interregionali e regionali (nel 2010 alla gara regionale di Varese hanno partecipato 1.200 atleti, raggiungendo di fatto i numeri richiesti in una gara di livello nazionale);
alla luce dei summenzionati successi agonistici, la società canottieri di Varese ha costituito il Comitato organizzatore dei campionati internazionali 2011-2015, con l'obiettivo di concentrarsi maggiormente sui cosiddetti «grandi eventi del remo», gli europei e i mondiali di master, già assegnati, avanzando la candidatura di Varese per i mondiali di canottaggio 2015;
si tratta di un'iniziativa sostenuta dai più alti livelli provinciali istituzionali, che partecipano attivamente al «progetto di sviluppo del remo nella provincia di Varese», segno eloquente di sinergia territoriale;
il lago di Varese rappresenta un bacino ammirato e invidiato in tutto il mondo: la Canottieri Varese è difatti il secondo centro d'allenamento per importanza della Nazionale italiana di canottaggio e la sede estera dei ritiri dei team inglese e svizzero;
nel 2015 si svolgerà a Milano l'Expo 2015, manifestazione che potrebbe avere notevoli sinergie con i mondiali di canottaggio a Varese;
il club di canottaggio di Varese ha realizzato il campo-gara della Schiranna secondo i criteri stabiliti dalla FISA (Federazione internazionale), quindi in grado di ospitare qualsiasi grande evento internazionale, quale un «percorso olimpico»;
al contempo, il club dei Canottieri di Gavirate è in grado di sviluppare un campo-gara di mille metri, atto ad ospitare tutti i maggiori eventi internazionali delle categorie master e adaptive;
il canottaggio è molto più di una esperienza fisica, poiché invita al rispetto per la natura;
il predetto «progetto di sviluppo del remo nella provincia di Varese» diventerebbe il trampolino di lancio per preservare il bacino del lago di Varese dall'inquinamento, aumentando, in un momento caratterizzato dalla crisi economica, le ricadute socio-economiche e turistiche della zona,


impegna il Governo


alla luce di quanto espresso in premessa, a sostenere ogni iniziativa anche normativa, affinché la candidatura della provincia di Varese ai mondiali di canottaggio del 2015 possa avere esito favorevole.
(7-00593)
«Goisis, Reguzzoni, Giancarlo Giorgetti, Cavallotto, Rivolta, Grimoldi».

La VIII Commissione,
premesso che:
lo scorso 11 maggio le principali organizzazioni imprenditoriali hanno promosso una giornata di verifica (Click Day) sull'effettivo funzionamento del sistema informatico SISTRI per la tracciabilità dei rifiuti, che sarà obbligatorio dal prossimo 1o giugno, a seguito delle numerose segnalazioni di inaccessibilità alle procedure informatiche;
il 90 per cento delle imprese ha denunciato disfunzioni di ogni genere, tra cui l'inutilizzabilità dei dispositivi informatici forniti dal Ministero, l'impossibilità di accedere al sistema e portare a termine le operazioni, le continue interruzioni dei collegamenti e l'inaccessibilità ai call center;
tale test di verifica non ha fatto altro che evidenziare tutte le criticità di un sistema non sufficientemente collaudato, già da tempo messe in luce dalle organizzazioni di categoria e dalle stesse aziende;
a destare preoccupazione è soprattutto l'approssimarsi dell'obbligatorietà del sistema, data oltre la quale le aziende inadempienti subiranno pesanti sanzioni per violazioni che, da quanto emerso finora, non possono essere imputabili alla loro volontà;
si rileva l'anomalia del pagamento da parte delle imprese dei contributi di iscrizione, per il periodo 2010-2011, per uno strumento inutilizzabile;
lo scopo per il quale è stato concepito il SISTRI, è stato recepito dal sistema produttivo, tuttavia, appare evidente che, alla luce delle numerose segnalazioni di malfunzionamento, tale sistema debba essere assolutamente revisionato e reso efficiente, in modo che le aziende possano adempiere ai loro obblighi, senza onerose e infruttuose attese causate dall'attuale inadeguata procedura;
si rende pertanto necessaria una profonda e generale revisione del sistema con il rinvio di un anno della sua entrata in vigore,


impegna il Governo


ad assumere un'iniziativa urgente anche normativa di sospensione per un anno dell'entrata in vigore del SISTRI che dal prossimo 1o giugno comporterebbe pesanti sanzioni alle imprese risultate inadempienti, sospensione finalizzata alla completa revisione delle procedure informatiche al fine di renderle efficienti e adeguate alle esigenze delle imprese.
(7-00591)«Dionisi, Libè, Delfino».

La IX Commissione,
premesso che:
il regolamento di attuazione del codice della strada di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, stabilisce, agli articoli dal 9 al 20, una serie di disposizioni finalizzate a regolamentare il trasporto eccezionale, ossia il trasporto di merci su strada, che eccede i limiti di sagoma o di massa dettati rispettivamente dagli articoli 61 e 62 del codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285;
le norme sono evidentemente dettate prevalentemente dall'esigenza di contemperare la necessità di trasportare beni di straordinarie forma e dimensioni con quella di garantire la massima sicurezza delle sedi stradali interessate, nonché di ridurre al minimo i disagi e i problemi per la circolazione;
l'attuale formulazione risulta però caratterizzata da un'eccessiva rigidità, creando inutili problemi e difficoltà agli operatori del settore, attraverso procedure autorizzative complesse e farraginose, che - senza produrre alcun vantaggio su sicurezza e scorrevolezza delle strade - moltiplicano senza ragione gli adempimenti burocratici;
il settore dei veicoli eccezionali e dei veicoli adibiti al trasporto eccezionale svolge un ruolo fondamentale per il sistema produttivo e logistico del nostro Paese, mentre sembra che il legislatore

non ne tenga adeguatamente conto; il fatturato del settore ammonta a circa 3 miliardi di euro e garantisce l'occupazione per settemila addetti, con la presenza di un parco veicolare di oltre seimila mezzi;
attualmente il sistema amministrativo e burocratico penalizza incomprensibilmente il settore e la frammentazione delle competenze e dei controlli tra enti e organismi, pubblici e privati, costituisce un vero e proprio freno allo svolgimento dell'attività degli operatori;
il nostro Paese rischia di perdere competitività rispetto al resto dell'Europa, soprattutto se si tiene conto che negli altri Paesi, come la Francia, vi è una totale sintonia tra il sistema burocratico e amministrativo e le associazioni di categoria, con snellimenti delle procedure e durata e flessibilità delle autorizzazioni di gran lunga più appropriate,


impegna il Governo:


a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a modificare il regolamento di attuazione del codice della strada con l'obiettivo di semplificare il quadro prescrittivo, senza alterare l'efficacia in tema di sicurezza e governo dei flussi di percorrenza, effettuando i seguenti interventi:
a) introdurre una maggiore elasticità per le autorizzazione di carattere periodico di cui all'articolo 13, per le autorizzazioni multiple e per le autorizzazioni singole;
b) in particolare, per quanto concerne l'autorizzazione periodica, eliminare i limiti previsti dalle lettere c) e d) del comma 2 dell'articolo 13 e renderla possibile anche qualora sia necessaria la scorta tecnica; aumentare la larghezza massima dei veicoli che percorrono le strade di tipo B a 2,55 metri; eliminare il divieto di rilascio per alcune categorie di veicoli sulle strade di tipo A;
c) riformulare le procedure relative alle domande di autorizzazione di cui all'articolo 14; semplificando le modalità di presentazione ed introducendo la possibilità della trasmissione, per via telematica e rendendo più razionale il sistema;
d) snellire i meccanismi per il rinnovo e la proroga delle autorizzazioni, di cui all'articolo 15 del regolamento;
e) rivedere l'iter per il rilascio del provvedimento di autorizzazione di cui all'articolo 16, tenendo conto delle criticità riscontrate fino ad ora;
f) innalzare il periodo massimo di durata dalle autorizzazioni di cui all'articolo 17 del regolamento;
g) prevedere l'uniformazione per tutto il territorio nazionale degli oneri di indennizzo relativi alle autorizzazioni;
ad intraprendere, per una più attenta valutazione delle problematiche, una fruttuosa interlocuzione con i rappresentanti delle associazioni di categoria.
(7-00594)
«Velo, Meta, Boffa, Bonavitacola, Cardinale, Fiano, Gasbarra, Gentiloni Silveri, Ginefra, Laratta, Lovelli, Pierdomenico Martino, Giorgio Merlo, Tullo».

La XIII Commissione,
premesso che:
le produzioni agroalimentari designate da Dop e Igp costituiscono una parte rilevante dell'economia agricola nazionale;
con un fatturato alla produzione che supera dieci miliardi di euro all'anno, cifra che nel mercato al consumo supera anche il doppio di tale valore, il settore rappresenta oltre il 10 per cento del Pil alimentare su base nazionale;
aspetti rilevanti del settore dei prodotti agroalimentari a designazione Dop e Igp sono da riferire anche e soprattutto al mondo dell'occupazione, evidenziando come già le sole produzioni di Grana Padano Dop e Parmigiano Reggiano Dop forniscono occupazione diretta ad oltre 50

mila famiglie, tralasciando l'indotto che viene generato sul territorio di appartenenza delle relative denominazioni;
appare ad ogni modo opportuno specificare, altresì, che anche le produzioni economicamente meno rilevanti da un punto di vista occupazionale rivestono un'importanza strategica per le economie agricole locali. In tal senso valga l'esempio di alcune produzioni come il pomodoro Pachino Igp, il radicchio rosso di Treviso Igp, il pane di Altamura Dop, l'aceto balsamico di Modena Igp, il lardo di Colonnata Dop e l'oliva bella della Daunia Dop, che hanno riflessi positivi anche da un punto di vista turistico;
dagli ultimi dati elaborati dall'Aicig (associazione italiana consorzi indicazioni geografiche), risulta che gli operatori dediti al settore delle Dop e delle Igp, ammontano a 82.120 unità, con un incremento di 1.686 (+ 2,1 per cento) rispetto al 2008: il 92,6 per cento di questi svolge esclusivamente attività di produzione, il 5,7 per cento solo trasformazione e il restante 1,7 per cento effettua entrambe le attività. Nel confronto con l'anno precedente si registra un aumento sia dei produttori (+ 1.464 aziende agricole, + 1,9 per cento), sia dei trasformatori (+ 253 unità, pari a + 4,3 per cento);
le aziende coltivano una superficie di 138.900 ettari (+ 6.650 ettari, con un aumento del 5 per cento rispetto al 2008), le cui produzioni vegetali formano, tal quali o trasformate, 107 specialità a Dop e Igp attive. Tali aziende gestiscono, inoltre, 47.291 allevamenti (+ 1.001 strutture, + 2,2 per cento), le cui produzioni animali, sempre tal quali o trasformate, costituiscono (esclusa la mozzarella STG che viene elaborata e certificata solo presso i trasformatori), altri 72 prodotti di qualità attivi;
i produttori sono più numerosi nei settori dei formaggi (32.749 aziende, che gestiscono 36.250 allevamenti), degli olii extravergine di oliva (18.708 unità, che coltivano 92.981 ettari) e degli ortofrutticoli e cereali (15.776 aziende, con 45.315 ettari);
i trasformatori gestiscono 9.396 impianti (+ 353 strutture, + 3,9 per cento sul 2008) e sono presenti in prevalenza nella lavorazione dei formaggi, degli olii extravergine di oliva e delle carni, settori che registrano, rispettivamente, 1.695, 1.537 e 866 imprese di trasformazione;
a livello territoriale emergono segnali di un progressivo rafforzamento dei prodotti di qualità nelle regioni meridionali, sebbene gli operatori e le strutture produttive risultino storicamente radicati soprattutto nel Nord del Paese;
la predetta Aicig è molto impegnata in favore della promozione e del rafforzamento delle produzioni a Dop e Igp ed ha avviato specifiche iniziative di discussione anche in sede comunitaria, affrontando, in particolare, le seguenti istanze:
a) una migliore e più completa definizione del ruolo dei consorzi di tutela a livello comunitario. In questo campo si sottolinea come le realtà consortili costituiscono un anello fondamentale per il corretto sviluppo delle denominazioni di origine e necessitano di una definizione più adeguata anche sul territorio comunitario. Simili realtà si trovano anche in altri Paesi e la stessa Commissione sembra condividere tale richiesta;
b) la possibilità per i consorzi di tutela di regolamentare i volumi produttivi in relazione alle diverse esigenze del mercato ed al fine di evitare pericolose speculazioni sul mercato a danno di produttori e consumatori finali. In tal senso sarebbe infatti opportuno individuare un sistema in grado di permettere ai consorzi di regolamentare i volumi produttivi al fine di trovare il giusto equilibrio tra domanda e offerta;
c) la regolamentazione dell'uso dei prodotti a Dop e Igp come ingredienti e nella presentazione di prodotti agroalimentari. In tale ambito appare necessario avere disposizioni chiare sull'intero territorio comunitario (in Italia la fattispecie è regolamentata già dal 2004 tramite il decreto legislativo n. 297 del 2004), in merito

all'utilizzazione delle denominazioni d'origine e delle indicazioni geografiche nella presentazione di prodotti elaborati e trasformati al fine di offrire le necessarie garanzie al consumatore finale ed evitare indebiti sfruttamenti delle denominazioni;
d) l'introduzione di una specifica disposizione legata alla protezione d'ufficio su tutto il territorio comunitario delle produzioni a Dop e Igp. Quest'ultimo aspetto riguarda la tutela delle denominazioni sul territorio comunitario, premendo sottolineare come l'attuale sistema non fornisca adeguata protezione delle denominazioni sull'intero territorio dell'Unione;
i costi delle azioni legali cui devono fare fronte i consorzi per garantire una adeguata protezione alle produzioni che tutelano sono sproporzionati (spesso addirittura ingestibili per le realtà agricole più piccole);
è necessario istituire un sistema di misure di rango comunitario che permetta alle associazioni di produttori cui fanno capo le produzioni a Dop e Igp di potere effettuare azioni di tutela in maniera semplice ed efficace senza avere spese legali assolutamente ingiustificate. Per tale scopo ciascuno Stato membro dovrebbe individuare un soggetto di riferimento a livello nazionale competente per la gestione delle usurpazioni e delle contraffazioni delle Dop e delle Igp;
in un'ottica di disciplina comunitaria, la Commissione europea dovrebbe definire determinati strumenti di segnalazione (anche online) omogenei sull'intero territorio a disposizione di associazioni e produttori;
appare necessario sottolineare che le predette istanze rappresentano un requisito minimo ed inderogabile per garantire un concreto profilo di garanzia per i produttori e per i consumatori nell'ambito del regime di protezione definito dal regime delle Dop e delle Igp e in caso esse non fossero prese in debita considerazione da parte della Commissione dell'Unione europea, si potrebbe correre il rischio di mettere in discussione l'intero sistema comunitario di protezione Dop e Igp, in quanto non più adeguatamente commisurato con le esigenze dei produttori italiani (che in termini economici rappresentano ben oltre il 50 per cento dell'intera produzione Dop e Igp europea),


impegna il Governo:


ad intraprendere le opportune iniziative in sede europea affinché siano supportate le richieste avanzate dalle organizzazioni rappresentative delle produzioni a Dop e Igp, segnatamente dall'Aicig, in tal senso sostenendo nelle pertinenti sedi dell'Unione, le istanze descritte in premessa.
(7-00592)
«Rainieri, Negro».

TESTO AGGIORNATO AL 7 GIUGNO 2011

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
l'enorme debito pubblico rende l'Italia un osservato speciale delle agenzie di rating e delle organizzazioni internazionali. È proprio per il persistere dell'elevato debito pubblico (il quarto del mondo dopo Stati Uniti, Giappone e Germania) che Standard and Poor's, una della tre grandi agenzie di rating, ha abbassato da «stabile» a «negativo» il suo parere sulle prospettive future di buon pagatore dello Stato italiano. Vuol dire che, secondo gli analisti di S&P, la Repubblica italiana non è già oggi meno affidabile come prenditore a prestito, ma potrebbe diventarlo da qui a due anni;

dopo pochi giorni sono venuti toni più rassicuranti da parte delle altre due grandi agenzie di rating. A differenza di S&P, sia Pitch sia Moody's sembrano riconoscere al Governo italiano un'immutata capacità di tenere sotto controllo la dinamica dei conti pubblici nazionali. Tuttavia con mercati finanziari innervositi dalla spada di Damocle del default greco il parere anche di una sola agenzia di rating ha comunque pesato. Alla riapertura dei mercati, il differenziale di rendimento tra i titoli del debito a dieci anni dell'Italia rispetto ai titoli tedeschi con la stessa scadenza ha raggiunto un massimo di 187 punti base, arrivando cioè ai massimi da inizio 2011. E Piazza Affari ha perso quasi tre punti e mezzo, uno e mezzo in più delle altre borse europee;
il perché le agenzie di rating abbiano opinioni diverse è presto detto. «Non vediamo al momento alcuno modifica dell'outlook o del rating sovrano dell'Italia» ha detto a Reuters l'analista di Pitch David Riley. Fitch (e Moody's) non vedono nessuna notizia, dunque. Il Governo italiano ha riconfermato i suoi impegni in tutte le sedi e il suo piano di risanamento ha ricevuto il semaforo verde da Fondo monetario e Commissione europea;
S&P si preoccupa del domani. L'agenzia ha spiegato in una nota che ritiene «deboli le attuali prospettive di crescita dell'Italia» e «incerto l'impegno politico nelle riforme tese a migliorare la produttività»;
la prima preoccupazione di S&P è ben esemplificata nelle oltre 430 pagine del «Rapporto 2011 sulla situazione del paese» presentato dal presidente dell'Istat, Enrico Giovannini, a Montecitorio, per la prima volta arricchito di un'ampia analisi congiunturale, grazie all'innesto delle competenze dell'ora scomparso Isae all'interno dell'Istat;
nel rapporto sono documentate con precisione e in modo approfondito due conclusioni, note a tutti, ma ad avviso degli interpellanti non abbastanza comprese dalla politica. Primo, la crescita italiana degli ultimi dieci anni è stata la più deludente tra tutte le grandi economie dell'Unione europea - sia quelle coinvolte nella finanza creativa sia quelle che se ne sono tenute fuori come la Germania;
in secondo luogo, l'uscita dalla crisi è a macchia di leopardo con un numero limitato di grandi e medie imprese che vincono sui mercati esteri vicini e lontani e tante imprese e famiglie che arrancano e sperimentano nuove forme di difficoltà sociale ed economica, oppresse da uno Stato inefficiente e dalla globalizzazione. A meno che non cambi qualcosa, la crescita dell'economia italiana per i prossimi dieci anni assomiglierà a quella degli anni precedenti alla crisi, dunque sarà vicina all'uno per cento l'anno;
e qui viene la seconda preoccupazione degli analisti di S&P: le riforme di cui si parla da anni come urgenti (il fisco, l'amministrazione dello Stato, l'accesso alle professioni, il mercato del lavoro) potrebbero ridare fiato alla corsa dell'Italia globale ma, nell'attuale scenario politico, la loro approvazione è molto improbabile;
come ai tempi del pentapartito Dc-Psi-Pri-Psdi-Pli, è inevitabile che per tenere insieme governi di coalizione litigiosi la politica diventi l'arte del rinvio al futuro delle scelte difficili. Ma se le riforme - e i costi della loro attuazione - sono descritte come inutili sacrifici che sprecano consenso politico, non si avrà più alcuna speranza di crescita, non solo economica;
in un regime partitocratico come quello attuale, che senza soluzione di continuità ha connotato sia la prima che la seconda Repubblica, cresce lo Stato inefficiente e il treno della globalizzazione corre all'estero, sfiorando soltanto l'Italia;
stando così le cose, tutte le forze politiche, primo tra tutti il Governo, potrebbero prendere un impegno vincolante a presentare proposte che non aumentino il debito pubblico in nessun anno fiscale. Non è impensabile: l'articolo 81 della Costituzione italiana esiste già e, al suo

comma 4, dice: «Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte». E in fondo è proprio il rigore fiscale ai tempi di Amato, Ciampi, Dini e Prodi che ha portato l'Italia nell'Unione monetaria;
ma tutti i giorni si legge di questa o quella componente della maggioranza che vorrebbe «una svolta di politica economica». Parole usate spesso anche dai partiti dell'opposizione, che oscillano tra difesa della linea rigorista e ritorni di fiamma per le politiche keynesiane di deficit magari auspicando «una nuova politica industriale»;
il comportamento rischia di dare un pessimo esempio anche alle amministrazioni a livello locale. Letizia Moratti, ad esempio, per difendere la sua carica messa in bilico dall'esito del primo turno delle recenti elezioni amministrative, ha promesso la cancellazione delle multe o l'eliminazione dell'ecopass che lei stessa aveva introdotto come misura anti-smog, senza spiegare come coprirà i buchi di bilancio;
è solo tenendo la barra a dritta contro il deficit anche negli anni futuri, che le riforme possono sperare di entrare in modo più incisivo nell'agenda della politica e risolvere i problemi del paese, sfuggendo da affermazioni demagogiche, populiste e, in ultima istanza poco responsabili che tendono a sottolineare solo l'aspetto politicamente pagante e di parte delle politiche in atto e a far apparire le riforme come inutili sacrifici. Ed è solo l'abbandono di tali prassi che può far crescere il consenso per le riforme introducendo nel dibattito politico l'abitudine a parlare sempre dei due lati del bilancio pubblico: le entrate e le uscite. È un sentiero stretto, ma un paese con un debito pubblico pari a 118 punti di prodotto interno lordo non ne ha un altro da percorrere -:
se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e, nell'eventualità positiva, quali iniziative eque, efficaci ed efficienti intendano assumere per dare soluzione agli stessi ed evitare il default potenziale dei conti pubblici, quindi del sistema Paese.
(2-01098)
«Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti».

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

II Commissione:

PALOMBA e DI PIETRO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
nel corso della trasmissione Report, andata in onda domenica 15 maggio 2011 su RaiTre, è andato in onda un servizio che riguardava alcuni casi molto gravi di irregolarità commessi da giudici amministrativi nell'espletamento delle proprie funzioni;
sono stati denunciati la regolarità del concorso per l'accesso al Consiglio di Stato celebrato nell'anno 2006; il caso del Consigliere di Stato, invalido che partecipa alle maratone; il cosiddetto concorso delle mogli, presieduto dall'attuale presidente del Consiglio di Stato, Pasquale De Lise, e vinto dalle mogli del capo di gabinetto del Ministro Tremonti nonché allora membro dell'organo di autogoverno della giustizia amministrativa, Vincenzo Fortunato, e dalla moglie di un altro membro dell'organo di autogoverno della giustizia amministrativa, Salvatore Mezzacapo, i quali nella qualità di membri del CPGA, hanno nominato la commissione di concorso vinto dalle mogli;
il magistrato che ha avuto il coraggio di denunciare queste irregolarità, il dottor Alessio Liberati, è stato sottoposto a ben sei procedure disciplinari nel giro di pochissimo tempo;
con riferimento al concorso del 2006, il presidente del Consiglio di Stato ha esercitato le seguenti funzioni, nei confronti del dott. Liberati che ha sollevato la questione:
1) presidente della commissione del concorso impugnato;

2) presidente dell'organo che ha negato l'accesso a parte degli atti del concorso;
3) titolare dell'esercizio disciplinare verso chi ha diffuso gli atti che dimostravano la irregolarità del concorso;
4) parte processuale resistente nel giudizio intentato per l'accesso agli atti;
5) parte processuale resistente nel giudizio intentato per l'annullamento del concorso;
6) presidente dell'organo che giudicherà in ultimo grado sulla regolarità del concorso impugnato;
7) presidente dell'organo che giudicherà sulla procedura disciplinare in via amministrativa;
8) presidente dell'organo che giudicherà in sede giurisdizionale in caso di eventuale condanna disciplinare -:
quali iniziative urgenti ed indifferibili di carattere normativo intenda adottare il Governo per porre fine a quella che appare una sorta di «giurisdizione domestica» dei giudici amministrativi e a quello che secondo gli interroganti costituisce un evidente conflitto di interesse, che è peraltro già oggetto di ricorso innanzi alla Corte europea per i diritti dell'uomo.
(5-04831)

Interrogazione a risposta in Commissione:

MARTELLA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il 12 maggio 2011, il Ministro per i beni e le attività culturali, Giancarlo Galan, ha rilasciato alcune dichiarazioni con le quali ha definito «strada morta» quella del progetto in corso per il nuovo palazzo del cinema Venezia, annunciando così l'intenzione di mettere uno stop all'iter realizzativo;
contemporaneamente il suo consigliere, Franco Miracco, preannunciava il rilancio di nuove idee progettuali, senza tuttavia entrare nel dettaglio della questione -:
se il Governo sia a conoscenza di questi nuovi progetti per il palazzo del cinema di Venezia e quali siano nel dettaglio;
se esista un quadro economico preciso delle risorse già spese ed ancora a disposizione per il progetto;
se l'eventuale abbandono dell'iter attualmente in corso presenti dei costi o implichi un sottoutilizzo di risorse pubbliche.
(5-04822)

Interrogazioni a risposta scritta:

DI BIAGIO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
l'adozione internazionale è regolata in Italia dalla legge n. 183 del 1984 modificata dalla legge n. 476 del 1998 di «ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l'Aja, il 29 maggio 1993»;
tra gli scopi principali della Convenzione quello di stabilire delle garanzie affinché le adozioni internazionali si svolgano nel superiore interesse del minore e nel rispetto dei diritti fondamentali che gli sono riconosciuti dal diritto internazionale, quello di instaurare un sistema di cooperazione fra gli Stati contraenti, nonché quello di prevenire la sottrazione e la vendita di minori;

per la realizzazione di tali obiettivi, una delle maggiori garanzie poste dalla Convenzione a tutela dei minori è il cosiddetto principio di sussidiarietà, in virtù del quale l'adozione internazionale deve essere vista esclusivamente come estremo rimedio per l'accoglienza dei bambini privi di cure genitoriali. Essa va quindi di regola applicata soltanto laddove non esista nessun'altra possibilità per il minore senza famiglia di essere accolto nel proprio Paese;
con la ratifica della Convenzione de l'Aja del 1993 l'impegno degli Stati appare chiaro: «ogni Stato dovrebbe adottare, con criterio di priorità, misure appropriate per consentire la permanenza del minore nella famiglia d'origine», e ancora «l'adozione internazionale può offrire l'opportunità di dare una famiglia permanente a quei minori per i quali non può essere trovata una famiglia idonea nei loro Stati di origine»;
i Paesi che realizzano adozioni internazionali sono quindi tenuti a implementare progetti di cooperazione che consentano, da un lato, la prevenzione dell'abbandono minorile e, dall'altro, il suo superamento attraverso azioni che consentano il rafforzamento dei legami familiari e il rientro in famiglia oppure, in difetto, l'accoglienza dei minori in un ambiente familiare nel Paese di origine, attraverso l'affidamento o l'adozione nazionale;
l'obbligo di garantire il rispetto del principio di sussidiarietà non è posto solo a carico dei Paesi di origine di minori, ma anche di quelli cosiddetti «riceventi», come chiarito nel rapporto della Commissione speciale sul funzionamento e la pratica della Convenzione dell'Aja del 1993, redatto il 28 novembre-1o dicembre 2000 dall'ufficio permanente della Conferenza dell'Aja sul diritto internazionale privato;
il rapporto citato, anche con riferimento alla necessità di evitare che dell'adozione derivi ingiusto lucro per determinati soggetti, giunge alla seguente raccomandazione: «i Paesi riceventi sono chiamati a supportare le azioni svolte nei Paesi di origine per sviluppare i servizi nazionali di protezione dei minori, inclusi programmi per la prevenzione dell'abbandono»;
nella stessa Convenzione di New York del 1989 gli Stati parte nel preambolo hanno riconosciuto «l'importanza della cooperazione internazionale per il miglioramento delle condizioni di vita dei fanciulli di tutti i paesi, in particolare i paesi in via di sviluppo»;
già nella delibera del 26 novembre 1998, n. 180 del comitato direzionale presso il Ministero degli affari esteri, contenente le «Linee-guida della cooperazione italiana sulla tematica minorile», era indicata espressamente, tra le strategie d'intervento quella di «combattere il fenomeno della tratta e del mercato dei minori con attività di prevenzione anche in coordinamento con programmi di sostegno a distanza e dove necessario, con le cautele del caso, di adozione internazionale»;
dall'ultimo rapporto pubblicato dalla Commissione per le adozioni internazionali realizzata nel 2010, l'Italia risulta essere da alcuni anni il primo Paese per numero di minori adottati dalla Colombia; la Colombia è il secondo Paese di provenienza dei minori adottati nel 2010 da coppie residenti in Italia, con 592 minori corrispondenti al 14,33 per cento del totale;
tali dati confermano la centralità della Colombia per le adozioni realizzate dall'Italia, considerato che è stata a lungo il terzo Paese di provenienza con 444 minori nel 2009 (ovvero l'11,20 per cento del totale), 434 minori nel 2008 (il 10,9 per cento del totale) e con 1.529 minori nell'intero arco di tempo dal 2000 al 2006 (il 9,2 per cento del totale); nell'anno 2007 la Colombia si è collocata invece al secondo posto dopo la Federazione Russa con 380 minori adottati (11,1 per cento del totale);
stando a queste cifre, per rispettare il principio di sussidiarietà in Colombia il

Governo italiano avrebbe dovuto realizzare progetti per prevenire gli abbandoni minorili nel Paese, per sostenere con specifici programmi le famiglie di origine, per promuovere l'affidamento familiare e l'adozione a livello nazionale. Senza questi interventi, infatti, è evidente che l'adozione internazionale rimane l'unica alternativa;
malgrado ciò, la Colombia non figura tra le aree identificate dal Ministero degli affari esteri come prioritarie per la cooperazione italiana e l'Italia non investe alcuna risorsa in azioni e progetti di cooperazione in questa materia. Peraltro, già dopo gli anni '90 l'impegno italiano in Colombia è diminuito in maniera considerevole;
stando alle informazioni evidenziate, l'Italia non avrebbe intrapreso alcuna azione né strategia di cooperazione al fine di garantire il diritto alla famiglia in un Paese che da sempre è collocato ai primi posti per provenienza di minori in adozione internazionale;
stando alla mole di adozioni - circa 3.379 i minori colombiani adottati dal 2000 al 2010 da coppie italiane - sulla base del principio di sussidiarietà l'Italia avrebbe dovuto dapprima garantire ogni forma di sostegno ai minori nel loro Paese, prima di considerare l'adozione internazionale come unica soluzione applicabile -:
perché la Colombia non rientri tra le priorità geografiche della cooperazione italiana nonostante sia uno dei principali Paesi di origine dei minori adottati dalle famiglie italiane e l'Italia sia il primo Paese di accoglienza dei minori colombiani e perché, più in generale, sia così carente in Italia la destinazione di fondi specifici per la realizzazione di progetti di sussidiarietà per prevenire l'abbandono e garantire il diritto alla famiglia nei Paesi di origine dei minori adottati da coppie residenti in Italia.
(4-12111)

MONAI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nelle Valli del Natisone, area geografica del Friuli Venezia-Giulia confinaria con la Repubblica di Slovenia, è prevista la tutela ex legge n. 38 del 2000 della minoranza linguistica slovena;
nel comune di San Pietro al Natisone è stata così istituita l'unica scuola statale (materna, elementare e media di Io grado) in provincia di Udine con insegnamenti sia in lingua italiana che in lingua slovena, che registra una cospicua frequenza di scolari e studenti (nell'anno scolastico 2011/12 nella scuola primaria, ci sarà una classe in più nonostante la mancanza di spazi adeguati);
la scuola bilingue di San Pietro al Natisone è stata costretta ad abbandonare il proprio stabile, originariamente destinato ad istituto scolastico, per la rovina dell'edificio che la ospitava: dalla primavera del 2010 le classi sono state così spostate in altre sedi, provvisorie e precarie;
il progetto per la prevista ristrutturazione dell'immobile di viale Azzida a San Pietro al Natisone, sede originaria dell'istituto, non è ancora stato perfezionato e l'amministrazione comunale non può predisporre il piano d'intervento prima di avere l'assoluta certezza della disponibilità dei fondi necessari: la parte più cospicua di essi, pari a 1.092.000 euro, attende l'approvazione del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) e l'incertezza di questo contributo mette a rischio la permanenza anche dei finanziamenti impegnati dalle altre amministrazioni locali -:
se e quando il Governo, attraverso il CIPE, intenda concedere l'erogazione dei fondi necessari al fine di favorire la ristrutturazione del fabbricato destinato alla sede stabile della scuola bilingue di San Pietro al Natisone.
(4-12112)

ZACCHERA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
dal primo giugno 2011, in applicazione alle vigenti normative le imprese artigiane e gli imprenditori dovranno adottare il sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti SISTRI;

nel condividere l'iniziativa, tesa a portare ad una maggiore trasparenza nel settore del controllo dei rifiuti, si fa però presente che il sistema informatico attualmente non funziona in maniera accettabile e questa problematica ha portato ad una richiesta da parte delle categorie interessate per un rinvio dell'entrata in vigore della tracciabilità elettronica;
si fa presente che l'11 maggio 2011 si è svolta in tutta Italia una giornata di test sulla nuova procedura, il «SISTRI CLICK DAY» che però non ha portato a risultati confortanti sottolineando le difficoltà ed i mal funzionamenti del sistema;
«Rete Imprese Italia», di concerto con le associazioni di categoria ad iniziare da quelle artigiane, ha proposto una serie di norme di revisione dell'attuale sistema che potrebbero permettere un miglior funzionamento della tracciabilità venendo incontro agli inconvenienti che sono stati registrati;
è il Governo - preso atto delle problematiche in essere - intervenuto in termini di assoluta urgenza per sospendere tale normativa per un periodo di tempo tale da permettere di superare le anomalie riscontrate -:
se non intenda comunque monitorare attentamente la situazione al fine di evitare il ripetersi delle problematiche riportate in premessa.
(4-12118)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la Costituzione italiana recita all'articolo 11 «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»;
pertanto l'utilizzo di una forza armata nazionale è da intendersi a solo scopo di difesa;
poiché non ci sono motivi per temere un'aggressione da parte di Paesi europei o di altri continenti risulta evidente che l'esercito nazionale abbia una funzione solo di peacekeeping e sia destinato a missioni di salvaguardia dei diritti umani. Di conseguenza la dotazione di strumenti di attacco come i cacciabombardieri JSF-F35 e priva di motivazione;
il nostro Paese è impegnato in un progetto per la realizzazione di 2.700 cacciabombardieri Joint Strike Fighter F-35, sostenuto dagli Stati Uniti, a cui partecipano altri 8 Paesi: Regno Unito al primo livello, Italia ed Olanda al secondo livello, Turchia, Canada, Australia Norvegia e Danimarca al terzo livello. La ditta capo-commessa del progetto è l'americana Lockheed Martin Aero e l'azienda italiana maggiormente coinvolta è Alenia Aeronautica che partecipa allo sviluppo ed alla produzione second source dell'ala. Sono poi coinvolte in modo minore un'altra ventina di aziende del nostro comparto nazionale;
il costo complessivo di tale progetto è stimato in 250 miliardi di dollari, ma non è in alcun modo possibile fare stime sui costi finali reali, tanto che per un singolo aereo le recenti stime statunitensi (marzo 2010) parlano di un costo finale di acquisto di circa 110 milioni di dollari;
per la fase di produzione dell'aereo (successiva alla fase di progettazione già completata) l'Italia ha ipotizzato di impegnarsi all'acquisto di 131 cacciabombardieri Joint Strike fighter (JSF) al costo totale - solo per l'aereo senza armamenti - di oltre 12 miliardi di euro seguendo le ultime stime (cifra spalmata fino al 2026) ed alla realizzazione a Cameri (Novara) di un centro europeo di manutenzione al costo di 605,5 milioni di euro, da consegnare entro il 2012;
per la fase dello sviluppo e per quella di pre-industrializzazione l'Italia ha sottoscritto dei Memorandum of Understanding che la impegnano a destinare al progetto 158,2 milioni di dollari dal 2007 al 2011, ed altri 745 milioni di dollari dal 2012 al 2046;

dal punto di vista puramente strategico è difficile comprendere quali siano le motivazioni per l'acquisto di un cacciabombardiere di quarta generazione: le nostre attuali missioni militari all'estero hanno una caratteristica prevalentemente di peacekeeping, dove fondamentale deve essere la figura umana mentre risulta totalmente inutile, oltre che contraria al nostro dettato costituzionale, la presenza di cacciabombardieri. La possibile giustificazione della deterrenza ai fini difensivi non regge poiché occorre ricordare che l'Italia sta già acquistando il caccia Eurofighter EFA più adatto a compiti da intercettore e di difesa da attacchi aerei;
anche gli Stati Uniti, con la nuova presidenza di Barack Obama, hanno deciso di effettuare importanti tagli sui sistemi d'arma considerati sovradimensionati ed inutili nelle nuove prospettive strategiche per investire sulla componente umana;
diverse voci ufficiali dei Paesi partecipanti al progetto (la Corte dei conti olandese e lo U.S. Government Accountability Office - GAO) hanno espresso le loro forti perplessità su sostenibilità, efficacia ed effettivo costo di tutto il programma JSF. In un rapporto del marzo 2009 il GAO è molto critico sul progetto lamentandone principalmente i forti ritardi, il lievitare dei costi e le scarse garanzie sulla buona riuscita. Viene criticata la scelta del dipartimento della Difesa di anticipare la fase di produzione senza aver completato i test necessari, con il forte rischio di scoprire eventuali difetti a posteriori, quando correggerli sarà estremamente complicato e costoso. Per ovviare alle difficoltà progettuali i Paesi acquirenti hanno inoltre deciso di anticipare l'acquisizione del 15 per cento del totale dei velivoli, cioè 360 aerei, testando solo il 17 per cento delle capacità dell'F35 in volo, per lasciare tutto il resto alle simulazioni di laboratorio (molti problemi però emergono solo con le prove di volo). Sempre secondo il GAO i costi complessivi nei primi nove anni del progetto sono lievitati dell'80 per cento e continueranno a crescere. Gli USA sono impegnati ad investire 10 miliardi di dollari all'anno per i prossimi 20 anni;
la Corte dei conti olandese, nell'avanzare le proprie perplessità, ha esposto diverse critiche al forte lievitare dei costi del progetto affermando che è impossibile calcolare il costo reale di un singolo aereo, mentre tenendo presente il costo della partecipazione delle aziende olandesi al programma di sviluppo del JSF risulterebbe più economico per i Paesi Bassi scegliere l'acquisto puro e semplice dell'aereo finito;
la Norvegia il 30 marzo 2009 scorso ha sospeso fino al 2012 la sua partecipazione al programma del JSF;
uno studio interno del dipartimento USA alla difesa di fine 2009 ha confermato le previsioni di costi fuori budget già individuati negli anni precedenti (circa 16,5 miliardi di dollari), prevedendo un ritardo di circa due anni e mezzo nella fase di sviluppo e conseguentemente di produzione finale del caccia F35. Ciò ha comportato, in maniera inedita, grosse critiche alla capo-commessa Lockheed anche da parte del Pentagono (per bocca dei suoi massimi esponenti di acquisto armamenti) che ha paventato per la prima volta la possibilità di richiedere alla controparte industriale delle compensazioni monetarie per tutti questi ritardi e costi aggiuntivi;
diversi analisti sin dalla nascita del progetto hanno sottolineato come l'allargamento ai partner, in particolar modo quelli europei, serviva da un lato per coprire i forti costi di sviluppo e produzione dall'altro per tarpare le ali all'industria europea della difesa che specialmente con il progetto dell'Eurofighter stava affermandosi sul mercato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la terza tranche di produzione dell'Eurofighter, il programma del caccia europeo prodotto da Italia, Gran Bretagna, Germania e Spagna, sarà ridimensionata. Dei 236 aerei previsti ne verranno prodotti solo la metà senza ulteriori certezze per il futuro. L'Italia, che

ne doveva acquistare 46 da aggiungere ai 75 delle prime due tranche, ha sottoscritto l'acquisto solo di altri 21 aerei;
le promesse occupazionali di circa 600 posti di lavoro per le aziende italiane partecipanti al programma - che corrispondono agli impieghi realmente accertati, e non invece ai 10.000 di cui si è erroneamente ipotizzato in qualche dichiarazione rinvenibile nei resoconti delle Commissioni parlamentari e negli atti del Governo - in realtà saranno di fatto solo una compensazione di posti di lavoro che si perderanno per i tagli all'Eurofighter. In questo settore bisogna tener presente che i profitti dell'industria militare sono alti, anche perché garantiti dai Governi, ma basse sono le ricadute occupazionali in proporzione ai pur massicci investimenti. Per stessa ammissione del Governo italiano le ricadute industriali sono bassissime. Considerando poi le maggiori difficoltà che sta incontrando lo sviluppo del progetto negli Stati Uniti resta sempre più difficile pensare che le richieste dell'Italia vengano accolte;
le ricadute industriali non andranno a sviluppare più ritorni rispetto ai soldi investiti dallo Stato per l'acquisto dei caccia, che verranno semplicemente rigirati per la quota parte su aziende italiane. Il notevole costo di ogni singolo aereo sarà inoltre un grande deterrente per eventuali acquisti da parte di nazioni terze non partecipanti al programma di produzione;
in un momento di grave crisi economica non è sicuramente un'opportuna scelta in termini di spesa pubblica andare ad impegnare complessivamente per i prossimi anni circa 15 miliardi di euro che potrebbero invece essere utilizzati per stimolare la ripresa dell'economia ed affrontare meglio la crisi di questo periodo resa più evidente dal Rapporto 2011 della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica presentato al Senato -:
se il Governo intenda sospendere per i prossimi 5 anni la partecipazione al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter e conseguentemente a destinare le maggiori risorse risparmiate per compensare almeno in parte i negativi effetti economici che il decreto-legge n. 78 del 2010 ha avuto sui comparti sicurezza, difesa, del soccorso pubblico, della scuola e della sanità.
(4-12124)

...

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:

SCILIPOTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la vicenda dalla motocisterna «Savina Caylyn», sequestrata l'8 febbraio 2011 da pirati somali, continua a suscitare una profonda apprensione in tutto il Paese per la sorte dei nostri connazionali che sono stati presi in ostaggio;
in più occasioni il personale marittimo sequestrato ha richiesto un intervento urgente delle nostre autorità stante la situazione di estremo degrado in cui sono costretti a vivere e per paura che la situazione possa evolvere tragicamente, visto che le persone sequestrate sono costrette a vivere tutte insieme sul ponte della nave sotto la minaccia costante di pirati armati;
nei messaggi inviati i nostri connazionali sequestrati hanno denunciato l'insufficienza di cibo e acqua, nonché l'assenza di medicinali con il conseguente aggravamento di alcuni membri dell'equipaggio che presentano malattie della pelle e traumi vari;
i pirati somali hanno minacciato di trasferire nel deserto alcuni membri dell'equipaggio come minaccia nei confronti delle nostre autorità affinché cedano alle loro richieste;
i familiari dei nostri marittimi coinvolti hanno richiesto, con varie istanze, un intervento più attento e risolutivo da parte delle nostre autorità;

la Farnesina, a conferma dell'attenzione del Governo in merito al sequestro in oggetto, ha affermato in una nota che «il Governo italiano, sulla base di tutti i dati a sua disposizione, valuterà le possibili opzioni percorribili a protezione dei propri connazionali», ribadendo in questa occasione la necessità di mantenere il silenzio stampa da parte dei mass media onde favorire eventuali iniziative in corso;
appare del tutto evidente che la situazione rischia di degenerare e che bisogna agire in fretta al fine di liberare i nostri connazionali che da troppo tempo sono tenuti in ostaggio dai pirati somali -:
se e quali iniziative siano state attivate al fine di restituire al più presto, stante la situazione di grave pericolo, ai loro cari i nostri marittimi sequestrati e come s'intenda, nell'immediato futuro, proteggere, in accordo con le istituzioni internazionali preposte allo scopo, le nostre imbarcazioni e il personale marittimo imbarcato per evitare il ripetersi di simili atti di pirateria.
(4-12099)

TOUADI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella risoluzione ONU 1973/2011 al punto quattro si: «Autorizza gli Stati Membri che ne abbiano informato il Segretario Generale, che agiscano su iniziativa nazionale o attraverso organizzazioni o accordi regionali, operando in collaborazione con il Segretario Generale, a prendere tutte le misure necessarie, anche senza tener conto del paragrafo 9 della risoluzione 1970 (2011), per proteggere i civili e le aree a popolazione civile minacciate di attacco nella Jamahiriya Araba di Libia, compresa Bengasi, escludendo una forza di occupazione straniera di qualsiasi forma e su qualsiasi parte del territorio libico, e richiede agli Stati Membri interessati di informare immediatamente il Segretario Generale sulle misure che prendono in base all'autorizzazione conferita con questo paragrafo, le quali saranno immediatamente comunicate al Consiglio di Sicurezza»;
l'osservatorio Fortress Europe il 23 maggio 2011 denuncia pubblicamente che dal mese di gennaio sono deceduti complessivamente nel Mar Mediterraneo 1510 persone; di queste 1408 (93 per cento) sono decedute nel canale di Sicilia, 187 provenivano dalle coste della Tunisia, mentre 1221 da quelle libiche;
dal 1994 a oggi - secondo diverse fonti giornalistiche - sono 5622 le persone morte nel canale di Sicilia, lungo le rotte delle Libia, Tunisia ed Egitto per raggiungere il territorio italiano e maltese. Negli ultimi anni sono contati 236 annegati nel 2002, 413 nel 2003, 206 nel 2004. Il numero è più che raddoppiato nel 2007 (556 vittime), poi 1278 nel 2008, per poi diminuire dal maggio del 2009, con l'entrata in vigore dell'accordo con la Libia. Nel 2010 le persone che persero la vita furono 20;
da fonti giornalistiche si apprende che, diversamente da quanto accade in Tunisia dove le partenze sono volontarie e gestite dalle organizzazioni criminali, in Libia è lo stesso regime di Gheddafi che coattivamente fa partire imbarcazioni recuperate gremite di persone dalle proprie coste in direzione del nostro Paese;
sono numerose le organizzazioni che denunciano che da giorni, in Tunisia, brucia il campo profughi di Choucha a circa 25 chilometri dalla città di Ras Ajdir vicino al confine con la Libia. Campo dove avevano trovato rifugio migliaia di profughi africani fuggiti da Tripoli, tra questi molti profughi eritrei, etiopi e somali. Nella giornata di martedì 24 maggio 2011 - da quanto emerge da una prima ricostruzione - centinaia di cittadini tunisini e libici hanno dato fuoco alle tende dei profughi, massacrando di botte centinaia di africani, che manifestavano contro le condizioni di vita nel campo, chiedendo una soluzione rapida dei loro problemi. Il Governo tunisino che doveva garantire la sicurezza del campo non ha rispettato i

suoi impegni, anzi testimoni raccontano che diversi soldati sparavano contro i profughi che tentavano di difendere le loro tende dai tunisini che sono venuti a scheggiarli e incendiarli -:
se i Ministri siano a conoscenza della gravità dei fatti sopra esposti e quali misure intendano adottare al fine di garantire la piena osservanza del risoluzione ONU 1973/2011;
se non intendano promuovere e costituire un cordone umanitario al fine di proteggere i profughi che si sono riversati negli stati confinanti alla Libia al fine di garantire l'assistenza minima per uscire dalla costante emergenza e per prevenire e quindi limitare le partenze via mare in condizioni di pericolo costante;
se non intendano intensificare il pattugliamento militare nelle coste libiche ma anche il rafforzamento della rete di comunicazione fra la Marina italiana, le altre Marine militari presenti nelle acque libiche e le imbarcazioni commerciali che navigano sulle rotte fra Libia e canale di Sicilia al fine di segnalare e prestare soccorso alle imbarcazioni in difficoltà;
se non sia necessario promuovere predisposizione tempestiva di un piano internazionale di evacuazione dei profughi dalla Tunisia verso Paesi che sono in condizione di offrire la protezione internazionale di cui hanno bisogno i profughi attualmente in condizione di totale abbandono a Choucha e più in generale in Tunisia.
(4-12125)

GARAVINI, BUCCHINO, GIANNI FARINA, FEDI e PORTA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE), per partecipare in modo significativo alle celebrazioni del 150o anniversario dell'Unità italiana, dal 16 al 19 maggio 2011 si è riunito a Torino, città simbolo del processo unitario, per sottolineare il peso dell'emigrazione nella storia dell'Italia contemporanea;
nel pomeriggio del 16 maggio, durante la discussione sulle relazioni del Governo e dell'ufficio di presidenza, a fronte di un'inopportuna dichiarazione di un consigliere del CGIE riguardante un parlamentare intervenuto in precedenza - affermazione poi stigmatizzata con una mozione di censura dello stesso organismo - il Sottosegretario Alfredo Mantica, presente in sostituzione del Ministro e in rappresentanza del Governo, ha avuto sul palco dell'assemblea una scomposta reazione che ha rasentato l'aggressione personale con il consigliere intervenuto, nonostante i tentativi di pacificazione messi in opera dal segretario generale del CGIE e da altri membri della presidenza;
il Consiglio generale degli italiani all'estero è il massimo organo di rappresentanza delle comunità italiane nel mondo previsto nel nostro ordinamento e in base alla legge istitutiva n. 368 del 1989 è presieduto dal Ministro degli affari esteri, a ulteriore conferma della natura istituzionale dell'organismo e della sua funzione di costante interlocuzione con i rappresentanti delle istituzioni della Repubblica;
il comportamento del Sottosegretario Mantica, titolare delle deleghe in materia di politiche per gli italiani all'estero e nell'occasione rappresentante del Governo, oltre a creare sconcerto tra i presenti, la maggior parte dei quali provenienti dall'estero, per altro in occasione di un evento consacrato all'unità degli italiani, ha determinato un vulnus profondo sul piano della correttezza dei rapporti istituzionali -:
se il Ministro interrogato, come alto rappresentante del Governo e come presidente dell'organismo, non intenda rappresentare al Consiglio generale il suo rammarico per quanto avvenuto e ripristinare, anche con la sua presenza diretta nello svolgimento dei lavori, un rapporto di correttezza istituzionale minato da un

atteggiamento ad avviso degli interroganti non consono del Sottosegretario delegato con la funzione da esercitare in occasione dell'assemblea plenaria di Torino.
(4-12130)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
mercoledì 11 maggio 2011 le imprese iscritte al Sistri hanno organizzato un test di operatività del nuovo sistema informatico per la tracciabilità dei rifiuti, per provare la tenuta e l'efficienza del sistema;
il risultato della prova generale (cosiddetto clic day) indetto dalle categorie produttive è stato a detta di tutte costoro un vero «flop», con sito internet bloccato, chiavette usb non funzionanti, call center muto;
per fare un solo esempio, il clic day sperimentato nella provincia di Treviso ha visto cercare di collegarsi 200 industriali trevigiani, 250 agricoltori e 500 artigiani, passati tramite le associazioni, oltre a numerosi uffici ambiente degli enti locali, ma il sistema era i già in tilt la mattina alle ore 9, seguitando a incedere a singhiozzo fino a sera. La stragrande maggioranza delle imprese ha segnalato l'impossibilità di accedere o completare la registrazione e ripetuti blocchi del sistema con relative apparizioni di scritte del tipo «si è verificato un errore», «il server, a causa di un errore interno, non ha potuto soddisfare questa richiesta», «contattare l'amministratore di sistema per ulteriori informazioni». I rari casi di successo hanno richiesto tempi lunghissimi, mentre le difficoltà sono state molte, soprattutto per l'accesso al servizio;
inoltre anche il call center di supporto era irraggiungibile;
le associazioni di categoria hanno quindi inviato una lettera al Presidente del Consiglio ed al Ministro interrogato in cui affermano che questi problemi hanno interessato il 90 per cento delle imprese del Paese e, tenuto conto che non si è certo raggiunto l'11 maggio l'apice di collegamenti che si prospetta con l'entrata in vigore del Sistri dal 1° giugno 2011, hanno chiesto di prorogare l'entrata in vigore del sistema, per rivedere i princìpi di funzionamento e l'operatività complessiva del tracciamento digitale;
pur condividendo gli obiettivi del sistema di tracciabilità dei rifiuti, che dovrebbe servire a garantire maggiore trasparenza e a combattere la criminalità organizzata in un settore critico, oltre che comportare una semplificazione della gestione, eliminando la documentazione cartacea, le rappresentanze delle imprese ritengono infatti che così com'è stato realizzato si rischi solo di far ritrovare le imprese in una situazione troppo complessa da gestire, in quanto il SISTRI non è stato, a loro avviso, sufficientemente collaudato e rende impossibile a molte di esse rispettare la normativa vigente in materia, con la conseguente possibile soggezione a sanzioni, ritenute oltretutto sproporzionate rispetto alla reale gravità della violazione;
il Governo, d'altra parte, continua ad affermare che i problemi sarebbero dovuti alla mancata preparazione all'evento da parte delle associazioni di categoria, principale fattore della congestione del sistema nella predetta giornata, ed il direttore operativo di SISTRI ha affermato che normalmente produttori, trasportatori e gestori di rifiuti lavorano con tempi diversi e non si collegano certo tutti insieme;
in particolare, nella risposta data dal Ministro per i rapporti con il Parlamento

Elio Vito ad una recente interrogazione a risposta immediata in Assemblea 3-01649 dell'onorevole Mario Pepe, il Governo ha confermato che il sistema sarà operativo dal 1° giugno prossimo e che le proroghe sin qui concesse sono dipese «da molti fattori. Innanzitutto, dall'ampia gamma dei soggetti interessati, oltre 320.000 soggetti pubblici e privati coinvolti lungo tutta la filiera dei rifiuti, dalle dimensioni più differenziali ed appartenenti ai settori produttivi più diversi, con diverso grado di propensione all'innovazione tecnologica e con una molteplicità di situazioni specifiche da disciplinare, e, inoltre, dalla complessità della normativa in tema di rifiuti aggiornata, per ultimo, a seguito dell'avvenuta approvazione del decreto legislativo n.205 del 2010 di recepimento della direttiva europea 2008/98 CE», ammettendo che «sul piano operativo vi sono stati ritardi sia nella fase di iscrizione dei soggetti obbligati al Sistri, sia nella successiva fase di distribuzione dei dispositivi elettronici che, in diversi casi, hanno scontato malfunzionamenti, anche se, ad onor del vero, va detto che non sono mancati episodi di vera e propria, deliberata, resistenza al cambiamento»;
a parere degli interpellanti tuttavia proprio le citate argomentazioni esposte dal Ministro Vito depongono a favore di una revisione e semplificazione del sistema, come richiesto dagli imprenditori, ad avviso dei quali il Governo non sembra avere percepito la gravità della situazione;
nelle imprese la preoccupazione è fortissima e il malumore generalizzato anche in considerazione del fatto che esse hanno già versato sia il contributo per l'anno 2010, sia quello dovuto per il 2011, senza che il sistema sia ad oggi funzionante. Al riguardo il Ministro Vito, sempre nella citata risposta all'interrogazione 3-01649, ha affermato che il versamento annuale di un contributo stabilito dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare da parte degli enti obbligati ad iscriversi al Sistri è «destinato alla copertura dei costi del sistema. L'istituzione del Sistri non ha dunque comportato impiego di risorse pubbliche. Non escludiamo peraltro che, una volta terminata la contabilizzazione dei costi e delle entrate relative al 2010, possano verificarsi delle eccedenze destinabili alla riduzione dei livelli contributivi. Non sarà possibile in ogni caso procedere a tale aggiornamento per il corrente anno, vista la complessità delle verifiche che si stanno effettuando. Oltre sette mila imprese hanno infatti chiesto la revisione dei contributi versati o la loro restituzione»; infine, il Ministro ha precisato che il sistema tariffario è stato organizzato con particolare attenzione alle problematiche sollevate dalle piccole e medie imprese -:
se non si ritenga opportuno assumere iniziative per sospendere l'avvio del sistema Sistri almeno sino al 31 dicembre 2011 e, in ogni caso, quali iniziative urgenti si intendano assumere per attuare una revisione e semplificazione del sistema, atte ad evitare il ripetersi dei malfunzionamenti sopra esposti e a garantire la piena funzionalità del sistema, così da evitare ulteriori aggravi a carico delle imprese e degli enti locali, anche per prevenire il rischio concreto che aumenti sul territorio il fenomeno di abbandono sconsiderato di rifiuti pericolosi paventato dall'Anci in una recente nota sul tema;
a quale somma ammontino i contributi complessivamente versati allo Stato per l'anno 2010 e per l'anno in corso dai soggetti pubblici e privati tenuti ad iscriversi al sistema Sistri;
se non si ritenga equo che il contributo sia dovuto dai soggetti tenuti all'iscrizione solo a far data dall'efficiente funzionamento del sistema, il cui onere non può che far carico al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale ha assunto tutte le decisioni relative alla sua gestione, compresa quella di affidare senza gara l'appalto del progetto Sistri alla società Selex Management, con la conseguente compensazione a favore di imprese ed enti locali degli importi già versati in assenza del servizio con quelli che matureranno a far data dalla

sua piena operatività, in aggiunta alla già prospettata riduzione dei livelli contributivi in caso di eccedenze delle entrate rispetto ai costi del sistema stesso.
(2-01092)
«Rubinato, Fogliardi, Lulli, Benamati, Bobba, Bocci, Boffa, Bonavitacola, Burtone, Capodicasa, Causi, Cuomo, Dal Moro, D'Alema, Fioroni, Gentiloni Silveri, Giachetti, Ginoble, Graziano, Laratta, Letta, Lolli, Lucà, Luongo, Marchi, Cesare Marini, Marrocu, Mastromauro, Melis, Merloni, Peluffo, Portas, Quartiani, Samperi, Tenaglia, Federico Testa, Viola, Marco Carra, Fiorio, Rigoni, Sbrollini».

Interrogazione a risposta orale:

GALATI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
riduzione delle emissioni di gas serra, peggiore qualità dell'aria, crescita del rischio idrogeologico. Migliore situazione sul fronte degli incendi, ma preoccupanti ondate di calore. Sono questi in estrema sintesi i punti principali della nuova edizione dell'annuario dei dati ambientali dell'Istituto superiore di protezione e ricerca ambientale (Ispra), presentato recentemente a Roma;
la pubblicazione offre una panoramica dello stato di salute dell'ambiente del nostro Paese, fornendo dati su cambiamenti climatici, dissesto idrogeologico, eventi alluvionali, sismicità, franosità, biodiversità e aree naturali, agricole e forestali, qualità dell'aria e delle acque interne, agenti fisici, ambiente e salute;
per quanto riguarda per esempio i gas serra, se fino al 2004 l'Italia ha registrato un incremento delle emissioni, successivamente si è osservato un calo, fortemente condizionato dalla crisi economico-finanziaria che ha investito anche il settore industriale. In particolare, le emissioni del 2009 sono state inferiori del 9,3 per cento rispetto all'anno precedente ma gli obiettivi del Protocollo di Kyoto sono ancora lontani.
secondo il rapporto dell'istituto ad allarmare in Italia è anche il rischio del dissesto idrogeologico: sono 5.708, pari al 70,5 per cento del totale, i comuni interessati da cedimenti e smottamenti. Di questi quasi 3.000 sono classificati con un livello di intenzione molto alto, e oltre 1.700 con un livello elevato;
per quanto riguarda l'inquinamento secondo l'Ispra a colpire «la nostra salute sono soprattutto le polveri sottili (PM10 e PM2,5), l'ozono e il biossido di azoto tutte oggetto di attenzione da parte degli amministratori locali»;
in Italia - si legge nello studio dell'Ispra - «il 45 per cento delle stazione di monitoraggio di PM10 ha superato il valore limite giornaliero». Sulle PM2,5, che sono quelle più pericolose per il sistema respiratorio, non si hanno al momento dati sull'intero territorio nazionale;
chiaramente, così come ricordato anche dal presidente Ispra, Bernardo De Bernardinis, l'annuario dei dati ambientali non è una forma di comunicazione in tempo reale di dati oggettivi, ma un documento di analisi dei trend dei fenomeni descritti;
fenomeni che bisogna però sempre monitorare verificando l'efficacia degli interventi adottati ed evidenziandone la potenziale eventualità di situazioni critiche, se non emergenziali -:
rispetto alla salute del nostro ambiente e delle situazioni emergenziali del nostro territorio, quali siano gli interventi messi in atto dal Ministero dell'ambiente.
(3-01677)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
come già posto all'attenzione del Ministro con la risoluzione 8-00107, il decreto legislativo n. 155 del 2010, entrato in vigore il 13 agosto 2010, ha allentato i vincoli di legge in materia di benzo(a)pirene, in particolare cancellato il riferimento all'obiettivo di qualità pari ad un nanogrammo a metro cubo di benzo(a)pirene, sostituito con quello non vincolante di «valore obiettivo»;
in base ai dati ottenuti dall'associazione Altamarea dall'Arpa Puglia sulle immissioni di benzo(a)pirene nel quartiere Tamburi relativamente ai primi tre mesi del 2011 è risultato che si è superato in media del 93 per cento il valore che la precedente normativa aveva posto come limite (obiettivo di qualità) per il benzo(a)pirene;
il precedente limite di 1 nanogrammo a metro cubo è stato superato nel corso dei primi tre mesi dell'anno, avendo l'ARPA rilevato: 1,55 ng/m3 a gennaio 2011; 2,82 ng/m3 a febbraio 2011; 1,43 ng/m3 a marzo 2011;
la media è 1,93 nanogrammi a metro cubo mentre la media annua non dovrebbe superare 1 nanogrammo/metro cubo stando alla precedente normativa modificata dal Governo l'estate scorsa;
il benzo(a)pirene, è uno dei cancerogeni più potenti in circolazione e, secondo Arpa Puglia, nel quartiere Tamburi, proviene al 98 per cento dalla cokeria dell'Ilva;
alla fine del 2010 vi è stata un'ampia campagna mediatica volta a dimostrare che ormai a Taranto non si superava più il vecchio limite di legge di 1 nanogrammo/metro cubo visto che negli ultimi mesi del 2010 le immissioni di benzo(a)pirene sono state inferiori a 1 nanogrammo a metro cubo;
a giudizio degli interroganti, tale campagna mediatica voleva convincere l'opinione pubblica che il limite di legge tolto dal Governo ormai non sarebbe stato più superato e che pertanto sarebbe stato inutile reintrodurlo;
gli ultimi dati ARPA Puglia evidenziano invece il persistere del problema e dunque la necessità di ripristinare il riferimento all'obiettivo di qualità pari ad un nanogrammo a metro cubo di benzo(a)pirene;
in molte aree urbane del territorio nazionale non vengono effettuati controlli, sottovalutando l'entità e la pericolosità di questa sostanza, classificata nella categoria di massimo rischio dall'organismo dell'OMS che si occupa della ricerca sul cancro;
a Trieste, dove invece le rilevazioni vengono effettuate, negli ultimi 3 anni le medie di concentrazione nell'aria di benzo(a)pirene nel quartiere di Servola, a ridosso dell'area industriale, sono state altissime, come confermano le concentrazioni medie calcolate dall'ARPA: 5,5 nanogrammi a metro cubo nel 2008; 4,5 nanogrammi a metro cubo nel 2009; 6,7 nanogrammi a metro cubo nel 2010;
in queste due città la popolazione continua ad essere gravemente esposta a questo inquinante (a Trieste-Servola 6 asili nido e scuole materne si trovano ad una distanza tra i 330 e i 700 metri dal perimetro dell'area industriale);
il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel corso della discussione del 1o febbraio 2011 sulla risoluzione 7-00405 oltre che sulla risoluzione 7-00393 (è stata poi approvata la risoluzione conclusiva di dibattito n. 8-00107), aveva riconosciuto che «talune delle questioni affrontate dagli atti di indirizzo meriterebbero un supplemento

di riflessione» e aveva dichiarato la disponibilità del Governo a riapprofondire la materia;
risulta poi agli interroganti che sarebbe in via di smantellamento il Centro ambiente e salute dell'Organizzazione mondiale della sanità di Roma, da cui è partita l'indagine che ha dichiarato Taranto città a rischio ambientale, oltre ad altri siti inquinati -:
se sia vero quanto riferito in premessa;
se e quali approfondimenti siano stati fatti in merito al problema del benzo(a)pirene, a Taranto, Trieste e più in generale sull'intero territorio nazionale;
se non ritenga alla luce di tali dati il Ministro di assumere iniziative normative per ripristinare il riferimento all'obiettivo di qualità pari ad un nanogrammo a metro cubo di benzo(a)pirene;
se e quali azioni intenda promuovere affinché l'Organizzazione mondiale della sanità mantenga un suo ufficio in Italia.
(5-04823)

TRAPPOLINO, SERENI, VERINI e BOCCI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
in data 30 luglio 2008 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare concede il patrocinio morale per il convegno «100 impianti in 100 comuni d'Italia» in programma a Fiuggi per il giorno 31 luglio 2008, promosso dall'Associazione ENER (Ente nazionale energie rinnovabili), associazione non riconosciuta, senza fini di lucro, ai sensi degli articoli 36 e seguenti del codice civile;
il convegno sopra citato intendeva presentare il progetto «100 impianti fotovoltaici in 100 comuni d'Italia» promosso dalla stessa ENER. Una iniziativa che prevedeva la costruzione di 10.000 micro centrali elettriche da 3 chilowatt per un totale di 30 megawatt da realizzare in 18 mesi con un investimento pari a 200 milioni di euro;
l'associazione ENER individuava nella società Energesco srl - iscritta nel registro delle imprese di Roma e con un capitale sociale di euro 10.200 - il partner tecnico dell'iniziativa;
nel territorio della regione Umbria, ma anche in altre regioni italiane, molti enti locali hanno aderito al progetto di ENER persuasi della validità di proposta che, a detta dei promotori, aveva conseguito il patrocinio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. In ragione di ciò, gli enti locali sostenevano la diffusione di un «bando» pubblico con il quale si sarebbero determinate le graduatorie di cittadini richiedenti per l'ottenimento di un impianto fotovoltaico da 3 KWp (gazebo fotovoltaico);
il «bando» prevedeva la possibilità di accedere a un finanziamento per l'installazione di un impianto fotovoltaico su terreno del richiedente, con cessione alla Energesco del conto energia erogato dal Gse, a installazione ultimata. La Energesco avrebbe provveduto poi a rimborsare le rate mensili del finanziamento. Tale «partita di giro» venne giustificata col fatto che il finanziamento andava richiesto, per legge, dai singoli fruitori, che sarebbero stati sicuri, a detta dei rappresentanti dell'azienda, che il giorno stesso dell'addebito della rata ci sarebbe stato un accredito di pari importo da parte di Energesco;
i cittadini umbri interessati hanno quindi sottoscritto una proposta di finanziamento finalizzato all'acquisto dell'impianto fotovoltaico, indirizzata alla BBVA Finanzia spa di Bilbao, per un valore complessivo oltre 22.000 euro, da restituire in rate mensili di circa 350 euro per un importo finale, interessi compresi, di circa 28.000 euro. Il gazebo fotovoltaico avrebbe dovuto essere completato e messo in opera entro il 31 dicembre 2010;

in Umbria circa 400 cittadini (secondo una stima fornita da Federconsumatori e riferita in consiglio regionale), rassicurati dalla presenza degli enti pubblici patrocinanti l'iniziativa, una volta sottoscritta la proposta di finanziamento finalizzato all'acquisto del gazebo, non avrebbero né visto realizzato l'impianto né ottenuto il rimborso delle rate come pattuito e quindi sarebbero stati costretti a rimborsare l'importo totale, compreso di interessi, per un ammontare di circa 28.000 euro;
della vicenda umbra è stata interessata la magistratura, a seguito di istanze presentate da diversi cittadini e da organizzazioni di difesa dei consumatori. Alcuni di essi hanno chiesto al tribunale di Terni di annullare i contratti stipulati e un'ordinanza del tribunale ha sospeso il pagamento delle rate per 18 mesi. La questione è giunta anche in consiglio regionale dell'Umbria, mentre la stampa parla ormai apertamente di «truffa dei pannelli fotovoltaici»;
come, riferito dall'edizione online de Il Salvagente allo stato attuale si calcola che siano un migliaio i «truffati»: 400 in Umbria, 180 a Frosinone, altrettanti a Udine e a Ragusa e altri meno numerosi sul resto del territorio nazionale, che stanno pagando la loro scelta ecologica. In almeno 22 milioni di euro viene calcolato, infine e probabilmente per difetto, l'ammontare complessivo della truffa;
in diverse delibere di giunta municipale a sostegno dell'iniziativa proposta da ENER con il concorso tecnico di Energesco si fa esplicito riferimento al patrocinio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, patrocinio che agli interroganti appare evidentemente non più riferito al convegno del 31 luglio 2008 ma al progetto di ENER «100 impianti in 100 comuni d'Italia» -:
se il Ministro, oltre al patrocinio morale del convegno promosso da ENER il 31 luglio 2008, abbia concesso un ulteriore patrocinio o sostegno di altra natura al progetto «100 impianti in 100 comuni d'Italia»;
se il Ministro abbia inteso incentivare, con contributi di qualsivoglia specie, il progetto in questione o le associazioni o società coinvolte;
se il Ministro, qualora risultasse in qualche misura partecipe, sia pure come patrocinante, intenda assumere iniziative per contribuire alla soluzione delle criticità sopra evidenziate, in Umbria e pure in altre regioni d'Italia, che vedono coinvolti ignari cittadini convinti, in buona fede, di aderire ad un progetto che vedeva la partecipazione anche del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
come il Ministro, qualora tale patrocinio risultasse mai concesso, intenda tutelarsi rispetto alla diffusione di notizie che in ogni caso hanno indotto enti locali e cittadini ad aderire con ampia fiducia a un progetto che, in alcune realtà, è risultato non conforme a quanto proposto.
(5-04829)

Interrogazione a risposta scritta:

FUGATTI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
sono sempre più ricorrenti segnalazioni da parte di cittadini, nonché notizie di stampa, che rappresentano una forte preoccupazione e un elevato livello di insicurezza delle popolazioni della regione Trentino Alto Adige a causa della presenza sul territorio della provincia autonoma di Trento, di esemplari di orsi in stato di libertà che si avvicinano alle abitazioni dei cittadini o che ad ogni modo circolano in aree antropizzate, con ciò rappresentando un potenziale pericolo per l'incolumità pubblica;
al riguardo l'interrogante, con l'interrogazione n. 5-04351, ha già chiesto di recente chiarimenti sulla questione del possibile pericolo degli orsi che si avvicinano alle residenze della popolazione locale, evidenziando il sentimento di paura che essi ingenerano nei cittadini ed in

particolare fra le famiglie, i cui bambini frequentano abitualmente i prati e le pertinenze delle abitazioni attorno alle quali la presenza dell'orso è sempre più documentabile;
è del 24 maggio 2011 una specifica agenzia dell'ANSA-TRENTO, che riporta come presso i comuni della provincia di Trento si avvisi la popolazione che sulla loro montagna venga comunicata la presenza dell'orso;
si ricorda che la popolazione di orsi nella regione predetta risulta essere composta da circa trenta individui, su un totale previsto di cinquanta, e che tale numero è dovuto al progetto «Ursus - azioni di tutela della popolazione di orsi del Brenta», meglio noto come Life Ursus, promosso dal parco naturale Adamello Brenta, in collaborazione con la provincia autonoma di Trento e con il contributo scientifico dell'INFS (ora ISPRA);
alla luce del fatto che potrebbero diventare sempre più frequenti i casi di incontri tra cittadini e orsi, soprattutto nel periodo estivo quando il territorio del Trentino diventa meta di turisti e visitatori, appare evidente la preoccupazione che sta interessando la provincia di Trento -:
se il reinserimento degli orsi nel parco Adamello Brenta sia conforme alle prescrizioni indicate dal progetto Life Ursus e se siano imputabili ad eventuali negligenze le criticità che si riscontrano sul territorio a danno della popolazione dal momento che con solo circa la metà degli orsi inseriti, già si verificano problemi così gravi da far ritenere che se gli individui presenti fossero nel loro numero completo, ossia cinquanta, di certo si avrebbero emergenze ben più gravi;
se non si ritenga opportuno promuovere l'istituzione di una sede di concertazione tra le istituzioni pubbliche competenti della regione Trentino Alto Adige e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, eventualmente da estendere ad altri soggetti allo scopo interessati, in cui decidere le misure da intraprendere al fine di risolvere i rischi e le problematiche esposte in premessa.
(4-12122)

...

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

MATTESINI e GHIZZONI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
mercoledì 3 marzo 2010 veniva presentata dalla prima firmataria del presente atto, l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02582 nella quale si chiedeva al Ministro per i beni e le attività culturali quali fossero le intenzioni dell'esecutivo in merito alla vicenda della vendita dell'archivio Vasari alla società russa Ross Engineering, vicenda che aveva e che ha tuttora suscitato forte preoccupazione non solo all'interno e cosa intendesse fare per rafforzare il vincolo pertinenziale tra l'archivio Vasari e Casa Vasari ed impedirne così il suo spostamento;
si rammenta che l'archivio Vasari, dichiarato di interesse storico particolarmente importante, gioiello del nostro Rinascimento, è composto da 31 filze, ognuna con un piccolo scrigno di lettere, conti di casa Vasari, documenti legali, ricordi di famiglia, semplici appunti a mano, a penna, a matita, in mezzo a documenti di inestimabile valore: decine e decine di lettere inviate a Vasari da Cosimo I e scritte tra il 1542 ed il 1547, le lettere inviate da «diversi homines a Messer Giorgio Vasari» tra il 1546 ed il 1572, tra cui il traduttore dell'Eneide di Virgilio e di Aristotele Annibal Caro, il carteggio tra Michelangelo ed il Vasari dal 1550 al 1557, le lettere di Pio V dal 1556 al 1573, sonetti scritti da Michelangelo all'amico Giorgio ed altro ancora;
il 20 aprile 2010 il sottosegretario per i beni e le attività culturali Francesco Giro

rispondeva in Commissione cultura all'atto di sindacato ispettivo succitato rassicurando che «la sua ineludibile collocazione entro Casa Vasari, in forza del predetto vincolo pertinenziale imposto nel 1994 ed oramai consolidato, è attentamente presidiata dagli attuali istituti di tutela, come è stato ampiamente dimostrato anche nelle recenti vicende»;
si apprende da notizie di stampa di questi giorni che il Ministro interrogato abbia dichiarato che la Direzione generale degli Archivi del Ministero dei beni culturali ha già fatto uno stanziamento di risorse per l'acquisto delle carte vasariane e che la società russa si sia ritirata dalla competizione;
la perizia del tribunale di Arezzo ha valutato l'intero archivio in 2,7 milioni di euro, cifra molto lontana non solo dai 150 milioni di euro offerti dalla misteriosa società russa, Ross Engineering ma anche dalla stima effettuata dagli eredi Festari che si aggira sugli 80/90 milioni di euro;
gli eredi Festari confermano che non hanno ricevuto alcuna proposta formale di acquisto da parte del Ministero per i beni e le attività culturali;
va ricordato, per correttezza di informazione, che in precedenza nel corso della compravendita tra gli eredi e la società Ross Engineering si sono succeduti una serie di fatti:
il pignoramento dell'archivio Vasari da parte di Equitalia per un debito dei signori Festari con il fisco pari ad 800.000 euro;
l'indizione per il 9 marzo 2010 dell'asta per la vendita dell'archivio Vasari, asta sospesa all'ultimo momento a seguito del ordinanza del tribunale di Arezzo, sulla base del ricorso presentato dai signori Festari;
all'asta il dottor Scala - direttore generale degli archivi, si è presentato per conto del Ministero per i beni e le attività culturali, con la chiara volontà dell'acquisto dell'archivio Vasari per la cifra di 2,5 milioni di euro;
inoltre rispondendo ad una lettera del sindaco di Arezzo, Giuseppe Fanfani, l'allora Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, nei primi mesi del 2011 ha manifestato la volontà da parte dello Stato di acquistare l'archivio Vasari, esercitando il proprio diritto di prelazione, assicurando nel contempo la valorizzazione e la più ampia e pubblica fruibilità dell'archivio che rappresenterebbe un grande incentivo nell'ambito del turismo culturale -:
in che modo il Ministro intenda avviare il processo di acquisto dell'archivio Vasari, a quanto ammontino le risorse previste e da quale capitolo di spesa verranno prese e se ci sia l'intenzione di coinvolgere gli enti locali da sempre interessati alla valorizzazione del suddetto patrimonio.
(5-04820)

MAZZUCA e CAZZOLA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
con bando del 14 luglio 2008 veniva indetto il concorso pubblico per esami, su base regionale, a 30 posti di archeologo, nella III area, fascia retributiva F1, nel ruolo del Ministero per i beni e le attività culturali;
il concorso prevedeva 1 posto per la Calabria, 7 per l'Emilia Romagna, 3 per il Friuli Venezia Giulia, 2 per la Liguria, 5 per la Lombardia, 1 per le Marche, 4 per il Piemonte, 1 per la Puglia, 1 per la Sardegna, 2 per la Toscana, 3 per il Veneto, e che ogni candidato potesse fare domanda per una sola regione;
nel dicembre del 2009 ebbero termine le prove d'esame, le graduatorie di merito furono pubblicate il 19 gennaio 2010, nell'aprile del 2010 i 30 vincitori del concorso sono entrati in servizio;

complessivamente sono risultati idonei 96 archeologi (ripartiti in modo non omogeneo per le varie regioni), oltre ai 30 vincitori;
il decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34 in materia di disposizioni urgenti in favore della cultura, in materia di incroci tra settori della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello spettro radioelettrico, di moratoria nucleare, di partecipazioni della Cassa depositi e prestiti, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale della regione Abruzzo, all'articolo 1, prevede lo stanziamento di nuove risorse economiche per il Ministero per i beni e le attività culturali per gli anni 2011, 2012 e 2013; all'articolo 2, nel quadro di una serie di iniziative a potenziamento delle funzioni di tutela dell'area archeologica di Pompei, prevede l'assunzione (in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 8-quater, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25), mediante l'utilizzazione di graduatorie in corso di validità, di personale di III area, posizione economica F1, nel limite di spesa di euro 900.000 annui a decorrere dall'anno 2011. Il medesimo decreto prevede, inoltre, l'assunzione di ulteriore personale specializzato, anche dirigenziale, mediante l'utilizzazione di graduatorie in corso di validità, da destinare all'espletamento di funzioni di tutela del patrimonio culturale -:
se, in virtù delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 3 del decreto-legge 31 marzo 2011 n. 34, la previsione «mediante l'utilizzazione di graduatorie in corso di validità, di personale di III area, posizione economica F1» debba intendersi in senso più ampio, ovvero anche per le graduatorie regionali formatesi in seguito al concorso citato in premessa e quali saranno i tempi attuazione delle norme citate.
(5-04827)

Interrogazione a risposta scritta:

MURO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
ad Atripalda in provincia di Avellino esiste un importante sito archeologico «Antica Abellinum», area di 24.000 metri quadrati che per rilevanza ed importanza è spesso paragonato ad una piccola Pompei;
l'area in questione sita alla via Civita in Atripalda, di proprietà di privati, all'inizio degli anni Settanta, in seguito al rinvenimento di alcuni reperti archeologici, è stata interessata da occupazione di urgenza disposta dal Ministero per i beni e le attività culturali;
dopo tale disposizione, la proprietà promosse ricorso al TAR, il quale annullava la dichiarazione di pubblica utilità e riconosceva euro 225.266,41 a titolo di indennità di esproprio ed euro 16.395.384,58 a titolo di risarcimento danni;
alla fine della lunga controversia legale, durata oltre 40 anni, con sentenza n.393/08 del 26 marzo 2008 il TAR di Salerno annullava la dichiarazione di pubblica utilità e le successive proroghe;
successivamente, in data 25 febbraio 2009, il Ministero per i beni e le attività culturali emanava un nuovo decreto di acquisizione ex articolo n. 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2011, annullato da sentenza n.570/11 del TAR di Salerno, che nomina inoltre un commissario ad acta per ipotesi di mancata restituzione spontanea;
in data 18 maggio 2011 di fatto il proprietario dell'area apponeva i sigilli al sito in questione, senza che potesse essere effettuata dalla Soprintendenza la catalogazione ed inventarizzazione dei beni conservati nel sito archeologico, con conseguente serio rischio di sottrazione di reperti storici, essendo ora anche priva di sorveglianza;
a parere dell'interrogante, la vicenda è stata gestita in maniera palesemente superficiale dalla Soprintendenza, che ha vanificato di fatto circa 16 milioni di euro

dei contribuenti e, nel contempo, ha perso la proprietà dell'area archeologica denominata «Antica Abellinum»;
ad oggi l'area rientra nella disponibilità di privati con tutti i rischi sopra descritti -:
quale tipo di iniziative intenda porre in essere per far sì che il sito archeologico torni di proprietà del Ministero dei beni per le attività culturali, sotto il controllo e la gestione della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Salerno, rendendo di nuovo pubblico un sito di straordinaria importanza archeologica.
(4-12106)

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DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

DI BIAGIO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo 15 marzo 2010 «Nuovo codice dell'ordinamento militare», ha introdotto alcune disposizioni disciplinanti lo status militare di tutti gli appartenenti alle forze armate e forze di polizia ad ordinamento militare;
dall'entrata in vigore del suindicato provvedimento, sono centinaia i contenziosi apertisi segnatamente tra i carabinieri in «congedo assoluto», ed il comando generale dell'Arma dei carabinieri, presso il quale - a detta dell'interrogante - è stata formulata un'interpretazione errata delle norme relative allo status degli invalidi per servizio;
in particolare l'articolo 880 del suindicato decreto disciplina le categorie del personale militare in congedo, prevedendo al comma 6 che «i militari in congedo assoluto non sono più vincolati a obblighi di servizio attivo in tempo di pace, in tempo di guerra o di grave crisi internazionale» e «il militare in congedo assoluto conserva il grado e l'onore dell'uniforme»;
ma l'articolo 982 del medesimo provvedimento, dispone che «il militare in congedo se si trova in servizio temporaneo, richiamato o trattenuto, è soggetto alle leggi e alle disposizioni vigenti per il personale in servizio permanente, in quanto applicabili. Il militare in congedo è in ogni caso soggetto alle disposizioni di Stato riflettenti il grado, la disciplina e il controllo della forza in congedo»;
di contro l'articolo 983 dispone che prima dei limiti di età stabiliti o della scadenza fissata dall'articolo 992, comma 2, lettera b), è riconosciuto permanentemente inabile a qualsiasi servizio militare, è collocato in congedo assoluto;
un'ulteriore specifica viene delineata nell'articolo 2070 il quale dispone che «il congedo assoluto spetta ai militari alle armi o in congedo illimitato che per età, o per inidoneità fisica, sono prosciolti da ogni obbligo di servizio militare»;
la suindicata molteplicità normativa disciplinante gli obblighi in capo al personale militare in congedo prevede dunque che i militari, sebbene in congedo, possano essere richiamati in servizio e di conseguenza eventualmente sottoposti alle disposizioni in materia di grado e di disciplina, da considerarsi operazioni di servizio;
ma la stessa normativa non pone chiarezza per quanto riguarda la fattispecie del personale militare in «congedo assoluto», ovvero invalido per servizio, e inabile permanentemente a qualsiasi servizio militare come decretato dalle commissioni medico legali degli ospedali militari;
nei confronti della categoria dei militari in congedo assoluto la normativa sembrerebbe silente, non imponendo in capo alla fattispecie alcun obbligo, anche perché potenzialmente in contrasto con la ratio dell'articolo 929 che al comma 1 dispone che il militare «deve assicurare in costanza di servizio i requisiti di idoneità

specifici previsti» concretamente non disponibili in capo al personale in congedo assoluto;
il portato dell'articolo 861 del medesimo provvedimento, che disciplina le fattispecie di perdita di grado del militare coinvolto, annovera tra queste la rimozione all'esito di procedimento disciplinare configurando la sottoposizione di un militare a procedimento disciplinare come una attività di servizio che non può però considerarsi applicabile ai militari in congedo assoluto;
ma l'articolo 865 dello stesso provvedimento prevede per i carabinieri e finanzieri, sebbene in congedo assoluto, l'applicazione della sanzione di cui all'articolo 861, riconoscendo la sottoposizione degli stessi ad un procedimento nel quale - pur configurandosi come «personale civile» a seguito del riconoscimento del loro status, - non avrebbero diritto a farsi assistere da un legale, ma allo stesso tempo - in quanto riconosciuti come fuori servizio - non potrebbero usufruire di quelle informazioni contenute in circolari e direttive di cui sono a conoscenza invece gli ufficiali in servizio permanente intervenienti nell'ambito del procedimento disciplinare avente ad oggetto l'ex militare in congedo assoluto;
da tali evidenze emergerebbe ad avviso dell'interrogante una conseguente violazione del dettato costituzionale: in particolare dell'articolo 3 che tutela l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, dell'articolo 24 che riconosce il diritto ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e dell'articolo 32 che riconosce il diritto alla salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività;
le suindicate criticità di natura normativa appaiono ulteriormente in contrasto con il dettato normativo di cui all'articolo 56, comma 1, della legge n. 599 del 1954, secondo il quale «Il sottufficiale in congedo assoluto non ha obblighi di servizio» specificando in maniera chiara lo status giuridico del militare in congedo assoluto;
alla luce di tali evidenze ne consegue che un militare in congedo assoluto, per infermità permanente al servizio, non può essere sottoposto ad un processo disciplinare di stato e, quindi, ad una disciplina inerente al servizio, perché inidoneo, né tantomeno il suo diritto acquisito al trattamento al suo status di invalido può essere menomato e travolto da un procedimento i cui effetti sono legati esclusivamente allo status militare idoneo;
appare chiara una contraddizione normativa in capo alle disposizioni in questioni e da un lato viene riconosciuto l'esonero del militare in aspettativa per infermità temporanea al servizio e alla disciplina, dall'altro di fronte ad un provvedimento medico legale di riconoscimento della inidoneità assoluta a qualsiasi servizio militare, con successiva collocazione del soggetto nella categoria dei congedati in modo assoluto, il militare diventa destinatario di un procedimento disciplinare di stato i cui effetti travolgono i diritti acquisiti, con conseguente violazione del diritto alla salute, del diritto alla difesa e del diritto al trattamento derivante dalla inidoneità al servizio nonché con una conseguente discriminazione rispetto alle altre categorie di lavoratori;
stando l'attuale configurazione normativa, un ex militare in congedo assoluto dovrebbe essere costretto a vivere sotto costante minaccia disciplinare da parte dei propri superiori, in capo ai quali sussisterebbe una sorta di potestà insindacabile -:
quali iniziative intenda predisporre per rettificare la normativa suindicata al fine di escludere l'applicabilità delle citate norme, segnatamente sul versante delle sanzioni disciplinari di stato e/o di corpo nei confronti dei cittadini, ex militari in congedo assoluto;
se intenda valutare la possibilità di sollecitare l'emanazione in tempi celeri di

una circolare diretta a tutti i comandi generali delle forze armate e di polizia ad ordinamento militare, attraverso la quale segnalare la grave situazione venutasi a creare - con l'entrata in vigore del nuovo codice dell'ordinamento militare - a danno dei militari invalidi per servizio ovvero in congedo assoluto e sollecitare agli stessi comandi di predisporre iniziative correttive in tal senso;
quali iniziative intenda predisporre al fine di sanare anche le posizioni dei militari che siano stati già destinatari delle sanzioni, di cui in premessa, a causa della destituzione;
quali provvedimenti intenda predisporre per eliminare tutte le sperequazioni evidenziate sulle quali gravano i profili di incostituzionalità citati in premessa.
(4-12107)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul sito web www.forzearmate.org, è pubblicata una lettera intitolata «Lo sfogo di un militare defraudato dei suoi diritti» in cui si legge:
«[...] circa l'80 per cento del personale espleta 4 ore di servizio e 8 di riposo teorico, in quanto in queste 8 ore si espletano anche altri servizi tipo posto di lavaggio, manutenzioni eventuali, esercitazioni, colazione, pranzo, cena ecc.., quindi concludendo se riusciamo a dormire 6-7 ore al giorno, possiamo ritenerci fortunati [...] viviamo quasi 24 ore al giorno respirando aria riciclata da circuiti di climatizzazione che hanno più di 25 anni di vita e che sono scarsamente igienizzati, le poche ore d'aria (sembrerebbe stia parlando di un detenuto) sono permesse a prora dell'unità, zona di circa 50 mq, dove è permesso fumare, le faccio solo immaginare su più o meno 700 persone di equipaggio quanti siano i fumatori e il fumo passivo che respirerebbe un non fumatore che provasse ad affacciarsi a prora, quindi le poche volte che riusciamo a prendere una boccata d'aria sono le ore di alcune settimane che tempo e operazioni di volo permettendo ci concedono sul ponte di volo [...] ciò che a casa è così scontato qui diventa desiderio indescrivibile, come abbracciare i propri cari, baciare la propria moglie o marito, i figli, avere un telecomando tutto per se, magari seduto su un comodo divano senza rumori di apparecchiature accese e senza correnti d'aria di ventilazione forzata con relativo cattivo odore, mangiare un latticino fresco (vorrei tanto una mozzarella!!!) collegarsi a internet regolarmente e non 15 minuti a settimana con attese anche estenuanti che molte volte ti fanno rinunciare anche a quei 15 minuti, vedere regolarmente un tg, ecc. ecc. [...]ci sarebbe tanto da dire su di noi, ma la cosa più triste è che, le nostre famiglie rimangono sole, facendo sacrifici fuori dal comune a portare avanti tutto ciò che comporta una famiglia media normale, senza avere nessun ritorno nemmeno quello economico»;
la delibera Co.Ce.R. Marina n. 212 del 19 maggio 2011 «Trattamento economico del personale impegnato nella missione libica» evidenzia le inquietudini del personale e rivolge una supplica al vertice militare;
l'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 171, a seguito delle procedure di concertazione, dispone che «al personale impiegato in esercitazioni o in operazioni militari caratterizzate da particolari condizioni di impiego prolungato e continuativo oltre il normale orario di lavoro, che si protraggono senza soluzione di continuità per almeno quarantotto ore con l'obbligo di rimanere disponibili nell'ambito dell'unità operativa o nell'area di esercitazione, continua a essere corrisposto il compenso forfettario di impiego, istituito con l'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2002, n. 163, nelle misure giornaliere attualmente in vigore e riportate nell'allegata tabella 2, da corrispondere in sostituzione agli istituti connessi con l'orario di

lavoro, per un periodo non superiore a 120 giorni all'anno»;
la «Disposizioni applicative sul compenso forfettario di impiego e compenso forfettario di guardia» edizione giugno 2003 e successive varianti, lo Stato maggiore della Marina - 1o reparto personale 2o ufficio - dispone che «qualora l'inizio (chiamata dell'assemblea di pre-navigazione) o il termine (chiamata "cessa posto di manovra generale") delle esercitazioni o delle operazioni non coincida con l'inizio e la fine del giorno calendariale, il maggior impegno del personale in quella giornata di attività è compensato con gli ordinari strumenti della normativa sull'orario di lavoro (straordinario e recupero)»;
la «Disposizioni applicative sull'orario di servizio e sul compenso per il lavoro straordinario», edizione 2006 e successive varianti, al punto 3, lettera c, lo Stato maggiore della Marina - 1o reparto personale ufficio 2o sezione 3a - dispone che «nell'arco di una giornata (00.00-23.59) le ore di navigazione eccedenti l'orario lavorativo in vigore (36 ore settimanali) danno luogo alle eccedenze massime di 4,5 ore lavorative per i giorni feriali e 12,00 festivi e che le ore di navigazione di durata inferiore all'arco di una giornata (00.00-23.59) svolte in eccedenza all'orario di lavoro, sono compensate proporzionalmente alle suddette eccedenze massime» -:
se il Ministro sia a conoscenza del morale del personale impiegato nell'ambito della risoluzione n. 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e delle disposizioni in premessa - in particolare dell'applicazione degli istituti citati in maniera non conforme alla concertazione;
se non ritenga necessario corrispondere, al personale militare impiegato nella zona di intervento - ai sensi della legge 11 dicembre 1962, n. 1746 -, l'indennità di missione di cui al regio decreto 3 giugno 1926, n. 941, e al di fuori di detta zona lo straordinario in misura corrispondente alla durata del servizio di navigazione o in alternativa sia corrisposto il compenso forfettario di impiego.
(4-12121)

...

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:

La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
non può passare inosservato l'articolo apparso a pagina 2 de Il sole 24 Ore di mercoledì 25 maggio 2011, dal titolo «Quel sovrapprezzo sui derivati calabresi»;
da tempo si presupponeva che i contratti derivati rappresentassero una mina vagante che minaccia i conti del sistema Italia;
la denuncia di un banchiere: «...una parte rilevante dei profitti riportati negli ultimi anni da alcune banche internazionali in operazioni in derivati con gli enti territoriali italiani sia attribuibile all'uso di metodi quantomeno discutibili»;
profitti per 30 milioni di euro per la banca giapponese Nomura e tre milioni di sovrapprezzo intascati dai soggetti che hanno fornito assistenza sugli swap (titoli a rischio) sottoscritti dalla regione Calabria dal 2004 al 2006: è quanto emerge da un'indagine condotta dal procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, con il supporto del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza e della procura federale svizzera;
i tre swap sottoscritti dalla regione Calabria dal 2004 al 2006, hanno fruttato a Nomura profitti per almeno dieci volte al di sopra della norma;
uno dei motivi che spiegano gli spropositati profitti è che il pacchetto della banca includeva anche cosiddette «opzioni digitali», cioè pericolosissime scommesse sull'andamento dei tassi di interesse;

i tre anni d'affari, dal 2004 al 2006, hanno portato profitti da capogiro alla Nomura, al rappresentante della regione Calabria e ai banchieri artefici del tutto, a danno naturalmente dei cittadini calabresi -:
se non ritenga necessario ed urgente avviare un'indagine sui debiti tuttora agganciati a derivati firmati con banche estere o con banche comunque domiciliate in Italia da parte di enti e società pubbliche.
(2-01095) «Angela Napoli».

Interrogazioni a risposta in Commissione:

RAINIERI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che,
nel corso dell'esercizio finanziario 2005 (13 maggio e 22 luglio), il comune di Fornovo di Taro (Parma) ha riscosso un contributo in conto capitale di euro 3.200.000,00, assegnato dal Ministero dell'ambiente con decreto del 22 dicembre 2004 (DEC/DA/00626) e finalizzato alla realizzazione di interventi urgenti per il riassetto di aree a rischio idrogeologico in località Carona;
l'affidamento dei lavori, preceduto da una serie di indagini idrogeologiche e geotecniche, è avvenuto nel mese di agosto 2008 ed hanno avuto inizio nel corso del 2009, ma ad oggi non sono ancora stati ultimati;
a seguito degli avvenimenti alluvionali avvenuti nel corso del 2010, la situazione di dissesto idrogeologico presente nella predetta località di Corona, ha subito un notevole aggravamento. Al riguardo si deve precisare che già nel 2007 era stato eseguito un intervento urgente di primo stralcio per far fronte in tempi brevi ad un riscontrato pericolo di dissesto e che in data 15 febbraio 2010, la competente direzione lavori, facendo proprie le indicazioni del geologo, segnalava la presenza di modifiche nella morfologia del pendio determinate da eventi meteorologici inusuali. Era stato, inoltre, rilevato che altre aree limitrofe a quella interessata dai lavori fungevano da serbatoio acquifero mettendo conseguentemente a rischio le aree sottostanti;
nel corso dei precedenti esercizi finanziari il comune di Fornovo di Taro ha effettuato i pagamenti a valere sul finanziamento sopra indicato senza detrarli dal computo del patto di stabilità interno, in quanto non inseriti in un ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri;
l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3850 del 19 febbraio 2010 inerente il «Piano degli interventi urgenti riguardante il territorio della regione Emilia Romagna colpito dagli eccezionali eventi metereologici, avvenuti nell'ultima decade del mese di dicembre 2009 e nei primi giorni del mese di gennaio 2010» ha incluso tra i comuni gravemente danneggiati anche il comune di Fornovo di Taro;
in considerazione del riconoscimento dello «stato di emergenza» dei lavori in corso, l'ente comunale, ai sensi dell'articolo 1, comma 94, della legge n. 220 del 2010 intendeva escludere dal computo del patto di stabilità interno tutti i pagamenti da effettuare per il completamento dei lavori in oggetto, imputandoli sul residuo passivo dell'anno 2005, attualmente disponibile in euro 2.041.845,39, portando così a termine con tempestività gli interventi necessari e urgenti per la messa in sicurezza delle aree danneggiate;
la circolare del Ministero dell'economie e delle finanze n. 11 del 6 aprile 2011 concernente il patto di stabilità interno, al punto C.4 recita che le esclusioni (anche quelle relative agli stati di emergenza) sono possibili solo se riferite a spese annuali o pluriennali relative a entrate registrate successivamente al 2008;
la ragioneria generale dello Stato, con una comunicazione e-mail di risposta a specifici chiarimenti richiesti dall'ente comunale circa la possibilità di escludere dal

patto di stabilità interno le somme ancora disponibili del predetto finanziamento di cui al decreto del 22 dicembre 2004, ha ribadito che «... le deroghe previste dai commi 94, 96 e 97 dell'articolo 1, della legge n. 220 del 2010, non considerano le entrate precedenti al 2009. (...)»;
se effettivamente non sarà possibile escludere i pagamenti futuri imputabili sul residuo passivo 2005 dal computo del patto di stabilità interno, il comune di Fornovo di Taro si troverà nella difficile situazione di non poter completare i lavori considerati indifferibili e urgenti da un'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri e di non rispettare l'obiettivo programmatico del patto di stabilità interno 2011 in quanto le riscossioni in conto capitale effettuate ad altro titolo nel 2011 non potranno sicuramente compensare un'uscita di importo così elevato (oltre 2 milioni di euro), incorrendo così nelle pesanti sanzioni previste dal legislatore in caso di sforamento -:
se alla luce di quanto esposto in premessa, non possa chiarire che il comune di Fornovo di Taro possa utilizzare, escludendoli dal patto di stabilità interno i propri residui passivi derivanti dal finanziamento concesso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto del 22 dicembre 2004 (DEC/DA/00626) per completare la realizzazione degli interventi urgenti per il riassetto delle aree a rischio idrogeologico in località Carona, anche in considerazione del fatto che la pericolosità del dissesto idrogeologico presente in tale località è stata ricompresa nell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3850 del 19 febbraio 2010.
(5-04812)

LUCIANO DUSSIN. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
da diversi anni la caserma dove opera la tenenza della Guardia di finanza della città di Castelfranco Veneto è inadeguata sotto tutti i punti di vista per ospitare la gestione di tale servizio;
numerosi sopralluoghi svolti dai responsabili tecnici di più enti, hanno evidenziato negli anni queste insufficienti caratteristiche logistiche, ma finora, dalle Istituzioni di riferimento non è ancora giunta nessuna risposta risolutiva dei problemi ricordati;
entro fine giugno 2011 la locale USL n. 8, proprietaria del terreno dove è collocata questa fatiscente ed insufficiente caserma, metterà in vendita tali beni;
l'amministrazione comunale di Castelfranco Veneto, da diverso tempo, ha manifestato ufficialmente l'intenzione di concedere a titolo gratuito un terreno sul quale si potesse costruire una nuova caserma, ma ad oggi, non si è mai saputo se il Ministero abbia l'intenzione di finanziare tale costruzione. È evidente che l'immobilizzazione di tale area è un costo che difficilmente il comune potrà prolungare nel tempo;
in questi giorni è stata individuata un'altra possibilità. Con il trasferimento degli uffici comunali dei lavori pubblici in altra sede, si libererà una superficie, già visionata e ritenuta idonea dai responsabili locali della Guardia di finanza, che potrebbe soddisfare le necessità finora esposte. Anche in questo caso deve essere segnalata l'urgenza di una decisione, in quanto l'amministrazione comunale deve poter disporre del valore di quel bene in tempi molto contenuti, e a condizioni economiche sostenibili -:
quali siano le intenzioni del Ministro interrogato relativamente alla segnalazione in questione.
(5-04816)

RIGONI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
sempre più si sta diffondendo tra i cittadini la buona prassi di scegliere nelle bollette relative ai consumi domestici le opzioni migliori per ottenere risparmi anche di pochi euro che comunque incidono sempre di più nei portafogli degli italiani;

il testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, definisce all'articolo 1, comma 2, lettera a), l'accisa come «l'imposizione indiretta sulla produzione o sul consumo dei prodotti energetici, dell'alcole etilico e delle bevande alcoliche, dell'energia elettrica e dei tabacchi lavorati»;
l'imposta di fabbricazione incide fortemente sul gettito fiscale e costituisce una entrata importante per il bilancio dello Stato;
l'accisa grava sulla quantità dei beni prodotti e concorre a determinare il prezzo sul quale viene calcolata l'imposta sul valore aggiunto;
ciò implica quindi che l'IVA sui prodotti soggetti ad accisa grava anche sulla stessa imposta di fabbricazione rappresentando di fatto un caso di tributo su tributo;
il decreto del Presidente della Repubblica, 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA) stabilisce che rientrano nell'ambito oggettivo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell'esercizio di imprese mentre non include tra le operazioni imponibili i tributi e le tasse; l'esatta qualificazione della natura giuridica determina l'assoggettamento o meno ad IVA dell'importo dovuto;
secondo copiosa giurisprudenza sia nazionale che comunitaria (si veda Corte di giustizia CE, sentenza del 15 maggio 1990, causa 4/89 e Corte di cassazione, sentenza del 29 aprile 1997, n. 3671) l'imposta sul valore aggiunto non è dovuta su un tributo, in quanto quest'ultimo «non può costituire in tutto o in parte base imponibile per un nuovo prelievo» -:
se il Governo intenda risolvere la questione posta in premessa assumendo un'iniziativa normativa rivolta a chiarire che la base imponibile su cui viene calcolata l'imposta sul valore aggiunto debba essere considerata esclusivamente al netto di ogni tipo di tributo e quindi anche dell'imposta di fabbricazione.
(5-04818)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZACCHERA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
numerose imprese italiane si sono trovate involontariamente coinvolte nel conflitto libico, Stato dove avevano intessuti rapporti importanti sia dal punto di vista commerciale che produttivo;
la guerra ha comportato non solo il blocco delle produzioni in loco, ma anche dei contratti in essere e spesso anche delle produzioni in corso per le quali le imprese italiane - sia in Italia che in Libia - avevano in molti casi già effettuato importanti investimenti -:
quali iniziative intenda intraprendere od abbia intrapreso il Governo al fine di tutelare le imprese italiane coinvolte in modo negativo dal conflitto in atto in Libia.
(4-12093)

STUCCHI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
la legge 23 dicembre 1996, n. 662, articolo 1, comma 58, così come emendata dal decreto-legge n. 112 del 2008, dispone che «la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere negata nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione stessa»;
ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 «il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale

in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di licenziamento»;
l'articolo 16 della legge n. 183 del 2010 dispone che «le amministrazioni pubbliche, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008» -:
quali motivazioni abbiano indotto il direttore regionale dell'Agenzia delle entrate della Lombardia dottor Palumbo ed i suoi dirigenti periferici con provvedimento del 27 aprile 2011 a:
a) revocare tutti i 312 contratti di part-time indiscriminatamente, in difformità dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662, articolo 1, comma 58, così come emendata dal decreto-legge n. 112 del 2008;
b) adottare tale provvedimento di revoca senza esperire il procedimento di nuova valutazione del contratto di lavoro a tempo parziale già in essere, come invece previsto dall'articolo 16 della legge n. 183 del 2010;
c) agire in modo unilaterale revocando tutti i 312 contratti di lavoro a tempo parziale, senza l'assenso del dipendente, così come disciplinato dall'articolo 5 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 che prevede «il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno senza che da ciò ne possa conseguire il licenziamento» -:
quali e quanti lavoratori in organico dell'Agenzia delle entrate della Lombardia siano stati trasferiti da tale regione, che si trova in sotto organico «cronico», verso regioni e strutture in sovra organico;
quali siano le motivazioni che hanno spinto il direttore Palumbo a negare l'applicazione della direttiva dell'Unione europea sulle pari opportunità, discriminando in questo modo le sole lavoratrici lombarde.
(4-12110)

DI PIETRO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'emissione della moneta è obbligatoriamente collegata alla generazione del signoraggio che è rappresentato dal guadagno e dal potere in mano al soggetto predisposto alla creazione della moneta. Il signoraggio, dunque, è l'insieme dei redditi derivanti dall'emissione di moneta. Il premio Nobel Paul R. Krugman, nel testo di economia internazionale scritto con Maurice Obstfeld, lo definisce come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi»;
storicamente, il signoraggio era il termine col quale si indicava il compenso richiesto dagli antichi sovrani per garantire, attraverso la propria effigie impressa sulla moneta, la purezza e il peso dell'oro e dell'argento;
oggi, invece, alcuni studiosi di economia imputano al moderno signoraggio una dimensione che va ben al di là di una semplice tassa, in quanto il reddito monetario di una banca di emissione è dato solo apparentemente dalla differenza tra la somma degli interessi percepiti sulla cartamoneta emessa e prestata allo Stato e alle banche minori e il costo infinitesimale di carta, inchiostro e stampa sostenuto per produrre denaro. Apparentemente, in quanto, de facto, il signoraggio moderno è eclissato nella contabilità dall'azione di dubbia legittimità della banca emittente che pone al passivo il valore nominale della banconota. In buona sostanza, la banca dichiara di sostenere per la produzione della carta moneta un costo pari al suo valore facciale (euro 100 per una banconota del taglio di 100 euro);
le Banche centrali sono le istituzioni che raccolgono sia la ricchezza, sia il profitto da signoraggio che dovrebbero

essere trasferiti, una volta coperti i costi di coniatura, alla collettività rappresentata nello Stato;
tale signoraggio è il cosiddetto signoraggio primario poiché deriva dall'abilità che possiede la Banca centrale di emettere moneta stampandola e immettendola nel mercato. Si tratta del signoraggio che sta a monte di tutto il sistema monetario, poiché si colloca nel momento di emissione della moneta;
questo processo non è però l'unico che permette l'aumento della massa monetaria in circolazione nel circuito economico. Esiste, infatti, un secondo meccanismo attraverso il quale cresce la base monetaria in circolazione, il cosiddetto signoraggio secondario o credit creation;
il signoraggio secondario è il guadagno che le banche commerciali ricavano dal loro potere di aumentare l'offerta di moneta estendendo i loro prestiti sui quali ricevono interessi e, negli ultimi decenni, con l'introduzione di nuovi strumenti finanziari quali, ad esempio, i derivati;
con riferimento al sistema monetario attuale, da anni si discute sia in ambito accademico sia in ambito sociale sulle incongruenze relative alla proprietà del valore della moneta al momento della sua emissione: un valore che, in buona sostanza, non verrebbe riconosciuto in capo al suo creatore, ovvero la collettività, il popolo, ma che piuttosto le verrebbe sottratto;
principio fermo di ogni democrazia è che la «sovranità» appartiene al popolo e la nostra Carta costituzionale sancisce chiaramente questo principio all'articolo 1;
ne consegue che derivazione diretta di tale sovranità è anche la sovranità monetaria, che determina il potere di chi detiene il controllo della moneta e del credito;
essendo il popolo a produrre, consumare e lavorare, la moneta, sin dal momento in cui viene emessa da una qualsiasi Banca centrale dovrebbe, in linea di principio, come affermato da molti studiosi, diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;
la distorsione alla base della sovranità monetaria è stata oggetto di uno studio da parte del procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini che sul punto ha scritto il libro La banca, la moneta e l'usura, edizione Controcorrente, Napoli, 2001. Secondo il procuratore generale Bruno Tarquini, lo Stato avrebbe avuto i mezzi tecnici per esercitare in concreto il potere di emettere moneta e per riappropriarsi di quella sovranità monetaria che avrebbe permesso di svolgere una politica socio-economica non limitata da influenze esterne, ma soprattutto liberandosi di ogni indebitamento;
anche il professor Giacinto Auriti, docente fondatore della facoltà di giurisprudenza di Teramo, ha compiuto numerosi studi sulla sovranità monetaria e sul fenomeno del signoraggio;
in particolare, il professor Giacinto Auriti ha sostenuto che l'emissione di moneta senza riserve e titoli di Stato a garanzia per la realizzazione di opere pubbliche non creerebbe inflazione in quanto corrisposto da un eguale aumento della ricchezza reale, e che le Banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, dando origine in tal modo al debito pubblico;
altra denuncia compiuta dal professor Giacinto Auriti è quella relativa alla totale assenza al livello giuridico di una norma che stabilisca in maniera univoca di chi sia la proprietà dell'euro all'atto della sua emissione. Per tali ragioni, ad avviso del professor Auriti, risulterebbe impossibile individuare chi sia creditore e chi debitore nella fase della circolazione della moneta e i popoli europei non sapranno mai se siano «creditori» (in quanto proprietari) o «debitori» (in quanto non proprietari) per un valore pari a tutto l'euro che viene messo in circolazione -:
se alla luce di quanto descritto in premessa il Governo non intenda intervenire,

anche nelle competenti sedi europee, per verificare la compatibilità delle teorie elaborate dal procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini e dal professor Giacinto Auriti con i Trattati dell'Unione europea e il principio costituzionale della sovranità monetaria, anche al fine chiarire di chi sia la proprietà dell'euro al momento della sua emissione, quale sia la natura giuridica della moneta emessa dalle banche commerciali e, infine, quale sia la reale efficacia degli strumenti di controllo a disposizione della Banca centrale sulla massa monetaria messa in circolazione dalle banche commerciali.
(4-12113)

SCILIPOTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il giorno 5 e 6 novembre del 1994, ebbe luogo un'alluvione che interessò le province di Alessandria, Asti e una piccola parte della provincia di Torino;
con la legge n. 35 del 1995 furono previsti contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati a favore delle imprese danneggiate;
con la legge n. 228 del 1997 le imprese che si trovavano in area a rischio di esondazione, già alluvionate e non, potevano beneficiare di un finanziamento agevolato, garantito dal Fondo di garanzia di cui all'articolo 28 della legge 23 dicembre 1966 n. 1142, qualora si fossero trasferite in area non a rischio;
con il decreto-legge n. 300 del 2006 furono riaperti i termini per richiedere il finanziamento ex lege n. 228 del 1997;
in data 19 settembre 2008, mediante la Gazzetta Ufficiale, fu comunicato l'esaurimento dei fondi del Fondo di garanzia;
più di cento aziende, che avevano presentato la domanda di accesso alle sopra indicate agevolazioni si sono trovate senza finanziamento e hanno dovuto effettuare il trasferimento della propria sede, finanziandolo a tassi ordinari o con capitale proprio;
altre aziende, poi, hanno già il mutuo deliberato dagli istituti di credito, con il loro nominativo impegnato presso la Centrale rischi della Banca d'Italia, senza avere incassato alcuna somma a titolo di finanziamento;
queste aziende sono di piccole e medie dimensioni e occupano, nel totale, circa 5.000 dipendenti;
con il decreto-legge n. 225 del 2010, all'articolo 2, comma 5-sexies, il legislatore ha stanziato ulteriori somme nel Fondo di garanzia ex lege n. 1142 del 1966;
nella stessa disposizione è previsto che, per potere accedere a questi fondi, il Ministro dell'economia e delle finanze, avrebbe dovuto emanare decreti di natura non regolamentare che a, tutt'oggi, il Ministro non ha provveduto a emanare -:
se non ritenga doveroso, vista la grande difficoltà in cui trovano le aziende di cui in premessa, comunicare con la dovuta urgenza la data in cui darà attuazione alle misure previste dal decreto-legge n. 225 del 2010.
(4-12116)

BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il rilevante numero delle istanze di rimborso presentate al fisco dal 2005 al 2011, pari a circa un milione, confermano come il tema della soggettività IRAP sia all'ordine del giorno anche con riferimento alle dichiarazioni dei redditi relative all'anno 2010;
si tratta dei contribuenti che fanno i conti con l'evoluzione della giurisprudenza che continua a precisare i confini dell'applicabilità del tributo;
dopo i lavoratori autonomi, gli agenti di commercio e i promotori finanziari, possono considerarsi dispensati dagli obblighi

Irap anche i piccoli imprenditori privi di autonoma organizzazione (sentenze n. 21122-21124 del 13 ottobre 2010 della Corte di cassazione). Tuttavia, su quest'ultima categoria l'Agenzia delle entrate non si è ancora pronunciata ufficialmente -:
se sia a conoscenza dei fatti narrati e, nell'eventualità positiva, quali iniziate urgenti intenda assumere per rendere la situazione giuridica soggettiva dei piccoli imprenditori privi di autonoma organizzazione, da parte dell'Agenzia delle entrate, conoscibile e certa.
(4-12120)

REALACCI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la Telespazio s.p.a., azienda leader a livello europeo nel settore dei servizi e telecomunicazioni spaziali, ha acquisito nel 2009, per conto di Finmeccanica, una rilevante commessa per oltre 242 milioni di euro per la costruzione e la successiva messa in orbita di un satellite militare, chiamato Göktürk, per conto del Ministero della difesa turco;
l'accordo firmato ad Ankara nel 2009 tra Telespazio e il Sottosegretariato per le Industrie della difesa della Turchia prevede, come detto, la realizzazione di un satellite di osservazione della Terra, da lanciare nel 2013, dotato di un sensore ottico ad alta risoluzione. Telespazio realizzerà un Centro di integrazione e test per satelliti, da costruire in Turchia, e l'intero segmento di Terra del sistema, che garantirà la gestione in orbita, l'acquisizione e il processamento dei dati;
il programma Göktürk è gestito da Telespazio in qualità di Prime Contractor, da Thales Alenia Space, una società Thales (67 per cento) - Finmeccanica (33 per cento), che sarà responsabile della realizzazione del satellite, e da partner industriali locali, tra i quali Tai A.S., Aselsan A.S., Tubitak Uekae, Roketsan A.S. e TR Tecnoloji. Telespazio si occuperà inoltre dei servizi di lancio, messa in orbita e test del satellite;
la parte principale della commessa si riferisce, però, ad attività della Società Thales che possiede di Telespazio il 33 per cento del capitale sociale. Risulta da notizie stampa che detta società avrebbe avuto grosse difficoltà politiche nell'assegnazione della commessa a causa di turbolenze diplomatiche tra la Francia e la Turchia causate dal dissenso politico francese sull'annoso problema del genocidio armeno;
la politica industriale di Finmeccanica è stata quella di surrogare le attività di Thales nella commessa Göktürk, principalmente di natura manifatturiera, assegnando la responsabilità ed i rischi della gestione industriale alla sua controllata, ovvero Telespazio, che però non è un'azienda manifatturiera. La sopraccitata attività acquisita nel 2009 è partita di fatto, a luglio 2010 e nell'arco di 6 mesi ha prodotto perdite, causate da sottostime dei costi, per circa 18 milioni di euro. Inoltre anche nel 2011 è probabile che si accumuleranno ulteriori pesanti perdite, dovute soprattutto al cambio del lanciatore Soyuz che, anche secondo gli organi di informazione e le rappresentanze sindacali, potrebbero arrivare ad una cifra che si aggira intorno ai 20 milioni di euro;
risulta poi che ulteriori difficoltà per Telespazio sopraggiungano dal ritardo nell'attivazione di importanti commesse da parte dell'Agenzia spaziale italiana a causa della riduzione dei capitoli di bilancio pubblico messa in atto dal Governo;
per quanto sopradescritto Telespazio s.p.a. ha annunciato una manovra di cassa integrazione straordinaria per 24 mesi per 135 dipendenti, su oltre 600 della sede di Roma, oltre ad una riduzione del 20 per cento del numero dei dirigenti, nonostante, anche in condizioni di supposta crisi aziendale, questi ultimi siano stati comunque beneficiari dei premi M.B.O. (Management by objectives);

il risparmio effettivo apportato dalla cassa integrazione, a fronte di severi disagi ai lavoratori e alle loro famiglie, è di importo relativamente modesto ed è comparabile con il totale dei premi erogati ai dirigenti;
è utile, oltre a quanto detto, ricordare che nella sua vita cinquantennale, la Telespazio s.p.a., azienda nazionale e strategica di alta tecnologia, non si era mai trovata in difficoltà economiche ed è stata, di fatto, costretta ad assumere un ruolo primario in una commessa di cui non aveva pieno controllo tecnico, spinta dalle difficoltà della Thales ad operare direttamente in Turchia, e dall'interesse di Finmeccanica ad entrare nel mercato della difesa di Ankara;
si stima che la commessa Göktürk continuerà a produrre danni economici e finanziari anche negli anni successivi, mettendo potenzialmente a rischio l'intera azienda -:
quali iniziative urgenti intendano intraprendere i Ministri interrogati per acquisire elementi presso la controllante Finmeccanica, il cui principale azionista è il Ministero dell'economia e delle finanze, in ordine alle cause del problema e alle implicazioni economiche della controllata Telespazio conseguenti alla joint-venture con Thales nel programma Göktürk;
se non si ritenga inoltre opportuno mitigare gli effetti causati dal programma Göktürk sbloccando importanti commesse da parte dell'Agenzia spaziale italiana, evitando così che un'altra azienda italiana di eccellenza entri in una grave crisi;
se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ritenga opportuna una verifica sull'effettiva necessità dell'utilizzo della cassa integrazione guadagni straordinaria come strumento per risolvere errori di politica industriale di Telespazio s.p.a., il cui risparmio per l'azienda è comparabile all'ammontare dei premi alla dirigenza già erogati.
(4-12128)

...

GIOVENTÙ

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della gioventù, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per sapere - premesso che:
la lettura del rapporto annuale 2010 dell'Istat solleva molti motivi di preoccupazione non solo sullo stato complessivo dell'Italia, ma soprattutto su quello della relazione dei giovani con la sfera lavorativa, che appare particolarmente grave. Il tasso di disoccupazione dei giovani italiani è al 20,2 per cento, superiore di 3,7 punti rispetto alla media dell'Unione europea. Ma anche per chi lavora, le prospettive sono tutt'altro che esaltanti. E cresce la quota di chi emigra all'estero in cerca di prospettive migliori. Se la condizione giovanile è lo specchio del futuro del paese, c'è da aspettarsi tempi davvero difficili;
tra i tanti motivi di preoccupazione sullo stato dell'Italia che la recente pubblicazione del Rapporto annuale 2010 dell'Istat solleva, quello riguardante il rapporto dei giovani con la sfera lavorativa pare particolarmente grave. Lo è sia per i suoi lineamenti specifici, sia per le sue possibili implicazioni sul futuro del nostro Paese;
dai dati congiunturali desumibili dal rapporto, al 2010 il tasso di disoccupazione dei giovani italiani in età di 15-29 anni (20,2 per cento) è risultato superiore di 3,7 punti alla media dell'Unione europea e più che doppio rispetto a quello dei giovani tedeschi (9,2 per cento). Inoltre, la quota complessiva di giovani italiani alla ricerca di un impiego si è rivelata di oltre due volte maggiore della corrispondente quota (8,4 per cento) registrata dal completo delle persone in età da lavoro. La situazione, se possibile, peggiora dal lato dell'occupazione. Il rapporto mostra che tra il 2008 e il 2010 il tasso di occupazione

dei giovani è declinato con un'intensità (-13,2 percento) quasi sei volte superiore a quella media registrata per il complesso della popolazione in età di lavoro (-2,3 per cento). E questo fa sì che, in Italia, l'incidenza dei giovani con un impiego sulla pertinente popolazione (34,5 per cento) sia stato, nel 2010, di gran lunga inferiore a quella media dell'Unione (47,8 per cento);
il problema dei giovani non si arresta, però, alle difficoltà di trovare un lavoro. Davanti ai pochi occupati si aprono, infatti, prospettive tutt'altro che esaltanti. La prima osservazione da fare in merito è che i giovani d'oggi stanno conoscendo, rispetto ai loro coetanei di quindici anni prima, una considerevole riduzione delle possibilità di raggiungere, al primo impiego, le posizioni superiori (imprenditoria, libere professioni, alta e media dirigenza) e medie (ruoli impiegatizi qualificati) della stratificazione occupazionale. Si tratta di un fenomeno di vaste dimensioni, dal quale sono colpiti anche i laureati/e e i figli e le figlie delle stesse classi superiori e medie;
considerazioni simili valgono per le relazioni contrattuali. Il rapporto mostra che, nel 2010, quasi la metà (46,7 per cento) dei giovani di 15-29 anni occupati alle dipendenze era stata assunta con contratti a termine. In linea di principio, l'instabilità dei rapporti di lavoro potrebbe non essere un problema se i trattamenti economici a essi associati e gli ammortizzatori sociali previsti in caso di disoccupazione fossero adeguati a garantire un minimo di sicurezza materiale. Ma le cose non stanno affatto in questo modo. In un recente contributo riguardante i disoccupati nel Veneto è stato evidenziato che, tra i giovani fino ai 30 anni, i due terzi non soddisfano i requisiti di ammissibilità all'indennità di disoccupazione ordinaria;
il rapporto, inoltre, fa vedere come al 2010 tra gli occupati del settore industriale che hanno beneficiato della cassa integrazione guadagni, meno di un decimo (7,9 per cento) era in età di 15-29 anni. Nel caso dei redditi da lavoro, poi, alcuni studi hanno mostrato come, a partire dalle generazioni nate dopo gli anni Sessanta, i salari di ingresso dei giovani, nonostante la crescita del loro livello medio di istruzione, si siano progressivamente abbassati e come questo svantaggio iniziale non sia più colmato nel prosieguo della loro storia lavorativa;
non c'è da stupirsi, dunque, se quasi un quarto (22,1 per cento) dei giovani italiani d'oggi si trova in condizione di Neet, come la definisce il rapporto, ossia non lavorino, non ricerchino un impiego e non studino. Né particolare sorpresa desta il fatto che, malgrado i consistenti aiuti ricevuti dalle rispettive famiglie d'origine, i giovani d'oggi si sposino a età sempre più avanzate e che il lasso di tempo intercorrente tra l'inizio del primo impiego e la data del primo matrimonio si sia ormai attestato sui nove anni, di fronte a un intervallo di circa due anni registrato dai soggetti che giovani erano vent'anni or sono. E altrettanto comprensibile è osservare che sta crescendo la quota, non solo di ricercatori e studiosi, ma soprattutto di giovani in possesso di normali titoli di studio universitari che emigrano verso l'estero alla ricerca di relazioni di impiego, trattamenti economici e prospettive di carriera più soddisfacenti di quelle esistenti in Italia;
in passato, si usava dire che nei giovani si potevano scorgere i destini futuri di una società. Se si dovesse prestar fede a questa massima, guardando i giovani d'oggi si dovrebbe dire che tempi ancor più difficili dei presenti si stanno prospettando davanti al nostro Paese -:
se siano a conoscenza di quanto sopra esposto e, nell'eventualità positiva, quale iniziative urgenti intendano porre in essere per dare soluzione ai problemi presenti e, soprattutto, a quelli futuri.
(2-01097)
«Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti».

GIUSTIZIA

Interpellanze:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per sapere - premesso che:
recentissimi studi scientifici hanno esaminato gli effetti economici della presenza pervasiva del crimine organizzato in alcune regioni meridionali. Essa è storicamente consolidata, fino a diffondersi negli ultimi anni anche nelle aree più sviluppate. Con importanti conseguenze sullo sviluppo economico ed effetti di contaminazione tra attività lecite e illecite, attraverso il riciclaggio e il reinvestimento dei proventi delle imprese criminali. Si falsa così il gioco concorrenziale e il costo della legalità mette fuori mercato le aziende tradizionali;
la presenza pervasiva e storicamente consolidata del crimine organizzato in alcune regioni meridionali e l'espansione di queste realtà in anni recenti anche nelle regioni più sviluppate è una triste peculiarità del nostro Paese. Meno noti e indagati, tuttavia, sono gli effetti di questo radicamento sullo sviluppo dell'economia in quelle aree e gli effetti di contaminazione che dalle attività illecite si ramificano anche in segmenti e imprese del tutto lecite attraverso il riciclaggio e il reinvestimento dei proventi delle attività criminali;
un recente studio del servizio studi della Banca d'Italia ha provato a colmare questo vuoto informativo proponendo una metodologia e stimando i costi della presenza criminale in termini di mancata crescita di due regioni meridionali, Puglia e Basilicata;
nelle due aree fino agli inizi degli anni Settanta le organizzazioni criminali, storicamente insediate nelle regioni limitrofe della Campania (camorra), Calabria ('ndrangheta) e Sicilia (mafia), non avevano una presenza significativa, come testimoniato da numerosi indicatori relativi ai crimini contro la persona e la proprietà;
il riposizionamento dei flussi del contrabbando attraverso i Balcani, la presenza di numerosi criminali in soggiorno obbligato e, per la Basilicata, i fondi per la ricostruzione del terremoto del 1980 hanno portato a una progressiva espansione delle organizzazioni criminali, costituitesi in forma autonoma in Puglia (sacra corona unita);
il brusco passaggio da una fase di sviluppo nella quale la presenza del crimine organizzato non giocava un ruolo a quella successiva caratterizzata da una progressiva espansione delle attività illecite offre la possibilità di verificare l'impatto di questi ultimi fenomeni sui tassi di crescita regionale;
viene quindi costruito, utilizzando una metodologia già impiegata per stimare i costi di situazioni di conflitto locale, un indicatore del Pil pro-capite medio delle altre regioni italiane (escludendo, oltre a Puglia e Basilicata, anche Sicilia, Campania e Calabria nelle quali la presenza del crimine organizzato era sistemica anche negli anni Cinquanta e Sessanta) in cui i pesi minimizzano la differenza di crescita tra Puglia e Basilicata e le altre regioni guardando a una serie di indicatori riferiti alle principali determinanti dello sviluppo;
si ottiene così un indicatore del reddito pro-capite basato sull'evoluzione delle altre regioni e capace di ben approssimare l'analogo sentiero di crescita di Puglia e Basilicata fino agli anni Settanta. Lo stesso indicatore evidenzia invece una progressiva divergenza di andamento dopo la metà degli anni Settanta, con un ritardo cumulato di oltre 20 punti percentuali nel reddito pro-capite di Puglia e Basilicata rispetto alla corrispondente evoluzione dell'indicatore benchmark. Il gap persiste e risulta robusto controllando anche per

altri indicatori potenzialmente in grado di spiegare il divario dei sentieri di crescita;
lo studio permette quindi di associare una stima quantitativa, e un gap di crescita estremamente significativo, alla congettura secondo cui uno dei fattori che storicamente spiegano il ritardo delle regioni meridionali sia da collegare alla presenza pervasiva e radicata sul territorio delle organizzazioni criminali. I canali attraverso cui l'impatto negativo può manifestarsi sono molteplici. In primo luogo, la presenza pervasiva delle organizzazioni criminali comporta un progressivo indebolimento dei diritti di proprietà, minacciati ad esempio dal fenomeno dell'estorsione, o dalle pressioni violente perché una impresa ceda alle richieste e ai favori di concorrenti collegati al crimine. Un quadro nel quale una impresa può subire dei veri e propri processi di espropriazione del proprio reddito genera effetti negativi sugli incentivi a investire e a sviluppare le proprie attività;
analizziamo, ora, il costo della legalità, per compararlo ai costi dell'illegalità sopra descritti. Il reinvestimento dei proventi dalle attività criminali in settori legali segue percorsi che numerosi studi e indagini della magistratura hanno confermato, individuando alcune attività particolarmente esposte a queste dinamiche;
in primo luogo l'edilizia, in particolare nel movimento terra e nelle forniture di materiali, nelle quali le imprese collegate alle cosche possono espandersi imponendo i propri servizi in subappalto, o direttamente competendo nelle gare. Il commercio all'ingrosso, che funge anche da canale di distribuzione di prodotti non in regola con le norme sanitarie e di prodotto, e sfrutta la logistica per trasportare assieme prodotti alimentari e prodotti dei traffici illeciti. Il commercio al dettaglio, gli esercizi di ristorazione, il turismo;
insomma, una serie di aree di attività importanti nell'economia della regione che divengono terra di espansione delle organizzazioni criminali a svantaggio delle imprese legali. E che, per il basso grado di trasparenza che in molte di queste attività si osserva, consentono anche il riciclaggio dei proventi illeciti;
in questi processi di espansione le imprese collegate alle organizzazioni criminali godono di forti vantaggi competitivi, essendo in grado di accedere alla enorme liquidità delle attività illecite, di prendere il controllo delle imprese concorrenti attraverso la pratica dell'usura, di utilizzare i fondi illeciti per manipolare gli appalti e condizionare le istituzioni politiche e amministrative, praticando in modo sistematico l'evasione fiscale, delle normative sul lavoro e sull'ambiente e potendo godere di uno strumento di competizione estremamente convincente come l'uso della violenza;
la diffusione di questi fenomeni nell'area campana, ad esempio, è testimoniata in termini quantitativi nella ricerca recentemente condotta dalla fondazione Chinnici sull'estorsione a Napoli e Caserta. Quando la presenza diviene pervasiva, come oggi si osserva nelle regioni meridionali, ma ad esempio anche in alcune aree della Lombardia e della Liguria, il gioco concorrenziale viene completamente falsato e le imprese tradizionali iniziano ad avvertire un «costo della legalità» che le mette fuori mercato rispetto ai concorrenti. Fenomeni di contiguità, opportunismo e accomodamento, in cui l'imprenditore non vede e non chiede, sono testimoniati in molte inchieste della magistratura, non ultima quella che ha indagato la progressiva monopolizzazione delle attività di movimento terra nell'area del sud-ovest milanese da parte delle 'ndrine dei comuni dell'hinterland;
inoltre, la capacità di pressione delle organizzazioni criminali è particolarmente efficace in quelle attività che sono intermediate dalla pubblica amministrazione, resa connivente dal bastone della violenza e dalla carota della corruzione, e nei cui confronti il controllo dei voti rappresenta un ulteriore elemento di scambio. I processi di espansione in questi segmenti dell'economia legale, quindi, comportano

una diffusione di pratiche di corruzione e di decadimento del personale politico, che ulteriormente limitano le possibilità di crescita delle economie locali;
anche in questo caso le inchieste ella magistratura restituiscono un quadro di pervasiva corruzione nelle amministrazioni locali, con una frequenza non dissimile se guardiamo ai comuni dell'area napoletana o a una cittadina della Brianza come Desio;
il «costo della legalità» appare come l'elemento più pericoloso nell'evoluzione delle economie locali in presenza del crimine organizzato, poiché comporta un arretramento sistematico nel rispetto delle norme e dei regolamenti che governano le attività economiche e il diffondersi di una legalità debole entro la quale gli operatori economici si spostano, con l'indebolimento ulteriore dei meccanismi concorrenziali e di mercato. Le inchieste siciliana e campana sull'estorsione promosse in questi anni da una nota fondazione hanno dimostrato come le prime vittime dell'estorsione sono proprio le attività economiche nella sfera della legalità debole, che preferiscono pagare il pizzo piuttosto che denunciarlo, attirando la Guardia di finanza in casa a controllare i libri contabili. E l'omertà degli imprenditori lombardi taglieggiati dalle cosche emersa nelle recenti inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Milano non lasciano ben sperare;
oltre alla repressione dei crimini, la ricerca ha individuato una serie di policy per contrastare questi fenomeni. In primo luogo, esiste ampia evidenza sulla forte correlazione tra risorse dedicate a indagini e accertamenti e risultati ottenuti. L'andamento ciclico delle inchieste milanesi sulla presenza della 'ndrangheta hanno registrato successi quando sono state potenziate forze dell'ordine e magistrati e arretramenti nelle fasi di allentamento dell'impegno. Ma l'opera di repressione, per sua natura puntuale, non può sostituire altre forme di argine alla diffusione della presenza criminale. Il problema è ancora una volta di esternalità: l'imprenditore individualmente può trovare conveniente accettare la collusione con le organizzazioni criminali, contribuendo tuttavia a generare un decadimento del tessuto economico e sociale. Alle esternalità possono in parte fare da argine le azioni coordinate delle associazioni di categoria, come l'esperienza antiracket di Confindustria Sicilia ha testimoniato. Così come un importante antidoto si crea con la formazione e l'informazione presso l'opinione pubblica. Sapendo che il rispetto delle regole e della legalità non è solamente una battaglia civile, ma uno dei fronti su cui le possibilità di crescita del Paese si giocano -:
se siano a conoscenza dei fatti esposti e, nell'eventualità positiva, quali iniziative gravi ed urgenti intendano porre in essere, eventualmente aderendo ai risultati della ricerca stessa per arginare le degenerazioni ivi denunciate.
(2-01096)
«Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti».

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
la legge 193 del 2000, la cosiddetta «legge Smuraglia», recante «Norme per favorire l'attività lavorativa dei detenuti» prevede che vengano concessi sia benefici fiscali (spettanti alle imprese che, a decorrere dal 28 luglio 2000, assumano lavoratori dipendenti che a tale data risultano detenuti o internati presso istituti penitenziari ovvero sono ammessi al lavoro all'esterno), sia agevolazioni di natura contributiva che, oltre alle cooperative sociali, vengono estese anche alle aziende pubbliche e private che, organizzando attività all'interno degli istituti penitenziari di servizio o di produzione, impieghino persone detenute o internate;
il Ministro interpellato, nella sua ultima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione delle disposizioni di legge relative

al lavoro dei detenuti ai sensi dell'articolo 20, ultimo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, anno 2010, mentre da un lato evidenziava le attività svolte nel 2010, al fine di incrementare e razionalizzare le strutture lavorative all'interno degli istituti penitenziari, e sottolineava la necessità di tenere più stretti i rapporti con il territorio, ponendo particolare attenzione al mercato del lavoro esterno e alle realtà imprenditoriali locali, al fine di valutare la possibilità di offrire in gestione a terzi le lavorazioni che avevano particolare difficoltà a mantenere o sviluppare le proprie produzioni, dall'altro annunciava, di fatto, e soprattutto metteva in atto, drastici tagli sia al budget per la remunerazione dei detenuti lavoranti sia al finanziamento, a sette anni dall'emanazione dei suoi decreti attuativi, della succitata legge n. 193 del 2000;
sempre a fronte delle dichiarazioni in merito agli interventi che il Governo intendeva effettuare per fronteggiare la gravissima crisi del sistema carcerario dovuta al sovraffollamento, lo stesso Ministro riportava il dato riferito ad una seria diminuzione del numero dei detenuti lavoranti a fronte di un aumento complessivo della popolazione detenuta, e ciò a causa dell'impossibilità da parte dell'amministrazione penitenziaria di mantenere la proporzione a causa di un'insufficienza del fondi a disposizione: infatti, da un fondo assegnato di 71.400.000,00 euro nel 2006 rispetto a una presenza media di detenuti di 51.748 unità, si passa al fondo per il 2010 con una dotazione di 54.215.128,00 euro (di cui «solo» 49.965.319,67 euro per l'anno di riferimento) rispetto a una presenza media di detenuti di 67.961 unità, per arrivare allo stanziamento per il 2011 di soli 49.664.207,00 euro;
nel dicembre 2010 i detenuti lavoranti erano 14.171, pari al 20,85 per cento del totale (67.961), rispetto ai 14.271 dell'anno precedente, pari al 22,03 del totale (64.791);
la forzata diminuzione delle attività lavorative, inoltre, non riuscendo più a garantire l'acquisizione di specifiche professionalità spendibili sul mercato del lavoro, che rappresentano la principale fonte di sostentamento per la maggior parte della popolazione detenuta, sta causando problemi che nel futuro non potranno che aumentare, disattendendo, inoltre, nei fatti, i principi costituzionali che sovrintendono alla funzione rieducativa della pena;
la diminuzione dei fondi in questione, inoltre, sta condizionando in modo particolare le attività lavorative necessarie per la gestione quotidiana degli istituti penitenziari, e cioè i servizi di pulizia, cucina, manutenzione ordinaria del fabbricato e altro, incidendo negativamente sulla qualità complessiva della vita all'interno dei penitenziari;
del tutto esaurito è anche lo stanziamento a disposizione per la copertura dei benefici fiscali previsti dalla «legge Smuraglia» per i detenuti assunti per il lavoro esterno da imprese e cooperative;
il Ministro interpellato, sempre nella sua relazione, riconosce come «particolarmente significative le esperienze in atto presso gli istituti di Padova, Milano Bollate, Torino, Monza e Massa dove è forte la presenza di imprenditori che hanno assunto un significativo numero di detenuti per attività lavorative organizzate all'interno degli istituti», ma, contemporaneamente, taglia massicciamente i fondi a queste destinate riducendo il budget a poco più di due milioni di euro, spalmati secondo i criteri, ad avviso dell'interpellante, poco intelligibili sui vari provveditorati regionali -:
se il Ministro non ritenga, anche alla luce dell'analisi eseguita dal suo Ministero e illustrata nella relazione citata in premessa, di dovere adottare le iniziative necessarie al fine di porre rimedio all'assoluta inadeguatezza delle risorse stanziate per il lavoro interno ed esterno dei detenuti, non solo per migliorare le condizioni di permanenza all'interno delle mura carcerarie ma anche per creare le

condizioni per la riabilitazione e per il reinserimento nella società dei detenuti stessi.
(2-01099)«Rigoni».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
II Commissione:

CONTENTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
notizie di stampa hanno riportato l'esito delle indagini relative alla cosiddetta inchiesta «toghe lucane» che avrebbe visto il proscioglimento di tutte e trenta le persone indagate e per tutti ventiquattro i capi di imputazione ipotizzati dall'allora pubblico ministero Luigi de Magistris;
in particolare, dalla lettura dei quotidiani si apprende la generale mancanza di elementi di reato o l'insussistenza degli addebiti per tutte le ipotesi avanzate dall'accusa, ipotesi riferite, tra l'altro, a fattispecie molto gravi che avevano coinvolto magistrati e alti dirigenti della pubblica amministrazione;
si sarebbe trattato di un'indagine protratta per anni con ricorso a numerosi atti investigativi e a diverse intercettazioni telefoniche;
dalle anticipazioni sul provvedimento di archiviazione, a parere dell'interrogante, sembra emergere l'esistenza di un teorema accusatorio perseguito con inspiegabile perseveranza, in contrasto con l'evidenza degli elementi probatori posti, successivamente, alla base del generale proscioglimento degli indagati nonché in danno di persone coinvolte, loro malgrado, nell'indagine anche alla luce delle notizie rimbalzate, all'epoca, sui mezzi di comunicazione;
quello che, però, non risulta essere stato reso noto è il costo dell'intera operazione che, visto l'esito dell'indagine, farà probabilmente carico alle casse dello Stato -:
a quanto ammontino le spese relative al procedimento in questione e, in particolare, quelle riferibili alle intercettazioni telefoniche, quanti «bersagli» abbiano interessato queste ultime, quale sia stata la durata complessiva delle indagini, quali reati risultino essere stati contestati, per quali tra essi risultino autorizzate le intercettazioni telefoniche e con quali motivazioni e quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, anche attraverso gli organi ispettivi, al fine di valutare l'esistenza dei presupposti per promuovere l'azione disciplinare, anche effettuando le segnalazioni del caso alla magistratura contabile.
(5-04832)

RAO e PEZZOTTA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la corte d'appello di Brescia sezione lavoro, deputata a decidere in secondo grado tutte le cause di lavoro dei tribunali di Cremona, Crema, Bergamo, Brescia e Mantova, ha un organico composto di sole tre unità, un presidente e due giudici a latere, il minimo indispensabile per poter operare;
da novembre 2010, manca il presidente, in quanto il dottor Angelo Tropeano è andato in pensione;
ciò ha determinato un funzionamento a singhiozzo della corte d'appello, nel senso che uno dei due giudici a latere di ruolo, quello più anziano, svolge la funzione di presidente e, all'interno del collegio, per raggiungere la quota indispensabile di tre unità, viene a rotazione chiamato un giudice «esterno»;
la situazione sta scontentando tutti e la qualità del servizio ne risente: sarebbe quindi auspicabile, in tempi brevi, la nomina del nuovo presidente, perché diversamente, si andrebbe verso una situazione di denegata giustizia in una materia delicata come quella del lavoro -:
quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare al riguardo.
(5-04833)

FERRANTI e RUBINATO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la situazione in cui versa il tribunale di Treviso, afflitto da uno stato di perenne e gravissima carenza di organico, e al contempo gravato da un enorme numero di procedimenti, è vicina al collasso, nonostante il grandissimo impegno e la dedizione di chi attualmente ci lavora per garantire comunque ai cittadini una giustizia efficiente;
la pianta organica dei magistrati del tribunale di Treviso era inizialmente stata ampliata, con decreto ministeriale 23 gennaio 2003, fino ad un numero di 32 magistrati, numero che annoverava il presidente del tribunale e i presidenti di sezione, per arrivare, successivamente, con il decreto ministeriale del 7 aprile 2005, ad essere aumentato fino a 34 unità, compresi il presidente e i presidenti di sezione;
questo accadeva, però, mentre l'organico del personale amministrativo veniva progressivamente ridotto, passando da 130 unità al momento della riforma del giudice unico del 1999 (101 in sede centrale più 29 nelle tre sezioni distaccate), a 123 unità del novembre 2002 (96 in sede centrale più 27 nelle tre sezioni distaccate), fino ai 116 dell'8 marzo 2007 (91 nella sede centrale e 25 nelle tre sezioni distaccate) per arrivare a 110 complessive dal 29 ottobre 2009 (85 in sede centrale e 25 nelle sezioni), compreso il dirigente;
l'organico dei magistrati aveva subito ripetuti assestamenti a seguito delle riforme che hanno soppresso le prefetture e ridefinito le competenze dei tribunali ordinari e delle corti di appello;
ogni revisione delle piante organiche, attuata con il parere del Consiglio superiore della magistratura, ha sempre tenuto conto di parametri diversi tra di loro, riferiti soprattutto a presumibili esigenze del settore e, quindi, con prevalente riferimento ad un rapporto tra numero di magistrati giudicanti e numero di cittadini;
nel settore penale è previsto un parametro proporzionale tra numero di addetti a all'ufficio del pubblico ministero e numero di giudicanti, tant'è che l'articolo 26, n. 3, della circolare del C.S.M. sulla formazione delle tabelle per il triennio 2009/2011 prevede che il numero dei magistrati GIP-GUP non può essere inferiore ad un terzo rispetto quello dei magistrati previsti in organico presso la procura della Repubblica e non inferiore a un decimo dell'organico dell'intero tribunale;
i parametri riferiti alle esigenze del settore civile, sono, invece, ad avviso degli interroganti, sempre stati trascurati anche perché si continua a travisare la realtà della giustizia italiana e a considerare come veri problemi del sistema giustizia solo quelli relativi al settore penale, mentre non si considerano parametri rilevanti quali, ad esempio, la distribuzione delle risorse rispetto al numero delle imprese presenti sul territorio (imprese che rappresentano la gran parte degli «utenti» della giustizia civile);
il Veneto, in particolare, è il distretto con il peggior rapporto tra popolazione e numero di magistrati in servizio ed il tribunale di Treviso, con quello di Vicenza, occupano le posizioni peggiori;
la comparazione con altre realtà giudiziarie del Paese, anche del Nordest, rende evidente il deficit di risorse: ad esempio il tribunale di Udine ha 30 magistrati a fronte di un numero di abitanti e di imprese pari circa alla metà di quelle di Treviso; i magistrati del tribunale di Pordenone hanno un carico di lavoro pari a circa la metà di quelli di Treviso; Brindisi ha tre magistrati in più di Treviso con la metà circa della popolazione, Modena ne ha due in più con 2/3 della popolazione di Treviso, e gli esempi potrebbero continuare;
eppure il tessuto economico trevigiano, ricco di piccole e medie imprese, determina una situazione della giustizia civile che da anni è in costante crescita a fronte di un organico largamente deficitario,

al quale viene richiesto un impegno e uno sforzo superiore a quello di altri uffici italiani;
è solo grazie alla particolare laboriosità di tutti gli operatori coinvolti che il tribunale di Treviso continua ad essere uno dei più virtuosi e produttivi in Italia ma l'attuale situazione in cui versano gli uffici giudiziari di Treviso non è più sostenibile, anche perché si stanno verificando fenomeni, da un lato, di tendenza all'esodo di magistrati verso uffici con minor pressione lavorativa e, dall'altro, di difficoltà a far ivi trasferire magistrati che siano disponibili a sostenere un impegno ben superiore a quello di altri tribunali;
il sistema economico locale necessita con urgenza di essere fornito di un servizio della giustizia civile adeguato attraverso una dotazione di magistrati che sia almeno in proporzione a quella di altri uffici italiani, onde evitare, come più volte segnalato anche dallo stesso mondo imprenditoriale, che si accentui il fenomeno della fuga delle imprese dalla giustizia -:
se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire con urgenza predisponendo misure atte ad adeguare l'organico del tribunale di Treviso, in particolare quello civile, al carico di lavoro effettivo tenuto conto dell'alto numero di imprese ivi presenti e della popolazione della provincia.
(5-04834)

Interrogazioni a risposta scritta:

SCILIPOTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da molto tempo, e in particolare a partire dal 25 ottobre 1989, data di entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, è stata sottolineata dagli operatori del settore l'esigenza di un potenziamento dell'organico della magistratura ordinaria, anche per fronteggiare il dilagare della criminalità organizzata;
con la istituzione di nuovi organismi giudiziari (direzione nazionale antimafia, direzione distrettuale antimafia) numerosi magistrati sono stati assegnati alle funzioni requirenti aggravando la cronica carenza degli organici. Mancano 1.300 magistrati soprattutto nelle cosiddette zone a «rischio»;
l'arretrato dei procedimenti civili e penali è divenuto spaventoso. Un procedimento civile giunge a sentenza definitiva dopo 10-15 anni; in media in 10 anni se penale;
le innumerevoli condanne, per la violazione del termine ragionevole di durata dei processi, sia da parte delle corti d'appello che della Corte europea dei diritti dell'uomo ad una equa riparazione, comportano un enorme esborso economico da parte dello Stato;
la soluzione del problema non può peraltro rinvenirsi nell'unico strumento di reclutamento ordinario dei magistrati, che richiede un lasso temporale di circa quattro anni dalla pubblicazione del bando di concorso all'immissione in ruolo dei vincitori;
nemmeno i concorsi susseguitisi negli ultimi anni sono stati in grado di fornire sufficienti garanzie di celerità. Infatti, pur comportando un massiccio afflusso di candidati, non hanno neppure conseguito la completa copertura dei posti disponibili;
la giustizia, e non solo quella ex pretorile, è oggi amministrata prevalentemente da magistrati onorari (vice procuratori onorari della Repubblica e giudici onorari di tribunale) i quali, con il loro impegno, assicurano il regolare svolgimento delle udienze in quanto la presenza dei pubblici ministeri di ruolo alle stesse paralizzerebbe di fatto la fase delle indagini preliminari e tutte le altre incombenze rese particolarmente gravose dalla assegnazione di migliaia di procedimenti penali ad ogni magistrato (circa 5.000);
l'elevatissimo numero di deleghe ai vice procuratori indica come lo svolgimento del 90 per cento delle udienze

venga garantito appunto dai predetti (con una media personale di 3-4 udienze settimanali);
identica situazione, se non peggiore, è quella dei giudici onorari di tribunale sia in campo civile sia in campo penale, i quali permettono la definizioni di innumerevoli procedimenti;
il magistrato onorario, da tale, è divenuto «giudice quotidianamente operante» con il gettone di presenza di 98,00 euro per udienza, compenso assolutamente offensivo della sua professionalità, compenso corrisposto soltanto per le giornate di lavoro effettivamente svolte, senza alcun riferimento alle ore lavorative per lo studio dei processi, delle cause e per la redazione delle sentenze (in media da 20 a 50);
al fine di garantire la funzionalità del sistema giudiziario, l'esercizio di funzioni da parte dei magistrati onorari in scadenza viene prorogato ogni anno;
a riprova dell'importanza e dell'indispensabilità dell'attività svolta dai magistrati onorari nel passato, sia remoto che recente, in quattro occasioni, altrettante leggi del regno e della Repubblica hanno stabilito una immissione straordinaria dei medesimi nei ruoli della magistratura professionale (regio decreto legge 20 luglio 1934, n. 1404, decreto legislativo luogotenenziale 30 aprile 1946, n. 352, «i cosiddetti togliattini», legge 18 maggio 1974, n. 217 e legge 4 agosto 1977, n. 516);
il coordinamento nazionale magistrati onorari ha presentato in Parlamento ed ai Ministri della giustizia pro-tempore diverse proposte, quali:
a) l'istituzione di un ruolo di complemento ad esaurimento dei vice procuratori onorari della Repubblica e dei giudici onorari di tribunale;
b) il reclutamento di uditori giudiziari tramite concorsi per esame riservati ai vice procuratori onorari della Repubblica e dei giudici onorari di tribunale;
c) la sistemazione giuridico-economica dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari della Repubblica incaricati di funzioni giudiziarie ai sensi degli articoli 42-bis, 42-ter e 71 dell'ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, in servizio da almeno 15 anni -:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire sui problemi prospettati, col fine di evitare di disperdere le energie dei vice procuratori onorari della Repubblica e dei giudici onorari di tribunale - tanto essenziali per assicurare il buon funzionamento della giustizia - e per evitare di rendere vane le professionalità acquisite nello svolgimento di tali attività;
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per permettere la sistemazione giuridica ed economica dei magistrati onorari di tribunale.
(4-12103)

ZACCHERA e NASTRI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 6 agosto 2010 il pugile ucraino Oleg Fedchenko uccise a Milano, senza alcuna motivazione, la signora Emlou Arvesu, filippina da anni residente in Italia, di 45 anni, casualmente incontrata per strada;
a distanza di quasi dieci mesi dai fatti l'omicida è ricoverato in un ospedale criminale psichiatrico e con ogni probabilità verrà giudicato incapace di intendere e volere per l'uccisione della signora Arvesu la cui morte ha portato tutta la sua famiglia in situazioni economiche di difficoltà, oltre al comprensibile dolore per la perdita della congiunta;
dal punto di vista patrimoniale, in casi come questo, la vittima o i suoi familiari non ottengono risarcimenti di sorta ed il colpevole nulla è chiamato a pagare;
il caso qui ripreso pone il problema se in qualche modo lo Stato non debba intervenire con iniziative di solidarietà

sociale a tutela delle famiglie delle vittime, come per esempio già avviene in caso di incidenti stradali che rimangano senza responsabili noti o i cui colpevoli non siano assicurati alla giustizia -:
se non ritenga il Ministro che occorra assumere iniziative normative per procedere ad una estensione delle provvidenze di questo tipo ai casi in cui i responsabili di lesioni gravi o della morte di persone risultino nullatenenti o per motivi psichiatrici non siano perseguibili per le loro azioni.
(4-12108)

GIRLANDA, BARANI, DE LUCA, CASTELLANI, BOCCIARDO, ABELLI, MANCUSO, DI VIRGILIO, GHIGLIA, TOMMASO FOTI e CARLUCCI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la vicenda della detenuta americana Amanda Knox, per la quale è in corso il processo di appello a Perugia, come è noto ha suscitato grandi discussioni e polemiche, soprattutto negli Stati Uniti dove sono stati coinvolti persino membri del Congresso e diverse autorevoli personalità istituzionali;
pur nel pieno rispetto dello svolgimento processuale e del ruolo della magistratura giudicante, non possiamo non notare che il processo di appello ha obiettivamente aperto più ampi e clamorosi dubbi su quelle che erano state considerate cosiddette prove nella fase di primo grado, in cui non si era ammessa la possibilità di ulteriori perizie e di audizione di testimoni, limitando cioè il dibattimento, di fatto, alle sole e discutibili ragioni dell'accusa;
del resto lo stesso presidente della Corte d'appello ha aperto il processo di secondo grado con una precisazione più che eloquente: «Il rispetto dell'articolo 533 del Codice di procedura penale (pronuncia di condanna soltanto se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio) non consente di condividere totalmente la decisione della Corte d'Assise di primo grado»;
l'utilizzo distorto della carcerazione preventiva caratterizza purtroppo da tempo il nostro Paese. Proprio negli Stati Uniti tale misura appare di difficile comprensione, in quanto, secondo le norme che variano da Stato a Stato, negli USA si può essere detenuti dalle 48 alle 72 ore, dopodiché o si viene dichiarati imputati o si viene rilasciati;
processi come questo di Perugia si sarebbero potuti celebrare con gli imputati in condizione di libertà, eventualmente con misure restrittive circa l'espatrio per quanto riguarda una cittadina straniera, eppure la magistratura ha addotto come ragione, ad avviso dell'interrogante, surreale per una detenzione in carcere la possibile reiterazione del reato;
sin dall'inizio questo caso ha fatto rilevare delle forzature estremamente inquietanti per uno Stato di diritto. Durante le fasi di indagine un dirigente della Polizia di Stato, in un'intervista televisiva presente anche su internet, ha mostrato alle telecamere il corridoio degli uffici della polizia a Roma dove sono esposti ritratti fotografici incorniciati di personaggi come i capi della criminalità organizzata, serial killer ed altri malviventi condannati con sentenze molto pesanti passate in giudicato. Il dirigente in questione ha mostrato anche tra i successi del servizio centrale operativo, subito dopo le immagini del capo della mafia Bernardo Provenzano, un ritratto fotografico incorniciato di Amanda Knox. Tale ritratto è stato affisso presso gli uffici della polizia di Stato prima ancora dell'inizio del processo di primo grado, ed accompagnato da gravissime dichiarazioni alla stampa del suddetto dirigente (che non risulta essere mai stato sanzionato) dove egli sostiene che un'investigazione unicamente «psicologica», e senza nessun altro ausilio tecnico-scientifico, «ci ha consentito di arrivare in brevissimo tempo all'individuazione dei colpevoli»;

non è necessario richiamare qui che in base ai principi giuridici del nostro Paese un imputato può essere eventualmente definito colpevole al termine di tre gradi di giudizio da parte della magistratura, e non al termine degli interrogatori di polizia;
appare agli interroganti piuttosto curioso ed inquietante per uno Stato liberale e democratico che, malgrado quanto espressamente prescritto dal codice di procedura penale circa la necessità di prove assolutamente certe ed inequivocabili, sia possibile giudicare un cittadino colpevole solo su base «psicologica» e dopo un interrogatorio di polizia, e tanto più alla luce delle risultanze del processo di appello, dove le cosiddette prove e testimonianze dell'accusa si stanno rivelando nel migliore dei casi contraddittorie o inattendibili;
tutte queste distorsioni avvenute nelle varie fasi sia delle indagini, con dichiarazioni fuori luogo da parte della polizia giudiziaria, sia del processo con il mancato riconoscimento del diritto alla difesa degli imputati, sono state ampiamente riportate e diffuse negli Stati Uniti, anche in talk show con decine di milioni di telespettatori, alimentando non senza ragione le accuse verso l'amministrazione della giustizia del nostro Paese;
a prescindere dall'eventuale assunzione di iniziative ispettive da parte del Ministro, questo caso ripropone con drammatica urgenza la necessità di una indifferibile e profonda riforma della giustizia, che, ad avviso degli interroganti, dovrebbe auspicabilmente contenere un chiaro e netto riequilibrio tra poteri e ruoli bell'accusa e della difesa, sia nelle fasi di indagine che di dibattimento (come accade in tutti i Paesi democratici), il riconoscimento della responsabilità civile dei magistrati per gli errori compiuti (come richiestoci da una sentenza della Corte di giustizia europea sin dal 2006), una rigorosa disciplina della custodia cautelare limitata scrupolosamente ai casi di elevata pericolosità sociale e non intesa, come troppo spesso tristemente oggi accade, come anticipazione di una pena verso cittadini neppure imputati -:
se, alla luce di quanto esposto in premessa, non intenda assumere, iniziative normative per una riforma della giustizia penale, con particolare riguardo alla custodia cautelare.
(4-12131)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:

LOVELLI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nel corso dell'assemblea di Assoagenti svoltasi a Genova il 23 maggio 2011 il Vice Ministro Roberto Castelli ha affermato che ammonta a 1 miliardo di euro la cifra dei contenziosi coi general contractor per la realizzazione di linee AV/AC e che quello in atto fra Cociv e Rfi riguardante la realizzazione del terzo valico ferroviario dei Giovi è in pratica l'unica cosa che frena la realizzazione dell'opera;
dai dati esposti nel corso del convegno risulterebbe che un miliardo è la somma (300 milioni più altri 700) del risarcimento chiesto rispettivamente dai contractor della ferrovia Brescia-Treviglio e del Terzo valico nel 2007 e che, mentre il consorzio Cepav 2 (composto da Eni e Saipem) per la Brescia-Treviglio ha rinunciato al contenzioso, così non è stato per il Cociv (Impregilo, Cev, Civ, Condotte) che perciò non ha ancora sottoscritto il contratto per il terzo valico il cui costo attuale è di 6,2 miliardi, finanziato per 719 milioni;
il Vice Ministro Castelli a questo proposito ha affermato che la realizzazione dell'opera era stata sospesa dal precedente Governo e che «noi abbiamo ripreso questo cammino che è complicato e faticoso, complicato perché abbiamo dovuto ricominciare da capo, faticoso perché

è in atto un contenzioso ancora irrisolto con il general contractor. Sono questioni di natura giuridica, in cui il Governo non ha voce in capitolo»;
nel corso del convegno è stato inoltre presentato uno studio sulla capacità delle linee ferroviarie afferenti al porto di Genova, da cui emerge che, a fronte di una capacità attuale di 470 treni al giorno, nel 2007 si era raggiunto il 73 per cento di saturazione della rete, con 342 treni giornalieri circolanti (204 merci e 138 passeggeri) per cui saturando la linea al 90 per cento ci sarebbe spazio per 81 treni merci in più al giorno e con i volumi attuali del porto di Genova, quasi il 60 per cento, circa un milione di teu potrebbe essere spostato su rotaia, mentre invece il trasporto container a mezzo ferrovia da e per il porto di Genova si è quasi dimezzato passando dal 20 per cento del 2007 al 12 per cento circa di oggi -:
quale sia lo stato del contenzioso in atto fra Cociv ed Rfi per il terzo valico ferroviario dei Giovi e quale sia a questo proposito la valutazione del Governo anche rispetto ai tempi effettivamente previsti per la cantierizzazione e la realizzazione dell'opera per lotti costruttivi;
se non ritenga nel frattempo di promuovere tutte le iniziative possibili per l'utilizzo ottimale delle linee ferroviarie esistenti sia per potenziare i volumi dei trasporti delle merci da e per il porto di Genova, sia per sviluppare il trasporto passeggeri da e verso l'area metropolitana genovese.
(5-04819)

Interrogazione a risposta scritta:

CARDINALE e BURTONE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la strada statale n. 190 è un'importante opera infrastruttura le che collega la provincia di Agrigento con territori significativi della provincia di Caltanissetta;
negli anni scorsi tale strada ha avuto una funzione strategica nello sviluppo del più importante distretto di zolfo della Sicilia;
nel tratto finale, dal chilometro 55 circa al chilometro 71, che la collega alla strada statale 117-bis la strada si «restringe» in un percorso tortuoso con problemi geomorfologici legati all'erosione del terreno;
a seguito di recenti eventi alluvionali questo tratto di strada, caratterizzato da frane e smottamenti, presenta un manto stradale precario e rischioso per i fruitori dell'importante infrastruttura;
la condizione di tale tratto stradale, oltre a rappresentare una minaccia per la sicurezza di tanti cittadini, sta determinando gravi danni alle attività economiche a causa dei ritardati tempi di percorrenza per i cittadini utenti, costretti a incolonnarsi per diversi chilometri;
l'ente gestore della strada statale 190 è la società ANAS SpA, operante sotto la vigilanza tecnica del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che dovrebbe seguire la manutenzione ordinaria e straordinaria -:
quali iniziative urgenti intenda assumere nei confronti dell'ANAS affinché venga posto in essere un tempestivo intervento di manutenzione straordinaria di questa importante arteria stradale, in modo particolare al chilometro 60,600 dove è presente una pericolosa frana della carreggiata, per evitare pericoli e danni ai tanti cittadini che ogni giorno la percorrono.
(4-12095)

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INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

MURA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la circolare della direzione centrale finanza locale del Ministero dell'interno del 18 aprile 2011, n.5, relativa alle spese

di organizzazione tecnica ed attuazione per i referendum popolari del 12 e 13 giugno 2011, al paragrafo 3 - spese dei comuni rimborsabili dallo Stato - lettera b) tra l'altro dispone «Infine si rappresenta che non sarà ammessa a rimborso l'eventuale spesa per prestazioni di lavoro straordinario da parte del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA), trattandosi di personale appartenente ad altra amministrazione non riconducibile in alcun modo al personale comunale di cui all'articolo 15 del menzionato decreto-legge n. 8 del 1993»;
l'utilizzo di personale ATA ai fini dell'organizzazione tecnica delle consultazioni elettorali è una prassi che sovente è stata seguita nelle precedenti consultazioni elettorali;
l'impossibilità da parte delle amministrazioni comunali di avvalersi di personale ATA sottrae importanti risorse umane ai fini dell'organizzazione tecnica delle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno 2011 -:
quali siano i precedenti nei quali dal Ministero dell'interno è stata adottato il divieto di cui alla circolare n. 5 del 2011 per le amministrazioni comunali di avvalersi di personale ATA per l'organizzazione tecnica delle consultazioni elettorali ai fini del rimborso statale.
(4-12096)

BITONCI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
con una missiva del 23 marzo 2009, oltre ottocento abitanti del quartiere del Portello di Padova indirizzavano al sindaco di Padova e, per conoscenza al prefetto, al questore, al comandante provinciale dei carabinieri ed al comandante della polizia municipale denunziavano la situazione di degrado che affliggeva il predetto quartiere, evidenziando numerosi casi di spaccio di sostanze stupefacenti e di occupazione abusiva di strutture non abitate;
con la suddetta missiva, i residenti dell'area chiedevano, sulla base della sopradescritta situazione dell'area, un intervento di tutte le autorità competenti, al fine di provvedere, tramite interventi strutturali quali l'installazione di telecamere, l'intensificazione dei controlli di polizia e la chiusura dei locali abusivi, al miglioramento della pubblica sicurezza;
della questione si era altresì interessato il gruppo consiliare della lega nord - consiglio di quartiere 1 Padova - che aveva presentato un'interrogazione (ex articolo 18 del Regolamento delle circoscrizioni di decentramento, approvato dal comune di Padova con D.C.C, n. 42 del 23 maggio 2000 e successive modifiche), approvata, successivamente, a maggioranza, dallo stesso consiglio di quartiere 1 di Padova ma, alla quale, nonostante sia trascorso oltre un anno dalla deliberazione stessa, non e ancora stata risposta da parte della giunta comunale di Padova;
a distanza di oltre due anni dalla missiva, e nonostante i continui solleciti dei residenti, preoccupati della costante situazione di degrado nella quale i residenti del quartiere si ritrovano a convivere, la situazione non è migliorata affatto, e anzi, come testimoniato anche recentemente da alcuni abitanti dell'area, la condizione nella quale gli abitanti si ritrovano a vivere è sempre più difficile -:
quali orientamenti intenda esprimere sulla vicenda il Ministro e se, tenendo conto della mancanza di risposte fornite ad oggi agli abitanti e in virtù anche della difficile situazione legata all'arrivo nella città di profughi provenienti dall'Africa, non ritenga opportuno assumere iniziative allo scopo di migliorare la pubblica sicurezza dei cittadini che risiedono nell'area.
(4-12097)

GARAGNANI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
sono numerose le proteste pervenute recentemente da cittadini della provincia

di Bologna sull'opportunità di monitorare con periodicità molto ravvicinata i dispositivi di autovelox, utilizzati dalla provincia e dai comuni, in quanto, da verifiche saltuarie finora effettuate non paiono garantite a sufficienza la trasparenza dei controlli delle apparecchiature e la destinazione effettiva degli introiti delle sanzioni che, ad avviso dell'interrogante, diventano sempre più esose vessazioni fiscali e non strumenti di controllo della velocità;
al riguardo l'interrogante ritiene che in molti casi, l'entità delle sanzioni comminate, anche per limitate violazioni del codice della strada, sia eccessiva per il comune cittadino e chiaramente sproporzionata rispetto alla violazione dei limiti di velocità, ad esempio di 10-15 chilometri orari;
è auspicabile una ulteriore diminuzione delle medesime sanzioni per le ipotesi suddette spesso riconducibili a minime distrazioni o ad oggettiva impossibilità in determinati tratti stradali di rispettare limiti non più praticabili;
l'interrogante ritiene altresì che disposizioni «draconiane» come quelle suddette non aiutino certo il cittadino a comportarsi in modo esemplare e con senso civico, ma lo allontanino dal rispetto delle istituzioni, soprattutto quando queste, come nel caso di molti enti locali fra cui la provincia di Bologna e determinati comuni della medesima, concepiscono in modo surrettizio l'autovelox o altri strumenti come leva fiscale e non come correttivo di certi comportamenti -:
quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in relazione a quanto esposto in premessa.
(4-12100)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la segreteria nazionale del COISP - coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia, con la nota Prot. 839/11 S.N. del 25 maggio 2011, indirizzata al signor capo della polizia - direttore generale della pubblica sicurezza prefetto Antonio Manganelli avente ad oggetto «Padova, l'arroganza del Capo di Gabinetto della Questura nuoce alle finalità dell'Amministrazione ... e non è tollerata dal Sindacato» ha scritto «Preg.mo Signor Capo della Polizia, il COISP ha sempre plaudito ai Suoi continui "inviti", rivolti ai vari Dirigenti periferici e centrali dell'Amministrazione, al riconoscimento dei diritti del personale nonché ad una dialettica costante e costruttiva con le loro rappresentanze sindacali, riconoscendo, Lei stesso, che solo attraverso la giusta attenzione dei bisogni dei Suoi dipendenti e la corretta osservanza di quelle che vengono chiamate "relazioni sindacali", l'Amministrazione riesce a perseguire, fattivamente, il comune fine di contribuire alla efficienza dei propri compiti nell'interesse della collettività.»;
la lettera dell'organizzazione sindacale prosegue con la descrizione di un episodio avvenuto all'interno dell'area benessere della questura di Padova ad opera del capo di gabinetto della medesima questura mentre il segretario provinciale della organizzazione sindacale e il responsabile dell'ufficio sanitario stavano eseguendo un controllo sugli alimenti a seguito di una segnalazione dei dipendenti -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti segnalati dal COISP, e quale immediate iniziative intenda intraprendere in merito.
(4-12109)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
sul quotidiano «Il Manifesto» del 26 maggio 2011, è apparso un articolo sul Cie di palazzo San Gervasio in provincia di Potenza, a firma Stefano Liberti, dal titolo «Un carcere-voliera per i neo clandestini»;

per le informazioni in esso contenute, l'interrogante ritiene di riportare integralmente il testo dell'articolo sopra-menzionato:
«Settantotto tunisini sono rinchiusi nella struttura in attesa di rimpatrio. Sono arrivati in Italia dopo il 5 aprile, quando il Governo ha trasformato con un decreto i profughi in immigrati irregolari palazzo San Gervasio. Un centro di accoglienza trasformato in centro di espulsione. Il centro di reclusione crea un minimo indotto nel paese, dall'albergo pieno di carabinieri ai ristoratori che preparano i pasti alle ditte edili che fanno i lavori di ristrutturazione. Così nessuno protesta. A vederlo da fuori sembra una voliera: una grande rete alta diversi metri, inframmezzata da putrelle di ferro. Dietro al recinto però non ci sono uccelli, ma uomini: 78 tunisini, sistemati in una serie di tende blu con la scritta «ministero dell'interno». Non hanno contatti con l'esterno. Non hanno mai visto un avvocato. Non ricevono visite da associazioni. Il nuovo Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di palazzo San Gervasio è uno dei luoghi più chiusi d'Italia. Inaccessibile ai giornalisti, come tutti gli altri centri della penisola dopo la decisione presa d'imperio dal ministro degli interni Roberto Maroni il 1o aprile, svetta in mezzo a una pianura arsa dal sole. A un chilometro circa di distanza c'è il paese di Palazzo, fulcro nodale della raccolta di pomodori di queste zone. A poche centinaia di metri si passa in Puglia. Manduria è a 190 chilometri. Ma in termini di mobilitazione e di visibilità, la distanza si misura in anni luce. Quando, sull'onda degli arrivi a Lampedusa, il Governo ha cercato di riempire all'inverosimile la tendopoli del tarantino, la associazioni presenti sul territorio si sono ribellate. Il sindaco ha minacciato di dimettersi, seguito a ruota dal sottosegretario all'interno Alfredo Mantovano. Roma ha fatto una parziale marcia indietro e oggi il campo pugliese è usato come centro di smistamento per richiedenti asilo, dove gli immigrati rimangono al massimo 48-72 ore. Quando, con il decreto del 21 aprile, il Governo ha istituito il Cie in Basilicata, nessuno invece si è mosso. Non certamente il sindaco di Palazzo San Gervasio, Federico Pagani, che afferma di «aver dovuto accettare una decisione dall'alto» e si trincera dietro un «no comment» quando gli si sollecitano spiegazioni più dettagliate. Le critiche della polizia. La struttura di Palazzo San Gervasio è uno dei tre Cie temporanei creati sull'onda della presunta emergenza immigrazione: gli altri due sono a Santa Maria Capua Vetere (in provincia di Caserta) e a Kinisia, alla periferia di Trapani. A leggere il decreto che li istituisce, i tre centri dovranno funzionare «fino a cessate esigenze, e comunque non oltre il 31 dicembre 2011». Sempre a leggere il decreto, si apprende che il Governo ha previsto lo stanziamento di una somma pari a 10 milioni di euro, sei milioni per i lavori di ristrutturazione e quattro per le spese di gestione. Dieci milioni di euro per tre centri - la cui capienza massima prevista dalla legge è 500 persone - che dovrebbero rimanere in funzione al massimo sette mesi. L'istituzione di questi centri non ha suscitato le critiche solo dei militanti anti-razzisti, che soprattutto a Santa Maria Capua Vetere stanno portando avanti una campagna di mobilitazione. Ha scatenato critiche molto veementi da parte delle stesse forze dell'ordine. «Queste tendopoli adibite a Cie non garantiscono le necessarie misura di sicurezza né per gli operatori di polizia né per gli stessi migranti», rileva Claudio Giardullo, segretario generale del sindacato di polizia Silp-Cgil. «L'utilizzo temporaneo delle tendopoli con funzioni di Cie non può certo tranquillizzare operatori che stanno supplendo all'inadeguato impegno di risorse del Governo e sui quali ancora una volta si vorrebbe scaricare tutto il peso dell'emergenza immigrazione». «La ragione superiore». La storia del centro-voliera di Palazzo di San Gevasio è del tutto particolare. È nato sul territorio di uno stabile confiscato alla mafia come «centro di accoglienza» per i migranti stagionali che in estate si riversavano nella zona per lavorare come braccianti nella raccolta stagionale. «Ha funzionato dal 1999 per

dieci anni in questo modo», ricorda Gervasio Ungolo, ex assessore comunale e factotum dell'Osservatorio migranti Basilicata. «Poi, nel 2009, il sindaco lo ha chiuso. Nell'aprile scorso, hanno cominciato a portare i tunisini. Finché, a un certo punto, hanno deciso di trasformarlo in Cie, all'improvviso senza nessuna consultazione con il territorio». «Hanno deciso di creare questo carcere qui in virtù di qualche ragione superiore», gli fa eco Monsignor Giovanni Ricchiuti, arcivescovo di Acerenza. «Questo non è il modo di fare accoglienza», dice scuotendo la testa mentre guarda la struttura, prima di addentrarsi all'interno per una visita di circa un'ora. «Questo muro è uno scandalo». Ma, al di là delle proteste del prelato, gli abitanti di San Gervasio non appaiono particolarmente toccati dalla nascita del Cie. Tanto più che la presenza di questa nuova struttura crea, in una comunità segnata dalla crisi e lacerata dall'emigrazione, quel minimo di indotto che qui non è da considerare trascurabile: l'unico hotel del paese, il Villa Ester, è al completo, grazie all'arrivo dei carabinieri che devono garantire la sicurezza nel centro; i ristoratori del paese si sono divisi la torta dei pasti per i reclusi; i lavori all'interno sono stati affidati a ditte edili di Palazzo. Da temporanei a permanenti? La trasformazione è stata repentina: dopo l'approvazione del decreto, nel giro di pochi giorni è stato innalzata la rete all'interno e costruito un muro di cinta di tre metri, per impedire le fughe e rendere il campo invisibile da fuori Arrampicandosi su un capannone proprio di fronte, si possono vedere le tende sotto la gabbia, i ragazzi tunisini e un gruppo di operai che lavorano su un lato. «I responsabili della prefettura mi hanno detto che vogliono costruire delle palazzine», racconta monsignor Ricchiuti. L'iniziativa è certamente apprezzabile, vista anche l'arsura che toglie il respiro, ma non può non suscitare qualche domanda. Che senso ha fare lavori di questo tipo in una struttura a carattere temporaneo, che per legge dovrà restare in funzione al massimo fino al 31 dicembre? È ragionevole costruire palazzine in cemento solo per permettere ai trattenuti di affrontare la calura estiva? Negli altri Cie già operanti in Italia non c'era posto per questi 78 tunisini? L'iniziativa sembra piuttosto un esperimento. Il ministro dell'interno Roberto Maroni ha sempre detto che ci sarebbe dovuto essere un Cie in ogni regione. Tra il 2008 e il 2009, aveva stanziato con un paio di decreti la cifra di 200 milioni di euro per creare le nuove strutture. Alla fine, le proteste degli enti locali sul territorio lo hanno fatto desistere. Oggi la nuova emergenza immigrazione gli ha consentito di creare questi nuovi Cie. Quello di Kinisia non è ancora aperto, quello di Santa Maria Capua Vetere è continuamente monitorato dalle associazioni sul territorio, dagli avvocati e provoca malumori anche tra le forze di polizia. Quello di Palazzo San Gervasio, a parte qualche voce isolata, non ha suscitato alcuna polemica. Tutto lascia credere che l'esperimento stia funzionando e che, a partire dall'anno prossimo, un decreto ad hoc cancellerà quella t di temporaneo e istituirà un Cie a tutti gli effetti in questo lembo di terra di Lucania» -:
se corrisponda al vero che i 78 tunisini giunti in Italia dopo il 5 aprile siano stati e si trovino ancora rinchiusi nel Cie di palazzo San Gervasio sotto le tende del Ministero dell'interno collocate dentro una sorta di gabbia circondata da un muro;
se, considerate le condizioni strutturali, siano garantiti gli standard di sicurezza sia per gli operatori di polizia sia per i migranti;
se corrisponda al vero che i 78 tunisini non abbiano contatti con l'esterno, né abbiano mai visto un avvocato né possano ricevere visite da associazioni;
se corrisponda al vero che il centro fino ad ora sia stato inaccessibile ai giornalisti e, nel caso, quali siano le ragioni del divieto;
se le condizioni di vita quotidiana dei trattenuti nel Cie di palazzo San Gervasio corrispondano agli standard umanitari

previsti dall'articolo 14 del testo unico sull'immigrazione laddove si afferma che le modalità del trattenimento devono assicurare la necessaria assistenza allo straniero e il pieno rispetto della sua dignità;
quanti dei 78 tunisini siano stati identificati e quanti fra essi abbiano richiesto asilo e protezione internazionale;
se esistano dei piani ministeriali per il collegamento con le istituzioni locali, le quali, se opportunamente sostenute, potrebbero attivarsi per rendere più umana la permanenza dei tunisini nel Cie con attività di studio, di insegnamento della lingua italiana, culturali e ricreative;
se corrisponda al vero che all'interno del Centro sia iniziata la costruzione di palazzine e, in caso affermativo, quali siano le ragioni vista la natura temporanea del Cie di Ponte San Gervasio la cui chiusura è prevista entro il prossimo 31 dicembre e quale sia la spesa prevista.
(4-12114)

BORGHESI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
un avvocato, Pietro Palau Giovannetti, presidente dell'associazione «Movimento per la Giustizia Robin Hood» di «Avvocati senza Frontiere», manifesta il suo dissenso nei confronti di Silvio Berlusconi e dei suoi fans davanti il tribunale di Milano (dove è stata tenuta un'udienza nell'ambito del processo Mills). La DIGOS interviene e porta via a forza l'avvocato, reo di aver lanciato frasi del tipo: «fatti processare». Ciò si evince da video amatoriali pubblicati sul sito youtube.com;
Giovannetti ha poi detto «Sono stato identificato dalla polizia strattonato, portato in un portone ma mi hanno lasciato libero perché non ho fatto nulla. È chiaro che lo hanno fatto per impedirmi di parlare, in questo paese ormai non c'è più libertà di espressione»;
i giornalisti presenti al fatto si sono «ribellati» pronunciando frasi come «lasciatelo», «cosa ha fatto?», «questa è democrazia?»...;
dal video emerge anche che un rappresentante delle forze dell'ordine avrebbe pronunciato una frase ingiuriosa -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
se non ritenga di dover impartire disposizioni affinché le forze dell'ordine non impediscano le manifestazioni della libertà di opinione garantite dalla Costituzione.
(4-12127)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
in riferimento all'incontro organizzato dalla direzione didattica statale n.3, via XXI Aprile di Bologna che ha invitato a partecipare ad un incontro - dibattito sul tema dei tagli alla scuola e al welfare, usando per il medesimo invito la carta intestata della scuola;
a parere dell'interpellante è inammissibile che le relazioni introduttive siano tenute dal dirigente scolastico Stefano Mari e da insegnanti e collaboratori di quell'istituto «in un contesto di pesanti accuse al Governo»;
infatti, la direzione didattica statale n.3 di Bologna ha inviato su carta intestata un volantino che invita a dibattere sul tema dei cosiddetti tagli alla scuola genitori e studenti. Il dirigente e altro personale, in quell'invito, sono annunciati tra i relatori per un incontro «che implicitamente accusa il Governo di non garantire alla scuola le risorse indispensabili, è gravissimo che dirigenti ed insegnanti si prestino ad una strumentalizzazione politica evidente, dimenticandosi del proprio ruolo di dipendenti dello Stato che debbono garantire l'imparzialità -:
se il Governo possa verificare la situazione sopra descritta ed intervenire,

anche con sanzioni, di fronte ad un'opera di vera e propria disinformazione e di lesione dei cittadini nel loro diritto di usufruire di una scuola veramente libera non sottoposta ad azioni di strumentalizzazione politica.
(2-01093) «Garagnani».

Interrogazione a risposta orale:

BURTONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nei mesi scorsi ha sottoscritto con le organizzazioni sindacali, firmatarie del contratto scuola, le procedure selettive per il passaggio del personale ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario), con la possibilità di mobilità interna, da un'area inferiore ad una superiore;
nel suddetto accordo, all'articolo 5, comma 4, il personale utilmente collocato negli elenchi definitivi, di cui al comma 3, è ammesso a frequentare il corso di formazione di cui al successivo articolo 8, in misura doppia rispetto al contingente dei posti annualmente riservati alla mobilità di cui all'articolo 22;
il numero complessivo di personale da avviare ai corsi di formazione è risultato pari a quattro volte il contingente dei posti disponibili nel primo anno, riferiti nel biennio 2009/2011;
il personale che ha superato il percorso selettivo, regolato dalla sequenza contrattuale di cui sopra riportato, ha il diritto di formarsi nella misura pari a quattro volte i posti disponibili calcolati nel biennio -:
quali iniziative intenda adottare affinché il personale ATA collocato tra gli idonei, in coda alle graduatorie, possa essere avviato ai corsi di formazione ed utilizzato nel tempo.
(3-01676)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
dalla conferenza dei presidenti degli ordini territoriali dei chimici, tenutasi a Roma il 7 maggio 2011, è emersa la contrarietà della categoria all'esclusione dai nuovi licei della classe di concorso A013 - futura A34 (docenti laureati in discipline chimiche);
in particolare, la conferenza succitata ha espresso forte preoccupazione perché le nuove bozze di tabelle delle classi di concorso, consegnate il 15 marzo 2011 ai sindacati della scuola, escludono la classe di concorso dei docenti laureati in discipline chimiche da tutti i licei, compresi i licei scientifici, tranne l'artistico, e per la sola chimica dei materiali;
l'esclusione e il confinamento della classe di concorso A013 è irragionevole e inspiegabile, ad avviso dei presidenti degli ordini territoriali, perché solo tali docenti possiedono le competenze epistemologiche e laboratoriali chimiche necessarie per un insegnamento efficace dei contenuti chimici richiesti dalle indicazioni nazionali dei nuovi licei, e parte fondante dell'insegnamento «scienze naturali»;
ma tale esclusione - sempre secondo quanto riportato dai presidenti degli ordini territoriali - oltre ad essere ingiusta è anche dannosa per i futuri liceali, penalizzati rispetto ai loro coetanei degli istituti tecnici e professionali, ai quali viceversa sarà garantito che a insegnare la chimica sarà un laureato in discipline chimiche della classe A013, che potrà meglio guidarli anche nel discernimento, in termini di scelta della facoltà, di «vocazioni chimiche» e quindi di chimici di eccellenza, dei quali il nostro Paese ha estremo bisogno;
per queste ragioni, la società chimica italiana, il consiglio nazionale dei chimici, la conferenza dei presidenti dei consigli di corso di laurea di area chimica, l'associazione

insegnanti chimici, il coordinamento docenti di discipline scientifiche e tecnologiche, e il gruppo docenti di chimica e tecnologie chimiche, hanno divulgato un appello per la valorizzazione dei docenti abilitati nella classe A013 (futura A34) nei nuovi licei ed istituti tecnici e professionali;
i docenti chimici della classe A013 - futura A34 sono tra i migliori d'Europa, come dimostrato da ripetuti riconoscimenti internazionali (science teaching award 2011, 2007, 2005, assegnati nell'ambito della rassegna europea science on stage); unici tra gli italiani, a parte un award conseguito in passato da un docente fisico A038;
sarebbe un grave danno per il futuro scientifico e tecnologico del nostro Paese e per futuri studenti e cittadini escludere, nelle nuove tabelle delle classi di concorso, la classe A013 - futura A34 dall'insegnamento nei nuovi licei -:
alla luce delle considerazioni riportate, quali iniziative, anche normative, il Ministro interrogato ritenga opportuno adottare al fine di raccogliere l'appello citato in premessa.
(5-04815)

LENZI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
le nuove bozze di tabelle delle classi di concorso, emanate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con circolare n. 21 del 14 marzo (AOODPIT Prot. n. 270), prevedono, dal prossimo anno scolastico, l'esclusione dei docenti laureati in discipline chimiche (classe di concorso A013) da tutti i licei, compresi i licei scientifici;
i docenti chimici sono i pochi che possiedono le competenze disciplinari, laboratoriali e didattiche necessarie a impartire un insegnamento efficace dei contenuti chimici richiesti dalle indicazioni nazionali dei nuovi licei;
tale esclusione oltre che ingiusta nei confronti di tali docenti che, come dimostrato da ripetuti riconoscimenti internazionali (Scienze Teaching Award 2011, 2007 2005 assegnati nell'ambito della rassegna europea Scienza on Stage) sono tra i migliori d'Europa, sarebbe soprattutto dannosa da un punto di vista didattico, in quanto si andrebbero a penalizzare i futuri liceali, ai quali, rispetto ai loro coetanei degli istituti tecnici e professionali, non sarà garantito l'insegnamento della chimica da un laureato in tali discipline;
i corsi di laurea in chimica e chimica industriale sono particolarmente severi e selettivi e chi li supera ha un'ottima preparazione;
le competenze che si possono acquisire da una corretta preparazione scientifica sono tra quelle di cui un Paese moderno, che vuole competere a livello internazionale, non può fare a meno -:
se, per i motivi illustrati in premessa, il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative volte a modificare le classi di concorso e il quadro orario dei licei (allegati B, C, D, E, F, G come da circolare ministeriale n. 21 del 2011), in modo da attribuire, in tutti i licei, l'insegnamento della chimica anche ai docenti della classe di concorso A013.
(5-04817)

GHIZZONI, COSCIA, DE PASQUALE, SIRAGUSA, PES, DE BIASI, BACHELET e NICOLAIS. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il TAR del Lazio con le sentenze di merito pubblicate il 14 aprile 2011 ha accolto alcuni precedenti ricorsi, annullando i tagli agli organici del personale docente per gli anni scolastici 2009/10 e 2010/11;
nelle suddette sentenze si stabilisce che «in materia di definizione dei decreti riguardanti gli organici il procedimento da seguire, in assenza di compiute norme procedimentali ad hoc contenute nel decreto

del Presidente della Repubblica 81/2009, rimane quello previsto dal combinato disposto dell'articolo 22 della legge 448/2001 e dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 81/2009, ossia: decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca emanato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sentita la Conferenza Unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 per i soli aspetti relativi alla ripartizione su base regionale»;
poiché per quanto riguarda i decreti ministeriali riguardanti gli anni scolastici 2009/10 e 2010/11 non sono state sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia, e si è dunque violato l'espresso disposto della norma che ha inizialmente attribuito e disciplinato il potere ministeriale in materia, il TAR del Lazio ha accolto i ricorsi per l'annullamento del decreto interministeriale n. 62 del 6 luglio 2009 concernente gli organici del personale docente per l'anno scolastico 2009/2010 e del decreto interministeriale n. 55 del 6 luglio 2010 concernente la determinazione degli organici del personale docente per l'anno scolastico 2010/2011;
con la circolare ministeriale n. 21 del 14 marzo 2011 il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha anticipato alle scuole il contenuto del Decreto interministeriale riguardante gli organici docenti per l'anno scolastico 2011-2012 incorrendo di fatto, ad avviso degli interroganti, nella medesima omissione del mancato coinvolgimento delle commissioni parlamentari che ha determinato l'annullamento dei decreti da parte del Tar Lazio;
solo nel mese di febbraio 2011 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale con il n. 35 il decreto interministeriale n. 55/10, mentre si rimarca che la pubblicazione del decreto interministeriale n. 62 del 2009, che era stata sollecitata con l'interrogazione n. 5-02709 che non ha ancora ricevuto risposta, non solo non è mai stata effettuata ma è ormai impossibile visto l'annullamento del medesimo decreto -:
quali siano i motivi per cui non siano ottemperate le disposizioni legislative vigenti, richiamate nelle sentenze del Tar del Lazio, in relazione alla necessità di sottoporre alle Commissioni parlamentari competenti il suddetto decreto riguardante la definizione degli organici docenti per l'anno scolastico 2011-2012.
(5-04824)

LOSACCO, PICIERNO, BELLANOVA e SERVODIO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
l'università degli studi di Bari ha aperto un bando per una consulenza annuale indirizzato ad esperti nella comunicazione istituzionale e che in un primo tempo, tra i requisiti richiesti ai candidati, figurava «l'iscrizione all'Ordine dei giornalisti da almeno 25 anni»;
questa condizione è stata oggetto di una severa critica da parte dell'Associazione pugliese della stampa e, a seguito di questa presa di posizione, l'università ha ritenuto opportuno rimuovere detto requisito dal bando;
ciononostante, a risultare vincitore del bando è stato un candidato di anni 78, già vicesindaco di Bari, già dirigente della regione Puglia, dove ha svolto peraltro anche le funzioni di capo di gabinetto del presidente, e che pertanto per profilo biografico ed anagrafico rientra esattamente nei requisiti posti nella prima versione del bando;
la situazione dei giovani laureati in Puglia come nel resto del Mezzogiorno e in gran parte d'Italia lamenta gravi sacche di inoccupazione e sottoccupazione, pure a fronte di elevati skills professionali;
la comunicazione istituzionale ormai si avvale sempre di più di competenze inerenti all'utilizzo di mezzi informatici e telematici e che il buon senso fa riconoscere più nei giovani che non negli anziani i titolari di requisiti idonei alla gestione delle moderne tecnologie;

la comunicazione del vincitore del bando di rinunciare al compenso di 18.000 euro non alleggerisce ma aggrava la sensazione di una procedura concorsuale improntata alla discrezionalità, alla prossimità, al rapporto fiduciario e non alla trasparenza e alla meritocrazia che si addicono a un concorso pubblico -:
se e quali iniziative di competenza intenda adottare, nel pieno rispetto del principio dell'autonomia degli atenei, affinché le procedure di selezione di collaborazioni e consulenze si svolgano nel rispetto dei principi di trasparenza, correttezza e imparzialità;
quali iniziative, anche normative, intenda assumere al fine di promuovere negli atenei, così come in tutte le amministrazioni formative, la valorizzazione delle competenze professionali e delle potenzialità delle giovani generazioni di professionisti, di ricercatori e di operatori della cultura e della comunicazione.
(5-04830)

Interrogazioni a risposta scritta:

GIRLANDA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
circa il 92 per cento dei fondi di bilancio a disposizione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sono destinati al pagamento dei dipendenti e del personale;
solo una piccola parte della percentuale rimanente è destinata alla ricerca e all'innovazione, che vede il nostro Paese agli ultimi posti per quanto riguarda la quota di finanziamenti alla ricerca in rapporto al prodotto interno lordo;
tale situazione è frutto di una pesante eredità derivante da massicce assunzioni avvenute nei decenni passati nell'ambito dell'istruzione scolastica, e accademica e del personale ad essa collegata;
vi è necessità di ridurre i costi per destinare maggiori fondi ad altre destinazioni di primaria importanza, come appunto quello della ricerca -:
quali iniziative siano state attivate, o lo saranno a breve termine, per ridurre i costi del personale al fine di utilizzare le somme recuperate a vantaggio della ricerca scientifica, e quali siano l'entità e la destinazione d'uso di tali risorse.
(4-12101)

BORGHESI e MONAI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
l'associazione «Diritto di Parola» di Gorizia denuncia quanto segue:
Maria Chiara e Giuseppe, 18 anni, Chiara 16 anni, tutti e tre con sindrome di Down, si sono visti in breve tempo privati del loro diritto di sentirsi parte, nonostante la diversità che il loro danno genetico comporta, della scuola di tutti. Questo loro diritto sarebbe stato negato in totale contraddizione con lo stesso operato della scuola che fino a quel momento aveva favorito e reso possibile un percorso formativo perfettamente integrato nel curricolo delle varie classi di appartenenza;
fin dai primi anni di frequenza della scuola primaria e poi della secondaria di 1° grado, famiglie e insegnanti hanno lavorato di comune accordo con l'obiettivo di individuare e mettere in pratica tutte le possibili strategie in grado di mettere in luce e valorizzare le loro capacità di apprendimento. La sindrome di Down, come diverse altre patologie che comportano una disarmonica integrazione delle funzioni neuropsicologiche e cognitive, compromette in modo rilevante in chi ne è affetto la relazione con la realtà esterna, a partire dalla comunicazione verbale, che risulta - in mancanza di opportune strategie alternative di supporto - povera, frammentaria, ripetitiva e disorganizzata. Tutto ciò viene spesso interpretato come sintomo di scarsa intelligenza, di ritardo mentale medio-grave, che

«giustifica» nelle persone «normali» l'atteggiamento di «benevolo» paternalismo nei confronti dei disabili;
ma la storia dei tre ragazzi era cominciata appunto in modo diverso. Grazie alla collaborazione di scuola e genitori, cui si è accennato, avevano potuto avvalersi, fino al termine della secondaria di 1o grado Chiara e fino al termine del biennio del liceo scientifico di Gorizia gli altri due, della strategia alternativa di comunicazione denominata comunicazione facilitata (CF), mediante la quale, riuscendo a riorganizzare le funzioni neuropsicologiche compromesse dalla loro patologia, hanno potuto dimostrare di possedere capacità di pensiero e di rielaborazione dei contenuti trasmessi dalla scuola;
la comunicazione facilitata per chi non la conosce, è certamente un approccio all'handicap innovativo, perché è in netto contrasto con il senso comune. È difficile per un «normale» credere che la persona che ha tale handicap e che non sa esprimersi autonomamente abbia poi un mondo interiore ricco anche di «pensieri» e non sia solo in grado di manifestare emozioni a livello infantile. Per questo motivo la comunicazione facilitata è spesso avversata a priori, senza entrare nel merito del suo funzionamento e senza conoscere minimamente i risultati che ha permesso di ottenere in molti casi (sia nella scuola superiore sia all'università) che un tempo sarebbero stati reputati irrecuperabili e che non avrebbero avuto accesso a studi superiori;
la storia dei tre ragazzi era cominciata sotto i migliori auspici: i docenti di sostegno si erano resi disponibili a sperimentare la comunicazione facilitata e i docenti delle diverse discipline avevano valutato molto positivamente il profitto raggiunto, tanto da orientare Chiara al liceo scientifico di Monfalcone (Gorizia) e di certificare, nel caso di Giuseppe e Ilaria Chiara, la loro idoneità ad affrontare il triennio;
i problemi sono cominciati per i ragazzi più grandi lo scorso anno, all'inizio della classe terza, e per Chiara soprattutto nell'attuale secondo anno del biennio, quando la scuola, nonostante i buoni risultati conseguiti in precedenza, su indicazione dell'ufficio scolastico provinciale (che tra l'altro non ha alcuna competenza per entrare nel merito dell'autonomia didattica), ha deciso di non continuare nell'applicazione della comunicazione facilitata creando notevoli difficoltà ai ragazzi, non più messi in condizione di esprimere i loro saperi;
l'anno scorso, di fronte alle chiusure degli insegnanti del triennio, le famiglie di Maria Chiara e di Giuseppe avevano deciso di ritirarli dal liceo che frequentavano a Gorizia per iscriverli allo scientifico di Cervignano (Udine), scuola che si era dichiarata disponibile ad avviare una sperimentazione sulla comunicazione facilitata con l'appoggio dell'azienda sanitaria. Ma con il nuovo anno le cose sono cambiate in modo radicale, riproducendosi inspiegabilmente nel liceo di Cervignano le stesse chiusure dell'anno precedente e peggiorando sensibilmente la situazione già precaria di Chiara nella scuola che continuava a frequentare;
il fatto è che l'ufficio scolastico provinciale (sia quello di Gorizia che quello di Udine erano all'epoca diretti dalla stessa persona, il professor Biasiol) e la direzione scolastica regionale - non si sa quanto sollecitati o meno dagli stessi dirigenti scolastici - sono intervenuti con proprie comunicazioni e in un ambito - è il caso di ribadirlo nuovamente - di mera competenza delle singole scuole, dichiarando che la comunicazione facilitata non può essere utilizzata in sede di valutazione, contraddicendo in questo una precisa norma nazionale che discende dalla legge n.104 del 1992 e che dichiara esplicitamente che per gli alunni «handicappati sono consentite prove equipollenti e tempi più lunghi per l'effettuazione delle prove scritte o grafiche e la presenza di assistenti per l'autonomia e la comunicazione;
ogni verifica è diventata pertanto un fallimento, una sequela di voti pesantemente

negativi che lede l'autostima dei ragazzi. Ciò naturalmente è imputato dalle scuole alle famiglie, «colpevoli» di non riconoscere l'handicap dei propri figli, quasi che queste avessero rifiutato la certificazione e il conseguente sostegno, ovvero come se il sostegno equivalesse tout-court alla differenziazione del programma e non appunto alla messa in atto di tutti quei supporti che sono necessari a colmare il gap che l'handicap comporta. Ma oltre ai voti negativi, ciò che è peggio è che i ragazzi hanno iniziato a sentire attorno a sé un clima di sospetto, ad avvertire che per compagni e insegnanti le loro capacità cognitive sono reputate il risultato di un «trucco». Ciò li ha fatti precipitare in uno stato di sofferenza fino alla depressione;
non si comprende perché non si vuole permettere a questi studenti di continuare il corso di studi prescelto, supportati da strategie che permettano loro di superare le difficoltà dovute alla loro disabilità. Certo, la scuola li ha iscritti e accettati ma a patto che rimangano nel loro «ghetto», cioè all'interno di un programma che nulla ha a che vedere con quello della classe di appartenenza. Ci si chiede se valeva la pena di abolire le classi differenziali se poi vengono comunque replicate con l'ipocrita aggravante che sono mascherate all'interno di una classe normale;
per cercare di risolvere queste scandalose situazioni non solo per questi tre ragazzi ma anche per tutti quelli che necessitano di tecniche alternative per comunicare e svolgere il lavoro scolastico, è stata attivata una petizione a livello nazionale, al link http://www.petizionepubblica.it/?pi=P2011N7445 assieme alla rete di centri e associazioni specializzati nella comunicazione facilitata. Finora hanno firmato la petizione, e solo nella forma on-line, più di 2000 persone, fra le quali molti docenti di varie università italiane, da Nord a Sud, intellettuali e gente comune, esponenti del mondo culturale e letterario, come poeti, scrittori, pittori, musicisti, professionisti, che con la loro sensibilità hanno voluto dare pieno appoggio all'iniziativa. La petizione ha assunto anche carattere internazionale con firme dall'Australia, Malta, Stati Uniti;
la discriminazione che oggi tocca a questi ragazzi può colpire domani qualunque persona che per un qualsiasi motivo sia difforme dal senso comune: quando è leso il diritto di uno, è tutto l'edificio della giustizia che viene incrinato -:

se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti;
se non ritengano opportuno monitorare le azioni poste in essere dagli istituti scolastici di cui sopra nei confronti dei soggetti con ICF;
se non ritengano opportuno emanare un provvedimento volto a garantire uniformità di comportamento da parte delle istituzioni scolastiche.
(4-12126)

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

MADIA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 19, comma 2, del decreto-legge 28 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, ha previsto in via sperimentale per gli anni 2009-2010-2011 l'erogazione di una somma in un'unica soluzione pari al 10 per cento del reddito percepito l'anno precedente, ai collaboratori coordinati e continuativi di cui all'articolo 61, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, iscritti in via esclusiva alla gestione separata presso l'INPS di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, con esclusione dei soggetti individuati dall'articolo 1, comma 212, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, i quali soddisfino in via congiunta le seguenti condizioni: a) operino in regime

di monocommittenza; b) abbiano conseguito l'anno precedente un reddito superiore a 5.000 euro e pari o inferiore al minimale di reddito di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233, e siano stati accreditati presso la predetta gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, un numero di mensilità non inferiore a tre; c) nell'anno di riferimento sia stato accreditato presso la predetta gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, un numero di mensilità non inferiore a tre; d) non risultino accreditati nell'anno precedente almeno due mesi presso la predetta gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335;
secondo la relazione tecnica allegata al disegno di legge il reddito di cui alla lettera b) equivale, per l'anno 2008, a circa 13.820 euro;
l'articolo 2, comma 130, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ha modificato la disposizione in questione per gli anni 2010-2011 elevando la somma percepita al 30 per cento del reddito percepito l'anno precedente, parzialmente modificando i requisiti per l'accesso. In particolare il reddito massimo è stato portato a 20.000 euro; con riguardo all'anno di riferimento il collaboratore deve essere stato accreditato presso la gestione separata INPS per almeno un mese, deve risultare senza lavoro da almeno due mesi e con almeno tre mensilità accreditate, nell'anno precedente, presso la predetta gestione separata. Rimangono fermi i requisiti originari per coloro che hanno maturato il diritto all'erogazione entro il 31 dicembre 2009;
secondo il rapporto sulla coesione sociale nell'anno 2010 diffuso dall'INPS nel dicembre del 2010 i collaboratori che non avrebbero versato contributi alla gestione separata nell'anno 2009 (presumibilmente perché hanno cessato il proprio contratto di collaborazione) sarebbero circa 147.000, riducendo il numero delle collaborazioni attive nei confronti della gestione separata INPS a 1.463.214 da 1.610.594 del 2008;
come segnalato in precedenti atti di sindacato ispettivo (Miglioli - 5-01611 e 5-02329), a cui il Governo non ha risposto, sembrerebbe che soltanto un numero esiguo di una tantum siano state effettivamente liquidate di fronte a una platea di collaboratori disoccupati estremamente più vasta. Tale esiguità sarebbe motivata dalla ristrettezza dei criteri e da alcune ulteriori restrizioni interpretative da parte del soggetto erogante cioè l'INPS;
il rapporto Inps 2010, presentato alla Camera dei deputati il 25 maggio 2011, nelle 335 pagine non fornisce alcun dato sulla misura limitandosi soltanto ad enunciarne l'esistenza -:
quante siano le erogazioni della una tantum per collaboratori (ex articolo 19, comma 2, del decreto-legge 28 novembre 1998, n. 185, e successive modificazioni) negli anni 2009, 2010 e 2011;
quante richieste siano state prodotte per ciascun anno, quante siano state accettate e quali siano le principali motivazioni dei rifiuti;
quante siano le risorse stanziate, quante siano quelle utilizzate e quante quella attualmente disponibili;
quanti siano i beneficiari divisi per area geografica, età e genere e, ugualmente, quanti siano coloro a cui è stata negata l'erogazione divisi per area geografica, età e genere;
quali siano gli strumenti che vengono utilizzati per pubblicizzare l'esistenza dell'una tantum.
(5-04825)

Interrogazioni a risposta scritta:

HOLZMANN. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nei mesi scorsi è fallita la società Holding dell'Arredo con sede a Capena

(Roma), la quale in diversi punti vendita vendeva mobilio con i marchi Emmelunga e Aiazzone;
tale società aveva 192 dipendenti che non hanno percepito la retribuzione negli ultimi mesi e sono in attesa di sapere se avranno diritto alla cassa integrazione guadagni straordinaria -:
se il Governo sia intenzionato a firmare il relativo decreto e quali siano i tempi previsti.
(4-12094)

CONTENTO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
in seguito al decreto ministeriale 15 marzo 2005, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha provveduto ad un nuovo inquadramento, ai fini previdenziali prevedendo l'iscrizione all'ENPALS di «impiegati, operai, istruttori e addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, palestre, sale fitness, stadi, sferisteri, campi sportivi, autodromi»;
in seguito al predetto nuovo inquadramento assicurativo, molte aziende attive nella gestione delle palestre e delle sale fitness hanno subito gli accertamenti di rito con il recupero dei contributi sia per i dipendenti a tempo indeterminato sia per lavoratori con contratto di collaborazione a progetto e ciò con riferimento alla differenza contributiva tra l'iscrizione all'INPS e quella all'ENPALS;
tale situazione, in molti casi, sarebbe intervenuta dopo la pubblicazione della circolare INPS n.66 del 18 maggio 2010;
in particolare, il punto n.2 dell'anzidetta circolare, precisa che «le aziende che esplicano l'attività di gestione di palestre nelle quali viene svolta attività sportiva devono essere inquadrate nel settore industria con l'obbligo assicurativo nei confronti dell'Enpals» mentre quelle che «svolgono esclusivamente attività estetica o di recupero motorio continueranno a essere inquadrate nel settore terziario o artigiano con l'obbligo di assicurazione all'Inps dei propri dipendenti»;
anche a prescindere dalla stranezza di un inquadramento nel «settore industria» che pare stridere con l'attività di servizio tipica del caso, riesce estremamente singolare comprendere perché un'attività spesso simile, come quella svolta nelle palestre o nelle sale fitness, possa portare ad un diverso inquadramento dei lavoratori a seconda che rientri o meno nell'attività estetica o di recupero motorio senza contare i casi in cui, nello stesso stabile, si svolgano entrambe le attività -:
quali siano le ragioni che hanno indotto ad applicare tali disposizioni anche ai dipendenti di queste realtà e quali siano i criteri per distinguere l'attività sportiva da quella estetica e di recupero motorio e, ancora, quali siano le conseguenze in caso di svolgimento di entrambe;
a quanto ammonti il costo contributivo per dipendente, anche con rapporto interinale, tra il precedente inquadramento e quello successivo e quanti risultino essere i lavoratori interessati al fenomeno nonché quanto abbia introitato l'Enpals, regione per regione, fino ad oggi;
per quali ragioni gli accertamenti abbiano investito anche periodi precedenti alla pubblicazione della circolare richiamata e se risulti che gli istituti previdenziali interessati abbiano avvertito preliminarmente le aziende della necessità di adeguarsi alla nuova interpretazione.
(4-12098)

BUCCHINO, FEDI, PORTA, GARAVINI e GIANNI FARINA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 108 dell'11 maggio 2011 ed è entrato in vigore il 26 maggio 2011, il decreto legislativo n.67 del 21 aprile 2011 recante norme in materia di accesso anticipato

al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma dell'articolo 1 della legge 4 novembre 2010, n.183;
la disposizione di legge consente ai lavoratori addetti a lavorazioni faticose e pesanti, altrimenti definite lavori usuranti, di esercitare il diritto per l'accesso pensionistico con un anticipo di età rispetto a quella stabilita dalle regole vigenti per la generalità dei lavoratori;
rientrano nella possibilità del pensionamento anticipato i lavoratori impiegati in mansioni particolarmente usuranti, i lavoratori notturni, i lavoratori a turni ed altre tipologie di lavoratori «usurati»;
il decreto legislativo n.67 del 2011 non indica se esso si applica anche ai lavoratori italiani residenti permanentemente all'estero, i quali hanno comunque maturato un'anzianità contributiva in Italia che consentirà loro al compimento dell'età pensionabile di conseguire una pensione italiana tramite l'applicazione di una convenzione internazionale di sicurezza sociale che prevede il cumulo della contribuzione;
tuttavia l'articolo 1 del decreto legislativo n.67 del 2011 precisa che l'accesso al trattamento pensionistico anticipato è l'effetto di una deroga a quanto previsto dalla legge n.243 del 2004 e dalla legge n.247 del 2007, ambedue leggi che lo Stato italiano, tramite l'Inps, applica anche ai lavoratori e futuri pensionati italiani residenti all'estero;
di norma tutta la normativa previdenziale italiana è applicabile ai lavoratori italiani residenti all'estero, i quali sono stati assicurati in Italia e futuri titolari di pensione italiana in convenzione, a meno che non preveda esplicitamente l'inefficacia esterna, cioè l'inapplicabilità ai soggetti destinatari residenti all'estero;
l'articolo 6 «Totalizzazione dei periodi» del regolamento di sicurezza sociale (CE) n.883/2004 (e le analoghe disposizioni delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale stipulate dall'Italia) prevede che l'istituzione competente di uno Stato membro la cui legislazione subordina l'acquisizione del diritto alle prestazioni e l'ammissione al beneficio di una legislazione al maturare di periodi di assicurazione e di occupazione tiene conto, nella misura necessaria, dei periodi di assicurazione e occupazione maturati sotto la legislazione di ogni Stato membro, come si trattasse di periodi maturati sotto la legislazione che essa applica;
l'articolo 5 «Assimilazione di prestazioni, redditi, fatti o avvenimenti» del regolamento (CE) n.883/2004 (e le analoghe disposizioni delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale stipulate dall'Italia) al primo paragrafo, lettera b) prevede che, se in virtù della legislazione dello Stato membro competente sono attribuiti effetti giuridici al verificarsi di taluni fatti o avvenimenti, detto Stato membro tiene conto dei fatti o avvenimenti analoghi verificatisi in un altro Stato membro come se si fossero verificati nel proprio territorio nazionale -:
se, alla luce delle considerazioni esposte in premessa, il Ministro interrogato non ritenga opportuno chiarire con ogni strumento a disposizione, normativo o amministrativo - se possibile anche nel decreto attuativo da adottarsi entro 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo n.67 del 2011 - e nel rispetto delle leggi nazionali e sovranazionali attualmente in vigore, se e come il citato decreto n.67 del 2011 si applichi anche ai lavoratori italiani residenti all'estero impegnati in lavori o attività considerati usuranti.
(4-12104)

SCILIPOTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nell'anno 2003 le imprese alluvionate del Piemonte, per effetto della legge n. 350 del 23 dicembre 2003, all'articolo 4, comma 90, e successive modificazioni, poterono beneficiare delle provvidenze previste

dal legislatore, con legge 27 dicembre 2002, n. 289, a favore dei terremotati di Ragusa;
in particolare, le imprese che alla data dell'entrata in vigore della sopracitata legge, non avevano pagato, i contributi dei dipendenti all'INPS e INAIL, relativi agli anni 1994, 1995, 1996 e 1997 poterono pagare solo la ridotta percentuale del 10 per cento senza aggravi di ulteriori costi o sanzioni;
la Corte di cassazione, sezione tributaria, con sentenza n. 20641/2007 ha qualificato come indebite le somme pagate dalle imprese che avevano regolarmente versato per intero detti contributi, alle scadenze previste dalla legge;
le sezioni lavoro dei tribunali piemontesi sono oberate dai ricorsi presentati dalle imprese alluvionate, in quanto gli istituti previdenziali non hanno inteso, «violando la volontà del legislatore», il significato della legge n. 350 del 2003, successive modificazioni -:
se non si ritenga, onde evitare l'aggravio dei costi di giustizia e dei costi a carico dell'INPS e INAIL in caso di soccombenza, una volta accertato quanto sopra denunciato intervenire, per quanto di competenza, affinché sia l'INPS che l'INAIL si attengano alla legge n. 350 del 1993, e successive modificazioni e accolgano le istanze presentate dalle aziende alluvionate autorizzandone o il rimborso o la compensazione prevista dalla legge.
(4-12117)

...

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:

DELFINO, NARO e CICCANTI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'industria ittica italiana continua da tempo ad essere caratterizzata da produttività quasi dimezzata, fatturato in caduta libera, flotta drasticamente ridimensionata e più di 17 mila posti di lavoro polverizzati negli ultimi 5 anni;
ad oggi l'unico obiettivo da raggiungere è quello di difendersi dall'assalto dei competitori esteri, asiatici e africani, che anno dopo anno hanno conquistato quote di mercato fino a raggiungere nel 2010 un tasso di prodotti ittici venduti nel nostro Paese vicino al 73 per cento pari a 941 mila tonnellate di pesce per un valore di 3,99 miliardi di euro;
si tratta di una cifra impressionante se confrontata con i prodotti ittici italiani esportati, che risultano poco più di 135,5 tonnellate per un valore di 520 milioni di euro, e che costituisce un vero paradosso se si considera che l'Italia è bagnata da 8.350 chilometri di costa;
le cause di questo declino sono da ricercare nel fatto che vi sono troppi intermediari, punti di sbarco frammentati, imprese troppo piccole e soprattutto il prezzo del gasolio ormai alle stelle;
di conseguenza, le cooperative di pescatori sono in affanno, industria ittica è fortemente condizionata dagli eventi internazionali e i consumatori finiscono per mangiare solo le specie di pesce imposte dal mercato senza un'etichettatura trasparente, che in molti casi non permette di conoscere la provenienza del prodotto e di avere un'informazione completa;
tuttavia, il problema più serio è rappresentato dalla struttura delle imprese ittiche italiane;
secondo dati Ismea, nel 2009 il 66 per cento dei pescherecci che compongono la flotta italiana è gestito da micro-imprese, condizione che azzera il loro potere contrattuale nei confronti degli altri componenti della filiera, come grossisti e distributori, e del sistema creditizio;
a questo si deve aggiungere un altro aspetto di forte criticità rappresentato dai punti di sbarco che lungo le coste italiane sono oltre 800;

tale numero rende molto difficile fornire gli approdi di adeguati servizi, come il rifornimento d'acqua e di carburante, e influisce sulla vendita di quanto viene pescato ogni giorno, perché le filiere si allungano, mentre la remunerazione dei pescatori si riduce;
tutto questo mentre il pesce estero gode da tempo di una situazione privilegiata -:
se il Governo non ritenga di dover considerare quanto esposto in premessa come una vera e propria emergenza nazionale e quali misure urgenti intenda intraprendere ai fini della tutela e del sostegno dell'occupazione e delle attività produttive, come la pesca, che rappresenta un settore di primaria importanza del made in Italy.
(3-01679)

Interrogazione a risposta in Commissione:

TRAPPOLINO, OLIVERIO, BRANDOLINI, ZUCCHI, SANI e CENNI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per i rapporti con le regioni e coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
tra i Paesi membri dell'Unione europea l'Italia risulta essere quello che ha fatto segnare la spesa più bassa nell'ambito della programmazione prevista dai vari piani di sviluppo regionali (PSR). Rispetto ad una media europea del 35 per cento, il nostro Paese ha superato di poco il 26 per cento del programmato complessivo;
l'incapacità di utilizzare il complesso delle risorse rese disponibili dai piani di sviluppo regionali incide negativamente sui processi di riqualificazione, innovazione e ristrutturazione delle aziende agricole italiane. Il permanere di tale situazione - che implica inoltre il rischio del «disimpegno» - può compromettere in maniera drammatica la negoziazione delle risorse per il periodo 2014-2020, poiché la capacità di spesa pregressa incide sull'assegnazione di budget futuri;
un numero assolutamente consistente di aziende agricole, specie quelle istituite da giovani, non riesce ad accedere alle misure previste dai diversi piani di sviluppo regionali a causa dei problemi legati all'accesso al credito necessario a cofinanziare gli interventi -:
se il Governo disponga di informazioni di maggiore dettaglio circa lo stato della spesa dei piani di sviluppo regionali in Italia;
se si intenda avviare un confronto con le regioni con l'obiettivo di migliorare, in breve tempo, la quantità e la qualità della spesa programmata dai piani di sviluppo regionali;
se si intenda affrontare, con strumenti facilitatori, la questione dell'accesso al credito per le aziende agricole che registrano difficoltà a cofinanziare le misure previste dai piani di sviluppo regionali, anche attraverso la convocazione delle parti sociali.
(5-04814)

Interrogazioni a risposta scritta:

REALACCI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per le politiche europee. - Per sapere - premesso che:
nella primavera 2002 è stata riscontrata, per la prima volta in Italia, nella zona pedemontana della provincia di Cuneo, area privilegiata per la produzione di castagne, la presenza dell'imenottero cinipide Dryocosmus kuriphilus, originario del nord della Cina e ritenuto unanimemente uno degli insetti più nocivi per il castagno in tutto il mondo;
una delle cause dell'introduzione del pericoloso parassita è stata attribuita allo scambio di marze infette provenienti dall'Asia;
la sopraccitata specie di insetto, mai segnalata in passato in Europa, è in grado di provocare la formazione di galle, ovvero di ingrossamenti di forma tondeggiante e dimensioni variabili da 0,5 a 2 centimetri

di diametro, di colore verde o rossastro, sulle foglie e i germogli dei castagni, compromettendo in modo definitivo lo sviluppo vegetativo delle piante e la loro fruttificazione;
nel cuneese fu riscontrata la presenza di galle sia sugli ibridi eurogiapponesi (castanea crenata x C. sativa), sia sul castagno europeo, selvatico o innestato. Il numero di galle per pianta è altresì molto variabile, dipendendo probabilmente, oltre che da una differente sensibilità varietale, anche dall'epoca di insediamento più o meno recente del parassita. La formazione delle galle può infatti coinvolgere i germogli laterali o apicali dei rami, inglobando una parte delle giovani foglie e degli amenti, determinando l'arresto dello sviluppo vegetativo dei getti colpiti;
il Dryocosmus kuriphilus attacca unicamente il genere castanea e presenta una sola generazione annua. Nei mesi di giugno e luglio dalle galle formatesi in primavera fuoriescono le femmine adulte che si presentano come piccole vespe lunghe 2,5 millimetri circa, con una colorazione nera a carico del torace e dell'addome; gli arti risultano di colore giallo brunastro, ad eccezione dell'ultimo segmento tarsale bruno scuro;
dal 2002, anno in cui si registrò la prima presenza in Italia, il cinipide delle castagne si è diffuso in tutti i boschi di castagno del Paese, colpendo particolarmente le zone a più alta produttività e per valore «tipicità IGP-DOP» come: la già citata cuneese, i castagneti del monte Amiata, i boschi dell'Aretino, in particolar modo nel Casentino, nel Valdarno e nel Pratomagno, la produzione del Monfenera in Veneto, i castagneti IGP campani di Montella Igp, il marrone di Roccadaspide e la «Primitiva» di Roccamonfina;
una produzione annua di 45 milioni di chili di altissima qualità consente all'Italia di conquistare la leadership nella produzione in Europa e il quarto posto a livello mondiale dopo Cina, Corea del Sud e Turchia. Inoltre, secondo la Coldiretti, il primato italiano sul piano qualitativo è confermato dalla presenza di ben nove tipi di castagne che hanno ottenuto riconoscimento europeo di tipicità;
in questo caso i trattamenti antiparassitari di contrasto con fitofarmaci in genere sono scarsamente efficaci, oltre a risultare discutibili dal punto di vista dell'impatto ambientale;
da un articolo del Corriere del Mezzogiorno del settembre 2010 si apprende come parrebbe possibile una lotta biologica alla minaccia del cinipide delle castagne grazie alla diffusione di un insetto antagonista: il Torymus sinensis kannijo, la cui femmina depone le proprie uova nelle galle del cinipide, distruggendo in tal modo le larve del parassita. Tuttavia, lo studio di come sincronizzare il ciclo di vita dei due insetti e di come liberarli nell'ambiente è ancora all'inizio;
in Giappone la lotta biologica con l'introduzione dello specifico limitatore naturale, ovvero l'imenottero calcidoideo Torymus sinensis kamijo, ha però dato buoni risultati. In diverse località, a distanza di quasi venti anni dalla effettuazione dei primi lanci di questo parassitoide, le percentuali di germogli attaccati dal cinipide sono ampiamente al di sotto della soglia di danno;
introdurre in natura parassiti antagonisti potrebbe creare gravi squilibri agli ecosistemi -:
quali iniziative urgenti intendano assumere i Ministri interrogati al fine di attuare una campagna informativa nazionale riservata agli operatori del settore castanicolo con l'obiettivo di limitare la diffusione di D. kuriphilus, o cinipide della castagna, oltreché volta al controllo dell'attività vivaistica per evitare la commercializzazione di piante infestate;
se non si ritenga opportuno, per tramite dei centri di ricerca e sperimentazione in agricoltura del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali competenti per territorio e di concerto con le Agenzie regionali per l'ambiente, avviare dei progetti tesi a verificare tutte le possibilità

di lotta biologica al cinipide, ad esempio con l'introduzione di parassitoidi specifici, e se questi siano compatibili con la tutela della biodiversità nazionale e con le colture castanicole e non solo;
se non si ritenga infine utile, anche a livello di Unione europea, individuare specifiche forme di indennizzo e di aiuto per la lotta biologica nel settore castanicolo, costituito da centinaia di piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, gravemente minacciate dal cinipide delle castagne che rappresentano uno degli ambiti di eccellenza della produzione agricola ed alimentare nazionale.
(4-12102)

PEDOTO, BENAMATI, GRASSI, D'INCECCO, RIGONI, FARINONE e RUBINATO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il sistema di quote che in Europa regola il mercato del latte fino al 2015 comporta per l'Italia diversi svantaggi; primo fra tutti il fatto che la capacità produttiva nazionale è di gran lunga inferiore ai consumi interni e determina un incremento delle importazioni di latte pari a circa il 50 per cento del fabbisogno nazionale;
nel nostro Paese, inoltre, produrre latte è più costoso che in altri Paesi comunitari e, in molti caseifici, è più conveniente importare il latte dalla Germania, dalla Francia o dalla Polonia piuttosto che da una stalla italiana; la Parmalat, come pure la Granarolo ed altre aziende nazionali del latte, producono prevalentemente latte fresco e nella gran parte utilizzano come materia prima latte italiano ed in questo modo contribuiscono a mantenere in vita la nostra zootecnia;
altri Paesi europei, ed in particolare la Francia, hanno una eccedenza di produzione di latte che debbono vendere ad altri Paesi cercando di incrementare le esportazioni;
nel caso del latte fresco è poco conveniente lavorare la materia prima in Francia ed esportare il prodotto confezionato; è invece molto conveniente esportare il latte in cisterne e lavorarlo in impianti nel Paese dove può essere commercializzato;
l'acquisizione del controllo societario di importanti aziende italiane operanti nel settore del latte, come da ultimo sembra stia avvenendo per il marchio Parmalat da parte dal gruppo francese Lactalis, potrebbe provocare pesanti ripercussioni sul settore lattiero-caseario del nostro Paese e determinare un indebolimento del settore zootecnico nazionale a discapito di paesi concorrenti;
Parmalat, in particolare, è sempre stata un importantissimo punto di riferimento del sistema agricolo italiano e delle grandi aziende, anche cooperative, operanti nel settore del latte, le quali oggi temono pesanti difficoltà con uno dei maggiori clienti nazionale mentre è forte la preoccupazione per le sorti strategiche di un'azienda rinata dopo uno dei peggiori fallimenti della storia economica nazionale;
si assiste con preoccupazione al fatto che nel settore agroalimentare, dove è rilevante il valore aggiunto del made in Italy, sempre più spesso marchi nazionali prestigiosi diventano di proprietà straniera a cui, di frequente, segue anche una delocalizzazione degli approvvigionamenti e degli stabilimenti produttivi;
per quanto riguarda Parmalat in specifico, infatti, il punto critico non è l'assetto proprietario ma, soprattutto, la successiva gestione del gruppo che potrebbe favorire produttori diversi da quelli nazionali con notevole danno della zootecnia italiana;
la posizione dominante che il gruppo Lactalis si trova ormai a detenere nell'ambito del settore lattiero-caseario italiano se saldata alla ormai massiccia presenza nella grande distribuzione di gruppi stranieri, e francesi in particolare, potrebbe

determinare uno spiazzamento della zootecnia nazionale a vantaggio di quella francese -:
se quanto riportato in premessa risponda al vero e quali azioni il Ministro interrogato intenda porre in essere per salvaguardare e sostenere la zootecnia italiana nell'ambito dell'intera filiera produttiva collegata al ciclo del latte evitando che l'acquisizione di Parmalat da parte del gruppo Lactalis possa incidere negativamente sulle attività e sul reddito degli allevatori che hanno rapporti contrattuali con tale azienda.
(4-12123)

...

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:

GALATI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta la LICE, lega italiana contro l'epilessia, sono sei milioni le persone colpite in Europa, oltre 500 mila in Italia e 30 mila nuovi casi all'anno, da epilessia, patologia neurologica tra le più diffuse di cui si è celebrata, il primo maggio, la giornata nazionale, arrivata alla sua decima edizione. Obiettivo della giornata è stato quello di contrastare i pregiudizi sulla patologia favorendone una maggiore conoscenza. Da un'indagine DOXA commissionata da LICE emerge infatti che il 23 per cento degli italiani ritiene - erroneamente - che la malattia possa provocare disturbi psichici, l'11 per cento è convinto che sia una malattia mentale e il 4 per cento crede addirittura che sia dovuta a una qualche forza sovrannaturale. Inoltre, sebbene oltre il 90 per cento delle persone dichiara di sapere cosa sia l'epilessia, solo il 33 per cento ha acquisito informazioni da fonti scientifiche, mentre il 30 per cento da parenti e amici e il 10 per cento da colloqui con i medici. L'indagine rileva, inoltre, una scarsa conoscenza delle nuove frontiere della ricerca e delle terapie oggi disponibili: solo l'11 per cento infatti, conosce la possibilità di intervenire chirurgicamente e, anche se l'86 per cento crede nella terapia farmacologica per controllare gli attacchi dovuti alla malattia, c'è ancora un considerevole numero di persone, il 47 per cento, che pensa che non ci sia nessuna possibilità di guarigione -:
se il Ministro, alla luce di tali indagini, intenda intervenire per rendere disponibili corrette e diffuse informazioni sulle cure disponibili.
(3-01678)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

MELIS, TULLO e PES. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
al signor Francesco Paolo Sorgente, sarda abitante a Monserrato, deceduto il 25 gennaio 2009 a Vasto (Chieti) per un tumore (mesotelioma pleurico maligno), insorto in seguito a prolungata esposizione all'amianto a bordo di navi e arsenali militari maturata nel servizio nell'ambito del Ministero della difesa (10 anni d'imbarco su navi e sommergibile ex USA), 40 anni di servizio, il 27 marzo 2009, è stata riconosciuta la dipendenza della malattia da causa di servizio;
come è noto, in seguito al parere del Consiglio di Stato-sezione III, adunanza di sezione 4 maggio 2010 (n. affare 01693/2010), le infermità «asbesto-correlate» contratte da personale militare e civile della Difesa a seguito di esposizione all'amianto sono state incluse tra quelle che, ai sensi dell'articolo 1, comma 564, della legge 23 dicembre 2005 n. 266 (legge finanziaria per il 2006), consentono l'equiparazione dei destinatari alle «vittime del dovere», ai fini della progressiva estensione dei benefìci già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo;
anche nel caso del signor Sorgente è stata dunque inoltrata dagli eredi aventi causa, secondo le norme vigenti, al Ministero della difesa la richiesta di riconoscimento dello status di «equiparato alle

vittime del dovere». In data 24 novembre 2010 tale richiesta è stata trasmessa al comitato per la verifica, perché esaminasse la pratica;
nel mese di dicembre 2010 il suddetto comitato, davanti al quale transitano tutte le richieste simili, è stato traslocato;
sarebbero stati inoltre sospesi i fondi per il pagamento dei gettoni di presenza ai membri del Comitato stesso. Ciò ha prodotto l'interruzione dell'attività dell'organismo, la cui ripresa è prevista per il prossimo mese di giugno. Poiché il procedimento in parola, come molti altri simili (i casi simili sarebbero più di 1.500), doveva essere tassativamente definito entro 4 mesi dalla data del decesso, ovvero (ove il signor Sorgente fosse stato ancora in vita) dalla data della presentazione da parte dell'avente diritto, e il parere del Comitato avrebbe dovuto essere reso entro 60 giorni e comunicato all'amministrazione richiedente entro i 15 giorni successivi, l'istanza in parola rischia di essere totalmente e ingiustificatamente vanificata per scadenza dei termini; analoga sorte subirebbero, secondo informazioni generiche, altre istanze presentate nel medesimo periodo di interruzione dei lavori -:
quali determinazioni intenda assumere con la necessaria urgenza il Ministro per interrompere la paralisi di questo fondamentale organismo consultivo, la cui inadempienza impedisce a una molteplicità di richiedenti di conseguire legittimi diritti e benefici economici e giuridici in dipendenza di malattie contratte nel servizio di Stato;
come intenda il Ministro provvedere nel caso citato e in altri analoghi per interrompere la prescrizione del diritto maturata in dipendenza della mancata resa del parere da parte del Comitato per la verifica suddetto.
(5-04813)

PEDOTO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 31 maggio 2011 si celebrerà la giornata mondiale senza tabacco;
in Italia è aumentato il numero dei fumatori: 500 mila in più dal 2010, secondo i dati di una indagine Doxa per conto dell'Istituto superiore dignità in collaborazione con la LILT e con l'Istituto Mario Negri presentata in occasione della giornata mondiale senza tabacco;
secondo tali dati la fascia d'età in cui si registra il maggior numero di fumatori è quella tra i 25 e i 44 anni (28,3 per cento, contro il 18,8 per cento della fascia 15-24 anni e il 26 per cento quella che va dai 45 ai 64 anni;
a seguito di risposta ad altro di sindacato ispettivo, il Ministero ha precisato che non esiste un fondo specifico per le politiche antifumo, ma vengono individuati specifici progetti;
l'Italia è un Paese in cui è aumentato il numero dei fumatori diversamente da quanto avviene nell'Occidente e negli USA in cui la mortalità per il cancro è in diminuzione,
tali dati confermano che si è abbassata, la guardia nella lotta al tabagismo -:
se il Governo intenda pubblicare i risultati dei progetti relativi alle politiche antifumo e i dati relativi alla loro efficacia;
cosa intenda fare per attuare strategie organiche di lotta al tabagismo, anche istituendo un apposito fondo per le politiche antifumo.
(5-04826)

GIBIINO, VINCENZO ANTONIO FONTANA, GAROFALO, GERMANÀ, GIAMMANCO, MARINELLO, PAGANO, TORRISI, MINARDO, FALLICA, CATANOSO GENOESE, STAGNO D'ALCONTRES, TERRANOVA e GRIMALDI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'assessorato regionale siciliano alla sanità ha bandito 293 gare per 56 milioni

di euro in merito alla fornitura di materiali nella Sicilia orientale;
l'aggiudicazione delle singole gare è avvenuta il più delle volte a favore di una multinazionale (Johnson&Johnson) ad un prezzo pari a circa il doppio di quanto offerto dalle ditte escluse;
il sistema utilizzato e i parametri per la valutazione delle singole ditte poggiavano sia sul prezzo che sulla qualità;
per valutare la qualità dei prodotti gli elementi erano fra l'altro «l'analisi della criticità del sistema», «la proposta razionalizzazione approvvigionamento», «la valutazione quantizzazione redditività»;
attraverso questo sistema e dalla lettura del vincitore dei singoli lotti (suture), ad esempio nei lotti 3, 4, 11, 13, 14, 19, 20, 21, 24, 28, 31, 33, 34, 37, 38, si appalesava innaturale l'aggiudicazione alla ditta che aveva offerto un prezzo pari a circa il doppio rispetto a quello offerto dalle ditte escluse;
chi ha predisposto il bando e provvedeva alla convocazione era stato fino a poco tempo prima «national sales director» presso Johnson&Johnson medical (la stessa che poi si è aggiudicata la maggior parte dei lotti posti a bando);
attualmente le ditte escluse hanno proposto ricorso al TAR;
il manager dell'azienda Garibaldi di Catania che ha bandito la gara centralizzata ha annunciato la sospensione dell'aggiudicazione;
i fatti risultano pubblicati dettagliatamente sul quotidiano La Repubblica, sulla rivista «S», sul quotidiano on line Live Sicilia del 25 maggio 2011;
l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici con delibera notificata all'azienda sanitaria il 19 maggio 2011 ha evidenziato i vizi sotto il profilo della correttezza e della trasparenza -:
quali iniziative possa intraprendere il Governo al fine di assicurare la coerenza dell'operato degli enti coinvolti e, della Regione siciliana in relazione agli obiettivi di razionalizzazione fissati nel piano di rientro dai disavanzi sanitari, anche promovendo modifiche normative per garantire la terzietà delle figure preposte alla predisposizione del bando rispetto alle ditte concorrenti ed evitare, le conseguenze relative all'esponenziale costo di aggiudicazione che ha visto assegnare i singoli lotti non alle ditte offerenti il prezzo più basso a parità di prodotto, ma quello più alto, con possibile danno erariale.
(5-04828)

Interrogazioni a risposta scritta:

BONAVITACOLA, CUOMO e IANNUZZI. - Al Ministro della salute, Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la ASL di Salerno, a seguito degli accorpamenti disposti con legge regionale n. 16 del 2008, è stata costituita quale ASL unica per l'intero territorio della provincia di Salerno, con popolazione di 1.100.000 abitanti;
la somma dei debiti maturati dalle tre ex ASL precedentemente operanti in provincia di Salerno, confluiti in capo alla ASL unica di Salerno, supera il miliardo di euro, con un debito giornaliero di 650 mila euro, con la cifra mensile che arriva a 20 milioni di euro (240 milioni di euro in 12 mesi);
il quadro e l'assetto della sanità in regione Campania sono regolati con l'accordo sottoscritto il 13 marzo 2007 dal Presidente della giunta della regione Campania e dai Ministri della salute e dell'economia e delle finanze, avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo e di riqualificazione e razionalizzazione del Servizio sanitario regionale, successivamente approvato con la delibera di giunta regionale n. 460/2007;

l'articolo 3 del citato accordo prevede che l'affiancamento da parte del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, si realizzi anche con l'esame e la valutazione dei provvedimenti a carattere normativo, recanti misure di contenimento della spesa sanitaria, e l'esame e la valutazione dei provvedimenti di razionalizzazione della rete ospedaliera;
il citato piano di rientro, tra l'altro, fissa vincoli di natura finanziaria al Servizio sanitario regionali della Campania ed azioni organizzativo-strutturali volte, tra l'altro, a coniugare la riorganizzazione della rete ospedaliera e dei livelli essenziali d'assistenza con il perseguimento degli obiettivi di risparmio di spesa;
in tale contesto assume particolare rilievo e responsabilità la figura del direttore sanitario della ASL di Salerno, ente sanitario con un ruolo fondamentale nel territorio della regione Campania;
a seguito di delibera n. 223 del 24 marzo 2011 del commissario straordinario della ASL di Salerno, colonnello Maurizio Bortoletti, in data 25 marzo 2011 la dottoressa Sara Caropreso ha assunto, nelle more della nomina dei sub commissari amministrativo e sanitario, le funzioni di direttore sanitario facente funzioni dell'azienda sanitaria locale di Salerno;
ai sensi dell'articolo 22-ter della legge regionale 3 novembre 1994, n. 32, come integrata dalla legge regionale n. 3 del 2 marzo 2006, i direttori amministrativi e sanitari sono nominati dal direttore generale, con provvedimento motivato, fra gli iscritti negli elenchi di cui all'articolo 22-bis della stessa legge n. 32 del 1994;
ai sensi dell'articolo 22-bis della citata legge regionale n. 32 del 1994, presso l'assessorato alla sanità della regione Campania sono istituiti l'elenco degli aspiranti alla nomina a direttore amministrativo e l'elenco degli aspiranti alla nomina a direttore sanitario di aziende sanitarie locali e di aziende ospedaliere L'iscrizione agli elenchi avviene a domanda degli interessati. Gli uffici regionali competenti verificano la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per la nomina nonché la regolarità formale della domanda di iscrizione. L'assenza dei requisiti non è sanabile;
per la nomina a direttore sanitario sono richiesti i seguenti requisiti:
a) età non superiore ai limiti di legge;
b) laurea in medicina e chirurgia;
c) idoneità nazionale di cui all'articolo 17, commi 1 e seguenti del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modifiche ed integrazioni, fatto salvo quanto previsto dal comma 11 del medesimo articolo 17;
d) qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria per almeno 5 anni in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di grande o media dimensione, come definite dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 484 (Regolamento recante la determinazione dei requisiti per l'accesso alla direzione sanitaria aziendale e dei requisiti e dei criteri per l'accesso al secondo livello dirigenziale per il personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale);
agli interroganti non risulta che la dottoressa Sara Caropreso avrebbe maturato il possesso dei requisiti di legge per il conseguimento dell'incarico di direttore sanitario;
a riprova di tale circostanza, la dottoressa Sara Caropreso non risulta neanche inserita fra i n. 293 nominativi di cui si compone l'ultimo elenco aggiornato al 20 settembre 2010 dei soggetti aspiranti al conferimento d'incarico di direttore sanitario, tenuto presso l'assessorato alla sanità della regione Campania e pubblicamente visionabile sul sito ufficiale della regione al link della relativa area tematica;
ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione: «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità

dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari»;
alla stregua della predetta disposizione di rango costituzionale è universalmente noto e pacifico che i modelli giuridici di attribuzione degli incarichi per l'esercizio di pubbliche funzioni seguono i princìpi di tassatività e tipicità, nel rispetto delle previsioni di legge, dovendosi sicuramente escludere la legittimità di incarichi conferiti in modo estemporaneo e modellati ad personam;
ai sensi dell'articolo 22, comma 5, della legge regionale n. 32 del 1994, il rapporto di lavoro del direttore amministrativo e del direttore sanitario deve essere a tempo pieno e di diritto privato;
risulta palesemente estraneo al modello tipizzato dal legislatore l'anomala figura di direttore sanitario che presta la propria opera su base volontaria, al di fuori del rapporto contrattuale previsto dalla normativa citata, come disposto dalla delibera d'incarico n. 223 del 24 marzo 2011;
appare davvero abnorme che per la maggiore ASL della Campania (tra le principali d'Italia) possa ricoprire il delicatissimo incarico di direttore sanitario chi non sia inserito nell'albo ufficiale all'uopo predisposto dalla regione Campania e che risulti privo dei requisiti fissati dall'articolo 22 della legge della regione Campania n. 32 del 1994 -:
se possa ritenersi coerente con le finalità previste all'articolo 3 dell'accordo sottoscritto il 13 marzo 2007 dal presidente della giunta della regione Campania e dai Ministri della salute e dell'economia e delle finanze, avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo e di riqualificazione e razionalizzazione del Servizio sanitario regionale, la nomina di un direttore sanitario per la ASL Salerno privo dei requisiti di cui alla legge regionale n. 32 del 1994, indispensabili ed insurrogabili ai fini dell'attribuzione e dell'esercizio di una così delicata e rilevante responsabilità, ancor di più nell'ottica del più rigoroso controllo e monitoraggio dello Stato in una regione, come appunto la Campania, sottoposta a regime commissariale nel comparto della organizzazione e gestione della sanità.
(4-12105)

LO MORO. - Al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
con precedente atto di sindacato ispettivo n. 4/11154, indirizzato al Ministro della salute e pubblicato in allegato al resoconto della seduta del 7 marzo 2011 si sollecitava, in particolare, «adeguata vigilanza sull'esecuzione dell'accordo di programma stralcio stipulato nel dicembre 2007» tra il Ministero della salute e la regione Calabria «per la costruzione dell'ospedale di Vibo Valentia» e di «altri tre nuovi ospedali (localizzati rispettivamente a Catanzaro, nella Sibaritide e nella piana di Gioia Tauro)» denunciando che «a distanza di oltre tre anni» dalla stipula dell'accordo e nonostante la dichiarazione dello stato di emergenza, con contestuale nomina di un commissario per la costruzione delle nuove strutture sanitarie, si era «lontani dall'avvio dei lavori»;
le perplessità, sollevate nell'interrogazione sopra richiamata e ancora in corso, non sono state in alcun modo superate dalle informazioni fornite dal presidente della regione Calabria, Giuseppe Scopelliti, nominato commissario ad acta a fine luglio 2010, a seguito di decreto di commissariamento della sanità calabrese, il quale, nel corso di una conferenza stampa, in data 14 maggio 2011, garantiva «procedure record» per la realizzazione degli ospedali e annunciava l'avvio dei lavori entro un anno, con ciò confermando ritardi e difficoltà;
in realtà l'unica novità emersa, illustrata dal commissario e presidente Scopelliti in occasione della stessa conferenza stampa, è che la Ragione Calabria ha stipulato un protocollo d'intesa con la

regione Lombardia, con cui si prevede l'utilizzo di Infrastrutture Lombarde s.p.a. per la realizzazione dei nuovi ospedali calabresi;
sulla scelta fatta dal Commissario - che, anziché risolvere i problemi, ha individuato il soggetto (esterno) cui demandarne la soluzione - sono stati sollevati dubbi dalla CGIL regionale che, forte anche del parere problematico fornito dal Comitato di sorveglianza della stazione unica appaltante della regione Calabria, con una nota del segretario generale calabrese, Sergio Genco, e della segretaria regionale, Mimma Iannello, pubblicata sulla stampa regionale in data 27 maggio 2011, mette in discussione il contenuto della convenzione e l'importo del compenso riconosciuto a Infrastrutture Lombarde s.p.a. per il lavoro di supporto alla struttura commissariale, pari al «2,7 per cento del costo complessivo dei lavori, compresi gli oneri per la sicurezza, le attrezzature e gli arredi», denunciando «il rischio che dietro l'asse politico con la Lombardia» possano «celarsi gli interessi di società che detengono il monopolio sulla realizzazione di grandi opere pubbliche»;
in verità lascia perplessi il rapporto con la società lombarda, basato su una convenzione tira le due regioni (Calabria e Lombardia);
non si conosce il rapporto che lega la società alla regione Lombardia, tale da legittimare un affidamento diretto di una commessa al di fuori delle regole dell'evidenza pubblica, considerato che per importi presunti cosi elevati è necessario il ricorso alla gara pubblica;
né è sufficiente sapere che si tratta di una società partecipata dalla regione Lombardia, poiché tale caratteristica strutturale e giuridica non implica la sua esenzione dalle regole della concorrenza, né la esonera dal rispetto delle norme sulla pubblicità dei bandi e sulla apertura alla partecipazione di altri soggetti, individuali o collettivi, italiani e comunitari, abilitati ad erogare il medesimo tipo di prestazione professionale;
dai dati di cui si è a conoscenza attraverso la stampa, sembrerebbe che il procedimento possa incorrere nelle violazioni derivanti dalla mancata applicazione della disciplina comunitaria, come recepita nelle vigenti norme in materia;
neppure un ipotetico rapporto di concessione amministrativa di appalto, conferita dalla regione Lombardia alla infrastrutture Lombarde s.p.a., potrebbe giustificare la prestazione di servizi all'esterno della regione medesima, che si trasformerebbe impropriamente in un soggetto che acquisisce commesse da affidare a propri concessionari;
nel presente caso, così come sopra ricostruito, si è al di fuori del rapporto di collaborazione tra due istituzioni, ma si profila un fenomeno di intermediazione a favore di un soggetto privato, la cui natura giuridica non muta in presenza di un capitale sottoscritto da un soggetto pubblico;
non può poi trascurarsi il fatto che l'effetto sostanziale della convenzione con la regione Lombardia è che somme consistenti della sanità calabrese, che potrebbero essere spese sul territorio, trasmigrerebbero verso altre regioni;
se poi si considera l'importo dei fondi che già vengono erogati per la mobilità passiva alle altre regioni, ed in particolare, alla regione Lombardia, diventa difficile capire quale delle due regioni riceve sostegno dall'altra (se è la Calabria a ricevere supporto o è la Lombardia a pareggiare i propri bilanci e quelli delle sue partecipate anche con fondi dirottati dalla Calabria);
alla luce di quanto successo con l'advisor nominato e pagato per la quantificazione del disavanzo, che ha prodotto risultati tutt'altro che chiari causando una ulteriore perdita di credibilità per la sanità calabrese, in una fase delicata come quella del commissariamento, serve una vigilanza dei Ministri interrogati per garantire la compatibilità delle scelte commissariali, con il piano di rientro sotto

scritto dalla regione oltre che con la normativa vigente e le regole del mercato -:
se siano a conoscenza della convenzione stipulata tra la regione Calabria e la regione Lombardia e degli impegni assunti dalla Calabria verso Infrastrutture Lombarde s.p.a.;
se le scelte effettuate dal commissario e presidente Scopelliti siano compatibili con il piano di rientro, oltre che rispettose della normativa vigente e delle regole del mercato;
se e come ritengano di intervenire, ciascuno per le proprie competenze, per garantire l'osservanza delle regole e l'efficacia e la tempestività degli interventi oggetto dell'accordo di programma, richiamato in premessa, stipulato nel dicembre 2007, per i quali a distanza di oltre tre anni e nonostante la dichiarazione dello stato di emergenza, si è lontani dall'avvio dei lavori.
(4-12129)

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanze:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
il nuovo piano industriale di Fincantieri - azienda pubblica controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze attraverso Fintecna - che prevede 2.551 esuberi (pari al 30 per cento della forza lavoro attualmente impiegata) e la chiusura dei cantieri di Castellammare di Stabia, Genova Sestri Ponente e il ridimensionamento di Riva Trigoso, conferma le peggiori previsioni dei mesi scorsi;
in tutti i siti, migliaia di lavoratori delle ditte di appalto e, più in generale, dell'indotto hanno perso o rischiano di perdere il lavoro, spesso senza la possibilità di vedersi riconoscere l'accesso agli ammortizzatori sociali;
a seguito della crisi gli ordinativi di Fincantieri hanno visto un drastico ridimensionamento delle unità commissionate, a causa della caduta della domanda armatoriale ma anche della perdita totale del business delle navi mercantili, appannaggio esclusivo dei cantieri asiatici;
il temuto ridimensionamento industriale era prevedibile per il persistere di un portafoglio ordini del tutto inconsistente e a fronte dell'atteggiamento passivo dei vertici di Fincantieri rispetto alla crisi internazionale;
i tagli occupazionali sono conseguenza della situazione di degrado e di abbandono di una parte dei siti Fincantieri, segnato dal continuo peggioramento delle condizioni complessive di lavoro, della salute e della sicurezza dei lavoratori, dal declino dell'efficienza complessiva del sistema e dei risultati qualitativi, da addebitarsi principalmente ad un modello produttivo che si fonda sulla crescente esternalizzazione di attività, con il solo scopo di abbattere i costi, e che ha determinato la perdita del controllo del processo produttivo da parte dell'azienda;
tuttavia, è il quadro complessivo dell'industria navalmeccanica nazionale a destare preoccupazione, nonostante le sollecitazioni di Ancanap, Confitarma, Rina, Cetena, Vasca navale; in questo contesto, le strategie adottate dall'Unione europea per affrontare la crisi del settore, con particolare riferimento al comparto dei traghetti, potrebbero favorire nuovi investimenti con ricadute positive sull'intero comparto;
per cogliere le opportunità di possibile rilancio del settore sarebbe indispensabile un adeguamento infrastrutturale dei siti produttivi di Fincantieri, coinvolgendo le regioni e gli enti locali nella definizione degli investimenti necessari alla realizzazione delle infrastrutture ed in particolare

al miglioramento delle infrastrutture di accesso ad alcuni cantieri come quello di Sestri Levante;
il Governo, nonostante gli impegni assunti ufficialmente, con l'accordo del 18 dicembre 2009 tra il Ministro dello sviluppo economico, l'impresa e le istituzioni locali interessate - che dava seguito all'intesa del 16 luglio 2009 tra Fincantieri e organizzazioni sindacali - , per il rilancio delle commesse pubbliche e la ristrutturazione in senso efficientistico dei cantieri in Italia, non si è attivato per individuare le politiche e gli strumenti di difesa e di sostegno della cantieristica navale italiana necessari per mantenere inalterati gli attuali livelli produttivi ed occupazionali del settore;
tale comportamento è conseguenza della totale assenza di una politica industriale da parte del Governo, particolarmente evidente nel settore navalmeccanico dove si registrano gravi inadempienze e ritardi, a partire dalla mancata riconvocazione del tavolo, sollecitata da mesi senza riscontro alcuno;
altrettanto grave è l'atteggiamento della direzione aziendale che, con il gioco dei continui annunci e delle successive smentite, ha fatto crescere tra i lavoratori preoccupazione e sconcerto e infine, dopo l'annuncio dei tagli, ha suscitato la «collera dei poveri», così come denunciato dal monito di monsignor Giancarlo Maria Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, sfociata nelle manifestazioni di questi giorni;
a seguito delle manifestazioni dei lavoratori Fincantieri, il Ministro dello sviluppo economico ha finalmente convocato per venerdì 3 giugno 2011 i vertici dell'azienda e i sindacati nazionali per discutere il piano di riorganizzazione industriale;
la gravità della situazione della cantieristica nazionale era già ampiamente nota al Parlamento, che già il 25 gennaio 2011, con la risoluzione 8-00104 approvata dalla X commissione attività produttive, commercio e turismo, aveva unanimemente impegnato il Governo ad attivarsi per la gestione e il superamento della fase di crisi;
sono, infatti, indispensabili azioni volte a:
a) mettere in campo progetti di riconversione industriale concreti e condivisi con i sindacati e gli enti locali, scongiurando la messa in opera dei piani di chiusura degli stabilimenti e la riduzione strutturale della capacità produttiva, sospendendo gli effetti dell'«informativa-piano industriale» resi da Fincantieri ;
b) garantire nel settore navalmeccanico il pieno rispetto degli impegni assunti dal Governo al tavolo del 18 dicembre 2009;
c) sollecitare la mobilitazione tempestiva del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione per intervenire subito a sostegno dell'occupazione, altresì indispensabile per promuovere l'attività produttiva;
d) consolidare le politiche industriali finalizzate al rilancio della cantieristica navale italiana attraverso l'individuazione di investimenti ed incentivi, in particolare alla ricerca e all'innovazione, che consentano di aumentare la competitività della produzione italiana e al contempo di garantire il mantenimento degli attuali livelli occupazionali, operando attivamente per ottenere garanzie, da parte di Fincantieri, nel senso del mantenimento della produzione nei cantieri in Italia;
e) rifinanziare la legge 9 gennaio 2006, n.13 - approvata della Unione europea ma definanziata dall'attuale Governo - che consente la rottamazione delle navi passeggeri e traghetti misti passeggeri e merci, dal momento che in Italia la flotta di questa tipologia navale è particolarmente vetusta, insicura, ad alto consumo energetico ed inquinante, con una anzianità di 40, 50, 60 fino ad 80 anni;

f) garantire un adeguato livello delle commesse pubbliche nel settore della navalmeccanica, contemporaneamente alla realizzazione della terza fregata FREMM reperendo le risorse necessarie alla costruzioni di ulteriori fregate;
g) fornire a Fincantieri indirizzi precisi per un piano industriale basato su commesse pubbliche immediatamente cantierabili, su investimenti in diversificazione produttiva e innovazione tecnologica volta alla sostenibilità e compatibilità ambientale, sul recupero di un modello produttivo ed organizzativo rispettoso del diritto alla salute ed alla sicurezza dei dipendenti Fincantieri e dei lavoratori delle ditte dell'appalto;
h) sostenere in sede europea la proposta di un piano straordinario per il rinnovo della flotta dei traghetti nei Paesi dell'Unione europea;
i) vigilare sulla corretta applicazione delle misure finalizzate a scoraggiare le iniziative di delocalizzazione previste dalla legge n.80 del 2005 e a confermare il proprio impegno a difendere la fair competition sui mercati internazionali e il contrasto ai fenomeni di concorrenza sleale, promuovendo il monitoraggio rispetto agli effetti generati dall'attuazione del nuovo accordo commerciale tra Unione europea e Corea del Sud -:

quali siano le ragioni per le quali non si è dato corso agli impegni e ai programmi assunti con l'impresa, le parti sociali e le amministrazioni territoriali interessate;
come si intenda recuperare il ritardo accumulato nella gestione della crisi della cantieristica nazionale nonostante le sollecitazioni e gli indirizzi del Parlamento;
quali urgenti misure si intendano adottare per consentire un proficuo confronto tra l'impresa, le organizzazioni sindacali e gli enti locali interessati, volto all'individuazione di un realistico piano per aumentare la competitività della produzione italiana, il superamento dei vincoli infrastrutturali e al contempo garantire il mantenimento degli attuali livelli occupazionali, scongiurando l'annunciata chiusura di alcuni stabilimenti, in coerenza con quanto sottoscritto nel dicembre 2009;
quale ruolo rivesta il sistema della cantieristica nazionale negli obiettivi del Governo di rilancio dell'industria italiana.
(2-01094)
«Bersani, Franceschini, Ventura, Lulli, Damiano, Meta, Vico, Tullo, Boccia, Baretta, Garofani, Melandri, Andrea Orlando, Rossa, Zunino, Boffa, Bonavitacola, Bossa, Ciriello, Cuomo, D'Antona, Graziano, Iannuzzi, Mazzarella, Nicolais, Pedoto, Mario Pepe (PD), Piccolo, Picierno, Santagata, Sarubbi, Vaccaro, Dal Moro, Fogliardi, Martella, Miotto, Mogherini Rebesani, Murer, Naccarato, Rubinato, Sbrollini, Tempestini, Federico Testa, Viola, Maran, Rosato, Strizzolo, Agostini, Cavallaro, De Torre, Giovanelli, Merloni, Pistelli, Vannucci, Berretta, Burtone, Capodicasa, Cardinale, Causi, D'Antoni, Genovese, Gozi, Levi, Pierdomenico Martino, Antonino Russo, Samperi, Siragusa».

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
durante il periodo estivo, numerosi comuni delle aree marginali e montane del Friuli Venezia Giulia sono sistematicamente colpiti da controverse «rimodulazioni» dei giorni e degli orari di apertura al pubblico degli sportelli postali, con esiziali conseguenze per i cittadini-utenti, in particolar modo per coloro i quali appartengono alle fasce economicamente e socialmente più fragili, quali: anziani soli e privi di propri mezzi di mobilità, disabili, pensionati con pensione minima;

su tale problematica l'interpellante è intervenuto con due atti di sindacato ispettivo (interrogazioni nn.3/00864 del 22 gennaio 2010 e 3-01093 del 1o giugno 2010);
anche quest'anno (dal 15 giugno al 15 settembre prossimi) si ripresenterà il rischio della chiusura totale o parziale di 50 uffici postali in 42 comuni del Friuli Venezia Giulia (18 nella provincia di Pordenone, 17 in quella di Udine, 4 in provincia di Gorizia e 3 a Trieste), unitamente ad una serie di disservizi già lamentati dai cittadini residenti nei predetti territori nel corso dell'anno;
l'11 maggio 2010, nell'ambito dello svolgimento di interrogazioni alla Camera dei deputati, il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Stefano Saglia, rispondendo sulla legittimità delle sopra menzionate rimodulazioni, garantiva circa l'impegno del proprio dicastero a: «(...) continuare a monitorare il territorio della regione Friuli Venezia Giulia, per assicurarsi che gli utenti possano usufruire della completa funzionalità degli uffici postali e dei servizi di corrispondenza; e per verificare che un servizio così essenziale come quello postale sia erogato nel modo migliore, ed assicurare, così, alla cittadinanza un servizio sempre efficiente e di qualità»;
ad oggi, tale impegno risulta di fatto disatteso -:
quali interventi concreti intenda mettere in atto nei confronti di Poste italiane s.p.a. affinché venga scongiurato il rischio che i 50 uffici postali richiamati in premessa siano interessati da chiusure totali o parziali nel prossimo periodo estivo e affinché sia, comunque, assicurato a tutti i cittadini del Friuli Venezia Giulia il diritto di usufruire del servizio universale postale, con particolare riguardo a quelle zone montane colpite ormai da anni da un irreversibile fenomeno di spopolamento che, proprio per questo, sono fortemente penalizzate.
(2-01100) «Compagnon».

Interrogazione a risposta in Commissione:

RIGONI e FADDA. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'area industriale della provincia di Massa Carrara continua ad essere interessata da una profonda crisi di particolare complessità;
in ragione della peculiare congiuntura economica della provincia di Massa Carrara, è stato recentemente sottoscritto dal Ministero dello sviluppo economico e dalla regione Toscana, un nuovo apposito protocollo propedeutico alla sottoscrizione dell'accordo di programma per lo sviluppo e la reindustrializzazione delle locali aree produttive;
per la provincia di Massa Carrara il Ministero dello sviluppo economico, in attuazione degli impegni assunti, ai sensi del decreto ministeriale del 24 marzo 2010, con il quale è stata introdotta la disciplina di dettaglio della riforma degli interventi di deindustrializzazione, ha dato avvio alla cosiddetta procedura di formale «accertamento della crisi industriale complessa», che si è conclusa con decreto ministeriale del 2 aprile 2011. Tale decreto risulta essere in corso di registrazione presso gli organi di controllo;
in particolare, desta sempre più viva preoccupazione la situazione relativa alla Nuova Cantieri Apuania (NCA) per la quale vengono preclusi definitivamente ipotesi di partnership al di fuori di soluzioni private, e con prospettive produttive definitivamente estranee alla tradizione cantieristica;
la commessa acquisita da NCA relativa alla costruzione di un maxi traghetto per la Rete ferroviaria italiana, per un valore di circa 50 milioni di euro, rischia di divenire l'ultima testimonianza di un'esperienza e una professionalità maturate

in decenni di attività nel settore della navalmeccanica; in questo senso, si rende necessario comprendere in tempi rapidi se le dichiarazioni rilasciate alle maestranze del cantiere dal Ministro Matteoli, relativamente alla acquisizione di una seconda commessa R.F.I., possano trovare effettiva realizzazione;
il presupposto per il perfezionamento del richiamato protocollo e per la corrispondente reindustrializzazione dell'area, è costituito dalla sottoscrizione, entro il prossimo settembre, di uno specifico accordo di programma tra lo Stato, la regione Toscana e le amministrazioni locali interessate, sulla base dell'elaborazione affidata alla società Invitalia;
la ricerca di soluzioni concordate tra tutti i soggetti coinvolti rappresenta il presupposto indispensabile per scongiurare esiti traumatici, sul piano economico, sociale e territoriale;
è di questi giorni la notizia che presso l'amministrazione provinciale di Massa Carrara è stato sottoscritto l'accordo per la concessione della Cassa integrazione guadagni straordinaria per mesi 12 per evento improvviso ed imprevisto, quale strumento di ammortizzatore, con contestuale dichiarazione del management di N.CA dell'apertura di una procedura di mobilità per una previsione di esuberi per 55 unità, su 182 attuali -:
se e per quanto tempo il Governo intenda garantire la continuità di NCA con la presenza di Invitalia nel capitale sociale;
cosa intenda fare il Governo per garantire che la gestione del piano degli esuberi, proposta dal management di NCA, che prevede la messa in mobilità di un terzo dei dipendenti, non sia attuata a prescindere da quanto previsto nel protocollo per lo sviluppo e la reindustrializzazione della provincia di Massa Carrara sottoscritto dal Ministero dello sviluppo economico, dalla regione Toscana e dagli enti locali, in particolare senza che sia presentato un piano industriale per il rilancio produttivo dell'attività dei cantieri;
se trovi conferma il progetto, di cui si fa menzione nelle dichiarazioni rilasciate alle maestranze del cantiere dal Ministro Matteoli, relativamente all'acquisizione di una seconda commessa R.F.I. ed eventualmente quali siano i tempi per la sua effettiva e concreta realizzazione;
a che punto sia la predisposizione dell'accordo di programma previsto dal citato protocollo e quali siano le risorse a tal fine destinate;
quali siano le soluzioni industriali individuate da Invitalia, soggetto attuatore dell'accordo citato, e verso quali settori industriali, diversi dalla navalmeccanica, si stia rivolgendo l'attenzione.
(5-04821)

Interrogazioni a risposta scritta:

SARDELLI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo sulle fonti rinnovabili (n. 28 del 2011) è stato approvato nella seduta del Consiglio dei ministri del 3 marzo 2011, in attuazione della direttiva 2009/28/CE;
tale decreto si inserisce nel quadro della politica energetica europea che punta a ridurre la dipendenza dalle fonti combustibili fossili e le emissioni di CO2, definendo gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi ed il quadro istituzionale, finanziario e giuridico necessari al raggiungimento degli obiettivi fino al 2020 in materia di quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energie e di quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti;
il 5 maggio 2011, il Ministro dello sviluppo economico ha licenziato un decreto volto a regolamentare il cosiddetto quarto conto energia relativo al settore della produzione elettrica dalla fonte solare e fotovoltaica, definendo nuovi schemi di incentivazione e, prioritariamente, nuovi meccanismi di accesso per gli operatori

alle tariffe incentivanti al fine di regolamentare e limitare la spesa massima annua fino al 2016;
il nuovo schema, così delineato, definisce una procedura di accesso alla tariffa incentivante che prevede per i «grandi impianti» l'accesso ad un registro, da istituirsi a cura del GSE;
tale schema di accesso alle tariffe dovrebbe rispondere, per lo più, all'esigenza di controllare il mercato del fotovoltaico, monitorando la crescita dello stesso ed introducendo un meccanismo di riduzione, graduale e rapido, del valore dell'incentivo;
in data 16 maggio 2011, il GSE ha pubblicato le «regole tecniche per l'iscrizione al Registro» pubblicando sul proprio sito informatico un documento che, a parere di molti imprenditori del settore, lascia ampi spazi di interpretazione sul concreto funzionamento dello schema sopra riportato;
tale situazione di incertezza rischia di indebolire ulteriormente un settore che, è utile ricordare, attraversa un momento molto delicato, essendo stato oggetto di modifiche in materia di incentivi;
in particolare, si registra una palese contraddizione tra il decreto del quarto conto energia e le regole tecniche pubblicate dal GSE, con particolare riferimento all'articolo 6, comma 4, del decreto ministeriale, che recita testualmente: «In tutti i casi la tariffa incentivante spettante è quella vigente alla data di entrata in esercizio dell'impianto». Tale previsione era stata evidentemente interpretata come intenzione da parte del Ministero di tutelare i diritti acquisita garanzia di quegli investimenti, in corso d'opera, che non fossero in grado di accedere al registro per esubero di domande. Contrariamente, il GSE ha previsto, nell'articolo 5 delle regole tecniche di recente emanazione, il seguente dispositivo: «Si sottolinea che la tariffa incentivante spettante agli impianti è quella vigente alla data di entrata in esercizio dell'impianto, purché l'impianto stesso sia stato iscritto nel registro in posizione tale da rientrare nei limiti specifici di costo del periodo di riferimento. Ai grandi impianti, entrati comunque in esercizio dal 31 agosto 2011 al 31 dicembre 2012, senza essere iscritti nel registro in posizione tale da rientrare nei limiti specifici di costo del periodo di riferimento, per i quali i Soggetti Responsabili chiederanno l'ammissione agli incentivi a partire dal 2013, sarà attribuita una data convenzionale di entrata in esercizio per la determinazione della spettante tariffa, coincidente con il primo giorno del semestre nel quale viene effettuata la richiesta al GSE successivamente al primo gennaio 2013. Rimane valido l'obbligo della comunicazione al GSE della richiesta di incentivazione entro 15 giorni dalla suddetta data convenzionalmente individuata», che determina l'impossibilità reale per chi non dovesse accedere al registro di poter completare il proprio investimento;
tale previsione del GSE, sembrerebbe essere in netto contrasto con il dettato normativo sopramenzionato e, soprattutto, ad avviso dell'interrogante, andrebbe a ledere in maniera definitiva un settore importante del nostro comparto produttivo;
allo stesso tempo appare non chiara l'applicabilità dell'articolo 12 comma 5, che recita: «Ai fini dell'attribuzione delle tariffe incentivanti, più impianti fotovoltaici realizzati dal medesimo soggetto responsabile o riconducibili a un unico soggetto responsabile e localizzati nella medesima particella catastale o su particelle catastali contigue si intendono come unico impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti. Entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, il GSE definisce e pubblica ulteriori requisiti e regole tecniche volti ad evitare il frazionamento di un impianto in più impianti di ridotta potenza»;
tale previsione, infatti, considerate la sua non chiara portata e l'incertezza della data in cui verranno pubblicati gli ulteriori

requisiti tecnici, pone gli operatori che ricadono o potrebbero ricadere nei limiti di intervento del dispositivo summenzionato nell'impossibilità di iscriversi al registro -:
se non si ritenga opportuno confermare con urgenza quanto riportato nel decreto a tutela di tutti quegli operatori che investendo con mezzi propri hanno la necessità di vedere assicurata la certezza della tariffa a cui saranno assoggettati, a partire esclusivamente dalla data di entrata in esercizio degli impianti, mentre si potrà determinare la sottoscrizione della cosiddetta convenzione con il GSE alla data di iscrizione al primo registro utile, preservando in tal modo il controllo di spesa e garantendo la certezza degli investimenti;
se non si ritenga opportuno assumere iniziative per una modifica dei termini di registrazione per gli impianti ricadenti nell'articolo 13, comma 5, al fine di garantire una totale par condicio a tutti gli operatori in corso di registrazione;
se non si ritenga, infine, necessario intervenire con tempestività al fine di evitare interventi lesivi del settore in questione.
(4-12115)

MANNINO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'andamento congiunturale dell'economia italiana sta producendo effetti negativi sul mantenimento del livello occupazionale di chi è già impiegato e sulle prospettive di nuova occupazione;
il decreto-legge n. 415 del 1992, conferito, con modificazioni, della legge n. 488 del 1992, che dà incentivi alle imprese che intendono promuovere programmi di investimento nelle aree depresse, e le relative disposizioni attuative prevedono dei termini di scadenza entro i quali le aziende che hanno beneficiato della legge suddetta devono adempiere alla verifica del parametro relativo al carico occupazionale;
è già oltremodo difficile che le imprese in questione riescano a stare sul mercato, sia per la crisi economica, sia per il fatto che è in corso un processo di delocalizzazione che sta inducendo molte impresse italiane a trasferirsi in altri Paesi del Mediterraneo più allettanti, in ragione dei bassi costi di produzione e dei costi competitivi dell'energia e della forza lavoro;
ciò è ancora più accentuato per quanto riguarda le realtà produttive del Mezzogiorno d'Italia -:
se non ritenga il Ministro di adottare le necessarie iniziative normative che portino ad uno stabilimento della scadenza prevista dalla legge sopra menzionata.
(4-12119)

...

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

La risoluzione in Commissione Bernardo e altri n. 7-00590, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 maggio 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bertolini.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Pes n. 4-12061, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 maggio 2011 deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Calvisi, Fadda, Marrocu, Melis, Arturo Mario Luigi Parisi, Schirru, Soro.

L'interrogazione a risposta scritta De Poli n. 4-12074, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 maggio 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Delfino.

Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Pes n. 4-12061, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 478 del 25 maggio 2011.

PES. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
si è appreso dalla stampa (articolo pubblicato il 19 maggio 2011 dal quotidiano La Stampa «Occupazioni selvagge, presidi con bandiere, assalti per fermare le ruspe (...) nel centro e sud Italia divampa la protesta di cittadini, sindaci e ambientalisti per bloccare i "radar della discordia") che si stanno verificando in molte aree del Centro e del Sud del Paese proteste popolari aventi lo scopo di bloccare la realizzazione di una potente rete di sensori radar «anti-scafisti» in alcuni degli angoli incontaminati delle più belle coste italiane;
nel mirino sarebbero finite la Sardegna (Capo Pecora a Fluminimaggiore, Capo Sperone a Sant'Antioco, Punta Foghe a Tresnuraghes e Capo Argentiera nel comune di Sassari), la Puglia (Santa Maria di Leuca), la Sicilia (Capo Murro di Porco a Siracusa), la Calabria e la Liguria;
l'installazione avverrebbe per conto della Guardia di finanza, anche per il tramite del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da parte della società romana Almaviva (già Finsiel) ed i radar (nome in codice EI/M-2226) sarebbero di produzione israeliana (Elta System, controllata dalla compagnia statale Aerospace Industries);
lo scopo dell'intervento sarebbe quello di prevenire l'immigrazione clandestina, il traffico di droga, gli attacchi terroristici, il contrabbando e la pesca illegale; questi radar a micro-onde infatti riuscirebbero a monitorare la superficie del mare a una distanza di 30-40 miglia e ad individuare natanti anche di piccola dimensione;
particolarmente pesante sembrerebbe l'intervento che si sta profilando in Sardegna, dove i siti individuati per la posa dei tralicci e delle parabole sono alcuni dei punti più suggestivi dell'intera costa occidentale: Capo Pecora a Fluminimaggiore, Capo Sperone a Sant'Antioco, Punta Foghe a Tresnuraghes e Capo Argentiera nel comune di Sassari;
in particolare, nel sito di Tresnuraghes (territorio classificato come zona di protezione speciale e come tale sottoposto a rigidi vincoli di natura ambientale per consentire il ripopolamento della fauna selvatica) i lavori sarebbero stati autorizzati dalla regione Sardegna «in deroga» alle norme di tutela;
l'installazione dei radar potrebbe comportare rischi per la salute dei cittadini, oltre che creare delle servitù militari permanenti e aggiuntive che in Sardegna, in particolare, andrebbero ad aggiungersi alle servitù militari già esistenti, le quali hanno prodotto una situazione di profondo squilibrio nella loro distribuzione sul territorio nazionale;
assolutamente insufficienti appaiono al riguardo le rassicurazioni del direttore generale di Almaviva, dottor Antonio Amati, secondo il quale «i radar verranno installati su colline, lontane 300 metri dalle coste seguendo le procedure senza imboccare scorciatoie militari. E le emissioni elettromagnetiche saranno inferiori a quelle delle antenne dei telefonini»;
appare viceversa più attuale il rischio che si crei uno «scempio ambientale, urbanistico e paesaggistico», come denunciato pubblicamente, tra gli altri, da Legambiente Sardegna, che ha chiesto su questi temi l'immediato avvio di un confronto a livello nazionale;
appaiono poco chiare le motivazioni che portano le amministrazioni procedenti a non considerare gli interventi di installazione

opere militari e a non ritenere necessaria l'adozione del decreto dichiarativo di tale natura delle opere da parte del Ministero della difesa;
l'articolo 354 del codice dell'ordinamento militare confermerebbe, per le «opere destinate alla difesa nazionale, incidenti su immobili o aree sottoposte a tutela paesaggistica», l'applicazione della procedura di cui all'articolo 147 del cosiddetto codice Urbani (decreto legislativo n. 42 del 2004) e dunque la necessità che sia rilasciata l'autorizzazione paesaggistica a seguito di una specifica conferenza di servizi;
per la localizzazione delle opere militari, è previsto il pronunciamento di uno specifico comitato permanente misto paritetico Stato-regioni -:
se siano state valutate tutte le alternative di localizzazione dei radar al fine di utilizzare siti militari già esistenti, sicuramente nella disponibilità di enti anche diversi dalla Guardia di finanza, e quale autorità competente abbia assunto la responsabilità di procedere al coordinamento delle risorse, dei siti e degli impianti disponibili per ospitare le nuove installazioni;
quali siano, in ragione delle esigenze di trasparenza, le procedure di assegnazione dell'appalto alla società Almaviva;
quale sia l'iter amministrativo che ha condotto al rilascio delle autorizzazioni ad installare questi radar in zone incontaminate delle coste italiane, e in particolare se siano stati acquisiti i nulla osta ambientali e paesaggistici necessari;
se, e con quale decreto, siano state riconosciute tali strutture «opere di difesa militare»;
se vi siano altri siti interessati oltre quelli in precedenza ricordati;
se non ritengano improcrastinabile adoperarsi per tutelare le aree interessate dalle installazioni, tra cui alcune vincolate ai sensi della normativa europea, statale e regionale, per l'elevato valore ambientale, faunistico e paesaggistico;
se non ritengano opportuno avviare un monitoraggio in modo che sia garantita l'assenza di pericolo di inquinamento elettromagnetico per le popolazioni residenti nelle zone interessate;
se non intendano immediatamente avviare, nel rispetto del principio di trasparenza e leale collaborazione tra Stato, regioni ed enti locali, un confronto aperto sulla localizzazione di tali installazioni. (4-12061)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta scritta Pezzotta n. 4-11104 del 2 marzo 2011;
interrogazione a risposta in Commissione Cenni n. 5-04491 del 30 marzo 2011;
interrogazione a risposta in Commissione Contento n. 5-04527 del 5 aprile 2011;
interrogazione a risposta in Commissione Rubinato n. 5-04799 del 25 maggio 2011.

Ritiro di una firma da una risoluzione in Commissione.

Risoluzione in Commissione Gottardo e altri n. 7-00555, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 aprile 2011: è stata ritirata la firma del deputato Rosso.

Cambio di presentatore di risoluzione in Commissione.

Risoluzione in Commissione n. 7-00555, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della

seduta del 7 aprile 2011, è da intendersi presentata dall'onorevole Gottardo già cofirmatario della stessa.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Mazzuca e Cazzola n. 4-11510 del 6 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04827.

...

ERRATA CORRIGE

Interrogazione a risposta in Commissione Zamparutti e altri n. 5-04794 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 476 del 23 maggio 2011:
alla pagina 21957, prima colonna, dalla riga trentaquattresima alla riga trentaseiesima, deve leggersi: «l'INAIL con la circolare della direzione centrale prestazioni - ufficio I, protocollo n. 7187/bis Roma del 28 novembre» e non «l'INPS con la circolare della direzione centrale prestazioni - ufficio I, protocollo n. 7187/bis Roma del 28 novembre», come stampato;
alla pagina 21957, seconda colonna, alla quarta riga, deve leggersi; «l'INAIL ha stabilito che con riguardo al dies», e non «l'INPS ha stabilito che con riguardo al dies», come stampato;
alla pagina 21958, prima colonna, dalla riga ventiduesima alla riga ventitreesima, deve leggersi: «pieno rispetto delle sentenze e della circolare INAIL citate in premessa e siano», e non «pieno rispetto delle sentenze e della circolare INPS citate in premessa e siano», come stampato.