XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 11 aprile 2011

TESTO AGGIORNATO AL 3 MAGGIO 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
secondo quanto emerge dal settimo rapporto sulle carceri, presentato il 22 ottobre 2010 dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti negli istituti di pena in Italia, i detenuti hanno raggiunto una quota pari a 68.527, ben quasi 24 mila in più rispetto alla capienza regolamentare (stimata in 44.612 posti letto) e oltre anche la cosiddetta capienza tollerabile, l'indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria;
una situazione questa che definire «allarmante» è quasi riduttivo: alcuni tra gli istituti penitenziari più affollati d'Italia, precisamente quelli di Padova, Roma Rebibbia femminile, Sulmona, Roma Regina Coeli, Fermo, Perugia Capanne, Como, Firenze Sollicciano, Milano San Vittore, Napoli Poggioreale, Novara, Bologna, Gorizia, Trieste e Pistoia sono risultati fuorilegge, in base ad alcuni indicatori (numero dei detenuti presenti, metri quadri a disposizione per carcerato, condizioni igieniche ed ambientali, numero di ore trascorse al di fuori della cella), normalmente utilizzati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per valutare la sussistenza di un trattamento inumano e degradante causato da sovraffollamento;
il 43,7 per cento delle persone oggi detenute nel nostro Paese - sottolinea il rapporto - è composto da imputati: si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa «un'anomalia tutta italiana»;
nel febbraio 2009 il Ministro della giustizia aveva annunciato il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali, che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento;
a distanza di un anno, il 13 gennaio 2010, il Governo proclamava lo «stato d'emergenza» nelle carceri italiane, stanziando fondi per ricavare nuovi spazi dietro le sbarre;
qualche mese dopo, anche in relazione all'esiguità delle risorse stanziate (in parte anche a detrimento dei fondi raccolti dalla Cassa delle ammende tra i detenuti per il loro reinserimento), il piano è stato ridotto a meno di 10.000 posti detentivi da realizzare entro il 2012;
anche se il Ministro della giustizia sostiene che nel corso degli ultimi anni sono stati realizzati 2.000 posti detentivi, ad oggi nessun effetto del piano carceri si è prodotto; non si sa se quei 2.000 posti già realizzati siano parte del piano o di ampliamenti e ristrutturazioni già programmati da tempo, né se siano effettivamente operativi grazie alla disponibilità del personale necessario;
sempre nel gennaio 2010 il Ministro della giustizia Alfano prometteva l'imminente entrata in servizio di altri duemila agenti. A luglio 2010 ribadiva l'impegno assunto, abbassando i reclutamenti «in prima battuta» a mille: sono trascorsi altri nove mesi e ancora si attende l'ingresso dei nuovi poliziotti penitenziari;
se il trend prima descritto dovesse continuare, a fine anno la popolazione carceraria raggiungerebbe quota 70 mila detenuti, per aumentare ancora nel 2012, a fronte di un vertiginoso calo di agenti già da otto anni, stando alla denuncia delle organizzazioni sindacali della polizia carceraria;
la polizia penitenziaria soffre, infatti, di paurose carenze. Nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva un numero di 42.268, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i carcerati, come sopra anticipato, sono diventati più di 68.000 e l'organico amministrato raggiunge 37.348 unità (vi è un poliziotto ogni due detenuti, sommando quelli in esecuzione interna e quelli in affidamento e semilibertà). Da

queste cifre bisogna sottrarre il personale non in servizio attivo, ossia 3.109 unità, a causa di malattia, aspettativa, motivi di salute o prepensionamento;
con questi numeri, ovviamente pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio agli uffici;
anche il Sottosegretario per la giustizia Alberti Casellati, nel ribadire l'importanza del ruolo degli agenti penitenziari, ha affermato che: «Il carcere è una primaria esigenza di ciascuna società e bisogna rivolgere particolare attenzione al ruolo della polizia all'interno della casa circondariale, una risorsa primaria e strategica per il reintegro del detenuto e del suo diritto alla tutela della salute»;
in una circolare del 6 luglio 2009, avente per oggetto la «tutela della salute e della vita delle persone detenute», il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria ha fortemente raccomandato ai provveditori regionali di offrire ai reclusi più colloqui e maggiori occasioni di intrattenimento, di aumentare le ore d'aria, di tenere aperte le porte delle celle e di non far mancare l'acqua;
in molti istituti sono state rilevate e segnalate carenze al riguardo, ma risulta inaccettabile, soprattutto, la differenza che si registra tra aree diverse del Paese. In Sicilia e Sardegna, regioni a statuto speciale dove la sanità penitenziaria non è ancora passata in carico alle aziende sanitarie locali regionali, la situazione appare più grave;
anche le drammatiche condizioni di salute degli agenti e la stessa sicurezza degli istituti non possono essere ignorate dal Ministero della giustizia e dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. L'istituto femminile di Rebibbia (dove è addirittura iniziato lo sciopero della fame e del sonno da parte delle agenti di polizia penitenziaria che continuano, nonostante tutto, a garantire i turni di lavoro, nel rispetto dei diritti delle detenute), sul punto di esplodere a causa del sovraffollamento (368 detenute, a fronte di una capienza regolamentare prevista di 274 posti) e della gravissima carenza di personale, ben rappresenta la punta dell'iceberg della crisi dell'intero sistema carcerario nazionale;
non servono soluzioni tampone ma sono necessari interventi di sistema, per risolvere una volta per tutte le emergenze: è ora di tradurre nei fatti le dichiarazioni di intenti, di fronte agli enormi rischi della protesta in atto va garantito subito lo stanziamento di nuovo personale per consentire il normale funzionamento delle strutture e condizioni dignitose agli operatori del settore;
neanche la salute dei minori viene tutelata come si dovrebbe in tutti i 19 istituti penali minorili, in cui vive un piccolo esercito di 426 ragazzi fra i 14 e 18 anni. Due detenuti su tre sono in attesa di giudizio, il resto invece sta scontando la pena. La maggior parte sono stranieri, spesso rom. Ma ci sono anche ragazzini italiani, per lo più provenienti dalle periferie delle città del Sud;
non sono i numeri ad allarmare, ma un sistema che non è a misura di minore. Se la detenzione è diventata davvero l'estrema ratio dopo la riforma del codice di procedura penale minorile del 1988, gli istituti penali minorili sono «contenitori di marginalità sociale», rivela «Ragazzi dentro», il primo rapporto sulle carceri minorili presentato il 24 marzo 2011 da Antigone;
il problema non riguarda solo le strutture perennemente con «lavori in corso», ma anche la gestione generale del minore detenuto. Problemi ci sono, ad esempio, nei trasferimenti dei ragazzi in istituti spesso lontanissimi dal loro luogo di origine, con conseguenti difficoltà nel mantenere rapporti con le famiglie;
le cifre fornite rappresentano il segno di una crisi che l'annunciato impegno del Governo non è riuscito a scalfire, lasciando i detenuti italiani in condizioni

di vivibilità al limite della sopportazione. In questa situazione il confine fra pressioni, mancata tutela e induzioni a gesti estremi diventa labilissimo;
infatti, di carcere si può anche morire: un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca «Ristretti orizzonti» del carcere di Padova. Complessivamente, i suicidi nelle carceri sono stati 72 nel 2009, mentre 55 detenuti si sono tolti la vita nei primi nove mesi del 2010;
come se non bastasse, da circa due anni i detenuti sono in sostanza privi di assistenza psicologica: le persone che lavorano in tutte le 206 carceri italiane sono in grado di offrire soltanto tre ore di trattamento annuo, compreso il tempo per la lettura dei fascicoli e le riunioni. La pianta organica ministeriale prevede 1.331 educatori e 1.507 assistenti sociali. In servizio al 1o settembre 2010 risultavano 1.031 educatori e 1.105 assistenti sociali, ossia circa un operatore ogni sessanta detenuti;
quanto descritto esprime, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, la contraddizione di una politica forte con i deboli e debole con i forti, che introduce nuovi reati e immette nel circuito giudiziario e carcerario un gran numero di nuovi detenuti, specie immigrati;
quanto denunciato costituisce, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32, che tutela la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», e dell'articolo 27, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
in una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle condizioni di sovraffollamento sopra descritte;
infatti, secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di mille euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002;
la Camera dei deputati aveva già approvato, nella seduta del 12 gennaio 2010, una mozione volta, tra l'altro, ad impegnare il Governo ad istituire un organo di monitoraggio indipendente di controllo sui luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura, in corso di ratifica, ed a stipulare accordi internazionali volti a consentire l'esecuzione della pena presso i Paesi di provenienza dei condannati stranieri,


impegna il Governo:


ad adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso iniziative volte alla riduzione dei tempi di custodia cautelare, alla rivalutazione delle misure alternative al carcere, alla riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità, nonché all'attuazione immediata del piano carceri, presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con l'indicazione delle reali coperture finanziarie;
a garantire le risorse necessarie per una dotazione di polizia giudiziaria adeguata a gestire una situazione a dir poco «esplosiva»;
ad adottare iniziative normative per un ordinamento penitenziario specifico per i minori, essendo questa una riforma

ormai improrogabile, sollecitata più volte anche dalla stessa Corte costituzionale;
a promuovere, per quanto di competenza, l'assunzione di un congruo numero di psicologi, indispensabili per la vita dei reclusi;
ad accelerare, anche alla luce degli eventi più recenti, la stipula di eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi d'appartenenza.
(1-00614)
«Rao, Ria, Galletti, Ciccanti, Compagnon, Naro, Volontè, Occhiuto, Binetti, Capitanio Santolini, De Poli, Anna Teresa Formisano, Libè, Mantini, Tassone, Nunzio Francesco Testa».

NUOVA FORMULAZIONE

La Camera,
premesso che:
secondo quanto emerge dal settimo rapporto sulle carceri, presentato il 22 ottobre 2010 dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti negli istituti di pena in Italia, i detenuti hanno raggiunto una quota pari a 68.527, ben quasi 24 mila in più rispetto alla capienza regolamentare (stimata in 44.612 posti letto) e oltre anche la cosiddetta capienza tollerabile, l'indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria;
una situazione questa che definire «allarmante», è quasi riduttivo: alcuni tra gli istituti penitenziari più affollati d'Italia, precisamente quelli di Padova, Roma Rebibbia femminile, Sulmona, Roma Regina Coeli, Fermo, Perugia Capanne, Como, Firenze Sollicciano, Milano San Vittore, Napoli Poggioreale, Novara, Bologna, Gorizia, Trieste e Pistoia sono risultati fuorilegge, in base ad alcuni indicatori (numero dei detenuti presenti, metri quadri a disposizione per carcerato, condizioni igieniche ed ambientali, numero di ore trascorse al di fuori della cella), normalmente utilizzati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per valutare la sussistenza di un trattamento inumano e degradante causato da sovraffollamento;
il 43,7 per cento delle persone oggi detenute nel nostro Paese - sottolinea il rapporto - è composto da imputati: si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa «un'anomalia tutta italiana»;
nel febbraio 2009 il Ministro della giustizia aveva annunciato il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali, che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento;
a distanza di un anno, il 13 gennaio 2010, il Governo proclamava lo «stato d'emergenza», nelle carceri italiane, stanziando fondi per ricavare nuovi spazi dietro le sbarre;
qualche mese dopo, anche in relazione all'esiguità delle risorse stanziate (in parte anche a detrimento dei fondi raccolti dalla Cassa delle ammende tra i detenuti per il loro reinserimento), il piano è stato ridotto a meno di 10.000 posti detentivi da realizzare entro il 2012;
anche se il Ministro della giustizia sostiene che nel corso degli ultimi anni sono stati realizzati 2.000 posti detentivi, ad oggi nessun effetto del piano carceri si è prodotto; non si sa se quei 2.000 posti già realizzati siano parte del piano o di ampliamenti e ristrutturazioni già programmati da tempo, né se siano effettivamente operativi grazie alla disponibilità del personale necessario;
sempre nel gennaio 2010 il Ministro della giustizia Alfano prometteva l'imminente entrata in servizio di altri duemila agenti. A luglio 2010 ribadiva l'impegno assunto, abbassando i reclutamenti «in prima battuta», a mille: sono trascorsi altri nove mesi e ancora si attende l'ingresso dei nuovi poliziotti penitenziari;
se il trend prima descritto dovesse continuare, a fine anno la popolazione carceraria raggiungerebbe quota 70 mila detenuti, per aumentare ancora nel 2012, a fronte di un vertiginoso calo di agenti già da otto anni, stando alla denuncia delle organizzazioni sindacali della polizia carceraria;
la polizia penitenziaria soffre, infatti, di paurose carenze. Nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva un numero di 42.268, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i carcerati, come sopra anticipato, sono diventati più di 68.000 e l'organico amministrato raggiunge 37.348 unità (vi è un poliziotto ogni due detenuti, sommando quelli in esecuzione interna e quelli in affidamento e semilibertà). Da queste cifre bisogna sottrarre il personale non in servizio attivo, ossia 3.109 unità, a causa di malattia, aspettativa, motivi di salute o prepensionamento;
con questi numeri, ovviamente pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio agli uffici;
anche il Sottosegretario per la giustizia Alberti Casellati, nel ribadire l'importanza del ruolo degli agenti penitenziari, ha affermato che: «il carcere è una primaria esigenza di ciascuna società e bisogna rivolgere particolare attenzione al ruolo della polizia all'interno della casa circondariale, una risorsa primaria e strategica per il reintegro del detenuto e del suo diritto alla tutela della salute»;
in una circolare del 6 luglio 2009, avente per oggetto la «tutela della salute e della vita delle persone detenute», il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria ha fortemente raccomandato ai provveditori regionali di offrire ai reclusi più colloqui e maggiori occasioni di intrattenimento, di aumentare le ore d'aria, di tenere aperte le porte delle celle e di non far mancare l'acqua;
in molti istituti sono state rilevate e segnalate carenze al riguardo, ma risulta inaccettabile, soprattutto, la differenza che si registra tra aree diverse del Paese. In Sicilia e Sardegna, regioni a statuto speciale dove la sanità penitenziaria non è ancora passata in carico alle aziende sanitarie locali regionali, la situazione appare più grave;
anche le drammatiche condizioni di salute degli agenti e la stessa sicurezza degli istituti non possono essere ignorate dal Ministero della giustizia e dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. L'istituto femminile di Rebibbia (dove è addirittura iniziato lo sciopero della fame e del sonno da parte delle agenti di polizia penitenziaria che continuano, nonostante tutto, a garantire i turni di lavoro, nel rispetto dei diritti delle detenute), sul punto di esplodere a causa del sovraffollamento (368 detenute, a fronte di una capienza regolamentare prevista di 274 posti) e della gravissima carenza di personale, ben rappresenta la punta dell'iceberg della crisi dell'intero sistema carcerario nazionale;
non servono soluzioni tampone ma sono necessari interventi di sistema, per risolvere una volta per tutte le emergenze: è ora di tradurre nei fatti le dichiarazioni di intenti, di fronte agli enormi rischi della protesta in atto va garantito subito lo stanziamento di nuovo personale per consentire il normale funzionamento delle strutture e condizioni dignitose agli operatori del settore;
neanche la salute dei minori viene tutelata come si dovrebbe in tutti i 19 istituti penali minorili, in cui vive un piccolo esercito di 426 ragazzi fra i 14 e 18 anni. Due detenuti su tre sono in attesa di giudizio, il resto invece sta scontando la pena. La maggior parte sono stranieri, spesso rom. Ma ci sono anche ragazzini italiani, per lo più provenienti dalle periferie delle città del Sud;
non sono i numeri ad allarmare, ma un sistema che non è a misura di minore. Se la detenzione è diventata davvero l'estrema ratio dopo la riforma del codice di procedura penale minorile del 1988, gli istituti penali minorili sono «contenitori di marginalità sociale», rivela «Ragazzi dentro», il primo rapporto sulle carceri minorili presentato il 24 marzo 2011 da Antigone;
il problema non riguarda solo le strutture perennemente con «lavori in corso», ma anche la gestione generale del minore detenuto. Problemi ci sono, ad esempio, nei trasferimenti dei ragazzi in istituti spesso lontanissimi dal loro luogo di origine, con conseguenti difficoltà nel mantenere rapporti con le famiglie;
le cifre fornite rappresentano il segno di una crisi che l'annunciato impegno del Governo non è riuscito a scalfire, lasciando i detenuti italiani in condizioni di vivibilità al limite della sopportazione. In questa situazione il confine fra pressioni, mancata tutela e induzioni a gesti estremi diventa labilissimo;
infatti, di carcere si può anche morire: un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca «Ristretti orizzonti», del carcere di Padova. Complessivamente, i suicidi nelle carceri sono stati 72 nel 2009, mentre 55 detenuti si sono tolti la vita nei primi nove mesi del 2010;
come se non bastasse, da circa due anni i detenuti sono in sostanza privi di assistenza psicologica: le persone che lavorano in tutte le 206 carceri italiane sono in grado di offrire soltanto tre ore di trattamento annuo, compreso il tempo per la lettura dei fascicoli e le riunioni. La pianta organica ministeriale prevede 1.331 educatori e 1.507 assistenti sociali. In servizio al 1o settembre 2010 risultavano 1.031 educatori e 1.105 assistenti sociali, ossia circa un operatore ogni sessanta detenuti;
quanto descritto esprime, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, la contraddizione di una politica forte con i deboli e debole con i forti, che introduce nuovi reati e immette nel circuito giudiziario e carcerario un gran numero di nuovi detenuti, specie immigrati;
quanto denunciato costituisce, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32, che tutela la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività» e dell'articolo 27, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
in una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle condizioni di sovraffollamento sopra descritte;
infatti, secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di mille euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002;
la Camera dei deputati aveva già approvato, nella seduta del 12 gennaio 2010, una mozione volta, tra l'altro, ad impegnare il Governo ad istituire un organo di monitoraggio indipendente di controllo sui luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura, in corso di ratifica, ed a stipulare accordi internazionali volti a consentire l'esecuzione della pena presso i Paesi di provenienza dei condannati stranieri,


impegna il Governo:


ad adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso iniziative volte alla riduzione dei tempi di custodia cautelare, alla rivalutazione delle misure alternative al carcere, alla riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità, nonché all'attuazione immediata del piano carceri, presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con l'indicazione delle reali coperture finanziarie;
ad assicurare risorse idonee a conseguire un adeguamento dell'attuale pianta organica del personale di polizia penitenziaria al fine di affrontare la situazione emergenziale di cui in premessa;
ad adottare iniziative normative per un ordinamento penitenziario specifico per i minori, essendo questa una riforma ormai improrogabile, sollecitata più volte anche dalla stessa Corte costituzionale;
a promuovere, per quanto di competenza, la dotazione di strutture e personale idonei ad assicurare un'adeguata assistenza psicologica ai reclusi;
ad accelerare, anche alla luce degli eventi più recenti, la stipula di eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi d'appartenenza.
(1-00614)
(Nuova formulazione) «Rao, Ria, Galletti, Ciccanti, Compagnon, Naro, Volontè, Occhiuto, Binetti, Capitanio Santolini, De Poli, Anna Teresa Formisano, Libè, Mantini, Tassone, Nunzio Francesco Testa, Delfino».

La Camera,
premesso che:
nel nostro stato sociale di diritto, dove la persona assurge a ruolo centrale, la pena cessa di avere un'impronta autoritaria di conformazione delle condotte e diventa uno degli strumenti per la rieducazione del reo, che aspira al recupero del cittadino dopo un percorso trattamentale. Il carcere si pone, quindi, come esperienza provvisoria che prelude al rientro nella società;
in questo contesto si inserivano le misure alternative alla detenzione introdotte con la «legge Gozzini» nel 1986 e con la «legge Simeone-Saraceni» nel 1998 e che vengono applicate successivamente alla condanna dal magistrato di sorveglianza. La ratio è quella di favorire un reinserimento sociale nella fase conclusiva di una pena lunga o di sostituire pene detentive brevi, mediante un approccio di ricucitura graduale e controllata con la società civile;
è noto che l'attuale condizione delle carceri italiane contraddice radicalmente l'intento delineato nella Carta fondamentale. Le condizioni di sovraffollamento sono oramai un dato notorio e con esse la politica, la società civile, la magistratura, ma soprattutto i detenuti si trovano a convivere ogni giorno in modo drammatico. Tra i molti sintomi di disagio, non si può non segnalare che il tasso di suicidi riscontrabile in carcere è di gran lunga superiore a quello registrato tra tutta la popolazione residente in Italia;
se le carceri italiane sono così giunte in una situazione che è non più tollerabile, bisogna chiedersi perché. Vi è stata da vari anni una contrazione nell'ambito delle politiche di sicurezza della possibilità di utilizzo delle cosiddette misure alternative: sono costanti l'elaborazione di nuove figure di reato, utili a rispondere a vere o presunte emergenze, l'introduzione di ipotesi di custodia cautelare obbligatoria, l'innalzamento delle pene per reati di non particolare allarme sociale o riconnessi ad una mera condizione di irregolarità sul territorio nazionale operata al solo e dichiarato fine di consentire l'applicazione della custodia cautelare in carcere. Il caso emblematico è la «legge ex Cirielli» n. 251 del 2005, che ha accorciato i tempi di prescrizione per alcuni reati e ha introdotto limiti alla concessione delle misure premiali ai recidivi reiterati, categoria che ricomprende in sé anche reati per fatti di scarso allarme sociale e magari per fatti distanti decenni nel tempo;
già l'11 e il 12 gennaio del 2010, con la discussione sulla mozione Franceschini 1/00302 e sulle altre mozioni abbinate, la Camera dei deputati si è occupata della situazione carceraria: il Governo, ad oggi, deve ancora dare attuazione a molti degli impegni assunti con l'approvazione di quella mozione Franceschini e delle altre mozioni abbinate;
nelle comunicazioni sull'amministrazione della giustizia del gennaio 2010, il Ministro della giustizia aveva affermato di aver chiesto la deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello stato di emergenza per tutto l'anno 2010, al fine di «provvedere ad interventi strutturali di medio e lungo periodo, che consentano di rispettare il precetto dell'articolo 7 della

Costituzione, secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tale stato di emergenza è stato ulteriormente prorogato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 gennaio 2011 (comunicato n. 121 della Presidenza del Consiglio dei ministri). Dal suddetto stato di emergenza derivano, secondo quanto dichiarato dal Ministro nel mese di gennaio 2010 tre «pilastri» fondamentali: il primo riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di 47 nuovi padiglioni e successivamente di otto nuovi istituti, che aumenterebbero di 21.709 unità i posti, arrivando ad un totale di 80 mila, per la cui realizzazione sono stati stanziati 500 milioni di euro nella legge finanziaria per il 2010 e 100 milioni del bilancio della giustizia; il secondo riguarda gli interventi normativi che introdurrebbero misure deflattive, prevedendo la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare un anno di pena residua e la messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni; il terzo, infine, prevede l'assunzione di 2.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria;
per quanto riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria, allo stato attuale, nonostante le ripetute richieste formalizzate in Commissione giustizia, né il Ministro della giustizia, né il Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria hanno mai fornito, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, risposte specifiche alla richiesta di illustrazione dei dettagli delle linee portanti, programmatiche e di attuazione del piano di interventi; dell'assunzione dei 2.000 agenti di polizia carceraria non vi è traccia; dal punto di vista normativo, vi è stata solo l'approvazione della legge 26 novembre 2010, n. 199, «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», che ha potuto concludere il suo iter parlamentare grazie al forte senso di responsabilità e al concreto contributo del gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia, ma che, comunque, si pone come intervento emergenziale, addirittura temporaneo, e sicuramente non risolutore dell'angosciante problema del sovraffollamento carcerario e della certezza della pena;
la presente mozione si rende necessaria per dare un nuovo forte indirizzo alla «politica carceraria» del Governo,


impegna il Governo:


a ripensare il modello unico di istituto penitenziario attuale, posto che i detenuti per i quali si esige un elevato regime di sicurezza non raggiungono le 10 mila unità, mentre per gli altri detenuti, anche quelli di media sicurezza, la permanenza in cella come situazione normale di vita quotidiana ha come unico risultato l'abbrutimento della persona umana;
a reperire le risorse finanziarie per adeguare le piante organiche del personale di polizia penitenziaria, nonché del personale civile del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia (educatori, assistenti sociali, psicologi), avviando un nuovo piano di assunzioni che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie e che sia in grado di supportare l'auspicata riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione;
a promuovere la modifica del comma 1-bis dell'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario (modifica introdotta dalla legge cosiddetta ex-Cirielli), che preclude ai condannati recidivi reiterati l'accesso alla detenzione domiciliare negli ultimi due anni di pena, tenendo conto che è opportuno che l'effettiva pericolosità dei condannati possa essere rimessa alla valutazione della magistratura di sorveglianza senza irragionevoli preclusioni, nonché a rafforzare le piante organiche degli uffici di sorveglianza e a favorire, nell'ambito di una corretta collaborazione istituzionale, l'elaborazione di linee guida o di protocolli operativi utili a rendere

chiara la legittimità di alcuni criteri di priorità nell'azione della magistratura di sorveglianza (così da consentire di gestire con intelligenza il flusso di ingressi in carcere);
ad effettuare un monitoraggio relativamente allo stato di applicazione, nonché agli effetti e ai risultati della legge 26 novembre 2010, n. 199, «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», valutando anche di procedere in collaborazione con il Consiglio superiore della magistratura e con il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, comunicandolo alle Camere, anche al fine di verificare la possibilità che la norma di cui all'articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, abbia una validità non limitata nel tempo e che, quindi, la sua efficacia vada oltre il 31 dicembre 2013;
ad informare tempestivamente il Parlamento in merito allo stato di attuazione del piano carceri relativamente agli interventi di edilizia penitenziaria, per i quali il commissario straordinario, in base agli articoli 17-ter e 17-quater del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010, può procedere in deroga alle ordinarie competenze;
ad affrontare, con urgenza e decisione, le cause dell'elevato numero di morti e di suicidi in carcere ed i fenomeni di autolesionismo e di violenza in genere.
(1-00615)
«Ferranti, Amici, Tidei, Melis, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Andrea Orlando, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Touadi, Rampi, Codurelli».

NUOVA FORMULAZIONE

La Camera,
premesso che:
nel nostro stato sociale di diritto, dove la persona assurge a ruolo centrale, la pena cessa di avere un'impronta autoritaria di conformazione delle condotte e diventa uno degli strumenti per la rieducazione del reo, che aspira al recupero del cittadino dopo un percorso trattamentale. Il carcere si pone, quindi, come esperienza provvisoria che prelude al rientro nella società;
in questo contesto si inserivano le misure alternative alla detenzione introdotte con la «legge Gozzini» nel 1986 e con la «legge Simeone-Saraceni» nel 1998 e che vengono applicate successivamente alla condanna dal magistrato di sorveglianza. La ratio è quella di favorire un reinserimento sociale nella fase conclusiva di una pena lunga o di sostituire pene detentive brevi, mediante un approccio di ricucitura graduale e controllata con la società civile;
è noto che l'attuale condizione delle carceri italiane contraddice radicalmente l'intento delineato nella Carta fondamentale. Le condizioni di sovraffollamento sono oramai un dato notorio e con esse la politica, la società civile, la magistratura, ma soprattutto i detenuti si trovano a convivere ogni giorno in modo drammatico. Tra i molti sintomi di disagio, non si può non segnalare che il tasso di suicidi riscontrabile in carcere è di gran lunga superiore a quello registrato tra tutta la popolazione residente in Italia;
se le carceri italiane sono così giunte in una situazione che è non più tollerabile, bisogna chiedersi perché. Vi è stata da vari anni una contrazione nell'ambito delle politiche di sicurezza della possibilità di utilizzo delle cosiddette misure alternative: sono costanti l'elaborazione di nuove figure di reato, utili a rispondere a vere o presunte emergenze, l'introduzione di ipotesi di custodia cautelare obbligatoria, l'innalzamento delle pene per reati di non particolare allarme sociale o riconnessi ad una mera condizione di irregolarità sul territorio nazionale operata al solo e dichiarato fine di consentire l'applicazione della custodia cautelare in carcere. Il caso emblematico è la «legge ex Cirielli», legge n. 251 del 2005, che ha accorciato i tempi di prescrizione per alcuni reati e ha introdotto limiti alla concessione delle misure premiali ai recidivi reiterati, categoria che ricomprende in sé anche reati per fatti di scarso allarme sociale e magari per fatti distanti decenni nel tempo;
già l'11 e il 12 gennaio del 2010, con la discussione sulla mozione Franceschini 1/00302 e sulle altre mozioni abbinate, la Camera dei deputati si è occupata della situazione carceraria: il Governo, ad oggi, deve ancora dare attuazione a molti degli impegni assunti con l'approvazione di quella mozione Franceschini e delle altre mozioni abbinate;
nelle comunicazioni sull'amministrazione della giustizia del gennaio 2010, il Ministro della giustizia aveva affermato di aver chiesto la deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello stato di emergenza per tutto l'anno 2010, al fine di «provvedere ad interventi strutturali di medio e lungo periodo, che consentano di rispettare il precetto dell'articolo 7 della Costituzione, secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tale stato di emergenza è stato ulteriormente prorogato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 gennaio 2011 (comunicato n. 121 della Presidenza del Consiglio dei ministri). Dal suddetto stato di emergenza derivano, secondo quanto dichiarato dal Ministro nel mese di gennaio 2010, tre «pilastri» fondamentali: il primo riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di 47 nuovi padiglioni e successivamente di otto nuovi istituti, che aumenterebbero di 21.709 unità i posti, arrivando ad un totale di 80 mila, per la cui realizzazione sono stati stanziati 500 milioni di euro nella legge finanziaria per il 2010 e 100 milioni del bilancio della giustizia; il secondo riguarda gli interventi normativi che introdurrebbero misure deflattive, prevedendo la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare un anno di pena residua e la messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni; il terzo, infine, prevede l'assunzione di 2.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria;
per quanto riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria, allo stato attuale, nonostante le ripetute richieste formalizzate in Commissione giustizia, né il Ministro della giustizia, né il Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria hanno mai fornito, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, risposte specifiche alla richiesta di illustrazione dei dettagli delle linee portanti, programmatiche e di attuazione del piano di interventi; dell'assunzione dei 2.000 agenti di polizia carceraria non vi è traccia; dal punto di vista normativo, vi è stata solo l'approvazione della legge 26 novembre 2010, n. 199, «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», che ha potuto concludere il suo iter parlamentare grazie al forte senso di responsabilità e al concreto contributo del gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia, ma che, comunque, si pone come intervento emergenziale, addirittura temporaneo, e sicuramente non risolutore dell'angosciante problema del sovraffollamento carcerario e della certezza della pena;
a tre anni dall'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, che ha trasferito al servizio sanitario nazionale le competenze riguardanti la salute in carcere, in applicazione del Titolo V della Costituzione e del decreto legislativo n. 230 del 1999, «Riordino della medicina penitenziaria», che, all'articolo 1, sancisce il diritto dei detenuti e degli internati al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali, la riforma ha trovato applicazione solo parzialmente, e sono frequenti i casi in cui viene negato il diritto alla salute dei carcerati, in particolare delle persone in attesa di giudizio;
la presente mozione si rende necessaria per dare un nuovo forte indirizzo alla «politica carceraria» del Governo,


impegna il Governo:


a ripensare il modello unico di istituto penitenziario attuale, posto che i detenuti per i quali si esige un elevato regime di sicurezza non raggiungono le 10 mila unità, mentre per gli altri detenuti, anche quelli di media sicurezza, la permanenza in cella come situazione normale di vita quotidiana ha come unico risultato l'abbrutimento della persona umana;
a reperire le risorse finanziarie per adeguare le piante organiche del personale di polizia penitenziaria, nonché del personale civile del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia (educatori, assistenti sociali, psicologi), avviando un nuovo piano di assunzioni che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie e che sia in grado di supportare l'auspicata riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione;
a promuovere, sostenere e verificare l'applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, attuativo del riordino della medicina penitenziaria, così come prevista dal decreto legislativo n. 230 del 1999, in particolare per quanto concerne l'applicazione dell'articolo 5, che prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e il trasferimento alle regioni delle funzioni sanitarie afferenti agli ospedali psichiatrici giudiziari ubicati nel territorio delle medesime, nonché di prevedere, nell'ambito della relazione annuale sullo stato di salute dei cittadini da presentare al Parlamento, un capitolo dedicato alla situazione sanitaria nelle carceri italiane;
a prevedere per le regioni impegnate nei piani di rientro dai deficit sanitari la possibilità di non sottoporre a restrizioni i fondi destinati alla sanità in carcere;
ad attivare una specifica azione di monitoraggio sull'applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, al fine di accertare l'effettività della garanzia del diritto alla salute per i carcerati e per le persone in attesa di giudizio;
ad affrontare con la massima urgenza, assumendo le necessarie iniziative normative, il problema dei detenuti tossicodipendenti, in particolare valutando la possibilità che l'esecuzione della pena avvenga in istituti a custodia attenuata, idonei all'effettivo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi;
a promuovere la modifica del comma 1-bis dell'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario (modifica introdotta dalla legge cosiddetta ex-Cirielli), che preclude ai condannati recidivi reiterati l'accesso alla detenzione domiciliare negli ultimi due anni di pena, tenendo conto che è opportuno che l'effettiva pericolosità dei condannati possa essere rimessa alla valutazione della magistratura di sorveglianza senza irragionevoli preclusioni, nonché a rafforzare le piante organiche degli uffici di sorveglianza e a favorire, nell'ambito di una corretta collaborazione istituzionale, l'elaborazione di linee guida o di protocolli operativi utili a rendere chiara la legittimità di alcuni criteri di priorità nell'azione della magistratura di sorveglianza (così da consentire di gestire con intelligenza il flusso di ingressi in carcere);
ad attivare tutti gli adempimenti necessari affinché il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria proceda, nell'ambito delle assunzioni già autorizzate per personale da destinarsi agli uffici giudiziari, per l'anno 2011, e per quelle ancora da autorizzare, in riferimento agli anni a venire, alla prioritaria utilizzazione, partendo dalla posizione n. 414, della graduatoria risultante dal concorso bandito dal Ministero della giustizia - dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - a 397 posti di educatore penitenziario, pubblicata il 15 dicembre 2008 sul bollettino ufficiale dello stesso;
ad effettuare un monitoraggio relativamente allo stato di applicazione, nonché agli effetti e ai risultati della legge 26 novembre 2010, n. 199, «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», valutando anche di procedere in collaborazione con il Consiglio superiore della magistratura e con il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, comunicandolo alle Camere, anche al fine di verificare la possibilità che la norma di cui all'articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, abbia una validità non limitata nel tempo e che, quindi, la sua efficacia vada oltre il 31 dicembre 2013;
ad informare tempestivamente il Parlamento in merito allo stato di attuazione del piano carceri relativamente agli interventi di edilizia penitenziaria, per i quali il commissario straordinario, in base agli articoli 17-ter e 17-quater del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010, può procedere in deroga alle ordinarie competenze;
ad affrontare, con urgenza e decisione, le cause dell'elevato numero di morti e di suicidi in carcere ed i fenomeni di autolesionismo e di violenza in genere.
(1-00615)
(Nuova formulazione) «Ferranti, Amici, Tidei, Melis, Miotto, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Andrea Orlando, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Touadi, Rampi, Codurelli, Vico».

La Camera,
premesso che:
il problema principale per l'amministrazione della giustizia italiana resta la lentezza del sistema giudiziario che, di fatto, impedisce al cittadino di fruire della giustizia quale servizio di un moderno Stato democratico;
nel campo del processo civile sono stati ottenuti risultati encomiabili: nel 1980, infatti, l'arretrato civile, già allora considerato grave, era pari a 1.394.826 procedimenti, nel 1990 cresceva a 2.414.050 e nel 2000 raggiungeva il traguardo di 4.896.281 procedimenti. Il 31 dicembre 2009 si avvicinava alla soglia dei 6 milioni, segnando il record assoluto di 5.826.440 di arretrato pendente;
dopo anni di costante, quanto inesorabile, aumento della pendenza dell'arretrato, gli uffici della statistica del Ministero della giustizia hanno registrato nel 2010 un risultato straordinario: il numero dei processi civili pendenti, nel giugno del 2010, è sceso del 4 per cento, arrivando a 5.600.616 rispetto al 2009, con una diminuzione pari a meno 223.824 procedimenti, cosa che finalmente marca una decisa inversione del trend negativo;
quest'inversione di tendenza rappresenta un risultato non occasionale che trova la sua spiegazione nella convergenza di almeno tre fattori positivi introdotti dal Governo Berlusconi: le riforme in materia di processo civile, la sempre più completa informatizzazione degli uffici giudiziari, le modifiche normative delle spese di giustizia, in particolar modo della disciplina del contributo unificato che ha abbattuto sensibilmente il numero delle opposizioni a sanzioni amministrative;
i risultati ottenuti in campo civile non sono paragonabili a quelli registrati nel campo penale, dove la lentezza del processo continua ad essere un problema irrisolto. Nel settore penale, infatti, i dati segnalano una stabilità della pendenza con un modesto decremento, poiché si passa da 3 milioni e 335 mila procedimenti pendenti al 31 dicembre 2009 a 3 milioni e 290 mila al 30 giugno 2010: segno evidente della necessità di una maggiore incisività degli interventi sul processo penale;

particolarmente grave continua ad essere la condizione di molti cittadini in attesa di giudizio: drammatica, in particolare, quella dei detenuti in attesa di giudizio;
in questo contesto va, comunque, rilevato un dato in costante aumento, la sopravvenienza, cioè, dei procedimenti penali iscritti presso le procure della Repubblica contro indagati noti per reati di competenza delle direzioni distrettuali antimafia; un dato che registra un incremento del 10,5 per cento: la dimostrazione dell'impegno di questo Governo nella costante azione di contrasto alla criminalità organizzata, un impegno che ha portato a risultati mai raggiunti fino ad ora. Ad oggi, con questo Governo si registra il più alto numero di detenuti sottoposti al regime di cui al 41-bis dalla sua introduzione nell'ordinamento giuridico, il più alto numero di provvedimenti ministeriali di riapplicazione del citato regime del 41-bis dopo l'avvenuto annullamento disposto in sede giudiziaria dai tribunali di sorveglianza, il più basso numero di provvedimenti ministeriali di revoca del 41-bis da parte del Ministro della giustizia;
con il IV Governo Berlusconi si registra, inoltre: il più alto numero di posti di magistrati messi a concorso in soli due anni (ben 713, cui si aggiungono i 253 magistrati già assunti nel 2010, per complessive 966 unità); il più alto numero di posti di agenti di polizia penitenziaria, ben 1.800, banditi in un solo concorso; il più alto numero di nuovi posti nelle strutture carcerarie, cioè 2.000 in due anni, equivalenti al numero di nuovi posti che erano stati istituiti nei dieci anni precedenti. Il tutto senza che la gestione del tragico record di presenza nelle carceri abbia indotto al ricorso di provvedimenti generalizzati di clemenza, che quando adottati, anche nel recente passato, si sono dimostrati del tutto inefficaci;
negli ultimi dodici mesi si sono registrati risultati significativi in materia di organizzazione dei servizi e di potenziamento del sistema carcerario, nonostante i tagli determinati a livello globale dalla contingente crisi economica sui bilanci di ciascuna amministrazione pubblica;
il 2010 ha segnato un decisivo avanzamento delle tre linee di intervento su cui si articola l'azione del Governo nella delicata materia della gestione delle carceri: la deflazione dei flussi d'ingresso nel sistema carcerario e le misure alternative alla detenzione, il piano di interventi di edilizia penitenziaria, la rideterminazione della pianta organica della polizia penitenziaria;
con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 marzo 2010 è stato nominato il commissario delegato per l'esecuzione degli interventi di edilizia penitenziaria di cui al cosiddetto piano carceri. Il 30 giugno 2010 il comitato interministeriale, presieduto dal Ministro della giustizia, ha approvato il piano degli interventi che prevede la realizzazione di undici nuovi istituti carcerari e di venti nuovi padiglioni in ampliamento delle strutture carcerarie esistenti. Si è dato così avvio ad un intervento infrastrutturale senza precedenti nella storia della Repubblica, sia per l'entità degli investimenti - 675 milioni di euro - sia per la tempistica della loro esecuzione, cioè nell'arco di un triennio, sia per la portata strategica volta a soddisfare un fabbisogno carcerario pari a circa 9.150 posti, in esecuzione della sola prima parte del piano;
tra il mese di luglio 2010 ed il mese di gennaio del 2011 sono state concluse quattro intese istituzionali tra il commissario delegato, le regioni ed i comuni interessati, per un ammontare di intese che coprono circa il 75 per cento del volume complessivo degli investimenti previsti nel piano carceri. Tali intese consentono la realizzazione degli interventi carcerari con le deroghe e le varianti ai vigenti strumenti urbanistici che si rendono necessari, il tutto secondo tempistiche e procedure di massima celerità e snellezza, sempre nel rispetto del dialogo con le autorità locali ed i soggetti cui è

affidata la tutela dei regimi vincolistici del territorio. Senza tale regime derogatorio sarebbe stato impossibile provvedere alla localizzazione dei nuovi interventi ed alle necessarie varianti propedeutiche all'esecuzione degli ampliamenti in tempi così straordinariamente ristretti;
al di là del piano carceri si è, comunque, continuato a lavorare. Nel 2010, sono stati portati a completamento i lavori di ristrutturazione e di costruzione dei nuovi padiglioni di diverse strutture carcerarie, si è lavorato e si continua a lavorare per garantire la creazione di nuovi posti e condizioni di vivibilità per i detenuti sempre migliori;
contemporaneamente si è agito sul piano della riprogettazione della pianta organica della polizia penitenziaria, sono stati portati a termine i concorsi pendenti e si è dato corso all'immissione dei vincitori in graduatoria nell'amministrazione penitenziaria;
con l'articolo 4 della legge n. 199 del 2010 è stata autorizzata l'assunzione di circa 1.800 unità di polizia penitenziaria a copertura dell'aumentato fabbisogno connesso al fisiologico avvicendamento ed all'apertura delle nuove strutture carcerarie. In coordinamento con tale disposizione è stato, altresì, favorito il finanziamento di progetti mirati al recupero dei ristretti, anche tramite l'attivazione di nuovi posti di lavoro presso le case circondariali;
si è poi cercato di aumentare l'impegno nella gestione delle misure di esecuzione penale esterna ed anche in questo caso l'azione del Governo pare dare buoni frutti: si registra, infatti, nel 2010 un incremento del 29,5 per cento rispetto al 2009, dei detenuti interessati da tale misura, incremento destinato ad un'ulteriore crescita per gli effetti della legge n. 199 del 2010;
in questo quadro vanno ricordati due importanti interventi legislativi: la legge n. 199 del 2010, nella parte in cui introduce nuove disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, e il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, che attua una decisione quadro europea in materia di trasferimento delle persone condannate. L'Italia, va sottolineato, è il primo Stato ad avere dato attuazione a questo importante strumento di cooperazione giudiziaria, che consente di trasferire le persone condannate dall'Italia verso lo Stato membro di cittadinanza e viceversa per l'esecuzione delle pene detentive. Per la prima volta il trasferimento potrà avvenire senza un previo accordo con lo Stato estero di cittadinanza del condannato e senza il consenso della persona. Si realizza così un duplice obiettivo: da una parte, si consente al condannato di scontare la pena detentiva in un contesto, e cioè lo Stato di cittadinanza, che ne agevola il reinserimento sociale, familiare e lavorativo; dall'altra, insieme ad altre misure contenute nel piano carceri, si avvia a soluzione lo storico problema della tensione detentiva, riducendo il numero degli stranieri detenuti in Italia;
con specifico riferimento al personale penitenziario deve essere ricordato che, anche su tale fronte, il Governo si è attivato con più interventi. La legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)» facendo un'eccezione al generalizzato blocco del turnover, consente negli anni 2010, 2011 e 2012 l'assunzione di personale nel limite del contingente di quello cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente. Inoltre, è stato firmato in data 4.12.2010 il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di autorizzazione all'assunzione di 760 unità nel ruolo degli agenti e assistenti del Corpo di polizia penitenziaria relativa al cosiddetto turnover anno 2010 (cessazioni di personale anno 2009);
la legge 26 novembre 2010, n. 199, recante «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno» che all'articolo 4,

comma 1, lettera b) prevede: «l'adeguamento dell'organico del Corpo di polizia penitenziaria occorrente per fronteggiare la situazione emergenziale in atto. A tale ultimo fine e per assicurare, inoltre, la piena operatività dei relativi servizi, il Ministro della giustizia è autorizzato all'assunzione di personale nel ruolo degli agenti e assistenti del Corpo di polizia penitenziaria (...)». Già durante l'iter di approvazione della citata legge, al fine di accelerare i tempi per le necessarie procedure, sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale due concorsi per l'assunzione di 100 unità nel ruolo femminile e 500 unità nel ruolo maschile degli agenti ed assistenti del Corpo di polizia penitenziaria. Il numero dei posti di tali concorsi potrà essere modificato in ragione dell'individuazione e destinazione dei fondi di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), della legge n. 199 del 2010;
relativamente, invece, agli assistenti sociali è stato richiesta dal dipartimento della funzione pubblica, per l'anno 2011, l'autorizzazione ad assumere, tramite procedure di mobilità da altre amministrazioni, 24 funzionari;
per quanto riguarda ancora l'implementazione delle misure alternative, si evidenzia che nel corso della presente legislatura sono state assunte specifiche iniziative legislative volte ad incentivarne il ricorso e a ridurre il tasso di carcerizzazione negli istituti di pena del Paese: si collocano all'interno di tale orientamento sia la legge 26 novembre 2010 n. 99, che il disegno di legge n. 3291ter, ancora all'esame degli organi parlamentari;
per quanto riguarda, ancora, la legge n. 199 del 2010, questa prevede che, non oltre il 31 dicembre 2013, la pena detentiva non superiore a dodici mesi, anche se costituente parte residua di maggiore pena, è eseguita presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza. Si tratta di una misura a carattere transitorio prevista proprio per attenuare il sovraffollamento carcerario, tendente a favorire il reinserimento sociale ed applicabile quando non sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa allontanarsi dal domicilio dichiarato e commettere altri delitti;
il completamento dell'attuazione del piano carceri e la valorizzazione delle potenzialità offerte dalla legge n. 199 del 2010 in materia di detenzione domiciliare sono obiettivi fondamentali del Governo,


impegna il Governo:


a proseguire nell'attività intrapresa, dando seguito alla completa realizzazione dei nuovi istituti penitenziari ed alla programmata assunzione di nuovo personale;
a ridurre il sovraffollamento nelle carceri e migliorare le condizioni di vita dei ristretti;
a dare concreta attuazione ai principi costituzionali in materia di esecuzione della pena, sotto il profilo sia dell'umanizzazione, che della finalità rieducativa della stessa;
ad estendere la concreta applicazione del vigente principio di territorialità della pena, in modo da consentire ai detenuti - non connotati da un elevato grado di pericolosità - di conservare il patrimonio affettivo ed i legami familiari;
a favorire una migliore applicazione dei criteri di distinzione tra i detenuti, al fine di diversificare le offerte trattamentali approntate dall'amministrazione penitenziaria, in base all'effettiva pericolosità dei ristretti ed ai tempi di detenzione;
a realizzare nuovi e diversificati progetti socio-trattamentali per sviluppare le potenzialità lavorative e professionali dei detenuti e per incentivarne l'impiego in settori di interesse sociale, onde favorirne il reinserimento nella società civile a pena espiata;
ad assicurare la concreta attuazione del principio di effettività della pena anche

attraverso lo sviluppo in ambito carcerario di più efficaci e moderni sistemi di controllo dei detenuti, anche al fine di agevolare il lavoro della polizia penitenziaria;
a realizzare luoghi di lavoro più consoni alla dignità dei dipendenti impegnati nell'esercizio delle diverse attività professionali all'interno degli istituti penitenziari;
ad incrementare la dotazione organica del personale di polizia penitenziaria, così da renderne meno gravosa l'attività lavorativa.
(1-00616)
«Costa, Lussana, Belcastro, Baldelli, Cassinelli, Nicola Molteni, Contento, Follegot, D'Ippolito Vitale, Isidori, Garagnani, Paolini, Ghedini, Girlanda, Holzmann, Paniz, Papa, Pittelli, Repetti, Mariarosaria Rossi, Scelli, Sisto, Torrisi, Vitali».

Risoluzioni in Commissione:

Le Commissioni V e VIII,
premesso che:
a dieci anni dall'approvazione della legge n. 443 del 2001 (legge obiettivo) il settore delle opere pubbliche si trova in una gravissima crisi determinata principalmente dalla riduzione delle risorse pubbliche destinate alle infrastrutture;
nella manovra di finanza pubblica per il 2011, si registra una riduzione delle risorse per le infrastrutture superiore 14 per cento in termini reali rispetto all'anno precedente, riduzione che si aggiunge ai tagli, altrettanto significativi, già registrati nel 2009 (-13,4 per cento rispetto al 2008) e nel 2010 (-9,8 per cento rispetto al 2009); in proposito, l'osservatorio dell'ANCE, stima che la riduzione delle risorse tra il 2009 e il 2011 per nuovi investimenti infrastrutturali potrebbe raggiungere il 30 per cento;
la riduzione delle risorsa ha interessato anche i soggetti «attuatori» delle politiche pubbliche di infrastrutturazione, come Ferrovie dello Stato e ANAS;
netta anche la contrazione degli investimenti degli enti locali, accelerata dalla consistente riduzione dei trasferimenti a regioni (10 miliardi di euro nel biennio 2011-2012), province e comuni a seguito della manovra d'estate 2010 e dal forte irrigidimento del Patto di stabilità interno con la manovra di finanza pubblica per il 2011 che determinerà, secondo le stime Anci, una riduzione di circa 33 miliardi di euro degli investimenti (pagamenti e nuove infrastrutture) dei comuni nel 2011 rispetto al 2010 (già nel 2010 si era registrata una riduzione della capacità di investimento per un importo di 1,3 miliardi di euro);
secondo l'ANCE, in quattro anni, dal 2008 al 2011, la riduzione complessiva degli investimenti nel settore delle costruzioni potrebbe raggiungere il 17,8 per cento, circa 29 miliardi di euro in valore assoluto, con ricadute gravissime sull'occupazione;
i comparti più colpiti dalla crisi sono quello delle nuove abitazioni (con un calo superiore 34 per cento nel periodo 2008-2001) e l'edilizia non residenziale privata, per la quale è attesa - alla fine del periodo - una riduzione complessiva del 15,6 per cento;
più in generale, per i lavori pubblici la flessione è in atto dal 2005 e nell'arco di sette anni (dal 2004 al 2011), in totale, la contrazione degli investimenti potrebbe raggiungere il 31,8 per cento; si tratta di dati allarmanti aggravati dal fenomeno dei ritardi nei tempi di pagamento, che mette a rischio la sopravvivenza stessa delle imprese e rende, di fatto, molto difficile programmare le attività e avviare nuovi investimenti;
la crisi economica e i forti vincoli finanziari e di bilancio richiedono di selezionare obiettivi e priorità e di concentrare le scarse risorse disponibili su infrastrutture

strategiche, in particolare nelle aree deboli, secondo un coerente disegno complessivo di programmazione a livello centrale e decentrato;
nel 2007 il Governo di centrosinistra, con la «programmazione unitaria» dei fondi destinati alle politiche di coesione nell'ambito del Quadro strategico nazionale (QSN), ha cercato di comporre l'incoerenza tra le diverse fonti di finanziamento - fondi strutturali e FAS - unificando «le regole e gli obiettivi della politica» nell'intento di delineare un quadro strategico di comando in grado di operare con la necessaria coerenza programmatica;
in luogo di semplificare le procedure e di riqualificare il disegno del Quadro strategico nazionale per centrare le politiche su infrastrutture strategiche e su pochi, ma decisivi, interventi, il Governo, con la ricognizione, la concentrazione e la riprogrammazione delle risorse operata con il decreto-legge n. 112 del 2008, ha determinato, ad avviso dei firmatari del presente atto, un progressivo «svuotamento» della principale fonte finanziaria del Quadro strategico nazionale, destinandola a fonte di finanziamento delle politiche anticicliche su tutto il territorio nazionale;
il V rapporto sullo stato di avanzamento della legge obiettivo rileva che nel programma delle infrastrutture strategiche risultano comprese 348 opere per un valore complessivo di 358.092 milioni di euro; il valore delle opere/lotti deliberati dal CIPE sul totale - e quindi con progetto preliminare o progetto definitivo e quadro finanziario approvati - è di 131 miliardi, non più del 37 per cento del costo dell'intero programma, e il valore residuo, per ben 227 miliardi, è il costo delle opere che non risultano ancora pervenute in forma progettuale alla Struttura tecnica di missione (STM), istruite o in attesa di esserlo presso la STM, ovvero in fase preistruttoria al CIPE;
sul costo totale di 130.914 milioni di opere deliberate dal CIPE, le risorse disponibili ammontano a 78.975 milioni (il 60 per cento); questo significa che occorre ancora reperire 52 miliardi (pari al 40 per cento del totale);
al 30 aprile 2010 risultano ultimate o prossime ad esserlo 63 opere, per un costo complessivo di 32,8 miliardi, che equivale a meno del 10 per cento del costo dei progetti dell'intero programma; le opere aggiudicate o in corso di esecuzione (cantierate) rappresentano appena il 21 per cento dell'intero programma in termini di costo delle opere;
non si può dire che il Programma infrastrutture strategiche contribuisca a colmare il divario infrastrutturale tra Nord e Sud del Paese: sul valore totale delle opere comprese nel programma (358 miliardi) ben 218 miliardi risultano concentrati nelle 12 regioni del Centro-Nord (il 61 per cento), solo 139 nel Mezzogiorno (il 39 per cento del valore economico complessivo); il 27 per cento delle opere - che equivale però al 73 per cento del costo totale del programma - è localizzato nei corridoi plurimodale padano e dorsale centrale;
il paradosso è che il fondo istituito dal decreto-legge n. 112 del 2008 per il finanziamento di infrastrutture di livello nazionale con una dotazione costituita dalle risorse FAS, già assegnate per l'attuazione del Quadro strategico nazionale 2007-2013, contribuisce con 3.758 milioni, che corrisponde solo a circa il 5 per cento delle disponibilità per il programma: è dunque la fonte finanziaria che concorre in misura minore alla realizzazione delle opere prioritarie, in particolare nel Sud;
per altro verso, il programma di piccole opere più volte preannunciato dal Governo come misura anticiclica per un valore di circa 800 milioni di euro (poi ridotti a 400) in relazione alla immediata cantierabilità di tali opere non è mai partito né è stato realizzato l'intervento straordinario di edilizia scolastica che ha sottratto un miliardo di euro al fondo infrastrutture;

né la modifica della disciplina sulla finanza di progetto ha consentito un ampliamento di tale modalità di finanziamento delle opere pubbliche in considerazione della difficoltà delle imprese ad investire in un Paese con una burocrazia inefficiente e dai tempi troppo lunghi ed una giustizia civile al di sotto di tutti gli standard europei; in tal senso le annunciate semplificazioni del Governo si sono tradotte, secondo i sottoscrittori del presente atto di indirizzo, in un nulla di fatto e, al contrario, hanno aggiunto confusione a confusione aumentando lo spazio di discrezionalità delle pubbliche amministrazioni e conseguentemente riducendo il livello di trasparenza dell'azione amministrativa;
a distanza di dieci dall'approvazione della «legge obiettivo» e dalla firma del «contratto con gli italiani» da parte del Presidente del consiglio Silvio Berlusconi nella trasmissione televisiva «Porta a porta», in cui grande enfasi era stata data alle grandi opere, molti dei problemi «strutturali» del Paese appaiono tutt'altro che risolti - dualismo infrastrutturale, perifericità, inquinamento e congestione, scarsità o assenza di infrastrutture per servizi essenziali, forte squilibrio modale dei trasporti - e il ritardo nella realizzazione delle opere pubbliche contribuisce ad aggravare la situazione economica nazionale e ad approfondire il gap infrastrutturale tra le aree del Paese e con il resto d'Europa;
in tale contesto di particolare gravità è apparsa l'assenza all'interno del Programma nazionale di riforma, presentato a Bruxelles nel novembre 2010 dal Governo italiano nell'ambito della procedura economica del semestre europeo, di qualsiasi indicazione di obiettivi prioritari per il rilancio delle infrastrutture a fronte della drastica riduzione delle spese per investimenti prevista nel prossimo biennio;
la nuova legge di contabilità e finanza pubblica, legge n. 196 del 2009, è stata modificata per coordinare il ciclo di programmazione economica nazionale con quello del «semestre europeo», prevedendone l'inizio il 10 aprile di ogni anno, con la presentazione alle Camere del nuovo documento di economia e finanza (DEF) per le conseguenti deliberazioni parlamentari;
tale documento, che incorpora lo schema di programma di stabilità e lo schema del programma nazionale di riforma, nonché un'analisi del conto economico e del conto di cassa delle amministrazioni pubbliche nell'anno precedente, diviene il perno della programmazione economico finanziaria, il cui contenuto assorbe la decisione di finanza pubblica - attualmente presentata nel mese di settembre - e i contenuti della relazione sull'economia e sulla finanza pubblica;
rimane confermato, rispetto alla disciplina vigente, quale allegato del documento di economia e finanza, il programma delle infrastrutture strategiche previsto dalla legge obiettivo,

impegnano il Governo:

ad adottare tutte le iniziative necessarie volte a definire, nell'ambito del documento di economia e finanza e in occasione della prossima manovra di finanza pubblica, un quadro di risorse finanziarie certe e adeguate alla realizzazione delle opere pubbliche e a colmare il divario infrastrutturale tra Nord e Sud del Paese e a fornire, nel contempo, una ricognizione delle risorse complessivamente stanziate e destinate alle infrastrutture nonché informazioni e dati circa il loro effettivo utilizzo;
a garantire in tempi rapidi e definiti il reintegro del FAS sottratto al quadro strategico nazionale, per un'effettiva addizionalità dei programmi cofinanziati dall'Unione europea;
ad assumere le opportune iniziative dirette a introdurre modifiche sostanziali al patto di stabilità al fine di renderlo coerente con le regole, anche europee, di utilizzo dei finanziamenti in conto capitale per la realizzazione di opere e, in particolare,

dirette ad escludere i comuni virtuosi dal rispetto dei vincoli del patto di stabilità per quanto riguarda le risorse destinate ad investimenti in infrastrutture;
ad assumere iniziative normative di semplificazione legislativa ed amministrativa per consentire che le soluzioni proposte possano effettivamente avere un impatto immediato sulle famiglie e sulle imprese.
(7-00559)
«Mariani, Sereni, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Morassut, Motta, Realacci, Viola».

La VIII Commissione,
premesso che:
dal primo gennaio 2011 è divenuta efficace la norma che vieta la commercializzazione dei sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci, non conformi ai criteri sulla biodegradabilità previsti dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario;
la disposizione in oggetto è contenuta nei commi da 1129 a 1130 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007), che a tal fine ha disposto che ai fini della riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, del rafforzamento della protezione ambientale e del sostegno alle filiere agro-industriali nel campo dei biomateriali, è avviato, a partire dall'anno 2007, un programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario, non risultino biodegradabili;
il divieto fissato a decorrere dal 1o gennaio 2010, è stato successivamente spostato al 1o gennaio 2011, dall'articolo 23, comma 21-novies del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, anche in considerazione della necessità di dare maggior tempo alle imprese interessate, a causa della mancata attuazione del programma sperimentale previsto dal predetto articolo 1, comma 1129, della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007);
con una specifica nota del 30 dicembre 2010, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha comunicato che in relazione ai numerosi quesiti che gli erano pervenuti si precisava che il divieto di commercializzazione dei sacchi da asporto merci non conformi ai requisiti di biodegradabilità indicati dagli standard tecnici europei vigenti, di cui all'articolo 1, comma 1130 della legge 26 dicembre 2006, n. 296, come modificato dall'articolo 23, comma 21-novies del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 sarebbe entrato in vigore inderogabilmente dal 1° gennaio 2011 e che sarebbe stato consentito lo smaltimento delle scorte in giacenza negli esercizi artigianali e commerciali alla data del 31 dicembre 2010, purché la cessione fosse stata operata in favore dei consumatori ed esclusivamente a titolo gratuito. Per tali misure, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero dello sviluppo economico, in collaborazione con le autorità competenti, avrebbero effettuato controlli per verificare il rigoroso rispetto della normativa vigente;
il contesto normativo che disciplina la definizione, il campo di appartenenza e la gestione dei sacchi per l'asporto delle merci, è definito dalla direttiva 94/62/CE nel testo consolidato, del Parlamento e del Consiglio del 20 dicembre 1994, relativa agli imballaggi ed ai rifiuti di imballaggi; l'articolo 3 di tale direttiva, stabilisce in cosa consista l'imballaggio per il trasporto o imballaggio terziario (paragrafo 1), lettera c), cioè l'imballaggio concepito in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita, secondo criteri contenuti nel terzo comma lettera ii) e nel corrispondente allegato I, indicando che sono considerati imballaggi gli articoli progettati e destinati

ad essere riempiti nel punto vendita e gli elementi usa e getta a condizione che svolgano la funzione di imballaggio, come i sacchetti o le borse di carta o di plastica;
la disposizione nazionale sul divieto di commercializzazione dei sacchi di plastica, si conforma a princìpi e ad obiettivi di medio e lungo termine analoghi a quelli perseguiti dalla stessa direttiva 94/62/CE nel testo consolidato e più in generale dalla direttiva n. 2008/98/CE, in quanto mirano a prevenire la creazione di rifiuti, assicurare la crescita sostenibile, favorire il riutilizzo degli imballaggi o il riciclaggio biodegradabile dei relativi rifiuti nonché la riduzione delle emissioni climalteranti tramite l'uso di materiali di origine non petrolifera e la conservazione delle risorse naturali;
va ad ogni modo fatto presente che dall'entrata in vigore del divieto di commercializzazione dei sacchi per l'asporto delle merci realizzati con materie plastiche e dell'obbligo di sostituirli con imballaggi biodegradabili, preferibilmente realizzati con materia prima di origine vegetale, sui mercati nazionali si sono verificati alcuni fenomeni distorsivi della concorrenza ed elusivi e fraudolenti rispetto alle norme tecniche e commerciali, che oltre a destabilizzare il relativo settore degli imballaggi, sta provocando incertezze e disorientamenti negli operatori onesti che con forza denunciano la situazione e chiedono chiarimenti sui comportamenti da adottare;
in effetti si sta assistendo ad una incredibile proliferazione di sacchi per l'asporto di dubbia legalità ed incerta provenienza, che vengono definiti biodegradabili sulla base di incerte o sconosciute norme tecniche o di autocertificazioni motivate da formule empiriche puramente presuntive e non dimostrate;
anche in questo caso, però, la normativa europea e nazionale vigente sono molto chiare e puntuali e se applicate in maniera rigorosa, scongiurerebbero ogni possibilità di comportamenti illeciti o irregolari. La direttiva 94/62/CE, al fine di ridurre l'impatto sull'ambiente degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio e per evitare ostacoli agli scambi o distorsioni della concorrenza ha definito requisiti essenziali attinenti alla composizione e alla natura riutilizzabile, recuperabile e riciclabile degli imballaggi da dimostrare con mezzi di prova di conformità delle norme;
la norma tecnica cui fa riferimento la predetta direttiva 94/62/CE per quanto riguarda i requisiti essenziali che devono essere rispettati dagli imballaggi che si sostengono essere biodegradabili, è la norma CEN sulla biodegradabilità EN 13432, armonizzata ai sensi della decisione 2001/524/CE, relativa alla pubblicazione dei riferimenti delle norme EN 13428:2000, EN 13429:2000, EN 13430:2000, EN 13431:2000 ed EN 13432:2000, nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, nell'ambito dell'attuazione della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. Tale norma è in grado di attribuire un'automatica presunzione di conformità ai previsti requisiti di biodegradabilità ed evita complessi ed incerti percorsi di validazione tecnica alternativa che necessiterebbero, tra l'altro, lunghi tempi di verifica;
tuttavia, la Commissione europea, preso atto che le norme hanno un prezzo elevato, ha indicato che possono essere usati anche altri mezzi per dimostrare la conformità ai requisiti essenziali;
è ancora il caso di sottolineare che l'interpretazione che si deve dare alla definizione di biodegradabilità contenuta nella citata disposizione di cui all'articolo 1, comma 1130 della legge 26 dicembre 2006, n. 296, non è certamente quella di semplice capacità della plastica a potersi degradare nei tempi del caso, ma bensì quella di una specifica attitudine del materiale a degradarsi, al 100 per cento, in analogia con il materiale organico naturale;
su questo approccio che tende a conferire al concetto di biodegradabilità degli imballaggi la loro tendenza ad degradazione prossima a quella naturale, si

è chiaramente pronunciata la Commissione europea, nel fornire una risposta al Parlamento europeo sulla petizione 0381/2006 presentata da Giuseppe Brau, cittadino italiano, a favore della defiscalizzazione degli imballaggi biodegradabili, del 28 febbraio 2007. In tali circostanze, sia il richiedente, sia l'Unione europea, distinguono nettamente la plastica convenzionale dalla bioplastica e la stessa Commissione condivide i vantaggi che la bioplastica permette rispetto alla riduzione delle emissioni climalteranti ed ai risparmi energetici lungo il corso della sua produzione. La Commissione si è dichiarata consapevole dei potenziali benefici per l'ambiente che potrebbero derivare dall'uso della bioplastica come materiale da imballaggio in certi impieghi e in determinate condizioni e per determinare gli effettivi caratteri prestazionali di biodegradabilità, ha confermato che le specifiche tecniche cui fare riferimento sono quelle recate dalla norma europea EN 13432 che stabilisce le proprietà dei materiali biodegradabili come riferimento per identificare la plastica biodegradabile. Ciò permette anche di chiarire che le norme tecniche armonizzate da prendere in considerazione non sono semplicemente quelle che consentono di calcolare o di determinare la biodegradabilità aerobica finale dei materiali plastici in condizioni controllate di compostaggio (UNI EN ISO 14855), ma quelle che permettono di confrontare quanto più vicino al 100 per cento sia eliminabile un imballaggio nei confronti dell'ambiente e dell'agricoltura.
appare evidente, alla luce del descritto quadro normativo vigente, che i sacchi per l'asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario, possono essere dichiarati biodegradabili, sono quelli realizzati con materiali atti a renderli conformi ai requisiti stabiliti dalla norma EN 13432:2002;
è oggi urgente emanare disposizioni, sia di rango normativo e sia, preferibilmente, di rilievo amministrativo, che chiariscano agli operatori quali siano le norme cui devono fare riferimento per poter produrre e commercializzare sacchi per l'asporto delle merci che siano effettivamente biodegradabili;
sarebbe indispensabile favorire altresì la presenza di una offerta di borse multiuso anche per l'asporto delle merci ed in tal senso indicare quali siano i materiali da utilizzare e le caratteristiche dimensionali (spessore e resistenza) che essi devono possedere,


impegna il Governo:


ad adottare urgenti iniziative volte a chiarire quali siano i materiali che possono essere utilizzati per produrre e commercializzare imballaggi definibili biodegradabili, in particolare i sacchi per l'asporto delle merci, ivi compreso quelli monouso, definendo altresì quali siano le norme tecniche cui ci si debba conformare, a partire in particolare dalla norma EN 13432:2002 e favorendo in questo modo la possibilità di rendere obbligatorio che i produttori di tali imballaggi certifichino in maniera ufficiale la corrispondenza degli stessi imballaggi alle relative specifiche tecniche e che la suddetta certificazione sia rilasciata da enti qualificati e ad ogni modo accreditati;
ad effettuare campagne di informazione in favore dei consumatori e degli operatori su quali siano i sacchi da asporto biodegradabili che possono essere utilizzati ai fini dell'asporto delle merci e come debbano essere gestiti quando diventino rifiuti, se del caso prevedendo l'apposizione di particolari simboli distintivi sui diversi tipi di sacchi da asporto, finalizzati ad indicarne in maniera facilitata le modalità di dismissione in riferimento alla gerarchia di gestione dei rifiuti ad essi applicabile;
a favorire la nascita di settori produttivi innovativi nel campo degli imballaggi basati su materiali biodegradabili, tra cui i biopolimeri ottenuti da produzioni naturali rinnovabili, detti anche bioplastiche, che rispettino i criteri della sostenibilità

e che diano prospettive di crescita e sviluppo ai nostri operatori del settore, anche per ovviare al blocco delle produzioni e delle vendite che questi hanno accusato a seguito dell'entrata in vigore della norma che vieta la commercializzazione dei sacchi per l'asporto delle merci non biodegradabili;
a sostenere azioni dirette ad accrescere il corretto utilizzo dei sacchi biodegradabili per l'asporto delle merci e nella raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti solidi urbani, anche indicando quali devono essere le dimensioni e le prestazioni che per lo scopo devono possedere;
a promuovere lo sviluppo anche per ragioni di igiene e salute pubblica, della produzione di borse multiuso riutilizzabili, in particolare le sporte, di qualsiasi materiale purché riciclabile, provvedendo a standardizzarne la tipologia e normandone le dimensioni, gli spessori ed i settori commerciali in cui possono essere usati, in tale ambito adottando iniziative normative che individuino i principi di riferimento da attuare tramite atti amministrativi, che prevedano che tali prodotti riutilizzabili contengano adeguate percentuali di materiale riciclato, abbiano uno spessore non inferiore a 60 micron ed altresì abbiano dimensioni maggiori dei sacchetti biodegradabili usa e getta per l'asporto delle merci e siano dotati di particolari accorgimenti, come, ove compatibile, chiusure lampo o a bottone a pressione, che facciano percepire al consumatore che si tratti di prodotti riutilizzabili, avendo per tali fini un costo dissuasivo rispetto al disfarsene.
(7-00558)
«Alessandri, Guido Dussin, Lanzarin, Togni».

La XII Commissione,
premesso che:
la peste suina africana e la malattia vescicolare del suino, sono malattie infettive ancora presenti in Italia, soprattutto in determinate aree del Mezzogiorno ed in particolare nelle regioni Calabria, Campania e Sardegna;
la peste suina africana è una malattia infettiva contagiosa, non trasmissibile all'uomo, che colpisce il maiale domestico e il cinghiale. Tale malattia è tuttora presente soprattutto in Sardegna dove persiste dal 1978 con impatti molto significativi;
la malattia vescicolare del suino è una malattia infettiva e contagiosa ad eziologia virale, l'uomo ne è immune e il suino è l'unico animale che in natura manifesta sintomatologia clinica. È inserita nell'elenco comunitario delle malattie da debellare, gli animali colpiti dalla malattia sono quindi abbattuti per impedirne la diffusione e gli allevatori rimborsati dei danni economici subiti;
tale malattia è presente in Italia da molti anni, specialmente nelle regioni Campania e Calabria, determinando notevoli problemi oltre che al settore suinicolo per causa delle restrizioni alla movimentazione degli animali, anche alla filiera dell'industria delle carni in ragione delle forti limitazioni che pone alle esportazioni, soprattutto verso gli USA e gli altri Paesi terzi, dei prodotti a base di carne suina;
deve precisarsi, inoltre, che i suddetti Paesi richiedono sempre maggiori garanzie per scongiurare l'eventuale introduzione della malattia vescicolare del suino sui propri territori;
la persistenza di tale malattia in Italia è correlata soprattutto a specifiche attività produttive e commerciali che insistono sul nostro territorio, come le stalle di sosta e gli allevamenti bradi del suino;
le tre malattie infettive di cui trattasi provocano enormi danni all'economia delle regioni interessate ed all'intero Stato italiano;
la permanenza della peste suina africana in Sardegna è di per sé in grado di mettere in crisi tutte le esportazioni di

prodotti suinicoli dall'Italia, nel malaugurato caso (peraltro già verificatosi in passato) di diffusione della malattia al di fuori della regione stessa in quanto la sua comparsa in altre aree della Penisola avrebbe effetti pressoché azzeranti l'attività di esportazione di carni suine e di prodotti di salumeria verso i Paesi terzi;
lo sviluppo del settore della salumeria italiana passa necessariamente per l'incremento delle nostre esportazioni verso i mercati extra europei. Le esportazioni di prodotti di salumeria verso i Paesi terzi, superando le 21.000 tonnellate di prodotto per un valore di circa 165 milioni di euro, rappresentano sia in termini di qualità e sia di valore, più del 20 per cento del totale delle esportazioni della salumeria italiana;
per la filiera suinicola italiana la permanenza della malattia vescicolare nelle regioni Campania e Calabria e della peste suina africana nella regione Sardegna, costituiscono l'ostacolo più importante allo sviluppo dell'attività di esportazione delle proprie produzioni. Di ciò beneficiano altri Stati europei nostri concorrenti, in particolare la Spagna, che risultano essere indenni a tali malattie;
sebbene l'Unione europea, applicando il principio della regionalizzazione veterinaria, riconosca il territorio italiano diverso dalle regioni Sardegna, Campania e Calabria, come indenne dalle citate malattie, la maggior parte dei Paesi terzi, al contrario, adottano misure restrittive all'importazione di carni suine e relativi prodotti di salumeria provenienti dall'Italia ed in effetti le quote di esportazione nazionali si riducono quasi esclusivamente ai salumi a lunga maturazione ed a quelli cotti in ragione delle garanzie insite nei trattamenti tecnologici a loro applicati. In certi paesi vigono divieti totali all'importazione (ad esempio Taiwan), o restrizioni che limitano la gamma dei prodotti esportabili (ad esempio Sud Corea per le carni suine fresche);
la regione Sardegna è oggi esclusa da qualsiasi canale di esportazione per le proprie produzioni a base di carne suina proprio a causa della presenza sull'isola della peste suina africana, ciò che sta gravemente minando lo sviluppo della filiera suinicola sarda e della relativa industria delle carni;
la malattia vescicolare suina presente nelle regioni Campania e Calabria, oltre a fare dell'Italia l'unico Stato europeo ancora colpito da tali infezioni, penalizza la gamma dei prodotti esportabili risultando preclusa la commercializzazione nei Paesi terzi delle produzioni a media e breve stagionatura, come i salami, le pancette, le coppe ed i culatelli e solo in questi giorni sono in pieno svolgimento intense trattative con gli USA per riammettere, dopo oltre cinquant'anni, l'esportazione di tali prodotti verso questo mercato;
purtroppo, nonostante l'adozione di varie iniziative sanitarie, tra cui in particolare l'ordinanza del 12 aprile 2008 recante «Misure sanitarie di eradicazione della malattia vescicolare del suino e di sorveglianza della peste suina classica», che ha individuato un piano di eradicazione per la malattia vescicolare del suino fondato sul rilevamento dell'eventuale circolazione del virus della malattia vescicolare del suino nella popolazione suina nazionale, le infezioni in oggetto continuano ad essere endemiche nelle relative regioni interessate;
il Ministero della salute, in situazioni di particolare allarme sanitario-zootecnico, nel recente passato ha adottato specifiche ordinanze tese a risolvere croniche zoonosi di cui l'Italia era pesantemente afflitta, si cita ad esempio quella del 14 novembre 2006, relativa alle «Misure straordinarie di polizia veterinaria in materia di tubercolosi, brucellosi bovina e bufalina, brucellosi ovi-caprina, leucosi in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia»;
l'efficacia di tale ultima ordinanza è risultata maggiormente tangibile grazie al fatto che essa aveva previsto specifici strumenti di immediata e straordinaria applicabilità, tra cui una task force permanente

istituita presso il dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti del Ministero della salute, volta all'indirizzo, al coordinamento e all'attuazione delle misure previste dall'ordinanza, nonché un commissario ad acta, da istituirsi per opera del prefetto su proposta del Ministro della salute, in caso di inadempimenti e ritardi nell'applicazione delle misure previste dalla stessa ordinanza, dotato di poteri d'intervento straordinario presso i Servizi veterinari locali competenti per territorio. Tale commissario avrebbe potuto richiedere supplementi d'indagine al comando N.A.S. Carabinieri competente per territorio ed assicurare, avvalendosi delle forze di polizia e del comando N.A.S. Carabinieri, l'abbattimento dei capi e la distruzione dei derivati del latte nel caso in cui le regioni interessate avessero incontrato qualsiasi difficoltà nell'applicazione delle previste misure,


impegna il Governo


a provvedere ad emanare una specifica ordinanza tesa a consentire la definitiva eradicazione della malattia vescicolare del suino e della peste suina africana nelle relative regioni in cui tali malattie sono ancora presenti, in tal senso prevedendo la contestuale istituzione di una task force presso il dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti del Ministero della salute, con la funzione di indirizzo, coordinamento e attuazione delle misure individuate e di un commissario ad acta, che dotato di poteri straordinari, svolga, sentite le medesime regioni, compiti applicativi dell'ordinanza in questione.
(7-00557)
«Laura Molteni, Alessandri».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da diversi quotidiani, il 16 marzo 2011 nel corso della trasmissione «Radici cristiane» su Radio Maria, il vicepresidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) Roberto De Mattei, per spiegare agli ascoltatori il senso escatologico dello tsunami in Giappone riporta quello che scriveva monsignor Mazzella: «Le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio» e «sono talora esigenza della sua giustizia della quale sono giusti castighi»;
nel 2009 il Cnr ha pubblicato un volume «Evoluzionismo. Il tramonto di un'ipotesi» (Cantagalli), costato 9.000 euro di finanziamento pubblico che raccoglieva gli atti di un seminario organizzato da Roberto De Mattei sulle teorie creazioniste; il vicepresidente del Cnr ritiene che tali teorie poggino su una solida base scientifica; a differenza invece di quanto sostengono gli evoluzionisti. Nella difesa di queste sue teorie Roberto De Mattei aveva affermato di trovare «incredibilmente incoerente che ci si possa dichiarare cristiani ed evoluzionisti» e che «Adamo ed Eva sono personaggi storici e progenitori dell'umanità».
in un'altra trasmissione di Radio Maria (http://www.youtube.com/watch?v=5ydJtaltai4) Roberto De Mattei ha letto e commentato alcuni testi di Salviano di Marsiglia con l'intento evidente di sostenere la tesi che, oggi come allora, sarebbero stati gli scandali di una società libertina ad aver provocato il fallimento della politica e delle istituzioni, perché alcuni «pochi invertiti» avrebbero

«infettato» il tessuto sociale con la loro assenza di moralità; nelle sue dichiarazioni inoltre si dice, tra l'altro, che «Cartagine, la capitale dell'Africa romana, contendeva ad Alessandria e ad Antiochia il primato della dissolutezza e godeva della reputazione di essere il paradiso degli omosessuali». «A Cartagine quel vizio era una peste, anche se i travestiti non erano moltissimi. Succedeva, però, che l'effeminatezza di alcuni pochi contagiava la maggioranza. Si sa, per quanto pochi siano ad assumere atteggiamenti svergognati, sono molti a contagiarsi con le oscenità di quella minoranza. Un'unica prostituta fa fornicare molti uomini e lo stesso succede con l'abominevole presenza di pochi invertiti: infettano un bel po' di gente. Gli uomini effeminati e gli omosessuali non avranno parte al Regno di Dio»;
a seguito di queste dichiarazioni è stato anche lanciato un appello che ha raccolto decine di migliaia di firme, nel quale si chiedono le dimissioni di Roberto De Mattei dalla carica di vice presidente del CNR, nominato a tale carica dall'allora Ministro dell'istruzione Letizia Moratti nel 2004, poi riconfermato nel 2008 -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto dichiarato dal vice presidente del Cnr, così come richiamato in premessa;
quali siano le ragioni scientifiche per le quali Roberto De Mattei è stato confermato vice presidente del Cnr nel 2008;
se corrisponda al vero la notizia che per sostenere le sue tesi antiscientifiche riguardo all'origine dell'uomo nel 2009 il Cnr ha pubblicato un volume con le tesi antievoluzioniste di Roberto De Mattei, costato 9.000 euro di denaro pubblico;
se non ritenga il Governo che le tesi di Roberto De Mattei siano in netto contrasto, vista la sua duplice veste di rappresentante autorevole di un ente pubblico di scienza, rispetto alle sue personali convinzioni religiose, e se questo non causi un grave danno alla comunità scientifica e per l'immagine dell'Italia anche all'estero;
quale iniziativa urgente intenda assumere il Governo affinché frasi sconvenienti, offensive e lesive della dignità di centinaia di migliaia di cittadini italiani espresse da Roberto De Mattei, non abbiano più a ripetersi, per lo meno nella veste di vice presidente del Cnr.
(4-11557)

...

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:

GENOVESE. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
ormai da settimane l'equipaggio di un rimorchiatore d'altura italiano, l'Asso Ventidue della società armatrice «Augusta Offshore», è trattenuto nel porto di Tripoli da uomini armati;
a bordo dell'imbarcazione sequestrata vi sono undici uomini di equipaggio, fra cui otto italiani, ai quali non è concesso al momento di far ritorno in patria;
la Farnesina, oltre alle rassicurazioni generiche sullo stato di salute dei componenti l'equipaggio e sull'impegno del Governo italiano nell'attivare i canali necessari per risolvere il problema, non ha fornito ai familiari notizie più precise sul sequestro della nave e sull'evolversi della situazione;
occorre, inoltre, sottolineare il fatto, estremamente spiacevole, che i congiunti dei marinai bloccati nel porto di Tripoli abbiano appreso la notizia direttamente dagli organi di informazione;
il protrarsi della vicenda, che si svolge in uno scenario di guerra civile, l'ansia dell'attesa e la parzialità delle informazioni amplificano ancora di più la sensazione di angoscia che vivono i familiari dei marinai fermati in Libia;
la necessità di operare con estrema riservatezza, metodo condiviso pienamente anche dai familiari dell'equipaggio dell'Asso

Ventidue, non esime il Governo dall'assistere e dal mantenere costantemente informati questi ultimi -:
se intenda, nei limiti della riservatezza necessaria per il buon fine della vicenda, tenere maggiormente e costantemente informati, sull'evolversi della situazione, i familiari dell'equipaggio del rimorchiatore italiano trattenuto da uomini armati nel porto di Tripoli.
(4-11548)

MANCUSO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
una delle proposte presentate dal comitato direttivo per i diritti umani al Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sulla riforma della Corte europea dei diritti dell'uomo riguarda l'imposizione del pagamento delle spese di procedimento per i ricorrenti;
la supposta ratio di tale proposta sarebbe il tentativo di limitare il numero di ricorsi infondati;
ricorrere alla Corte europea costituisce, per gli Stati membri, un diritto precipuo e non limitabile in alcun modo;
essendo la giustizia il fondamento della corte, essa in nessun caso può inserire nella sua procedura l'ingiustizia lampante di una discriminazione che emarginerebbe le persone più povere per la sola ragione di non potersi permettere di coprire le spese legali necessarie -:
se il Governo intenda esprimere, presso le sedi istituzionali europee preposte, il proprio dissenso alla citata proposta;
se il Governo intenda sostenere le altre due proposte presentate dalla conferenza delle OING, che chiedono:
a) di prevedere sanzioni pecuniarie nei confronti degli Stati convenuti in caso di ricorsi ripetitivi;
b) di fornire a livello nazionale, attraverso le istituzioni nazionali dei diritti dell'uomo e la rete delle associazioni che operano in quel settore, informazioni chiare ed esaurienti, sui criteri e sulle condizioni per portare un caso davanti alla Corte.
(4-11553)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:

GALATI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel dossier «Acque nere» presentato a Catanzaro da Legambiente viene tracciato un quadro sconfortante in merito alla depurazione calabrese che rischia di «avvelenare» e intorbidire una nuova stagione turistica in Calabria;
dei circa 700 impianti tra grandi, medi e piccoli, sparsi in tutta la Calabria, la maggior parte non funziona o funziona male, con il risultato che oltre il 62 per cento dei cittadini non è servito da un sistema efficiente di smaltimento dei reflui;
nonostante le ripetute segnalazioni, i sequestri, i dieci anni di gestione straordinaria e centinaia di milioni di euro stanziati per mettere a norma impianti guasti o ripristinare quelli in stato di totale abbandono, la situazione è drammatica. Come è emerso dall'ultima edizione di Goletta Verde, la Calabria risulta sul podio delle regioni con il mare più inquinato insieme a Campania e Sicilia;
i dati ufficiali degli ultimi 5 anni relativi alle attività delle forze dell'ordine e della magistratura, consultati da Legambiente, rivelano una condizione preoccupante e le storie delle indagini descrivono una realtà addirittura peggiore: manutenzione degli impianti inesistente, scarichi non allacciati perché all'interno di lottizzazioni abusive senza rete fognaria, versamenti illegali di fanghi di lavorazione industriale nei corsi d'acqua. Tra il 2006 e il 2010, i carabinieri del Nucleo tutela

dell'ambiente, la Guardia di finanza, il Corpo forestale dello Stato e le capitanerie di porto hanno accertato ben 1.689 reati legati alla depurazione e agli scarichi illegali in mare e la provincia di Reggio Calabria con 694 infrazioni accertate (41 per cento del totale) detiene il record regionale di reati;
il nuovo corso della regione Calabria, attraverso il responsabile del settore ambientale, ha mostrato particolare attenzione al tema della depurazione. L'Assessorato all'ambiente da subito ha fronteggiato la stagione estiva 2010 attraverso la promozione e il finanziamento di piccoli interventi sugli impianti di depurazione per garantirne la funzionalità. C'è l'ineludibile necessità, però, di intervenire non con interventi tampone ma con azioni di ampia portata che aiutino la Calabria a proporre una migliore gestione nella depurazione che aiuti lo sviluppo della propria offerta turistica;
interventi che dovrebbero prevedere un'azione sinergica della regione Calabria con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero dell'interno con compiti specifici riguardanti da una parte il miglioramento strutturale nella gestione ambientale della depurazione e dall'altra contrasto e controlli adeguati per eliminare illeciti, inefficienze ed irregolarità -:
alla luce di quanto emerso nel dossier presentato da Legambiente, se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda assumere ogni iniziativa di competenza per supportare la regione Calabria nella programmazione e nell'attuazione di una serie di interventi per rendere efficiente un sistema di depurazione regionale con gravi carenze strutturali;
se il Ministero dell'interno intenda agire attivando un'eventuale task force tecnica in grado di garantire il necessario supporto alla regione Calabria, nonché coordinare le attività di controllo e verificare la programmazione degli investimenti per favorire il contrasto degli illeciti nel settore della depurazione.
(3-01583)

Interrogazioni a risposta scritta:

PIFFARI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
l'articolo n. 1, comma 1116, della legge n. 296 del 2006, prevede la realizzazione di un sistema integrato per il controllo e la tracciabilità dei rifiuti, in funzione ed in rapporto alla sicurezza nazionale e alla prevenzione e repressione dei gravi fenomeni di criminalità organizzata in ambito di smaltimento illecito dei rifiuti;
l'articolo n. 2, comma 24, del decreto legislativo n. 4 del 2008 stabilisce l'obbligo, per alcune categorie di soggetti, di installazione ed utilizzo di apparecchiature elettroniche, ai fini della trasmissione e raccolta di informazioni su produzione, detenzione, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti;
l'articolo n. 14-bis del decreto-legge n. 78 del 2009 affida al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la realizzazione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti speciali e di quelli urbani limitatamente alla regione Campania, attraverso uno o più decreti che dovranno, tra l'altro, definirne i tempi e modalità di attivazione; data di operatività del sistema; informazioni da fornire; modalità di fornitura e di aggiornamento dei dati; modalità di interconnessione ed interoperabilità con altri sistemi informativi; modalità di elaborazione dei dati; modalità con le quali le informazioni contenute nel sistema informatico dovranno essere detenute e messe a disposizione delle autorità di controllo; entità dei contributi da porre a carico dei soggetti obbligati per la costituzione e funzionamento del sistema;
la direttiva UE 2008/98/CE, stabilisce l'obiettivo di ridurre al minimo le conseguenze della produzione e della gestione di rifiuti per la salute umana e per l'ambiente (articolo n. 1); riconosce il principio «chi inquina paga» (articolo n. 14); obbliga gli Stati ad adottare misure affinché

produzione, raccolta, trasporto, stoccaggio e trattamento dei rifiuti pericolosi siano eseguiti in condizioni da garantire protezione dell'ambiente e della salute umana; a tal fine prevede, tra l'altro, l'adozione di misure volte a garantire la tracciabilità dalla produzione alla destinazione finale ed il controllo dei rifiuti pericolosi, per soddisfare i requisiti informativi su quantità e qualità di rifiuti pericolosi prodotti o gestiti (articolo 17) e stabilisce che le sanzioni debbano essere efficaci, proporzionate e dissuasive (articolo n. 36);
nel 2009 è stato istituito un sistema informativo atto a monitorare i rifiuti pericolosi in forza della tracciabilità degli stessi, il cosiddetto SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti);
l'informatizzazione dell'intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani per la regione Campania semplifica le procedure e gli adempimenti riducendo i costi sostenuti dalle imprese e gestisce in modo innovativo ed efficiente un processo complesso e variegato con garanzie di maggiore trasparenza, conoscenza e prevenzione dell'illegalità. La lotta alla illegalità nel settore dei rifiuti speciali costituisce una priorità del Governo per contrastare il proliferare di azioni e comportamenti non conformi alle regole esistenti e, in particolare, per mettere ordine a un sistema di rilevazione dei dati che sappia facilitare, tra l'altro, i compiti affidati alle autorità di controllo;
nell'ottica di controllare in modo più puntuale la movimentazione dei rifiuti speciali lungo tutta la filiera, viene pienamente ricondotto nel SISTRI il trasporto intermodale e posta particolare enfasi alla fase finale di smaltimento dei rifiuti, con l'utilizzo di sistemi elettronici in grado di dare visibilità al flusso in entrata ed in uscita degli autoveicoli nelle discariche;
con il SISTRI lo Stato intende dare, inoltre, un segnale forte di cambiamento nel modo di gestire il sistema informativo sulla movimentazione dei rifiuti speciali. Da un sistema cartaceo - imperniato sui tre documenti costituiti dal Formulario di identificazione dei rifiuti, Registro di carico e scarico, Modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) - si passa a soluzioni tecnologiche avanzate in grado, da un lato, di semplificare le procedure e gli adempimenti con una riduzione dei costi sostenuti dalle imprese e, dall'altro, di gestire in modo innovativo e più efficiente, e in tempo reale, un processo complesso e variegato che comprende tutta la filiera dei rifiuti, con garanzie di maggiore trasparenza e conoscenza;
nel 2010 tutte le imprese che producono rifiuti pericolosi hanno dovuto versare al Sistri in media 120 euro e hanno dovuto avvalersi di un consulente per le varie relative operazioni con conseguenti costi aggiuntivi;
da agosto a novembre 2010 le medesime ditte hanno dovuto versare ulteriori 16,00 euro a cui vanno aggiunte le spese per il bollettino postale alle camera di commercio industria artigianato e agricoltura territorialmente competenti per il ritiro della USB prevista dalla procedura Sistri;
la maggior parte delle imprese ha dovuto chiedere la consulenza di un tecnico informatico per la gestione informatizzata collegata alla USB e per le operazioni collegate (scarico dei manuali informatici gestionali collegati a codici e sottocodici e password), gravandosi di ulteriori spese di assistenza;
è stato fissato il termine ultimo di pagamento entro fine aprile per le aziende iscritte al SISTRI per la tassa (variabile) di 120 euro per l'anno 2011;
sinora le USB ritirate non sono utilizzabili a cagione di problematiche attinenti al «sistema informatico» che, come illustrato dianzi, non è ancora in funzione;
la maggioranza delle aziende, sia produttrici che trasportatrici di rifiuti, sono attualmente dotate di registro, formulario, provvedono a redigere il Mud annuale (modello unico di dichiarazione attraverso

il quale devono comunicare le quantità di rifiuti prodotti, conferiti e/o avviati al recupero e/o trasportati nell'anno precedente la dichiarazione);
i soli enti delegabili dalle aziende (per le operazioni di gestione del «sistema informatico») previsti dalla normativa vigente, attualmente sono solo le associazioni di categoria e le loro società di servizi collegate, mentre le piccole imprese spesso si rivolgono al loro organismo fiduciario (esempio: consorzio) o al consulente amministrativo e fiscale -:
quali siano i motivi e le problematiche tecniche sottese per le quali ad oggi il sistema Sistri non risulta ancora operativo e quando se ne preveda l'entrata in funzione;
se non sia il caso di aumentare e migliorare i controlli aventi ad oggetto lo smaltimento dei rifiuti pericolosi ripristinando temporaneamente, ad esempio, la registrazione manuale, effettuando controlli incrociati attraverso i sistemi informatizzati regionali (provinciali, per le province autonome di Trento e di Bolzano) e delle camere di commercio e incrociando i dati e le dichiarazioni annuali MUD presentate alle varie camere di commercio con l'elenco delle tipologie di imprese che «notoriamente» producono (o dovrebbero produrre) rifiuti;
se non sia il caso di diminuire i costi per le piccole e medie imprese in ordine alle procedure in rilievo e se non sia opportuno prevedere il rimborso dei versamenti delle imprese i contributi di iscrizione annuale al SISTRI visto che il sistema de quo non risulta ancora operativo.
(4-11545)

PIFFARI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da un articolo pubblicato dal quotidiano «Brescia Oggi» del 15 gennaio 2011 si apprende che, dopo un anno di campionamenti da parte dell'ARPA, agenzia regionale della Lombardia, il quartiere bresciano di San Polo registra concentrazioni di pcb e diossine nell'aria 200 volte superiore rispetto ad altri quartieri della città;
il lavoro di monitoraggio sulle polveri sedimentate da parte dell'Agenzia regionale protezione ambiente è iniziato nella seconda metà del 2008 in tre punti diversi della città di Brescia: via Cantore, via Zammarchi e via San Polo, nei pressi dello stabilimento Alfa Acciai;
a livello normativo non esiste un valore di riferimento che consenta una classificazione certa del livello di contaminazione dell'aria, al contrario di quanto stabilito per la contaminazione del suolo, tuttavia dal 20 agosto al 6 settembre 2009 suddetti campionamenti ARPA hanno registrato valori di deposito totale di diossine e pcb pari a 1 in via Cantore a fronte di un valore di 205 in via San Polo;
da un articolo di Bresciaoggi.it del 22 gennaio 2011 si apprende che l'acciaieria bresciana Alfa Acciai è la prima azienda della Lombardia a essere multata a causa della violazione delle regole di valutazione dell'impatto ambientale;
dallo stesso quotidiano on-line Bresciaoggi del 30 gennaio 2011 si apprende altresì la notizia del sequestro in Sardegna, presso l'azienda Portovesme srl che recupera metalli dai fumi delle fonderie, di tre tir e 70 tonnellate di rifiuti radioattivi e provenienti dalla fonderia bresciana Alfa Acciai di via San Polo;
contatori «geiger» alla mano, i tecnici sardi dell'Arpas hanno confermato la presenza di inquinamento radioattivo sui mezzi bresciani nonostante la quantità di becquerel (unità di misura della radioattività) e il relativo livello radioattivo risulterebbero bassi;
nel 1997 all'Alfa Acciai si registrò un caso di inquinamento radioattivo a seguito del quale la regione impose l'obbligo di

sorveglianza radiometrica sui rottami effettuata da ditte in regime di autocontrollo non collegato ad Arpa e asl;
da un articolo pubblicato da «Il Giorno» edizione di Brescia, del 2 marzo 2011, a causa delle 55 tonnellate di rifiuti radioattivi contaminati da cesio 137 prodotti da Alfa Acciai, la stessa Arpa ha ammesso un'anomalia nella filiera -:
se i Ministri interrogati siano al corrente dei livelli di diossina rivelati nel quartiere di via San Polo di Brescia, in prossimità della Alfa Acciai, e se non ritengano opportuno intervenire per quanto di competenza;
se i Ministri, in considerazione di quanto in precedenza esposto sull'attività dell'Alfa Acciai, non reputino altrettanto urgente intervenire per approfondire cause e provenienza di rottami radioattivi anche attraverso una verifica approfondita del sistema di gestione e transito dei prodotti in entrata e uscita dalla succitata azienda.
(4-11555)

...

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il codice dell'ordinamento militare all'articolo 210, recante Attività libero professionale del personale medico prevede che «In deroga all'articolo 894, comma 1, ai medici militari, per le finalità di cui all'articolo 6-bis del decreto-legge 24 aprile 1997, n. 108, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 giugno 1997, n. 174, non sono applicabili le norme relative alle incompatibilità e al cumulo degli impieghi previste per il personale militare e per quello civile, nonché le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il servizio sanitario nazionale»;
lo stesso Codice dell'ordinamento prevede all'articolo 2269, comma 70, l'abrogazione del Regio decreto 17 novembre 1932, «Regolamento sul servizio sanitario militare territoriale»;
la nota della direzione generale per il personale militare n. DGPM/III/7/5/4352 in data 11 aprile 2000, in risposta a specifico quesito, precisava che «l'unica fonte legittimatrice dell'attività in questione rimane l'articolo 6 paragrafo 25 del citato regio decreto 17 novembre 1932, ad oggi abrogato». Tale nota precisava ulteriormente, tra l'altro che le altre norme citate a sostegno per la legittimazione dell'attività extra professionale, tra cui all'articolo 6-bis del decreto-legge 24 aprile 1997, n. 108, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 giugno 1997, n. 174 «lungi dall'aver portata generale, nel complesso avevano esaurito la loro efficacia nel tempo oppure esplicano effetti sono nei confronti di determinati soggetti che si trovino in determinati condizioni». In particolare, per l'articolo in parola secondo il parere della direzione generale per il personale militare, «non sembra avere portata generale ma bensì circoscritto ai medici militari impegnati nella missione in Albania, estendendo questi le norme relative alle attività svolte nell'ambito degli istituti penitenziari e apparentemente solo in tale ambito» e solo per il periodo di tempo indicato nel provvedimento;
sembra evidente, a parere degli interroganti, che sia totalmente mutato l'orientamento e l'interpretazione del Ministero della difesa sulla valenza generale della precitata norma, che invece nei fatti ha esaurito ogni effetto, e si richiede nella circostanza di esplicitare le motivazioni -:
se si intendano delineare limiti formalizzati alle attività libero professionale del personale medico militare allo scopo di evitare nocumento alla salute della comunità

militare, anche tenendo conto della non possibilità di controllo anche orario sulle prestazioni effettuate;
se non si ravvisi opportuno promuovere un'organica revisione della disciplina delle attività extraprofessionali prevedendo l'estensione su base di criteri certi e determinati la possibilità di svolgere attività extraprofessionale e attività di natura intramoenia nelle strutture sanitarie militari, per il mantenimento delle capacità sanitarie e cliniche alle altre categorie di personale sanitario militare (veterinari, psicologi, odontoiatri, infermieri e altre professioni sanitarie), del personale delle altre professioni intellettuali in servizio nella difesa (avvocati, ingegneri, commercialisti) e del personale specializzato in attività tecnico-scientifica forense;
quali urgenti iniziative il Ministro della difesa intenda assumere per chiarire compiutamente il quadro sopra delineato.
(4-11559)

...

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per sapere - premesso che:
con l'articolo 57 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, finalizzato al riordino della organizzazione delle amministrazioni centrali dello Stato, attuativo della delega di cui all'articolo 11 della legge 15 marzo 1997 n. 59, sono state istituite le agenzie fiscali, tra cui l'Agenzia delle entrate;
l'articolo 66 decreto legislativo n. 300 del 1999 ha previsto che le agenzie fiscali sono regolate dal predetto decreto legislativo e dai rispettivi statuti e che l'articolazione degli uffici è stabilita con disposizioni interne che si conformano a criteri di economicità ed efficienza;
ai sensi dell'articolo 97, comma 3, della Costituzione «Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede per pubblico concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge» e ai sensi dell'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001 «L'accesso alla qualifica di dirigente nelle Amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene per concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione»;
l'Agenzia delle entrate in data 30 novembre 2000 ha emanato il proprio Regolamento di amministrazione in forza del quale all'articolo 12 rubricato: «Accesso alla dirigenza» è così stabilito: «L'accesso al ruolo di dirigente dell'Agenzia avviene, per i posti vacanti e disponibili, con procedure selettive pubbliche sia dall'esterno che dall'interno nel rispetto dei principi di cui all'articolo 36 del decreto legislativo n. 29/93 ». A tale previsione fa da contraltare l'articolo 24 rubricato «Copertura provvisoria di posizioni dirigenziali»: «Fatta salva l'applicazione dell'articolo 12, per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti all'atto del proprio avvio, l'Agenzia può stipulare, previa specifica valutazione dell'idoneità a ricoprire provvisoriamente l'incarico, contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l'attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, con l'obbligo di avviare nei sei mesi successivi la procedura selettiva. Per inderogabili esigenze di funzionamento dell'agenzia, le eventuali vacanze sopravvenute possono essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l'urgenza, con le stesse modalità di cui al comma 1, fino all'attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e comunque fino al 31 dicembre 2010»;

in virtù di tali norme, per particolari esigenze di servizio l'agenzia può quindi stipulare, previa specifica valutazione comparativa dell'idoneità a ricoprire provvisoriamente l'incarico, contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari con l'obbligo di avviare rapidamente le procedure selettive;
le deroghe al principio secondo cui agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso devono pertanto essere delimitate e sono legittime solo in presenza di «peculiari e straordinarie» esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle;
la Dirstat, il sindacato dei direttivi e dei dirigenti pubblici, ha diffidato il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle entrate in quanto ritiene che quest'ultima, dal momento della sua costituzione, proceda al conferimento di incarichi dirigenziali disattendendo i principi costituzionali e normativi di uguaglianza davanti alla legge, di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione, nonché le disposizioni che prevedono l'accesso nelle pubbliche amministrazioni mediante regolari procedure concorsuali;
secondo il sindacato il conferimento dell'incarico dirigenziale previsto in casi eccezionali, e in via del tutto provvisoria, sarebbe diventato prevalente alterando le nome regolamentari che statuiscono nei sei mesi dal conferimento dell'incarico temporaneo la indizione del regolare concorso;
quanto rilevato si evince in modo inequivocabile dalla delibera n. 55 del 2009 di modifica all'articolo 24 del Regolamento di amministrazione con la quale l'Agenzia delle entrate ha ottenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze la proroga del termine di affidamento di incarichi dirigenziali della terza area di un ulteriore anno (dicembre 2010), non supportando tale decisione con congrue e valide motivazioni;
la Corte costituzionale con le sentenze n. 103 e 104 del 2007, n. 161 del 2008 e n. 69 del 2011 ha negato la costituzionalità di «una dirigenza di fiducia» e ribadito la necessità di selezionare i dirigenti sulla base di criteri selettivi imparziali e trasparenti;
attualmente presso l'Agenzia delle entrate le posizioni dirigenziali conferite (reggenze), senza aver posto in essere le regolari procedure concorsuali previste da leggi e regolamenti, sarebbero circa 700, selezionate secondo criteri discrezionali e a volte privi dei requisiti richiesti e addirittura del prescritto diploma di laurea, disattendendo le statuizioni della Corte di Cassazione relative al rispetto delle disposizioni normative sulla trasparenza e l'imparzialità delle procedure, dando per scontato il diploma di laurea;
è stato indetto da parte del direttore dell'Agenzia delle entrate, su autorizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze quale organo controllore ad essa sovraordinato, in data 29 ottobre 2010, un nuovo concorso per 175 posti di dirigente di seconda fascia, con criteri ad avviso degli interpellanti poco chiari, in modo particolare per quanto attiene la valutazione dei titoli di servizio, e in evidente contrasto con i princìpi di economicità, efficienza, efficacia e, in definitiva, con il principio di buon andamento dell'azione amministrativa;
il concorso bandito, oggetto di diffida da parte della Dirstat, ha infatti disatteso lo scorrimento delle graduatorie di precedenti concorsi per dirigenti, nonostante la legislazione vigente ne avesse prorogata la validità al 31 dicembre 2010 e la recente sentenza del Tar del Lazio (sentenza n. 1686 del 15 settembre 2009) avesse dichiarato l'obbligatorietà per le amministrazioni pubbliche di far ricorso ad esse, ribadendo ulteriormente la consolidata giurisprudenza (Tar Lazio sentenza n. 536 del 30 gennaio 2003), che recita espressamente: «lo scorrimento di una graduatoria di concorso ancora valida, costituisce atto d'obbligo e non meramente discrezionale della Pubblica Amministrazione» e poi

ancora della sentenza n. 3055 del 9 febbraio 2009 - Sezioni unite della Corte di cassazione, che in modo inequivocabile riafferma, quale atto dovuto, lo scorrimento delle graduatorie ancora valide con atti normativi;
la procedura risponde, sempre ad avviso degli interpellanti, a logiche non trasparenti e discrezionali, in quanto nel bando di concorso è prevista l'attribuzione di un punteggio aggiuntivo (da quantificarsi in separata sede) per quanti abbiano beneficiato di funzioni dirigenziali e perché tra la pletora dei beneficiari (nessuno afferente alla graduatoria degli idonei) la maggior parte risulterebbe priva dei requisiti minimali necessari per potervi legalmente ambire -:
come intendano i Ministri interrogati procedere, per le parti di propria competenza, per evitare che l'ampia discrezionalità e autonomia da parte dell'Agenzia delle entrate nell'assegnazione di incarichi dirigenziali diventi una prassi consolidata, nonostante il reclutamento di dirigenti senza indire regolari procedure concorsuali sia in contrasto con i principi costituzionali e normativi vigenti e sia previsto dai regolamenti attuativi delle Agenzie fiscali solo in casi eccezionali e in via provvisoria;
quali iniziative i Ministri intendano adottare, per le parti di propria competenza, nei confronti dell'Agenzia delle entrate che ha ritenuto di non procedere allo scorrimento delle graduatorie ancora valide di concorsi già effettuati e di bandire un nuovo concorso per dirigenti, ad avviso degli interpellanti in situazione di contrasto con la legislazione vigente e con la giurisprudenza consolidata, nonché con i principi di economicità, efficacia ed efficienza.
(2-01049)
«Ciccanti, Nunzio Francesco Testa, Enzo Carra, Naro, Capitanio Santolini».

Interrogazione a risposta in Commissione:

NIZZI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il fermo amministrativo è un atto con il quale le amministrazioni o gli enti competenti (comuni, INPS, regioni, Stato, e altri), tramite i concessionari della riscossione, bloccano un bene mobile del debitore iscritto nei pubblici registri o dei coobbligati, al fine di riscuotere i crediti non pagati che possono riferirsi a tributi o tasse oppure a infrazioni relative al codice della strada;
decorsi 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili registrati senza l'emissione di preavvisi o solleciti prima dell'iscrizione del fermo;
attualmente la legge non prevede un importo minimo dovuto per avviare la procedura di fermo ma esiste soltanto una direttiva interna di Equitalia, che è a capo di tutte le agenzie di riscossione del Paese, secondo la quale il fermo può riguardare soltanto debiti superiori ai 50 euro;
nel corso degli anni sono state numerose le contestazioni dei cittadini che si sono visti applicare il fermo per un debito irrisorio o comunque sproporzionalmente minore al valore del bene oggetto di fermo;
inoltre, nel caso di pagamenti non dovuti il cittadino non può contestare il preavviso di fermo e sospendere l'esecuzione dell'atto ma solo fare ricorso al fermo chiedendo al giudice l'accertamento delle somme, in questo caso però l'interessato non può riavere la disponibilità del bene fino alla fine del procedimento che solitamente ha tempi molto lunghi;
nonostante anche l'Associazione dei consumatori sia intervenuta più volte denunciando queste lacune normative che portano un evidente svantaggio al cittadino, al momento non ci sono diverse

disposizioni da parte dell'Agenzia delle Entrate che lascia operare Equitalia in maniera discrezionale -:
se non ritenga di dover effettuare una verifica sulle attuali norme procedurali del fermo amministrativo in modo da permettere al cittadino sempre la legittima difesa contro eventuali pretese da parte delle amministrazioni pubbliche rendendo l'attività di riscossione corretta e trasparente, considerando che spesso l'autovettura costituisce un bene di prima necessità come mezzo per recarsi sul posto di lavoro o provvedere all'assistenza agli anziani.
(5-04578)

...

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

GINEFRA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
«l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere» ha dato notizia che il 31 marzo 2011 C.S., 22 anni di Manduria (Taranto), nella Casa Circondariale di Bari, avrebbe tentato il suicidio per impiccagione;
secondo la nota diffusa, «a trovarlo penzoloni sono state le guardie che lo hanno tirato giù quando respirava appena. In suo aiuto è intervenuto il personale dell'infermeria e del 118 di Bari. Trasportato in ospedale è ora ricoverato in condizioni disperate nella rianimazione del policlinico, dove è mantenuto in vita dalle macchine. L'elettroencefalogramma di ieri è risultato piatto, come quello del giorno precedente, per cui da un momento all'altro i sanitari potrebbero decidere di staccare la spina del respiratore.»;
C.S. è parte civile in un processo contro nove agenti di polizia penitenziaria del carcere minorile di Lecce accusati di maltrattamenti e vessazioni nei confronti di alcuni ospiti dell'istituto di pena per minori, tra i quali lo stesso C.S. che era ospite della struttura 6 anni fa;
come fanno sapere i suoi familiari, C.S. soffre da tempo di crisi depressive ed è in cura, assumendo tranquillanti;
il suo avvocato, Tania Rizzo, lo aveva visto l'ultima volta una ventina di giorni fa nel corso di un'udienza che lo riguardava nel tribunale di Manduria;
secondo quando affermato dalla legale che avrebbe rilasciato una dichiarazione a mezzo stampa: «in quell'occasione C.S. era visibilmente agitato, nervoso e scostante.»;
secondo quanto si apprende a mezzo stampa da una nota diffusa dopo il tentativo di suicidio, «il giovane era detenuto per furto, ma era anche parte civile nel processo in corso davanti al Tribunale di Lecce contro nove poliziotti del carcere minorile, che sono accusati di aver compiuto violenze sui detenuti tra il 2003 e il 2005. C.S., che all'epoca aveva 16 anni, sarebbe stato vittima, assieme ad altri ragazzi, di vere e proprie sevizie. Il suo nome compare infatti nell'elenco delle presunte vittime dei nove agenti di polizia penitenziaria del carcere minorile di Lecce che il tribunale salentino sta processando perché accusati di maltrattamenti e vessazioni di ogni tipo nei confronti di alcuni ospiti dell'istituto di pena per minori»;
C.S., infatti, come spiegato ancora da «l'Osservatorio sulle morti in carcere», «è uno dei tre ex detenuti di quel minorile che ha trovato il coraggio di presentarsi come parte lesa nel processo iniziato il 19 febbraio scorso davanti giudice del tribunale di Lecce Pietro Baffa, che vede alla sbarra, per i presunti abusi nei confronti anche di C.S., il capo degli agenti Gianfranco Verri, il suo vice Giovanni Leuzzi, sette agenti di polizia penitenziaria, per rispondere tutte della presunta atmosfera

di paura instaurata tra i giovani detenuti con minacce, privazioni e violenze non di natura sessuale -:
qualora le notizie diffuse corrispondessero al vero, quali iniziative intenda assumere il Ministro per chiarire l'incresciosa vicenda.
(5-04576)

MAGGIONI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 2 dicembre 2010, con atto di sindacato ispettivo n. 4-09880 cui al momento non è ancora pervenuta risposta, è stata posta all'attenzione del Ministro della giustizia la grave carenza di personale riscontrabile presso gli uffici del giudice di pace di Mortara e Mede;
infatti, contrariamente a quello che prevede la loro pianta organica (presenza stabile di tre persone), attualmente nei suddetti uffici il cancelliere è presente non più di tre volte al mese, due delle quali dedicate al settore penale;
peraltro, la ripartizione di personale operata con decreto ministeriale 5 novembre del 2009 ha portato, a Mortara come a Mede, alla soppressione della figura del funzionario incaricato dell'attività di apposizione delle formule esecutive indispensabili per dare esecuzione alle pronunce (sentenze e decreti ingiuntivi) dei giudici di pace;
con la firma del contratto collettivo nazionale integrativo del personale non dirigenziale del Ministero della Giustizia, il 29 luglio del 2010, la situazione si è ulteriormente aggravata nella misura in cui fra le funzioni del cancelliere (corrispondente all'ex figura di assistente giudiziario B3) non vi è più quella di apporre formule esecutive, se non previo ordine scritto del capo ufficio;
nella fattispecie, la figura del capo ufficio corrisponde al giudice di pace dirigente che, nella generalità dei casi non ha voluto assumersi la responsabilità di eventuali vertenze sindacali volte all'ottenimento delle differenze retributive spettanti al cancelliere nel caso di svolgimento di mansioni superiori a quanto previsto nel cosiddetto «mansionario» del luglio 2010;
da quanto detto, emerge con chiarezza la situazione di totale paralisi in cui si trovano gli uffici in questione dove da tempo ormai non si procede alla pubblicazione di decreti ingiuntivi e sentenze, così come è estremamente difficile ottenere il rilascio di copie autentiche;
agli avvocati, è stato inoltre esplicitamente richiesto di evitare di provvedere al deposito di ricorsi per ingiunzione e alle iscrizioni a ruolo poiché risulta impossibile espletare le relative pratiche di cancelleria, con tutto ciò che questo comporta per le imprese locali, che non riescono a procedere al recupero coattivo dei loro crediti -:
se non ritenga di dovere porre rimedio a situazioni di così evidente paralisi dell'attività giudiziaria;
quali provvedimenti e iniziative di competenza intenda adottare per riportare negli uffici di Mortara e Mede la giustizia amministrativa ai livelli di efficienza e operatività necessari.
(5-04580)

Interrogazione a risposta scritta:

EVANGELISTI e PALOMBA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 30 marzo 2011 un giovane, Carlo Saturno, detenuto per furto presso la casa circondariale di Bari ha tentato, a quanto emerso da una prima ricostruzione, di suicidarsi impiccandosi;
il 7 aprile 2011 alle ore 11 è stata dichiarata la morte cerebrale del giovane e alle 19 dello stesso giorno sono state staccate le macchine che lo mantenevano in vita;
nei giorni precedenti alla disgrazia Carlo era stato protagonista di una violenta lite con un agente di polizia penitenziaria

in seguito alla quale è stato trasferito in cella d'isolamento, dove il 30 marzo viene rinvenuto dagli agenti di polizia penitenziaria appeso ad un lenzuolo;
i medici che lo assistono nel reparto di rianimazione del policlinico di Bari hanno manifestato alcune perplessità sul fatto che Carlo possa essere in fin di vita a causa di una asfissia provocata dal cappio del lenzuolo da lui stesso annodato;
la procura della Repubblica di Bari, a seguito delle perplessità manifestate dal personale sanitario del reparto di terapia intensiva, ha disposto una perizia dalla quale è emerso che i segni intorno al collo sarebbero compatibili sia con il tentativo di suicidio che con un eventuale strangolamento;
il giovane in passato aveva testimoniato contro 9 agenti penitenziari del carcere minorile di Lecce che nel periodo tra il 2003 ed il 2005 avrebbero commesso abusi e violenze su minori;
secondo quanto ricostruito dalla magistratura (il processo è iniziato il 19 febbraio 2010 dinanzi ai giudici della II sez. del Tribunale di Lecce) nell'istituto minorile di Lecce sarebbe stata costituita una «pseudo associazione di intenti» finalizzata a sopprimere con la violenza qualsiasi dissenso sia da parte dei giovani detenuti quanto del personale operante all'interno della stessa struttura detentiva;
in Italia i magistrati di sorveglianza sono 178 (l'organico è di 204) e ogni magistrato deve occuparsi mediamente di 394 detenuti;
ogni detenuto presenta circa dieci domande l'anno (ricoveri, reclami, liberazioni anticipate, misure alternative ed altro) e ogni giudice di sorveglianza è costretto a portare avanti circa quattromila procedimenti non potendo, così, esercitare le funzioni di controllo di legalità all'interno degli istituti penitenziari attraverso lo strumento delle ispezioni;
in Italia, contrariamente a quanto previsto in ben 22 Paesi membri dell'Unione Europea (Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, ed Ungheria), non esiste un organismo di controllo delle carceri e degli altri luoghi di privazione della libertà deputato a svolgere attività di protezione dei diritti delle persone ristrette;
la raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei ministri degli Stati membri sulle regole penitenziarie europee (adottata l'11 gennaio 2006 nel corso di una riunione dei Delegati dei Ministri) ha stabilito che le condizioni di alloggio dei detenuti devono soddisfare misure di sicurezza compatibili (tra l'altro) col rischio che i detenuti si feriscano;
la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito, in virtù di quanto previsto dall'articolo 3 della Convenzione (che sancisce in termini assoluti il divieto di tortura, pene o trattamenti disumani o degradanti), che lo Stato deve assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto nelle condizioni che sono compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione del provvedimento non espongano l'interessato a pericoli o a prove d'un'intensità che eccedano il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, avuto riguardo alle esigenze pratiche della detenzione, la salute e il benessere del prigioniero siano assicurati in modo adeguato -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se e con quali strumenti intenda intervenire per appurare gli accadimenti interni e le condizioni dell'istituto penitenziario di Bari al fine di far luce sul probabile tentato suicidio del giovane Carlo Saturno;
se ritenga, inoltre, di adottare iniziative normative urgenti finalizzate ad assicurare ad ogni detenuto condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana,

così come previsto anche dalla raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei ministri degli Stati membri sulle regole penitenziarie europee.
(4-11544)

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:

LOVELLI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in data 31 gennaio del 2011, a seguito di sinistro stradale avvenuto lungo l'autostrada A7 Milano-Serravalle, territorio del comune di Novi Ligure, i sovrappassi n. 70 e 71, che collegano le vie del Cantù e del Fossato con la Strada Grande o dell'Imperatore venivano seriamente danneggiati ed entrambi interdetti alla circolazione veicolare; il sovrappasso n. 70, pericolante, veniva poi fisicamente rimosso;
il sinistro stradale, rilevato dalla polizia stradale, è stato provocato da un autoarticolato trasportante due muletti, circolante sulla corsia sud, in direzione Genova che andava ad urtare con il proprio carico contro le travi in cemento armato dei sovrappassi n. 70 e n. 71, distanti l'uno dall'altro oltre 500 metri, danneggiandole seriamente;
la società autostrade Milano-Serravalle, con nota del 28 febbraio 2011, al Comando della Polizia Municipale di Novi Ligure, a firma del Direttore Ing. Gianlorenzo De Vincenti, rispondeva che il sovrappasso gravemente lesionato n. 71 sarebbe stato ripristinato entro il mese di maggio 2011, mentre per il n. 70, nel frattempo abbattuto, il ripristino sarebbe avvenuto entro la fine del mese di settembre 2011;
il protrarsi della situazione rende impossibili i collegamenti viabilistici garantiti dai due sovrappassi nel territorio del Comune di Novi Ligure danneggiando i cittadini e le attività economiche interessate -:
se sia a conoscenza dell'incidente avvenuto in data 31 gennaio 2011 sull'Autostrada A7 Milano-Serravalle, in comune di Novi Ligure e come intenda attivarsi nei confronti della società concessionaria affinché intervenga tempestivamente per il ripristino funzionale dei sovrappassi in premessa specificati.
(5-04579)

Interrogazioni a risposta scritta:

DESIDERATI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la Commission Regolation 859/2008, al capo Q, disciplina, congiuntamente al regolamento emanato da Enac, i limiti di impiego del personale navigante delle compagnie che operano nel trasporto pubblico passeggeri, che stabiliscono periodi massimi di volo e periodi minimi di riposo tra le attività;
tali limiti sono stati emanati dall'autorità europea e nazionale, sulla base di studi scientifici sulla fatica degli equipaggi ed il suo impatto sugli incidenti aeronautici, al fine di garantire un adeguato livello di sicurezza nelle operazioni di trasporto pubblico, sia per i passeggeri che per l'equipaggio stesso;
i limiti fissati impongono che il massimo periodo di servizio di volo sia di 13 ore di base con l'equipaggio minimo di due piloti e di 16 con tre piloti, condizione nella quale Alitalia normalmente opera sul Giappone (Tokyo e Osaka);
nei giorni immediatamente successivi alla catastrofe che ha colpito il Giappone, Alitalia ha chiesto ad Enac l'autorizzazione ad operare in deroga alle norme vigenti effettuando i collegamenti aerei con Tokyo da Roma e Milano con equipaggio doppio e quindi con 6 piloti ed Enac ha autorizzato ad operare con un limite di 28

ore consecutive di servizio di volo, salve alcune condizioni dettate dal tipo di aeromobili che permettessero il riposo a bordo;
le altre compagnie aeree europee, non registrando alcun reale pericolo per gli equipaggi in sosta a Tokyo, hanno operato negli stessi giorni nel pieno rispetto dei limiti di impiego degli equipaggi, lasciando gli stessi in sosta per 24 ore presso gli alberghi con ampia disponibilità nelle vicinanze dell'aeroporto di Narita;
l'autorizzazione, concessa per due giorni, poteva essere prorogata di un ulteriore giorno dopo un'analisi dell'Enac sull'impatto dei voli effettuati sulla fatica degli equipaggi, svolta attraverso la raccolta di Air Safety Report stesi dall'equipaggio stesso e utile a giudicare l'adeguatezza dei tempi di riposo;
in linea di principio, qualsiasi operazione svolta in deroga alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza, pone un rischio aggiuntivo e tale rischio, nel caso in questione, non è stato supportato da nessun tipo di reale situazione di emergenza dichiarata che rendeva necessario operare voli in condizioni di eccezionalità;
i voli in questione, infatti, risultano essere stati regolari voli di linea, occupati da passeggeri paganti che, si ritiene, al momento dell'acquisto del biglietto, fossero ignari di viaggiare al di fuori delle normali garanzie di sicurezza -:
se, in riferimento a quanto esposto in premessa, il Ministro sia a conoscenza dei risultati delle analisi svolte da Enac sugli Air Safety Report compilati dall'equipaggio e quali siano quindi i dati ricavati che hanno portato l'Enac medesimo a prorogare di un ulteriore giorno la deroga alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza dei voli, aumentando nel contempo il rischio per gli ignari passeggeri.
(4-11549)

NACCARATO, MIOTTO, RUBINATO e SBROLLINI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nel piano regionale dei trasporti della regione Veneto, approvato dal consiglio regionale, è prevista la realizzazione della cosiddetta Superstrada Pedemontana Veneta che si dovrebbe sviluppare sul territorio regionale in direzione est-ovest con dei collegamenti anche in senso nord-sud;
secondo il progetto predisposto inizialmente uno di questi collegamenti in direzione nord-sud doveva essere ubicato nell'incrocio fra la variante alla strada statale 47 e la superstrada pedemontana nella zona a sud di Bassano del Grappa in comune di Rosà e doveva costituire il naturale proseguimento della strada statale 47 (della Valsugana) verso Venezia e verso Padova potenziando gli itinerari esistenti;
a seguito della conferenza dei servizi del 30 marzo 2001, con l'accordo di tutti i comuni interessati, tale svincolo e collegamento verso sud, è stato traslato più ad est in territorio del Comune di Mussolente;
tale collegamento, presente negli elaborati della Pedemontana da oltre un decennio, ha definito la programmazione territoriale e trasportistica per il collegamento nord-sud dell'area bassanese: risulta finanziato e inserito negli strumenti urbanistici dei comuni interessati con lo scopo di consentire un rapido accesso alla nuova statale del Santo e quindi a Padova;
recentemente è stato inaugurato il tratto mancante da Resana a Castelfranco Veneto, tratto finanziato e realizzato dalla società Veneto Strade;
in relazione al progetto per la realizzazione della superstrada Pedemontana Veneta, nonostante siano stati già individuati i corridoi di passaggio, i finanziamenti e, nel tempo, anche la possibilità di raddoppio di tale infrastruttura - sovvertendo una programmazione consolidata e condivisa - è stata ipotizzata la realizzazione di una nuova «bretella» stradale a ovest del comune di Bassano del Grappa (VI) che, con un andamento sinuoso, si

andrebbe ad innestare - deturpandolo - all'interno dell'area occupata da un parco regionale di ambito comprensoriale, istituito ai sensi della legge regionale 40 del 16 agosto 1984 articolo 27, che si estende nei comuni di Bassano del Grappa, Cartigliano, Rosà e, più a sud, nei comuni di Tezze sul Brenta e Fontaniva;
sull'area occupata dal suddetto parco comprensoriale, approvata dalla Regione Veneto e recepita dagli strumenti urbanistici comunali e provinciali, erano pendenti dal 2001 sei ricorsi di titolari di aziende di escavazione volti alla soppressione dei vincoli e allo stravolgimento dell'area;
tali ricorsi sono stati rigettati dapprima con sentenza n. 863/06 del 9 marzo 2006 dal TAR del Veneto e, successivamente, a seguito del ricorso in appello dei soccombenti, anche dal Consiglio di Stato con sentenza n. 659/2009 depositata il 5 febbraio 2009 che ha rigettato il ricorso confermando in toto la sentenza appellata;
attraverso questi pronunciamenti prima il TAR del Veneto poi il Consiglio di Stato hanno confermato la piena liceità dell'iter di approvazione delle delibere con le quali i comuni citati hanno deciso di istituire l'area del parco rurale comprensoriale, in conformità alla citata legge regionale 40 del 16 agosto 1984, articolo 27, al fine di salvaguardare ampi scorci del caratteristico paesaggio rurale del Veneto e il buon mantenimento della struttura della centuriazione romana ancora presente nella zona interessata;
le citate sentenze sostengono e rafforzano i princìpi ispiratori del parco rurale comprensoriale e la volontà dei comuni citati sui quali insiste il parco di tutelare il paesaggio;
in particolare, la sentenza del Consiglio di Stato n. 659 del 2009, nel rigettare il ricorso delle società di escavazione contro l'istituzione del parco deliberata dai citati comuni, afferma testualmente che non ha alcun rilievo «[...] l'argomento, su cui insiste particolarmente la difesa della Società appellante, incentrato sulla mancanza nell'area considerata di un particolare pregio ambientale e, anzi, della condizione in parte degradata dovuta a pregresse utilizzazioni edilizie o ad attività industriali in atto in zone limitrofe o confinanti con il parco. È evidente, infatti, che in un territorio fortemente antropizzato, interessato anche dalla realizzazione di una infrastruttura viaria importante (la cosiddetta Pedemontana Veneta, strada di grande comunicazione) possano sussistere problemi per il più equilibrato inserimento di un parco, ma ciò non significa che si debba tralasciare ogni forma di intervento di preservazione delle residue aree di interesse naturalistico e paesaggistico. Proprio in questi casi semmai, un intervento di conservazione e riqualificazione dei valori ambientali è più utile se non necessario [...]»;
inoltre, in relazione all'ipotizzata realizzazione di una nuova «bretella» che attraverserebbe il parco comprensoriale, né il PATI alta padovana - copianificato tra regione del Veneto e i comuni di Campo San Martino, Cittadella, Fontaniva, Galliera Veneta e Tombolo e approvato nella conferenza di servizi del 27 maggio 2009 - né la provincia di Vicenza hanno introdotto nei loro strumenti urbanistici tale previsione;
a conferma di quanto detto sopra si segnala che, in data 31 marzo 2011, la provincia di Vicenza ha definitivamente adottato il PTCP respingendo la proposta dell'amministrazione di Rosà di inserire la realizzazione della contestata «bretella» stradale;
su sei comuni interessati da questo ipotetico progetto di realizzazione della cosiddetta «bretella ovest», ben tre comuni (precisamente Fontaniva, Tezze sul Brenta e Cartigliano) hanno deliberato la assoluta contrarietà alla previsione di tale collegamento. Risulta perciò che solo i comuni di Rosà e Cittadella sostengano tale previsione, senza però aver inserito

tale opera nei propri strumenti urbanistici ed aver indicato le fonti di finanziamento o i programmi finanziari necessari per realizzarla -:
se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra esposti; quali misure intendano adottare per garantire il mantenimento della programmazione territoriale già prevista nel progetto definitivo della superstrada Pedemontana Veneta in riferimento alle interconnessioni nord-sud nel Bassanese, confermando la previsione viaria ad est e sostenendo il completamento verso Castelfranco Veneto e Padova e l'eventuale potenziamento futuro con il già programmato raddoppio, dal momento che gran parte dell'opera è in fase di progetto esecutivo e completamente finanziata come opera complementare alla superstrada Pedemontana Veneta; quali azioni i Ministri interrogati intendano porre in essere per evitare la deturpazione del territorio veneto compreso nel parco regionale comprensoriale che conseguirebbe alla realizzazione dell'ipotizzata «bretella ovest», compromettendo il buon mantenimento della storica struttura della centuriazione romana, in spregio alla programmazione trentennale dei comuni e delle province interessate, nonché della stessa Regione Veneto.
(4-11551)

...

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:

LO MONTE, COMMERCIO, LATTERI e LOMBARDO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la città di Messina, sebbene conti una popolazione superiore ai 250 mila abitanti ed abbia fortissime criticità territoriali, ha un comando provinciale dei vigili del fuoco di rango non adeguato alla sua dimensione e alla complessità dei problemi da affrontare in termini di sicurezza e di tutela della incolumità pubblica;
vi sono almeno tre città più piccole di Messina con criticità territoriali inferiori che possono vantare un comando provinciale dei vigili del fuoco di rango superiore, il che dimostra che troppo spesso le scelte non tengono conto dei dati incontrovertibili, quando non avvengono addirittura in conseguenza di protettorati politici;
decidendo di non potenziare il comando provinciale dei vigili del fuoco, si pone in essere una palese disparità di trattamento nei confronti dei cittadini di Messina e dell'importante rischio idrogeologico a cui sono sottoposti;
tenere sottodimensionato il comando provinciale dei vigili del fuoco, drasticamente ridotto rispetto ai livelli di molte città del nord, pone problemi sui livelli di sicurezza e di incolumità rispetto a città meno popolose e a minore rischio ambientale, dove è difficile che si verifichino episodi come l'evento calamitoso di Giampilieri del 2009;
sarebbe quanto mai opportuno organizzare un distaccamento stabile dei vigili del fuoco proprio a Giampilieri, in modo da consentire interventi più immediati, atteso che si tratta di una zona particolarmente a rischio e attualmente, vista la distanza dall'attuale sede dei vigili del fuoco di Messina, i tempi di intervento superano i trenta minuti;
sarebbe necessario potenziare il distaccamento di Milazzo, per favorire la tempestività dei soccorsi negli incendi a mare nonché gli interventi complessi che dovessero verificarsi nelle industrie del comprensorio e favorire l'istituzione di distaccamenti volontari nelle isole minori e in altri comuni del territorio interno, che oltre alle conclamate difficoltà, assommano quelle derivanti dai grandi afflussi turistici tipici dei periodi estivi;
anche per queste ragioni è fortemente diffuso il malessere presso i vigili del fuoco di Messina, che sono costretti a lavorare in condizione di continua emergenza

a causa della cronica mancanza di personale e mezzi, al punto tale da averlo manifestato persino con due scioperi -:
se il Governo intenda assumere le necessarie iniziative a fronte di un caso che mette insieme ritardi, indifferenze e indugi che determinano pericolo effettivo e insicurezza nella popolazione;
se il Ministro dell'interno abbia intenzione di procedere con urgenza al potenziamento del comando dei vigili del fuoco di Messina uniformandolo almeno al rango di città di pari numero di abitanti e di medesimo rischio territoriale e ambientale;
se il Ministro dell'interno intenda procedere all'istituzione di un distaccamento di vigili del fuoco presso Giampilieri;
se il Ministro dell'interno ritenga di potenziare il distaccamento dei vigili del fuoco di Milazzo, per consentire una più rapida prevenzione ed intervento nel comprensorio portuale ed industriale, tenuto conto che si trova in una realtà dove insistono industrie per la trasformazione di idrocarburi in siti adiacenti al centro abitato;
se il Ministro dell'interno intenda promuovere i distaccamenti volontari dei vigili del fuoco nelle isole minori e in altri comuni interni, meta di afflussi turistici estivi.
(4-11556)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:

SIRAGUSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la scuola siciliana per il prossimo anno scolastico, 2011/2012, vedrà il taglio di 2.534 cattedre. A soffrire di più sarà, ancora una volta, la scuola primaria in cui i posti in meno saranno 1085 - un numero più alto rispetto a quello indicato nelle tabelle del ministero che ne prevedeva 969;
anche per il prossimo anno la Sicilia sarà così la regione più colpita dalla scure del Governo, assorbendo il 12,8 per cento dei tagli previsti su tutto il territorio nazionale;
tagli in Sicilia anche nella scuola dell'infanzia, dove, nonostante l'aumento del numero degli iscritti, ci saranno 81 unità in meno;
i dati di cui sopra sono stati comunicati dall'ufficio scolastico regionale ai sindacati che ne hanno data diffusione con un comunicato stampa;
in un articolo pubblicato da il Giornale di Sicilia del 6 aprile 2011 si legge che i tagli previsti alla scuola secondaria «sembrerebbero 156, anche se la bozza ministeriale ne contava 267, mentre per le superiori non ci sono ancora comunicazioni, la bozza ministeriale ne segnava 1217 in meno»;
quello che emerge è un quadro allarmante e se i dati sopracitati venissero confermati verrebbero meno le condizioni minime per garantire il diritto allo studio in Sicilia: meno offerta formativa; meno tempo scuola; meno insegnanti di inglese nella primaria e classi sempre più numerose in una situazione già compromessa dai tagli degli scorsi anni;
la sentenza 41/2011 della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 1, comma 4-ter, del decreto legislativo n. 134 del 2009 perché viola l'articolo 3 della Costituzione, sancendo di fatto l'incostituzionalità dell'inserimento in coda e affermando il diritto alla mobilità lavorativa su tutto il territorio nazionale;
il tribunale del lavoro di Genova, con la sentenza 520 del 25 marzo 2011, ha condannato il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca a risarcire quindici lavoratori con contratto a tempo determinato, reiterato da tre a dieci anni, riconoscendo la possibilità della ricostruzione

di carriera, l'illegittimità dei contratti a termine e i danni derivanti dalla mancata nomina a tempo indeterminato con la previsione per ciascuno dei quindici ricorrenti di un risarcimento di circa 30 mila euro;
complessivamente il costo del risarcimento a carico dell'erario ammonta a circa 500 mila euro;
la decisione del tribunale di Genova si fonda sul mancato rispetto da parte del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca della direttiva dell'Unione europea 1999/70/CE, recepita nella normativa nazionale con il decreto legislativo n. 368 del 2001, il quale dispone, all'articolo 4, che un contratto a tempo determinato può essere prorogato non più di una volta e che la durata totale di uno o più contratti a tempo determinato non può superare i tre anni e, all'articolo 5, comma 4-bis, che uno o più contratti di durata superiore ai tre anni siano considerati contratti a durata indeterminata;
i ripetuti pronunciamenti della magistratura ordinaria hanno quindi riconosciuto diritti fondamentali per i lavoratori precari;
in questo contesto è urgentissimo intervenire per evitare il default del sistema scolastico siciliano -:
se non intenda affrontare in modo complessivo la questione della scuola, e in particolare quella della scuola siciliana, assumendo le necessarie iniziative per ripristinare le risorse previste prima dell'ultima tranche di tagli e predisponendo un piano di assunzioni che risolva la questione del precariato da una parte e garantisca la continuità didattica dall'altra.
(5-04575)

Interrogazioni a risposta scritta:

MAZZOCCHI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in tutte le regioni d'Italia, a decorrere dal 1o settembre 2011, molti dirigenti scolastici che hanno superato i limiti di età, verranno collocati a risposo;
oltre ai pensionamenti sopra citati per raggiunti limiti di età, si registreranno numerose dimissioni volontarie dal servizio;
tale situazione aumenterà, per l'anno scolastico 2011-2012, i posti vuoti;
già allo stato attuale, molte scuole italiane, risultano caratterizzate dalla figura del preside part-time, ovvero in prestito, poiché la carenza di dirigenti titolari, ha determinato negli anni, la necessità di attribuire gli incarichi di reggenza;
l'aumento della dimensione dei posti vacanti farà sì che il ricorso a tale istituto risulti superfluo rispetto al fabbisogno reale;
già oggi l'istituto della reggenza incombe negativamente sul dirigente dal momento che lo stesso si vede assegnare la responsabilità di un secondo istituto nel difficile tentativo di espletare tutte le funzioni che gli sono proprie a fasi però alterne;
di tale sacrificio risente la stessa funzionalità e qualità della scuola di cui si è titolari e di quella data in reggenza;
risulta prossima la pubblicazione del bando relativo alla procedura concorsuale per l'assunzione di nuovi dirigenti scolastici la cui assunzione, vista la tempistica per l'espletamento di tale concorso, dovrebbe avvenire a partire dal 1° settembre 2012;
la direttiva n. 94 del 4 dicembre 2009 stabilisce che il direttore dell'ufficio scolastico regionale possa motivare la mancata risoluzione del rapporto di lavoro nei confronti di coloro che abbiano maturato i quaranta anni di contributi, sulla base del numero di eventuali uffici dirigenziali vacanti nell'ambito regionale, per i quali si dovrebbe far ricorso alla reggenza, o delle particolari situazioni che rendano opportuna la continuità di direzione da parte

degli attuali titolari, anche in ragione della loro professionalità ed esperienza, nonché della mancanza nelle graduatorie di aspiranti alla nomina di dirigente scolastico;
l'istituto della reggenza non può colmare la carenza di dirigenti scolastici;
poiché i posti vacanti ad oggi risulterebbero essere circa 1.300 e, secondo alcune stime, da settembre 2011 rischiano di divenire 2.100 e per il 2012 addirittura 2.900;
se non ritenga opportuno valutare la possibilità di adottare provvedimenti volti ad accogliere le istanze motivate di trattenimento in servizio oltre il quarantennio contributivo ed i limiti di età dei dirigenti scolastici, disponibili a permanere in servizio fino al 31 agosto 2012, sia quelle di coloro che siano già beneficiari di un provvedimento di proroga con scadenza il 31 agosto 2011, sia quelle di coloro che non siano già beneficiari di un provvedimento di proroga, al fine di prevenire la difficile situazione che si verrà a creare per molte scuole italiane.
(4-11546)

CONCIA, CORSINI, CUPERLO e POLLASTRINI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il vicepresidente del consiglio nazionale delle ricerche Roberto de Mattei, già noto per aver organizzato nel 1999 un convegno antidarwiniano, e il cui pensiero trova spesso ospitalità su siti del calibro di Pontifex, celebre per le sue tesi omofobe e spesso anche antisemite, intervistato dall'emittente radiofonica Radio Maria, citando il padre della Chiesa Salviano da Marsiglia, ha sostenuto che l'impero romano crollò per volontà di Dio, che volle così punirlo attraverso i barbari per «l'abominevole presenza di pochi invertiti cui era piena Cartagine»;
«la Provvidenza, - ha proseguito - infatti, si sarebbe servita dei barbari per liberare l'impero dagli omosessuali»;
l'intervento radiofonico risale allo scorso mese di gennaio 2011, ma assume un valore assai particolare alla luce delle recenti dichiarazioni dello studioso in merito alla catastrofe giapponese;
i terremoti e lo tsunami che hanno devastato il Giappone sarebbero, dunque, secondo Mattei, «una voce terribile ma paterna della bontà di Dio»;
nell'intervista suddetta Mattei, inoltre, affermava che: «gli uomini effeminati e gli omosessuali non avranno parte al Regno di Dio», e che tra i barbari certe cose non accadevano, e che «i peggiori vizi vengono iscritti nelle leggi come diritti umani»;
se De Mattei non fosse il vice presidente del CNR, quelle sue dichiarazioni sarebbero prese per quello che sono, e cioè inaccettabili proclami di quello che agli interroganti appare un fanatico fondamentalista omofobo;
il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) è, come si legge sul sito, un ente pubblico nazionale con il compito di svolgere, promuovere, diffondere, trasferire e valorizzare attività di ricerca nei principali settori di sviluppo delle conoscenze e delle loro applicazioni per lo sviluppo scientifico, tecnologico, economico e sociale del Paese. Un obiettivo che l'Ente vuole perseguire, dopo la riforma attuata con il decreto legislativo n. 127 del 4 giugno 2003, alla luce di una missione ambiziosa: rappresentare una risorsa da valorizzare per lo sviluppo socio-economico del Paese. Alla base, il convincimento che l'attività di ricerca e sviluppo, determinante per la competitività del sistema economico nazionale, possa generare nuova occupazione, maggior benessere e maggiore coesione sociale;
il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo 4 giugno 2003, n. 127, nomina tre dei sette componenti del Consiglio di amministrazione del Cnr, che durano in carica quattro anni, con la possibilità di un'eventuale nomina per un

ulteriore quadriennio «scelti tra personalità di alta qualificazione tecnico-scientifica nel campo della ricerca, di comprovata esperienza gestionale di enti ed istituzioni pubbliche o private» -:
quali siano gli orientamenti del Ministro in merito alle gravissime esternazioni del vice presidente Mattei, e se non ritenga di dovere seriamente ripensare alle motivazioni che l'hanno condotta alla scelta di nominarlo ad una carica pubblica che dovrebbe essere caratterizzata da «alta qualificazione tecnico-scientifica nel campo della ricerca».
quali iniziative intenda adottare in merito, nell'ambito delle sue proprie prerogative.
(4-11547)

SCILIPOTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la legge finanziaria per il 2007 ha trasformato le graduatorie permanenti del personale docente in graduatorie ad esaurimento (articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre del 2006, n. 296);
fino all'anno 2010 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha continuato ad attivare corsi abilitanti con modalità identiche rispetto ai precedenti, frequentati da oltre 40.000 docenti;
nell'anno 2009, in via eccezionale, il Governo ha decretato la riapertura delle graduatorie ad esaurimento (articolo 5-bis della legge 30 ottobre del 2008, n. 169), consentendo l'inserimento a pieno titolo o con riserva del conseguimento del titolo di abilitazione a circa 21.000 docenti immatricolati nell'anno accademico 2007/2008 ad alcuni dei corsi abilitanti attivati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
in quell'occasione è stato concesso l'inserimento a pieno titolo anche agli italiani abilitati in uno degli Stati dell'Unione europea (articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto ministeriale 8 aprile 2009, n. 42);
si è venuta così a determinare una situazione di disuguaglianza tra i 21.000 docenti inseriti nelle graduatorie per il biennio 2009/2011 e i circa 19.000 insegnanti esclusi dalle stesse graduatorie perché immatricolati in anni successivi, nonostante essi si fossero iscritti ai corsi abilitanti attivati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai sensi dei medesimi decreti e prima del 15 febbraio 2011, data di approvazione del nuovo regolamento che disciplina la formazione iniziale e il reclutamento dei docenti (decreto del 10 settembre 2010, n. 249);
l'ordine del giorno G105 accolto dal Senato durante la seduta n. 510 del 26 febbraio 2011 impegna il Governo «a prevedere un intervento normativo finalizzato a consentire l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento dei docenti abilitati dal 2009 ad oggi nei corsi a numero chiuso attivati su disposizione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca -:
quali atti intenda predisporre il Ministro competente per sanare la situazione in questione.
(4-11554)

ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il centro di ricerche Bonomo di Andria (Bari) svolge attività di ricerca nel settore agroalimentare e si occupa della gestione post-raccolta dei prodotti ortofrutticoli freschi, del controllo qualità, della trasformazione e valorizzazione dei prodotti agroalimentari, dell'utilizzazione dei sottoprodotti, degli scarti di produzione e dei reflui delle aziende agroalimentari;
il centro ha la forma societaria di consorzio tra aziende pubbliche e private, senza fini di lucro e ha come soci l'amministrazione provinciale di Bari, le università degli studi di Bari e Lecce, l'associazione «Istituto Biomedico Internazionale» di Bari, la Comunità Montana della

Murgia Barese Nord-Ovest - Corato e la famiglia Bonomo, donatrice della struttura;
il personale di ricerca del centro è costituito da tre ricercatori senior e quattro ricercatori junior, sei tecnici di laboratorio, tre tecnici addetti agli impianti e undici borsisti laureati;
attualmente presso il Centro sono in corso di elaborazione ben sei progetti di ricerca, tutti nell'ambito dell'innovazione, della qualità dei prodotti, della sicurezza alimentare e della tutela ambientale;
da circa trent'anni il centro di ricerca svolge la sua attività, ma da notizie stampa risulta che la Provincia di Bari non è più in grado di pagare gli stipendi del personale e la manutenzione della struttura;
in particolare, risulta che gli addetti non ricevono lo stipendio da settembre 2010, che mancano le apparecchiature telefoniche e i fondi per acquistare macchinari da sostituire ai vecchi ormai inutilizzabili;
il 20 dicembre 2010 è stato formalizzato il passaggio della proprietà della struttura dalla provincia di Bari alla Bat, ma questa di fatto subentrerà a quella di Bari solo quando la situazione debitoria sarà sanata;
il presidente del consorzio, Pasquale Tarantino, ha dichiarato sul Corriere del Mezzogiorno del 15 febbraio 2011, che «la situazione non è facile e le province hanno anche i patti di stabilità da rispettare» -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato nella presente interrogazione, e quali iniziative di sua competenza in particolare dirette al reperimento e all'attribuzione di ulteriori risorse ritenga opportuno adottare al fine di preservare l'attività di ricerca svolta da soggetti quali il Consorzio di cui in premessa.
(4-11558)

...

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:

GALATI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
una recente indagine della Cia-Confederazione italiana agricoltori, in previsione dell'annuale manifestazione del Vinitaly, rileva dei dati negativi sulla produzione e la diffusione di vini. Secondo tale indagine per ogni bottiglia autentica ce n'è una contraffatta. Il settore dell'agroalimentare italiano che esporta di più perde ogni anno cifre astronomiche a causa dei falsi «made in Italy» immessi sul mercato. Tra bottiglie palesemente contraffatte, etichette che «suonano» italiane senza esserlo, marchi o denominazioni non riconosciuti, ammonta a 2 miliardi il giro d'affari del vino «tarocco» nel mondo: pressappoco la metà del fatturato che l'export vitivinicolo ha fatto registrare nel 2010. Un vero e proprio furto ai danni del settore, che proprio quest'anno ha fatto registrare il suo maggior successo all'estero, trainando le esportazioni dell'agroalimentare nel suo complesso;
come ricorda la Cia, la prima voce dell'export «made in Italy» è fortemente minacciata dall'«italian sounding», fenomeno diffuso soprattutto in Usa e in Canada, che utilizza in maniera impropria parole, immagini e marchi che si richiamano all'Italia. Si tratta di illeciti che colpiscono in maggior misura i vini più richiesti che seguono, in quanto a numero di imitazioni, i cibi in assoluto più clonati: subito dopo il Parmigiano Reggiano, il prosciutto di Parma, il San Daniele e il Grana Padano, troviamo tra i prodotti più imitati il Chianti e, a seguire, l'Amarone, il Prosecco, il Barbera, il Barolo e i vari vini friulani e siciliani;
per tutelare i consumatori e il buon nome del nostro vino la Cia suggerisce di intraprendere una politica più efficace per il settore che percorra una duplice direzione.

Per quanto riguarda il mercato interno all'Unione europea, dove vigono i meccanismi di tutela previsti per le denominazioni, è necessario rafforzare i controlli, rendendo più efficaci le sanzioni per i trasgressori, e introducendo provvedimenti come ad esempio la sospensione al diritto a produrre la denominazione d'origine frodata. Per disincentivare le frodi, inoltre, vanno rafforzati - secondo la Cia - gli attuali meccanismi di autogoverno che fanno capo ai consorzi, a cui è affidata la gestione del potenziale produttivo;
fuori dalla Ue il problema si complica. Non esistendo ancora meccanismi consolidati che consentano di evitare o ridurre al minimo la falsificazione del «made in Italy», il mercato del vino italiano oltre i confini europei è particolarmente esposto ai rischi della falsificazione, soprattutto nel mercato statunitense, che da solo assorbe il 33 per cento dell'export italiano, per un valore di circa 827,3 milioni di euro. Dopo la Germania, infatti, gli Usa sono i primi importatori del vino del Belpaese e anche i più grandi imitatori dei nostri prodotti più pregiati;
nel contesto extra-Ue è necessario sempre secondo la Cia armonizzare le normative che tutelano i nostri vini di qualità anche nell'ambito della Wto, dove occorre un registro multilaterale in grado di difendere la qualità e la tipicità delle produzioni, anche in previsione delle possibili frodi che potrebbero minacciare l'enologia italiana nei mercati dei paesi emergenti, dove si giocherà la partita del vino italiano nei prossimi anni;
il dato emerso dall'indagine della Confederazione italiana agricoltori lancia un serio allarme sulla contraffazione vitivinicola -:
come intenda agire il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali per contrastare tale fenomeno sia in ambito Ue che extra-Ue.
(3-01579)

...

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:

GALATI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
sul sito dell'Adnkronos è riportata la notizia di un articolo pubblicato sul British Medical Journal da Marco Masoni, Maria Renza Guelfi e Gian Franco Gensini, della Facoltà di medicina e chirurgia dell'università di Firenze in cui si fa riferimento ad uno studio che riguarda pubblicità ingannevoli sui motori di ricerca in tema di salute e medicina. In particolare, utilizzando i motori di ricerca, infatti, gli utenti del web rischiano di incappare in pubblicità «ingannevoli e fuorvianti», proposte da industrie che operano in ambito sanitario;
le industrie che operano in campo sanitario, notano i ricercatori, investono molto denaro nella pubblicità online, utilizzando spesso il «search advertising», uno strumento che consente di visualizzare annunci pubblicitari accanto ai risultati che i motori di ricerca restituiscono in funzione delle parole chiave utilizzate dagli utenti. Attualmente non esistono disposizioni specifiche relative alla pubblicità sanitaria online, dunque, su internet vengono applicate norme generali valide per tutti i media. Inoltre, le linee guida del Food and Drug Administration (Fda), l'ente governativo statunitense preposto alla regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, non affrontano tutte le situazioni connesse alla pubblicità online;
a partire dal febbraio 2009 - come spiega Marco Masoni in una nota - sono stati monitorati per mesi gli annunci sponsorizzati restituiti da Google utilizzando le parole chiave laetrile ed essiac, due sostanze spesso chiamate in causa come possibile cura nei confronti di patologie oncologiche e per le quali non esiste alcuna evidenza di efficacia;
la ricerca ha evidenziato che, talvolta, i link sponsorizzati provenienti da industrie che operano in campo sanitario indirizzano

a pagine web contenenti informazioni non pertinenti rispetto alle parole chiave. È stata cosi individuata, grazie alla pervicacia di questo studio, una particolare modalità con cui le industrie farmaceutiche attraggono gli utenti della rete, per aumentare il numero di accessi ai loro siti web;
questa tecnica, che privilegia l'etica del marketing rispetto all'etica medica, non è affatto rara. La regolamentazione di un ambiente dinamico e in continua evoluzione come internet è certamente complessa e, così come viene evidenziato sempre nello studio, la tecnologia avanza più velocemente degli aspetti legislativi. Gli autori dell'articolo credono sia opportuno che, in questo frangente, le agenzie di regolamentazione si muovano da un approccio reattivo a uno proattivo nei confronti di internet, e considerino non solo l'annuncio ma anche la parola chiave che ne produce la visualizzazione -:
alla luce di quanto descritto e nella consapevolezza di una cattiva gestione dell'etica medica, se e come il Ministero della salute intenda intervenire per porre dei limiti alle cosiddette pubblicità ingannevoli in ambito medico.
(3-01580)

Interrogazione a risposta in Commissione:

MANCUSO, CICCIOLI, BARANI, DE LUCA e GIRLANDA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nel 2004 la Conferenza Stato-regioni ha definito il sistema della compensazione interregionale della mobilità sanitaria, prevedendo la possibilità di porre in compensazione tutta una serie di prestazioni, attraverso un tariffario variabile da regione e regione;
dal 2001, i professori Michele De Luca e Graziella Pellegrini, dirigenti della fondazione banca degli occhi del Veneto, in applicazione del Testo unico citato, hanno richiesto e ottenuto, in compensazione, il rimborso dei costi sostenuti per la produzione delle cellule staminali degli epiteli di rivestimento;
il prodotto lembo di cornea è, a questi effetti, legalmente sul mercato con decorrenza 2004;
al tempo, il professor De Luca era direttore scientifico e la dottoressa Pellegrini direttore di laboratorio di un centro di ricerca per lo studio e l'applicazione delle cellule staminali degli epiteli di rivestimento, istituito con la collaborazione della regione Veneto e dell'azienda ULSS 12 Veneziana;
tale Centro ha portato all'applicazione delle cellule staminali limbari e alla loro diffusione in Italia, con rimborso previsto anche a carico del servizio sanitario nazionale, con decorrenza 2004;
il 7 dicembre 2005 è stato sottoscritto il «Protocollo d'intesa tra l'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e la Fondazione Banca degli Occhi del Veneto per l'istituzione di un Centro per la Ricerca sulle Cellule staminali degli Epiteli di rivestimento e loro applicazioni terapeutiche»;
il progetto, che ha ottenuto il finanziamento a fondo perduto di 5.108.542,50 euro, da parte della Cassa di risparmio di Modena, ha comportato la costituzione di apposita facoltà di bioscienze e biotecnologie;
con delibera n. 12b) del 13 febbraio 2008 il senato accademico accoglie la proposta di attivazione di una società spin-off presentata dal professor Michele De Luca e dalla professoressa Graziella Pellegrini, rispettivamente professore ordinano e professore associato afferenti al dipartimento di scienze biomediche dell'università, avente ad oggetto il trasferimento tecnologico delle attività di ricerca applicata inerenti allo sviluppo e alla produzione di tessuto corneale per la cura, tramite trapianto autologo, di patologie della cornea; sviluppo e approfondimento delle ricerche nel campo delle cellule staminali epiteliali con particolare riferimento sia allo sviluppo

di terapie cellulari mediante impiego di cellule staminali epiteliali sia alla terapia genica di malattie genetiche della cute e della cornea;
in data 23 giugno 2008 è stato stipulato l'atto costitutivo della società (denominata «Holostem Terapie Avanzate s.r.l.», avente sede nell'edificio sopra menzionato) tra l'università degli studi di Modena e Reggio Emilia, Valline s.r.l. (gruppo Chiesi Farmaceutici), professor Michele De Luca e professoressa Graziella Pellegrini, avente ad oggetto le attività di ricerca, sviluppo, produzione, commercializzazione di specialità medicinali biotecnologiche e di terapia avanzata, di diagnostici e di presidi medico-chirurgici per uso umano e veterinario; ricerca, sviluppo, produzione, commercializzazione delle materie prime per i prodotti sopra specificati; prestazione di servizi di ricerca e produzione per conto terzi negli ambiti sopra specificati;
in data 13 novembre 2008 veniva sottoscritta apposita convenzione regolante i rapporti tra l'università e Holostem Terapie Avanzate s.r.l.;
in data 21-23 dicembre 2009 e 27-30 aprile 2010 l'A.I.F.A (agenzia italiana del farmaco) inviava propri ispettori nel centro di medicina rigenerativa;
in particolare, all'esito della seconda ispezione veniva rilevato quanto segue: a) deviazione 1: a fronte della richiesta di attivazione del centro di medicina rigenerativa «Stefano Ferrari» presso l'università degli studi di Modena e Reggio Emilia, è stato rilevato dalla totalità dei documenti esaminati che l'officina farmaceutica è in realtà costituita anche dalla società Holostem Terapie Avanzate srl, facente parte del gruppo Chiesi Farmaceutici SpA e che l'attività del secondo piano del centro, ad eccezione del direttore medico e della QP, è effettuata da personale Holostem; b) deviazione 2: a fronte della dichiarazione della QP e del direttore scientifico circa il fatto che la produzione di lembi di epidermide e di cornea presso il sito Holostem/CMR-Modena sia da configurarsi come terapia consolidata, alcuni dei requisiti previsti dal decreto 5 dicembre 2006, quali ad esempio la pregressa trasmissione all'AlFA di quanto previsto all'articolo 2, requisito f, non sono soddisfatti. Manca pertanto un piano di sperimentazione clinica autorizzato, i Product Specification File relativi ai suddetti prodotti (decreto 5 dicembre 2006);
con nota del 2 luglio 2010 (protocollo di assunzione dell'8 luglio 2010, n. 14850) l'AIFA riteneva: «a) che non ci siano i presupposti per ritenere il centro di medicina rigenerativa «Stefano Ferrari» dell'università di Modena e Reggio Emilia autorizzato, in via transitoria, alla produzione di terapie consolidate, ai sensi del decreto ministeriale 5 dicembre 2006; b) che l'eventuale Autorizzazione GMP alla produzione del centro di medicina rigenerativa «Stefano Ferrari» potrà essere rilasciata per sperimentazione clinica;
i tessuti contenenti staminali epiteliali per la ricostruzione delle cornee sono stati inclusi nella lista delle tipologie di terapie cellulari consolidate da almeno due anni, nella determina A.I.F.A. del 21 giugno 2007, emendata poi il 6 agosto 2007;
questa inclusione è stata fatta sulla base dei dati clinici generati dal gruppo De Luca/Pellegrini, cioè gli stessi dati che sono stati in parte pubblicati sul New England Journal of Medicin e che sono in corso di raccolta in due studi cimici retrospettivi, il cui disegno e stato presentato ad EMA (european medicine agency) -:
se il Governo intenda accertarsi delle motivazioni di rigetto dell'AlFA;
se il Governo intenda sanare la situazione, per non perdere l'occasione dell'affermazione e dello sviluppo di una tecnica medica specificamente italiana, che consentirebbe a molte persone affette da cheratopatie di evitare, o rinviare, il ricorso al trapianto di cornea.
(5-04574)

Interrogazioni a risposta scritta:

PEDOTO, BUCCHINO, GRASSI, SARUBBI, D'INCECCO e RECCHIA. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dagli organi di informazione, importanti istituti a carattere scientifico, impegnati nel settore della riabilitazione, quali sono la fondazione Santa Lucia ed il San Raffaele spa, operanti nella regione Lazio vivono da mesi un grave stato di difficoltà economica, che mette a repentaglio attività sanitarie e strutture di alta specializzazione di riferimento nazionale per le quali si prospettano anche rischi di chiusura;
la situazione di vero e proprio collasso sarebbe determinata da un complesso di decreti commissariali adottati dalla presidente Polverini, in particolare quelli che dispongono tagli di posti letto e remunerazioni inadeguate, nonché da ritardi dell'amministrazione regionale, dal blocco delle liquidazioni e dal continuo rinvio della stipula di intese con detti istituti;
la fondazione Santa Lucia denuncia ormai uno squilibrio economico-finanziario di circa 75 milioni di euro, mentre il gruppo San Raffaele spa ha preannunciato la cessazione di tutte le attività sanitarie ed ha, inoltre, comunicato che entro il 15 aprile le Asl laziali e la regione dovranno prendere in carico i 2.283 assistiti ricoverati nelle numerose strutture del gruppo e si dovrà procedere al licenziamento di 3.171 lavoratori;
analoga situazione di crisi interessa ormai tutta la rete dei centri ex articolo 26 che erogano prestazioni riabilitative a bambini ed adulti con disabilità per i quali un recente decreto commissariale ha stabilito un ennesimo, insostenibile taglio del 4 per cento che va a sommarsi al 12 per cento deliberato nelle precedenti annualità;
detti centri stanno attuando procedure di licenziamento di operatori e di riduzione di attività assistenziali, mentre le liste di attesa raggiungono ormai livelli inaccettabili che negano di fatto un diritto costituzionale e determinano danni irreparabili alla salute di migliaia di persone con disabilità -:
se siano a conoscenza di quanto sopra esposto e quali misure intendano adottare al fine di salvaguardare la rete dei servizi di riabilitazione del Lazio, i livelli occupazionali e la salute dei pazienti.
(4-11550)

GIAMMANCO e FRASSINETTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 5 marzo 2011 si sono svolti a Ronciglione (Viterbo) le batterie di qualificazione del Palio meglio conosciuto come «corse a vuoto», durante le quali la cavalla Tiffany è morta e altri tre cavalli sono caduti;
le riprese effettuate hanno evidenziato che la corsa si è svolta senza le misure di sicurezza previste dall'ordinanza del Ministero della salute del 21 luglio 2009, ovvero senza un'adeguata copertura del fondo stradale con sabbia o materiale siliceo atto ad attutire l'impatto degli zoccoli sul terreno e ad evitare scivolamenti e cadute, nonché a diminuire la velocità dei cavalli di purosangue inglese utilizzati in questa manifestazione e senza adeguate paratie e materassi a protezione del pubblico e degli stessi animali;
le condizioni climatiche e l'assenza delle più basilari misure di sicurezza hanno esposto i cavalli a rischio certo di incidenti, che si è concretizzato con la caduta di tre cavalli e la morte della cavalla Tiffany;
il 17 febbraio 2011 si sono svolte le prove del Palio e in quell'occasione due cavalli sono scivolati sull'asfalto nel punto più critico del percorso, la curva denominata Cantone del Gricio;
alcune associazioni animaliste avevano già segnalato la pericolosità di tale

percorso e presentato relativa diffida al sindaco e al comitato organizzatore senza ricevere alcuna risposta;
il Ministero della salute aveva disposto la presenza dei carabinieri del NAS affinché vigilassero sul rispetto delle misure di sicurezza previste dall'Ordinanza ministeriale -:
se i Ministri interrogati intendano adottare iniziative in considerazione del fatto che il comune di Ronciglione parrebbe aver organizzato il Palio in chiara difformità da quanto stabilito nell'ordinanza ministeriale menzionata in premessa;
per quali ragioni le forze di polizia non siano intervenute per evitare che la corsa si svolgesse in considerazione della morte di una cavalla e del ferimento di altri tre;
quali provvedimenti si intendano adottare se si ripeteranno analoghe condizioni di aperta violazione dell'ordinanza del 21 luglio 2009 in occasione di questo o di altri palii con equidi.
(4-11560)

CICCIOLI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nel comune di Mondolfo, provincia di Pesaro e Urbino dal 1982 opera, in una zona già da parecchi anni abitata da molti nuclei familiari, un impianto di stoccaggio di cereali costituito da quattro enormi silos in lamiera imbullonata;
l'impianto per la conservazione delle derrate stoccate utilizza pesticidi alogenoderivati organici e fosforati e gas tossici di prima classe idrogeno fosforato o fosfina (del cui utilizzo si ha prova fino all'anno 2010); consta inoltre che il consorzio che gestisce il deposito abbia ammesso l'utilizzo di permetrina (classificata dalla US EPA come sostanza cancerogena) e deltametrina (classificata come interferente endocrino EDC 1 dalla Commissione europea);
gli abitanti, tramite numerosi esposti rivolti a tutti gli enti competenti ed alla procura della Repubblica di Pesaro, contestarono da subito l'insediamento del complesso, avvenuto in una zona urbanisticamente impropria, inoltre, con diversi esposti ai vari enti i cittadini lamentarono continui problemi di salute in seguito alle emissioni incontrollate di polveri e sostanze pericolose;
in particolare gli abitanti, fin dai primi anni di funzionamento dell'impianto, cominciarono ad avvertire: intense irritazioni agli occhi ed alla gola, forti allergie, dispnee respiratorie, reazioni cutanee gravi e fenomeni di ipersalivazione, tutte patologie che i medici, in tanti certificati e relazioni, dichiarano poter essere correlabili a problematiche d'origine ambientale. Inoltre la zona intorno all'impianto presenta anche un numero spaventoso di tumori e, soprattutto, malfunzionamenti del sistema endocrino -:
se il Ministro della salute intenda, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, disporre un'indagine epidemiologica nell'area per verificare la sussistenza di situazioni di anomalia e di rischio sanitario specifico per i cittadini residenti.
(4-11561)

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta orale:

BURTONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'assicurazione responsabilità civile auto è, in Italia, un obbligo di legge;
il 60-70 per cento della raccolta assicurativa italiana è nelle mani di 6-7 gruppi assicurativi, vero e proprio ostacolo alla concorrenza e al processo di innovazione;

la liberalizzazione tariffaria del 1994, realizzata per offrire maggiore concorrenza, è stata utilizzata paradossalmente per un aumento dei premi responsabilità civile auto, soprattutto nelle regioni meridionali -:
quali iniziative anche normative intenda adottare con grande urgenza:
a) per contrastare l'anomalo aumento delle tariffe responsabilità civile auto;
b) per arginare la politica delle compagnie di abbandono del territorio, con la chiusura delle agenzie e dei centri di liquidazione, presidi a tutela del consumatore;
c) per favorire una piena liberalizzazione del mercato assicurativo italiano, con l'apertura ad altre compagnie assicurative estere.
(3-01581)

BURTONE, BERRETTA e SAMPERI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
lo stabilimento farmaceutico Wyeth di Catania occupa 700 lavoratori più alcune centinaia nell'indotto;
dopo la sua acquisizione Wyeth da parte della Pfizer ha dimesso stabilimenti e centri di ricerca;
lo stabilimento è così passato da farmaci a brevetto a produzione di generici;
questa decisione ha comportato una contrazione della forza lavoro;
in data 31 novembre 2010 si è infatti fatto ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria per 80 lavoratori con la garanzia del rientro attraverso una riqualificazione finanziata da Fondimpresa (fondo paritetico);
il piano industriale presentato dall'azienda era incompleto e privo di qualsiasi prospettiva dopo la metà del 2012;
il 1o febbraio 2011 l'azienda ha comunicato che entro il mese di novembre chiuderà il centro di ricerche di Catania e questo porterà alla perdita di 80 posti di lavoro;
da allora si è interrotto il confronto con le organizzazioni sindacali con tutte le incognite che riguardano il futuro della realtà catanese;
la regione siciliana non ha mai convocato un tavolo di confronto e men che meno il Governo nazionale;
si tratta di una realtà importantissima nel campo della ricerca e della innovazione in un settore chiave della chimica -:
se il Governo intenda attivare un tavolo per affrontare la vertenza Wyeth al fine di salvaguardare la capacità produttiva e di qualità dell'impianto attraverso il suo centro ricerche nonché i livelli occupazionali legati all'intera struttura industriale diretta e indiretta.
(3-01582)

Interrogazione a risposta in Commissione:

MAGGIONI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il regolamento (CE) n. 1472/2006 ha istituito un dazio antidumping sulle importazioni di alcuni tipi di calzature di cuoio naturale o ricostituito originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam stabilendo che le misure deliberate, con aliquote definitive (applicabili al prezzo netto franco frontiera comunitaria - dazio non corrisposto) pari al 16,5 per cento per i prodotti cinesi e al 10 per cento per quelli vietnamiti, restassero in vigore per un periodo di anni due;
nel dicembre 2009, alla scadenza delle tariffe antidumping previste, la Commissione europea a fronte della persistenza di pregiudizio a danno dell'industria comunitaria e quindi del pericolo di dumping,

ha proposto ed ottenuto la proroga di ulteriori quindici mesi delle misure protezionistiche previste;
il 31 marzo 2011 i dazi in questione sono giunti a scadenza e che il Commissario europeo al commercio non ha ritenuto opportuno rinnovare i provvedimenti antidumping per assenza di elementi ed informazioni atti a giustificare il riesame della scadenza programmata;
il livello modesto dei dazi, il cui importo ammonta a meno di 1,5 euro per paio di calzature, (vendute in media al dettaglio a 50 euro ed importate a 9 euro) pur non avendo provocato ingiustificato aumento dei prezzi a svantaggio dei consumatori, non ha tuttavia impedito la vendita sul mercato comunitario di scarpe cinesi e vietnamite, risultato che si sarebbe invece conseguito con misure antidumping almeno decuplicate rispetto a quelle stabilite;
nonostante l'esiguità delle aliquote stabilite, i dazi hanno comunque limitato gli effetti negativi del dumping tanto che, tra il 2005 e il 2009, l'import europeo da Cina e Vietnam delle calzature soggette ai provvedimenti è sceso del 43 per cento in volume e del 27 per cento in valore;
realtà come quella italiana (che da sola produce il 50 per cento di tutte le scarpe europee) che sceglie la qualità e decide di non delocalizzare le proprie manifatture, risulta fortemente penalizzata rispetto ad altre realtà, quali quelle dei Paesi emergenti, che godono di manodopera a bassissimo costo e di politiche di dumping a discapito dei lavoratori e dei consumatori italiani ed europei -:
quali iniziative intenda assumere il Governo per evitare che l'assenza di misure antidumping penalizzi ulteriormente gli addetti del settore, coinvolti da una crisi già fortemente accentuata dalla concorrenza di Paesi che non osservano le regole di un mercato equo e leale;
se non ritenga opportuno intervenire nelle competenti sedi comunitarie al fine di negoziare, oltre ad un'ulteriore proroga dei dazi in questione, anche la maggiorazione delle aliquote applicabili.
(5-04577)

Interrogazione a risposta scritta:

MANCUSO e GHIGLIA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la Pietra di Luserna è una roccia metamorfica estratta da cave situate nelle
Prealpi Cozie del Piemonte centro-occidentale, tra la Val Pellice e la Valle Po, nei territori dei comuni di Luserna San Giovanni, Rorà, Bagnolo Piemonte e Barge;
il suo impiego è molto antico e caratterizza tuttora la tipologia costruttiva degli edifici e l'arredo urbano delle aree di origine e dell'intero Piemonte, dal quale, a partire dagli anni Settanta del '900, ha avuto una diffusione sia nazionale che internazionale;
il settore della lavorazione della pietra di Luserna, il settore estrattivo e l'indotto lavorativo, riveste un'importanza economica di grande rilievo per l'intera regione Piemonte;
il settore della pietra di Luserna ha attraversato un periodo di forte crisi alla fine degli anni Settanta, con un'accentuata scarsità di manodopera specializzata e relativo rischio di sparizione dell'intera industria;
il settore è stato salvato soprattutto grazie all'insediamento sui territori della Valle Infernotto e della Val Pellice di circa 1.700 operai immigrati di nazionalità cinese;
successivamente il settore ha ripreso vigore e sono nate numerose nuove aziende gestite anche da italiani;
a oggi, date le particolari caratteristiche di pregio della pietra di Luserna, il suo costo al metro quadro è di circa 8 euro;
le aziende estrattive gestite da cinesi riescono ad abbattere il prezzo al metro quadro a 4 euro al metro quadro -:

con quali strumenti il Governo intenda intervenire per tutelare gli operatori di questa storica attività economica.
(4-11552)

...

Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato della mozione Pescante n. 1-00567, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 438 del 23 febbraio 2011.

La Camera,
premesso che:
si registrano numerose e crescenti violazioni del regime linguistico dell'Unione europea, in contrasto con il principio di non discriminazione in base alla nazionalità e quindi alla lingua, di cui all'articolo 18 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e in violazione del regolamento del Consiglio n. 1 del 1958;
è, infatti, crescente il ricorso, sia nelle prassi interne delle istituzioni dell'Unione europea sia nella disciplina di specifici istituti giuridici, ad inglese, francese e tedesco quali lingue di lavoro o di comunicazione con gli Stati membri e i loro cittadini;
tali pratiche determinano un'ingiustificata discriminazione a vantaggio dei membri e dei funzionari delle istituzioni dell'Unione europea provenienti dai Paesi aventi quale lingua madre inglese, francese e tedesco e dei relativi cittadini ed imprese e a danno di quelli provenienti dagli altri Stati membri;
l'affermazione del trilinguismo appare, inoltre, suscettibile di incidere negativamente sul ruolo dell'Italia nel processo di integrazione europea e sulla competitività del sistema produttivo italiano, che è costretto a sostenere costi di traduzione ulteriori rispetto alle imprese dei Paesi che utilizzano una delle tre lingue in questione;
relativamente al funzionamento interno delle strutture amministrative delle istituzioni europee, le esigenze di riduzione dei costi di traduzione e di semplificazione possono giustificare il ricorso ad una o due lingue veicolari, quali l'inglese e, in alcuni ambiti, il francese;
il ricorso ad inglese, francese e tedesco appare, invece, del tutto ingiustificato anche sul piano pratico, essendo esso fonte di costi di traduzione e interpretariato non necessari ad assicurare l'efficace funzionamento delle istituzioni dell'Unione europea;
tali costi sono, peraltro, interamente a carico del bilancio dell'Unione europea, finanziato da tutti gli Stati membri, configurando un ulteriore elemento di iniquità;
è di particolare gravità in questo contesto la trasmissione alle amministrazioni dei Parlamenti nazionali di comunicazioni dell'amministrazione del Parlamento europeo redatte in inglese, francese e tedesco. L'uso di tutte le lingue ufficiali dell'Unione europea, oltre a rispondere a precisi obblighi imposti dal Trattato, è un presupposto imprescindibile per sviluppare ulteriormente, su un piano di parità, le relazioni tra le istituzioni dell'Unione europea ed i Parlamenti nazionali, nonché per consolidare la cooperazione interparlamentare;
anche nell'attività amministrativa e di documentazione del Parlamento europeo è, peraltro, crescente il ricorso di fatto alle tre lingue sopra indicate, a fronte di una prassi consolidata che prevedeva per evidenti esigenze di semplificazione e contenimento dei costi l'utilizzo delle lingue veicolari inglese e francese. Persino il sito intranet del Parlamento europeo include dal 2009 quali lingue di navigazione l'inglese, il francese e il tedesco;

la Camera ha in più occasioni, da ultimo nella risoluzione Pescante ed altri (n. 6-00043), approvata il 13 luglio 2010, impegnato il Governo ad opporsi ai tentativi di imporre inglese, francese e tedesco quali «lingue di lavoro» di altre istituzioni ed organi dell'Unione europea;
con documento finale approvato il 22 dicembre 2010, la Commissione attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati ha espresso una valutazione fermamente contraria sulla proposta di regolamento relativa al regime di traduzione del brevetto dell'Unione europea (COM(2010)350 def), in quanto essa prevede che il brevetto unico sia richiesto e rilasciato esclusivamente in inglese, francese o tedesco;
l'illegittimità del trilinguismo è stata, per alcuni profili, riconosciuta nella sentenza resa nella causa T-205/07, il 3 febbraio 2011, dal tribunale dell'Unione europea, che, accogliendo un ricorso dell'Italia, ha annullato un invito a manifestare interesse per la costituzione di un elenco di candidati ai fini dell'assunzione di agenti contrattuali delle istituzioni europee, pubblicato dall'Ufficio di selezione del personale dell'Unione europea (Epso) nelle lingue tedesca, inglese e francese. La sentenza ha, infatti, dichiarato che la pubblicazione dell'invito nelle sole tre lingue in questione costituisce una discriminazione fondata sulla lingua tra i potenziali candidati, contraria al diritto dell'Unione europea;
occorre che l'Italia elabori una strategia organica e coerente per la tutela e la promozione della lingua italiana nell'Unione europea, nonché in altre organizzazioni internazionali e sovranazionali;
a questo scopo è necessario ed urgente che i membri italiani delle istituzioni ed organi dell'Unione europea contrastino con forza ogni tentativo di violazione del regime linguistico previsto dai Trattati,


impegna il Governo:


a contrastare con intransigenza ogni tentativo di violazione del regime linguistico delle istituzioni dell'Unione europea e di marginalizzazione della lingua italiana, ricorrendo, ove necessario, anche agli strumenti giurisdizionali disponibili;
a definire, in stretto raccordo con le Camere, una strategia organica per la tutela e la promozione della lingua italiana nelle istituzioni dell'Unione europea;
ad opporsi, in particolare, al tentativo di affermare il ricorso alle sole lingue inglese, francese e tedesco nel funzionamento, anche al solo livello amministrativo, di ogni istituzione ed organo dell'Unione europea e a valutare l'opportunità di utilizzare un criterio oggettivo che, limitando le lingue di lavoro entro un numero massimo di sei, tenga conto del numero effettivo di parlanti all'interno dell'Unione europea;
a sostenere, nei casi in cui le esigenze di riduzione dei costi e di miglior funzionamento delle strutture amministrative delle istituzioni ed organi dell'Unione europea lo giustifichino ed il criterio precedentemente esposto non venga recepito, il ricorso, oltre alla lingua della presidenza di turno, alla sola lingua inglese, in quanto lingua veicolare di gran lunga più diffusa a livello europeo e globale, ed eventualmente alla lingua francese, se compatibile con le predette esigenze;
a concordare, con altri Paesi che sarebbero gravemente penalizzati, al pari dell'Italia, dall'adozione del trilinguismo, tutte le iniziative appropriate per assicurare il rispetto del principio della pari dignità delle lingue ufficiali dell'Unione europea.
(1-00567)
(Ulteriore nuova formulazione).«Pescante, Gozi, Maggioni, Buttiglione, Ronchi, Razzi, Porcino, Pini, Farinone, Formichella, Scalia, Dell'Elce, Fucci, Nicolucci, Gottardo, Centemero, Consiglio».