XVI LEGISLATURA
TESTO AGGIORNATO AL 15 MARZO 2011
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
il 31 dicembre 2010 è scaduta la disposizione recata dall'articolo 43, comma 12, del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, secondo cui le emittenti televisive, titolari di più di una rete nazionale, non possono acquisire partecipazioni societarie in aziende editrici di giornali quotidiani;
la protezione del pluralismo informativo è uno dei principi fondamentali dell'Unione europea (articolo 11, comma secondo, dalla Carta europea dei diritti fondamentali) e, in forza di ciò, la giurisprudenza della Corte di giustizia europea ha riconosciuto il diritto degli Stati membri a mantenere una legislazione speciale in materia, più restrittiva del diritto della concorrenza;
con l'approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle impresse e alle famiglie, si è introdotta la proroga del divieto di incroci tra giornali e televisioni solo fino al 31 marzo 2011 (e non fino a fine 2012 come prevedeva il testo precedente del decreto-legge, come modificato nel corso dell'iter parlamentare), essendo il rinvio al 31 dicembre 2011 facoltativo e rimesso alla volontà del Presidente del Consiglio dei ministri;
nella perdurante situazione di debolezza strutturale degli assetti proprietari e di governance del settore della stampa, una siffatta circostanza costituisce una «porta spalancata» verso un'ulteriore preoccupante concentrazione dei media italiani;
contrariamente a quanto previsto dalla legge n. 416 del 1981 per il settore dell'editoria quotidiana, che stabilisce rigidi tetti all'espansione di un'impresa o di un gruppo nel mercato dei giornali quotidiani, nessun vincolo analogo è previsto nell'ordinamento a proposito del numero massimo di reti televisive gestibili (ovvero della capacità trasmissiva complessivamente gestibile, per dirla con termini richiesti dal nuovo scenario tecnologico digitale) da un unico soggetto;
l'esigenza di una proroga del divieto di acquisto di giornali per chi esercita posizioni dominanti nella tv è stata recentemente oggetto di due segnalazioni al Governo emesse dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in data 24 novembre 2010 e 2 marzo 2011;
l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella sua segnalazione del 1o marzo 2011, ha ricordato che la presenza di rilevanti partecipazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in più di una rete televisiva nazionale rende questa materia particolarmente sensibile sotto il profilo del conflitto di interessi (legge n. 215 del 2004) e che per questo motivo è opportuno che tale proroga sia sottratta alle competenze dell'attuale Presidente del Consiglio dei ministri,
impegna il Governo
ad adottare iniziative normative per prorogare la disposizione citata in premessa almeno fino al 31 dicembre 2012.
(1-00587)
«Gentiloni Silveri, Meta, Giulietti, Lenzi, Ghizzoni, Zaccaria, Boffa, Bonavitacola, Cardinale, Coscia, De Biasi, Fiano, Gasbarra, Ginefra, Laratta, Levi, Lovelli, Pierdomenico Martino, Giorgio Merlo, Rossa, Siragusa, Tullo, Velo, Vico, Rigoni».
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, reca misure in materia di «posizioni dominanti nel sistema integrato delle comunicazioni»;
l'articolo 1 del predetto provvedimento sancisce, al comma 1, la proroga, al 31 marzo 2011, del divieto, per i soggetti esercenti attività televisiva in ambito nazionale tramite più di una rete, di acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali quotidiani; prevede, altresì, al comma 2, la possibilità di disporre - con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze - un'ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2011 del termine di cui al comma 1;
il divieto recato dall'articolo 43, comma 12, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, ha una particolare rilevanza ai fini della tutela del grado di pluralismo del sistema informativo italiano e la prevista proroga delle disposizioni in materia di incroci stampa-televisione - solo fino al 31 marzo 2011 - è evidentemente insufficiente, in quanto dal 1o aprile 2011 il divieto decade, lasciando campo libero alle «scalate» dei quotidiani da parte di imprenditori della televisione ed i soggetti che possiedono più di una rete televisiva potranno, quindi, acquisire partecipazioni in imprese editrici di quotidiani;
la prossimità della scadenza del divieto in materia di incroci stampa-televisione - in assenza di un riordino complessivo della normativa di settore - rischia di provocare un indesiderato vuoto normativo, come già segnalato - in una comunicazione al Governo del 24 novembre 2010 - dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che, dopo aver sottolineato che la disposizione in materia di limiti antitrust all'incrocio tra stampa e giornali quotidiani è stata, sin dall'inizio, concepita dal legislatore a tutela del pluralismo dei mezzi di comunicazione e di informazione, sulla base delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale (sentenza n. 826 del 1988), ha, appunto, segnalato l'esigenza di un intervento legislativo al fine di mantenere in vigore il citato divieto, in quanto strettamente funzionale alla tutela della concorrenzialità dell'intero sistema dell'informazione;
sulla questione è intervenuta, di recente, anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato che - in una segnalazione del 1o marzo 2011 inviata al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti di Camera e Senato - ha affermato, con riferimento alla disciplina introdotta dal cosiddetto decreto «milleproroghe», che è del tutto inopportuno attribuire al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di prorogare o meno, oltre il 31 marzo 2011, l'attuale divieto di incroci azionari tra stampa e televisione: l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha, infatti, testualmente affermato che «l'inerenza dell'ambito materiale nel quale è stato assegnato al Presidente del Consiglio il potere di disciplinare la durata del divieto di cui all'articolo 43, comma 12, del decreto legislativo. n. 177/2005 a un settore nel quale l'attuale Presidente è titolare di interessi patrimoniali, associata alla discrezionalità che il comma 2, dell'articolo 1, del decreto-legge. n. 225/10 attribuisce allo stesso Presidente, pone un problema di opportunità della disposizione stessa»;
l'Autorità, già in data 20 gennaio 2011, aveva richiamato l'attenzione del Governo sulle criticità della disciplina posta dal citato decreto-legge, al fine di sollecitare una modifica nel corso dell'esame parlamentare e aveva osservato che, se la norma relativa alla facoltà di proroga non veniva modificata, l'esercizio della facoltà di decidere sul periodo di vigenza del divieto, e, quindi, l'adozione o
la mancata adozione dell'atto di proroga - anche senza integrare automaticamente una fattispecie di conflitto di interessi - avrebbero dovuto essere valutati dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ai sensi della legge 20 luglio 2004, n. 215, recante «Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interesse», allo scopo di verificarne l'incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del Presidente del Consiglio dei ministri e il danno per l'interesse pubblico;
alla luce della disciplina sul conflitto d'interessi, sarebbe, pertanto, auspicabile - secondo la stessa Autorità - un atteggiamento di maggiore precauzione tale da evitare l'attribuzione di un potere discrezionale in capo al Presidente del Consiglio dei ministri nella disciplina di un settore sensibile come quello editoriale, direttamente connesso con la tutela del pluralismo dell'informazione e da sottrarre, nello specifico, proprio la disciplina del divieto di cui al comma 12, dell'articolo 43, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, alle competenze del Presidente del Consiglio dei ministri;
in data 2 marzo 2011, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si è, ancora una volta, pronunciata sulla questione, richiamando l'attenzione sul «vuoto normativo che si verrebbe a determinare ove entro il corrente mese di marzo, con una norma di legge o avente forza di legge, il divieto di incrocio tra stampa e tv non venisse congruamente prorogato adeguando la formulazione attuale del divieto d'incrocio alla trasformazione del sistema radiotelevisivo intervenuta con l'evoluzione tecnologica digitale terrestre, satellitare e via cavo, nonché a quella di mercato del settore»;
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - nella già citata comunicazione del 24 novembre 2010 - aveva evidenziato, altresì, una serie di «debolezze» della legge 20 luglio 2004, n. 215, ed aveva, in particolare, posto l'attenzione sulla discrasia tra ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione della normativa in materia di «sostegno privilegiato», osservando come la normativa vigente non contemplasse, tra i comportamenti vietati che possono configurare un sostegno privilegiato - anche attraverso qualsiasi forma di vantaggio, diretto o indiretto, politico, economico, di immagine al titolare di cariche di Governo - alcun riferimento alla stampa;
le «leggi parametro» prese in considerazione dalla legge n. 215 del 2004 (e cioè le leggi n. 223 del 1990, n. 249 del 1997, n. 28 del 2000 e n. 112 del 2004) e la cui violazione sola è suscettibile di integrare la ricorrenza del sostegno privilegiato impongono, infatti, il rispetto dei principi del pluralismo, dell'obiettività, della completezza, della lealtà e dell'imparzialità dell'informazione solo da parte delle emittenti radiofoniche e televisive, mentre la stampa, sotto il profilo contenutistico e comportamentale, gode di una disciplina autonoma non ricompresa nell'ambito delle citate leggi;
allo stato della legislazione vigente, dunque, il sostegno privilegiato non può configurarsi nei confronti delle imprese della carta stampata - pur essendo esse operanti nel sistema integrato delle comunicazioni, di cui all'articolo 2, comma 1, lettera g), della legge n. 112 del 2004 e benché, anche da parte loro, possano essere materialmente violati i principi sopra citati;
alla luce delle considerazioni sopra esposte, si rende, pertanto, urgente e necessaria una disciplina più organica ed efficace volta a regolamentare, in maniera quanto più completa e stringente possibile, l'intera materia con riguardo al complesso del sistema dell'informazione,
impegna il Governo:
ad assumere le iniziative di competenza volte a prorogare, in tempi rapidi, per un termine congruo, il divieto di cui all'articolo 43, comma 12, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, oltre la scadenza legislativamente prevista (ed, in ogni caso, almeno fino al 31 dicembre
2011, come previsto nel citato comma 2, dell'articolo 1, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225) e ad adottare ogni opportuna iniziativa normativa volta a superare le criticità evidenziate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con particolare riferimento all'opportunità di sottrarre alle competenze del Presidente del Consiglio dei ministri il potere di disciplinare discrezionalmente il periodo di vigenza del citato divieto;
ad assumere iniziative normative per introdurre una disciplina organica e completa della materia volta a garantire la ridefinizione dell'ambito di applicazione del divieto di incroci stampa-televisione, anche al fine di colmare il vuoto normativo che, allo stato della legislazione vigente, non configura e non impedisce il «sostegno privilegiato» al titolare di cariche di Governo da parte delle imprese della carta stampata, allo scopo di preservare il pluralismo dei mezzi di informazione ed evitare i rischi di «eccessive concentrazioni».
(1-00588)
«Briguglio, Della Vedova, Bocchino».
La Camera,
premesso che:
nel 2009, a seguito della crisi del settore lattiero-caseario del 2008-2009 che ha visto i produttori riversare latte nei campi e nelle strade, l'Unione europea ha costituito un gruppo di esperti di alto livello sul latte (HLG) che ha prodotto una serie di proposte, con 7 raccomandazioni, successivamente condivise dal Consiglio agricolo del 27 settembre 2010;
il 9 dicembre 2010, la Commissione ha presentato la proposta di regolamento «Recante modifica al regolamento (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti «lattiero-caseari», COM(2010) 728, denominato «pacchetto latte», per dare applicazione alle indicazioni del gruppo di esperti sul latte;
queste proposte saranno discusse dal Parlamento europeo, che approverà, nel mese di aprile 2011 il provvedimento in commissione agricoltura e sviluppo rurale, e, nel mese di maggio, lo stesso provvedimento sarà sottoposto al voto della plenaria di Strasburgo per l'approvazione in prima lettura;
le stesse proposte saranno esaminate dal Consiglio dei ministri dell'agricoltura per essere approvate nel 2011 ed entrare in vigore nel 2012;
le suddette proposte legislative fanno seguito alla relazione della Commissione europea «Andamento della situazione dei mercati e conseguenti condizioni per estinguere gradualmente il regime delle quote latte», COM(2010) 727;
il mercato del latte in Europa è stato caratterizzato negli ultimi tre anni da una forte volatilità, mai verificata precedentemente;
nel 2007, si era registrata una forte impennata del prezzo del latte franco azienda nell'Unione europea, che nel giro di sei mesi era passato da 26 centesimi/chilogrammo a 39 centesimi/chilogrammo (media ponderata dei 27 Stati membri dell'Unione europea. All'opposto, nel corso dei 16 mesi successivi, da gennaio 2008 a maggio 2009, il prezzo del latte era crollato, passando da 39 centesimi/chilogrammo a 24 centesimi/chilogrammo, ad un livello in media leggermente superiore a quello in cui scatta la rete di sicurezza. Dal secondo semestre 2009, il mercato dei prodotti lattiero-caseari si è ripreso e ha continuato a migliorare per tutto il 2010;
le consegne di latte vaccino nei 27 Stati membri dell'Unione europea sono restate relativamente stabili, con solo piccole variazioni in percentuale da un anno all'altro (+1 per cento nel 2008, -0,6 per cento nel 2009, +0,03 per cento nei primi 7 mesi del 2010). Le oscillazioni dipendono
prevalentemente da due fattori: il mercato mondiale e la riduzione del prezzo di sostegno comunitario;
l'analisi realizzata dal gruppo di esperti sul latte evidenzia che gli squilibri nella catena di approvvigionamento della filiera lattiero-casearia, la crescente concentrazione dell'industria a fronte di un numero elevato di produttori lattieri dispersi sul territorio e una ripartizione disomogenea del valore aggiunto lungo la filiera hanno aggravato la crisi del 2009;
il pacchetto latte, che modifica il regolamento dell'OCM unica (reg. (Ce) 1234/2007), introduce alcune misure specifiche per rafforzare la posizione dei produttori lattiero-caseari nella filiera; in particolare, introduce: i contratti scritti tra produttori di latte e trasformatori, la possibilità di negoziare collettivamente le condizioni contrattuali attraverso le organizzazioni dei produttori (OP), norme specifiche per la costituzione e il funzionamento delle organizzazioni interprofessionali (OI) e disposizioni per la trasparenza del mercato;
l'introduzione di contratti formali, secondo la Commissione europea, incoraggerà tutti gli operatori della catena lattiero-casearia a seguire con più attenzione l'andamento del mercato, a reagire più tempestivamente ai segnali di cambiamento del mercato, ad allineare maggiormente i prezzi all'ingrosso e al dettaglio a quelli corrisposti agli agricoltori, ad adattare l'offerta alla domanda e a porre fine a pratiche commerciali sleali;
per migliorare la concentrazione dell'offerta e per riequilibrare il potere contrattuale all'interno della filiera, la proposta prevede di incoraggiare la costituzione di organizzazioni di produttori e di consentire agli agricoltori di negoziare collettivamente i contratti attraverso le OP;
allo scopo di riunire i soggetti attivi nell'intera catena produttiva, la proposta prevede il riconoscimento delle Organizzazioni interprofessionali (OI), che perseguono l'obiettivo di migliorare la conoscenza della produzione e del mercato, di coordinare meglio la ricerca e di promuovere le migliori pratiche in materia di produzione e trasformazione;
va tenuto conto che la volatilità dei prezzi mondiali appare un elemento strutturale degli ultimi anni ed anche per il prossimo futuro, sia per i prodotti lattiero-caseari che per la maggior parte delle commodities, come i cereali, le oleaginose e lo zucchero;
l'Unione europea mette a disposizione strumenti per migliorare il funzionamento della filiera;
le proposte del pacchetto latte consentiranno di dare maggiore forza giuridica ai contratti tra produttori e trasformatori, con la possibilità per gli Stati membri di renderli obbligatori, senza incorrere nei vincoli della normativa comunitaria sulla concorrenza;
le quote latte saranno abolite dal 1o aprile 2015, ma nel frattempo l'Unione europea ha deciso un aumento graduale delle quote;
le quote latte diventano sempre meno rilevanti, in quanto la produzione lattiera resta al di sotto delle quote in un numero crescente di Stati membri. Mentre nella campagna 2008-2009 ben sei Stati membri hanno dovuto pagare un prelievo sulle eccedenze, nella campagna 2009/2010 gli Stati membri che devono pagarlo sono solo tre (Danimarca, Olanda e Cipro);
il prezzo della quota latte diminuisce man mano che si avvicina la fine del regime delle quote; nella grande maggioranza degli Stati membri è già basso o vicino a zero;
per preparare meglio il terreno all'abolizione delle quote nel 2015, la Commissione suggerisce di facilitare l'atterraggio morbido attraverso la sensibilizzazione e la responsabilizzazione degli operatori della filiera lattiero-casearia in modo che tengano meglio conto dei segnali del mercato e adeguino l'offerta alla domanda;
il Governo italiano ancora non ha fornito una proposta per tutto il settore lattiero-caseario e in questi anni si è limitato alle proroghe del pagamento delle multe sulle quote latte, evidenziando, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, la mancanza di una visione globale di filiera;
il Governo italiano non ha ancora presentato le proprie proposte sul pacchetto latte,
impegna il Governo:
a formulare, nei tempi più utili, la posizione negoziale dell'Italia sul cosiddetto pacchetto latte, al fine di consentirne l'esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari;
a prevedere che la posizione negoziale dell'Italia sul cosiddetto pacchetto latte contenga, tra gli altri, i seguenti elementi:
a) l'impatto per l'Italia conseguente alle proposte della Commissione europea sul pacchetto latte;
b) la compatibilità giuridica dei contratti tra produttori e trasformatori, ipotizzati dal pacchetto latte e la relativa possibilità per gli Stati membri di renderli obbligatori, con le norme nazionali sulla regolazione dei mercati ai sensi del decreto legislativo 102 del 2005;
c) la messa a punto di strumenti e metodi per migliorare la qualità dei prodotti in tutte le fasi della filiera anche attraverso l'adozione di strumenti, autorizzati dallo Stato membro, che consentano ai produttori e agli organismi interprofessionali (introdotti dalla proposta Unione europea) di gestire l'offerta produttiva, di pianificarla e di adeguarla alla domanda in virtù di turbative di mercato;
d) l'individuazione di soluzioni, proposte e azioni di valorizzazione della cooperazione lattiero-casearia, che ha svolto in questi anni un positivo ruolo di stabilizzazione del mercato e della filiera;
e) la messa a punto di azioni di valorizzazione delle produzioni di latte di alta qualità e di tutela dei caratteri distintivi dei formaggi, nonché di misure che favoriscano la crescita e l'auto-organizzazione dei produttori e il loro protagonismo lungo la filiera lattiero-casearia;
f) l'individuazione di un sistema di organizzazioni di produttori che sia coerente con le positive esperienze maturate nel settore ortofrutticolo e che sia caratterizzato dall'effettiva disponibilità/proprietà del prodotto ai fini del suo riconoscimento;
g) il sostegno alla stipula di accordi di filiera che prevedano la partecipazione, oltre che dei produttori e dei trasformatori, della grande distribuzione organizzata;
h) la promozione dell'indicazione dell'origine per i prodotti lattiero-caseari, così come sancito dalla posizione in prima lettura del Parlamento europeo sulla proposta della Commissione COM(2008) 40 relativa alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori e come disposto dall'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011, n. 4;
i) l'estensione di parte delle misure previste nella proposta della Commissione sul settore lattiero-caseario ad altri comparti dell'agricoltura mediterranea che, negli ultimi tre anni, sono stati caratterizzati da estrema volatilità dei prezzi, come nel caso dell'olio d'oliva.
(1-00589)
«Oliverio, Zucchi, Marco Carra, Agostini, Brandolini, Cenni, Cuomo, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Sani, Servodio, Trappolino».
Risoluzioni in Commissione:
La VIII e la X Commissione,
premesso che:
il settore fotovoltaico è composto da circa 1.000 aziende, 15.000 posti di lavoro diretti e oltre 100.000 indiretti, la
stima del volume d'affari nel 2010 è compresa tra 6/8 miliardi di euro;
il settore ha un rilevante impatto sulla riduzione delle emissioni di CO2, considerando che ogni gigawatt di fotovoltaico comporta 740 mila tonnellate di CO2/anno in meno;
il fotovoltaico contribuisce alla generazione distribuita, allo sviluppo di una rete «intelligente» per la distribuzione di energia elettrica, alla riduzione della dipendenza da fonti energetiche tradizionali, stimola la ricerca e lo sviluppo industriale;
l'industria fotovoltaica è passata dai 5.000 megawatt installati nel mondo fino al 2005, a 6.000 nel 2008, 7.200 nel 2009 e, si stima, oltre 10.000 nel 2010;
l'Europa sulle fonti rinnovabili ha assunto nel lungo periodo una politica intelligente e vincente allo scopo di aumentare l'efficienza del settore energetico, ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, l'impatto del settore sull'ambiente, sostituire costi di combustibili con lavoro e tecnologia locali, promuovere lo sviluppo;
la scelta operata dall'Europa può portare benefici in termini di competitività dell'industria manifatturiera, come testimonia l'impegno tedesco e cinese, ma anche stabilizzare i costi futuri, visto che il fotovoltaico, come molte delle fonti rinnovabili, non ha l'incognita combustibile: fattori di valore per l'efficienza di un'economia;
secondo le previsioni di tutti gli osservatori qualificati, grazie ai processi innovativi in atto, il costo del megawatt prodotto dal fotovoltaico riuscirà ad essere competitivo con quello delle fonti fossili anche grazie al fatto che la dinamica discendente dei costi dell'ultimo triennio è stata sorprendente, tanto che oggi il megawatt fotovoltaico che nel 2007 in Italia costava 430 euro, oggi ne costa 290 dimostrando in tal modo che raramente l'innovazione è stata più efficace;
gli investimenti di settore in Italia sono stimati oltre i 3,5 miliardi di euro per il 2010, sono nate centinaia di nuove imprese e uno degli effetti collaterali del programma di incentivi è stato anche quello di far fiorire iniziative di ricerca che non si era riusciti ad avviare mai prima d'ora, con prospettive finalmente concrete anche per la ricerca italiana;
il conto energia prevede che l'impianto riceva un premio per venti anni ma, dal momento che l'impianto più vecchio in Italia ha 28 anni e fornisce ancora prestazioni in linea con le garanzie fornite oggi dai produttori (80 per cento della produzione iniziale dopo 25 anni), è evidente che tali impianti forniranno energia e soprattutto potenza, nei momenti di punta, praticamente gratis;
se e quando si dovranno smontare gli impianti, il costo di smantellamento a fine vita non produrrà costi negativi, secondo le stime effettuate perché il valore di vetro, silicio e metalli è superiore al costo per la loro raccolta;
dunque il fotovoltaico è un investimento di lungo periodo per la comunità nazionale, ma privo di rischi e con rendimento sicuro e l'energia necessaria per costruire e installare un pannello è restituita dal medesimo in meno di due anni;
la valutazione sull'opportunità di investire in questa fonte non può basarsi solo sulla convenienza attuale e prescindere da una considerazione di prospettiva: il fotovoltaico è la fonte con le migliori prospettive di riduzione di costo nel lungo periodo e non ha senso rimanere fuori da un settore così attraente sul piano industriale;
l'onere annuo che si va ad accumulare con gli attuali incentivi sta diventando importante (344 milioni di euro nel 2009, che possono divenire 800 a fine 2010) con un impegno per venti anni, ma non è paragonabile alle altre inefficienze di regolazione del settore;
sarebbe necessario un progetto di lungo periodo, che abbatta i costi dell'intero
settore migliorandone l'efficienza complessiva, mentre il Governo sceglie ad avviso dei sottoscrittori del presenta atto di indirizzo di «punire» uno dei rari settori che nella crisi in corso ha avuto una forte crescita, grazie allo sviluppo di una filiera che si basa tra l'altro su una forte e continua innovazione tecnologica;
il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, approvato dal Consiglio dei ministri, rinvia a un successivo decreto, da emanarsi entro il 1o giugno, di concerto tra il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la fissazione dei nuovi parametri degli incentivi e la revisione delle quote delle varie fonti rinnovabili per giungere agli obiettivi comunitari;
con la dichiarata intenzione di colpire abusi e speculazioni e malavita, si colpisce l'intero mercato, senza considerare che essi trovano origine proprio nell'interstizio di arbitrarietà e incertezza che deriva dalla continua stratificazione normativa e dall'onerosità e discrezionalità delle procedure;
il quadro regolatorio in continua mutazione è anche all'origine dell'allontanamento degli investitori nazionali ed esteri;
la previsione secondo cui gli incentivi del conto energia sono in essere fino al 31 maggio senza un periodo cuscinetto, come i 14 mesi previsti dalla previgente normativa, compromette da subito gli investimenti in corso, perché determina il congelamento immediato dei finanziamenti bancari, bloccando i cantieri degli impianti in costruzione, producendo la sospensione delle linee di credito da parte di alcune banche e la cancellazione di importanti commesse;
l'aspetto più grave, oltre alla drastica riduzione degli incentivi attuali, sta nell'ennesima lesione della certezza del diritto;
il decreto legislativo, infatti, cambia le regole sia per quel che riguarda i certificati verdi sia per il conto energia, fissando delle scadenze temporali incompatibili con l'installazione della capacità già autorizzata e, ancor più, di quella in via di autorizzazione;
risulta pericoloso l'effetto retroattivo del decreto, particolarmente drammatico nel caso del fotovoltaico, perché blocca non solo i progetti futuri, ma anche quelli già avviati e finanziati, mettendo a rischio di fallimento aziende fino a ieri stabili e in crescita e ledendo il diritto degli investitori che hanno calcolato il rischio della costruzione e della messa in opera degli impianti, ma non quello del repentino mutamento del quadro legislativo;
il decreto appare peraltro in violazione della direttiva e della legge delega (articolo 17, comma 1, della legge 4 giugno 2010, n. 96), che dettava principi e criteri consoni allo spirito di promozione delle rinnovabili proprio della citata direttiva;
le decisioni di investimento relative al terzo conto energia sono state operate facendo affidamento su un regime di incentivazione adottato nell'agosto 2010 ed entrato in vigore il 1o gennaio 2011 con una durata prevista fino a tutto il 2013;
in sostanza il decreto legislativo risulta essere stato approvato secondo i sottoscrittori del presente atto di indirizzo in eccesso di delega;
l'Autorità per l'energia elettrica e il gas aveva chiesto misure anti-speculazione per le energie rinnovabili e, con una segnalazione al Governo e al Parlamento, alcuni «correttivi» in materia di sussidi in quanto il costo totale per incentivare le sole rinnovabili vere, «assimilate» escluse, è passato dai 2,5 miliardi di euro 2009, ai 3,4 miliardi 2010, fino a oltrepassare quest'anno i 4 miliardi;
da tale premessa si è passati a una norma che sembra volta a bloccare il settore più che a rispondere alle richieste dell'Autorità;
gli oneri generali di sistema elettrico incidono per circa il 9,5 per cento sul costo totale lordo di un utente domestico tipo e includono costi associati a diverse voci tra cui la componente A3 che incide per il 68 per cento sugli oneri generali;
all'interno della componente A3, con un peso di circa il 20 per cento sul totale, rientrano anche gli incentivi per il fotovoltaico, che rappresentano l'1,6 per cento della bolletta, e si traducono in 0,60 euro mese per il contribuente contro, ad esempio, i quasi 2 euro/mese della Germania;
l'incidenza del fotovoltaico sulla componente A3 nel il 2010 è stata di circa 800 milioni di euro, pari all'1,6 per cento (circa 0,60 euro al mese) del costo totale di una bolletta tipo per utenza domestica;
ad oggi sono stati incentivati con il primo, secondo e terzo conto energia, 3.725.610 megawatt, mentre mancano i dati relativi alla legge n. 129 del 2010 (Salva Alcoa) per cui il GSE sta effettuando controlli;
il costo di una bolletta elettrica «tipo» è pari a circa 450 euro/anno sui quali come precedentemente ricordato il fotovoltaico nel 2010 ha inciso per circa 7,2 euro annui,
impegna il Governo:
a fare salvi gli investimenti che sono stati avviati sulla base del precedente quadro di incentivazione, creando un orizzonte di certezza perché le imprese che investono, e le banche che finanziano, possano predisporre un business plan stabile;
a convocare immediatamente un tavolo di concertazione per arrivare al più presto, attraverso un confronto di merito con tutti gli operatori del settore, a definire un nuovo sistema di incentivi basato su un graduale approdo alla nuova disciplina d'incentivazione.
(7-00514)
«Lulli, Mariani, Ruggeri, Vico, Fadda, Froner, Zunino, Cimadoro, Vannucci».
Le Commissioni VIII e X,
premesso che:
nel campo dell'energia elettrica ottenuta tramite fonti rinnovabili l'Unione europea ha da tempo provveduto a definire un ordinamento normativo chiaro ed esaustivo, allo scopo approvando specificatamente la direttiva n. 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità;
tale direttiva è stata successivamente sostituita dalla direttiva 2009/28/CE, in corso di recepimento dal nostro Paese, con un decreto legislativo il cui schema è stato definitivamente approvato dal Consiglio dei ministri del 3 marzo 2011, previo parere delle Commissioni parlamentari;
l'Unione europea riconosce la necessità di promuovere in via prioritaria le fonti energetiche rinnovabili, attribuendo a tali fonti un'importanza strategica per la protezione dell'ambiente, lo sviluppo sostenibile e la lotta ai cambiamenti climatici e anche ai fini del raggiungimento della sicurezza degli approvvigionamenti energetici nell'ambito del mercato interno dell'elettricità;
con il «pacchetto clima-energia, obiettivo: 20/20/20», finalizzato a ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra entro il 2020, lo Stato italiano è tenuto a ridurre, entro tale data, le emissioni di anidride carbonica del 20 per cento rispetto al 1990;
oltre a puntare sul risparmio e sull'efficienza energetica, sia nei trasporti e sia nei consumi di energia elettrica e calorica, l'obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti si può efficacemente conseguire soprattutto sfruttando l'energia solare, la fonte energetica rinnovabile più compatibile con le caratteristiche geografiche e paesaggistiche del nostro Paese;
infatti, il nostro Paese gode di un'insolazione ampiamente superiore rispetto ad altri Paesi europei, come la Germania, che puntano più di noi sull'approvvigionamento energetico dal settore fotovoltaico;
lo sviluppo del settore delle fonti energetiche rinnovabili e l'indotto ad esso connesso, specialmente nell'attuale momento di crisi economica mondiale, crea occupazione locale e ha un impatto positivo sulla coesione sociale;
uno degli esempi più virtuosi in questo campo è rappresentato proprio dal settore fotovoltaico che nel nostro Paese è composto da circa 1.000 aziende, 15.000 posti di lavoro diretti ed oltre 100.000 indiretti, con una stima di volume d'affari nel 2010 compresa tra i 6 e gli 8 miliardi di euro;
soprattutto il settore del fotovoltaico a concentrazione è oggi in forte fermento e si stanno sviluppando, anche nel nostro Paese tecnologie innovative, interamente italiane, che, se supportate dagli atti necessari per promuoverne lo sviluppo, possono adeguatamente maturare e trovare un definitivo sbocco industriale e commerciale a tutto vantaggio del «sistema Paese»;
la direttiva n. 2001/77/CE è stata recepita nel nostro Paese con il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387; in particolare l'articolo 7 di tale decreto legislativo è specificatamente dedicato all'energia solare, demandando ad un apposito decreto ministeriale la disciplina e l'entità dell'incentivazione per l'elettricità prodotta mediante conversione fotovoltaica e prevedendo una specifica tariffa incentivante, di importo decrescente e di durata tale da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio degli impianti (conto energia);
con il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, 6 agosto 2010, recante «Incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare» in attuazione dell'articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, sono stati ridefiniti i criteri e le modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare, specificando che le relative tariffe incentivanti si applicano per l'energia elettrica prodotta dagli impianti fotovoltaici che entrano in esercizio nel 2012 e 2013;
il parere sullo «Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili - Atto n. 302» approvato all'unanimità dalle commissioni VIII e X della Camera dei deputati, ed in particolare il punto 31 delle condizioni, invita il Governo a posticipare dal 1o gennaio 2013 al 1o gennaio 2014 la decorrenza della soppressione dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 387/2003, concernente le tariffe incentivanti del conto energia, allo scopo di rendere coerente tale soppressione con la parte dello stesso schema di decreto legislativo, inerente i Meccanismi di incentivazione (articolo 24, comma 5, lettera a)), che fa salve le decorrenze fissate ai sensi dei decreti attuativi previsti dal sopra citato articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 per gli impianti che entrano in esercizio nel 2012 e 2013;
lo scopo delle due Commissioni parlamentari è stato quello di garantire, con norme chiare, la continuità degli investimenti la garanzia del credito bancario e la certezza del diritto, fermo restando l'obbiettivo del decrescere degli incentivi sancito dallo stesso decreto legislativo n. 387 del 2003;
infatti, anche la Commissione europea, in data 31 gennaio 2011, ha adottato una raccomandazione in cui invita gli Stati membri ad incoraggiare le politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili, scoraggiando esplicitamente strumenti normativi retroattivi, causa di incertezza sul mercato e di congelamento degli investimenti;
lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri del 3
marzo 2011, invece, blocca al 31 maggio 2011 le tariffe incentivanti già previste dal conto energia, prevedendo l'emanazione di un ulteriore decreto ministeriale che dovrà ridefinire gli incentivi per gli impianti che entrano in esercizio a decorrere dal 1o giugno 2011 e fino al 31 dicembre 2012, lasciando ad altri decreti ministeriali la disciplina degli incentivi a regime, con doppia modalità di incentivazione - tariffa incentivante o asta pubblica; da questo contesto normativo sono esclusi gli impianti incentivati ai sensi dell'articolo 2-sexies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 2010, n. 41, che entrano in esercizio entro il 30 giugno 2011, per i quali si applicano le tariffe incentivanti del (decreto ministeriale 19 febbraio 2007, cosiddetto secondo conto energia (DL Alcoe);
con l'obiettivo di colpire abusi e speculazioni nel settore fotovoltaico, il blocco previsto dal nuovo decreto legislativo colpisce l'intero mercato del settore fotovoltaico;
notizie stampa riportano un blocco del credito bancario per un ammontare di 40 miliardi di commesse e un rischio di cassa integrazione per circa 10.000 lavoratori;
l'obiettivo di evitare le speculazioni sui terreni agricoli è ampiamente soddisfatto dal testo del nuovo decreto legislativo, che attenendosi ad una condizione posta dalle Commissioni parlamentari, riconosce la possibilità dell'installazione degli impianti fotovoltaici ai soli proprietari dei terreni agricoli, nel contempo ponendo limiti rigorosi alla potenza degli impianti e alla superficie agricola occupata;
occorre evitare conseguenze gravi e non volute sugli investimenti programmati, assegnando tempi congrui per il completamento degli impianti e l'allaccio alla rete;
a tal fine, occorre evitare che il nuovo decreto legislativo possa avere valenza retroattiva per i soggetti - imprese o privati cittadini - che abbiano già investito e sottoscritto impegni attenendosi a norme precedenti;
una disincentivazione del settore delle rinnovabili potrebbe compromettere il raggiungimento della quota del 17 per cento stabilita ai fini del conseguimento degli impegni comunitari;
specialmente in questo periodo di crisi energetica, anche conseguente alla crisi libica, occorre sfruttare la nostra posizione geografica, non trascurando la sostenibilità delle nostre bellezze naturali, magari rivedendo le percentuali tra fotovoltaico ed eolico dichiarate alla Commissione europea per il raggiungimento degli obiettivi post Kyoto;
nell'ambito della disciplina del decreto ministeriale di cui all'articolo 25, comma 10, del nuovo decreto legislativo, sarebbe comunque opportuno garantire l'applicazione delle tariffe incentivanti per l'energia elettrica prodotta dagli impianti fotovoltaici, come previste dalle lettere a), b) e c) della tabella A del comma 2 dell'articolo 8 del decreto ministeriale 6 agosto 2010, per gli impianti che entrano in esercizio entro il 31 dicembre 2011, al fine di garantire gli investimenti già avviati;
impegna il Governo:
a fare salvi gli investimenti avviati sulla base del precedente quadro di incentivazione assumendo le necessarie iniziative per definire un quadro normativo certo garantendo stabilità economica per le imprese che investono nel settore del fotovoltaico e per le banche che finanziano tali interventi;
a convocare immediatamente un tavolo di confronto con tutti gli operatori del settore, per arrivare al più presto a definire un nuovo sistema di incentivi basato sul raggiungimento graduale della nuova disciplina di incentivazione.
(7-00515)
«Guido Dussin, Torazzi, Lanzarin, Allasia, Togni, Maggioni, Alessandri, Dal Lago».
La VI Commissione,
premesso che:
l'articolo 1, commi da 290 a 293, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (finanziaria 2008) ha introdotto disposizioni fiscali dirette a utilizzare il maggior gettito IVA dovuto all'aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi per la riduzione temporanea dell'aliquota di accisa sui carburanti e, quindi, del, prezzo al consumo;
in particolare, il comma 291 dispone che, in presenza di una crescita dei prezzi petroliferi superiore al 2 per cento rispetto al valore del petrolio indicato nel documento di programmazione economica e finanziaria, le misure delle aliquote di accisa sui prodotti energetici usati come carburanti ovvero come combustibili per riscaldamento per usi civili sono ridotte al fine di compensare il maggiore gettito IVA dovuto all'incremento dei prezzi dei prodotti petroliferi: la riduzione delle aliquote di accisa è determinata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico;
tramite questo strumento è, pertanto, possibile impedire che il consumatore sia gravato da un duplice aumento, quello determinato dal prezzo e quello originato dalla tassazione, consentendo così il trasferimento sul prezzo finale del solo incremento dei costi di acquisto;
la misura garantisce, peraltro, la neutralità finanziaria, provvedendo, a parità di gettito complessivo, ad una ricomposizione della quota Iva e della accisa;
in attuazione di quanto disposto dal citato comma è stato emanato il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 7 marzo 2008, che ha ridotto le aliquote di accisa per il periodo tra il 20 marzo 2008 e il 30 aprile 2008, ed ha così sterilizzato il maggior gettito IVA conseguito nel periodo dal 1o gennaio 2008 al 29 febbraio 2008, valutato in 162,03 milioni di euro;
nelle ultime settimane, le quotazioni del greggio hanno superato i 117 dollari al barile (rispetto a un prezzo stimato dalla Decisione di finanza pubblica di 75,1 dollari al barile) ed il prezzo medio nazionale della benzina, rilevato dalla stampa specializzata, è arrivato a 1,566 euro al litro, con punte massime di 1,611 euro al litro nel Mezzogiorno, mentre quello del gasolio per autotrazione è a 1,458 euro al litro;
dai dati messi a disposizione da quotidiano energia, che riporta le quotazioni medie giornaliere dei diversi prodotti petroliferi, emerge che l'incremento percentuale del prezzo della benzina da gennaio a ottobre 2010 è stato del 2,7 per cento, e del diesel del 5,8 per cento, mentre nel periodo ottobre 2010-febbraio 2011 c'è stata un impennata dei prezzi che ha portato ad un aumento percentuale del 9,3 per cento del prezzo della benzina e dell'11 per cento del prezzo del diesel;
l'incremento del prezzo del greggio si è riflesso sul prezzo dei carburanti, determinando un incremento del gettito Iva di alcune centinaia di milioni di euro al mese, senza che il Governo abbia provveduto ad emanare l'atteso decreto sulla cosiddetta accisa mobile trimestrale, al fine di abbassare subito il prezzo dei carburanti;
la richiesta che le parti sociali e le associazioni dei consumatori hanno sollevato con insistenza, anche al fine di scongiurare una possibile deriva inflazionistica, è stata fino ad ora disattesa ed il ritardo nell'emissione del decreto al momento sta creando, attraverso il rialzo del prezzo del petrolio, un ingiusto introito per l'erario, a danno delle economie dei privati;
in particolare, viene segnalato dalle associazioni dei trasportatori, da parte della federazione dei benzinai, da parte dell'associazione tabaccai e da parte di moltissimi cittadini residenti lungo la fascia confinaria del Friuli Venezia Giulia, il rilevante differenziale nei prezzi dei carburanti che si registra con la vicina Slovenia e con la vicina Austria che determina
un vero e proprio «esodo» nei due Paesi confinanti per l'approvvigionamento di carburanti e di tabacchi che - secondo un approssimativo calcolo effettuato - si aggira sui 60.000 euro al giorno da quando si è verificata l'impennata dei prezzi alla pompa, determinando, come conseguenza un minore introito erariale,
impegna il Governo
a procedere rapidamente all'emanazione del decreto di riduzione dell'accisa sui carburanti in attuazione della norma prevista dalla legge finanziaria per il 2008, in modo tale da utilizzare il maggior gettito IVA dovuto all'aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi per la riduzione temporanea dell'aliquota di accisa sui carburanti e, quindi, del prezzo al consumo.
(7-00513) «Strizzolo, Fluvi».
La IX Commissione,
premesso che:
il passaggio al digitale in Piemonte ha creato problemi gravi e disservizi giganteschi tra i cittadini che pagano regolarmente il canone;
malgrado le varie rassicurazioni degli organismi competenti - a cominciare dalla Rai e dal Ministro dello sviluppo economico - dopo il passaggio al digitale nel Piemonte orientale, oggi quasi metà regione non riceve i canali Rai;
è una situazione semplicemente insostenibile che va sanata al più presto se non si vuole ridurre ulteriormente la credibilità e la serietà del servizio pubblico radiotelevisivo;
tra i vari disservizi non si può non segnalare la difficoltà a ricevere il segnale del tg regionale. E questo in una realtà in cui l'informazione regionale registra un forte seguito di ascolti,
impegna il Governo:
ad assumere ogni iniziativa di competenza, alla luce della pesante ed insostenibile situazione che si è venuta a creare con il passaggio al digitale, per risolvere definitivamente i problemi che generano sconcerto e preoccupazione in decine di migliaia di cittadini piemontesi che hanno pagato regolarmente il canone.
(7-00512)
«Giorgio Merlo, Esposito, Osvaldo Napoli, Allasia, Cambursano, Delfino, Calgaro, Rosso, Scanderebech, Pianetta, Nastri, Botta, Stradella, Mancuso, Armosino, Cavallotto, Bobba, Rampi, Boccuzzi, Portas, Fassino, Rossomando, Lovelli, Lucà, Damiano, Rao, Ruggeri, Vernetti».
La IX Commissione,
premesso che:
l'articolo 32 della legge 17 maggio 1999, n. 144, al fine di ridurre il numero e gli effetti degli incidenti stradali, dispone che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti definisca il Piano nazionale della sicurezza stradale, mediante il quale attuare gli indirizzi generali e le linee guida definiti con procedura stabilita dalla medesima norma e che tale Piano sia realizzato attraverso programmi annuali approvati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE);
emerge dall'analisi annuale sugli incidenti stradali condotta dall'ISTAT tra il 2001 e il 2009 che negli anni di applicazione del Piano nazionale per la sicurezza stradale gli incidenti stradali con lesioni a persone sono passati da 263.100 a 215.405, con un calo del 18,1 per cento e che i decessi sono diminuiti da 7.096 a 4.237 (-40,3 per cento mentre i feriti sono passati da 373.286 a 307.258 (-17,7 per cento);
il Cipe con la delibera del 13 maggio 2010, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 3 gennaio 2011, prende atto che a fronte di una stima, seppure di massima, delle esigenze complessive del settore ancora da soddisfare per pervenire a livelli di sicurezza in linea con quelli vigenti negli altri Paesi dell'Unione europea, per il periodo compreso tra il 2001 e il 2009 il Piano prevedeva una dotazione finanziaria a carico della finanza centrale di 3.280 milioni di euro, mentre sono stati stanziati solo 512 milioni di euro, pari al 15,6 per cento del totale;
con la medesima delibera lo stesso CIPE prende atto, con particolare allarme, che nel triennio 2007-2009, a fronte di un impegno nazionale previsto dal Piano nazionale per la sicurezza stradale (PNSS) di 1.678 milioni di euro, c'è stato un impegno effettivo di 141 milioni di euro (8,4 per cento del totale) e che, cosa ancor più grave, per il biennio 2010-2011 non sono previsti stanziamenti. Tale assenza di finanziamenti provocherà una forte battuta d'arresto sull'attuale performance per l'attuazione del Piano;
il decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 all'articolo 1, comma 4, afferma che il Governo ha l'obbligo di comunicare annualmente al Parlamento l'esito delle indagini periodiche riguardanti i profili sociali, ambientali ed economici della circolazione stradale;
il Ministro per i rapporti con il parlamento solamente il 9 febbraio 2010 ha presentato, con notevole ritardo, il rapporto relativo al 2007, mentre per i successivi anni il Parlamento non ha ancora ricevuto alcuna comunicazione ufficiale come da norma di legge,
impegna il Governo:
a reperire le risorse per l'attuazione del Piano nazionale per la sicurezza stradale e per garantire i servizi di prevenzione e monitoraggio da esso previsti, consapevole del fatto che il mancato finanziamento di tale essenziale strumento di programmazione provocherà una battuta d'arresto rispetto ai risultati raggiunti nel corso dei dieci anni di durata del piano, fattore che allontanerà il nostro Paese dagli standard europei;
comunicare con la massima sollecitudine al Parlamento, come previsto dall'articolo 1, comma 4 del decreto legislativo n. 285 del 1992, la relazione sullo stato della sicurezza stradale del Paese per gli anni 2008, 2009 e 2010.
(7-00516)
«Velo, Meta, Touadi, Lovelli, Fiano, Boffa, Bonavitacola, Cardinale, Gasbarra, Gentiloni Silveri, Ginefra, Laratta, Pierdomenico Martino, Giorgio Merlo, Tullo».
...
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
risulta agli interroganti che il Consiglio di amministrazione della società Alitalia abbia sottoscritto un contratto per l'acquisto in leasing di 20 aeromobili ERJ 170-190 del costruttore brasiliano EMBRAER per un controvalore complessivo superiore ai 500 milioni di dollari;
il prezzo di tali aeromobili è di valore più elevato del 30 per cento rispetto
a quello dei nuovi velivoli Superjet 100 prodotti dalla joint-venture tra l'italiana Alenia Aeronautica e la russa Sukhoi nel quadro di un importante programma di collaborazione industriale fra i due Paesi, fortemente sostenuto dai rispettivi Governi;
mentre la compagnia di bandiera russa Aeroflot, appartenente come Alitalia alla stessa rete internazionale SkyTeam, ha ordinato un forte quantitativo di superjet, la compagnia di bandiera italiana ha, di fatto, rinunciato all'importante progetto, ordinando aerei brasiliani;
l'offerta italiana presentata da Superjet International spa risulterebbe peraltro, non solo, più vantaggiosa economicamente rispetto a quella brasiliana, ma anche complessivamente preferibile, in quanto, a giudizio di esperti internazionali, il velivolo Superjet 100 risulta più confortevole per passeggeri ed equipaggi, grazie ai maggiori spazi disponibili, offre tecnologie più moderne e maggior rispetto dell'ambiente e presenta costi di esercizio notevolmente inferiori;
tale contratto tra Alitalia e Embraer interviene nel momento in cui la stessa Alitalia si appresta a chiedere interventi di cassa integrazione per una ulteriore riduzione degli organici di 700 unità, i cui oneri si riflettono sulle istituzioni e l'intera collettività -:
quali siano le caratteristiche dell'offerta di Superjet International, anche in rapporto a quelle della concorrenza, e se risultino le ragioni che hanno indotto il consiglio di amministrazione di Alitalia ad optare per un'offerta che appare economicamente più onerosa rispetto a quella della Superjet International;
di quali elementi disponga il Governo in ordine all'impatto di tale decisione sull'economia del settore.
(2-01001)
«Moffa, Sardelli, Antonino Foti».
Interrogazione a risposta in Commissione:
FONTANELLI, GATTI, REALACCI, MOGHERINI REBESANI, VENTURA e VILLECCO CALIPARI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 20 febbraio 2011 i giornali toscani, riprendendo quanto rivela Wikileaks, riportano con evidenza una nota secondo cui le autorità USA avrebbero domandato al Governo italiano, nella persona del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, se considerava un problema lo stoccaggio a Camp Darby di bombe chiamate «cluster bomb» e avrebbero avuto una risposta rassicurante sul fatto che l'Italia non avrebbe «creato problemi»;
le «cluster bomb», definite anche bombe a grappolo, sono una tipologia di ordigni considerata estremamente pericolosa e inaccettabile, per i suoi possibili e prolungati effetti negativi sul territorio e sulle popolazioni civili, tanto che è stata messa al bando da una convenzione internazionale Onu, sostenuta anche dal Parlamento europeo, e sulla quale si è pronunciato positivamente anche il nostro Paese pur mancando, ad oggi, l'atto di formale ratifica -:
se risulti vero che tali ordigni, chiamati «cluster bomb», siano stoccati nella base Usa in Italia di Camp Darby;
se sia vero che da parte degli USA ci sia stata una richiesta di parere su tale scelta rivolta al nostro Governo;
se e quando il Governo italiano intenda assumere le iniziative di competenza per la ratifica della convenzione sulla messa al bando delle «cluster bomb».
(5-04377)
Interrogazioni a risposta scritta:
MURGIA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
da fonti interne al Ministero dei beni culturali si è venuto a conoscenza che
starebbero ipotizzando di chiudere Cinecittà Luce;
venerdì scorso si sarebbe aperta la procedura di crisi ministeriale a causa degli esuberi;
in quell'occasione non è stato presentato nessun piano di rilancio per la struttura e gli studi sulla Tuscolana;
è in gioco il futuro non di una qualsiasi società per azioni, ma del marchio audiovisivo più prestigioso d'Italia e tra i più antichi del mondo;
tutto ciò avviene mentre si festeggia il 150° anniversario dell'Unità d'Italia;
anche l'amministratore delegato di Cinecittà Luce S.p.A. assicura che le preoccupazioni non sono rituali;
si è ad un passo dal chiudere, dal licenziare dipendenti, dal sospendere un'attività preziosissima per il cinema contemporaneo e la memoria audiovisiva italiana;
Cinecittà Luce consta di 126 dipendenti e nel 2011 riceverà 7,5 milioni di euro di finanziamento dal Fus, il Fondo unico dello spettacolo, a differenza dei 29 milioni ricevuti nel 2004, dei 27 milioni del 2005, fino ai 17,2 milioni ricevuti nel 2010;
lo stesso presidente dell'Istituto sostiene che il finanziamento di quest'anno basterà per pagare solo gli stipendi;
Cinecittà Luce rivendica, oltre ad un archivio immenso composto da migliaia di cinegiornali e documentari e dagli archivi di Stato dell'Albania - fascista e pre-comunista - dell'Eni, del movimento operaio e della resistenza, anche un vasto campo d'azione che va dalla distribuzione, dove sostiene il cinema emergente finanziato dallo Stato come opera prima e seconda, alla promozione all'estero del nostro cinema -:
se il Governo non ritenga necessario trovare soluzioni urgenti per far sì che le capacità imprenditoriali di questo marchio audiovisivo non siano compromesse;
se il Ministro interrogato posto che appare gravissimo mettere a rischio un patrimonio, come l'archivio dell'Istituto Luce, che appartiene agli italiani e al mondo intero e pertanto se il Governo non ritenga fondamentale avviare una strategia di razionalizzazione e di rilancio per scongiurare la chiusura di un insostituibile archivio storico, di un'agenzia di promozione del cinema italiano all'estero, cosa che impedirebbe di valorizzare nuovi talenti con la distribuzione di film d'autore.
(4-11215)
BRUGGER, ZELLER e GNECCHI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
presente a Bolzano il 7 marzo 2011 in una manifestazione di partito che sarebbe stata indetta per presentare iniziative celebrative dei 150 anni dell'Unità d'Italia, secondo quanto riportato dagli organi di stampa, Vittorio Sgarbi ha affermato che voler storicizzare i monumenti di origine fascista e voler rimuovere immagini e bassorilievi di epoca fascista presenti sugli edifici pubblici a Bolzano, con la loro ricollocazione in ambito museale, significa che il presidente della provincia autonoma di Bolzano Durnwalder «diventerà come Hitler e Mussolini diventerà un ebreo perseguitato»;
gli organi di stampa riferiscono inoltre che secondo Sgarbi «gli italiani in Alto Adige sarebbero come gli ebrei sotto il nazismo»;
le affermazioni di Sgarbi hanno suscitato la protesta della giunta della provincia autonoma di Bolzano, della SVP e di altre forze politiche, della comunità ebraica e dell'Anpi e costituiscono un'inaccettabile negazione della storia e della cultura di convivenza fra i diversi gruppi linguistici in Alto Adige -:
se i Ministri intendano prendere le distanze dalle dichiarazioni sopra citate che appaiono in contrasto anche con gli accordi raggiunti dalla provincia autonoma di Bolzano con il Governo in ordine ai monumenti fascisti.
(4-11238)
AFFARI ESTERI
Interrogazioni a risposta scritta:
DESIDERATI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il Governo, in data 10 giugno 2008, ha accolto l'ordine del giorno Cota, Reguzzoni, Dal Lago (A.G. 9/1094-A-R/2), impegnandosi «ad adottare ogni possibile iniziativa ed impartire ogni necessaria istruzione affinché si pervenga ad un'urgente revisione/ridefinizione dei vigenti accordi bilaterali in modo da garantire, anche su Malpensa e sugli altri aeroporti, l'effettiva liberalizzazione dei diritti di traffico con riguardo al numero dei vettori designati, al numero delle frequenze consentite e al numero dei punti di accesso»;
il traffico aereo di linea fra due Stati è regolamentato da accordi bilaterali, articolati in base a schemi fissi, sottoscritti dai Governi dei due Paesi interessati e che attraverso la stipula di un accordo bilaterale viene sancito un regime regolamentare che definisce la quantità di voli offerti, il numero dei soggetti ammessi ad operare e il numero di destinazioni servite tra i due Paesi;
l'area di Milano e del Nord Italia subisce attualmente forti limitazioni in termini di accessibilità aerea dovute all'attuale configurazione degli accordi bilaterali vigenti che, di fatto, ostacolano o impediscono il concreto sviluppo del trasporto aereo in tale area, attraverso la predeterminazione del vettore designato (monodesignazione), la limitazione delle frequenze e dei punti di accesso;
il riposizionamento su Roma della maggior parte dei servizi extra europei di Alitalia accentua pesantemente queste limitazioni soprattutto, ma non solo, con riferimento all'aeroporto di Malpensa al quale non sono al momento garantite paritarie condizioni di accessibilità con l'altro principale scalo nazionale pur in presenza di richieste di vettori italiani e stranieri intenzionati ad attivare, nel breve-medio termine, nuovi collegamenti e/o ad incrementare il numero delle frequenze su detto aeroporto;
tali richieste, il cui accoglimento è ostacolato dai vigenti accordi bilaterali, comprendono l'accesso su Milano di molti vettori, fra cui la Malesia;
inoltre, con riferimento agli altri aeroporti, risultano inevase numerose e fondate richieste miranti a ristabilire per tutti gli aeroporti del Paese regole di libero mercato e condizioni di parità di accesso;
alla luce del riposizionamento di Alitalia sullo scalo di Roma, i vigenti accordi aeronautici bilaterali determinano su Milano e sugli altri aeroporti notevoli elementi di criticità in quanto, nella maggior più dei casi, il numero delle frequenze previste, pur un presenza di pluridesignazione, è interamente, o quasi interamente, operato da Alitalia (ad esempio Argentina, Algeria, Ghana, Brasile);
inoltre, le previsioni di monodesignazione limitano alla sola Alitalia il diritto di operare (ad esempio Egitto e Venezuela) e le eventuali previsioni di limitazione dei punti di accesso sono state finora attuate a favore di Roma;
il processo di privatizzazione di Alitalia e la sua fusione con Air One hanno creato non solo una situazione di monopolio su alcune rotte, ma anche il pericoloso e non accettabile ruolo di una compagnia privata cui viene affidato in esclusiva il collegamento del nostro Paese con alcuni Paesi terzi;
l'articolo 9, comma 5-bis della legge 2 del 2009, stabilisce che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero degli affari esteri ed in collaborazione con l'Enac promuova la definizione di nuovi accordi bilaterali nel settore del trasporto aereo nonché la modifica di quelli vigenti;
il Ministro degli affari esteri, rispondendo all'interrogazione 4-00383 Reguzzoni, ha dichiarato che, «anche alla luce dell'emanazione del regolamento n. 847
del 2004, si era concordato di tenere consultazioni fra l'Italia e la Malesia agli inizi del 2009, ma che dette consultazioni sono state rimandate a data da definirsi a causa dei nuovi assetti organizzativi allora in itinere e da ulteriori problematiche di carattere generale e diplomatico ancora irrisolte», aggiungendo comunque che la nuova data proposta dalla Malesia era febbraio 2010 -:
come si sia evoluta la situazione relativa alle consultazioni con la Malesia per la ridefinizione degli accordi aerei bilaterali e in che termini si stia procedendo per la conclusione dei colloqui fra le parti.
(4-11208)
DESIDERATI e REGUZZONI. - Al Ministro degli affari esteri, Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in data 9 marzo 2010 il Ministro interrogato, rispondendo alla interrogazione 4-05296 in tema di collegamenti aerei con la Federazione Russa, in considerazione del regime di monodesignazione ancora vigente nel suddetto Paese, riferiva che in attuazione della legge n. 2 del 2009 era stata avviata una complessiva ricognizione degli interessi aeronautici nazionali al fine di rilanciare la politica del trasporto aereo con l'aumento dei diritti del traffico aereo a disposizione delle compagnie, la predisposizione di nuove rette, vettori e scali con particolare riguardo al potenziamento degli hub di Fiumicino e Malpensa. Con riferimento ai negoziati avviati già nel 2008 con la Federazione Russa, il Ministro precisava che nel contesto del memorandum d'intesa siglato dai Ministeri dei trasporti dei due Paesi, al fine di migliorare e sviluppare l'intero settore, era stata comunicata alle autorità russe la disponibilità dell'ENAC a dare riscontro positivo alla richiesta della compagnia Rossiya di derogare agli accordi vigenti, avviando i collegamenti tra San Pietroburgo e le città italiane di Rimini, Palermo e Catania; nella stessa occasione era stata sottoposta alle stesse autorità l'ulteriore richiesta di accordare a più compagnie italiane la facoltà, attualmente consentita ad un solo vettore, di operare il collegamento Torino-Mosca -:
quale sia lo stato attuale del negoziato in corso con la Federazione Russa e se le richieste riportate in premessa siano state accolte dalle competenti autorità russe.
(4-11209)
...
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nello studio annuale di Legambiente «Ambiente Italia» vengono riportati i dati della certificazione crescente che sta consumando il suolo italiano, contribuendo alla creazione di frane e smottamenti in condizioni climatiche difficili. In testa Lombardia, Veneto e Campania. Ciò che è accaduto nei giorni scorsi nelle Marche, è la conseguenza di un'edificazione selvaggia, che sta interessando tutto il territorio nazionale, ma soprattutto quelle regioni che avevano mantenuto, fino a poco tempo fa, il loro carattere rurale, come Molise, Puglia e Basilicata. Con l'avanzamento dell'asfalto si diminuisce la capacità del terreno di trattenere l'acqua, e con essa tutti i materiali che contribuiscono a rendere il sottosuolo immune da frane;
in Italia - si legge nella rapporto pubblicato da Legambiente - vengono consumati mediamente oltre 500 chilometri quadrati di territorio all'anno, come se ogni quattro mesi spuntasse una città uguale all'area urbanizzata del comune di Milano. Sommando quanto è stato finora coperto da cemento e asfalto si arriva ad una superficie di 2.350.000 ettari, equivalente a quella di Puglia e Molise messe
assieme, cioè il 7,6 per cento del territorio nazionale, quasi 400 metri quadrati di asfalto per ogni italiano;
questa pressione - calcolata da Legambiente e dall'Istituto nazionale di urbanistica attraverso il Centro di ricerca sui consumi di suolo, con il supporto scientifico del dipartimento di architettura del Politecnico di Milano - si è andata intensificando negli ultimi 15 anni, fino a portare alla fotografia del consumo di suolo scattata nel 2010: la Lombardia risultava in testa con il 14 per cento di superfici artificiali, il Veneto seguiva con l'11 per cento, la Campania con il 10,7 per cento e il Lazio e l'Emilia Romagna con il 9 per cento. Un trend che, sia pure partendo da una situazione diversa, sta contagiando anche regioni che mantengono un forte carattere rurale come Molise, Puglia e Basilicata. «Bisognerebbe fare come in molti paesi europei che stanno ponendo un freno all'urbanizzazione selvaggia - ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza». Purtroppo, però, l'urbanizzazione è utile ai comuni per coprire le spese correnti, tanto da rilasciare permessi a edificare anche dove non sarebbero necessarie nuove costruzioni;
il risultato di questa tecnica di «fund rising» da parte dei comuni è che a Napoli e a Milano, ad esempio, nel 2007, le superfici impermeabili coprivano il 62 per cento del suolo, un enorme numero di case molto spesso rimaste vuote. Nelle stesse città in cui l'emergenza sfratti è più pesante, quasi un milione di case risultano vuote perché economicamente irraggiungibili da chi aspirerebbe a occuparle. Ciò che emerge, è che non si punta al recupero dell'esistente, ma alla trasformazione di nuove aree, non si costruisce per dare abitazioni a chi ne ha bisogno, ma, afferma Legambiente «per soddisfare la speculazione immobiliare e finanziaria» -:
quali interventi i Ministri intendano adottare, al fine di apportare un'adeguata azione di controllo relativa a quanto denunciato dal rapporto annuale di Legambiente.
(4-11214)
LEOLUCA ORLANDO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nel 1997, a Pastena, in provincia di Frosinone, venne data la concessione per il risanamento di un terreno con il materiale di riporto della costruenda linea ferroviaria TAV Roma-Napoli. Detto terreno si trova al lato della strada provinciale 151 Pastena-Castro, al chilometro 8,00, e lambisce un torrente che affluisce all'interno delle Grotte di Pastena;
fin da allora vi sono state numerose testimonianze che sembrerebbero confermare il forte sospetto che in detto terreno, così come in altre aree che circa dieci anni fa la TAV utilizzò come siti di scarico, siano stati interrati illegalmente e clandestinamente dei rifiuti tossici e pericolosi dalla camorra;
si tratta di testimonianze che parlavano di buche realizzate durante la notte e poi già spianate alla mattina, e di rumori di bidoni metallici scaricati dai camion;
si ricorda che in questi anni, i rapporti di processi, documenti e testimonianze, hanno descritto uno scenario spregiudicato, nel quale la criminalità organizzata approfittando di un clima di illegalità silente e diffusa, si era impadronita degli appalti della TAV e condizionava fortemente la gestione dei cantieri;
in realtà, non risulta essere mai stata fatta chiarezza rispetto alla suddetta presenza di rifiuti tossici, e sull'eventuale stato di inquinamento dei terreni interessati e delle falde sottostanti;
laddove interpellata, l'ARPA regionale, chiariva l'impossibilità di intervenire in terreni privati, a eccezione di un preventivo e sollecito comando proveniente dall'azienda sanitaria locale o dalle forze dell'ordine;
in tutti questi armi una battaglia di legalità e di richiesta di trasparenza, è stata condotta - tra gli altri - dal consigliere comunale di Pastena, Arturo Gnesi, per chiedere a nome della popolazione
locale, che le autorità competenti forniscano finalmente dati certi e analisi veritiere, riguardo alla presunta presenza di rifiuti tossici e pericolosi nei siti usati dalla TAV per smaltire gli scavi della linea ferroviaria in costruzione;
nonostante che il consiglio comunale di Pastena, nell'ottobre 2010, abbia deliberato di procedere secondo le direttive esposte nelle premesse del presente atto, affinché sia accertata la presenza o meno di rifiuti tossici interrati sul territorio comunale, finora sostanzialmente poco o nulla è stato fatto per accertare la verità e dare garanzie per la salute dell'ambiente e della salute pubblica -:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
se non intenda, nell'ambito delle proprie prerogative, attivarsi al fine di avviare una verifica del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente in relazione alla aree indicate in premessa, oggetto di probabili interramenti di rifiuti tossici, al fine di accertare la verità e dare garanzie per l'interrogante dell'ambiente e della salute pubblica.
(4-11235)
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la discarica di Costa dei Grani, che si trova nel territorio di Noto ma è gestita dal comune di Rosolini, è stata posta sotto sequestro recentemente perché avrebbe inquinato la falda di superficie;
si tratterebbe di discariche dismesse che però hanno bisogno di un continuo controllo essendo sempre a rischio di inquinamento;
il problema principale sarebbero i percolati ed una vasca, presumibilmente di transito, che risultava non impermeabilizzata il che, a causa anche del mancato controllo della vasca e delle abbondanti piogge ha causato uno sversamento;
in particolare vi sarebbero elementi di un possibile inquinamento della riserva naturale di Vendicari sita tra Noto e Pachino a causa di alcuni sversamenti di percolato della vasca dalla discarica comunale della vicina Rosolini, come ha avuto modo di segnalare anche il Presidente del W.W.F. architetto Giuseppe Patti, nel corso di un'audizione tenutasi il 17 febbraio 2011 presso la VIII Commissione consiliare della provincia di Siracusa;
nel 1980, una legge regionale consentì all'azienda forestale demaniali di espropriare alcune aree di Vendicari ritenute di grande interesse naturale e paesaggistico (insieme alle aree della Riserva dello Zingaro e di Pantalica) potere che dopo un lungo contenzioso, fu confermato nel 1989 dal Consiglio di Stato consentendo all'ente pubblico l'esproprio dei terreni attorno ai pantani;
nel 1984 il Ministero dell'agricoltura e foreste adottò con decreto ministeriale la dichiarazione di zona umida di importanza internazionale per effetto della convenzione di Ramsar del 1971, un accordo che individua le zone umide ritenute strategiche come habitat degli uccelli acquatici secondo i criteri fissati dall'I.R.W.B. (International Waterfowl Research Bureau);
nel 1987 venne emanato dalla regione Sicilia il decreto n. 831 relativo al regolamento dell'area protetta -:
se, anche alla luce del riconoscimento intervenuto con il richiamato decreto ministeriale del 1984, nonché della qualificazione dell'area di Vendicari come sito di interesse comunitario (Sic), non intenda acquisire elementi ed avviare ogni iniziativa di competenza, anche per il tramite del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, con riguardo alla situazione segnalata in premessa.
(4-11239)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI
Interrogazione a risposta scritta:
MORASSUT. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nel maggio 2009 è nata dalla fusione tra Cinecittà holding e l'Istituto Luce SPA, Cinecittà Luce SPA che con i suoi 129 dipendenti costituisce un grande patrimonio storico e culturale nazionale ed un marchio prestigioso nel mondo rappresentativo della identità italiana;
Cinecittà Luce SPA svolge nei fatti un ruolo istituzionale come braccio operativo del Ministero per i beni e le attività culturali e come supporto del cinema italiano in Italia e nel mondo in particolare nella ricerca e nella valorizzazione dei nuovi talenti - distribuzione di opere prime e seconde finanziate dal Ministero per i beni e le attività culturali - e di nuove sperimentali forme espressive;
Cinecittà Luce spa possiede - assicurandone la conservazione e riconversione - un enorme archivio di materiale cinematografico e fotografico sia di propria produzione; sia frutto di acquisti da altri archivi privati che rappresenta la più grande raccolta di documenti audiovisivi della storia d'Italia: un patrimonio che oltre ad essere di universale consultazione viene utilizzato anche per la realizzazione di prodotti documentaristici;
Cinecittà Luce spa ha assorbito le competenze di Filmitalia, la società che promuove la diffusione del cinema italiano all'estero attraverso la presenza nei principali festival internazionali;
in occasione delle celebrazioni dei 150 anni della Unità d'Italia appare paradossale indebolire una delle realtà che meglio contribuisce alla ricostruzione della storia nazionale ed alla lettura documentata della vita sociale, economica, culturale e civile del nostro Paese;
negli ultimi anni i contributi da parte del Ministero per i beni e le attività culturali sono andati progressivamente diminuendo ed ora - nel 2011 - si prospetta una riduzione drastica dell'ordine di circa il 60 per cento del contributo rispetto a quello già ridotto del 2010;
l'entità davvero irrilevante del contributo statale a Cinecittà Luce spa rende di fatto impossibile proseguire nelle attività minime ed ordinarie che lo stesso Ministero per i beni e le attività culturali richiede nei suoi atti di indirizzo né tanto meno rende possibile qualsiasi strategia di sviluppo e di innovazione tecnologica, scientifica e culturale;
la realtà di Cinecittà Luce e dell'intero polo cinematografico storico di Cinecittà rappresenta uno dei presidi produttivi di maggiore importanza e di potenziale crescita per l'economia della Capitale d'Italia -:
quali misure immediate si intendano adottare per scongiurare il taglio secco di risorse operato dal Governo nei confronti della società Cinecittà Luce;
quali iniziative si intendano attivare in tempi rapidi per un confronto con le organizzazioni sindacali e con gli operatori del settore per concordare un piano di consolidamento che renda possibile un rilancio della società che rappresenta un fiore all'occhiello della cultura italiana nel mondo.
(4-11228)
...
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazione a risposta scritta:
BORGHESI, ANIELLO FORMISANO, CIMADORO, CAMBURSANO, MESSINA e BARBATO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
relativamente all'ultima impennata dei prezzi dei carburanti, «seguita» agli
eventi che interessano il Nord Africa, è, secondo gli interroganti, irresponsabile continuare a non intervenire sulla questione dei carburanti;
l'aumento dei costi dei carburanti, anche per la particolare struttura della logistica del nostro Paese, incide poi notevolmente sui prezzi di quasi tutti i beni contribuendo ad una ripresa dell'inflazione, fenomeno che preoccupa di nuovo dopo anni di contenimento dell'aumento del costo della vita;
come rilevato dalle associazioni dei consumatori, Federconsumatori e Adusbef, oltre ai guadagni «extra» percepiti dalla filiera petrolifera e pagati dagli automobilisti, pari a 6-7 centesimi al litro, vi è un altro soggetto che lucra in misura notevole: lo Stato;
infatti, oltre la metà del prezzo dei carburanti è determinata dalle esorbitanti accise e dall'IVA cui sono soggetti. Dalla guerra d'Etiopia del 1935 alla crisi di Suez del 1956 al conflitto nel Libano del 1983, ogni occasione è stata buona per aumentare le accise sui carburanti senza che si avvertisse la necessità di revocare i rialzi al termine dell'emergenza;
una caratteristica tutta italiana che incide sul costo dei carburanti è data dalla rete di distribuzione, con oltre 22.000 punti vendita disseminati sulle nostre strade, (mentre ce ne sono 15.000 in Germania, 14.000 in Francia, 10.000 in Gran Bretagna) con un basso erogato medio e una carenza di moderni impianti self-service dove i margini di guadagno del gestore derivano anche (e soprattutto) dai prodotti diversi dai carburanti. In Italia la percentuale di questi self-service è del 18 per cento contro il 99 per cento in Francia e il 96 per cento della Gran Bretagna;
rispetto allo scorso marzo, l'IVA (che è una tassa mobile al 20 per cento) è aumentata per la benzina di 4 centesimi al litro e per il gasolio di 4 centesimi al litro;
se si applicano gli aumenti dell'IVA appena citati ai miliardi di litri erogati, emerge che l'erario potrà avere maggiori entrate: per la benzina pari a 52 milioni di euro al mese e, per il gasolio, pari a 99 milioni di euro al mese. Lo Stato, quindi, potrebbe percepire complessivamente 151 milioni di euro al mese, pari a 1 miliardo e 812 milioni di euro in un anno;
non si può rinviare oltre l'avvio delle misure necessarie per contrastare questi incredibili aumenti, a partire dal fondamentale intervento sulla tassazione, riportandola immediatamente ai livelli dello scorso anno e, contestualmente, disponendo la realizzazione della cosiddetta «accisa mobile», che contribuirebbe ad un calmieramento del costo dei carburanti;
è urgente anche avviare l'applicazione dei punti definiti nel protocollo con la filiera petrolifera: commissione istituzionale sulla doppia velocità dei prezzi dei carburanti, apertura della vendita attraverso la grande distribuzione e blocco settimanale degli aumenti;
l'articolo 1, comma 290, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, stabilisce che, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, le misure delle aliquote di accisa sui prodotti energetici usati come carburanti ovvero come combustibili per riscaldamento per usi civili sono ridotte al fine di compensare le maggiori entrate dell'imposta sul valore aggiunto derivanti dalle variazioni del prezzo internazionale, espresso in euro, del petrolio greggio;
l'articolo 1, comma 291, della legge n. 244 del 2007, stabilisce le condizioni necessarie per l'adozione del decreto di cui al comma 290: il decreto di cui al comma 290 può essere adottato, con cadenza trimestrale, se il prezzo di cui al medesimo comma aumenta in misura pari o superiore, sulla media del periodo, a due punti percentuali rispetto al valore di riferimento, espresso in euro, indicato nel documento di programmazione economico-finanziaria;
il Ministro dell'economia e delle finanze, già con proprio decreto del 7 marzo 2008, in applicazione di quanto previsto dai commi 290-294 citati, ha a suo tempo ridotto le aliquote di accisa di cui all'articolo 21 del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, approvato con il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni -:
quali iniziative concrete intenda assumere il Governo al fine di calmierare i prezzi dei carburanti ed, in particolare, se non intenda utilizzare la facoltà di cui ai commi 290-294 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
(4-11221)
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GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta in Commissione:
CONTENTO, COSTA e SISTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
risulta agli interroganti che il pubblico ministero cui è affidato il procedimento pendente avanti il Tribunale ordinario di Milano a carico del Presidente del Consiglio (procedimento n. 1622/07 del Registro Generale del Tribunale), abbia inviato alla decima sezione penale del ricordato Tribunale, una missiva in relazione alla «fissazione del calendario d'udienza» di detto procedimento;
in particolare, il rappresentante della pubblica accusa, dopo aver fatto riferimento alla ripresa del procedimento conseguente alla proposizione della questione di legittimità costituzionale della legge 7 aprile 2010 n. 51, ha precisato che «il Consiglio Superiore della Magistratura in data 23 febbraio 2011 - nel deliberare l'applicazione del presidente del collegio giudicante per la prosecuzione del procedimento - ha espressamente preso in considerazione la prossimità del termine di prescrizione del reato, rilevando altresì che non vi sono elementi che possano indurre a ritenere che il procedimento n. 1622/07 (anche in ragione del numero dei testi e dei CT già ammessi alla prova orale) sarà di durata particolarmente lunga»;
il medesimo ha, quindi, sostenuto testualmente la tesi che: «Stante la posizione istituzionale dell'imputato sussistono oggettive esigenze di pervenire ad una pronuncia irrevocabile sul merito dell'imputazione mossa», aggiungendo che «Nel predisporre il calendario d'udienza dovrà essere valutato anche il tempo ragionevolmente necessario per la celebrazione del processo negli ulteriori gradi di giudizio»;
appare evidente agli interroganti che tale iniziativa faccia emergere in modo palese la richiesta di un trattamento differenziato nei confronti dell'imputato Silvio Berlusconi in ragione della carica istituzionale dal medesimo ricoperta. Ed in particolare che l'esigenza di una pronuncia irrevocabile sul merito non sussisterebbe ove l'imputato non rivestisse quella carica istituzionale;
posto che non è dato rinvenire nelle norme processuali né in quelle di attuazione del codice di rito specifiche disposizioni tese a consentire una simile differenziazione, sorge il dubbio che l'iniziativa del pubblico ministero procedente sia il frutto di una prassi adottata dall'ufficio che prevede un «doppio binario» di celerità per il solo fatto che gli imputati rivestano o meno una carica istituzionale ovvero, in caso contrario, emergerebbe ulteriormente la grave disparità di trattamento riservata a Silvio Berlusconi -:
se non intenda acquisire elementi informativi ai fini dell'eventuale esercizio delle prerogative di competenza.
(5-04378)
Interrogazione a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la rilevazione attuale delle scoperture negli organici degli uffici requirenti delle quattro regioni del Sud contrassegnate dalla più grave emergenza criminale (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia), evidenzia dati preoccupanti ed, in alcuni casi, al di sotto dei limiti di una pur minima funzionalità degli uffici. Su un organico complessivo di 660 posti di magistrato requirente in uffici di primo grado nelle predette regioni ne sono oggi vacanti 127 di cui: 74 in Sicilia (con una punta massima di 37 vacanze nel distretto di Palermo), 12 in Campania, 42 in Calabria (con una punta massima alla procura di Palmi che presenta 8 vacanze pari all'80 per cento dell'organico) e 3 in Puglia. Gli uffici giudiziari che allo stato presentano la vacanza più preoccupante sono la procura di Enna e di Patti con una percentuale di scopertura pari al 75 per cento (1 magistrato presente su 4 in organico). Gela e Palmi con una percentuale dell'80 per cento, Vibo Valentia con l'83 per cento. Peraltro, seppur in modo meno diffuso, la scopertura degli organici requirenti affligge anche altre regioni; si segnalano per un già elevato grado di disservizio determinato da carenza di magistrati la procura di Brescia, con scopertura del 48 per cento, la procura di Lanusei che presenta la scopertura dell'intero organico (rimane in servizio il solo procuratore capo), Oristano con il 33 per cento, la procura di Lecco e di Lagonegro con il 50 per cento, le procure di Acqui Terme, Alba, Biella e Casale Monferrato che oscillano dal 50 per cento al 67 per cento di vacanza di organico. Analoghe gravi scoperture si registrano, infine, negli organici dei magistrati distrettuali requirenti, concepiti per assicurare la continuità dell'attività giudiziaria in occasione dell'assenza dei magistrati in servizio negli uffici giudiziari di ciascun distretto, che oggi, in più sedi (Ancona, Brescia, Cagliari, Caltanissetta, Catania, Catanzaro, Genova, Lecce, Messina, Potenza, Reggio Calabria) evidenziano la scopertura integrale dell'organico;
l'attuale criterio di gestione delle risorse umane sembra inadeguato a garantire le esigenze di una efficace organizzazione del servizio giustizia, sbilanciando tutte quelle disponibili a favore del solo settore giudicante, che sarebbe così in esubero di personale, nell'ambito di un sistema organizzativo che rende complessi anche i futuri movimenti da questo a quello requirente che, così, sarebbe destinato ad una lenta, inefficiente consunzione. Non si tratta, peraltro, di una conseguenza sorprendente. Infatti, dallo studio dei dati in possesso del Consiglio superiore della magistratura risulta che la copertura dei posti vacanti di numerosi uffici di procura - in particolare quelli delle sedi sopraccitate, come la procura di Brescia - è stato, per anni, garantito dal ricorso agli uditori. È stato proprio questo flusso di nuovi ingressi negli uffici requirenti più esposti e chiamati a gestire complesse investigazioni ad avere garantito, fra l'altro, una ragionevole ed efficiente ripartizione dei carichi di lavoro che ha consentito ai magistrati più esperti di dedicarsi alle indagini più difficili e delicate - per esempio quelle di contrasto alla criminalità organizzata - mentre un numero sufficiente di pubblici ministeri più giovani svolgeva un imprescindibile ruolo di supporto all'ufficio, occupandosi degli affari cosiddetti «ordinari» ed affiancando poi i magistrati più esperti per affinare e completare sul campo la propria competenza professionale anche in relazione alle più complesse investigazioni. Si tratta di un sistema virtuoso, grazie al quale i giovani magistrati hanno potuto accumulare un formidabile bagaglio di esperienza, affinando le loro qualità e completando al meglio il loro percorso professionale;
la situazione di emergenza per gli organici delle procure della Repubblica richiede dei significativi interventi che consentano in breve tempo di porre rimedio alle più gravi scoperture ed ai disservizi se non, in alcuni casi, alla stasi delle
attività giudiziarie in alcuni settori. Si tratta, in buona sostanza, di confrontare le scelte del legislatore ordinario con i principi costituzionali che governano la giurisdizione, ed in particolare la giurisdizione penale, al fine di verificare se questi ultimi non corrano il rischio di essere indebitamente compressi, imponendosi così una rapida correzione nel senso di una più equa convivenza tra la separazione delle funzioni requirenti e giudicanti ed il principio di effettività ed efficienza della giurisdizione penale -:
se e quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere per garantire un pieno ed efficace funzionamento degli uffici giudiziari di Brescia.
(4-11224)
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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'«agonia» dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, sembra non avere fine, ma anzi si aggrava da quanto denunciato nei giorni scorsi da un'inchiesta del quotidiano la Repubblica che porta in luce gli affari delle organizzazioni criminali all'interno dei cantieri del tratto stradale. La stessa Unione europea ha certificato che il tratto «Salerno-Reggio Calabria non può essere considerato ancora un'autostrada a pieno titolo». Alcuni giorni fa, dopo il passaggio del Ministro Tremonti, a Nocera Torinese, vicino a Lamezia Terme, è saltata una sonda che serviva per scavare le gallerie. Un avvertimento, nonostante dall'inizio di febbraio 2011 sia presente l'esercito nei vicini cantieri del reggino, trenta chilometri militarizzati. Il costo per la realizzazione è passato dai 5,8 miliardi di euro previsti nel 2002 ai 10,2 miliardi di fine 2010. Il doppio. «È un fatto - sostiene Walter Schiavella, segretario generale della Fillea - che sessanta chilometri devono ancora essere progettati e finanziati, oltre ai tanti lavori tuttora in corso. E chi ha un po' di esperienza sa quanto tempo ci vuole». D'altra parte su 385 chilometri interessati dai lavori ne sono stati completati 210. Su 58 interventi previsti, 32 si sono conclusi. 10 sono in corso, 7 sono stati appaltati e 9 devono essere progettati e finanziati;
si parte da Salerno. Qui la camorra ha già fatto i suoi affari negli anni passati, conquistando, con il massimo ribasso, gli appalti, ha riciclato il denaro, ha tagliato fuori le aziende sane della zona costrette, ora, a cercare commesse in Toscana, Umbra, Emilia oppure a chiudere. Qui si sono visti improvvisamente, e «inspiegabilmente», arrivare masse di lavoratori e imprese del casertano. Sono più di 700 le imprese che ancora operano nelle centinaia di cantieri lungo i 400 chilometri dell'unica tratta che collega il Nord con il Sud, senza di fatto l'alternativa ferroviaria: 3.500 lavoratori diretti, oltre 7.000 quelli dell'indotto, più di 5.000 i macchinari impiegati. «Questa - dicono all'Anas - è la più grande opera di ingegneria realizzata in Italia negli ultimi 30 anni». Si arriva allo svincolo per Battipaglia: da qui passa tutto il traffico verso il Cilento. La sera è quasi sempre una coda senza fine. I lavori per il nuovo raccordo erano cominciati addirittura nel 1993, un paio di anni fa si è fermato tutto a causa di un lungo contenzioso per l'espropriazione di una proprietà suddivisa in 42 appezzamenti. Ora in alcuni tratti si può lavorare, in altri no. Si procede a 40 chilometri all'ora. Per sette-otto mesi i lavori per la terza corsia si sono interrotti perché una ditta del subappalto non aveva il certificato antimafia. Per scavare le gallerie si fanno turni da 12 ore al giorno: è come se un operaio lavorasse per due. La paga aumenta fino a oltre il 45 per cento. Scende il livello della sicurezza;
in Lucania, secondo macrolotto da 31 chilometri, Lagonegro ai piedi del Srino,
si sta scavando una delle più lunghe gallerie: 3.500 metri. Sono al 55 per cento dei lavori. Si scava 24 ore su 24, sette giorni su sette. Il terreno argilloso obbliga a consolidare in vetroresina le gallerie man mano che si procede per bloccare le infiltrazioni d'acqua, si fanno in media tre metri al giorno. Nella prima parte del terzo macrolotto i lavori non sono neanche iniziati. Si procede a 40 chilometri all'ora. Il manto stradale è dissestato. Ci sono una serie di cosiddetti «cantieri di rallentamento»: servono a fare ridurre la velocità ma non sono veri cantieri di lavoro. Ecco perché, durante il suo viaggio al Sud, il ministro Tremonti vide - con sorpresa - «più mezzi che gente al lavoro». Altre volte sono state e sono le inchieste giudiziarie a bloccare i lavori delle ditte infiltrate. Lasciando lì i mezzi e mandando i lavoratori a casa. Le 'ndrine si sono spartite l'A3, «l'autostrada dei boss». Le cosche, secondo il rapporto «sos imprese» del 2007, «fanno estorsioni alle imprese che non sono amiche, gonfiano fatture, scaricano materiale di scarsa qualità sotto il manto stradale, corrompono funzionari Anas, impongono guardianie. E pretendono sempre il 3 per cento da ogni lavoro altrui. Tranne dalle parti di Lamezia Terme e di Vibo Valentia dove si sale fino al 10 per cento a volte e dove una trentina di imprese in odore di 'ndrangheta si arricchiscono con i ponti e con i tunnel». Non c'è metro dell'autostrada che non sia stato sottoposto ad un'indagine della magistratura. Il territorio, il «loro» territorio è stato spartito. Sempre da «Sos imprese» si apprende: «Ai Mancuso toccava la competenza nel tratto Pizzo Calabro - Serre San Bruno, ai Pesce quello tra Serre e Rosarno, ai Piromalli l'area tra Rosarno e Gioia Tauro. A pagare erano Impregilo, la Condotte spa, la Coop costruttori, la Gepco salc, la Baldassini-Tognozzi, la Sicilsonde Italgeo, Caramazza, Rindone -:
quali interventi il Ministro interrogato intenda adottare, al fine di incentivare il prosieguo dei lavori dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria.
(4-11217)
JANNONE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
a seguito di un incontro avvenuto pochi giorni fa con i vertici di ASPI, il sindaco di Dalmine, in provincia di Bergamo, ha dichiarato che la realizzazione dello svincolo e del casello autostradale di Dalmine (Bergamo) non rientra tra le priorità di Autostrade per l'Italia spa, anche se tali lavori rientravano nell'ambito della convenzione sottoscritta con l'ANAS il 4 agosto 1997. Infatti, l'attuale bretella di collegamento al casello è inadeguata e pericolosa, consistendo di fatto in uno stretto peduncolo, che rende la situazione sempre di più gravosa ed insostenibile, dato che dal casello di Dalmine circolano 803.000 veicoli l'anno, circa 22.000 veicoli al giorno, di cui il 23 per cento costituito da mezzi pesanti. La Conferenza di servizi per l'approvazione del progetto per la realizzazione della quarta corsia autostradale del tratto Milano-Bergamo della A4 ha stabilito che lo spostamento del casello autostradale, affidato ad Autostrade per l'Italia spa, fosse avviato per poter essere completato in corrispondenza con l'entrata in esercizio della nuova tangenziale sud di Bergamo;
nel dicembre del 2006, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Lombardia, l'Anas e la provincia di Bergamo si erano impegnate a firmare un accordo relativo alla realizzazione di una serie di infrastrutture in provincia di Bergamo nel quadro del programma decennale ANAS 2003-2012, nel quale si prevedevano la progettazione, il finanziamento e la realizzazione della tangenziale sud di Bergamo, inserendo anche lo spostamento del casello di Dalmine, nel tratto Treviolo-Stezzano. Il progetto relativo alla realizzazione della tangenziale sud prevedeva la demolizione dell'attuale casello e il suo spostamento a sud-est della A4, a nord del cimitero di Sabbio e al confine con il territorio di Stezzano, garantendo l'ingresso e l'uscita del casello attraverso una bretella di collegamento con il rondò di snodo della tangenziale sud;
durante la definizione del nuovo testo di «Convenzione Unica», sottoscritta il 12 ottobre 2007 e approvata dal decreto-legge n. 59 del 2008, ANAS e Autostrade per l'Italia spa (Aspi) hanno valutato «a fronte del non ancora consolidato scenario infrastrutturale, con particolare riferimento al tracciato e alla realizzazione della Pedemontana, di stralciare l'intervento, destinando il relativo impegno di spesa ad altri interventi di più immediata realizzazione. Al ricrearsi dei presupposti per la realizzazione dell'intervento, ANAS spa, di intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti potrà richiedere ad Autostrade per l'Italia spa di svilupparne la progettazione e valutarne congiuntamente l'inserimento nell'ambito degli impegni di convenzione». In seguito, il 6 febbraio 2010 a Cassano Magnano (Varese) è stato aperto il primo cantiere della Pedemontana, il cui tracciato definitivo non presenta alcun legame progettuale o realizzativo con il casello autostradale di Dalmine. Il 23 marzo 2010 è stato inaugurato il tratto Treviolo-Stezzano della nuova tangenziale sud e il 12 luglio 2010 la provincia di Bergamo ha deliberato il completamento del tratto Zanica-Stezzano. Quindi, a seguito del delinearsi dello scenario infrastrutturale, si può affermare che sussistano i presupposti per la realizzazione del nuovo casello autostradale di Dalmine;
in assenza dello spostamento del casello, il sottopasso dell'ex strada statale 525, pur realizzato, è inutilizzabile. Di conseguenza il flusso in entrata e uscita dell'attuale casello, si incolonna in una bretellina di collegamento stretta e poco illuminata, per poi riversarsi nella rotatoria della ex statale 525 aggravando fortemente la congestione del traffico. Il 7 febbraio 2011 si è svolto a Roma un incontro tra Autostrade per l'Italia spa, il sindaco e l'assessore all'urbanistica del comune di Dalmine, durante il quale i vertici di Aspi avrebbero affermato che l'opera «non è una priorità», mancando anche di finanziamenti adeguati, anche se, secondo il resoconto intermedio di gestione al 30 settembre 2010, il Gruppo Atlantia, la holding che detiene il 100 per cento del capitale sociale di Autostrade per l'Italia spa, nei primi nove mesi del 2010 ha registrato ricavi per due miliardi e 838 milioni di euro (+ 9,2 per cento rispetto ai primi nove mesi del 2009) e utili per 576 milioni (+ 32,3 per cento) -:
se il Ministro intenda adottare alcuni interventi nei confronti di Autostrade per l'Italia spa, per sollecitare la realizzazione del nuovo casello di Dalmine e del raccordo con la nuova tangenziale sud di Bergamo, alla luce delle problematiche sopra evidenziate e del mutato quadro infrastrutturale della zona;
quali iniziative il Ministro intenda adottare tempestivamente, affinché la società Autostrade per l'Italia spa proceda, in tempi brevi, allo spostamento e alla nuova realizzazione del casello autostradale di Dalmine, in modo da alleggerire la viabilità del percorso ad oggi interessato.
(4-11225)
PIFFARI e CIMADORO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
da diversi articoli di stampa e quotidiani on line (Il Sole 24 ore, L'Eco di Bergamo, Il Giorno, Bergamonews), si apprende la notizia della firma a Roma, avvenuta lunedì 7 marzo 2011, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dell'accordo per l'affidamento diretto senza gara dei lavori del primo lotto della tratta ad alta velocità Treviglio-Brescia, tra l'amministratore delegato di RFI (gruppo FS), Michele Mario Elia, e il suo omologo di Saipem (gruppo ENI e membro al 52 per cento del consorzio Cepav 2), Pietro Franco Tali, alla presenza del Ministro Matteoli e dell'Amministratore Delegato del Gruppo FS, Mauro Moretti;
la costruzione della nuova linea, 58 chilometri totali, per una investimento da 2 miliardi e 50 milioni di euro, affidata direttamente al general contractor Cepav 2, consiste in un tracciato di 39 chilometri a doppio binario che attraverserà le province
di Milano, Bergamo e Brescia, affiancando l'autostrada Brebemi, con innesto nel nodo ferroviario di Brescia, attraverso l'interconnessione Brescia Ovest, 12 chilometri, e un attraversamento urbano di 7 chilometri, parallelo alla già esistente linea ferroviaria Milano-Venezia;
il lotto costruttivo, 39 chilometri e 1.131 milioni di euro, affidato a Cepav 2, per 1.445 milioni di euro, di cui 760 per il primo lotto, finanziato nel 2010, e 685 per quello non ancora finanziato e che dovrà esserlo entro 13 mesi, dovrebbe portare la linea alta velocità da Treviglio fino a Brescia, proseguendo sul tracciato di 27 chilometri da Milano a Treviglio, completato nel 2007 e già in funzione;
da quanto dichiarato da Legambiente Lombardia, a causa dell'affidamento diretto dell'appalto dei lavori senza gara, i costi dell'opera, la cui copertura finanziaria è pari al 55 per cento del costo complessivo e di cui, secondo quanto pubblicato da Ilsole24ore.com, mancano all'appello 919 milioni di euro a carico dello Stato, sono notevolmente lievitati, per un importo di circa 900 milioni di euro e con un costo di quasi 35 milioni di euro a chilometro;
la Corte dei conti, nella propria relazione del 2008, aveva già dichiarato espressamente: «da parte governativa si evidenzia, in particolare, che l'Italia rischierebbe l'emarginazione dall'Europa, continuando a non rispettare regole e procedure europee e accettando costi delle opere pubbliche, che non sono paragonabili a quelli d'uso in Europa. Per quanto riguarda detti costi risulterebbe che la tratta Torino-Novara, costruita completamente in pianura, sarebbe costata oltre 50 milioni di euro al chilometro, notevolmente più dei costi medi stimati francesi (13 al chilometro) e di quelli spagnoli (15 al chilometro. D'altronde, anche in Italia, presumibilmente, potrebbero realizzarsi risparmi consistenti mediante l'espletamento di procedure di gara se si considera che il costo per chilometro della tratta Padova-Mestre, affidata con appalto pubblico, è pari a 19 milioni di euro» -:
quali siano le ragioni per cui la modalità di «affidamento diretto» dei lavori per tali opere pubbliche sia stata la procedura adottata e privilegiata rispetto alla pubblica gara, in antitesi rispetto a quanto previsto dalle norme nazionali e dalle direttive comunitarie, e in inosservanza delle indicazioni dei giudici contabili della Corte dei Conti.
(4-11231)
DESIDERATI e REGUZZONI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
è di questi giorni la notizia di un accordo fra i sindacati e la compagnia CAI Alitalia per la fuoriuscita di 700 lavoratori che, su base volontaria, andranno in cassa integrazione e mobilità, e che si andranno quindi a sommare al già elevato numero di lavoratori ex dipendenti Alitalia licenziati;
il «Regolamento sui limiti dei tempi di volo e di servizio e requisiti di riposo per il personale navigante» approvato, con la delibera n. 67 del 19 dicembre 2006, dal consiglio di amministrazione dell'Enac, l'Ente nazionale per l'aviazione civile, prevede che il riposo settimanale per i piloti Alitalia comprenda «due notti locali consecutive o, in alternativa, un periodo libero da qualunque impiego di durata non inferiore a 33 ore che comprende almeno una notte locale»;
la compagnia CAI Alitalia ha avviato un processo di espansione intercontinentale con accordi in code sharing con compagnie estere e questo, comportando l'apertura di nuove tratte, presumibilmente porterà, nell'immediato, ad un maggiore carico di lavoro per i dipendenti e un coinvolgimento più consistente, in termini numerici, di personale impegnato;
il personale di volo attualmente in servizio, contingentato per esigenze economiche e già in difficoltà numerica in caso di assenze per malattie, maternità o ferie, potrebbe non essere sufficiente per sostenere il maggiore carico di lavoro, nel rispetto dei termini previsti dal contratto
di lavoro e dal regolamento in vigore, e non sembra opportuno, in termini di sicurezza collettiva, allungare i turni di lavoro del personale di volo;
molti dei piloti Alitalia attualmente in cassa integrazione, che hanno un costo sociale altissimo per tutta la cittadinanza, sarebbero ben contenti di rientrare in servizio e recuperare le proprie mansioni, anche se con contratti a tempo determinato -:
se i Ministri non ritengano opportuno, al fine di garantire la sicurezza di tutti i passeggeri Alitalia, promuovere le necessarie verifiche affinché la medesima compagnia aerea non sottoponga il personale di volo a carichi di lavoro superiori a quelli previsti dal contratto di lavoro e dal regolamento succitato, evitando così che l'allungamento dei turni abbia conseguenze sull'affidabilità del servizio e, contemporaneamente, agevolando il reinserimento nel posto di lavoro del personale attualmente in cassa integrazione.
(4-11233)
...
INTERNO
Interrogazione a risposta scritta:
LOLLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
ormai da anni il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, richiama personale in servizio «discontinuo» per sopperire alle carenze di organico e per permettere il corretto funzionamento del sistema di soccorso pubblico del nostro Paese;
in riferimento anche alla lettera della Federazione nazionale coordinamenti vigili del fuoco Fnc-vigili del fuoco a firma del suo presidente Matteo Zoppi, trasmessa all'attenzione del Ministro interrogato il 30 giugno 2010, è noto che i richiami del personale volontario-discontinuo vengono effettuati ai sensi dell'articolo 70, comma 1 e 2 della legge n. 469 del 1961 e dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 139 del 2006;
le conclamate carenze di personale operativo, inoltre, hanno indotto l'amministrazione ad intensificare i richiami di personale discontinuo, arrivando in diversi comandi a coprire il 30 per cento di tutto il personale in servizio nel turno provinciale;
leggendo i citati riferimenti normativi i richiami per carenza di personale sarebbero possibili solo ad una interpretazione dell'articolo 9 del citato decreto legislativo n. 139 del 2006 che amplia ai «casi di particolare necessità delle strutture centrali e periferiche del corpo», esulando così dall'originario criterio di straordinarietà derivante da catastrofi e calamità naturali precedentemente previsto dall'articolo 70 della legge n. 496 del 1961;
pare utile osservare, però, che tale principio sia comunque in contrasto con il comma 3 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 139 del 2006 il quale esplicita il limite di tali richiami a 160 giorni l'anno solo per le emergenze di protezione civile; appare così assai improbabile che il massivo richiamo di personale discontinuo rientri in questa casistica specifica;
in ogni caso, le linee generali sulla modalità di avvicendamento del personale volontario richiamato in servizio temporaneo sono dettate dal regolamento emanato ai sensi del comma 1 dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, quindi, dall'articolo 18, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004 che prevede il richiamo «a rotazione e sulla base dei criteri di anzianità d'iscrizione negli elenchi dei comandi provinciali, dell'eventuale stato di disoccupazione, nonché del carico familiare degli interessati»;
è stato più volte segnalato che tale norma non può trovare concreta ed omogenea applicazione nei rispettivi comandi provinciali, non essendo ancora stato emanato il relativo regolamento ai sensi del
comma 3 dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, previsto dal comma 2 dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 139 del 2006;
appare evidente che, vigendo il principio della rotazione e non essendo previste le modalità di valutazione dei criteri di anzianità di iscrizione, stato di disoccupazione e carico familiare, i comandi provinciali in linea teorica, possono richiamare personale basandosi solamente solo su una lista ordinata per anzianità di iscrizione, annullando così tutti gli altri parametri previsti;
tale considerazione è supportata, tra l'altro dalle continue proteste che giungono, da diversi comandi provinciali dei vigili del fuoco, da parte dei vigili del fuoco «discontinui», i quali, registrano quotidianamente comportamenti assai poco chiari e trasparenti dei competenti uffici del personale delegati al richiamo in servizio temporale;
risulta, altresì, all'interrogante che in alcuni comandi siano in corso controversie legali dopo la denuncia da parte di personale volontario «discontinuo» di atteggiamenti discriminatori, poco chiari -:
se il Ministro, al fine di evitare il perpetuarsi nel tempo di queste situazioni, intenda attivarsi affinché, nei tempi più celeri che il caso richiede, si possa procedere ad emanare l'apposito regolamento, che chiarisca definitivamente le modalità operative di avvicendamento nei richiami del personale discontinuo.
(4-11229)
...
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interpellanza:
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro degli affari esteri, per sapere - premesso che:
il decreto legislativo n. 297 del 1994 - testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, all'articolo 200, comma 10, specifica che l'esonero dal pagamento delle tasse scolastiche si applica agli studenti stranieri «a condizioni di reciprocità»;
gli studenti stranieri, in virtù della suddetta norma, rientrano nelle categorie speciali, di cui fanno parte i «ciechi civili figli di cittadini italiani residenti all'estero, orfani di guerra o di caduti per causa di servizio o lavoro, figli di mutilati o invalidi per servizio o lavoro»;
il Decreto del Presidente della Repubblica e successive modificazioni «Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, all'articolo 1, comma 1», recita che «ai fini dell'accertamento della condizione di reciprocità, nei casi previsti dal testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione (...) il Ministero degli affari esteri, a richiesta, comunica ai notai ed ai responsabili dei procedimenti amministrativi che ammettono gli stranieri al godimento dei diritti in materia civile i dati relativi alle verifiche del godimento dei diritti in questione da parte dei cittadini italiani nei Paesi d'origine dei suddetti stranieri»;
al comma 2 del medesimo articolo si esclude il suddetto «accertamento» solo «per i cittadini stranieri titolari della carta di soggiorno di cui all'articolo 9 del testo unico, nonché per i cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, per l'esercizio di un'impresa individuale, per motivi di famiglia, per motivi umanitari e per motivi di studio, e per i relativi familiari in regola con il soggiorno»;
dal dettato dell'articolo 1, comma 2, si evince che la condizione di reciprocità, prevista al comma 1, viene accertata in casi eccezionali;
l'iscrizione dei minori stranieri nelle scuole italiane di ogni ordine e grado avviene nei modi e alle condizioni previsti per i cittadini italiani, ai sensi dell'articolo 45, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999;pertanto l'esonero dalle tasse scolastiche risulta previsto a favore di tutti gli studenti soggetti all'obbligo scolastico frequentanti scuole statali, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta, fino al terzo anno della scuola secondaria di secondo grado;
il pagamento delle tasse erariali per gli anni di corso successivi al terzo è richiesto solo agli studenti appartenenti a famiglie il cui reddito eccede i limiti previsti dall'articolo 28, comma 4, della legge 28 febbraio 1986, n. 41 e rivalutati, a decorrere dall'anno 1988, in ragione del tasso di inflazione annuo programmato. I limiti di reddito per l'esonero dalle tasse scolastiche sono resi noti annualmente con apposita circolare del Ministero competente;
da numerose segnalazioni e circolari interne risulta all'interpellante che alcuni istituti superiori, interpretando in maniera errata il decreto legislativo n. 297 del 1994, esonererebbero gli studenti stranieri dal pagamento delle tasse scolastiche non in condizioni di reciprocità ma per il solo fatto di essere stranieri, discriminando così i pari studenti italiani -:
quali iniziative si intendano intraprendere per verificare con quali cadenze temporali il servizio del contenzioso diplomatico e dei trattati del Ministero degli affari esteri ottemperi agli obblighi previsti degli obblighi previsti declinati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 349 del 1999 comma 1, e nel caso se esista una lista aggiornata dei Paesi con i quali sono stati siglati accordi di reciprocità;
se non ritenga infine opportuno verificare, attraverso i competenti uffici territoriali che le scuole di ogni ordine e grado si attengano scrupolosamente al dettato dell'articolo 200 comma 10, del decreto legislativo n. 297 del 1994, onde evitare che l'esonero dal pagamento delle tasse favorisca indistintamente tutti gli studenti stranieri, che non rientrano nella fattispecie indicata dal predetto articolo di legge.
(2-01000)
«Cavallotto».
Interrogazioni a risposta in Commissione:
GHIZZONI, COSCIA, DE BIASI, DE PASQUALE e SIRAGUSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il decreto ministeriale 22 agosto 2007 n. 139 contiene il «Regolamento recante norme in materia di adempimento dell'obbligo di istruzione» ed è attuativo dell'articolo 1 comma 622 della legge 26 dicembre 2006 n. 296 che ha introdotto l'obbligo di istruzione elevato a dieci anni, coerentemente con i contenuti della raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio europeo del 18 dicembre 2006;
la normativa prevista nel decreto indica, distinti per assi culturali, i saperi e le competenze che assicurano l'equivalenza formativa di tutti i percorsi, nel rispetto dell'identità dell'offerta formativa e degli obiettivi che caratterizzano i curricoli dei diversi ordini, tipi e indirizzi di studio superiore di ordine classico, scientifico, magistrale, tecnico, professionale e artistico previsti dai vigenti ordinamenti scolastici;
nell'allegato n. 1 del decreto si descrivono analiticamente le competenze di base che gli alunni devono comunque possedere all'adempimento dell'obbligo di istruzione, indipendentemente dal percorso scolastico frequentato;
molte delle competenze di base, delle abilità/capacità e conoscenze descritte nell'asse culturale storico sociale si riferiscono a contenuti di tipo giuridico ed economico, oggi invece del tutto esclusi dai curricoli dei percorsi liceali, con unica eccezione il liceo delle scienze umane;
il decreto ministeriale 27 gennaio 2010 n. 9 in attuazione del decreto n. 139
del 2007 prevede il rilascio del certificato delle competenze di base, nell'assolvimento dell'obbligo di istruzione, a richiesta dello studente interessato e d'ufficio per coloro che hanno compiuto il diciottesimo anno di età;
per tutti quegli studenti che frequentano percorsi liceali nei quali lo studio del diritto e dell'economia, anche in conseguenza dei recenti regolamenti attuativi del riordino dei curricoli della scuola secondaria superiore, non sono presenti, risulterà impossibile certificare l'acquisizione di competenze di base relative a tali discipline -:
se il Ministro non intenda riconsiderare la necessità di ripristinare l'inserimento dell'insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche nei bienni dei percorsi liceali al fine di garantire l'attuazione della sopra descritta normativa.
(5-04369)
CAVALLOTTO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
l'istituto comprensivo M.L. King di Torino lamenta la mancata assegnazione di risorse corrispondenti ai residui attivi di provenienza statale;
in particolare, la suddetta istituzione scolastica si trova, attualmente, nella seguente situazione finanziaria: «residui attivi: euro 22.468,72 (Fondo istituto a.s. 2006/2007); euro 29.821,51 saldo budget anno finanziario 2009; euro 7.707,04 (Fondi integrazione spese appalto cooperative, anno finanziario 2009) Totale residui attivi euro 59.997,27: Fondo di cassa: euro 31.114,01»;
i residui attivi, corrispondenti a somme relative a finanziamenti dello Stato che l'istituzione scolastica in questione, attende di ricevere, risulterebbero inseriti nei conti consuntivi dei relativi esercizi finanziari, approvati dal consiglio d'istituto, sulla base del favorevole parere di regolarità contabile dei revisori dei conti, e conseguentemente inviati all'ufficio scolastico regionale per il Piemonte ed alla competente ragioneria provinciale dello Stato;
la citata istituzione scolastica si trova in una situazione di insolvenza nei confronti di numerosi soggetti che vantano crediti;
in particolare, il personale docente e ATA sollecita la liquidazione delle spettanze;
sussiste il rischio che i soggetti creditori si rivolgano all'autorità giudiziaria per l'emissione di atti ingiuntivi;
in questo caso si determinerebbe un aggravio della somma da liquidare, con oneri aggiuntivi a carico della pubblica amministrazione, derivandone, peraltro, un vulnus al rispetto del principio costituzionale di legalità e di buon andamento dell'agire dei pubblici poteri -:
quali iniziative intenda intraprendere per procedere all'assegnazione dei crediti vantati dall'istituto comprensivo M.L. King di Torino, impossibilitato ad anticipare con risorse proprie, competenze finanziarie del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, destinate al personale e al funzionamento didattico-amministrativo dell'istituzione scolastica medesima.
(5-04371)
Interrogazioni a risposta scritta:
LO MONTE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il professor Intilisano Carmelo, di Messina, fece istanza all'Ufficio Scolastico Provinciale di Messina (ex CSA), per partecipare alla graduatoria per il conferimento di incarico di presidenza, settore formativo di 1o grado, per l'anno scolastico 2005/2006;
in particolare tre insegnanti si classificarono all'8o, 15o e 19o posto, riportando rispettivamente punti 226, 209 e 191;
da una comparazione con la medesima graduatoria dell'anno scolastico precedente (2004/2005), si evidenziava che i tre docenti da ultimo citati, nella graduatoria 2005/2006 beneficiavano di vistosi incrementi di punteggio, tali da consentire:
a) al primo, da punti 121,60 a 226,00 (cioè oltre 105 punti in più in un solo anno), collocandolo dal 64o all'8o posto della graduatoria;
b) al secondo, da punti 151,00 a 209,00 (cioè 58 punti in più), collocandolo dal 49o al 15o posto della graduatoria;
c) al terzo, da punti 157,00 a 191,00 (cioè 31 punti in più), collocandolo dal 48o al 19o posto della graduatoria;
il professor Intilisano, poco convinto dell'attribuzione dei punteggi, in data 8 agosto 2005, cioè alcuni giorni dopo che erano state effettuale le nomine secondo la graduatoria di che trattasi, inoltrava istanza formale al dirigente pro tempore dell'ex CSA di Messina, per avere tutti gli atti che erano serviti a formare il punteggio dei predetti tre docenti;
in data 17 agosto 2005, l'ex CSA di Messina rilasciava al professor Intilisano, in maniera incompleta, gli atti richiesti. In particolar modo non veniva rilasciata la tabella di attribuzione dei punteggi e, dalla documentazione comunque inviata dal CSA, per il primo docente citato, emergeva che, ad eccezione di un certificato di laurea e di un certificato di servizio, aveva prodotto solo e soltanto autocertificazioni. Comparando il punteggio attribuito alle autocertificazioni, inoltre, si rendevano evidenti contraddizioni con la graduatoria dell'anno precedente, facendo insorgere dubbi nel professor Intilisano;
il predetto professor Intilisano, attraverso apposite istanze inoltrate, ai sensi della legge n. 241 del 1990, il 26 agosto 2005 (prot. 4273 e 4272) all'istituto comprensivo n. 8 di Messina, procedeva così ad una verifica relativa alle autocertificazioni del docente classificatosi all'8o della graduatoria, il quale, particolare non del tutto insignificante, in quel periodo era vicario proprio del dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo n. 8 di Messina;
non a caso, quindi, proprio nel medesimo giorno (26 agosto 2005) in cui l'Intilisano esercitava il diritto d'accesso agli atti, con nota prot. 4279, quindi successiva alle istanze dell'Intilisano medesimo, inviata al dirigente del CSA di Messina, il predetto docente classificatosi all'8o posto, al fine di evitare proprie responsabilità, comunicava di avere erroneamente dichiarato, a suo dire in buona fede, di non essere stato designato, con regolare atto formale, collaboratore vicario nell'anno scolastico 1997/1998, aggiungendo che l'autocertificazione non andava tenuta in considerazione ai fini dell'attribuzione del relativo punteggio;
a seguito della comunicazione di rettifica del predetto docente, tuttavia, il Dirigente del CSA di Messina non provvedeva a verificare tutti gli atti e le certificazioni di quanto dichiarato in autocertificazione e, cosa ancor più grave, non provvedeva a segnalare i fatti alla competente autorità giudiziaria, cosicché potesse accertarsi se si era in presenza di dichiarazioni mendaci o no, inoltre il dirigente pro tempore del CSA di Messina, adito dall'Intilisano per riformulare la graduatoria, previa verifica degli atti, confermava «inequivocabilmente» (così testualmente nella risposta fornita al ricorrente) il punteggio e il posto in graduatoria precedentemente attribuiti al docente classificatosi all'8o posto;
a questo punto il professor Intilisano, in copia conforme, acquisiva i documenti per i quali il CSA di Messina aveva attribuito quei punteggi. Dall'analisi di essi, scaturivano altri macroscopici errori;
pertanto il professor Intilisano, il 14 ottobre 2005, inviava un esposto al Direttore pro tempore dell'Ufficio scolastico regionale della Sicilia (USR), sovraordinato
gerarchicamente al dirigente del CSA, contestando i fatti e censurando l'applicazione dell'apposito decreto in cui venivano fissati i criteri previsti dall'ordinanza ministeriale n. 40 del 2005;
constatato che i dirigenti pro tempore dell'ex CSA di Messina e dell'USR, sebbene fosse trascorso un lasso di tempo più che ragionevole (4 mesi) non rispondevano, il professor Intilisano, attraverso il suo legale, notificava, a distanza di poco tempo, atto extragiudiziale al dirigente dell'USR Sicilia e al dirigente dell'ex CSA, affinché, in autotutela, annullassero la graduatoria provinciale per il conferimento degli incarichi di presidenza per l'anno scolastico 2005/2006 e procedessero all'applicazione delle sanzioni previste dall'ordinanza ministeriale n. 40, in materia di dichiarazioni mendaci;
nulla verificandosi, il professor Intilisano, sporgeva presso la Procura di Messina una regolare denuncia e a distanza di poco tempo inviava una nuova nota diffida al Dirigente dell'USR, il quale provvedeva a diffidare il Dirigente del CSA;
ad oggi il silenzio totale, ad eccezione del fatto che i tre docenti di cui s'è detto, sono diventati dirigenti scolastici, prendendo parte a concorsi riservati che avevano proprio nell'incarico di presidenza il requisito essenziale di partecipazione. Al contrario, proprio perché non incaricato, il professor Intilisano non ha avuto tale possibilità: al danno si è aggiunta la beffa -:
se il Governo non intenda fare luce su un caso che mette insieme complicità, illegalità e reticenze;
se il Ministro della pubblica istruzione, nel caso i fatti fossero veri, non intenda procedere disciplinarmente nei confronti dell'insegnante che ha prodotto le predette dichiarazioni, nei confronti dei Dirigenti pro tempore del CSA di Messina e dell'USR della Sicilia, quest'ultimo almeno negligente - ad avviso dell'interrogante - nel non avere attivato le dovute procedure di controllo, atteso che nella qualità di responsabile dell'USR è il soggetto conferente l'incarico di dirigente dei CSA;
se il Ministro della pubblica istruzione, nel caso i fatti fossero veri, non ritenga di dover revocare l'incarico di dirigente scolastico a quei soggetti che l'hanno ottenuto dopo aver partecipato ad un concorso per il quale non avrebbero avuto i requisiti formali per prendervi parte (anzianità come dirigenti incaricati);
se il Ministro della pubblica istruzione, proprio per dare un segnale al mondo scolastico in termini di legalità, sia intenzionato a trovare un modo per ristorare il diritto negato del professor Intilisano, il quale, non essendosi utilmente collocato nella graduatoria per il conferimento di incarico di dirigente a causa delle predette irregolarità, non ha potuto partecipare al concorso riservato per dirigenti scolastici.
(4-11207)
ROSSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in Italia, i bambini dai sei agli undici anni sono avviati allo sport nelle società sportive, contrariamente a quanto avviene negli altri paesi europei dove invece lo sport viene praticato all'interno della scuola con i propri insegnanti;
l'applicazione di corretti ed efficaci programmi di attività motoria richiedono da parte dell'insegnante un livello di competenze specifiche sostenute solo da una formazione qualificata di grado universitario (diploma ISEF e LSM);
nel 1999 è stato attuato il progetto Perseus «intervento triennale per la valorizzazione dell'educazione motoria, fisica e sportiva nella scuola dell'autonomia» finanziato con i fondi messi a disposizione della legge n. 440 del 1997 che contemplava l'inserimento nei circoli didattici di un consulente di educazione motoria per 12 ore settimanali, con contratto di pre
stazione d'opera (complessivamente 18 miliardi e 760 milioni di lire di cui il 50 per cento per il consulente);
nel 2005 il piano pluriennale «Interventi per la valorizzazione e il potenziamento dell'educazione motoria, fisica e sportiva nella scuola primaria» (fondi direttiva n. 56 del 2005 - legge n. 440 del 1997), ha previsto la possibilità di impiegare docenti e/o esperti a contratto per la realizzazione delle attività progettuali (10 milioni di euro);
negli anni scolastici 2006/2007 e 2007/2008 l'allora Ministero della pubblica istruzione (in collaborazione con il POGAS) ha avviato un progetto di «Sperimentazione dell'educazione motoria» nella scuola primaria sempre utilizzando i fondi legge n. 440 del 1977;
nell'anno 2009/2010 nel periodo febbraio - maggio 2010 è stato avviato un progetto pilota per l'«alfabetizzazione motoria»;
il progetto è stato riproposto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dal CONI anche per l'anno scolastico in corso e si concluderà il 30 maggio 2011;
ogni docente impegnato percepirà al lordo circa 7 mila euro;
l'alfabetizzazione motoria, come presentato dal sito del Ministero, è un progetto rivolto a tutti gli alunni e gli insegnanti della scuola primaria, attuato congiuntamente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dal CONI con l'obiettivo di promuovere e trasmettere il valore della pratica sportiva nel tessuto sociale, quale fattore di benessere individuale, coesione e sviluppo culturale ed economico;
l'insegnante titolare è affiancato da un «consulente esperto qualificato» che in orario curriculare (2 ore a settimana) propone attività didattiche semplici e divertenti diversificate per ciascuna classe;
le attività sono finalizzate all'acquisizione delle competenze motorie e di stili di vita attivi, nel rispetto delle indicazioni ministeriali per il curriculum;
da quanto si apprende dalle pagine di Italia oggi di alcune settimane fa, le risorse finanziarie quest'anno sono passate da 5 milioni di euro a 7,5 milioni (5 milioni del CONI e 2,5 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) per estendere il progetto pilota della sperimentazione motoria nella scuola primaria a più province rispetto alle 31 dello scorso anno;
tali risorse finanziarie sono state utilizzate per aumentare, quasi triplicare, i «consulenti esperti qualificati»;
l'anno scorso sono stati nominati 100 supervisori, per un costo di 200 mila euro ai quali vanno aggiunti 127 mila euro per le spese di vitto e alloggio;
nell'anno scolastico in corso sono stati nominati 252 supervisori, in media uno ogni quattro insegnanti di educazione fisica;
nel progetto pilota per l'alfabetizzazione motoria nella scuola primaria sono stati nominati, sempre stando a quanto riportato dagli organi di stampa, 84 supervisori, 38 docenti universitari, 31 docenti supervisori, 22 coordinatori di educazione fisica, 19 coordinatori didattico-scientifici, 19 coordinatori di progetto, 18 referenti informatici e 20 dirigenti scolastici il cui costo complessivo si aggirerà sui 500 mila euro circa;
dei 1150 docenti di educazione fisica previsti quest'anno, 985 hanno già frequentato il corso di formazione l'anno scorso, di conseguenza non vi è motivo di riproporlo;
i docenti hanno già acquisito una formazione nelle facoltà di scienze motorie attraverso un corso di laurea quadriennale -:
quanti docenti di educazione fisica siano impiegati nel progetto sopradescritto e quanti nella sola regione Liguria; in quante scuole sia stato avviato il progetto
pilota di sperimentazione della scuola primaria; con quali criteri i docenti saranno chiamati; con quali risorse verrà realizzato il progetto; se non ritenga più opportuno e rispondente alle esigenze educative avvalersi e inserire anche nella scuola primaria, all'interno delle ore curriculari, almeno un'ora settimanale di insegnamento dell'educazione motoria a partire dalle classi prime affidando l'insegnamento alla figura di un docente laureato in scienze motorie o diplomato ISEF ed inserito a pieno titolo nelle graduatorie scolastiche.
(4-11211)
MURGIA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la Silicon Valley è la sede di Google e Apple, Facebook e Twitter, Intel e Cisco, nonché di centri universitari che «sfornano» premi Nobel a decine come Stanford e Berkeley;
per l'Italia, da oggi, ufficialmente la Silicon Valley non esiste più;
scaduto il mandato per l'addetto scientifico uscente, presso il consolato italiano di San Francisco, questo incarico non sarà affidato ad altri;
fra i tanti tagli di bilancio che colpiscono la ricerca scientifica in Italia, questo potrebbe passare inosservato;
mentre l'Italia elimina l'unico addetto scientifico (che doveva coprire - da solo - un'area vastissima della West Coast, compresa Seattle nello Stato di Washington, sede di Microsoft, Boeing, Amazon), la Francia, il Regno Unito e addirittura Paesi più piccoli del nostro, come l'Olanda e la Svizzera, hanno strutture ed organici permanenti per coprire la Silicon Valley;
perfino Paesi dalle finanze pubbliche ben più precarie del nostro non rinunciano ad avere una presenza specializzata di attaché, scientifici nella Silicon Valley per non essere tagliati fuori dal prossimo ciclo di innovazioni;
le innovazioni non sono necessariamente concentrate nel mondo di internet e dell'informatica perché, a fare notizia quotidianamente, sono le gesta di Steve Jobs e del suo Ipad, i progetti di Google nel mondo dell'informazione, l'impatto mondiale di Facebook e Twitter, protagonisti delle rivoluzioni democratiche nel mondo arabo;
la Silicon Valley è all'avanguardia nei settori più disparati come l'auto elettrica con Tesla (unica azienda americana che è riuscita ad attirare come azionisti i giapponesi della Toyota);
la Silicon Valley è, non a caso, un aggregato di poli universitari che attirano un flusso continuo di cervelli;
il talento italiano è ben rappresentato e di recente Barak Obama ha consegnato una medaglia presidenziale a Federico Faggin, l'inventore del primo micro-chip brevettato dalla Intel;
il flusso di scambi tra Silicon Valley e l'Italia è stato a senso unico (con la «fuga» dei nostri cervelli) e poiché l'Italia non ha multinazionali come quelle svizzere, tedesche e francesi che possono permettersi strutture proprie in loco, l'addetto scientifico poteva offrire un servizio pubblico al sistema delle imprese italiane -:
se il Governo non ritenga che il venir meno della presenza dell'addetto scientifico dalla Silicon Valley possa essere un danno per l'intero sistema Italia, in palese contrasto con le strategie di tutti gli altri Paesi europei;
se il Governo non ritenga valida la soluzione, adottata da alcuni consolati, di assumere personale straniero usando contratti di lavoro locali per contenere le spese.
(4-11216)
MARAN. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
recentemente il Ministro dell'istruzione, dell'università e ricerca Maria Stella
Gelmini ha provveduto al rinnovo di taluni vertici dirigenziali presso il Ministero di cui è a capo, avvalendosi della possibilità di chiamata di esperti esterni secondo quanto previsto dall'articolo 19, comma 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001, con riferimento a figure professionali che presentino «comprovata e qualificata esperienza professionale» ovvero un adeguato curriculum di studi;
in particolare, è stata rimpiazzata la figura del dirigente dell'ufficio II della direzione generale della ricerca, che si occupa specificamente del programma nazionale della ricerca, e quella di dirigente responsabile dell'ufficio III, competente per la riforma, riordino, vigilanza e finanziamento degli enti di ricerca, che assomma al suo interno, secondo una recente modifica organizzativa proposta dal medesimo Ministro Gelmini, quella del responsabile dei distretti tecnologici;
entrambi i posti dirigenziali richiamati sono stati assegnati al dottor Massimo Ghilardi, laureato in scienze motorie presso l'Università Cattolica di Brescia e in sociologia politica, secondo il curriculum vitae pubblicato su sito istituzionale del Miur;
a maggior ragione in una stagione in cui le istituzioni sono oggetto di attacchi anche violenti, volti a criticare la moralità della classe politica e - conseguentemente - l'efficacia e l'efficienza dell'azione della pubblica amministrazione nel suo complesso, è necessario che l'amministrazione stessa fornisca tutte le garanzie di trasparenza possibili;
molteplici accuse di nepotismo tuttora vengono avanzate nei confronti delle modalità di assunzione per chiamata diretta di consulenti e collaboratori, che si ritengono spesso privi dei requisiti di professionalità richiesti per svolgere le mansioni richieste -:
sulla base di quali procedure e di quali titoli siano stati assegnati gli incarichi citati in premessa al dottor Massimo Ghilardi;
se il Ministro intenda specificare quali siano le peculiari capacità tecniche possedute dal dottor Ghilardi, tali da giustificare l'attribuzione al medesimo della direzione di importanti uffici e fugare qualsiasi dubbio circa l'insussistenza dei necessari requisiti di professionalità richiesti per la chiamata diretta - ex articolo 19, comma 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001 - del medesimo dottor Massimo Ghilardi, a maggior ragione considerata la sua vicinanza personale con il Ministro stesso.
(4-11236)
...
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
secondo gli ultimi dati analizzati dall'Eurostat, riguardanti il lavoro femminile in Europa, in tutti gli Stati membri il tasso di occupazione femminile diminuisce con l'aumentare del numero dei figli, mentre per gli uomini accade il contrario. Ne deriva che la famiglia risulta essere un fattore penalizzante per il lavoro femminile, a causa soprattutto della mancanza di asili nido, comunali o aziendali, o di altre strutture pubbliche di assistenza. Ma ciò che fa preoccupare è il dato, secondo cui, i due Paesi nei quali per le donne tra i 25 e i 54 anni con figli è più difficile lavorare, sono Malta e l'Italia. Per confermarlo, la statistica seziona le diverse tipologie familiari, come riportano gli esempi di seguito: donne senza figli, media Unione europea 75,8 per cento di occupazione; Germania 81,8, Finlandia 83,2; all'ultimo posto si trovano Italia (63,9), e Malta (56,6). Madri con un figlio: media Unione europea 69,2, Belgio 77,2, Francia 78, Slovenia 89,1, Finlandia 83,3; ultime in fondo all'elenco: Italia 54,1, Malta 37,4. Panorama ribadito
dalla colonna dedicata alle madri con 3 figli o più: media Unione europea 54,7, Belgio 61,7, Olanda 71,3; per quanto riguarda l'Italia, in questa categoria, risulta occupato solo il 41,3 per cento delle donne (ancora una volta, superate in peggio soltanto dalle maltesi 29,6 per cento);
se si allarga la visione a tutta l'occupazione femminile, il quadro generale evidenzia che, in tutta la zona Euro, la donna lavora meno dell'uomo, tanto da far diminuire l'occupazione femminile, in media, dello 0,6 per cento dal 1999 al 2009. Tale dato è ancora più sconcertante in Italia, che registra una diminuzione dell'1,2 per cento. Un altro ramo della statistica prende in considerazione il cosiddetto «tasso di inattività economica», cioè di persone che non cercano un'occupazione e che già si trovano al di fuori del mercato del lavoro. Nel 2009, nella Unione europea erano in questa condizione 8,7 milioni e 23,4 milioni di donne, rispettivamente l'8,2 per cento e il 22,1 per cento del totale. Ma anche qui, si registrano enormi differenze: per le donne, il tasso di inattività era bloccato al 13 per cento in Svezia o in Danimarca, ma balzava al 35,5 per cento in Italia, e al 51,1 per cento a Malta. In Spagna, uno dei Paesi più tradizionalisti, si è dimezzato in 30 anni il numero di coloro che nei sondaggi ritengono che sia giusto che le donne pensino soltanto alla cura della casa e dei figli, tralasciando il lavoro. Più probabilmente concordano gli esperti di Bruxelles, questo dato concorda con l'effetto della crisi iniziata nel 2008, che ha colpito di più le fasce più deboli;
l'indice relativo a questo dato, sembra invertirsi in alcuni paesi come Olanda, Finlandia, Ungheria, nei quali la tendenza cambia nettamente quando al primo figlio ne segue un secondo, o un terzo; l'ipotesi è che la giovane madre, dopo il primo anno di crisi, riesca a riassestarsi, forse anche con aiuti esterni, e superi poi il secondo parto molto più pronta ad affrontare gli stress del ritorno al lavoro. Ma vi sono anche nazioni, come il Belgio o la Slovenia dove il tasso di occupazione femminile resta invariato anche con uno o due bambini in casa, e comincia a diminuire soltanto dopo il terzo figlio. Quanto agli uomini con famiglia, il loro è un percorso esattamente contrario: più sono i figli a carico (almeno fino a due), più cresce il tasso di occupazione. Gli esperti non offrono in questo caso una spiegazione, si limitano ad allineare le cifre: uomo con un figlio, media Unione europea 87,4 per cento (Italia 88 per cento), uomo con due figli, media Unione europea 90,6 per cento (Italia 91,1); uomo con tre o più figli, media Unione europea 85,4 (Italia 87,7) -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di invertire, nei prossimi anni, l'indice del dato Eurostat relativo all'occupazione femminile in Italia.
(4-11210)
JANNONE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
dal settembre scorso i posti di lavoro perduti nel settore dei call center, sono 8.670 ed altri 12.990 sono a rischio nel primo semestre di quest'anno. A perdere il lavoro sono stati soprattutto giovani (il 68 per cento ha meno di 40 anni), in gran parte donne (68 per cento), con un tasso di scolarizzazione superiore alla media (29 per cento laureati, 54 per cento diplomati) e residenti per lo più nel Sud e nelle Isole (70,5 per cento). Tale quadro è emerso a Roma alla terza conferenza dei lavori del settore, organizzata dalla Slc-Cgil. All'incontro sono stati presentati i dati del quarto «Rapporto sulla dinamica occupazionale nei call center in outsourcing», i cui numeri affermano che il settore è passato in un anno da 75 mila a 67 mila addetti. Ora altri 13 mila sono a rischio. La crisi ha colpito maggiormente le regioni del Sud e delle isole, ma la precarietà attuale continua ad aumentare: secondo il rapporto, i posti di lavoro a rischio attualmente sono 1.800 in Lombardia, 1.600 in Piemonte, 350 in Veneto, 700 in Liguria, 450 in Emilia Romagna, 450 in Toscana,
230 nelle Marche e 1.100 nel Lazio. Al Sud si riscontrano i seguenti dati: 700 in Abruzzo, 600 in Campania, 1.600 in Calabria, 480 in Basilicata, 1.100 in Puglia, 380 in Sardegna, 1.450 in Sicilia;
secondo Susanna Camusso, segretario Cgil, questo settore lavorativo ha immediato bisogno di attenzione, dato che coinvolge migliaia di lavoratori italiani. L'analisi della situazione parte essenzialmente dai costi sociali della crisi in un settore in cui l'assenza di regole definite e di controlli ha, da un lato, lasciato mano libera a speculatori, imprenditori-pirata e a operazioni finanziarie non sempre trasparenti, dall'altro, ha accentuato la debolezza contrattuale e le condizioni di lavoratori che già in partenza ricevono salari tra i più bassi del settore privato (-18 per cento rispetto alla media calcolata dall'Istat nel terziario). Le delocalizzazioni «selvagge», ha detto Camusso, sono uno dei problemi per i quali si richiedono urgenti ed immediate risposte, dato che esse sono una delle prime cause che hanno portato all'aggravarsi della situazione contrattuale e lavorativa all'interno del settore -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di addivenire ad un'equa soluzione della crisi che sta investendo il settore lavorativo relativo ai call center.
(4-11212)
PILI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
1240 lavoratori con contratto di somministrazione (ex interinali) lavorano presso le sedi le sedi INPS di tutta Italia di cui 34 in (28 a Cagliari, 2 a Nuoro, 2 a Oristano e 2 a Sassari);
altri 550 lavoratori (di cui circa 30 in Sardegna) hanno lavorato presso l'Inps dal 15 giugno 2010 al 31 dicembre 2010;
complessivamente hanno lavorato presso l'INPS circa 1800 lavoratori;
l'esclusione dei 1240 lavoratori attualmente in servizio, i quali hanno ormai acquisito un'efficiente professionalità, rappresenterebbe per l'INPS un danno gravissimo a livello strutturale;
i suddetti lavoratori hanno avuto i seguenti contratti con durata: dal 9 marzo 2009 all'8 giugno 2009, dal 13 luglio 2009 al 12 ottobre 2009 e dal 20 ottobre 2009 con scadenza al 31 marzo 2011;
i lavoratori di Cagliari svolgono le seguenti mansioni strutturali: invalidità civile (settore sanitario e amministrativo), disoccupazione ordinaria, requisiti ridotti, agricola; mobilità; cisoa; bollettini lavoratori domestici; iscrizioni lavoratori domestici; dilazioni agricole; recupero crediti e verifiche dei flussi contributivi dei parasubordinati e degli agricoli; evasione contributiva; recupero indebiti DSO; cassa integrazione ordinaria; TFR; recupero crediti relativamente alle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti non versate dalle aziende all'Inps nei termini previsti dalla legge;
i potenziali tagli sul lavoro precario presso la pubblica amministrazione, contenuti nella manovra del luglio 2010, mettono a serio rischio la riconferma dei lavoratori in scadenza il prossimo 31 marzo 2011;
tale disagio si ripercuote in modo indiretto e conseguente sull'utenza e sulla qualità del servizio, in particolare anziani e disabili, che rischia di subire forti rallentamenti nell'espletamento delle pratiche di competenza;
tale situazione di disagio verrà incrementata, inoltre, dai pensionamenti dei dipendenti INPS e dal blocco del turn over;
a livello regionale si sottolinea la carenza strutturale di circa 300 unità lavorative -:
se non ritenga dover assumere iniziative per scongiurare l'ipotesi di licenziamento per i 1240 lavoratori in attività presso l'INPS;
se non ritenga di dover convocare un apposito tavolo di confronto tra l'INPS e le organizzazioni sindacali al fine di valutare i possibili provvedimenti necessari per evitare che l'INPS debba rinunciare all'apporto di tale personale;
se non ritenga di dover valutare con la necessaria attenzione la situazione relativa alla regione Sardegna proprio alla luce delle carenze in organico e alla tipologia dell'utenza che rende l'INPS di fondamentale importanza per l'isola;
se non ritenga di dover verificare e scongiurare il grave danno che ne avrebbe l'utenza sia in Sardegna che nell'intero Paese a seguito di un così grave taglio occupazionale in uffici di primaria importanza.
(4-11213)
LOVELLI e LUCÀ. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
con l'articolo 20 «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile» del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali, il Governo ha inteso rivedere le modalità di presentazione delle domande di accertamento delle minoranze civili, handicap (legge n. 104 del 1992) e disabilità (legge n. 68 del 1999), e delle procedure di valutazione, concessione e del ricorso giurisprudenziale;
secondo le dichiarazioni del Governo, il provvedimento, grazie all'attribuzione all'INPS di nuove competenze, avrebbe dovuto consentire una maggiore rapidità e modalità più chiare per il riconoscimento dell'invalidità civile, dell'handicap e della disabilità;
con la circolare n. 131 del 28 dicembre 2009 l'INPS ha fissato le modalità operative per la gestione delle procedure di riconoscimento ed accertamento dell'invalidità civile adottando motu proprio nuovi criteri di valutazione differenti da quelli definiti dal legislatore e tuttora vigenti, fatto contrario ai più elementari principi giuridici;
sempre con la medesima circolare venivano fissati in 30 giorni il tempo massimo per la visita di accertamento (15 giorni per i malati oncologici) e conseguente erogazione dei benefici entro 120 giorni dalla data di presentazione della domanda;
ad oggi, gli effetti del provvedimento risultano essere, assolutamente in controtendenza alle rassicurazioni poste dal Governo anche in risposta alle numerose interrogazioni parlamentari presentate;
con le nuove regole previste dal dispositivo di legge, una pratica per il riconoscimento di invalidità civile, handicap o disabilità deve essere esaminata tre volte: dai medici della Asl, poi da quelli dell'INPS e, infine, dalla sovrintendenza medica nazionale a Roma;
sempre secondo questa nuova procedura sono enormemente aumenti i tempi di attesa in quanto le pratiche dalle INPS locali si fermano alla sede nazionale per un eccesso di burocrazia. Sono stati, a tal proposito, segnalati numerosi casi di persone che hanno dovuto attendere fino a sette mesi per una visita e, tra queste, anche malati oncologici che, per norma, avrebbero dovuto essere convocati entro 15 giorni o di persone che si sono viste richiedere duplicati e duplicati di documentazione medica che, in un'ottica di lavoro sinergico e di rete quale sarebbe auspicabile fosse quella tra le ASL e l'INPS viste le nuove disposizioni normative, dovrebbero già essere in possesso delle certificazioni mediche oggetto di valutazione;
si apprezza l'intenzione di voler perseguire la lotta ai «falsi invalidi», nell'ottica di voler porre fine ad un utilizzo talvolta improprio dell'invalidità civile quale mezzo per ottenere emolumenti a cui non si ha diritto, ma che la stessa non debba divenire strumento di vessazione nei confronti di quei cittadini che nulla hanno a che fare con queste modalità e
che necessitano di rispetto per la loro condizione di invalidità, una dignità che nell'ultimo anno spesso è stata violata innumerevoli volte con richieste di visite di controllo prive di fondamento anche nei confronti di chi è affetto da patologie irreversibili in contraddizione con quanto previsto dall'articolo 94, comma 3 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 e dall'articolo 42 comma 7 della legge 24 novembre 2003 n. 326, nonché con ritardi inaccettabili per le visite indispensabili per il riconoscimento all'esenzione dal ticket, l'assistenza domiciliare, l'iscrizione alle liste del collocamento mirato ex legge n. 68 del 1999;
secondo stime prudenziali INPS e ISTAT circa i due terzi dei fruitori dell'indennità di accompagnamento sono ultrasessantacinquenni e che il piano straordinario di verifiche del 2009 ha selezionato un campione di età superiore ai 18 anni e inferiore ai 78 (fonte: circolare INPS 23 febbraio 2009, n. 26 e decreto ministeriale del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 29 gennaio 2009) e per il 2010-2012 sono previsti ulteriori 500 mila nuovi controlli su base nazionale (articolo 10 del decreto-legge n. 78 del 2010) ai quali debbono necessariamente aggiungersi le revisioni ordinarie che le commissioni ASL predispongono annualmente nel caso di patologie e menomazioni non stabilizzate;
le persone con disabilità di 6 anni e più che vivono in famiglia in Piemonte risultano essere 190.000 pari a circa il 4,8 per cento della popolazione mentre le persone con disabilità adulte (18-64 anni) e anziane (over 65) rappresentano circa lo 0,8 per cento (fonte: ISTAT 2010 «La disabilità in Italia») per le quali si può facilmente evincere il forte disagio derivato dalle lungaggini burocratiche evidenziate e lo stallo dell'INPS oramai conclamato -:
se il Ministro sia conoscenza della situazione di assoluto disagio e disservizio generatasi a seguito dell'approvazione della nuova disciplina relativamente ai tempi di accertamento e riconoscimento dell'invalidità civile, dell'handicap e della disabilità;
se il Ministro non intenda riconsiderare il meccanismo di commissioni mediche doppie e triple che comportano un aggravio dei costi per INPS e ASL e un'insostenibile dilatazione dei tempi a totale disagio dei veri invalidi;
se il Ministro non intenda intervenire, con opportune iniziative di competenza, nei casi in cui la dilazione dei tempi risulti oggettivamente penalizzante per persone, riconosciute invalide o in attesa di riconoscimento, affette da patologie gravi e conclamate;
se il Ministro abbia fornito indicazioni relative ad un presunto «contingentamento» a livello provinciale di riconoscimenti di invalidità civile, handicap e disabilità, determinato da obiettivi di contenimento della spesa;
se il Ministro, a fronte di ritardi penalizzanti causati dalla nuova normativa, non intenda assumere iniziative dirette al riconoscimento di una qualche mitigazione o compensazione.
(4-11218)
JANNONE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'economia sommersa in Italia va da un minimo del 16,1 per cento ad un massimo del 17,8 per cento dell'economia totale. Tali dati sono stati forniti agli esperti della Commissione per la riforma fiscale che si occupa di «economia non osservata e flussi finanziari». Le elaborazioni, fatte dall'Istat su dati 2005, sono le più aggiornate e entrano nel dettaglio rispetto a quanto, diffuso lo scorso luglio, quando si affermava che il peso dell'economia sommersa era compreso tra il 16,3 per cento e il 17,5 per cento del Pil. Si affermava inoltre che tra il 2000 e il 2008 l'ammontare del valore aggiunto sommerso registrava una tendenziale flessione,
pur mostrando andamenti alterni: la quota del sommerso economico sul Pil raggiungeva il picco più alto (19,7 per cento) nel 2001, per poi decrescere fino al 2007 (17,2 per cento) e mostrare segnali di ripresa nel 2008 (17,5 per cento). La parte più rilevante del fenomeno e dell'economia sommersa veniva individuata nella sottodichiarazione del fatturato e dal rigonfiamento dei costi impiegati nel processo di produzione del reddito;
a livello settoriale l'evasione fiscale e contributiva era ed è più diffusa nei settori dell'agricoltura e dei servizi, ma è rilevante anche nell'industria. Se si considera la sola economia di mercato, senza considerare cioè, il valore aggiunto prodotto dai servizi non market forniti dalle amministrazioni pubbliche, il sommerso nel 2008 rappresenta il 20,6 per cento del Pil contro il 17,5 per cento calcolato per l'intera economia;
il dato maggiore riscontrato nell'indagine è quello relativo al settore «alberghi e pubblici esercizi», per i quali il sommerso si aggira attorno al 56,8 per cento, dato che supera anche quello di colf e badanti che si ferma a 52,9 per cento. Agricoltura (31,1 per cento) e commercio (21,7 per cento) seguono nella classifica del sommerso. La tabella è stata elaborata tenendo conto di correzioni statistiche sugli introiti, i costi interni delle imprese, la dissimulazione dell'attività produttiva sul lavoro non regolare, e stime indipendenti di offerta e domanda. Emerge così che il sommerso nel settore industria tocca l'11,7 per cento. Per il comparto dell'industria il sommerso più evidente è quello delle costruzioni, che arriva al 28,4 per cento seguito dal tessile - abbigliamento - calzature che è al 13,7 per cento, dagli alimentari (10,7 per cento). Più evidente è l'economia in nero nel settore dei servizi: dopo alberghi e bar e servizi domestici, ci sono istruzione e sanità (36,8 per cento), trasporti e comunicazioni (33,9 per cento), commercio (32,1 per cento); servizi alle imprese (21,5 per cento). L'unico settore con un sommerso sotto le due cifre è il «credito e assicurazione», con il 6,4 per cento -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di contrastare il lavoro sommerso in Italia, riportando i settori interessati ad una maggiore legalità.
(4-11219)
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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
FIORIO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il vertice mondiale del G20, convocato a Seul lo scorso 11 e 12 novembre, si è espresso sulle nuove regole della finanza internazionale, in parte già riflesse nell'ambito dell'accordo di Basilea tra i 13 Paesi che ne fanno parte (che sono in prevalenza europei);
si tratta appunto delle regole che passano sotto il termine di Basilea 3, mirate a rafforzare le banche dopo la crisi del 2008; queste condizioneranno il futuro dell'economia italiana e quindi anche dell'agricoltura;
gli accordi di Basilea 3 hanno all'ordine del giorno il tema della ricapitalizzazione degli istituti bancari, cosicché questi dovranno dotarsi di maggiori riserve, riducendo gli impieghi, cioè le erogazioni di credito, rispetto alla raccolta del risparmio, ciò farà aumentare i costi del credito;
la mancanza dell'obbligatorietà dei bilanci per le imprese agricole rende difficile alle banche valutare la solvibilità dei richiedenti -:
se il Governo abbia valutato l'impatto di Basilea 3 sul mondo agricolo italiano, in quanto il modello di agricoltura «a maglie strette», nel senso cioè di superfici poderali decisamente inferiori rispetto ad altre realtà importanti a livello europeo, come
Francia e Germania, rischia di non rientrare nei vincoli richiesti dal nuovo regime creditizio;
quali misure siano allo studio del Governo per garantire meccanismi di finanziamento alle aziende agricole italiane che risultano tra le più esposte alla crisi che ha investito l'economia mondiale.
(5-04370)
Interrogazione a risposta scritta:
OCCHIUTO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il regolamento (CE) 1967/2006, entrato in vigore nel giugno 2010 ha introdotto norme più rigide in materia di attività ittiche che hanno reso sostanzialmente impraticabile la pesca del bianchetto provocando, di conseguenza, momenti di forte preoccupazione e disagio nelle marinerie calabresi;
la Comunità europea ha fissato, infatti, al 31 dicembre 2010 il termine ultimo per poter effettuare la pesca del bianchetto ad opera della marineria di Schiavonea di Corigliano Calabro (Cosenza);
questo tipo di pesca rappresenta la principale fonte di sostentamento economico per un gran numero di addetti che hanno, pertanto, l'opportunità di integrare il proprio reddito attraverso un'attività che, espletata da molti anni con l'utilizzo di attrezzature artigianali, coinvolge interi nuclei familiari che concorrono a formare l'ossatura di un settore, quello della piccola pesca che a Corigliano e in Calabria sta attraversando un periodo di crisi;
l'attività della pesca del bianchetto coinvolge la filiera della trasformazione e della commercializzazione del prodotto, con conseguenze negative anche su questo settore produttivo -:
se intenda intervenire con la richiesta di una deroga per scongiurare tale situazione di disagio.
(4-11234)
...
SALUTE
Interrogazione a risposta in Commissione:
LOLLI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
con la mancata riconferma dei precari medici presenti nel presidio ospedaliero San Salvatore dell'Aquila si verificherebbero le seguenti condizioni:
impossibilità per la cardiologia ed Utic di proseguire con l'attività di elettrofisiologia (PMK-defibrillatori-ablazioni) ed inoltre il reparto per riaprire tutti i 20 letti previsti necessita di ulteriori tre infermieri professionali. Venendo a mancare il lavoratore socialmente utile addetto alla segreteria del servizio che effettua circa 40.000 prestazioni per anno si avrebbe un allungamento delle liste di attesa;
per la pneumologia senza la riconferma dei due dirigenti medici non sarebbe più possibile svolgere l'attività di UTIR con notevole disagio per la rianimazione;
per l'oncologia in assenza dei sei infermieri professionali precari verrebbe meno l'attività dei 10 posti letto in ricovero ordinario, quella dei 6 posti letto della medicina universitaria 2, ed i due posti letto di ricovero ordinario della gastroenterologia. Inoltre la mancata riconferma del dirigente medico precario dell'oncologia comporterebbe una contrazione dell'attività di D.H. con conseguente allungamento delle liste d'attesa;
per la neurologia la mancata riconferma dei due medici precari comporterebbe l'impossibilità di effettuare i turni di servizio e quindi l'abolizione dei posti letto di ricovero ordinari. Inoltre, tale settore dovrebbe essere ricollocato nei propri locali appena risistemati e pertanto necessita di ulteriori 8 unità infermieristiche; infine, la mancanza di due dirigenti
medici comporterebbe la chiusura del centro di riferimento e di prescrizione per la sclerosi multipla;
per la neuro-fisiopatologia il mancato rinnovo del contratto al tecnico comporterebbe una contrazione del 30 per cento dell'attività;
per l'endocrinologia il mancato rinnovo del contratto al dirigente medico comporterebbe la chiusura del reparto poiché non sarebbe possibile proseguire con le attività e verrebbe meno il centro di riferimento per la prescrizione del GH;
tali chiusure comporterebbero anche l'annullamento di ben quattro scuole di specializzazione;
molte delle situazioni suddette si sarebbero potute evitare se la razionalizzazione delle diverse U.O.C, fosse stata effettuata con un piano di rientro commissariale condiviso e soprattutto operativo e certo;
per quanto riguarda il dipartimento di chirurgia ad endoscopia digestiva si prevede la sospensione del dirigente medico I livello in scadenza nel 2012, conseguentemente non si garantiscono le urgenze e si riducono le attività ordinarie al 30 per cento;
a chiusura senologica è prevista la sospensione del dirigente medico di I livello e si prevede una riduzione dell'attività ambulatoriale al 50 per cento, una riduzione attività ambulatoriale sul territorio del 100 per cento oltre che una mancata attivazione della IORT unica in Abruzzo;
alla ORL è prevista una sospensione del dirigente medico in sostituzione di medico in aspettativa che comporta la sospensione della reperibilità e del 50 per cento dell'attività normale;
ad oculistica è prevista la sospensione di 1 precario ortottista che comporta la riduzione del 50 per cento delle attività ambulatoriali di oftalmologia pediatrica e del 50 per cento della diagnostica normale. Inoltre la dotazione organica del personale infermieristico e o.s.s. che copre l'attività di queste ultimi U.O. complesse è sottodimensionato;
a chirurgia vascolare è prevista la sospensione di un precario dirigente medico I livello che comporta una riduzione del 50 per cento dell'attività di ecocolordoppler con conseguente aumento della lista d'attesa. Viene inoltre prevista la sospensione dell'attività di urgenza per mancanza della doppia reperibilità (solo 3 dirigenti medici idonei);
ad urologia è prevista la sospensione del precario dirigente medico di I livello che comporta riduzione del 30 per cento dell'attività ambulatoriale oltre che la sospensione dell'attività chirurgica complessa che conta la presenza di 3 dirigenti medici;
a neurochirurgia è prevista la sospensione dei precari cinque dirigenti medici I livello e 7 infermiere e o.s.s. che comporta la possibilità di poter effettuare soltanto un presidio di pronto soccorso per le cure primarie non chirurgiche presso il presidio ospedaliero di L'Aquila;
a chirurgia trapianti è prevista la sospensione di 2 precari dirigenti medici I livello, che comporta la cessazione della reperibilità prelievi in Abruzzo-Molise, oltre che la cessazione dell'esecuzione dei trapianti, la cessazione della reperibilità di reparto, la cessazione della sala operatoria in elezione e in emergenza, la riduzione del 50 dell'attività ambulatoriale per follow up e dell'inserimento in lista d'attesa;
alla banca degli occhi è prevista la sospensione di due precari, che rappresentano l'unico organico, e ciò quindi comporta la cessazione totale dell'attività;
a chirurgia universitaria è prevista la cessazione del precario dirigente medico I livello (in mobilità), che comporta l'impossibilità di garantire turni di guardia;
a chirurgia ospedaliera è prevista la cessazione del precario dirigente medico I livello (in mobilità) con conseguente riduzione attività ambulatoriale del 50 per
cento, riduzione dell'attività della sala operatoria in elezione del 50 per cento e impossibilità di garantire l'urgenza;
per quanto sopra esposto risulta chiaro quanto la già difficilissima situazione determinata dal sisma del 6 aprile 2009 diventerebbe insostenibile per cittadini e per il personale dell'ospedale -:
se e come il Governo intenda intervenire, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per evitare che il presidio medico San Salvatore dell'Aquila viva questa ulteriore tragedia non riuscendo più di fatto a garantire moltissime servizi indispensabili per la cittadinanza, compromettendo l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
(5-04375)
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il linfedema degli arti inferiori è una patologia che colpisce i vasi linfatici. Molte cause patogene, congenite e acquisite, possono portare i vasi linfatici a non svolgere la loro funzione con accumulo di liquidi e poi di sostanze negli spazi intercellulari. Si distingue in tre gradi fondamentali: il primo consiste nel semplice accumulo di acqua che porta ad un edema degli arti inferiori, il secondo grado è quello in cui, insieme all'acqua, stagnano anche proteine e altri cataboliti cellulari, il terzo grado corrisponde allo stato indurativo del sottocute, quando per effetto del ristagno costante e persistente, l'organismo produce una fibrosi del tessuto, la terapia è semplice per i primi due gradi, difficile per il terzo. Occorre sempre ridurre l'edema (presso terapia, linfodrenaggio, dieta adeguata) e mantenere sgonfi gli arti (calza elastica). Nel secondo e terzo grado si possono associare la terapia del calore, la mesoterapia e altri farmaci più specifici anche in via generale;
allo stato attuale permane difficile avere una visione chiara della diffusione del linfedema nel territorio mondiale in quanto persiste la difficoltà di avere sempre e in maniera immediata e specifica una corretta diagnosi. Gli epidemiologici dimostrano che il linfedema è molto diffuso nei vari Paesi del mondo senza grosse differenze riguardo le sue manifestazioni cliniche: un terzo della popolazione mondiale presenta uno stato di edema dei quali il più serio è il linfedema: centoquarantamilioni di casi. Di questi la maggior parte è di tipo parassitario, i restanti casi si dividono in linfedema secondari a chirurgia o a trauma ed i linfedema primitivi con un numero compreso tra i cinque ed i venti milioni. In Europa, la Spagna presenza un'incidenza prevalente nel sesso femminile (84 per cento) con un'età compresa tra i 45 ed i 59 anni. La distribuzione del linfedema è rispettivamente nel 79 per cento dei casi di tipo primario e nel 21 per cento dei casi secondario, di cui il 76,5 per cento dei casi di linfedema primario conta meno di 45 anni e l'80 per cento dei casi di linfedema secondario conta più di 45 anni. L'incidenza del linfedema secondario vede al primo posto l'ortopedia (33 per cento) a cui si associano i traumi (25,5 per cento) ed i tumori (18,9 per cento). In quest'ultimo caso, il 90 per cento dei linfedemi secondari a neoplasie è rappresentato dal linfedema post-mastectomia. In Italia vi sono pochi dati riguardanti i linfedemi primitivi, i dati attuali dimostrano una percentuale intorno al 30-40 per cento. Per quanto riguarda i linfedemi secondari si parla di una percentuale compresa tra il 60-70 per cento di cui il 40 per cento post-mastectomia ed il 40 per cento dei casi post-isterectomia;
il linfedema primario è una condizione clinica ad esordio improvviso: perciò, parlando in termini di prevenzione, non è prevedibile. Al contrario, quello secondario è clinicamente prevedibile anche se non per quanto concerne il momento dell'esordio così come in fase conclamata sono prevedibili alcune sue complicanze. Certo è che il decorso clinico del linfedema risulta gradualmente ingravescente. Le proposte di prevenzione finora
effettuate da vari esperti del settore in tutto il mondo, riguardano esclusivamente il linfedema secondario e sono prevalentemente indirizzate al chirurgo operatore o all'oncologo. Attualmente la prevenzione del linfedema, nella maggior parte dei casi, viene mirata a evitare le complicanze, soprattutto infettive, ma riteniamo che debba essere soprattutto tesa a bloccarne l'evoluzione macroscopica ovvero, aumento di volume dell'arto affetto. Questo è attuabile solo se viene prontamente allestito e protratto nel tempo il protocollo terapeutico fisico complesso modificato secondo la clinica, con tutti gli accorgimenti consigliati al paziente, in tutti i tipi di linfedema ma in particolar modo se si tratta di un linfedema negli stadi iniziali. Nei casi non ancora complicati, selettivamente suscettibili di prevenzione, questi fini sono raggiungibili mediante una tempestività terapeutica rappresentata e dalla kinesiterapia e dall'uso di materiale compressivo, nonché da alcuni medicamenti ad azione linfotropa;
nel nostro Paese parte della terapia del linfedema è affidata alla gestione di diversi specialisti medici: angiologi, medici estetici, chirurghi vascolari, chirurghi generali e microchirurghi che sono portati a vedere il problema ognuno dalla propria angolazione. Ciò produce un cattivo approccio terapeutico e quindi una cattiva qualità di vita. Il linfedema primario e, tra i secondari, i linfedemi conseguenti a trattamenti chirurgici per cancro, soprattutto della mammella, rappresenta delle condizioni di riferimento per comprendere le ripercussioni del linfedema sulla qualità della vita del paziente. Recenti studi in proposito concordano sul fatto che il paziente è più preoccupato della differenza di volume tra un arto e l'altro rispetto ai sintomi a carico dell'arto edematoso come la pesantezza o il prurito o le parestesie. Inoltre è l'edema all'interno del braccio suscettibile di essere «nascosto». Nel corso di linfedema post-mastectomia l'arto gonfio può rappresentare un vero e proprio handicap soprattutto se dal alto maestro sia per azioni macroscopiche, come lavarsi, che per azioni più fini come allacciarsi una collana o scrivere, oltre ad altre varie attività. La qualità di vita del paziente con linfedema dipende da una diagnosi precoce, dall'informazione adeguata del paziente e da una terapia il più adeguata possibile alle proprie esigenze. L'assenza di centri dedicati al trattamento del linfedema, la scarsità delle scuole e dei corsi di preparazione in campo rappresentate essenzialmente dalla complicazione del paziente, rendono difficoltoso perseguire buoni risultati. È possibile affermare che l'approvazione e la consapevolezza del paziente rappresentano circa il 40 per cento del successo della strategia terapeutica. Il danno estetico, il danno funzionale e l'alterazione della vita di relazione, nonché l'imbarazzo nei rapporti con l'ambiente circostante rappresentano i cardini della reazione emotiva alla malattia. L'accettazione del trattamento nelle sue varie proposte rimane a volte un ostacolo per il linfologo: il LDM e la PT sono i trattamenti preferiti dai pazienti nonostante che debbano essere effettuati a cadenza costante; al contrario il bendaggio o la contenzione insostituibili de ben allestiti e adeguatamente indossati per il processo di disinfiltrazione della cute, sono mal tollerati e mal accettati perché aggravano l'estetica e costringono il paziente a non nascondere più la sua malattia e devono essere indossati quotidianamente sia in condizione di riposo che durante la pratica di esercizi specifici. Nella compliance del paziente con linfedema riveste un ruolo fondamentale l'ambiente sociale e familiare che circonda il malato. Il sostegno psicologico e la sollecitudine all'autoterapia da parte dei parenti devono associarsi alla partecipazione attiva alla cura dell'arto malato;
tale patologia, per quanto riguarda la terapia chirurgica e la ricerca può riferirsi a pochi centri universitari, mentre per quanto attiene le necessarie cure specialistiche periodiche, si fa riferimento a pochissime strutture ambulatoriali private. Sono quindi a totale carico dei pazienti, oltre alle predette cure periodiche, i costi di acquisizione di tutori elastici, dei kit di bendaggio, di presidio elettromedicale per
il drenaggio domiciliare, di uso massivo quotidiano, oltre ai farmaci d'uso. Facilmente evincibili, per quanto argomentando, le innumerevoli difficoltà e lo stato di estremo disagio sociale, psicologico ed economico, in cui penosamente versa questa categoria di ammalati, costretta, per necessità, ad un periodico e disagevole «turismo sanitario», nei limiti obiettivi afferenti dalla patologia -:
quali interventi di competenza il Ministro intenda adottare al fine di agevolare il decorso curativo dei malati affetti da linfedema, promuovendo la creazione in Italia di centri di ricerca e di cura volti specificatamente a questa patologia.
(4-11222)
LAMORTE. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la Valle del Sacco è una regione del Lazio meridionale situata in massima parte nella provincia di Frosinone e per un breve tratto in quella di Roma; è attraversata dal fiume Sacco che nasce dal versante orientale dei Monti Prenestini nel Lazio e scorre verso sud-est per una lunghezza complessiva di 87 chilometri fino a sfociare nella Baia Domizia;
da moltissimi anni, sin dalla seconda guerra mondiale, è gravemente inquinata dalla presenza di fabbriche di armamenti e da diversi siti industriali soprattutto chimici, che nel tempo hanno compromesso l'equilibrio del suo ecosistema;
in particolare, si è fatto uso del beta-esaclorocicloesano per la produzione di insetticidi, nello specifico il lindano usato abbondantemente fino agli anni Settanta, quindi limitato ed infine proibito nel 2001;
con il tempo le acque piovane che colavano dalle discariche a cielo aperto, si sono riversate nei fossi Savo e Cupo di qui nel fiume Sacco, determinandone un costante inquinamento; il fiume Sacco, a sua volta, esondando periodicamente nei decenni successivi, ha portato gli agenti inquinanti sui terreni agricoli limitrofi, generando problemi in tutta la catena alimentare, in particolare nel 2005 quando si sono resi necessari l'abbattimento di bestiame, la distruzione di prodotti agricoli e la chiusura di numerose aziende;
nel 2005 la vallata in cui scorre il fiume Sacco è stata commissariata, avviando un progetto di monitoraggio di lungo periodo della salute della popolazione, in carico al dipartimento di epidemiologia della ASL Roma e in collaborazione con la ASL Roma G e Frosinone e l'Istituto superiore di sanità, al fine di verificare lo stato di salute dei cittadini, e nel 2006 è stato dichiarato lo «stato di emergenza socio-economico-ambientale», in particolare per i comuni di Colleferro, Gavignano, Segni, Paliano, Anagni, Sgurgola, Morolo, Supino, Ferentino, poi prorogato a più riprese fino ad oggi;
è stata rilevata dalle analisi effettuate la presenza negli organismi animali e vegetali e negli esseri umani di concentrazioni altissime di metalli pesanti, quali cromo, arsenico, mercurio e diossine; il 1o febbraio 2011 il sindaco di Colleferro ha incontrato i responsabili del servizio di igiene della Asl, del servizio veterinario e il commissario dell'ufficio per l'emergenza ambientale della Valle del Sacco, i quali hanno sostenuto di non aver rilevato casi eccezionali di patologie sospette né la presenza di sostanze nocive; il commissario ha garantito il non inquinamento della valle del Sacco fino alla confluenza del fiume Liri;
l'inquinamento a Colleferro è dovuto anche ai due termovalorizzatori, peraltro ritenuti obsoleti, in cui, come è uscito fuori dall'inchiesta che ha portato nel 2009 a 13 arresti, tra cui la dirigenza del consorzio GAIA che gestisce l'impianto ed alcuni responsabili dell'Ama, nonché soci ed amministratori di società d'intermediazione di rifiuti, di sviluppo di software e chimici di laboratori di analisi, sono stati bruciati materiali di ogni tipo senza tener
conto delle eventuali ripercussioni negative per l'ambiente circostante;
il problema non è ancora risolto se oggi l'habitat in generale risulta essere ancora fortemente contaminato e gli animali continuano a morire, come testimonia con le immagini l'allevatore ed agricoltore Raimondo Fadda che dal 2005 ad oggi ha visto morire 800 capi di bestiame, ha un figlio nato malato e lui stesso in questi giorni è ricoverato per una grave forma di polmonite -:
se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per fare completa luce, per quanto di competenza, su quanto stia accadendo nella Valle del Sacco ed accertare le responsabilità di questo disastro ambientale;
se i Ministri interessati, quindi, non intendano destinare maggiori risorse finanziarie a tutti i comuni della valle del Sacco coinvolti, usufruendo anche del denaro versato come indennizzo, nel caso specifico del consorzio GAIA, che è stato finora condannato dalla Corte dei conti ad un pagamento di 213 milioni di euro;
se i Ministri interrogati non intendano avvalersi di organizzazioni ad hoc e di mezzi idonei ad effettuare una più approfondita ed efficace bonifica di tutti i siti industriali di Colleferro, anche in collaborazione con regione, province e comuni, estendendo gli esami epidemiologici a tutta la popolazione della Valle del Sacco, al fine di ripristinare i valori naturali dell'aria, dell'acqua e del suolo e garantire in futuro uno sviluppo ecosostenibile per tutta l'area interessata.
(4-11237)
...
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
RIGONI e FADDA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'area industriale della provincia di Massa Carrara è interessata da una crisi di particolare complessità che coinvolge le società Eaton e Nuovi Cantieri Apuania s.p.a., con rilevanti effetti sul bacino occupazionale del territorio;
in ragione della peculiare congiuntura economica della provincia di Massa Carrara, è stato recentemente sottoscritto dal Ministero e la regione Toscana un nuovo, apposito protocollo propedeutico alla sottoscrizione dell'accordo di programma per lo sviluppo e la reindustrializzazione delle locali aree produttive;
in particolare, desta viva preoccupazione la situazione relativa alla Nuova Cantieri Apuania, per la quale sembrano precludersi definitivamente ipotesi di partnership al di fuori di soluzioni private, e con prospettive produttive estranee alla tradizionale lavorazione cantieristica;
la costruzione del maxi traghetto per la Rete ferroviaria italiana, per un valore di circa 50 milioni di euro, rischia di tradursi come l'ultima testimonianza di un'esperienza e una professionalità maturata in decenni di attività nel settore della navalmeccanica;
presupposto per il perfezionamento del richiamato protocollo e per la corrispondente reindustrializzazione dell'area, è costituito dalla sottoscrizione, entro il prossimo 31 luglio, di uno specifico accordo di programma tra lo Stato, la regione Toscana e le amministrazioni locali interessate, sulla base dell'elaborazione affidata alla società Invitalia;
la ricerca di soluzioni concordate tra tutti i soggetti coinvolti, comprese le rappresentanze sindacali, rappresenta il presupposto indispensabile per scongiurare esiti traumatici, sul piano economico, sociale e territoriale -:
se e per quanto tempo il Governo intenda garantire la continuità aziendale di Nca con la presenza di Invitalia nel capitale sociale;
a che punto sia la predisposizione dell'accordo di programma previsto dal citato protocollo e quali siano le risorse a tal fine destinate;
quali siano le soluzioni industriali individuate da Invitalia, soggetto attuatore del presente accordo, e verso quali settori industriali, diversi dalla navalmeccanica, si stia rivolgendo l'attenzione;
se il Ministro ritenga inevitabile, qualora non si dovesse addivenire ad una soluzione positiva per un nuovo assetto azionario della società NCA, provvedere ad avviare la messa in liquidazione della società stessa con il conseguente licenziamento delle maestranze.
(5-04372)
BOFFA, GRAZIANO e PICIERNO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il gruppo Cablelettra che dal 2007 comprende le società Elettrosistemi Srl, SMC Srl, Elettrocablaggi SRL, Fem Italiana Srl ed ElettroKit Srl, con stabilimento a Limatola (Benevento), si occupa di integrazione di componenti e sistemi elettrici per il settore dell'auto;
la Cablelettra Sud, a seguito della mobilità estesa alle 5 aziende che ha inglobato, contava nel 2008 circa 100 dipendenti tra operai ed impiegati;
il 21 dicembre 2006, infatti, si completava l'iter per la mobilità di parte del personale di Elettrosistemi Srl, SMC Srl, Elettrocablaggi SRL, Fem Italiana Srl e la ElettroKit Srl e su 200 lavoratori ne venivano assunti meno della metà;
nel 2008 la Cablelettra Sud chiedeva ed otteneva la cassa integrazione guadagni straordinaria a rotazione;
nello stesso 2008 la Cablelettra SUD s.p.a. si fonde per incorporazione con la Cablelettra s.p.a. e dal marzo dello stesso anno parte la cassa integrazione guadagni ordinari a rotazione per tutti i dipendenti della nuova società;
nel marzo del 2009, con sentenza del tribunale di Vigevano del 19 marzo 2009, la società viene messa in liquidazione ed entra in amministrazione straordinaria con la nomina di un commissario;
il 14 luglio 2009, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il commissario straordinario ottiene la cassa integrazione guadagni straordinaria con verbale sottoscritto dal Ministero, dalla regione Sicilia, all'unione industriali di Pavia, da Confapi nazionale e dalle organizzazioni sindacali Cobas, Fiom, Cisl e le rappresentanze sindacali unitarie;
il 29 novembre 2010 presso la Confindustria di Benevento avviene l'ultimo incontro nel quale il commissario ribadisce che vi è un'ampia manifestazione di interesse da parte di più soggetti, importanti competitors industriali di caratura mondiale che offrono le più ampie garanzie che la cessione avvenga garantendo al massimo livello le maestranze;
con provvedimento del 10 dicembre 2010 il Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato il disciplinare di gara avente ad oggetto la procedura di vendita del perimetro di riferimento nonché l'invito a presentare offerte vincolanti per l'acquisto del perimetro di riferimento e lo schema dell'offerta vincolante e delle relative garanzie (che costituiscono parte integrante del disciplinare di gara);
il 31 gennaio 2011, termine perentorio per la presentazione delle offerte, risultavano pervenute le offerte di acquisto della Yazaki Corporation e della Leoni Wiring System Italy S.r.L;
all'esito della disamina delle due offerte, il commissario riteneva che l'offerta di Yazaki Corporation fosse quella migliore sotto ogni profilo, ovvero in relazione al prezzo offerto, agli impegni occupazionali ed al piano industriale;
il 4 marzo 2011 veniva consegnato alle organizzazioni sindacali provinciali il nuovo piano industriale, presentato dalla
Yazaki Corporation, acquirente dei complessi aziendali e delle partecipazioni di Cablelettra S.p.A;
il piano industriale prevede la salvaguardia di soli 2 manager e 5 impiegati sul complesso dei 92 dipendenti di Limatola;
tale piano industriale, come evidente, ha determinato la forte mobilitazione, tutt'ora in corso, dei lavoratori dello stabilimento di Limatola;
il licenziamento di 85 lavoratori su 92 aggrava ulteriormente la già pesante crisi occupazionale e produttiva che investe oggi la provincia di Benevento dove, giusto per citare alcuni dati, si registrano: oltre 4.000 persone in cassa integrazione (tra ordinaria, straordinaria e in deroga); circa 1.000, tra il 2008 e il 2010, licenziamenti per cessazione attività, fine cassa integrazione ed altre chiusure di siti produttivi nei vari settori dell'economia sannita; un tasso di disoccupazione del 9,6 per cento;
una analoga situazione di difficoltà attraversa la provincia di Caserta, interessata come il Sannio dalla vertenza dei lavoratori della Cablelettra di Limatola -:
se non ritenga il Ministro interrogato di convocare urgentemente un nuovo tavolo tra le istituzioni interessate, l'azienda e le parti sociali al fine di scongiurare questo vero e proprio licenziamento di massa e trovare una soluzione immediata e positiva alla vertenza oggetto della presente interrogazione, vista anche la forte preoccupazione che la presentazione del piano industriale ha suscitato tra i lavoratori e le famiglie interessate e la crescente mobilitazione sociale e istituzionale, considerando inoltre l'onere che ha rappresentato per la comunità supportare anche con le casse integrazione guadagni ordinarie e le casse integrazioni guadagni straordinarie i frequenti passaggi di cantiere per giungere ad un recupero delle commesse che oggi verrebbero assunte dal nuovo acquirente ma senza i lavoratori.
(5-04373)
VICO, LULLI e FRONER. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il 15 giugno 2009, improvvisamente Eutelia ha annunciato nella sede del Ministero dello sviluppo economico, la cessione del ramo IT ad Agile srl e contemporaneamente la cessione di Agile a Omega spa;
sono ormai oltre 18 mesi che 1.500 lavoratrici e lavoratori di Agile ex Eutelia, tutti informatici provenienti da Olivetti, Bull ed EdisonTel, sono impegnati in una difficile battaglia per conservare il posto di lavoro, la professionalità e le proprie competenze;
gli imprenditori che hanno gestito Eutelia e il gruppo Omega, attualmente sono sottoposti a processo per bancarotta fraudolenta;
nel 2006 Eutelia acquisiva per 1 euro oltre 2.000 lavoratori di Getronics e Bull altamente qualificati nel settore ICT; in realtà era interessata esclusivamente agli oltre 100 milioni di euro che Getronics e Bull portavano in dote;
dopo 18 mesi e dopo aver distratto milioni di euro dai bilanci aziendali, Eutelia dichiarava la crisi e, immediatamente dopo, nel giugno 2009, cedeva ad Agile (Gruppo Omega) 1800 lavoratrici e lavoratori, ma, principalmente, si liberava di tutti i suoi debiti trasferendoli ad Agile che infatti pochi mesi dopo sarebbe stata dichiarata insolvente;
così facendo ad Eutelia restavano tutti gli asset, principalmente 13.000 chilometri di fibra ottica, ed Agile restava una scatola vuota ed indebitata;
nella falsa cessione fra Eutelia e Omega scomparivano anche 55 milioni di euro delle liquidazioni delle lavoratrici e dei lavoratori;
a partire da ottobre 2009 le lavoratrici e i lavoratori hanno utilizzato tutti gli strumenti a loro disposizione, occupazione delle sedi, scioperi, manifestazioni e denunce
alla magistratura per contrastare un esito totalmente negativo della citata vicenda;
nel frattempo la magistratura, riconoscendo la illegalità di quanto avvenuto, ha arrestato e iniziato a condannare i responsabili di questa operazione, proprietari e manager di Eutelia e del gruppo Omega;
attualmente le due aziende, Eutelia ed Agile, sono in amministrazione straordinaria in attesa di essere cedute separatamente;
molti sono i soggetti interessati alla acquisizione di Eutelia, ripulita di tutti i debiti, e dei suoi 13.000 chilometri di fibra ottica, ma nessuno è interessato ad acquisire Agile con poche commesse e tanti professionisti -:
quali misure intenda assumere per affrontate la citata situazione di crisi, in particolare per consentire ai lavoratori e alle lavoratrici di Agile di rientrare in Eutelia;
se intenda convocare con urgenza un tavolo di confronto con i commissari e i sindacati di categoria, per esaminare le prospettive di rientro dei lavoratori di Agile in Eutelia, coinvolgendo tutte le parti interessate necessarie all'avvio del processo di risanamento.
(5-04374)
TULLO, ANDREA ORLANDO, ZUNINO e ROSSA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
durante la seduta del 16 febbraio 2011 rispondendo all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea (3-1463) il Ministro interrogato rappresentato una possibile e sostanziale diversificazione e riduzione delle attività produttive del Cantiere Fincantieri di Riva Trigoso;
alla notizia delle affermazioni del Ministro la reazione dei lavoratori del cantiere di Riva Trigoso è stata quella di manifestare legittime preoccupazioni per il futuro del cantiere, a cui si sono associate tutte le istituzioni locali;
tali affermazioni sono tra l'altro in contraddizione con la risoluzione approvata all'unanimità dalla Commissione attività produttive della Camera dei deputati in data 25 gennaio 2011, e con altri documenti e intese sottoscritte dal Ministero, Fincantieri e le parti sociali;
il 21 febbraio 2011 al termine di una manifestazione per le strade di Genova una delegazione dei lavoratori ha partecipato ad un'incontro in prefettura nella quale i parlamentari presenti hanno manifestato solidarietà ai lavoratori e chiesto al prefetto dottor Musolino di promuovere un'incontro con il Ministro; tale richiesta è stata trasmessa immediatamente;
il 4 marzo 2011 durante un'incontro promosso dal comune di Sestri Levante a cui hanno partecipato centinaia di lavoratori, i parlamentari presenti (di maggioranza e di opposizione) hanno sottoscritto un documento per il sostegno, la difesa e il rilancio del cantiere Fincantieri di Riva Trigoso, unica grande fabbrica tra Genova e La Spezia, che genera anche centinaia di posti di lavoro nell'indotto di tutto il territorio del Tigullio Genovese; Riva Trigoso è la realtà Fincantieri con migliore produttività, stando anche a quanto i vertici dell'azienda hanno affermato durante l'audizione in Commissione;
a tutt'oggi non risulta fissato l'incontro richiesto il 21 febbraio e il 4 marzo 2011, mentre continuano sulla stampa notizie di presunti piani industriali di ridimensionamento delle attività produttive, prontamente smentiti dall'azienda e dal Governo, lasciando così i lavoratori e le loro famiglie in uno stato di grande incertezza -:
se s'intenda al più presto promuovere l'incontro atteso dai lavoratori di Riva Trigoso e dalla comunità locale;
se non si ritenga utile la convocazione del tavolo nazionale della cantieristica,
per avviare un confronto vero sul rilancio del settore e in particolare per Fincantieri;
se esista quali siano i contenuti del piano industriale per il futuro di Fincantieri che, è bene ricordarlo, resta una società pubblica.
(5-04376)
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nel 2010 il fotovoltaico è costato a ogni famiglia un po' meno di un caffè al mese, 60 centesimi. A fronte di questo investimento c'è un settore che conta mille aziende e 15 mila occupati. E che, a differenza di altre fonti energetiche, decentra la ricchezza prodotta distribuendola in 160 mila utenze: il 34 per cento degli impianti ha infatti meno di 20 chilowatt, il 38 per cento è di media taglia (tra 20 e 600 chilowatt) e solo il 28 per cento è di tipo industriale (sopra i 600 chilowatt). Sono questi i numeri chiave di un rapporto curato da Asso Energie Future e Grid Parità Project, «Verità solare». «Il fotovoltaico è un grande assett economico e sociale per il Paese. Sarebbe grave se l'Italia perdesse questa opportunità per ritardi culturali o per interessi di parte», spiega Massimo Sapienza, presidente di Asso Energie Future. «Purtroppo un carosello di numeri non sempre attendibili sta seminando confusione e incertezza. Eppure non è difficile misurare la convenienza di questa scelta. Basta pensare alla sua distribuzione omogenea, che vede al Nord il 38 per cento degli impianti, alla prospettiva di 210 mila nuovi occupati e ai benefici derivanti dalla crescita economica e dalle entrate fiscali connesse». In realtà, una certa confusione nasce dalle premesse. Mentre la Germania ha fissato per il 2020 un target ambizioso pari a 52 mila megawatt di fotovoltaico, l'Italia si è proposta di arrivare solo a 8 mila. E ora i numeri forniti dal Gse, come previsione della potenza fotovoltaica installata a metà anno, indicano che l'obiettivo è quasi raggiunto: 7 mila megawatt;
le stime del Gse sugli impianti che dovrebbero entrare in funzione entro giugno, ancorandosi agli incentivi 2010, vengono considerate troppo alte: secondo le previsioni di Morgan Stanley, di Credit Suisse, di Jefferies e di Assoslare una parte degli impianti che hanno chiesto di allacciarsi alla rete non riuscirà effettivamente a completare l'iter e ci si fermerà a 4.700 megawatt. Una tappa importante ma ancora lontana sia dall'obiettivo che, a maggior ragione, dal livello dei paesi leader. Anche sui costi della crescita ulteriore è polemica. Accusa Rossella Murone, direttore di Legambiente: «Lo slogan la terra ai contadini, se viene utilizzato per creare una frattura tra le rinnovabili e l'agricoltura, lascia francamente perplessi. Non siamo in Messico, il problema non sono i latifondisti che bloccano l'accesso alla terra ma gli agricoltori che se ne vanno perché non riescono a campare con quello che vendono: l'integrazione con le rinnovabili li aiuterebbe e sarebbe una delle strade percorribili proprio per mantenere vive le campagne». Al momento, secondo i dati del rapporto «Verità solare», tutto il fotovoltaico installato occupa 4.800 ettari (di cui la metà è sui tetti): si tratta di una superficie pari allo 0,04 per cento del terreno agricolo e a una piccolissima percentuale del milione di ettari di terreni marginali che, secondo Confagricoltura, potrebbero essere utilizzati per scopi energetici. «In Italia i costi gravosi dell'elettricità non sono dovuti alle rinnovabili che pesano per 2,7 miliardi, solo la metà degli oneri di sistema», commenta il senatore PD Francesco Ferrante. «Potremmo risparmiare una cifra superiore, 3 miliardi, liberando la bolletta dagli oneri impropri come i 285 milioni per la gestione dello smantellamento del nucleare e i 1.200 milioni per le assimilate»;
a conclusioni simili arriva anche un altro rapporto, curato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Al 2020 il
sistema di incentivazione del conto energia produrrà un aumento medio della bolletta elettrica di circa 20 euro l'anno per famiglia, 1,7 euro al mese. Lo studio quantifica anche, in termini strettamente economici, i vantaggi prodotti dal conseguimento del target 2020 per il solo fotovoltaico. La produzione complessiva cumulata tra il 2010 e il 2020 ammonterà a circa 66,5 terawattora (miliardi di chilowattora), pari a 5,3 milioni di tonnellate equivalenti petrolio. Si ricaverà così un risparmio pari a circa 2,2 miliardi nell'import di petrolio e verrà evitata l'emissione di 25 milioni di tonnellate di anidride carbonica che, assumendo un valore medio nel periodo pari a 25 euro la tonnellata, portano a un ulteriore risparmio economico di oltre 620 milioni. Inoltre, l'Iva sul valore degli impianti corrisponde a circa 1,5 miliardi di entrate per il fisco. Complessivamente, a livello Paese, si avranno vantaggi economici per circa 5,6 miliardi senza contare le imposte dirette per l'occupazione creata. «Abbiamo anche misurato», aggiunge Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, «gli impatti derivanti dall'incremento delle fonti rinnovabili al 2020 previsto dal Piano nazionale presentato al governo. Il costo stimato degli incentivi al 2020 è pari a 5 miliardi di euro ai prezzi attuali, ma è prevedibile un taglio di almeno il 20 per cento per il solare grazie ai progressi tecnologici che faranno scendere i costi. E, grazie alle minori emissioni di anidride carbonica e di importazioni di petrolio si avrà un risparmio che oscillerà attorno ai 2 miliardi di euro» -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di incentivare lo sviluppo di energia fotovoltaica nonché dei sistemi tecnologici ad essa connessi, all'interno del nostro Paese.
(4-11220)
JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'aumento incondizionato del costo della seta, come materia prima, è la conseguenza primaria della riconversione operata dai contadini in Cina, dove i campi di gelso sono stati riconvertiti con cereali o piantagioni da frutta. Ma questo è soltanto uno dei motivi relativi alla nuova ondata di crisi che si sta per abbattere sul distretto della seta di Como, fino al 2007 una delle eccellenze nel sistema dei distretti delle Pmi italiane, nonché punta di diamante per l'export del made in Italy. Il rincaro della seta ha fatto raddoppiare i prezzi nel 2010, così come è accaduto a materia prime quali cotone, lana, cashmere e, di riflesso, anche le fibre artificiali, raggiungendo quotazioni che non si registravano dalla metà degli anni '90. Un fenomeno che, in questo caso, ha nella speculazione finanziaria una spiegazione molto parziale. In realtà, la Cina - dove si concentra il 90 per cento della produzione - ha iniziato con l'anno scorso a limitare le esportazioni per favorire le industrie locali, facendo divenire una costante l'incremento dei prezzi;
tutto ciò ha fatto deflagrare la situazione nel distretto della seta e per il suo «tessuto» di quasi mille imprese, per lo più piccole (per l'80 per cento sotto i 50 dipendenti), che danno lavoro a oltre 15 mila persone. Numeri che ora sono destinati a diminuire ulteriormente dopo le ristrutturazioni e il pesante ricorso alla cassa integrazione del biennio 2008-2009. Al calo dei consumi interni, si è aggiunta la concorrenza dei prodotti cinesi e indiani che hanno conquistato sempre più quote di mercato nella fascia di prodotti di più bassa qualità. Lo spiegano bene i dati dell'Osservatorio Centro tessile serico-Prometeia. L'ultimo anno che ha registrato un incremento, seppur minimo, è stato il 2007, quando già i fatturati erano cresciuti solo dell'1,7 per cento. Il 2009 è stato l'annus horribilis, con il 90 per cento delle aziende che ha denunciato un calo dei ricavi e almeno una su quattro è scesa sotto il 35 per cento, mentre il 60 per cento degli operatori ha visto diminuire in modo anche consistente la redditività. Per il 2010, di cui l'Osservatorio ha per ora
solo dati tendenziali, si registra un ulteriore rallentamento nelle vendite di tessuti e cravatte, in crescita invece gli accessori, con un ritorno alla redditività, ma con cifre modeste e insufficiente a recuperare i cali precedenti;
se nel biennio 2008-2009, tra riduzione di personale e cassa integrazione, si è registrato un tasso di diminuzione degli addetti attorno al 30 per cento (in linea con la media del tessile in Italia, ben al di sopra del manifatturiero nel suo complesso), gli addetti ai lavori non nascondono di dover intervenire pesantemente sul livello occupazionale, perché, nonostante la pesante recessione, le aziende della seta non hanno trovato il coraggio per quel salto culturale e, soprattutto, dimensionale che avrebbe dato loro massa critica sufficiente per stare sui mercati internazionali. Un imprenditore. Massimo Brunelli, ha tentato di intraprendere questa alternativa. Brunelli è amministratore delegato di Mantero, terzo gruppo per fatturato della seta comasca, che è stato vicino a fondersi con uno dei principali concorrenti, anche se il tentativo è fallito. «E ora la strada è obbligata in due direzioni: una nuova ristrutturazione aziendale dopo quella del 2007 (che aveva già portato i dipendenti della Mantero da 780 a 480) e aprire nuove vie per crescere all'estero. Il momento difficile - spiega Brunelli - impone un ridimensionamento inevitabile dei costi. Cercheremo di farlo con la collaborazione del sindacato come è sempre avvenuto in questo territorio. Allo stesso tempo, continueremo la ricerca di un partner in Cina o in India. Non per delocalizzare la produzione, che per un lavoro di qualità come il nostro non avrebbe senso, ma per una joint venture commerciale, in modo da avere catene di negozi in cui vendere i nostri prodotti in quei Paesi dove la nuova classe media ha voglia di spendere»;
il crollo dell'industria della seta, si riflette, nel declino del comasco. Secondo un recente studio dell'associazione delle camere di commercio italiane e dell'istituto Tagliacarne, negli ultimi 15 anni la provincia di Como ha perso ben 20 posizioni nella classifica della ricchezza basata sul reddito pro-capite: rispetto a Milano che, ha mantenuto la sua posizione di primato con 36.530 euro per abitante, i comaschi ne guadagnano almeno 10 mila in meno, avvicinandosi con 26.072 euro pro capite alla media nazionale (i vicini e confinanti del Canton Ticino per dire, arrivano a quota 32 mila euro). Per riguadagnare posizioni, però, sarà fondamentale investire sulla riqualificazione delle risorse umane e sui giovani. L'allarme è stato lanciato poche settimane fa, da Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia, alle sfilate di Pitti Uomo a Firenze: «La Cina è la fabbrica e il supermercato del mondo e sta diventando un importante mercato di sbocco per le aziende italiane dell'abbigliamento. Ma presto anche i cinesi formeranno stilisti e creativi di ogni genere. Ma noi italiani nell'ideazione del bello rimaniamo imbattibili, grazie alla nostra tradizione centenaria. Su questo dobbiamo investire». Dal suo ufficio alla Montero, Brunelli entra più nei dettagli: «Negli ultimi 20 anni il settore della seta non ha investito sulla qualità delle persone, dove ci sono professionalità datate, livelli di scolarità molto bassi e ci sono pochi manager provenienti da esperienze diverse dal tessile. Purtroppo, l'industria comasca non ha saputo capire per tempo quanto stava avvenendo e non si è adeguata. Ed è per questo - prosegue Brunelli - che un sostegno importante da parte del Governo dovrebbe arrivare sotto forma di benefici fiscali per l'assunzione di giovani. Possibilmente laureati» -:
quali interventi i Ministri intendano adottare, al fine di rilanciare l'economia ed il settore industriale attinente alla lavorazione della seta nel circuito imprenditoriale comasco.
(4-11223)
JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in questo periodo il mercato automobilistico è molto attento alla sfida che
si sta giocando fra multinazionali e piccoli brand riguardo l'auto elettrica, ancora oggi considerato un settore di nicchia della green economy. Quella in atto è una sfida globale che si misura a colpi di know-how: a spuntarla sono quasi sempre i colossi dell'auto che possono contare su investimenti enormi per finanziare i progetti di nuovi modelli green che arriveranno sul mercato. Ma i piccoli e medi produttori non stanno a guardare: d'altronde la storia delle auto elettriche è stata scritta prevalentemente da loro, che spesso lavorano nell'ombra anche per i grandi costruttori. Le Pmi italiane, in questa partita, iniziano ad avere un ruolo da protagoniste: sono molte, infatti, le aziende tricolori che progettano costruiscono e commercializzano veicoli per la mobilità sostenibile, elettrici e ibridi. Ma non solo: le eccellenze nazionali si contraddistinguono anche per il know-how acquisito nella componentistica e nell'elettronica che «controlla» le batterie e il motore. Stiamo parlando di una filiera che coinvolge università, centri di ricerca, enti locali. Una filiera che oggi guarda quasi esclusivamente al mercato europeo, soprattutto verso Parigi, Madrid, Londra e Berlino. Ma non disdegna anche altri mercati internazionali come Usa ed Israele;
l'Italia, ad oggi, resta invece un mercato ancora poco ricettivo. Troppe sono le criticità che ostacolano il decollo dell'auto elettrica: dalla carenza di infrastrutture a quella dei distributori di ricarica, fino ai finanziamenti relativi alla ricerca. Sulla carta, ad accelerare gli ordini potrebbe essere il «Piano strategico nazionale per la mobilità elettrica», che punta proprio alla diffusione dei veicoli a impatto zero e delle infrastrutture necessarie. Probabilmente, un'ancora di salvataggio per le Pmi italiane potrebbe essere lanciata dall'Unione europea, che sta progettando un sistema unificato per caricare le vetture elettriche: è un'iniziativa per facilitare la standardizzazione del mercato nei 27 paesi comunitari. In attesa che l'Europa definisca il suo ambizioso progetto, i piccoli e medi produttori italiani continuano a scalare posizioni a livello mondiale in termini di know-how, progettazione e commercializzazione dei veicoli elettrici. Una meta importante, per loro, è rappresentata dal mercato americano dove l'industria delle auto elettriche è diventata una vera e propria calamita di capitali, come dimostra il caso della californiana Tesla Motors, specializzata nella progettazione e fabbricazione di automobili sportive elettriche: una start-up quotidiana in Borsa che ha raccolto 226 milioni di dollari nel giorno del debutto sul listino;
in Italia, gran parte della produzione di vetture elettriche a quattro ruote è concentrata nel distretto emiliano della meccatronica. Qui ha sede la Micro-Vett, un'azienda che ha una capacità produttiva di 800 veicoli elettrici l'anno e un giro di affari nel 2010 di 17 milioni di euro (due anni fa era di 15), di cui l'80 per cento realizzato all'estero e il 20 per cento in Italia. «Cinque anni fa le quote erano invertite - afferma Gaetano Di Gioia, fondatore e presidente dell'azienda - poi, visto che nel nostro Paese siamo in una situazione disastrosa, ed è un eufemismo, ora puntiamo tutto sull'estero: Francia, Germania, Norvegia, Danimarca e Olanda dove vediamo i nostri sette modelli attualmente in commercio»;
il team di Micro-Vett ha ottenuto l'omologazione di una gamma di veicoli per il trasporto privato, pubblico e commerciale, a partire soprattutto da Fiat e Renault. E può contare su un indotto di imprese impegnate nella fornitura di componenti come la reggina Zapi che produce circa 500 mila tra inverter e controller. Ma nella tradizione locale di artigianato e tecnologia trovano spazio altre esperienze, come quella di Enerblu Srl di Modena, che dal 2009 al 2010 ha visto aumentare il suo giro di affari da 1,8 a 3,5 milioni di euro, e per quest'anno ha previsto di superare quota 6 milioni, «Non ci sentiamo in concorrenza con i grandi produttori, spiega il direttore commerciale Stefano Margarina. Mentre le case automobilistiche stanno parlando di piccole vetture per i privati, noi da sempre ci dedichiamo ai veicoli commerciali per il trasporto di
merci e persone all'interno delle città. I nostri clienti sono le Pa, i trasportatori, le aziende con grandi flotte e gli artigiani. Abbiamo anche due licenziatari esteri: uno a Glasgow per il Regno Unito e uno in Turchia. Siamo in fase avanzata per altri licenziatari a livello europeo». Un'altra eccellenza, targata Emilia, è la Tazzari di Imola che nel 2009 ha fatturato 50 milioni: «Per il momento, abbiamo in commercio la minicar Zero e a breve uscirà in commercio la Zero Special Editino - dichiara Luca Bonarelli, direttore marketing e vendite - La nostra produzione è di 900 vetture l'anno, che vendiamo al 95 per cento all'estero per in Italia il mercato non è ancora decollato. Pensiamo nei prossimi due anni di gare in commercio 1.200-1.500 modelli. Inoltre, per maggio-giugno riceveremo l'autorizzazione M1 con deroga del Ministero: questo significa che possiamo produrre 1.000 vetture l'anno che possono andare in autostrada» -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di favorire la creazione dei distretti di ricerca riguardanti i sistemi ibridi relativi alle automobili-elettriche, in particolare promuovendo distretti di eccellenza anche in Italia.
(4-11226)
EVANGELISTI, CIMADORO, PIFFARI, PALADINI e ANIELLO FORMISANO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in un incontro urgente convocato l'8 marzo 2011 presso l'assessorato regionale alle attività produttive della regione Toscana, i nuovi soci della Easy Green - ex Isi (Italia solare industrie) di Scandicci, di fronte all'annunciato decreto del Governo sulle energie rinnovabili, hanno espresso l'intenzione di riconsiderare il piano industriale per il passaggio del ramo d'azienda alla nuova realtà imprenditoriale;
nel corso dell'incontro, i rappresentanti di Easy Green hanno sottolineato che le gravi novità nel quadro normativo nazionale per gli incentivi alle energie rinnovabili e in particolare al fotovoltaico, determinano condizioni tali da non rendere possibile la prosecuzione del progetto industriale, così come a suo tempo ipotizzato. In particolare è stato evidenziato che sono state sospese tre commesse che la nuova società aveva ottenuto;
una decisione che rischierebbe di far fallire, tra gli altri, anche il progetto di riconversione industriale della Easy Green ex Electrolux, portato faticosamente avanti in questi anni dai lavoratori, dai sindacati e dalle istituzioni locali e regionali, e giunto finalmente, dopo varie peripezie societarie, al momento della ripartenza, con un piano di investimenti stimato intorno ai 40 milioni di euro in tre anni per la creazione di un «polo virtuoso» per le energie rinnovabili, con l'obiettivo di riassorbire tutti gli operai in cassa integrazione nell'arco di due anni;
fortissima preoccupazione e incomprensione per il blocco del processo di passaggio tra Isi Easy Green sono state espresse dalle organizzazioni sindacali che hanno richiamato le istituzioni a svolgere fino in fondo un ruolo di garanzia per la ricollocazione dei lavoratori e delle lavoratrici dell'Isi sottolineando la forte tensione sociale e i pesanti disagi che i lavoratori da tempo in cassa integrazione stanno vivendo;
su un piano più generale, l'approvazione del decreto governativo nella versione attuale comporterebbe la perdita di circa 120 mila posti di lavoro in tutta Italia;
la regione Toscana ha inviato una lettera con la richiesta di un incontro urgente al Governo per una verifica degli impegni a suo tempo assunti al tavolo congiunto con il Ministero dello sviluppo economico e del lavoro, e per avere informazioni precise e certezze sulle posizioni nazionali sugli incentivi alle energie -:
se il Governo non intenda convocare un tavolo nazionale visto che la vertenza Easy Green
si è aperta con un tavolo ministeriale e che i problemi fondamentali derivano dalle decisioni governative sugli incentivi alle rinnovabili e, in particolare, al fotovoltaico che stanno creando problemi a questo settore in tutto il Paese;
quali iniziative intenda assumere il Governo per garantire l'utilizzo degli ammortizzatori sociali;
se non intenda il Governo riconsiderare la nuova disciplina che bloccherebbe i finanziamenti per le imprese che investono nelle energie rinnovabili, in particolare nel fotovoltaico.
(4-11227)
CAVALLOTTO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in seguito al passaggio dalla televisione di tipo analogico al metodo digitale terrestre, soprattutto con la digitalizzazione del Piemonte orientale, molti cittadini piemontesi lamentano numerosi problemi riferiti alla ricezione del segnale Rai, perché lo spegnimento totale del segnale precedentemente trasmesso dalle tv nazionali e locali sembra essere entrato in funzione senza che per gli utenti fossero garantite condizioni di accesso alle reti almeno pari se non superiori, alla situazione garantita con il sistema analogico;
i cittadini non sono a conoscenza delle cause che generano tale problema: forse imputabili alla mancanza di ripetitori, forse alla mancanza di manutenzione della rete di ripetitori esistenti o di frequenze, ma convengono che non siano state attivate azioni mirate al fine di garantire una reale situazione di accesso al nuovo sistema che doveva offrire, nelle dichiarazioni iniziali, maggiori servizi, portando ad un miglioramento della situazione preesistente;
la Rai, in qualità di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, così come previsto dall'articolo 45 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, dovrebbe svolgere un servizio pubblico sul territorio italiano, sulla base di un contratto nazionale stipulato con il Ministero dello sviluppo economico, assicurando a tutti i cittadini la possibilità di usufruire di tale servizio;
il perdurare dei disservizi emersi in una prima fase, ma che ancora non sono stati rimossi, mina la credibilità e la trasparenza del sistema radiotelevisivo pubblico, portando i cittadini piemontesi a metterne in dubbio l'affidabilità;
i cittadini di vaste aree territoriali piemontesi non sono stati messi nelle condizioni di poter accedere al segnale Rai e pertanto è stato loro negato l'accesso al servizio pubblico radiotelevisivo, eppure sono chiamati puntualmente a pagare il canone alla concessionaria -:
quali azioni il Ministro intenda intraprendere per far sì che il diritto di accesso alle reti del servizio pubblico radiotelevisivo sia garantito, attraverso la trasmissione in tecnica digitale terrestre, a tutti i cittadini italiani con copertura integrale sul territorio, così come previsto dall'articolo 45 del decreto legislativo n. 177 del 2005;
se non ritenga doveroso, a causa dei disagi subiti dai cittadini della regione Piemonte, valutare la possibilità di assumere iniziative volte a consentire la sospensione del pagamento del canone Rai fintanto che non sia ripristinato il servizio di trasmissione, o altresì a prevedere un rimborso per tutti gli abbonati Rai che stanno regolarmente pagando per un servizio di cui non usufruiscono.
(4-11230)
LAMORTE. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in questi giorni si sta assistendo allo sgretolamento dello Stato libico, dopo molti anni di dittatura del colonnello Gheddafi, sulla scia della rivoluzione egiziana che sta incendiando tutto il Maghreb;
l'interscambio commerciale tra i due Paesi ha garantito fino ad ora all'Italia la fornitura di gas naturale pari al 12 per cento del fabbisogno nazionale con circa 9 miliardi di metri cubi all'anno attraverso il gasdotto Greenstream, inaugurato nel 2004 e lungo 520 Km il quale fa parte del Western Libyan Gas Project, progetto che fa capo all'Eni con 3,7 miliardi di euro su un totale di 7 miliardi di euro d'investimento, che lo pone attualmente come l'opera più importante in corso nel bacino del Mediterraneo;
se all'importazione di gas si aggiunge quella del petrolio si arriva al 23 per cento delle importazioni totali dei combustibili fossili; di conseguenza ciò che sta succedendo in questo momento è molto importante per il nostro Paese e riapre le criticità sulla certezza dell'approvvigionamento energetico;
sull'approvvigionamento energetico pesano ancora molte incognite, visto che, tranne l'Olanda, da cui il 19 per cento del gas, i restanti Paesi, come l'Algeria da cui si preleva il 33 per cento, sono a rischio stabilità politica, quindi indirettamente minacciano la nostra indipendenza energetica, rendendo instabili i mercati e di conseguenza i prezzi con pesanti ripercussioni a catena sull'economia italiana;
ad avviso dell'interrogante non rassicurano affatto le affermazioni del Governo né la linea strategico-economica adottata dall'amministratore delegato dell'ENI sul futuro energetico del Paese, là dove si prevede che, per sopperire alla mancata fornitura di idrocarburi dalla Libia, venga aumentata la fornitura di gas dalla Russia con Gazprom attraverso la costruzione della South Stream, attualmente il 30 per cento della torta, oppure con il gasdotto GALSI che dall'Algeria arriva fino in Sardegna e di qui in Europa, come anche la costruzione della PAN-EUROPEAN OIL PIPELINE (PEOP), un oleodotto lungo 1.400 chilometri dal costo di 3,5 miliardi dollari, che collegherà il porto di Costanza, in Romania, alla città di Trieste;
in Italia l'energia elettrica all'ingrosso costa in media il 37 per cento in più rispetto ai principali Paesi europei; ciò è dovuto in larga misura al penalizzante mix di combustibili e, in particolare, alla totale assenza d'impianti nucleari, che in Europa contribuiscono mediamente al 33 per cento della produzione elettrica;
ci sono almeno cinque fattori che contribuiscono all'alto costo dell'energia elettrica italiana: la scarsa concorrenzialità nel mercato del gas per via di quella che all'interrogante appare la posizione dominante dell'ENI che fa aumentare i prezzi del gas naturale utilizzato per produrre energia, mediamente il 10 per cento in più, il «sistema del prezzo marginale» che è il sistema di formazione del prezzo dell'elettricità nella borsa elettrica, i cosiddetti «oneri generali di sistema», che pesano per un altro 10 per cento, l'inadeguatezza della rete elettrica nazionale sia in alta, che media e bassa tensione risalente agli anni '60, con il risultato che nel sud Italia e nelle isole l'energia elettrica arriva a costare euro 180/mgw contro un prezzo medio di euro 80/mgw ed infine le tasse e l'IVA che gravano per un 20 per cento sulla bolletta elettrica (un'impresa che consuma 160 megawattora all'anno paga il 25,4 per cento di imposte sui suoi consumi elettrici contro una media europea di 9,5 per cento);
nel 2008 l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, intervenendo in merito allo stato di avanzamento dei processi di liberalizzazione dei due principali mercati energetici nel nostro Paese, ne ha rilevato il diverso livello di concorrenza risultante da una serie di asimmetrie esistenti sia in termini di peso dell'operatore dominante che di proprietà e gestione delle reti di trasporto e delle attività necessarie allo sviluppo dei mercati;
l'attuazione del decreto legislativo n. 130 del 2010, necessario per rendere il mercato del gas naturale maggiormente concorrenziale e volto all'individuazione di misure che garantiscono l'effettivo trasferimento dei benefici della maggiore concorrenzialità anche agli stessi clienti finali industriali, è giudicato ancora insufficiente
dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas e da quella Antitrust -:
se il Ministro non intenda attivare una più idonea politica economica realizzando un mix maggiormente equilibrato tra le fonti energetiche tale da favorire una reale indipendenza e sicurezza del nostro Paese in campo energetico, incentivando, da un lato, lo sviluppo di quelle rinnovabili, arrivando al 17 per cento dei consumi finali di energia, pari ad una riduzione delle emissioni di CO2 di 104 milioni di tonnellate entro il 2020 secondo gli accordi presi con l'Unione europea e, dall'altro, attivando procedure e tempistiche certe e prioritarie per il nucleare, promuovendo la creazione dell'Agenzia per il nucleare e fornendo i mezzi necessari per renderla rapidamente operativa, così dando attuazione al programma nucleare previsto dalla legge n. 99 del 2009;
se il Ministro non intenda creare, nel più breve tempo possibile, nuove infrastrutture energetiche di interesse nazionale generale per il funzionamento dei mercati, quali reti nazionali e regionali e infrastrutture di rigassificazione e stoccaggio in numero tale da rappresentare una risorsa per il Paese anche sotto il profilo occupazionale ed infine procedere al rinnovo e potenziamento dell'intera rete elettrica, riconducibili alla competenza esclusiva dello Stato in quanto servizi essenziali di interesse nazionale per la concorrenza nei mercati liberalizzati;
se il Ministro interrogato non ritenga necessario per liberalizzare maggiormente il mercato del gas dare corso in maniera più celere all'istituzione della «borsa del gas», secondo quanto già stabilito dall'articolo 30 della legge n. 99 del 2009, che consenta il raggiungimento di importanti obiettivi, quali assicurare una maggiore liquidità al mercato, promuovere l'uso efficiente delle risorse e garantire la trasparenza delle dinamiche del prezzo, in maniera analoga a quanto già avviene nei Paesi europei dotati di mercati di scambio più evoluti.
(4-11232)
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Apposizione di una firma ad una risoluzione.
La risoluzione in Commissione Fluvi e altri n. 7-00505, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 febbraio 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Brugger.
Apposizione di firme ad interrogazioni.
L'interrogazione a risposta orale Di Virgilio n. 3-00825, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Pili n. 4-05610, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Jannone n. 4-05620, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Jannone n. 4-05621, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Jannone n. 4-05622, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Jannone n. 4-05623, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Jannone n. 4-05624, pubblicata nell'allegato B
ai resoconti della seduta dell'11 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Jannone n. 4-05626, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Jannone n. 4-05636, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Jannone n. 4-05643, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Jannone n. 4-05645, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Jannone n. 4-05654, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Dima n. 4-05707, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta in Commissione Nastri n. 5-02346, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta in Commissione Contento n. 5-02356, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Cazzola e altri n. 4-05794, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Ascierto n. 4-05795, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.
L'interrogazione a risposta scritta Realacci e altri n. 4-11172, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 marzo 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cenni.
Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.
Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Lo Monte n. 2-00976 del 17 febbraio 2011.
INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTARISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA
BERTOLINI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da notizie di stampa locale dei giorni scorsi si è appresa la notizia che la sala operatoria di ginecologia dell'ospedale di Mirandola, in provincia di Modena, è stata chiusa e sottoposta a disinfestazione, a causa della presenza di mosche ed insetti provenienti da un locale adiacente, invaso da guano di uccelli, che vi avevano nel tempo trovato rifugio;
nei locali comunicanti con la sala operatoria sarebbero state trovate, oltre a grandi quantità di guano, anche carcasse putrefatte di volatili;
nel corso di un primo intervento per liberare dal guano i locali, un operatore dell'ospedale sarebbe stato colpito da malore, a causa degli odori del materiale organico depositato;
l'ospedale di Mirandola è stato già sede di gravi problemi strutturali, che hanno provocato l'allagamento di reparti ed uffici e, di recente, forti disagi ai pazienti diretti o provenienti dal nuovo reparto di endoscopia, a causa del sottodimensionamento del nuovo ascensore -:
se abbia valutato o intenda valutare la sussistenza dei presupposti per l'invio dei nuclei antisofisticazione dei Carabinieri e in caso positivo come intenda tempestivamente operare.
(4-08652)
Risposta. - Per quanto riguarda l'interrogazione in esame, si espongono di seguito le informazioni acquisite dalla prefettura - ufficio territoriale del Governo di Modena attraverso l'azienda unità sanitaria locale di Modena.
L'ospedale di Mirandola è articolato in padiglioni (nominati anche «corpi») tra loro comunicanti.
Attualmente dispone di due comparti operatori e di un terzo comparto che ospita due sale parto e una sala operatoria.
Il primo dei due comparti, situato al piano terra del corpo «08» (padiglione Scarlini), è normalmente utilizzato per le attività chirurgiche delle équipes di ortopedia e di chirurgia; il secondo comparto operatorio è al primo piano dell'ala ovest del corpo «02» (ospedale vecchio) e viene normalmente utilizzato per le attività chirurgiche dell'equipe di ginecologia.
La divisione che ospita le due sale parto e una sala operatoria è al primo piano dell'ospedale vecchio, e la sala operatoria è normalmente utilizzata dai ginecologici per le attività di chirurgia ambulatoriale.
Dall'1 al 28 agosto del 2010, a seguito della programmata riduzione estiva, l'utilizzo di tutte le sale operatorie è stato limitato ai soli interventi urgenti.
Nel merito si precisa che la vicenda oggetto dell'interrogazione si è protratta dal 25 agosto al 10 ottobre del 2010.
Mercoledì 25 agosto 2010 a seguito della segnalazione del coordinatore della presenza di due mosche morte all'interno di una plafoniera del corridoio del comparto operatorio dell'ala ovest del corpo «02», è
stato disposto il trasferimento temporaneo dell'attività chirurgica.
Tale disposizione è terminata il 10 di settembre, con la conclusione di tutti gli interventi di pulizia del comparto operatorio in questione.
Sono stati necessari quindici giorni di tempo per l'intervento (smontaggio e pulizia di tutti i controsoffitti e delle plafoniere) e per la necessità di coinvolgere non solo gli addetti alle pulizie, ma anche gli elettricisti (smontaggio e rimontaggio delle plafoniere).
Concentrare le attività in un solo comparto operatorio non ha creato, in quel periodo, nessun disservizio data la riduzione estiva delle attività chirurgiche.
Nello stesso periodo e nello stesso edificio, ma al secondo piano, veniva segnalata la presenza di piccioni.
Durante il sopralluogo, eseguito immediatamente, emergeva che nel sottotetto, non abitabile dell'ala ovest, la stessa dove è situato il comparto operatorio delle ginecologia, ma ovviamente separato da questo da un solaio, erano entrati dei piccioni da un'apertura del tetto priva, contrariamente a tutti gli altri abbaini, di grata di metallo.
Anche a seguito di tale segnalazione sono stati avviati tutti gli interventi necessari a ripristinare la situazione precedente e cioè: cattura dei volatili, pulizia del pavimento e delle travi, montaggio della grata sull'apertura che ne era sprovvista.
Come descritto in premessa, l'ospedale di Mirandola è articolato in padiglioni, tra loro comunicanti, che presentano tetti di differente tipologia (alcuni a terrazza), risalenti in parte all'inizio del secolo scorso, in parte agli anni '80.
La tipologia del manto che costituisce la gran parte delle coperture dei fabbricati facenti parte del plesso ospedaliero di Mirandola è formata da guaina ardesiata saldata a caldo.
L'ultimo episodio segnalato, legato ad infiltrazioni di acqua piovana verificatesi dopo le intense precipitazioni tra il 4 e il 5 ottobre ha interessato l'ambulatorio di Cardiologia posto al piano rialzato del corpo «08» ed è stato causato dallo scollamento di un telo di guaina ardesiata formante il manto di copertura.
L'attività ambulatoriale di cardiologia, che viene svolta nel locale citato, non ha subito rallentamenti o interruzioni poiché l'unità operativa dispone di altri 4 ambulatori, in cui è stata prontamente trasferita l'attività in attesa degli interventi necessari.
Quanto avvenuto, secondo l'azienda sanitaria locale ricade nelle eventualità contingenti che si verificano nel tempo su qualsiasi manto di copertura, sia esso in guaina o in tegole, alluminio, ed altro determinate genericamente dall'influenza dei fattori meteorologici delle abbondanti nevicate, dagli eventi calamitosi generati da grandinate e non direttamente da problematiche legate in modo esclusivo alla struttura, alla sua vetustà o alla tipologia delle coperture.
Gli interventi di manutenzione eseguibili sono quelli volta per volta ritenuti opportuni a seconda della gravità dell'avaria riscontrata.
Quanto accaduto quindi, è da ritenersi secondo l'azienda sanitaria locale un evento fisiologico nella vita di una grande struttura non nuova, composta da fabbricati di varia tipologia ed epoca, considerando anche la notevole estensione della superficie delle coperture.
Nella circostanza, il rifacimento della copertura del corpo ospitante ha riguardato l'intero manto di copertura e sono state utilizzate le tecniche e i materiali più aggiornati disponibili, per migliorare le caratteristiche di resistenza e curabilità.
La scelta di intervenire con metodica adeguata alla consistenza del danno o del problema sottintende che sono stati anche valutati i fattori generati dalle problematiche legate alle singole infiltrazioni».
Per fronteggiare la stagione invernale, la stessa azienda ha precisato che «sono stati attivati interventi preventivi, previsti dall'attuale appalto di manutenzione, consistenti nella verifica strutturale e dello stato dei corpi di fabbrica è nel controllo complessivo delle coperture; sono stati inoltre organizzati e disposti interventi di pulizia preventiva di gronde, pluviali e terrazzi.
Per quanto riguarda il sottodimensionamento del nuovo ascensore l'ente ha fatto
presente che lo stesso è stato progettato con l'obiettivo di collegare tra loro i seguenti reparti:
il piano seminterrato (sede di endoscopia bronchiale e digestiva, day hospital, oncologico, laboratorio di fitopatologia, associazione volontari italiani sangue, plasmaferesi ed attività ambulatoriale di neurologia, oculistica ed odontoiatria);
il piano rialzato (portineria);
il primo piano (sede di ufficio programmi di attività, ufficio cartelle cliniche e libera professione, ufficio struttura amministrativa unificata di base, laboratorio di patologia clinica, ufficio associazione volontari italiani sangue, ufficio consegna ausili sanitari, ufficio medico istituto nazionale della previdenza sociale, bar.
Il secondo piano (corridoio di collegamento con le aree di degenza sia chirurgica che internistica).
La struttura è compresa tra gli edifici che sono oggetto di investimenti per ristrutturazione finanziati dall'ex articolo 20» della legge 11 marzo del 1988, n. 67 - legge finanziaria 1988 (tutt'ora in corso) e ospita, principalmente, attività amministrative o ambulatoriali, anche se questo non esclude che pazienti ricoverati possano necessitare di prestazioni fornite da tali ambulatori o che pazienti ambulatoriali richiedano, per motivi clinici, il trasporto in ambulanza.
Poiché le valutazioni tecniche disposte dal responsabile del servizio prevenzione e protezione aziendale hanno portato ad escludere la possibilità di impiegare i letti di degenza per trasportare i pazienti all'interno dell'ascensore e per l'obbligo di far sempre accompagnare il paziente dal personale d'assistenza, si è ritenuto opportuno procedere all'acquisto di 4 barelle autocaricanti, di facile manovrabilità per consentire in maniera agevole il trasferimento di pazienti allettati da o verso i Servizi presenti nel piano seminterrato.
Viene precisato, inoltre, che l'accesso al padiglione dall'esterno può avvenire sia dal piano seminterrato, passando attraverso il day hospital oncologico, sia dal piano rialzato, sede della Portineria».
Pertanto, questo Ministero non ritiene, allo stato, di dover avviare specifiche iniziative al riguardo.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
BORGHESI. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
tutti i marittimi che hanno lavorato a bordo delle navi della Marina mercantile italiana ancora oggi, per un solo e assurdo cavillo giuridico, non possono ottenere i benefìci a loro concessi dalla legge; molti di essi sono deceduti e le loro famiglie non riescono a concludere le procedure per ottenere ciò che la legge riconosce a loro;
si ricorda che le navi, una volta, erano interamente coibentate di amianto, e gli equipaggi quotidianamente erano soggetti a una fortissima esposizione a questo agente cancerogeno;
in pratica: sarebbe sufficiente inserire una voce di legge che specifica semplicemente che i marittimi ai fini del riconoscimento dei benefìci relativi all'esposizione all'amianto possono avvalersi dell'estratto matricola della Marina mercantile rilasciato dalle capitanerie di porto;
il problema è molto semplice: i marittimi sono in possesso di un libretto di navigazione e l'estratto matricola della Marina mercantile viene a loro rilasciato direttamente da un organo militare che è la Capitaneria di porto. In pratica: non si riconosce questo documento rilasciato da un organismo dello Stato e si continua a chiedere un curriculum lavorativo con un formato previsto dalla legge (strutturata senza conoscere l'atipicità della gente di mare) e che la maggior parte delle compagnie di navigazione, per ovvi motivi, non vogliono rilasciare;
in ogni caso esiste un estratto matricola della Marina mercantile che è l'unico documento legale, considerando
che gli uffici di collocamento della gente di mare sono tenuti da organismi militari -:
se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra riportati;
se non ritengano di dover assumere iniziative normative, al fine di riconoscere ai marittimi i benefìci relativi all'esposizione all'amianto, inserendo una voce nell'attuale legge, specificando che gli stessi possono avvalersi dell'estratto matricola della marina mercantile rilasciato dalle capitanerie di porto.
(4-06573)
Risposta. - Con riferimento alla problematica in esame, si espongono gli elementi di valutazione acquisiti presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
In attuazione dell'articolo 47 della legge 24 novembre del 2003, n. 326, infatti, detto Dicastero ha emanato il decreto ministeriale 27 ottobre del 2004, concernente le procedure di accertamento dell'esposizione all'amianto ai fini del riconoscimento dei benefici previdenziali previsti dall'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo del 1992, n. 257.
Per quanto riguarda il settore marittimo, in considerazione della peculiare natura di tale rapporto di lavoro, la direttiva ministeriale del 14 luglio del 2009, al fine di consentire l'avvio del procedimento di accertamento e certificazione dell'INAIL sull'esposizione all'amianto, ha attribuito alla Direzione provinciale del lavoro, in sostituzione del datore di lavoro, il potere di rilasciare il curriculum lavorativo all'interessato, nel caso in cui quest'ultimo sia impossibilitato a reperirlo. In particolare, la direzione provinciale del lavoro, ove non sia in possesso di un'altra documentazione utile ai fini dell'accertamento, provvede al rilascio di detto curriculum tramite validazione dell'estratto matricolare rilasciato dalla Capitaneria di porto, o del libretto di navigazione autenticato dalla medesima.
Alla luce di quanto segnalato, pertanto, la richiesta contenuta nell'interrogazione in esame può ritenersi superata.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
BRANDOLINI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la legge 3 febbraio 1989, n. 39 - Modifiche ed integrazioni alla legge 21 marzo 1958, n. 253, concernente la disciplina della professione di mediatore - all'articolo 2, lettera e), così sostituita dall'articolo 18 della legge 5 marzo 2001, n. 57 prevede la possibilità di iscriversi al ruolo degli agenti di affari in mediazione senza aver superato l'esame diretto ad accertare l'attitudine e la capacità professionale dell'aspirante in relazione al ramo di mediazione prescelto, a coloro che oltre ad «avere conseguito un diploma di scuola secondaria di secondo grado» abbiano «effettuato un periodo di pratica di almeno dodici mesi continuativi con l'obbligo di frequenza di uno specifico corso di formazione professionale»;
tale possibilità non è stata ancora posta in attuazione, di conseguenza, l'iscrizione al ruolo può avvenire solo dopo aver frequentato un corso di formazione organizzato da un ente abilitato per un numero di ore previsto dalla regione di competenza che, pertanto, varia da 80 a 200 ore determinando forti disparità da regione a regione;
essendo inoltre prevista in media una sessione di esame ogni sei mesi (in alcune camere di commercio addirittura una sola sessione all'anno), alla quale ci si può iscrivere solo dopo aver frequentato il corso, qualora non si dovesse passare la prova, occorre attendere altri sei mesi prima di potersi reiscrivere alla successiva sessione di esame;
la suddivisione in tre sezioni della iscrizione al ruolo penalizza in particolare gli agenti che concludono esclusivamente intermediazioni relative a contratti d'affitto in quanto inseriti nella sezione degli agenti immobiliari quindi costretti a frequentare un corso di formazione il cui programma è prevalentemente dedicato alle nozioni indispensabili per poter assistere le parti nella compravendita di immobili; l'estimo, la conservatoria e molti
altri aspetti sono nozioni senz'altro interessanti ma certamente non necessarie per chi deve imparare a valutare il canone di locazione e a consigliare la forma contrattuale maggiormente rispondente alle esigenze dei contraenti un contratto di locazione -:
quali iniziative intenda porre in essere, visto che l'articolo 11 della legge n. 39 del 1989, demanda al Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, l'emanazione di norme regolamentari di attuazione della legge, tenuto conto che il Ministero delle attività produttive in una nota del 12 maggio 2006 ha condiviso la proposta delle regioni di sostituire il regolamento con un accordo tra il Ministero e le regioni per stabilire gli ambiti dei rispettivi ruoli, al fine di:
a) assicurare la piena attuazione dalla legislazione vigente per quanto riguarda la possibilità di acquisire il diritto all'iscrizione nel ruolo degli agenti di affari in mediazione dopo aver svolto un periodo di pratica di almeno dodici mesi consecutivi (stabilendo la modalità di verifica dello svolgimento del periodo di pratica, attraverso un registro che consenta di attestare le presenze del praticante presso l'agenzia immobiliare sede della pratica);
b) garantire la parità di condizioni per l'accesso ai ruoli in tutto il territorio nazionale ed una tempistica delle sessioni di esame che preveda l'organizzazione di almeno un esame ogni 2 mesi e che eviti agli aspiranti agenti di dover attendere sei mesi prima di poter ripetere l'esame qualora in prima battuta non avesse superato la prova, riducendo il tempo di attesa ad un mese, periodo necessario al candidato ad approfondire la propria preparazione;
c) introdurre una nuova distinzione attraverso l'istituzione di una quarta sezione per gli agenti di intermediazione locativa, accessibile attraverso un percorso formativo differente e specifico per questo tipo di agenti, che sia focalizzato sugli aspetti legati alla locazione immobiliare.
(4-07153)
Risposta. - In relazione all'interrogazione in esame si fa riferimento alla risposta già fornita da questa Amministrazione riguardo all'interrogazione a risposta in Commissione n. 5/02944, a firma del medesimo interrogante e di pari argomento, con la quale si chiedono elementi in materia di iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione, a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo 26 marzo del 2010, n. 59.
Con ambedue gli atti l'interrogante auspica che in fase di adozione del decreto del Ministero dello sviluppo economico, previsto dall'articolo 80 del decreto legislativo del 26 marzo 2010, n. 59 e concernente le modalità di iscrizione nel registro delle imprese e nel Rea dei soggetti iscritti negli elenchi e ruoli di cui all'articolo 73 (attività di intermediazione commerciale e di affari) siano assicurati:
la piena attuazione della legislazione vigente (legge 3 febbraio del 1989, n. 39, come modificata dall'articolo 18 della legge 5 marzo 2001, n. 57), e, in particolare, la possibilità di iscriversi al ruolo degli agenti di affari in mediazione senza aver superato l'esame, a coloro che «oltre ad aver conseguito un diploma di scuola secondaria di secondo grado», abbiano «effettuato un periodo di pratica di almeno dodici mesi continuativi con l'obbligo di frequenza di uno specifico corso di formazione professionale»;
la parità di condizioni nell'accesso ai ruoli su tutto il territorio nazionale, assieme ad una tempistica che preveda l'organizzazione degli esami ogni 2 mesi;
l'introduzione di una quarta tipologia, per gli agenti, dedicata in particolare alla intermediazione locativa, in modo da consentire agli stessi operatori che concludono esclusivamente intermediazioni relative a contratti di affitto, di poter seguire un percorso formativo specifico, focalizzato sugli aspetti della locazione immobiliare.
In relazione a quanto evidenziato, il Ministero dello sviluppo economico torna a
sottolineare che il citato decreto legislativo non è intervenuto in alcun modo sul disposto di cui all'articolo 2, comma 3, lettera e) della legge 3 febbraio del 1989, n. 39, come sostituito dall'articolo 18 della legge 6 marzo del 2001, n. 57.
I requisiti vigenti ai fini dell'avvio dell'attività, pertanto, rimangono quelli espressamente elencati nella disposizione in discorso, che, comunque, ha stabilito l'emanazione di un decreto nel quale siano determinate «le modalità e le caratteristiche del titolo di formazione, dell'esame e quelle della tenuta del registro dei praticanti».
La mancata emanazione di detto decreto ha inibito l'utilizzo del percorso formativo correlato al tirocinio e l'applicazione delle modalità previste dalla legge n. 39 del 1989.
Stante quanto evidenziato in sede di emanazione del decreto previsto dall'articolo 80 del decreto legislativo 59 del 2010, si dovrà valutare la necessità di inserire anche le disposizioni in grado di consentire l'attuazione della legge n. 39, articolo 2 comma 3, lettera e).
Per quanto concerne la richiesta di cui al secondo punto, correlata all'opportunità di prevedere sessioni d'esame più frequenti, questo Ministero non può che rilevare che il decreto succitato conterà disposizioni in grado di assicurare parità di condizioni per l'accesso ai ruoli su tutto il territorio nazionale, anche attraverso interventi in materia di tempistica degli esami.
Per quanto attiene, infine, la richiesta relativa all'inserimento ex novo della tipologia degli agenti di intermediazione locativa, si sottolinea che il provvedimento ministeriale previsto dal decreto legislativo 26 marzo del 2010, n. 59, come espressamente sancito dall'articolo 80, ha per oggetto la sola disciplina «delle modalità di iscrizione nel registro delle imprese e del Rea dei soggetti iscritti negli elenchi e nei ruoli di cui agli articoli 73, 74, 75 e 76». Non essendo prevista la tipologia degli agenti di intermediazione locativa nell'articolo 73, si ribadisce che non è possibile, allo stato e con lo strumento normativo rappresentato dal decreto, intervenire nel senso auspicato dall'interrogante.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Stefano Saglia.
CAPARINI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
recentemente si è svolto un concorso interno per titoli ed esami per la copertura di 17 posti di 1° dirigente del Corpo forestale dello Stato, qualifica che compete al ruolo di comandante provinciale;
a tale concorso hanno partecipato dirigenti di riconosciuta e specchiata professionalità;
l'esito del concorso ha visto la seguente distribuzione territoriale dei candidati promossi: 9 Roma, 1 Cittaducale (Ri), 1 Sabaudia (Lt), 1 Potenza, 1 Vibo Valentia, 1 Bari, 1 L'Aquila, 1 Chieti, 1 Parma;
la legge n. 15 del 2009, recante la delega al Governo per la riforma del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e l'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, meglio nota come «riforma Brunetta», prevede, all'articolo 2, comma 1, lettera h), l'«introduzione di strumenti che assicurino una più efficace organizzazione delle procedure concorsuali su base territoriale, conformemente al principio della parità di condizioni per l'accesso ai pubblici uffici, da garantire, mediante specifiche disposizioni del bando, con riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, quando tale requisito sia strumentale all'assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato»;
l'articolo 51 del decreto legislativo n.150 del 2009, attuativo della legge delega, intervenendo a modifica dell'articolo 35 del Testo unico sul pubblico impiego (decreto legislativo n. 165 del 2001), in materia di reclutamento del personale, ha introdotto nel nostro ordinamento il principio
della territorializzazione delle procedure concorsuali, stabilendo che i bandi di concorso possono contemplare la residenza quale titolo preferenziale se tale requisito sia strumentale all'assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato, senza per questo intaccare il principio della parità di condizioni di accesso agli uffici pubblici -:
se nella fattispecie sia stato assicurato il principio della territorializzazione previsto dal nostro ordinamento e quali iniziative intenda adottare al riguardo.
(4-06794)
Risposta. - Con l'interrogazione in esame si chiede di sapere se è stato rispettato il «principio della territorializzazione» di cui all'articolo 51 del decreto legislativo n. 150 del 2009, nel concorso interno per la copertura di 17 posti di Primo dirigente del Corpo forestale dello Stato.
Al riguardo, ritengo opportuno evidenziare che tale principio (inerente le procedure concorsuali), che riguarda espressamente l'accesso ai «pubblici uffici», è garantito quando risulta strumentale all'assolvimento di servizi non attuabili (o almeno non attuabili con identico risultato), cioè quando sia necessario per migliorare il servizio.
Nel caso di specie, l'accesso alla qualifica di Primo dirigente del ruolo dei dirigenti del Corpo forestale dello Stato è disciplinato da «apposita normativa» di settore e, in particolare, dall'articolo 8 del decreto legislativo 155 del 2001, che regolamenta la progressione in carriera del personale già in servizio nell'Amministrazione. Trattasi, pertanto, di una procedura interna che regolamenta l'accesso alla qualifica di Primo dirigente del Corpo forestale dello Stato da parte dei funzionari del ruolo direttivo del Corpo forestale dello Stato, già nei ruoli dell'Amministrazione, non di un accesso ai pubblici uffici.
Per altro il concorso in parola, indetto con D.C.C. 16 giugno del 2008, risulta antecedente all'entrata in vigore del citato decreto legislativo 150 del 2009.
Giova evidenziare infine che, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno del 1972, n. 748, recante la disciplina delle funzioni dirigenziali nelle Amministrazioni dello Stato (anche ad ordinamento autonomo), l'attribuzione delle funzioni dirigenziali è disposta con decreto ministeriale, sentito il Consiglio di amministrazione. Ciò a significare che, solo dopo l'ultimazione della procedura concorsuale de qua, il competente Consiglio di amministrazione del Corpo forestale dello Stato ha potuto individuare, tra le sedi vacanti dislocate sul territorio nazionale, quelle cui assegnare i dirigenti in argomento, tenendo conto della personalità degli stessi, nonché della realtà territoriale presso cui questi avrebbero dovuto operare.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.
CATANOSO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
l'attuale sindaco di Castel di Iudica ha emesso un'ordinanza, la numero 22 del 28 maggio 2010, per la non potabilità dell'acqua erogata dall'acquedotto cittadino;
sulla vicenda si è costituito un comitato cittadino spontaneo, guidato dal segretario generale del sindacato della polizia di Stato «Nuova federazione autonoma» Ruggero Strano, che contesta la decisione del sindaco sia nel merito, vale a dire sulla reale ed effettiva non potabilità dell'acqua, sia sulla valutazione delle conseguenze che i cittadini stanno pagando in termini di disagi e di costi affrontati;
l'ordinanza del Sindaco, secondo quanto risulta all'interrogante, si basa su analisi effettuate dalla Usl competente e non ancora correttamente verificate;
a giudizio dell'interrogante non si può tollerare che ci sia anche il minimo
dubbio che l'acqua del servizio idrico comunale sia inquinata;
solo l'intervento della Protezione civile può garantire la salute pubblica dei cittadini di Castel di Iudica -:
quali iniziative intenda adottare al fine di risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-07665)
Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base degli elementi pervenuti dalla Prefettura - Ufficio territoriale del Governo di Catania, tenuto conto che le disposizioni vigenti per la tematica in esame, attribuiscono le competenze alle autorità sanitarie locali.
Il Sindaco del comune di Castel di Judica, a seguito di controlli effettuati sulla rete idrica comunale da parte del locale Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, alla presenza del responsabile dell'azienda sanitaria provinciale e dell'Ufficio Tecnico Comunale, che accertavano la presenza di alcuni inconvenienti nelle citate strutture acquedottistiche, ha emanato un'ordinanza in data 28 maggio del 2010, con la quale ha attestato la non potabilità dell'acqua.
Conseguentemente, si è costituito un comitato spontaneo cittadino che ha chiesto alla Prefettura e alle istituzioni competenti l'adozione di immediati e opportuni interventi diretti alla soluzione del problema evidenziato, anche al fine di scongiurare inevitabili disagi e nocumenti per i cittadini e per le attività produttive locali.
Al riguardo, la Prefettura dichiara di avere richiesto dettagliate notizie al Sindaco di Castel di Judica e, stante l'analoga situazione emersa anche presso altri territori comunali, nei quali si è riscontrata anche la presenza, nell'acqua immessa nella rete idrica, di una percentuale di vanadio superiore ai limiti previsti dalla vigente normativa, ha convocato una riunione alla presenza dei Sindaci dei Comuni interessati.
Infine, la Prefettura citata comunica che il Sindaco di Castel di Judica ha reso noto che sono stati effettuati i lavori presso le strutture acquedottistiche, al fine di eliminare gli inconvenienti riscontrati.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
COMAROLI, NEGRO, RAINIERI, CAPARINI, FAVA, FUGATTI, VANALLI e SIMONETTI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
si fa riferimento alla proposta di modifica del decreto ministeriale 4 agosto 2005 (Modificazione al disciplinare di produzione dei vini ad indicazione geografica tipica «Emilia» o «dell'Emilia»);
le vicende legate alle diverse proposte di modifica del disciplinare in essere dei vini IGT «Emilia» o «dell'Emilia», ormai confluite in una proposta di disciplinare redatta dalla regione Emilia Romagna, destano viva preoccupazione nelle aziende site nella provincia di Cremona;
infatti l'articolo 3 dell'attuale disciplinare prevede una zona di produzione delle uve coincidente con l'Emilia, cioè con le province di Ferrara, Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e con quella parte della provincia di Bologna situata a sinistra del fiume Sillaro. Per contro, nulla è specificato dall'articolo 5 dell'attuale disciplinare in materia di vinificazione;
a fronte di un'ampia facoltà, quindi, riconosciuta dalla vigente normativa alle aziende vitivinicole situate al di fuori della zona di produzione di vivificare vini IGT «Emilia» o «dell'Emilia», le proposte di modifica del disciplinare elaborate dai diversi consorzi di tutela, poi confluite nella bozza finale, risultano fortemente penalizzanti per le aziende, stabilite fuori dell'Emilia Romagna, che hanno investito negli anni sui vini emiliani ed hanno contribuito a farli conoscere nel mondo, ricevendo anche premi per la qualità;
il nuovo testo dell'articolo 5 della proposta di disciplinare, così come oggi formulato, prevede alcuni assunti suscettibili di incidere in profondità non tanto
(in positivo) sulla qualità finale del prodotto, quanto (in negativo) sui diritti acquisiti dalle aziende che hanno vinificato vini IGT «Emilia» o «dell'Emilia» in zone diverse da quelle indicate dal disciplinare all'articolo 3;
secondo il nuovo testo, infatti la vinificazione delle uve IGT Emilia dovrebbe essere effettuata negli stabilimenti ubicati nel territorio delle province di Ferrara, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e di quella parte della provincia di Bologna situata alla sinistra del fiume Sillaro e, per quanto concerne gli impianti enologici situati in zone diverse, sarebbero ammessi alle procedure di vinificazione soltanto gli stabilimenti cooperativi ubicati in zone limitrofe (peraltro non indicate) che trasformano le uve dei propri soci conferenti conduttori di superfici vitate iscritte all'elenco delle vigne dell'IGT Emilia;
si osserva che uno stabilimento enologico, non strutturato come cooperativa, ubicato in (non identificate) zone limitrofe, il quale trasformi oggi uve di conferenti conduttori o proprietari di superfici vitate iscritte all'elenco delle vigne dell'IGT Emilia, non potrebbe ulteriormente effettuare le operazioni di vinificazione;
secondo il nuovo testo, inoltre, l'elaborazione dei vini frizzanti IGT Emilia, ivi compresa la presa di spuma atta a conferire le caratteristiche finali del prodotto, dovrebbe essere effettuata nell'area vocata ma, tenuto conto della consolidata tradizione produttiva, sarebbe consentita l'elaborazione presa di spuma dei vini IGT Emilia tipologia frizzante (ma non spumante, forse per un errore redazionale) negli stabilimenti ubicati nel territorio delle province di Forlì-Cesena, Ravenna e Mantova;
non si vuole in questa sede entrare nel merito dell'inserimento delle province di Forlì-Cesena e Ravenna, costituenti la Romagna;
tuttavia, l'inserimento della provincia lombarda di Mantova e l'esclusione di quella, ugualmente lombarda, di Cremona, appare piuttosto singolare, soprattutto considerando che tra le originarie proposte di modifica, quella elaborata dal Consorzio tutela del lambrusco di Modena avrebbe incluso, tenuto conto della consolidata tradizione produttiva, l'elaborazione e la presa di spuma dei vini IGT Emilia tipologia frizzante negli stabilimenti ubicati anche nella provincia di Cremona;
era stato quindi lo stesso Consorzio tutela del lambrusco di Modena a sancire che, alla luce di una consolidata tradizione produttiva di qualità, la provincia di Cremona (come quella di Mantova) rientra nella zona di elaborazione dei vini Igt Emilia tipologia frizzante (e spumante);
non è necessario di certo ricordare che, ai sensi dell'articolo 34 del regolamento (CE) 479/2008, la produzione di un vino DO o a Igt deve avvenire nella zona geografica in questione, ma che il regolamento applicativo del regolamento (CE) 479/2008, cioè il regolamento (CE) 607/2009, specifica, all'articolo 6, che, in deroga al predetto articolo 34, un prodotto a DOP o IGP può essere vinificato sia in una zona nelle immediate vicinanze della zona geografica delimitata (Cremona è confinante con la zona geografica in questione), sia in una zona situata nella stessa unità amministrativa o in un'unità amministrativa limitrofa (Cremona è confinante con l'unità amministrativa in questione), in conformità alle disposizioni nazionali;
importanti aziende di vinificazione sono situate a Motta Baluffi e in altri comuni del casalasco che rientrano pertanto in una zona nelle immediate vicinanze della zona geografica delimitata, a pochi chilometri di distanza dal fiume Po e dal territorio amministrativo delle province di Parma e Mantova e rientrano nella provincia di Cremona, in un'unità amministrativa, quindi limitrofa alla zona geografica delimitata;
sarebbe invero piuttosto arduo sostenere una modifica del disciplinare tesa ad escludere la provincia di Cremona dalle
operazioni di vinificazione delle uve IGT «Emilia» o «dell'Emilia», tanto più difficile nel caso di aziende, che effettuano tali operazioni da decenni;
infine, permettere l'elaborazione dei vini frizzanti IGT Emilia, ivi compresa la presa di spuma atta a conferire le caratteristiche finali del prodotto, negli stabilimenti ubicati nel territorio della provincia lombarda di Mantova, ma vietarla negli stabilimenti ubicati nel territorio di quella limitrofa di Cremona, costituisce, ad avviso degli interroganti, un artificio suscettibile di integrare gli estremi di un grave vizio del procedimento -:
se si intenda operare un difforme trattamento tra provincia lombarda di Mantova e quella, ugualmente lombarda, di Cremona, soprattutto considerando che tra le originarie proposte di modifica, quella elaborata dal Consorzio tutela del lambrusco di Modena avrebbe incluso, tenuto conto della consolidata tradizione produttiva, l'elaborazione e la presa di spuma dei vini IGT Emilia tipologia frizzante negli stabilimenti ubicati anche nella provincia di Cremona;
se si intenda operare un difforme trattamento tra gli stabilimenti cooperativi ubicati in zone limitrofe (peraltro non indicate) che sarebbero ammessi alle procedure di vinificazione che trasformano le uve dei soci conferenti conduttori di superfici vitate iscritte all'elenco delle vigne dell'IGT Emilia e gli stabilimenti enologici, non strutturati come cooperativa, ubicati in (non identificate) zone limitrofe, i quali trasformano oggi uve di conferenti conduttori o proprietari di superfici vitate iscritte all'elenco delle vigne dell'IGT Emilia, non ammessi alle operazioni di vinificazione;
se il Ministro intenda intervenire al fine di rivedere la proposta di modifica del decreto ministeriale 4 agosto 2005 (Modificazione al disciplinare di produzione dei vini ad indicazione geografica tipica «Emilia» o «dell'Emilia») in discussione, allo scopo di rendere più forte l'immagine dei vini IGT Emilia nel mondo, non a discapito proprio di quelle aziende che tanto hanno fatto per promuovere quell'immagine.
(4-10615)
Risposta. - Con l'interrogazione in esame l'interrogante rappresenta le preoccupazioni di taluni produttori vitivinicoli della provincia di Cremona in merito alla richiesta di modifica del disciplinare di produzione dei vini indicazione geografica tipica «Emilia» o «dell'Emilia», presentata al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali dai consorzi di tutela dei vini Reggiano e del Lambrusco di Modena, tramite la regione Emilia Romagna.
In particolare la modifica richiesta, concernente la delimitazione della zona di elaborazione dei vini (corrispondente a quella di produzione delle uve) attraverso l'introduzione di una deroga che ne consenta l'estensione soltanto ad alcune province limitrofe, escluderebbe la provincia di Cremona (confinante con la zona di produzione delle uve) ove sono ubicate talune ditte che tradizionalmente elaborano ed imbottigliano i vini Igt Emilia.
Al riguardo, tenuto conto della complessità della questione e che la modifica riguarda il disciplinare di una delle più importanti Igt italiane (sia dal punto di vista economico-produttivo che da quello dell'immagine), assicuro l'interrogante che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali effettuerà gli opportuni approfondimenti tecnico-produttivi, sia con i soggetti richiedenti legittimati che con la competente regione, prima di sottoporre l'istanza all'esame del Comitato nazionale vini a denominazione d'origine e Igt per il prescritto parere.
Ciò al fine di definire una zona di elaborazione dei vini Igt «Emilia», comprensiva dell'ambito territoriale delle deroghe, che tenga conto degli interessi dell'intera filiera produttiva legata alla stessa nel pieno rispetto delle condizioni previste dalla vigente normativa nazionale (legge n. 164 del 1992, decreto Presidente della Repubblica n. 348 del 1994, decreto legislativo
n. 61 del 2010) e comunitaria (Reg. CE n. 607 del 2009) per la fattispecie considerata.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.
DI BIAGIO. - Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
a partire dal 13 settembre 2010 prenderà il via il progetto «Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane» un programma di corsi di formazione teorico-pratica che si svolgeranno per tre settimane, presso vari reparti/enti delle quattro Forze armate: Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri;
il progetto previsto dalla legge 122 del 30 luglio 2010 intende coinvolgere circa 1200 giovani al fine di avvicinarli al mondo delle Forze armate;
il suindicato progetto prevede uno stanziamento di circa 20 milioni di euro, di cui 6,5 da spendere per il 2010, 5,8 da spendere per il 2011 e 7,5 per il 2012;
in un contesto contraddistinto da evidenti lacune sotto il profilo finanziario, lo stanziamento suindicato ha fatto discutere sul versante degli addetti al settore segnatamente per quanto riguarda coloro che operano in un contesto di precarietà;
gli ultimi provvedimenti collegati alla finanza pubblica hanno sancito un pesante ridimensionamento delle spese destinate alla difesa, soprattutto al capitolo reclutamento ed addestramento/formazione innescando una allarmante spirale di precarietà nel settore. Si prevede infatti che nei prossimi 3 anni saranno circa 3000 i militari che, essendo in ferma breve, saranno costretti a lasciare l'arma a causa della naturale risoluzione del contratto;
l'avvio del progetto sta tenendo impegnate le caserme italiane, coinvolgendo direttamente nei lavori di adeguamento e di organizzazione i giovani militari in ferma prefissata (precari), togliendo loro tempo prezioso per l'addestramento e la formazione;
alla fine dei 21 giorni di corso ai partecipanti del progetto è riconosciuto lo status di militare riconoscendo a questi la possibilità di entrare a far parte di quelle compagnie che radunano gli ex appartenenti alle forze armate o di entrare a far parte di una categoria privilegiata segnatamente nell'ambito delle selezioni per i concorsi pubblici;
ad avviso dell'interrogante il riconoscimento di «status militare» ai giovani volontari di progetto rischia paradossalmente di innescare un percorso inverso rispetto a quello prefissato dalla legge, poiché dalla fin troppo facile identificazione potrebbe scaturire un'idea non reale di quello che la vita, la storia e la cultura militare realmente rappresentano -:
se si ritenga auspicabile assumere iniziative dirette ad una ridefinizione di quanto sancito dalla legge n. 122 del 2010, ridimensionando il budget necessario all'espletamento del suindicato progetto e prevedendo - ai medesimi fini - soltanto seminari di formazione che non comportino necessariamente la vestizione dei partecipanti, il riconoscimento di un fee di partecipazione e lo status di militare.
(4-08489)
Risposta. - Fin dall'inizio del mio mandato di Ministro della difesa ho pensato ad un'iniziativa che, a fronte della sospensione del servizio di leva, offrisse ai giovani l'opportunità di vivere, per un breve periodo, un'esperienza di vita militare e di avvicinarsi a quei valori che tradizionalmente promanano dalle Forze armate, quali la disciplina, lo spirito di corpo, l'educazione al rispetto dei principi etici, l'osservanza delle regole e l'amor di Patria.
I citati corsi a carattere teorico-pratico denominati «Vivi le Forze armate. Militare per tre settimane», avviati in attuazione dell'articolo 55, comma 5-bis, del decreto-legge 31 maggio del 2010, n. 78 (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio del 2010, n. 122, vanno proprio in questa direzione, in quanto i giovani partecipanti, grazie a questa breve esperienza nei reparti/enti delle Forze armate, possono prendere coscienza, in modo diretto e concreto, degli alti contenuti non solo professionali, ma anche etici e morali, che la professione militare comporta e che consente a tutti gli appartenenti alle Forze armate di affrontare, con piena consapevolezza dell'importanza del proprio ruolo, i molteplici e variegati impegni, nonché i rischi correlati alla partecipazione alle missioni internazionali e alle attività di soccorso alle popolazioni locali e di concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni.
Tali corsi, in buona sostanza, sono intesi a fornire le conoscenze di base riguardanti il dovere costituzionale della difesa dello Stato e le attività prioritarie, in particolare nelle missioni internazionali di pace a salvaguardia degli interessi nazionali, di contrasto al terrorismo internazionale e di soccorso alle popolazioni locali, di protezione dei beni culturali, paesaggistici e ambientali e quelle di concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni, in circostanze di pubblica calamità e in altri casi di straordinaria necessità e urgenza.
Alle luce di tali considerazioni, oltre a non intravedere il paventato rischio che i giovani partecipanti possano vivere un'esperienza diversa da quella prefissata dalla legge, non mi pare neanche possibile ritenere che l'acquisizione dello status di militare possa incentivare quella che l'interrogante chiama «facile identificazione» da parte dei frequentatori di tali corsi, ai quali, invece, - lo ribadisco - è offerta l'opportunità concreta di venire in contatto diretto, seppur brevemente, con la realtà dei valori e della cultura caratterizzanti il mondo militare.
Ciò premesso, per quanto concerne gli aspetti finanziari, rammento innanzitutto che, ai fini dell'organizzazione di tali corsi, la citata norma di riferimento ha autorizzato la spesa di euro 6.599.720 per l'anno 2010, euro 5.846.720 per l'anno 2011 ed euro 7.500.000 per l'anno 2012.
Circa la provenienza di tali risorse, faccio notare che le stesse sono indicate nel dettaglio dal comma 7-bis, del citato articolo n. 55 laddove:
a) quanto a euro 5.285.720 per l'anno 2010, mediante corrispondente riduzione lineare delle dotazioni finanziarie di parte corrente delle missioni di spesa del Ministero della difesa, con riferimento alle spese rimodulabili di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b) della legge 31 dicembre del 2009, n. 196;
b) quanto a euro 1.314.000 per l'anno 2010, euro 74.000 per l'anno 2011 ed euro 2.500.000 per l'anno 2012, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2010-2012, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2010, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della difesa;
c) quanto a euro 5.772.720 per l'anno 2011 ed euro 5.000.000 per l'anno 2012 mediante parziale utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall'articolo 4, commi da 4-bis a 4-novies.
Pertanto, dei circa 19,9 milioni di euro necessari nel triennio 2010-2012 all'effettuazione dei corsi, la quota a carico del bilancio della Difesa, riferita alle riduzioni delle spese rimodulabili apportata dal Mef per il corrente esercizio finanziario, è pari a circa 5,3 milioni di euro.
Chiarito quanto sopra, desidero ribadire, ancora una volta, che la questione del reclutamento e dell'addestramento è estremamente rilevante e non viene assolutamente sottovalutata, ma al contrario viene considerata una priorità, tenuto conto di tutte quelle che sono le comprensibili implicazioni sotto il profilo della corretta alimentazione dei vari ruoli delle Forze armate, nonché dal punto di vista dell'impiego e della sicurezza del personale.
Mi preme sottolineare in tale ambito, che l'amministrazione, a fronte della riduzione delle risorse, correlata alle esigenze di contenimento della spesa pubblica, imposte dall'attuale difficile congiuntura economica, ha, tuttavia, messo in atto tutte le possibili misure tese a preservare la piena efficienza operativa dello strumento militare, adottando soluzioni che consentano, pur in un'ottica riduttiva, di salvaguardare i settori vitali delle Forze armate.
Rassicuro, inoltre, l'interrogante in ordine alle sue preoccupazioni espresse in merito alla presunta valenza dell'attestato di frequenza, precisando che esso costituisce solo titolo per l'iscrizione all'associazione d'arma di riferimento del reparto di Forza armata presso il quale si è svolto il corso. Allo stesso tempo all'attestato di frequenza non può essere attribuito alcun valore o punteggio utile nei concorsi per il reclutamento del personale delle Forze armate.
Allo stesso tempo, in merito allo svolgimento dei corsi, faccio osservare che in occasione della pianificazione ed organizzazione delle attività previste le Forze armate e l'Arma dei carabinieri hanno individuato reparti/enti ove il personale impiegato per tale esigenza non è stato distolto da particolari impegni addestrativi/operativi.
Infine, in merito alla proposta di prevedere, in alternativa, «soltanto seminari di formazione», in modo da non ricorrere alla vestizione, al rilascio dell'attestato di partecipazione e all'attribuzione dello status di militare per i partecipanti, è del tutto evidente, oltre che superfluo sottolinearlo, che una simile impostazione diversa e comunque in chiave riduttiva rispetto a quella attuale, vedrebbe il progetto in larga parte vanificato, in quanto non consentirebbe il perseguimento di quello che è il suo scopo fondamentale: far vivere in modo diretto ai giovani la realtà del mondo militare, attraverso, tra l'altro, lo svolgimento di alcune tipiche attività che gli uomini e le donne con le stellette effettuano presso i reparti d'impiego.
In tale prospettiva, dunque, la vestizione, in particolare, mi pare costituisca un aspetto da cui non si possa prescindere nell'ambito della componente prettamente pratica del Corso, essendo i capi di vestiario e di equipaggiamento logicamente funzionali allo svolgimento delle attività atletico-militari e addestrative previste nell'arco delle tre settimane da parte dei frequentatori.
Pertanto, atteso, peraltro, il largo successo finora riscontrato, in ragione non soltanto dell'elevato numero di domande di partecipazione presentate, ma anche dell'entusiasmo e del gradimento mostrato da quanti hanno già terminato la loro esperienza con lo svolgimento del 1o corso (13 settembre-1o ottobre), non intravedo, per il momento, esigenze di correttivi nel senso indicato dall'interrogante.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.
DI BIAGIO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la legge 26 febbraio 1987, n. 49 recante Nuova disciplina della Cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo, riconosce all'articolo 2 la promozione di programmi di educazione ai temi dello sviluppo, anche nell'ambito scolastico, e di iniziative volte all'intensificazione degli scambi culturali tra l'Italia e i Paesi in via di sviluppo, come complemento qualificante delle attività di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo;
i progetti di educazione allo sviluppo rappresentano un versante non trascurabile delle attività del settore della cooperazione internazionale, e a questi dovrebbe essere destinato circa il 10 per cento delle risorse gestite dal Ministero degli affari esteri in materia di cooperazione;
nel corso della prima riunione del 2010 del Comitato direzionale per la cooperazione allo sviluppo, lo scorso 15 marzo sotto la presidenza del Ministro interrogato, sono stati deliberati 4 programmi di educazione allo sviluppo per un valore complessivo di 700.000 euro, risorse che sono state destinate in parte all'organizzazione della Conferenza internazionale sul ruolo della società civile in Afghanistan;
i progetti di educazione allo sviluppo al momento presentati dalle ONG ed istruiti presso il Ministero sono tanti, e a questi il Ministero degli affari esteri non ha dato ancora alcun tipo di riscontro, sebbene alcuni di questi siano stati rivisti alla luce delle evidenze espresse dallo stesso Ministero in fase di istruttoria preliminare;
con la legge di stabilità per il 2011 sono stati operati importanti ridimensionamenti in materia: un taglio di 179 milioni di euro pari al 45 per cento dei fondi, che coinvolge direttamente i contributi alla cooperazione allo sviluppo;
appare all'interrogante deprecabile la scarsa realizzazione di progetti di educazione allo sviluppo, verosimilmente per mancanza di fondi, considerando che in questo verrebbe meno uno dei pilastri inderogabili della cooperazione internazionale nel nostro Paese -:
se si intendano rivedere le risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo;
quali siano le ragioni che impediscono all'amministrazione di comunicare ai presentatori di progetti suindicati i motivi di un'eventuale mancata approvazione.
(4-10212)
Risposta. - Il Ministero degli affari esteri ha partecipato al finanziamento di quattro progetti da realizzare nel settore dell'informazione ed educazione allo sviluppo promosse dalle organizzazioni non governative, i cosiddetti Infoeas, a seguito di un esame approfondito delle iniziative giacenti nel corso dello scorso anno. È stata pertanto necessaria una selezione stringente e rigorosa, imposta sia dalla drastica riduzione delle risorse finanziarie disponibili sia dall'esigenza di garantire l'efficacia delle attività stabilite dalle linee guida triennali della Cooperazione italiana.
In tale contesto di importante riduzione del numero di progetti finanziati e tenendo altresì conto della decisione assunta dal comitato direzionale per la cooperazione allo sviluppo, è stata data priorità alle attività che si attuano nei settori sanitario, agricolo, della disabilità e della formazione.
Il Ministero degli esteri ha espresso per iscritto le proprie specifiche motivazioni agli organismi per i quali non è stato possibile dar seguito al finanziamento delle proprie attività.
Occorre, infine, tenere in considerazione che per l'esercizio finanziario 2010 le risorse disponibili per il finanziamento di progetti Infoeas sono state esaurite e quelle per il 2011 sono più ridotte, essendo stato decurtato del 50 per cento la relativa disponibilità di bilancio. Le linee guida della cooperazione italiana per il triennio 2011-2013 prevedono inoltre il finanziamento di una percentuale pari a circa il 10 per cento di progetti a favore delle organizzazioni non governative.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.
DI PIETRO, PIFFARI e SCILIPOTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo n. 115 del 30 maggio 2008 ha assegnato all'Enea le funzioni di Agenzia nazionale per l'efficienza energetica; l'Enea svolge tale ruolo tramite l'Unità tecnica per l'efficienza energetica e in tale ambito, mette a punto e rende disponibili specifici strumenti per analisi e valutazioni a supporto di chi opera, enti pubblici e privati, nei campi dell'energia, dell'ambiente e dell'innovazione;
il centro di sperimentazione dell'Enea denominato Casaccia da anni opera proprio nei settori di cui sopra, al suo interno si trovano due reattori nucleari costruiti negli anni '60 e '70, da sempre destinati alla ricerca e che, anche dopo il referendum contro il nucleare del 1987, hanno continuato a lavorare in campi diversi come l'analisi dei materiali per l'industria e per i beni culturali e le applicazioni in medicina nucleare in alcuni ospedali di Roma;
in data 20 ottobre 2010 è stato annunciato che due di essi sono tornati a pieno regime, il Triga Rc-1 (training, research, isotopes, general atomics - Reattore Casaccia 1T) che ha la potenza di un megawatt e il Tapiro (Taratura Pila Rapida a potenza 0) che ha la potenza di 5 kilowatt;
i due reattori, Triga e Tapiro, secondo le dichiarazioni del Sottosegretario allo sviluppo economico con delega all'energia, dovranno fornire un supporto all'industria, aiutandola a qualificare la sua offerta, saranno utili alle prove di sicurezza dell'Agenzia per la sicurezza nucleare per il ritorno in Italia del nucleare, ed allo studio delle centrali di quarta generazione, oltre che a formare ricercatori in questo campo;
all'interno del centro Enea Casaccia sono stoccati 63 chilogrammi di plutonio e 6.300 chilogrammi di scorie radioattive; la responsabilità di questo deposito è della società Nucleco, gestita per il 40 per cento dall'Enea e per il 60 per cento dalla Sogin;
per motivi di sicurezza, sin dagli anni '60 è stato creato un comitato per la sicurezza che si occupa del piano di emergenza interno ed esterno alla struttura del centro nucleare;
fanno parte di questo comitato per la sicurezza, la Protezione civile, i vigili del fuoco, il comune di Roma, la prefettura, il comando dei carabinieri, l'Esercito italiano e altri, oltre che il responsabile della sicurezza dell'Enea;
il piano di emergenza prevedrebbe, oltre al blocco all'interno della struttura dei dipendenti e al blocco delle linee telefoniche interne, l'evacuazione della popolazione circostante il centro Casaccia;
in prossimità del centro Casaccia sorge una frazione del comune di Roma denominata Osteria Nuova, che tra residenti e semplici abitanti, per lo più stranieri, arriva a una popolazione di duemila persone;
risulterebbe all'interrogante che, circa quaranta anni fa, il direttore del centro Casaccia di allora inoltrò ripetute richieste al comune di Roma, per intervenire sull'abusivismo che si stava attuando intorno al perimetro del centro stesso, e ricadente nell'area soggetta a vincoli nucleari;
il comune di Roma non intervenne lasciando così crescere la frazione di Osteria Nuova e lasciando che si originasse un problema di sicurezza;
risulterebbe all'interrogante che la stessa zona, ricadente nell'area soggetta a vincoli nucleari, sia stata presa in considerazione dal Commissario straordinario per l'emergenza nomadi nel Lazio, per creare un campo per duemila persone -:
se i Ministri interrogati non ritengano di verificare, allo stato di quanto sopra esposto, se il piano di emergenza attuato dal comitato per la sicurezza predisposto per il centro Enea Casaccia, sia a tutt'oggi aggiornato, soprattutto alla luce delle continue minacce terroristiche che il nostro Paese subisce;
se i Ministri interrogati non ritengano di verificare se la popolazione afferente all'area circostante sia periodicamente e adeguatamente informata e supportata per l'attuazione del Piano di emergenza, con particolare riferimento agli allarmi sonori di emergenza;
se corrisponde al vero la notizia del collocamento di altre duemila persone di un campo nomadi in una zona già soggetta a vincoli nucleari disattesi e a problematiche di sicurezza sempre più attuali visti gli obiettivi previsti per il centro Enea Casaccia.
(4-09284)
Risposta. - Il piano di emergenza esterna del centro ricerche agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile della Casaccia è stato approvato con decreto prefettizio 1340/2001/Gab. protezione civile il 29 gennaio 2001 ed è tuttora in vigore. È stata avviata una procedura di revisione di detto
piano, che prevede il coordinamento fra quelli Enea e società gestione impianti nucleari. Il Ministero dello sviluppo economico, con lettera del 21 aprile 2010, ha riportato come il Ministero dell'interno auspichi la revisione del piano di emergenza esterna del centro ricerche Enea in considerazione del fatto che in Casaccia operano tre diverse Società (Enea, Sogin e società per l'ecoingegneria nucleare).
La problematica relativa alle continue minacce terroristiche viene trattata nel piano di protezione fisica, il cui aggiornamento è stato di recente ritenuto congruo e coerente dal Ministero dello sviluppo economico, con provvedimento del 4 novembre 2010 della divisione V (protocollo del 9 novembre 2010), anche in riferimento al livello della minaccia corrente sul piano nazioni e tenuto conto delle specificità locali. Tale congruità è stata riconosciuta anche dal Comitato Interministeriale per la Sicurezza, il quale ha individuato ulteriori prescrizioni recepite nel provvedimento di approvazione emesso dal Ministero medesimo.
In merito alla verifica delle informazioni rese alla popolazione circostante il centro della Casaccia, Enea riferisce che il centro effettua annualmente una esercitazione di emergenza e che la popolazione, in tale occasione, viene sistematicamente ed adeguatamente informata del significato dei segnali sonori emessi dai dispositivi del centro, mediante affissione di volantini nei locali pubblici.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Stefano Saglia.
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BERNARDINI, BELTRANDI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
da notizie diffuse da agenzia di stampa e quotidiani, si apprende che tre nuove ordinanze di custodia cautelare in carcere, con l'accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà, sono state emesse nell'ambito dell'inchiesta milanese sulla clinica Santa Rita di Milano;
dette misure riguardano l'ex primario del reparto di chirurgia toracica Pier Paolo Brega Massone e il suo ex aiuto Fabio Presicci, entrambi già in carcere e sotto processo davanti alla quarta sezione penale del Tribunale di Milano;
i provvedimenti sono stati notificati in carcere ai due medici, detenuti dal giugno scorso, con l'accusa di truffa ai danni del sistema sanitario nazionale e lesioni, nell'ambito dell'inchiesta sui presunti interventi inutili e dannosi effettuati al solo fine di gonfiare i rimborsi. Il terzo destinatario dell'ordinanza e l'altro ex membro dell'équipe di chirurgia toracica Marco Pansera;
secondo l'ipotesi accusatoria l'équipe di chirurgica toracica della clinica Santa Rita di Milano, guidata dal primario Pier Paolo Brega Massone, avrebbe arrecato «sofferenza» a malati terminali di tumore, operandoli nonostante fossero in condizioni «impressionanti»; ciò sarebbe stato spiegato due medici, consulenti della Procura di Milano, al processo con al centro la casa di cura milanese, i quali hanno descritto i casi di pazienti «da non toccare», che potevano «essere lasciati tranquillamente in pace», invece di essere sottoposti a interventi chirurgici;
in particolare i periti dell'accusa hanno raccontato la vicenda di un uomo di 87 anni con un carcinoma già diagnosticato in un altro ospedale, nel marzo 2005, e sottoposto ad intervento chirurgico da Brega Massone, «nonostante tutti i segnali dicessero che non doveva essere operato». Il paziente in questione aveva subito in precedenza un intervento di angioplastica; l'anestesista, secondo i periti, l'aveva classificato come un paziente ad alto rischio. Brega Massone, invece, sempre a detta dei consulenti, «decise comunque di asportare frammenti di pleura, esponendolo a un grave rischio e arrecando sofferenza in un paziente in queste condizioni»;
a avviso degli interroganti la maggior parte delle distorsioni, delle inefficienze, degli sprechi, delle carenze di cura, delle corruzioni nel mondo della Sanità non si manifesterebbero nelle forme che sappiamo - e possiamo leggere quasi ogni giorno sui giornali - se fosse garantita maggiore conoscenza e informazione;
certamente gli imputati, come tutti gli imputati, sono da ritenere innocenti fino a quando sentenza definitiva non li condanna; e che dunque non si chiede né al ministro né ad altri di anticipare sentenze che peraltro, non competono loro -:
di quali elementi disponga il Governo con riferimento ai nuovi sviluppi dell'inchiesta sul «Santa Rita di Milano» e se non reputi necessario avviare ulteriori ispezioni anche al fine di accertare quanto sia esteso tale fenomeno che gli interroganti si augurano sia limitato al solo «Santa Rita»;
se siano allo studio iniziative per l'istituzione di un'anagrafe pubblica degli eletti anche nel mondo della Sanità, che consente non solo di conoscere il reddito ed i beni di cui si dispone, ma anche i criteri che vengono adottati per la scelta degli amministratori, e le decisioni che si assumono.
(4-03270)
Risposta. - Con riferimento alla interrogazione in esame, si osserva che sono ancora in corso le indagini della Magistratura, i cui sviluppi non sono a conoscenza di questo Ministero.
In merito ai controlli diretti ad assicurare la sicurezza dei pazienti e delle cure, questo Dicastero ha attuato una serie di iniziative, tese a garantire l'esistenza ed il permanere dei livelli essenziali di sicurezza.
Tali iniziative possono essere riassunte nel sistema di segnalazione degli eventi sentinella-Simes, nel collaborare con le regioni a diffondere e radicare una cultura della sicurezza delle cure e a divulgare le buone pratiche adottate, al fine di fornire strumenti immediatamente operativi per implementare la qualità delle cure ed il livello di sicurezza delle stesse.
Relativamente all'istituzione di un'anagrafe degli eletti nel campo della sanità, non risultano al momento iniziative in tal senso.
La regione Lombardia, per il tramite della Prefettura - Ufficio territoriale del Governo di Milano, ha precisato, con una articolata nota (disponibile presso il servizio assistenza) che già dal 1997 ha scelto di implementare un modello di sanità improntato sulla libertà di scelta del cittadino, attraverso l'organizzazione di un sistema, nel quale, a garanzia della qualità delle prestazioni da erogare, le strutture, pubbliche e private, devono essere in possesso di una serie di requisiti di base uniformi prestabiliti, ulteriori a quelli minimi autorizzativi, che consentano loro di conseguire l'accreditamento istituzionale, mediante controlli preventivi per il riconoscimento dell'accreditamento stesso, e successivi e periodici per il suo mantenimento.
Lo status di soggetto accreditato viene stabilito con delibera di Giunta dopo che la azienda sanitaria locale territorialmente competente ha verificato il possesso dei requisiti di natura strutturale, tecnologica ed organizzativa.
L'erogazione dei servizi per conto del servizio sanitario regionale è subordinata alla stipula del contratto con la asl territorialmente competente, nel quale vengono definiti i valori e la quantità delle prestazioni da erogarsi e vengono accettate, da parte dell'erogatore, le regole riguardanti i controlli sulle prestazioni erogate, i flussi informativi e le tariffe delle prestazioni. Il blocco della messa a contratto di nuove attività è in vigore dal 2002 per i ricoveri e dal 2003 per la specialistica ambulatoriale.
La regione Lombardia ha messo a punto un sistema di attività di controllo secondo due direzioni:
a) valutazione della correttezza di codifica/rendicontazione delle prestazioni erogate;
b) valutazione della erogazione della prestazione nel corretto regime di cura.
Le asl esercitano le funzioni di vigilanza e controllo sulle strutture sanitarie attraverso
funzionari appositamente deputati a questa attività. In regione Lombardia vi sono più di 150 operatori con funzioni di controllo dislocati nelle 15 asl che solo nel 2008 hanno verificato più di 110.000 cartelle cliniche e circa 1.600.000 record relativi a singole prestazioni ambulatoriali.
Per quanto riguarda invece la appropriatezza specifica delle prestazioni (ovvero la corretta indicazione della necessità di effettuare una procedura stabilita in scienza e coscienza dal medico) si tratta di una problematica descritta e normata nel codice deontologico della professione medica. Ciò significa che il medico effettua solo le prestazioni necessarie ed indispensabili per la cura dei propri pazienti, pena la sospensione o la radiazione dall'Ordine.
In ogni caso, i controllori delle aa.ss.ll. nell'effettuazione delle verifiche sugli aspetti sopra citati, possono evidenziare problemi di mancato allineamento tra le prestazioni erogate e le condizioni cliniche dei pazienti.
A proposito degli episodi ispettivi, la regione ha ricordato i seguenti dati di base:
a) gli episodi ispettivi sono circa 1.000 all'anno;
b) tutte le strutture sono visitate almeno due volte all'anno, sia per i controlli sulle attività sia per quelli sui requisiti di accreditamento;
c) ogni anno vengono effettuate dalle aa.ss.ll. complessivamente più di 1.000 ispezioni nelle 490 strutture, con irrogazione delle eventuali e dovute sanzioni del caso (64 sanzioni amministrative sulla base della legge regionale n. 11 del 2003 nel solo anno 2007);
d) per il non mantenimento dei requisiti di accreditamento, ogni anno sono emesse diffide ad adeguarsi al requisito di accreditamento non mantenuto;
e) infine, sono prontamente inviate dalle aa.ss.ll. alle Procure della Repubblica territorialmente competenti le segnalazioni dovute a seguito di ispezioni durante le quali gli operatori delle aa.ss.ll. che hanno la qualifica di pubblici ufficiali riscontrano anomalie con potenziali risvolti di tipo penale.
Il sistema dei controlli definito e attuato dalla regione Lombardia si fonda non solo su verifiche di tipo casuale, ma anche su verifiche di tipo mirato, in relazione, ad esempio, a particolari tipologie di ricoveri, avvenuti presso i singoli ospedali, sui quali si sono evidenziati scostamenti significativi rispetto agli standard regionali.
Per implementare la qualità dei servizi erogati, la regione Lombardia ha iniziato, sin dall'anno 2000, una collaborazione con l'ente no profit Joint Commission, che contribuisce ad individuare e a monitorare alcuni aspetti strutturali ed organizzativi degli ospedali particolarmente strategici, al fine di garantire un'adeguata presa in carico dei pazienti all'interno delle strutture, con particolare attenzione al comparto operatorio e a quello dell'emergenza-urgenza. Nel 2008 l'82 per cento delle strutture di ricovero e cura (170 strutture) coinvolte nel progetto, a seguito dello stesso, ha evidenziato di aver messo in atto azioni e progetti per il recupero delle criticità evidenziate.
Inoltre, con la Legge regionale 30 dicembre 2008, n. 38 «Disposizioni in materia sanitaria, sociosanitaria e sociale - Collegato», è stato disposto che «In analogia a quanto previsto per la nomina dei direttori generali delle strutture sanitarie pubbliche e al fine di elevare la qualità del sistema sanitario attraverso la verifica della professionalità dei soggetti che operano all'interno dello stesso, sono istituiti gli elenchi da utilizzare per la nomina di direttore amministrativo, sanitario e sociale. Per l'inserimento negli elenchi sono necessari i requisiti richiesti per le medesime figure professionali all'interno delle aziende sanitarie pubbliche. (...) La Giunta regionale provvede alla costituzione e all'aggiornamento degli elenchi di cui al comma precedente».
Con la delibera di Giunta regionale del 20 febbraio 2009, n. 9014, sono state introdotte alcune innovazioni di particolare interesse sull'argomento, fra le quali:
la pubblicazione, sul sito internet della D.G. Sanità, dei dati relativi ai risultati delle attività di verifica, monitoraggio e controllo delle prestazioni sanitarie, così
come riportato nell'Allegato 1 «Pubblicazione in internet dei dati relativi ai controlli»;
l'obbligo in capo alle asl di trasmettere, con cadenza almeno trimestrale, ai medici di medicina generale ed ai pediatri di libera scelta, nel pieno rispetto della normativa vigente sulla privacy dati sulle prestazioni sanitarie relative a ricoveri ed assistenza ambulatoriale erogate ai loro assistiti, nonché sugli esiti delle attività di controllo delle suddette prestazioni e confermando le disposizioni in essere per il monitoraggio della spesa farmaceutica;
la previsione che i proventi delle sanzioni amministrative irrogate in relazione alla attività di controllo vengano lasciati in disponibilità alla asl di provenienza, con il vincolo di utilizzarle per lo sviluppo delle stesse attività di prevenzione, verifica, monitoraggio e controllo;
la disposizione che in conformità ai principi contenuti nel Codice di deontologia medica del 16 dicembre 2006, i rapporti contrattuali tra medici e strutture sanitarie pubbliche o private debbano improntarsi a criteri di appropriatezza, efficacia ed efficiente utilizzo delle risorse e non possano determinare, neppure in via indiretta, situazioni di conflitto di interessi, con riferimento ad aspetti sia economici che di beneficio per la progressione della qualifica e della carriera;
la disposizione che i ricoveri effettuati a carico del servizio sanitario regionale le cui cartelle cliniche non contengano almeno gli elementi indicati in allegato della citata delibera, non siano rimborsabili in quanto non chiaramente rappresentativi del percorso di cura del paziente;
la disposizione che le prestazioni di specialistica ambulatoriale prescritte da un medico di medicina generale, un pediatra di libera scelta o specialista ospedaliero, non corredate dalla diagnosi o dal sospetto diagnostico prevalente correttamente esplicitato, non possano rappresentare un costo per il servizio sanitario regionale, in quanto in questi casi non vengono garantiti i minimi presupposti per la effettuazione appropriata delle prestazioni stesse;
i contratti in essere con le strutture accreditate devono essere sottoposti a verifica periodica su base quinquennale.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
attualmente è in vigore una distinzione tra vaccinazione obbligatoria e vaccinazione raccomandata che crea distorsioni paradossali: l'antidifterica, obbligatoria, viene fatta da circa il 95 per cento dei bambini, mentre il vaccino contro il morbillo, malattia assai più diffusa ma solo raccomandata, è molto al di sotto di questa soglia, e ciò contrasta vistosamente con quella che è auspicabile debba essere la tendenza: raccomandare tutte le vaccinazioni, offrendo un'informazione efficace sull'importanza di vaccinare;
per fare un esempio, nella regione Veneto i tassi di adesione erano alti prima della sperimentazione, e questo anche, probabilmente, in virtù di un'amministrazione sensibile, operatori sanitari competenti e volontà di collaborare; al pari di quanto accade nelle regioni Emilia-Romagna e Toscana, dove, se il cittadino non è obbligato, l'istituzione comunque mostra di saper agire attivamente; altrove, come per esempio nelle regioni Campania e Calabria, l'adesione ad alcuni vaccini non obbligatori è sotto il 50 per cento;
per quanto riguarda come e quando vaccinare, il calendario in vigore in Italia è del 2007. Sono obbligatorie le vaccinazioni contro difterite, tetano, polio, epatite B. Sono raccomandate pertosse, emofilo b, morbillo, parotite, rosolia (mpr), e varicella, meningococco C, pneumococco;
per quel che riguarda pneumococco e meningococco C, batteri responsabili della meningite, le modalità con cui le regioni
propongono la vaccinazione, è diversa sul territorio: la vaccinazione antipneumococcica nella maggior parte delle regioni è gratuita e attiva per tutti, ma in Lombardia è gratuita e non attiva; nelle Marche è offerta a tutti i nuovi nati ma con un ticket; in Campania e Abruzzo è gratis per i bambini al nido, ma tutti gli altri partecipano con una quota (copayment) e ciò di fatto comporta una discriminazione in base a censo e stato di salute; i bambini a rischio (diabetici, immunodepressi, affetti da malattie respiratorie croniche) si intercettano bene solo se le vaccinazioni sono attive e gratuite per tutti; secondo l'ultimo studio Icona, (Indagine copertura vaccinale nazionale) che l'istituto superiore di sanità ha pubblicato nel 2009 le coperture vaccinali nel secondo anno di vita per gli obbligatori più pertosse ed emofilo (vaccini esavalenti) sono nell'ordine del 95 per cento, e per morbillo, parotite e rosolia intorno al 90 per cento; per pneumococco, meningococco C l'adesione è più bassa (55,1 e 36,9 per cento) e davvero molto variegata a livello regionale: l'antipneumococcica è al 29,8 per cento in Campania e al 95,2 per cento in Emilia Romagna, il meningococco C è al 15,2 per cento in Abruzzo e all'86 per cento in Valle d'Aosta;
l'armonizzazione della situazione vaccinale sul territorio nazionale, in particolare per il meningococco C e pneumococco era stata prevista nel piano nazionale vaccini 2008-2010 inserendo le vaccinazioni nei livelli essenziali di assistenza;
la nuova pianificazione nazionale delle attività vaccinali non è mai stata rivista anche perché il piano nazionale vaccini deve essere un'emanazione del più generale piano nazionale di prevenzione;
per quanto riguarda pneumococco e meningococco C l'offerta è disomogenea perché si è ritenuto di legare le scelte regionali di offerta alla disponibilità di dati epidemiologici che permettessero di stimare la quantità di casi di malattia prevenibili, e da un monitoraggio dell'effetto delle vaccinazioni. Ogni regione poi deve definire le proprie priorità anche in base alle proprie risorse economiche -:
quando verrà emanato il piano nazionale di prevenzione per le citate malattie, che, ci si augura, metta fine a quello che agli interroganti appare un caos «vaccinatorio».
(4-06726)
Risposta. - Questo Ministero avverte in modo sempre più forte la necessità di strategie vaccinali omogenee e comuni, sia per garantire ai cittadini un uniforme diritto alla prevenzione vaccinale sia, perché le strategie comuni sono le uniche che possono evitare il rischio che l'ecologia microbica si differenzi tra le diverse aree geografiche del Paese, tanto da ridurre l'impatto di contrasto che le vaccinazioni vorrebbero ottenere.
La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione», consente allo Stato di formulare i princìpi fondamentali in materia di strategie vaccinali, ma non di intervenire anche sulle modalità di attuazione di princìpi ed obiettivi, perché ciò rientra nella competenza esclusiva delle regioni.
Il piano nazionale vaccini 2005-2007, adattandosi alla nuova realtà aperta proprio dalla modifica del titolo V della Costituzione, nel tentativo del coordinamento tra le diverse istanze delle regioni e le necessità complessive del Paese, forniva indicazioni generali per i vaccini per i quali non fosse già previsto un programma di immunizzazione a livello nazionale, ferma restando l'opportunità che essi venissero offerti prioritariamente alle categorie a rischio espressamente definite.
Tale piano, in sostanza, si proponeva di mantenere un coordinamento delle strategie vaccinali, pur nel rispetto dell'autonomia regionale prevista, con la possibilità di poter offrire una apertura all'introduzione di nuovi vaccini nel Paese con la gradualità e la programmazione necessarie ed opportune. Al suo interno, ed attraverso la sua applicazione, veniva disegnata, infatti, una strategia innovativa per la politica vaccinale del nostro Paese: l'ottimizzazione dell'impegno
vaccinale nell'offerta attiva, ma anche nell'adeguamento dei servizi e nella costruzione di un idoneo ed efficiente sistema informativo vaccinale, a partire dalle anagrafi vaccinali fino alla implementazione progressiva delle nuove vaccinazioni.
Di fatto, però, in merito alle coperture vaccinali la situazione non è completamente soddisfacente, potendosi osservare, in alcune regioni, valori inferiori al 95 per cento, percentuale, che rappresenta l'obiettivo di copertura del programma di vaccinazione, per i vaccini antipolio, antidifterite-tetano, antiepatite B, primariamente previsti dal calendario nazionale per l'infanzia (2005-2007).
In tale contesto si riconferma la necessità di elaborare una strategia, condivisa da tutte le regioni nel rispetto della loro legittima autonomia, il più possibile in armonia con le politiche europee, anche allo scopo di garantire equità di accesso al servizio sanitario nazionale, uguale qualità delle prestazioni erogate, sicurezza di fronte al rischio di diffusione interregionale di eventuali focolai epidemici.
In tale ottica, ed alla luce anche del piano di contenimento e razionalizzazione delle spese delle amministrazioni pubbliche, ho affidato l'incarico di predisporre la nuova bozza di piano nazionale vaccinazioni al Consiglio superiore di sanità, al cui interno ho costituito un apposito gruppo di lavoro comprendente esperti del Consiglio stesso, del Ministero della salute e dell'Istituto superiore di sanità.
Il nuovo piano vaccinale è in fase di valutazione, ai fini della approvazione in sede di intesa stato regioni.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il supplemento Salute del quotidiano La Repubblica, nella sua edizione del 13 aprile 2010 pubblica un intervento del professor Paolo Cornaglia Ferraris, titolare della rubrica Camici & pigiami;
si fa presente come il farmaco Talidomide inibisce la formazione delle arterie, e per questo motivo è diventato tristemente famoso (nascita di focomelici);
oggi il Talidomide si usa per la cura di mieloma e lebbra;
il brevetto è scaduto da decenni, per cui viene liberamente prodotto e venduto in Messico, al contrario di quanto accade in Italia;
un suo analogo brevetto, che nessuno ha dimostrato essere superiore al vecchio, si chiama Lenalidomide, e viene venduto al prezzo di 9,602 euro, con il nome di Revlimid;
si tratta di un farmaco utilizzato da chemioterapici in oncologia, e il suo prezzo è elevato, stante la semplicità del processo di sintesi;
risulta incomprensibile che si sostituisca un validissimo farmaco di libera vendita (generico) senza evidenze scientifiche rigorose di migliore attività;
esiste un uso non oncologico della Talidomide, che potrebbe essere sviluppato;
c'è l'ostacolo di un monopolio fatto da 9,602 euro per confezione da 25 compresse -:
per quali ragioni il «generico» non sia in libera vendita e si continui a sostenere una spesa rilevantissima per il Revlimid.
(4-06782)
Risposta. - È opportuno precisare che in commercio in Italia sono presenti sia la «Thalidomide Celgene» sia il «Revlimid», contenente «lenalidomide», che strutturalmente è un principio attivo analogo della «talidomide».
«Talidomide» e «lenalidomide» sono sostanze chimicamente affini ed entrambe impiegate per il trattamento del mieloma multiplo, un tumore che ha origine da cellule del midollo osseo.
Esse, nonostante l'affinità chimica e l'impiego comune nella stessa forma tumorale, sono state autorizzate per il trattamento del mieloma multiplo secondo strategie terapeutiche che non sono del tutto sovrapponibili, in accordo ai risultati della sperimentazione clinica effettuata per la registrazione. Si evidenzia, infatti, che «talidomide», in associazione ad altri farmaci, («melfalan» e «prednisone»), è indicata per il trattamento di prima linea del mieloma multiplo, ovvero anche in pazienti mai trattati con altri farmaci, mentre «lenalidomide» è indicata solamente per il trattamento di pazienti con mieloma multiplo, già sottoposti ad almeno una precedente terapia, come è il caso di una recidiva della malattia.
Il corretto e mirato impiego delle due sostanze è garantito oggi dalla loro iscrizione in un registro speciale informatizzato, che consente il monitoraggio sistematico dell'appropriatezza della prescrizione nel singolo paziente e, quindi, del rispetto delle indicazioni autorizzate.
Occorre, altresì, rimarcare che «Thalidomide Celgene» non può essere considerato un medicinale generico, ai sensi della vigente normativa; infatti, pur contenendo un principio attivo che non beneficia più della protezione brevettuale, è stato autorizzato, dall'agenzia europea dei Medicinali, come orphan drug, per cui gode di un periodo di esclusività di commercializzazione della durata 10 anni, ai sensi dell'articolo 8 del «Regulation European Community No 141/2000 of the european Parliament and of the Council of 16 December 1999 onorphan medicinal products".
Ne consegue che nessuno può produrre medicinali autorizzati dall'Agenzia italiana del farmaco-Aifa, contenenti «talidomide» con l'indicazione relativa al mieloma multiplo per la durata sopra indicata.
Tuttavia, poiché la «talidomide» non è più coperta da brevetto, essa può essere prodotta ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, che consente la produzione di medicinali preparati industrialmente su richiesta del medico, il quale si impegna ad utilizzare il medicinale su un determinato paziente proprio o della struttura in cui opera, sotto la sua diretta e personale responsabilità.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come hanno riferito numerosi articoli di stampa - la signora Irene G., 76 anni, ricoverata il 4 settembre 2010 all'ospedale delle Molinette di Torino, per difficoltà respiratorie e un'anemia acuta è in seguito morta: un decesso, si è successivamente accertato, per il venire meno delle procedure di identificazione della paziente;
in particolare, la causa del decesso sembra essere stata una trasfusione di sangue sbagliata;
ha spiegato il dottor Marco Rapellino, direttore della struttura qualità e gestione del rischio dell'ospedale delle Molinette, «sono venute meno le procedure per l'identificazione del paziente...Un gravissimo errore» -:
di quali elementi disponga il Ministro in relazione alla vicenda di cui in premessa e, in particolare, quali siano le ragioni per cui dette procedure non sono state seguite;
quali iniziative intenda promuovere o adottare, nell'ambito delle proprie prerogative, in ordine a quanto accaduto e sopra esposto.
(4-08520)
Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi pervenuti dalla regione Piemonte, per il tramite della prefettura - ufficio territoriale del Governo di Torino.
La regione citata fa presente che ha già provveduto ad operare, nel mese di settembre 2010, preliminari approfondimenti presso l'azienda ospedaliera universitaria «San Giovanni Battista di Torino anche mediante accesso diretto nelle date 14 e 22
settembre 2010, in ordine al caso della paziente deceduta presso l'ospedale Molinette, nei giorni immediatamente successivi all'esecuzione di una trasfusione di sangue non compatibile con il proprio gruppo sanguigno.
Tali approfondimenti sono stati realizzati nell'ambito più generale della verifica amministrativa disposta in ordine all'assetto organizzativo, alle modalità operative e di funzionamento del dipartimento di emergenza ed accettazione (Dea) dell'ospedale Molinette, al fine di accertarne la conformità con la normativa di riferimento.
La paziente, di anni 76, era giunta in pronto soccorso di medicina il giorno 4 settembre 2010 alle ore 9,18, affetta da anemia sideropenica di grave entità, bronchite cronica ed ipertensione polmonare grave.
Veniva trasfusa alla paziente una prima sacca di sangue e, successivamente, la stessa veniva trasferita presso il pronto soccorso di chirurgia, dove il medico in servizio decideva di trasfonderle un'ulteriore sacca.
Contrariamente a quanto previsto dalle disposizioni normative e regolamentari in materia, non veniva verificata l'identità della paziente trasfusa e, in particolare, la corrispondenza tra il nominativo della paziente e quello riportato sulla sacca, iniziando pertanto la trasfusione con sangue non compatibile.
Dopo pochi minuti la paziente era colpita da una crisi respiratoria e la trasfusione veniva immediatamente interrotta. Alle ore 17,30 la paziente veniva trasferita nel reparto di rianimazione del pronto soccorso.
Alle ore 3,30 del giorno 7 settembre 2010 la paziente decedeva, per grave insufficienza multi organica.
In data 6 settembre 2010 la direzione sanitaria dell'azienda ha avviato un'indagine amministrativa interna, richiedendo, altresì, una relazione sui fatti occorsi al Direttore del dipartimento di emergenza ed accettazione il quale, a sua volta, richiedeva relazioni al medico (che ha prescritto e autorizzato le trasfusioni) e all'infermiera professionale coinvolta direttamente nella vicenda.
La documentazione raccolta durante l'indagine interna è stata trasmessa alla procura della Repubblica tramite i Nas i quali hanno provveduto al sequestro della cartella clinica e delle sacche di sangue non appartenenti al gruppo della paziente, di cui una parzialmente trasfusa.
Pertanto, questo Ministero non ritiene, allo stato, di dover avviare specifiche iniziative al riguardo, tenuto conto delle indagini attualmente in corso.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
GIBIINO e CASSINELLI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la compagnia aerea Ryanair copre la tratta Barcellona-Roma;
recentemente si è verificato un episodio lesivo sia della sicurezza in volo che della tutela della salute espressamente tutelata dalla Costituzione italiana;
su un aereo della compagnia Ryanair (volo FR 9186 - tratta Barcellona-Roma) ad un passeggero italiano - Angelo Pietrolucci - affetto da mieloma multiplo, non è stato garantito il posto a bordo nelle vicinanze dell'ingresso (i posti pare fossero già occupati da passeggeri che non hanno voluto alzarsi dal sedile);
al passeggero ed alla sua famiglia è stato «imposto» di spostarsi alla fila 32; trasferimento che è avvenuto con non poche difficoltà in considerazione della malattia;
il comandante dell'aereo, successivamente, ha chiesto al passeggero (ed alla sua famiglia) di scendere dal velivolo in quanto «persona non gradita»;
fra le proteste dei passeggeri a bordo, il comandante ha fatto intervenire la polizia spagnola;
in esito agli eventi, il passeggero Pietrolucci, a bordo dell'aereo, si sente male, i poliziotti cercano di ammanettarlo, cercano di sollevare il passeggero e, strattonandolo
violentemente, gli procurano la frattura dell'omero destro;
a causa della lesione, il passeggero riesce a rimanere a bordo; giunto in Italia, in aeroporto, ad accoglierlo trova una ambulanza che lo trasferisce all'ospedale di Albano dove viene riscontrata la frattura dell'omero come anzidetto -:
se il Ministro interrogato non intenda assumere ogni utile iniziativa sul piano diplomatico per fare piena luce sulla vicenda e per evitare che simili episodi abbiano a ripetersi.
(4-07367)
Risposta. - Due giorni dopo l'episodio oggetto di questa interrogazione, il signor Pietrolucci ha scritto al Consolato generale di Barcellona per riferire quanto avvenuto sul volo Ryanair tra Girona e Roma Ciampino. Il Consolato generale ha quindi contattato direttamente il connazionale. Questi ha fatto presente che non aveva nulla da aggiungere a quanto già scritto ed ha spiegato di aver inoltrato la comunicazione al Consolato generale di Barcellona solo al fine di rendere noto l'accaduto. Il Consolato generale si e messo comunque a disposizione per prestare ogni possibile supporto e ha provveduto ad inviare l'elenco dei legali di fiducia operanti a Barcellona e a Girona. Il signor Pietrolucci ha comunicato di aver già provveduto ad incaricare i propri avvocati al fine di intraprendere opportune azioni legali.
Parallelamente, anche per valutare l'esistenza di eventuali responsabilità di carattere istituzionale, il Consolato generale ha richiesto informazioni circostanziate alla Direzione dell'aeroporto di Girona (la polizia non è infatti direttamente competente per gli interventi a bordo). La richiesta e stata inoltrata al Direttore dell'aeroporto, il Signor Luis Sala Montero.
Il 25 maggio 2010 è pervenuta al Consolato generale la relazione del Direttore sulla vicenda. In tale rapporto si afferma che l'intervento della Guardia Civil sull'aeromobile della compagnia Ryanair è stato richiesto dal Comandante del volo, al fine di allontanare il signor Pietrolucci in seguito ad un diverbio nato con una delle assistenti di volo circa l'assegnazione del posto a sedere (come noto, la Ryanair sostiene che al passeggero, che aveva prenotato l'assistenza per le persone a mobilità ridotta, era riservato uno dei posti vicini all'uscita di sicurezza e non quelli, in terza fila, in cui si era seduto). Il connazionale - secondo quanto riportato dal Direttore dell'aeroporto - informato dagli agenti che avrebbe dovuto lasciare l'aeromobile su ordine del Comandante di volo, responsabile della sicurezza dell'aereo, ha opposto un rifiuto e fatto presente le proprie condizioni di salute. Gli agenti hanno richiesto la presenza di personale sanitario, ma il signor Pietrolucci - riferisce sempre il rapporto - ha rifiutato l'assistenza medica.
Il Direttore informa che gli agenti della Guardia Civil sostengono di aver agito con rispetto e correttezza, dialogando con il passeggero e con gli assistenti di volo, e non hanno fatto ricorso in nessun momento alla forza fisica, avendo anzi richiesto l'intervento del personale medico allo scopo di assistere al meglio e garantire la sicurezza del signor Pietrolucci.
Gli agenti hanno lasciato l'aereo quando il Comandante ha comunicato loro rilasciando - in merito una dichiarazione scritta - che in qualità di responsabile della sicurezza a bordo avrebbe consentito al passeggero di viaggiare.
Il Ministero degli affari esteri, attraverso l'Ambasciata a Madrid e il Consolato generale a Barcellona, continuerà a seguire con ogni opportuna attenzione questa vicenda. La direzione dell'aeroporto, con cui il Consolato generale è in contatto, si è resa disponibile a fornire ulteriori chiarimenti che le venissero richiesti sull'episodio.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.
MECACCI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il signor Biram Dah Abeid è presidente dell'IRA - Initiative de Résurgence
du mouvement Abolitionniste de Mauritanie -, e membro dell'ONG «SOS ESCLAVES Mauritania» e consigliere della Commissione nazionale dei diritti umani in Mauritania;
da quest'anno, il signor Biram Dah Abeid è iscritto al «Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito»;
dal comunicato stampa pubblicato, il 13 dicembre 2010, sul sito internet www.cridem.org, si apprendono le seguenti notizie:
il 13 dicembre 2010, intorno alle ore 11 del mattino, il signor Biram Dah Abeid insieme a 30 militanti per i diritti umani sono stati aggrediti, picchiati e arrestati dalla polizia di Nouakchott, capitale della Mauritania;
i militanti stavano manifestando per chiedere la liberazione di due ragazze, tenute in condizioni di schiavitù presso un'alta esponente del potere locale;
nei giorni precedenti al 13 dicembre, il signor Biram Dah Abeid aveva ricevuto delle minacce in seguito al fatto che azioni e manifestazioni condotte in favore dell'abolizione della schiavitù avevano conseguito ampio successo a Nouakchott;
in merito alla vicenda sopra menzionata non si conoscono altri dettagli;
come riportato dal sito internet www.peacereporter.net, si ha che:
il 18 per cento della popolazione della Mauritania è composto di schiavi ossia nel Paese vi sono circa 600.000 uomini ancora costretti in schiavitù;
dal 1981 a oggi si sono succedute numerose leggi contro la schiavitù, di cui l'ultima approvata nel 2007, ma nessuna di queste leggi è stata mai applicata poiché nessuno risulta ancora condannato -:
se il Governo sia informato dei fatti menzionati;
quali iniziative immediate sul piano diplomatico intenda adottare il Governo al fine di ottenere l'immediato rilascio di Biram Dah Abeid e degli altri difensori dei diritti umani arrestati il 13 dicembre 2010, e la liberazione delle due ragazze ridotte in schiavitù a Nouakchott;
se il Governo non ritenga opportuno avviare, nelle principali sedi internazionali a partire da quella europea, una decisa campagna contro la schiavitù in Africa partendo proprio dalla Mauritania.
(4-10034)
Risposta. - Sentita la nostra Ambasciata a Dakar competente per la Mauritania, si conferma che la delegazione del partito radicale non violento e di Nessuno tocchi caino si è potuta recare in visita in Mauritania avendo ottenuto i visti dall'Ambasciata della Repubblica islamica di Mauritania a Roma, anche grazie alla facilitazione di questo Ministero degli affari esteri.
A seguito della specifica richiesta della nostra Ambasciata a Dakar, la delegazione del partito radicale è stata ricevuta, a Nouakchott per un'ora e mezza dalla Ministra degli esteri e il senatore Perduca ne ha dato atto per iscritto e per telefono al nostro ambasciatore a Dakar. Il senatore Perduca, anche a nome di Marco Pannella e dell'onorevole Mecacci, ha ringraziato il nostro Ambasciatore per aver facilitato l'incontro con la Ministra, nel corso del quale sono stati affrontati i temi della moratoria contro la pena di morte, delle mutilazioni genitali femminili e, a latere, il caso del Signor Biram Dah Abeid.
Quest'ultimo, accompagnato da altri militanti della sua organizzazione, si è rivolto alla polizia della capitale mauritana chiedendone l'intervento per «liberare» due ragazze che si suppone siano state tenute in stato di schiavitù. Si fa presente in proposito che tale pratica è stata soppressa ufficialmente in Mauritania nel 1981, e che le Autorità locali - ma in un certo senso tutta l'etnia egemone del paese, quella dei Mori - sono molto suscettibili sull'argomento. Ciò può forse spiegare almeno in parte quanto è successo successivamente, vale a dire la rissa verificatasi tra i sostenitori del Biram Ould Dah Ould Abeid e la
polizia, con ferimenti causati da colpi di coltello a danno dei poliziotti, alcuni dei quali hanno dovuto essere ricoverati in ospedale per ferite molto serie all'addome e ad altre parti del corpo.
Gli attivisti dei diritti umani sono stati quindi arrestati e dopo un giorno di fermo in commissariato sono stati trasferiti in carcere con l'imputazione di atti di violenza contro le forze dell'ordine.
In base a quanto fatto presente dal senatore Perduca al nostro ambasciatore a Dakar, la Ministra degli Esteri della Mauritania si sarebbe impegnata a fare quanto in suo potere per facilitare un incontro tra la delegazione stessa e il Signor Biram Dah Abeid (che è possibile si sia svolto nel corso della visita), malgrado il Ministro della giustizia fosse all'estero nel corso della settimana. Durante la visita, la delegazione ha anche incontrato il capo delegazione dell'Unione europea e le organizzazioni non governative e tenuto una conferenza stampa, in cui ha dato atto al Governo mauritano dell'atteggiamento prudente sulla pena di morte, dell'impegno contro le mutilazioni genitali femminili e dell'attenzione alle richieste avanzate dalla medesima delegazione a incontrare il signor Biram Dah Abeid.
Da un punto di vista generale, la Farnesina continua ad essere impegnata, sia a livello bilaterale sia nel quadro europeo, per la promozione dei diritti umani in Mauritania.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.
OLIVERIO e LARATTA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la castanicoltura costituisce una delle principali risorse agricole della regione Calabria, una delle fonti aggiuntive di sostegno al reddito delle popolazioni delle aree interne;
nella regione, ed in particolare nella Presila catanzarese e nel Reventino, insiste una delle più vaste colture di pregio del castagno;
la presenza di un pericolosissimo parassita, denominato cinipide da castagno, costituisce una vera e propria minaccia dei castagneti, in quanto vengono attaccati diffusamente da questo insetto;
questa emergenza parassitaria è stata da tempo denunciata da diverse organizzazioni di categorie ed ora anche dalla Coldiretti regionale che ha chiesto l'intervento immediato delle autorità preposte;
gli enti locali, spinti da moltissimi agricoltori particolarmente preoccupati, hanno convocato le assemblee elettive e gli enti sovracomunali al fine di fronteggiare l'emergenza;
occorre, immediatamente, attivare ogni sinergica ed immediata iniziativa per consentire alle comunità locali di affrontare il pericolo della distruzione dei secolari castagneti calabresi, della Presila catanzarese e del Roventino, oggi attaccati con virulenza inaudita dal cinipide -:
quali urgenti e immediate azioni intenda adottare il Ministro interrogato relativamente allo studio del parassita del castagno, soprattutto in considerazione della velocità con la quale va diffondendosi la patologia e quali strumenti intenda mettere in campo per salvaguardare tale patrimonio boschivo, che rappresenta una vera garanzia per la tutela del territorio, soprattutto in relazione al già precario equilibrio idrogeologico;
quale iniziativa intenda adottare il Ministro interrogato per coordinare, di concerto con la regione Calabria, ogni utile e immediata iniziativa per fronteggiare l'emergenza parassitaria e scongiurare ulteriori e ben più gravi danni alle colture e, conseguentemente, alla già debole economia locale;
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per verificare l'avvenuto danno della produzione di castagne e per individuare ogni utile strumento di sostegno al reddito degli agricoltori colpiti da questa calamità.
(4-07506)
Risposta. - L'interrogazione in esame riguarda la presenza del parassita «cinipide del castagno» che minaccia gravemente la castanicoltura, in particolare nella regione Calabria.
Al riguardo faccio presente che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, al fine di apportare un contributo concreto al contenimento degli effetti generati da tale insetto, nei primi mesi del 2010 ha finanziato il progetto di ricerca biennale denominato «Emergenze fitosanitarie: strategie di contenimento - Strateco» curato da esperti scientifici di consolidata esperienza del C.R.A. - Centro di Ricerca per l'agrobiologia e la pedologia, col supporto del Servizio fitosanitario centrale e dei Servizi fitosanitari regionali.
Tale progetto, che prevede la realizzazione di una mappatura delle aree di lancio del parassitoide del cinipide del castagno denominato Torymus sinesi (onde ottenere una rapida e razionale copertura del territorio nazionale), si propone di realizzare una banca dati e un sito web in cui riportare i risultati ottenuti dal monitoraggio effettuato dai Servizi fitosanitari regionali e di fornire, al contempo, un valido strumento di raccordo tra il Servizio centrale e i Servizi periferici, nonché informazioni necessarie a documentare l'attività nazionale in sede comunitaria.
Peraltro, presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, è stato istituito un «Tavolo tecnico per il settore castanicolo» (costituito da rappresentanti delle Regioni e Province in cui ricadono i territori colpiti, nonché dalle associazioni di categoria e gli Enti di ricerca) che, nell'ambito delle problematiche inerenti la difesa fitosanitaria, ha prestato particolare attenzione al «cinipide del castagno» e alle conseguenze che può determinare.
In tale contesto, le azioni proposte hanno riguardato il miglioramento della qualità e la messa a punto di un protocollo nazionale di certificazione del materiale vivaistico nonché il potenziamento della sperimentazione delle metodologie per la produzione di parassitoidi destinati alla lotta biologica del parassita.
Vorrei inoltre evidenziare che il 7 ottobre 2010 la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano ha reso parere favorevole sullo schema di decreto per l'istituzione del «Tavolo di filiera della frutta in guscio», comprendente una specifica sezione per la «castanicoltura» e che, nella seduta della Conferenza Stato Regioni del 18 novembre 2010, è stato sancito l'accordo sul Piano di settore castanicolo.
Con l'occasione faccio altresì presente che il Ministero della salute, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo n. 194 del 1995 (che recepisce la direttiva 91/414/CEE), sentita la «Commissione consultiva per i prodotti fitosanitari», per contrastare un pericolo che non può essere combattuto con altri mezzi, può autorizzare l'immissione in commercio di un prodotto fitosanitario, per un periodo massimo di 120 giorni e per un utilizzo limitato e controllato.
Al riguardo sottolineo che, a fronte della richiesta della regione Campania, e a seguito del parere tecnico espresso dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali circa l'imprevedibilità dell'avversità da fronteggiare e la mancanza di valide alternative fitoiatriche disponibili, il Ministero della salute ha autorizzato, eccezionalmente, l'utilizzo della sostanza attiva Lambdacialotrina per la lotta al cinipide sul castagno coltivato (frutteto).
Per quanto concerne, infine, i danni conseguenti l'attacco del cinipide calligeno alle produzioni di castagno, rappresento che l'unico mezzo possibile per ottenerne il risarcimento è la sottoscrizione preventiva di apposite polizze assicurative agevolate da contributo statale e comunitario.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.
RAZZI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
al fine di dare una indicazione ufficiale sulle imprese di ristorazione italiana
nel mondo che ne certifichi non solo la qualità del prodotto finito ma che soprattutto garantisca l'uso di prodotti esclusivamente italiani, sarebbe opportuno istituire una «targa di qualità e provenienza dei prodotti gastronomici italiani» che venga rilasciata dal Ministero interrogato;
meritevoli di tale riconoscimento dovrebbero essere quelle ditte di ristorazione italiane in tutto il mondo dislocate che dimostreranno di usare solo ed esclusivamente materie prime italiane per il loro esercizio;
per quelle realtà di ristorazione già sul mercato ed in esercizio basterà accludere alla domanda le fatturazioni dell'ultimo anno dalle quali evincere l'approvvigionamento da industrie o rivenditori italiani per i loro menù e per quelle di nuovissima apertura sarà necessario attendere, prima di inoltrare la domanda, un anno di attività;
il riconoscimento da parte dello Stato italiano avrà la molteplice funzione di: a) indicatore di qualità per i consumatori stranieri; b) certezza della provenienza delle componenti gastronomiche; c) incentivazione ed incremento alla esportazione dei prodotti italiani all'estero;
per quanti otterranno la targa perché saranno stati riconosciuti meritevoli in quanto in possesso dei requisiti richiesti affinché non venga loro revocata, la domanda dovrebbe essere ripresentata unitamente alle prove di acquisto ogni anno al Ministero per accertare la continuità nel tempo dell'uso esclusivo dei prodotti italiani in ristorazione;
le realtà detentrici della targa in fase contrattuale con le ditte e le industrie italiane di gastronomia, potrebbero godere di sconti agevolati con la mediazione del Ministero sugli acquisti all'estero dei prodotti gastronomici italiani in maniera da incrementare l'interesse alla propaganda della qualità del Made in Italy nel mondo -:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere le iniziative, anche normative, di competenza per l'introduzione di una «targa di qualità e provenienza dei prodotti gastronomici italiani» per i ristoratori italiani all'estero, secondo quanto descritto nelle premesse dell'atto.
(4-09656)
Risposta. - L'interrogazione in esame riguarda l'introduzione di una «targa di qualità e provenienza» (da rilasciare ai ristoranti italiani all'estero) che certifichi la qualità del prodotto finito e l'utilizzo di prodotti esclusivamente italiani.
Al riguardo, non posso che convenire con l'interrogante nel ritenere che anche i ristoranti italiani all'estero rappresentino una risorsa estremamente importante per il sostegno dell'agroalimentare italiano e, più in generale, dell'immagine e dell'offerta turistica e culturale dell'Italia nel mondo.
Tuttavia, per assicurare efficacia e trasparenza a tale iniziativa, occorre definire una precisa base giuridica e un modello organizzativo adeguato.
Al riguardo ritengo utile segnalare l'esistenza del «Comitato di Coordinamento Ospitalità Italiana - Ristoranti Italiani nel Mondo», istituito su iniziativa di Unioncamere, cui partecipano, oltre alla mia Amministrazione, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del turismo, il Ministero degli affari esteri e al Ministero per i beni e le attività culturali oltre, naturalmente, i rappresentanti delle Associazioni di categoria e degli Enti interessati.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.
REALACCI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la Coldiretti ha denunciato, il caso della azienda casearia «Lactitalia», di cui risulta proprietario, tramite il SIMEST, il Ministero dello sviluppo economico italiano;
Lactitalia produce, in Romania con latte romeno e ungherese, formaggi di
pecora che vengono «spacciati» come prodotti nazionali sui mercati europeo e statunitense, contribuendo così a danneggiare gravemente il comparto lattiero-caseario italiano;
l'azienda Lactitalia ha aperto nel 2007 un caseificio a Izvin, nei pressi di Timisoara, grazie ad un investimento di 5 milioni di euro finalizzato alla produzione di formaggi e latticini destinati sia al mercato romeno che all'export: i principali Paesi di commercializzazione sono gli Stati Uniti con il 55 per cento di export, l'Italia e la Grecia. Il caseificio impiega 34 addetti a tempo pieno ed altri 29 con contratto stagionale e ha realizzato nel 2009 un giro di affari di oltre 4 milioni di euro;
dalle visure effettuate la Lactitalia risulta essere una società a responsabilità limitata composta da due soci, la romena Roinvest di cui sono risultati soci cittadini di nazionalità romena e la Simest SpA, società italiana controllata dallo Stato, di cui il 76 per cento del capitale come quota di controllo, è in mano al Ministero dello sviluppo economico;
la SIMEST fu istituita nel 1990 come società per promuovere il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane ed assistere gli imprenditori nelle loro attività all'estero;
sulla base delle indicazioni riportate sullo stesso sito della Lactitalia essa trasforma latte di mucca e di pecora, commercializzando i propri prodotti con due marchi, uno per il mercato estero e uno per quello romeno: rispettivamente «Dolce Vita» e «Gura de Rai». Tra i prodotti spiccano inoltre «pecorino» e «Toscanella», entrambi realizzati con latte di pecora, ma ci sono anche altri nomi italiani come mascarpone, ricotta, mozzarella, caciotta;
dai documenti dell'Istituto nazionale per il commercio estero emergono anche alcune dichiarazioni del direttore di Lactitalia che sottolineano i bassi livelli qualitativi della produzione: «Per calibrare i macchinari del caseificio abbiamo importato latte ungherese, perché è molto più pulito di quello che avremmo dovuto comprare dai produttori romeni»;
la presenza di prodotti di imitazione sui mercati internazionali costituisce la principale minaccia al «Sistema Italia», al tessuto produttivo italiano, specie quello caseario, che è fortemente impegnato nella difesa della qualità e della tradizione alimentare nazionale. La contraffazione di prodotti alimentari ha causato infatti un calo del 10 per cento delle esportazioni dei formaggi di pecora Made in Italy, ragione di un'insostenibile riduzione dei prezzi riconosciuti agli allevatori italiani;
risulta altresì paradossale che lo Stato italiano detenga ed abbia agevolato una società che minaccia la produzione nazionale, per di più tramite una società che per statuto dovrebbe svolgere l'attività contraria: ovvero promuovere e tutelare le aziende e le produzioni nazionali all'estero -:
quali azioni urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati per verificare se quanto denunciato dalla Coldiretti corrisponda a verità; se non si ritenga opportuno rivedere la partecipazione alla quota societaria di Lactitalia da parte della Simest, in caso di veridicità di quanto messo in luce; se non sia utile compiere poi un'attenta verifica alle partecipazioni societarie di enti nazionali, affinché questi fatti non si possano più ripetere.
(4-08770)
Risposta. - In merito alla vicenda «Lactitalia S.r.l.» faccio presente che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha adottato una serie d'iniziative al riguardo, avvalendosi della collaborazione del Ministero dello sviluppo economico e della società erogatrice del finanziamento pubblico «Simest S.p.a.».
In particolare, nel mese di ottobre 2010, al fine di fugare ogni dubbio sulla corretta partecipazione finanziaria dello Stato italiano nella società citata, è stata costituita una delegazione interministeriale che ha proceduto ad una verifica presso lo stabilimento caseario di Timisoara (Romania).
Al riguardo faccio presente che, dal controllo effettuato (che ha permesso di acquisire una serie di informazioni di carattere generale sull'attività produttiva, sull'origine delle materie prime introdotte, sulla loro trasformazione e sui quantitativi e le tipologie di prodotti finiti commercializzati in Romania e all'estero) non sono emerse situazioni di usurpazione di denominazioni protette italiane né violazioni delle condizioni contrattuali di finanziamento da parte della società interessata nei confronti della «Simest S.p.a.».
Tuttavia, al fine di evitare qualunque tipo di problema al riguardo, evidenzio che è stato chiesto ai titolari dell'azienda di astenersi dal riportare in etichetta termini che possano creare confusione nel consumatore circa la vera origine dei prodotti posti in vendita.
Colgo l'occasione per informare, inoltre, che tutte le Amministrazioni coinvolte stanno già predisponendo ulteriori criteri per l'assegnazione dei progetti di finanziamento nell'ambito dell'internazionalizzazione delle aziende agroalimentari, al fine di scongiurare qualsiasi tipo di appropriazione indebita delle denominazioni protette ed impropri richiami all'origine italiana dei prodotti ottenuti e commercializzati.
Al riguardo vorrei informare che, a seguito di un incontro tenutosi nei giorni scorsi presso il Ministero dello sviluppo economico, è stato istituito un tavolo tecnico di lavoro per predisporre le linee guida di settore (da inserire nei prossimi contratti di finanziamento delle iniziative imprenditoriali) il cui rispetto costituirà, non solo, un mezzo di valutazione per l'ammissibilità delle domande ma consentirà, al contempo, di evitare fenomeni di concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali.
Tale strumento, infatti, prenderà in considerazione aspetti di carattere generale per contrastare efficacemente il cosiddetto italian sounding e, cioè, l'utilizzo di nomi marchi che suonano italiani, ma che italiani di origine non sono affatto.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.
TASSONE. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il Consorzio Gelatieri Artigiani di Pizzo, al fine di tutelare un prodotto di arte pasticcera conosciuto ormai non solo in Italia ma anche nel mondo come il Tartufo di Pizzo, nel 2008 ne ha formalmente richiesto al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali il riconoscimento della denominazione di indicazione geografica protetta (IGP) ai sensi del Reg. (CE) n. 510 del 2006, come prodotto di pasticceria; il Ministero ha accordato la protezione in via transitoria con decreto 3 marzo 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 marzo 2008, n. 72, in attesa dell'accettazione della domanda da parte della Commissione europea preposta;
la Commissione europea, nello specifico, la direzione generale della agricoltura e dello sviluppo rurale, nella persona del direttore, Maria Angeles Benitez Sala, ha respinto la domanda di ottenimento di IGP contestando al Tartufo di Pizzo la classificazione di «prodotto da pasticceria», ed ascrivendolo invece come «Gelato», e quindi prodotto alimentare non incluso negli elenchi degli allegati I e II del Reg (CE) n. 510 del 2006, con comunicazione alla direzione generale per lo sviluppo agroalimentare del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
il Consorzio Gelatieri Artigiani di Pizzo, con comunicazione del novembre 2009 indirizzata al Ministro interrogato, all'ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione europea, nonché al direttore della Commissione europea preposta, ha provveduto a relazionare in merito alle caratteristiche prettamente di prodotto di pasticceria del Tartufo di Pizzo, che nasce dalla combinazione dell'arte pasticcera di origine siciliana con le tecnologie del freddo;
a suffragio di questa tesi, tra l'altro precedentemente riconosciuta dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali in fase di istruttoria e di esame
nazionale della domanda, è stata prodotta una relazione tecnico-scientifica a cura del professor Bruno De Cindio, esperto in materia, che attraverso l'analisi dei parametri chimico/fisici meccanici, dimostra che il Tartufo di Pizzo non deve essere classificato nella tipologia merceologica del «gelato» -:
quali iniziative il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali abbia assunto per risolvere il problema con la Commissione europea direzione generale agricoltura e sviluppo rurale e perché non sia stato inserito negli elenchi degli allegati I e II del Reg. (CE) n. 510 del 2006, il «gelato», prodotto alimentare italiano famoso nel mondo.
(4-09534)
Risposta. - In merito all'interrogazione in esame, concernente il mancato riconoscimento della Indicazione di origine geografica protetta (Igp) al «Tartufo di Pizzo» e l'inserimento del «gelato» tra i prodotti alimentari che possono ottenere tale ammissione, sottolineo che la mia Amministrazione ha attivato tutte le procedure normativamente previste per la presentazione, ai competenti servizi della commissione, dell'istanza di registrazione della denominazione «Tartufo di Pizzo» ai sensi del Regolamento (CE) 510 del 2006.
Tuttavia, come correttamente evidenziato dall'interrogante, la Commissione europea, reputando erroneo l'inserimento di tale prodotto nella categoria «prodotto di pasticceria» che, a parere della stessa, dovrebbe rientrare nella classificazione «gelato» (tipologia di prodotto non inclusa nella lista di cui all'allegato I del Trattato, né negli allegati I e II del Regolamento (CE) 510/2006), ha ritenuto non ricevibile l'istanza di registrazione.
In considerazione di quanto sopra la mia Amministrazione, al fine di tutelare il Consorzio gelatieri artigiani di Pizzo nonché il Tartufo di Pizzo, prodotto conosciuto e rinomato sia a livello nazionale che internazionale, ha ritirato la domanda di riconoscimento della denominazione in argomento onde evitare un rigetto da parte della Commissione, che avrebbe precluso un'eventuale nuova istanza di registrazione in caso di modifica delle regole comunitarie in materia.
Mi preme evidenziare, al riguardo, che è in fase di discussione la modifica della regolamentazione europea sui prodotti di qualità e, in tale ambito, la mia Amministrazione si sta impegnando per ottenere l'inserimento del gelato tra i prodotti alimentari di cui all'allegato I del Regolamento (CE) n.510 del 2006.
Ciò consentirebbe, quindi, ai soggetti interessati di avanzare una nuova istanza di riconoscimento per il «Tartufo di Pizzo».
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.
MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il giorno 16 settembre 2010 gli interroganti hanno appreso la notizia che presso il 17° stormo dell'Aeronautica militare con sede a Furbara (Roma) è deceduto, togliendosi la vita, il maresciallo Giuliano Mosca;
il fenomeno dei suicidi è in continua crescita nelle forze armate come in quelle di polizia -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza del fatto di cui in premessa e quali immediate iniziative intenda adottare per evitare il ripetersi in futuro di simili tragici eventi;
se sia noto quali siano state le ragioni e le modalità del gesto estremo compiuto dal maresciallo Mosca e, nel caso, quali siano state le iniziative che l'amministrazione militare aveva avviato per aiutare un proprio dipendente;
quanti siano i casi di suicidio avvenuti nell'ultimo decennio nell'ambito delle Forze armate.
(4-08643)
Risposta. - In primo luogo, mi sia consentito di esprimere il mio cordoglio e i
sentimenti di vicinanza e solidarietà ai familiari del maresciallo Giuliano Mosca per la sua prematura scomparsa.
In data 11 settembre 2010, all'interno dei locali della Sezione autotrasporti del 17o stormo di Furbara, è stato rinvenuto il corpo esanime del sottufficiale, in servizio di Comandante della guardia.
Il compianto sottufficiale giaceva su una poltrona, con tracce evidenti di un colpo d'arma da fuoco alla tempia destra.
Sull'accaduto sta indagando la procura della Repubblica presso il tribunale di Civitavecchia.
Contestualmente il comando di Stormo ha effettuato la comunicazione rituale alla procura militare di Roma.
Allo stesso tempo, secondo una prassi consolidata, la Forza armata ha disposto un'inchiesta sommaria ai sensi degli articoli 1 e 4 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 83 del 6 aprile 2005 abrogati e confluiti nell'articolo 530 del «Codice dell'ordinamento militare» (decreto legislativo 15 marzo 2010, n.66).
Tale articolo, infatti, prevede che, in occasione di simili avvenimenti, l'amministrazione difesa avvii un'inchiesta amministrativa che, mirando ad accertare le cause soggettive ed oggettive che hanno determinato l'evento, consenta altresì di valutare eventuali elementi che rendano opportuna l'adozione di misure correttive sotto il profilo organizzativo o tecnico atte a scongiurare il rischio di simili eventi e di dare l'avvio ai procedimenti rivolti a individuare eventuali responsabilità penali, disciplinari, amministrative in merito alle cause dell'evento.
Per il caso in esame, al momento, non risultano ancora accertate oltre ogni ragionevole dubbio le ragioni del decesso del nominato Sottufficiale, per conoscere le quali si dovrà necessariamente attendere l'esito delle inchieste giudiziarie ed amministrativa avviate.
Dai primi sommari riscontri sembrerebbe, tuttavia, che il presunto atto autolesionistico non sia riconducibile al contesto militare.
A margine di tale questione, tuttavia, si reputa opportuno sottolineare la costante azione di sensibilizzazione che le Forze armate e l'Arma dei carabinieri attuano nei confronti dei responsabili a ogni livello gerarchico, affinché il prezioso capitale umano, di cui le stesse dispongono, venga tutelato sotto ogni aspetto, divenendo sempre più oggetto di cura e attenzione, al fine di perseguire in modo univoco e sinergico il duplice obiettivo della massima efficienza e della tutela dell'integrità fisica e morale.
Ciò anche nell'ottica di rendere sempre più incisiva l'azione di comando e di controllo, al fine di favorire la conoscenza profonda del personale e, conseguentemente, di supportarlo con ogni ausilio nel modo più adeguato possibile.
Tale azione, in particolare, è indirizzata soprattutto ad individuare quei comportamenti che possono apparire indicatori di un presunto stato di disagio, in modo da intervenire, con ogni possibile tempestività, attraverso azioni preventive e misure di sostegno psicologico.
In particolare, ribadisco, così come evidenziato in risposta all'interrogazione n. 4-08181, che dal 1984, tutti i dati clinico-biografici relativi al fenomeno dei suicidi sono raccolti dall'osservatorio permanente (in seguito confluito nell'osservatorio epidemiologico della difesa, attivo dal 1996), che analizza ed esamina i singoli eventi di suicidio o tentato suicidio sotto tutti gli aspetti, allo scopo di individuarne le cause che contribuiscono a determinarli e le linee di azione più appropriate per prevenirli.
Ogni singola Forza armata ha attivato, per le attività di supporto psicologico/psichiatrico, consultori psicologici - inseriti nelle proprie strutture sanitarie - con accesso facilitato per il personale militare, mentre nei teatri operativi sono sempre presenti, al seguito dei contingenti militari, ufficiali medici specialisti in psichiatria/psicologia clinica, con il compito di valutare ogni possibile disagio o sindrome da stress post-traumatico che si manifesti nel corso di attività operative.
Inoltre, il numero degli psicologi e degli psichiatri militari impegnati nella selezione del personale all'atto dell'arruolamento, è stato incrementato proprio per soddisfare l'esigenza di approfondire le valutazioni
cliniche sugli stati latenti o pre-morbosi per ogni candidato.
Prima di concludere, vorrei evidenziare che con la sospensione del servizio di leva obbligatorio, il fenomeno dei suicidi nelle Forze armate e nell'Arma dei carabinieri, si è sostanzialmente ridotto a valori non statisticamente significativi, questo anche con riferimento all'ultimo quindicennio, nel quale è aumentato considerevolmente l'impiego di personale nelle operazioni al di fuori dei confini nazionali: tale dato positivo è emerso dal progetto «Studio relativo all'analisi osservazionale dei casi di suicidio nei militari dell'Arma» e dall'analogo «Studio per la conoscenza e prevenzione del fenomeno suicidario in ambito militare».
È evidente, dunque, che le misure messe in atto per prevenire tragiche situazioni costituiscono un efficace strumento, fermo restando che nulla verrà trascurato in futuro per attivare ulteriori iniziative, qualora l'evoluzione delle conoscenze scientifiche e metodologiche lo consentissero.
Infine, i dati forniti dai competenti organi tecnico operativi militari rilevano che nell'ultimo decennio, nell'ambito delle Forze armate/Arma dei carabinieri, si sono verificati complessivamente 210 casi di suicidio, di cui 158 fuori servizio.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.
MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
con il decreto legislativo 15 marzo 2010, n.66, «Codice dell'ordinamento militare», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 106 dell'8 maggio 2010 - Supplemento Ordinario n. 84, all'articolo 2268 (Abrogazione espressa di norme primarie) è stabilito che «A decorrere dall'entrata in vigore del codice e del regolamento, sono o restano abrogati i seguenti atti normativi primari e le successive modificazioni: 297) decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43»;
la norma abrogata all'articolo 1, comma 1, stabilisce che «Chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici, è punito con la reclusione da uno a dieci anni.»;
da un articolo pubblicato a pagina 14 del Il Sole 24 Ore del giorno 3 ottobre 2010 si apprende che il senatore Pierfrancesco Gamba, consigliere del Ministro della difesa, avrebbe spiegato che «nei giorni scorsi il dicastero ha chiesto l'autorizzazione ad operare una rettifica da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, togliendo questa dalle norme che verranno abrogate.» -:
se l'abrogazione della norma in premessa sia dovuta ad un mero errore e in caso contrario quali siano state le ragioni di tale abrogazione e se non ritenga doveroso assumere iniziative per ripristinarne con urgenza la vigenza affinché la giustizia possa fare il suo regolare corso attesa l'esistenza di un procedimento penale instaurato nei confronti di alcuni cittadini italiani e il cui proseguimento rischierebbe di esserne compromesso.
(4-08897)
Risposta. - Voglio sottolineare, in premessa che l'abrogazione del decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, è ricompresa tra le 1085 abrogazioni previste dall'articolo 2268 del codice dell'ordinamento militare, emanato con il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, il cui testo è stato predisposto da un apposito comitato scientifico, insieme ad esperti, militari e civili, dell'amministrazione della difesa, che hanno lavorato, avvalendosi di un'apposita segreteria tecnica costituita presso l'ufficio legislativo, d'intesa con lo Stato maggiore della difesa e il Segretariato generale della difesa, e, quindi, con le Forze armate e le direzioni generali del dicastero, nonché con il dipartimento della semplificazione normativa.
Il citato codice, inviato alla concertazione interministeriale il 29 aprile 2009, è stato approvato dal Consiglio dei ministri, preliminarmente, l'11 dicembre 2009 e definitivamente
il 12 marzo 2010, previo recepimento di tutte le modifiche proposte anche in sede di acquisizione dei previsti pareri del Consiglio di Stato e della Commissione parlamentare (bicamerale) per la semplificazione normativa.
Si è trattato di un inserimento erroneo - peraltro non rilevato né nella lunga concertazione interministeriale, né nella fase di acquisizione dei pareri - in quanto concernente norma non riassettata non attinente alla Difesa, alla sicurezza militare o alle Forze armate (ambiti di applicazione del codice, espressamente individuati all'articolo 1 del medesimo provvedimento) bensì alla sicurezza pubblica, quindi di competenza del Ministero dell'interno, come riconosciuto dal decreto legislativo n. 179 del 2009 (cosiddetto «salva leggi»), che ne ha previsto la salvezza dall'automatica abrogazione altrimenti prevista dalla legge n. 246 del 2005 per tutte le fonti legislative anteriori al 1970.
Rilevato tale errore, alcuni giorni prima dell'entrata in vigore del codice, avvenuta il 9 ottobre 2010, il Ministero della difesa, in ragione della citata incompetenza a disporre in materia, ne ha proposto la correzione con procedura di rettifica di errore materiale da pubblicare nella Gazzetta ufficiale.
Tale soluzione non è stata condivisa dall'ufficio legislativo del dipartimento per la semplificazione normativa, co-proponente del codice, che, per non trascurabili ragioni di ordine tecnico-giuridico, non ha espresso l'assenso alla rettifica precisando che, a prescindere dal merito, non si poteva considerare un errore materiale, bensì una modifica sostanziale rispetto al testo sul quale si erano già espresse favorevolmente le amministrazioni concertanti, approvato dal Consiglio dei ministri previa acquisizione dei previsti pareri.
Ciò stante, ferme restando le decisioni sulla legittimità costituzionale dell'intervento abrogativo che potranno essere adottate dalla Corte costituzionale, ove adita, il Ministero della difesa non mancherà di fornire ogni utile contributo alle iniziative volte a far rivivere la disciplina recata dal decreto legislativo n. 43 del 1948, secondo l'intendimento già espresso in sede parlamentare dal Governo di accogliere un esplicito invito nel senso, eventualmente anche attraverso l'adozione di un provvedimento correttivo dello stesso Codice dell'ordinamento militare.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.
MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il C.f.i. (compenso forfettario d'impiego) è stato istituito con l'articolo 9, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2002, n. 163, che testualmente recita «A decorrere dal 1° gennaio 2003 in attuazione all'articolo 3 della legge 29 marzo 2001, n. 86, è istituito il compenso forfettario d'impiego nelle misure giornaliere riportate nell'allegata tabella 3 da corrispondere in sostituzione agli istituti connessi con l'orario di lavoro.»;
nella risposta scritta all'interrogazione 4-07041, pubblicata giovedì 7 ottobre 2010, nell'Allegato B della seduta n. 380 si legge che: «In particolare, il C.f.i. maturato dal personale per le attività espletate nell'anno 2009 è stato interamente erogato agli aventi diritto che ne hanno fatto richiesta...»;
a parere degli interroganti, la risposta fornita dal Ministro interrogato, nella parte sopra evidenziata, pare sorprendente in quanto lascia intendere che il citato emolumento non sia stato corrisposto anche a coloro che, pur avendone diritto, non ne abbiano fatto domanda;
la norma istitutrice del beneficio economico recita che: «Il compenso [...] è corrisposto al personale impegnato in esercitazioni od in operazioni militari, caratterizzate da particolari condizioni di impiego prolungato e continuativo oltre il normale orario di lavoro, che si protraggono senza soluzione di continuità per almeno quarantotto ore con l'obbligo di rimanere disponibili nell'ambito dell'unità
operativa o nell'area di esercitazione.» escludendo a priori l'onere per il militare di dover presentare una specifica domanda -:
se il Ministro sia intenzionato a chiarire il significato della sua risposta;
se esistano delle disposizioni impartite anche dai comandi periferici che impongono al personale dipendente l'onere della domanda per avere corrisposto il pagamento del compenso spettante;
se il C.f.i. sia stato effettivamente corrisposto a tutto il personale avente diritto e, in caso contrario, quali immediate iniziative intenda intraprendere affinché sia sanata la situazione.
(4-09145)
Risposta. - Desidero, innanzitutto, confermare integralmente i contenuti della risposta citata dall'interrogante nelle premesse dell'atto e sottolineare, ad ogni buon conto, come ogni pendenza relativa alla remunerazione dei compensi forfettari d'impiego risultasse sanata a quella data.
Avuto riguardo ai chiarimenti richiesti sul significato di quella risposta, devo precisare che le esigenze di compensi forfettari di impiego da corrispondere al personale che ha svolto attività di servizio ai sensi dell'articolo 9, comma 6 de decreto del Presidente della Repubblica n. 163 del 2002, sono stati interamente erogati agli aventi diritto in base alle segnalazioni pervenute agli enti amministratori dai comandi di appartenenza.
Non sussiste, infatti, alcuna direttiva, né degli Stati maggiori, né di altri comandi/enti periferici, che imponga al personale dipendente l'onere di avanzare domanda per la corresponsione dei compensi forfettari di impiego spettanti, essendo questi unicamente oggetto di specifica comunicazione di appartenenza all'ente amministratore.
Confermo, infine, che i compensi forfettari di impiego inerenti all'esercizio finanziario 2009 risultano integralmente pagati.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.
ZACCHERA. - Al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la progressiva integrazione comunitaria si moltiplicano le richieste di riconoscimento dei titoli di studio da parte di cittadini italiani che li hanno ottenuti in altri Paesi europei, ma anche di cittadini comunitari che hanno frequentato scuole ed università nel loro Paese e che vogliano esercitare libere professioni in Italia;
si ha notizia di lunghi ritardi nella certificazione, autenticazione e possibilità di utilizzo di questi titoli di studio e ciò comporta molte difficoltà ai cittadini interessati;
altre volte si pone il problema della validità dei predetti titoli di studio ed in questo caso l'espletamento delle pratiche ed anche l'eventuale rigetto stesso delle domande avviene dopo lunghissimo tempo, mettendo in seria difficoltà quelle persone che ritengono di aver superato un corso di studi abilitante e che invece è poi non accettato dal Ministero competente -:
quali iniziative abbiano intrapreso i Ministri interrogati al fine di evitare abusi ed indebiti utilizzi ma anche - nei casi invece di osservanza delle normative - di conferma della validità dei titoli in Italia in termini di tempo ragionevoli e, in ogni caso, se non si ritenga di assumere iniziative volte a chiarire le normative per l'ottenimento dell'abilitazione in Italia dei titoli di studio ottenuti all'estero.
(4-06795)
Risposta. - Con riferimento, in primo luogo, ai titoli definiti, non validi nell'interrogazione in esame, e alle iniziative messe in atto da questo Ministero per evitare abusi, si ritiene opportuno, preliminarmente, specificare quanto segue.
Tali fattispecie sono riconducibili, sostanzialmente, a due tipologie di titoli, ossia:
a) i titoli falsi (intendendo in tal senso i falsi materiali);
b) i titoli conseguiti a seguito di un irregolare corso di studi (in tale caso si intendono i falsi ideologici).
Per quanto riguarda entrambe le tipologie, non si vede come i cittadini in possesso di tali titoli - ben consapevoli del tentativo di indurre in inganno questo Ministero - possano vantare diritti e rivendicare nocumenti.
Premesso ciò, il fenomeno dei titoli falsi, di cui alla lettera a), in termini quantitativi, sembra essere marginale rispetto alla fattispecie di cui alla lettera b).
Ogni volta in cui questo Ministero ha la certezza di essere in presenza di un titolo falso, oltre ad emanare un provvedimento di rigetto, informa immediatamente l'autorità giudiziaria per il seguito di competenza, inviando contestualmente tutta la documentazione agli atti.
Per quanto riguarda invece la questione di cui alla lettera b), si rappresenta quanto segue.
Questo Ministero sta tenendo sotto osservazione da tempo un preoccupante fenomeno, relativo - nella maggioranza dei casi - al conseguimento da parte di cittadini italiani di titoli di odontoiatra rilasciati da atenei di Paesi comunitari o extra-comunitari, a seguito di corsi di studio «ad hoc», non previsti per la generalità degli studenti del Paese ospitante.
Detti cittadini hanno presentato e stanno continuando a presentare a questo Ministero istanza di riconoscimento del loro titolo formalmente autentico, ma nella sostanza privo di qualsiasi valore.
Con specifico riferimento ai titoli extra-comunitari - conseguiti da parte di cittadini italiani - si sta verificando un fenomeno altrettanto allarmante. Alcuni di detti cittadini, per lo più in possesso di un titolo di odontoiatra rilasciato irregolarmente da università di Paesi extra-comunitari, dopo aver ottenuto un primo riconoscimento in un Paese dell'Unione europea, presentano istanza a questo Ministero, in tal modo cercando di usufruire - grazie al primo riconoscimento comunitario - del trattamento più favorevole derivante dall'applicazione della direttiva 2005/36/CE.
Questo Ministero ha, ad oggi, espresso il proprio diniego al riconoscimento dei titoli su citati. Si segnala, inoltre, che la posizione sino ad ora assunta ha determinato l'avvio di sempre più numerosi contenziosi, con conseguenti insostenibili oneri di difesa. Pertanto, appare necessaria l'assunzione, in sede nazionale e comunitaria, delle opportune iniziative atte a stroncare alla radice il fenomeno in questione.
In caso contrario, si determinerà l'ingresso nel nostro Paese di cittadini che, in possesso di un titolo formalmente autentico, possono vantare il diritto al riconoscimento dello stesso, sebbene non abbiano seguito un corso di studi regolare e non siano, quindi, in possesso delle conoscenze e competenze necessarie. La conseguente «squalifica» della professione finirà con l'incidere in maniera significativa sulla salute dei cittadini che si rivolgeranno a tali persone.
Tanto premesso, si precisa che i casi in esame presentano una matrice comune, sia per quanto attiene alle modalità di conseguimento del titolo, avuto particolare riguardo alle tipologie dei «corsi di studio», sia per quanto riguarda la fattispecie dei cittadini interessati. In merito a quest'ultimo punto, si fa presente che non si tratta di cittadini italiani stabilmente residenti nel Paese di conseguimento del titolo, né tanto meno di professionisti che hanno ivi esercitato in maniera stabile e continuativa la professione, bensì di cittadini che, una volta ottenuto il titolo, ne chiedono immediatamente il riconoscimento a questo Ministero, in base alle direttive comunitarie o in base alle norme che disciplinano in Italia il riconoscimento dei titoli extracomunitari.
Si segnala, inoltre, che le istruttorie effettuate nel tempo sui singoli fascicoli hanno permesso di evidenziare che le eventuali iscrizioni agli ordini professionali di detti Paesi appaiono esclusivamente funzionali all'iter amministrativo.
In altri termini, si ravvisa la chiara volontà degli interessati ad utilizzare strumentalmente le disposizioni di cui alla direttiva 2005/36/CE, al fine di aggirare la normativa italiana in materia di professioni sanitarie. Inoltre, la maggior parte dei cittadini
in questione, per lo più in possesso di un titolo di odontotecnico conseguito in Italia, è stata o è tuttora coinvolta in procedimenti penali per il reato di esercizio abusivo della professione di odontoiatra in Italia.
Prima di procedere all'illustrazione delle singole fattispecie di cui è a conoscenza questo Ministero - che tuttavia, è bene chiarire, non esauriscono le reali dimensioni del fenomeno - occorre far presente che nel corso degli anni numerose procure italiane hanno indagato in merito al conseguimento di titoli di studio in Paesi comunitari e non, rispetto ai quali è stato ipotizzato il reato di falso ideologico e di induzione in errore di pubblico ufficiale.
Parte di tali indagini sono ancora in corso; in altri casi, sono state invece emesse sentenze che, pur dichiarando il non luogo a procedere per prescrizione dei reati, hanno chiaramente messo in luce la sussistenza delle fattispecie di reato ipotizzate a carico degli imputati.
Premesso tutto ciò, si ritiene opportuno illustrare le seguenti fattispecie.
1) Titoli di odontoiatra conseguiti da cittadini italiani presso università Jagiellonski di Cracovia.
A seguito di istanze di riconoscimento avanzate da alcuni cittadini italiani, in possesso di un titolo di studio conseguito presso l'università Jagiellonski di Cracovia, in Polonia, questo Ministero, nel febbraio 2006, ha chiesto informazioni in merito a detti titoli sia alla stessa università, sia all'autorità competente polacca.
In particolare, poiché la denominazione dei titoli di cui era stata avanzata istanza di riconoscimento non corrispondeva a quella indicata dalla Polonia nell'allegato A della direttiva 78/686/CE allora vigente, nella nota del 2006 è stato chiesto alle Autorità polacche di poter conoscere se il titolo «Lekarza Stomatologi in possesso degli interessati, rilasciato dal predetto Ateneo, consentisse sul territorio della Polonia l'esercizio della professione di odontoiatra e se la formazione sottesa al suo conseguimento fosse considerata assimilabile ai titoli le cui denominazioni erano state indicate dalla Polonia stessa nell'allegato A della predetta direttiva, relativamente al titolo di odontoiatra.
In sintesi, si chiedeva se il titolo in possesso degli interessati consentisse agli stessi di esercitare la professione di odontoiatra in Polonia.
In riscontro alla lettera di questo Ministero, l'autorità competente polacca, con nota del marzo 2006, ha comunicato: «i certificati rilasciati dalla scuola medica per stranieri della facoltà di medicina Collegium Medium dell'università Jagiellonski di Cracovia ai laureati di questa scuola non sono equivalenti al diploma di medico stomatologo (attualmente medico dentista) rilasciati dopo 5 anni di studi dentistici e non costituiscono la base per richiedere il diritto di svolgimento della professione di medico dentista sul territorio polacco».
Lo stesso «Collegium Medium, con lettera del 14 marzo 2006, ha fornito notizie, segnalando che i titoli in questione erano stati rilasciati in base ad un accordo bilaterale firmato nel 1994 fra la scuola medica per stranieri della facoltà di medicina Collegium Medium dell'università Jagiellonski di Cracovia e la «Accademia europea degli studi a distanza» con sede a Torre Beretti-Pavia.
Inoltre, secondo quanto dichiarato dalla stessa università polacca, i cittadini italiani, per i quali questo Ministero aveva chiesto informazioni, erano studenti e laureati dell'università Jagiellonski, ma avevano studiato nella citata accademia e il certificato ad essi rilasciato - si riporta testualmente - «non costituisce la laurea di compimento dell'università in Polonia».
Nella stessa nota, l'università Jagiellonski ha inoltre comunicato che 72 cittadini italiani si trovavano «nella medesima condizione» di quelli per cui, inizialmente, questo Ministero aveva richiesto notizie.
L'università ha successivamente fornito l'elenco nominativo dei 72 cittadini italiani.
Nel maggio 2006, questo Ministero ha chiesto informazioni al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica
(Miur) sull'«Accademia europea degli studi a distanza» di Torre Beretti-Pavia.
Il Dicastero interpellato ha risposto segnalando che nell'ordinamento italiano solo le istituzioni di cui all'articolo 1, punti 1 e 2, del regio decreto n. 1952/1933 possono rilasciare titoli accademici giuridicamente validi: inoltre, ha sottolineato che le istituzioni private, secondo le norme vigenti, hanno libertà di insegnamento ma i titoli in esse conseguiti non trovano riconoscimento nell'ordinamento universitario nazionale, salvo che le stesse non siano state autorizzate al riguardo, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 1998, n. 25. In ultimo, ha comunicato che i titoli conseguiti presso l'accademia in questione non hanno alcun valore nel territorio nazionale ed ha informato il Ministero della salute che erano in corso procedimenti penali nei confronti dei responsabili della stessa accademia.
Secondo le informazioni fornite a questo Ministero dai carabinieri Nas di Firenze, detta accademia aveva come finalità quella di far conseguire, per il suo tramite e quello di compiacenti atenei, localizzati in diversi Paesi comunitari ed extracomunitari, lauree in odontoiatria ed in altre discipline a studenti italiani senza l'espletamento di un regolare corso di studi.
Alla luce di quanto sin qui illustrato appare evidente che il titolo di «Lekarza Stomatologi» rilasciato dall'università Jagiellonski a cittadini italiani che hanno «studiato» per il tramite dell'«Accademia europea degli studi a distanza» è privo di valore legale in qualunque paese comunitario.
2) Titoli maltesi di odontoiatria.
Al riguardo, è sufficiente segnalare che, nell'estate del 2008, cinque italiani hanno avanzato - tutti contestualmente - istanza di riconoscimento del titolo di odontoiatra conseguito presso l'università di Malta. In quell'occasione, questo Ministero, dubitando dell'autenticità di tali titoli, ha chiesto conferma al riguardo alle competenti autorità maltesi, che hanno fornito riscontro immediato, comunicando la falsità dei citati titoli.
Grazie a ciò, il Ministero ha potuto emettere un inoppugnabile provvedimento finale di diniego, ed ha provveduto ad informare le competenti autorità giudiziarie italiane.
3) Titoli di odontoiatra conseguiti in Serbia le università di Nis e di Novi Sad.
La questione relativa ai titoli di odontoiatra conseguiti da cittadini italiani presso le università di Nis e di Novi Sad dev'essere illustrata in quanto molti dei suddetti cittadini, a seguito dell'adesione all'Unione europea da parte della Lettonia, della Bulgaria e, in particolar modo, della Romania, hanno avanzato a questo Ministero istanza di riconoscimento del titolo serbo in loro possesso, già riconosciuto in uno di tali Stati membri.
Inoltre, altri cittadini italiani hanno ottenuto una seconda laurea romena con un'abbreviazione del corso di studi, consistenti nel superamento di qualche esame, sulla scorta del riconoscimento dei crediti formativi derivanti dal precedente irregolare percorso effettuato in Serbia.
In entrambe le fattispecie, buona parte dei cittadini in questione, titolari di un diploma di odontotecnico, è da tempo conosciuta dalle autorità giudiziarie italiane, in quanto indagata per esercizio abusivo della professione di odontoiatra in Italia.
Nel corso degli ultimi anni, numerosi cittadini italiani hanno richiesto a questo Ministero il riconoscimento del diploma di laurea in stomatologia, rilasciato dalle università serbe di Nis e di Novi Sad.
Più in particolare, si precisa che a seguito delle segnalazioni da parte dell'ambasciata d'Italia a Belgrado e delle certificazioni da essa rilasciate (dichiarazioni di valore), nonché del cospicuo carteggio intervenuto tra la citata rappresentanza diplomatica e questo Ministero, nel corso del tempo si è potuto rilevare un comune atipico percorso formativo dei cittadini italiani in questione.
Infatti, è apparso evidente che i tali cittadini non erano stati immatricolati a corsi ordinari di studio, previsti per la generalità degli studenti serbi, ma a corsi straordinari per studenti stranieri, ancorché mai effettuati, ossia corsi « ad hoc», peraltro mai interamente svolti in Serbia presso le sedi di dette università, in virtù di una convenzione stipulata tra gli atenei citati ed il sedicente «Centro studi di Lugano» (alias «Centro studi universitari internazionali», alias «Centro universitario ticinese», alias «Unigest» e altro), avente non meglio definiti e mai identificati locali a Lugano e Milano.
Solo per completezza d'informazione, si fa presente che il citato centro era già noto nel 1993 al (MIUR) che, con nota del 16 giugno 1993, invitava i Rettori degli atenei italiani alla massima attenzione nei confronti di alcuni titoli conseguiti da cittadini italiani tramite l'intermediazione di istituzioni private, prive di riconoscimento nell'ordinamento italiano.
Dell'intera vicenda questo Ministero ha ritenuto, quindi, di informare il Comando dei carabinieri Nas di Milano che, in un primo tempo, ha provveduto ad acquisire copia di tutti gli atti e dei fascicoli relativi alle istanze di riconoscimento dei titoli di laurea in stomatologia avanzate da cittadini italiani. A tale iniziativa è seguita, nel marzo 2007, l'apertura di un procedimento penale contro ignoti da parte della procura della Repubblica di Milano, diretto ad accertare eventuali elementi di reità circa la regolarità delle lauree in stomatologia, conseguite da cittadini italiani presso le università di Nis e di Novi Sad anche attraverso l'utilizzo di strutture ubicate a Milano. In seguito, tale procura ha disposto il sequestro, presso questo Ministero, di tutta la documentazione all'epoca agli atti.
Le indagini sono attualmente in corso.
4) Titoli di odontoiatria conseguiti da cittadini italiani in Romania.
Occorre richiamare le vicende già segnalate a proposito della citata «Accademia europea degli studi a distanza», che aveva a suo tempo intessuto rapporti irregolari con atenei della Romania. Infatti, se - come già ricordato - un filone d'indagine da parte delle Procure italiane ha riguardato i titoli polacchi di «Lekarza Stomatologi», un altro filone, condotto dalla procura di Firenze, riguarda i titoli conseguiti in Romania presso alcuni atenei, in particolare l'università «Popa» di Iasi.
Il meccanismo con il quale sarebbero stati conseguiti detti titoli da cittadini italiani è identico a quello già illustrato per i titoli polacchi. Nel caso di questa indagine, le procure italiane si sono avvalse di una rogatoria internazionale.
Di recente la rappresentanza diplomatica italiana a Bucarest ha trasmesso un documento nel quale la citata università «Popa» di Iasi comunica a questo Ministero l'annullamento di ben 62 titoli in possesso di altrettanti cittadini italiani.
Tra questi, alcuni nominativi sono ben noti, in quanto si tratta di cittadini in possesso anche del titolo polacco di «Lekarza Stomatologi».
Si osserva, inoltre, che già prima dell'entrata della Romania nell'Unione europea erano giunte informazioni a questo Ministero circa il fatto che numerosi cittadini italiani avevano ed avrebbero ottenuto il rilascio di titoli abilitanti all'esercizio di professioni sanitarie in Romania, senza un regolare percorso di studi.
La questione è relativa, in particolare, ai titoli denominati «doctor medic stomatolog», abilitanti all'esercizio della professione di odontoiatra.
Da successive notizie e segnalazioni pervenute nel tempo, il Ministero della salute è venuto a conoscenza del fatto che il conseguimento di tali titoli avveniva senza la regolare frequenza delle lezioni, senza sostenere effettivamente gli esami di rito e senza conoscere il romeno, lingua in cui sono impartite le lezioni. Secondo tali segnalazioni, i cittadini coinvolti, molti dei quali nel frattempo hanno continuato a soggiornare e a svolgere il proprio lavoro in Italia, non avevano frequentato corsi ordinari di studio, bensì corsi «ad hoc», per i quali erano previsti sia un ridotto numero
di ore di frequenza sia ulteriori agevolazioni anche al momento degli esami.
Tali segnalazioni hanno trovato conferma in un dossier trasmesso a questo Ministero nel giugno 2008, per il tramite della rappresentanza diplomatica italiana a Bucarest, da parte del Presidente della commissione salute del Parlamento romeno.
Secondo quanto riferito in questo dossier, a corredo del quale erano state prodotte copie di titoli di studio conseguiti in Romania, numerosi cittadini italiani avrebbero ottenuto presso università romene (ed in particolare l'università di Oradea) titoli accademici senza aver seguito un regolare corso di studi, senza conoscere il romeno e l'inglese ( lingue in cui è impartita la didattica in Romania), senza aver frequentato regolarmente le lezioni teoriche e pratiche, previste dagli ordinamenti didattici nazionali, e senza soggiornare regolarmente in Romania.
In tale occasione, questo Dicastero ha altresì appreso che in Romania erano in corso indagini da parte della procura nazionale anticorruzione, al fine di accertare la portata del fenomeno ed i possibili responsabili.
In considerazione del fatto che questo Ministero non era - e sostanzialmente non è a tutt'oggi - in grado di distinguere i cittadini italiani che hanno regolarmente seguito un corso di studi da coloro che non lo hanno effettuato, si è ritenuto di assumere un atteggiamento estremamente prudenziale, operando una netta distinzione rispetto alle istanze avanzate dai cittadini romeni, per le quali si è proceduto nel rispetto delle modalità e dei tempi previsti dalla direttiva 2005/36/CE.
In questo contesto sono state prese diverse iniziative volte ad acquisire informazioni puntuali - presso le competenti autorità romene - su ciascuno dei cittadini italiani che avevano presentato istanza presso questo Ministero.
Nel contempo, il Ministero della salute ha altresì richiesto il supporto di altre amministrazioni, quali il Dipartimento per le politiche comunitarie della Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero degli affari esteri.
In particolare, si è sollecitato un coinvolgimento della Commissione europea che, a parere di questo Ministero, doveva essere messa a conoscenza della questione, anche in considerazione delle difficoltà che l'Italia stava affrontando nell'applicazione della direttiva 2005/36/CE.
Infatti, un ulteriore elemento di preoccupazione nasceva dal fatto che, considerato l'atteggiamento prudenziale sopra accennato, questo Ministero non era in grado di rispettare i termini previsti dalla citata direttiva per il riconoscimento dei titoli, con il conseguente possibile avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea nei confronti del nostro Paese.
Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, nel dicembre 2008 il Ministero degli affari esteri ha reso noto a questo Dicastero che era stata intrapresa un'azione congiunta, da parte delle rappresentanze permanenti a Bruxelles d'Italia e di Romania, presso la Commissione europea.
In quella sede, le due rappresentanze avevano segnalato, all'allora Capo unità competente della Direzione generale per il mercato interno della Commissione, i problemi che si stavano ponendo nell'attuazione della direttiva 2005/36/CE.
Secondo quanto riportato nella nota a verbale del Ministero degli affari esteri, le autorità romene avevano confermato la particolare situazione venutasi a creare a seguito della scoperta di possibili abusi legati al conseguimento di titoli da parte di cittadini italiani, senza la regolare frequenza dei corsi e senza la conoscenza del romeno e dell'inglese.
Invece, da parte italiana, era stata fatta presente l'impossibilità di rispettare i termini previsti dall'articolo 51 della direttiva 2005/36/CE, relativa alla procedura di riconoscimento dei titoli professionali, almeno fino a quando, grazie alla collaborazione delle autorità romene, non si fosse stati in grado di poter prendere una posizione definitiva e certa sui singoli casi.
Le legittime istanze dell'Italia e la necessità che, attraverso il diritto comunitario, non si aggirasse la normativa interna, erano state condivise dal rappresentante
della Commissione, il quale, nel corso della riunione aveva assicurato che, in considerazione delle oggettive difficoltà dell'Italia a procedere nei riconoscimenti in questione, nessuna procedura di infrazione sarebbe stata attivata nei suoi confronti per il superamento dei termini della direttiva. Al momento dette assicurazioni sono state rispettate.
È necessario sottolineare sia che, all'epoca, è stata la Romania a denunciare e confermare eventuali illeciti sia l'estrema criticità di tutta la questione, atteso che ben 13 università erano sottoposte a verifiche.
In sostanza, quindi, sia le autorità romene sia la Commissione europea hanno avvalorato e supportato l'atteggiamento di cautela e rigore tenuto da questo Ministero nei confronti delle lauree in odontoiatria conseguite in Romania da cittadini italiani.
Detto ciò, a prescindere dalle questioni relative ai titoli non validi, i contenuti in esame dell'interrogazione fanno riferimento a «lunghi ritardi», sia per quanto riguarda i provvedimenti autorizzativi sia per i provvedimenti di rigetto.
A tal riguardo, si segnala che il Ministero della salute ha proceduto ad effettuare una ricognizione, relativa al periodo compreso tra l'11 gennaio 2010 ed il 20 ottobre 2010.
Tale ricognizione ha riguardato sia il numero di dossier relativi ad istanze di riconoscimento pervenuti in tale periodo sia il numero dei provvedimenti e dei certificati emessi nello stesso arco di tempo.
La ricognizione è stata effettuata reperendo i dati dal protocollo informatico. Nel periodo sopra indicato, sono pervenuti a questo Dicastero 4.879 nuovi dossiers relativi ad istanze di riconoscimento avanzate da cittadini comunitari e non comunitari.
Nello stesso periodo sono stati emessi:
a) 3.066 decreti di riconoscimento di titoli;
b) 215 decreti di attribuzione di misure compensative, al cui superamento è stato subordinato il riconoscimento del titolo;
c) 1.718 attestati di conformità. In merito, occorre precisare che, a fronte di un fascicolo in entrata, possono essere contestualmente avanzate più istanze e si può, quindi, rendere necessario il rilascio di più di un attestato;
d) 500 provvedimenti di diniego;
e) 710 comunicazioni di motivi ostativi.
I dati in tal modo riscontrati non sembrano avvalorare l'ipotesi di lunghi ritardi e di inerzia, posto che le attività svolte ed i provvedimenti emessi nel primo trimestre del 2010 potrebbero essere riconducibili a dossiers pervenuti nell'ultimo periodo dell'anno 2009, e tenuto conto che il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, all'articolo 16, dispone che l'autorità competente deve provvedere, entro tre mesi dalla presentazione della documentazione completa, ad adottare le proprie determinazioni con provvedimento motivato, e considerato che nella quasi totalità dei casi le istanze, al momento della loro presentazione, non sono corredate da tutta la documentazione indispensabile per il perfezionamento dell'istruttoria e che, per tale motivo, si rende necessario, da parte di questo Ministero, un supplemento istruttorio con richiesta agli istanti di integrazione della documentazione mancante.
Inoltre, si segnala l'attivazione, avvenuta il 10 novembre 2010, del «servizio di front-office». Attraverso tale servizio, gli utenti, contattando un numero telefonico all'uopo dedicato, possono fissare agevolmente un appuntamento presso la competente Direzione generale di questo Ministero con i referenti delle singole pratiche.
Nella stessa ottica si inserisce il progetto, in corso di studio, per la realizzazione di un sistema di «workflow», il quale avrà un duplice scopo. Da una parte consentirà il monitoraggio in tempo reale dello stato di avanzamento delle singole pratiche, onde meglio garantire il rispetto dei tempi previsti dalle norme; dall'altra, consentirà agli utenti di interagire con il sistema, permettendo loro di controllare direttamente lo stato delle pratiche che li riguardano.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
ZACCHERA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la signora Togna Giuseppina, nata a Trecate (Novara) il 16 marzo 1942 - titolare di omonima azienda agricola - ha presentato domanda per i contributi PAC relativi alla sua attività per diversi anni con relativa liquidazione dei contributi;
per il 2006 la domanda aveva il numero 69802333504;
per il 2007 la domanda aveva come numero 70800266143;
le sono stati liquidati contributi negli anni precedenti e successivi il biennio, mentre ancora la liquidazione non è giunta per queste due annualità;
il versamento del previsto contributo è essenziale per la continuità dell'azienda;
invano si è già intervenuti sugli uffici regionali dei Piemonte preposti alla liquidazione -:
quali siano i motivi del ritardo, se i rimborsi siano stati contabilizzati e se e quando si procederà alla loro liquidazione.
(4-08576)
Risposta. - L'interrogazione in esame concerne il pagamento di contributi, politica agricola comune alla signora Giuseppina Togna, titolare dell'omonima azienda agricola, relativi alla sua attività per il biennio 2006 e 2007.
Al riguardo faccio presente che sull'argomento è stata interessata Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura che, in merito alla domanda relativa all'anno 2006, consultato l'organo pagatore competente, ha precisato che risulta decretato ed erogato un importo pari a 12.326,29 euro tramite bonifico bancario emesso dalla banca San Paolo Imi Spa con valuta 6 aprile 2007. Sono, comunque, in corso di ultimazione ulteriori procedure di riciclo dei pagamenti.
In merito alla situazione relativa ai pagamenti domanda unica 2007, invece, la beneficiaria risulta aver percepito sinora 12.982,78 euro.
Vorrei inoltre evidenziare che la pratica presentava inizialmente uno scostamento dell'11,15 per cento determinato dalle anomalie presenti in domanda. La trattenuta sull'importo richiesto risultava pari a circa 5.957 euro, costituita da superficie non pagabile e da penalità calcolate in funzione dello scostamento.
Pertanto, a fronte di tale situazione, il Centro Assistenza Agricoltura mandatario - Coldiretti Novara - ha presentato istanza per il riesame della pratica all'organismo pagatore regionale agenzia regionale piemontese per le erogazioni in agricoltura che, a seguito delle risultanze dell'istruttoria, ha disposto il reintegro dell'importo mancante nel prossimo pagamento, dopo aver risolto e sanato le suddette anomalie.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.
ZACCHERA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
presso la stazione ferroviaria di Verbania vi è una zona dove in tempi passati era esistente un «binario militare» da ormai decenni non più utilizzato;
in zona vi è una acuta mancanza di parcheggi ed i lavori di costruzione del «Movicentro» di Verbania ulteriormente riducono gli spazi adibibili alla sosta delle autovetture, soprattutto dei lavoratori pendolari che ogni mattina devono recarsi a Milano;
l'area già del binario militare potrebbe essere utilmente utilizzata a fine di parcheggi con lavori a carico delle amministrazioni locali -:
se il Ministro intenda cedere in uso, o definitivamente, agli enti locali la zona della stazione ferroviaria di Verbania Fondotoce dove esisteva il predetto binario militare, ai fini di pubblica utilità.
(4-09506)
Risposta. - In relazione a quanto chiesto con interrogazione in esame comunico che gli organi tecnici dell'amministrazione
militare hanno espresso parere favorevole alla cessazione del vincolo di servitù sul piano caricatore ferroviario di Pallanza-Verbania.
In ragione di ciò, il bene in argomento non risulta più utile ai fini istituzionali della Difesa.
Rendo noto, pertanto, che la competente direzione generale sta già avviando le conseguenti azioni volte alla dismissione dell'aliquota del bene in parola.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.
ZACCHERA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
nonostante molte difficoltà permane sui laghi interni - e segnatamente quelli prealpini e dell'Italia centrale - un'attività economica di pesca di mestiere di non trascurabile importanza;
il settore si trova a far fronte a problematiche importanti e non ha aiuti specifici -:
se non si ritenga di dover promuovere l'estensione, alla pesca di mestiere nelle acque interne, per quanto applicabili, delle norme e degli aiuti previsti per la pesca marina, con particolare riguardo ai contributi per l'acquisto e la manutenzione delle imbarcazioni e delle attrezzature di pesca nonché dei carburanti direttamente impegnati nelle attività di pesca.
(4-09507)
Risposta. - L'interrogazione in esame riguarda l'estensione delle norme e degli aiuti previsti per la pesca professionale marittima a quella praticata nelle acqua interne.
Al riguardo, devo anzitutto precisare che la competenza generale in materia di pesca professionale in acque interne è affidata in via esclusiva alle amministrazioni locali.
Peraltro la mia Amministrazione, nell'ambito del Fondo europeo per la pesca (Fep) di cui al Regolamento CE n. 1198 del 2006, con la misura «Pesca nelle acque interne - Asse 2», ha già previsto di finanziare, tramite le amministrazioni regionali, interventi relativi alla destinazione di navi operanti nelle acque interne ad altre attività e ad investimenti per attrezzature (al fine di migliorare la sicurezza, le condizioni di lavoro, l'igiene e la qualità del prodotto e l'impatto ambientale), nonché misure per l'arresto temporaneo.
Tutti gli interventi sono previsti dall'articolo 33 del Reg. CE 1198/06 e dall'articolo 13 del Reg. (CE) 498/2007 e sono attuati secondo le prescrizioni del vademecum della Commissione europea.
In particolare, i soggetti ammissibili a finanziamento sono gli operatori del settore in possesso della licenza di pesca professionale per le acque interne.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.
ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
si moltiplicano le segnalazioni circa un progressivo deterioramento delle condizioni dei profughi che da altre nazioni africane sono fermati in Libia nel tentativo di emigrare verso l'Europa e in particolare verso l'Italia -:
se i nostri rappresentanti diplomatici in Libia abbiano la possibilità di verificare o meno quale sia esattamente la situazione;
quali iniziative l'Italia - anche congiuntamente alle altre nazioni europee - abbia comunque avviato per verificare se in Libia vengano osservati i diritti dei rifugiati e dei migranti e quali iniziative di carattere umanitario siano state concretamente realizzate.
(4-09994)
Risposta. - La Libia è uno dei principali Paesi di transito dei flussi migratori irregolari che alimentano, dall'Africa sub-sahariana all'Europa, l'odioso fenomeno della tratta di esseri umani. Tripoli rappresenta pertanto un partner di fondamentale importanza per l'Italia e per l'Ue nel
quadro della collaborazione nel settore migratorio e, in tale ambito, nelle attività di contrasto delle organizzazioni criminali dedite allo sfruttamento dell'immigrazione clandestina e nella tutela, con l'indispensabile concorso delle organizzazioni multilaterali, delle persone che necessitano di protezione internazionale.
La Libia, pur non avendo ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato, è parte della Convenzione dell'organizzazione per l'unità africana del 1969 relativa a specifici aspetti della problematica dei rifugiati in Africa, testo riconosciuto dall'United motions high commissioner for refugees e complementare alla Convenzione di Ginevra, che impegna a garantire lo status di rifugiato secondo i criteri della stessa Convenzione.
La presenza in Libia dell'Unhcr è essenziale per garantire un'adeguata tutela delle vittime del traffico di esseri umani.
Si ricorda infatti che un ufficio dell'Alto Commissario operava a Tripoli fin dal 1991, formalmente sotto il «cappello» United motions development programme, ed autorizzato in via di fatto dalle autorità libiche a vagliare le posizioni dei richiedenti asilo: a marzo 2009 erano 7.473 i rifugiati riconosciuti in Libia dall'Unhcr con documenti di identità rilasciati dal predetto ufficio di Tripoli.
La Libia ha inoltre consentito dal 2004 numerose operazioni di reinsediamento, permettendo all'Unhcr (insieme all'ufficio Oim di Tripoli) di effettuare lo screening dei richiedenti asilo trattenuti a Misurata e in altri campi. Si segnalano in proposito le operazioni di identificazione e riconoscimento dello status di rifugiato a cittadini eritrei irregolarmente presenti in territorio libico ed il loro successivo reinsediamento (resettlement) in diversi Paesi europei, fra cui l'Italia.
Fin dai primi momenti dalla notizia della decisione delle autorità libiche di chiudere l'ufficio dell'Unhcr a Tripoli, l'Italia ha svolto una tempestiva azione di sensibilizzazione nei confronti del Governo di Tripoli (il Ministro degli affari esteri, Franco Frattini ha fortemente sensibilizzato il suo omologo libico, anche inviandogli una lettera sulla questione), auspicando l'avvio di un negoziato diretto con l'Alto commissariato per la definizione di un accordo di sede che consenta la piena operatività dell'Unhcr in Libia.
Anche grazie a tale azione, le autorità libiche hanno parzialmente modificato la propria decisione, consentendo la prosecuzione delle attività e dei progetti che fanno capo all'Unhcr in Libia. È stato inoltre avviato il negoziato diretto tra Tripoli e l'Alto commissariato nel senso da noi auspicato. Lo stesso Alto commissariato ci ha dato atto, in più occasioni, che tali sviluppi positivi sono stati resi possibili grazie all'azione che abbiamo svolto e che continuiamo a svolgere nei confronti di Tripoli. L'ampiezza delle problematiche di cui trattasi ci ha da tempo indotto ad affermare e a ribadire in più occasioni, la necessità di un maggior impegno dell'Ue nei confronti della Libia, anche al fine di non lasciare sola l'Italia nella collaborazione con Tripoli in tale delicato settore. In tal senso conduciamo da tempo una forte e coerente azione di sensibilizzazione e di stimolo nelle opportune sedi comunitarie.
Grazie anche a tale azione, il 4 ottobre 2010 i Commissari europei Malmstrom e Fule hanno sottoscritto con i Ministri libici degli affari esteri e dell'interno un protocollo d'intesa per la cooperazione nel settore migratorio che prevede, tra le altre cose: iniziative congiunte nel settore della cooperazione allo sviluppo nei Paesi africani di origine degli immigrati irregolari; il rafforzamento del dialogo e della collaborazione nelle attività di contrasto delle organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani; lo sviluppo delle capacità di assistenza ai migranti e richiedenti asilo delle autorità libiche. Un ampio volet migratorio è inoltre previsto dall'accordo quadro Ue-Libia tuttora in fase negoziale (il nono incontro con la controparte libica ha avuto luogo a Tripoli l'11 novembre 2010 e il prossimo è previsto a Bruxelles nei primi mesi del 2011).
In definitiva, il Governo italiano è determinato a continuare a svolgere una discreta azione di sensibilizzazione su Tripoli affinché possa essere concluso l'accordo
di sede tra Libia e Unhcr, che garantisca la piena operatività in Libia dell'Alto commissariato, nonché a proseguire in ambito comunitario l'azione di stimolo per l'ulteriore, concreto sviluppo della collaborazione tra l'Ue e la Libia nel settore migratorio e, in tale quadro, per il rafforzamento delle capacità di assistenza ai migranti e richiedenti asilo delle autorità libiche.
Per quanto riguarda più in generale i diritti dei rifugiati e dei migranti in Libia, l'articolo 6 del trattato bilaterale di amicizia, in vigore dal 2009, richiama il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sancendo l'impegno delle Parti ad agire conformemente agli obiettivi e ai principi della Carta dell'Organizzazione delle Nazioni unite e della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.
ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la situazione in Eritrea appare sempre più tragica;
a parte gli aspetti economici, la disoccupazione, la fame, i problemi che attanagliano la stragrande maggioranza della popolazione nel paese non vi è alcuna libertà politica;
sempre più numerosi sono gli eritrei che fuggono dal paese alla ricerca di un futuro migliore;
l'Italia ha sempre avuto con questa nazione un rapporto di amicizia particolare anche per il lungo periodo coloniale durante il quale il nostro Paese aveva dato ben diverso sviluppo a questo Paese -:
quali siano oggi le iniziative di carattere politico ed economico che l'Italia porta avanti nel tentativo di migliorare la situazione in Eritrea;
se non si ritenga di dover avviare un programma straordinario di presenza del nostro Paese in quella nazione;
se non si ritenga che una particolare iniziativa vada presa nei confronti dei profughi eritrei che spesso in modo tragico cercano di lasciare il Paese ma - giunti nei pressi del nostro territorio - vengono respinti senza che di fatto possano evidenziare la loro situazione di profughi politici.
(4-09995)
Risposta. - A seguito delle particolari criticità verificatesi in Eritrea si è dato origine ad un flusso di profughi che da quel Paese si unisce alle rotte della migrazione illegale verso il nord Africa per arrivare successivamente in Europa.
L'Italia è ritenuta dai principali partner europei, dagli Stati Uniti e dal mondo arabo il naturale canale di comunicazione tra Asmara e l'occidente. È dunque in atto un delicato e complesso processo di riavvicinamento bilaterale. Il dialogo mira non solo a far ripartire le relazioni tra i due Stati avviando a soluzione i contenziosi pendenti - in particolare riguardo le critiche condizioni in cui versa la comunità di connazionali colà residente, per esempio - ma anche a sensibilizzare le autorità sull'importanza del rispetto dei diritti umani e della promozione delle libertà fondamentali. Tali temi hanno infatti formato oggetto di discussione nei ripetuti incontri bilaterali e del dialogo politico con quelle autorità in ambito europeo: negli ultimi due anni, infatti, tre sessioni del dialogo previste dell'articolo 8 dell'accordo di Cotonou, che le ambasciate europee intrattengono con quel Governo, sono state dedicate ai diritti umani.
Sempre in ambito bilaterale, è stato istituito un tavolo congiunto, convocato per la prima volta a Roma nel mese di ottobre 2010, che si riunisce a cadenza semestrale alternativamente a Roma ed Asmara. Il suo scopo principale è di non limitare i rapporti tra i due Paesi nella soluzione di contenziosi esistenti e guardare altresì in prospettiva al rafforzamento delle relazioni culturali, economiche e commerciali. La prima
sessione del tavolo è stata dedicata allo status ed alla missione delle scuole italiane, per cooperare con le autorità ed attuare una revisione dell'offerta scolastica tenendo presente le esigenze eritree (programmi formativi maggiormente orientati verso discipline tecnico-scientifiche), pur nel rispetto della centralità della missione delle nostre scuole nel Paese, ossia la promozione e la diffusione della lingua e cultura italiana ad ogni livello scolastico.
Avendo sempre a riguardo le relazioni culturali, è stato altresì organizzato, nel mese di ottobre 2010 presso la sede della Società geografica italiana, un convegno italo-eritreo a cui è stato invitato, tra gli altri, il Direttore generale del Museo nazionale eritreo, Yosief Lebsekal. Il seminario, che nasce dall'esigenza di approfondire l'analisi dei principali problemi e delle opportunità che discendono dallo sviluppo della cooperazione bilaterale, è stato dedicato in particolare ad una riflessione sul comune patrimonio culturale e sulla necessità di salvaguardare e riqualificare il patrimonio architettonico della capitale eritrea e di Massaua, al quale, come è noto, gli architetti italiani hanno dato un rilevantissimo contributo.
Importante è inoltre lo sviluppo delle relazioni commerciali, nella consapevolezza che la crescita economica rappresenti un fattore determinante per contribuire a creare le condizioni idonee a bloccare il flusso di cittadini eritrei che fuggono dal Paese. Alla promozione degli investimenti italiani in Eritrea sarà presumibilmente dedicata la seconda sessione del tavolo congiunto, che si terrà nel corso del 2011.
È bene considerare che l'involuzione democratica del regime eritreo affonda le sue radici nello stato di mobilitazione perenne al quale esso sottopone la popolazione per fare fronte alla minaccia militare dell'Etiopia che, come è noto, occupa in violazione del diritto internazionale alcuni territori eritrei, in particolare la città di Badme. La stabilizzazione del contesto regionale rappresenta dunque una prerogativa necessaria per favorire l'avvio di un graduale processo di democratizzazione dei Paesi del Corno d'Africa. Per tale motivo, l'Italia è particolarmente impegnata sia in ambito bilaterale che in quello europeo per contribuire alla normalizzazione delle relazioni tra Asmara ed Addis Abeba, nella consapevolezza che la risoluzione di tale conflitto congelato possa arrecare grande beneficio alla regione, dal punto di vista diplomatico, economico e democratico.
Per quanto attiene la questione dei profughi eritrei occorre dire che stiamo mantenendo continui contatti anche con i soggetti internazionali più interessati alla questione, quali l'Alto commissariato per i diritti umani (Unhcr) e l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). L'Unhcr è preoccupata per la sorte del gruppo di persone da oltre un mese tenuto in ostaggio da trafficanti nel deserto del Sinai, ed ha emesso un comunicato in cui riferisce di passi fatti al Cairo sul Ministero dell'interno egiziano, che avrebbe dato assicurazioni sugli sforzi messi in atto. Nonostante ciò, l'atteggiamento dell'Unhcr appare piuttosto cauto per l'impossibilità dell'organizzazione di intervenire sul terreno nel Sinai e per l'inquadramento del caso nel più generale problema dei flussi misti Egitto-Israele. Per quanto riguarda l'Oim, che segue da tempo i flussi migratori che attraversano l'Egitto, e per i quali ha recentemente presentato una proposta di collaborazione alle autorità egiziane, essa non ha segnalato di disporre di informazioni aggiuntive rispetto a Unhcr. Al Cairo, la nostra Ambasciata continua altresì a coordinare lo scambio di informazioni tra alcune rappresentanze di Paesi europei, oltre che con la Nunziatura e l'Ambasciata d'Israele. Essa ha anche sollevato la questione con la delegazione dell'Unione europea che, su segnalazione italiana, ha compiuto interventi sul Ministero degli esteri egiziano presso il dipartimento dei diritti umani, al fine di ottenere informazioni circa lo stato dei fatti.
Verifiche sono state disposte da tutte le autorità egiziane competenti che, nell'assicurarci che verrà fatto ogni approfondimento sul caso in questione, hanno precisato che a loro giudizio l'episodio si inquadra nel più generale fenomeno del continuo flusso di emigranti africani (sudanesi, eritrei,
etiopici e somali) che, entrando da Kassala, attraversano il Sudan, l'Egitto ed il Sinai per cercare di arrivare in Israele o in altre destinazioni (si tratta di un flusso migratorio che non punta all'Italia o all'Europa).
In termini generali, il fenomeno di eritrei, etiopi e sudanesi che attraversano il confine meridionale dell'Egitto (dal Sudan) per passare in Israele attraverso il Sinai, è noto da tempo e dal 2000 è in consistente aumento. Le cifre attuali parlano di 1.000-2.000 transiti mensili verso Israele (nonostante la frontiera sia fortemente presidiata). È anche noto che si registrano scontri a fuoco al confine meridionale, soprattutto con la Striscia di Gaza, che coinvolgono polizia egiziana ed israeliana da un lato e trafficanti dall'altro. Sono assolutamente aleatorie le cifre delle vittime: per il 2010 si parla di 40 persone, cifra resa nota dall'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite. Il Governo egiziano ha comunicato che anche 14 poliziotti sarebbero morti nei diversi scontri a fuoco.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.
ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
si rinnovano in questi giorni gli appelli alla Unione europa perché si intervenga a titolo umanitario a favore dei profughi eritrei, somali, sudanesi ed etiopi che le autorità egiziane avrebbero segregato nella zona del Sinai;
alcuni di essi sarebbero stati uccisi, torturati e torturati dalle autorità egiziane;
l'Egitto fa parte delle principali organizzazioni internazionali umanitarie e si è impegnato a rispettare i diritti dell'uomo e dei migranti -:
se l'Italia si sia dichiarata preoccupata per la situazione di questi profughi e quali altre notizie siano state in merito raccolte dalle nostre autorità diplomatiche;
se siano state avviate specifiche iniziative di carattere umanitario;
quali iniziative diplomatiche l'Italia abbia avviato nei confronti delle autorità egiziane per segnalare l'insostenibilità di questa situazione.
(4-09997)
Risposta. - In relazione alla questione dei profughi eritrei che, secondo le segnalazioni ricevute, sarebbero stati sequestrati da trafficanti e tenuti in ostaggio nel Sinai, va ribadito che il Governo italiano, mosso da motivazioni umanitarie, si è immediatamente attivato al più alto livello con le autorità egiziane, rappresentando l'attenzione e la sensibilità con cui le istituzioni italiane e l'opinione pubblica guardano alla vicenda, esprimendo loro il vivo auspicio che si possa arrivare rapidamente ad una soluzione positiva.
La nostra Ambasciata al Cairo ha continuato a seguire e monitorare con la massima attenzione la questione, mantenendo stretti contatti operativi con le autorità egiziane competenti (attraverso un'azione di consultazione a tutti i livelli con il Ministero degli affari esteri ed il Ministero della famiglia e della popolazione), con le organizzazioni internazionali e non governative più coinvolte nella vicenda e con la delegazione dell'Unione europea. A fronte del silenzio ufficiale delle autorità egiziane, undici organizzazioni non governative egiziane per i diritti umani hanno espresso la loro «profonda indignazione» per la conduzione della vicenda ed hanno lanciato un nuovo appello affinché il governo egiziano intervenga immediatamente per salvare i profughi. Da recenti verifiche presso i nostri canali, si segnala che 27 immigrati africani, di nazionalità eritrea (15), etiope (9) e sudanese (3), che sarebbero stati prima rilasciati in seguito al pagamento del riscatto e successivamente arrestati dalla polizia egiziana per immigrazione illegale, sarebbero stati consegnati alle rispettive ambasciate al Cairo, dopo essere stati interrogati dalle forze dell'ordine, nel tentativo di ricavare informazioni sui luoghi e le modalità d'azione dei beduini.
Si ritiene utile ricordare che, al di là del silenzio sulle azioni intraprese, che potrebbe essere giustificato dalla volontà di discrezione assoluta, le autorità egiziane hanno sempre evidenziato, nei contatti intercorsi, come il Governo e le forze di sicurezza siano impegnati in prima linea nel contrasto dei traffici di esseri umani condotti dai beduini nel Sinai, ed in generale (sotto impulso diretto della First Lady Suzanne Mubarak e del Ministro per la famiglia e la popolazione, Mushira Khattab) ad ogni forma di sfruttamento e di abuso nei confronti della persona umana.
Nell'assicurarci che verrà svolto ogni ulteriore approfondimento sul caso in questione, i cui esatti contorni non sono ancora del tutto chiariti, le stesse autorità egiziane hanno precisato che a loro giudizio l'episodio si inquadra nel più generale fenomeno del continuo flusso di emigranti africani che attraversano il Sudan, l'Egitto e il Sinai per cercare di arrivare in Israele o in altre destinazioni (trattandosi dunque di un flusso migratorio che non punta all'Italia o all'Europa): Il fenomeno è noto da tempo e dal duemila è in consistente aumento. Le cifre attuali parlano di 1.000-2.000 transiti mensili verso Israele (nonostante la frontiera sia fortemente presidiata).
Il Ministro degli esteri egiziano ha al riguardo rilasciato una dichiarazione da cui emerge la delicatezza della questione per il Governo egiziano. Egli ha in particolare affermato di essere a conoscenza di tentativi di contrabbandare individui attraverso il Sinai, ciò che l'Egitto cerca di impedire. Le autorità egiziane ritengono peraltro che nella vicenda, come in altre legate alla sicurezza e alla stabilità nel Sinai, il loro Paese sia «vittima» e non responsabile.
Da parte nostra, abbiamo intrapreso contatti anche con i principali organismi internazionali competenti, quali l'Alto commissariato per i diritti umani (Unhcr) e l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). L'Unhcr ha compiuto passi sul Ministero dell'interno egiziano, che avrebbe fornito assicurazioni sugli sforzi messi in atto. L'Oim, che segue da tempo la problematica dei flussi migratori che attraversano l'Egitto, non è al momento in possesso di informazioni aggiuntive rispetto all'Unhcr.
Quanto all'interessamento dell'Unione europea, dopo aver sensibilizzato la Commissione sull'importanza che attribuiamo alla vicenda, abbiamo segnalato la questione alla delegazione dell'Unione europea al Cairo, che ha compiuto un primo passo presso il Ministero degli esteri egiziano, al fine di ottenere informazioni ed avviare possibili iniziative, cui da parte italiana non si mancherebbe di concorrere. Il 19 dicembre il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione «sui rifugiati eritrei tenuti in ostaggio nel Sinai», che ha accolto il testo della mozione presentata dal Partito popolare europeo, fortemente sostenuta dagli europarlamentari italiani Pier Ferdinando Casini e Mario Mauro.
Il testo saluta con favore gli sforzi messi in atto dalle autorità egiziane per verificare quanto emerso dal rapporto dell'Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati, ma sollecita le stesse anche «a prendere tutte le misure necessarie per assicurare la liberazione degli eritrei tenuti in ostaggio». Il Parlamento europeo chiede inoltre alle autorità egiziane di «evitare l'uso di metodi repressivi e violenti contro gli immigrati clandestini che attraversano i confini del Paese» e le invita a «proteggere la dignità dei profughi e la loro integrità fisica e psicologica, garantendo che tutti quelli che si trovano in stato di detenzione nel Paese o chiedano asilo politico possano entrare in contatto con l'Alto commissario Organizzazione delle Nazioni unite». Il Governo sta continuando a seguire con la massima attenzione la questione, insieme agli organismi internazionali, all'Unione europea e ai governi interessati, per superare questa drammatica vicenda umanitaria e giungere alla liberazione dei prigionieri.
Non vi è dubbio che la questione dei profughi fuggiti dalla Libia richieda un maggior impegno dell'Ue anche nei confronti di quel Paese, al fine di non lasciare sola l'Italia nella collaborazione con Tripoli in tale delicato settore. In tal senso conduciamo da tempo una forte e coerente
azione di sensibilizzazione e di stimolo nelle opportune sedi comunitarie. Grazie anche a tale azione, il 4 ottobre 2010 i Commissari europei Malmstrom e Fule hanno sottoscritto con i Ministri libici degli affari esteri e dell'interno un protocollo d'intesa per la cooperazione nel settore migratorio che prevede, tra le altre cose: iniziative congiunte nel settore della cooperazione allo sviluppo nei Paesi africani di origine degli immigrati irregolari; il rafforzamento del dialogo e della collaborazione nelle attività di contrasto delle organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani; lo sviluppo delle capacità di assistenza ai migranti e richiedenti asilo delle autorità libiche. Un ampio volet migratorio è inoltre previsto dall'accordo quadro Ue-Libia tuttora in fase negoziale (il nono incontro con la controparte libica ha avuto luogo a Tripoli l'11 novembre 2010 e il prossimo è previsto a Bruxelles nei primi mesi del 2011).
La presenza in Libia dell'Unhcr è essenziale per garantire un'adeguata tutela delle vittime del traffico di esseri umani. La Libia è peraltro parte della Convenzione dell'organizzazione per l'unità africana del 1969 relativa ad aspetti specifici della problematica dei rifugiati in Africa, testo complementare alla Convenzione di Ginevra, riconosciuto dall'Unhcr che impegna a garantire lo status di rifugiato secondo, i criteri di Ginevra.
Il Governo italiano è determinato a continuare a svolgere una discreta azione di sensibilizzazione su Tripoli affinché possa essere concluso l'accordo di sede tra Libia e Alto commissariato delle Nazioni unite, per una piena operatività in Libia dell'Unhcr, nonché a proseguire in ambito comunitario la nostra azione di stimolo per lo sviluppo in concreto della collaborazione tra l'Ue e la Libia nel settore migratorio e, in tale ambito, per il rafforzamento delle capacità di assistenza ai migranti e richiedenti asilo delle autorità libiche.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.
ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in data 11 dicembre 2010 l'agenzia Habeshia ha segnalato che nella giornata sarebbero stati uccisi in Egitto due diaconi cristiano-ortodossi di origine eritrea nella zona del Sinai;
nei giorni scorsi vi sono stati numerosi altri scontri in Egitto a danno della parte di popolazione di fede cristiana copta e ortodossa;
la mancanza di protezione da parte delle forze dell'ordine alle minoritarie comunità cristiane in Egitto è evidente, cosi come i divieti a poter liberamente professare la propria fede e costruire nuove chiese -:
se l'Italia abbia manifestato preoccupazione per il deteriorarsi dei rapporti interreligiosi in Egitto;
quali iniziative diplomatiche l'Italia abbia avviato nei confronti delle autorità egiziane per segnalare l'insostenibilità di questa situazione.
(4-09998)
Risposta. - È opportuno distinguere, in linea generale, la condizione della comunità cristiana in Egitto dall'asserita uccisione di due diaconi cristiano-ortodossi di origine eritrea nella regione del Sinai egiziano. Per quanto riguarda la situazione dei cristiani in Egitto (la comunità copta costituisce circa il 10 per cento della popolazione egiziana, con concentrazioni maggiori nell'Alto Egitto), è innegabile che il quadro risulti complesso e contraddittorio in quanto, mentre sul piano legislativo vengono condannate le disparità di natura confessionale tra i cittadini egiziani, sul piano applicativo i non musulmani sono oggetto di discriminazioni, dato che in Egitto la Sharia viene espressamente indicata dalla Costituzione quale fonte primaria di diritto e l'Islam come religione di Stato. E, peraltro, proprio in base al criterio costituzionale di parità dei cittadini (che non impedisce che la confessione religiosa sia espressamente indicata sui documenti di identificazione egiziani) ai copti non è mai stato attribuito uno status di minoranza, che ne sancirebbe sia un'identità formalmente
riconosciuta che una differenziazione rispetto alla maggioranza della popolazione.
Relativamente al caso specifico dell'asserita uccisione dei due diaconi, si segnala comunque che, ad oggi, nonostante i continui contatti avviati anche dall'Ambasciata italiana al Cairo, non si hanno conferme ufficiali da parte delle autorità egiziane. Sulla questione i nostri interlocutori istituzionali continuano a mantenere il più assoluto riserbo. In mancanza di fonti attendibili, appare prematuro potere dare conferma o smentita, non disponendosi di alcuna informazione specifica al riguardo. Qualora il citato drammatico episodio dovesse però trovare effettiva conferma, si ritiene utile segnalare che esso apparirebbe riconducibile alla nota questione di cittadini eritrei presumibilmente tenuti in «ostaggio» in Sinai da clan di beduini e rispetto alla quale la Farnesina si è attivamente adoperata intervenendo con le autorità egiziane sia sul piano bilaterale che a livello europeo.
Secondo le informazioni disponibili, sembrerebbe che al momento siano presenti in Sinai circa 1500 emigrati africani di varie nazionalità in transito verso Israele. Di questi 1500, circa 250 di nazionalità eritrea sarebbero tenuti in «ostaggio» da predoni appartenenti a tribù beduine del Sinai egiziano, che richiederebbero il pagamento di consistenti somme di denaro per consentire il transito nel Sinai e l'attraversamento illegale della frontiera con Israele. A tale ultimo riguardo, sebbene negli scorsi giorni siano circolate alcune informazioni (diramate in primo luogo da Ong) in merito all'uccisione di alcuni degli «ostaggi» eritrei, nessuna fonte ufficiale e nessuno dei nostri canali informativi ha confermato le suddette notizie.
Inoltre, in tutti i contatti intercorsi, le autorità egiziane hanno sempre voluto evidenziare come il Governo e tutte le forze di sicurezza siano impegnati in prima linea per contrastare questi traffici di essere umani (e non solo) condotti dai beduini. In generale, gli egiziani ritengono che il loro Paese sia «vittima» non responsabile di tale fenomeno. Il Sinai è - come noto e come più volte segnalato anche dalla nostra Ambasciata - abitato da clan di beduini nomadi che spesso tentano di sfuggire al controllo delle autorità centrali, con cui sono spesso in stato di frizione per rivendicazioni di varia natura.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.
ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
sono ormai trascorsi molti mesi dal devastante terremoto che ha colpito Haiti causando migliaia di morti e grandi difficoltà economiche al Paese centroamericano;
sono stati segnalati nelle scorse settimane numerosi decessi per una epidemia di colera e violente proteste della popolazione locale contro le forze armate dell'ONU che presidiano il Paese -:
quale sia l'attuale situazione ad Haiti;
quali iniziative l'Italia abbia messo in campo per fronteggiare la crisi sanitaria ed economica del Paese;
quali elementi possa fornire il Governo italiano in merito all'operato delle forze ONU presenti ad Haiti;
quanti siano gli italiani oggi operanti nel Paese e per quali specifiche iniziative di aiuto e se ad esse partecipino anche agenzie governative o che vedano coinvolte il nostro Governo nell'azione di ricostruzione ed assistenza alla popolazione haitiana.
(4-10161)
Risposta. - L'epidemia di colera sviluppatasi sull'isola di Haiti ha fatto registrare, secondo i dati forniti dal Ministero della salute haitiano nello scorso mese di dicembre, 2.591 vittime e 63.711 casi di contagio. Particolarmente grave appare la situazione nel dipartimento della «Grande Anse» dove sono stati registrati oltre 4.000 casi con un tasso di mortalità pari all'8,4 per cento. Le necessità della popolazione riguardano, dunque, soprattutto l'accesso alle
cure mediche e all'acqua potabile nonché a migliori condizioni igienico-sanitarie.
Per far fronte a tale crisi, il Ministero degli affari esteri attraverso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) ha fornito il proprio sostegno, rispondendo, già nel mese di novembre 2010, all'appello lanciato dalla Federazione internazionale di croce rossa (Ficross) e della Mezza luna rossa, con un contributo del valore di 100.000 euro, destinato a sostenere le attività svolte dalle società nazionali di croce rossa impegnate sull'isola, per la potabilizzazione e la distribuzione di acqua, per la fornitura di medicinali anticolera e la promozione di buone pratiche igieniche.
È peraltro da segnalare l'attivo coinvolgimento della croce rossa italiana, impegnata, in particolare, nelle zone haitiane di «Arcahaie» e «Saint Marc» e nel costante monitoraggio del fabbisogno per l'ospedale di «Saint Marc» e i centri sanitari presenti nella sua area.
Il Ministero degli affari esteri collabora altresì con l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per fornire assistenza alle attività poste in essere da tale organizzazione internazionale. In tale ambito, la cooperazione italiana, nel quadro del meccanismo comunitario di coordinamento delle protezioni civili europee (Mic-Monitoring and Information Centre), ha messo a disposizione quattro kit medici per il trattamento del colera capaci di per poter curare 400 persone. Tali kit sono stati presi in carico dal dipartimento della protezione civile e successivamente inviati a «Port au Prince», insieme ad altri medicinali forniti dalle regioni Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Veneto ed Umbria, per essere consegnati all'Organizzazione mondiale della sanità.
È stato inoltre disposto a favore dell'Organizzazione mondiale della sanità un ulteriore contributo del valore di 300.000 euro a sostegno del piano nazionale di risposta al colera varato dal Ministero della salute haitiano. Il contributo sarà impiegato per realizzare le unità per il trattamento del colera in grado di assicurare alla popolazione le necessarie cure mediche e la fornitura dei farmaci che saranno distribuiti agli ospedali ed ai centri di trattamento già presenti nell'isola. Si aggiungono inoltre le attività di controllo e di monitoraggio della qualità dell'acqua, di promozione di buone pratiche igieniche e di rafforzamento dei sistemi di sorveglianza al fine di contenere la diffusione dell'epidemia.
In particolare nel mese di novembre 2010 la cooperazione italiana ha reso disponibile un proprio esperto per la missione compiuta dal team «Undac» («United nations disaster assessment and coordination») per valutare e coordinare gli interventi umanitari necessari per le conseguenze del passaggio della depressione tropicale «Thomas» a danno della popolazione haitiana, con riferimento particolare ad un'accelerazione nella diffusione dell'epidemia di colera in atto.
Tale contributo si inserisce nel quadro di interventi e di aiuti alla popolazione haitiana, avviati a seguito del violento terremoto che ha colpito l'isola il 12 gennaio del 2010. Già in quella occasione, infatti, la Farnesina si era prontamente attivata, in risposta agli appelli lanciati dalle organizzazioni internazionali e dalla Federazione internazionale di croce rossa e Mezza luna rossa, erogando un contributo pari a 2,5 milioni di euro. Tali risorse sono state destinate a fronteggiare la primissima assistenza umanitaria messa in atto da alcune delle principali organizzazioni internazionali presenti sull'isola - Oms, World food program, United nations development program (Undp) e Ficross - rispettivamente nei settori: sanitario (sostenendo anche la croce rossa locale), alimentare, e per la rimozione delle macerie. Erano stati inizialmente messi a disposizione dell'Oms anche 10 kit antitrauma utili alla cura di 500 feriti per un periodo di 3 mesi.
La cooperazione italiana ha altresì predisposto un volo d'emergenza, partito dal deposito umanitario delle Nazioni unite (Unhrd) di Brindisi il 19 gennaio 2010, con beni di prima necessità, quali tende, generatori, coperte, biscotti energetici e contenitori per l'acqua potabile per un valore complessivo pari a 565.000 euro. A seguito dell'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, emanata il 20 gennaio 2010, è
stato affidato al dipartimento della protezione civile il coordinamento dell'aiuto italiano al terremoto e quindi tali beni, una volta giunti ad Haiti, sono stati presi in carico dal personale di tale dipartimento presente in loco, ai fini di una loro pronta distribuzione ed utilizzo in favore della popolazione colpita.
È utile citare inoltre due progetti realizzati, con il contributo della cooperazione, dalle organizzazioni non governative italiane sull'isola. Il primo, della durata di 3 anni (avviato nel 2008) e realizzato da associazione volontari per il servizio internazionale, si propone di alleviare, con metodologie sostenibili, le condizioni di povertà estrema della popolazione rurale del municipio di Torbek, nella regione sud-orientale del Paese. La cooperazione ha cofinanziato il progetto con circa 1 milione e duecentomila euro. Il secondo progetto, avviato nel dicembre del 2009, è stato realizzato dall'organizzazione Unity and cooperation for the development of peoples a favore dello sviluppo sostenibile di vita dei piccoli produttori, soprattutto le donne, migliorando la loro condizione sociale, economica, politica, ambientale e culturale nel Sud del Paese. La cooperazione ha cofinanziato il progetto con circa 900 mila euro.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 19 gennaio 2010, ha approvato la risoluzione 1908 che accoglie la raccomandazione del Segretario generale di aumentare i componenti della missione delle Nazioni unite per fronteggiare i danni causati dal terremoto ad Haiti Mission des nations vuies pour la stabilisation en Haiti per favorire un'immediata ripresa e gli sforzi di ricostruzione e la stabilità. Il Consiglio ha autorizzato pertanto un ampliamento della componente militare fino a 8.940 unità (2.000 in più rispetto alla precedente risoluzione) e di quella di polizia fino a 3.711 unità (1.500 in più) e, successivamente, con la risoluzione 1927 adottata il 4 giugno 2010, il Consiglio ha autorizzato un'espansione della componente di polizia fino a 4.391 unita.
L'Italia ha inoltre fornito un importante contributo con l'invio, nel mese di maggio 2010, di una «Formed police unit» composta da un contingente di carabinieri (130 unità) e si tratta di un tipo di polizia con autonomia logistica, richiesta espressamente dalle Nazioni unite esclusivamente ai soli Paesi che dispongono di tali capacità. Detta unità, rientrata il 2 gennaio 2011, ha avuto il compito di formare la polizia locale e di mantenere l'ordine pubblico.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la sentenza n. 183 del 19 gennaio 2010 del Consiglio di Stato ha imposto al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali di terminare il procedimento di istruzione contro Silvano Dalla Libera, agricoltore di Pordenone e vicepresidente di Futuragra, e di concedergli l'autorizzazione a seminare mais ogm, senza attendere le decisioni delle Regioni in merito alla coesistenza di diverse colture;
l'allora Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Zaia aveva annunciato che avrebbe fatto ricorso in tutte le sedi possibili contro questo provvedimento;
il 26 marzo 2010, il Governo Austriaco ha ritirato presso le competenti autorità europee lo studio allegato alla richiesta dell'attivazione della clausola di salvaguardia attivata dal Governo Austriaco per bloccare la coltivazione del mais Ogm sul suo territorio, perché valutato «scientificamente irrilevante»;
a seguito della sentenza, negli scorsi giorni Giorgio Fidenato, agricoltore di Pordenone e presidente della ditta Agricoltori Federati, e Leonardo Facco, editore ed esponente del Movimento Libertario hanno intrapreso un'azione di «disobbedienza civile», seminando sei semi di mais ogm
in un'aiuola pubblica di Pordenone, al momento segreta, ed in seguito hanno diffuso via internet il filmato relativo alla loro azione;
in seguito a questa azione, in data 30 aprile 2010, si è verificata un'aggressione alla sede degli Agricoltori Federati di Pordenone dove hanno fatto irruzione una trentina di sedicenti «no-global», «antagonisti», «comunisti», che hanno sporcato la suddetta sede ed hanno lanciato contro Giorgio Fidenato ed i suoi dipendenti alcune manciate di mais non-ogm, a scopo di scherno e intimidazione (filmato disponibile su internet sul sito web http://www.movimentolibertario.it);
sempre in data 30 aprile 2010 si è venuti a conoscenza di minacce nei confronti del signor Giorgio Fidenato da parte di alcuni dei protagonisti della precedente irruzione, che hanno promesso nuove azioni e nuove manifestazioni contro la ditta Agricoltori Federati e contro la persona di Giorgio Fidenato;
nei giorni scorsi il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Giancarlo Galan, è intervenuto sulla questione affermando in una nota: «Credo che la questione degli ogm meriti da parte di tutti, un supplemento di attenzione. Per questo chiedo a chi in queste ore sta meditando di risolvere la questione con azioni dimostrative, di sospendere ogni iniziativa che travalichi i confini della legalità, anche perché troverà in me un interlocutore libero da pregiudizi» -:
quali misure si intendano adottare per garantire la sicurezza personale del cittadino italiano Giorgio Fidenato e degli altri cittadini italiani che hanno espresso, attraverso gesti o affermazioni, il loro appoggio alle coltivazioni ogm, e che recentemente sono stati al centro di campagne di intimidazione pubbliche e private;
quali misure i Ministri interrogati intendano adottare per dare immediato corso alle decisioni del Consiglio di Stato assicurando adeguata informazione sulle motivazioni scientifiche della sentenza;
quali iniziative si intendano intraprendere, in riferimento alle dichiarazioni di cui sopra, per approfondire la questione e sostenere la libera ricerca nel settore.
(4-07050)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame concernente, tra l'altro, la semina di mais organismo geneticamente modificato senza la prescritta autorizzazione, faccio anzitutto presente che non risulta corretta l'affermazione dell'interrogante secondo cui la sentenza n. 183 del 2010 del Consiglio di Stato avrebbe ordinato al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali di concedere l'autorizzazione a coltivare mais geneticamente modificato senza attendere le normative regionali sulla coesistenza.
Infatti il Consiglio di Stato, accogliendo l'appello dell'azienda ricorrente (senza peraltro pronunciarsi sul merito), ha ordinato al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali solo di concludere il procedimento avviato attraverso un provvedimento espresso. A tale disposizione si è ottemperato mediante l'emissione del decreto 19 marzo 2010 del Ministro pro-tempore delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con i Ministri della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previo parere della Commissione per i prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate.
Tale decreto (peraltro impugnato dinanzi al competente tribunale amministrativo regionale che non si è ancora pronunciato) scaturisce, pertanto, da un obbligo imposto dal giudice amministrativo ed è relativo solo alla fattispecie in questione.
In Italia, infatti, la coltivazione di piante geneticamente modificate è regolamentata dal decreto legislativo n. 212 del 2001 che, all'articolo 1, comma 2, subordina la messa in coltura ad una autorizzazione rilasciata
con decreto ministeriale, previo parere della Commissione per i prodotti sementieri geneticamente modificati.
Peraltro, avendo appreso dalla stampa che in località Vivaro (Pordenone) si sarebbe effettuata una «semina dimostrativa» di mais geneticamente modificato, e tenendo presente che la vigente normativa punisce, tra l'altro con l'arresto, chi opera senza la preventiva autorizzazione, la mia amministrazione ha ritenuto opportuno attivare le regioni interessate (competenti in materia di coltivazione) affinché intensificassero la vigilanza anche al fine di prevenire, per quanto possibile, problemi di ordine pubblico.
Per quanto concerne, invece, la questione relativa alla messa a dimora di mais Ogm ad opera del Presidente di «Agricoltori federati» Giorgio Fidenato, seguita da azioni criminose commesse a suo danno, faccio presente che, da notizie apprese dal Ministero dell'interno (Prefettura di Pordenone), non sussistono elementi tali per dimostrare un concreto pericolo per la sua sicurezza personale.
Per completezza di informazione faccio presente che la perizia disposta al riguardo dalla Procura della Repubblica di Pordenone ha confermato che la semina effettuata dal signor Fidenato riguardava mais Ogm, per cui è stato emesso un decreto penale di condanna nei suoi confronti.
Evidenzio infine che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ritenendo indispensabile disporre di regole di coesistenza, sta provvedendo a sensibilizzare le Regioni sull'emanazione di normative sulla coesistenza tra colture geneticamente modificate e convenzionali.
Assicuro, fin d'ora, la mia condivisione qualora dovesse prospettarsi un'ipotesi di revisione normativa, in materia di Ogm, volta a sostenere il progresso della scienza e la libertà di ricerca, nel rispetto della legislazione comunitaria e nazionale.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Giancarlo Galan.
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in attuazione dell'articolo 30, comma 20, della legge n. 99 del 2009, che prevede l'adozione, da parte del Ministro dello sviluppo economico su proposta dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, di decreti relativi a meccanismi per la risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6/92, sono stati adottati, solamente per impianti alimentati da combustibili di processo o residui o recuperi di energia nonché per impianti assimilati alimentati da combustibili fossili, il decreto ministeriale 2 dicembre 2009 e, successivamente, il decreto ministeriale 2 agosto 2010 e il decreto ministeriale 8 ottobre 2010 che stabiliscono la definizione dei criteri e i parametri per il calcolo dei corrispettivi spettanti per la risoluzione delle convenzioni, fissando in un primo momento al 29 ottobre 2010 il termine per la presentazione al Gestore del servizio elettrico dell'istanza vincolante di risoluzione delle convenzioni CIP 6, poi differito al 19 novembre 2010, la cui efficacia decorrerà dal 1° gennaio 2011 e le modalità per l'erogazione in più rate annuali, su richiesta dell'operatore, del corrispettivo spettante -:
quante istanze di risoluzione delle convenzioni CIP 6 siano state presentate e da quali soggetti.
(4-10276)
Risposta. - A seguito dell'entrata in vigore dei due decreti del Ministro dello sviluppo economico, datati 2 agosto 2010 e 8 ottobre 2010, che dettano le condizioni di risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6 per gli impianti alimentati a combustibili fossili, in attuazione dell'articolo 30, comma 20, della legge 99 del 2009, sono pervenute al Gestore dei servizi energetici Spa (Gse) 9 istanze di risoluzione su 20 convenzioni ancora in essere.
Le istanze di risoluzione sono relative ai seguenti impianti: Boffalora (Boffalora energia Srl), Alzano Lombrado (Irene Srl),
Ferrara (Centro energia Ferrara Spa), Teverola (Centro energia Teverola Spa), Celano (termica Celano Spa), Contarina e Porcari (Edison Spa), Jesi (Jesi energia Spa), Milazzo (termica Milazzo Srl).
In esito all'istruttoria svolta dal Gse alla verifica di convenienza economica, tutte le istanze sono state accolte in quanto rispondenti ai criteri di legittimità fissati dai decreti.
Il Gse ha stipulato i contratti di risoluzione con le società interessate per complessivi 1022 MW corrispondenti a circa il 47 per cento della potenza relativa ad impianti Cip 6 alimentati a combustibili fossili.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Stefano Saglia.