XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di martedì 1 febbraio 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
gli effetti della crisi economica mondiale iniziata nel 2007 con la bolla dei mutui subprime americani, in assenza di robusti interventi correttivi, dispiega ancora i suoi effetti negativi sulla realtà produttiva e sociale del Paese;
le statistiche ufficiali rilevano con avvilente puntualità che l'economia italiana sta arretrando nel contesto internazionale e che il nostro è un Paese fermo, che non cresce;
secondo le stime dell'Ocse, infatti, la crescita dell'Italia per quest'anno è prevista per l'1,3 per cento, inferiore, quindi a quella media prevista per l'area euro (+1,7 per cento) e ancor di più rispetto a quella prevista per i Paesi dell'Ocse (+2,3 per cento);
l'Ocse, inoltre, ritiene che la crisi attuale non sia ciclica ma strutturale e richieda, quindi, delle soluzioni strutturali a partire dalla riforma della finanza per passare a un piano generale di liberalizzazioni per ridurre gli ostacoli alla concorrenza;
sempre secondo l'Organizzazione dei paesi più sviluppati il problema della disoccupazione sarà centrale nei prossimi anni, causando tra l'altro un danno economico pari allo 0,8 per cento del Pil per ogni punto percentuale, colpendo in particolare l'Italia;
le richieste all'Inps di cassa integrazione dall'inizio del 2010 hanno fatto registrare un aumento del 44 per cento rispetto ai primi mesi del 2009. Secondo fonti sindacali ad aumentare di più di tutte è la cassa integrazione in deroga. Questo perché molti lavoratori, soprattutto nei settori direttamente produttivi prima coperti dalla cassa ordinaria e straordinaria, stanno progressivamente ricorrendo alla cassa in deroga;
in particolare, la grave realtà della disoccupazione giovanile, arrivata alla percentuale record del 30 per cento, impone un intervento che immagini per le nuove imprese create da giovani sotto i 30 anni - in formule societarie di ambito cooperativo - un periodo di fiscalità agevolata tale da facilitare l'inizio dell'attività di impresa;
in un anno di grande difficoltà come il 2010 quello che è mancata al nostro Paese è la politica industriale volta alla crescita, come Alleanza per l'Italia ha evidenziato nel question time del 26 gennaio 2011. S'è pensato alle ricadute sociali delle crisi aziendali. Ma non ad un vero stimolo per ripresa della crescita economica. Senza crescita una società consuma più ricchezza di quanta ne produce e finisce su un piano inclinato al termine del quale ci può essere solo un impoverimento complessivo con gravi effetti sociali e gravi contraccolpi politici;
per stimolare la crescita sarebbe importante investire in ricerca e sviluppo. Ma attualmente l'Italia investe in questo settore solo lo 0,65 per cento del Pil contro una media Ue dell'1,21 per cento. Inoltre, i dati Istat evidenziano che gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte delle aziende si concentrano per la maggior parte al Centro-Nord;
il rapporto dell'Istat «Noi Italia», inoltre, conferma il divario economico e produttivo tra aziende del Centro-Nord e quelle del Sud, dove si concentrano le imprese più insolventi, e quindi rischiose, con la diretta conseguenza di un aumento dei tassi d'interesse per i finanziamenti bancari al Sud, che sono in media di un punto percentuale superiori a quelli del resto del Paese, indipendentemente dalla durata del prestito. La solvibilità di queste imprese ricorse al credito bancario è dunque sistematicamente inferiore;
di fronte a questo scenario di difficoltà economica il Governo non ha presentato

nessun piano per la crescita. Non solo sono mancati seri progetti per rimettere in moto la macchina produttiva dell'Italia, ma emblematicamente il ministro dello Sviluppo economico è stato affidato ad interim!;
se qualcosa s'è mosso nell'economia italiana non è stato per meriti politici bensì per il lavoro in solitaria di tante piccole e medie imprese che, soprattutto nell'export, sono riuscite a sopravvivere e a cogliere l'opportunità offerta dai mercati dei paesi emergenti. Anche se per i piccoli insediarsi stabilmente su quei mercati è estremamente difficile perché manca ancora un sistema funzionante che possa veicolare vendite sicure in Cina, in India o in Brasile. Ossia in quei Paesi che crescono a tassi altissimi e che rappresentano i mercati strategici del futuro dove insediarsi e vendere i nostri prodotti;
della grave situazione economica dell'Italia s'è parlato - in assenza di esponenti del Governo italiano - anche nell'ultimo summit internazionale di Davos, in Svizzera dove ministri dell'economia, operatori economici ed esperti finanziari hanno, tra l'altro discusso dello «Special case Italy». Un Paese che - a detta degli esperti presenti - nell'area euro rappresenta il vero problema. «Qui - ha sostenuto l'economista tedesco Daniel Gros - il tasso di risparmio cala e il deficit con l'estero sta emergendo. Se il Paese non cambia rotta, tra dieci anni può essere dov'è il Portogallo oggi». Sia chiaro che Alleanza per l'Italia non trascura di valutare che certi giudizi possono nascondere l'insidia di ingiuste analisi di «penalizzazione» della competitività italiana sui mercati internazionali, ma intende contrapporre analisi ad analisi, registrando nel frattempo l'assenza di questo Governo;
oltre ai lavoratori dipendenti ad essere in grave difficoltà sono anche quelli autonomi, piegati duramente dalla crisi. La loro situazione è ancora più grave rispetto agli altri perché non possono contare neanche sul quel minimo di paracadute sociale rappresentato dalla cassa integrazione;
già da tempo l'area del lavoro autonomo, i cosiddetti «piccoli» del sistema economico italiano, cerca di farsi sentire. Anche l'iniziativa di unire le loro associazione di categoria sotto le insegne del «Manifesto del Quinto Stato» è un segnale che il Governo deve valutare;
i lavoratori autonomi si sentono riconosciuti come cittadini ma non ancora come cittadini-lavoratori. Nel loro manifesto denunciano di sentirsi degli «invisibili» a cui vengono riconosciuti i diritti che appartengono alla sfera delle libertà borghesi ottocentesche ma non quelli che appartengono ai sistemi di sicurezza sociale propri del Novecento. «Siamo esclusi dalle tutele e ci aumentano le tasse» - lamentano nel loro documento puntando proprio sull'imponente incidenza del carico fiscale sui redditi;
in questo malessere che lamentano i «piccoli» c'è anche il fallimento di quella ricetta che è stata presentata come il nuovo modello di welfare del secondo millennio: la flexcurity. Per ora si assiste solo a tagli delle prestazioni previdenziali, senza nessun tipo di rimodulazione della loro ripartizione tra gruppi di popolazione attiva;
la questione dell'eccessiva pressione fiscale reale, che ha raggiunto il 55 per cento, pone una serie di problemi a cui è necessario rispondere. È impossibile immaginare un rilancio delle nostre imprese con un carico fiscale di questa portata ed è necessario immaginare qualche soluzione fiscale operativa che permetta di incentivare la ripartenza delle nostre imprese, soprattutto quelle piccole e piccolissime;
il problema dell'accesso al credito resta uno delle principali preoccupazioni degli agenti economici. Seppur in un quadro di libero mercato, diventa difficile immaginare che i costi aggiuntivi dell'entrata in vigore delle nuove garanzie sul credito bancario previste dall'accordo di Basilea 3 possano ricadere sui fragili attori, piccoli e piccolissimi, del nostro tessuto produttivo;

per questo dal mondo delle associazioni del commercio e dell'artigianato provengono richieste al sistema creditizio per una reale evoluzione della cultura del credito capace di capire i problemi del territorio;
resta, inoltre grave il problema dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione. È inaccettabile che le aziende in questo grave momento di difficoltà economica si debbano trasformare «nelle banche della pubblica amministrazione». Secondo i dati del TaiiS (Tavolo interassociativo delle imprese dei servizi), lo Stato ha contratto debiti con le imprese per una cifra che si aggira tra i 60 e i 70 miliardi di euro. Ad oggi il ritardo medio nei pagamenti è di 100 giorni. Sommare questi ritardi alle strette sul credito attuate dalle banche per molte piccole e piccolissime aziende può voler dire chiudere e dichiarare fallimento;
merita attenzione particolare il dato che riguarda l'occupazione dei «nuovi italiani», che stanno diventando un fattore fondamentale di sviluppo per il nostro Paese. Basti solo un dato a mo' di esempio: l'Osservatorio sull'imprenditoria femminile di Unioncamere, informa che sono ben 32mila, soprattutto nel settore del commercio, le aziende guidate da donne immigrate,


impegna il Governo:


a promuovere un tavolo di confronto tra le piccole e medie imprese e l'Abi per trovare una soluzione alla scadenza in questi giorni della moratoria dei debiti che nell'estate del 2009 consentì a 180 mila aziende di tirare il fiato, e in molti casi di non chiudere i battenti, in modo da dare una risposta ai 4 milioni di «piccoli» che compongono la spina dorsale del nostro sistema produttivo;
ad assumere iniziative volte all'istituzione di uno strumento di intermediazione tra le imprese in difficoltà e le agenzie di credito a cui richiedere una maggiore flessibilità, indispensabile in un momento di criticità come questo;
a prevedere un migliore utilizzo del sistema delle Camere di commercio considerate da molti operatori economici maggiormente in grado di aiutare le imprese italiane a inserirsi nei mercati esteri;
a riprendere la discussione su come immaginare una riforma fiscale che riconosca alle imprese, soprattutto a quelle piccole e piccolissime, una fiscalità di favore che sia finalizzata alla crescita economica;
a dare certezza a tutti gli operatori economici di lavorare nel quadro unitario del sistema Paese, con la garanzia di non divenire superflui a causa di qualche spregiudicata logica economica che non appartiene alla nostra cultura ed è in radicale contrasto con i principi di democrazia economica;
a riconoscere misure finalizzate a garantire ai «nuovi italiani» un ruolo di elemento dinamico nella crescita dell'economia del Paese anche attraverso agevolazioni delle loro attività;
a favorire, con interventi concreti, l'occupazione giovanile, delle donne, e degli over 50, anche con l'utilizzo di opportunità offerte dal settore delle cooperative;
a prevedere strumenti alternativi al capitale di debito per le piccole e piccolissime imprese attraverso iniziative di microcredito e tese alla diffusione del venture capital;
ad attivare, anche in attesa dell'entrata a regime della direttiva europea al riguardo, misure adeguate di contrasto al grave fenomeno del ritardo dei pagamenti delle transazioni, in particolare da parte della Pubblica Amministrazione;
a mettere in atto tutte quelle misure necessarie per contrastare fenomeni di usura contro le Piccole e Medie imprese, fenomeni spesso dovuti all'enorme difficoltà che le PMI, soprattutto nel Sud, incontrano da parte del sistema bancario;
a prevedere la riduzione concreta, in un'ottica davvero federalista, di quella burocrazia che affligge ad oggi l'attività delle

PMI, e che costringe le stesse a sottoporsi a pesanti costi economici e di tempo, dovuti alla sovrapposizione di troppe norme spesso tra loro contrastanti.
(1-00555)
«Mosella, Tabacci, Calgaro, Lanzillotta, Pisicchio, Vernetti, Brugger».

La Camera,
premesso che:
le PMI ormai occupano un ruolo rilevante nel tessuto economico e sodale nell'ambito dell'Unione europea e la loro importanza viene posta in rilievo per il peso che esse hanno sull'occupazione, l'innovazione, la concorrenza;
da un'indagine svolta in piena crisi economica l'81,2 per cento delle piccole e medie imprese del sud, che costituiscono la parte prevalente del tessuto economico meridionale, ha dichiarato di ritenersi coinvolto dalla stessa. Le difficoltà hanno riguardato, in particolare: la diminuzione delle vendite - l'aumento dei prezzi praticati dai fornitori - l'accesso al credito. Di riflesso, l'andamento degli investimenti delle stesse imprese ha fatto registrare una flessione del 90 per cento: in controtendenza solo l'8,5 per cento delle imprese si è dichiarata propensa ad investire. Da ciò l'abbassamento del livello di competitività delle PMI meridionali nei confronti della concorrenza nazionale ed internazionale;
la mancanza di risposte da parte dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni ed il ristagno degli effetti della crisi economica hanno inibito, fino ad oggi, gli investimenti delle PMI del sud in innovazione e ricerca: solo l'8,6 per cento di queste ha introdotto delle innovazioni di processo, di prodotto ed organizzative, con prevalenza delle imprese dei servizi, rispetto a quelle operanti nel commercio, le più «prudenti» ad investire in quei settori;
sul versante degli interventi strutturali, quelli ritenuti più importanti ed urgenti da parte delle PMI meridionali sono: le agevolazioni finanziarie (per l'85 per cento delle imprese); la realizzazione o il miglioramento di infrastrutture di trasporto, quali strade e autostrade (per il 75,8 per cento), ferrovie (per il 69 per cento) ed aeroporti (per il 59,9 per cento); il miglioramento della sicurezza del territorio (per il 69,1 per cento);
i mutamenti verificatisi nei principali mercati nazionali ed internazionali, anche in conseguenza dell'introduzione di nuove tecnologie, hanno reso inevitabile l'adozione da parte delle imprese, anche quelle di piccola dimensione, più attente alle sfide della crescente competizione internazionale, di strategie di diversificazione, che si traducono in strutture organizzative differenziate;
di contro, le piccole imprese del Mezzogiorno non hanno ancora attivato - se non in un limitato numero di casi - quei sistemi di rete o di distretto che consentono alle imprese di dimensioni similari del Centro-Nord di ottenere significativi vantaggi di produttività ed «economie di agglomerazione»;
per quanto riguarda i vantaggi connessi all'agglomerazione territoriale, è noto che operare in un territorio ben definito agevola il radicarsi, in quello stesso territorio, di un sistema di valori e regole condivise dalla comunità che agevola la cooperazione ed incrementa la competitività delle imprese;
in tale contesto occorre considerare la peculiarità del Mezzogiorno costituito da una miriade di piccole imprese produttive, artigiane e commerciali, che rappresentano il tessuto vitale e fragile di un territorio ove gli stessi fattori della produzione, come i costi energetici, i trasporti ed il sistema creditizio, costituiscono cause di diseconomia;
i fattori di contesto del Sud rendono difficoltoso l'accesso al credito anche delle imprese meritevoli, soprattutto quelle di piccola e media dimensione, che continuano a preferire come forma di finanziamento quello bancario, tralasciando

quelle alternative costituite dalle risorse proprie, dal ricorso al mercato, dall'ampliamento del capitale di rischio sottoscritto da un partner finanziario, o, ancora, da una merchant bank. Infatti per quanto attiene le risorse proprie, occorre dire che al Sud le imprese, in grado di generare utili tali da riequilibrare la struttura finanziaria dell'azienda o da poter contare sull'apporto dei soci, rappresentano una quota modesta ed il ricorso ad un terzo nel capitale di rischio viene vissuto con molta riluttanza. La difficoltà di reperire risorse finanziarie poi è particolarmente sentita dalle PMI meridionali relativamente più giovani, legata anche alla scarsa cultura imprenditoriale degli intermediari finanziari che continuano a valutare l'affidabilità di un'azienda in funzione delle sue disponibilità patrimoniali, piuttosto che sulla base delle reali opportunità e capacità di fare impresa;
malgrado il quadro sopra delineato, i piccoli istituti di credito possono essere considerati gli attori della crescita economica locale;
quanto fino ad ora esposto risulta ancora più grave se si considera il livello della stretta creditizia che il sistema bancario sta attuando anche dopo l'accordo Basilea 3, nonostante il forte sostegno assicurato dal Governo a favore delle banche, a discapito del sistema imprenditoriale italiano ed in particolare di quello del Centro-Sud, circostanza che determina un aggravio della già precaria e sofferente condizione dell'imprenditoria meridionale, rese più inique da un'ulteriore riduzione (se non addirittura in una richiesta di rientro) del credito elargito ed in un aggravio del già marcato differenziale del costo del denaro tra Sud e Nord del Paese;
appare proiettata in un futuro incerto e poco definito la stessa previsione della Banca del Mezzogiorno che, ai sensi dell'articolo 2, comma 169, della legge finanziaria 2010, ha tra i suoi fini istituzionali la promozione, in particolare, del credito alle piccole e medie imprese;
il rafforzamento della specializzazione produttiva ed il miglioramento della capacità di penetrazione sono indispensabili in mercati che non hanno più ambiti spaziali nazionali o europei, ma mondiali. Si preferisce creare alleanze e joint-venture, si delocalizza sia per contenere i costi di produzione, che per essere presenti sui mercati esteri, alla ricerca di un rafforzamento della competitività che può derivare da un processo di rigenerazione di quel capitale sociale locale, che nel tempo si è logorato. Si rende pertanto necessario porre in essere un processo di crescita che, a differenza di quanto avvenuto nel passato, non si realizzi attraverso un aumento della dimensione in senso verticale, ma orizzontale dell'impresa;
è ormai consolidato che la globalizzazione della competizione internazionale impone strutture snelle ed un più facile approccio a mercati diversamente posizionati da un punto di vista geografico e tecnologico. Molteplici studi evidenziano, inoltre, che le imprese operanti in «cluster» sono più competitive ed hanno maggiori possibilità di crescita rispetto ad imprese che operano in contesti isolati;
senza incidere sui bilancio pubblico, è possibile promuovere l'accesso ai credito attraverso un'ottimizzazione dei processi, degli strumenti e delle risorse europee disponibili. Essa opererà come istituzione finanziaria di secondo livello, attraverso una rete di banche sul territorio che diverranno socie nonché utilizzando la rete degli sportelli di Poste Italiane. Con questa iniziativa si intende promuovere la responsabilità imprenditoriale e la cultura di mercato nelle PMI beneficiarie, abbandonando la logica dei contributi a fondo perduto. L'accesso ai finanziamenti si baserà infatti sulla valutazione del merito di credito da parte di istituzioni finanziarie, permettendo la selezione di imprese sane, efficienti e con prospettive di crescita;
di particolare rilevanza è anche la funzione antiusura svolta dai Confidi, nel gestire degli appositi fondi che permettono alle piccole imprese di rientrare nei canali legali del credito;
una recente ricerca dell'istituto «SRM-Studi e ricerche per il Mezzogiorno»

evidenzia come i confidi meridionali siano molto meno efficienti rispetto a quelli centro-settentrionali e che solo un numero limitatissimo di essi riuscirà a divenire intermediario finanziario a tutti gli effetti,


impegna il Governo:


a favorire l'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese meridionali allocando le scarse risorse disponibili nei settori a più alto potenziale di domanda;
a favorire la crescita dimensionale media delle imprese meridionali, attraverso la creazione di reti e distretti d'impresa, la diffusione di consorzi per la ricerca e l'export, l'innovazione di prodotto, di processo e organizzativa, ed il rafforzamento della sinergia tra imprese;
a favorire l'accesso al credito alle imprese del Mezzogiorno, dando piena ed immediata attuazione al Piano per il Sud e rafforzando il sistema delle forme di garanzia collettiva dei fidi, quest'ultima anche come azione di contrasto al ricorso a forme alternative ed illegali di finanziamento, come l'usura, con conseguente riduzione del peso della criminalità sul sistema imprenditoriale, anche studiando la possibilità, a tal fine, di uno specifico fondo rivolto agli enti territoriali, regioni ed enti locali, ricadenti nelle aree dell'Obiettivo Convergenza del Regolamento (CE) n. 1083/2006, finalizzato all'attivazione, anche attraverso il coinvolgimento delle associazioni di categoria, come i consorzi di garanzia collettiva del fidi, atti ad assistere le imprese, con funzioni di accompagnamento al mercato, e di intermediazione informativa e formativa finalizzata;
ad assumere ogni iniziativa di competenza al fine di evitare che l'applicazione dell'accordo Basilea 3 penalizzi l'accesso al credito per piccole e medie imprese, nonché per le famiglie;
ad assumere iniziative volte a potenziare il Fondo Centrale di Garanzia per le PMI, dando piena attuazione all'articolo 11 del decreto-legge n. 185 del 2008, consentendo al Fondo di garantire non solo i singoli crediti ma portafogli di crediti, estendendo l'applicazione delle procedure automatiche di ammissione alla garanzia per le aziende che rispettino determinati parametri economico-finanziari, e rendendo più efficiente il rapporto con i Confidi;
a migliorare i tempi relativi al pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, tempi particolarmente elevati soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese del Sud;
ad introdurre a regime, nell'ambito della riforma fiscale, forme di fiscalità di vantaggio per le piccole e medie imprese del Mezzogiorno, ai fine di costituire reali condizioni di attrattività fondate sulla totale automaticità e su procedure che minimizzino i rischi connessi a scelte discrezionali;
ad assumere iniziative finalizzate ad azioni di miglioramento delle condizioni di sicurezza territori in cui si svolgono la vita civile e l'attività economica delle imprese meridionali, anche attraverso la lotta al racket e all'usura, piaghe assai diffuse nel tessuto della piccola e media impresa ove frequente è il ricorso al finanziamento esterno.
(1-00556)
«Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Misiti, Brugger».

La Camera,
premesso che:
l'Italia è un Paese industrializzato con una riconosciuta vocazione alla qualità delle proprie produzioni, meglio nota come made in Italy;
la stessa caratterizzazione deve contraddistinguere una forte agricoltura di un Paese di forte industrializzazione;
tuttavia, sul piano della comunicazione e dell'informazione generali, quelle che raggiungono il cittadino a prescindere dal suo coinvolgimento d'interesse professionale,

non è riscontrabile una sensibilità diffusa per le problematiche dell'agricoltura, talché perfino nelle più accreditate analisi sociali annuali tale comparto risulta marginale o negletto;
tale situazione si riverbera in una incomprensibile quanto ingiusta compressione di un potenziale che l'Italia non può permettersi di dissipare, in termini economici, di opportunità occupazionali, di sviluppo territoriale, particolarmente nel Mezzogiorno, di cultura e appartenenza, beni immateriali quanto mai necessari allo sviluppo di qualità della vita, di tutela della salute;
le regioni, i territori per competenze formali e naturali costituiscono i soggetti principali dell'agricoltura nazionale e, quale che sia la prospettiva federalista, hanno il sacrosanto diritto di desumere dallo Stato la certezza di far parte di una logica di sistema, nel quadro di una più ampia logica comunitaria, governabile con gli affinati strumenti della tradizione europeista e globale, del tutto ingovernabile se non nel quadro di una competizione fortemente darwinista;
secondo le elaborazioni dell'Eurispes, nel suo rapporto per il 2011, tra il 1995 e il 2009 l'Italia ha importato dal resto del mondo 384,9 milioni di tonnellate di prodotti agroalimentari, con un controvalore economico di 333,7 miliardi di euro, mentre ne ha esportati 235,7 milioni di tonnellate, per un valore di 265,6 miliardi di euro; insomma, il deficit della bilancia commerciale è stato superiore a 149 milioni di tonnellate di merci e a 69 miliardi di euro in controvalore;
all'interno degli indici statistici generali, si individuano specificità che non possono essere trascurate; tra queste, il fatto che l'Italia esporta prevalentemente prodotti delle industrie alimentari e delle bevande, per una valore che, secondo la citata fonte, corrisponde ad oltre il 50 per cento del valore complessivo delle esportazioni dell'Italia nel mondo; l'incidenza dei prodotti agroalimentari non lavorati è di gran lunga inferiore; al contrario, sempre secondo la citata fonte, i flussi commerciali relativi alle importazioni italiane di prodotti agroalimentari consistono di materie prime non lavorate; con una conclusione che la combinazione tra esportazioni prevalentemente incentrate sul commercio di prodotti delle industrie alimentari e importazioni prevalentemente incentrate sul commercio di materie prime non lavorate, a causa del più alto valore dei prodotti trasformati rispetto alle materie prime, fa segnare una significativa differenza tra deficit commerciale in valore e deficit commerciale in quantità del settore agroalimentare italiano;
l'immagine agroalimentare italiana nel mondo è fortemente insidiata e penalizzata da pesanti flussi di contraffazione dei prodotti italiani dei quali vengono usate le parti marchi, immagini, denominazioni con una plausibile conclusione, quella riportata dalla fonte sopra citata, secondo la quale per raggiungere un pareggio della bilancia commerciale del settore agroalimentare italiano, ad importazioni invariate, sarebbe sufficiente recuperare quote di mercato estero per un controvalore economico pari al 6,5 per cento dell'attuale volume d'affari del cosiddetto Italian sounding;
la Commissione europea ha rilasciato il documento d'indirizzo generale sulle future modifiche della politica agricola comune (PAC), per un'agricoltura protagonista di pari dignità nelle politiche di sviluppo della società, con riguardo all'approvvigionamento alimentare; alle produzioni sostenibili, alla tutela dell'occupazione;
la bilancia commerciale dell'Unione europea, al pari di quella italiana, è andata peggiorando, facendo registrare un pesante deficit commerciale e, per una volta, ci si interroga sulla componente di responsabilità europea della caduta settoriale italiana;
proprio in ragione della preoccupazione sopra espressa, il Paese, forte di una cooperazione attiva di tutte le regioni e delle rappresentanze di settore, deve

essere cosciente e compartecipe delle decisioni che verranno assunte nel quadro della politica agricola comune sui fronti del valore della produzione e dell'estensione delle superfici, parametri rispetto ai quali l'agricoltura nazionale può ottenere rispettivamente maggiore o minore spinta,


impegna il Governo:


ad indire tempestivamente incontri bilaterali e collegiali con tutti i soggetti della filiera agroalimentare interessati dalla riforma politica agricola comune (PAC) per l'elaborazione di proposte che integrino la posizione dell'Italia al tavolo comunitario;
a pretendere, d'altronde in linea con le linee di politica industriale, che i prodotti agricoli rechino l'indicazione relativa alla loro origine, quando commercializzati allo stato fresco, nonché l'indicazione delle materie prime di origine agricola e i luoghi di trasformazione materiale dei prodotti, nel caso di prodotti trasformati;
a valorizzare, nella prospettiva comunitaria, le peculiarità dell'agricoltura italiana, caratterizzata da produzione ad alto valore aggiunto, in modo da evitare la riduzione dei pagamenti diretti, che, allo stato, rischiano di essere distribuiti in base al prevalente parametro della superficie;
ad elaborare proposte che rappresentino le aspettative regionali con riguardo al cosiddetto «aiuto accoppiato facoltativo»;
a valorizzare la logica delle filiere, essenziale allo sviluppo dell'agricoltura italiana, segnatamente nel settore ortofrutticolo;
ad individuare nella nuova politica agricola comune gli strumenti per contrastare le situazioni di crisi di alcuni comparti produttivi importanti per l'Italia (barbabietola da zucchero, tabacco);
a promuovere l'introduzione nella nuova politica agricola comune di strumenti di mercato e politiche strutturali per contrastare la grave crisi del settore del vino e del latte ovino;
ad identificare correttamente gli «agricoltori attivi» per evitare fenomeni elusivi dei principi di lealtà comunitaria;
ad assumere iniziative nelle competenti sedi per individuare criteri di ripartizione del sostegno allo sviluppo rurale tra i vari Stati membri, che non penalizzino il nostro Paese;
ad adottare tutte le iniziative necessarie, affinché le logiche monetariste e finanziarie non provochino il ridimensionamento delle politiche agricole con danni incalcolabili nel presente e in prospettiva futura sulle economie nazionali;
a modellare la posizione italiana sulle esigenze effettive dell'agricoltura italiana, facendo della trasparenza e dell'oggettività i punti di forza della nostra capacità negoziale.
(1-00557)
«Tabacci, Calgaro, Lanzillotta, Mosella, Pisicchio, Vernetti, Brugger».

La Camera,
premesso che:
il patrimonio immobiliare della difesa può contare ad oggi su circa 18.500 abitazioni collocate su tutto il territorio nazionale: di queste circa 5.000 unità sono riconosciute ad utenti cosiddetti sine titulo, tra cui vi rientra anche personale militare in quiescenza che corrisponde un canone mensile non negoziato né negoziabile, variabile tra i 400 e i 1.200 euro;
pertanto, risultano essere circa 35 milioni di euro annui le entrate su cui il Ministero della difesa può contare e che derivano dalle sopra indicate risorse;
l'articolo 2, comma 627, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), le cui previsioni sono ora confluite nell'articolo 297, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66. ha stabilito che il Ministero della difesa predisponesse, con criteri di semplificazione, di razionalizzazione e di contenimento

della spesa, un programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio;
l'articolo 306, comma 3, del citato decreto legislativo n. 66 del 2010, pur prevedendo la possibilità di vendita di quella aliquota di alloggi non ulteriormente utili per soddisfare le esigenze della difesa, riconosce il diritto di continuazione della locazione agli utenti che non possono sostenerne l'acquisto, «assicurando la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e del coniuge superstite, alle condizioni di cui al comma 2, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato con il decreto ministeriale di cui al comma 2, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici Istat»;
nel maggio 2010 è stato adottato il decreto ministeriale n. 112, recante regolamento per l'attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare:
l'articolo 7 del sopra indicato decreto ministeriale stabilisce che gli alloggi di servizio non più funzionali sono alienati, con diritto di prelazione per il conduttore. In antitesi rispetto al diritto di continuità della locazione chiaramente già sancito dalla legge finanziaria per il 2008, ai conduttori che abbiano manifestato la volontà di continuare nella conduzione dell'alloggio è riconosciuto il diritto di usufruire di un contratto di locazione che abbia la durata di nove anni, se il reddito del nucleo familiare non è superiore a 19.000 euro, ovvero a 22.000 euro nel caso di famiglie con componenti ultrasessantacinquenni o disabili, o di cinque anni, se il reddito del nucleo familiare è superiore a quello sopra indicato, ma non superiore a quello determinato dal decreto di gestione annuale;
in questa prospettiva, si aggiunge la ratio dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, che prevede che, a decorrere dal gennaio 2011, venga ridefinito il canone di occupazione dovuto dagli utenti sine titulo in atto, conduttori di alloggi non compresi tra quelli posti in vendita, fermo restando per l'occupante l'obbligo di rilascio entro il termine fissato dall'amministrazione, anche se in regime di proroga. Tale ridefinizione del canone sarà operata sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio, del reddito dell'occupante e della durata dell'occupazione,


impegna il Governo:


ad assumere iniziative normative finalizzate a prevedere che le eventuali maggiorazioni di canone, rispetto a quello già in vigore, derivanti dall'attuazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, non siano applicabili nei confronti degli utenti con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello fissato annualmente con decreto del Ministro della difesa, tenendo conto della sostenibilità dei nuovi canoni da introdurre in relazione ai redditi complessivi familiari dei conduttori degli alloggi;
ad assumere iniziative, anche normative, volte a chiarire che l'applicazione di qualunque variazione di canone abbia efficacia solamente a partire dalla data di notifica al conduttore del nuovo canone in tal modo determinato;
a prevedere - mediante apposite iniziative normative - la sospensione dei recuperi forzosi previsti all'articolo 2, comma 3, del citato decreto ministeriale n. 112 del 2010, sino all'adozione del decreto di trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato degli alloggi da alienare;
ad assumere iniziative per riconoscere agli occupanti di alloggi sine titulo ultrasessantacinquenni la facoltà di poter continuare nella conduzione dell'immobile mediante l'acquisizione di un usufrutto a

vita, secondo quanto previsto dal decreto n. 112 del 2010, articolo 7, comma 4.
(1-00558)
«Tabacci, Pisicchio, Calgaro, Lanzillotta, Mosella, Vernetti, Brugger».

Risoluzioni in Commissione:

La I Commissione,
premesso che:
l'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) - come successivamente modificato dall'articolo 15 del decreto-legge cosiddetto «Ronchi» (n. 135 del 2009), recante «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee» - ha realizzato una vera e propria riforma ordinamentale in materia di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, allo scopo di dare applicazione alla «disciplina comunitaria», come indicato in preambolo, ed in modo da renderlo applicabile anche al servizio idrico integrato, sostituendo le forme di gestione precedentemente previste dall'articolo 150 del decreto legislativo n. 152 del 2006, (il citato Codice ambientale, che a sua volta, per il servizio idrico integrato, rinvia all'articolo 113 del Tuel;
l'estensione della nuova disciplina degli affidamenti anche al settore idrico integrato non è imposta da alcuna normativa comunitaria, dal momento che a tale settore non si applica né la direttiva 2004/18/CE sugli appalti pubblici lavori, di forniture e di servizi, né la direttiva 2004/17/CE sulle procedure di appalto, tra l'altro, degli enti erogatori di acqua;
le due direttive comunitarie, infatti, si applicano ai soli casi in cui l'affidamento della gestione di un pubblico servizio avviene in forza di un appalto, laddove il modello di gestione idrica nazionale rappresenta sicuramente un'ipotesi di assentimento in concessione, dal momento che: la proprietà della rete idrica resta pubblica (confronta articolo 15 comma 1-ter, decreto-legge n. 135 del 2009); resta ferma anche la competenza del pubblico potere in materia di governo delle risorse idriche, «in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio» (confronta articolo 15, comma 1-ter); al privato viene affidata la sola gestione del servizio;
l'Italia è stata sì oggetto di infrazione comunitaria e condannata dalla corte di giustizia, ma non perché la disciplina di cui all'articolo 113 Tuel contrastasse con la normativa comunitaria, ma in conseguenza del fatto - ben diverso - che gli enti locali, nell'affidare la gestione dei servizi pubblici, hanno manifestato la tendenza ad elaborare soluzioni «creative» quanto ai soggetti ai quali concedere l'affidamento, violando i severi limiti imposti certo non dalla normativa comunitaria, ma dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, formatasi soprattutto in tema di affidamento «in house»;
la disciplina attualmente vigente in materia di servizi pubblici locali prevede quali modalità ordinarie di affidamento della gestione: la gara, con procedure ad evidenza pubblica, e l'affidamento a società miste pubblico-private, purché il socio privato venga selezionato attraverso gare cosiddette «a doppio oggetto» (sulla qualità del socio e su specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio), con l'ulteriore condizione che il socio privato partecipi con non meno del 40 per cento;
è confermata, ma in posizione assolutamente «residuale», la possibilità di deroga dagli affidamenti ordinari per gli affidamenti cosiddetti «in house», purché conformi alle seguenti disposizioni: 1) previsione per cui l'affidamento «in house» è possibile per le situazioni particolarmente caratterizzate, tra l'altro, dall'essere situazioni «eccezionali»; 2) previsione per cui l'affidamento «in house» è possibile solo a favore di società totalmente partecipate dall'ente locale; 3) previsione per cui dette società devono avere i requisiti richiesti

dall'ordinamento comunitario per la gestione «in house»; 4) previsione per cui siano comunque rispettati i principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell'attività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano;
è stato dettato, infine, il regime transitorio per gli affidamenti non compatibili con la nuova disciplina in materia di servizi pubblici locali: in particolare, per le gestioni «in house» che soddisfino i principi comunitari, la cessazione è stata fissata al 31 dicembre 2011, a meno che le amministrazioni non cedano almeno il 40 per cento del capitale a privati, attraverso gara pubblica;
l'articolo 23-bis, insieme alle nuove norme introdotte dall'articolo 15 del decreto-legge «Ronchi» ribadiscono, tuttavia, il principio della piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche: «Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all'articolo 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalità ed accessibilità del servizio»;
tale previsione conferma per via normativa la condizione peculiare del servizio idrico rispetto agli altri servizi pubblici locali, dovuta alla peculiarità del bene che ne è oggetto, l'acqua, bene pubblico per natura e preziosa risorsa per l'umanità intera;
sul bene acqua, sulla sua disponibilità, sull'accesso universale, discute e si interroga il mondo, per questo archiviarne così rapidamente le modalità di gestione - la scadenza delle gestioni non conformi è fissata al dicembre 2011 - rischia di avere conseguenze fortemente negative, in particolare economico-finanziarie per le amministrazioni e per le collettività;
pur nella bontà dello spirito concorrenziale dei servizi pubblici locali, va segnalato che il nodo principale è quello di aver introdotto una disciplina univoca in una materia, i servizi pubblici locali appunto, che comporta notevoli specificità di settore, in cui le opportunità di introdurre spinte concorrenziali sono molto diverse;
si è ormai a ridosso della scadenza del periodo transitorio per la cessazione delle società «in house», pur conformi ai principi comunitari, e la loro trasformazione in società miste, in cui la presenza dei privati non sia inferiore al 40 per cento;
tale scadenza incide sui temi oggetto della consultazione referendaria cui i cittadini saranno chiamati nella primavera dell'anno in corso o, al massimo, del prossimo anno, per pronunciarsi sui quesiti in materia di gestione del servizio idrico integrato,


impegna il Governo


ad assumere un'iniziativa normativa per la moratoria sui nuovi affidamenti del servizio idrico integrato e per prorogare il periodo transitorio per la cessazione delle gestioni «in house» del servizio idrico integrato al 31 dicembre 2012.
(7-00485)
«Favia, Borghesi, Donadi, Evangelisti, Piffari, Barbato, Cambursano, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Pietro, Di Stanislao, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Porcino, Rota, Zazzera».

La I Commissione,
premesso che:
l'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla

legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni ha introdotto una nuova disciplina in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica; in particolare, il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 168 dà attuazione al citato articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, con l'obiettivo di completare il processo di privatizzazione e liberalizzazione del settore, garantendo una maggiore tutela del principio di libera concorrenza;
l'assetto dei servizi pubblici locali è da tempo al centro della discussione economica e politica del nostro Paese, in ragione della loro rilevanza, ai fini del potere d'acquisto delle famiglie (i costi tariffari di tali servizi, infatti, incidono fra il 10 e il 20 per cento sul reddito disponibile, a seconda dell'ampiezza, della famiglia e della zona geografica di residenza), della qualità della vita dei cittadini e della competitività delle imprese italiane;
negli ultimi provvedimenti governativi di carattere finanziario abbiamo dovuto assistere alla deliberata volontà di sostituire aumenti di tariffe non concordati all'esigenza di stanziare fondi pubblici per servizi essenziali ed investimenti (basti ricordare l'aumento delle tariffe del trasporto pubblico locale o dei pedaggi autostradali);
in merito alla riorganizzazione del sistema dei servizi pubblici locali il Partito democratico ha ampiamente denunciato la superficiale ed inadeguata impostazione delle nuove norme, non certo definibili riformatrici, che con termini perentori hanno previsto:
cessioni di proprietà da parte del sistema pubblico a prescindere da ogni valutazione di carattere qualitativo e quantitativo, sia istituzionale che sociale ed economico;
rinvii dell'individuazione di meccanismi regolatori e di controllo, nonostante il governo avesse preso un impegno formale ad istituire un'autorità di regolazione di servizi interessati, con particolare riferimento all'acqua;
inibizione della libera scelta di Enti locali e Regioni circa la proprietà, l'organizzazione e la gestione dei servizi in oggetto, una palese ingiustizia tra istituzioni, territori e cittadini differentemente organizzati con servizi ed investimenti di livelli non confrontabili, obbligati a cambiare modello organizzativo a prescindere da qualsiasi risultato ottenuto, con un'impostazione centralista del tutto contraria al tanto decantato federalismo, che viene cosi svuotato di un ulteriore tassello fondamentale;
il blocco di fatto degli investimenti in alcuni settori che hanno visto il sistema finanziario recedere o paralizzare l'erogazione del credito a Enti Locali ed aziende, producendo effetti disastrosi sull'indotto di migliaia di piccole e medie imprese e sui lavoratori;
nonostante gli appelli dei parlamentari del gruppo del PD e di moltissimi soggetti economici e sociali non si è data alcuna risposta credibile alla necessità di introdurre uno specifico meccanismo regolatorio e di controllo che andasse ad adeguare il ruolo pubblico e producesse la tutela degli interessi dei cittadini nelle fasi di passaggio di complessi sistemi industriali di notevole rilevanza economica e sociale dalla proprietà pubblica a quella privata. Al contrario, tutte le principali democrazie europee hanno fatto procedere meccanismi di liberalizzazione dei servizi pubblici locali congiuntamente alla costituzione di forti regole che tutelano la concorrenza e producono effetti positivi a partire delle fasce sociali più deboli fino al riconoscimento delle peculiarità di imprese e servizi;
il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 2010, n. 168, (come si è avuto modo di esplicitare nella proposta alternativa di parere del gruppo PD presentata il 14 luglio 2010) imposta tuttavia il problema non tanto sotto il profilo della liberalizzazione

del mercato dei servizi pubblici locali, quanto sotto quello - decisamente criticabile - della semplice privatizzazione, il che, di fatto, si traduce in una sottrazione della gestione dei servizi dalla concorrenza optando per un molto meno concorrenziale passaggio, sic et simpliciter, dalla gestione pubblica a quella privata; si realizza così di fatto un passaggio forzato e con tempi e modi inaccettabili - in quanto lesivi dell'autonomia di regioni ed enti locali - da un monopolio pubblico ad un monopolio privato con conseguenze che abbiamo definito molto negative nei confronti delle famiglie e delle imprese italiane;
nella stesura del parere per quel provvedimento si era richiesto di garantire una particolare tutela alle società in house, per quelle che avessero dimostrato una gestione efficiente del servizio pubblico locale, anche in considerazione degli investimenti da loro effettuati, e soprattutto riconoscendo correttamente che la normativa europea non ne vieta affatto la costituzione ma anzi lascia libera scelta alle istituzioni di organizzare la gestione dei propri servizi nel rispetto e nei limiti di alcune disposizioni; ribadendo l'inopportunità e la scorrettezza con cui numerosi membri del governo avevano chiamato in causa «obblighi comunitari» per giustificare un mero passaggio dal controllo pubblico a quello privato di società che rappresentano interessi rilevanti e fonti di profitto molto ambite;
va rilevato che l'acqua e i servizi ad essa riferibili non possono essere trattati alla stregua di un qualsiasi altro servizio pubblico locale, ancorché a rilevanza non economica, poiché, ad esempio, rispondono a logiche concorrenziali opposte rispetto agli altri, risultando un obiettivo fondamentale la riduzione del consumo dell'acqua stessa, non il suo incremento;
l'acqua costituisce una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi uso deve essere effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. Tutte le acque superficiali e sotterranee appartengono al demanio dello Stato e il loro uso esprime interessi generali la cui integrale tutela è un obbligo indeclinabile delle autorità pubbliche;
la disciplina degli usi delle acque è finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell'ambiente, l'agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri ideologici;
l'attuale regolazione richiede interventi riformatori ulteriori, volti ad individuare la divisione più efficiente delle competenze tra pubblico e privato nonché la dimensione territoriale ottimale, fisica e amministrativa, con il fine di migliorare la qualità delle reti e degli impianti e garantire una gestione trasparente, affidabile ed efficiente;
il primo intervento necessario per garantire il servizio idrico, favorire lo sviluppo del settore e realizzare un equilibrio tra la tariffa-qualità-investimento-remunerazione del capitale, è l'istituzione di un soggetto regolatore dotato di autorevolezza, indipendenza organizzativa e finanziaria, effettivi poteri di vigilanza, controllo e sanzionatori, in grado di operare contemporaneamente su tariffe e qualità del servizio;
un'autorità forte sul piano regolatorio è l'unico strumento per allontanare improprie speculazioni sul bene acqua senza sottrarre al privato la possibilità di concorrere per la migliore erogazione del servizio;
in tale ambito occorre intervenire nel rapporto gestore-utente, attraverso l'omogeneizzazione a livello nazionale delle carte dei servizi. Occorre poi tutelare il consumatore mediante la previsione di tariffe specifiche per le fasce deboli attraverso meccanismi fiscali e bonus;

occorre quindi migliorare la qualità sia sotto il profilo tecnico (attraverso l'integrazione del servizio) che sotto il profilo commerciale (fatturazione, carta dei servizi, distacco, reclami, ecc.) attraverso meccanismi di premi e penali da applicare agli operatori con percorsi graduali;
per sostenere gli investimenti, è necessario garantire il quadro regolatorio attraverso la definizione delle tariffe affinché vi sia la certezza del rendimento dell'attività e la bancabilità degli investimenti;
è altresì necessario valorizzare i processi di consultazione, ad esempio in occasione del rinnovo delle tariffe;
occorre inoltre razionalizzare l'uso della risorsa, anche post-contatore, con meccanismi di mercato che rendano protagonista il consumatore (smart-grids). Ciò è necessario non solo per gli usi domestici ma anche per gli usi industriali e soprattutto dell'agricoltura;
per elaborare una visione strategica del servizio e degli investimenti necessari, occorre quindi definire la dimensione territoriale ottimale: le regioni (come in Puglia) ovvero le province. Una volta approvato il piano degli investimenti, il comune deve essere tenuto a rilasciare le conseguenti autorizzazioni;
bisogna poi superare il conflitto di interessi dei comuni, che sono al tempo stesso proprietari e gestori del servizio, e hanno una responsabilità politica verso il consumatore, per cui non sono favorevoli ad aumentare le tariffe, anche a costo di non coprire i costi di esercizio;
in particolare nel parere al citato schema di decreto si erano poste osservazioni di carattere generale, tralasciando la questione della sostenibilità del regime residuale della forma di affidamento in house providing, principalmente in ordine alle seguenti tematiche:
1. proprietà delle infrastrutture;
2. socio operativo delle società miste;
3. rilevanza della regolazione dei rapporti con il gestore attraverso il contratto di servizio;
gli articoli in esame (relativi agli assets caratterizzati da condizioni di non duplicabilità, in fase di affidamento e di subentro di un nuovo gestore) evidenziano la necessità di una più approfondita definizione della questione della proprietà delle infrastrutture dei servizi pubblici locali;
attualmente l'assetto proprietario delle infrastrutture dei servizi pubblici locali è caratterizzato da una frammentarietà normativa che demanda, di fatto, la regolazione di tale aspetto ai singoli bandi di gara/contratti di servizio (e ai relativi soggetti pubblici affidanti);
con particolare riferimento al Servizio Idrico Integrato (SII), l'assetto proprietario delle infrastrutture ad oggi è caratterizzato da una sovrapposizione di regimi:
a) le opere/le reti realizzate dai comuni sono di proprietà degli EE.LL. (con i vari regimi inventariali - demanio/patrimonio disponibile/patrimonio indisponibile);
b) le reti, anche se realizzate dal gestore, sono di proprietà pubblica ai sensi del vigente articolo 23-bis comma 5;
c) per le altre opere realizzate dal gestore, la disciplina del regime giuridico è demandata in ultima analisi alle convenzioni-contratto di servizio che, di fatto intervengono su tale aspetto limitandosi a disciplinare la cosiddetta «devoluzione/cessione» gratuita al termine dell'affidamento, nulla definendo in ordine al

regime giuridico delle infrastrutture (e degli altri diritti reali coinvolti - servitù, superfici, enfiteusi...);
dallo schema di regolamento - che, disponendo il subentro del nuovo gestore a titolo gratuito e libero da pesi e gravami solo per gli assets non duplicabili, sottintende che ci siano assets che non rientrino nella stessa disciplina - nonché dallo stesso articolo 23-bis (che prevede, al comma 10, lettera i), la disciplina, «in ogni caso di subentro, della cessione dei beni di proprietà del precedente gestore»), si deduce che l'orientamento implicitamente consolidatosi è quello per cui i gestori dei servizi pubblici locali abbiano non solo la proprietà economica ma anche quella giuridica delle infrastrutture realizzate (e di tutti i diritti reali connessi);
una diversa attenzione al ruolo di «governo pubblico» produrrebbe l'implementazione di un diverso sistema di governance (per i quali ci sono già dei riferimenti normativi) in cui è trattenuta «in mano pubblica» la proprietà giuridica delle infrastrutture realizzate dal gestore, riconoscendo a quest'ultimo la proprietà economica delle opere che realizza nel corso dell'affidamento;
con particolare riferimento al Servizio Idrico Integrato (SII), l'assetto proprietario delle infrastrutture assume una particolare rilevanza politica in relazione al contestuale processo di transizione verso assetti di mercato concorrenziale;
tutto quanto sopra considerato si evidenzia la necessità di disciplinare in modo preciso il regime relativo alla proprietà delle infrastrutture realizzate dal gestore di servizi pubblici locali;
per quanto concerne il socio operativo delle società miste, lo schema di regolamento prevede che il socio privato selezionato per la società mista svolga specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio;
la norma attuativa avalla il dubbio sulla compatibilità delle due principali possibili interpretazioni che possono ora essere date al concetto di derivazione comunitaria di «socio operativo»;
tale indeterminatezza si riflette necessariamente almeno sui seguenti aspetti operativi:
a) valutazione della legittimità degli affidamenti in essere a società miste (con eventuale decadenza ed obbligo di un nuovo affidamento per modifica delle condizioni essenziali dell'affidamento);
b) definizione nel bando di gara, per l'affidamento ad una società mista, delle condizioni essenziali dell'affidamento (alla problematica di definire i cosiddetti «specifici compiti operativi» è connessa la problematica occupazionale che assume rilevanza diversa a seconda della interpretazione adottata e che costituisce un elemento determinante per l'accesso al mercato);
allo stato attuale la definizione di tutti questi aspetti è demandata in ultima analisi ai bandi di gara/convenzioni-contratto di servizio;
tutto quanto sopra considerato si evidenzia la necessità di definire in modo più preciso quali sono gli specifici compiti operativi del socio privato;
con riferimento alla rilevanza della regolazione dei rapporti con il gestore attraverso il contratto di servizio;
tale questione riguarda quanto già rilevato indirettamente nell'analisi delle precedenti problematiche ossia la centralità dei contratti di servizio nella regolazione dei rapporti con i gestori dei servizi pubblici locali;
con particolare riferimento al Servizio Idrico Integrato (SII), non può non essere messo in evidenza il paradosso di un processo di apertura del settore al mercato in cui il rapporto con il gestore è affidato prevalentemente ad un contratto di servizio per la cui gestione è fortemente indebolita la parte pubblica competente (si

fa riferimento alla soppressione - cfr. 1.42/2010 - delle Autorità di Ambito Territoriale Ottimale (AATO) fissata al 31 dicembre 2010 e ora necessariamente prorogata nel decreto-legge di proroga termini);
la frammentazione delle gestioni del SII (ma questa considerazione è ancora più calzante per altri settori) corrobora ancora la necessità di regolatori locali che governino i contratti di servizio nelle loro specifiche e quotidiane vicende operative;
alla luce di questo si evidenzia la scontata inefficienza di un sistema di governance di un processo di privatizzazione di un servizio pubblico locale in assenza di un regolatore pubblico anch'esso a dimensione locale;
tutto quanto sopra considerato evidenzia la necessità di una più approfondita definizione della questione;
all'articolo 4, comma 2, punto c), del citato decreto n. 168 si indica come criterio l'applicazione di una tariffa media inferiore alla media di settore. Tale criterio non tiene conto del fatto che la tariffa media è pari alla somma dei costi e degli investimenti per unità di acqua erogata e che, pertanto, sarà necessariamente più alta in quei territori in cui la domanda è bassa e in cui vi è l'esigenza di realizzare ampi interventi di infrastrutturazione. Introducendo il criterio di cui all'articolo 4, comma 2, punto c), si rischia di penalizzare proprio quelle gestioni in house che realizzano maggiori investimenti. L'introduzione di tale criterio potrà perfino provocare la riduzione della previsione di investimento in quei territori che necessità di interventi più consistenti;
è indubbio, inoltre, che la necessità di interventi riformatori su questo comparto, che racchiude al suo interno numerosi settori anche fortemente eterogenei fra di loro, abbia assunto un valore simbolico ai fini dell'affermazione di una cultura pro concorrenziale, di apertura del mercato e di trasparenza da parte di gestioni che in ogni caso ricadono sotto la sfera della regolazione pubblica e che assorbono ingenti risorse a carico dei bilanci pubblici, delle famiglie e delle imprese;
non sempre, tuttavia, a tale valore simbolico e politico è corrisposto un approccio coerente, come nel caso di specie, poiché si rischia un'ulteriore chiusura del mercato e una limitazione della concorrenza, con conseguenze negative sulle famiglie, specie sulle fasce sociali più deboli, sui cittadini e sulle imprese, che si troveranno a pagare il conto di questa mancata riforma;
nessuno degli impegni presi dal ministro per le politiche regionali circa la necessità di istituire in tempi brevissimi un'autorità di regolazione ha avuto seguito;
oggi in numerose occasioni dalla maggioranza di Governo e dal Ministro dell'ambiente, anche in occasione della discussione del decreto-legge n. 196 del 2010 sui rifiuti in Campania abbiamo sentito richiamare la necessità di prorogare l'attuale assetto normativo, e quindi di fatto riconoscere il fallimento di una impostazione che vede anche tra le forze di maggioranza che avevano difeso il decreto Ronchi la necessità di correggere la norma;
la Corte di cassazione, nel dicembre scorso, ha dichiarato la legittimità delle richieste di referendum popolare concernenti l'abrogazione delle norme riguardanti le modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con particolare riferimento al servizio idrico integrato (SII), che chiedono ai cittadini italiani di esprimersi al fine poi di elaborare una nuova normativa in materia di gestione del servizio idrico integrato;

in questo senso sarebbe opportuno sospendere l'effetto di una normativa discutibile ed evitare che le scadenze previste possano pregiudicare il contenuto della valutazione in atto ed essere stravolte dall'esito della consultazione referendaria,


impegna il Governo:


ad adottare iniziative normative per la moratoria che prevedano di prorogare la scadenza per la definitiva interruzione dell'affidamento in house fino al 31 dicembre 2012 e comunque fino alla definizione completa del soggetto pubblico regolatore ed alla piena operatività del sistema pubblico di verifica, controllo e regolazione la soppressione;
ad adottare iniziative per il coordinamento della normativa in esame con la disciplina delle Autorità d'ambito territoriale (AATO) in materia di acqua e rifiuti, che ha demandato alle regioni il compito di attribuire con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza;
ad adottare nell'immediato durante il periodo di transizione un monitoraggio anche preso atto dell'ordine del giorno 9/2897/29, accolto dal Governo come raccomandazione nella seduta del 18 novembre 2009, che impegna il Governo, alla luce della sentenza n. 196 del 2008 della Corte di Giustizia in materia di società miste, a presentare una relazione al Parlamento sulle società miste operanti nel settore dei servizi pubblici locali, anche fornendo adeguate linee guida alle amministrazioni interessate, affinché la struttura societaria e l'oggetto sociale delle imprese esistenti vengano adeguate a detta sentenza;
a riferire in merito alle conseguenze scaturite nel complesso sistema dei servizi pubblici locali dal primo anno di vigenza dell'articolo 23-bis.
(7-00486)
«Bressa, Mariani, Amici, Zaccaria, Ferrari, Fontanelli, Giachetti, Giovanelli, Bordo, D'Antona, Lo Moro, Minniti, Naccarato, Pollastrini, Vassallo, Benamati, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Realacci, Viola».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:

MECACCI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il 26 gennaio 2011 è stato barbaramente assassinato in Uganda, a Namataba - Mukono District, a circa 15 kilometri da Kampala, David Kato Kisule, esponente africano del movimento dei diritti civili, dirigente dell'Associazione Smug (Sexual Minorities Uganda), iscritto all'Associazione Radicale Certi Diritti;
il 16 ottobre 2010 la rivista ugandese Rolling Stone pubblicò in prima pagina le foto di 100 attivisti omosessuali (o presunti tali) ugandesi chiedendone l'arresto. Tra le 100 foto vi era anche quella di David Kato Kisule, l'esponente più noto del movimento. In Uganda, come in altri paesi africani, il clima di odio contro le persone omosessuali è alimentato dal fondamentalismo religioso dei predicatori evangelisti che trovano terreno molto fertile tra la popolazione che vive nella miseria e nella disperazione. L'Alta Corte ugandese, in un ricorso presentato dagli attivisti dell'Organizzazione Smug contro la rivista Rolling Stone, aveva dato ragione agli attivisti per i diritti delle persone lesbiche e gay condannando

il giornale alla chiusura e al risarcimento dei danni causati alle persone omosessuali;
David Kato Kisule, lo scorso novembre 2010, grazie ad anche all'intervento dell'Ong Non c'è Pace Senza Giustizia, aveva partecipato a Roma ai lavori del IV Congresso dell'Associazione Radicale Certi Diritti e aveva denunciato le gravi persecuzioni di cui sono vittime le persone omosessuali in Uganda;
molte Ong internazionali si erano mobilitate in diversi paesi del mondo contro questa barbarie. Il Parlamento Europeo, grazie alla campagna internazionale di Non c'è Pace Senza Giustizia, aveva approvato una Risoluzione di condanna nei confronti dell'Uganda. I parlamentari radicali avevano chiesto ripetutamente al Governo italiano di intervenire per scongiurare rischi e pericoli nel paese. David Kato dopo aver partecipato a Roma ai lavori del IV Congresso di Certi Diritti, era stato anche audito a Bruxelles dalla Sottocommissione Diritti Umani del Parlamento Europeo;
David Kato Kisule, poco prima di essere ucciso, era stato invitato a partecipare ai lavori del 39o Congresso del Partito Radicale Nonviolento, transnazionale e transpartito che si svolgeranno a Chianciano dal 17 al 20 febbraio 2011 per aggiornare i congressisti dell'aggravamento della situazione, sul fronte dei diritti civili e umani in Uganda;
a seguito dell'assassinio di David Kato Kisule, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, la Segretario di Stato, Hillary Clinton, il Presidente del Parlamento Europeo, il Sindaco di Parigi, autorità di Governo di molti paesi di tutto il mondo occidentale, Associazioni e Ong che operano nel campo dei diritti umani, hanno espresso forte condanna per il grave atto di violenza avvenuto in Uganda. In Italia soltanto Marco Pannella, leader dei radicali, alcuni parlamentari radicali e alcune Associazioni hanno ricordato del coraggioso impegno di David Kato Kisule;
attualmente, grazie alle pressioni internazionali di Governi e Ong internazionali il Governo ugandese ha bloccato l'iter della legge che prevede la condanna a morte delle persone omosessuali anche se nel codice penale gli atti omosessuali continuano ad essere gravemente perseguiti; la stessa Associazione ugandese Smug, insieme ad altri organismi ugandesi e internazionali, chiedono che quanto prima il Governo intervenga per garantire l'incolumità degli altri attivisti omosessuali e vengano quanto prima cancellate le legge persecutorie nei confronti delle persone omosessuali -:
per quale motivo il Governo italiano non sia intervenuto per condannare il grave atto di violenza che ha causato la morte di David Kato Kisule;
quali iniziative intenda adottare il Governo italiano per la promozione e la tutela dei diritti civili e umani delle persone omosessuali in Uganda;
quali iniziative anche in ambito di Unione Europea intende promuovere il Governo italiano affinché nei rapporti bilaterali con l'Uganda venga posto tassativamente come vincolo di ogni aiuto e cooperazione il rispetto dei diritti civili e umani;
se il Governo non ritenga urgente intervenire nell'ambito della Cooperazione internazionale con l'Uganda affinché vengano promosse apposite campagne contro il fondamentalismo religioso e che le regole promosse con fanatismo e odio non diventino leggi dello Stato e venga mantenuta la necessaria distinzione tra leggi dello Stato e regole proposte dalle organizzazioni religiose.
(5-04134)

AFFARI ESTERI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere - premesso che:
da diversi mesi è in corso un serrato dibattito relativo alla proprietà di un appartamento situato a Montecarlo, già facente parte di un legato ad un partito politico italiano, Alleanza Nazionale;
della vicenda si sono occupati largamente i media fornendo documentazioni, avanzando ipotesi ed esprimendo valutazioni e considerazioni in relazione al comportamento di soggetti privati, istituzionali, servizi dello Stato anche in riferimento a rapporti internazionali del nostro Paese;
in considerazione della complessità della vicenda e per restituire serenità ai cittadini sul corretto comportamento delle istituzioni e dei loro organi, il Ministro degli affari esteri si è opportunamente attivato al fine di chiarire quali fossero i reali termini della questione -:
se a suo avviso tale intervento abbia potuto eliminare sospetti, valutazioni errate, coinvolgimenti di apparati dello Stato, in tal modo tutelando l'immagine dell'Italia.
(2-00952) «Corsaro».

Interrogazione a risposta scritta:

MENIA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il 17 e 18 gennaio scorsi, il Presidente della Repubblica di Slovenia Turk è stato in visita ufficiale a Roma, ove ha incontrato il Presidente Napolitano e gli alti vertici delle nostre istituzioni: nel corso dei suoi incontri sono stati affrontati diversi aspetti inerenti i rapporti Italia-Slovenia e tra questi la questione dei «capolavori istriani»;
a quanto si è appreso dalle agenzie di stampa e dallo stesso sito della Repubblica di Slovenia, il Presidente Turk ha chiesto la cosiddetta «restituzione dei beni artistici provenienti da Capodistria, Isola, Pirano» che furono portati a Roma tra il 1939 e il 1940;
va detto in proposito che si tratta di capolavori della scuola veneta dovuti ai Carpaccio, Vivarini, Tiepolo e altri autori che furono spostati (non certo «trafugati») dall'Istria a Roma, all'inizio della seconda guerra mondiale per preservarli dai pericoli del conflitto;
va da sé che si tratta di patrimonio artistico italiano, spostato legittimamente all'interno dell'allora Regno d'Italia di cui facevano parte integrante le città dell'Istria. Va precisato anche che Isola, Pirano e Capodistria vennero cedute dalla Repubblica Italiana alla Jugoslavia solo con il trattato di Osimo del 1975 ed ora sono parte della Repubblica di Slovenia sorta dalla dissoluzione dell'ex Federativa di Tito;
le opere d'arte in questione sono ad oggi conservate presso il Museo Sartorio di Trieste e si vorrebbero collocare nel costituito Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata del capoluogo giuliano, riconosciuto nella legge n. 92 del 2004 che istituisce il «Giorno del Ricordo» -:
quali siano gli intendimenti del Governo a proposito delle richieste slovene sulle sopra citate opere d'arte istriane;
se, in particolare, si vogliano comunque fornire rassicurazioni al mondo degli esuli e più in generale a chi tiene al patrimonio artistico nazionale, in ordine al mantenimento in Italia delle citate opere d'arte istriane.
(4-10668)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:

MANNINO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
al personale medico del Servizio Sanitario Nazionale, agli ufficiali medici delle Forze Armate e di Polizia, compresi quelli in servizio presso l'Arma dei Carabinieri che frequentano, nell'interesse delle rispettive amministrazioni che li hanno allo scopo selezionati, scuole di specializzazioni mediche presso le Università, viene riconosciuto il diritto allo studio, esentando gli specializzandi dai servizi di istituto presso l'ente di appartenenza;
all'interno del Ministero della difesa, tale esenzione è prevista per gli ufficiali medici della Marina e dell'Aeronautica, mentre quelli in forza all'Esercito sono costretti, oltre alle 38/40 ore settimanali presso l'Ateneo, a prestare attività lavorativa presso l'Ente di appartenenza, espletando servizi diurni e notturni fuori sede, senza percepire straordinari o altre provvidenze di legge;
è importante ricordare che i medici delle prime due specialità (Marina ed Aeronautica) sono esentati dall'attività lavorativa perché vengono considerati tecnicamente e giuridicamente «forza assente», e ciò in coerenza con quanto previsto dalla circolare del Ministero della pubblica istruzione, università e ricerca n. 3200 del 4 ottobre 2010, inviata anche al Ministero della difesa, che ribadisce la necessità che gli specializzandi siano utilizzati a tempo pieno presso le strutture universitarie, liberandoli dall'impegno presso gli enti di appartenenza, in ottemperanza con quanto disposto dall'Osservatorio nazionale per la formazione specialistica medica;
la stessa Direzione Generale della Sanità Militare, con nota 15558 del 19 ottobre 2010 indirizzata al gabinetto del Ministro della difesa e agli Stati Maggiori di Esercito, Marina e Aeronautica ha affermato come non vi sia possibilità alcuna di distrarre gli ufficiali specializzandi dalla frequenza dei corsi -:
quali iniziative intenda urgentemente intraprendere per far cessare il comportamento discriminatorio esposto in premessa, tenuto conto che i corsi di specializzazione sono tuttora in atto.
(3-01436)

TESTO AGGIORNATO AL 2 FEBBRAIO 2011

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata:

LENZI, MARAN, BOCCIA, QUARTIANI, GIACHETTI, MIOTTO, BARETTA, ARGENTIN, BOSSA, BUCCHINO, BURTONE, D'INCECCO, GRASSI, MURER, PEDOTO, SARUBBI, SBROLLINI, LIVIA TURCO e VANNUCCI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
secondo fonti Istat, sono circa 2 milioni e 653 mila le famiglie in condizioni di povertà, nei confronti delle quali si attende un intervento organico di integrazione al reddito;
l'unico provvedimento di lotta alla povertà intrapreso da questo Governo è stato l'istituzione della carta acquisti o social card nel 2008, con l'articolo 81, comma 29 e seguenti, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, poi riconfermato nel 2009. La carta è rivolta a cittadini che versano in condizioni di disagio economico con queste caratteristiche: anziani ultrasessantacinquenni e famiglie con figli di età inferiore ai 3 anni, che abbiano un reddito fino a 6.000 euro. Per chi ha più di 70 anni, la soglia di reddito è 8.000 euro. La carta consente, per una parte, di usufruire di una vera e propria carta prepagata finalizzata all'acquisto di beni alimentari o farmaceutici e al pagamento delle tariffe per le utenze domestiche, per l'altra, di beneficiare di sconti nell'acquisto di prodotti alimentari o parafarmaceutici (ad esempio, i pannolini

e il latte in polvere) che il Governo ha negoziato con le principali reti di distribuzione e di produzione di beni alimentari. La carta acquisti vale 480 euro l'anno e viene caricata ogni 2 mesi con 80 euro, sulla base degli stanziamenti disponibili;
con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 30 novembre 2009 (Gazzetta ufficiale 28 dicembre 2009, n. 300), è stato ampliato l'utilizzo della carta acquisti, assegnando 20 euro a bimestre per gli utilizzatori, sul territorio nazionale, di gas naturale o gpl, per uso finalizzato al riscaldamento e/o uso cucina e/o produzione di acqua calda per la propria unità abitativa. E con successivo provvedimento sono state definite le modalità di distribuzione dei 20 euro all'anno per acquisto di latte in polvere e pannolini;
sono escluse dal beneficio le persone indigenti prive di alcun reddito, le persone disabili titolari di altro trattamento, quale, ad esempio, un assegno di accompagnamento, le famiglie con minori sopra i tre anni, risultando, quindi, con ogni evidenza che gran parte delle famiglie povere ne è esclusa;
al momento del lancio era stata prevista la distribuzione di 1 milione e 300.000 social card. Al riguardo, si fa presente che alla data del 20 gennaio 2010, nel rispondere ad un'interrogazione del gruppo del Partito democratico in Commissione bilancio, tesoro e programmazione, a firma dell'onorevole Baretta, il Governo informava che i cittadini beneficiari e utilizzatori della carta acquisti ammontavano complessivamente a circa 450.000. Nel mese di gennaio 2010, 350.500 soggetti, di cui 197.500 con età superiore ai 65 anni e 153.000 con età inferiore ai 3 anni, avevano ricevuto l'accredito dell'importo relativo al primo bimestre 2010. Complessivamente i soggetti che hanno avuto accesso al programma dal dicembre 2008 al 2010 sono stati in numero di 640.600, di cui 366.600 cittadini di età superiore ai 65 anni e 274.000 bambini di età inferiore ai 3 anni;
all'inizio la carta doveva essere finanziata con risorse pubbliche: 170 milioni di euro stanziati dal decreto-legge n. 112 del 2008; 485,6 milioni di euro resi disponibili dal decreto-legge n. 155 del 2008; 2 milioni di euro stanziati dalla legge n. 2 del 2009, quale contributo per latte artificiale e pannolini; e con donazioni: 200 milioni di euro da Eni s.p.a. e 50 milioni di euro da Enel s.p.a. -:
quali siano le risorse che il Governo intende destinare per l'anno 2011 e quale sia la quota di risorse messe a disposizione da parte di soggetti privati, al fine di assicurare la prosecuzione dell'esigibilità del contributo della social card da parte di una platea di beneficiari almeno comparabile con quella degli anni precedenti.
(3-01435)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:

FLUVI e VANNUCCI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo n. 85 del 2010 prevede l'attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio in attuazione dell'articolo 19 della legge n. 42 del 2009;
nell'ambito della discussione sul relativo schema di decreto, ai fini del parere parlamentare da parte delle Commissioni di merito, è stato fornito, da parte dell'Agenzia del demanio, un elenco provvisorio del patrimonio disponibile 23A1, aggiornato al 30 aprile 2010;
tale elenco comprendeva, alla posizione 11419, regione Marche, provincia Pesaro e Urbino, comune di Fano, l'immobile ex caserma di Fanteria Paolini, ubicato in viale Antonio Gramsci, con codice cespite PU0128001;
successivamente alla pubblicazione del decreto n. 85 del 2010 l'Agenzia del demanio ha pubblicato nel proprio sito l'elenco dei beni disponibili del patrimonio

dello Stato riferiti al decreto, in cui il predetto immobile non compariva e non sembra essere stato inserito nel frattempo;
dalla corrispondenza intercorsa in materia con la direzione dell'Agenzia del demanio si apprende che la momentanea esclusione del bene è riferita alla circostanza che l'immobile stesso è inserito nel protocollo d'intesa sottoscritto tra il Ministro ed il comune di Fano in data 7 giugno 2007 e che il bene apparterebbe al demanio storico-artistico;
la questione appare rilevante, oltre che nello specifico dell'immobile, per la portata generale dell'interpretazione della norma;
pur essendo infatti prevista, nel decreto in questione, all'articolo 5, comma 2, l'esclusione dei beni oggetto di accordi o intesa con gli enti territoriali, va specificato che, nel caso citato, l'accordo non è stato perfezionato, stante l'impossibilità economica dell'ente;
l'interpretazione della norma non può che essere quella di riferirsi ai soli accordi «perfezionati» e non alle semplici dichiarazioni di intenti che creerebbero una evidente disparità di trattamento fra enti che vedrebbero assegnarsi l'immobile ed altri che non se lo vedrebbero assegnare solo perché hanno dichiarato un proprio interesse, peraltro con un Governo precedente e con altre normative di riferimento;
l'ipotizzata attribuzione del bene al demanio storico-artistico apparirebbe pretestuosa e infondata, dovendosi includere in tale categoria di beni solo quelli di interesse culturale artistico (non è il caso della caserma Paolini) e non semplicemente gli immobili che hanno superato i 50 anni di vetustà, a meno di non voler escludere dall'elenco gran parte dei beni;
le problematiche esposte appaiono suscettibili di creare notevole contenzioso;
l'Agenzia del demanio, sempre nella citata corrispondenza, informa di aver formulato uno specifico quesito al Ministro dell'economia e delle finanze sui due profili problematici appena citati -:
se intenda, rispondendo al quesito posto dall'Agenzia del demanio, chiarire quanto prima che il comma 2 dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 85 del 2010 deve ritenersi applicabile solo nel caso in cui gli accordi e le intese si siano effettivamente perfezionati prima dell'entrata in vigore del decreto stesso, nonché chiarire che il riferimento contenuto nel medesimo comma 2 dell'articolo 5 al «patrimonio culturale» non può in nessun caso applicarsi a beni quali l'ex caserma Paolini di Fano.
(5-04129)

VENTUCCI, TOMMASO FOTI e CARLUCCI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'istituto del deposito IVA è stato introdotto dalla normativa comunitaria al fine di concedere un vantaggio agli operatori localizzati all'interno dell'Unione, consentendo agli stessi di posticipare il pagamento dell'IVA dal momento dell'immissione in libera pratica a quello dell'immissione in consumo del bene;
tale istituto è attualmente disciplinato a livello comunitario dalla direttiva 2006/112/CE, la quale stabilisce che l'operazione di mera presa in carico documentale delle merci equivale a tutti gli effetti all'introduzione fisica in deposito delle merci, atteso che rimane impregiudicato l'accertamento dell'imposta da parte delle autorità doganali, realizzandosi di fatto solamente una modalità diversa della corresponsione dell'IVA (non più versata in dogana, ma assolta tramite il meccanismo del «reverse charge»);
la direttiva, dunque, ed il codice doganale comunitario, consentono ad un cittadino comunitario identificato ai fini IVA - direttamente o mediante rappresentante fiscale in un Paese membro - di immettere la merce in libera pratica e trasferirla in un altro Paese membro, dove, sulla base di una documentazione

commerciale (bolletta doganale, documento di trasporto ed altro) provvederà ad assolvere l'IVA mediante il sistema del «reserve-charge»);
l'Amministrazione finanziaria, di recente, ha contestato ad alcuni operatori l'utilizzo virtuale, esclusivamente contabile, del deposito fiscale ai fini IVA, nel presupposto che la disciplina dell'istituto presuppone la materiale introduzione fisica dei beni nel deposito e non ritenendo, dunque, più sufficiente la sola annotazione nel registro di cui al comma 3 dell'articolo 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331: alla luce di detta interpretazione, l'Amministrazione sta procedendo al recupero dell'imposta non assolta in dogana dagli operatori in ragione dell'esenzione di cui al comma 4, lettera b), del predetto articolo 50-bis;
l'orientamento assunto sul punto dall'Amministrazione finanziaria comporta, tuttavia, come conseguenza paradossale la duplicazione nell'applicazione dell'IVA sul medesimo presupposto impositivo sostanziale, disciplinato dall'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e rappresentato dall'importazione di beni nel territorio nazionale: l'imposta che l'Amministrazione finanziaria pretende di recuperare sui beni risulta, infatti, già assolta dai soggetti passivi al momento dell'estrazione dei beni stessi dal deposito fiscale IVA ai sensi dell'articolo 50-bis, comma 6, del decreto-legge n. 331 del 1993;
il mancato allineamento alle disposizioni comunitarie espone l'Italia al rischio di eventuali sanzioni per violazione ed errata trasposizione del diritto comunitario, oltre a produrre effetti pregiudizievoli sul piano economico per gli operatori nazionali, disincentivati ad utilizzare il deposito IVA;
i giudici tributari aditi hanno in più occasioni accolto i ricorsi presentati dagli operatori a fronte del summenzionato orientamento dell'Amministrazione finanziaria e ciò fino alla pronuncia da parte della Corte di Cassazione (sentenza 12262/10), che non pare - a giudizio degli interroganti - tenere nel debito conto la disposizione di cui al comma 5-bis dell'articolo 16 del decreto-legge n. 185 del 2008 (la quale considera come «introduzione» le prestazioni di servizi di cui al comma 4 dell'articolo 50-bis del decreto-legge n. 331 del 1993 rese sui beni consegnati al depositario), né quanto specificatamente disposto dagli articoli 1766 e seguenti del codice civile, in ragione dei quali risulta consentito alle parti del contratto di deposito di concordare liberamente il luogo di consegna e quello di restituzione dei beni da custodire;
la situazione sopra rappresentata determina, senza alcun dubbio, l'instradamento di una parte dei traffici in altri Stati membri dell'Unione europea, con perdite di entrate fiscali e tasse portuali, oltre che di opportunità, sia per lo Stato italiano sia per gli operatori economici nazionali, con prevedibili e gravi ripercussioni sui livelli occupazionali nel settore della logistica -:
se non ritenga di adottare iniziative volte ad assicurare una corretta interpretazione della normativa vigente in materia, al fine di chiarire definitivamente che i beni non comunitari possono essere introdotti in un deposito fiscale ai fini IVA anche attraverso la sola annotazione della relativa operazione nel registro di cui al comma 3 dell'articolo 50-bis del decreto-legge n. 331 del 1993, che l'IVA su tali operazioni non è comunque ulteriormente dovuta qualora la stessa sia stata integralmente assolta, seppure irregolarmente, attraverso il meccanismo dell'inversione contabile al momento dell'estrazione dei beni stessi dal deposito IVA, ai sensi del comma 6 del citato articolo 50-bis e del comma 2 dell'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica n. 663 del 1972, e che alle predette irregolarità si applica la sanzione amministrativa di cui all'articolo 6, comma 9-bis, terzo periodo, del decreto legislativo n. 471 del 1997.
(5-04130)

LO MONTE, ZELLER e BRUGGER. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante «Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e imprese e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale», all'articolo 30, comma 5, ha specificato che la qualifica di organizzazioni non lucrative di utilità sociale, con i conseguenti benefici fiscali, prevista dall'articolo 10, comma 8, del decreto legislativo n. 460 del 1997, spetta alle associazioni e alle organizzazioni di volontariato che non svolgono attività commerciali diverse da quelle marginali, come individuate dal decreto ministeriale 25 maggio 1995, limitando cosi notevolmente le agevolazioni fiscali;
le sponsorizzazioni, di conseguenza, sono considerate «attività commerciali» ai fini IRES, IRAP e IVA, non più assoggettabili ai benefici riconosciuti alle Onlus;
nell'attuale difficile congiuntura economica il volontariato, ed in generale il cosiddetto terzo settore, si trovano in grave difficoltà e, oltre a dover fronteggiare i tagli lineari del Governo, vedono ridursi anche gli aiuti che potevano giungere dai privati e, nonostante tutto, cerca di non far mancare il suo importante contributo per la tenuta sociale del Paese;
il Consiglio europeo ha dichiarato il 2011 «Anno Europeo del Volontariato» e quest'anno si celebra anche il 10o anniversario dell'Anno Internazionale del Volontariato delle Nazioni Unite, a dimostrazione dell'alto livello di attenzione dell'opinione pubblica per il settore -:
se ritenga opportuno promuovere iniziative per la revisione della normativa di cui all'articolo 30, in particolare sopprimendo il comma 5, per evitare che il costo della crisi non ricada su quei soggetti della società civile che, in spirito di gratuità e di servizio, operano per rispondere ai bisogni sempre più gravi dei cittadini.
(5-04131)

FORCOLIN e MAGGIONI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nello scorso mese di dicembre molti commercianti ambulanti della provincia di Pavia hanno ricevuto da parte dell'Agenzia delle entrate avvisi di accertamento relativi all'anno 2006;
uno di questi avvisi contestava la non coerenza della produttività per addetto relativamente allo studio di settore TM03B, considerando il valore calcolato di 77,81 superiore a quello massimo previsto di 71,27;
il calcolo deriva dalla considerazione di una percentuale di ricarico media applicata sul costo del venduto pari per la provincia di Pavia al 99,11 per cento e ad una percentuale del commerciante in esame pari a al 46,99 per cento;
tale percentuale costituisce appunto una media tra tutte le aziende che svolgono l'attività di commercio al dettaglio ambulante in posti mobili di tessuti ed abbigliamento e, all'interno di questa categoria, le percentuali di ricarico possono essere di molto inferiori per particolari tipologie di articoli venduti; tale percentuale è condizionata, inoltre, dal territorio nel quale si svolge l'attività, fatto di comuni piccolissimi, caratterizzato dalla presenza di grossi centri commerciali e da numerosi ambulanti non comunitari, che vendono a prezzi molto bassi;
analizzando l'elenco delle partite IVA preso in considerazione dall'Agenzia delle entrate di Pavia emerge il paradosso che chi dichiara un reddito di impresa di 25 mila euro con ricarica del 46,99 per cento subisce un accertamento che imputa un maggior ricavo di 58 mila euro, mentre chi dichiara un reddito di 1.200 euro con ricarica di oltre il 100 per cento è considerato un contribuente che rientra nella norma e, conseguentemente, coerente;
a parere dell'interrogante lo strumento degli studi di settore dovrebbe essere usato in maniera non automatica, valutando le caratteristiche socio-economiche

del territorio in cui le imprese operano ed i singoli settori merceologici di appartenenza -:
quanti siano gli avvisi di accertamento emessi in provincia di Pavia, in provincia di Lodi ed in provincia di Milano relativi all'esercizio 2006 nei confronti dei commercianti ambulanti e se il Governo ritenga di intervenire con idoneo provvedimento per rendere lo strumento degli studi di settore più flessibile e capace di cogliere le peculiarità dei singoli settori merceologici e delle singole realtà territoriali, spesso così diverse una dall'altra da non essere correttamente rappresentate dagli studi attuali.
(5-04132)

BARBATO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
alcune notizie recentemente emerse sulla stampa gettano ima luce preoccupante sulla gestione di talune banche italiane;
in particolare risulterebbe che la Banca di credito cooperativo di Altavilla Silentina e Calabritto avrebbe accordato ad alcuni clienti scoperti di conto corrente del tutto esorbitanti rispetto alle regole che presiedono alla sana e prudente gestione della banca;
ad esempio, un trattamento particolarmente privilegiato sarebbe stato riservato ad alcuni esponenti politici correntisti della predetta banca, tra i quali il signor Ernesto Sica, attuale sindaco di Pontecagnano e precedentemente assessore della regione Campania, poi dimessosi nel quadro dell'inchiesta giudiziaria relativa alla vicenda cosiddetta «P3», in favore del quale sarebbero stati tollerati scoperti di conto corrente molto significativi, di molto superiori a quelli accordati alla normale clientela;
analoghi fenomeni si sarebbero verificati anche presso la Banca di Credito Cooperativo Fiorentino di Campi Bisenzio, di cui fino a poco tempo fa era presidente il deputato Denis Verdini, commissariata nel luglio 2010 dalla Banca D'Italia per irregolarità nella gestione;
nel caso della BCC fiorentina le notizie di stampa riferiscono di un'indagine della magistratura relativa alla gestione disinvolta della banca, che avrebbe tollerato scoperti di ammontare particolarmente ingente su conti correnti intestati al deputato Marcello Dell'Utri, in parte sanati con un bonifico bancario disposto dal Presidente del Consiglio, in relazione al quale non sarebbe stata rispettata la normativa antiriciclaggio;
tali vicende sembrano testimoniare dell'esistenza di incroci quantomeno opachi tra mondo della finanza e taluni settori del mondo politico, tali da pregiudicare la legalità e la trasparenza in un settore, quello dei mercati finanziari, che è già stato al centro, negli ultimi anni, di gravi scandali che hanno messo a repentaglio la stabilità dell'intero sistema economico ed hanno colpito duramente i piccoli risparmiatori -:
di quali informazioni disponga in merito alle vicende appena sintetizzate, e quali iniziative abbia assunto o intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, al fine di garantire il rispetto delle regole generali in materia bancaria e la stabilità del sistema creditizio nazionale.
(5-04133)

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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, Antonio Leandri, in carcere a Perugia per aver ucciso e fatto a pezzi il padre Olindo, ha tentato di tagliarsi le vene nella sua cella la mattina del 23 gennaio 2011;

Leandri si è procurato una quindicina di tagli superficiali agli avambracci con la lametta da barba usa e getta in dotazione a tutti i detenuti. L'uomo è stato immediatamente soccorso nella medicheria del carcere perugino di Capanne ed attualmente è tenuto sotto osservazione e non gli è concesso di avere alcun potenziale oggetto pericoloso in cella -:
se ed in quante occasioni il detenuto Leandri sia riuscito ad avere colloqui con gli psicologi del carcere prima del tentato suicidio;
se il detenuto Leandri, al momento del fatto, fosse sottoposto ad un trattamento psicologico;
se sia noto di quale tipo di cura e di assistenza sanitaria usufruisca attualmente il detenuto in questione.
(4-10658)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 24 gennaio 2011, undici detenuti del carcere di Piacenza avrebbero fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo per le condizioni in cui sono costretti a vivere in carcere;
gli 11 detenuti dicono di essere sottoposti a trattamento inumano perché rinchiusi in celle in cui hanno a disposizione meno di 3 metri quadrati ciascuno e che sono mal illuminate a causa delle sbarre alle finestre. Inoltre, nel ricorso scrivono che l'accesso alle docce è limitato dal fatto che manca l'acqua calda. Due di loro, non fumatori, si dolgono inoltre di dover condividere la cella con dei fumatori e di essere quindi esposti ai rischi del fumo passivo durante tutta la giornata;
a seguito del predetto ricorso, la corte di Strasburgo ha chiesto al Governo italiano di fornire tutti i dati sulla reale situazione del carcere di Piacenza e di indicare quali misure sono state prese dopo che il giudice di sorveglianza di Reggio Emilia ha dato ragione a tre dei detenuti che gli avevano già presentato un ricorso simile;
l'Italia è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel luglio del 2009 per aver tenuto per 2 mesi e mezzo un detenuto nel carcere romano di Rebibbia in una cella dove aveva a disposizione meno di 3 metri quadrati. In quel caso la Corte accordò al ricorrente mille euro per danni morali. Secondo il comitato per la prevenzione alla tortura lo spazio minimo in cella a disposizione del detenuto deve essere di circa 7 metri quadrati -:
se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
quali siano i dati sulla reale situazione del carcere di Piacenza che il Governo italiano ha inviato alla Corte europea dei diritti dell'uomo;
quali misure siano state adottate dal Governo dopo che il giudice di sorveglianza aveva accolto il ricorso di tre detenuti che si erano lamentati del fatto di non avere sufficiente spazio all'interno delle celle ubicate nel carcere di Piacenza;
di quanti metri quadrati dispongano i detenuti rinchiusi nel carcere di Piacenza; se le celle siano sufficientemente illuminate e se le docce abbiano l'acqua calda.
(4-10661)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 24 gennaio 2011, sul quotidiano La Gazzetta del Sud, è apparso il seguente articolo: «L'agente deve fare la scorta, la sala colloqui rimane chiusa»;
l'articolo disegna un quadro drammatico della situazione in cui si trova il carcere di Reggio Calabria e per questo motivo la prima firmataria del presente atto decide di riportarne integralmente il contenuto: «Quanto sia importante la

presenza dell'agente di polizia penitenziaria Tommaso Chirivì all'interno del carcere di via San Pietro lo stanno sperimentando i detenuti e i penalisti che li assistono. Da quando, per carenza di personale, l'agente addetto alla chiamata viene spesso e volentieri impiegato all'esterno nel servizio scorte, infatti, la sala colloqui rimane chiusa. Incredibile, ma vero, non c'è nessuno che lo sostituisca. Avvocati e detenuti, di conseguenza, devono rinunciare alla possibilità parlare con i loro assistiti. Magari sono costretti a rinviare uno scambio di vedute su questioni importanti come la firma di un atto, la scelta di un rito. E quando ci sono di mezzo termini di scadenza il rinvio di un colloquio può diventare un ostacolo insormontabile. Una situazione paradossale che, secondo i penalisti reggini, lede il diritto di difesa. Il problema si è palesato in tutta la sua gravità nell'ultimo periodo quando sono cresciute in modo esponenziale le scorte assicurate dal corpo di Polizia penitenziaria. Situazione critica per l'alto numero di processi con imputati detenuti che hanno il sacrosanto diritto di essere presenti in udienza e che devono, quindi, essere accompagnati nelle varie sedi giudiziarie della Corte d'appello. Per assicurare il servizio scorte ci vuole un numero adeguato di agenti. Cosi, vengono lasciati sforniti di personale alcuni uffici, in particolare l'ufficio colloqui avvocati. Tra i destinati a infoltire le file per assicurare il servizio scorte c'è anche l'agente Chirivì, addetto a stare all'interno della sala e chiamare i detenuti dopo aver controllato la regolarità delle nomine. Quando è utilizzato all'esterno, l'agente chiude a chiave la sala e buonanotte ai colloqui. I penalisti si rivolgono alla direttrice Carmela Longo che può solo manifestare il suo rammarico. Lei ha fatto presente il problema nelle sedi opportune ma non ha ricevuto risposte adeguate. Di un'altra questione legata ai colloqui si era di recente occupata anche la camera penale: ci sono solo 4 salette e sono poche per il numero dei detenuti nel carcere di Reggio. Capita di frequente che qualche avvocato veda trascorrere l'orario dei colloqui, dalle 9 alle 14.30, senza possibilità di incontrare il proprio assistito. Mercoledì i penalisti hanno trovato la sala chiusa: "Mi è stato detto - racconta l'avvocato Giacomo Iaria - che non era possibile procedere al colloquio perché la saletta non poteva essere aperta mancando l'agente Chirivì impegnato a fare servizio di scorta in Tribunale". Iaria ci ha riprovato venerdì insieme con i colleghi Antonino Priolo e Gregorio Cacciola giunto da Palmi: !Alle 11 - spiega - sono stato invitato a uscire perché Chirivì doveva andare a fare servizio scorta. Crediamo che siamo in presenza di una lesione del diritto di difesa. Il colloquio con il detenuto, oltre a rivestire importanza di natura psicologica, diviene necessario nel momento della formazione della strategia difensiva. Io avevo necessità di far firmare degli atti di conferimento di procura speciale per accedere a un rito alternativo. Avevo necessità di illustrare le ragioni di questa scelta processuale al mio assistito. Ciò mi è stato impedito» -:
se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di aumentare il numero degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso la casa circondariale di Reggio Calabria;
se non ritenga opportuno provvedere all'immediato ampliamento della sala colloqui del carcere di Reggio Calabria in modo da garantire la corretta e puntuale fruizione dei colloqui tra difensori e detenuti.
(4-10662)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
è grave la situazione in cui versa l'ufficio del giudice di pace di Roma dove

la carenza di personale non consente lo svolgimento dell'ordinaria attività giudiziaria;
infatti l'organico del predetto ufficio (123 giudici in servizio), risulta insufficiente e non riesce a smaltire l'enorme carico di lavoro che grava sullo stesso;
la difficile situazione, che potrebbe tradursi in una paralisi per l'ufficio, danneggia inevitabilmente gli interessi dei cittadini e pregiudica il corretto svolgimento dell'attività giudiziaria;
è necessario evidenziare che i giudici operanti presso l'ufficio sono 123 a fronte di una pianta organica di 209 unità stabilita dal Ministero della giustizia e necessaria per garantire il normale funzionamento degli uffici giudiziari;
è necessario un intervento urgente per assicurare che l'ufficio del giudice di pace di Roma possa continuare a svolgere la sua attività nel migliore dei modi -:
quali iniziative intenda adottare per aumentare l'organico dei giudici di pace di Roma permettendo cosi lo svolgimento regolare ed efficace dell'attività giudiziaria nella capitale.
(4-10663)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
lo scorso 14 dicembre sul quotidiano Il Manifesto è apparso un articolo di Diana Santini intitolato: «Colpevole di non avere il permesso di soggiorno, Saidiou muore da detenuto»;
l'articolo racconta l'incredibile morte di Saidiou Gadiaga Elhdj avvenuta all'interno di una camera di sicurezza di una caserma dei carabinieri ubicata a Brescia;
considerata l'importanza del contenuto e delle informazioni in esso riportate, la prima firmataria del presente atto decide di trascrivere integralmente il citato articolo: «La magistratura ha aperto un'inchiesta sulla morte, domenica mattina, di un immigrato senegalese nella camera di sicurezza della caserma dei carabinieri Masotti, a Brescia: stroncato da una crisi respiratoria, hanno detto i medici. Saidiou Gadiaga, Elhdj per gli amici, trentaquattro anni, soffriva di una grave forma d'asma ed è stata proprio questa la prima cosa che ha detto ai carabinieri quando venerdì pomeriggio l'hanno portato in caserma, dopo che durante un controllo dei documenti era risultato privo del permesso di soggiorno. Il giorno dopo in città si sarebbe svolto un corteo antirazzista contro la sanatoria-truffa e, come spesso accade ultimamente nella Brescia ostaggio delle politiche discriminatorie a marchio Lega, la vigilia si è trasformata in un'ottima occasione per un giro di controlli a tappeto tra gli immigrati. Dopo l'arresto Saidiou viene portato in camera di sicurezza, in attesa del processo per direttissima e della conseguente espulsione forzata. In tasca ha, come sempre, un flaconcino di spray antiasmatico e un certificato medico che ne attesta la malattia. Più di una volta, racconta uno dei tre ragazzi immigrati, fermati nelle stesse ore e poi trattenuti insieme a lui, forse a causa dell'aria viziata della cella, il fiato di Saidiou si fa corto, affannoso. Ma viene tenuto lì dentro lo stesso, per due notti, nonostante avesse spiegato che il suo stato di salute non era compatibile con la detenzione. Domenica mattina, verso le sette, le sue condizioni peggiorano drasticamente. Finalmente qualcuno si decide a chiedere l'intervento dei medici, ma è troppo tardi. Ancora una breve, disperata corsa verso l'ospedale, dove però non c'è altro da fare che constatare il decesso, poco prima delle nove. Ora si attendono i risultati dell'autopsia. La comunità senegalese di Brescia, riunita ieri per discutere di quanto accaduto, chiede sia fatta chiarezza. La sorella di Saidiou, da Padova, dove vive, è partita per Brescia, dove oggi nominerà un avvocato di fiducia. Che, con tutta probabilità, chiederà un nuovo esame autoptico. Per ora all'attenzione dei legali ci sono la testimonianza del ragazzo senegalese che

ha diviso la cella con lui e la pacata ammissione dei carabinieri del fatto che erano perfettamente consapevoli delle precarie condizioni di salute di Saidiou Gadiaga. Tra gli amici e i conoscenti, invece, c'è soprattutto la consapevolezza, se davvero c'era bisogno di un'altra inutile prova, che di Bossi-Fini si muore: in fondo, l'unica colpa di Saidiou, l'unica ragione per cui si trovava in quella cella, è che non aveva il maledetto pezzetto di carta. Anche per lui i migranti »bresciani«, dopo la mobilitazione dell'11, saranno oggi a Roma per manifestare con tutti gli altri che hanno risposto all'appello nazionale dei migranti e delle associazioni antirazziste, nel giorno in cui il governo Berlusconi chiede la fiducia. Porteranno in dote il patrimonio delle lotte che li hanno visti protagonisti, sopra e sotto la gru, a Brescia» -:
di quali informazioni dispongano circa i fatti riferiti in premessa;
se non intendano avviare, negli ambiti di rispettiva competenza, una verifica amministrativa interna al fine di accertare l'esistenza di eventuali profili di responsabilità e/o illiceità disciplinare nella condotta dei carabinieri che hanno tenuto in custodia Saidiou Gadiaga Elhdj.
(4-10664)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
dal 14 maggio 2008 si sta celebrando a Napoli il processo per il dissesto della gestione dei rifiuti in Campania. Tra i reati contestati, tutti risalenti al periodo compreso tra il 2001 e il 2004, vi sono la truffa aggravata ai danni dello Stato, l'interruzione di servizio di pubblica utilità, l'abuso d'ufficio, la violazione della normativa ambientale e il falso ideologico. Gli imputati sono l'ex Presidente della regione Campania, onorevole Antonio Bassolino, all'epoca nominato commissario per l'emergenza dei rifiuti; il dott. Raffaele Vanoli, vicecommissario, e il dottor Giulio Pacchi, subcommissario. Imputati sono anche Piergiorgio e Paolo Romiti, rispettivamente ex amministratore delegato dell'Impregilo ed ex dirigente dell'Impregilo e della Fisia Italimpianti. Sul banco degli imputati siedono inoltre le società Impregilo, Fibe, Fisia Italia Impianti, Fibe Campania e Gestione Napoli, tutte rinviate a giudizio per illecito amministrativo;
il processo, oltre alle già citate persone fisiche e giuridiche rinviate a giudizio, vede coinvolte più di cento parti civili (Ministeri, Comuni della Campania, Enti, cittadini), sicché, considerato l'elevato numero di avvocati presenti in aula, è stato deciso dal Tribunale partenopeo che le udienze debbano svolgersi all'interno dell'aula bunker del carcere di Poggioreale;
malgrado il processo nei confronti dell'ex Presidente della regione Campania rivesta un rilevante interesse pubblico, una disposizione adottata dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Napoli, ha vietato a tecnici e giornalisti, sulla base dell'esistenza di presunti «motivi di sicurezza», di introdurre in aula qualsiasi tipo di strumento tecnologico di comunicazione indispensabile per la ripresa audio-visiva delle udienze con ciò impedendo alla stampa di adempiere pienamente a quel diritto/dovere di cronaca e d'informazione riconosciuto, garantito e tutelato a livello costituzionale;
la decisione della Procura Generale di Napoli è stata presa sebbene le parti coinvolte nel processo non avessero manifestato alcun tipo di opposizione alle riprese audio-visive delle singole udienze;
ipotetiche quanto generiche ragioni di sicurezza non hanno mai impedito, in passato, la ripresa audio-video dei processi che si sono svolti all'interno dell'aula bunker di Poggioreale (compresi i maxi-processi di camorra);
da più di trent'anni Radio Radicale registra e trasmette integralmente migliaia di udienze dalle aule di giustizia di tutta Italia; proprio all'interno di quella stessa aula bunker in cui oggi viene celebrato il

processo nei confronti di Bassolino, l'emittente radiofonica radicale ha potuto registrare e mandare in onda (trasmettendoli in differita) moltissimi processi, senza che alla stessa sia mai stato opposto alcun tipo di divieto in tal senso;
considerato inoltre che in un ordinamento democratico fondato sulla sovranità popolare - nel quale, dunque, la giustizia è amministrata in nome del popolo - lo strumento di trasparenza istituzionale integrato dalla pubblicità immediata dei processi ha lasciato sempre più spazio alla nascita di nuovi e moderni canali attraverso i quali il cittadino può accedere all'udienza dibattimentale, superandone la dimensione spaziale e temporale. Da questo punto di vista vi è un innegabile accostamento tra le forme di pubblicità audio-visive dei dibattimenti ed il principio sancito dall'articolo 101, 1o comma, della Costituzione;
l'articolo 147 delle disposizioni attuative del codice di rito stabilisce che ai fini dell'esercizio del diritto di cronaca, il giudice con ordinanza, se le parti consentono, può autorizzare le riprese audiovisive del dibattimento, purché non ne derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell'udienza o alla decisione. Al secondo comma il legislatore ha previsto che l'autorizzazione è data anche senza il consenso delle parti, laddove sussista «un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento», a condizione, sempre, che le riprese audio-visive non rechino pregiudizio alla genuinità del dibattimento o alla decisione;
a giudizio della prima firmataria del presente atto, la disposizione con la quale la Procura Generale di Napoli ha vietato l'introduzione di qualsiasi tipo di dispositivo di comunicazione all'interno dell'aula bunker di Poggioreale, escludendo con ciò la possibilità di dar vita a forme di pubblicità mediata (via radio) del processo Bassolino + altri, è stata presa ricorrendo a logiche astratte in totale spregio della garanzia apprestata dall'articolo 21 della Costituzione, atteso che, nel caso di specie, l'impiego dei mezzi audio non avrebbe potuto in alcun modo pregiudicare la regolare e serena decisione dell'organo giudicante; né il regolare e sereno svolgimento delle pubbliche udienze (ed invero le esigenze degli operatori della radio ben avrebbero potuto essere soddisfatte con l'installazione di una struttura che, venendo quasi a far parte dell'arredamento dell'aula, non sarebbero state di certo percepite come fattore di disturbo delle operazioni dibattimentali), né, tanto meno, la genuinità della prova;
l'esclusione dei mezzi audio-visivi dall'aula d'udienza, in nome di valori extraprocessuali quali, ad esempio, «ragioni di sicurezza», può avvenire solo in forza di un giudizio di assoluta incompatibilità tra questi valori e qualsiasi forma di diffusione audio delle risultanze dibattimentali;
tempo fa, sulla vicenda, l'Ordine dei giornalisti della Campania ha diramato il seguente comunicato: «All'avvio del processo, i colleghi sono stati costretti dagli agenti di polizia a consegnare i telefoni cellulari all'ingresso dell'aula bunker in applicazione di una disposizione della Procura generale presso la Corte di Appello di Napoli che ha anche vietato l'uso delle telecamere. Una decisione, quella del Procuratore Generale, che determina enormi difficoltà al lavoro dei cronisti e che troviamo inspiegabile, anche perché si tratta di un processo per reati di pubblica amministrazione per il quale non sono attesi in aula testimoni di giustizia minacciati dalla camorra che sarebbe pericoloso riprendere. Questo tipo di divieti, peraltro, sono stati adottati solo per il processo rifiuti e non per altri procedimenti in corso sia al Palazzo di Giustizia al Centro direzionale sia nell'aula bunker di Poggioreale» -:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, con riferimento ad essi, il Ministro interrogato intenda attivare i propri poteri ispettivi presso la Procura Generale

presso la Corte di Appello di Napoli e, nel caso ne sussistano i presupposti, promuovere le iniziative di competenza.
(4-10665)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con precedente interrogazione n. 4-08504, presentata nella seduta del giorno 8 settembre 2010, si è chiesto di sapere quali iniziative il Ministro della giustizia intenda adottare al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 54 del 2006 in modo tale che il principio della cosiddetta «bigenitorialità» possa trovare finalmente completa attuazione anche in Italia;
nonostante i solleciti del 12 ottobre 2010 e del 1o dicembre 2010, al predetto atto di sindacato ispettivo non è stata data ancora alcuna risposta;
nel frattempo l'Osservatorio Nazionale ADIANTUM sul condiviso, che ad oggi annovera un campione di 1.020 sentenze provenienti da quasi tutti i tribunali italiani, ha reso noto che i dati provenienti dall'ISTAT relativamente all'attuazione della legge n. 54 del 2006 sull'affido condiviso risultano essere fortemente viziati atteso che nelle cause di separazione dei coniugi i figli, sebbene affidati ad entrambi i genitori, vengono «collocati», nella stragrande maggioranza dei casi, presso la madre («domicilio prevalente») a causa di una prassi cantra legem di diretta creazione giurisprudenziale;
ed invero dal campione analizzato dall'Osservatorio Nazionale ADIANTUM sul condiviso si evince che, a fronte di un 95 per cento di concessione nominale del condiviso, così come comunicata dagli organi di informazione, nel 93 per cento dei casi il «domicilio prevalente» viene stabilito presso la madre e solo nel 2 per cento presso il padre. Pertanto, il dato che si ricava ci dice che nel 90 per cento dei casi la legge in vigore non viene applicata, atteso che i tribunali concedono il condiviso solo formalmente, ma i contenuti delle sentenze (tempi di permanenza con i figli e imposizione dell'assegno anche a parità di reddito) sono ancora quelli tipici di quando imperava l'affidamento esclusivo;
sempre dai dati in possesso dell'Osservatorio Nazionale ADIANTUM sul condiviso si ricava che il cosiddetto «mantenimento diretto» (previsto dalla legge n. 54 del 2006), viene negato nel 98 per cento dei casi, al punto che la prassi dell'assegno - anche tra due ex coniugi che hanno il medesimo stipendio - è ancora l'unica ad essere applicata dai tribunali;
il citato Osservatorio, nell'applicazione di una corretta metodologia, ha operato anche un distinguo tra i tribunali ordinari (che disciplinano le separazioni tra le coppie formalmente sposate) e quelli minorili (a cui va la competenza per le coppie di fatto). Ebbene, nei secondi l'applicazione dell'affidamento esclusivo alla madre è ancora molto diffusa, rispetto a quanto avviene nei primi. Si tratta solo di differenze esclusivamente terminologiche, perché il contenuto e i tempi di permanenza previsti sono del tutto uguali tra loro, cambiando solo la denominazione formale del regime. In particolare, nei tribunali dei minori la legge n. 54 del 2006 viene aggirata, oltre che con il sistema del «domicilio prevalente», anche con la formula dell'«affidamento ai servizi sociali competenti per territorio e collocazione abitativa presso la madre». Il che rappresenta un vero e proprio stratagemma per affidare i bambini al «genitore sessualmente corretto» anche in presenza di chiari motivi di pregiudizio per i bambini. Tale aggiramento, per il quale i tribunali minorili si servono della stretta collaborazione degli assistenti sociali, dura mediamente dai 3 ai 5 anni, e nasconde perfettamente un vero e proprio affidamento esclusivo dietro esigenze di tutela assolutamente infondate tipo conflittualità, tenera età e così via;

venendo ai tempi di permanenza del minore con i genitori, i tribunali ancora oggi non si discostano dall'organizzazione tipica del modello vigente prima dell'entrata in vigore della legge n. 54 del 2006 ossia un pomeriggio a settimana e un week-end alternato di permanenza del bambino con il padre;
sintetizzando i dati di ricerca dell'Osservatorio Nazionale ADIANTUM sul condiviso, si rinviene quanto segue: Totale campione: 1.020 sentenze/provvedimenti; Fonte: tribunali ordinari e minorili Copertura geografica (regionale) Italia: 100 per cento; Copertura distretti corte di appello: 89 per cento Provvedimenti recanti domicilio prevalente presso la madre: 969 (distribuzione tempi con figli 83 per cento madre - 17 per cento padre); Provvedimenti recanti domicilio prevalente presso il padre: 20 (distribuzione tempi con figli: 31 per cento madre - 69 per cento padre); Provvedimenti recanti tempi di permanenza pressoché paritetici: 31; Media mensile dei pernottamenti per il genitore «non domiciliatario» (bambini > 3 anni di età): 6,5; Media mensile dei pernottamenti per il genitore «non domiciliatario» (bambini < 3 anni di età): 2,5; Media mensile dei pernottamenti per il genitore «domiciliatario» dei figli: 26,5; Media giorni consecutivi nelle vacanze estive per il genitore «non domiciliatario» (bambini > 3 anni di età): 18; Media giorni consecutivi nelle vacanze estive per il genitore «non domiciliatario» (bambini < 3 anni di età): 4; Media giorni consecutivi nelle vacanze natalizie per il genitore «non domiciliatario» (bambini > 3 anni di età): 4,5; Media giorni consecutivi nelle vacanze natalizie per il genitore «non domiciliatario» (bambini < 3 anni di età): 1,5;
sulla scorta di queste risultanze, l'associazione ADIANTUM ha preannunciato di voler inviare all'ISTAT una richiesta formale di rettifica della metodologia di analisi, sollecitando una nuova ricerca sull'attuazione della legge n. 54 del 2006 che tenga conto del fenomeno - affatto marginale - della cosiddetta «domiciliazione prevalente» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati resi pubblici dall'Osservatorio Nazionale ADIANTUM sull'affido condiviso e, in particolare, quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 54 del 2006 in modo tale che i minori, anche dopo la separazione dei coniugi, possano continuare a mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i loro genitori.
(4-10666)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
nella seduta del 22 aprile scorso, il viceministro Castelli, in risposta all'interpellanza urgente sull'autostrada Asti-Cuneo, ha affermato che i ritardi relativi ai lavori sui lotti albesi (lotti 2.5 e 2.6) sono da attribuire ad uno studio su un'ipotesi alternativa finalizzata al contenimento dei costi di realizzazione, risultati troppo onerosi;
l'ipotesi alternativa in questione riguarda il progetto relativo al lotto 2.5, che, come affermato dal viceministro, non dovrebbe compromettere la tempistica realizzativa;
in attesa della realizzazione del progetto riferito al lotto 2.5, il tracciato del lotto 2.6 verrebbe provvisoriamente collegato con l'attuale Tangenziale di Alba, soluzione che" secondo quanto confermato a suo tempo dal viceministro, dovrebbe garantire un'adeguata sostenibilità sia del traffico locale sia di quello autostradale;
l'eventuale decisione di avvalorare le istanze relative al progetto alternativo per

il lotto 2.5 potrebbe, a giudizio di molti, incidere negativamente sul lavoro svolto finora, annullando i progetti a suo tempo presentati e oggetto dell'appalto;
la preoccupazione per questa ipotesi progettuale alternativa, sollevata dagli organi di stampa, riguarderebbe soprattutto il rischio di innescare ricorsi da parte delle società che hanno preso parte alla gara internazionale con ripercussioni imprevedibili soprattutto sull'effettiva realizzazione dell'opera;
inoltre, il collegamento provvisorio del tracciato del lotto 2.6 con l'attuale Tangenziale di Alba, utilizzata transitoriamente senza pedaggio anche dal traffico proveniente dall'Autostrada, potrebbe costituire una soluzione alquanto pericolosa, se si tiene conto del repentino restringimento della carreggiata e dell'aumento inevitabile del traffico, in quanto confluirebbe sia quello locale sia quello autostradale;
la scelta di apporre modifiche a concessioni e a progetti, che avevano già ricevuto tutte le autorizzazioni, rischia di mettere su un terreno inclinato tutto il lavoro svolto finora, con conseguenze imprevedibili per la realizzazione dell'opera sia in termini temporali sia in termini di costi, nonostante le rassicurazioni del viceministro circa l'adozione di ogni possibile accorgimento teso a recuperare il tempo trascorso infruttuosamente -:
quale sia, ad oggi, lo stato dello studio dell'ipotesi progettuale alternativa relativa al lotto 2.5, e quale sia l'effettivo ammontare della spesa, dato che tale ipotesi è stata avanzata per il contenimento dei costi di realizzazione del progetto relativo al lotto 2.5 già appaltato, e ritenuti troppo onerosi;
quali siano gli accorgimenti presi dal Ministero, di concerto con l'Anas, al fine di recuperare il tempo trascorso infruttuosamente;
se sia stato attentamente valutato, nell'ipotesi progettuale alternativa, il rischio di ricorsi da parte delle società che avevano preso parte alla gara internazionale e le ripercussioni che questi potrebbero avere sull'effettiva realizzazione dell'opera;
se il collegamento provvisorio del tracciato del lotto 2.6 con l'attuale Tangenziale di Alba costituisca effettivamente una soluzione adeguata in termini di sicurezza e sostenibilità del traffico locale e di quello autostradale.
(2-00951) «Delfino, Galletti».

TESTO AGGIORNATO AL 2 FEBBRAIO 2011

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INTERNO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della salute, per sapere - premesso che:
risultano all'interrogante, singolari intrecci che legano la prefettura di Lodi, la Ausl Milano 1, il consiglio regionale lombardo;
i fatti, di seguito esposti, nel loro insieme delineano un quadro che apre interrogativi e necessita di chiarimenti;
il 23 dicembre 2010 la giunta regionale lombarda ha promosso Pietrogino Pezzano da direttore della Ausl di Monza e Brianza a direttore generale della Ausl Milano 1: Pezzano compare nelle carte della maxi inchiesta contro la 'ndrangheta detta «Infinito» della procura di Milano, in quanto soggetto nominato in diverse intercettazioni del boss pavese Pino Neri, risulta fotografato in compagnia dei boss Saverio Moscato e Candeloro Polimeno, risultano alcune intercettazioni, oltre che con Polimeno, con Giuseppe Sgro, fratello di Eduardo Sgro, arrestato per reati di cui all'articolo 416-bis del codice penale;
la nomina di Pezzano è stata oggetto di una mozione presentata il 18 gennaio

2011 da IDV, primo firmatario Giulio Cavalli, e dal PD in consiglio regionale - respinta - nella quale si chiedeva la revoca della nomina, in forza dell'impegno a contrastare fermamente qualsiasi tipo di infiltrazione della criminalità organizzata, soprattutto all'interno delle istituzioni e degli enti pubblici, nonché in nome del ruolo di garanzia cui è chiamato il Consiglio regionale e della necessità che non vi siano ombre relativamente a soggetti chiamati a dirigere enti di particolare importanti quali le Aziende sanitarie in Lombardia;
la sera del medesimo 18 gennaio Giulio Cavalli è messo al corrente del fatto che il prefetto di Lodi, Peg Strano, ha sottoposto all'Ucis la revoca della sua scorta, in quanto, secondo il Prefetto, «non è più esposto», nonostante il lungo elenco di minacce ricevute negli ultimi mesi, così come negli anni precedenti, essendo sotto tutela dal 2008;
qualche giorno dopo, riaccadono due fatti in contemporanea: a Giulio Cavalli viene comunicato l'annullamento della proposta di revoca avanzata dal prefetto di Lodi e, dunque, riottiene la scorta; il direttore generale Pezzano, rimasto al suo posto in quanto la mozione Cavalli presentata per revocarne la recente nomina è stata respinta, nomina direttore sanitario della Asl Milano 1 il dottor Giovanni Materia, il quale risulta essere il marito del prefetto di Lodi;
Giovanni Materia risulta, inoltre, essere il fratello dell'ex procuratore di Reggio Emilia, Italo Materia, dimessosi dall'ordine giudiziario a causa delle ombre che avevano lambito la sua figura, manifestando la sua condizione di vittima di campagna diffamatoria -:
se dai fatti esposti non ravvisino elementi sufficienti per considerare, nell'ambito delle rispettive competenze e nel rispetto di quelle regionali, l'ipotesi di interventi idonei a chiarirli.
(2-00949)
«Di Pietro, Piffari, Cimadoro, Donadi, Borghesi, Evangelisti».

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
il 23 dicembre 2010, la giunta regionale Lombardia, su proposta del presidente Roberto Formigoni, di concerto con gli assessori regionali alla sanità, Luciano Bresciani, e alla famiglia, conciliazione, integrazione e solidarietà sociale, Giulio Boscagli, ha varato le nomine dei direttori generali delle 15 Asl, delle 29 aziende ospedaliere della Lombardia e dell'Areu, l'azienda regionale emergenza e urgenza;
nell'elenco risulta nella casella Asl Milano 1o la nomina a direttore del dottore Pietrogino Pezzano di Palizzi, provincia di Reggio Calabria, direttore della Asl della provincia Monza e Brianza incarico con decorrenza 1o gennaio 2005 e scadenza 31 dicembre 2007 (delibera della giunta regionale n. 19984 del 23 dicembre 2004) e successivamente riconfermato con decorrenza 1 gennaio 2008 e scadenza 31 dicembre 2010 (delibera della giunta regionale n. 006334 del 22 dicembre 2007), legale rappresentante dell'ente con esercizio dei poteri di gestione e responsabilità dei risultati come risulta dal suo curriculum vitae, presente nella rete;
nell'articolo de la Repubblica Milano «Le mani della 'ndrangheta sui palazzi della sanità» del giornalista Davide Carlucci si legge: «Nelle carte dell'inchiesta è finito anche Pietrogino Pezzano, direttore generale dell'Asl di Monza, fotografato in compagnia di Candeloro Polimeno e Saverio Moscato, altri due personaggi considerati in odor di 'ndràngheta - Moscato è nipote del boss Natale Iamonte - e per questo arrestati nel blitz. Pezzano avrebbe parlato di un appalto per condizionatori d'aria con un imprenditore mafioso arrestato, Giuseppe Sgrò. E sarebbe stato in contatto anche con Pino Neri, altro personaggio di spicco della 'ndrangheta a Pavia, molto legato a Chiriaco e considerato tramite con la politica e la massoneria»; Chiriaco è in carcere da luglio 2010 dopo il maxi blitz avvenuto seguito delle indagini della direzione distrettuale antimafia di Milano;

nel corso della trasmissione «Annozero» andata in onda il 9 dicembre 2010, nel servizio «Ndrangheta - appalti e sanità» il giornalista Stefano Bianchi ha intervistato il dottor Pietrogino Pezzano detto dottor Doberman per la sua passione per i cani;
nella stampa del luglio del 2010 si fa riferimento ad atti in cui si parla di «una reciproca disponibilità esistente tra gli accoliti della "locale di Desio" e Pezzano» come dimostrato da un «favore» che Giuseppe Sgrò rende a Pezzano per il tramite del capo-società Candeloro Pio (entrambi arrestati nell'operazione «Infinito»), il quale mette a disposizione uno dei suoi camion per trasportare fino in Calabria alcune piante destinate al Pezzano stesso;
il direttore della Asl Pezzano ha nominato direttore sanitario il dottor Giovanni Materia, marito di Peg Strano, Prefetto di Lodi, che aveva chiesto la revoca della scorta al consigliere regionale lombardo Giulio Cavalli riassegnata due giorni dopo;
ad ottobre del 2010 il sostituto procuratore della DDA di Messina Angelo Cavallo, il magistrato che conduce l'inchiesta su abuso d'ufficio, due ipotesi di falso del pubblico ufficiale e truffa, per un concorso «pilotato» che nel 2006 consentì all'ex presidente del consiglio comunale di Messina Umberto Bonanno di essere assunto al Policlinico di Messina come esperto in Medicina del lavoro, ha firmato otto richieste di rinvio a giudizio tra cui il dottor Giovanni Materia ex direttore sanitario del Policlinico di Messina il quale avrebbe garantito «a priori» a Bonanno, ancor prima dello svolgimento della selezione pubblica (valutazione dei titoli e prova orale), il superamento della selezione stessa, assicurando la partecipazione personale tra i membri della commissione esaminatrice -:
se corrispondano al vero le notizie apparse sulla stampa e quali iniziative intenda intraprendere alla luce del fatto che il dottor Pietrogino Pezzano risulta coinvolto nell'inchiesta «Infinito» del luglio del 2010, in particolare se non ritenga opportuno inviare una commissione di accesso ai sensi del combinato disposto degli articoli 143 e 146 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000), presso la Asl Milano 1, al fine di accertare la sussistenza dei presupposti per la rimozione degli organi direttivi della medesima Asl;
quali iniziative intenda intraprendere con riferimento alla nomina del dottor Giovanni Materia coinvolto in una indagine della DDA di Messina, condotta dal sostituto procuratore Angelo Cavallo, per un concorso pilotato presso il Policlinico di Messina.
(2-00950)
«Peluffo, Fiano, Mosca, Braga, Codurelli, Corsini, De Biasi, Duilio, Farinone, Colaninno, Marantelli, Misiani, Pizzetti, Sanga, Zaccaria, Zucchi, Giorgio Merlo, Garofani, Recchia, Ferrari, Soro, Ginefra, Boffa, Barbi, Touadi, Antonino Russo, Scarpetti, Federico Testa, Vico, Realacci, Marchi, Colombo, Marco Carra, Pollastrini».

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:

REGUZZONI, LUSSANA, LUCIANO DUSSIN, FOGLIATO, MONTAGNOLI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, DAL LAGO, D'AMICO, DESIDERATI, DI VIZIA, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI,

PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 19 gennaio 2011 la Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati ha approvato la risoluzione n. 8-00103, con la quale si impegnava il Governo a:
a) comprendere, nei limiti delle risorse disponibili, nell'ambito dell'intesa Stato-regioni sugli ammortizzatori sociali in deroga, una specifica attenzione a coloro che, collocati in cassa integrazione o in mobilità, hanno maturato l'età di pensione e sono in attesa dell'effettiva decorrenza del trattamento pensionistico;
b) confermare comunque che le tutele riconosciute al lavoratore dall'articolo 18 della legge n. 300 del 1970 sono operanti anche nel periodo intercorrente tra la data di maturazione del diritto a pensione e quello dell'effettiva apertura della «finestra»;
c) impartire istruzioni alle pubbliche amministrazioni affinché tengano conto dei nuovi termini di decorrenza della pensione nei casi in cui decidano di avvalersi della facoltà di risolvere il rapporto di lavoro di quei soggetti che abbiano raggiunto il 40o anno di servizio, ciò al fine di evitare che il pubblico dipendente debba restare un periodo ragguardevole senza stipendio e senza pensione;
detta approvazione concludeva un lungo ed articolato lavoro svolto da tutti i componenti della Commissione, di maggioranza ed opposizione, sulle problematiche emerse a seguito dei recenti interventi legislativi del Governo in materia previdenziale;
in particolare, i presentatori delle singole risoluzioni confluite poi nel testo unificato approvato, tra cui anche componenti del gruppo della Lega Nord, avevano sollevato il timore derivante dalla previsione contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2010 della possibilità di andare in quiescenza dopo un anno dal compimento dei prescritti requisiti anagrafici e contributivi, con il rischio di lasciare taluni soggetti privi di alcuna tutela reddituale;
in quell'occasione il Ministro interrogato aveva dichiarato che: «allo stato, il Governo è in grado di offrire una propria disponibilità, nei limiti delle risorse esistenti, in ordine alla definizione degli ammortizzatori sociali, nell'ambito dell'intesa Stato-regioni, per riconoscere la tutela a coloro che, collocati in cassa integrazione o in mobilità, hanno maturato l'età di pensione e sono in attesa della decorrenza del trattamento pensionistico, in continuità con quanto stabilito con la recente approvazione della legge di stabilità» -:
se e quali iniziative il Governo abbia intrapreso in accordo con le regioni per dare seguito agli impegni assunti con la risoluzione di cui in premessa.
(3-01429)

BALDELLI e CALABRIA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nell'ultima rilevazione Istat il tasso di disoccupazione rimane fermo all'8,6 per cento, indicando una stabilizzazione degli effetti della crisi economico-finanziaria sull'occupazione;
rimane, invece, alto il tasso di disoccupazione giovanile che si attesta al 29 per cento;
il Governo ha recentemente presentato alla stampa le nuove prospettive del piano per l'occupabilità dei giovani, su iniziativa del Ministro interrogato e dei Ministri Gelmini e Meloni -:
quali iniziative il Governo stia intraprendendo per rispondere al problema della disoccupazione, con particolare riferimento a quella giovanile.
(3-01430)

VOLONTÈ, GALLETTI, COMPAGNON, CICCANTI, NARO, BINETTI, CAPITANIO SANTOLINI, RAO, LIBÈ, OCCHIUTO e DELFINO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
secondo i dati Istat diffusi la scorsa settimana, i nati nel 2010 sono stati 557.000, 12.200 in meno rispetto al 2009. Per rilevare un numero di nascite inferiore a quello del 2010 occorre tornare al 2005, anno in cui se ne rilevarono 554.000;
anche la fecondità delle donne è in calo (1,4 figli per donna) e sembra essersi conclusa la fase di recupero cui si era assistito per ampia parte dello scorso decennio. In questo contesto diventa sempre più importante il contributo alla natalità delle straniere: l'Istat stima che nel 2010 oltre 104.000 nascite (18,8 per cento del totale) siano attribuibili a madri non italiane (erano 35.000 nel 2000 e 103.000 nel 2009), di cui il 4,8 per cento con partner italiano e il restante 14 per cento con partner straniero;
il dato italiano stride con quello rilevato in Francia, dove, nel 2010, i nati sono stati 828.000, dato che supera quello del 1973, anno in cui lo shock petrolifero mise fine al periodo del baby-boom;
con 2,01 figli per donna, dunque, i francesi consolidano il loro primato tra i grandi Paesi europei e sfatano un altro mito secondo cui meno le donne lavorano più alto è il tasso di natalità, visto che in Francia il tasso di attività femminile è superiore all'80 per cento;
l'aumento delle nascite in Francia e l'abbinamento tra tasso di natalità e tasso di attività non sono altro che gli effetti di una politica pubblica che investe massicciamente nelle politiche familiari;
gli interventi a sostegno della famiglia in Francia - dai nidi alle detrazioni fiscali fino agli aiuti per gli alloggi - oscillano, a seconda delle voci che vengono considerate, tra gli 80 e i 120 miliardi di euro all'anno;
con la legge di stabilità il Governo italiano ha tagliato il fondo delle politiche familiari, passato da 185,3 milioni di euro nel 2010 a 51,5 milioni di euro nel 2011;
il calo delle nascite, unito ai continui progressi della vita media, renderanno, soprattutto, insostenibile la tenuta del nostro sistema previdenziale e l'aumento del prodotto interno lordo, quindi della crescita, non può avvenire senza crescita demografica -:
se, a fronte dei dati sopra esposti, non ritenga di avviare concretamente e significativamente misure volte a sostenere la natalità e le politiche familiari, oltre che a favorire la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura.
(3-01431)

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere:
quale sia la dinamica del grave incidente sul lavoro avvenuto intorno alle 9.30 del 31 gennaio 2011 a Cagliari, nel corso del quale un operaio impegnato nei lavori di ristrutturazione di un hotel in località Calamosca, è caduto dal ponteggio al terzo piano dell'edificio;
se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, si intendano intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage.
(4-10659)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il sito on line del quotidiano La Repubblica ha pubblicato un articolo del giornalista Massimo Razzi, dal titolo: «Scrivo perché il dolore non smette mai», nel quale si racconta della tragica scomparsa di un ragazzo, Andrea Gagliardoni, di 23 anni, morto schiacciato sul posto di lavoro da una macchina tampografica non a norma;
nel citato articolo, si riferisce anche della straziante lettera della madre del ragazzo, la signora Graziella Marota, educatrice in una scuola materna di Porto Sant'Elpidio: «Ho scritto quella lettera perché ogni tanto, la solitudine mi assale e parlare agli altri del mio Andrea e della sua breve e sfortunata esistenza, è un modo per sentirmi meglio...Ma sembra tutto inutile. Dall'inizio dell'anno, in nemmeno 30 giorni, le vittime sono già 86. E io so che dall'inizio dell'anno altre 86 famiglie sono piombate in una tragedia da cui non usciranno più...e, purtroppo, anche questa volta, non succederà nulla...La macchina che ha ucciso Andrea non era a norma. Di tre sistemi di sicurezza ne funzionava uno solo. L'avevano comperata perché costava di meno e non avevano installato tutte le sicurezze per farla andare più in fretta. Per questo i responsabili della Asoplast di Ortezzano dove lavorava Andrea, sono stati riconosciuti colpevoli, ma la condanna (otto mesi con la condizionale) è stata ridicola»;
alla tragedia si aggiunge la beffa, perché l'assicurazione, dopo un piccolo anticipo iniziale, non ha più pagato in quanto le aziende coinvolte sono due e una, la Magsystem, non esiste più;
«Così, adesso, ci toccherà anche una causa civile che durerà chissà quanto tempo e ci costringerà a riaprire questa storia e a far uscire di nuovo tutto il dolore che c'è dentro»;
la signora Marota, che è stata nominata nel dicembre del 2006 dal Presidente della Repubblica cavaliere del lavoro, racconta che tutto ciò «non basta di fronte al cinismo, al disinteresse e anche alla malafede di tanti altri» -:
se quanto riferito dalla signora Marota corrisponda a verità;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, si intendano intraprendere alla luce di quanto sopra esposto ed evidenziato.
(4-10660)

MURA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la multinazionale Gambro, con sede in Svezia è stata fondata nel 1964, offre prodotti e terapie di emodialisi per il trattamento di disfunzioni renali ed epatiche per il trattamento di pazienti sia cronici che acuti.
la Gambro conta oggi 8000 dipendenti, siti produttivi in 9 paesi e uffici di vendita in più di 100 nazioni. Il giro d'affari è di circa 1.300 milioni di euro, concentrati principalmente in Europa in quanto a business e infrastrutture. In Italia la Gambro ha un'importante sede produttiva a Medolla (provincia di Modena) con 880 occupati;
è notizia di ieri che il vicepresidente delle divisioni operative Gambro di Medolla, durante l'incontro, richiesto da tempo, da Rsu e sindacati ha ufficializzato la cessione delle attività della «bloodline» («linea sangue» per la dialisi) e il conseguente licenziamento di circa 400 lavoratori tra tempi indeterminati e precari;
l'azienda giustifica l'esigenza di delocalizzazione dichiarando: «La decisione annunciata oggi è necessaria per rafforzare ulteriormente la nostra posizione e competitività a livello mondiale nel mercato dell'emodialisi per pazienti cronici. Ci focalizzeremo sulla fornitura di terapie con i più alti standard possibili, concentrando i nostri sforzi sulla facilità d'uso e

l'efficienza complessiva in clinica. Ciò ci permetterà di indirizzare i nostri investimenti in quelle aree di attività nelle quali risiedono le migliori opportunità di creazione di valore per i clienti e la nostra azienda» dichiarazione di Ulf Mattsson, Presidente e CEO ad interim di Gambro. "In particolare, saranno portate a termine le seguenti azioni:
esternalizzazione di granulazione, stampaggio e sterilizzazione;
consolidamento delle rimanenti lavorazioni legate alla produzione delle linee sangue a Prerov (Repubblica Ceca), Shanghai (Cina) e Tijuana (Messico)";
non emergono dalle dichiarazioni del Presidente e Ceo Ulf Mattsson difficoltà economiche in cui versa l'azienda Gambro, ma pare che la decisione di delocalizzare sia legata solo ad obiettivi di profitto e di competitività internazionale. È noto infatti che in Italia distretto biomedicale non accusa cali di produzione, le aziende sono solide ma l'occupazione è minacciata pesantemente dalla delocalizzazione. I lavoratori della Gambro risultano pertanto vittime di scelte produttive convenienti per l'azienda ma molto penalizzanti per i lavoratori;
il 27 gennaio 2011 i sindacati hanno proclamato una mobilitazione immediata. L'azienda tra l'altro violerebbe l'accordo firmato in Regione il 24 marzo 2009, nel quale le parti avevano condiviso gli obiettivi e i percorsi fondamentali per sviluppare gli investimenti e migliorare la competitività aziendale;
l'assessore Gian Carlo Muzzarelli, assessore regionale alle attività produttive, giudicando il piano industriale un grave progetto di drastico ridimensionamento dell'azienda e dell'occupazione ha convocato il tavolo su esuberi per il 3 febbraio 2011;
nel novembre scorso il Ceo di Gambro affermava tra l'altro che nel contesto Gambro sul mercato globale, l'Italia rimane un paese strategico e l'impianto Gambro Dasco, in particolare attraverso la presenza dei settori Ricerca&Sviluppo e della produzione di Artis, continua ad essere un importante sito produttivo della società. Ad oggi queste affermazioni sono smentite dai fatti -:
se il Ministro sia a conoscenza della condizione in cui versano le lavoratrici e i lavoratori della Gambro e quali iniziative intenda adottare in merito ad un'azienda che, considerato l'ambito di attività legato al distretto biomedicale di alta tecnologia, rappresenta una realtà che deve essere salvaguardata e incentivata a garantire la produzione e l'occupazione.
(4-10667)

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RAPPORTI CON LE REGIONI E PER LA COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta immediata:

LATTERI. - Al Ministro per i rapporti con le regioni e coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
il Consiglio dei ministri del 26 novembre 2010 ha varato il Piano nazionale per il Sud, un documento programmatico che dovrebbe liberare risorse per un valore complessivo di 100 miliardi di euro e che rappresenta un atto di impegno politico e di indirizzo strategico, avente come scopo la riduzione del divario territoriale attraverso una linea d'azione che si basa su otto punti: infrastrutture, ricerca, scuola, giustizia, sicurezza, pubblica amministrazione e servizi pubblici, incentivi alle imprese, Banca del Sud;
i recenti dati resi noti dall'Eurispes sono allarmanti ed impongono al Governo un'accelerazione politica, legislativa, finanziaria e culturale per far fronte alle problematiche del Mezzogiorno;
il Ministro interrogato il 26 gennaio 2011 dichiarava testualmente: «Febbraio sarà il mese nel quale i primi importanti provvedimenti troveranno una loro approvazione finale e, quindi, la fase di attuazione troverà un suo concreto avviamento

nel merito delle indicazioni manifestate dal Governo in più circostanze» -:
quali siano in concreto i provvedimenti che troveranno la loro approvazione finale nelle prossime quattro settimane , il loro contenuto e le risorse con le quali saranno finanziati.
(3-01428)

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SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:

PALAGIANO e MURA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano la Repubblica del 24 gennaio 2011 ha pubblicato un articolo nel quale si evidenzia come i prodotti derivati dal sangue, commercializzati in Italia, potrebbero non essere sicuri dal punto di vista infettivo;
a sospettare il possibile rischio di contagio derivante dagli emoderivati è lo stesso professor Guido Rasi, direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), in quanto non verrebbero eseguiti tutti i controlli per escludere la presenza di vari virus. Per tale motivo lo stesso Rasi avrebbe minacciato di chiedere il sequestro dei lotti a rischio. Di parere diverso, il professor Enrico Garaci, presidente dell'Istituto superiore di sanità (Iss), secondo il quale il rischio di contagio sarebbe minimo, ed ha pertanto autorizzato l'impiego dei prodotti in questione. Il professor Garaci, inoltre, si opporrebbe al sequestro poiché il ritiro di tali emoderivati provocherebbe un danno maggiore (essendo la ditta produttrice, la Kedrion spa, monopolista nel settore), lasciando gli ospedali e le farmacie privi di «sacche» o flaconi necessari a molti pazienti;
il Ministero della salute ha chiesto il parere del Consiglio superiore di sanità (Css) - presieduto dallo stesso professor Garaci - al fine di dirimere la questione e giungere ad una soluzione che non comprometta in alcun modo la salute pubblica. Il Consiglio superiore di sanità ha fornito al Ministro interrogato - secondo quanto dallo stesso affermato in risposta ad alcune interrogazioni il 27 gennaio 2011 - totali rassicurazioni al riguardo, escludendo l'opportunità di misure restrittive;
la vicenda, come riporta dettagliatamente l'articolo de la Repubblica, ha inizio quasi casualmente un paio di mesi fa, quando la Kedrion spa - società farmaceutica tra i leader mondiali del settore plasma-derivati - chiede l'autorizzazione europea alla commercializzazione di alcuni lotti di derivati del sangue. L'Agenzia italiana del farmaco si accorge, quindi, che la documentazione presentata dalla Kedrion spa non è conforme a quanto richiesto;
l'Agenzia italiana del farmaco, che nella aic (autorizzazione immissione in commercio) richiedeva sui lotti finali di sangue specifiche analisi atte ad escludere la presenza di contaminazioni virali, si accorge che Kedrion spa effettua solo la ricerca del virus dell'epatite c e trascura tutti gli altri, tra cui hiv e hbv;
l'Agenzia italiana del farmaco, quindi, ritiene di avere il diritto-dovere di chiedere il ritiro di quei lotti, in quanto non conformi all'autorizzazione, poiché il rischio di contagio, seppur molto basso, esiste. Opposta la posizione dell'Istituto superiore di sanità che afferma - in sintonia con la posizione della Kedrion spa - che non sussistono rischi reali di contagio, anche se vengono utilizzati lotti non conformi alle norme dell'Agenzia italiana del farmaco, considerato che il sangue all'origine è ben controllato anche dal punto di vista infettivo;
è indispensabile che si mantenga in proposito la massima vigilanza: la nostra storia recente ha purtroppo dimostrato che interessi privati e corruzione possono infiltrarsi in campo sanitario, provocando danni irreparabili. Lo scandalo del sangue infetto è ancora una vergogna nazionale ed ha mietuto già troppe vittime;
la risposta del Ministro interrogato del 27 gennaio 2011 ad alcune interrogazioni in Commissione affari sociali della

Camera dei deputati è da ritenersi non soddisfacente, in quanto tutta la vicenda richiamata ha avuto origine proprio da un atto dell'Agenzia italiana del farmaco: pertanto, non risulta comprensibile la richiesta della medesima di ritirare dal commercio alcuni lotti di emoderivati, dal momento che, come ha assicurato il Ministro interrogato nella risposta alle interrogazioni, non esiste alcun pericolo per la salute pubblica;
nel comunicato congiunto dell'Agenzia italiana del farmaco e dell'Istituto superiore di sanità, diramato il giorno stesso in cui il quotidiano la Repubblica ha pubblicato l'articolo richiamato, si fa riferimento a problematiche tecniche non ancora risolte;
non si ritiene credibile che la richiesta di ritiro dal commercio di lotti di emoderivati da parte della stessa Agenzia italiana del farmaco sia stata dettata da problematiche di natura esclusivamente formale, come appare dalla citata risposta del Ministro interrogato;
occorre, dunque, fare piena chiarezza sulla vicenda esposta e sui conseguenti potenziali rischi per la salute pubblica, affrontando immediatamente la querelle tra l'Agenzia italiana del farmaco e l'Istituto superiore di sanità e le diverse versioni proposte dai due soggetti, circa i mancati controlli sugli emoderivati, a piena garanzia della salute dei cittadini;
si osserva, infine, che la credibilità del parere reso dal Consiglio superiore di sanità appare oggettivamente inficiata, ad avviso degli interroganti, dal doppio ruolo ricoperto dal professor Garaci, come presidente dell'Istituto che ha richiesto il parere e dello stesso Consiglio, che lo ha reso. Egli finisce per essere controllore di se stesso e ciò non rende pienamente rassicuranti le valutazioni espresse dai due soggetti da ultimo citati -:
quali ulteriori chiarimenti il Ministro interrogato intenda fornire in merito e quali iniziative intenda assumere per garantire la salute dei cittadini.
(3-01433)

MORONI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
Farmindustria ha stipulato un accordo con Poste italiane per la consegna a domicilio di farmaci destinati ai pazienti affetti da particolari patologie, che devono oggi ritirarli presso le farmacie ospedaliere;
l'accordo sembra garantire un vantaggio per i cittadini, ma presenta, al contrario, molteplici profili di rischio: per i malati, per i conti pubblici e per l'efficienza del mercato farmaceutico;
la consegna domiciliare di farmaci non può essere esposta agli inconvenienti ricorrenti nei servizi di recapito, che Poste italiane gestisce direttamente o affida ad operatori terzi; un farmaco non può - come un pacco qualsiasi - finire «non consegnato» per assenza del destinatario, smistato in un magazzino decentrato, difficilmente raggiungibile e inadatto a conservarlo, e infine, magari, «recuperato» fuori tempo massimo, con possibili rischi di interruzione delle terapie;
la consegna a domicilio non verrebbe, comunque, effettuata da operatori sanitari e, dunque, i dubbi e le richieste di informazioni dei pazienti rimarrebbero senza risposta;
la privacy dei pazienti non sarebbe comunque salvaguardata, perché i portieri degli stabili, i vicini di casa, i corrieri e quanti altri potrebbero essere coinvolti dalle procedure di consegna dei prodotti farmaceutici: sarebbero, di fatto, informati delle condizioni di salute del destinatario e ciò appare gravemente in contrasto con i numerosi adempimenti cui gli operatori sanitari sono sottoposti per garantire la privacy dei pazienti;
se i costi della consegna fossero a carico dei produttori, ciò comporterebbe un'illegittima integrazione verticale del mercato dei farmaci, censurata dalla stessa Corte di giustizia europea; se fossero, invece, a carico del servizio sanitario nazionale sarebbero decisamente superiori

a quelli della consegna - ben più sicura, da tutti i punti di vista - tramite le farmacie;
questa modalità di consegna rende più complesso l'effettivo monitoraggio dell'efficacia del farmaco e i risultati terapeutici delle cure -:
se non condivida le perplessità esposte in premessa e se non ritenga di intervenire, per quanto di competenza, nell'interesse dei pazienti, per evitare i rischi connessi alla situazione rappresentata in premessa.
(3-01434)

Interrogazione a risposta in Commissione:

MIOTTO, LIVIA TURCO, PEDOTO, BOSSA, MURER, BURTONE e BUCCHINO. - Al Ministro della salute, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
da martedì 1o febbraio 2001 entrerà in vigore il sistema sanzionatorio così come previsto dal decreto legislativo n. 150 del 2009 per tutti quei medici che non invieranno on-line i certificati di malattia all'Inps;
le sanzioni previste dal decreto legislativo prevedono il licenziamento del medico o l'interruzione della sua convenzione con il sistema sanitario nazionale dopo due mancate trasmissioni on-line del certificato di malattia all'Inps;
in data 28 gennaio 2011, ben dodici sigle sindacali della dirigenza medica e della medicina generale (Anaao Assomed, Fimmg, Cimo Asmd, Aaroi Emac, Fvm, Cisl Medici, Fassic, Intesa Sindacale [Cisl Medici, Cgil Medici, Simet e Sumai] e Smi) hanno chiesto, in una lettera congiunta un incontro urgente con il ministro Brunetta per valutare lo stato di attuazione e «concordare le più ragionevoli soluzioni per procedere nell'innovazione, garantendo serenità alla categoria ed ai cittadini», nonché il mantenimento della sospensione dei sistema sanzionatorio e l'ammissione dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei medici ai lavori della Commissione tecnica con l'obiettivo di completare il percorso innovativo entro la fine del corrente anno;
il sistema, come denunciano i sindacati di categoria, presenta ancora molte criticità, nelle procedure non omogenee tra medici ospedalieri e medici di medicina generale, ed inoltre da difficoltà tecniche a partire dalla piattaforma che spesso si blocca, o a programmi e connessioni inadeguate, alla difficoltà di inviare il certificato di malattia quando si certifica la stessa al domicilio del paziente, fino al call center che non funziona" ed, ancora, solo il 50 per cento dei medici è davvero in grado di procedere per via informatica all'invio dei certificati anche perché nonostante il territorio sia ormai coperto al 92 per cento dalla rete ADSL, il vero problema è la velocità di trasmissione dei dati, media assolutamente bassa nelle aree di provincia meno densamente popolate, che aumenta via via quando si prendono in considerazione aree con centri più popolosi;
con il sistema sanzionatorio previsto dal decreto legislativo n. 150, il medico viene colpito con la sanzione disciplinare che non è differenziata tra il caso di assenza di attrezzature adeguate all'invio del certificato e il caso di cattivo funzionamento del sistema informatico del Ministero -:
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno intervenire urgentemente per dare una risposta positiva alle richieste dei medici, prorogando il termine per la decorrenza del sistema sanzionatorio e assicurando l'ammissione dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei medici ai lavori della Commissione tecnica con l'obiettivo di completare il percorso innovativo entro la fine del corrente anno, nonché quali siano i dati fino ad oggi dell'applicazione della norma relativa all'invio dei certificati on-line da parte dei medici divisi per regione e provincia.
(5-04135)

Interrogazione a risposta scritta:

BERTOLINI. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
si apprende dal sito di un quotidiano locale che, nelle strutture per anziani della «Asp Rete» di Reggio Emilia, viene distribuito un volantino del comune che pubblicizza la recente istituzione del registro comunale per le dichiarazioni anticipate di trattamento;
tale volantino si trova in bella mostra sul bancone informativo di uno dei sette ricoveri del comune e contiene tutte le informazioni necessarie per l'iscrizione nel registro comunale, ma non si fa cenno al fatto che tale volantino è puramente propagandistico e che non ha nessun valore legale;
è grave che ciò avvenga proprio in strutture come queste, dove dovrebbero essere garantite assistenza e cura delle persone anziane, sofferenti e spesso sole, mentre così si trasformano in luoghi di «collocamento» per il fine vita, dove addirittura di fatto, a parere dell'interrogante, si propaganda l'eutanasia;
molti sono i comuni in Italia che hanno adottato i regolamenti istitutivi di tali registri e di questi oltre il 50 per cento si trovano in Emilia Romagna e Toscana;
la recente Direttiva interministeriale del novembre 2010 ha chiarito che la materia del «fine vita» rientra nell'esclusiva competenza del legislatore nazionale e, pertanto, gli interventi dei comuni travalicano le competenze proprie degli enti locali, con la conseguenza che i provvedimenti adottati sono privi di effetti giuridici;
è, quindi, evidente che quei comuni che continuano ad istituire i registri sulle Dat fanno unicamente un'operazione di propaganda politica e non un servizio ai cittadini, strumentalizzando un tema delicato come il «fine vita» -:
se siano a conoscenza di quanto accade nelle strutture per anziani di Reggio Emilia e se risulti che continui ad essere pubblicizzata l'istituzione del registro per i testamenti biologici;
se e quali iniziative urgenti intendano adottare affinché i Comuni rispettino la Direttiva interministeriale emanata il 19 novembre 2010;
se, alla luce di quanto prevede la suddetta Direttiva, non ritengano di avviare una verifica presso gli enti locali per accertare le possibili responsabilità dei promotori di tali iniziative che possono dar luogo ad un distorto uso di risorse finanziarie pubbliche.
(4-10669)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta immediata:

CESARIO, SARDELLI, BELCASTRO, CALEARO CIMAN, CATONE, D'ANNA, GIANNI, GRASSANO, IANNACCONE, MILO, MOFFA, MARIO PEPE (IR), PIONATI, PISACANE, POLIDORI, PORFIDIA, RAZZI, ROMANO, RUVOLO, SCILIPOTI e SILIQUINI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
all'inizio del 2011 non si arresta l'aumento dei premi per le assicurazioni per la responsabilità civile auto e le problematiche del settore diventano nuovamente di scottante attualità, perché la loro mancata soluzione è per i cittadini particolarmente penalizzante ed insopportabile;
tutti sono impegnati nella ricerca di un punto di equilibrio che superi l'insostenibilità per molte famiglie italiane dei premi per le assicurazioni per la responsabilità civile auto, cercando di coniugare le istanze imprenditoriali, la tutela del consumatore, l'importanza che riveste la fiscalità del settore nelle strategie di finanza pubblica, il rispetto delle regole di mercato e della libera concorrenza, nonché il pieno sviluppo della funzione sociale dell'assicurazione;

nonostante gli interventi legislativi degli ultimi anni non si è ancora determinata l'auspicata contrazione del pagamento dei sinistri, anzi questi assorbono annualmente gli onerosi aumenti tariffari;
sono significative le criticità interne del settore delle assicurazioni per la responsabilità civile auto, evidenti se nel 2009 i reclami pervenuti all'Isvap sono oltre 32000, con un aumento del 14 per cento rispetto al 2008, dei quali il 75 per cento si riferisce al ramo della responsabilità civile auto e di cui la liquidazione dei sinistri è la tipologia più frequente (83 per cento). Inoltre, sempre nel 2009, l'Isvap ha irrogato 50 milioni di euro di sanzioni ascrivibili ad illeciti per violazione della normativa sulla responsabilità civile auto, di cui 47 milioni per violazioni in materia di liquidazione dei sinistri;
l'Isvap è intervenuto presso le imprese e primi segnali positivi provengono da importanti gruppi che stanno finalmente investendo in risorse umane e tecnologiche ed in controlli più sistematici della «filiera operativa». Il potenziamento in atto delle strutture delle imprese contribuirà nel tempo a migliorare la qualità del servizio reso agli utenti, riducendo i motivi di conflittualità, i reclami e le sanzioni;
nel 2010 si è manifestata la preoccupante criticità della riduzione dei sinistri gestiti dalla stanza di compensazione presso la Consap, con punte del 16,1 per cento in Campania e dell'11,6 per cento in Puglia, dovuta al ridimensionamento della presenza delle reti produttive delle compagnie, alla maggiore frequenza dei fenomeni fraudolenti nell'assunzione del rischio della responsabilità civile auto e della circolazione dei veicoli senza assicurazione;
il settore delle assicurazioni per la responsabilità civile auto richiama una particolare attenzione al controllo delle dinamiche economiche dei territori meridionali, per il fatto che negli ultimi due anni hanno operato in Italia, principalmente nel Meridione, 18 compagnie fantasma: è stata decretata la liquidazione coatta della Progress, con sede a Palermo (i relativi sinistri sono a carico del fondo di garanzia per le vittime della strada, il cui finanziamento grava per il 2,5 per cento del premio per le assicurazioni per la responsabilità civile auto e, quindi, sui cittadini onesti); è intervenuto il divieto di assunzione di nuovi affari a carico della maltese Eig con intermediari nel napoletano e, per quanto risulta agli interroganti, il commissariamento della Novit;
il fenomeno fraudolento nel comparto dei sinistri relativi alla responsabilità civile auto a danno delle imprese nel 2009 vale 314,5 milioni di euro, ha un'incidenza in numero del 2,5 per cento, un importo del 2,4 per cento rispetto alla globalità dei sinistri del ramo e rappresenta l'1,9 per cento dei premi del ramo. In Campania, invece, si registra un importo dei sinistri connessi a reato di 107 milioni di euro (119 milioni nel 2006 e 97,2 milioni nel 2008), pari al 9,6 per cento dei sinistri, l'8,7 per cento degli importi dei risarcimenti ed il 7,7 per cento dei premi del ramo. Le criticità in cui operano gli assicuratori nella provincia napoletana e casertana sono negli ultimi anni esplose fino a diventare allarmanti per le citate crisi d'impresa;
sul territorio mancano le sinergie tra le istituzioni pubbliche ed il mercato per approfondimenti e ricerche storiche, dirette a creare informazioni utili per prevenire, contrastare e reprimere le frodi e i comportamenti criminosi nel settore della responsabilità civile auto. È auspicabile, quindi, non un'agenzia antifrode con nuovi costi, ma una razionalizzazione delle energie e dei poteri di coloro che già sono coinvolti nell'opporsi a questo triste fenomeno criminale, che grava sui cittadini onesti, sia a livello nazionale che nelle regioni più colpite dalle frodi;

nel 2009 si registra, per la prima volta dal 2003, un aumento delle cause presso i conciliatori e i giudici di pace rispetto all'esercizio precedente, attestatesi a 197.679 contro 180.281 del 2008, con un incremento del 9,6 per cento e con un'incidenza del 77,6 per cento rispetto al totale delle cause civili di primo grado. Il fenomeno è dovuto alla forte crescita del contenzioso residuo alla fine dell'anno delle ultime due generazioni 2008 e 2009 e, in particolare, alla crescita del contenzioso pendente alla fine dell'anno presso i giudici di pace, quello di importo medio non rilevante per la compagnia ma di notevole numerosità, mortificando i diritti dei cittadini ad un rapido e giusto risarcimento;
non è presente nella disciplina speciale assicurativa una norma sanzionatoria che stimoli l'assicuratore a non proseguire fino alla sentenza ed al pignoramento dei suoi beni; quel contenzioso che dopo le prime udienze è palese gli sarà avverso, con l'effetto anche di accelerare i tempi medi di risoluzione del contenzioso civile, di velocizzare il pagamento dei sinistri e di rafforzare i presidi per l'equità delle offerte risarcitorie dell'assicuratore. L'articolo 148, comma 10, del codice delle assicurazioni non infligge, infatti, una sanzione pecuniaria all'assicuratore nel caso di accertamento del giudice dell'incongruità dell'offerta della compagnia;
la piaga degli incidenti stradali mortali va contrastata con forza e la liquidazione dei sinistri mortali che coinvolgono i terzi trasportati viene in tempi esageratamente lunghi -:
quali siano i dati a conoscenza del Governo e, nell'ambito delle proprie competenze, quali iniziative ritenga sia urgente assumere sotto il profilo normativo per risolvere definitivamente le citate problematiche e quelle complessive del settore della responsabilità civile auto, nell'obiettivo di un contenimento del costo delle polizze assicurative per la responsabilità civile auto e del miglioramento della qualità del servizio liquidativo dei sinistri relativi alla responsabilità civile auto.
(3-01432)

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Apposizione di firme ad una mozione.

La mozione Cicu e altri n. 1-00551, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 gennaio 2011, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Gidoni, Chiappori.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Fallica e altri n. 4-09352, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Dima n. 4-09353, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Dima n. 4-09355, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Girlanda n. 4-09375, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta in Commissione Contento n. 5-03755, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta in Commissione Contento n. 5-03761, pubblicata nell'allegato B

ai resoconti della seduta del 10 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Pili n. 4-09397, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Germanà n. 4-09418, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Marinello n. 4-09421, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Zacchera n. 4-09464, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Franzoso e altri n. 4-09470, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Lisi n. 4-09471, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Murgia n. 4-09488, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Girlanda n. 4-09489, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Marsilio n. 4-09492, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta in Commissione Contento n. 5-03833, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta in Commissione Mancuso e Viola n. 5-03835, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta in Commissione Porcu n. 5-03837, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Zacchera n. 4-09507, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Germanà n. 4-09516, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Aracri n. 4-09520, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Aracri n. 4-09521, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Galati n. 4-09522, pubblicata nell'allegato B

ai resoconti della seduta del 18 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Galati n. 4-09523, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Fucci n. 4-09525, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Fucci n. 4-09526, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Bertolini n. 4-09538, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato della mozione Delfino n. 1-00545, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 426 del 31 gennaio 2011.

La Camera,
premesso che:
la politica agricola comune (PAC), prevista dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, è una delle politiche comunitarie di maggiore importanza, impegnando circa il 34 per cento del bilancio dell'Unione europea;
l'articolo 2 del Trattato di Roma afferma che la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche. Per raggiungere tale scopo, occorreva:
a) abolire i dazi doganali tra gli Stati membri;
b) istituire tariffe doganali e politiche commerciali nei confronti degli Stati terzi;
c) eliminare gli ostacoli tra gli Stati membri di capitali, servizi e persone;
d) instaurare una politica comune nel settore dei trasporti e in quello dell'agricoltura;
e) creare un fondo sociale europeo e una Banca europea, per promuovere gli investimenti;
la PAC (politica agricola comune o comunitaria), fin dal suo inizio, si era prefissata i seguenti obiettivi:
a) garantire la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare;
b) migliorare le condizioni di esercizio dell'attività agricola, garantendo una sostanziale stabilità dei prezzi, anche grazie al prezzo di intervento stabilito dalla Comunità europea. Di fatto, ai produttori, per le rispettive produzioni, era assicurato un prezzo minimo garantito;
c) promuovere la produzione di derrate alimentari di pregio e qualità;
d) orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva (limitando i fattori della produzione, aumentando lo sviluppo tecnologico e utilizzando delle migliori tecniche agronomiche);
nell'attuale contesto, non si può non osservare come tali obiettivi non siano stati raggiunti, in quanto il reddito degli agricoltori è al di sotto di quello medio complessivo; inoltre, le crisi ripetute e la volatilità dei mercati penalizzano fortemente i redditi dei produttori agricoli;
il 18 novembre 2010 il Commissario europeo Dacian Ciolos ha presentato la comunicazione della Commissione europea

sul futuro della politica agricola comune dopo il 2013. Si tratta di una tappa importante nel percorso che condurrà alla definizione della politica agricola comune per il periodo 2014-2020;
il documento reca le linee di indirizzo generale della futura politica agricola comune, che ha lo scopo di realizzare una riforma capace di soddisfare le molteplici attese dei cittadini e, soprattutto, di mettere in risalto il contributo dell'agricoltura alle nuove esigenze ed emergenze della società;
il documento indica la necessità che la futura politica agricola comune sia rivolta verso i seguenti obiettivi: garanzia degli approvvigionamenti, sicurezza delle produzioni alimentari, sostenibilità ambientale delle produzioni, qualità delle derrate alimentari, tutela dell'occupazione delle zone rurali;
per il settore primario italiano assumono un'importanza fondamentale le decisioni che verranno prese sulle dimensioni del futuro bilancio per la politica agricola comune, questione centrale della nuova riforma insieme ai meccanismi di ripartizione delle risorse a favore degli Stati, sulla riforma del pagamento unico per azienda e sulla remunerazione dei servizi collettivi che gli agricoltori forniscono alla società in materia di tutela ambientale e di sicurezza alimentare;
il documento della Commissione europea, anche se non entra in maniera specifica nelle questioni di maggior rilievo, è una buona base di partenza per puntare ad una riforma robusta e ambiziosa per il nostro Paese;
per affrontare con serenità il futuro, la nuova politica agricola comune deve essere modificata in modo tale che il suo sostegno venga ripartito in modo più equo;
in molte proposte emerge una nuova richiesta per la politica agricola comune: il contrasto all'instabilità dei mercati e il miglioramento della posizione degli agricoltori nella filiera agroalimentare;
gli strumenti della vecchia politica di garanzia (prezzi garantiti, dazi, sussidi all'esportazione, ammasso pubblico, quote, set aside ed altro) hanno mostrato tutti i loro limiti e non sono più applicabili nella prospettiva futura. Tuttavia, l'obiettivo della stabilizzazione dei prezzi e dei mercati rimane ancora attuale;
anziché la vecchia politica di garanzia, si richiede di favorire gli strumenti di regolazione dei mercati gestiti direttamente dai produttori agricoli, attraverso la concentrazione dell'offerta, il miglioramento del rapporto tra produttori e primi acquirenti tramite le strutture di aggregazione, la cooperazione, l'associazionismo e l'interprofessione,


impegna il Governo:


ad assumere una posizione forte a difesa del budget destinato alla politica agricola comune, soprattutto alla luce dei nuovi impegni e delle nuove sfide cui viene chiamato il sistema agricolo europeo;
ad effettuare una valutazione di impatto per l'Italia, inerente al nuovo sistema di pagamenti diretti proposto dalla Commissione europea, in particolare in relazione alla ridistribuzione dei pagamenti diretti e al loro «spacchettamento» in quattro componenti: pagamenti diretti di base, pagamento per l'agricoltura verde, pagamenti per le zone con handicap naturali, pagamenti «accoppiati» per l'agricoltura ad alto valore strategico;
a chiedere, in sede di Unione europea, un congruo periodo di adattamento nell'applicazione della riforma, per consentire il raggiungimento graduale degli obiettivi;
ad individuare soluzioni e proposte per tener conto della particolarità dell'agricoltura italiana, caratterizzata da produzione ad alto valore aggiunto, in modo da evitare un drastico ridimensionamento dei pagamenti diretti, che - in

base alla proposta attuale della Commissione europea - rischiano di essere distribuiti in base al solo parametro della superficie;
a predisporre un ventaglio di proposte per un sistema di pagamenti diretti più confacente con le caratteristiche socio-economico strutturali dell'agricoltura italiana, in particolare per l'olivicoltura, l'ortofrutticoltura, l'agrumicoltura e le produzioni zootecniche, che saranno fortemente penalizzate dalle ipotesi di ridistribuzione dei pagamenti diretti proposte dalla Commissione europea;
ad adoperarsi per assicurare la conferma all'interno della futura politica agricola comune di uno strumento di flessibilità quale quello previsto dall'articolo 68 attuale (reg. 73/09), capace di intervenire sul sistema agricolo attraverso interventi volti a salvaguardare specifici settori produttivi in crisi strutturale, il sostegno di comparti strategici in aree svantaggiate, oltre che promuovere la qualità, l'origine e la tracciabilità delle filiere;
a richiedere l'istituzione di una effettiva «rete di sicurezza», che permetta di affrontare in maniera tempestiva ed efficace le crisi di mercato, prevedendo allo stesso tempo un fondo anticrisi per tutti i settori;
a richiedere che la politica di sviluppo rurale preveda misure di intervento rivolte principalmente alle imprese e all'aumento della loro competitività;
a sviluppare, all'interno della politica di sviluppo rurale, un'attività di semplificazione e flessibilità finanziaria dei programmi di sviluppo rurale, sia attraverso un coordinamento unitario del Governo, che per mezzo di appositi strumenti finanziari che ne garantiscano il pieno utilizzo delle risorse, sia in termini di efficacia che di efficienza, in un Paese come l'Italia a programmazione regionalizzata;
a promuovere un migliore funzionamento delle filiere, richiedendo l'attivazione di politiche di settore che determinino il rafforzamento della posizione competitiva degli agricoltori nella ripartizione della catena del valore;
a incrementare la compatibilità internazionale della politica agricola comune, richiedendo la formalizzazione del principio di reciprocità e l'individuazione di forme di tutela dalla concorrenza insostenibile esercitata dalle produzioni dei Paesi non appartenenti all'Unione europea non assoggettate alle stesse regole sanitarie e di sicurezza del lavoro;
a proporre strumenti innovativi per l'utilizzo ottimale delle risorse disponibili a favore degli agricoltori in attività;
a sostenere il ricambio generazionale;
a qualificare la gestione dei rischi delle imprese agricole, nonché a valorizzare il patrimonio di realtà associative e cooperative presenti nel nostro Paese.
(1-00545)
(Nuova formulazione) «Delfino, Galletti, Naro, Volontè, Compagnon, Ciccanti, Libè, Occhiuto, Cera, Marcazzan».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta in Commissione Ghizzoni n. 5-03359 del 4 agosto 2010;
interrogazione a risposta orale Peluffo n. 3-01397 del 13 gennaio 2011;
interrogazione a risposta scritta Di Pietro n. 4-10652 del 31 gennaio 2011.